Coltelluccio Adalberto - La Controriforma Della Dialettica Hegeliana

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22/05/13 Adalberto Coltelluccio, La controriforma della dialettica hegeliana. In risposta a La riforma della dialettica hegeliana di Giovanni Gentile (Dialegesthai) mondodomani.org/dialegesthai/acol01.htm 1/6 Cerca Stampa | Salva | Invia | Translate Adalberto Coltelluccio La controriforma della dialettica hegeliana. In risposta a La riforma della dialettica hegeliana di Giovanni Gentile 1. La trascendenza della categoria logica in Hegel 2. Inoggettivabilità dell'Atto puro del pensiero in Gentile 3. Molteplicità delle categorie e Wirklichkeit dello Spirito 4. Fonti bibliografiche Questo breve saggio intende esaminare alcuni aspetti della nota critica gentiliana alla dialettica hegeliana, e del suo progetto di riforma della stessa. Tenta, inoltre, di ripensare criticamente i concetti hegeliani presi di mira da Gentile cercando di discuterne la validità e fecondità, che sembrerebbero ancora resistere malgrado la messa in questione del filosofo siciliano. Questo è anche il motivo per cui, con un po'di ironia, ci permettiamo di dare questo titolo al nostro lavoro. Il testo di Gentile a cui faremo riferimento è, infatti, La riforma della dialettica hegeliana. 1. La trascendenza della categoria logica in Hegel L'idea essenziale che anima la dialettica hegeliana è, secondo Giovanni Gentile, la categoria logica intesa come concetto puro, ossia come concetto la cui verità è data non dalla sua oggettività, ma dall'essere qualcosa di posto dall'atto soggettivo. Questa concezione della categoria logica, ricorda Gentile, era già stata elaborata, come è noto, da Kant. Il filosofo attualista, a sua volta, contrappone una tale categoria come atto soggettivo all'Idea platonica, che per sua natura è trascendente, e all'universale aristotelico, per il suo carattere formale. Ora, il bersaglio critico di Gentile è l'aspetto ancora trascendente che la categoria logica riveste in Hegel. Nel filosofo tedesco, nonostante l'affermazione della «apriorità della sintesi o originarietà ed assolutezza della relazione», [ 1 ] che costituisce la categoria come atto soggettivo, questa resta qualcosa di oggettivo e di non immanente all'atto stesso del pensiero. Tale categoria è, a giudizio di Gentile, un concetto ancora trascendente il soggetto, qualcosa che sta al di là dell'Io considerato come Actus puro. Di conseguenza, nel pensiero hegeliano, Gentile crede di poter riscontrare una riduzione oggettivante della categoria, tale da privarla del dinamismo proprio soltanto del soggetto pensante. Gentile arriva a considerarla addirittura un «morto essere». [ 2 ] Ciò che imbriglierebbe il dinamismo dialettico sarebbe lo spirito di «sistema», così dominante in Hegel; sistema che non sarebbe altro che quella stessa relazione categoriale pensata a sé, fuori, cioè, della sua relazione immanente al soggetto pensante, e quindi resa

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Adalberto Coltelluccio

La controriforma della dialettica hegeliana. Inrisposta a La riforma della dialettica hegeliana diGiovanni Gentile

1. La trascendenza della categoria logica in Hegel2. Inoggettivabilità dell'Atto puro del pensiero in Gentile3. Molteplicità delle categorie e Wirklichkeit dello Spirito4. Fonti bibliografiche

Questo breve saggio intende esaminare alcuni aspetti della nota critica gentiliana alladialettica hegeliana, e del suo progetto di riforma della stessa. Tenta, inoltre, di ripensarecriticamente i concetti hegeliani presi di mira da Gentile cercando di discuterne la validità efecondità, che sembrerebbero ancora resistere malgrado la messa in questione del filosofosiciliano. Questo è anche il motivo per cui, con un po'di ironia, ci permettiamo di darequesto titolo al nostro lavoro. Il testo di Gentile a cui faremo riferimento è, infatti, Lariforma della dialettica hegeliana.

