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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRIESTE
Dottorato di Ricerca in Filosofia
ciclo VIII
La teoria biologica di Viktor von Weizsacker
e la filosofia dell'organico di Helmuth Plessner
'b/ J_ Ras in i Vallor i '7
Tutore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste)
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Co-tutore: Pro Poggi Stefano (Universit d. Firenze)
Coordinatore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste) ~L ~·· /l----a4·o{-
Avvertenza
Introduzione
Parte I - Viktor von Weizsacker il Gestaltkreis e la concezione della biologia
Premessa
I. Der Gestaltkreis {1933): premesse scientifiche
- La circolarità sensomotoria
- Riflessioni sul concetto di tempo
II. Tra 1933 e 1940: lo sviluppo di alcuni concetti
-L'introduzione del concetto di «tempo biologico» a. Lo «zeituberbruckende Gegenwart» di P. Auersperg b. Il tempo «centrato nel presente» c. Tempo soggettivo e tempo organico
- La questione della Gestalt a. Il richiamo a Goethe b. La posizione verso la Gestalttheorie c. Il pensiero di Driesch
III. Der Gestaltkreis {1940): l'unità di percezione e movimento
- La soluzione del «problema della biologia» a. Le determinazioni temporali b. Determinatezza e indeterminatezza
- La spazialità organica
- Il movimento a. L'attività materia b. Incontro di organismo e ambiente
- La percezione a. L'attività dei sensi b. Il «principio di possibilità» della percezione c. percezione e pensiero
La Gestaltung dell'attività organica
p. 5
p. 6
p. 12
p. 13
p. 17
p. 23
p. 28 p. 28 p. 31 p. 36
p. 40 p. 43 p. 48 p. 53
p. 60 p. 62 p. 68
p. 72
p. 78 p. 78 p. 82
p. 89 p. 89 p. 96 p. 102
p. 106
Parte II - Helmuth Plessner: filosofia dell'organico e teoria posizionale
Premessa
I. La posizionalità dell'organico
La duplicità d'aspetto nella percezione a. Duplicità d'aspetto e Transgredienz b. La percezione dell'essere vivente
- Il carattere spaziale dei concetti
- La posizionalità organica a. Limite e «limite proprio» b. La teoria dei modali organici c. Le caratteristiche del «principio posizionale»
II. Le modalità caratteristiche dell'organico
- I modi di realizzazione della posizionalità a. La processualità organica b. Lo sviluppo del vivente c. Fasi processuali e concetto di morte
Spazalità e temporalità organica a. Raumhaftigkeit b. Zeithaftigkeit
III. Graduazione e Soggettività
- Le «forme» dell'organico
- Il soggetto eccentrico
Parte III - Elementi di convergenza nel pensiero di v. von Weizsacker e H. Plessner
Tra scienza e filosofia
Antilogica e dialettica
Il valore dei sensi
Patico e posizionale
Temporalità e spazialità organiche
Il soggetto nella biologia
Conditio humana
p. 115
p. 116
p. 118 p. 118 p. 123
p. 125
p. 129 p. 129 p. 135 p. 142
p. 146 p. 146 p. 151 p. 156
p. 160 p. 160 p. 163
p. 168
p. 174
p. 183
p. 184
p. 192
p. 205
p. 216
p. 221
p. 228
p. 237
Bibliografia p. 243
Bibliografia principale p. 244
- Opere di v. von Weizsacker p. 244
- Opere di H. Plessner p. 246
- Saggi critici su v. von Weizsacker p. 248
- Saggi critici su H. Plessner p. 252
Bibliografia secondaria p. 257
Avvertenza
Le Gesammelte Schriften di v. von Weizsacker e H. Plessner
sono state citate rispettivamente come W-GS e P-GS. Per i saggi
richiamati in nota non comparsi o non disponibili nelle opere
complete si è provveduto a precederne il titolo con la sola
iniziale del cognome del rispettivo autore.
Per la bibliografia utilizzata, quando disponibile, si è
data indicazione della traduzione italiana. Qualora venga data
doppia indicazione di pagina, la numerazione corrispondente
alla traduzione compare tra parentesi.
Dell'esistenza di una traduzione italiana dell'opera di
Weizsacker Der Gestaltkreis si è saputo troppo tardi perché
potesse esserne tenuto conto in questo lavoro.
Per alcuni «classici» del pensiero filosofico citati nel
testo o in nota si è omesso di dare indicazione nella sezione
bibliografica.
Introduzione
Il presente lavoro è dedicato al confronto di alcuni
aspetti delle teorie di carattere biologico di Viktor von
Weizsacker con la filosofia dell'organico di Helmuth Plessner.
Sia l'opera di Weizsacker che quella di Plessner si possono
inscrivere in quel vasto movimento d'interesse concernente il
valore, i compiti e in generale i fondamenti della scienza
biologica che coinvolge gran parte del dibattito filosofico e
scientifico non solo tedesco tra '800 e '900, e che tanta
importanza ha avuto nella maturazione di alcune tesi
fondamentali del pensiero antropologico e antologico
contemporaneo. In particolare la riflessione su alcuni temi
basilari dell'indagine filosofica, come lo sono l'idea di
soggettività, la posizione dell'uomo rispetto al mondo naturale
e culturale, il significato stesso della vita - tanto nella
loro portata teoretica, quanto in quella morale e sociologica -
mostra di non poter prescindere dall'attenzione per gli
sviluppi della ricerca scientifica e dalla discussione intorno
agli strumenti e ai metodi più adatti ad un settore del sapere
che, se da un lato si è reso sempre più autonomo e distante
dalla teoria filosofica, dall'altro sembra avanzare l'esigenza
di un recupero di certi margini di apertura e di confronto con
la filosofia. Il percorso intellettuale e gli interessi
specifici di Weizsacker e di Plessner - ciascuno per il proprio
ambito disciplinare, e sia pure in forma e misura diversa - si
possono considerare in certo modo emblematici di un simile
intreccio di problemi e difficoltà, come d'altronde lo possono
essere della diffusa richiesta di una generale revisione delle
fondamenta logiche e metodologiche della conoscenza
contemporanea.
6
Appassionatosi allo studio della fisiologia sin dal
trasferimento all'università di Freiburg nel 1906, Viktor von
Weizsacker (1886-1957) prese a frequentare l'Istituto
Fisiologico di J. von Kries dedicandosi prima alla riproduzione
dell'eccitazione nervosa, poi - tornato a Freiburg dopo un
breve periodo di studio a Heidelberg ed il superamento
dell'esame di stato - a problemi di fisiologia cardiaca. Il suo
intenso lavoro di ricerca proseguì presso la prestigiosa
clinica neurologica di L. von Krehl di Heidelberg fino al 1917,
ove i suoi studi si indirizzarono verso la realizzazione di un
programma di sviluppo di fisiologia patologica dei sensi.
Questi lavori, di grande importanza per la direzione che
prenderanno i suoi interessi teoretici, vennero ripresi da
Weizsacker, dopo il periodo bellico, prima in qualità di
assistente, poi di direttore del reparto neurologico della
medesima clinica. La partecipazione intensiva ad alcuni
seminari di W. Windelband durante il periodo universitario
testimonia il precoce interesse di Weizsacker per la filosofia
-rafforzato dall'intima amicizia stretta con il coetaneo F.
Rosenzweig - un interesse che accompagnerà costantemente la
riflessione scientifica di Weizsackerl.
Più giovane di soli sei anni, Helmuth Plessner (1892-1985)
studiò medicina, zoologia e filosofia nelle Università di
Freiburg, Heidelberg, Berlin e Gottingen, per laurearsi in
filosofia a Erlangen nel 1916. Costretto al trasferimento
all'estero dalle vicende politiche della Germania, Plessner fu
1 Per informazioni sulla vita e l'itinerario scientifico di V. von Weizsicker si possono consultare gli scritti autobiografici Katur und Geist (1954) e Begegnungen und Entscbeidungen (1949) contenuti in W-GS I (pp. 11-194; pp.195-399) e Neines tebens bauptsicblicbes Be1uhen (1955} in W-GS VII (pp. 372-393); si possono vedere inoltre: !h. Henkel1ann, Yiktor von Neizsicker (1886-1957}. Naterialien zur teben und Neri, Heidelberg, Springer, 1986; Id., Yiktor von Neizsicker. t'uo1o e la sua opera, in V. von Weizsicker, filosofia della Jedicina, Milano, Guerini, 1990, pp. 17-75; M. Wein, Die Neizsickers. Gescbicbte einer deutscben !a1ilie, Stuttgart, Deutsche-Verlags, 1988, pp. 341-410.
7
ospite dal 1934 dell'Istituto di Fisiologia di Groninga, dove
mediante studi e sperimentazioni potè approfondire, in
collaborazione con F.J.J. Buytendijk, quegli interessi
scientifici che lo avevano spinto sin dalla giovane età ad
occuparsi di problemi di biologia. La sua produzione
filosofica, assai vasta, si sviluppa sul comune denominatore
dell'analisi della natura e delle condizioni di vita dell'uomo,
uno studio ricco e multiforme, segnato dal confronto con la
scuola di Marburg e con il pensiero fenomenologico ed
ermeneutico, fortemente incline alla realizzazione di un
programma filosofico di stampo diltheyano2.
Plessner e Weizsacker hanno dunque frequentato -
pressappoco negli stessi anni - il medesimo ambiente
universitario, hanno avuto contatti con i medesimi
rappresentanti della cultura scientifica e filosofica del tempo
e hanno in parte condiviso interessi simili. E tuttavia essi
non hanno avuto contatti personali o scambi intellettuali
documentabili 3 e non si può parlare di una reciproca influenza
tra le loro concezioni: proprio questo dato rende forse più
interessante un confronto delle loro posizioni. Ma la
motivazione principale che ha suggerito l'accostamento di
Weizsacker e Plessner è data dalla singolare e significativa
vicinanza che mostrano l'elaborazione teorica di alcuni
interrogativi emersi dal dibattito filosofico-scientifico
2 Per le notizie biografiche si veda la Selbstdarstellung di H. Plessner in P-GS l, pp. 302-341. 3 Rel 1927 Weizsacker pubblicò il saggio Oeber 1ediziniscbe Antbropologie nella rivista «Philosophischer Anzeiger, fondata e curata tra gli altri da Plessner, che professional•ente conosceva, come dimostra l'apprezza1ento fatto al suo contributo Yitalis1us und lrztlicbes Oenken (P-GS Il, pp. 7-27) comparso nel 1922 nel saggio Oeber CesinnungsvitalisJus (cfr. «Klinische Wochenschrift) 2 (1323), pp. 30-33, p. 30}. Regli scritti autobiografici troviaao incidentalmente annotata la presenza di Plessner, in occasione di un incontro tra Weizsacker e M. Scheler, alla lant-Gesellschaft di Koln (cfr. Katur uod Ceist, W-GS I, p. 31), aa il solo accenno al lavoro di Plessner - per buona parte delle questioni di cui ci si occupa in questa sede cronologicamente precedente a quella di Weizsicker - è un richiamo fatto in nota nel saggio del 1926 linleitung zur Pbysiologie der Sinne (W-GS III, pp. 325-427, p. 419) all'opera plessneriana Die Einbeit der Siooe del 1923 (P-GS III, pp. 7-315).
8
tedesco e una certa convergenza delle soluzioni ad essi
proposte.
Il lavoro è stato suddiviso in tre parti. Le prime due si
occupano rispettivamente della teoria del Gestaltkreis di
Weizsacher - che, sulla base di rigorose sperimentazioni
scientifiche e avvalendosi di uno strumentario teorico
prettamente neurofisiologico, propone un nuovo modello
scientifico dell'attività biologica- e della teoria della
realtà organica di Plessner, una complessa e articolata
concezione delle caratteristiche dell'essenza biologica,
condotta attraverso una rigorosa deduzione aprioristica. Alle
due sezioni è stata data una diversa impostazione
principalmente a causa della necessità di offrire nei due casi
un quadro appropriato al carattere specifico della concezione.
Il concetto di Gestaltkreis di Weizsacker subisce tra gli anni
trenta e gli anni quaranta una significativa evoluzione che si
verifica parallelamente ad un essenziale ampliamento
dell'orizzonte teoretico della concezione dell'«atto biologico»
e dunque del piano di applicabilità del concetto stesso.
Elaborato come modello si spiegazione del rapporto tra
percezione e movimento nell'ottica del principio del
«cambiamento funzionale» degli organi sensomotori, il concetto
di Gestaltkreis si rivela fecondo non solo nell'ambito
specifico della neurofisiologia umana, ma sul piano generale
della definizione dell'unità intrinseca dell'atto biologico,
esso si dimostra cioè in grado di rappresentare efficacemente
il sistema strutturale dinamico e «antilogico» della realtà
organica in generale. Un'impostazione genetica dell'esposizione
consente di cogliere i momenti determinanti del passaggio -
supportato dal crescente interesse teoretico dello scienziato -
9
da una concezione scientifico-funzionale del principio del
Gestaltkreis ad una visione antologica dei caratteri
fondamentali dell'organico; ma, contemporaneamente, permette di
seguire il processo di introduzione del fattore temporale nel
concetto, fattore che verrà a rappresentare nelle formulazioni
più mature del principio il cardine sul quale si sviluppa la
determinazione del carattere antilogico dell'essenza «patica» 4 •
Una simile evoluzione non trova corrispondenza nella ~~ concezione plessneriana, la cui elaborazione si presenta -
nella sola opera dedicata ad una deduzione sistematica dei
caratteri dell'essenza organica, Die Stufen des Organischen und
der Mensch del 1928- con un'impostazione stabile e in certo
modo definitiva. Essa rappresenterà per la successiva
riflessione filosofica di Plessner una base di riferimento
sicura alla quale ancorare le sue principali tesi
antropologico-sociologiche. In questo caso è parso preferibile
procedere ad un'esposizione di carattere analitico, capace di
chiarire il percorso logico della formulazione del principio
«posizionale» e di evidenziare adeguatamente i momenti salienti
della definizione dei «modali organici», la cui deduzione,
sebbene sviluppata in un contesto fenomenologico-aprioristico,
resta tuttavia vincolata nella giustificazione e nella verifica
al dato empirico percettivo.
L'individuazione tematica di alcuni essenziali momenti di
convergenza tra le concezioni dei due autori - che si spinge
talora al di là della circoscritta esposizione offerta dalle
due prime parti del lavoro - è oggetto della sezione finale, in
cui un primo breve capitolo a carattere introduttivo illustra
brevemente le posizioni di Weizsacker e di Plessner - peraltro
piuttosto dissimili- rispetto all'idea di una «scienza
4 Il pensiero di Weizsacker del secondo dopoguerra darà tuttavia al fattore temporale un risalto inferiore.
10
filosofica». Fortemente critici nei confronti del sistema
positivistico e meccanicistico che domina l'ambito scientifico
e influenza la teoria filosofica, essi si fanno sostenitori di
una concezione dell'unità strutturale della natura e
dell'attività organica a cui si rende necessaria una nuova
forma logico-metodologica in grado di uscire dai rigidi schemi
imposti dalla tradizione e di cogliere la peculiarità di una
natura che si distingue anzitutto dal corpo fisico per la sua
«plasticità» e «mobilità». La necessità di superare visioni
rigidamente razionalistiche si riverbera nella rivendicazione
del valore di verità dell'attività sensibile e nel significato
di cui sono rivestite le manifestazioni comportamentali in
genere, indice della fondamentale ed imprescindibile unità
psicofisica dell'organico. Parimenti la determinazione di una
dimensione spaziale e temporale specifica della natura organica
evidenzia l'inadeguatezza e persino l'impossibilità dell'uso di
strumenti fisico-matematici nella valutazione dell'attività
vitale. Sul piano antologico, il carattere dialettico o
«antinomico» dell'essenza organica- «patica» nella concezione
di Weizsacker e «posizionale» in quella di Plessner - conduce
ad una diversificazione della struttura essenziale del vivente
rispetto al semplice corpo «antico» che viene elaborata dai due
autori in termini sostanzialmente simili, e che approda in
entrambi i casi alla collocazione di un principio soggettivo
alla base dell'essenza biologica; un principio, portatore di
quel carattere dialettico e antinomico, la cui massima e più
contrastata espressione è rappresentata dalla profonda
inquietudine caratteristica del vivere e del «patire» umano.
11
Parte I
Y-iJt~~ V_QIL1!_~~1!:_~~!-":.
_il G~.t.~~~s __ e_la_c_o.ncez io~ d~~~~--_bio.lo51.1.a
Premessa
Intorno alla fine degli anni venti Weizsacker comincia a
lavorare a quel nucleo tematico che darà origine alla complessa
e polivalente teoria del Gestaltkreis. Vi contribuiscono
soprattutto numerosi esperimenti sulle vertigini, ma, prima
ancora, i risultati ottenuti da approfonditi studi sul problema
della percezione dello spazio. Ad essi Weizsacker si era
dedicato sin dai primi anni venti, quando ancora era convinto
di poter individuare un organo del senso spaziale collocato nel
cervello e capace di rappresentare gli oggetti sensibili in uno
spazio matematico omogeneo. Dal disturbo di questo organo
sarebbero derivati ad esempio alcuni fenomeni di deformazione
delle dimensioni spaziali e degli oggetti percepiti.
Appartenendo Weizsacker ancora ad una fase che egli stesso
definisce «kantiana»l, il disturbo avrebbe riguardato solamente
la costruzione geometrica di disposizioni e rapporti nello
spazio, non lo spazio in sé stesso. Ma le osservazioni
effettuate in clinica non gli permisero di confermare questa
ipotesi: non tutti i fenomeni osservati in caso di disturbo
della percezione spaziale si possono sussumere sotto il caso
del disturbo di un unico organo. Il senso dello spazio, la
capacità di orientamento in esso, si rivela piuttosto come il
risultato di una molteplicità di prestazioni organiche
indipendenti tra loro. Lo spazio della percezione finisce col
non poter più coincidere con uno spazio matematico di tipo
kantiano le cui leggi, anzi, ne vengono chiaramente
contraddette2.
L'idea della necessità di una revisione delle basi teoriche
1 Cfr. Katur und Geist (W-GS I), p. 90. 2 Si veda ivi, p. 92.
13
della fisiologia tradizionale ~ insieme del significato che
spetta a questa scienza nell'ambito degli studi biologici si
rafforza in Weizsacker in concomitanza con lo svolgersi delle
considerazioni specifiche concernenti i risultati dell'attività
sperimentale pratica. Il problematico fenomeno dell'illusione
dei sensi, ad esempio, - molto trascurato, quando non
addirittura completamente occultato dalla storia della
fisiologia- viene ad assumere nel corso dell'indagine un
valore prioritario. Esso permette a Weizsacker di avanzare
rilevanti ipotesi di critica del metodo e di definire alcune
premesse necessarie ad uno studio fisiologico rinnovato:
innanzitutto una deduzione strettamente fisiologica delle
prestazioni sensorie porta spesso a forti incongruenze; a ciò
si aggiunge che nella spiegazione di questi processi i vissuti
soggettivi devono essere considerati parte integrante di essi,
come lo deve essere la possibile contraddizione tra quanto è
presentato dai sensi e quanto è offerto dallo stato di cose
oggettivo.
Le ricerche sperimentali sulla patologia delle funzioni
sensorie, che si avvalgono di numerose osservazioni di casi
clinici, lo conducono alla formulazione del principio del
«cambiamento di funzione» (Funktionswandel) degli organi di
senso. Di fronte al manifestarsi di un disturbo (Storung) di
determinate prestazioni sensorie non si verifica una semplice
soppressione della funzione da essi svolta, ma un cambiamento
della funzione complessiva- mediante cui l'organismo,
svolgendo un'attività creativa di trasformazione dei propri
processi biologici - tenta di porre rimedio ad una determinata
mancanza. Assunto questo punto di vista, il concetto di
«funzione» (Funktion) non può più essere legato all'idea di
un'azione fissa, ma lo si deve rivedere in relazione ad un
14
ordine più fluido del processo organico: quello della
«prestazione» {Leistung) dell'organismo3.
Tra il 1931 ed il 1933, P. Vogel, sotto la guida di
Weizsacker, si dedica allo studio delle vertigini otocinetiche
da rotazione e dei fenomeni ad esse connesse. L'equilibrio
corporeo costituisce una delle prestazione organiche più
essenziali e complesse e Weizsacker, approfondendo l'analisi di
un fenomeno di disturbo come la vertigine, ritiene possibile
raggiungere risultati considerevoli riguardo al principio del
cambiamento funzionale. La conclusione che permette di trarre
il lavoro di Vogel conferma l'indipendenza del verificarsi
della vertigine dal legame ad un organo specifico, poiché si
osserva che per il soggetto sottoposto ad esperimento «ciascuna
delle velocità critiche della rotazione corrisponde a
determinate composizioni dell'attività motoria e della
percezione»4. La vertigine si origina dalla composizione di
funzioni statiche, ottiche e vestibolari ed il soggetto
dell'esperimento mostra la possibilità di adottare due
differenti soluzioni al mantenimento dell'equilibrio: l'una
percettiva, l'altra motoria. La perfetta equivalenza sul piano
funzionale di tali soluzioni implica una precisa valutazione -
o rivalutazione - sul piano teoretico, del significato del dato
psichico «soggettivo» e del dato fisico «oggettivo»: «al posto
di un movimento percepito può comparirne uno effettuato e
viceversa: qui si introduce la concezione del Gestaltkreis» 5 •
Alla teoria del cambiamento funzionale, dal valore
3 Cfr. ivi, p. 71 e p. 73; si vedano inoltre di Weizsacker lunktionsvaodel der Sinne del 1940 e !unktionsvandel und Gestaltkreis del 1950 {W-GS III, pp. 577-594 e pp. 619·634). Un'importante implicazione di questo principio è la revisione del concetto positivistico di malattia, che nel pensiero di Weizsacker avviene attraverso il recupero di aotivi caratteristici del roaanticis1o tedesco. A questo proposito si può vedere Th. Henkelaann, Viktor von Keizslcker. L'uo1o e la sua opera in V. von Weizsacker, filosofia della Jedicina, Milano, Guerini e Associati, 1990, p. 20 e p. 27. • Katur und Geist (W-GS I), p. 73. 5 lvi, p. 74.
15
specificamente neurofisiologico, subentra la concezione del
Gestaltkreis che rappresenta il tentativo di inquadrare la
realtà dell'accadere organico secondo un piano teorico e
metodologico dalle premesse sostanzialmente rinnovate. Per
ottenere una risposta realmente esaustiva ai problemi posti
dalla fisiologia occorre risalire a domande più fondamentali, e
infine alla domanda di base dello studio biologico: «cosa si
deve dunque intendere propriamente per realtà biologica
essenziale?»6.
Con il principio del Gestaltkreis i fenomeni psichici ed i
fenomeni somatici vengono considerati alla luce della loro
fondamentale scambiabilità reciproca in vista dell'ottenimento
di una prestazione (Leistung). La prospettiva in cui si radica
la nuova visione del rapporto tra psichico e fisico si
differenzia sostanzialmente dalla concezione psicofisica
elaborata da Fechner, ed in genere si distanzia dal concetto di
movimento psicofisico volontario7. Essa rende necessaria una
profonda modificazione dei metodi e dei fondamenti della
fisiologia e «possibilmente - dichiara Weizsacker - dovrebbe
condurre ad una revisione, o addirittura una rivoluzione dei
concetti fondamentali»& dell'intera scienza della natura.
6 lvi, p. 76. 7 Cfr. iv i, p. 74. 8 lvi, p. 76.
16
I. Der Gestaltkreis (1933): premesse scientifiche
La circolarità sensomotoria
La prima articolata formulazione della teoria del
Gestaltkreis risale ai primissimi anni trenta. Compare nel 1933
sullo Pflugers Archiv dove viene calorosamente accolta come un
interessante contributo offerto alla moderna fisiologia del
sistema nervoso e degli organi di sensol. Il saggio propone di
considerare se non si debba ritenere necessaria una sostanziale
correzione alla teoria delle funzioni organiche distinte
tradizionalmente in sensibili e motorie. Il proposito della
teoria del Gestaltkreis in questo saggio si può individuare
anzitutto nell'impegno a risolvere le principali difficoltà che
affliggono per un verso la teoria del riflesso, per l'altro la
fisiologia della percezione, mediante l'elaborazione di una
concezione unitaria delle funzioni sensomotorie che risulti
dotata di un solido fondamento, sperimentalmente comprovato,
capace di scalzare alla radice il dualismo tradizionale. Se si
perviene al riconoscimento che la vita consiste
fondamentalmente in un intreccio - un'autentica fusione - di
attività motoria e attività percettiva, essa deve
conseguentemente venire considerata come un «atto biologico»
unitario non scomponibile in parti o in momenti connessi
secondo una successione causale lineare. Dopotutto - sostiene
Weizsacker - «non possiamo fare nulla senza anche sentire
qualcosa, non possiamo sentire nulla senza avere anche un
qualunque comportamento motorio: ogni separazione è già
un'"astrazione". La vita, perciò, non è mai un o- o» 2 • Il
1 Cfr. Der Gest1ltkreis, d1rgestellt als psychophysiologiscbe Analyse des optischen Drehversuchs, «Pflugers Archiv fur die gesaate Phisiologie) 231 (1933), pp. 630-661 (cit. W-Gestaltireis 1933), p. 630, nota. 2 lvi, p. 631.
17
saggio si presenta come una visione generale dei dati empirici
e degli elementi teorici che giustificano una formulazione in
senso «dinamico» della relazione sussistente tra la funzione
percettiva e la funzione motoria dell'organismo 3 •
Un'analisi non pregiudiziale del processo percettivo
evidenzia come nella successione temporale le azioni che danno
luogo alla percezione si rapportino l'una all'altra secondo una
disposizione circolare. Sensazione e movimento, percezione ed
azione, si susseguono e si scambiano reciprocamente nel dare
origine al processo di conoscenza sensibile. Quale, tra
movimento e percezione, sia primo in senso causale non è
affatto decidibile: «il movimento è quanto meno una delle cause
del dove e del come della percezione, la quale torna ad essere,
allo stesso modo, causa del movimento»; se mai è possibile
stabilire, di caso in caso, un relativo «prima» e «dopo». La
dipendenza del processo percettivo rimanda perciò a se stesso
«come in un movimento circolare in cui non è possibile
stabilire dove sia l'inizio e dove la fine» 4 • Un processo
simile viene denominato Gestaltkreis. In esso non è tanto
l'idea della figura geometrica circolare ad essere importante,
quanto piuttosto «il simbolo della chiusura», l'immagine della
curva, cioè il suo «tornare su se stessa» 5 •
Se l'idea che il movimento fisiologico e la percezione del
movimento devono essere in una relazione reciproca è
generalmente accettata, il disaccordo in ambito teoretico sorge
quando si pone il problema di stabilire in che modo e secondo
quali principi l'attività fisiologica e la percezione siano
reciprocamente collegati. E' necessario riconoscere, secondo
Weiszacker, che una funzione fisiologica - un movimento
3 Cfr. ivi in particolare le pp. 644 e 661. • lvi, p. 633. 5 Ibid. Spesso Weizsicker rappresenta questo rapporto di reciprocità con l'immagine della spirale.
18
materiale- e un'impressione vissuta- ad esempio l'impressione
di un movimento - appartengono a disposizioni spaziali
completamente diverse tra loro. E' un merito da ascrivere a
Wertheimer quello di aver condotto ad una simile acquisizione:
egli ha precisato che con la percezione di un movimento non si
verifica un'associazione di segni (Merkmale) di luogo o di
disposizione spaziale alla struttura nervosa, ma si ha a che
fare con una funzione (Funktion), vale a dire con un «accadere»
(Geschehen) 6 • Ad una specifica funzione fisiologica si associa
un'impressione di movimento, la quale non è da considerarsi
spaziale, quanto meno non nel senso in cui sono spaziali i
processi fisiologici materiali. Spazialità della percezione e
spazialità delle funzioni nervose materiali non possono essere
raccolte sotto un unico concetto di spazio. Si ha sensibilità
ave si abbia un'impressione presente: «il vissuto sensibile è
essenzialmente un vissuto di realtà e possiede sempre, in
quanto tale, il valore (Gehalt) di una trascendenza» 7 • Le
relazioni che si danno nell'immagine della percezione sensibile
sono perciò qualcosa di totalmente differente da quelle per cui
«le cose sono là, l'una accanto all'altra o i fatti si causano
l'uno dall'altro» 8 •
E' a maggior ragione difficile, allora, chiarire come
stiano insieme movimento e percezione. Un movimento compiuto
dall'organismo e una percezione psichica sembrano essere
attività autonome prive di un legame originario. Weizsacker,
che rifiuta la «fondazione parallela» di von Kries, secondo la
quale «con la disposizione oggettiva di certi processi
fisiologici sarebbe immediatamente data anche una
' Si veda ivi, p. 636. 7 lvi, p. 637, 1a il passo è citato dalla linleitung zur Pbrsiologie der Sinne (W-GS III, pp. 325-428) p. 331-2. Il concetto di ctrascendenza, sarà chiarito in seguito. ' linleitung (W-GS III), p. 332.
19
corrispondente disposizione dell'accadere» 9 , non vede la
possibilità di definire il loro rapporto con una spiegazione di
tipo causale e conclude che occorre considerare tali attività
come componenti di un momento unitario, di un unico «atto»:
«percezione e movimento appartengono ad un atto biologico,
[ ... ]essi non devono però essere trattati come parti che
stanno l'una accanto all'altra o come causa ed effetto che si
susseguono l'uno all'altra» e il fatto che venga ora
considerato l'aspetto della percezione, ora quello del
movimento, dipende dal modo in cui l'osservatore si pone di
fronte a tale atto, e non dal processo percettivo stesso; ne
viene che «se la percezione motoria (Bewegungswahrnehmung) è un
processo a sé, la percezione non si può certo dire né auto
percezione (percezione del proprio processo nervoso), né
percezione-di-un-oggetto (percezione di un oggetto esistente
indipendentemente da essa)»lo.
L'immagine circolare del Gestaltkreis, descritta dal
rimando reciproco di attività motoria e reazione percettiva,
costituisce l'unica forma processuale capace di abbracciare
concettualmente l'insieme delle forze interne ed esterne del
sistema organico. Nel saggio del 1927 Ueber medizinische
Anthropologie, Weizsacker aveva già precisato che la
particolarità del Gestaltkreis, ciò che lo distingue da altre
forme di processualità circolare, consiste nel fatto che non è
possibile individuare in esso una forza direzionante e solo di
caso in caso, o a seconda delle specifiche esigenze della
ricerca, si può individuare - con eguale diritto e torto - nel
movimento la guida alla forma dello stimolo, o in quest'ultima
la guida alla forma del movimento. L'idea di processo organico
9 Cfr. J. von lries, Allge1eine Sinnespbysiologie, Leipzig, 1923, pp. 211-212, cit. da Weizsicker in wGestaltkreis 1933, p. 636. 1o W-Gestaltkreis 1933, p. 638.
20
non si esaurisce nell'individualità di un sistema chiuso di
funzioni «interne», ma apre le porte all'esteriorità
circostante: «il Gestaltkreis include cosi il mondo interiore e
l'ambiente dell'organismo in un intero»ll. L'organismo è
infatti sempre calato in un ambiente (Umwelt) e posto con esso
in una relazione di intreccio cosi profondo che il confine tra
essi non è di fatto determinabile. Il limite tra la realtà
organica e l'ambiente circostante si può pensare come
differibile e comunque esso non è coincidente con l'apparire
fenomenico: «la questione riguardante dove comincia il mio
possesso corporeo e spirituale e finisce il mio ambiente non si
può cogliere nella datità del fenomeno, ma va considerata
secondo la dinamica processuale del Gestaltkreis» 1 2.
La forma concettuale del Gestaltkreis mostra di non avere
quelle caratteristiche di evidenza ed intuitività che sono
richieste dalla logica classica. La sua struttura razionale
appare del tutto estranea ad un sistema logico operativo in cui
il principio di non contraddizione svolge un ruolo decisivo. Se
infatti la principale caratteristica del Gestaltkreis consiste
nella indifferenza essenziale della direzione che può assumere
il rapporto causale degli elementi - che può essere ribaltato
in qualunque momento -, la logica tradizionale non può che
riscontrare in esso una contraddizione. Per questo la struttura
del Gestaltkreis viene definita da Weizsacker «antilogica»:
«Antilogica è dunque una struttura gnoseologica che di fronte
ad un processo fa uso della possibilità di scelta di direzioni
contraddittorie»13.
Nell'applicazione ad un simile sistema strutturale il
11 Deber lediziniscbe Antbropologie (W·GS V, pp. 177-194), p. 184. 12 V-Gestaltkreis 1933, pp. 655-6. Veizsicker fa qui un esplicito riaando al saggio di Plessner e Buytendijk Die Deutung des 1i1iscben Ausdrucks, comparso in «Philosophischer Anzeiger, 2 (1925): si veda ivi, p. 656, nota 1. 13 Jed. Antbropologie (V-GS V), p. 185.
21
procedimento scientifico risulta estremamente versatile, sia
riguardo ai dati sui quali lavorare, sia riguardo al
procedimento del ricercatore, che riveste ora il ruolo di parte
integrante e determinante dell'esperimento. L'osservatore non è
affatto un elemento indifferente ed estraneo ad una realtà
oggettiva semplicemente osservata e descritta «da fuori», ma
soggetto attivo, che partecipa e prende decisioni che si
ripercuotono sul'accadere di fronte al quale egli si pone.
Dietro questa «introduzione del soggetto» nell'osservazione
empirica si dischiude il campo di un'ampia ed articolata
critica al metodo positivistico applicato allo studio
biologico, critica che Weizsacker matura specialmente sulle
riflessioni inerenti la sua attività medica nel rapporto con il
paziente e in relazione al concetto di malattia. Weizsacker
recupera a tale riguardo una concezione direttamente
ricollegabile alla tradizione del romanticismo tedesco 14 ,
orientata comunque a raggiungere, in primo luogo rispetto
all'esperienza pratica, una cognizione complessiva del reale
accadere che - senza perdersi in suggestioni più o meno
nostalgiche - sappia rendersi efficace e funzionale.
La sua critica si rivolge quindi al metodo e al senso, al
valore stesso dell'indagine sull'organico, e si volge anzitutto
all'esperimento, il suo principale strumento. L'osservato non
può darsi nella sua integrità se isolato e decontestualizzato
dall'insieme di relazioni che contribuiscono e anzi
condizionano la sua specificità. Anche l'osservatore è parte
dell'osservato; non lo è tuttavia contemporaneamente al suo
essere osservatore: il cosiddetto «fattore di non
1' Oltre a Th. Benkelmann, Y. von Keizsicker. L'uo1o e la sua opera, cit., pp. 26-27, si vedano le considerazioni di Veizsicker nella recensione tRo1antiscbe KedizinJ. 1u1 ferk von ferner Leibbrand (V-GS I, pp. 544-547).
22
contemporaneità» (Ungleichzeitigkeits-Faktor)lS, detto anche
con un'espressione estremamente intuitiva - «principio della
porta girevole» (Drehturprinzip), denota una relazione di
alternanza e scambievolezza tra gli elementi dell'accadere
esperienziale e mette in rilievo la «versatilità» dell'insieme,
la valenza plurima tanto del dato esperienziale - della realtà
del vivente e di quella dell'ambiente nel contesto del ciclo
biologico- quanto dell'osservatore.
Riflessioni sul concetto di tempo
Solo nel penultimo capoverso del saggio del 1933 il fattore
temporale fa una rapida comparsa: «Non possiamo formulare tutto
ciò senza chiamare in aiuto il tempo; detto altrimenti: per
impadronirmi della molteplicità del Gestaltkreis devo muovermi
nel tempo, non solo a causa della cosiddetta ristrettezza della
coscienza[ ... ], ma a causa della rottura necessaria al
cambiamento di una connessione o di un ordine; a causa delle
modalità del dato che si escludono reciprocamente e nondimeno
dell'atteggiamento verso di esse»16. E' però chiaro che a
questo proposito non si farà riferimento al concetto di tempo
matematico-obiettivo della fisica classica, esattamente per le
ragioni implicitamente menzionate nel passo sopra citato:
perché sono qui in gioco vissuti esperienziali e non semplici
datità «oggettive» e perché si ha a che fare con peculiari
modalità del dato difficilmente omologabili a quelle di oggetti
misurabili e collocabili in un tempo omogeneo continuo. La
1s Cfr. W-Gestaltkreis 1933, p. 659. 16 lvi, p. 660.
23
necessità di introdurre il fattore temporale nell'elaborazione
teorica della struttura del Gestaltkreis rimane in questo
saggio solo accennata. Si può dire che si tratta di una
necessità ancora sostanzialmente estrinseca e derivata
logicamente dalla riflessione sull'applicazione del concetto al
concreto fattuale.
Riflessioni importanti sul concetto di tempo sono invece
contenute nella Einleitung zur Physiologie der Sinne del
1926 17 • Tra il tempo della percezione o tempo vissuto ed il
tempo oggettivo della fisica viene posta una netta linea di
demarcazione. Esiste, secondo Weizsacker, una specifica sfera
della Lebenszeit, la cui legislazione è cosi distante da quella
del tempo obiettivo in cui si muovono gli oggetti della fisica
da rendersi necessaria una formulazione autonoma dei suoi
parametri di misura e comparazione. Un efficace confronto tra
tempo fisico e tempo storico viene riconosciuto da Weizsacker
all'opera di Bergsonls, che nell'Essai sur les données
immediates de la conscience ha individuato nella durée la forma
originaria del vissuto temporale, lo specifico carattere che
contraddistingue il tempo vitale e lo contrappone al tempo
fisico-matematico19. Weizsacker si richiama senz'altro a
Bergson anche nel sottolineare il carattere spaziale delle
determinazioni temporali in uso nel linguaggio comune come
nella scienza: «punto temporale», «luogo temporale», «lasso
temporale», sono espressioni coniate in seguito ad una sorta di
proiezione dell'accadere temporale sul piano spaziale. Eppure,
17 Einleitung (W-GS III), pp. 398-406. 18 lvi, p. 398. si veda anche Der Gestaltkreis. fbeorie der linbeit von Nabroeb1en uod Beregeo, Stuttgart, Thieme, 19401, 1996' (cit. V-Gestaltkreis 1940), pp. 139-140. 19 Essai sur Jes doonées i11ediates de la cooscieoce (tesi di dottorato- Faculté de Lettres de Paris), Paris, Alcan, 1889 (trad it. Saggio sui dati i11ediati della 1e1oria, in Id., Opere 1889-1896, a cura di P.A. Rovatti, Milano, Mondadori, 1986). A proposito dell'iapotanza di Bergson sul pensiero di Veizsàcker si veda s. Baondts, Keoscbeorerdeo in Beziebuog: eine religionspbilosopbiscbe Uotersucbuog der Jediziniscbeo Antbropologie Yiktor voo Neizsackers, Stuttgart, Froaaann-Holzboog, 1993, pp. 199-200.
24
le espressioni proprie della temporalità vissuta, il cui
carattere è relativo, non abbisognano affatto di un accordo con
il tempo oggettivo2o. La loro relatività non concerne le
percezioni in se stesse, ma si riferisce essenzialmente proprio
al loro rapporto con il tempo oggettivamente misurabile:
«definito questo [il tempo oggettivo] come omogeneo ed
affermatasi questa definizione, il tempo percepito è, in
relazione ad esso, non omogeneo e solo relativo» 21 .
Sebbene le considerazioni inerenti le caratteristiche del
vissuto percettivo - sia quelle riguardanti l'impossibilità di
descriverle adeguatamente mediante espressioni fisico
matematiche, sia quelle che conducono ad un inevitabile
conflitto del vissuto con le determinazioni cosiddette
oggettive - siano da Weiszacker ritenute valide egualmente per
lo spazio e per il tempo22, egli trova evidente, anche negli
studi fisiologici, che tra la dimensione spaziale e quella
temporale sussiste una certa - diciamo - sproporzione. «Mi
sembra verosimile - sostiene Weiszacker - che a fondamento di
ciò sia una qualche particolarità molto profonda del tempo»2 3 •
E' questa peculiarità del tempo che, ad esempio, spiega la
scelta di Kant di farne la forma del senso interno e dà ragione
del fatto che buona parte della psicologia contemporanea ne
segua le orme. Questa incorre, tuttavia, in obiezioni
elementari, e la psicofisica, che cerca di porre rimedio ad
alcune delle difficoltà incontrate dalla psicologia di
derivazione kantiana, compie l'errore di attribuire alla
temporalità psichica il senso della temporalità obiettiva della
20 V-Einleitung, p. 399. 21 ivi, p. 399. zz Quanto alle questioni generali concernenti la percezione del tetpo, Veizsacker ritanda, infatti, al paragrafo precedente della Einleitung in cui sono trattate le «disposizioni spaziali,, Cfr. ivi, pp. 373-398. 23 ivi, p. 400.
25
scienza24.
La percezione del movimento nel tempo mostra una sua
specificità anzitutto nell'essere priva di una regolarità di
fatto comprovabile. Egli ritiene che il tempo si mostri come
fenomenicamente presente solo quando ci si trova in relazione
ad esso in qualità di percipienti, altrimenti non lo è affatto
- non più di quanto lo sia lo spazio circostante mentre si
esegue un'operazione logica. Perciò l'idea che la realtà
psichica si disponga regolarmente nel tempo non è altro che un
costrutto, un'inferenza, non essendo dimostrabile essa stessa
come fenomeno nel flusso dell'accadere psichico.
Il punto di massimo interesse per la precisazione della
peculiarità del tempo è offerto dall'analisi di quelle
disposizioni temporali le cui connessioni con le percezioni
sensibili vengono talora riconosciute, talaltra invece
contestate: si tratta dei ricordi - più in generale degli atti
mnemonici. Se si distinguono - come sembra doveroso fare - una
memoria intesa come «atto nel tempo», ossia la memoria
dell'apprendimento, e una memoria come «atto di
identificazione», per mezzo della quale si ottiene il ricordo
con la collocazione del fatto nella sfera storica, la
separazione di tempo storico e tempo matematico appare
inevitabile. Premesso che le disposizioni temporali vengono
sempre vissute anche come disposizioni ritmiche, come composti
dotati di una forma caratteristica, quando, ad esempio, si
ascolta una canzone nota si verifica un atto di riconoscimento
mediante l'individuazione nella memoria di un ordine temporale
precedentemente percepito; quando si reincontra una persona
dopo molti anni, oltre ad aversi un riconoscimento, si ha la
possibilità di rendersi conto di un cambiamento avvenuto «nel
24 ivi, p. 400 sg.
26
tempo» mediante la collocazione del percepito in un dato punto
del vissuto temporale. Quest'operazione consente altresì di
ricordare il luogo temporale passato e di vivere il presente
sensibile come temporalmente determinato mediante
l'avvicinamento ideale di uno scopo posto nel futuro o di un
avvenimento del passato. Il riconoscimento - vale a dire il
rendersi conto di un «già visto» o «già sentito» - e la sua
collocazione nel vissuto temporale, sono operazioni tra loro
strettamente connesse. Esse denotano l'intervento di una
percezione temporale storica2s.
