COME SONO REALI LE COMUNITÀ VIRTUALI€¦ · sumi, gli interessi della collettività. (“Dizio -...

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Focus 24 di Paola Springhetti U na fuga dal mondo. Un’affer- mazione di narcisismo indivi- dualista. Una perdita di tempo che falsa la percezione dei rapporti. Sono queste le accuse di chi vede i social network come strumenti di alienazione dalla vita reale, dalla propria identità, dalla comunità. Eppure, proprio da quando i social network hanno cominciato a diventare di massa, si è ricominciato a parlare di “comunità”. Chi accusa Facebook di mistificazione, in quanto illude di avere rapporti con le per- sone, facendo dimenticare che non sono rapporti “veri”, mette in campo una con- trapposizione, identificando il vero con ciò che è “reale”, e il falso con ciò che è “vir- tuale”. Ma questa contrapposizione non regge alla prova dell’esperienza: quello vir- tuale è uno spazio diverso, che non ha le ca- ratteristiche dello spazio fisico, ma non per questo è falso. Semplicemente, è diverso. Ugualmente, anche le forme di aggregazione nello spazio virtuale hanno caratteristiche che non sono quelle face to face, ma non per que- sto sono false. Semplicemente sono diverse. Diceva Norbert Elias che il passaggio dalle società pre-moderne a quelle moderne si può definire come un passaggio dalla dimensione del coinvolgimento a quella del distacco: dalla comunità, dalla famiglia, dalla natura. Ciò che Internet sembra fare, oggi, è proprio di ridare spazio, in forme nuove, al coinvolgimento. Senza voler sminuire il valore dei legami comunitari e dei territori, bisogna riconoscere che le nuove tecnologie permettono di co- struire reti elettive: ognuno può individuare ed entrare in contatto con persone che vi- vono in altri contesti territoriali, ma condivi- dono interessi, passioni, battaglie, analisi. Ci si può quindi confrontare, ci si possono scam- COME SONO REALI LE COMUNITÀ VIRTUALI La sfida è vivere negli spazi sintetici e coltivare quanto di partecipazione e solidarietà vi può nascere. Per poi cambiare gli spazi fisici

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di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

Una fuga dal mondo. Un’affer-mazione di narcisismo indivi-dualista. Una perdita di tempo

che falsa la percezione dei rapporti. Sonoqueste le accuse di chi vede i social networkcome strumenti di alienazione dalla vitareale, dalla propria identità, dalla comunità.Eppure, proprio da quando i social networkhanno cominciato a diventare di massa, si èricominciato a parlare di “comunità”.

Chi accusa Facebook di mistificazione, inquanto illude di avere rapporti con le per-sone, facendo dimenticare che non sono rapporti “veri”, mette in campo una con-trapposizione, identificando il vero con ciòche è “reale”, e il falso con ciò che è “vir-tuale”. Ma questa contrapposizione nonregge alla prova dell’esperienza: quello vir-tuale è uno spazio diverso, che non ha le ca-ratteristiche dello spazio fisico, ma non per

questo è falso. Semplicemente, è diverso.Ugualmente, anche le forme di aggregazionenello spazio virtuale hanno caratteristiche chenon sono quelle face to face, ma non per que-sto sono false. Semplicemente sono diverse.

Diceva Norbert Elias che il passaggio dallesocietà pre-moderne a quelle moderne si puòdefinire come un passaggio dalla dimensionedel coinvolgimento a quella del distacco: dallacomunità, dalla famiglia, dalla natura. Ciò cheInternet sembra fare, oggi, è proprio di ridarespazio, in forme nuove, al coinvolgimento.

Senza voler sminuire il valore dei legamicomunitari e dei territori, bisogna riconoscereche le nuove tecnologie permettono di co-struire reti elettive: ognuno può individuareed entrare in contatto con persone che vi-vono in altri contesti territoriali, ma condivi-dono interessi, passioni, battaglie, analisi. Ci sipuò quindi confrontare, ci si possono scam-

CCOOMMEE SSOONNOO RREEAALLII LLEE CCOOMMUUNNIITTÀÀ VVIIRRTTUUAALLIILLaa ssffiiddaa èè vviivveerree nneeggllii ssppaazzii ssiinntteettiiccii ee ccoollttiivvaarree qquuaannttoo ddii ppaarrtteecciippaazziioonnee ee ssoolliiddaarriieettàà vvii ppuuòò nnaasscceerree.. PPeerr ppooii ccaammbbiiaarree ggllii ssppaazzii ffiissiiccii

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biare informazioni e suggerimenti. Possiamochiamare “comunità” queste reti?

