Collana: I 99 Luoghi Segreti

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I volumi, unici nel loro genere, non sono la classica guida turistica, ma una selezione di 99 luoghi (palazzi, siti archeologici e monumenti di proprietà comunale, statale o privati) entrati nel mito per la loro inaccessibilità, che al grande pubblico di appassionati e curiosi sembrano impossibili. Invece è sufficiente conoscere la strada giusta per chiedere il permesso alla visita. Spesso bisogna seguire un percorso tortuoso, fatto di telefonate ed email a diverse persone, ma il risultato è assicurato: anche i tesori più segreti potranno essere svelati. l libri associano le informazioni storico-artistiche, presentate in uno stile accattivante, ai suggerimenti pratici fondamentali per avere le chiavi di accesso ai 99 luoghi segreti. La collana include i volumi su: ROMA (anche in lingua inglese), FIRENZE, ITALIA, TORINO (in uscita a maggio 2013).

Transcript of Collana: I 99 Luoghi Segreti

Costantino D’Orazio

Le chiavi per aprire

99 LUOGHI SEGRETIDI ROMA

illustrazioni diDanièle Ohnheiser

postfazione diChiara Buoncristiani

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PALOMBI EDITORI

le chiavi per aprire99 luoghi segreti

di Roma

PALAZZICASINIVILLE

Per la visitaPiazza SS. Apostoli, 66

Questo è l’indirizzo dal

quale si entra per visitare

l’appartamento della

Principessa Isabelle,

aperto soltanto per visite

private su prenotazione.

Basta telefonare al

n. 06 6784350, inviare

un’email all’indirizzo

[email protected]

o collegarsi al sito

www.galleriacolonna.it

dove sono presenti tutte

le informazioni. Servizio

guida disponibile a

pagamento. Il Sabato

mattina è aperta al

pubblico la Galleria

Colonna, con ingresso da

via della Pilotta, 17.

In uno dei palazzi patrizi più maestosi delmondo, dove si apre una galleria che non hanulla da invidiare ai grandiosi saloni diVersailles,i Principi Colonna conservano l’appartamentodella Principessa Isabelle esattamente com’eraquando lei era ancora in vita. Qui è possibileritrovare la stessa atmosfera raccolta, la stessa curanei dettagli e l’attenzione a non spostare le fotodi famiglia, accanto alla celebre collezione cheraccoglie ben trentasette vedute di Vanvitelli. Enon è l’unico primato di questi ambienti, che sitrovano nel piano terreno del palazzo sorto sullefondamenta dell’antico Tempio di Serapide.Una delle poche tracce del santuario romano èun coccodrillo in porfido, che accoglie ilvisitatore all’inizio di quella sequenza di salonidove si sono alternati celebri artisti come ilPinturicchio, il Pomarancio e il CavalierTempesta. Il pavimento dell’appartamento èsolo in parte quello antico “alla veneziana”,visibile nella Sala della Fontana; in tutti gli altrisaloni, infatti, la Principessa ha sostituito ilrivestimento tradizionale con il lucente marmoorientale, ispirata forse dalle sue origini libanesi.Giovane figlia di banchieri maroniti, Isabellesi innamorò del Principe Marcantonio, chela portò in Italia, dove seppe inserirsi consuccesso nella società romana, all’epoca alleprese con l’ascesa di Mussolini. «Gran damadi corte, intelligente, colta, conservatrice nelsenso più puro e coerente, dopo la caduta

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Palazzo Colonnadove la Principessa Isabelle ricevevala Regina Elisabetta1