1. La trascendenza della categoria logica in Hegel

L'idea essenziale che anima la dialettica hegeliana è, secondo Giovanni Gentile, la categorialogica intesa come concetto puro, ossia come concetto la cui verità è data non dalla suaoggettività, ma dall'essere qualcosa di posto dall'atto soggettivo. Questa concezione dellacategoria logica, ricorda Gentile, era già stata elaborata, come è noto, da Kant. Il filosofoattualista, a sua volta, contrappone una tale categoria come atto soggettivo all'Ideaplatonica, che per sua natura è trascendente, e all'universale aristotelico, per il suocarattere formale. Ora, il bersaglio critico di Gentile è l'aspetto ancora trascendente che lacategoria logica riveste in Hegel. Nel filosofo tedesco, nonostante l'affermazione della«apriorità della sintesi o originarietà ed assolutezza della relazione»,[1] che costituisce lacategoria come atto soggettivo, questa resta qualcosa di oggettivo e di non immanenteall'atto stesso del pensiero. Tale categoria è, a giudizio di Gentile, un concetto ancoratrascendente il soggetto, qualcosa che sta al di là dell'Io considerato come Actus puro. Diconseguenza, nel pensiero hegeliano, Gentile crede di poter riscontrare una riduzioneoggettivante della categoria, tale da privarla del dinamismo proprio soltanto del soggettopensante. Gentile arriva a considerarla addirittura un «morto essere».[2]

Ciò che imbriglierebbe il dinamismo dialettico sarebbe lo spirito di «sistema», cosìdominante in Hegel; sistema che non sarebbe altro che quella stessa relazione categorialepensata a sé, fuori, cioè, della sua relazione immanente al soggetto pensante, e quindi resa

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rigida e infeconda nella sua oggettività. La categoria diverrebbe, in tal modo, in Hegel unarelazione astratta. Questo farebbe di Hegel un pensatore non più innovatore di Kant e, anzi,lo ridurrebbe a sterile ripetitore dell'idea di sistema già sufficientemente elaborata, agiudizio di Gentile, da Platone e Aristotele.[3]

In questa critica ad Hegel, riassunta brevissimamente, da parte del filosofo italiano, ci paredi poter scorgere una profonda avversione per il «Concetto» inteso come ciò che èpuramente «pensato», ridotto cioè a quella forma cosificata che è, per Gentile, la veritànella sua forma esclusivamente oggettiva, senza connessione immanente col pensiero inquanto «pensante». Questa avversione, paradossalmente, sembra avere una stranaanalogia con una delle figure della coscienza esposte nella Fenomenologia dello spirito diHegel. Infatti, riteniamo che si possa sostenere che essa ripeta in una versione più modernae teorica, ma sostanzialmente immutata, le struggenti lamentele del soggettivismo piodell'«anima bella», così ferocemente attaccata nell'opera del filosofo di Stoccarda.

Quest'avversione per l'oggettività può essere paragonata a quel rifiuto pertinace dellacoscienza pia a pensare se stessa come qualcosa che possa riuscire a porsi fuori di sé, purrimanendo se stessa, ossia che possa oggettivarsi senza perdere la propria uguaglianza consé. È il rifiuto infecondo ad esteriorizzarsi per appropriarsi della sua stessa «sostanzialità»,per usare il linguaggio hegeliano, riflettendo se stessa in ciò che pone e superando così ilproprio esser-altro. Rifiutando di riflettersi nell'alterità, la coscienza non fa che impedirsi, infondo, di trovare se stessa, poiché sapere sé come se stessa o come pensante (ma anchecome agente, nello «spirito pratico»), implica al tempo stesso e necessariamente il sapersicome pensata, come determinata ad agire e come «sostanziale», ossia effettuale, realizzatanelle proprie istituzioni ecc.