Secondo Luciano Gallino, «una colletti-vità può essere definita comunità quando isuoi membri agiscono reciprocamente e neiconfronti di altri, non appartenenti alla col-lettività stessa, anteponendo più o menoconsapevolmente i valori, le norme, i con-sumi, gli interessi della collettività. (“Dizio-nario di sociologia”, Tea 2000). Secondo lui,questa forma di solidarietà si verificava so-prattutto in gruppi del territorio piuttostopiccoli, cioè nelle comunità locali. Ma anchein Rete si agisce: già il fatto di far girare in-formazioni altrimenti oscurate è una formadi azione. E poi si elaborano dichiarazioni edocumenti, si raccolgono firme, ci si mobi-lita. E tutto questo in base ai valori, allenorme, ai consumi e gli interessi della col-lettività, cioè di coloro che hanno deciso dientrare nella rete.

Dunque, possiamo dire che quelle virtuali

sono vere e proprie comunità. Non è uncaso che alcune di queste reti siano caratte-rizzate da un forte senso di appartenenza.

Proprio per evitare l’equivoco virtuale =falso, alcuni ricercatori, come Selene Caldieri,preferiscono parlare di “spazi sintetici”, nelsenso di creati dall’uomo, per indicare «unanuova frontiera…che non ha più un corri-spettivo nel mondo tradizionale, ma con cuiintrattiene un fitto rapporto di scambio e direciproche influenze, dimostrando quanto dauna parte la virtualità sia ben lontana dall’es-sere irreale e dall’altra come gli schermi nonsiano delle barriere, che segnano una divi-sione tra piani diversi di realtà, ma dei filtriche lasciano passare elementi dall’uno all’al-tro» (“Spazi sintetici”, Liguori 2011).

Oggi la sfida è vivere negli spazi sintetici ecoltivare quanto di comunità, partecipazione,solidarietà, cambiamento vi può nascere, perfar sì che tutto questo passi lo schermo evada a fecondare la realtà “reale”. ■

Quelle in Rete sono vere comunità, al cui interno si agisce, ci si scambia informazioni, ci si mobilità

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AGennaio era stato bloccato ilServizio civile nazionale con or-dinanza del Tribunale di Milano

che aveva accolto il ricorso di un giovanePakistano contro la norma della Legge64/2001 che esclude gli stra-nieri dallo svolgimento delServizio Civile. Una situa-zione che coinvolgeva tutti icirca 18mila giovani previstidal bando 2011. Sulla rete èpartita la mobilitazione. Suwww.petizionepubblica.it erapossibile firmare la petizionepubblica “Servizio civile2012”, che in tre giorni avevaraccolto oltre 1.600 adesionie su Facebook si stava orga-nizzando una manifestazionea Roma per il primo di feb-braio. Dal Servizio civile aimovimenti per l’acqua benecomune o il nucleare, dalledonne di “Se non oraquando” agli indignados spagnoli e poi aquelli italiani, fino alle rivolte di Tunisia, Ma-rocco, Algeria, Libia, Siria, Egitto la Rete e isocial network divengono sempre più stru-menti di mobilitazione. Ma sono davvero ef-

ficaci? Cosa distingue, ad esempio, i movi-menti italiani dalle rivoluzioni della Prima-vera araba? Facciamo fatica a trasformare lapartecipazione virtuale in una attivazioneconcreta e di lungo periodo? Naturalmente

se non c’è una mobilitazionereale non si può avere un ri-sultato concreto, Internetnon crea la mobilitazione, neè strumento, spiega Raffa-ella Cosentino, autrice di“Facebook revolutions” (Terreli-bere.org Edizioni). Nel casodelle mobilitazioni in Tunisiao in Egitto la rete è stata unmezzo di diffusione e molti-plicazione delle informazionisulla repressione della rivolta.Ma «bisogna considerare le differenze tra l’Europa,quello che sta accadendonelle società occidentali o inAmerica rispetto a ciò che èsuccesso in Nord Africa: per

noi è più difficile passare dalla Rete a qual-cosa di reale, di concreto, ma le nostre sonosocietà libere – forse parzialmente libere,forse non abbastanza informate o non ab-bastanza partecipate - ma che non speri-