della monarchia si era trovata a sostituire Maria Josè come ‘reginasupplente’, offrendo ricevimenti regali, cui erano ammesseunicamente teste coronate e fra i borghesi soltanto finanzieri ebanchieri, purché, ovviamente, non fossero divorziati» (così laricorda Laura Laurenzi sul quotidiano la Repubblica del 18novembre 1984, in occasione del suo funerale).Negli ultimi anni di vita il suo appartamento si era trasformato inuno scrigno di tesori, che amava mostrare soltanto agli amici piùintimi. Al muro è ancora visibile il baldacchino con il simbolo difamiglia, al centro delle stanze si trovano le consolle in legno doratodove Turchi incatenati ricordano la celebre battaglia di Lepanto del1571, con cui Marcantonio Colonna fermò la minaccia dell’invasionemusulmana. Uno dei pezzi più rari è l’orologio notturno dipinto,custodito tra due bauli all’antica nella Sala della Fontana: all’internoun meccanismo silenzioso muove i numeri retro-illuminati da unacandela. Poco più in là, uno strano divanetto doppio, che gli espertichiamano “confidenza”, ricorda i numerosi incontri che devonoessersi consumati tra queste mura per oltre seicento anni.In questi salotti aleggia ancora la presenza di altre due celebri donnedi famiglia: Maria Mancini, di cui è conservato il ritratto ad operadi Simon Vouet, pittore alla corte di Luigi XIV di Francia, e OlimpiaPamphilj, evocata dalle colombe col ramo d’ulivo dipinte sui soffittidei primi saloni dell’appartamento. La prima, nipote del potenteCardinale Mazzarino, raccontò nei suoi diari le disavventure dellasua infelice relazione con Lorenzo Onorio Colonna, da cui erafuggita (I dispiaceri del Cardinale, Sellerio Editore). Per ottenere ilsuo rientro a Roma, lui le chiuse le porte di tutti i salotti d’Europa.Triste epilogo di una relazione iniziata sotto i migliori auspici, comedimostra il soffitto dipinto da Giacinto Gimignani, in cui si assisteall’incontro tra una colonna antica e una coppia di pesci, simboloaraldico dei Mancini. Eppure per un certo periodo Lorenzo Onorioe Maria devono essere stati felici: Maratta e Dughet li hannoaddirittura ritratti nelle vesti di Venere e Paride, come forse spessosi erano mostrati nei famosi balli in costume che amavanoorganizzare. Nella parete accanto al loro doppio ritratto “incostume”, Jan Bruegel il Vecchio ha lasciato nove piccoli paesaggifantastici, dipinti su rame per far risaltare il calore dei rossi e il nitorecristallino degli azzurri. Solo un altro dei tanti tesori nascosti inquesta dimora, che rivela come spesso si possa conviveretranquillamente a contatto con assoluti capolavori.

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Per la visitaVia Lombardia, 46

Il Casino è proprietà

del Principe Niccolò

Boncompagni

Ludovisi, che accoglie i

visitatori solitamente

di venerdì o sabato

mattina.

Per concordare la visita

è sufficiente chiamare

il n. 06 483942.

I singoli possono

aggregarsi ad un

gruppo esistente,

i gruppi possono

prenotare una visita.

Guida propria.

Ingresso a pagamento.

Chissà con quale stato d’animo il CardinalFrancesco Maria Del Monte elaborava i suoiesperimenti alchemici nel camerino che si eraallestito nella sua villa di Porta Pinciana, vi-cino a Villa Medici.Una certa soggezione doveva procurarglieladi sicuro quell’affresco che nel 1597 avevacommissionato a Caravaggio, il quale avevaelaborato il diabolico progetto di autoritrarsiben tre volte nelle sembianze degli dei su-premi del cosmo: Plutone, dio del mondosotterraneo, Nettuno, dio delle acque, Giove,dio di tutto ciò che sta sopra la terra. L’arti-sta, alle prese con l’unico dipinto murale cheabbia mai realizzato (non a fresco, ma adolio!), «sentendosi biasimare di non intenderené piani, né prospettiva, tanto si ajutò collo-cando i corpi in veduta da sotto in su, chevolle contrastare gli scorti più difficili» (Bel-lori, 1672). Egli affronta l’incarico come unanuova sfida, nella quale deve dimostrare disaper padroneggiare lo scorcio più ardito, pa-rente stretto dei giganti dipinti da Giulio Ro-mano a Palazzo Te di Mantova. Tanto sonoridotte le dimensioni di questo camerino, an-cora oggi punto di passaggio tra due stanze,che l’effetto vertigini è assicurato.Nettuno è rappresentato mentre abbraccia uncavallo marino dalle zampe palmate, Giovecavalca un’aquila e Plutone, il più vigoroso, stain piedi sulle nuvole, protetto da un cerbero

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Casino Ludovisidove Caravaggio si è messo a nudo2

non particolarmente rabbioso. Proprio perché mansueto, qualcunoha voluto riconoscere nel cane il ritratto di Cornacchia, il barbonenero a cui Caravaggio aveva insegnato celebri evoluzioni acrobatiche(Vodret). Nel ritratto del dio dell’aldilà il pittore “maledetto” si èimpegnato in modo particolare: di lui si vedono soprattutto i genitaliche deve aver dipinto imitando i propri, grazie all’aiuto di unospecchio collocato sul ponteggio. Ancora una volta, una prova dellostraordinario realismo del Merisi. Provare per credere…Tra ironia e irriverenza, il pittore avrebbe dato il suo volto alle tredivinità, metafore dei tre elementi (terra, acqua e fuoco), che ilCardinale trasformava nel suo laboratorio, grazie alle pozioni