Tutto ciò che è determinante nell'ambito dei vissuti
temporali - per la loro collocazione nel fluire del tempo, la
loro comparazione, o semplicemente la loro esperienza, cioè la
scelta di punti di allacciamento e di criteri di misurazione e
raffronto, rappresentati da momenti e periodi precisi della
vita reale - dal punto di vista matematico non può che essere
considerato arbitrario. In questo ambito, il tempo della fisica
può solo costituire un mezzo metodologico e astratto mediante
il quale rilevare la totale indipendenza dei tempi vissuti e
percepiti - tempi affatto reali e ben determinati - dalla sfera
della natura esterna26.
2s Cfr. ivi, pp. 402-403. Va precisato che il cteapo storico, a cui Weizsacker si riferisce non è quello della successione di fatti eapirici oggetto di studio dello storico. Quello è cteapo depositato nella aeaoria,, capace di descrivere solo il passato con l'intervento deterainante della posizione dello storico, il quale, per di più, guarda attraverso un teapo calcolato secondo i criteridi della fisica: si veda di Weizsàcker Gestalt ond leit, Balle, Hieteyer, 1942 {cit. W-leit), p. 18. 26 Cfr. Einleitung {W-GS III), p. 404.
27
II. Tra 1933 e 1940:
Lo sviluppo di alcuni concetti
L'introduzione del concetto di «tempo biologico~
a. Lo «zeituberbruckende Gegenwart» di P. Auersperg.
L'importanza ricoperta dal tema del tempo nell'opera di
Weizsacker si manifesta gradualmente con l'ampliarsi della
portata scientifico-filosofica della teoria del Gestaltkreis.
Negli scritti Der Gestaltkreis del 1940 e Gestalt und Zeit del
1942 troviamo le formulazioni più ricche e articolate del
concetto di tempo: in esse il fattore temporale rappresenta un
elemento cardine assolutamente imprescindibile.
Si può indicare come momento essenziale per l'introduzione
del tempo nella teoria weizsackeriana l'intensificarsi della
collaborazione scientifica con A. Auerspergl, la cui attività
sperimentale approda, intorno alla metà degli anni trenta, alla
formulazione del concetto di «tempo biologico». Il contributo
di Auersperg alla ricerca di nuove risposte ai problemi posti
in ambito biologico dalla conservazione dei fondamenti classici
della fisiologia era apparso a Weizsacker non del tutto
soddisfacente, «ma - dichiara Weizsacker - trovai nelle sue
riflessioni e nei suoi esperimenti anche un elemento affatto
differente, non del tutto facile da estrapolare, che doveva
però condurci a progressi più fondamentali. Si tratta
dell'introduzione di un "concetto di tempo biologico"
nell'interpretazione degli esperimenti fisiologici» 2 • Le
constatazioni sperimentali di Auersperg mettono in chiara luce
1 Cfr. S. Eaondts, Nenscbenrerden in Beziebung, cit. p, 202. 2 Katur und Geist (W-GS I), p. 77.
28
che il tempo vissuto {erlebte Zeit) non è il tempo della
misurazione fisico-matematica, ma tempo presente che connette
passato e futuro: «il tempo vissuto è costituito in maniera
completamente diversa dal tempo matematico. Il tempo matematico
è un continuum pensato come lineare e omogeneo; il tempo
vissuto è presentificazione di una connessione che dal passato
va verso il futuro attraverso il presente»J. Il piano del
vissuto - in cui gli oggetti esistono «attraverso» il tempo
(durch der Zeit hindurch) - si separa dal piano del concetto
fisico - ove gli oggetti si trovano in relazione reciproca
«nel» tempo.
Dedicandosi allo studio di fenomeni ottici già noti a Mach
con il nome di «strisce irregolari dell'immagine postuma»
{regelwiedriger Nachbildstreifen), Auersperg pose l'accento sul
dato temporale emergente dall'illusione del sincronismo, sul
fatto cioè che nella percezione ottica si verificasse talora
una sorta di «scomposizione» e «ricomposizione» dei tempi
sperimentali oggettivi con i quali veniva presentata una
successione di punti luminosi. Tale dato offriva lo spunto per
rivedere non solo le basi del principio secondo cui si
dispongono percettivamente i fenomeni ottici, ma altrettanto il
significato da attribuire alla dimensione temporale nel
processo percettivo: «fummo allora costretti dai nostri
risultati - afferma Auersperg in un saggio elaborato nel 1935
insieme a H. Sprockoff - a cercare la forma adeguata per la
rappresentazione dell'ordinamento biologico non nell'ambito
della situazione stessa, ma nella dimensione temporale» 4 • In
3 lunktionsrandel der Sinoe (W-GS III), p. 587. J. von Kries aveva insegnato che il tempo non è esso stesso oggetto di percezione, a aeno che non ci si occupi di intervalli, velocità, ecc.; 1entre gli oggetti della percezione sono presenti o trascorsi nel teapo. Ma questo principio, sostiene Weizsicker, non è in sé ditostrabile. • Auersperg, A.P. - Sprockhoff, H., lxperi•entelle Beitrige zur lrage der lonstanz der Sebdinge und ibrer lundierung (1935) «Pflfigers Archiv fùr die gesaaate Physiologie, 236 (1936), pp. 301-320, p. 308.
29
particolare il fenomeno della visione simutanea di processi
diacronici metteva in discussione la possibilità di
un'interpretazione parallelistica della percezione,
determinando la successione causale fenomenica una rottura del
nesso causale lineare indispensabile alla spiegazione fisico
oggettivistica. La componente prolettica che si evidenzia con
l'aspettativa di un certo esito nella visione dell'immagine
offre un valido sostegno al quadro teorico impostato
dall'indagine weizsackeriana: «se allora vogliamo andare più a
fondo nel significato biologico dei nostri risultati fenomenici
-che può essere anche solo la collocazione dell'individuo nel
suo ambiente - dobbiamo porre, al posto della dipendenza
univoca del reagente dall'ambiente, un nuovo concetto di
disposizione che sulla scorta della teoria del Gestaltkreis di
von Weizsacker denominiamo coerenza»s. Lo specifico carattere
della temporalità percettiva - definita da Auersperg «creativa»
- si dimostra la fluida compresenza di porzioni temporali
differenti nello «zeituberbruckende Gegenwart» 6 : non si tratta
di un qualunque puntiforme «presente» indicato su di un asse
temporale omogeneo, ma di un'«attualità» che connette il
passato al futuro in una forma temporale presente capace di
indicare - afferma Auersperg - «quella temporalità comprensiva,
estensiva che poniamo alla base della costituzione della
"realtà"»'.
5 lvi, p. 312. Sul concetto di «coerenza) si veda oltre. 6 lvi, p. 316. 1 lvi, p. 317.
30
b. Il tempo «centrato nel presente»
Nel saggio Gestalt und Zeit Weizsacker sostiene che
l'elaborazione del concetto di tempo biologico costituisce il
risultato di una ricerca del tutto autonoma dalla discussione
filosofica che ha visto protagonisti pensatori come Bergson,
Scheler e Heidegger. Essa si baserebbe infatti sui risultati ai
quali ha condotto un preciso percorso metodologico
rigorosamente scientifico e non rappresenterebbe affatto -
precisa Weizsacker - un'«applicazione di quelle precedenti
conoscenze»s, ma un conseguimento «parallelo» ad esse.
Weizsacker sembra alludere in tal modo alla possibilità di
vedere nei risultati teorici ottenuti in campo scientifico un
parziale «analogo» - e per certi aspetti una conferma - del
nucleo comune individuabile in alcune concezioni filosofiche
del tempo. D'altronde, l'indipendenza dell'indagine e del
processo di formulazione del concetto weizsackeriano di tempo
dal dibattito specificamente filosofico non esclude, di per sé,
la possibilità di un'influenza, diretta o indiretta, di certe
idee e principi contemporanei sulla sua posizione 9 •
In ogni caso, è certamente significativo che sia lo stesso
Weizsacker a suggerire la stretta vicinanza della propria
concezione a quelle dei filosofi sopra menzionati. Abbiamo già
trovato nell'opera weizsackeriana espliciti rimandi al pensiero
di Bergsonlo e per quanto concerne Scheler, questi ha avuto con
Weizsacker un rapporto d'amicizia e di scambio intellettuale
8 W-Zeit, p. 8. 9 E' noto che in particolare la filosofia heideggeriana ha avuto una certa incidenza sul pensiero scientifico conte1poraneo. Si possono vedere a proposito: Astrada, C. (a cura di), Kartin Heideggers EinfluP aut die Kissenscbaften, Bern, rrancke, 1949; Ganger, H.-H. (a cura di), Von Heidegger ber. Kirkungen in Pbilosopbie, Kunst, Kedizin, rrankfurt a.M., Klostermann, 1990. 1° Cfr. anche S. Etondts, Kenscbenrerden in Beziebung, cit., p. 199.
31
che ha lasciato senz'altro la sua improntalt. Ma è sulla
vicinanza alla concezione del tempo heideggeriana - per certi
aspetti evidente, ma probabilmente da non sopravvalutare - che
la letteratura critica ha insistito in modo particolare12.
Con l'affermarsi della consapevolezza che il principio
soggettivo rappresenta un momento ineliminabile nella
descrizione dei processi motorio-percettivi si fa strada in
Weizsacker il bisogno di introdurre nello studio scientifico un
nuovo concetto di realtà, un principio che ponendosi alla base
dei risultati teorici e sperimentali ottenuti sino ad allora -
la legge del cambiamento funzionale e la teoria dell'unità di
percezione e movimento - fosse in grado di inquadrare in uno
spettro più ampio la dimensione esistenziale del vivente: «si
sviluppò l'esigenza- dichiara Weizsacker riferendosi al lavoro
degli ultimissimi anni trenta - di proiettare le ricerche non
sulla visione del mondo (Weltbild) della fisica ma sull'essenza
(Wesensbild) dell'uomo. Il Gestaltkreis- aggiunge- dev'essere
considerato anzitutto sotto questo punto di vista, poiché solo
cosi si comprende lo sviluppo storico di quest'idea, da una
colorazione positivistica al suo nucleo antropologico» 13 •
Secondo il principio di realtà che verrà affermandosi nella sua
concezione - definito «parmenideo» - «l'essere appare ai sensi:
esso solo appare, ma quanto appare è precisamente l'essere» 14 -
e Weizsacker non esita, per ulteriori chiarimenti, a rimandare
alla nota Vorlesung di Heidegger Was ist Metaphysik?15 •
In quegli anni il lavoro sperimentale di P. Christian, uno
11 Cfr. Katur und Geist (V-GS I), pp. 29 sgg. 13 Si vedano in particolare H. Buggle, Der Begriff der "leit" bei Viktor von Keizsicker und Kartio Heidegger, Diss. Heidelberg, 1964; s. Emondts, Nenscbeorerdeo io Beziebuog, cit.; D. Vyss, Viktor von Keizsickers Stelluog in Pbilosopbie uod Antbropologie der Keuzeit, in V. von Veizsacker - D. Vyss, lriscbeo Kedizin uod Pbilosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1957, pp. 181-290. 13 Katur uod Geist (V·GS I), p. 83. 14 lbid. 1S lbid.
32
dei più stretti collaboratori di Weizsacker, particolarmente
vicino al pensiero di Heidegger, si muoveva precisamente in
questa direzione. La visione in cui si inserivano i suoi
esperimenti sulla percezione considerava il movimento colto nel
fenomeno principalmente come «attività» (Wirksamkeit),
precedente ed indipendente da qualunque rappresentazione
spaziotemporale oggettiva. Mediante l'aggancio alla specificità
della realtà strutturale dell'atto biologico - dichiara
Weizsacker - «si ottenne una nuova e sorprendente
interpretazione della percezione sensibile: essa apparve ora
non più come un velo che deforma la situazione reale fisico
matematica, ma addirittura come la sua annunciatrice» 1 6. Le
conseguenze di questo passaggio si faranno sentire
nell'impostazione teorica di Weizsacker soprattutto nel periodo
seguente la pubblicazione di Der Gestaltkreis.
Sino ad allora non solo la filosofia esistenziale non
costituisce per Weizsacker un punto di riferimento - egli non
si è formato seguendo un itinerario teoretico affine a quello
di Heidegger o Jaspers, né tanto meno attraverso i principi del
loro pensiero, che «non costituiscono, afferma Weizsacker,
componenti della mia sostanza»17 -, ma il suo atteggiamento nei
confronti del concetto di filosofia esistenziale rimane a lungo
sostanzialmente scetticola. Si trattava in realtà di uno
scetticismo allargato alla filosofia in generale, allo stesso
«fare filosofia», dettato dalla convinzione che l'esistenza non
potesse avere il proprio compimento nel pensiero, ma
esclusivamente nella pratica. Pur essendo convinto di non avere
mai pensato sino in fondo che si potesse fare scienza senza
filosofia - questo sostiene nei suoi scritti autobiografici -
16 lvi, p. 85. 17 lvi, p. 28. 18 lvi, p. 28.
33
la consapevolezza piena di ciò doveva maturare in lui solo più
tardi. Quanto all'esistenzialismo dichiara: «ciò che
propriamente intendevo quando sostenevo il mio scetticismo nei
confronti della filosofia dell'esistenza poté divenire chiaro
solo allorché si determinarono nuovi avvenimenti»19. In tal
modo egli, pur riconoscendo la pregiudizialità della sua prima
posizione e la possibilità di attribuire ampi riconoscimenti
alla filosofia esistenziale, non smentisce sostanzialmente la
sua posizione di distanza.
Prima di tentare qualunque avvicinamento del pensiero
weizsackeriano con la concezione del tempo di Heidegger -
poiché questo è ciò che interessa - è necessaria una breve e
persino banale premessa: è già chiaro che Weizsacker è estraneo
all'impostazione filosofica di Heidegger. Non si tratta qui di
compiere un'analisi antologico-esistenziale del Dasein ma di
valutare le componenti essenziali dell'attività biologica.
L'atto biologico si determina come «incontro» tra organismo e
ambiente. Nell'incontro il fattore temporale viene ad assumere
un ruolo prioritario, ma la temporalità non rappresenta
qualcosa come «il senso della cura»: concetti come «cura» e
come «senso» non hanno corrispondenza alcuna - almeno sino agli
anni quaranta - con le fondamenta teoretiche del pensiero
weizsackeriano. La teoria del Gestaltkreis si muove su di un
piano che Heidegger definirebbe senz'altro preontologico 20 -
Weizsacker extraontologico.
Ciò premesso, è senz'altro possibile individuare un
elemento comune al pensiero dei due autori nell'estraneità e
contrapposizione del principio temporale da essi tematizzato al
19 lvi, p. 29. ze M. Beidegger, Sein und Zeit, GesaJtausgabe 2 (trad. it. Essere e te1po, a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976), p. 230.
34
concetto di tempo fisico21: ma si tratta di un elemento ancora
poco indicativo. Una convergenza più specifica si può invece
ritrovare nel rapporto che si determina tra tempo ed ente:
l'esserci di Heidegger come il vivente di Weizsacker non sono
«calati» nella dimensione temporale, ma la temporalità
«proviene» dall'essere specifico rispettivamente del Dasein e
dell'organico 22. Ancora più significativo è il carattere per
entrambi estatico del tempo. «La temporalità - afferma
Heidegger- è l'originario "fuori di sé", in sé e per sé.
Perciò noi chiamiamo i fenomeni esaminati sotto i titoli di
avvenire, esser-stato e presente, le estasi della
temporalità»23; similmente Weizsacker definisce estatico lo
«zeituberbruckende Gegenwart»24, in cui passato, presente e
futuro si compongono in un'unità non «sommativa» - come
d'altronde aveva precisato lo stesso Heidegger2 5 -, ma
prolettica ..
Mentre però Weizsacker determina la temporalità biologica
essenzialmente come Gegenwartszeit, tempo «centrato» nel
presente, «attualità che connette passato e futuro 26, Heidegger
rivendica per il futuro il ruolo di «estasi» decisiva: non solo
il presente, ma persino «il passato scaturisce in certo modo
dall'avvenire»27. «Nell'enumerazione delle estasi- dice
Heidegger- abbiamo sempre dato il primo posto all'avvenire ..
Ciò vuol significare che l'avvenire vanta un primato
nell'ambito dell'unità estatica della temporalità originaria e
autentica[ ... ]. Il primato dell'avvenire subirà certo una
21 H. Buggle in Der Begriff der "Zeit" bei Yiktor von Yeizsicker uod Nartio Heidegger, cit., vi insiste tolto. 22 W-Zeit, p. 14 e p. 19; M. Heidegger, Sein uod Zeit, cit., J 45 e 65. 23 M. Heidegger, Seio uod Zeit, cit., p. 395. 24 Cfr. W-Zeit, p. 19. 2s M. Heidegger, Seio uod Zeit, cit., p. 392. 26 W-Zeit, p. 19. 27 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 392.
35
modificazione nel processo di temporalizzazione della
temporalità inautentica, ma sarà comunque visibile anche nel
«tempo» derivato»2a. La temporalità prolettica di Weizsacker
non ha il senso dell'«essere per» il futuro; !'«attesa»
(Erwartung) caratteristica del fenomeno prolettico non è
propriamente un'«anticipazione», ma una forma di «apertura»
alla possibilità come «sospensione» - non preveggenza, ma
esposizione alla «sorpresa» (Ueberraschung); e d'altro canto,
la «decisione» che interviene nell'atto biologico a rompere
l'indeterminatezza del futuro non è Entschlossenheit che
alludendo all'eliminazione di una chiusura prepara la priorità
dell'avvenire, ma Entscheidung, un cambiamento repentino, uno
stacco che segna !'«attimo», !'«adesso», il momento preciso
dell'«ora» (Jetzt), in cui ha luogo la fondazione
dell'effettività temporale organica.
c. Tempo soggettivo e tempo organico
In un breve paragrafo dedicato al concetto di tempo in Der
Gestaltkreis del 194029 si trovano puntualizzate in funzione
del contesto teorico globale alcune riflessioni sulle modalità
e sugli oggetti della conoscenza in un passaggio essenziale che
può permetterei di cogliere al meglio la reale portata del
concetto di «tempo biologico». Il concetto di tempo - sostiene
qui Weizsacker - si mostra al senso comune per un verso sotto
l'aspetto dell'intuitività, di quell'evidenza (Anschaulichkeit)
«in virtù della quale ordiniamo gli avvenimenti nel tempo e li
possiamo esperire in una forma temporale»; per altro verso
28 lvi, p. 395. 29 W-Der Gestaltireis 1940, pp. 58-61.
36
sotto l'aspetto della misurabilità di entità temporali3o. Il
fatto che questi due aspetti non si presentino come
inseparabili porta con sé la possibilità teorica che non tutto
ciò che è intuitivamente temporale sia anche misurabile, e
quindi indagabile secondo i metodi del procedimento
quantitativo. Il fatto inoltre che storicamente svariati
tentativi di presentare questi due aspetti del tempo come
inseparabili non abbiano avuto successo alcuno - né sul piano
filosofico, né su quello fisiologico, dove in particolare il
pensiero di Kant, in parte viziato da forzature e distorsioni,
aveva rappresentato un punto di aggancio durevole ma illusorio
- spinge a tentare la strada della separazione di due concetti
di tempo: «il concetto di tempo pare - per via di molti segnali
- uno di quei concetti dalla cui revisione poter sperare una
composizione del contrasto ed un ordinamento unitario del
sapere scientifico»31. Tra la temporalità «intuitiva» e la
temporalità misurabile matematicamente esiste difatti la più
grande differenza: «L'ordine intuitivo di una formazione può
essere propriamente solo descritto, il tempo matematico può
propriamente solo essere pensato o definito»32. Il dato che ne
emerge è che il concetto di tempo cambia a seconda che ci si
occupi dell'oggetto della percezione soggettiva o di quello
della conoscenza obiettiva. L'oggetto della percezione va
considerato come «esistente attraverso il tempo», secondo
l'espressione coniata da Auersperg come «zeituberbruckende
Gegenwaro33; mentre l'oggetto della conoscenza è ciò che
30 lvi, p. 58 31 lvi, p. 8. Concetto di teapo non è «uno dei tanti), uno qualunque di quelli che andrebbero riveduti, aa senz'altro il principale (insieme a quello di forma). Ma la questione può essere affrontata a partire da punti diversi, co1e di1ostra la diversa iapostazione delle opere di W., ed è quindi possibile rivolgervisie la cosa riguarderebbe coaunque anche il tempo - anche aediante la revisione di altri concetti della scienza. 32 lvi, p. 59 33 Cfr. Auersperg, lzperiJentelle Beitrige, cit. p. 316.
37
consideriamo posto in un tempo omogeneo continuo. L'oggetto
della percezione anche nel cambiamento resta ciò che era e che
sarà; l'oggetto della conoscenza invece è identico a se stesso
o non lo è, è costante o non lo è, è eguale o diverso34. Le
caratteristiche degli oggetti si definiscono sulla base di
modalità diverse delle possibilità di conoscenza soggettiva:
l'una non esclude l'altra ma vanno reciprocamente distinte
insieme con i loro oggetti.
Sin qui si tratta dunque di oggetti della conoscenza in
generale, di oggetti gnoseologici che a seconda del modo in cui
vengono colti, percettivamente o razionalmente, presentano
caratteristiche temporali diverse: e ciò giustifica la
distinzione di due concetti di tempo. «Queste importanti
determinazioni - aggiunge quindi Weizsacker -, da cogliere ora
non nel concetto di tempo ma a partire dagli oggetti, hanno le
più diverse conseguenze»3s. Prosegue poi con una riflessione
riguardante gli oggetti in se stessi, nella loro specificità -
potremmo dire- «ontologica»36: poiché gli oggetti si
trasformano nel tempo divenendo «altro» da ciò che erano,
occorre poter determinare in che cosa consiste la loro
«stessità» (Derselbigkeit o Selbigkeit). Se si prende in
considerazione un organismo si può constatare che la modalità
del suo sviluppo - della trasformazione delle sue componenti e
della forma fenomenica - si fonda su di un rapporto tra
«stessità» e cambiamento profondamente diverso da quello
caratteristico del semplice corpo fisico. La sua stessità non
si fonda sull'identità delle parti materiali o del modo in cui
esso appare formalmente: qui si ha a che fare con un problema
storico-genetico e non matematico e meccanicistico. Ciò che
34 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 60. 35 Ibii 36 Weizsacker attribuisce spesso al teraine «antologia, un significato particolare: si veda oltre.
38
appare in un dato modo soltanto «appare» cosi, non «è» anche
cosi. La stessità dell'organico consiste proprio nel fatto che
il fenomeno (Erscheinung) e ciò che appare (das, was erscheint)
non coincidono. Se una determinata cosa può essere la stessa
solo perché non «è» nello stesso tempo, ma appare diversa «nel»
tempo, significa che la cosa è trascendente il suo fenomeno. Un
sistema materiale regolamentato da leggi fisiche può essere
conosciuto solo se si ha l'identità delle sue parti e le
relazioni spazio-temporali formali sono univoche, ovvero la
somma di tali determinazioni è in accordo con il fenomeno
(Erscheinung) (le similitudini - precisa Weizsacker - non sono
che parziali eguaglianze); nell'altro caso, quello in cui
consideriamo la cosa attraverso il tempo, il fenomeno e ciò che
appare sono ben distinti. Nel primo caso gli oggetti obiettivi
sono immanenti al tempo, nel secondo sono trascendenti il
tempo37.
Nell'esemplificare le difficoltà concettuali riguardanti la
temporalità, il dualismo di tempo come oggetto della conoscenza
e come oggetto della percezione - appartenente al piano della
teoria della conoscenza - ed il dualismo di temporalità
organica e temporalità inorganica o fisica - concernente il
piano antologico - Weizsacker effettua inesplicitamente un
passaggio che trova la sua giustificazione soltanto
nell'impostazione generale di una teoria della realtà organica:
sussiste una precisa corrispondenza tra oggetti reali, modalità
conoscitive adatte a coglierli e concetti di tempo loro
adeguate, e per quanto concerne l'organico con il solo concetto
di «tempo biologico» - il «tempo della percezione» - è dato
coglierne l'essenza, non invece con le categorie della ragione.
37 Va notato che l'essere i11anente al te1po dell'oggetto inani1ato diviene un «avere teJporalità i11anente,; lo stesso vale per l'essere trascendente al tetpo.
39
Il tempo dei vissuti ed il tempo della realtà organica sono
unificabili sotto il concetto di «tempo biologico» poiché la
percezione è attività vitale e anzi la vita stessa, l'attività
biologica in generale è esprimibile nella forma di relazione
organica percettivo-motoria.
La questione della Gestalt
L'applicazione del tempo obiettivo nella scienza biologica
come in generale il tentativo di spiegare i fenomeni organici
esclusivamente mediante i principi della fisica - spesso non
tanto falsi quanto inutili - ha complicato la situazione della
scienza anziché contribuire a trovare risposte concrete. Il
concetto di prolessi, che sarà essenziale nella definizione
weizsackeriana della realtà organica, rimane assolutamente
escluso dall'universo della fisica; qui il rapporto forma
contenuto viene capovolto: se in ambito fisico-obiettivo il
tempo è forma della determinazione del processo, in ambito
organico il processo è forma per la determinazione temporale
(«prima~, «poi~, ecc.). L'introduzione del fattore
indeterministico che si rende indispensabile nel sistema
causale organico comporta una diversificazione del concetto di
necessità a seconda che lo si ponga in relazione al passato o
al futuro: la necessità del determinato è sostanzialmente
diversa dalla necessità che costringe alla decisione. Questa
spaccatura è all'origine della dialettica dell'organico come
forma (Gestalt) e temporalità: «La dialettica del concetto di
forma è precisamente la stessa del concetto di tempo, che si
scinde in una struttura obiettiva ed una biologica» 38 •
38 ivi, p. 24.
40
La questione inerente il senso del vivente ha contemplato
sin dal pensiero presocratico la possibilità di ottenere una
risposta attraverso l'inclusione di principi opposti. E si
tratta secondo Weizsacker - che pensa in primo luogo ad
Eraclito, ma non esclude Empedocle e Anassimandro39 - della via
più giusta, abbandonata purtroppo - sostiene un po'
sommariamente - a partire da Platone e Aristotele, con i quali
si sarebbero formati partiti alterni a favore di singoli
principi differenti. Il richiamo al filosofo del Panta rei,
allo Skoteinòs che tenta di dire l'indicibile facendosi poeta
del Logos e tratteggiando l'inquieta armonia dei contrari, è
assai frequente, anche se per lo più solo incidentale; in
Eraclito Weizsacker vede, oltre che il padre della dialettica
del divenire, anche e soprattutto colui che più di ogni altro
ha saputo cogliere il senso antilogico più intimo della realtà
patica•o.
Ma se la filosofia ha avuto prestissimo sentore della
complessità e molteplicità di aspetti che presenta la vita, la
storia della fisiologia ci fa constatare che invece solo la
morfologia fisiologica ha saputo individuare l'importanza di
alcuni temi centrali come quelli della forma e del tempo. Per
attenerne progressi si dovranno però attendere gli ultimi
sviluppi della fisiologia della percezione. Mentre dunque la
fisiologia classica trascura completamente il problema della
forma, il movimento della Gestaltpsychologie lo pone al centro
dell'attenzione. Tuttavia- sostiene Weizsacker - la teoria
39 Si veda Anony1a Scriptura {W-GS VII), p. 56 (trad.it, Id., Anonili in. V. von Weizsicker, Filosofia della 1edicina, a cura di !h. Henkelaann, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 175-216, p. 185). Di Eraclito si possono vedere in particolare i fraamenti l; 8; 64; 65; 76; 53; 80; 88; 103 (nuaerazione Diels-Kranz). •o Cfr. Anony1a (V-GS VII), p. 56 (p. 185), dove Eraclito viene contrapposto agli idealisti tedeschi. Si vedano anche Begegnungen und Entscbeidungen (W-GS I), p. 307, e Das Antilogiscbe 1950 (W-GS VII, pp. 316-322), p. 466. Dna brevissiaa osservazione- quasi ingenua- è di dovere: ciò che per Eraclito concerne l'intero Essere ed ha valore cosaico, ciò in cui Weizsicker riconosce il palpitare del patico, viene attribuito da quest'ultiao alla sola sfera dell'organico.
41
della Gestalt, pur avendo ottenuto risultati apprezzabili e
rappresentando comunque un passo in avanti per le ripercussioni
che l'introduzione del concetto di Gestalt ha avuto nell'ambito
fisiologico, non è riuscita a cogliere la reale entità della
questione e a darle l'impostazione più corretta41.
Un esperimento riguardante il movimento stroboscopico mette
in chiara luce quali siano i termini della principale
difficoltà incontrata dalla fisiologia classica: se vengono
presentati in successione due punti luminosi immobili, la
percezione non coglie la «datità oggettiva», una separazione
tra i punti e un rapporto cronologico causale, ma una forma
(Gestalt). Quello che si ottiene nella percezione è la
composizione simultanea di due stati successivi l'uno all'altro
e la rappresentazione percettiva di un percorso come forma di
un movimento (cioè di successivi «passati») in un «atto di
memoria»; e ciò si verifica in ogni visione di movimento. Nella
fisica tradizionale dati come il «percorso» e la «forma» non
hanno realtà alcuna. La produzione di forme si verifica
egualmente in situazioni di stasi. La percezione di forme -
considerata da Weizsacker questione specifica della biologia,
non essendo la fisica capace di occuparsene - richiede sempre
un'anamnesi e non è separabile dalla questione del tempo 42 . Da
qui i risultati dell'analisi svolta da Weizsacker si
differenziano sia da quelli ottenuti della fisiologia delle
sensazioni, sia da quelli ottenuti dalla psicologia della
Gestalt: «la ricerca analitico-causale - dichiara Weizsacker -
trova nelle Formen o Gestalten il suo limite» 43 •
41 W-leit, p. 25. Valutazioni positive dei risultati ottenuti dalla Gestaltpsycbologie si trovano in lunktionsraodel der Sinne (W-GS III), pp. 582-3; Oie fitigkeit des leotralnervensrsteJs (W-GS III), p. 564. Meno positive in: linleitung (W-GS III), p. 417 sg., Der Abbau der sensiblen lunktionen (W-GS III), p. 447. 42 Cfr. W-leit, p. 25. 43 lvi, p. 29.
42
a. Il richiamo a Goethe
Il frequente richiamo di Weizsacker al lavoro di J. Goethe
è motivato specialmente dall'attenzione rivolta al tema della
Gestalt. La coniazione del concetto di morfologia, che si fa
risalire a Goethe 44, risponde al bisogno di dare consistenza
scientifica ad un'intuizione che coglie l'esistenza di
Gestalten in metamorfosi nel mondo naturale - oltre che in
quello storico ed artistico. La Gestalt non costituisce un'idea
intellettuale e astratta, è invece inseparabile dall'esperienza
empirica; essa coglie dinamicamente l'intero e rimanda a ciò
che più vi è di originario in natura. In applicazione
all'ambito scientifico, la morfologia diviene studio delle
forme organiche vegetali ed animali: essa «deve contenere la
teoria della forma, formazione e trasformazione dei corpi
organici». Senza alcuna pretesa di spiegare, ma proponendosi
solamente di descrivere e rappresentare, essa è da considerarsi
«o come dottrina a sé, o come scienza ausiliaria della
fisiologia»4s. Alla base del concetto di Gestalt è il divenire
caratteristico della realtà organica: «Il già formato viene
subito ritrasformato»46, per questo la percezione della forma
non può avere un carattere statico.
La corrispondenza con il concetto di Gestalt assunto da
Weizsacker non è piena, ma assai forte. Lo attesta anzitutto il
motto didascalico - omaggio a Goethe - in apertura al saggio
Gestalt und Ze1t. Si tratta della nota definizione di Gestalt
44 Il teraine venne usato priaa di Goethe da C.F. Burdach nel 1800 per indicare, indistintaaente, la foraazione organica e inorganica. Nel 1817 egli lo usò richiamandosi invece a Goethe. 45 J.W. Goethe, Vorarbeiten zu einer Pb!siologie der Pflanzen, trad. it. Id., Lavori preliJinari per una fisiologia delle piante, in Id., La JetaJorfosi delle piante, a cura di S. Zecchi, Milano, Guanda, 1983, p. 103. 4' J.W. Goethe, Die Absicbt eingeleitet, trad it. Id., Introduzione all'oggetto, in Id. La 1eta1orfosi delle piante, cit., p. 43.
43
organica dello scritto introduttivo ai lavori di botanica del
1807: «se esaminiamo le forme esistenti, ma in particolar modo
le organiche, ci accorgiamo che in esse non v'è mai nulla
d'immobile, di fisso, di concluso, ma ogni cosa ondeggia in un
continuo moto»4 7 • La Gestalt nella concezione weizsackeriana,
sia nel più ristretto ambito della teoria della percezione, che
nel più ampio della concezione della realtà organica, è
inseparabile dall'idea di movimento ed indefinibile senza
ricorso ad esso. «Perciò - prosegue la citazione da Goethe - il
tedesco si serve opportunamente della parola Bildung,
formazione, per indicare sia ciò che è già prodotto, sia ciò
che sta producendosi. Ne segue che, in un'introduzione alla
morfologia, non si dovrebbe parlare di forma (Gestalt) e, se si
usa questo termine, avere in mente soltanto un'idea, un
concetto, o qualcosa di fissato nell'esperienza solo per il
momento» 4s. Ma la scelta terminologica di Goethe si chiarisce
meglio se si legge anche quanto nel saggio del 1807 precede la
citazione riportata da Weizsacker: «Per indicare il complesso
dell'esistenza di un essere reale, il tedesco si serve della
parola Gestalt, forma; termine nel quale si astrae da ciò ch'è
mobile, e si ritiene stabilito, concluso e fissato nei suoi
caratteri, un tutto unico»49. E' per evitare che si possa
fraintendere il senso da attribuire alla forma che Goethe
rinuncia alla parola Gestalt a favore del termine Bildung50 • Ma
rispetto alla concessione estrema fatta da Goethe - quella di
4 7 !bi d. 41 Ibid. 49 Ibid. so Sulla Bildung co•e concetto espriaente in Goethe la continuità ed il divenire del processo foraativo, si possono vedere in particolare le pp. 107-112 del saggio di S. Fabbri Bertoletti I1pulso, for1azione e organis1o. Per una storia del concetto di Bildungskraft nella cultura tedesca, Firenze (Olschki) 1989. Si veda anche il breve scritto di Goethe Bildungstrieb (1817-1818), pubblicato in lur Korpbologie I, nel 1820, in cui viene tratteggiata la genesi del concetto di «ciò che dovrebbe venire priaa che noi percepiaao qualcosa,, ovvero di cuna tendenza, un itpulso, un'attività vigorosa, da cui la fortazione sarebbe provocata, (Id., I1pulso for•ativo, in Id. La JetaJorfosi delle piante, cit., p. 142).
44
poter forse conservare un'idea astratta di Gestalt, per quanto
inadeguata al reale essa sia -, Weizsacker è assai più
intransigente: le indicazioni di Goethe in questo senso sono
considerate contraddittorie, dato che «se si vuole determinare
una forma non è affatto possibile effettuare una simile
astrazione dal divenire temporale»sl. Inoltre, più in generale,
Weizsacker pensa che la ricerca sulla Gestalt di Goethe,
nonostante gli innumerevoli meriti che senza dubbio le
spettano, non abbia proceduto con sufficiente determinazione
verso «la nascosta essenza di tale cosa»s2.
La nozione di Steigerung, di ascesa graduale, che designa
la composizione armonica di parti o di organismi in uno
superiore e che è elemento essenziale dell'idea di formazione
di Goethe, non rappresenta un processo verticale che a partire
dal livello più basso si eleva in progressione lineare fino ai
più alto grado della forma organica, ma un movimento
ascensionale di tipo circolare. Esso mostra infatti nella fase
conclusiva il ricongiungimento con quella iniziale, e denota
un'evoluzione degli stadi di sviluppo, composti in una
polarizzazione ritmica, che determina la formazione organica,
la Bildung.
Il divenire della forma si effettua secondo una
conformazione temporale che non coincide con quella lineare
caratteristica della successione storica, ma con quella
circolare della concezione classicas3. E' necessario in ogni
caso precisare che, se la ciclicità del tempo nel pensiero di
Platone o degli stoici è connessa all'immutabilità dell'eterno
ritornos4, in Goethe la ciclicità del divenire temporale si
51 W-leit, p. 36. s 2 Ibid. 53 Cfr. s. Zecchi, Il te1po e la Jeta•orfosi, in J.W. Goethe, ta Jetalorfosi delle piante, cit., p. 22. st Si pensi alle celebri definizioni di Platone del teapo coae ciaaagine aobile dell'eternità) e «i11agine eterna che procede secondo il nuaero, (fi1eo, 37d); si veda inoltre il passo di Hemesio che descrive il
45
salda con l'idea di creatività metamorfica e con la mutabilità
perpetua della forma. Se la Steigerung deve indicare un
processo realmente ascendente, pur rappresentando un ritorno al
principio, essa non può essere fatta coincidere con la statica
immagine dell'eterno eguale a se stesso. E il movimento che
viene descritto in questo modo sembrerebbe avere maggiore
affinità con l'immagine della spirale del pensiero dialettico
piuttosto che col circolo del pensiero classico. Nella
configurazione goetheiana del tempo infatti nascita e morte
ottengono il loro significato naturale di «inizio» e «fine» in
seno ad uno sviluppo processuale che mentre trova il proprio
compimento nella fase del «ritorno», dà vita ad un nuovo
inizio.
Goethe tuttavia non ha indicato nel tempo una componente
essenziale alla definizione della Gestalt, non ha affatto
individuato nel tempo, come invece fa Weizsacker, un elemento
dal rapporto imprescindibile con la Gestalt. Ma non è questo il
solo elemento di dissonanza rispetto a Goethe: nel determinare
l'idea di Gestalt, Weizsacker cerca continuamente di
sottolineare !'«apertura» verso l'esterno, verso
l'indefinibilità dei confini che delimitano la Gestalt, essendo
essa costituita proprio nel rapporto circolare con «l'altro».
Goethe non insiste invece su un simile aspetto della Bildung;
nell'osservare la creazione vegetale sembra individuare una
regola, valida per l'intera natura organica, che ne rappresenta
anzi l'opposto: «nessuna vita può agire direttamente sopra una
superficie e qui esprimere la sua forza produttiva: l'energia
vitale ha bisogno di un involucro che la protegga dall'elemento
ripetersi eterno del aoto degli astri misura del teapo: «poi di nuovo si ritorna dal principio allo stesso ordine cosaico e di nuovo tuovendosi gli astri ugualmente, ogni avvenitento accaduto nel precedente ciclo torna a ripetersi senza alcuna differenza. [ ... ]Questo ritono universale si effettuerà non una sola volta aa aolte volte e all'infinito, (De nat. bo1., 38).
46
esterno, sia esso acqua o luce o aria, e difenda la sua
esistenza delicata, in modo ch'essa compia ciò che alla sua
essenza interna appartiene. [ ... ]Tutto ciò che deve prendere
vita, tutto ciò che deve agire in modo vivo, dev'essere
racchiuso in un involucro»ss. Nell'indicare i principi della
metamorfosi delle piante come base per una loro fisiologia,
Goethe distingue due leggi fondamentali della formazione: «1.
la legge della natura interna, in base alla quale le piante
sono costituite; 2. la legge delle circostanze esterne
(ambientali), da cui le piante sono modificate»s6. Dette leggi
presiedono alla regolamentazione di due realtà separate per le
quali il momento dell'incontro non può evitare conseguenze
caratteristiche piuttosto di uno «scontro» che di
un'interazione dinamica. Non solo il vitale è racchiuso e ben
protetto da solidi confini, ma si manifesta come una forza5 7
che dall'interno di un nucleo originario si spinge verso
l'esterno- verso la «non-vita»- con cui l'impatto risulta
localmente rovinoso: «tutto quanto si rivolge verso l'esterno è
precocemente votato alla morte e allo sfacelo» 5s.
Si può aggiungere che invece l'atteggiamento di acuto
osservatore, onesto e ricettivo nei confronti della natura,
suggerito da Goethe al naturalista è accettato senza riserve da
Weizsacker: se se ne vuole cogliere l'essenza vitale, «se
vogliamo acquisire una percezione vivente della natura,
dobbiamo mantenerci mobili e plastici seguendo l'esempio
ch'essa ci dà»S9; d'altronde il segreto della penetrazione
della natura consiste proprio nel rendersi conto del reciproco
ss J.W. Goethe, Die Absicbt eingeleitet, cit., p. 45. 56 Id., Yorarbeiten zu einer Pbysiologie der Pflanzen, cit., p. 100. 57 La definizione della vita coae forza è esplicita nella Yorarbeiteo zu eioer Pbysiologie der Pflanzeo, cit. p. 105. 5& J.W. Go~the, Die Absicbt eingeleitet, cit., p. 45. 59 Il passo è riportato da Weizsacker in W-Zeit, p. 6.
47
influsso che ha luogo tra natura e uomo, allorché questi si
accorge che gli oggetti «gli s'impongono con una tale forza
ch'egli capisce quanto abbia ragione di riconoscerne il potere
e di rispettarne l'azione»6o. Va da sé che, con tutto il
rispetto per le scienze fisiche e storico-naturali, che
mantengono tuttavia una loro funzione e loro propri meriti, il
metodo analitico di scomposizione e sezionamento non può andare
troppo oltre nello studio della composizione dell'insieme
organico: «ciò che prima era vivo è bensi scomposto in
elementi; ma da questi non si può ricomporlo né, tanto meno,
ridargli vita»61. Al medesimo problema conduce l'esperimento
effettuato in laboratorio: senza dubbio alcuno esso ha
notevolmente contribuito allo sviluppo delle conoscenze in
campo chimico, fisico e fisiologico, ma prevedendo l'isolamento
di una parte dal tutto, non consente di osservare la natura nel
suo vivente operare62.
b. La posizione verso la Gestalttheorie
La soluzione al problema della forma proposto da J. von
Kries - che pare avesse dato un'appropriata formulazione alla
questione già alla fine del secolo scorso 6 3 - appare a
Weizsacker del tutto insoddisfacente. Ritenuta problematica la
concezione di Helmholtz, che aveva considerato scientificamente
significativo il contenuto d'esperienza dei sensi e non
semplicemente il loro dato, e che intendeva le forme come
percezioni immediate, frutto di esperienza inconscia e non di
60 Id., Oas Uoteroeh1eo rird eotscbuldigt, in Id., La •eta1orfosi delle piante, cit. p. 41. 61 Id., Oie Absicbt eiogeleitet, cit., p. 42. 62 Cfr. Id., Glucklicbes lreigois, in Id. La 1orfologia delle piante, cit., p. 98. 63 E' quanto afferaa Weizsicker nella Besprecbuog del 1924 J. voo lries, Allge1eioe Syooespbysiologie (W-GS III, pp. 663-670); cfr. inoltre S. Eaondts, Keoscbeorerdeo io Beziebuog, cit., p. 209.
48
elaborazione intellettuale, J. von Kries ricorse nuovamente
all'innatismo - rifiutato invece da Helmholtz -per spiegare la
peculiarità della forma. Le forme degli oggetti verrebbero
proiettate attraverso le rappresentazioni di un apparato
sensorio su di un altro, dando luogo, per la prossimità
spaziale e temporale, ad una fondazione «parallela» della
percepibilità delle forme nella sensazione e nella coscienza.