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

DDaallll’’aallttrraa ppaarrttee ddeell MMeeddiitteerrrraanneeoo iinn ffeerrmmeennttoo llaa RReettee ee ii ssoocciiaall nneettwwoorrkk ssoonnoo ssttrruummeennttoo ddii iinnffoorrmmaazziioonnee ee mmoobbiilliittaazziioonnee.. EE iinn IIttaalliiaa?? AAbbbbiiaammoo ccaappiittoo llaa ppootteennzzaa ddeeii ssoocciiaall nneettwwoorrkkppeerr ffaarree ppaarrtteecciippaazziioonnee rreeaallee??

MMOOVVIIMMEENNTTII EE RRIIVVOOLLUUZZIIOONNII..VVIIRRTTUUAALLII?? NNOO,, RREEAALLII

L’e-book di Raffaella Cosentino(Terrelibere.org, 2011)

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mentano quella mancanza di libertà da re-gime dittatoriale che, in Tunisia o in Egitto,ha portato la Rete ad essere strumento fon-damentale per creare una mobilitazione dilungo periodo, per dire ciò che non potevaessere detto pubblicamente». Si tratta di unadimensione, secondo la Cosentino, che noifatichiamo ad afferrare realmente: «ciò che èsuccesso nel mondo arabo ci ha aiutato a ca-pire l’importanza rivoluzionaria di tuttaquella parte di Internet che produce conte-nuti generati direttamente dagli utenti, cheabbiamo sempre esaltato, ma non compresa

e analizzata. La prova concreta ce l’hannodata i giovani del Maghreb, che hanno spe-rimentato la dittatura e con essa le poten-zialità della Rete per mobilitarsi. Questagenerazione di giovani ventenni e trentenniche stanno dall’altra parte del Mediterraneoe sognano di arrivare in Europa sono piùavanti di noi». Sono diversi gli elementi, se-condo Cosentino, che contribuiscono acreare questa distanza. «Negli anni il regime,soprattutto in Tunisia, ha trovato moltimodi per creare una censura ferrea controInternet, contro la quale si sono allenatiblogger e dissidenti, in una sfida continua.All’inizio il controllo era più su blog e indi-rizzi e-mail, tanto che Facebook è stato uncanale molto importante per diffondere leinformazioni sulla rivolta in corso, in uncontesto in cui la Tv di stato nega o non in-forma sulla rivolta in corso». Senza contare

il fattore economico equello demografico: «Que-ste rivolte, così vicine, hannoportato un’ondata rivitaliz-zante per tutta l’Europa. InItalia la crisi ci tocca»,spiega, «ma la famiglia cisupporta, è il nostro welfarestate, abbiamo una situa-zione che ci rende meno vi-vaci come società civile. Epoi, ad esempio, la Spagnaha un movimento giovanilepiù vivo, ma anche più nu-meroso. Ricordiamoci chel’Italia, a livello generazio-nale, non è un paese per gio-vani». ■Internet non crea la mobilitazione, ne è strumento

Foto di Gavin Llewellyn (Flickr)

In Italia la crisi ci tocca,ma la famiglia ci supporta,abbiamo una situazioneche ci rende mendo vivacicome società civile

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«Nei prossimi giorni pioverà. Ab-biamo 62mila tombini. Molti sonoripuliti ma basta la plastica o qualche

foglia per intasarli. Vi chiediamo una mano.Segnalateci subito i tombini bloccati vicinoa casa (email o anche qui su FB). InvieremoPubliacqua. Se poi siete nelle condizioni diprovvedere direttamente voi, grazie in anti-cipo. Sembra banale. Lo so. Ma la vita dellacittà passa anche da piccole attenzioni…»Questo messaggio pubblicato si Facebookdal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, nelgiro di un’ora aveva raccolto 421 “mi piace”,era stato condiviso da 45 utenti, aveva su-scitato 105 commenti.

Sono ormai moltissimi gli amministratorie i politici che hanno aperto uno spazio suFacebook. C’è chi la usa come una vetrinapuramente propagandistica, chi per infor-mare sulla propria attività, chi ne ha fattouno spazio di ascolto dei cittadini e di inter-locuzione su problemi concreti.