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contenute negli alambicchi sistemati nelle nicchie ancora visibili allepareti. Nel 1597, il barbiere Pietropaulo rilascia agli sbirri un ritrattodi Caravaggio inconfondibile: «Questo pittore è un giovenacciogrande di vinti o vinticinque anni con poco di barba negra grassottocon ciglia grosse et occhio negro, che va vestito di negro non tropobene in ordine, che portava un paio di calzette negre un pocostracciate che porta li capelli grandi longhi dinnanzi». Un identikitche non lascia dubbi.Capace di collegare in modo inimitabile le immagini più scurrili equelle più raffinate, il Merisi ha collocato tra le tre divinità unasplendida sfera celeste dentro la quale si vedono quattro segni

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zodiacali e due globi luminosi. Un omaggio a Galileo Galilei concui il Cardinal del Monte era in contatto e, allo stesso tempo, undispetto al potere del Papa, che non vedeva di buon occhio lericerche dell’astronomo.La recente scoperta di quest’opera ha oscurato la fama di un altrodipinto straordinario, conservato nel salone principale del Casino. Sitratta dell’affresco dell’Aurora, che il Guercino dipinse nel 1621appena giunto a Roma per il cardinal Ludovico Ludovisi, che nelfrattempo era venuto in possesso della villa. Assieme alla Fama, chesi trova nella stanza accanto al gabinetto alchemico, l’Aurora è unodei capolavori del pittore emiliano, che di sicuro dovette subire ilfascino dello scorcio inventato pochi anni prima da Caravaggio nellasaletta al piano superiore. Una vertiginosa architettura, dipintadall’esperto Agostino Tassi, serve a proiettare lo sguardo in unospazio che sembra molto più alto della realtà, dove passa il carro chescaccia la notte. Come la luce inonda la Terra e segna l’inizio delgiorno, così il pontificato di Gregorio XV avrebbe portato nuovaprosperità ai Ludovisi. Un augurio che torna nell’affresco della Famaal piano superiore, dove la Gloria è accompagnata dall’Onore, dallaVirtù e dall’Amor Virtutis.

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Marcella Cangioli - Emily Grassi

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99 LUOGHI SEGRETIDI ROMA

illustrazioni diDanièle Ohnheiser

prefazione diCostantino D’Orazio

postfazione diChiara Buoncristiani

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di Firenzee della Toscana

PALAZZIe GIARDINI

Per la visitaVia San Gallo 10

Il palazzo è sede del

Dipartimento di Studi

Storici e Geografici

dell’Università di

Firenze. Le sale ospitano

la biblioteca e alcuni

uffici, pertanto la visita

è consentita nei giorni

infrasettimanali in orari

prestabiliti e a seconda

della disponibilità. Per

maggiori informazioni

contattare la biblioteca

al n. 0552757943.

Quando nell’Ottocento i viaggiatori giunge-vano a Firenze, rimanevano colpiti dal coloreaustero e dallo stile rigoroso dei suoi palazzi.Tuttavia ci sono dimore le cui facciate pro-pongono soluzioni dinamiche ed estroverseche esulano dalla severa linea tipicamentefiorentina. È il caso dell’imponente palazzoMarucelli-Fenzi, le cui origini si collocanonei primi decenni del XVII secolo (periododi fioritura dello stile Barocco), ma che subìnotevoli cambiamenti ad opera dei diversiproprietari che lo hanno abitato. La famigliache ne avviò la costruzione, i Castelli, decisedi adottare con disinvoltura il suddetto stile.La commissione venne affidata ad un nonmenzionato architetto che li lasciò insoddi-sfatti.Fu così che affidarono al ben più noto Ghe-rardo Silvani il compito di conferire unità sti-listica all’intero complesso architettonico giàintrapreso. Tra il 1628-1630 questi risolseegregiamente la commissione, articolando lafacciata su due piani e un mezzanino, edequilibrando la verticalità delle sette finestrecon la linearità del cornicione fortemente ag-gettante sulle quali queste poggiano.Un’armonia ben riuscita, cui vennero acco-state in seguito soluzioni inusuali ed estrose.Chi non ha fretta di entrare infatti noti il de-licato ma insistito dettaglio naturalistico delle

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PalazzoMarucelli-Fenzidove l’esempio dei classici diventaspunto per gli artisti a venire

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tartarughe che sostengono le inferriate delle finestre al piano terra.Allo stesso modo osservi l’eccentrica soluzione adottata per inqua-drare il portone di ingresso: entro lesene rivestite da una sorta didrappeggio marmoreo, si animano due figure di satiri inquietantiintenti a liberarsi dalle spire cartilaginee delle proprie orecchie. E seancora non si è stanchi di rimaner per strada, desti curiosità la targain ghisa dove il profilo di una locomotiva si staglia tra la cupola delduomo fiorentino e la lanterna livornese. Altro non è che la prota-gonista indiscussa della nuova via ferrata di collegamento tra Firenzee Livorno, detta la Leopolda, della cui costruzione si resero princi-pali promotori e finanziatori i Fenzi, gli ultimi proprietari del pa-lazzo da loro acquistato nel 1829.Al di là della targa, essi apportarono modifiche sostanziali, creando am-bienti e collegamenti atti a divenire scenari ideali per cerimonie, balli eriunioni dell’élite fiorentina.Un clima di fasto cui aveva già ampiamentecontribuito un secolo prima l’altra importante famiglia che vi abitò.