La fondazione psicofisica doveva render conto non solo della
produzione delle rappresentazioni dei sensi, ma anche della
produzione delle rappresentazioni soggettive. In fondo, però -
sostiene Weizsacker -, neanche von Kries credeva veramente ad
una simile fondazione64.
Alla Gestalttheorie Weizsacker riconosce il coraggio e la
forza con cui ha saputo contrastare il luogo comune secondo cui
«ciò che non viene compreso fisiologicamente va spiegato
mediante concetti psicologici»6s. Ma se essa ha il merito di
aver fatto della questione della Gestalt.una questione
fondamentale, ha tuttavia il demerito di averne dato una
trattazione limitata e sostanzialmente inutile al progresso
della teoria della percezione. Nel saggio del 1927 Ueber
medizinische Anthropologie, Weizsacker precisa che
l'impostazione fisiologica della Gestalttheorie tiene
certamente conto di fattori sino ad allora trascurati:
innanzitutto del fatto che la Gestalt di una reazione non
dipende esclusivamente dall'energia dello stimolo e dalla
capacità di stimolazione, poiché può accadere che l'energia
dello stimolo non esprima affatto ciò che lo stimolo
rappresenta per la capacità di reazione. E' allora più corretto
parlare di Gestalt dello stimolo (Reizgestalt), e più in
,. Cfr. V-Zeit, p. 30. Il parallelismo psicofisico è considerato da Weizsacker una foraa di regresso alla spiegazione naturalistico-aeccanicistica. 65 Kinleitung (W-GS III), p. 417.
49
generale di Gestalt della situazione biologica
(Situationsgestalt). Per «forma situazionale» si dovrebbe
intendere un insieme di elementi significativi di tipo
materiale e psichico che, attraverso qualche necessità
biologica, sono uniti a fini ed idee spirituali. Ove si abbiano
queste Gestalten - che parrebbero avere esistenza
incondizionata - si avrebbe anche una coazione verso un
determinato decorso biologico. Ma gli argomenti portati a
motivare la formazione di quegli insiemi di elementi sono
eterogenei e fondamentalmente appaiono insufficienti.
Weizsacker mette a fuoco alcune delle difficoltà cui va
incontro la teoria della Gestalt: in primo luogo non viene
esaminato come mai ad un determinato impulso corrisponda una
certa Gestalt e non un'altra, dato che il principio di massima
economia non basta a spiegarlo; il senso delle Gestalten,
inoltre, non è univoco, potendo la medesima Gestalt avere
indirizzi o finalità differenti; e per finire, in questo
sistema non è calcolabile anticipatamente il cambiamento di una
Gestalt, cioè la successione dell'associazione degli elementi,
e quindi non si possiede alcun criterio stabile per la
determinazione degli impulsi e delle associazioni. Il tentativo
della Gestalttheorie viene considerato da Weizsacker del tutto
naufragato specialmente di fronte alle conseguenze che Kohler
ne trasse per opporsi al neovitalismo - considerato nello
scritto del 1927 l'ipotesi migliore, anche se purtroppo solo
un'ipotesi66. Nella teoria di Kohler Weizsacker vede
sostanzialmente una «filosofia della natura» caratterizzata dal
regresso ad una forma di parallelismo psicofisico 67 , niente più
66 Per quanto riguarda le critiche a Kohler, di cui Weizsàcker ha presente specialtente Die pb[siscben Oestalten in Rube uod il stationiren lustande, Braunschweig, Vieweg, 1920, cfr. 1ed. Antbropologie (W-GS III), pp. 182-184; si veda anche la linleitung (W-GS III), p. 415. '' Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 12.
50
di quanto aveva concepito von Kries. In essa «la supposizione
secondo cui la Gestalt dello stimolo (Reiz) produrrebbe (in
maniera causale o parallela) la Gestalt della reazione (anche
la percezione sarebbe qui solo una reazione) è falsa nel
momento in cui risulta che questa Gestalt dello stimolo non
dipende unilateralmente solo dall'oggetto stimolante
(Reizobjekt) e in generale esso non è semplicemente dato
oggettivamente. [ ... ]Quando tasto una chiave con gli occhi
chiusi la forma (Form) e la conseguenza dello stimolo sul mio
organo di senso dipendono dalla forma e dalla conseguenza del
mio movimento di tastazione; la Gestalt dello stimolo è allora
determinata su due lati: dall'oggetto e dalla reazione»6 8 • E'
solo questo processo nel suo insieme e nella sua circolarità a
meritare il nome di Gestalt: «Sino a che la Gestalttheorie si
lascia sfuggire questa particolarità, cioè la elimina con
l'astrazione, essa non giunge neppure alla "totalità" del
processo di cui tuttavia sempre· parla»69. La principale critica
mossa contro la Gestalttheorie è perciò di carattere
metodologico e concerne il tentativo, inattuabile secondo
Weizsacker, di individuare il momento di formazione, di
costituzione della Gestalt in un fattore «non-sommativo» e di
«sovraordinamento» del percepito all'interno di un'indagine
dall'impostazione analitica che si serve della rappresentazione
causale' o.
Per quanto concerne lo studio sperimentale condotto dalla
Gestaltpsychologie riguardo al rapporto di forma e tempo,
Weizsacker è dell'opinione che esso si limita in definitiva a
rilevare dati di valore solo accessorio. Dalla dovizia di
'' 1ed. Antbropologie (W-GS III), p. 184. 69 lbid. 7° Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 11 e Id., Patbosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1967 2, p. 206.
51
esperienze disponibili si desume che perché si formino delle
Gestalten deve trascorrere un certo lasso di tempo; che il
tempo necessario alla costituzione delle percezioni è variabile
a seconda che si tratti di Gestalten o di semplici impressioni,
cioè di sensazioni (Empfindungen); che occorrono tempi sempre
più lunghi nel passaggio dalla percezione di forme semplici a
quella di forme complesse, poiché ivi sono necessari atti
composizionali sempre più lunghi. E' quindi chiaro che la forma
e la sua percezione hanno origine e svolgimento nel tempo, sono
cioè in esso geneticamente. Qui non si ha a che fare però con
la struttura del tempo biologico di cui si è trattato sopra,
tempo genetico in un senso del tutto diverso: il «prima» e il
«dopo» si determinano in modo tale che ne risulta non solo un
trascorrere, ma anche un preciso legame tra passato e futuro.
Lo «zeituberbruckende Gegenwart» è differenziabile al suo
interno non perché scorre, ma per il fatto di potersi porre
sempre come presente nel divenire organico: «Nel senso del
tempo obiettivo sempre (Ueberall) avrebbe un significato del
tipo «in ogni momento»; ma il senso dell'essere centrato nel
presente che si autopone non è affatto questo: sempre significa
«hier e Jetzt», senza alcun riguardo per la posizione su di un
asse temporale e per il luogo in uno spazio matematico» 71 • La
critica che Weizsacker rivolge alla Gestaltpsychologie è
sostanzialmente la stessa che si può rivolgere ad ogni teoria
della percezione che si appoggi, direttamente o indirettamente,
alla concezione del tempo obiettivo della fisica classica:
quella di non cogliere l'essenza del processo percettivo, anche
se si cerca di introdurre nella fisiologia degli organi di
senso una nuova funzione attraverso «un agente sinora
71 W-Zeit, p. 31.
52
sconosciuto come "l'intero" o "la Gestalt"»'2. Insomma, non
serve introdurre una funzione che, come le altre psichiche e
fisiologiche, si svolge nel tempo obiettivo e non consente di
spiegare la specificità del rapporto temporale sussistente tra
i diversi momenti del processo percettivo (ma potremmo anche
dire del processo vivente).
L'«essere centrato nel presente» non ha luogo affatto «nel»
tempo, ma «attraverso» il tempo si origina un ordine temporale
che procede all'indietro e in avanti. Si costituisce cosi la
«forma temporale» (Zeitgestalt) di quell'accadere (Geschehens)
che è un «atto biologico». «Deve essere chiaro ora che non è la
Gestalt ad avere origine o a consistere nel tempo, ma è il
tempo che si origina e viene meno nella Gestalt»'3. La forma
temporale del fenomeno nella percezione riceve la sua
conformazione (Gestaltsein) dall'unità di forma
(Gestalteinheit) di ciò che appare: «la forma[ ... ] starebbe
quindi prima rispetto al tempo, che è secondo» 74 •
c. Il pensiero di Driesch
H. Driesch rappresenta per Weizsacker - indipendentemente
dal loro rapporto di conoscenza's - un interlocutore di non
scarsa importanza, avendo suscitato il neovitalismo un ampio e
vivace dibattito nell'ambiente filosofico e scientifico
dell'epoca difficile da eludere. Le istanze avanzate da questa
corrente di pensiero trovano in realtà vasto riscontro, anche
se le soluzioni proposte dal vitalismo non riscuotono affatto
72 lioleituog (W-GS III) p. 418. n V-leit, p. 31. 14 Ibid. 75 Si veda !h. Henkel1ann, Viktor vov Keizsicker (1886-1957). Naterialieo zu heben und Kerk, Heidelberg, Springer, 1986, pp. 46-47.
53
il medesimo successo76.
In un saggio pubblicato nel quinto volume degli «Annalen
der Philosophie und philosophischen Kritik», Driesch - in
polemica ormai da anni con la Gestalttheorie di Kohler - compie
ad una definizione delle peculiarità dell'organico in cui viene
sottolineato il contrasto con la concezione kohleriana, secondo
la quale sarebbe possibile riferire il carattere di Ganzheit
non solo alla natura organica, ma anche all'inorganica''· Le
conclusioni di Kohler sono viziate, secondo Driesch, dal
grossolano errore di non aver distinto in modo adeguato le
possibili forme di legame tra le componenti di un insieme. A
differenza della semplice Und-Verbindung, una relazione di
sommazione tra elementi puramente esteriore, nella Einheit si
verifica la possibilità di interazione tra le diverse
componenti di un insieme. La fisica e la chimica sono, ad
esempio, Einheiten in tale senso. Una somma di elementi, un
insieme dal carattere sommativo (summativ), è una Einheit, ma
non una Ganzheit. Il termine Ganzheit viene riservato da
Driesch ad un genere di legame affatto particolare. La
difficoltà principale, e fonte di seri fraintendimenti,
consiste nel dare una chiara e precisa delimitazione
dell'ambito di applicazione del concetto. Kohler, definito un
«sistema puramente sommativo» come un insieme in cui la
composizione delle parti non causa alcun cambiamento delle
parti stesse, individua in certi tipi di sistema, come quello
'' Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia 1oderoa, III, torino, Einaudi, 1955, in partiolare p. 309 e p. 319. A proposito dell'attenzione riservata a Driesch nell'aabiente filosofico può essere interessante consultare l'articolo di M. Bassanese, ta noia e il 1oodo della vita aoi1ale, «Verifiche, 1996, pp. 37-91, in cui si accenna all'influenza eserciata da Driesch su Heidegger -dal quale tuttavia egli prende distanza (ivi, pp. 51-53). Le tesi di Driesch, coae vedremo, sono al centro dell'attenzione di Plessner. '' H. Driesch, "Pbysiscbe Gestalteo' uod Organis1en, cAnnalen der Philosophie und philosophischen Kritik, 5 (1925-1926), pp. 1-11 (rist. A1sterda1, Svets-Zeitlinger X.V. 1967), p. 1. In questo articolo Driesch ha di tira in particolare gli scritti di Kohler Die pbysiscben Gestalten io Rube uod io statiooire Zustaod, Erlangen, Verlag der philosophische Akadeaie, 1919, e GestaltprobleJe uod Aofioge eioer Gestalttbeorie, cJahrbericht uber die Gesaate Physiologie,, 1922, diretto contro il pensiero dello stesso Driesch.
54
costituito dall'interazione tra campi elettrici, sistemi di
tipo particolare non semplicemente sommativi, dato che vi si
possono determinare reali modificazioni delle parti (come
quando in un sistema di certe cariche elettriche viene
introdotta una nuova carica). Detti sistemi presentano una
forma fisica loro propria dipendente dalla strutturazione
spaziale o topografica dei loro elementi. Attraverso simili
considerazioni Kohler formula la teoria che sostiene
l'esistenza di Ganzheiten inorganiche, caratterizzate da quella
speciale forma di unità che non posseggono le semplici «somme»
di elementi. Al contrario, Driesch ritiene che sistemi di tale
genere non possano essere considerati altrimenti che semplici
Einheiten e che si può definire Ganzheit solamente un sistema
organico. Il fatto che in un sistema elettrico si verifichino
dei cambiamenti delle parti non concerne la sua «essenza»,
l'essenza dell'insieme di parti, ma solamente la sua attualità
dinamica. Rimane infatti valido per esso il principio
deterministico secondo il quale, conoscendo le diverse
componenti (velocità, forze, situazione), si sarebbe in grado
di determinare ciò che accade all'interno del sistema. Quanto
poi alla topografia fisica come condizione e fondamento di ciò
che accade nel sistema, Driesch sostiene che qualcosa di
estraneo all'essenza stessa del sistema, come lo è la
topografia, la semplice disposizione delle parti, non può dare
origine ad una Ganzheit, ma solo ad un tipo di unione che nulla
ha a che vedere con la specifica forma di unità essenziale
caratteristica esclusivamente dell'essere biologico 78 • Infine i
corollari della teoria di Kohler non sarebbero in grado di
descrivere determinati aspetti della realtà organica: fenomeni
come quello della «equipotenzialità armonica» osservata e
7' H. Driesch, tPbysiscbe GestaltenJ und Organis1en, cit., pp. 4-6.
55
descritta da Driesch in seguito a molteplici sperimentazioni
non potrebbero mai avere un analogo in quanto accade nei
sistemi inorganici 7 9. In un sistema organico la struttura o la
forma della Ganzheit è dovuta a specifiche caratteristiche
della sua essenza, è il risultato della dinamica di una
particolare forza interiore, che rende impossibile una sua
deduzione da principi di ordine meccanicisticoao.
Dal canto suo Weizsacker non avrebbe avuto difficoltà
alcuna a sottoscrivere la critica metodologica rivolta da
Driesch a Kohler: l'idea della specificità dell'organico, della
sua inconfrontabilità ed indeducibilità dal sistema
meccanicistico delle leggi fisiche, è da Weizsacker pienamente
condivisa, come lo è d'altronde la richiesta fondamentale
avanzata dal vitalismo di una revisione filosofica dei
fondamenti della scienza biologicaal. «Nella misura in cui
presupponiamo il diritto e la necessità di questa esigenza -
scrive Weizsacker in un saggio giovanile dedicato al
neovitalismo - troviamo il metro della nostra critica su di un
piano diverso da quello dell'antitesi al meccanicismo- nel
quale il vitalismo resta impigliato»a2. Di fatto i
riconoscimenti di Weizsacker alla teoria vitalistica di Driesch
non mancano: in primo luogo la sua polemica ha evidenziato la
necessità di un allargamento del concetto kantiano di natura;
egli ha debitamente insistito sull'inadeguatezza del rapporto
causa-effetto meccanicistico nello studio dell'organico e in
genere sulle molteplici difficoltà che presenta il tentativo di
aggettivazione dell'organismo, traducendo tutto ciò nella
79 lvi, pp. 6-7. 80 lvi, p. 4. 81 Cfr. di H. Driesch, Die Biologie als selbstindige Gruodrissenscbaft uod als Systhel der Biologie. Ein Beitrag zur Logik der Katurrissenscbaften, Leipzig, Weizsacker Engelmann, 1911 2
a2 Weizsacker, V. von, KeovitalisJus, cLogos, II (1911-1912), pp. 113-124, p. 115.
56
fondamentale categoria di «individualità organica,s3.
Ma gli sforzi compiuti dal vitalismo per liberare la sfera
biologica dalla catena dei principi meccanicistici si risolvono
di fatto in un fallimento. Nell'opera di Driesch, non solo le
prove a favore dell'impossibilità di una comprensione
meccanicistica dell'organico risultano, agli occhi di
Weizsacker, non convincenti nella loro impostazione, ma è del
tutto ingiustificato inferire a partire da tale -impossibilità,
eventualmente comprovata, che ciò di fronte· a cui ci si trova è
veramente un organismo, ed ancora meno lo è asserire che alla
sua base vi sia un principio entelechiales4. A questa critica
di carattere logico si aggiunge la conflittualità introdotta
nella sfera naturale dalla pretesa interazione di un principio
metafisica con il piano materiale di una natura ancora soggetta
ad una legislazione meccanicistica. L'entelechia è infatti
concepita come una forza del tutto diversa dalle forze fisico
chimiche naturali, autonoma rispetto ad esse, capace tuttavia
di intervenire su queste in modo da determinare la forma
dell'organismo e direzionarne l'attivitàas. L'interazione con
il piano materiale avviene «dall'esterno», e agisce in modo da
«sospendere» processi altrimenti possibili secondo leggi della
materia inorganica. Il concetto di organismo si costituisce sul
fondamento di una duplicità di principi destinata a sfociare in
una contraddizione: quando si afferma che una «unità organica»
si «autoconserva», ovvero trova in se stessa il principio del
proprio movimento, della propria attività e finalità, si
83 lvi, p. 119. 84 Cfr. ivi, p. 116. 85 Si possono consultare le opere di H. Driesch: Philosophie des Organischen, 2 voll., Leipzig, Engelaann, 1909; Id. Der Yitalis1us als Ceschichte und als tehre, Leipzig, J.A. Barth, 1905 {trad. it. a cura di M. Stenta, Il vitalis1o. Storia e dottrina, Milano, R. Sandron, 1909); Id., Das Organische il ticbte der Philosophie, «Atti del V Convegno Nazionale di Filosofia, (Napoli 5-9/5/19), pp. 615-625. Per indicazioni bibliografiche si riaanda al recente saggio di Th. Miller, lonstruktion und Begrundung, Bildesheia, Olms, 1991.
57
intende che «ciò che conserva» e «ciò che viene conservato»
sono la medesima cosa, e quindi che la causa e l'effetto della
conservazione coincidono. Diversamente da quanto accade nella
sfera dell'inorganico, dove la materia è «esternamente» in
relazione alla materia, cioè causa ed effetto non coincidono,
l'organismo è in relazione a se stesso «interiormente». Ora,
secondo la teoria vitalistica di Driesch, l'autoconservazione
avverrebbe ad opera dell'entelechia, una forza «esterna» alla
materialità dell'organismo. Ne segue che «l'autoconservazione
non è autoconservazione, ma conservazione dall'esterno» 8 6, e il
fondamentale principio fissato da Kant nella sua Critica del
Giudizio&', secondo cui l'organismo si comporta come causa di
se stesso, viene inevitabilmente infrantoss.
L'aggancio al concetto di organismo in Kant rimane
naturalmente inessenziale: per quanto corretto ne sia il
principio, seguire la via indicata dalla filosofia di Kant non
può portare secondo Weizsacker ad una biologia come autentica
«scienza dell'organico», vale a dire ad una teoria
dell'organizzazione «in sé» della natura organica, ma
esclusivamente alla comprensione dell'organizzazione
dell'oggetto naturale conformemente ad un principio critico
della ragione valido per il giudizio riflettente; essa cioè può
condurre alla conoscenza della forma e finalità dell'organico
solo in virtù della particolare natura della facoltà
conoscitiva e non secondo la necessità dell'oggetto stesso 89 •
Nell'impostazione kantiana dello studio naturale la materialità
organica viene legittimamente indagata secondo principi
meccanicistici, rappresentanti ancora l'unica base scientifica
86 W-KeovitalisJus, p. 117. 87 Si veda I. Kant, Kritik der Urteilskraft (1790), J 66. 88 W-Keovitalis•us, p. 118. 89 I. Kant, Kritik der Urteilskraft, J 75.
58
della ricerca biologica; «Kant - sostiene Weizsacker - non
parla della vita, e neppure del vivente, ma dell'organismo.
Egli parla di ciò che è scientificamente legittimo, e la
scienza non vuole spiegare la vita, ma prodotti naturali» 9 o;
nella Critica del Giudizio «l'organismo è concepito solo come
mezzo per la realizzazione di quegli oggetti naturali che sono
adeguati a certe idee. Perciò il loro meccanismo è mezzo per il
fine dell'idea; esso viene preso sotto un'unità come se
servisse ad essa quale mezzo per la sua autoproduzione» 91. La
filosofia kantiana del «come-se» - così la denomina Weizsacker
- anziché raggiungere le profondità della vita, genera la
scepsi della biologia, che mentre continua a porre domande
teleologiche riceve inutili risposte meccanicistiche 92 .
Il tentativo effettuato da Driesch con l'introduzione di un
principio entelechiale come spiegazione della finalità organica
non libera la biologia dalle difficoltà in cui resta impigliato
il concetto di natura kantiano. Non è nell'idea che i principi
della biologia siano categorie in senso kantiano che si può
trovare il giusto avvio al rinnovamento della scienza
biologica; ciò per cui la biologia si distingue dalle altre
scienze non è la «forma dell'esperienza», ma la forma del
sistema dell'esperienza, la forma della connessione delle
singole esperienze. E per trovare un progresso della
riflessione filosofica in questo senso - sostiene Weizsacker -
occorre guardare non verso le teorie vitalistiche, ma verso
quelle idealistiche di Hegel e Schelling9 3 •
90 Weizsicker, V. von, Kinleitung zu Kant: Der Organis1us (W-GS I, pp. 502-517), p. 511. 91 W-leovitalisJus, p. 123. 92 Cfr. ibil; inoltre: lant: Der OrganisJus (W-GS I), p. 516. 93 Cfr. W-leovitalisJus, p. 122 e p. 124. Vedremo in seguito in quale senso sia da intendere il rimando all'idealismo tedesco e quale il suo riflesso sulla teoria del Oestaltkreis.
59
III. Der Gestaltkreis {1940):
L'unità di percezione e movimento
La soluzione del «problema della biologia»
La difficoltà di accordare la biologia con le scienze
esatte è strettamente legata, secondo Weizsacker, ad un errore
nella concezione della temporalità. Nel saggio Gestalt und Zeit
il tempo diviene tema centrale in vista della chiarificazione
del «problema della biologia», all'origine del quale Weizsacker
individua il tentativo di adozione di un concetto unico a
supporto di principi scientifici che devono invece fondarsi su
idee distinte di tempo.
Nei confronti del concetto di natura la scienza si avvale
di due principi esplicativi differenti che, pur in sé
contrastanti, quando utilizzati per differenti scopi non si
escludono reciprocamente: il principio della naturgesetzliche
Bestimmtheit (regolarità naturale) e quello dello sviluppo
(Entwicklung). Essi dovrebbero condurre ad una distinzione tra
scienze esatte e scienze descrittive, e quindi ad una precisa
diversificazione dei loro reciproci oggetti. Ci si accorge però
che come nel campo delle scienze esatte è stato introdotto il
principio dello sviluppo (si pensi alla legge dell'entropia ed
alle sue conseguenze teoriche), nello studio delle funzioni
organiche si fa uso di leggi appartenenti al campo delle
scienze esatte. La contemporanea presenza dei due principi nei
diversi campi della scienza non è tuttavia accompagnata dalla
soluzione del contrasto cui essi danno origine.
Nella storia della fisiologia il riconoscimento della
differenza sussistente tra le nozioni di Reizbarkeit e di
60
Erregbarkeit, o di Ekzitabilitat e di Irritabilitatl, ha dato
origine a rappresentazioni scientifiche diverse. Mentre lo
stimolo (Reiz} è misurabile in relazione a certe costanti
naturali, l'eccitazione (Erregung} provocata nell'organismo non
è determinabile con altrettanta obiettività2. La differente
reazione ad un medesimo stimolo sembra dimostrare anzi che la
regolamentazione dell'organismo si fonda proprio
sull'incostanza delle reazioni, sulla loro variabilità
costitutiva. La fisiologia tradizionale si è servita in genere
di due sole variabili per rappresentare la relazione tra
stimolo e reazione: la fisiologia del riflesso usa stimolo
(Reiz} e reazione materia (Reflexbewegung}, la fisiologia dei
sensi si serve di stimolo e sensazione (Empfindung}. A questo
sistema binario di coordinate Weizsacker propone di sostituirne
uno ternario, essendo risultato - soprattutto dagli esperimenti
condotti da P. Vogell - che per una descrizione completa e
corretta delle funzioni organiche è necessario considerare tre
fattori: il processo esterno (lo stimolo}, il processo di
reazione (il movimento dell'organo} e il processo soggettivo
(la sensazione o il vissuto). La relazione tra questi tre
elementi determina un'unica funzione, un «atto biologico» 4 • Si
deve quindi stabilire quale sia la forma logica e quali i
concetti più adatti a coglierla.
Il principio della regolarità naturale (gesetzmassige
Bestimmtheit) introdotto in ambito biologico assume cosi una
nuova forma: la reazione organica è determinata dallo stimolo
(Reiz} al quale si aggiunge necessariamente la condizione
1 Per una panoraaica storica su questi concetti e sulla loro distinzione si veda H.-J. Moller, Die Begriffe "Reizbarkeit" uod •aeiz". Koostaoz uod Naodel ihres Bedeutuogsgehaltes sovie die Proble1atik ihrer ezakteo Defioitioo, Stuttgart, Fischer, 1975. 2 Cfr. W-leit, p. 9. 3 Cfr. P. Vogel, Studieo uber deo Schviodel, Berlin, de Gruyter, 1933. 4 Cfr. Katur uod Geist {W-GS I), pp. 75-76.
61
(Zustand) dell'organismo. In questo modo, sostiene Weizsacker,
alla regola fisica della misurabilità viene a mancare l'unità
del criterio di misura. La possibilità di una misurazione
precisa si affida all'idea che la serie delle cause
determinanti sia passibile di estensione all'infinito, ciò che
rappresenta un assurdo. In realtà la diversità delle reazioni
organiche di fronte a stimoli simili è costitutiva e
fondamentale per l'adattamento del vivente; La possibilità di
adattamento si basa proprio sull'incostanza dell'eccitabilità
condizionata dalla specifica situazione dell'organismo 5 • Lungi
dall'essere un elemento destabilizzante, questa incostanza
rappresenta il senso autentico della realtà organica. La
capacità di trasformazione caratteristica della vitalità -
affatto incalcolabile - rappresenta un limite indispensabile:
«viviamo in virtù di una limitazione della regolarità del
vivente»6.
a. Le determinazioni temporali
Il tentativo di stabilire la forma della temporalità dei
processi biologici mediante l'ausilio di coordinate spaziali
incontra grossi ostacoli, poiché essi presentano difficoltà
nella collocazione su di un asse temporale. Al fine di mostrare
l'inadeguatezza delle determinazioni temporali fisico
matematiche in ambito biologico, Weizsacker prende in esame le
nozioni di «punto temporale» (Zeitpunkt), «lasso temporale»
(Zeitstrecke) e «unità temporale» (Zeiteinheit).
Se ci si rappresenta il tempo come una linea continua
s Cfr. W-leitp. 10. ' W-Der Gestaltkreis, p. 119.
62
raffigurante una-successione costante di momenti temporali, il
«punto temporale» corrisponde ad un preciso «luogo» su quella
linea. Ora, per la realtà biologica non è dato parlare di punto
temporale se non in relazione a singoli fatti empirici, mentre
la collocazione ed il senso della disposizione del processo
organico non è precisabile - per usare un'espressione di
Weizsacker «la priorità biologica resta indecisa» 7 • La
direzione temporale dell'accadere biologico non è fissata una
volta per tutte come accade nella teoria della successione
causale e temporale della fisica; essa è data piuttosto dalla
prospettiva con la quale la si vuole considerare. E' per
questo, sostiene Weizsacker, che la domanda «è prima l'uovo o
la gallina?» fa sempre riflettere.
Di fronte all'accadere organico ci si può porre in una
prospettiva storico-biologica che consente di scambiare a
piacere il senso di percorrenza della successione degli
avvenimenti e di stabilire altrettanto arbitrariamente i
momenti determinanti, i punti di inizio e fine di un processo.
Ad esempio si può decidere di considerare la civiltà primitiva
come il momento della giovinezza dell'umanità o all'opposto
come il vecchio antenato delle giovani generazioni
contemporanee: qui «è la direzione dello sguardo che determina
la direzione temporale, non viceversa»s. Si può dire, insomma,
che in ambito organico il punto temporale inteso come luogo su
di un'asse temporale «non è decisivo»9 non è dotato, di quella
capacità di determinazione che possiede in ambito fisico. I
parametri della determinazione meccanicistica del tempo sono
qui inutili; in questo senso, la biologia rappresenta l'aporia
1 W-Zeit, p. 12. e Ibid. ' lvi, p. 13.
63
della matematica 10 . Se non è localizzabile nel tempo obiettivo
un punto temporale, neppure un lasso temporale biologico è
misurabile come porzione di tempo obiettivo. La vita non si
lascia misurare in maniera puramente numerica come semplice
segmento, essa si determina come intervallo temporale
(Zeitspanne) tra due avvenimenti fondamentali: nascita e
morte 11 . L'unità temporale della biologia non rimanda dunque al
sistema della fisica e non è da essa desumibile12.
Chiarito che con il sistema fisico-matematico e con i
relativi accorgimenti tecnici di determinazione non si è in
grado di misurare il tempo biologico a causa della specificità
della temporalità e dell'essenza organica, vediamo in quale
modo essa si caratterizza in positivo e quali sono i mezzi
mediante cui è dato coglierla. Sostenere che una prestazione
(Leistung) organica avviene «nel» tempo non è corretto;
piuttosto lo è dire che essa determina un tempo1 3 • La vita non
è scansione temporale, ma ritmo (Rythmus)14, e la figura delle
sue prestazioni determina il tempo, non viceversa. La
spiegazione di questo principio è affidata all'esemplificazione
della cosiddetta «legge del tempo figurale costante» (Regel der
konstanten Figurzeit), elaborata in ambito neurofisiologico
grazie ai contributi di A. Auersperg e A. Derwort, suoi
collaboratori, dedicatisi a complessi esperimenti concernenti
il rapporto tra velocità di movimento, grandezza e figura delle
prestazionils. La legge sostiene che, entro certi limiti, il
tempo globale necessario perché si ottenga una certa
1° Cfr. ivi, p. 12. 11 Si veda anche linfubrung (W-GS III), p. '04. 12 Cfr. V-leit, p. 16. 13 Cfr. ivi, p. 14. 14 Cfr. ivi, p. 13. 1s Cfr. in particolare l'articolo di Derwort Ontersucbungen uber den leitablauf figurierter Bevegungen bei1 Nenscben, «Pflugers Archiv, 240 (1938), al quale riaanda lo stesso Weizsàcker: V-Der Gestaltkreis 1940, p. 134, nota 11.
64
prestazione rimane costante indipendentemente dalla grandezza
della sua figura. Questa legge - una «legge di formazione»16
specificamente organica - si differenzia sostanzialmente da
qualunque legge fisica. Gli esempi di cui viene fatto uso per
illustrare tale legge hanno il pregio di essere semplici e
chiari.
Quando il movimento compiuto dalla mano nello scrivere
subisce una modificazione per accelerazione o decelerazione
della velocità, la calligrafia - cioè la forma figurativa del
movimento - subisce un cambiamento, divenendo più simile ad uno
scarabocchio o assumendo un aspetto più elementare. Se invece
si modificano le dimensioni della grafia non si verificano
simili conseguenze17. Già questo primo esempio mette in
evidenza una particolare relazione tra i termini in gioco non
sussistente nel movimento meccanico. Per tracciare con un dito
una figura nell'aria, un cerchio o una ellissi, si impiega lo
stesso tempo - entro limiti considerevoli - indipendentemente
dalle dimensioni della figura tracciata. «Il movimento organico
comincia già con una velocità tale che in ogni caso, nel
medesimo tempo, si origina un cerchio completo»1a. Questo
significa che la velocità lineare del movimento aumenta
spontaneamente con le proporzioni della figura. Questa regola
del movimento, per cui ad ogni figura si associa una precisa
velocità, non si può variare intenzionalmente: «nella genesi
della forma figurale l'organismo è soggetto ad una regola di
connessione della figura del movimento ad un tratto temporale
ad essa associato»19.
Il movimento di oggetti fisici, il moto meccanico, non
16 Si veda V-Der Oestaltkreis 1940, p. 134. 17 lbid. u V-lei t, p. 14. 19 Ibid.
65
prevede questa reciproca dipendenza di figura e velocità: una
motocicletta può compiere, entro ampi limiti, uno stesso
percorso a diversa velocità e modificare a piacere la relazione
tra le variabili. Nel movimento meccanico, inoltre, data la
velocità, è il tempo a determinare la grandezza della figura.
Prendiamo ad esempio il movimento planetario: si può dire che
esso sia composto dal rapporto di forza centrifuga e forza
gravitazionale, quindi che la sua figura circolare non è altro
che la risultante di queste forze costanti. La conoscenza del
tempo può dare la misura di una qualunque porzione del percorso
del corpo celeste2°. Se dunque nel movimento meccanico è il
tempo che - insieme ad altri fattori - consente di determinare
la figura del movimento, nel caso del movimento organico si
verifica la situazione opposta: è la figura che determina il
tempo del movimento, ovvero la forma determina la velocità.
Nel tracciare una curva di una determinata forma si ha a
che fare con un fenomeno caratteristico del movimento organico,
!'«anticipazione dell'effetto», in cui «la figura[ ... ] è
premessa di una determinata composizione di forze in una
determinata successione temporale»21. Sin nel primo atto del
movimento è contenuta l'intera forma della prestazione; si
parla, in questo caso di movimento prolettico: «il movimento,
già nella sua prima porzione temporale anticipa la prestazione
complessiva, più precisamente la figura della prestazione, e
noi chiamiamo questo comportamento prolessi»22. La conformità
alla legge risiede qui nella forma. La «legge del tempo
figurale costante» non è che un caso particolare di questo
principio generale.
E' opportuno precisare, prima di proseguire, che Weizsacker
2o Si vedano V-Der Gestaltkreis 1940, p. 135 e V-Zeit, p. 14. u 'i-Der Gestaltkreis 1940, p. 135. 22 'i-leit, p. 14.
66
usa per lo più i termini «forma» (Form) e «figura» (Figur) come
sinonimi (talora si serve persino del termine «forma
figurativa»). E' tuttavia possibile cogliere nell'uso dei due
concetti una lieve sfumatura: mentre «figura» viene
generalmente detto l'aspetto concreto o concretizzabile
dell'immagine del processo, «forma» sembra indicare piuttosto
una nozione astratta o categoriale indipendente dalla sua
eventuale realizzazione in una figura. Sinonimi sono per lo più
anche i termini Form e Gestalt. Quanto al concetto di prolessi,
esso esprime: a) che la forma come risultato dell'intero (Ganz)
è già nel suo principio, è inclusa in esso (come nel singolo
movimento) - ha cioè il senso del tutto incluso nelle parti; b)
che la serie degli accadimenti biologici non è che una
ripetizione della forma, pure nella variabilità delle
determinazioni obiettive - ha cioè il senso della costante
processuale. La riproducibilità delle forme determina il
significato del ritmo vitale, dove - si ribadisce - «forma e
ripetizione della forma (ritmo) sono inaccessibili alla
determinazione a mezzo di tempo, spazio, forze» 23 •
Il tempo organico è determinato quindi dalla forma delle
prestazioni; «Il tempo meccanico è successivo, il tempo
biologico è prolettico in relazione al movimento risultante» 24 •
Fatti biologici e ritmi sono la misura dei periodi temporali, a
differenza di quanto accade nella fisica, dove il tempo
obiettivo successivo è misura di movimento e velocità. E se la
prestazione organica è misura del tempo biologico il punto
temporale si qualifica come punto d'inizio di un processo
organico. Questo punto temporale appartiene al tempo prolettico
e non è naturalmente localizzabile su di un'asse temporale
23 ivi, p. 15. Per cteapo, si intende naturalmente il teapo obiettivo della fisica. 24 ivi, p. 16.
67
fissa, come un lasso di tempo biologico non è su di essa
misurabile. Allo stesso modo il tempo obiettivo non è
ricavabile da fatti biologici: l'indipendenza di tempo organico
e tempo obiettivo è totale. Essi sono cosi sostanzialmente
differenti che tentare la determinazione del tempo organico sul
metro del fisico è «non un'inesattezza, ma un'insensatezza»2s.
Si può cosi dire che «non la vita è nel tempo, ma il tempo è
nella vita, o più precisamente esso diviene mediante
l'autoposizione di quella»26.
b. Determinatezza e indeterminatezza temporale
L'elemento deterministico che contraddistingue la
temporalità fisica si scontra con quel carattere di
indeterminatezza che il senso comune conferisce al futuro, e
pone quest'ultimo sul medesimo piano del passato. Una siffatta
omogeneità di passato e futuro non può assolutamente darsi
nell'ambito della temporalità biologica, dove futuro e passato
sono distinti nettamente. Occorre ricordare tuttavia che anche
in ambito fisico le certezze del determinismo sono state messe
in discussione, ad esempio da C.F. von Weizsacker. La sua
interpretazione del secondo principio della termodinamica
introduce anche nella fisica una differenziazione tra passato e
futuro e mette in discussione i principi stessi in base ai
quali si distinguono un «prima» e un «dopo» temporale 27 .
La riserva maggiore nei confronti dell'indeterminismo in
biologia concerne il contrasto che viene a crearsi con il
principio della regolarità naturale (gesetzliche Bestimmtheit)
2S lbid. 26 Ibid. 21 Cfr. c.r. von Veizsicker, Der lreite Bauptsat: und der Unterschied von Yergangenheit und lukunft, in «Annalen der Physik,, 5 Folge, 36 (1939), pp. 275-283.
68
delle scienze empiriche. Lo studio della realtà organica non
può prescindere dal contributo di discipline come la chimica e
la fisica, le cui leggi sottostanti al principio di causalità,
appaiono talora fortemente contrastanti con alcune
caratteristiche del vivente. D'altronde, l'organico è
altrettanto partecipe di regolarità e di sviluppo, di stabilità
e di evoluzione2 8 • Il contrasto, che si rivelerà agli occhi di
Weizsacker solo apparente, può essere sanato con l'ausilio di
un sistema elastico di composizione dei termini.
Per mostrare come sia possibile - e anzi talora necessario
tenere conto sul piano logico di una duplicità di principi,
Weizsacker propone una riflessione sulla pratica del gioco
degli scacchi. Una partita a scacchi «può svolgersi solo a
condizione che la prossima mossa dell'avversario non sia
conosciuta. L'indeterminatezza della mossa successiva è
pertanto condizione reale della partita»29. Ogni gioco
d'azzardo si fonda proprio su quell'elemento di
indeterminatezza che costringe il giocatore al calcolo
arrischiato e a compiere mosse le cui conseguenze prevedono
solitamente un'ampia rosa di possibilità. La realizzabilità
stessa del gioco «è legata essenzialmente all'osservazione
delle regole del gioco ed alla libertà delle mosse, quindi al
legame di supposizione ed osservazione - non al legame di causa
ed effetto secondo una legge»lo. Quello del gioco si può
ritenere il più valido esempio di composizione pratica di
determinismo ed indeterminismo, un caso in cui nella regolarità
stessa del processo e proprio affinché si dia quella
regolarità, la componente indeterministica è assolutamente
necessaria.
uSi veda 'tl-Zeit, p. 17. 29 I/Jid. 30 W-Der Cestaltkreis 1940, p. 150, dove si ripropone l'eseapio degli scacchi.
69
La stessa struttura va attribuita alla temporalità
organica. L'indeterminatezza è condizione necessaria reale per
la determinabilità del futuro e perde in questo contesto quel
carattere esclusivamente negativo che spesso le viene
attribuito. Non di meno, però - esattamente come nel gioco
degli scacchi -, perché sia possibile l'indeterminatezza devono
esservi regole determinate e costanti. L'espressione con cui
Weizsacker indica la composita struttura antologica e temporale
dell'organico, è «indeterminatezza regolata» (gesetzma~ige
Unbestimmtheit)31. L'indeterminatezza regolata dell'organico è
rappresentata nella sua specifica forma temporale dallo
zeituberbruckende Gegenwart. Il tempo organico è tempo presente
che si colloca nella continuità e nel perpetuo superamento di
passato e futuro, momenti temporali tra loro ben distinti.
L'espressione zeituberbruckende Gegenwart indica l'attualità in
perpetuo divenire del vivente e congiunge passato e futuro in
un processo che, anziché collocarsi nel tempo, lo origina. 32 In
questo processo di sviluppo il dualismo viene superato per
mezzo del complementarismo, del completamento reciproco
dialettico di «essere» e «divenire».
Le leggi naturali, che costituiscono l'aspetto stabile e
regolare del vitale, condizionano quindi lo sviluppo, il
divenire dell'organico e, viceversa, questo condiziona quelle.
La loro composizione colloca l'unità dell'organico
nell'attualità del presente; il fenomeno è caratterizzato
dall'indeterminatezza fino al subentrare dell'avvenimento
(Geschehen), quindi si ha determinazione: «Una determinazione
ante festum non è possibile, poiché questa unità non è ancora
costituita. Post festum quest'unità è conoscibile, ma possiamo
31 Cfr. W-leit, p. 18. 32 Cfr. ivi, p. 19. Si veda inoltre il saggio di Auersperg del 1935 E:peri1entelle Beitrige, cit., p. 316.
70
cogliere la sua composizione solo a partire dalla sua
realizzazione»33. Le forze determinanti l'accadere organico
sono conoscibili non in virtù di un determinismo preventivo,
quindi sulla base delle condizioni premesse, ma esclusivamente
a partire dalla realizzazione (Verwirklichung) del fenomeno.
«Ciò appartiene alla determinabilità dell'essenza
[dell'accadere organico], per cui il "prima" e il "dopo" non
rappresentano semplicemente una differente direzione dello
sguardo rispetto a questa cosa, ma la cosa stessa è prima
qualcosa di diverso rispetto al dopo»34.
La reciproca complementarità di determinatezza ed
indeterminazione si verifica in modo che la determinazione
mancante nella considerazione del «prima» viene completata
dalla necessità del «dopo»; l'indeterminatezza che manca al
«dopo» è data dalla libera determinabilità del «prima»: «la
vita è là dove, in ogni momento, l'indeterminatezza diviene
invariabilità»ls. L'indeterminatezza costitutiva del tempo non
è affatto - come già ricordato - negazione della
determinatezza; non è più, in generale, «mancanza di» da
compensare con l'introduzione nello studio fisiologico
dell'organico di impulsi naturali o decisioni volontarie, ma un
fattore assolutamente necessario al compimento stesso della
determinabilità del processo organico. Sul piano metodologico
ne viene la piena legittimazione del metodo empirico, capace di
cogliere l'accadere organico mediante l'osservazione; esso dà
significato e valore al concetto di Ueberbruckung, concetto che
di per sé sarebbe vuoto36. La temporalità biologica è
l'espressione della duplicità dialettica di essere e di
33 W-Zeit, p. 20. 34 Ibid. 3S ivi, p. 21. 3 6 Cfr. ibid.
71
sviluppo, di stabilità e di trasformazione, è insomma la
manifestazione stessa del divenire organico e rende manifesto
il suo carattere paradossale.