È pur vero che con quest'atto di «alienazione» la coscienza compie insieme una riflessionesulla sua stessa riflessione, grazie alla quale essa trova e pensa nel pensato nient'altro che ilpensante stesso, l'Io. L'atto con cui l'Io pensa se stesso come pensato coincide, in lui, conl'atto pensante stesso: ciò che è pensato, insomma, è chi pensa stesso. Senonché, senzaquell'atto di auto-alienazione l'Io non può nemmeno cogliere e «vedere» se stesso in quantosoggetto e in quanto atto. L'Io attua se stesso, in un unico atto assoluto, ma nell'attuarsi nonpuò che farsi al tempo stesso «attuante» e «attuato»: non potrebbe, infatti, essere attuantenei confronti di stesso se non fosse insieme attuato da se stesso.

2. Inoggettivabilità dell'Atto puro del pensiero in Gentile

Riappropriandosi di se stesso nell'oggetto (il cosiddetto «ritorno in sé dall'esser-altro», daparte dell'autocoscienza), l'Io non perde la sua determinazione d'essere, la sua effettualità,quasi che il pensato venisse «ingoiato», per dir così, dalla coscienza e che l'oggetto postocome se stessa svanisse. Anzi, proprio il trovare sé nell'oggettività, fa sì che l'Io acquisticoncretezza e si realizzi, al tempo stesso razionalizzando il reale. Tale risultato, come si sa,è conseguito dalla coscienza solo perché il reale stesso, inizialmente saputo come estraneo,viene poi riconosciuto come costituito in sé dal concetto stesso. Del resto, come l'essere èuno con il pensare, così il pensare è uno con l'essere: l'Io sa se stesso e si sa come Io propriograzie al suo porre in sé questa determinazione necessaria dell'essere e della differenza.Non la rifiuta, quindi, sebbene attui questo porsi in essere in modo Incondizionato, soltantoda sé, ossia liberamente. Sapersi è, perciò, secondo Hegel realmente farsi-altro, alienarsi esapere se stesso in ciò che è, dopo che ogni opposizione fenomenologica è stata superata.Sapersi è sapersi come essente, e superare l'opposizione tra certezza soggettiva e veritàoggettiva.

Il sapere inteso da Gentile soltanto come Actus puro che non arriva mai ad oggettivarsi, è

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un inafferrabile introiettarsi del soggetto ponente che sprofonda in un auto-annullamentodello stesso atto che pone, perché è un atto senza esito (privo, cioè, di quello che gliScolastici medievali denominavano «atto elicito»), senza la forza di porre effettivamente ilposto, e di riprenderlo in sé dopo averlo posto. Laddove, invece, la verace relazione delsapere è solo quella in cui, per stare alle parole di Hegel, «l'alienazione dell'autocoscienza,proprio lei pone la cosalità, onde l'alienazione ha significato non solo negativo, ma anchepositivo», in quanto l'autocoscienza «sa la nullità dell'oggetto», proprio perché lei stessa visi è posta e così «resta presso di sé nel suo esser altro».[4]

Sulla base di questa ricognizione del testo hegeliano, in cui mettiamo in rilievo aspetti cheinsistono, da un lato, sulla necessità per lo spirito di auto-alienarsi per divenire realmenteessente, e, dall'altro, sul fatto che comunque l'autocoscienza «pone sé come oggetto» o, cheè lo stesso, «l'oggetto come se stessa»,[5] in modo anche da togliere e riprendere in sé talealienazione nell'oggettività, ci sembra di poter affermare che la pretesa contrapposizionedella «dialettica del pensato» alla «dialettica del pensante», di cui parla Gentile, possavalere soltanto per quell'«intelletto astratto» (Verstand) di cui lo stesso Hegel denunciavala fissità e la mancanza di speculatività. La dialettica del pensato, se autenticamentedialettica, e dunque in cui si concepisce il pensato essenzialmente come momento che togliese stesso (essendo negativo in sé), supera la fissità intellettualistica e media se stessa nelladialettica del pensante.[6] Il pensato è, così, essenzialmente momento già nello stessosistema hegeliano, quel momento in cui lo stesso pensante, in quanto posto, viene rinviato ase stesso, in quanto ponente, dalla propria riflessione nell'esser-altro. Quella drasticadicotomia tra l'atto puro dello spirito e il porsi nell'oggetto, come in un'alterità radicalmentetrascendente, che Gentile lesse nella dialettica hegeliana, alla luce delle precedenticonsiderazioni apparirebbe meno sostenibile.