A proposito di Open GovernmentQuesto è solo uno dei modi in cui i social

network stanno influenzando il modo di farepolitica e di amministrare, proprio grazie alcontatto diretto che creano, amplificandoulteriormente la capacità di Internet di cam-biare il rapporto tra cittadini e pubblica am-ministrazione. Tanto che è ormai entratonell’uso comune il termine “Open Gover-

nment”, che sta a significare qualcosa come“democrazia aumentata”, “ampliata”. E giàc’è chi usa il più modaiolo “Wikicrazia”, perindicare, appunto, una democrazia poten-ziata dagli strumenti collaborativi della rete(i wiki). Recentemente, è stato anche intro-dotto il termine “We-gov”, per indicare ilfatto che le politiche pubbliche sono createcon l’apporto dei cittadini.

Comunque, il clou dell’attenzione su que-sto tema si è avuto nel settembre scorso,quando il presidente degli Stati Uniti, BarakObama, e la presidente del Brasile, DilmaRoussef, hanno lanciato la Open GovernmentPartnership, cui hanno aderito nel giro dipoco tempo 46 Paesi, Italia compresa. Tre itemi sul tappeto: trasparenza delle ammini-strazioni pubbliche, disponibilità dei dati,partecipazione dei cittadini. In Italia, sulpiano legislativo, siamo fermi al Codice del-l’Amministrazione digitale (Cad): è un de-creto legislativo del 7 marzo 2005, poi piùvolte modificato. A dire il vero, il codice nonè amato da tutti: c’è chi teme che, invece diincentivare, burocratizzi e irrigidisca leprassi innovative, ma è pur sempre un segnodi attenzione al problema.

Qualcuno ha iniziatoInternet permettere di condividere cul-

tura, ma anche memoria, ed è quindi unostrumento prezioso per la costruzione del-

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di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

II ssoocciiaall nneettwwoorrkk ppoossssoonnoo ddaarree uunn ggrraannddee ccoonnttrriibbuuttoo ppeerr uunnaa mmaaggggiioorree ppaarrtteecciippaazziioonnee ddii cciittttaaddiinnii aallllee sscceellttee ppoolliittiicchhee,, aallllaarrggaannddoo llaa ddeemmooccrraazziiaa.. PPuurrcchhéé ii cciittttaaddiinnii lloo vvoogglliiaannoo

YYEESS,, WWEE GGOOVV.. EE TTUU??

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l’identità della comunità. Dà la possibilità direndere accessibili a tutti, gratuitamente e intempi veloci, dati che possono essere utili aicittadini per le loro scelte, personali e non.Permette di sbrigare on line pratiche buro-cratiche, con liberatorio beneficio, oltre chedei cittadini, delle aziende. Apre a forme dipartecipazione concrete, che vanno dal se-gnalare problemi specifici al discutere pub-blicamente su temi inerenti il bene comune.

Certo, per attuare queste possibilità e farsì che diano frutto c’è ancora molta stradada fare, soprattutto perché all’interno delleistituzioni si crei la necessaria mentalità in-novativa. Ma ci sono esperienze e segnali in-teressanti.

A livello “centrale” possiamo ricordare ilsito www.dati.gov.it (sottotitolo: “i dati apertidella Pubblica amministrazione”), voluto dalMinistro Brunetta. A livello locale potremmoricordale la provincia di Carbonia, che hadato vita ad un portale semantico, che con-sente di mappare tutti gli atti amministrativiemanati dall’ente, permettendo l’accesso informato aperto alle delibere.

Si www.epart.it/udine, dove i cittadini pos-sono segnalare buche stradali che li infastidi-scono, mentre www.decorourbano.org è unsocial network che permette agli iscritti di se-gnalare gli esempi di degrado nella propria

città. Fino ad ora i Comuni che hanno aderitosono 20, ma si spera che il numero aumenti.I segnalatori, invece, sono oltre 450mila.

Tra le iniziative dei cittadini, è da citarel’associazione Openpolis, che dal 2008 ag-giorna l’omonimo sito, che monitora le atti-vità del Parlamento. Ora sta creandoOpenmunicipio, per svolgere lo stesso ser-vizio con i Comuni.