L'ambito biologico mette di fronte alla paradossalità dei
fenomeni. Il fenomeno organico ha la peculiarità di
sorprendere: esso «è sempre diverso da come ci si aspetta» -
come aveva sostenuto anche von Kries37. Il paradosso
dell'attività organica consiste nella possibilità che la
realizzazione (Erfullung) sia altro dall'aspettativa
(Erwartung). In esso il concetto di sviluppo ottiene la sua
definizione: «sviluppo è una relazione tra aspettativa e
realizzazione» 3a. Una situazione di paradossalità, si ha, ad
esempio, di fronte ad un movimento intenzionato e non ottenuto
o ad un movimento ottenuto sebbene non intenzionato. La
paradossalità non è altro, secondo Weizs&cker, che la classica
aporia del razionale di fronte alla vita, e viceversa. In
questo sta la maggiore delle difficoltà che pone il problema
del tempo organico.
Spazialità organica
Nel saggio Gestal t und Zei t Weizs&cker accenna, pur non
affrontando direttamente la questione, al fatto che allorché si
accolga nella. biologia il concetto di «tempo biologico» anche
altri concetti, per i quali si ricorre generalmente alle
definizioni della fisica classica, abbisognano di una
«correzione»; primo tra tutti quello di «spazio», legato a
doppio filo al concetto di tempo. La definizione di movimento,
37 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 83. 38 V-leit, p. 22.
72
ad esempio, rimanda necessariamente ad entrambi i concetti, non
essendo esprimibile né come spazialità atemporale, né come
temporalità non spaziale: in generale, l'attività dei sensi è
tale che «non si dà percezione determinata temporalmente che
non sia anche agganciata alla spazialità»39.
Nell'ambito della teoria della percezione è inevitabile
affrontare la questione della spazialità. La domanda principale
a cui essa deve poter rispondere è: in relazione a quali corpi
ci si percepisce contemporaneamente coordinati? Il senso della
percezione va cioè trovato in primo luogo nella collocazione e
nel sistema di relazioni spazio-temporali che legano il
soggetto percipiente e l'ambiente circostante. Naturalmente, lo
spazio biologico che viene a definirsi in relazione alla
percezione, e piO in generale nell'incontro con l'ambiente, si
distingue in modo essenziale da quello fisico-matematico'o. A
tale distinzione Weizs&cker procede servendosi di fatto proprio
del concetto di tempo, a cui egli assegna una funzione di
fondazione: ci troviamo cosi di fronte ad un vero e proprio
capovolgimento della priorità attribuita ai concetti di spazio
e tempo nella fisica tradizionale - in cui è il tempo ad essere
definito mediante il concetto di spazio•l. Se per la
determinazione dello spazio fisico ci si deve servire di un
sistema di riferimento costante nel tempo, di coordinate in
assoluta quiete sulle quali i corpi sono tra loro in relazione
senza contrasti reciproci, per la spazialità biologica le cose
stanno in maniera molto diversa. L'integrazione biologica nello
spazio «ha sempre solo un valore momentaneo; il suo ''sistema di
riferimento" può avere cioè solo una certa durata e può
39 lvi, p. 32. 4° Cfr. i vi, p. 10. 41 Abbiamo già visto come Weizsicker si richiami a Bergson nel considerare il tetpo della fisica coae «spazializzato,.
73
comunque sempre essere sacrificata per qualcos'altro»42, vale a
dire che per la struttura biologica non si può parlare
propriamente di un sistema di riferimento spaziale, ma solo di
una coordinazione nel presente di prestazioni biologiche. La
relazione spaziale ha una certa «durata» nel presente; si dà
tuttavia anche un presente che «non perdura» così che si genera
un contrasto nel quale il presente (l'accadere) ha validità e
allo stesso tempo non ha valore43. Il contrasto si determina a
causa del disconoscimento di parte del movimento che si
verifica, il quale può essere irreale pur nella realtà del
presente. La relazione spaziale, a seconda del fine della
percezione ha validità e non ce l'ha nel medesimo tempo- e
proprio per il fatto di essere «nel tempo» quale «presente». Il
carattere di contemporaneità della spazialità biologica può
realizzarsi solo nel contrasto, in un contrasto che non
potrebbe mai darsi nella fisica.
L'oggetto della percezione appare come «lo stesso oggetto»
grazie alla coordinazione di una molteplicità di muscoli e di
funzioni corporee e la determinazione spaziale, dovuta
all'attività dei vari sensi, rimanda al consenso reciproco di
movimento e sensazione. Nelle teorie psicologiche e nelle
teorie della conoscenza - specie quelle legate alla teoria
kantiana - in cui viene presupposta una rappresentazione
matematica dello spazio, un oggetto viene determinato nelle sue
coordinate spaziali in maniera «assoluta»; se due impressioni
sensorie provengono dal medesimo luogo di una rappresentazione
spaziale è data per ciò stesso la loro provenienza dallo stesso
oggetto. Una simile concezione non è conciliabile con l'idea
dell'intreccio di percezione e movimento in un unico atto in
42 W-Zeit, pp. 10-11. 43 ivi, p. 11.
74
cui il presente sensibile si costituisce via via e la sua
inscrizione in una medesima rappresentazione spaziale è essa
stessa una prestazione particolare che può - ma non «deve» -
indicare la percezione e il movimento. Non è perché ordinati in
uno stesso spazio che si dà la possibilità di una comparazione
e coordinazione dell'attività dei vari organi, ma perché si dia
la costituzione di un oggetto dopo l'altro, di un atto dopo
l'altro, per l'unità stessa dell'accadere. E non si tratta di
un'«unità generale», o del «tutto», ma esclusivamente di quella
di determinati, particolari punti di vista. L'intreccio di
movimento e percezione a cui pensa Weizsacker non esaurisce il
proprio significato nell'idea di una collaborazione tra
apparato sensibile e movimento, contemplato già nelle teorie
fisiologiche classiche, sebbene lo includa. La cooperazione
degli organi e delle loro parti non si fonda sul fatto che ad
essi corrispondano specifici Raumwerte o Lokalzeichen, e non
esiste una specifica energia sensoria in relazione alla
spazialità. L'unitarietà della cooperazione tra organi non ha
il suo fondamento sulle relazioni strutturali e funzionali che
si danno tra essi; queste sono piuttosto un limite alla
formazione unitaria della cooperazione, ciò che può
eventualmente interromperla o impedirla.
Per quanto riguarda la forma organica secondo il suo essere
spaziale, essa rappresenta, come sappiamo, il «luogo» del
movimento che coinvolge organismo e ambiente. Se si
presupponesse l'esistenza di uno spazio indipendente dal tempo
e dal movimento con cui si verifica l'attività organica la
forma sarebbe semplice figura spaziale. Ma il dato che emerge
dalla valutazione dell'atto biologico non consente la
contemplazione di una simile indipendenza. Se si prende, ad
esempio, la vasta gamma di livelli che copre la velocità del
75
movimento negli animali superiori, si osserva che al
cambiamento di velocità corrisponde - oltre una certa soglia -
un cambiamento dell'andatura: cosi il cavallo dal passo passa
al trotto, al galoppo, alla carriera. E non solo ogni andatura
ha un proprio quadro di coordinazioni, ma all'interno di una
stessa andatura viene modificata, oltre. alla frequenza con cui
i passi si susseguono, anche la loro lunghezza. Nel movimento
organico la componente spaziale è funzione di quella temporale
e viceversa••. L'attività organica dà forma a rapporti sempre
nuovi determinantisi tra spazio e tempo, e mai a semplici
raffigurazioni spaziali indipendenti dal tempo. Sarebbe perciò
una vera e propria falsificazione considerare il movimento
biologico secondo la sua rappresentazione spaziale atemporale o
facendo astrazione dal suo tempo di formazione: questa regola
possiede, secondo Weizsacker, il più ampio valore.
Il movimento organico è sempre rivolto ad un fine e, dal
punto di vista della prestazione da ottenere, dato il rapporto
funzionale sussistente tra spazio e tempo, un aumento della
velocità con cui il fine si può raggiungere implica anche un
suo avvicinamento. I fenomeni di illusione percettiva
testimoniano appunto la possibilità di uno scambio tra un
aumento di velocità del movimento ed un avvicinamento
dell'oggetto-scopo della percezione•s. E per il vivente, vale a
dire non «oggettivamente», ma per quanto concerne la sua
attività biologica, la costante in una prestazione organica non
è altro che una relazione di spazio e tempo in cui è possibile
invertire le misure.
Quali sono dunque le caratteristiche dello spazio
biologico: non quelle dello spazio matematico euclideo della
44 V-Der Gestaltireis 1940, p. 142. 4S Ibid.
76
fisica; esso non ha la struttura tridimensionale omogenea e
isotopica di questo e non è spazio assoluto46. Lo spazio
biologico non è «dato», ma «si costituisce» con il movimento,
più precisamente il movimento organico è ciò che produce una
formazione (Gestaltung) spaziotemporale, non ciò che si
costituisce mediante la determinazione di luoghi «nello»
spazio. Naturalmente è sempre possibile inscrivere in uno
spazio matematico una conformazione motoria, ma si tratta di
un'operazione di obiettivazione che non può riuscire a rendere
adeguatamente la realtà della formazione del movimento
organico, il senso proprio del movimento autonomo: «il
movimento dell'organismo non si svolge (sich bewegen) nello
spazio e nel tempo, ma l'organismo muove (bewegt) lo spazio con
il tempo»4'.
Come il tempo biologico anche lo spazio biologico, dovendo
essere considerato una formazione (Gestaltung), va trattato
metodologicamente secondo la sua genesi. In relazione, ad
esempio, ad una prestazione organica costante come l'equilibrio
corporeo, lo spazio si rivela affatto relativo. Esso si
determina mediante innervazioni e movimenti nel contesto della
relazione tra organismo e ambiente, che di quelle innervazioni
appunto determina la forma. Lo spazio biologico è del tutto
relativo alle prestazioni che lo determinano e la sua struttura
non corrisponde allo schema generale di una prestazione, ma a
costrutti singolari dipendenti dalle rispettive prestazioni. E'
la prestazione stessa a dare la determinazione spaziale ad ogni
elemento che le appartiene: «la prestazione determina anzitutto
un qui in certo modo puntiforme e a partire da questo il
trovarsi (Befindlichkeit) spaziale intorno alla cosa» 48 . Le
46 lvi, p. 143. 47 Ibid. 48 lvi, p. 145.
77
determinazioni che seguono a quel «qui» avranno un carattere
relativamente elementare come: «là», «a sinistra», «dietro»,
«sopra», «lontano», «più grosso», ecc. Nella genesi della
formazione biologica questo «qui» definisce il primo luogo
spaziale, lo spazio matematico in cui qualcosa si trova ha un
significato secondario e inessenziale.
Il IIOVillento
a. L'attività motoria
Il concetto di Gestaltkreis, come sappiamo, si conforma
principalmente sul rapporto tra percezione e movimento. La sua
dinamica presuppone tra esse un principio di equivalenza, il
principio, cioè, della sostituibilità vicendevole di movimento
e percezione49. Tra le due componenti del circuito vi è una
relazione funzionale di rimando reciprocoso, insieme
complementare ed oppositivo, anche rispetto a ciò che esse
rappresentano sul piano conoscitivo. La percezione ha la
caratteristica di «indicare» (zeigen) qualcosa; il movimento
quella di «condurre» (ffihren) a qualcosa. L'indicare ed il
condurre sono reciprocamente contrastanti: «l'indicato
(Gezeigte) lascia una scelta, il condotto (Gefiihrte) è
scelto»sl. Le condizioni del movimento sono pertanto
limitazioni del volere; le condizioni della percezione sono
invece limitazioni del conosceres2. Lo studio delle condizioni
formali e reali del movimento equivale all'analisi
49 lvi, p. 161. 50 lvi, p. 163. 51 lvi, p. 120. 5 z !bi d.
78
dell'effettuabilità della percezione.
Ogni qualvolta si parla di movimento nella sfera biologica,
si parla di movimento autonomo (Selbstbewegung). Il concetto di
movimento autonomo include in sé l'idea dell'indipendenza
reciproca di elementi adiacenti - nel nostro caso l'organismo e
l'ambiente: l'autonomia è dunque tale per entrambe le parti.
Non solo: vi è inclusa l'idea del movimento di entrambe:
«quando dico che una cosa si muove - sostiene Weizsacker - con
ciò stesso è già pensato che anche il suo ambiente si muove -
entrambi si muovono, se uno si muove»s3. Il movimento non è
concepito dunque come «cambiamento di luogo» o di quantità di
energia in relazione alla massa, ma come processo che coinvolge
in maniera concomitante organismo e ambiente, non essendo dati
parametri fissi di riferimento, ma la sola reciprocità quale
unico criterio di valutazione. Naturalmente Weizsacker può
procedere ad una trattazione unitaria del rapporto tra
indipendenza e movimento solo grazie all'adozione di una
prospettiva dialettica.
Il movimento autonomo (Selbstbewegung) è caratterizzato
dall'intenzione (Vorsatz)S4 e nel suo effettuarsi urta contro
le forze ambientali pur partecipando della loro stessa origine
e direzione: si tratta di principi interdipendenti. Non è di
alcuna importanza che si consideri il movimento organico come
asservito ad un'azione motoria o sensoria: «guardando e
sentendo compiamo movimenti; camminando e afferrando percepiamo
le cose. Come atto biologico questo è un complesso senso
motorio come l'altro»ss. E' in questo complesso che si trova
l'origine della forma organica. Il movimento organico non è
fine del movimento stesso: gli organismi non eseguono movimenti
53 lvi, p. 130. 54 E questo non vuole dire che sia «volontario,. 55 lvi, p. 126.
79
«in quanto tali», ma «i loro movimenti significano o causano
qualcosa che non è esso stesso solo movimento»s6: il movimento
è il principio mediante cui qualcosa prende forma.
Una ricerca delle condizioni della forma del movimento,
ovvero del «come» esso viene ottenuto, conduce alla
determinazione di un complesso di contrazioni muscolari,
connesso ad un insieme di processi di eccitazione di nervi, il
quale presuppone una serie di eccitazioni centrali. Tra il
movimento effettuato e gli elementi fisico-fisiologici indicati
non si dà alcuna somiglianza geometrica, e tuttavia sussiste
tra essi una precisa correlazione delle forme. La fisiologia
classica presuppone perciò che essi si connettano in una catena
causale in cui avvengono una serie di trasformazioni che
conducono al movimento avente quella determinata forma. La
costruzione di una simile catena causale non è però sempre
sufficiente; occorre talora tenere conto di fattori non
contemplati da questo tipo di costruzione. L'esempio riportato
da WeizsAcker per rendere il genere di difficoltà a cui si
riferisce è quello di una coppia danzante che si muove
tracciando nella sala figure virtuali. Nessuno dei due
danzatori, da sé solo, è la causa per intero dei movimenti
risultanti: ciascuno di essi regola sé stesso anche in
relazione all'altro e di questa peculiare relazione la
spiegazione causale neuro-fisiologica non tiene conto. La
fisiologia contemporanea cercava di affrontare le difficoltà di
fronte alle quali pone un caso come quello del moto dei
danzatori attraverso lo studio della rotazione motoria e delle
vertigini, studio al quale lo stesso Weizsacker si è a lungo
dedicato. Per trasporre il caso sul piano sperimentale egli ha
sostituito uno dei danzatori con un oggetto inanimato ma
56 lvi, p. 127.
80
mobile, una cabina girevole, ed ha osservato i comportamenti
motori della persona collocata in essas'. La fisiologia
classica, che non parte dal movimento autonomo
(Selbstbewegung), spiegava i movimenti di un organismo -
considerato alla stregua di una macchina inserita in un
ambiente - mediante stimoli esterni e riflessi fissi.
Ora, questo tipo di spiegazione, di fronte ai particolari
fenomeni che si osservano negli studi sulla rotazione, non
risulta soddisfacente: i cosiddetti riflessi del soggetto in
osservazione non sembrano dipendere da singoli stimoli e
ricettori, ma dallo spostamento relativo di corpo (Korper) ed
ambiente (Umgebung) otticoss. Il significato di questa
relatività nel rapporto tra organismo ed ambiente (Umwelt)S9
costringe ad una generale revisione dell'approccio alla
questione della forma del movimento: in primo luogo viene meno
la possibilità di affidarsi all'unilateralità della direzione
causale; inoltre la forma dell'accadere fisiologico può venire
espresso solo come «rapporto formale» (Formbezug) rispetto
all'accadere ambientale, e viceversa. Il legame di dipendenza
causale reciproca di organismo ed ambiente, l'intreccio dei
suoi nessi, non si manifesta col carattere dell'omogeneità. Il
comportamento dell'organismo nei confronti del suo ambiente
rappresenta ora una relazione stabile, ora un'interruzione di
questa; ora si presenta come conservazione del contatto tra
l'organismo o una sua parte e l'ambiente circostante, ora come
distruzione di questa coerenza e magari come sua
ricostituzione, nella stessa o in altra forma. Non essendovi la
possibilità di ottenere un'immagine formale unitaria e fissa di
57 L'esperiaanto della cabina rotante verrà illustrato in seguito. 58 Si veda V-Der Oestaltkreis 19,0, p. 129. st Veizsacker usa generalmente il termine Olgebungper indicare un aBbiente circoscritto alla specifica situazione in esa1e, il teraine OJvelt, invece, per l'ambiente organico in quanto tale.
81
tale intreccio, il suo studio dovrà essere di tipo genetico,
dovrà cioè occuparsi del suo originarsi.
L'immagine motoria che si costituisce relativisticamente è
«bipolare», vale a dire che, nel considerare il rapporto
organismo-ambiente, non vi è differenza alcuna tra la
determinazione della forma a partire dall'organismo o a partire
dall'ambiente. Ma l'identità della forma non ha il solo
significato di un'identità estrinseca (come nel caso dell'acqua
che assume la forma del suo contenitore): si tratta
dell'identità dinamica dovuta ad un temporaneo contatto
regolato dal principio di coerenza. Il movimento autonomo non è
che la conseguenza più immediata del principio di relatività:
«Allorché diciamo "ciascuno dei due si regola anche secondo
l'altro" non diciamo nulla di nuovo, poiché nell'espressione
secondo cui una cosa si muove è già incluso che anche l'altra
si muove»6o.
b. Incontro di organismo e ambiente
L'attività percettiva non offre, secondo Weizsacker,
immagini «fabbricate» e fisse di qualcosa, ma un divenire di
relazioni determinate dall'incontro dell'organismo, o dell'Io,
con l'ambiente (Umwelt). Essa non rappresenta affatto un
prodotto soggettivo compiuto: il mondo interiore (Innenwelt) è
portatore e teatro di questo incontro, ma non il luogo della
sua «produzione». Si può partire dalla Umwelt per ottenere dati
sulla Innenwelt o viceversa; i dati stessi della percezione
forniscono informazioni sia sull'ambiente dell'organismo, che
60 lvi, p. 130.
82
sul soggetto percipiente 6 1. Nello studio dell'attività motorio
percettiva dell'organismo Umwel t ed Innenwel t non possono
perciò essere considerate entità separate: esse rappresentano
momenti indissolubilmente intrecciati della realtà
dell'organico, al punto che ogni prestazione biologica può
essere rappresentata come conformazione della relazione di Ich
ed Umwel t6 2 •
Per la verità, nella teoria weizs&ckeriana permane
un'ambiguità di fondo: pur dando inizio alle proprie ricerche
nell'ambito degli studi della fisiologia umana, Weizs~cker
elabora una teoria dell'«atto biologico» che riguarda
l'organismo in quanto tale, nella sua essenziale struttura
ricettiva e attiva. Finché si tratta di percezione e movimento
si può forse pensare la sua teoria come applicabile persino
alla realtà dell'organismo vegetale (sorgerebbero probabilmente
delle difficoltà quando si scendesse sino al regno degli
organismi unicellulari), ma spesso Weizs&cker, riferendosi in
generale al Lebewesen, e non limitandosi esplicitamente
all'uomo o all'animale, usa termini come «soggetto» e «io» -
per_al tra senza f~:re t_r_a essi alcuna d.istinzione 6 3 •
_Il principio dell'incontro di organismo e amb_iente rimanda
alla concezione elaborata da J. von UexkOll nei primi decenni
del novecento,· una concezione che suscitò vasto interesse in
ambito scientifico 6 • e che venne in vario modo discussa e
recepita anche dalla filosofia contemporanea6 s. Essa, pur
61 V-Der Bestaltkreis19U, p. 101. 62 lvi, p. 160. · 63 Si è dunque autorizzati a pensare che si dia anche un cio, - o una qualche foraa di «soggettività, -vegetale, o si deve invece assegnare un valore «ristretto, alla sua concezione dell'organico? Questa seconda ipotesi è probabilaente la pià verosiaile. Vedreao co1e nella filosofia dell'organico di Plessner la questione si ponga in teraini pià espliciti. 6' Si possono vedere a proposito gli atti del siaposio tenutosi a Breaa nel 1950, curati da R. Plessner, Das OJreltproblel, in Sylphilosopbein, Mdnchen, Lehnen, 1952. On riconosciaento esplicito di Weizsicker alla teor i a di J. von Oexkdll si trova in w- Der Bes taltireis1940, p. 160 65 Basti qui fare i noai di M. Scbeler, M. Merleau-Ponty e M. Beidegger. Di J. von Oexkdll si possono
83
estendendosi fino alla considerazione del sistema vitale dei
microrganismi, si limita alla valutazione del rapporto
dell'uomo e dell'animale con il proprio mondo di appartenenza.
Il compito specifico della biologia - affatto distinto secondo
von Uexkfill da quello della fisiologia - consiste precisamente
nello studio dei rapporti tra l'organismo ed il proprio
esterno, consiste cioè nella definizione e nello studio della
relazione che si instaura tra un'individualità organica
soggettiva e ed il «suo» mondo. Non esiste per la biologia un
«mondo oggettivo» in cui si collocano degli organismi a loro
volta considerabili come degli «oggetti». L'organismo è un
soggetto che si pone in relazione attiva nei confronti
dell'ambiente circostante, un ambiente concreto e specifico con
cui l'organismo è sempre in un rapporto di scambio
funzionale66. E se le capacità di ricezione degli stimoli
esterni e di azione sull'ambiente dipendono dalla costituzione
biologica e dagli scopi particolari dell'organismo, anche le
determinazioni spaziali e temporali dell'ambiente, le
caratteristiche qualitative di esso e la sua «ricchezza»,
dipendono strettamente dal soggetto che in esso si trova a
svolgere la propria vita. La biologia ha dunque a che fare con
«mondi individuali», con campi d'azione specifici le cui
componenti dipendono dalla conformazione assunta
dall'interazione reciproca di due fattori, ma in cui l'elemento
soggettivo - scevro da caratterizzazioni strettamente
«psicologiche» - rappresenta il principio determinante.
Esattamente come von Uexkfill, Weizsacker ritiene
vedere: Id., D1relt und Innenrelt der fiere, Berlin, Springer, 1909; Id., rheoretische Biologie (Berlin, Springer, 1920), Frankfurt a.M., Suhrkaap, 1973; Id., StreifzOge durch die OJvelten von tieren und Kenschen, Reinbeck, Rowohlt, 1934 (trad. it. I 1ondi invisibili, a cura di P. Manfredi, Milano, Mondadori, 1936). Un s.aggio critico recente e ben articolato sul pensiero scientifico di J. von Uexkull è quello di R. Langthaler, OrganisJus und U1relt, Hildesheia, Olas, 1992. " Cfr. J. von Uexkull, rheoretische Biologie, cit, pp. 66-67; Id. I Jondi invisibili, cit., p. 86.
84
impossibile sapere qualcosa di un mondo e delle sue
disposizioni spazio-temporali indipendentemente dal soggetto67.
Allo stesso modo - egli prosegue - non si può tracciare un
netto limite spaziale e temporale tra vivente e Umwelt:
l'organismo non è infatti identificabile con il contorno
spaziale del suo corpo, la superficie cutanea o la membrana
cellulare dell'organismo6s. L'individuazione di un limite
materiale spaziale o temporale dell'individuo organico è
possibile solo considerando, di momento in momento, e di caso
in caso, una specifica attività vitale. L'idea stessa della
ricerca di un limite, di una disgiunzione tra Umwelt e vivente
è profondamente scorretta, perciò lo studio dell'attività
organica deve svolgersi nell'ottica dell'incontro e dello
scambio reciproco tra essi, deve considerare in una visione
unitaria le diverse forze di trasformazione delle eccitazioni
nervose e muscolari dell'organismo e altresi le forze
specifiche dell'ambiente del vivente. In queste relazioni si
rivela il significato del cambiamento funzionale
(Funktionswandel) e dell'illusione che «hanno necessità
costitutiva per la realtà delle cose, del nostro corpo, del
corso degli avvenimenti»69.
La percezione rappresenta un momento dell'incontro di Ich
e Umwelt in un preciso passaggio dello sviluppo - dalla
teleologia sconosciuta - di un processo che è, di nuovo,
incontro perpetuo di Ich e Umwelt - di movimento e percezione.
Il «risultato finale» - ovvero la «forma» che assume tale
incontro- è il risultato tanto delle forze dell'organismo
quanto di quelle dell'ambiente, è il prodotto della loro
67 Cfr. J. von Uexkiill, tl1eoretiscbe bologie, p. 9. 68 Questa probleaatica - rileva lo stesso Veizsicker - ha iapegnato von Bunge in aabito fisiologico, Bohr in atbito fisico e Scheler in quello filosofico: V-Der Gest<kreis 1940, p. 198, nota 17. 69 lvi, p. 160.
85
concorrenza e concomitanza. Perciò all'incontro delle forze
corrisponde una coincidenza della «forma dinamica» degli
elementi organici con quella dell'ambiente.
Le determinazioni spaziali e temporali, che si generano
dall'incontro di Ich e Umwelt, non hanno nella percezione il
carattere della persistenza; la durata di un'immagine
percettiva non dà alcuna garanzia di costanza nello spazio e
nel tempo: «in fondo - afferma Weizsacker - percepire significa
sempre anche passare ad altro»'o. Accanto ad un ordinamento
spaziale e ad una successione temporale, è quindi necessario
riconoscere nella struttura della realtà organica una
particolare dinamica secondo la quale gli oggetti vengono
percepiti e abbandonati, o «sacrificati», ed entrambi i
momenti, l'accoglimento e l'abbandono sono altrettanto
determinanti per l'attività biologica. E' precisamente il
mancato riconoscimento di tale dato ad aver portato al
fallimento di quei tentativi di spiegazione scientifica che
hanno semplicemente visto in esso un fenomeno legato
esclusivamente alla soggettività percipiente o dovuto alla
limitatezza delle possibilità dell'apparato sensibile. Il suo
significato può essere colto soltanto con il superamento
dell'alternativa percepito-percipiente e attività percettiva
attività motoria, mediante la preliminare unione dell'attività
psichica e di quella fisico-fisiologica sotto un concetto
capace di fungere da denominatore comune: il concetto di
movimento autonomo (Selbstbewegung)71.
Le modalità spazio-temporali, derivate dall'attività
biologica e non «trovate» nel mondo esterno, sono - si può dire
- al servizio della percezione e del vivente. La funzione che
70 lvi, p. 103. 71 Ibid.
86
svolgono gli organi di senso è sostanzialmente quella di
produrre la collocazione del vivente in un mondo, non quella di
ottenere informazioni su di un mondo indipendente dal vivente,
quindi dal soggetto. Si tratta, sostiene Weizsacker, di un dato
di fatto perfettamente verificabile: le disposizioni spaziali e
temporali della percezione sono costitutive per la
realizzazione della vita, non certo per una conoscenza del
mondo indipendente da essa'2.
Ogni atto percettivo - si diceva - ha il carattere
dell'incontro e nell'unione delle componenti, denominata
coerenza (Koharenz), l'attività percettiva dà origine a quelle
disposizioni spaziali e temporali studiate dalla fisiologia e
dalla psicologia come fenomeni di «localizzazione egologica»
(in ambito ottico il riferimento della collocazione degli
oggetti alla posizione del soggetto percipiente), di
«soggettivizzazione» o «oggettivizzazione» delle sensazioni (ad
esempio le impressioni tattili possono essere somatizzate e
vissute come condizioni del proprio corpo, oppure sottoposte a
proiezione e considerate come processi del tutto esterni
all'organismo), ecc73. E proprio lo studio delle sensazioni
corporee è particolarmente in grado di mettere in risalto che
la linea di demarcazione tra l'«io» e !'«altro», l'o~getto
della sensazione, non è affatto univocamente predeterminata:
«qui si è altrettanto giustificati a dire che, ad esempio,
questo dolore è "mio", come che esso è solo nel mio "corpo",
non nel mio io»'4. Il momento della distinzione dell'«io»
dall'«altro» è anzi da considerarsi, esso stesso, un atto
biologico.
Ogni percezione, ogni incontro tra «io» e «ambiente», va
12 lvi, p. 114. 7 3 I v i , p • 116 .. 14 Ibid.
87
considerato come un «originale» per sé, non collocabile in una
realtà spazio-temporale omogenea. Le modificazioni e
trasformazioni continue della percezione sensibile sono una
condizione necessaria perché si possa esperire una cosa come
«la stessa cosa» in momenti distinti e secondo modalità diverse
dell'apparire percettivo. Il verificarsi di spostamenti
relativi continui tra corpo organico ed ambiente, spiegabili
secondo uno schema stimolo-movimento-percezione, danno piena
ragione dei risultati ottenuti da Weizsacker ad esempio con gli
esperimenti sulle vertigini's, dai quali si desume anzitutto
che «se non si dà alcuno spostamento relativo non segue alcun
riflesso né alcuna percezione motoria»76. Quando invece abbia
luogo un simile spostamento relativo si ha anche la libertà di
percepire un movimento del proprio corpo o un movimento
dell'ambiente (Umgebung), o ancora un movimento di velocità
dimezzata distribuito su entrambi, indipendentemente dal dato
reale obiettivo. La relatività del movimento proprio o
dell'ambiente non è casuale e privo di regola, ma soggetto di
un principio denominato da Weizsacker di «costanza
sommativa::.77.
La percezione mostra cosi di avere una limitazione
costitutiva, quella di non potersi rivolgere contemporaneamente
all'innumerevole quantità di stimoli di fronte ai quali
costantemente viene a trovarsi. Essa deve compiere una
selezione sulla base di ciò che, di momento in momento, è
essenziale o significativo. Ma porsi la domanda: «essenziale
per cosa?» o «significativo per cosa?» vuole dire oltrepassare
l'ambito della considerazione della percezione. Entrano qui in
campo fattori di vario genere non necessariamente legati alla
75 lvi, p. 162. 76 lvi, p. 163. 71 Ibid.
88
percezione sensibile. E' possibile infatti stabilire «come» si
verifica l'incontro di Ich ed Umwelt mediante i sensi, ma non
risalire al «perché», a ciò che va al di là dei sensi, alla
sfera transensibile che attraverso i sensi viene realizzata: si
può solamente constatare se essa viene realizzata
soddisfacentemente o meno nella percezione. Per questo è
possibile determinare l'inadeguatezza e la patologia della
percezione degli oggetti, ma non il perché ed il particolare
modo della percezione'&.
La percezione
a. L'attività dei sensi
Tra l'oggetto presentato ad un soggetto e la percezione da
questi ottenuta solitamente si verifica un accordo. E'
possibile cioè stabilire che la percezione è conforme
all'oggetto; non di rado, tuttavia, si generano tra essi delle
discrepanze e ci si trova di fronte ad un fenomeno «illusorio».
Il tema dell' illu.sione dei .sensi, come già accennato, riveste
un ruolo fondamentale nell'ambito delle ricerche sperimentali
di Weizsacker: il .suo studio permette di trarre conseguenze
teoriche essenziali sia sul piano della fisiologia della
percezione sia su quello allargato della teoria dell'organico.
Le discordanze che talora si determinano tra configurazioni
(Figuren) oggettive e percezione, si presentano con una certa
evidenza nei casi in cui interviene un movimento dell'oggetto
percepito. In particolare in queste circostanze, insieme
all'importanza metodologica dell'inganno dei sensi, si
78 lvi, p. 118.
89
manifesta, secondo Weizsacker, la necessità di parlare di
«tempo biologico» e soprattutto di rilevare una sostanziale
discrepanza sussistente tra tempo obiettivo del movimento e
tempo biologico della percezione. L'esempio che Weizsacker
propone concerne un esperimento di moto rotatorio
(Drehversuch). Si tratta di un esperimento articolato in più
fasi, che utilizza una sedia girevole installata in una piccola
cabina chiusa. Un soggetto seduto sulla sedia che sia fatta
ruotare ad una velocità pari a quella della cabina non avverte
alcun movimento, né proprio, né dell'ambiente circostante. Se
invece la velocità della sedia viene differenziata da quella
della cabina, il soggetto avverte un movimento, che può essere
percepito come movimento del proprio corpo o come movimento
della sola cabina, o ancora come movimento di entrambi in
misura variabile. In ogni caso la percezione del soggetto non è
corrispondente alla situazione oggettivamente presentata: essa
è- si può dire- relativa alla situazione oggettiva' 9 •
Una relatività di questo stesso tipo viene osservata anche
in esperimenti sulla percezione ottica di punti luminosi
nell'oscurità. In esperimenti di questo tipo, la distinzione
tra stato di quete e di moto non è affatto corrisponde~te al
dato oggettivo. La percezione sembra effettuare una
scomposizione e una ridistribuzione del movimento sui vari
punti osservati, in modo che se oggettivamente vengono
presentati un punto luminoso stabile ed uno in movimento, la
percezione coglie il movimento come distribuito su entrambi i
punti. La velocità del movimento che si manifesta
all'osservatore in modo oggettivo viene ripartita e distribuita
sui vari punti luminosi in modo che la somma delle velocità
rimanga costante. Spesso viene modificata dalla percezione
7' Cfr. V-Zeit, p. 35 e V-Der Gestaltkreis 1940, p. 162.
90
persino la direzione del movimento di un punto luminoso: un
movimento lineare può apparire circolare non appena si presenti
un secondo punto che ruota intorno al primo. Fenomeni di questo
tipo non sono affatto occasionali: essi si presentano con la
regolarità di una legge, e sono validi per ogni osservatore.
Inoltre essi sembrano aver luogo nello spazio siderale e
provenire da entità libere. Weizs&cker ne trae la conclusione
che l'occhio coglie preferibilmente il movimento rappresentato
dalle più semplici leggi della geometria, della meccanica e
dell'astronomia; egli chiama questa tendenza «nomofilia della
percezione». Grazie alla nomofilia della percezione le
divergenze erronee possono essere facilmente riconosciute; sono
invece difficilmente individuabili deviazioni concernenti
figure casuali, che non rappresentano cioè quelle leggi fisiche
cui tende spontaneamente la percezione e che rimangono
difficilmente impresse nella memoria.
Se durante la presentazione dei punti luminosi vengono
introdotte delle modificazioni nella velocità con la quale essi
compaiono o si muovono, l'occhio percepisce una figura
deformata rispetto a quella tracciata oggettivamente dai punti.
La stessa cosa accade se si suddivide il tracciato del punto
luminoso. Il verificarsi di simili fenomeni come
rappresentazione di una precisa legge meccanica è detto da
Weizs&cker «nomotropia della percezione»: il dato sensibile che
viene a comporsi spazio-temporalmente, mostra regolarità
fisiche e geometriche che nella rappresentazione sensibile
rimandano ad una qualche attività di dette leggi sulla
percezione. E non si deve pensare che questo sia dovuto alle
conseguenze di una traccia di memoria empirica; questo fenomeno
va considerato «come attività delle leggi stesse, come
91
anamnesi»so.
Numerosi esperimenti sul rapporto tra la velocità del
movimento di punti luminosi e la raffigurazione che assume il
loro tracciato, rapporto che si delinea sempre come soluzione
compromissoria, permettono di concludere che «alla
conformazione (Gestaltung) è immanente la struttura temporale
che abbiamo indicato come biologica»sl. Il particolare percorso
della formazione della figura, per il quale è indispensabile
una componente temporale trattandosi di processo e non di
visione immediata, non è adattabile all'idea di tempo obiettivo
della scienza fisica. Velocità oggettivamente diverse non
vengono infatti percepite come tali, ma come modificazioni del
percorso seguito dal punto. Proprio a causa di questo specifico
rapporto tra velocità e raffigurazione si verifica la non
coincidenza del tracciato oggettivo e di quello percepito,
quindi il fenomeno illusorio. L'illusorietà va quindi
considerata costitutiva dell'immagine sensibile della Umwelt82 •
L'analisi di Weizs&cker del processo percettivo riconosce
dunque nell'elemento illusorio una condizione necessaria
all'orientamento geometrico e biologico del vivente e al.
compimento dell'azione finalizzata: «il di.sconoscimento
(Nichtanerkennung) di parte del movimento che si verifica (e
del cambiamento di luogo) è quindi la condizione per un
ambiente stabile»s3; esso rappresenta la garanzia della
perseguibilità del fine stabilito. Lo stesso significato viene
80 W-leit, p. 35. 11 lvi, p. 34. 82 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 16. Se si volesse precisare cosa sia da intendere con il concetto di non-illusorio si dovrebbe anzitutto specifificare che vi sono per Veizsicker alaeno due sensi per l'idea di figura oggettiva: il priao è quello di una figura aateaatica, il secondo è dato dall'essere la figura intuitiva (anschaulich). cse il feno1eno Jensibile è in accordo con l'intuilione (Anschauung) (riprodotta rappresentativuente) dello stato di fatto oggettivo, allora diciuo che la figura viene percepita cote se •tosse" oggettiva, perciò non illusoriu: V-leit, p. 34. &3 W-Der Gestaltkreis 1940, p. 6.
92
ad assumere il «salto qualitativo» che si osserva talora nella
rea~ione ad uno stimolo: l'organismo sacrifica parte del
comportamento adottato sino a quel momento o parte del fenomeno
per ottenere la conservazione dell'equilibrio o la costanza
dell'ambiente visibile»s4.
Il rapporto dell'organismo con l'ambiente circostante è
strettissimo; il contatto degli organi con determinate porzioni
dell'ambiente determina quel legame, definito da Weizs&cker di
«coerenza» (Koh&renz)as, che si mantiene sino al subentrare di
potenti disturbi. La coerenza è data dalla conserva~ione di una
serie di movimenti che rendono possibile un'unità di azioni
raccolte intorno ad un fines6. Se, ad esempio, l'attività
percettiva in corso consiste nell'inseguimento di una farfalla,
alla visione dell'immagine si affiancano una quantità di
movimenti muscolari che in virtù del fine, compongono
osservatore e osservato in una unità. La coeren~a si ha a
condizione del mantenimento di quella serie di movimenti che
determinano l'unione; per «coerenza» si intende perciò
l'assenza di forze o fatti che pongano termine ad uno stato
persistente nella perce~iones'. E' l'attività dovuta al
movimento autonomo (Selbstbewegung) dell'organismo a fare si
che l'ambiente si distingua in «coerente» e «sacrificato».
Quanto viene sacrificato è precisamente il «disconosciuto», ciò
che non viene preso sul serio in base ad una decisione
preliminare concernente l'oggetto dell'atto percettivo (cosi su
di un treno in corsa può sembrare apparente il proprio moto
oppure quello del paesaggio fuori dal finestrino) 88 • Con il
principio della coerenza diviene evidente il contrasto tra
•• lvi, p. 7. Si veda anche ivi, p. 15. as lvi, p. 9, ove si riaanda, in nota, allo scritto del 1933. 86 Si veda in W-Der Oestaltireis 1940, p. 5 sgg. 87 lvi, p. 18. 88 lvi, p. 10.
93
oggettività fisica ed oggettività della cosa percepita: tra la
cosa fisica e la cosa percepita vi è di fatto totale
inconfrontabilità89.
Il concetto di coerenza è centrale nella teoria della
percezione di Weizs~cker al punto che dinanzi a fenomeni
percettivi differenti la domanda fondamentale che lo studioso
deve porsi è quale coerenza viene interrotta e a quali
condizioni ciò accade. Strettamente dipendente da questo è la
determinazione della stessità (Selbigkeit o Derselbigkeit)
dell'oggetto della percezione: essa non è legata
all'osservazione di una rappresentazione spaziale fissa, non
può servirsi di Ortswerte o di una composizione del mosaico di
singole eccitazioni in un organo9o. La stessità non è
«fabbricabile» e viene meno non appena la coerenza si
interrompe o si presenta una condizione diversa (un limite
quantitativo delle determinazioni misurabili viene oltrepassato
e si verifica un cambiamento qualitativo della percezione). Ci
si trova cosi di fronte al caso in cui viene sacrificata una
proprietà della cosa percepita e rimane la stessità della
sostanza (quando ad esempio si assiste alla trasformazione di
un camaleonte); oppure a quello in cui viene sacrificata la
cosa e conservata la stessità del luogo (quando troviamo una
nube ove prima era la luna). Lo stesso accade nella percezione
del movimento. La conservazione della stessità è legata proprio
al sacrificio di certe determinazioni, e la coerenza viene
continuamente interrotta rispetto a queste determinazioni e
ricostituita rispetto ad altre91.
La percezione, che coglie la presenza del fatto o
89 lvi, p. 18. ,. Il senso degli Ortsrerte va ridefinito, secondo Weizsacker, alla luce delle osservazioni fisiologiche che sotolineano l'insufficienza della teoria della rappresentazione della percezione- evidenziata già da Helmholtz: ivi, p. 84. 91 lvi, p. 19.
94
dell'oggetto, non si dà senza legame con passato e futuro:
l'oggetto cambia nel tempo pur restando lo stesso. Si tratta di
un contra$to ineliminabile, anzi necessario alla percezione.
L'oggetto si trova in un rapporto monogamico con la percezione,
nella quale viene presentificato in un legame di coerenza - o
di distruzione e ricostituzione della coerenza -, che si
determina come atto complessivo (Gesamtakt) in un contesto di
forme varie di vissuto e di non-vissuto. L'espressione comune
con la quale vengono designate queste prestazioni costitutive è
«prestazione negativa» (negative Leistung). La prestazione
negativa non ha il senso della negazione, di quanto «non viene
fatto» (cioè che, ad esempio, non si guarda una cosa quando se
ne guarda un'altra), ma quello dell'implicazione nell'atto
percettivo di ciò che - necessariamente - non appare. La
prestazione negativa acquisisce il suo significato nella
relazione di reciproca esclusione, ascosità di movimento e
percezione.
Movimento e percezione si compongono in un particolare
intreccio (Verschr~nkung) in cui è condizione ineliminabile che
l'attività mediante cui qualcosa appare non appare essa stessa.
Il movimento che permette la percezione non è esso stesso
oggetto di percezione: il moto autonomo dell'organismo non è un
fattore condizionante contenuto nella percezione, ma la
percezione stessa è moto autonomo. Il cosiddetto «principio
della porta girevole»92, che esprime efficacemente il senso di
quell'intreccio, è da considerarsi perciò principio
fondamentale della biologia.
92 Weizsacter annota che prita che da lui l'espressione era stata usata da L.A. Saloaè nel 1931: cfr. lvi, p. 192, nota 13a.
95
b. Il «principio di possibilità» della percezione
La percezione, concepita da Weizs&cker come attività
conoscitiva sensibile non separabile dall'attività fisico
materia del vivente, è - in realtà - essa stessa movimento.
Essa è momento essenziale di quel modo d'essere specifico
dell'organismo che lo distingue come ente dotato di movimento
autonomo: «quando mi muovo faccio in modo che mi appaiano dei
movimenti. Poiché il movimento autonomo ed il movimento che
appare sono in un rapporto fisso, si può anche indicare queste
percezioni come autopercezioni»93. Il termine «autopercezione»
non è presa qui nel senso della «percezione di sé», ma nel suo
significato etimologico di «prendere attraverso sé»: «nella
parola percezione è già originariamente contenuto il momento
dell'azione attiva, cioè il "prendere". Percepire è quindi
anche nella nostra concezione un'auto-attività» 94 .