Si tratta dei Marucelli il cui ri-cordo è ancora oggi legato alnome stesso del palazzo.Questi furono i protagonistidella fase settecentesca dellaricca dimora nonché commit-tenti dell’interessante ciclo di af-freschi che ancora oggi si puòammirare in alcune sale al suo in-terno.Sale diverse e non sempre contigue

tra loro, ma legate da un unico filoconduttore: l’eterna lotta tra virtù e vizio,la disfatta del vizio e il conseguente trionfodelle Virtù.Chi lo esegue, tra 1704 e 1708, è il pittorebellunese Sebastiano Ricci, dalla forma-zione cosmopolita e dotato di un animoversatile e brioso.Tra cromie brillanti e tenebrose, egli spe-rimenta scorci arditi per le sue figure cheleggere si librano in volo o altrettanto ro-vinosamente cadono dall’alto, il tutto inuno scenario di grande effetto reso ancor piùdinamico dagli stucchi che divengono parte

integrante delle storieavvincenti.Così nella sala che a sudsi affaccia sul cortile, si assi-ste alla disarmonica caduta diMarte con il seguito degli atterriti eimpotenti satiri in stucco, sotto l’ince-dere elegante delle allegorie di Pace e Ab-bondanza.Mentre in quella contigua siamo partecipidella scelta decisiva di Giovinezza. Lafanciulla dal seno nudo è ad un bivio:seguire l’intrigante e mellifluo satironel sentiero allettante ma ingannevoledi ozi e piaceri, o affrontare senza re-more l’ascesa ad una vita virtuosa verso leallegorie di Sapienza, Studio e Fama? A voiil piacere di indovinare il seguito!Passando di sala in sala, poi scopriamo che allacaduta del bellicoso dio ne seguono altre due:la prima tanto spietata quanto inaspettata èquella che Amore virtuoso infligge ad Amorecarnale, sotto gli occhi lacrimosi di Venere. Laseconda, nella sala attigua, è quella imposta aIgnoranza per opera della radiosa Sapienza edelle Arti.Ma la sala che meravigliosamente conclude il ciclo di esaltazione divalore e onore che ogni uomo nella sua vita dovrebbe perseguire, èl’aula dell’attuale biblioteca.Qui in uno spazio interamente invaso da turbinii di colori, inven-zioni prospettiche ed effetti trompe-l’oeil si celebrano la vita e l’apo-teosi di colui che sopra tutti mostrò come lotte, dissidi e fatichepossono condurre a trionfi immortali.Sulle pareti le sue avventure, sulla volta l’Olimpo al completo che loaccoglie festoso.E noi non possiamo che contemplare questo mondo così affasci-nante che dall’alto ci osserva, e chissà se ispirati da cotanta bellezzanon riusciremo anche noi come Ercole…!

Irene Martinelli

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TORRIARTIGIANATOE ALTREESPERIENZE

Girando per i musei fiorentini potrebbe capi-tarvi di incontrare un’attempata guida o unvecchio custode che vi dirà che fino a nonmolti anni fa era “permesso” toccare alcuneopere scultoree, aprire gli sportelli degli sti-petti o spostare i quadri sostenuti da pernimobili. Doveva essere veramente un’emo-zione unica, ma per fortuna tutto questo nonè più permesso. Oggi le norme per la conser-vazione e la tutela delle opere sono giusta-mente più rigide, e forse l’unico “effettocollaterale” è che, a volte, mentre li osser-viamo da lontano all’interno di musei sovraf-follati, questi capolavori ci appaiono quasicome delle immagini astratte, appena un po’più grandi di quelle riprodotte sui libri.Quello che si perde spesso è il rapporto ma-teriale con le opere, l’attenzione alla comples-sità della loro lavorazione e della lorostruttura, la freddezza o il calore della loro su-perficie, il capire come da un semplice impa-sto di materia organica possa essere nato unvolto che è diventato un simbolo immortale.Uno dei luoghi privilegiati dove è ancora possi-bile riscoprire queste emozioni e avvicinarsi alleopere al punto di comprenderne i più intimi se-greti è l’Opificio delle Pietre Dure: all’internodei suoi laboratori vengono infatti restauratiquotidianamente alcuni dei più grandi capola-vori della storia dell’arte (al momento della ste-

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Laboratoridell’Opificiodelle Pietre Duredove i capolavori tornano alla loro“umanità”

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Per la visitaVia degli Alfani, 78

I laboratori

dell’Opificio sono

dislocati in più sedi, a

seconda della

specializzazione, le

principali sono in via

degli Alfani (dove ha

sede anche il museo) e

alla Fortezza da Basso.