I cittadini peraltro hanno voglia non solodi denunciare, ma anche di proporre. Lo di-mostra l’esperienza che ha visto come pro-tagonista Marcello Verona, un giovaneinformatico che ha deciso di dare una manoa Massimo Zedda, altrettanto giovane sin-daco appena eletto a Cagliari. Verona ha in-ventato un Ideario per Cagliari, doveognuno può pubblicare le proprie idee, chevengono lette non solo dagli amministratori,ma anche dagli altri cittadini, che le discu-tono e si esprimono su di esse e, tramite Fa-cebook, le votano.

Siamo ancora lontani da esperienze comequelle dell’Islanda, che discute on-line lemodifiche costituzionali, o dell’Inghilterrache ha aperto una discussione su dove ecome tagliare per far quadrare i conti, coin-volgendo centinaia di migliaia di cittadini.Ma c’è un movimento dal basso che spinge,e che può portare lontano. ■

Decorourbano.orgraccoglie esempi didegrado nelle città

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Le aziende il potenziale di Internete dei social network l’hanno capito.E la comunicazione di prodotto

da tempo è sbarcata sulla rete. Si creanoblog, si lavora su Facebook e Twitter, sicoinvolgono blogger selezionati, si usa l’In-ternet PR, una branca della comunicazioneonline che consente di seguire le discussionisui prodotti, le aziende, le marche. E il terzosettore? Per il volontariato spesso il pro-blema è quello di avere buoni progetti, ma dinon saperli comunicare. E, certo, per le as-sociazioni più piccole non è semplice. Ma lebuone prassi non mancano, come nel casodi Greenpeace Italia.

Qualche tempo fa è stato lanciato unospot di Volkswagen Passat ispirato a StarWars con un piccolo Darth Vader che si eser-citava nell’uso della Forza. Dal successo diquello spot è nata la campagna “Volkswagen

darkside”, come ci racconta Maria CarlaGiugliano, responsabile Nuovi media diGreenpeace Italia. «Abbiamo lanciato deicontro-spot su youtube e un sito web dedi-cato (www.vwdarkside.com) per svelare comeil colosso automobilistico tedesco non sial’azienda “produttrice d’auto più eco-friendlydel mondo”, come recitano le sue pubblicità».Sul sito gli utenti possono unirsi all’AlleanzaRibelle: «ad oggi si sono iscritti quasi 500milaJedi che hanno chiesto a Volkswagen di do-tare la sua produzione delle migliori tecnolo-gie per l’efficienza di cui dispone e dismettere di remare contro le leggi a favore delclima. Per alcuni mesi ogni Jedi ha avuto a di-sposizione una pagina di addestramento,dove accumulare punti per diventare MaestroJedi e vincere una t-shirt. I punti si totalizza-vano portando i propri amici a cliccare sullapagina e a diffondere la campagna in rete».Greenpeace è riuscita a portare avanti consuccesso una campagna che è ancora incorso: «Puntando sul gioco e su un premio,i nostri utenti hanno fatto pressione su unadelle multinazionali più grosse al mondo.

Tradizione e nuovi media: un intrec-cio vincente

La nostra strategia di comunicazionepunta a integrare media tradizionali e nuovimedia. Sul web diamo agli utenti gli stru-menti per partecipare alle nostre campagne.Allo stesso tempo attraverso le azioni clas-

Focus3300

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

DDaa DDaarrtthh VVaaddeerr aa BBaarrbbiiee,, GGrreeeennppeeaaccee IIttaalliiaa ppuunnttaa ssuullllaa rreettee

CCOOMMUUNNIICCAARREE VVIIRRAALLEE

Un’immagine dalla campagna“Barbie ti mollo” di Greenpeace

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siche, i rapporti scientifici e le attività dei vo-lontari continuiamo a tenere alta l’attenzionesui temi ambientali nei media tradizionali enelle strade». Greenpeace punta molto sullarete, se ne occupano due webmaster, un di-gital fundraiser, una responsabile Nuovimedia: «La pagina Facebook di GreenpeaceItalia ha più di 200mila “mi piace”, mentresu Twitter abbiamo superato i 130mila follo-wer. Puntiamo molto sulla community che cisegue online per convincere governi eaziende a seguire la strada della sostenibilità.Chiediamo agli utenti di partecipare inprima persona, l’obiettivo non è solo infor-mare, ma mobilitare».