E' chiaro, quindi, che un approccio all'idea di percezione
cosi impostato richieda l'elaborazione di un apparato
concettuale e teorico completamente rinnovato. La percezione è
innanzitutto un'attività in continuo divenire dovuta
all'incontro del soggetto percipiente con l'ambiente. Da questo
incontro hanno origine le disposizioni spaziali e temporali
come «fenomeni possibili» degli oggetti del mondo 95 . La
possibilità che lo spazio non sia «prima»- nell'oggettività
fisica oppure «a priori» - ma che «si costituisca», che venga
«trovato» negli oggetti o «prodotto» nella percezione non viene
indagata dalla fisiologia a causa dell'impronta tipicamente
naturalistica che in essa domina. Nell'idea che le cose siano
contenute in uno spazio e in esso debbano apparire, sostiene
93 lvi, p. 7. 94 Ibid. 95 Cfr. iv i, p. 111.
96
Weizs~cker, è contenuta non poca confusione: è come se si
avesse a che fare con uno spazio oggettivo ed uno spazio
soggettivo, l'uno reale, l'altro percettivo, tra i quali, però,
non si può avere alcun criterio di confronto. Il tentativo del
confronto, anzi, rivela la presenza ineliminabile di un circolo
vizioso che induce ad escludere la possibilità di una netta
distinzione di soggettivo ed oggettivo: «possiamo avere
l'oggettivo solo nel soggetto, possiamo avere il soggettivo
solo con l'oggetto»96. Ne segue che la loro relazione non è
affatto rappresentabile come se si avesse a che fare con due
mondi distinti, opposti l'uno all'altro sussistenti in modo
affatto indipendente. Si ha sempre a che fare con un
contenimento attuale dell'oggetto nel soggetto.
La correlazione spazio-temporale dei dati percettivi nello
studio fisiologico dei sensi viene spiegata attraverso la
composizione di funzioni fisiologiche elementari per lo pià
nell'ambito di teorie della localizzazione. Esse rivelano però
una quantità di limiti intrinseci. La teoria di von Kries, ad
esempio, che sostiene la collocazione delle percezioni in uno
spazio a mezzo degli organi sensori, si presta a numerose
osservazioni critiche, non ultima quella per cui, oltre ad
avere la sua fondazione un valore solo entro certi limiti, i
valori locali (Ortswerte) degli elementi sensibili o delle
parti degli organi devono essere considerati variabili 97 .
Le disposizioni spazio-temporali «non possono pià, essere
concepite come semplici determinazioni o inscrizioni in uno
spazio (vuoto) o in un tempo precedentemente dati. Ciascuna di
tali disposizioni esprime bensi una situazione attuale - un
96 Cfr. ivi, p. 113. 97 Cfr. iv i, p. 112. Considerato il padre della teoria dei Loialzeicben, Lotze ritiene tuttavia errato vedere nelle relazioni locali degli organi cose tali la base per le disposizioni nelle iatagini percettive e conferisce agli organi sensori una funzione di aediazione delle iapressioni localizzate.
97
avvenimento»9 8 , e il legame di un avvenimento con altri in una
disposizione spaziale e in una successione temporale è un nuovo
avvenimento, e cosi via. La catena che viene a prodursi in tal
modo non va quindi pensata collocata come un tutto in uno
spazio e in un tempo, ma come tale da prodursi in un
perfezionarsi dell'accadere (Geschehens-Fortbildung) ove si
costituiscono determinazioni spaziali e temporali che via via
sorgono e scompaiono, si compongono e dissolvono in immagini
sempre nuove. «Le cose, allora, non sono nello spazio e nel
tempo, ma spazio e tempo sono sorti nel perfezionarsi
dell'accadere (Geschehens-Fortbildung) e vengono incontrati
nelle cose o con esse»99; e ancora: «non il mondo e le sue cose
sono nello spazio e nel tempo, ma lo spazio e il tempo sono nel
mondo con le cose»loo.
Le disposizioni spazio-temporali vissute mediante la
percezione non sono dunque quelle «oggettive» - cioè non sono
date in maniera fissa ed univoca, e non sono quelle misurabili
con i criteri delle scienze fisico-matematiche -, esse sono
tuttavia condizionate dalle disposizioni degli oggetti 101 • Ci
si chiede allora come sia possibile intendersi con il mondo e
potersi muovere in esso, dato che non si possiede alcuna chiave
ultima di confronto tra realtà mondana e percezione. Il
procedimento di confronto della percezione con una
rappresentazione ottenuta dal calcolo delle disposiz.ioni
oggettive e delle proporzioni degli oggetti non dà alcuna
informazione sul nascere della percez.ione, né sui limi ti della
rappre_sentazione, entro i quali esso rimane racchiuso. E
tuttavia è proprio attraverso tale procedimento che le
98 lvi, p. 113. 99 lvi, p. lH.
· 100 I bi d. La nota che segue il passo ri1anda a Seio uod leit di M. Heidegger. 101 Cfr. ivi, pp. 103-107.
98
percezioni risultano essere un'incredibile mistura di
rappresentazioni «corrette», «somiglianti» o «sbagliate» degli
oggetti del mondo. Ciò che quindi Weizsacker considera valido
in generale è proprio la possibilità di riscontrare una
concordanza tra singole percezioni di un oggetto e
rappresentazioni ottenute per misurazione, cosi che «si
dovrebbe dire che tutte le rappresentazioni sono costituite in
modo tale che secondo le leggi della matematica esse sono
quanto meno possibili»l02: non è la distanza tra corretto e
sbagliato a separare percezione ed oggetto, ma quella tra
possibile e reale. Weizsacker vede perciò il rapporto tra
percezione e mondo reale fondato su di un principio di
possibilit~ avente la propria verifica nell'esperienza stessa e
non basato, come avrebbe voluto Kant, su «forme pure
dell'intuizione», su principi a priori di carattere matematico.
La percezione si realizza nel divenire dell'eventualità di una
coincidenza o di una contraddizione con il reale che ne
definisce il senso specificamente biologico, il valore sul
piano dell'attività vitale.
E' un dato di fatto che il principio di possibilità della
percezione si scontri con la contraddizione - una
contraddizione che si dimostra tuttavia solo apparente: in
questo dato di fatto consi.ste la cosiddetta «antilogica della
percezione». Se si guarda lungo i binari del treno. si ha
l'impressione che essi convergano sino a raggiungere la
fusione; eppure il loro interasse è il medesimo in ogni punto.
I modi del fenomeno, presi per sé nella loro singolarità,
appaiono spesso contraddittori; tuttavia il contrasto è
sanabile, prima che nell'elaborazione logico-razionale, nella
percezione stessa: poiché la percezione non si limita a
102 lvi, p. 107.
99
rilevare la convergenza dei binari, ma contemporaneamente viene
vissuta in relazione al percipiente come in parte vicina, in
parte lontana, e il contrasto si risolve e si elimina in un
dato geometrico necessario. La percezione della profondità, che
conserva l'impressione globale del parallelismo, fa si che si
annulli il contrasto con la convergenza: «per questo stato di
cose appunto adottiamo l'espressione antilogica in
contrapposi&ione all'ineliminabile contrasto della
contraddizione logica»lo3.
Il carattere antilogico si manifesta nella perce&ione in
relazione al suo essere necessariamente parte di un processo
conoscitivo in cui il «vero» e !'«illusorio» si rivelano tali
nel divenire di un percorso: «una percezione cessa di essere un
preso-per-vero quando in essa viene scoperto il carattere
illusorio, quando cioè sorgono nuove conoscenze che mostrano
che questa realtà è antilogica. Nella conoscenza empirica può
dunque essere oggi vero ciò che domani sarà falso», poiché «la
conoscenza empirica è vera solo come componente di una storia
della conoscenza, non come "conoscenza in sé". L'antilogico,
perciò, va ora definito meglio come una realtà della conoscenza
storica. Non solo una parte della storia della conoscenza, ma
all'opposto: una realtà che riconosciamo come vera là dove il
conoscere è essenzialmente mutabile, cioè nell'esperienza» 104 •
Nella descrizione del reale accadere in ambito organico, alla
logica del pen.siero razionale si .sostituisce l' antilogica
dell'esperienza, non solo mezzo di conoscenza, ma essa stessa
reale accadere. Essa non esprime una «contrad.dizione in sé»,
uno statico contrasto insanabile, ma la necessità del
presentarsi dell'opposizione nello sviluppo del divenire
103 Ivi, p. 109. Si veda anche il saggio di Weizsicker Oas AntilogisclJe, «Psychologische Forschung, 3 (1923), pp. 295-318 (V-Antilogiscbe 1923). 104 V-Antilogiscbe 1923, p. 297.
100
biologico: «l'antilogica non è affatto la contraddizione.
Poiché la contraddizione è precisamente il logico, e il
contrasto con essa viene dalla logica, avendo l'astuto logico
com'è noto, deciso di riconoscere, a ragione, nel principio di
contraddizione il principio fondamentale della logica»los. Il
principio antilogico conferma il principio di possibilità della
percezione, poiché l'apparire di binari paralleli in una
convergenza prospettica di allontanamento è l'apparire di un
oggetto possibile nella percezione. Ma si può andare oltre, e
sostenere che questo fenomeno non solamente è possibile, bensi
necessario: la convergenza deve apparire, come deve diminuire
l'angolo dell'interasse con l'aumentare della distanza.
La giustificazione del principio dell'antilogica della
percezione consiste nel fatto che non si percepisce un oggetto
per quel che esso è in sé stesso, ma «per come un oggetto in
generale può apparire»lo6; questo rende possibile la
coesistenza del contrasto cui dà luogo la comparazione tra
percezione ed oggetti reali (sottoposti a misurazione) e del
fatto che le percezioni sono comunque condizionate dagli
oggetti obiettivi. Si può dire che l'antilogica della
percezione è il presupposto stesso dell'accostamento della
percezione alla realtà oggettiva: date le specifiche condizioni
delle modalità del fenomeno (angolo visuale, distanza), non può
che darsi un'apparenza della cosa diversa nella vicinanza e
nella lontananza. «La parola apparente (scheinbar) non indica
qui che debba darsi un'illusione dei sensi, ma che in generale
nella percezione una cosa solamente appare, il che non
significa che sia data in modo falso, ma relativamente e quindi
imperfettamente»lo7. Il significato del «principio di
105 Oas Alltilogiscbe 1950 (i-GS VII}, p. 317. 106 i-Der Gestaltkreis 1940, p. 109. 107 lvi, p. 109.
101
possibilità» della percezione non è dunque quello di una scelta
tra possibilità diverse offerte dalla percezione, esso consiste
invece nel fatto che «la percezione produce un'unità
immaginativa (bildhaft) di certe determinazioni, che sarebbero
reciprocamente contrapposte, se esse fossero la cosa stessa per
intero e non solo modi del fenomeno di quella»los. Le modalità
dell'apparire del fenomeno hanno il carattere della necessità
dettata dalle condizioni proprie della percezione; ne segue che
«le percezioni sono fenomeni delle cose reali ottenuti mediante
organi reali»lo9.
c. Percezione e pensiero
l'idea di Gestalt non esclude affatto di per sé il concetto
ed il metodo della scienza obiettiva: anzi, sostiene
Weizs~cker, essa ne ha bisogno, sebbene non come presupposto
logico, ma come sua contrapposizione pratica. Potremmo dire
insomma che la scienza obiettiva costituisce !'«altro da sé»
sul piano pratico-conoscitivo del sistema metodologico e
concettuale necessario a determinare il concetto di Gestalt
organica. La stessa implicazione .si ha riguardo al tempo
biologico rispetto al tempo obiettivollo. Per il chiarimento di
questo a.sserto Weizs~cker ricorre al presupposto di una
separazione netta di percezione e pensiero: si tratta di
attività assolutamente separate ed autonome, eppure
reciprocamente legate a doppio filo. «L.e Gestalten - dice
Weizs&cker - ci appaiono nella percezione e nella
rappresentazione (Vorstellung); conosciamo (erfahren} invece i
108 lvi, p. 111. 109 Ibid. 110 v ... zeit, p. 40.
102
processi obiettivi attraverso il pensiero»111. Certo, anche ciò
che appartiene al ricordo può essere intuitivamente
(anschaulich) rappresentabile, cosi come ciò che è percepito
può essere pensabile. Pensiero e percezione hanno tuttavia un
fondamento differente; la loro legittimità riposa su
presupposti completamente diversi: «la certezza della realtà
(Realsein) nella percezione si fonda sul presente sensibile, e
lo stesso vale per le Gestalten; la certezza dell'obiettività
nell'esperienza (Erfahrung) del pensiero si fonda sulla
conclusione logica»112. Questo fondamento non è comunque
sufficiente da solo a garantire l'operatività di ciascuna delle
due funzioni conoscitive: perché sia possibile «fidarsi» di
loro accorre una sorta di prova incrociata, per cui il pensiero
obiettivo ha bisogno anche della percezione sensibile, e la
percezione si appoggia anche allo statuto logico della
razionalità. Naturalmente in ciascun caso la priorità
metodologico-fondativa dovrà venir assegnata rispettivamente
all'ipotesi teorica, che dall'esperienza sensibile dovrà
ottenere solo conferma, oppure alla percezione dei sensi - e
questo è il caso in cui si tratti di Gestalten organiche -, che
la critica teorica può solo eventualmente correggere mediante
strumenti logico-astrattivi.
Nonostante il fondamento autonomo, sensibilità ed
intelletto presi separatamente non sono dunque concludenti. Non
si tratta di facoltà semplicemente «affiancate» l'una
all'altra, come lo sono le tessere di un puzzle a comporre
l'intero; potremmo dire che esse sono reciprocamente
«perfettibili». Il rapporto sussistente tra le due facoltà è un
rapporto di completamento reciproco, ma di tipo particolare:
111 Ibid. 112 Ibid.
103
«il rapporto di completamento tra le due si mostra qui non come
qualcosa di simile alla partizione e ricomposizione di un campo
divisibile - come la natura inorganica e gli organismi; il
fatto che sensibilità e intelletto non si possano usare
contemporaneamente e nella medesima direzione sembra piuttosto
un perfezionamento delle facoltà conoscitive stesse
dell'uomo»113. Non si tratta solo di una possibilità di
«potenziamento» della facoltà conoscitiva e di «miglioramento»
del prodotto derivantene, dato ché «l'una non può darsi senza
l'altra e viceversa»114. Nonostante l'autonomia del fondamento,
percezione ed intelletto sono reciprocamente dipendenti, nel
senso che «l'intelletto prende informazioni dai sensi, i sensi
si sottopongono all'intelletto, e tuttavia ciascuno di essi
deve rimanere "puro" rispetto all'altro»lls, essi si applicano
cioè alla conoscenza in modo da «scambiarsi» e non
«interferire» l'una con l'altra.
In merito alla collocazione in un'unica categoria di natura
organica e inorganica che abbiamo trovato in una delle
precedenti citazioni, occorre fare alcune precisazioni. Sia
l'una che l'al tra si possono considerare - dice Weiz.sacker -
come campi divi.sibili in parti scomponibili e ricomponibili tra
loro; a questo genere di completabilità egli contrappone quella
specifica del rapporto intelletto e percezione. Ora, è chiaro
che il rapporto sussistente tra gli elementi che compongono un
oggetto fisico è assai diver~o da quello di dipendenza
strutturale e funzionale sussistente tra le componenti
organiche. Ma quello che in questo momento egli vuole
evidenziare e che determina la comunanza tra detti oggetti è la
loro compresenza, ovvero la contemporaneità, degli elementi
113 lvi, p. 41. 114 Ibid. 115 Ibid.
104
costituenti l'insieme dell'oggetto fisico e dell'organismo (per
il quale, se mai, resta da valutare la contemporaneità delle
specifiche funzioni). Viceversa la conoscibilità nel suo
insieme prevede una dipendenza - diciamo - «di alternanza» tra
le sue componenti (necessariamente funzionali): anche qui si ha
a che fare con il «principio della porta girevole» che tanta
parte gioca nella teoria del Gestaltkreis.
Come si è parlato di «nomofilia della percezione»116 , si
dovrebbe ora parlare di «eidofilia dell'intelletto», essendo
dato ogni prodotto astratto del pensiero solo come idea di
un'intuizione (Anschauung) che possa rappresentarla.
Rappresentazione (Vorstellung) e fantasia (Phantasie)
costituiscono il perfezionamento dell'intuizione. «Come allora
la percezione tende al pensiero, il pensiero tende
all'intuizione»117.
Il particolare rapporto di completamento tra facoltà
conoscitive che si verifica sul piano pratico dell'attività
svolta da esse ha infine lo stesso carattere del rapporto tra
sapere scientifico e vita concreta, poiché in fondo: «la
scienza consiste in uno scambio incessante di teoria e prassi,
in quanto ciò che ora essa viene a conoscere poi lo
applica»tle.
116 Si veda sopra il paragrafo intitolata «L'attività dei sensh. 117 W-leit, p. U. 118 Ibid.
105
Gestaltung della forma
Lo studio della formazione (Gestaltung), vale a dire del
costituirsi della forma (Gestalt) dell'attività organica, rende
possibile a WeizsAcker la soluzione del conflitto che viene a
crearsi tra la necessità del processo materiale dell'organico e
il carattere arbitrario e intenzionale tipico del movimento
autonomo. Esso consente infatti di determinare, mediante
l'analisi genetica della forma, quelle leggi che definiscono e
delimitano questa contrapposizione.
106
Le osservazioni effettuate sul movimento volontario
permettono di constatare che tra percorso spaziale e decorso
temporale dell'azione sussiste una relazione particolare.
Secondo gli esperimenti condotti da A. Auersperg e H. Derwort
ogni variazione volontaria della velocità nell'esecuiione di in·
un movimento coinvolge necessariamente la sua figura spaziale:
se con un dito si traccia una linea continua in aria essa
risulterà retta sino a che la velocità si mantiene costante; un
aumento o una diminuzione della velocità fanno si che si
ottenga una linea ondulata. Figura, spazio e tempo sono
elementi in reciproca relazione e nessuno di essi può essere
determinato preventivamente indipendentemente dagli altri. La
formazione di una figura motoria (Bewegungsform) è sempre
vincolata ad una specifica determinazione spazio-temporale,
che, pur non rappresentando il fine del movimento, non può
essere elusa. Se per esempio si cerca di descrivere un circolo
di una certa grandezza in un tempo pià breve di quello
utilizzato in precedenza esso risulterà inaspettatamente pià
grosso; se si desidera trasformare il circolo in una ellissi la
velocità con cui si riuscirà a descriver1a viene
necessariamente modificata; se invece ci si propone di variare
la velocità saranno la grandezza, la figura o entrambe a subire
cambiamenti. Allo stesso modo non è possibile riproposi di
eseguire una determinata figura ad una certa velocità, e quindi
una grande il doppio ad una velocità doppia: la velocità
risulterà infatti tre o quattro volte superiore. Secondo la
«regola del tempo figurale costante», l'associazione fissa di
figura, grandezza e velocità è assolutamente indipendente
dal!' intenzione e dal!' attenzione che le si può rivolgere: <<la
realizzazione motoria non avviene in maniera tale da
corrispondere all'intenzione e inoltre essa è tale che se
programmata non verrebbe affatto realizzata»119 .. La validità di
tale legge non concerne il solo movimento volontario, ma il
movimento organico in generale.
La forma dell'incontro tra organismo ed ambiente non è, per
essenza, qualcosa di simile ad una connessione di azioni che si
svolgono nel tempol2o. Se si tenta una comprensione del
movimento organico assumendo lo schema della successione
ordinata di azioni concatenate in un rapporto causale, ave ad
una intenzione segue un risultato, ci si trova di frequente
dinanzi al paradosso della non conformità all'esperien~a:
l'accadere, in virtà dell'indeterminatezza del 1uturo~ spesso
non corrisponde all'aspettativa (Erwartung), si rivela
sorprendente, è perciò la stessa esperienza empirica ad imporre
l'esclusione della struttura matematica del tempo organico.
L'essenziale nella «legge del tempo figurale costante» è il
legame funzionale sussistente tra la durata temporale e la
figura, il dato prolettico (proleptisch) che caratterizza
l'aspettativa (Erwartung) nell'attività degli organi di senso.
Tale dato definisce l'accadere «cosi che ciò che accade
119 'i-Der Gest1ltkreis 1940, p. 136-137. 120 lvi, p. 140.
107
attualmente debba essere rappresentato come un proveniente
(Kommendes) da qualcosa di accaduto, non più dal passato che si
modifica, e un dirigentesi (Gehendes) verso un futuro non
accaduto, atteso o sorprendente, quindi ancora indeciso»121. Un
simile «da-a» ha una struttura composta di determinatezza ed
indeterminatezza insieme, dove l'indeterminatezza parziale non
è dovuta ad una conoscenza incompleta dei fattori determinanti,
ovvero delle cause, ma si fonda su di una proprietà essenziale
del tempo biologico che, diversamente dal tempo omogeneo
continuo, si costituisce via via a partire dal presente.
Empiricamente, l'indeterminatezza consiste nel fatto che un
osservatore del movimento biologico non può considerare il
processo completo come se fosse «trascorso fino alla fine»~
come se potesse averlo dinanzi come un intero, ma è costretto a
limitarsi al presente attuale, a dover partire sempre di nuovo
dall'«ora» posto tra necessità del passato ed imprevedibilità
del futuro. Tra la necessità della catena causale e la libertà
dell'indeterminato si pone il momento della «decisione»
(Entscheidung)122 - un autentico «salto», uno «stacco» decisivo
dall'ordine della successione ordinata: «l'origine dell'atto è
decisione, ed essa è altrettanto lotta della necessità contro
la libertà come del dovere contro il volere»12 3 • Il tempo di
formazione della figura o «tempo figurale» (Figurzeit) si
configura come questione generale del Gestaltkreis. Esso viene
valutato da Weizsacker, oltre che nella determinazione empirica
del movimento, nella strutturazione dell'attività percettiva
nel suo complesso.
Con un esperimento concernente la percezione del movimento
di punti luminosi Auersperg e Sprockhof nel 1935 hanno potuto
121 Ibid. 122 Cfr. ivi, p. 141. 123 lvi, p. 186.
108
dimostrare che l'occhio è in grado di cogliere
contemporaneamente sia quanto avviene nell'attualità come
inatteso (Ueberraschung) sia ciò che rappresenta l'attesa
(Erwartung). L'occhio cioè risulta in grado di restare «fermo»,
per un certo lasso di tempo (Zeitspanne), ad una situazione per
la quale mancano gli stimoli corrispondenti mentre quelli
presenti producono un'immagine completamente differente, per
cui contemporaneamente si ottengono una immagine attesa ed una
non attesa. Questo fenomeno, in relazione al quale è stata
coniata l'espressione «zeituberbruckende Gegenwart», non è
ottenuto per mezzo di un'immagine postuma, ma per «una
prestazione attuale dell'organo resa possibile solo mediante
"attesa"»124. L'anticipazione (Vorwegnahme) o prolessi che cosi
si verifica non è in alcun modo dimostrabile mediante una
registrazione temporale.
La sorpresa, la visione inattesa, è un'aspettativa di tipo
negativo, è un paradosso; l'attesa che non si tramuta in una
situazione reale viene soddisfatta o meno. La paradossalità
dell'attività materia consiste sostanzialmente nel fatto che -
per usare il linguaggio della psicologia- «l'intenzione
soggettiva e la realizzazione oggettiva del movimento riguardo
alla forma divergono in maniera essenziale»12s. L'intenzione
crea un'aspettativa (Erwartung) disattesa, quindi un'illusione
dovuta ad una divergenza sul piano conoscitivo tra la
rappresentazione e l'oggetto. Tale considerazione contiene un
giudizio su processi che avvengono nel tempo, ma anche un
giudizio sul tempo organico stesso. Non si può dare qui una
qualunque rappresentazione di disposizione temporale
quantitativa, poiché si ha a che fare con una «decisione
124 lvi, p. 138. 125 lvi, p. 137.
109
qualitativa sull'inizio (Eintritt) dell'ordine come tale»126.
Se una disposizione venga realizzata in una forma
corrispondente o meno ad essa, va considerato come la
conseguenza di una relazione al tempo e non ad una successione
temporale.
Anche la «percezione di qualcosa» non è rappresentabile in
una successione temporale: essa può magari essere messa in
relazione al decorso dell'eccitazione nell'organo, non al
rapporto di soggettività ed oggettività concepite sul medesimo
piano temporale: «La distinzione di tempo soggettivo e tempo
obiettivo-matematico - dichiara Weizsacker - non è perciò
affatto da trattare, a mio parere, sotto un comune
superconcetto di "tempo"»127. Tenere rigorosamente distinti
l'ordinamento temporale oggettivo e quello organico-soggettivo
è indispensabile: «la disposizione temporale oggettiva e quella
soggettiva sono disposizioni di due processi nello stesso
tempo, ma ciò che viviamo soggettivamente è un fenomeno del
mondo- tra l'altro ordinato temporalmente; una comparazione o
un parallelo del fenomeno con ciò che appare annulla il nucleo
di questo rapporto»12s. Tra ordine temporale vissuto ed
obiettivo si dà solo un certo parallelismo grazie al quale si
può vivere l'inserimento nel proprio ambiente, ma esso è
soltanto parziale; «ciò che nel tempo (obiettivo) trascorre, in
un presente è per metà non più e per l'altra metà non ancora
realizzato»129.
Weizsacker aveva imparato da von Kries che la misurazione
del tempo è in realtà sempre solo una misurazione spaziale di
connessioni spaziotemporali pensate come costanti. Ma con
126 lvi, p. 138. 127 lvi, p. 139. 128 Ibid. 129 w- Jeit, pp. 39-40.
110
simili premesse non è possibile cogliere la struttura
essenziale del tempo organico, il suo essere cioè un presente
che si staglia tra passato e futuro13o: «Il presente come
atteso (Erwartetes) è una continuità temporale che costringe
dal passato verso il futuro; il presente come sorpresa è una
puntualità del tempo rilevata tra passato e futuro. Entrambe
costituiscono una relazione alla temporalità dell'accadere come
avvenimento, non alla determinatezza temporale del corso
obiettivo»131.
La relazione sussistente tra Gestalt e tempo non concerne
naturalmente la sola percezione di figure che si determinano
nel movimento, ma ogni formazione di Gestalt organica: «ogni
fenomeno che abbia una figura (figuriert), in quiete o in moto,
possiede anche una forma temporale (Zeitgestalt)»132; giacché è
la Gestalt stessa a conformare la struttura temporale, non può
darsi forma o figura atemporale. Si possono distinguere due
valenze del concetto di forma organica: rispetto ad una
determinazione spaziale essa è propriamente il «luogo»
dell'incontro tra organismo e ambiente; sotto il profilo
temporale essa è da considerarsi «genesi» del rispettivo
presente. Nonostante che il significato spaziale sia necessario
al concetto di forma, il suo senso spaziale è di fatto
prioritario133.
La scienza analitica classica non può essere in grado di
cogliere e formulare un simile concetto di Gestalt. La
percezione della figura del movimento di una particella
materiale richiede memoria (Ged!chtnis); essa può quindi
fondarsi sul materiale senza essere affatto corrispondente a
130 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 139. 131 Ibid. 132 W-Zeit, p. 36. 133 'i-Der Gest1ltkreis 1940, p. 141.
111
qualcosa di materiale. Ma la concezione analitico-meccanica
della scienza prevede che la materia sia del tutto indipendente
dalla memoria e anzi, se ci si attenesse alla distinzione
cartesia_na del materiale, apparterrebbe alla sua stessa
definizione di res extensa l'essere affatto distinta da tutto
ciò che è res cogitans. Per poter percepire il movimento di una
particella materiale è necessario un processo di
simultaneizzazione del succedersi degli spostamenti, una
conservazione sincronica mediante il ricordo dei luoghi,
obiettivamente successivi l'uno a_ll' al tra, appa_rtenenti al
percorso effettuato dalla particella. La semplice conservazione
mnemonica, tuttavia, non giustifica ancora il riconoscimento
della particella che si trova nel luogo successivo come la
stessa particella che si trovava al luogo precedente. Anziché
proporre un principio di identificazione della particella, va
riconosciuto il carattere prolettico della percezione, per via
del quale con il fenomeno dello spostamento sono dati i momenti
del «proveniente da» e «procedente verso». Ne segue che la
direzione (da-verso) del movimento costituisce una
caratteristica essenziale della percezione della figura: «Ad
esempio, in molti casi l'occhio intraprende~ solo a partire da
questo "da-verso", dei chiari completamenti della figura che
non sono affatto fondati nello stimolo (dell'oggetto dato)» 134 •
Questa «prolessi della percezione», ovvero anticipazione dei
possibili esiti del movimento, è sostenuta da Weizsacker - come
sappiamo - in base ad una rigorosa attestazione sperimentale.
Naturalmente anche questo carattere prolettico non può
avere realtà alcuna nella scienza fisica e meccanica: «ciò che
nella forma obiettiva del tempo non è ancora, non è
134 W-leit, p. 36.
112
affatto» 13 S. Ciò che è reale nella forma della
presentificazione anamnestico-prolettica tipica della
percezione è un irreale nella scienza naturale analitica. La
struttura biologica del tempo nel superamento del dualismo
psicofisico rivela la sua paradossalità: il tempo biologico
«non è il tempo obiettivo ciò in cui viviamo, bensi otteniamo i
tempi per il fatto che viviamo»136. Se «il tempo obiettivo
[ ... ]distrugge la realtà della Gestalt», il tempo biologico
«in quanto presentificazione anamnestico-prolettica della
fattualità del vivere (Lebensereignis) abolisce il tempo
obiettivo»137. Le forme sfuggono al tempo obiettivo per il
fatto di richiedere il «sincronismo in un presente di ciò che
obiettivamente non è più e di ciò che obiettivamente non è
ancora»lJs. La transitorietà e la direzionalità della Gestalt
temporale si uniscono alla sua stabilità in un presente grazie
ad una concezione della struttura temporale in grado di
descrivere il divenire del processo di formazione figurale
della percezione: «è propriamente il vigile sprofondamento
nell'immagine della nostra percezione ad insegnarci che non c'è
nulla di bell'e formato (Ausgestaltet), ma sempre soltanto
qualcosa che si autoforma (ein Sich-Gestaltendes)»139 • Anamnesi
e prolessi non possono spiegare certo da sole il processo
vivente; esse sono però presupposti della realtà biologica,
«monito a voler riconoscere il vivente nel tempo obiettivo
trascurando il soggetto»140. La reintroduzione del soggetto in
biologia è reso possibile - secondo Weizsacker - anzitutto
grazie al concetto di tempo biologico che ha, più in generale,
135 lvi, p. 37. 136 lvi, p. 39. 137 Ibid. 138 Ibid. 139 lvi, p. 37. 140 lvi, p. 40.
113
114
il significato di tempo soggettivo.
Parte II
Relmut.h.._P-l.e_s_s_n_e.r...:. -------·-------··
Premessa
Il vasto progetto filosofico concepito da Helmuth Plessner
come rifondazione della scienza della natura dell'uomo si pone
nell'ottica di un radicale rinnovamento della struttura stessa
del sapere comtemporaneo. Scienza e filosofia, altrettanto
indispensabili allo scopo di una ricognizione esaustiva della
realtà antropologica, devono sapersi mettere nella condizione
di svolgere un'attività di reciproco completamento e di
proficua collaborazionet. L'oggetto comune della loro indagine
è rappresentato dalla complessa e peculiare unità psicofica di
una struttura - insieme biologica e razionale - la cui
effettiva duplicità ha rappresentato da sempre l'ostacolo
maggiore per un chiarimento decisivo del suo statuto
antologico. Dal punto di vista filosofico, il problema, che
richiede anzitutto una corretta impostazione metodologica, va
affrontato secondo Plessner nella duplice prospettiva suggerita
dalla condizione stessa della natura umana - il suo appartenere
cioè tanto ad una dimensione spirituale quanto ad una
dimensione organica - senza con ciò cedere al rischio di
scindere aspetti differenti ma concomitanti ancorandoli a
principi essenziali distinti. Un unico principio deve perciò
presiedere allo studio di una natura unitaria, mentre la
direzione della ricerca deve potersi differenziare al fine di
ottenere un quadro antropologico completo. Uno studio
«orizzontale» dell'uomo «portatore di cultura», capace di
organizzarsi in società ed esprimersi creativamente nel
linguaggio, nell'arte, nella scienza, uno studio che risalga
quindi alle condizioni della possibilità di simili
1 Si veda il saggio di Plessner Noderner Nissenscbaftsbegriff und pbilosopbiscbe rradition (P-GS IX, pp. 325-331).
116
manifestazioni, deve affiancarsi ad un'indagine «verticale»
della sua specifica condizione biologica2.
Nell'opera Die Stufen des Organiscen und der Mensch del
1928 - che orientandosi in quest'ultima direzione dovrà
raggiungere le fondamenta ultime sulle quali poggia
sostanzialmente l'intero progetto antropologico 3 - Plessner
elabora una «teoria dei modali organici» attraverso una
minuziosa e complessa deduzione dei caratteri d'essenza della
realtà organica e dei diversi «gradi» in cui essa si compone 4 •
Essa conserva una duplice radice: se il suo carattere è
rigorosamente apriorico e la sua validità necessaria ed
universale, la sua giustificazione - il suo punto di partenza
come la sua verifica - si affida in ultima istanza al dato
percettivo, all'attività sensibile dell'esperienza. Metodo a
priori fenomenologico-dialettico e metodo empirico a posteriori
mantengono la loro efficacia in un singolare intreccio
teoretico che persegue non il fine di costruire una «metafisica
dell'organico», ma quello di tracciare un quadro logico
antologico delle coordinate strutturali essenziali
all'elaborazione di una teoria dell'organico e dell'uomo che
possa articolarsi esaurientemente su piani filosofici e
scientifici molteplici.
2 Cfr. Die Stufen des Organiscben und der Nenscb. linleitung indie pbilosopbiscbe Antbropologie, BerlinLeipzig, 1928, 19652 (ora P-GS IV), p. 70. 3 «Senza una filosofia dell'uomo- sostiene Plessner- nessuna teoria dell'esperienza di vita umana nelle scienze dello spirito. Senza una filosofia della natura nessuna filosofia dell'uoao»: Stufen (P-GS IV), p. 63. 4 Mel contesto della produzione filosofica di Plessner quest'opera rimane unica nel suo genere. Ripubblicata invariata dall'autore nel 1965, essa continuerà a rappresentare la base antologica, la «filosofia della naturaJ, alla quale rimandano gli studi successivi.
117
I. La posizionalità dell'organico
La duplicità d'aspetto nella percezione
a. Duplicità d'aspetto e Transgredienz
Gli oggetti fisici appaiono alla percezione in modo tale da
presentare la duplicità di un interno - il centro nucleare
della cosa - ed un esterno, un insieme di proprietà che
rimandano a quel centro. Tale duplicità d'aspetto
(Doppelaspektivitat), dato fondamentale ed innegabile
dell'esperienza sensibile, costituisce il punto di partenza per
la formulazione dell'ipotesi che guida Plessner alla
determinazione dei caratteri distintivi della realtà organica:
questa caratteristica potrebbe risultare decisiva per una certa
categoria di oggetti, i quali non solo mostrano una duplicità
d'aspetto comune ai corpi fisici in generale, ma sembrano
apparire «nella» Doppelaspektivitat come se essa stessa fosse
una loro essenziale proprietà. Si postula quindi che a questa
seconda specie di oggetti corrispondano le cose viventi 1 • Il
fatto che il vivente, e in particolare l'uomo, possa essere
considerato come avente una caratteristica simile, è attestato
dall'intera storia della filosofia, che per lo più ha cercato
di darne ragione ricorrendo a concezioni che prevedono un
duplice principio a capo della sua essenza. Col sottolineare
l'ineliminabilità di una duplicità d'aspetto2 Plessner si
propone il fine di trovare in essa non un momento di
scomposizione, ma l'elemento di unità intrinseca che presiede
all'essenza del vivente, un «intero» in continuo rapporto e
t Stufen (P-GS IV), pp. 115-116. z lvi, p. 115 e p. 116.
118
scambio con l'ambiente.
Punto di partenza dell'indagine plessneriana, la
Doppelaspektivitat ha dunque il suo fondamento nella percezione
esperienziale. Che le cose estese appaiano in una duplicità
d'aspetto di esterno ed interno, non convertibili l'uno
nell'altro3, è un dato originario fornito dall'intuizione
(Anschauung)4. Ciò significa che il corpo fisico nella sua
totalità appare all'intuizione come il lato esterno di un
interno che rimane nascosto, e che del corpo costituisce il
nucleo (Kern o Mitte). A tale nucleo fa capo l'unità intrinseca
in cui la cosa viene percepita.
In parziale accordo con gli studi compiuti dalla psicologia
della Gestalt, in particolare con la teoria antimeccanicistica
dell'organizzazione dei contenuti percettivi di Kohlers,
Plessner ritiene che la cosa percepita non consista
semplicemente della somma dei dati dei sensi tenuti insieme da
una forma 6 , ma, se pure di somma si può continuare a parlare,
essa costituisce una grandezza a sé stante, relativamente
separata dall'ambiente circostante e in sé unitariamente
organizzata. La percezione presenta la pura immagine di un
oggetto che appare come una grandezza circoscritta dalla quale
dipendono le proprietà con cui l'oggetto si presenta ed il cui
centro si mantiene tra semplice presentazione e reale
percezione. Il centro o nucleo della cosa, non va dunque
pensato come un centro sostanziale in senso ontologico
metafisico, né come un vuoto ed astratto concetto scientifico,
ma come un «polo percettivo» a cui rimanda necessariamente
3 Per quanto riguarda l'oggetto di questo breve capitolo cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 127-133. • Per il significato di questo concetto si veda oltre. 5 Cfr. lohler, W., GestBltprobleJe und Anfinge einer GestBlttbeorie, «Jahrebericht uber die gesaate Physiologie) 1922, pp. 510-518; Id., Gest1lt Psfcbologf, Hew York, 1929 (trad. it. LI psicologiB delll Gest1lt, a cura di G. de toni, Milano, Feltrinelli, 1977). ' Cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 128-129.
119
l'organizzazione dei dati sensibili.
E' proprio nei dati sensibili e mediante essi, che la cosa
si rivela «fondata in sé stessa»: appartiene cioè all'essenza
di questa struttura che i dati sensibili, in quanto proprietà
«della cosa», rimandino all'«interno» della cosa stessa, ad un
centro al quale sono legati - centro che, tuttavia, non appare
esso stesso nel fenomeno. Nonostante che la cosa si costituisca
mediante le proprietà queste mostrano chiaramente la propria
dipendenza, la propria mancanza di autonomia, nel rimandare ad
un centro della cosa'.
L'immagine offerta dalla percezione è senz'altro- secondo
il principio fenomenologicos - la «cosa stessa», in sé fondata,
ed autenticamente presente. Nondimeno, ciò che della cosa
appare realmente, e quindi è sensibilmente documentabile, non è
altro che uno degli infiniti possibili lati (Seiten o Aspekten)
della cosa, non la cosa per intero, la quale non è mai
sensibilmente documentabile nella sua interezza «in una volta
sola». Per quanto si cerchi di osservare attentamente un
oggetto, muovendolo o suddividendolo in parti, questo non potrà
apparire che «da un lato», «secondo un lato», cioè come aspetto
parziale di un intero, di un «tutto», che l'intuizione non
riesce a cogliere. Il lato realmente presente implica soltanto
l'intera cosa della quale fa parte, ma né del modo del suo far
parte della cosa, né della cosa come intero è data
documentazione sensibile. Il contenuto fenomenico, cosi, va
oltre il suo semplice esser-lato, e lascia trasparire
quell'intero, la cui necessità viene indicata da Plessner nella
struttura stessa del rapporto interno-esterno. Nel fenomeno
5 Delle proprietà viene aesso in luce l'ambiguo aodo in cui esse si presentano all'intuizione: da un lato coae ciò che fa si che la cosa sia quel che è, dall'altro come entità relative, trasponibili in altre cose. E l'uso linguistico corrente favorisce, secondo Plessner, questa duplicità (Cfr. ivi, p. 152). 8 Plessner accoglie i principi fenoaenologici in foraa «elastica,, piegandoli alle esigenze di una ricerca che si avvale di stru1enti differenti, talora dialettici, talaltra eraeneutici.
120
reale9 il centro nucleare della cosa, !'«asse portante»
dell'essere della cosa stessa, appare, ma- abbiamo detto -né
come realmente immanente ad essa, ovvero documentabile
sensibilmente, né come trascendente, cioè senza legami
percepibili con essa. Per questo motivo, necessariamente, la
cosa appare come adombrata (abgeschattet).
A tale proposito, Plessner si richiama espressamente alla
teoria fenomenologica di Husser11o. Nelle Idee, Husserl pone la
distinzione tra percezione di oggetti trascendenti e percezione
di oggetti immanenti al flusso coscienziale, gli Erlebnisse. A
differenza di questi ultimi, le cose spaziali vengono percepite
in sé stesse attraverso la sintesi unitaria di continuità di
adombramenti, ragione per cui la loro percezione è sempre
«inadeguata», ovvero «unilaterale»ll. Ma rispetto al
significato del principio dell'adombramento husserliano,
Plessner prende subito una certa distanza. L'Aspektivitat, o
«l'essere secondo un lato», appartiene, nella teoria di
Plessner, strutturalmente all'oggetto nel fenomeno: non è
dovuta all'insufficienza dei sensi, né ha a che vedere con la
soggettività della percezione; e tanto meno essa va confusa con
l'immagine della percezione o della presentazione della cosa
che rimane nella coscienza, mentre - aggiunge Plessner
«coloro che concepiscono la legge dell'adombramento di Husserl
come un rimando al processo cognitivo soggettivo-idealistico si
lasciano influenzare troppo dall'interpretazione stessa di
9 Le espressioni reelles Pblno1en e reelle lrscbeinung sono usate da Plessner come sinonimi. Esse indicano il fenoaeno documentabile attraverso 1 sensi. 1° Cfr. lvi, p. 130. Il riferiaento, tuttavia, non vuole essere troppo vincolante: insieae ad Husserl, Plessner cita Kant ed Hegel per avere posto l'accento, come Husserl, sulla necessaria unilateralità del fenoaeno. 11 Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Pblno1enologie und pblno•enologische Pbilosopbie, a cura di W. Bieael, «Husserliana, III, IV, v, Den Haag, 1950-1952 (trad. it. Idee per una feno•enologia pura e per una filosofia feno1enologica: l, a cura di G. Alliney, !orino, Einaudi, 1981; II, a cura di E. Filippini, Torino, Einaudi, 1982; III, a cura di E. Filippini, !orino, Einaudi, 1982), I, J 41, p. 88 e J 44, p. 94 (i numeri di pagina si riferiscono all'edizione italiana).