È possibile visitare i

laboratori solo su

prenotazione, dietro

pagamento di un

contributo per il

mantenimento delle

attività dell’Opificio. È

consigliabile formare

un piccolo gruppo, ma

la visita è consentita

anche a singoli. Per

maggiori informazioni:

telefonare al

centralino al n.

05526511 o inviare

un’email a

opd.promozioneculturale

@beniculturali.it

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sura di questo testo ad esempio vi si trovano l’Adorazione dei Magi diLeonardo e la Porta del Paradiso del Ghiberti), e tutto potrebbe avveniresotto i vostri occhi, mentre gli stessi restauratori vi mostrano dettagliinimmaginabili. La stessa storia di questa istituzione vi lascerà a boccaaperta. L’Opificio è noto oggi come uno dei più importanti centri direstauro a livello mondiale, è una scuola, e anche un museo, che con-serva le testimonianze di quasi cinque secoli di storia, iniziata nel 1588quando Ferdinando I dei Medici lo istituì per dare una forma organiz-zata alle botteghe di “commesso fiorentino” (comunemente definito“mosaico in pietre dure”), già attive nell’ambito granducale, con lo scopodi decorare il pantheon familiare delle Cappelle Medicee. Questa raffi-nata e costosa lavorazione, esportata presso le corti di ogni paese, di-venne uno dei marchi distintivi dell’artigianato artistico locale, finoall’Ottocento, quando le richieste cominciarono a diminuire, anche peril carattere aristocratico della produzione, poco consona al sobrio gustoborghese. L’Opificio cominciò così a specializzarsi nel restauro dei pro-pri manufatti. La paziente manualità, la precisione e il sapiente con-trollo richiesto ai maestri di commesso ben si adeguavano alle paricaratteristiche necessarie per il restauro e così l’attività di conservazionecominciò ad espandersi ai materiali lapidei in generale (dalla fine del-l’Ottocento) e poi a tutti i settori, che spaziano oggi dalle pitture mu-rali ai supporti cartacei e membranacei.A dispetto dell’apparente semplicità, il percorso non è stato sempre cosìovvio. La specializzazione dell’OPD nel restauro si è costituita anche at-traverso episodi drammatici, di cui sicuramente l’alluvione del 1966 rap-presenta il culmine. In seguito al disastroso evento e all’istituzione delMinistero per i Beni Culturali e Ambientali del 1975, i laboratori del-l’Opificio si fusero con quelli della Soprintendenza, fondati daUgo Pro-cacci nel 1932, e con alcune prestigiose botteghe private cittadine,creando tutti insieme un centro di eccellenza per la conservazione, rico-nosciuto a livello internazionale per la precocità e lamodernità delle tec-niche diagnostiche e di intervento. Sotto la guida di Umberto Baldini,direttore dal 1970 al 1983, furono stabilite le basi di un percorso chedura ancora oggi. Le opere salvate dall’Opificio sono troppe per poteressere elencate, a partire dal Crocifisso di Santa Croce di Cimabue, dive-nuto immagine simbolo della furia devastatrice della piena e restituito allacomunità in modo quasi miracoloso: non vi resta dunque che scoprirlecon i vostri occhi e perdervi nellamagia che si nasconde dietro l’apparentesemplicità dei gesti di un artista e di un restauratore che dopo secoli li ri-porta in luce sotto i vostri occhi.

Emily Grassi

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MASSA

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FOSDINOVO (MS)

Castello di Fosdinovodove trovare la camera di Dante96

Inun’atmosfera arcana, arroccato su una roc-cia, si trova l’imponente castello di Fosdi-novo. Siamo in Lunigiana, terraincontaminata e disseminata di castelli, chedominano con le loro mura merlate i crinalidelle montagne. Fortificazioni che testimo-niano la storia tormentata di una valle postaa collegamento tra il versante tirrenico e ilnord d’Italia: fin dalla colonizzazione romanadel fondo valle, con la fondazione della cittàdi Luni (117 a.C.), dalla Lunigiana passavanole vie commerciali verso il nord. Nel Me-dioevo i feudatari della val di Magra erano imarchesi Malaspina, potentissimi signori, chesi distinguevano dalle altre famiglie feudaliper non seguire la legge salica – per cui i feudi