3. Molteplicità delle categorie e Wirklichkeit dello Spirito

Altro aspetto preso di mira dalla critica gentiliana è quello riguardante il concetto di unitàdel molteplice nella logica hegeliana, che, a suo avviso, lascerebbe sussistere comeirriducibili le categorie (di derivazione kantiana), nella loro pluralità irrelata. Gentilericonosce a Hegel il merito di avere coerentemente seguito lo schema kantiano delladeduzione trascendentale delle categorie, e di aver sostenuto che «la realtà è lo stessopensiero, e che il vero, il solo reale concetto è lo stesso concepire»,[7] ossia l'atto pensante insé. Pensiero qui ha la valenza dell'atto intrinseco alla categoria come unità del moltepliceempiricamente dato nell'intuizione. L'Idea assoluta di Hegel non sarebbe nient'altro cheappunto la «categoria produttiva del giudizio sintetico a priori, in cui Kant aveva mostratoche si risolve ogni atto reale di pensiero».[8] E, del resto, «la scienza dell'idea» come«scienza della relazione», intesa però «non come pensato, bensì come pensare»,[9] è questostesso sistema delle categorie kantianamente concepito.

Azzerata, a nostro avviso, la differenza essenziale tra logica trascendentale di Kant e logicadialettico-ontologica di Hegel, Gentile pensa che in quest'ultima, che sarebbe quindisostanzialmente la medesima nei due filosofi tedeschi, verrebbe moltiplicato il numero dellecategorie da trattare. Vero è che «Hegel bensì, nella sua deduzione, se enumera di fatto lecategorie, tende col suo metodo dialettico ad annullarne il numero, mercè quella legge delsuperamento (aufheben)»,[10] e che «tutta la molteplicità delle categorie hegeliane sirisolve, infine, nella concreta categoria (sola concreta categoria) dell'idea assoluta, e quindinell'unità assoluta».[11] Ma nel fatto, nell'effettuale procedimento dialettico, Hegel non puònon produrre una molteplicizzazione di momenti e di categorie che non risponde al «puntodi vista trascendentale, ma solo al punto di vista empirico e storico».[12] Dunque, Hegel inrealtà «tende ad annullare il numero delle categorie»,[13] ma non annullerebbe di fatto il

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concetto della molteplicità delle stesse, che inficierebbe l'auto-attualità immanente eimmoltiplicabile del Conceptus.

Ma, intanto, per esplicita ammissione di Gentile, dobbiamo constatare che il pensante lasciasussistere necessariamente fuori di sé un molteplice empirico che non è immanente allaspiritualità del puro pensare, bensì è un alter non mediato e irriducibile all'unità (perchénell'unità assoluta del pensante è impossibile introdurre qualsiasi molteplicità); alter che èquello del «punto di vista empirico e storico». Vi sarebbe, quindi, nella stessa filosofia delloSpirito gentiliana, qualcosa di eterogeneo alla omogeneità assoluta del pensante, un pensatoche sfuggirebbe alla immoltiplicabilità e inoggettivabilità dell'Atto puro del pensiero: unactum, insomma, che non riesce ad essere actus. Se questa molteplicità empirica ètacitamente ammessa dall'Attualismo (come lo è, del resto, da parte di tutti gli idealismidella storia della filosofia), quest'ammissione è inevitabile, perché è l'esito necessario cui vaincontro ogni Idealismo puro che rifiuti l'auto-realizzazione del pensiero nella realtà giàattuata, seppure questa realtà restituisca sempre qualcosa di non razionalizzabile.