121
Husserl e non si chiariscono questa distinzione tra
Aspektivitat e soggettività»12. Dal canto suo, tuttavia,
Husserl ha cercato di porsi al riparo da interpretazioni
soggettivistiche (non trascendentali) da un lato distinguendo
nettamente tra cosa adombrata - realmente trascendente - e dati
sensibili - che, fungendo da adombramenti, sono Erlebnisse -
dall'altro sostenendo che la necessaria unilateralità inerente
la percezione di un trascendente appartiene all'essenza della
correlazione tra cosa e percezione di cosa13 e non al semplic~
modo di percezione soggettivo. Ma lo sviluppo della concezione
fenomenologica di Husserl, già nelle Idee, muove verso
quell'idea di coscienza trascendentale in cui trova piena
legittimazione ogni determinazione essenziale, inclusa quella
di «essere trascendente». Nell'assoluta priorità e apoditticità
che viene ad assumere la soggettività trascendentale, essendo
ciò attraverso cui passa ogni costituzione di mondo, Plessner
vede i connotati di un soggettivismo assoluto di tipo
idealistico-trascendentale; e un'interpretazione viziata
idealisticamente della legge dell'adombramento non può- a suo
parere- cogliere adeguatamente l'Aspektivitat quale proprietà
d'essenza. L'«andare oltre sé stesso» del contenuto fenomenico
propriamente esperito, che lascia trasparire l'intero della
cosa, è chiamato da Plessner Transgredienz. Grazie a tale
carattere, documentabile sensibilmente, il fenomeno reale è più
che un aspetto «sulla cosa» (auf das Ding), cioè un aspetto
parziale di quella, è un aspetto «della cosa» (des Dinges), un
aspetto di quell'intero che esso lascia trasparire.
La Transgredienz si manifesta in due opposte direzioni: «la
Transgredienz del fenomeno «verso il fuori» della cosa ("in"
1z Stufen (P-GS IV), p. 131. 13 Cfr. E. Husserl, Idee I, J 41, p. 89; J 44, p. 94.
122
das Ding "hinaus") e «intorno» alla cosa ("um" das Ding
"herum")» 14 ; l'una si dirige verso l'interno della cosa, verso
il suo centro sostanziale, l'altra invece si dirige verso
l'esterno, verso i suoi vari, possibili lati. E' proprio grazie
alla Transgredienz, a questa duplice direzionalità della
percezione, che la cosa appare come cosa presente e come unità
coordinata di lati. Nel fenomeno reale dell'oggetto le due
direzioni si danno anticipatamente, ciò che Plessner esprime
anche dicendo che la cosa appare come un continuum «profondo»
di aspettilS.
b. La percezione dell'essere vivente
Non meno della cosa fisica inanimata, il vivente è
sottoposto alle leggi del fenomeno della cosa in generale. In
quanto corpo fisico, anche per esso vale la legge della
percezione secondo la duplice direzione interno-esterno, e
quindi il principio dell'adombramento. Ma rispetto alla cosa
non vivente, il corpo organico si presenta alla percezione con
il «sovrappiù» di una proprietà particolare, la proprietà della
vitalità che - si può dire - cambia materialmente e formalmente
il modo in cui esso viene a fenomeno. Le cose viventi infatti,
per come appaiono all'intuizione, non sembrerebbero
riconducibili al principio della Gestalthaftigkeit dei corpi
inorganici. In questo modo Plessner prende posizione nel
dibattito tra Kohler e Driesch a favore di quest'ultimo:
sebbene dal punto di vista delle scienze empiriche Kohler possa
14 Stufen (P-GS IV), p. 130. 15 lvi, p. 131. Husserl potrebbe fornire una buona parafrasi di questo punto: Cfr. Husserl, Idee I, J 44, p. 95. Lo stesso carattere di fransgredienz, appartenente struttural1ente al fenoaeno delle cose fisiche spaziali, si presenta anche nel fenoaenizzarsi delle cose spirituali, nelle Janifestazioni della coscienza. Stufen (P-GS IV), p. 131-132.
123
aver ragione, è a Driesch che bisogna dare ascolto quando
afferma- sostenendo le ragioni dell'intuizione- che i viventi
presentano una peculiare struttura organizzativa16.
Questa divergenza rispetto al fenomeno del semplice corpo
fisico giustifica agli occhi di Plessner la formulazione
dell'ipotesi di una costituzione essenziale particolare del
vivente. Sviluppata attraverso il metodo a priori, essa
dovrebbe mostrarsi in grado di spiegare lo specifico modo
d'apparire e d'essere dell'organico, il fatto cioè che la
relazione interno-esterno si presenti nel vivente come
determinazione oggettiva del corpo nel suo fenomeno e lo faccia
apparire come un intero. La duplicità d'aspetto,. pur avendo, in
quanto proprietà come altre, il significato di una
determinazione solo aggiunta alla loro somma, sembra che non
sia semplicemente «disposta accanto» a quelle, bensi loro
«sovraordinata» (ubergeordnet). Per questa ragione il corpo
organico dovrebbe venir considerato come organizzato secondo un
principio di Ganzeitlichkeit, piuttosto che secondo il
principio generale della Gestalthaftigkeit valido per la
corporeità fisica in generale17.
16 Cfr. ivi, p. 157; e inoltre le pp. 138-149 sulle differenti posizioni di Kohler e Driesch. Di Driesch si veda tPbtsiscbe GestaltenJ und Organis1en, cit .. La teoria dell'entelechia di Driesch viene tuttavia decisamente rifiutata da Plessner, che - con una certa frequenza nelle Stufen, ma non solo in esse- viene considerata affatto insostenibile principalmente sul piano aetodologico: cfr. H. Plessner, Vitalis1us und irztlicbes Denken (P-GS IX) del 1922 e il poscritto alle Stufen, in Stufen (P-GS IV), pp. 426 sgg. 17 Stufen (P-GS IV), p. 149.
124
Il Carattere spaziale dei concetti
La terminologia specifica utilizzata da Plessner nella
descrizione dei caratteri dell'organico si richiama
direttamente o indirettamente - alla dimensione spaziale della
corporeità materiale. Ciò propone tra l'essere organico e la
corporeità materiale in generale un rapporto prioritario, anche
se puramente analogicols.
«Interno» ed «esterno», «nucleo» e «lati» sono
determinazioni che fanno immediatamente pensare al carattere
spaziale della cosa, alla sua misurabilità in uno spazio
fisico, alla sua determinazione mediante punti di riferimento
geometrici. Lo stesso concetto di «posizionalità» rimanda
all'idea di una «collocazione» o «collocabilità» spaziale della
cosa «rispetto a» qualcosa. E Plessner ne è sicuramente
consapevole, tant'è che si preoccupa di salvaguardare le
relazioni strutturali dell'organico da pericolosi avvicinamenti
alle relazioni spaziali della fisica, che, per quanto utili,
risulterebbero fuorvianti: «Essere spaziale significa avere
limiti dimostrabili. Ogni cosa, in quanto costrutto spaziale,
ha le sue dimensioni in un luogo determinato, in termini più
espliciti essa ha contorni, una periferia ed un centro
dimostrabili. Su centro e lati nel senso spaziale si può
mettere il dito. Su centro e lati intesi come costitutivi della
cosa ciò non è possibile»19.
11 Renato !roncon sottolinea questo aspetto del pensiero di Plessner: «la cosa è anzitutto nello spazio. La cosa ha un eletentare nesso con lo spazio. Corporeità e spazialità sono inti1a1ente connesse, ed è solo l'arretratezza e approssitazione- nonostante tutto- dei nostri studi relativi a non farci vedere quanto sia inti1o questo nesso [ ... ]. Plessner lavora con un concetto di prospettìcità prelevato dallo spazio, •a [ ... ]si rifiuta di considerare lo spazio co1e tale, cole prospetticità, e lo dichiara tetaforico!): R. Troncon, Studi di antropologia filosofica, vol. I hl filosofia dell'inquietudine, Milano, Guerini, 1991, p. 95. 19 Stufen (P-GS IV), p. 131. E' interessante notare che dall'espressione «caratteri costituenti la cosa, è stata atessa la precisazione cnel feno1eno,, o1issione che sarà seapre più frequente e significativa: Plessner è infatti interessato a considerare «ciò che la cosa è,, non invece «coae essa appare,, o co1e
125
Le relazioni fisico-spaziali non sono dunque le relazioni
della definizione dell'essenza dell'organico. Il richiamo
all'ordine spaziale di queste, il loro carattere
«apparentemente» geometrico-spaziale, si può giustificare
attraverso la concezione plessneriana della percezione, secondo
la quale i caratteri d'essenza appaiono originariamente
all'intuizione in un legame inscindibile -per la percezione
stessa - con le caratteristiche fisiche corporee2o. La
relazione nucleo-proprietà, di per sé indifferente rispetto
alla spazialità degli oggetti nei quali essa si manifesta, è
comunque strettamente legata alla forma strutturale del
prodotto materiale di cui costituisce l'essere reale affatto
indipendentemente dal suo essere spazialmente condizionato, dal
suo consistere di una forma e una materia che si deteriorano o
si trasformano nel tempo.
Plessner non dà chiarimenti a proposito di come si effettui
il legame tra struttura spaziale e struttura essenziale del
corpo, né di come l'intuizione possa da un lato presentare la
loro inseparabilità, dall'altro fornire le condizioni che
permettono di distinguerle21. Alla domanda se esista un qualche
rapporto di fondazione tra profondità strutturale o
multilateralità dell'essere della cosa e i momenti spaziali
della sua corporeità fisica, Plessner risponde negativamente,
sostenendo che tra essi, appartenenti a differenti «piani
dell'essere», esiste solo un rapporto di reciproco
condizionamento22.
potreamo inferire che essa sia a partire da come appare. 2° Cfr. ivi, p. 131: ci momenti costitutivi della cosa ed i momenti spaziali non sono[ ... ] identici, anche se inseparabili nell'intuizione). 21 Plessner pensa probabilaente proprio a simili mancanze della teoria allorché afferma: cgui si perviene solo al !eno1eno della struttura, non alla sua genesi, non alla sua legittiaazione e non al suo valore di verità): ivi, p. 135. 22 Cfr. ivi, p. 133.
126
Tra la relazione interno-esterno spaziale e la relazione
interno-esterno strutturale della cosa si riscontra una
fondamentale differenza. Gli aspetti della dimensione spaziale
della cosa costituiscono, in quanto tali, direzioni divergenti,
ma non inconvertibili l'una nell'altra. Come concavo e convesso
abbisognano solo di una conversione per divenire coincidenti,
reciprocamente scambiati, cosi, mediante una semplice
inversione, è possibile trasformare - anche solo idealmente -
l'interno di un oggetto nel suo esterno e viceversa, come
quando si rovescia un indumento. Non vale lo stesso per la
relazione essenziale interno-esterno o nucleo-proprietà, sulla
cui divergenza di principio si fonda l'unità strutturale della
cosa: «sfere divergenti per principio sulla cui reciprocità
deve fondarsi l'unità di una struttura oggettiva, sono
coordinate tra loro polarmente come l'interno e l'esterno
spaziali, ma diversamente da tale relazione non sono
trasponibili l'uno nell'altro»23. In questa duplicità di un
interno che mai appare realmente ai sensi, cioè che mai diviene
esterno, e di un esterno che mai si converte in interno,
l'oggetto non si sfalda, all'opposto: proprio in tale duplicità
e grazie ad essa si forma la sua oggettiva unità di cosa 24 .
La radicale divergenza d'aspetto non appare, però, essa
stessa nel fenomeno. L'intuizione scorge solo un costrutto
chiuso, che, saldo al suo nucleo, rivela l'esistenza di un
interno avente una superficie esterna. E' solo la riflessione
successiva che, come riflessione filosofica, analizzando la
«richiesta» dell'Anschauung- che supera il limite di controllo
dei sensi - raggiunge l'autentica divergenza di aspetti della
relazione essenziale interno-esterno: «la duplicità d'aspetto
23 Ivi, p. 128. 24 Cfr. ivi, p. 137.
127
costituisce il prodotto dell'intuizione del corpo, ma come
condizione reale essa si perde in ciò che è da essa
condizionato» 25 . L'intuizione è conoscenza immediata della cosa
ottenuta attraverso i sensi. Essa non giunge alla struttura
dell'essenza di quanto incontra, tuttavia avanza una
«richiesta» che oltrepassa i limiti della sensibilità26 e
dell'indagine empirica in genere. In tal modo l'intuizione
accenna a «qualcosa d'altro», ad uno strato più profondo della
realtà e giustifica un proseguimento dell'indagine verso le
strutture essenziali.
Possiamo cosi dire che l'intuizione esperienziale è punto
di partenza e insieme legittimazione di una teoria a priori
dell'essere fenomenico. La riflessione razionale le viene in
aiuto determinando la reale natura della relazione essenziale
di interno ed esterno: «che nella relazione di interno ed
esterno si abbia a che fare con un'autentica divergenza
d'aspetti e non con la relazione di una relativa ascosità di un
interno coperto dall'esterno, appare chiaro solo mediante la
riflessione filosofica»27. Ma la riflessione sembra essere, di
per sé, un'arma a doppio taglio: poco prima essa era stata
criticata da Plessner come strumento inadeguato per la
determinazione del reale centro sostanziale della cosa 28 . In
quanto operazione dell'intelletto, la sua proficuità ai fini
della conoscenza dipende infatti dalla specifica applicazione
della riflessione, che dev'essere guidata da un metodo in grado
di mantenerla in stretta collaborazione con l'intuizione
sensibile.
2s lvi, p. 137. 2& Cfr. ivi, p. 137. 27 lvi, p. 137. 2a Cfr. ivi, pp. 132-133.
128
La posizionalità organica
Lo studio delle caratteristiche essenziali della realtà
fisica sia inorganica che organica non appartiene ad un piano
di ricerca empirico ma ad un ambito dichiaratamente apristico:
il fenomeno della Transgredienz dovuto alla relazione
inconvertibile di interno ed esterno, i concetti di
multilateralità e profondità d'aspetti, appartengono alla
percezione di ogni cosa, indipendentemente dalla singola
esperienza29. Prendendo le mosse da quanto appare
all'intuizione, questi dati sono stati isolati da Plessner come
elementi appartenenti al fenomeno della cosa in generale. Il
punto, ora, è stabilire quale sia la caratteristica che
distingue l'essere vivente dal non vivente. Con la definizione
del concetto di limite, prettamente logica, e l'elaborazione
dialettica della legge di relazione del corpo al «limite
proprio», Plessner pone le premesse non solo per distinguere il
vivente dal non vivente, ma anche per procedere alla deduzione
degli specifici caratteri d'essenza del vivente in quanto tale
e della graduazione del mondo organico.
a. Limite e «limite proprio»
La duplicità d'aspetto con cui l'oggetto si presenta alla
percezione - l'intuizione dell'esistenza di un interno ed un
esterno di esso - non è indice della separazione di due «parti»
o «sezioni» della cosa, ma rivela la divergenza di due
«direzioni» percettive». Su di un piano logico sorge cosi la
11 Cfr. l. Ha••er, Die ezzentriscbe Position des Nenscben. Netbode und Orundilien der pbilosopbiscben Antbropologie HelJutb Plessners, Bonn, 8. Bouvier, 1967, p. 111.
129
necessità di individuare una «zona neutrale» che permetta di
distinguere i rispettivi campi delle due direzioni. E' in una
zona neutrale che le due direzioni - quella verso il· nucleo
della cosa e quella verso i suoi «lati», le proprietà - urtano
l'una contro l'altra, da essa si dipartono, attraverso essa si
effettua il passaggio dall'uno all'altro campo, mentre ciascuna
delle due direzioni si conserva quando si inverte il senso di
percorrenza. La zona neutrale non può occupare alcun campo, ma
pone accanto ad interno ed esterno un reale «Zwischen», un
limite (Grenze) tra le due direzioni3o.
Naturalmente il limite a cui Plessner si riferisce non è da
prendere per un limite spaziale. Un evidente limite spaziale
(Grenzkontur) è in ogni corpo che abbia un inizio o una fine.
Esso costituisce il margine per mezzo del quale il corpo è
delimitato rispetto a qualcos'altro, che lo definisce e ne
determina la forma (o contorno) entro il quale il corpo della
cosa è racchiuso. Grazie al limite spaziale l'oggetto si
determina come «questa cosa qui». Il limite spaziale appare
all'intuizione come qualcosa di simile a semplici linee
grafiche che riproducono i contorni di una figura; non
corrispondono ad entità alcuna e divengono sensibili solo
allorché venga messo in rilievo il campo spaziale limitato dai
contorni stessi. Come le altre proprietà, esso è anche
un'entità relativa, ossia non esistente «per sé», perché
trasponibile in cose e materiali diversi. Considerato in
un'ottica differente, nella prospettiva cioè di una divergenza
assoluta tra direzioni opposte, il limite spaziale rappresenta
una determinazione del lato esterno della cosa. Esso non è zona
d'avvio di una divergenza assoluta, ma limite tra direzioni
solo relative, l'una diretta verso un interno convertibile in
JD Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 151.
130
un esterno, l'altra verso un esterno convertibile in un
interno.
Il concetto di limite a cui pensa Plessner, pur essendo
connesso al limite spazialell, è un «limite assoluto», un
concetto strutturale capace di rivelarsi in grado di designare
la zona d'inizio di una divergenza assoluta tra direzioni e
altresi di spiegare la Doppelaspektivitat come proprietà della
cosa: «si ricerca un limite oggettivamente dimostrabile come
proprietà che sia egualmente zona d'inizio della divergenza
assoluta di direzioni»32. Dal punto di vista logico, un corpo
può essere in rapporto al limite in due forme:
(a) il limite costituisce solo il virtuale «Zwischen» tra
corpo e medio adiacente, il «ciò in cui» qualcosa inizia o
termina se qualcos'altro in esso termina o inizia. In questo
caso il limite non appartiene realmente né al corpo, né al
medio attiguo, ed insieme appartiene ad entrambi. Il limite
rappresenta qui il puro passaggio da un ente all'altro, ma
questo stesso passaggio non appartiene all'essenza della
limitazione del corpo come sua propria realizzazione, cioè esso
non è necessario all'essere del corpo. In tal senso si può dire
che il limite è qualcosa di diverso dalla reale limitazione
(Begrenzung) che traccia la forma del corpo come suo contorno,
e se pure non è propriamente solo «accanto» al corpo,. rimane
tuttavia limite «esterno» ad esso;
(b) il limite appartiene realmente al corpo, al quale
garantisce, di fatto, il passaggio al medio attiguo. Il corpo è
ora non solo limitato nei suoi contorni, ma corpo «realizzato»
31 Deve seapre darsi una corrispondenza tra quanto è realtà fisico-spaziale e quanto appartiene alla struttura essenziale della cosa (cfr. ivi, p. 133), coae pure deve darsi una corrispondenza tra quanto appare sensibilaente ed è colto dall'intuizione e quanto viene teorizzato aprioristicaaente al fine di chiarire ed esplicitare razionalaente ciò cui accenna l'intuizione stessa. 32 lvi, p. 153. E' chiaro che Plessner si sta riferendo al corpo organico e non alla cosa fisica in generale.
131
nella sua limitazione. Esso è dunque questo stesso passaggio;
ed il limite è «limite essente»: non più vuoto passaggio dovuto
ad una determinazione reciproca tra enti, ma limite capace di
distinguere da sé, per principio, il costrutto limitato come
tale dall'altro in quanto altro. Il corpo non inizia perché
termina il medio attiguo, ma il suo iniziare o terminare è
indipendente dall'ente che gli è esterno33. Questo secondo modo
di relazione offre, secondo Plessner, lo schema di rapporto tra
corpo e limite nell'essere organico.
La conclusione tratta dall'elaborazione di tali possibilità
logiche trova la propria ragion d'essere nell'economia della
precisa impostazione data da Plessner allo sviluppo della
ricerca, il cui fine principale è - come sappiamo - quello di
determinare le caratteristiche essenziali del vivente. Il corpo
non vivente viene lasciato in disparte, sullo sfondo di questo
prioritario interesse. Per avere un quadro generale e sintetico
del percorso logico effettuato, tenendo conto anche di quanto
non viene tematicamente esplicitato, riassumiamo brevemente per
punti il filo conduttore di questa fase della deduzione:
1. ipotesi: il principio di Gestalthaftigkeit dei corpi non
basta a spiegare la peculiarità della forma organica che appare
nella Doppelaspektivitat e che sembra piuttosto regolata da un
principio che la rende un tutto organizzato, una Ganzheit.
2. Per darne dimostrazione occorre trovare, per via
deduttiva, un oggetto in cui si presenti una forma di limite
avente la duplice caratteristica di essere zona neutrale della
divergenza assoluta interno-esterno e proprietà oggettiva della
cosa.
3. Quando vengono soddisfatte entrambe le condizioni?
Allorché un corpo è in relazione al limite nel modo (b), ed il
5 Cfr. ivi, p. 154. Tale indipendenza non è tuttavia rilevata direttamente dai sensi (cfr. ivi, p. 155).
132
limite può esser detto «limite proprio» o «limite realizzato»
del corpo.
4. La deduzione delle caratteristiche che un corpo deve
presentare in tale relazione conduce a determinazioni che bene
si prestano alla descrizione del vivente come «forma
organizzata»: è allora trovato il modo per confermare
l'ipotesi.
Ma anche per il corpo non vivente deve valere la legge di
divergenza inconvertibile della relazione interno-esterno
(nucleo-proprietà), quella divergenza che, non essendo intesa
in senso spaziale, deve essere anche qui assoluta e dare
origine alla Doppelaspektivitat con cui i corpi appaiono nella
percezione. Anche per la cosa fisica inanimata deve allora
darsi un limite quale zona neutrale che distingue le due
direzioni percettive. Tuttavia, a differenza del corpo
organico, la duplicità d'aspetto che accompagna il suo fenomeno
non appare come «essenziale» all'essere del corpo. Da qui la
differenza tra l'apparire del corpo con una duplicità d'aspetto
e l'apparire nella duplicità d'aspetto. Il limite non spaziale
del corpo inorganico è allora quello che origina la relazione
logicamente inessenziale con il corpo stesso definita al punto
(a).
Nel presentare il secondo caso di relazione tra corpo e
limite Plessner sottolinea la connessione essenziale che solo
in questo caso.si crea tra realizzazione del limite e
delimitazione reale del corpo. Naturalmente ciò non significa
che non sussista relazione alcuna tra limite virtuale e forma
fisica nel corpo inanimato: è già stato notato che una certa
(non precisata) connessione tra elementi strutturali
aprioristicamente determinati e realtà empirico-spaziale deve
sempre sussistere. Quanto preme a Plessner in questo momento è
133
soprattutto insistere sull'idea della radicale differenza che
determina l'essenzialità della realizzazione del limite
rispetto al corpo inanimato, differenza riscontrabile già nel
fenomeno della sua struttura. Così, quando un corpo ha il
«passaggio del limite» (Grenzubergang) come proprietà, la
limitazione del corpo è ad un tempo spaziale (Raumgrenze) ed
assoluta (Aspektgrenze) e il contorno assume il valore di
Ganzheitsform, fermo restando il suo carattere di Gestalt34 •
Solo cosi la Doppelaspektivitat è in un legame d'essenza
(Wesensverknupfung) con la forma del corpo ed il corpo mostra,
per principio, quel duplice aspetto in virtù del quale appare
come unità di interno ed esterno. In questo modo ottiene un
fondamento l'asserzione di Plessner: «i corpi dell'intuizione
nella quale compare oggettivamente una relazione di divergenza
interno-esterno come appartenente al suo essere, si dicono
viventi» 35 , allo stesso modo che l'altra: «al principio secondo
cui i corpi viventi mostrano fenomenicamente una relazione per
principio divergente di interno ed esterno si deve dare la
forma: i corpi viventi hanno un limite fenomenico intuitivo» 36 •
Per questa sua relazione al limite, il vivente differisce
dall'essere inorganico piuttosto nel rispetto formale che in
quello materiale, quindi anzitutto nel modo del suo fenomeno:
diversamente dalla cosa inorganica, esso apparirà un essere
per-sé, un essere relativamente indipendente dall'ambiente
circostante e fondato in se stesso. Proprio per la necessità di
riconoscere questa autonomia, che la Gestalttheorie non poteva
riuscire a spiegare, si giustifica, agli occhi di Plessner, la
posizione di Drieschl7.
H Cfr. iv i, p. 154. 35 lvi, p. 138. 36 lvi, p. 151. 37 Per la questione si possono vedere i paragrafi ad essa dedicati nella pri1a parte del lavoro.
134
L'esigenza di mettere a punto un concetto di limite utile
alla spiegazione di certi dati empirici sviluppata in campo
ipotetico-aprioristico approda a risultati significativi in una
dimensione logica di tipo dialettico. Corpo e medio adiacente,
nucleo e proprietà, sono termini reciprocamente opposti, legati
da una particolare relazione di carattere dialettico. Il
risultato principale ottenuto da Plessner non è quello di una
precisazione logico-funzionale del concetto di limite, ma
l'individuazione - enucleata nella formula «realizzazione del
limite» - della specifica forma di relazione tra concetti,
capace di descrivere una struttura essenziale il cui fenomeno
si presenta secondo modalità intuitivamente differenti da
quelle del fenomeno dell'oggetto inanimato. Essa fungerà da
modello nella deduzione degli a priori essenziali.
b. La teoria dei modali organici
Il principio di «realizzazione del limite» esposta al punto
(b) offre, secondo Plessner, la rappresentazione schematica
della peculiare forma d'organizzazione che presiede alla
struttura di un intero (Ganzheit). Partendo da tale principio è
possibile sviluppare una rigorosa deduzione di quelle funzioni,
caratteristiche dell'essenza del corpo organico, che originano
il fenomeno della vita. Tale principio deve costituire solo la
base logico-ipotetica a partire dalla quale si può individuare
la specifica strutturazione del corpo organico - e non deve
affatto essere scambiato per la causa stessa del fenomeno
vitale.
Determinare la differenza essenziale dell'organismo
rispetto al corpo inanimato e sviluppare, mediante una teoria a
135
priori dei modali organici, le caratteristiche essenziali della
vita è il compito principale dell'indagine di Plessner. Non si
tratta di elaborare una teoria che si limiti a descrivere un
meccanismo che i sensi non riescono direttamente a percepire e
che si porrebbe sul medesimo piano dell'indagine empirica; si
tratta di cogliere i fondamenti di quegli strati dell'essere
che, per principio, non sono osservabili per se stessi, ma solo
nelle conseguenze del loro fenomeno. Per questo è necessaria
una teoria a priori, una rigorosa deduzione categoriale delle
«qualità ultime» della vita, e non una classificazione ottenuta
per induzione delle caratteristiche costanti osservabili
nell'organismo vivente. Queste qualità, dedotte da un principio
unico e non da arbitrarie e provvisorie assunzioni,
costituiscono gli elementi non ulteriormente analizzabili o
riconducibili ad altre qualità; essi non possono essere
tradotti in termini fisico-chimici, poiché oltrepassano il
campo dell'empirico.
Nel concetto di «a priori» di Plessner si può vedere il
risultato dell'intenso e decisivo rapporto critico mantenuto
dal filosofo da un lato con la scuola neokantiana di Marburg 38 ,
dall'altro con l'indirizzo fenomenologico della ricerca
filosofica. L'a priori denota strutture d'essenza ed è
indipendente dall'esperienza in quanto inerente ad ogni
percezione di cosa. Poiché costituisce ciò che pertiene
essenzialmente alla cosa nel fenomeno, esso è condizione della
possibilità dell'esperienza. Possiamo considerare la struttura
d'essenza come una conoscenza a priori in senso kantiano nella
misura in cui in Kant una conoscenza a priori si distingue da
una conoscenza pura (a cui non è commisto alcun elemento
38 Sull'importanza del pensiero neokantiano di Marburg, in particolare sull'impostazione teoretica della ricerca plessneriana si può vedere il recente saggio di E. Volaicke, GrundzOge neukantiscben Oenkens in den frubscbriften und der tPbilosopbiscben AntbropologieJ HelRutb Plessners, Alfer, VDG, 1994.
136
empirico) dato che in Plessner la ragion d'essere dell'a priori
è da ritrovare sempre nell'esperienza, nella «ursprungliche
Erfahrung» di derivazione fenomenologica. «A priori» e
«categoria» in Plessner coincidono: ma la categoria di Plessner
non è la categoria di Kant, dato che le categorie di Plessner
non hanno bisogno d'essere condizioni gnoseologiche della
possibilità dell'esperienza39 e non sono concetti in senso
kantiano. In polemica con certe forme di neokantismo diffuso in
ambiente scientifico, Plessner afferma: «le categorie non sono
concetti, ma li rendono possibili poiché esse hanno il valore
di forme dell'accordo tra sfere eterogenee, tra pensiero ed
intuizione, come tra soggetto ed oggetto»4o. Ci troviamo
dinanzi ad un punto nodale nell'interpretazione del pensiero di
Kant. Plessner infatti si richiama in parte proprio a Kant nel
sostenere la propria concezione antilogicista delle categorie
organiche. Egli sottolinea che nella concezione kantiana si può
cogliere un legame indissolubile tra le categorie ed il sistema
aperto dell'esperienza, come pure il carattere sostanzialmente
irrazionale delle categorie razionalmente fondate e che l'unità
trascendentale dell'autocoscienza rappresenta il punto centrale
per le categorie, ma non il luogo della loro deduzione, non il
principio e la fonte della loro distinzione 41.
La funzione di accordo - potremmo dire «analogica» 42 -
assegnata alle categorie è fondata sull'idea che tra intuizione
sensibile e pensiero non si dia una netta separazione, che non
vi sia tra le due forme di conoscenza uno scarto, un salto
39 Cfr. Stufen {P-GS IV), pp. 121-122; I. Kant Xritik der reinen Yernunft {1781, 1787); trad. it. Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. LoJbardo-Radice {1909-1910), riveduta da V. Mathieu (1959), Bari, Laterza, 1985, pp. 303-304. 40 Stufen {P-GS IV), p. 169. 41 lvi, p. 165. 42 L'espressione è presa a prestito dal lessico di R. Troncon {Cfr. Id. La filosofia dell'inquietudine, cit.).
137
qualitativo 43 • Le categorie- le categorie che rendono
possibile la conoscenza biologica - consentono di dare un
ordine razionale ai dati dell'esperienza restando avvolte in un
velo di irrazionalità. «Trovate» all'occasione nell'esperienza,
le categorie biologiche sono raggiunte- mediante l'intuizione
- nell'essere oggettivo delle cose e guidano il biologo già
nella scelta dell'oggetto della sua ricerca. Il loro senso, la
loro autentica giustificazione è nella realtà stessa: «la loro
verifica, cioè la piena comprensione di ciò che con esse
dev'essere compreso può perciò riuscire solo all'intuizione
della concreta realtà vivente: le categorie della biologia
empirica sono radicata nelle categorie del vivente stesso» 44 •
Il valore dell'a priori in Plessner resta infatti
sostanzialmente vincolato ad un'indagine di tipo
fenomenologico•s che si presenta come «scienza di essenze» e di
relazioni tra essenze. Le determinazioni strutturali
dell'organico sono a priori materiali: la loro necessità non è
legata - come lo era in Kant - al loro carattere formale, ma è
determinata dalla relazione a dei contenuti.
La teoria dei caratteri d'essenza vuole dunque approdare
ad una «assiomatica dei modali organici»• 6 connessa con
l'esperienza sensibile e da questa giustificata, ma non fondata
su di essa. Per mezzo delle categorie dell'organico diviene
attuabile il tentativo di stabilire un ordine nella
regolamentazione del sistema vivente. Esse mantengono un
costante e prioritario rapporto con l'intuizione, la quale è in
grado, da sé sola, di scorgere e riconoscere le caratteristiche
tipiche della vita e, anzi, proprio mediante l'intuizione è
43 Si veda a proposito F. Haaaer, Die exzentriscbe Position des Nenscben, cit., p. 69. 44 Stufen (P-GS IV), p. 166. 45 Cfr. H. Plessner Der Aussagerert einer pbilosopbiscben Antbropologie (P-GS VIII, pp. 380-399), p. 396. 46 Stufen (P-GS IV), p. 160 e p. 175.
138
p~ssibile individuare e cogliere ciò che le categorie
indicano 47 • L'intuizione in Plessner non è riconducibile alla
conoscenza osservativa; essa ha il valore di una possibilità
d'esperienza fenomenologicamente ampliata capace di aprire un
varco verso gli strati più profondi della realtà. Le categorie
dell'organico, determinano la vita come «essere per
l'intuizione» 4 s, ma non sono da confondere con le categorie di
cui si serve la razionalità empirica, non avendo esse
immediatamente nulla a che vedere con gli strati dell'essere in
cui si formano le immagini concettuali di tipo fisico e
chimico. In questo modo la teoria dei caratteri costitutivi,
mentre si allontana dall'ambito dell'intuizione concreto
sensibile, «si regge tuttavia solo su autentici dati intuitivi,
non su concetti qualunque e cerca di cogliere nell'unione di
questi dati i fenomeni essenziali della vita nella loro
differenziazione»• g.
Ci troviamo di fronte ad una duplice caratterizzazione
dell'intuizione- positiva da un lato, negativa dall'altro
legata alla concezione plessneriana delle caratteristiche
essenziali della vita. Essa si può chiarire sulla base della
distinzione da lui posta tra indicatori di caratteri d'essenza
{indicatorische Wesensmerkmale) e caratteri d'essenza
costitutivi (konstitutive Wesensmerkmale). Indicatori di
caratteri d'essenza si presentano all'esperienza ovunque vi sia
vita: in un certo tipo di movimento, in una certa regolarità o
ritmicità di un fenomeno, e cosi via; ma essi possono apparire
anche in corpi inanimati ed ingannare sulla natura del corpo
stesso. Non invece i caratteri d'essenza costitutivi, che
47 lvi, p. 166. u Ivi, p. 167. 49 Ibid.
139
appaiono all'intuizione in tutta la loro autenticità5°.
I due generi di indicatori non sono privi di connessione
reciproca: «la proprietà dell'evidenza (Anschaulichkeit) è
infatti comune ai caratteri d'essenza indicatori e a quelli
costitutivi, perciò è possibile anche la riconduzione degli uni
agli altri»S 1 • La possibilità di ricondurre gli uni agli altri
dipende dalla specifica impostazione dell'indagine che di essi
si occupa, nonché dal valore assegnato da questa
all'intuizione. Dinanzi alle manifestazioni della vita
l'empirista tenta di costruire induttivamente dei concetti, in
genere perfettibili, che vengono successivamente verificati o
modificati mediante l'osservazione e la sperimentazione
empirica. Egli traduce tali manifestazioni in termini fisico
chimici e cerca di fondare le proprie «categorie» nel campo
dell'esperienza stessa. In tal modo l'empirista resta ancorato
ai semplici caratteri indicatori e si allontana dalla
descrizione immediata delle datità intuitive. La teoria di
Plessner tenta invece una riconduzione dei caratteri essenziali
che si offrono originariamente all'intuizione a categorie
necessarie a priori, le quali, dedotte dialetticamente 52 da un
50 Riguardo alla deterainazione dei caratteri d'essenza dell'organico Plessner ri1anda allo scritto di J. von Kries - di cui, co1e sappiaao, Weizsicker è stato allievo - Oeber Kerk11le des Lebens (Veroffentlichungen der rreiburger Wissenschaftlicher Gesellschaft, Bd. 6) del 1919 e a quello di r. Buytendijk Anscbaulicbe lennzeicbnen des Organiscben, cPhilosophischer Anzeiger) II (1927-1928), pp. 391-402, non ancora apparso al 101ento della priaa pubblicazione delle Stufen (cfr. Stufen (P-GS IV), p. 177). La concordanza tra Plessner e Buytendijk riguardo al concetto di Ganzbeit organica - contrapposto a quello di Gestalt Kuhleriano- (cfr. Buytendijk, op. cit., p. 394), coae riguardo all'individuazione dei caratteri essenziali (cfr. ivi, p. 395 e p. 398) è cotpleta. Il proposito di Plessner è però quello di andare olre la loro indicazione e dare una giustificazione del loro appar~re all'intuizione- dimostrandone la necessitàJediante una rigorosa deduzione apriorica. 51 Stufen (P-GS IV), p. 167. 52 Plessner sostiene la necessità di non restare ferti ad una descrizione fenoaenologica estatica,, con la quale ci si troverebbe nel dubbio riguardo alla possibilità di passare da una fase di rilevaaento dei caratteri d'essenza al 101ento della loro deterainazione co1e costitutivi. Qui (cfr. !bit) Plessner si richiama al bisogno di sviluppare una deduzione che, pur conservando presupposti feno1enologi~i, si serva di un procedimento dialettico, di una deduzione aprioristica nella quale le determinazioni d'essenza non siano se1plice1ente «stabilite, o creperite, fenoaenologicaJente, aa si producano dinamicaaente le une dalle altre.
140
unico principio, vengono «riempite» dall'intuizione, vengono
per cosi dire- riconosciute e confermate dall'intuizione,
nella quale solo esse trovano la loro ragion d'essere.
Nell'impostazione del costrutto teorico è determinante
l'idea che esistono strati dell'essere non riconducibili ai
sistemi della rappresentazione empirica. Secondo Plessner
l'intuizione ha a che fare anche con contenuti che non sono
propriamente oggetto di percezione, bensl solo oggetti
corrispondenti ad una «visione d'essenza»: la Ganzheit, lo
specifico tipo di organizzazione del corpo vivente appartiene a
questo genere di contenuti. Se si può dire che essa appare
fenomenicamente in diversi modi - al tatto o alla vista - la
Ganzheit, in quanto essenza, non perviene «essa stessa» a
fenomeno. Il problema che ora si pone è quale sia il modo
adatto per accordare la cosa fisica con l'essenza della sua
organizzazione. Il tentativo effettuato da Plessner è quello di
individuare le condizioni che devono essere soddisfatte perché
si possa dare un simile accordo seguendo l'idea che il fenomeno
della vita si fonda su un peculiare rapporto del corpo al
limite.
La realizzazione del limite non rappresenta dunque un «dato
di fatto» a partire dal quale dedurre le categorie
dell'organico, ma il punto di vista (Gesichtspunkt) 5 3 -
centrale nell'economia del costrutto filosofico di Plessner -
sotto il quale procedere alla deduzione. Contemporaneamente la
deduzione decide del carattere d'essenza della vita stessa,
della necessità di quelle caratteristiche essenziali che,
indipendentemente dal fatto che possano legarsi a specifiche
condizioni fisico-chimiche, rappresentano le qualità ultime ed
irriducibili della vita.
53 Cfr. ivi, p. 175.
141
c. Il «principio posizionale» dell'essere vivente
Il primo passo compiuto nella direzione di una teoria dei
modali organici è la definizione del carattere posizionale del
vivente. Assunto il punto di vista della Grenzrealisierung,
cosa significa che un corpo è in relazione al proprio limite?
Quali sono le conseguenze sul modo dìessere e d'apparire del
corpo che ha un «limite proprio», ovvero possiede il
«passaggio» del limite come proprietà? Allorché il limite
appartiene realmente al corpo, il corpo è limite di sé stesso e
dell'altro da sé; esso è dunque in una situazione di
opposizione tanto a se stesso quanto all'altro da sé. Il corpo
non è solamente chiuso in se stesso dal limite, ma
contemporaneamente aperto al medio attiguo, al quale è perciò
strettamente legato: il corpo è «uber ihm hinaus»s4. Esso non
dispone solamente della possibilità del passaggio offerta da un
limite solo virtuale: quel «passare» gli appartiene realmente.
Il limite crea cosi una relazione di opposizione tra elementi
contemporaneamente separati e uniti da esso; il limite non
sarebbe altrimenti reale «passaggio» ma un semplice
«proseguire» incapace del salto qualitativo egualmente prodotto
ed annullato dal reale «passare». Per conseguenza, l'essere
reale del limite si esprime anche nel modo d'essere il corpo
«ihm entgegen»ss. Per essenza il corpo organico è altrettanto
"uber ihm hinaus" quanto "ihm entgegen".
In quanto cosa corporea il vivente è soggetto alla
duplicità della contrapposizione assoluta delle direzioni
percettive orientate verso l'interno e verso l'esterno di esso.
In quanto vivente, la cosa corporea si presenta con la
54 lvi, p. 181. ss lvi, p. 182.
142
duplicità d'aspetto come proprietà, che rende trascendente la
cosa fenomenica in duplice direzione, ponendola da un lato
oltre se stessa, all'esterno di sé, dall'altro entro se stessa,
in sé 56 • Per questa duplice direzionalità del suo essere, la
cosa diviene «angehoben», sospesa: con questo termine Plessner
cerca di offrire un'immagine concettuale e descrittiva che
riesca - per quanto inadeguatas7 - ad avvicinare quel senso
della determinazione essenziale che conferisce al corpo il
carattere di una limitazione mobile, di una relazione
dialettica con se stesso.
Il corpo tuttavia non può essere semplicemente «angehoben»,
poiché, oltre ad essere «passaggio» in duplice direzione, esso
costituisce pur sempre una cosa corporea essente. Nella
determinazione della sua essenza si deve tener conto di
entrambi i momenti, del momento del «permanere» del corpo nel
suo essere, e del suo incessante «passare». Il loro significato
viene enucleato da Plessner nell'espressione «porre» (Setzen),
«che evoca il momento dell'essere-tolto (Aufgehobensein),
dell'essere-sospeso (In-Schwebe-sein), senza perdere il momento
della stasi (Aufruhen), della fissità (Festsein)» 5 8: essa
definisce la principale modalità dell'essere dell'organismo.
Con la realizzazione del limite il corpo è «posto», esso
presenta il carattere specifico del vivente: «nella sua
56 La cosa, quindi, pone se stessa in sé e fuori sé. A proposito della posizione (Setzen) l'autore si premura di aettere in guardia il lettore contro una tradizione idealistica che fa risalire il senso della parola ad un atto del pensiero effettuato dal soggetto: cSetzen als Hiedersetzen hat ein Aufgestandensein, ein Aufgehobensein zur Voraussetzung, {ivi, p. 183). In quanto corpo fisico, la cosa cè, già di per sé. In nessun senso l'essere sta di fronte ad essa o da essa si staglia coae essente. Questa precisazione sul significato del cporre,, che vuole il distacco da un pensiero che affida all'attività di un soggetto (puro) la determinazione dell'essere finito (non-Io), ricorda la critica di Schelling al pensiero di Fichte, e la sua esigenza, non dissiaile da quella di Plessner - nonostante la forte differenza nella soluzione - di rendere giustizia all'oggetto ricercando un principio che stia egualmente a aonte dell'oggettività coae della soggettività. 57 L'inadeguatezza della descrizione rispetto all'essere reale rappresenta un dato inelitinabile. Termini ed i11agini usate possono solo tratteggiarlo: cfr. ivi, p. 184. 58 lbid.
143
vitalità quindi il corpo organico si differenzia
dall'inorganico per il suo carattere posizionale o la sua
posizionalità»s9.
La categoria posizionale è la più fondamentale e generale
dell'essere del vivente: ciascuna delle successive
determinazioni dell'essenza organica non rappresenta che una
«modalità di realizzazione» del carattere posizionale. In essa
appare inconfondibile l'elemento dinamico evidenziato da
Plessner alla base della struttura che distingue l'organismo
dalla semplice corporeità fisica. Per definire la forma
vivente, piuttosto che una determinazione statica - un «essere»
o uno «stare» del corpo - è indicata una struttura concettuale
dinamica e plastica, una definizione essenziale che rimandi
immediatamente ad una attività continua di posizione e
contrapposizione: il corpo non «é», ma «ha» o «prende»
posizione rispetto a se stesso e al suo ambiente. Individuato
come struttura essenziale, il principio vitale trova la propria
collocazione originaria nella natura, nella materialità stessa
in cui esso si manifesta, e non - come ad esempio nella
dottrina di Driesch- in un principio ad essa esterno6o.