Per la visitaVia Papiriana, 2 –

Fosdinovo (Massa-

Carrara)

Il castello è visitabile con

visite guidate. Per

informazioni e

prenotazioni telefonare

al n. 018768891. Il

costo del biglietto è di 6

euro per gli adulti, 4

euro per i bambini. È

possibile prenotare visite

private telefonando ai

numeri 0187680013 o

3398894423.

passavano solo al primogenito – ma per dividere il patrimonio tratutti i figli maschi, dando così origine a numerosi rami dinastici conrelativi castelli. Fosdinovo ha origini molte antiche, esisteva giàprima del Mille ed era di proprietà dei signori di Fosdinovo: la suaposizione strategica lo rendeva molto ambito e dopo complicate vi-cende, essi lo cedettero nel 1334 a Spinetta Malaspina, del ramodello spino fiorito, grande condottiero che ne fece il centro del suopotere. Per evitare ogni rischio Spinetta fece subito costruire unnuovo castello fortificato rendendolo inespugnabile. La tradizionevuole che nel maniero fu ospite Dante Alighieri, quando venne ametter pace tra i potenti Malaspina ed il vescovo di Luni. Dante si-curamente venne da queste parti, come lui stesso ricorda nel Purga-torio, quando era legato di FranceschinoMalaspina, ma difficilmentepuò aver soggiornato nel castello che non apparteneva ancora all’il-lustre casato. Passato a Galeotto Malaspina, nipote di Spinetta, ilmaniero da medievale divenne corte rinascimentale e rimase pro-prietà alla famiglia per quattro secoli fino al periodo napoleonicoquando furono aboliti gli ultimi feudi e fu annesso al ducato di Mo-dena. Alla metà dell’Ottocento i Malaspina ricomprarono e restau-rarono il castello e ancora oggi appartiene ai loro discendenti, che loconservano con amore e passione. Fosdinovo è un edificio immensoche incute timore ai visitatori, già varcando l’imponente portone siha la sensazione di precipitare nel medioevo e persino le storie piùleggendarie sembrano possibili. Tra i camminamenti di ronda che sisnodano fra le torri e gli spalti fortificati, si ha l’impressione che al-l’improvviso compaiano gli antichi soldati o ancora che dalle severefinestre si affacci una bella castellana. Come ogni castello degno diquesto nome, molte sono le leggende e le storie anche cruente chesi tramandano, famosa è quella di Bianca Maria Malaspina, fanciulladai bellissimi capelli biondi che diventavano rossi alla luce del sole,destinata al convento ma innamorata di uno stalliere che finì muratain una delle stanze del maniero. Altra storia leggendaria è quella diCristina Pallavicini Malaspina, donna malvagia che, rimasta preco-cemente vedova, aveva l’abitudine di gettare i suoi amanti in unabotola posta ai piedi del letto, facendoli precipitare nelle cantinedella torre dove nessuno poteva sentirne le grida. Avvenimenti cosìtrucidi non possono che alimentare fantasie sui fantasmi che si ag-girano per la dimora: si racconta che in una delle camere è impossi-bile dormire perché una presenza fredda e invisibile ne raggela illetto. Il castello era famoso per i suoi numerosi trabocchetti, alcuniesistenti ancora oggi, dove affilati coltelli non davano scampo a chi

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vi cascava e che ben rappresentano le difficoltà della vita a queitempi. Oltrepassato il portone, il nostro giro continua passando perla piazzetta dei cannoni e, salendo le rampe delle scale, arriviamo alvero e proprio maniero, ingentilito dagli interventi rinascimentalicon loggiati e cortili, e abbellito da giardini pensili. Incontriamo lasala del trono, la sala d’arme, la sala da pranzo, decorata da un grandecamino, la camera delle donne e via di seguito. La stanza più famosaè quella di Dante, dove la tradizione narra avrebbe dormito il poeta,in cui è rimasto un affresco del XIV secolo. Le gloriose imprese deicondottieri di casa Malaspina sono affrescate invece nel grande sa-lone dei ricevimenti, dove alla fine dell’Ottocento il pittore GaetanoBianchi dipinse le storie di Spinetta, di Obizzo e le vicende del sog-giorno dell’illustre poeta nel feudo. Nell’uscire dalla sala sembra an-cora di sentire echeggiare i versi degli antichi trovatori.

Francesca Parrini

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Costantino D’Orazio

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illustrazioni diDanièle Ohnheiser

postfazione diChiara Buoncristiani

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d’Italia

Per la visitaStrada San Bartolo, 63

La villa ospita spesso eventi e ricevimenti.