L'effettualità del pensato è, invece, necessaria; e lo è talvolta, malgrado e contro la ragione.Certo, Hegel cerca di riportare alla razionalità tutti gli eventi storici che possono esseregiustificati in base ad una «ragion d'essere» o fondamento (Grund). Tuttavia, è notoargomento della critica antihegeliana (ci riferiamo soprattutto alla critica ottocentesca, peres., di Trendelenburg, ma anche a quella di Schopenhauer, o di Kierkegaard, di Marx, diNietzsche) che la razionalità non riesca a giustificare proprio tutto, e che sia costretta alasciare in preda alla più arbitraria casualità molte delle cosiddette «effettualità» o «realtàin atto» (Wirklichkeit) del processo dialettico del Concetto. Ma ciò non è un argomentosufficiente a scongiurare la necessità che lo spirito si cerchi e tenti di trovarsi anche nelleinfime regioni dell'essere sia naturale che storico-sociale; anzi sembrerebbe una ragione inpiù per sostenerne l'esigenza. Ad ogni modo, comunque, l'effettualità dell'autocoscienza è insé un momento razionale ed essenziale alla vita dell'Idea.

Ciò non significa che il processo dialettico muti irreversibilmente il «pensante» in«pensato», o che lo ponga come qualcosa di sostanzialmente trascendente rispetto alsoggetto come atto puro, oppure come qualcosa di refrattario al «lavoro» del negativo.Significa, però, che la Totalità, nella quale soltanto può cogliersi per Hegel la verità, sicostituisce sempre come un processo di auto-attuazione del Concetto, ove sono compresi altempo stesso sia il pensante sia il pensato, come momenti assolutamente inscindibili chenon possono sussistere nel loro isolamento l'uno rispetto all'altro, pena il ritorno ad unavisione intellettualistica e astratta. A rigore, non sarebbe da accettare come validanemmeno l'accusa gentiliana che nella dialettica hegeliana sia presente una dicotomia trapensante e pensato, in quanto la dialettica del Concetto ha già risolto e superate tutte leopposizioni proprie del sapere fenomenologico.

Quando si considera il pensiero nella sua assolutezza, e in questo senso mostra sempre diparlarne Gentile, il processo dialettico non divide mai in un modo astratto, quale potrebbeessere quello che vede nell'articolarsi dell'unità e nell'auto-distinguersi del Concetto,soltanto un «fissarsi» nella contrapposizione delle categorie del Begriff, o delle figure delGeist. Tale fissarsi intellettualistico considera sempre i distinti come assolutamente unofuori dell'altro e incapaci di auto-invertirsi in loro stessi. Ma effettivamente nella dialetticahegeliana è in opera tale auto-inversione: il pensante è sempre in sé-pensato, e il pensato èsempre in sé-pensante. Il pensiero assoluto si auto-distingue eternamente da se stessoproprio per auto-attuarsi, e dunque resta già sempre in una relazione di auto-eguaglianzacon se stesso, ogni volta che si pone nei distinti. Il che equivale a dire che il pensiero, anchecome Actus, mentre è pensante se stesso è sempre anche pensato da se stesso, in mododa non restare irrimediabilmente separato da se stesso, proprio perché ciò che esso pensa

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coincide inscindibilmente con chi lo pensa. Nonostante gli inevitabili giri di parole, il sensocomplessivo crediamo che rimanga chiaro. Ci piace ricordare, a questo proposito,l'eloquente citazione che Hegel fa, alla fine della sua Enciclopedia, relativa alla nozionearistotelica del «pensiero di pensiero»[14] (nòesis noèseos): «Epperò l'Intelletto pensa sestesso, se è vero che esso è il bene supremo, e il suo pensiero è pensiero-di-pensiero».

L'inscindibile atto auto-riflessivo dell'Idea assoluta corrisponde proprio al pensiero-di-pensiero, in cui è superata ogni possibile separazione ed esclusione dell'oggettività che, nellasua verità, non è altro che il Concetto pensante stesso in quanto si è attuato (Wirklichkeit).Il nocciolo speculativo proprio della dialettica hegeliana ci sembra, a questo punto, piùvicino alla dialettica dell'Atto puro di quanto, forse, non pensasse lo stesso Gentile.