Plessner tenta un recupero del valore e della creatività della
vita in contrasto con l'astratto concettualismo e lo
sperimentalismo dell'empirismo biologico e in sintonia con le
nuove tendenze della filosofia della vita, continuando tuttavia
a mantenersi ostile a forme di irrazionalismo e spiritualismo
metafisica. La categoria posizionale se non vuole restare
un'astratto momento logico, un puro costrutto razionale, deve
accordarsi con il reale essere del corpo organico deve mostrare
una realtà ontica, oltre che un significato logico. Pur non
5' Ibid, p. 184. '° Cfr. M. Grene, Positionality in tbe Pbilosopby of HelJutb Plessner, in "rhe Rewiew of Metaphisics" 20 (1966-1967), pp. 250-277, p. 266.
144
essendo empiricamente dimostrabile61, la reale essenza del
corpo deve manifestarsi empiricamente come proprietà, come
«fenomeno di superficie» (Randphanomen): «in un corpo di
carattere posizionale esiste sempre una compenetrazione della
relazione nucleo-proprietà con quella del duplice
trascendimento, ove il trascendimento (= duplicità d'aspetto)
ha il valore di proprietà e come proprietà appare»62. A causa
della sua particolare essenza questa proprietà prevale su tutte
le altre, tutte le pervade e sembra effondersi, come le altre
proprietà, dal centro nucleare della cosa. Il carattere
posizionale si manifesta distintamente nel fenomeno del corpo e
- pur non essendo empiricamente determinabile - esso si lascia
cogliere dall'intuizione. L'intuizione, infatti, avverte con
chiarezza il cambiamento fenomenico subito da un corpo non
vivente nel divenire vivente, percepisce il suo trasformarsi da
semplice cosa in un Fur sich Sein63. Essa tuttavia non ha la
possibilità di cogliere con sufficiente precisione
quell'essere-per-sé determinante il quadro invisibile in cui la
cosa si staglia dall'ambiente con una particolare forma della
limitazione. Diversamente, il corpo non vivente è estraneo dal
«trascendimento» in duplice direzione: esso infatti «è» solo
fin dove arriva. Laddove il corpo ha le proprie estremità, dove
trova la sua fine, ha termine anche il suo essere: il corpo si
ferma, si interrompe, essendo privo dell'elasticità strutturale
appartenente al corpo di carattere posizionale.
61 Cfr. Stufeo (P-GS IV), p. 183. 62 lvi, p. 184-5. 63 lvi, p. 185.
145
II. Le modalità caratteristiche dell'organico
I modi di realizzazione della posizionalità
In conformità con i dati dell'esperienza sensibile, la
teoria dei «modali organici» - come abbiamo visto - deve
dedurre a priori le qualità della vita a partire da un
principio unico. Il «principio posizionale», che stabilisce il
più generale e fondamentale dei caratteri dell'essenza
organica, deve consentire tale deduzione sistematica per
ciascuna delle dimensioni e dei «livelli» o «gradi»
dell'organismo. I modali organici rappresentano modalità e
forme di realizzazione della posizionalità.
a. La processualità organica
Il corpo vivente, che abbiamo visto caratterizzato dalla
modalità oppositiva «uber ihm hinaus» e «ihm entgegen», si
presenta necessariamente nel movimento: «la vitalità - sostiene
Plessner- si annuncia con piena evidenza all'intuizione
principalmente nel movimento»1. L'intuizione coglie il moto
come indicatore di un carattere d'essenza; tuttavia
l'esperienza del movimento di per se stessa non è probante il
carattere vivente del corpo. Alla dinamicità essenziale
dell'organico si perviene invece con certezza guidati dalla
specificità del carattere posizionale e se ne conclude che «la
vita è movimento, essa non può darsi senza moto» 2 • La deduzione
del carattere motorio del vivente sviluppata attraverso
1 Stufeo (P-GS IV), p. 187. 2 Ibid.
146
l'analisi dell'essenza della «cosa stessa» ha autentico
carattere a priori e, conformemente alla tradizione kantiana,
validità necessaria e indipendente da ogni esperienza: «anche
se l'esperienza non avesse affatto trovato conferma di questo
principio - sostiene Plessner - la sua verità si reggerebbe su
di una necessità a priori»3. Dal punto di vista di una teoria a
priori dei modali organici, il significato essenziale del
movimento è quello del «divenire processuale»: «una cosa di
carattere posizionale può darsi solo in quanto essa diviene: il
processo è il modo del suo essere» 4 ; sua condizione è che la
cosa possa prendere distanza da sé, possa separarsi da se
stessa, dal suo essere. La cosa non rimane rinchiusa entro le
limitazioni fisiche che le sono tracciate: essa ha in se stessa
la possibilità del «passaggio» determinato dal principio di
realizzazione del limite, «il suo "essere" è pertanto
essenzialmente determinato dal passare (Uebergehen)» 5 •
Ma il semplice divenire (Werden) rappresenta un puro
«passar-oltre» (Uebergehen), è «que~l'unità di non-ancora e
non-più» 6 dato dall'unità di due modi del non-essere, nella
quale manca ancora il momento conservativo, il momento del
«permanere in sé» del diveniente. Il puro «passare» in quanto
tale si oppone ad ogni delimitazione (Begrenzung) fisica, di
cui dovrebbe determinare l'annullamento e la conseguente
perdita del limite (Granze). Necessariamente quindi, oltre al
momento del «passare», deve appartenere all'essenza del limite
realizzato quello del «restare» (Stehen, Halt). Solo nell'unità
dei due momenti opposti il limite è «stehendes Uebergehen» e la
cosa si costituisce come un «restare ciò che essa è e un
3 Ibid. 4 Ibid. s lvi, p. 188. 6 Ibid.
147
passare altrettanto in ciò che non è (oltre sé) e in ciò che è
(in sé)» 7 • Espresso in termini processuali essa è l'unità dei
momenti contrapposti, «divenire di un permanere e permanere di
un di venire» a •
Prese le mosse dal concetto puramente logico di
«realizzazione del limite», Plessner deve render conto del
carattere dinamico proprio della realtà corporea. La deduzione
dei caratteri dell'organico sembra cosi muoversi su differenti
«livelli d'astrazione» ai quali corrispondono gruppi di
concetti più o meno «vicini» alla sfera dell'empirico, anche se
comunque a priori. Divenire (Werden) e permanere (Beharren),
che costituiscono due aspetti dell'essenza reale della cosa
fisica, non possono presentare le medesime caratteristiche del
precedente binomio Uebergehen-Stehen: quest'ultimo è
rappresentato da determinazioni logiche massimamente astratte,
ricavate analiticamente dal concetto di «limite realizzato» e
tra loro non indipendenti; non è lo stesso per i due momenti·
costitutivi della processualità, che vengono a prodursi
sinteticamente e devono avere una certa rispondenza nel
fenomeno del corpo fisico vivente9. Uebergehen e Stehen non
sono quindi lo stesso che Werden e Beharren, mentre «ognuno dei
due lati, quello del permanere e quello del divenire, è,
ciascuno per sé, una sintesi di Stehen ed Uebergehen» 10 •
Werden e Beharren sono momenti essenziali, reciprocamente
indipendenti e tra loro necessariamente contrapposti: «il
divenire è reale essenzialmente solo nel diveniente, vale a
' lvi, p. 189. 8 lbid. 9 Se pensiamo al significato delle categorie nel pensiero di Plessner- «ponti sull'empirico,, elementi di connessione tra intuizione e razionalità - diviene più facile capire il bisogno di stabilire una gradazione nel loro livello d'astrazione. 10 Ibil Insieme questi deterainano l'essenza di quel concetto di limite che dà luogo ai distinti momenti del Bebarreo e del Yerden.
148
dire in contrasto con un permanere al quale si mostra legato;
ed il permanere è reale essenzialmente solo nel permanente,
vale a dire in contrasto con un diveniente al quale si mostra
legato- a cui oppone resistenza»ll. In quanto condizioni
logico-dialettiche della realtà dell'organico, Werden e
Beharren si presentano sempre reciprocamente connessi. La loro
contrapposizione origina una vera e propria scissione
all'interno dell'essere- pur tuttavia unitario- della cosa
reale: con il carattere processuale si manifesta in tutta
chiarezza il significato teoretico dell'opposizione, dello
hiatus e della sintesi dialettica.
Il vivente è nel processo, ma non è il processo stesso.
Plessner intende la processualità come un'autentica «proprietà»
della cosa12; essa costituisce l'unità dinamico-dialettica in
cui l'organismo si manifesta, il modo in cui esso esiste nei
suoi limiti, «realizzando» le proprie limitazioni fisiche come
tali. In altre parole, non abbiamo a che fare con un concetto
astratto, ma con il modo d'essere in cui concretamente si
manifesta l'organismo fisico nei suoi limiti spaziali. In
ciascuno dei suoi momenti il «processo» non è altro che la
realizzazione effettiva del duplice trascendimento essenziale,
della divergenza assoluta di interno ed esterno della quale
esso rappresenta l'unità sintetica nel corpo reale. Il processo
organico deve effettuarsi nel rispetto dei limiti materiali
della cosa e a condizione del mantenimento dei contorni
materiali, contorni che non subiscono demolizioni, ma vengono
continuamente modificati nella processualità.
Ma in che modo si modificano i limiti materiali della cosa?
Secondo quali principi ciò è possibile, perché sussista la
11 lbid. 12 Ivi, p. 191.
149
garanzia che la cosa rimanga se stessa pur nel divenire
continuo? In quale direzione deve svilupparsi un processo come
quello sopra definito? Plessner per rispondere a simili
questioni ricorre all'introduzione del concetto di Formidee,
detto anche Gestaltidee o Typus. Si tratta di un concetto
prototipico, ricco di reminiscenze romantiche e per certi
aspetti persino platoniche, mediante l'introduzione del quale
Plessner intende dare spiegazione da un lato del permanere
costante della forma dell'organismo pur nella sempre diversa
conformazione dei suoi contorni (nelle fasi del suo divenire),
dall'altro del presentarsi di una medesima forma per un'intera
classe di organismi (di cui ciascuno costituisce un Individuo).
Il divenire processuale in ciascuna delle sue fasi rimanda
ad una costante, ad un principio-forma dal carattere «ideale»,
del quale la fase rappresenta, di momento in momento,
l'espressione variabile. La forma organica è necessariamente
sempre «forma di» un Typus, «coniazione di un'idea formale
intuibile concretamente in una forma individuale»1 3 • In quanto
tale, la forma organica è forma dinamica in cui la cosa
corporea realizza il proprio limite ottenendo sempre il
carattere di coniazione in un individuo «la semplice cosa
individua deve essere, se viva, coniazione di un'idea formale,
ovvero avere il carattere dell'individualità» 14 .
Forma dinamica e processualità non sono da identificare tra
loro; esse appartengono infatti a differenti piani dell'essere,
nonché a differenti piani teorici: il livello d'astrazione
della Gestaltidee è paragonabile probabilmente a quello della
relazione di Uebergehen e Stehen - priva in se stessa di un
reale riscontro empirico - non invece al concetto di processo;
13 lvi, p. 192. 14 lvi, p. 193.
150
la prima è, inoltre, condizione della possibilità del
secondo 15 . La legge del Typus costituisce il principio al quale
sottosta l'intera natura organica. L'organismo, impronta
individuale di un Typus, è poi collocato da Plessner in una
gerarchia di unità tipiche: «tipicità e graduazione (Stufung)
del mondo organico sono[ ... ] modalità essenziali secondo i
quali soltanto la vita (in quanto realizzazione del limite di
una cosa fisica} ottiene realtà fisica»16.
Per quanto riguarda il significato del concetto di Typus,
se ci si limitasse a considerare questo concetto come un puro
costrutto logico, una semplice idea della ragione, la teoria
rischierebbe di degradare al piano della semplice ipotesi e
verrebbe a cadere la pregnanza antologica e fondativa di cui
Plessner riveste la deduzione dei modali organici. Plessner
presenta infatti la Gestaltidee come una categoria necessaria a
priori alla stessa stregua del principio posizionale, cioè come
un concetto che conserva una valenza fenomenologica nel quadro
di una rigorosa deduzione aprioristico-dialettica.
b. Lo sviluppo del vivente
Restiamo fermi alla caratteristica della processualità
organica e seguiamo Plessner nella ricostruzione dell'immagine
figurativa che si origina dal significato della categoria.
Abbiamo detto che il processo organico consiste egualmente in
un «restare» il corpo ciò che esso è (in un restare
essenzialmente se stesso} ed in un «passare» in ciò che è e in
ciò che non è (cioè in un essere come diveniente), secondo il
1s Cfr. ivi, p. 192. 16 lvi, p. 193.
151
rapporto sopra descritto dei momenti del Werden e del Beharren.
Non ne risulta un semplice dileguarsi dell'una delle fasi del
processo nell'altra, ma una separazione del «divenuto»
(Gewordene) dal «divenire», così che quest'ultimo possa
costituire un nuovo punto di partenza per il movimento di
sviluppo. Il processo non resta fermo in se stesso, ma «va
oltre», verso ciò che nel momento antistante ancora «non era».
L'immagine dell'evoluzione processuale non può essere dunque
rappresentata da un cerchio, da una linea che semplicemente
torna su se stessa senza determinare un reale sviluppo. Lo può
essere, piuttosto, da una linea retta, che procede in avanti
superando via via i momenti precedenti. Ma se caratterizzato
come procedere rettilineo, il progresso che ne deriva prevede
che la cosa divenga realmente «altro» da ciò che era, ma non
esprime il reale andamento del processo organico. In esso la
cosa otterrebbe la sola determinazione di un «costante
procedente oltre»l' nel rispetto della Formidee e della
conservazione della corporeità, ma nel percorso !'«essere
divenuto» sarebbe sempre di nuovo perduto: essa
rappresenterebbe null'altro che «il luogo della morte (das
Totenhaus) dal quale la vita è fuggita; la sua vita sarebbe
solo un morire e la sua morte non sarebbe la fine della vita,
la vita stessa non sarebbe reale»ls. Perché il momento
dell'Uebergehen abbia effettivamente la sua realizzazione il
processo deve dirigersi anche verso (gegen) sé stesso; certo,
non in maniera radicale, o si risolverebbe nella chiusura del
movimento circolare. Esso deve perciò svilupparsi nella forma
determinata dalla sintesi dei due momenti contrapposti (Werden
e Beharren), nella forma espressa rappresentativamente dal
17 lvi, p. 195. 18 lvi, p. 196.
152
connubio della linea retta con il cerchio: la spirale
(Schraubenlinie)19.
Per il concetto di processo è possibile individuare una
pluralità di significati: esso stabilisce un movimento che
conduce dialetticamente la cosa verso ciò che essa è e verso
ciò che non è - nel senso della dimensione sostanziale e
formale della cosa stessa (nel rapporto con la Formidee) - in
uno sviluppo di tipo temporale; contemporaneamente esso indica
una relazione della cosa nella duplice direzione di interno ed
esterno che - per quanto qui le determinazioni non indichino
direttamente aspetti fisico-spaziali - rimanda alla dimensione
spaziale del corpo. Lo sviluppo del processo riguarda
egualmente l'aspetto della crescita (Wachstum), cioè della
modificazione della massa corporea che si trasforma insieme
alla sua conformazione, e quello della differenziazione
(Differenzierung) interna del corpo, vale a dire della
molteplicità costitutiva dell'organico. Il concetto copre
insomma ciascuna delle dimensioni dell'essere fisico del
vivente.
Lo svolgimento del processo vivente per sintesi successive
ha luogo nella forma di uno sviluppo in cui il corpo ha se
stesso (sich) come risultato. La Formidee, costituendo ciò in
cui si accordano la «cosa iniziale» (Ausgangsding) e la «cosa
finale» (Endetwas), è data anteriormente (vorweg) alla cosa
stessa, appartiene alla sua essenza, ed è fine necessario dello
sviluppo 20 •
Ma cosa significa che la Formidee è fine dello sviluppo?
Non certo che l'idea formale viene ottenuta come risultato
effettivo di quello nel senso in cui lo può una realtà
19 !bit La spirale, com'è noto, può rappresentare l'immagine del processo dialettico hegeliano e schellingiano. Essa si adatta non di meno al carattere logico del processo biologico veizsàckeriano. 2o lvi, p. 197.
153
materiale. La Formidee non diviene la cosa, né la cosa diviene
Formidee: quest'ultima è e rimane «pura idealità» (Idealitat).
Ci si trova di fronte ad una situazione apparentemente
paradossale: come può il Vorwegsein della Formidee (di una
idealità) appartenere all'essenza della cosa che si sviluppa (e
che pertanto è incompiuta) - cosicché questa possa veramente
divenire altro da ciò che era - e contemporaneamente essere
qualcosa di «precedente» - qualcosa che guida il processo della
cosa? Le difficoltà si dissolvono, secondo Plessner, solo
qualora ci si astenga dall'impostare il problema in termini
spazio-temporali; «esser prima» non significa «precedere
cronologicamente» e tanto meno «essere spazialmente separato»
dalla cosa fisica.
La cosa, alla quale l'anteriorità della Formidee appartiene
per essenza, è necessariamente incompiuta e il processo, in
ogni suo passo, si sviluppa verso una compensazione di questa
incompiutezza. La cosa è perfettibile nel senso
dell'avvicinamento al suo fine (la Formidee), che le resta
comunque infinitamente lontano (essendo un puro ideale). Questo
avvicinamento avviene in una progressione che si effettua su
livelli ad ogni passo più elevati: «l'approssimarsi raggiunge
l'unica adeguata realizzazione di un avvicinamento all'ideale
nel movimento ascendente (Hohersteigern) del processo» 21 • Il
concetto di «sviluppo» prevede espressamente un movimento di
ascesa e l'immagine della spirale provvede a darne una
raffigurazione grafica corretta.
L'impostazione della relazione fondamentale tra i membri
del sistema processuale e l'individuazione dell'immagine
corrispondente devono resistere ad una molteplicità di prove,
soddisfare all'esigenza di spiegare più fenomeni, conservandosi
21 lvi, p. 199.
154
nella connessione con diversi fattori e devono poter essere
giustificate o verificate sotto vari aspetti. Il movimento
dialettico in questo momento deve mantenere l'unità
dell'«essere» e del «dover essere» della cosa. I termini della
relazione sono ora la «Wesenszugehorigkeit des Vorwegseiendes
zu dem Ding» ed il suo essere «vorweg» rispetto alla cosa
stessa; il risultato della loro unione determina la specifica
modalità del succedersi delle fasi del processo: «l'unità del
momento dell'appartenenza al già essente e dell'essere
anteriore dà al processo( ... ] quella significativa
inclinazione (deklination) secondo la quale ciascuna delle
successive fasi si pone su di un livello più elevato rispetto
al precedente»22.
Il processo è capace di autoconduzione (Selbstlenkung)
proprio per quella particolare «inclinazione» che appartiene
per essenza allo sviluppo organico in virtù della modalità
aprioristico-dialettica caratteristica del principio di
relazione al limite. Grazie a ciò non vi è più alcun bisogno di
introdurre dall'esterno forze che guidino il processo organico,
non è più necessario postulare l'azione di qualche fattore
esterno - come era stato costretto a fare Driesch - per
spiegare le peculiarità del carattere del vivente: «al posto
dell'entelechia quale fattore naturale compare l'entelechia
come modo d'essere corrispondente a quella condizione del
limite che si lascia cogliere essa stessa, anche se per essa
non può essere data alcuna caratterizzazione fisica (alcuna
"spiegazione")»2l; è precisamente questa «condizione del
limite» a mettere in accordo la causalità relativa particolare
con il fenomeno dell'autonomia del sistema organico. Di fronte
22 lvi, p. 198. n lvi, p. 203.
155
al dibattito insoluto tra preformazionisti ed epigenetisti
Plessner avanza una proposta di soluzione del problema della
causalità nella biologia che determina una sorta di compromesso
tra le due posizioni 24 . Al vitalismo, che fallisce il suo
tentativo, egli riconosce tuttavia il merito di aver
individuato i giusti termini del problema.
c. Fasi processuali e concetto di morte
Il processo esistenziale dell'individuo ha una durata
limitata. Il percorso vitale dell'organismo è scandita dalla
fase ascendente della crescita e da quella discendente
dell'invecchiamento. Il divenire del vivente trova
irrimediabilmente la propria fine nel momento della morte
fisica2 5 •
Come si delinea la relazione tra la vita e le fasi che ne
descrivono la curva? Quale significato ha il concetto di morte?
Plessner non accetta né la concezione secondo cui vita e morte
rappresentano forze reciprocamente estranee che entrano
accidentalmente in rapporto tra loro, né quella che vede nella
morte un a priori della vita e nella vita una progressiva
realizzazione della morte. Sulla prima concezione si fonda la
contrapposizione della corporeità - intesa come finitezza -
alla vita - in sé eterna - che nella morte, con la liberazione
dal corpo, ritrova la propria purezza. La seconda concepisce la
morte come essenziale alla vita, la quale quindi è in se stessa
finita; ogni momento dello sviluppo è insieme vita e morte, il
che equivale a dire che il corpo non ha mai realmente la
24 Altrettanto si può dire della concezione weizsackeriana. zs La considerazione delle fasi del processo di vita è indipendente dalla collocazione temporale del corpo fisico. Si veda oltre.
156
propria vita e mai trova veramente la propria morte.
Nel rispetto del concetto di sviluppo sopra elaborato e del
movimento dialettico che regola il rapporto tra membri opposti,
la relazione tra vita e morte deve essere tale - dal punto di
vista di Plessner- da garantire tanto l'indipendenza dei due
fattori, quanto la loro unità mediata: «la morte è
immediatamente esterna ed inessenziale alla vita, ma diviene
mediatamente, per la forma di sviluppo dell'essenza vitale,
destino incondizionato della vita»26. Plessner insiste
sull'indipendenza e l'alterità di vita e morte: la morte è
morte, non vita, ed il suo autentico significato è quello di
essere l'«altro» rispetto alla vita, il suo opposto ideale e
reale. E tuttavia la vita va verso la morte, il cui potere
autonomo produce una frattura definitiva con la vita.
Realizzandosi secondo le modalità dello sviluppo, la vita
produce solo le condizioni iniziali che hanno per conseguenza
la morte. Si distinguono una morte naturale ed una innaturale,
l'una porta ad espressione la fase discendente del deperimento
fisico, la fase finale dello sviluppo; l'altra dimostra la
totale indipendenza del potere della morte rispetto alla vita.
Il morire è il risultato di una mediazione, il passaggio
realizzato e assoluto in ciò che è qualitativamente altro. Esso
non è affatto autonegazione della vita. Insieme al rifiuto per
una teoria di tipo heideggeriano - «viene anticipata
l'annullabilità (Nichtheit) della vita, non il suo essere-nulla
(Nichtheit)»27 - viene il riconoscimento di Plessner alla
filosofia dell'idealismo per aver saputo produrre la svolta
verso una concezione alternativa del rapporto vita-morte:
«questa svolta sarebbe quella tipicamente dialettica per come
26 lvi, p. 204-5. 21 lvi, p. 206.
157
l'hanno in generale improntata classicamente Fichte e Hegel al
fine di riconoscere egualmente positivo e negativo, essere e
nulla; mentre di fatto essa toglie con ciò peso ad entrambe,
mediando il contrasto in un terzo, nella vita, nell'io, nello
spirito» 28 • Ma solo nel sistema hegeliano - secondo Plessner
lo hiatus riceve il pieno valore di principio nella produzione
di ciascuna determinazione dell'essere reale.
La dialettica vita-morte si presenta strutturalmente
identica alla dialettica che presiede al concetto di «limite
realizzato», di «sviluppo» e di «divenire» in generale; in
questa applicazione, tuttavia,· manca quell'equilibrio tra i
termini della mediazione che là pareva mostrarsi: uno dei due
momenti - quello della morte - non è semplicemente «l'altro» da
cui viene la condizione per un «ritorno», la possibilità
dell'«andare oltre» del processo, ma !'«altro decisivo», quello
che determina la conclusione definitiva del percorso dello
sviluppo. Il punto raggiunto non rappresenta un nuovo inizio,
ma determina una cesura; «passaggio assoluto» significa ora
sopraffazione di uno dei due membri della relazione ad opera
dell'altro. L'immagine del movimento dialettico viene
mantenuta, ma il ritmo uniforme e costante che è caratteristico
della struttura dialettica viene meno: qui esso ottiene la
forma della finitezza. Di fronte alla morte, concepita da
Plessner come fatto bruto, concreto e non «mediabile», il
movimento dialettico-processuale si arresta. Il rapporto
dialettico riguarda solo i momenti interni di un processo
finito; esso si delinea come dialettica del materiale in
contrasto con l'idea di processualità universale dell'essere,
la sola che possa darsi come infinita.
Per altro verso, le fasi del processo vitale - gioventù,
za lvi, p. 207.
158
maturità, invecchiamento - costituiscono la forma a priori
della vita, che, analogamente alla funzione della Gestaltidee,
determinano in maniera univoca il risultato del processo: «come
la cosa vivente, in quanto forma semplice deve darsi sotto
l'idea formale che le fornisce i margini della variabilità
individuale, il processo di sviluppo si dà sotto la legge
formale dell'ascesa, della crescita e del deperimento»29. Non è
il procedere dialettico in sé a dare la forma a priori del
processo di vita individuale nelle sue determinazioni, ma la
curva crescita-deperimento, conformemente alla quale, il
processo si effettua nel modo dello sviluppo dialettico. Questo
il risultato dell'incontro di dialettica e pensiero
categoriale: il movimento progressivo si sottomette al
prototipo ideale, il movimento dialettico cede il passo alla
stabilità delle categorie.
Un'ultimo appunto sul rapporto tra concreto e a priori:
allo stesso modo che per la Formidee, è possibile cogliere e
determinare soltanto il modo in cui entrano in contatto il
vivente e la morte (cioè la forma a priori del loro incontro),
vale a dire è possibile cogliere solo l'esternità alla vita
della morte e il tipo di relazione tra esse sussistente. Mentre
ciò che non è dato cogliere è «come» si dia questo contatto 30 •
Non ha senso alcuno chiedersi se la morte debba avere carattere
d'essere prima e indipendentemente dall'atto del morire
concreto: l'a priori si dimostra solo in ciò per cui esso è
tale, la sua necessità è inseparabile da ciò per il quale esso
è forma, ovvero dal vivente.
29 Ivi, p. 205. 30 Esattamente coae accade nella teoria delle idee di Platone e nello scheaatismo kantiano.
159
Spazialità e temporalità organica
a. Raumhaftigkeit
La determinazione della processualità dell'essere
posizionale costituisce la principale delle «caratteristiche
dinamiche» dell'organico. Poiché ottenuta deduttivamente dalla
struttura essenziale della realtà organica, non c'è per ciò
stesso alcun bisogno di subordinarla o affiancarla ad una
considerazione di un fattore temporale pensato come fattore
eventualmente condizionante l'essenza stessa. Nel contesto di
una deduzione aprioristica dei caratteri essenziali dell'essere
non ha senso alcuno chiamare in causa elementi esterni alla sua
struttura, elementi intesi come fattori dal «carattere
oggettivo» quali appunto il «tempo fisico» o lo «spazio fisico»
della ricerca scientifica. Esattamente come il corpo fisico
inanimato, il vivente è «nel tempo», ha una «durata temporale»
misurabile mediante strumenti adeguati, come pure è «nello
spazio», in un «luogo fisico» altrettanto obiettivamente
determinabile nella relazione ad altri oggetti o con l'uso di
sistemi di misura. Ma questo non riguarda minimamente la sua
struttura essenziale: là il corpo non appare come corpo
organico, ma solo come corpo fisico.
Tuttavia, al di là del suo essere - diciamo -
«accidentalmente» nello spazio e nel tempo, al vivente
appartiene una dimensione spazio-temporale direttamente
connessa al suo peculiare modo d'essere e dipendente
esclusivamente dal suo carattere posizionale. Con la
«realizzazione del limite» il corpo è «posto» (prende
posizione) rispetto alle dimensioni della spazialità e della
temporalità: i modi d'essere nello spazio e nel tempo specifici
160
del vivente rappresentano autentiche caratteristiche d'essenza.
La formula «in sé ed oltre sé», indicante la mediazione
dialettica dell'essere del corpo, consente a Plessner di
spiegare tanto la costituzione insieme unitaria e differenziata
dell'individualità organica, quanto la sua relazione
all'ambiente e al tempo.
Considerato nel suo essere «in sé», l'individuo costituisce
un'entità separata rispetto a tutto ciò che lo circonda.
L'organismo appartiene all'ambiente, certo, ma, diversamente
dalla cosa inanimata che semplicemente «occupa un posto» nello
spazio, esso è in una relazione di «opposizione» al medio
adiacente. La mediazione dialettica dell'in sé del corpo con
l'altro da sé procede dal corpo verso l'ambiente nella forma di
«tensione oltre sé» e di «ritorno» al corpo stesso.
Naturalmente, anche l'intuizione riesce a cogliere questa
dinamica, ma senza riuscire a definirla nella sua struttura
essenziale. In questa relazione la cosa appare come una
totalità (Ganzheit) a sé stante, come un Fursichsein costituito
da parti ma «indipendente» da queste, come un intero che si
staglia dalla propria stessa composizione e insieme si separa
da quanto lo circonda: esso appare, insomma, come un essere
pienamente «autonomo». Non semplicemente «collocato» nello
spazio, esso «tiene» un posto, una «posizione»; esso «prende
posto» rispetto a sé e all'altro da sé: «esso ottiene da sé un
luogo, il suo "luogo naturale"»31. Diversamente dalla cosa
inanimata, l'organismo è in relazione attiva con l'ambiente,
cosicché non solo esso «è» in un luogo, ma propriamente «ha» un
luogo. L'aggettivo che Plessner adotta per indicare questo
peculiare modo dell'essere spaziale è raumhaft, mentre raumlich
continua a definire la spazialità oggettiva del corpo fisico in
31 lvi, p. 186.
161
generale.
La deduzione dei «caratteri statici» dell'essenza del corpo
organico riguarda la determinazione delle caratteristiche del
sistema considerato nel suo essere in sé un intero contrapposto
ad un ambiente, rispetto al quale esso mostra un'evidente
delimitazione. Il punto di vista col quale si considera la
relazione posizionale ora è tale per cui «realizzazione del
limite significa irrealizzazione del limite»32. Sappiamo
infatti che il principio prevede, insieme, la posizione
dell'essere in sé e dell'essere fuori di sé del corpo rispetto
al limite, ovvero realizzazione della sintesi dei due momenti,
perciò l'analisi del solo aspetto dell'in sé organico- «tolto»
il momento del compiuto «passaggio oltre sé», dell'essere il
corpo uber ihm hinaus- assume la forma dell'isolamento del
momento negativo della realizzazione stessa del limite.
Preso in questo aspetto della relazione al proprio limite,
il corpo è un «sistema»: cosa composta strutturalmente in se
stessa mediante la relazione unitaria delle sue parti. Esso è
l'unità di una molteplicità di parti mediatamente connesse e
legate ad un centro. Non si tratta, naturalmente, di un centro
spaziale (anche se non privo di rapporti con la spazialità
della cosa), ma non è nemmeno un semplice polo percettivo come
l'interno della cosa fisica. Nella relazione del corpo con se
stesso il centro si distanzia dall'unità stessa delle parti
come polo di mediazione dell'organizzazione nell'intero. Esso è
il reale «portatore» delle parti che lo costituiscono:
rappresenta un «selbst» che propriamente «ha» un corpo. Se la
cosa fisica è data dall'unità risultante dall'insieme delle sue
parti, il corpo vivente è «unità nella molteplicità e
molteplicità nell'unità», ove la relazione circolare che si
32 lvi, p. 216.
162
instaura tra i due poli conferisce all'intero il pieno
significato di «gestalthaftes Ganze».
In questa mediazione interna, in cui un centro si rende
autonomo dall'insieme delle parti, Plessner vede il fondamento
della peculiare forma di totalità che si manifesta nel fenomeno
della regolazione interna dell'organismo: i fenomeni della
restituzione studiati da Driesch trovano qui la loro
giustificazione, non nell'ipotesi dell'esistenza di un fattore
entelechiale immateriale. L'intero del corpo organico è un
sistema armonicamente equipotenziale di parti capace di
autoregolazione e di adattamento ad un ambiente (regolazione
mediata attraverso il mondo esterno). Le parti che compongono
il corpo non sono «pezzi» di un insieme, ma organi
rappresentanti l'unità stessa: nella loro immediatezza parti,
divengono mediatamente mezzo per la formazione della Ganzheit.
In questo modo «nell'organo il vivente ha il proprio mezzo: per
la vita. Nel suo corpo l'intero si media per l'intero. La
posizione (Gesetztheit) del corpo organico è in esso realmente
immediatezza mediata (vermittelte Unmittelbarkeit)»33.
b. Zeithaftigkeit del corpo organico
L'idea di «temporalità organica» in Plessner come non ha
nulla a che vedere con una concezione del tempo scientifico
oggettiva (né meccanicistica, né relativistica), non ha a che
fare con un'idea psicologistica del tempo soggettivo. Non si
tratta in ogni caso di una teoria che debba sostituire ogni
altra concezione del tempo: piuttosto essa si affianca ad
altre, e in particolare una teoria del tempo «oggettivo»
33 lvi, p. 229.
163
continua a mantenere inalterata la propria validità in rapporto
allo studio dei corpi fisici in quanto tali34. La temporalità
specifica dell'organico, denominata da Plessner Zeithaftigkeit,
viene determinata, come la sua Raumhaftigkeit, quale autentico
carattere d'essenza posizionale.
Ciò per cui il corpo come «Selbst» ottiene realtà
(Realitat) è, sostiene Plessner, il suo apparire una
potenzialità (Potenz) o un potere (Vermogen) nella relazione
con sé stesso e con i suoi organi. Non si tratta di una
«facoltà» posseduta da un essere già di per sé essente: il
corpo ha la «qualità del potere» (Kannqualitat) come proprietà
d'essenza, esso è cioè in se stesso una possibilità, un non
ancora-essente (Nochnichtsein). Non può esserlo tuttavia in un
senso radicale, giacché il corpo organico «è», ed è nella
realtà come essente nell'«adesso». Nell'attualità esso «è», ma
come «non-ancora» rispetto al futuro. In fondo, l'essere in
relazione attuale con il futuro non è di per sé una
caratteristica esclusiva del vivente: qualsiasi oggetto fisico
quanto alle sue proprietà è un non-ancora in divenire. La
differenza determinante rispetto al corpo fisico sta nel fatto
che l'essere del vivente come Potenz o Vermogen ottiene una
peculiare determinazione «nella direzione di dipendenza tra la
modalità del non-ancora (Nochnichtmodus) e la modalità
dell'adesso (Jetztmodus)»3s. La possibilità come modo del non
ancora appartiene effettivamente all'essere del corpo, non è
semplicemente «offerta» alla cosa, non è «con» la cosa come
possibilità «esterna» alla sua essenza della cosa. La
possibilità appartiene all'essere dell'organismo come sua
34 A un'indagine sulle strutture dell'essere del vivente, del suo aodo d'essere in relazione a sé e al tondo, le teorie scientifiche del teapo non possono offrire - secondo Plessner - alcun sostegno, né esse possono sperare di raggiungere la ditensione organica della leitbaftigkeit, derivante dall'essere il corpo un «sisteta) dialetticaaente aediato in una duplice relazione. 35 lvi p. 234.
164
proprietà, ovvero il suo non-essere-ancora si realizza nel
corpo nello stesso senso e con la stessa necessità essenziale
con cui si realizza il suo essere attuale. La realtà della
possibilità connessa al suo essere reale come sua specifica
modalità fa si che l'organico sia da intendere «come un corpo
nell'adesso non ancora essente altrettanto che come un corpo
nel non-ancora essente nell'adesso»36, ave la direzione della
determinazione procede dal non-ancora verso l'attualità. Data
la radicale contrapposizione del non-ancora e dell'essere
attuale, la realizzazione di entrambi nel corpo organico non
può avvenire che nella differenza (nella non contemporaneità
logica), pena l'annullamento dell'esistenza fisica del corpo
stesso. Attualità ed esser-potenzialmente devono insomma
compenetrarsi nell'unità dell'esistenza istantanea, devono
accordarsi reciprocamente nella vita reale (wirklich) del
corpo, senza annullarsi3'.
La condizione perché si dia tale accordo è indicata da
Plessner nella non coincidenza di «possibilità» e «non-essere»:
l'essere come possibilità conserva infatti in sé il «passaggio
all'essere». La possibilità indica soltanto una direzione che
va dal non-essere all'essere, cioè stabilisce nell'essere una
relazione anticipata di dipendenza del presente dal futuro.
La rilevanza assunta dalla direzione verso il futuro nella
determinazione dell'essenza del vivente non deve far pensare al
Dasein di Heidegger come essere-per-il-futuro. Il solo
accostamento sarebbe fuorviante. Al di là della constatazione
36 lbid. 31 Abbia1o qui una confer1a del fatto che !'«indifferenza, non trova posto nella struttura dialettica elaborata da Plessner. I poli opposti devono poter confluire in un moaento di unificazione che non eli1ini tai quella fondatentale contrapposizione necessaria all'essere dell'organisao. Ogni sintesi avviene cosi se1pre nel rispetto di una foraa di tediazione dialettica la cui struttura riposa sul presupposto della ineliainabilità della distinzione, che nel aoaento sintetico è «tolta) e tuttavia 1ai «annullata,; e tanto porta a conferaare una vicinanza della logica plessneriana alla concezione begeliana piuttosto che a quella scbellingiana.
165
che il vivente di cui si occupa Plessner non è il Dasein umano
di Heidegger e che la prospettiva esistenzialistica di
quest'ultimo ed il suo procedimento analitico sono aspramente
criticati da Plessner come insufficienti anche nello studio
dell'essere dell'uomo3s, la discriminante fondamentale tra le
due posizioni è data dal differente significato di cui è
rivestita la relazione del vivente con le dimensioni del
presente e del futuro. Come abbiamo detto, Plessner rifiuta di
identificare !'«essere-possibile» con una forma di non-essere,
avendo questa «in sé stessa le condizioni del passaggio
nell'essere»39. L'essere nella possibilità non è un «essere
per» il futuro, come la vita non è un «essere-per» la morte.
Nella concezione di Plessner la relazione al futuro si effettua
nella realtà del vivente senza le implicazioni della posizione
di Heidegger. Essa si prospetta piuttosto come la condizione
della possibilità di auto-organizzazione o auto-progettazione4o
dell'organismo nell'attualità del presente.
Per la sua Zeithaftigkeit il corpo è veramente nel presente
ed ha realmente un passato e un futuro. Nell'unità posizionale
il corpo come totalità è dato a sé stesso anticipatamente: ciò
spiega, secondo Plessner, la teleologia interna che mostra
l'unità dei membri, dà ragione della loro collaborazione
nell'azione secondo un piano unitario e, in generale, spiega
l'automediazione dell'intero. In tal senso il corpo è fine a se
stesso, nell'organizzazione come nel funzionamento.
Il carattere posizionale, di per sé totalmente indipendente
dalla posizione «oggettiva» del corpo nel tempo e nello spazio,
38 Cfr. ivi, pp. 155·159. 39 Ivi, p. 236. 40 Come è noto, questo tema avrà importanti sviluppi specialmente nella teoria antropologica di Arnold Gehlen: Id., Der Keoscb. Seine Katur uod seine Stelluog io der relt (1940), Wiesbaden, Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion, 1978 (trad. it. Id., t'uo1o. ta sua natura e il suo posto nel 1oodo, a cura di c. Mainoldi, Milano, Feltrinelli 1990).
166
indifferente rispetto alla sua Zeitlichkeit e Raumlichkeit,
determina Zeithaftigkeit e Raumhaftigkeit del vivente come
caratteri d'essenza. Il corpo, nell'assoluta unione di queste
proprietà, che si manifestano tanto nelle determinazioni
dinamiche quanto nelle statiche, si dice «nei» suoi limiti, in
un «luogo naturale».
167
III. Graduazione e soggettività
Le «forme» dell'organico
Determinate le caratteristiche essenziali che distinguono
l'organico in generale, Plessner procede alla definizione delle
«forme» dell'essenza organica che sul piano fenomenico
conducono alla diversificazione dei regni naturali. Il concetto
di forma (Form) indica qui la corrispondenza dell'organismo ad
un determinato «grado» dello sviluppo del principio posizionale
e ne indica la specifica struttura. Esso rappresenta una
categoria o «idea» che non si presenta in se stessa
all'osservazione empirica, tuttavia la sua impronta può essere
colta dall'intuizione poiché «appare» nel fenomeno. Derivato
dal pensiero di Driesch, ma trasformato in senso aprioristico,
il concetto di forma indica il modo in cui si risolve il
conflitto tra la chiusura in sé dell'unità organica e
l'apertura dell'organismo al suo esterno, al suo campo
posizionale (Positionsfeld); il legame biologico-funzionale che
si instaura tra l'organismo e l'ambiente determina quel ciclo
vitale (Lebenskreis) in cui si verifica un continuo e reciproco
scambio di materia ed energia. La forma, nel contesto di questo
legame, «indica l'idea di organizzazione [ ... ]secondo la quale
il corpo vivente unisce la propria autonomia oggettiva con la
sua dipendenza vitale»l.
Si distinguono due modalità fondamentali di organizzazione,
due forme dell'organico che rimandano al rispettivo Typus
ideale: la «forma aperta» (offene Form) caratteristica
dell'organismo vegetale e la «forma chiusa» (geschlossene Form)
1 Stufen (P-GS IV), p. 283.
168
che distingue l'organismo animale2. Nella «forma aperta» il
vivente è inserito «immediatamente» nell'ambiente, cosi da
costituire una parte non indipendente del proprio Lebenskreis.
Nel contrasto tra la chiusura in sé dell'organismo e
l'appartenenza al Lebenskreis quale membro di esso, questa
forma è caratterizzata dalla preponderanza dell'apertura verso
l'esterno sulla chiusura dell'organismo in se stesso, ciò che
va prevalentemente a discapito dell'individualità del corpo
organico. E' significativo che nella considerazione morfologica
la pianta sia priva di un organo centrale che possa fungere da
nucleo a cui si lega l'intero organismo e che possa
rappresentare l'individualità singolare nell'unità delle parti.
Nell'organismo vegetale l'individualità non si presenta dunque
come costitutiva, bensi soltanto come momento «esteriore» della
sua forma. La mancanza di un vero e proprio «sé» nella pianta è
testimoniata inoltre da una relativa indipendenza delle parti
strutturate in un'abbondante intelaiatura e protese verso
l'esterno- come pure è evidente nel carattere prevalentemente
statico dell'organismo vegetale, radicato in un luogo preciso,
privo di moto spontaneo e di autentica vitalità3.