I gestori possono essere contattati chiamando

il n. 0721895006 ma per le visite è necessario

prenotare al n. 3382629372.

Consultate anche il sito

www.villaimperialepesaro.com.

Servizio guida disponibile. A pagamento.

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68PESARO

Villa Imperialedove una giovane è iniziata al cultomisterico di Iside

Nel Rinascimento il revival della cultura clas-sica non ha effetto soltanto sull’iconografia esull’estetica, ma anche sul costume e sulle abi-tudini delle classi più colte e agiate. Ne è unaprova la grande quantità di ville suburbaneche sorgono proprio tra il Quattrocento e ilCinquecento in tutta Italia. Era dall’epocadell’Impero Romano che i signori non sce-

glievano aree naturali di straor-dinaria bellezza per costruiredimore destinate soltanto allavilleggiatura e al riposo. Il postooccupato nei secoli precedentida severi castelli, nel XV secoloviene occupato da raffinate di-more circondate da giardinie decorate con grande ge-

nerosità. Risalgono aquesto periodo il Pa-lazzo Farnese di Ca-prarola (Viterbo),le migliori ville pal-ladiane, le ville dellaLucchesia, luoghi di

grande fascino, immersi inpaesaggi spesso ancora incontami-

nati (almeno nelle immediatevicinanze). Ed è straordina-rio il fatto che dimore del ge-nere esistano in ogni regione,

senza distinzione tra Nord e Sud, a testimonianza del fatto che l’artedel Rinascimento è anche il frutto di un periodo di prosperità intutta la Penisola, che non è sconvolta da guerre su larga scala e sa re-sistere alle scorribande dei Lanzichenecchi. Anzi, proprio le ville fuo-riporta spesso rappresentano anche dei validi rifugi contro leinvasioni straniere. È questo il caso della Villa Imperiale, per la qualeAlessandro Sforza sceglie una collina affacciata sul mare (oggi ParcoSan Bartolo), e commissiona una struttura fortificata (Villa-Castello)senza rinunciare ad aprire importanti saloni affrescati e organizzareun giardino segreto. Il cantiere viene inaugurato nel 1452 dall’Im-peratore Federico III d’Asburgo, che pone la prima pietra dell’edifi-cio mentre è di passaggio nella zona al suo ritorno da Roma: saràquesto episodio a dare il nome alla villa, che nel secolo successivo siarricchirà di un secondo corpo di fabbrica, commissionato dai duchidi Urbino Francesco Maria della Rovere ed Eleonora Gonzaga. Gi-rolamo Genga, l’architetto di corte, realizza un grandioso arco checollega l’ala quattrocentesca della villa al nuovo edificio costituitoda ampi spazi aperti e terrazze. Si tratta di una delle testimonianzemeglio conservate di residenza “di delizie”, destinata all’otium e allacultura: non è un caso che la duchessa abbia commissionato al raf-finato intellettuale Pietro Bembo le iscrizioni incise all’ingresso e neicortili esterni della villa. All’interno lavorano alcuni tra i più im-portanti pittori dell’epoca, che trasformano la dimora in una galle-ria di affreschi paragonabile alle più pregiate ville papali del Lazio.Le decorazioni cinquecentesche occupano già le sale del primo nu-cleo, dove Genga interviene con un pesante restauro. Raffaellino dalColle (o Genga stesso?) lavora al soffitto della Sala del Giuramento,dove le truppe di Francesco Maria I pronunciano la solenne pro-messa di Sermide (1517): curiosa e raffinata l’invenzione degli an-geli che sostengono un sipario che gira intorno intorno alle pareti emostrano straordinari paesaggi marchigiani dipinti da Camillo Man-tovano. Dosso e Battista Dossi sono gli inventori della decorazionenella Sala delle Cariatidi, dove figure femminili sostengono alberiche disegnano la struttura architettonica della volta: al centro il ducatorna dalla Battaglia di Ginestreto, vinta sui Medici che volevanosottrargli il ducato. La Sala dei Semibusti pare sia stata dipinta su car-toni elaborati dal Bronzino, prova della forte relazione tra le variecorti del Centro Italia, dove gli artisti si muovevano con grande li-bertà e godevano di una fama che andava ben oltre i confini dei sin-goli stati. Sul soffitto il duca assiste all’incoronazione di Carlo V (suoprotettore), mentre nelle lunette appaiono busti alla maniera antica,