Certo, per sperimentarne le potenzialità,bisogna conoscere l’universo dei social mediastandoci dentro, «è indispensabile essere ap-passionati, aggiornarsi quotidianamente perscoprire le novità e sfruttarle al massimo. Dacasa, con un computer connesso, i cyberatti-visti possono partecipare attivamente allecampagne e ci aiutano a vincerle. Vengonoinformati costantemente, partecipano a peti-zioni online, condividono le denunce sui socialnetwork e fanno passa parola in famiglia e tragli amici. Fanno campagna con noi».

Un altro esempio? È la campagna “Barbieti mollo!”. «Un brand attack efficace», spiegaGiugliano, «deve puntare su strumenti chepossono potenzialmente diventare virali, es-sere cliccati e commentati in rete. Soloquando riusciamo a insidiare la reputazionedel loro brand, le grandi aziende prendonoin considerazione le questioni ambientali.Per denunciare Mattel, che per il packagingdei suoi giocattoli utilizzava carta acquistatada uno dei peggiori deforestatori, abbiamo“attaccato” la bambola più famosa delmondo: Barbie. Nel nostro video vira-le Ken, suo compagno storico, scoprel’identità nascosta della sua “fidanza-ta serial killer” e decide di mollarla.

Dopo 5 mesi e centinaia di migliaia dimail inviate dai nostri cyberattivisti, Mattelha annunciato di interrompere i propri rap-porti commerciali con aziende che distrug-gono la foresta indonesiana».

Forse si potrebbe obiettare che le associa-zioni piccole non hanno risorse, che serve professionalità, ma a volte quello che fa la dif-ferenza sono le idee. Internet è il luogo dellacomunicazione aperta e della viralità per eccel-lenza. Siamo sicuri di utilizzarlo al meglio? ■

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Il video contro Volkswagen, nella versione inglese,è stato tra i più condivisi al mondo, con quasi 2 milioni di visualizzazioni

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Per gli italiani Internet è il mezzodi informazione più credibile. È ildato registrato dal nono Rap-

porto Censis e Ucsi sulla comunicazione: inun range da 1 a 10 la rete supera la suffi-cienza in termini di credibilità delle infor-mazioni, come non avviene per cartastampata (5,95) e televisione (5,74). Inter-net, quindi, è percepito come «un mezzopiù libero e “disinteressato”».

Secondo il rapporto, gli utenti di Inter-net, nel 2011, aggirano la boa del 50% degliitaliani. L’87,4% sono giovani dai 14 ai 29anni, il 15,1% sono anziani tra i 65 e gli 80anni. Il 72,2% dell’utenza è composta daisoggetti più istruiti, mentre i meno scola-rizzati sono il 37,7%.

Sebbene nel 2011 la televisione resti ilmezzo più diffuso e la radio mantenga unaposizione stabile con un’utenza di otto ita-liani su dieci, Internet registra una crescitadel 6,1% rispetto al 2009.

Quasi il 70% degli italiani - il 91,8% deipiù giovani e il 31,8% degli ultrasessanta-cinquenni - conosce almeno un social networktra quelli più noti. Parliamo di oltre 33 mi-lioni di persone. Quanto a popolarità Face-book è il più conosciuto, con un 65,3%,accanto a YouTube (53%). Seguono Mes-senger, con un 41%, Skype, con il 37,4% e

Twitter, al 21,3%. Facebook è utilizzato dal49% degli italiani che accedono a Internet,insieme a YouTube. In soldoni, tra tutti co-loro che conoscono i social network, il 93% liutilizzano.

di CChhiiaarraa CCaassttrrii

LLaa ccaarrttaa ssttaammppaattaa ccoonnttiinnuuaa aadd eesssseerree iinn ccrriissii ee ii ggiioorrnnaalliissttii ssoonnoo ccoonnssiiddeerraattii ppooccoo iinnddiippeennddeennttii.. PPeerr iill nnoossttrroo PPaaeessee èè mmeegglliioo ffiiddaarrssii ddii IInntteerrnneett.. SSaarràà vveerroo??

IINNFFOORRMMAAZZIIOONNEE:: VVIIRRTTUUAALLEE ÈÈ CCRREEDDIIBBIILLEE??