4. Fonti bibliografiche

G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, in Opere filosofiche, a cura di E.Garin, Garzanti, Milano 1991.G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, in Opere filosofiche, cit. .G. Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, 2 voll., Sansoni, Firenze1940-42.G. W. F. Hegel, La scienza della logica, vol. I e II, trad. it Arturo Moni, rev. ClaudioCesa, Editori Laterza, Roma-Bari 1981.G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, trad. it.Benedetto Croce, Universale Laterza, Roma-Bari 1980.G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, testo originale a fronte, trad. it.Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano 2000.Bernini S., La nozione hegeliana di contraddizione da correlazione. Un'analisi logica,«Epistemologia», 1-2, 1982.Donà M., Sull'Assoluto. Per una reinterpretazione dell'idealismo hegeliano, Einaudi,Torino 1992.Donà M., Sulla negazione, Bompiani, Milano 2004.Gadamer H. G., Hegels Dialektik, Mohr, Tubingen, 1971, trad. it. La dialettica diHegel, Casa Editrice Marietti, Genova 1996.Hosle V., Hegel e la fondazione dell'idealismo oggettivo, Guerini, Milano 1991.Hyppolite J., Genèse et structure de la «Phénoménologie de l'esprit» de Hegel,Aubier, Paris 1946, trad. it. Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito»,La Nuova Italia editrice, Firenze 1972.Kojève A., La dialettica e l'idea della morte in Hegel, Einaudi, Torino 1982.Lo Schiavo A., Introduzione a Gentile, Laterza, Roma-Bari 2005.Merker N., Le origini della logica hegeliana (Hegel a Jena), Feltrinelli, Milano 1961.Negri A., L'inquietudine del divenire: Giovanni Gentile, Le Lettere, Firenze 1992.Sasso G., La potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, La Nuova Italia, Firenze1998.Varnier G., Ragione Negatività Autocoscienza, Guida Editori, Napoli 1990.Verra V., Letture hegeliane (Idea, Natura e Storia), Società Editrice Il Mulino,Bologna 1992.

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linea], anno 12 (2010) [inserito il 12 agosto 2010], disponibile su World Wide Web:<http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [25 KB], ISSN 1128-5478.

Note

1. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Sansoni, Firenze, 1913, p. 3.

2. Ibid.

3. «Perché già nella dialettica quale la concepisce Platone le idee sono concepite comecostituenti essenzialmente un sistema [...]. E tutta la logica formale, svoltasi dall'Analiticaaristotelica, [...] non poteva muoversi e in realtà non si è mossa mai fuori di questoconcetto» (ivi, pp. 3-4), che è quello «dell'assoluta oggettività della verità» (ibid.).

4. G. W. F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, traduz. it. E. De Negri, La Nuova Italiaeditrice, Firenze, 1979, vol. II, p. 287.

5. Ivi, p. 288.

6. Non ci sembra avere altra funzione che questa di mediare la contrapposizione tra pensatoe pensante, la celebre articolazione nei tre momenti del processo logico-ontologico,descritti da Hegel come: «a) l'astratto o intellettuale; b) il dialettico, o negativo-razionale;c) lo speculativo o positivo-razionale» (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche,traduz. it. B. Croce, Roma-Bari, 1980, vol.I, p. 95). Proprio l'ultimo momento ci paredecisivo per l'atto dello spirito che riprende in sé ogni opposizione, togliendo ogni alterità eogni estraneità rispetto al Concetto assoluto, attraverso il secondo momentodialettico-negativo.

7. Gentile, op. cit., p. 8.

8. Ibid.

9. Ibid.

10. Ivi, p. 9.

11. Ibid.

12. Ivi, p. 10.

13. Ivi, p. 9.

14. Aristotele, Metafisica, 1074 b 35-37.

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