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che rappresentano le allegorie delle Arti. Superato lo Studiolo, si at-traversano una serie di saloni completamente affrescati: dalla Saladegli Amorini, opera di Perin del Vaga, alla Sala delle Fatiche di Er-cole, fino alla Sala dei Fiumi, dove ancora appare l’intervento delBronzino. Forse però l’ambiente più straordinario è la Sala della Ca-lunnia, destinata agli ospiti di rango più elevato. Qui Raffaellino delColle sceglie di ambientare il racconto all’interno di complesse ar-chitetture in prospettiva, rinunciando alla presenza della natura checaratterizza gli ambienti precedenti. Le scene affrontano il tema dellaCalunnia di Apelle e della successiva apoteosi dell’innocente, ma re-centi studi hanno interpretato questo ciclo con l’iniziazione di unagiovane donna al culto di Iside. La presenza di tematiche esotericheaccanto agli affreschi che celebrano le imprese del Duca, sarebberoda ricondurre agli interessi di Eleonora Gonzaga. È lei a seguire davicino la realizzazione della villa e ad animare il circolo culturale in-torno alla corte pesarese: una prova ulteriore dell’importanza delledonne in un periodo storico dominato dalle scelte e dalla politicadei signori, impegnati in alleanze strategiche e continue battaglie adifesa dei propri territori. Prima o poi bisognerà rivedere il loro ruolonell’elaborazione della cultura rinascimentale.

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I saloni di questo palazzo hanno ispirato unromanzo e sono state immortalate da uno deicapolavori cinematografici del Novecento.L’edificio nasce a seguito del matrimonio didon Pietro Valguarnera con la nipote Ma-rianna, unica erede di Francesco Saverio Val-guarnera. Alla tragica vicenda della giovane,sorda e muta, si ispira il libro di Dacia Ma-raini La lunga vita di Marianna Ucrìa (1990).Ben diversa è l’altra figura femminile checontinua ad aleggiare nei saloni del palazzo: sitratta di Angelica Sedara, figlia del borghesearricchito a cui Claudia Cardinale dà il voltonel Gattopardo (1963) di Luchino Visconti.È lei ad attrarre l’attenzione di Burt Lanca-ster nel celebre ballo che si svolge proprionella Galleria degli Specchi di Palazzo Gangi.Un edificio straordinario, che compete con ipiù importanti palazzi romani per la gran-diosità dei suoi spazi, sia interni che esterni.Attraversato il cortile si sale uno scalone adoppia rampa ornato da statue allegoriche,per il quale si è fatto il nome addirittura diFilippo Juvarra. Molto più probabilmentel’autore è lo stesso Andrea Gigante che haideato il soffitto traforato dell’ambiente prin-cipale del piano nobile. Quando Visconti loscopre, non ha dubbi: la ricca decorazione ro-cocò, le specchiere che occupano l’intera al-tezza delle pareti e riflettono la luce delle

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PalazzoGangi-Valguarneradove rivivere il gran ballodel Gattopardo di Visconti

candele in tutta la sala, quei meravigliosi lampadari di Murano (ilcentrale ha 102 bracci!) sono i dettagli ideali per allestire il ricevi-mento del Principe don Fabrizio Salina. L’elemento più sorpren-dente è il soffitto, che sembra essere costituito da due voltesovrapposte. In realtà Gigante elabora una soluzione ispirata a certisaloni emiliani dei Bibbiena (come la Chiesa di Sant’Antonio Abatea Parma), dove sulla volta si aprono una serie di nicchioni che ospi-tano decorazioni fortemente scorciate. In questo caso, Gaspare Fu-magalli dipinge al centro il Trionfo di Cerere, circondato da finticornicioni, conchiglie, angeli e ghirlande di fiori. Il pavimento isto-riato con maioliche di Vietri è dedicato alle Fatiche di Ercole e con-tribuisce ad arricchire un ambiente di rara bellezza, oggi benconservato grazie agli interventi di restauro commissionati dagli at-tuali proprietari. Eppure questo salone non è l’unico tesoro del pa-lazzo, che ospita una serie di ambienti dove hanno lavorato alcuni trai pittori più celebri del Settecento siciliano. Nella Sala Ovale, an-cora oggi allestita come “Stanza a mangé”, le porte sono decoratecon la rappresentazione dei maggiori fiumi siciliani, mentre il sa-lone da Ballo, detto anche “camarone”, custodisce sovrapporta di-pinti a soggetto mitologico da Giuseppe Velasco, stucchi della scuoladel Serpotta e l’affresco della Fede realizzato sul soffitto da GaspareSerenario. Splendide le collezioni esposte nelle vetrine settecente-sche: dai ventagli alle ceramiche biscuit di Capodimonte, fino a pezziche giungono da Vienna. Testimonianza di una vita ispirata al lussoe alla cultura, binomio oggi molto raro, che può essere riscopertosoltanto in queste principesche dimore d’epoca.

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