Per l’83,3% del campione del Rapporto Censis/Ucsi,nel web circola troppa “spazzatura” Foto di Daniel Iversen (Flickr)

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In questo panorama, il Rapporto con-ferma la crisi della carta stampata. Rispettoal 2009, i quotidiani a pagamento perdono il7% di lettori, la free press cresce di meno del2%, mentre i periodici sembrano resistere:più di una donna su tre, ma meno di unuomo su cinque, legge i settimanali.

Tra le fonti di informazione indicate dalpubblico emergono i motori di ricerca comeGoogle, che registra una percentuale del41,4% - molto vicina al 47,7% di preferenzeper i giornali acquistati in edicola - i siti webdi informazione (29,5%), Facebook(26,8%), i quotidiani online (21,8%).

Senza dubbio la rete permette un mag-gior accesso alle informazioni, ma i datipongono alcune riflessioni. Qual è l’obiet-tivo su internet? Dare una notizia in modocorretto o darla prima degli altri? L’utente sichiede cosa sta leggendo, se una notizia è ri-portata in modo corretto, se chi l’ha pubbli-cata ha fatto prima le verifiche del caso?

Per il Rapporto gli italiani provano sfidu-cia nei confronti dei grandi media: l’80,9%considera i giornalisti “molto” o “abba-stanza” informati, il 76,8% competenti e il71,7% chiari nell’esposizione dei fatti, maper il 67,2% del campione sono poco indi-pendenti e per il 67,8% “molto” o “abba-stanza” spregiudicati.

Allora ben venga l’accesso, sulla Rete, adun’informazione alternativa e plurale checonsente di accedere a più punti di vista, aletture diverse di un evento o di un feno-meno. Ma questo è vero finchè esistono cri-teri per valutare la credibilità di ciò che silegge e la consapevolezza che questa valu-tazione è necessaria.

Lo affermano i risultati dello stesso rap-porto: per l’83,3% del campione Internet hail merito di permettere a chiunque di espri-mersi liberamente, ma la stessa percentualelamenta il fatto che «nel web circola troppa“spazzatura”, riferendosi a blog e video fattiin casa. Quello che viene riconosciuto comeil merito principale della rete si trasformanel suo più grande limite: permettere a tuttidi esprimersi liberamente fa sì che sulla retecircoli anche materiale di dubbia qualità».Allora libera espressione sì, ma concetticome professionalità, autorevolezza dellefonti e qualità dei contenuti non si possonoaccantonare. ■

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Per l’83,3% del campione del Rapporto Censis/Ucsi,nel web circola troppa “spazzatura” Foto di Daniel Iversen (Flickr)

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Lesempio più recente riguardaVKontakte, il social network similea Facebook diffuso in Russia. È

diventato uno degli strumenti di comunica-zione e coordinamento dell’opposizione aPutin, ma negli ultimi mesi è stato bersagliopreferito degli hacker, i cui danni hanno sco-raggiato gli inserzionisti. Intanto i gestorisono sottoposti a continue richieste, daparte delle forze dell’ordine, difornire i dati per identificare leidentità segrete degli iscritti. Eil fondatore (Pavel Durov, 27anni) si è stancato delle “stranevisite” che avvengono conti-nuamente nei suoi uffici di S.Pietroburgo. Tanto che neiprimi giorni di Gennaio ha annunciato cheil social network il 15 marzo chiuderà, e ha in-vitato i partecipanti a scaricare i materialipubblicati, per metterli in salvo.

Sono proprio i numerosi tentativi dei go-verni liberticidi di censurare o di riportaresotto il controllo governativo i social network,che confermano quanto essi, come Internetin generale, siano luoghi di libertà, come talida difendere. Ma bisogna ammettere che iproblemi non mancano. E non sono legati

solo ai regimi politici.Come ha scritto Hans Magnus Enzen-

sberger, «i pionieri del web avevano inmente, nel loro idealismo elettronico, unmedium libero dal potere e senza costi», ma«il capitale, nella sua divina indifferenza, videben presto le possibilità di utilizzazione chela rete informatica gli offriva. Da una partesi trattava del controllo economico della cir-

colazione dei dati, dall’altradella commercializzazione deicontenuti. Da allora l’inquina-mento della rete è aumentatocostantemente grazie alla pub-blicità». Di conseguenza, «sumigliaia di homepage trionfanoindividualismo eccessivo e dis-

sidenza. Non c’è nicchia, microambiente,minoranza che non trovi rifugio nella rete…Al tempo stesso Internet è un eldorado percriminali, intriganti, impostori, terroristi,maniaci sessuali, neonazi e folli…» (“La Re-pubblica” 13 marzo 2002).

Un megafono della cultura mercantileInsomma, un problema è culturale: anche

la Rete rischia, né più né meno della televi-sione o degli altri grandi media, di essere un

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In Internet hannotrovato casa anchepersone e ideeche sconfinanonel reato

di PPaaoollaa SSpprriinngghheettttii

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megafono della cultura consumistica e mer-cantile, con l’aggravante che facilmente siappropria di dati privati degli utenti e li riu-tilizza. L’altro è un problema di legalità, dalmomento che in essa hanno “trovato casa”anche persone, idee e possibilità di azioneche sconfinano nel reato. Basti pensare allecentinaia di pagine Facebook o di blog di ta-glio razzista, intollerante, o grondanti vio-lenza, sportiva e non. Tra i casi più recentic’è quello di Renato Pallavidini, il professoreche dalle pagine di Facebook diffondeva lesue teorie negazioniste e il suo credo neo-nazista, dispensando “consigli di lotta” e mi-nacciando di fare una strage, pistola allamano, nella Sinagoga di Torino. O c’è quellodi Gianluca Iannone, che su Facebook haespresso la propria soddisfazione per lamorte improvvisa del procuratore Pietro Sa-viotti, che aveva condotto indagini sul ter-rorismo, all’interno della quali si era

occupato anche di alcuni militanti di Casa-Pound, di cui Iannone era il leader.

A parte questo, è innegabile che oggi inInternet è possibile truffare la gente, giocared’azzardo, comperare medicine e droghe,imparare a costruire una bomba, e così via.Per questi e altri problemi, come quello dellapirateria, che sta mettendo in crisi molti set-tori dell’industria culturale, anche nei Paesipiù liberal ci si è posti e ci si pone il problemadella regolamentazione di Internet, ma ogniproposta risulta poi avere una componentedi limitazione della libertà della Rete.

Dall’altra parte, si avverte necessità di po-tenziare lo sviluppo del Rete e il suo uso perfacilitare il rapporto tra cittadini e istituzioni,la trasparenza dei soggetti pubblici, privati edi Terzo settore, lo scambio di informazioni,la partecipazione e così via. Insomma, si av-verte la necessità di una governance, e cioè «losviluppo e l’applicazione da parte dei gov-

Internet è un luogo di libertà, ma ha bisogno di una governanceFoto di Cristina Corti (Flickr)

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erni, del settore privato e della società civile,nei loro rispettivi ruoli, di principi, norme,regole, procedure decisionali e programmicondivisi che determinano l’evoluzione el’uso di Internet” (secondo la definizioneadottata dall’Internet Governance Forum).

Tutelare il diritto d’accessoProbabilmente, i due problemi sono di-

versi ma complementari: da una parte quellodi definire meglio che cosa è reato in Inter-net; dall’altra quello di riconoscere e tutelarela libertà della rete stessa e, con essa, il di-ritto di accesso ai cittadini.

Su questo fronte è interessante la propo-sta di Stefano Rodotà, che vorrebbe unemendamento costituzionale da aggiungereal primo comma dell’attuale articolo 21. Iltesto, nella sua proposta, dovrebbe esserequesto: «Tutti hanno diritto di accedere allarete Internet in condizioni di parità, con

modalità tecnologicamente adeguate e cherimuovano ogni ostacolo di ordine econo-mico sociale».

Secondo il giurista, l’accesso ad Internetva riconosciuto come un diritto fondamen-tale della persona. Un emendamento di que-sto genere «rafforza il principio di neutralitàdella rete, violando il quale verrebbe anchenegata l’eguaglianza delle persone». Inoltre ilprincipio costituzionale della rimozionedegli ostacoli economici all’eguaglianza èfondamentale, dal momento in cui l’accessoa Internet può essere considerato una «pre-condizione della cittadinanza, dunque dellastessa democrazia». Infine, «si presentacome una indicazione per impedire, adesempio, che la banda larga venga messa adisposizione degli utenti con modalità selet-tive, introducendo un ben più drammaticodigital divide» (“Repubblica”, 7 novembre2011). ■

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Secondo Stefano Rodotà l’accesso a Internet dovrebbe essere un diritto fondamentale della persona. Foto di Piermario (Flickr)

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