La pianta rappresenta un sistema organizzato, un organismo
«a sé stante» e in questo senso indipendente da ciò che lo
circonda, tuttavia esso è totalmente dischiuso all'ambiente: è
2 Plessner liaita le sue considerazioni agli organisti pluricellulari, poiché - sostiene - la coaparazione tra differenti forte ha senso solo laddove si verifichi il conflitto posizionale di cui abbiaao pocanzi parlato, ove vi sia organizzazione e rapporto con l'aabiente, vale a dire negli organisti coaposti. Si può parlare di organizzazione anche riguardo agli organisai unicellulari, aa il rapporto della sostanza protoplasaatica delle parti con l'intero è in essi sostanzialaente diverso da quello caratteristico dei pluricellulari. Cfr. Ibid. 3 Non vi è aolto di nuovo nella concezione dell'organisao vegetale rispetto alla tradizione scientificoroaantica ottocentesca: gli eleaenti su cui Plessner insiste riaandano ancora, fondaaentaltente, ad un criterio coaparativo che evidenzia un livello inferiore di autono1ia e di libertà di questa foraa organica rispetto a quello di forae superiori. Si può notare, in particolare, la singolare so1iglianza delle specifiche deter1inazioni, nei loro nessi strutturali, con la rappresentazione dell'organisao vegetale elaborato nella filosofia della natura dell'idealisao tedesco.
169
un «Selbst» e «ha» un corpo, ma manca alla sua essenza
interiore quel «contrasto» capace di determinare la separazione
di un centro organizzativo dell'intero dall'unità delle parti.
La forma vegetale è priva di un organo centrale che, elevandosi
al di sopra della totalità del corpo, sia in grado di guidarlo
in azioni intenzionali e coscienti.
Abbiamo già visto a proposito della struttura
dell'organismo in generale che l'essere posizionalmente
determinato è dotato, per ciò stesso, di un Selbst soggetto del
proprio «avere un corpo». Plessner sottolinea però che questo
«sé» e questo «avere», privi di qualunque valenza psicologica,
costituiscono esclusivamente determinazioni strutturali
dell'essenza dell'organismo: «un Selbst non è ancora un
soggetto cosciente, avere non è ancora sapere o sentire»•. Ciò
nonostante, Plessner ha posto le basi per lo sviluppo della
sensibilità e della coscienza (modi dell'essere dell'organismo)
con il concetto stesso di posizionalità. Queste determinazioni
della relazione posizionale caratterizzeranno tuttavia solo i
gradi più elevati del mondo organico, saranno cioè costitutive
dell'essere organico solo nelle forme più sviluppate della
relazione posizionale. E la pianta è soltanto l'infimo di tali
gradi quello che non presenta ancora alcuna forma di coscienza
o di sensazione.
Diversamente stanno le cose per l'organismo di «forma
chiusa». Tutte le sue manifestazioni vitali di fronte
all'ambiente sono «mediate» di modo che esso costituisce un
elemento nel proprio ciclo vitale, ma indipendente da questo.
Il concretizzarsi di questa indipendenza si osserva nelle
funzioni sensorie e materie di cui l'animale dispone: esso
«sente», cioè recepisce stimoli dall'esterno ed «agisce», è
4 lvi, p. 217.
170
attivo verso l'ambiente. L'unità organica è rappresentata da un
organo centrale, grazie al quale l'organismo può porre il corpo
-l'insieme degli organi- come intermediario tra sé e
l'ambiente. Il vivente non ha più un contatto immediato con
l'esterno: il Leib si staglia dal corpo (Korper) come unità
rappresentata e governata da un centro e viene a costituire una
sorta di «seconda realtà» del corpo «nel» corpo stesso.
Possiamo dire che il corpo organizzato e guidato da un organo
centrale è «in sé» come Korper, come sistema di parti e nucleo,
e «fuori di sé» come Leib.
Diversamente dalla pianta, questo organismo presenta un
duplice modo d'essere: «l'essere il corpo stesso e l'essere nel
corpo» 5 : in questa duplicità esso è un'unità che prende
distanza dal proprio corpo. Contemporaneamente «nel» corpo e
«fuori» di esso è anche il centro posizionale che media tra
corpo (Korper) e Leib sotto forma di interiorità soggettiva:
«il centro spaziale (raumhafte Mitte), il nucleo (Kern) è il
soggetto dell'avere o il Selbst»6. L'organismo, che entra in
relazione a se stesso ed è presente a sé, diviene un Selbst di
tipo particolare, un «zuruckbezugliches Selbst» o un «Sich» 7 •
Il termine Sich viene riservato da Plessner a questa
particolare forma del Selbst, prodotto da quel grado
posizionale che implica una separazione mediata dell'organismo
da se medesimo. Il concetto di soggetto che nel grado più basso
indicava il Selbst «in se stesso», la semplice unità
sistematica del corpo, ora indica la «riflessione»& del corpo
5 lvi, p. 303. 6 lvi, p. 304. 7 Ibid. 8 Si tratta di una riflessione solo parziale dell'essenza posizionale: una riflessione totale si avrà solo nel grado posizionale umano. E' i1portante sottolineare che il teraine «riflessione) coapare col presentarsi della coscienza, ma qualitativamente la riflessione non si distingue dalla Yer1ittluog caratteristica dell'intera dinaaica posizionale; aa essendo qualitativaaente diverso il prodotto della dialettica posizionale, il principio prende il nome di «riflessione, quando si abbia a che fare con il sorgere
171
su di sé, indica una situazione di «estrinsecazione» del corpo
e la sua reale contrapposizione ad un esterno. Mentre nella
pianta il soggetto era semplicemente «nel» proprio «avere» un
corpo e l'organismo ancora posto in una relazione immediata con
se stesso e con il proprio esterno, ora l'animale è un Sich,
soggetto nella centralità organizzativa del proprio essere,
Selbst riflessivamente centrico9 e perciò dotato di
un'«interiorità» mediante la quale esso agisce e reagisce.
Col termine Zentrizitat Plessner indica la relazione
posizionale in cui ha luogo una «separazione» e un
«innalzamento» dell'organismo dal proprio Leib grazie ad una
centralizzazione organizzativa che consente all'organismo un
contatto di mediazione con un ambiente - il suo ambientalo -
percepito come separato dal Leib. Alla centricità si accompagna
la modalità posizionale della frontalità (Frontalitat), del
trovarsi l'animale «di fronte a» ciò che gli sta intorno come
qualcosa con cui è costantemente in antagonistica interazione.
In questo livello più elevato della soggettività compare ciò
che con il concetto di Selbst era dato solo come possibilità.
L'animale dimostra capacità di azione e reazione, di scelta tra
dell'interiorità cosciente e autocosciente. 9 La traduzione del teraine «lentrizitiò con «concentricità, sarebbe probabilaente più elegante e più corretta dal punto di vista linguistico. Tuttavia, aentre la concentricità richiaaa alla mente un aoviaento che si dirige verso o si auove intorno ad un centro, il teraine centricità rende forse Jeglio l'idea dell'essere legato, o vincolato, ad un centro, aspetto sottolineato da Plessner specie nel confronto con le aodalità del grado posizionale superiore. Inoltre la lingua tedesca per espri1ere la concentricità ha il teraine «Konzentrizitiò, che Plessner potrebbe aver evitato intenzionalmente. 10 La teoria di J. von Uexkull dell'caabiente specifico, e del «ciclo funzionale, che lega organisao e U1relt è accolta da Plessner - con alcune variazioni - in relazione alla cforaa chiusa, aniJale: clo schema sensoaotorio- il "ciclo funzionale", coae dice von Oexkull- è la condizione della possibiltà della realtà specifica (Realsein) della foraa chiusa, dell'idea dell'organizzazione aniaale, (cfr. ivi, p. 295). Questo vale sia per il sistema organizzativo decentrato (cfr. ivi, pp. 314-315), sia per quello centralizzato (cfr. ivi, pp. 316-317). Mel suo complesso, tuttavia, la teoria di von Uexkfill è considerata da Plessner oraaai superata grazie all'ampliaaento degli orizzonti verificatosi nell'aJbito di studi coae quelli della conteaporanea psicologia animale. Essi non identificano più l'habitus co1portamentale animale con le condizioni fisiologiche di esso (cfr. ivi, 113-114; si veda inoltre: Id., (a cura di), Das OlreltprobleJ, cit.).
172
varie possibilità, di direzionamento intenzionale dei
movimenti. E proprio nel compiere atti finalizzati e spontanei,
nel vivere la propria corporeità come «presente» a se stesso, a
contatto con un ambiente da esso nettamente separato, l'animale
è «coscienza».
Ma se in questo sentire ed agire l'animale è soggetto
cosciente, esso non è ancora un «Io»: sa e conosce ma non è
consapevole di questo suo sapere, né conosce le relazioni che
lo rendono un soggetto cosciente. Ciò significa che all'animale
- posto nella sua centricità - restano nascoste le «forme
dell'avere» che gli sono proprie, forme in cui esso
semplicemente «è»: «quando nella distanza dal proprio Leib il
corpo ha il suo medio, in quanto elevato sul proprio Leib, e un
campo a lui contrapposto; quando esso lo percepisce (Merken) ed
agisce su di esso con l'aiuto della sua corporeità (Korperleib)
esso lo ha percependo ed agendo - non come sospeso su di un
abisso, ma ad esso legato. Lo porta, ma non è per esso: lo è
solo» 11 . Insieme all'aspetto positivo della centricità animale
viene in luce quello negativo: posizionato nel proprio centro,
l'organismo animale è privo di quella ulteriore e completa
riflessività che lo renderebbe cosciente del suo modo d'essere:
«la totalità corporea non è ancora divenuta completamente
riflessiva»12. Nel concreto dell'osservazione empirica
l'animale dimostra intelligenza e memoriai è capace di
autentica analisi della struttura del campo spaziale e sa
utilizzare strumenti che trova a disposizione nell'ambiente per
superare ostacoli e compiere azioni finalizzate. Esso manca
però della capacità di ottenere soluzioni negative, soltanto
pensabili e non immediatamente visibili. Questo prova - secondo
11 Stuteo (P-GS IV), p, 305. 12 lvi, p, 306.
173
Plessner, che si rifà agli esperimenti di Kohler sulle scimmie
antropoidi - che all'animale è negato il carattere di
oggettività dell'ambiente, come gli è negata la capacità di
risolvere situazioni in cui è necessario saper distinguere tra
particolare e generale, attestazione della mancanza di una
piena coscienza di sé e dell'ambiente.
Il soggetto eccentrico
L'idea che ha Plessner della soggettività- come sarà ormai
chiaro- non è da confondere con l'attività senziente e
pensante in genere, come una secolare tradizione di pensiero ci
aveva abituati a fare. Il concetto di soggetto si può
considerare sinonimo di vivente: il vivente in quanto tale,
l'essere posizionale nelle sue modalità essenziali è soggetto
in primo luogo in quanto «portatore» della propria realtà
antica. Soggettivo è quel modo d'essere dell'organismo che, in
relazione a se stesso e all'altro da se, costituisce un Selbst,
un'individualità mediatrice e mediata. Interiorità e coscienza
compaiono solo come modalità particolari di quell'cavare» e di
quell'«essere» del soggetto che prevede una relazione di
mediazione riflessiva del Selbst su di sé e al di là di sé. E
come soggettività e coscienza non coincidono, neppure coscienza
ed egoità sono equivalenti. Nel percorso seguito dallo sviluppo
posizionale dell'organico il concetto di soggetto subisce una
trasformazione graduale nella direzione di una «profondità»
sempre maggiore, sino a raggiungere - solo nel grado di
sviluppo più elevato - le caratteristiche che una consolidata
tradizione post-cartesiana presupposte come costitutive del
soggetto in quanto tale.
174
Il massimo grado di realizzazione della legge posizionale è
rappresentato dal livello umano13. Anche questo livello, come
quello animale appartiene alla «forma chiusa» dell'organico,
qui però, diversamente dal grado animale, il centro
posizionale, il «raumhafte Mitte» dei vissuti e delle azioni
non è soltanto «portatore» e guida del Leib: se nel livello
animale l'individuo si colloca «nell'attraversamento (Hindurch)
del suo essere mediato nell'unità», nel livello umano esso si
pone «attraverso l'attraversamento del suo essere mediato
nell'unità»14. La peculiarità dell'organizzazione chiusa è
dovuta al costituirsi di un'unità centrale rappresentante
l'interiorità senziente o la soggettività cosciente nella
mediazione del Selbst organico con la corporeità; ora, la
caratteristica specifica del grado di organizzazione umano è
dato dalla mediazione del Selbst non più solo con il corpo, ma
con sé, con il Selbst stesso. In questo modo il centro
posizionale prende distanza da sé facendo raggiungere al
sistema organico un punto di totale riflessione: «il suo vivere
a partire dal centro giunge in relazione ad esso, il carattere
riflessivo del corpo centralmente rappresentato è dato a lui
medesimo»ls.
Plessner stabilisce cosi il passaggio dalla semplice
13 All'idea di cgrado più elevato, non è associato alcun giudizio assiologico, né un significato finalistico: Plessner rifiuta l'idea di uno sviluppo organico unilineare che abbia nell'uoao il suo culaine: cfr. Der Kenscb als Leberesen. Adolf Port1ann 101 70. Geburtstag, (P·GS, VIII, pp. 314-327) (trad. it. L'uo1o co1e essere biologico, in Filosofi tedeschi d'oggi, a cura di A. Babolin, Bologna, il Mulino, 1967, pp. 355-376), p. 325 (pp. 373-374). Mediante la deduzione dei caratteri d'essenza di ciascuna «forma organica) si può individuare la differenza specifica delle todalità di strutturazione della realtà organica, si può considerare la graduazione delle forae secondo un principio di continuità che ne rappresenti la seapre aaggiore coaplessità costitutiva e organizzativa, cole si può e si deve riconoscere all'uoao una «posizione particolare); ciò non significa tuttavia, per Plessner, che dietro la aolteplicità di forte e di sisteai biologici si possa riconoscere il dispiegarsi di un preciso disegno finalistico: cla fantasia creativa, la copia di for1e, che si dispiega quasi in un gioco, si fanno beffa d'ogni tentativo d'una evoluzione avanzante con processo unilineare che culaini nell'uoao, (ivi, p. 374). 14 Stufen (P-GS IV), p. 362. ts lvi, pp. 362-363.
175
coscienza del proprio corpo e dell'ambiente alla coscienza del
Selbst e delle cose. In questo movimento di totale riflessione
su se stesso l'essere vivente non solo «ha» il proprio corpo,
ma ha presente se stesso per intero, ha coscienza di sé poiché
può osservarsi da un punto prospettico posto «hinter sich»,
dietro o al di là di sé stesso: esso diviene un Ich. L'uomo non
si pone, come l'animale, nel «qui ed ora» di una relazione di
dominio immediato del proprio Leib e dell'ambiente. Egli è
pienamente consapevole del propio Leib quale centro del suo
vivere in un «qui ed ora» da cui dipendono le determinazioni
spaziali e temporali vissute; il suo corpo (Korper) può
essergli dato oggettivamente come una cosa tra altre cose da
una posizione di assoluta unione spazio-temporale. In quanto Io
l'uomo è non solo coscienza, ma autocoscienza e duplicemente
distante da sé: come Selbst dal suo Leib, e come Io dal suo
Selbst. L'uomo, posto al centro della propria esistenza,
conosce la propria posizione ed è perciò oltre quel centro
stesso, proiettato fuori di sé: nonostante la sua centricità,
esso diviene eccentrico (exzentrisch).
Alla natura umana appartiene cosi una profonda duplicità;
vi si delinea l'esistenza di un'insanabile spaccatura. E
proprio in questa duplicità si realizza l'unità di tale natura.
L'uomo «vive al di là e al di qua della frattura, come anima e
come corpo e come l'unità psicofisica neutrale di queste
sfere»16 • L'unità stessa è «la frattura, il baratro, il vuoto
attraversamento della mediazione che per il vivente equivale al
carattere di duplicità assoluto e al duplice aspetto di corpo
(Korperleib) ed anima nella quale egli lo vive» 1 '. A differenza
dell'animale che solo «è» nella duplicità l'uomo la vive. Con
16 lvi, p. 365. 17 /bid.
176
il concetto fondamentale di «posizione eccentrica» Plessner può
spiegare la spaccatura intrinseca alla natura umana senza
ricorrere a due distinti principi, né privilegiare uno dei due
aspetti - quello materiale o quello spirituale - altrettanto
necessari alla natura dell'uomo, poiché in qualsiasi modo lo si
consideri, come organismo vivente o come geniale produttore di
cultura, l'uomo è sempre inscindibile unità di corpo ed anima.
Il concetto di eccentricità umana è perciò psicofisicamente
neutrale.
Grazie alla propria eccentricità l'uomo presenta una
triplice modalità posizionale: «il vivente è corpo, è nel corpo
(come vita interiore o anima) e fuori dal corpo come punto di
vista a partire dal quale esso è entrambi»ls. Essa corrisponde
al concetto di «persona» che indica il soggetto delle proprie
esperienze, delle proprie percezioni, azioni ed iniziative;
indica, insomma, il soggetto che sa e vuole. Conformemente alla
propria posizionalità l'uomo è in triplice relazione al mondo:
come AuPenwelt, Innenwelt e Mitwelt. L'uomo vive il mondo che
lo circonda non solo come suo ambiente (Umfeld) 19 , ma anche
come mondo esterno, come mondo oggettivo fisico-spaziale. In
esso le cose gli appaiono unilateralmente come ombreggiate,
come corpi estesi che riempiono lo spazio. In questo rapporto
con il mondo si trova la possibilità dell'aggettivazione anche
del suo stesso corpo che può essere esperito come cosa tra le
altre cose. L'esistenza di un mondo esterno è possibile per
l'uomo in quanto egli ha anche un mondo interiore, un'egoità
riflessiva grazie alla quale egli è presente a se stesso. La
profonda scissione caratteristica del vivere dell'uomo è in
1' Ibid. 19 .Generalmente Plessner usa i teraini U1gebung ed U1feld come sinoniai per indicare ciò che sta d'intorno al vivente come suo Kilieu. Mentre U1relt, usato in contrapposizione a Kelt, indica il correlato specifico della struttura organica.
177
questa sfera particolarmente evidente: nell'interiorità l'uomo
è duplicità di realtà psichica o anima (Seele) e realizzazione
del vissuto psichico (Erleben); egli è distanza di sé da se
stesso in quanto non solo ha vissuti, ma vive i propri vissuti
rendendosi fenomeno a se stesso.
Il mondo esterno è dato oggettivamente all'uomo in maniera
conforme alle modalità consentitegli dai suoi sensi. Questo
tuttavia non significa che l'uomo viva in un ambiente (Umwelt)
che rappresenta il semplice correlato della sua organizzazione
fisica e che di conseguenza egli sia legato ad esso - ad un
ambiente specifico- come lo è l'animale2o. Ma non è neppure
corretto pensare che l'uomo sia completamente slegato da ogni
ambiente ed abbia un rapporto con il mondo di assoluta apertura
ed indipendenza, come pensano Max Scheler ed Arnold Gehlen 2 1.
L'uomo vive in un continuo intreccio di apertura al mondo
{Weltoffenheit) e di vincoli all'ambiente {Umweltgebundenheit)
e permane nell'antagonismo che in lui si crea tra una guida
istintiva e un guida cosciente nell'adattamento a situazioni
sempre nuove22. Grazie alla propria eccentricità l'uomo vede
«dal di fuori» i propri bisogni e le proprie modalità di
20 A differenza dell'animale che vive in una 01relt, in un ambiente specifico, al quale è adattato e in cui può trovare i aezzi per la propria sopravvivenza, l'uoao è «aperto alla Nelb. Pur riconoscendo che anche Oexkùll aveva «intuito, la diversità sussistente tra la relazione dell'animale e quella dell'uoao all'aabiente (cfr. H. Plessner, Conditio bu1ana in P-GS VIII, col titolo Oie lrage nacb der Conditio hu1ana, pp. 136-217; (trad. it. Conditio buJana, a cura di M. Attardo Magrini, in I Propilei I, Milano, Mondadori, 1967, pp. 23-97, p, 66), nel sottolineare e nell'insistere su questa distinzione, Plessner si allontana da Oexkùll: cfr. Langthaler, Organis1us und 01relt, cit., pp. 237-239. Di Plessner si può vedere, tra gli altri Ober das ielt-O•reltveltverbiltnis des Nenscben (P-GS VIII, pp. 77-87. 21 Cfr. M. Scheler, Oie Stellung des Nenscben il los1os (1928), Gesa11elte Nerke vol. IX, Bern-Mùnchen, 1976 (trad. it. La posizione dell'uo1o nel cos1o, in La posizione dell'uo•o nel cos1o ed altri saggi, a cura di R. Padellaro, Milano, Fabbri, 1970, pp. 153-224), pp. 181 sgg. (in particolare p. 83); di A. Gehlen, Der Kenscb. Seine Katur und seine Stellung in der Nelt (1940), Wiesbaden, Akadeaische Verlagsgesellschaft Athenaion, 1978 (trad. it. Id., L'uo1o, cit., in particolare p. 62 (trad. it.), ove Gehlen si richiaaa espressaaente al concetto di «apertura al aondo, scheleriano. Hel saggio Ober das Nelt-OJreltveltverbiltnis des Nenscben (P-GS VIII), p. 78, Plessner stesso contrappone la propria posizione a quella dei due filosofi. 22 Cfr. H. Plessner, Oeber Oie Yerkorperungsfunktion der Sinne in «Studiua Generale) 6 (1953), pp. 410-416 [ripubblicato nel 1970 coae parte del saggio Antbropologie der Sinne (P-GS III)], p. 412.
178
percezione, e non è strettamente vincolato dal legame ad uno
specifico ambiente naturale appunto perché aperto al mondo, ma
non in maniera assoluta. Mentre l'animale, perfettamente
adattato ad un ambiente selettivo, vive in un rapporto
«circolare» con il suo ambiente - un rapporto equilibrato di
azione e reazione, che gli garantisce adattamento e
sopravvivenza- l'uomo, relativamente debole di istinti e non
specializzato23, è privo di un rapporto armonico con l'ambiente
naturale. Ma l'uomo può trasformare questo suo svantaggio in un
vantaggio: il suo campo d'azione diviene il mondo (Welt), un
ordine aperto di possibilità rispetto al quale egli compie
scelte e fa progetti. Costretto ad una libera progettazione
della propria vita, a guidare passo a passo la propria
esistenza, la naturalità dell'uomo si rivela una forma di
artificialità costitutivamente necessaria al suo modo
d'essere 24 . La vera natura dell'uomo è quindi la cultura- o,
meglio ancora - il suo modo di essere nella natura è
«naturliche Kunstlichkeit» ed il suo mondo esterno è sempre un
insieme di naturale e spirituale. Ciò che esprimono le
espressioni «Versinnlichung des Geiste~> e «Vergeistigung der
Sinne» 25 è proprio questo intrecciarsi di elemento spirituale
ed elemento naturale nel sistema di vita umano. L'uomo vive in
un ambiente, un ambiente culturale, che funge però sempre da
medio per l'apertura al mondo quale insieme di possibilità.
Plessner denomina «vermittelte Unmittelbarkeit» la legge
23 E' la tesi di Herder dell'uo1o «invalido, e tuttavia forte della propria invalidità, a cui si rifà anche Gehlen. Questi ne fa anzi il principio biologico fondaaentale su cui si costruisce la sua teoria dell'azione: cfr. A. Gehlen, L'uo1o, cit., particolar1ente pp. 58-67, e pp. 100 sgg. In Plessner questa teaatica viene sviluppata in particolare nei saggi: Id., Conditio bu1ana (P-GS VIII); Id., Der Kenscb als Leberesen (P-GS, VIII) cit.; Id., Kacbt und 1enscblicbe Katur. lin Yersucb zur Antbropologie der gescbicbtlicben leltansicbt (P-GS V, pp. 135-234). 24 «Egli è per natura non naturalet: H. Plessner, Der Kenscb als Lebevesen (P-GS VIII), p. 314 (trad. it. p. 360). 2s Stufen (P-GS IV), p. 71.
179
antropologica che presiede alla relazione dell'uomo con il
mondo esterno e con l'interiorità: entrambi sono dati
immediatamente alla coscienza, ma nella riflessione che è
propria dell'essere umano, posizionalmente eccentrico, le cose
del mondo esterno, come la sua stessa interiorità, divengono
oggetto di coscienza, divengono quindi mediatamente
coscienti 26 • Su tale mediazione si fonda la possibilità di
mettere in dubbio la realtà del mondo esterno, avvertito
dall'Io come relativamente estraneo, e corrispondentemente la
possibilità del dubbio sulla veridicità dell'Io stesso: l'Io
scopre in sé stesso la possibilità di falsi sentimenti e del
pensiero inautentico, scopre la possibilità di essere altro da
ciò che è, scopre il punto nevralgico della propria !abilità.
Il principio della riflessione si dimostra un principio
positivamente costruttivo e di rafforzamento dell'Io, ma
insieme la causa della sua estrema debolezza.
In quanto Io totalmente riflesso, l'uomo non si trova più
nel «qui ed ora» in cui era posto l'animale, vincolato ad un
ambiente ed alla propria corporeità. In quanto Io, posto
«dietro» se stesso, senza luogo, l'uomo «sorge nel nulla,
nell'in nessun luogo-in nessun tempo spaziotemporale
(raumzeithafeten Nirgendwo-Nirgendwann)»27, «la sua esistenza è
realmente posta nel nulla»2s. L'uomo si vive come «sradicato»,
diviene consapevole della propria nullità (Nichtigkeit) e
correlativamente della nullità del mondo. Insieme alla propria
unicità e a quella del mondo, l'uomo coglie l'essere «causato»
del proprio Dasein e si spinge verso la ricerca, o la speranza,
di un fondamento assoluto, di un Dio. Data la sua peculiare
posizione, definita da Plessner «utopischer Standort», all'uomo
26 lvi, p. 229 e pp. 396 sgg. 27 lvi, p. 364. 28 lvi, p. 365.
180
resta solo il «salto» nella fede. E' allora insita nella sua
specifica forma posizionale la fonte di ogni religione, che
stabilisce per l'uomo un definitivum, ciò che la sua posizione
eccentrica non può offrirgli: un senso della realtà, un ordine
cosmico, un luogo di vita e di morte, una patria.
Infine, alla persona - individualità proiettata oltre sé -
è garantita per ciò stesso la realtà della Mitwelt o «sfera del
puro Wir». Con l'eccentricità è data infatti la condizione
della possibilità dell'altro da sé, la condizione della
possibilità di altre persone, indipendentemente dalla realtà
della loro effettiva esistenza. La sfera intersoggettiva - che
costituisce il fondamento antropologico della comunità (come
possibilità) - è in senso stretto la sfera della relazione
reciproca tra persone, in quanto sfera dello spirito. Lo
spirito non è anima né coscienza, e l'uomo non ha spirito nello
stesso modo in cui ha anima e corpo: egli è anima e corpo e li
vive come realtà; lo spirito costituisce invece «la sfera
esistente e creata con la peculiare forma posizionale e non
stabilisce con ciò alcuna realtà, essa è tuttavia realizzata
nel mondo intersoggettivo anche se esistesse una sola
persona»29. Nella misura in cui partecipa della sfera dello
spirito, l'uomo cessa di essere soggettività, giacché in
riferimento alla sfera spirituale i concetti di soggettivo ed
oggettivo non sono applicabili: «senza riguardo al portatore
dello spirito, la sfera dello spirito, in quanto spirito auto
esprimentesi, si lascia determinare solo come soggettivo
oggettivamente neutrale, cioè come indifferente alla
distinzione di soggetto ed oggetto»lo. Sebbene secondo Plessner
non si possa parlare di «assolutezza» dello spirito, l'uomo,
29 lvi, p. 377. 30 lvi, p. 378-379.
181
grazie alla propria spiritualità, è proiettato al di là della
contrapposizione soggetto-oggetto. Ma l'essere umano non è solo
spirito. Non dobbiamo dimenticare che esso è sempre anche di
fronte al mondo e a se stesso come soggetto ed egoità
riflettente. In ciò consiste il paradosso originario del vivere
umano: «egli sta come soggetto di fronte a sé e al mondo e
contemporaneamente, per questo, è sottratto a tale
contrapposizione»31. Egli è posto nel mondo e di fronte al
mondo, in sé e di fronte a sé, senza che alcuna di queste
determinazioni abbia il sopravvento sulle altre.
31 lvi, p. 379.
182
Parte III
E~.em.e.J!~.Ld_i_c_o.ny~:~~
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Tra filosofia e scienza
Se il problema della validità del sistema meccanicistico
all'inizio del secolo è generalmente sentito e discusso sia in
ambito scientifico che filosofico, è nel campo della biologia
che esso presenta un'intensità del tutto particolarel. Plessner
sostiene che alla base dell'insufficienza dei metodi utilizzati
dalla scienza moderna è anzitutto il presupposto che da secoli
guida l'indagine scientifica nello studio degli oggetti
naturali, presupposto sul quale si modellano gli strumenti
stessi dell'indagine: la distinzione di origine cartesiana di
una res cogitans ed una res extensa. Un ambito fisico,
identificabile con l'estensione e determinabile mediante la
misurazione, viene contrapposto ad una sfera dello psichico o
dello spirituale, talora concepita essa stessa come tale da
essere indagabile con gli strumenti e i metodi della scienza
empirica, talaltra affidata alla speculazione metafisica o
spiritualistica. Esplicitamente o tacitamente accolta, l'idea
di natura che sottende lo sviluppo delle moderne teorie della
realtà organica è fondamentalmente fuorviante: ne risulta un
processo di sostanziale falsificazione della realtà, in cui il
sistema naturale appare sempre più come il prodotto dei metodi
utilizzati2. Il concetto di natura deve ritrovare la propria
unità nella ricomposizione antologica e gnoseologica attraverso
una revisione dei principi di fondazione del sapere intorno
alla natura e una riorganizzazione dei metodi dell'indagine
fisica e biologica. Un simile compito è - secondo Plessner - di
pertinenza specifica della ricerca filosofica.
1 Sulla questione si può vedere E. Ungerer, !ondaJenti teorici delle scienze biologiche, a cura di F. Mondella, Milano, Feltrinelli, 1972. Sulle ripercussioni nell'ambito degli studi biologici della trasfor1azione dei fondatenti della fisica, cfr. ivi, pp. 207-218. 2 Cfr. Stufen (P-GS IV}, p. 83.
184
La filosofia non rappresenta un ambito disciplinare
«chiuso», definito dal dominio dei suoi oggetti e dall'apparato
metodologico al quale essa fa riferimento. A differenza della
ricerca scientifica, che mostra un evidente sviluppo in senso
progressivo sia dal punto di vista storico che da quello
teoretico, la filosofia non può sottrarsi all'indeterminatezza.
La scienza «lascia dietro di sé il proprio passato. Essa non
ritorna su se stessa quando si occupa dei propri problemi. In
ogni disciplina la ricerca si distacca dalla sua storia»3. Non
vale lo stesso per la filosofia: essa, nonostante secoli di
riflessione, si trova ad avere a che fare in ogni tempo con
problemi che si ripresentano sempre di nuovo. I suoi risultati
vengono continuamente rimessi in discussione insieme ai suoi
metodi e al suo stesso campo d'azione. Il tentativo di
omologare la filosofia alle scienze empiriche, di farne cioè
una scienza rigorosa, non può riuscire: la sua scientificità ha
- e deve avere - un significato affatto diverso da quello delle
scienze pragmatiche, per quelle scienze - sia della natura che
dello spirito - che, nonostante i continui contrasti interni,
avanzano sulla via dello sviluppo. Ciò non significa che nei
confronti della filosofia non si possa parlare in alcun senso
di progresso: la sua connessione al sapere scientifico è
inscindibile, poiché essa pone i problemi la cui soluzione è
affidata alla competenza delle scienze. In questo senso anche
la filosofia partecipa di un progresso. Ma essa si muove anche
in un'altra direzione, essendo riflessione sull'originario
(Ursprungliche), sulla totalità dell'essere dell'uomo e della
vita 4 • La filosofia pone l'uomo di fronte all'«enigma», un
genere di questione sostanzialmente differente dal problema
3 Gibt es einen lortscbritt in der Pbilosopbie? (P-GS IX, pp. 169-191), p. 174. • Cfr. ivi, pp. 185 sgg.
185
scientifico inerente qualcosa che non si conosce o non si
conosce ancora 5 • Un enigma concerne un «saputo»; esso è
polivalente, può essere «indovinato», ma la risposta ad esso
non è mai una vera «soluzione»: «la soluzione resta questione,
essa non si distacca da se stessa»6.
La filosofia si distingue così per essenza dalle scienze
della natura come dalle scienze dello spirito. Sostenere che
essa è fondamentalmente priva di un campo determinato di
oggetti sui quali compiere indagini significa propriamente
riconoscere che ogni giudizio sull'appartenenza di un oggetto
al suo ambito è già, esso stesso, un giudizio filosofico. Ad
ogni suo passo la filosofia coinvolge se stessa per intero e
ogni domanda sul suo oggetto è una domanda sulla sua essenza 7 •
Una risposta univoca resta però indecidibile giacché l'istanza
filosofica appartiene all'essenza stessa dell'uomo e il suo
inevitabile ripresentarsi è legato al rinnovamento continuo del
Dasein umano. Questo il limite essenziale della filosofia,
indice insieme della sua universalità. Nei confronti dello
scienziato, la filosofia - unità originaria delle forme del
sapere - ha lo specifico compito di indicare i limiti che sono
necessariamente imposti al Dasein umano in una determinata
situazione. Domandare è compito specifico del filosofo, non
dello scienziato&; al filosofo spetta criticare e porre in
rilievo il valore ultimo del lavoro scientifico, il suo
significato per la vita e per l'uomo. E' in questo senso che
una revisione delle scienze·è compito precipuo della filosofia.
L'interesse di Weizsacker per la filosofia è precoce e
costante; la riflessione filosofica attraversa la sua vita
s iv i, p. 183. ' iv i, p. 184. 7 Cfr. Die !rage nacb de1 Keseo der Pbilosopbie {P-GS Il, pp. 96-121), pp. 103 sgg. 8 Cfr. Das Proble1 der Katur io der gegenvirtigeo Philosopbie (P-GS Il, pp. 56-72), p. 57.
186
accompagnando ad ogni passo il suo lavoro di scienziato. La
scienza non può e comunque non deve darsi senza filosofia, ma
la posizione di Weizsacker è piuttosto diversa da quella di
Plessner: la filosofia rappresenta uno strumento
indispensabile, e tuttavia non indipendente dalla ricerca
scientifica. Non si può essere solo scienziati - tanto meno
solo tecnici della scienza - per non smarrire il senso del
tutto ed il significato del proprio operato, ma la filosofia
«non può costituirsi-come sospesa nell'aria sopra o accanto
alla ricerca scientifica»; essa si dà nel vincolo alla
concretezza dell'agire scientifico: «si tratta del legame
all'esperienza sensibile e alla verifica sperimentale e dunque
[ ... ]del legame morale della filosofia alla scienza
naturale» 9 • Non che la filosofia abbia bisogno di una «verifica
empirica» o di costituirsi come «empiricamente fondata»; non è
questo il senso di quel «legame morale» che l'unisce alla
scienza. Esso esprime la necessità dell'aderenza del sapere
filosofico ad un reale che - diversamente dalla concezione
kantianalo e similmente a Plessner - «si dà» pienamente e
autenticamente nell'esperienza sensibile.
Pensare ed esperire, pensare ed agire sono reciprocamente
connessi nell'interazione con il mondo materiale in un senso
molto vicino a quello indicato dal pragmatismo: il mondo - di
per sé preesistente all'attività conoscitiva come «massa
informe» - viene plasmata come «mondo del senso e dei fatti»
dal processo dinamico e non scomponibile della progettazione
azione-sensazione-osservazione innescato dall'uomo 11 • La radice
' Katur und Oeist (W-GS I), p. 19. 1o Cfr. ivi, p. 18. 11 Cfr. D. Wyss, Viktor von Keizslckers Stellung in Pbilosopbie und Antbropologie der Keuzeit, cit., che si attiene alla definizione del pragmatisao offerta da M. Scbeler in lrkenntnis und Arbeit (ivi, p. 186). Egli trova giustificata l'interpretazione di buona parte degli studiosi del pensiero di Weizsicker che individuano nella sua teoria un fondatento prag1atico.
187
del concetto di Es-bildung di Weizsacker12 può certamente
essere individuata in una simile concezione, come vi si può
trovare quella del principio stesso del Gestaltkreis, essendo
per il pragmatismo ogni percezione sensibile già una precisa
azione pratico-motoria. Ma se si può dire che alcune idee di
Weizsacker vengono anticipate dalla concezione pragmatista, gli
esiti del suo pensiero se ne distanziano sensibilmente. I nodi
principali della sua visione del reale non intendono offrire
una Weltbild, un'immagine del mondo che solo potrebbe
schiacciare la dinamica dell'accadere su di una visione
schematica e parziale delle cose. Dinanzi, ad esempio, alla
distinzione di corpo ed anima chiunque si prefigga lo scopo di
una rappresentazione del mondo come Weltbild si troverà a porsi
la questione della realtà (sostanziale o antologica) di tale
distinzione oppure del suo statuto cognitivo-razionale. «La mia
risposta (ad esempio nella mia teoria della Es-Bildung) è: il
reale e la relazione con esso accadono d'un colpo» 13 . Non si
tratta di una vera «risposta» - di una risposta alla questione
-, ma di una «presa di posizione» nei confronti dell'accadere
(das Geschehen). Non una «spiegazione» coglie il reale come un
tutto, ma un «punto di vista» che si pone al di là delle
possibili e plausibili spiegazioni. Potremmo vedere
nell'atteggiamento di Weizsacker il tentativo di uno
spostamento dei termini della questione: esso comporta che al
posto di una Welt si consideri un sistema di modalità di
interrelazione e anziché una Anschauung s'intenda elaborare una
«concezione»: «al posto di Weltbild possiamo ora parlare di
Verhaltnislehre»14. I capisaldi teorici della nuova forma di
considerazione del reale si lasciano riassumere in quattro
12 Si veda, di Weizsacker, Anony1a (W-GS VII, pp. 43-89), p. 59. 13 Id., Patbosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1967 2, p. 176. 14 ivi, p. 174.
188
punti: essa è simbolica, oppositiva (soggetta al principio di
reciprocità), è caratterizzata dalla necessità della scelta ed
è patica; essa presuppone che in ogni conoscenza di verità
s'insinui sempre anche un non-sapere (Nichtwissen). Il
simbolismo, la preferenza accordata a ciò che semplicemente
«indica» esprime la tendenza a considerare il «racconto» come
più appropriato dell'«analisi» nella determinazione della
realtà; l'oppositività o contraddittorietà rimanda alla
dialettica antilogica dell'essere e del conoscere;
l'inevitabilità della scelta- che si pone con la possibilità
stessa dell'«altro» - richiama ad un coinvolgimento e ad una
responsabilità non solo morale, ma antico-gnoseologica; il
patico definisce la modalità delle relazioni al reale e
sottolinea la sua indefinibilità con un riferimento esclusivo
all'antico.
Il rapporto tra filosofia e scienza non si «rinchiude» in
tal modo in una nuova visione scientifica del mondo: fare
scienza con una consapevolezza filosofica permette di tenere
conto del valore estrinseco oltre che di quello intrinseco di
un costrutto scientifico, consente di vedere la sua limitatezza
e superabilità: «si può dunque delineare una nuova visione del
mondo, ma non senza procurare una rottura nell'immagine o nel
pensiero, e per indicare la rottura si deve rompere la
rottura»ls.
Un cambiamento prospettico nel pensiero weizsackeriano,
frutto di una graduale evoluzione scientifico-filosofica, è
particolarmente evidente nel progressivo passaggio dal
tentativo di definire concettualmente l'idea di natura al
rafforzamento del suo interesse verso il problema della vita.
Negli scritti giovanili lo sforzo filosofico di raggiungere una
15 ivi, p. 177.
189
definizione del concetto di natura corrispondente alle esigenze
dello studio biologico si accompagna ad un deciso rifiuto del
meccanicismo: «già da studente ero convinto che la vittoria sul
giogo del meccanicismo dovesse essere cercata non in una
costruzione filosofica affiancata o edificata sopra alla
ricerca scientifica, ma attraverso la trasformazione della
ricerca stessa» 16 • In un saggio comparso nel 1911 sulla rivista
«Logos» 17 la ricerca del concetto di natura si muove lungo il
percorso che dalla filosofia kantiana porta verso una
ricomprensione del pensiero di Schelling e di Hegel -
conformemente alle tendenze accademiche dell'ambiente
universitario da lui frequentatola. La concezione di H. Driesch
viene analizzata da Weizsacker alla luce di questa impostazione
e valutata come sostanzialmente incapace di allontanarsi da una
teoria categoriale dell'organico per accogliere quanto aveva
saputo offrire la corrente idealistica: una concezione
sistematica della natura organica. Il fine che Weizsacker si
prefigge nel saggio pubblicato nel 1917 sulla medesima
rivista1 9 è invece quello di collocare il concetto di natura
meccanicistico in una concezione sistematica superiore della
realtà organica, ponendosi ora dal punto di vista della
scienza. La filosofia speculativa ha saputo inserire il
concetto di organismo e di vita in un «sistema naturale» grazie
all'universalità concettuale; essa porta verso l'accordo e la
composizione armonica delle varie scienze - in particolare la
matematica e la biologia che parevano nettamente separate. - e
ne stabilisce la relazione organica con la filosofia. Guardando
non tanto ai risultati sistematici specifici proposti dagli
16 Katur und Oeist (W-GS I), p. 117. 17 Si tratta dell'articolo KeovitalisJus, cit. 1a Cfr. Katur und Oeist (V-GS I), pp. 20-33. 19 Cfr. Kritiscber und spekulativer Katurbegriff, «Logos, VI (1916-17), pp. 185-209.
190
esponenti del pensiero idealistico, ma al loro principio di
connessione concettuale si deve riconoscere che la filosofia
speculativa «solleva il problema del rapporto tra differenti
sfere della natura, delle singole discipline della scienza
naturale, più profondamente ed energicamente di quanto sin'ora
fosse mai stato fatto», poiché «la determinazione del concetto
di natura è transnaturale e in quanto tale un compito
rigorosamente separato dalla scienza naturale. Nella
Naturphilosophie la natura non appare come un grande individuo
privo di coscienza, ma come realtà divenuta concetto»2o.
Il mantenimento della validità di una molteplicità di
metodi e principi - incluso quello meccanicistico, anche se nel
contesto di una visione speculativa del reale - aveva allora un
senso che divenne chiaro a Weizsacker solo più tardi: cogliere
la realtà «antilogica» dell'uomo e dell'organico. Causalità e
teleologia si compongono in un gioco di alternanza di fronte al
quale ci si trova costretti ad optare per l'uno o per l'altro:
«cercai di cogliere questo «o-o» come un «sia-sia» - afferma
Weizsacker in una considerazione retrospettiva-: l'antinomia
non doveva essere concepita come una deplorevole limitazione,
ma ottimisticamente come dotazione positiva» 21. Lo sviluppo del
suo pensiero resterà fedele all'idea propugnata sin dall'età
giovanile. Egli stesso dirà infatti: «alla realizzazione
sistematica del programma di una Naturphilosophie che unifichi
il concetto di natura critico con quello speculativo sono
rimasto sin'ora quanto meno debitore»22. Lo spostamento
progressivo della sua attenzione sulle caratteristiche della
vita e l'opposizione sempre più marcata verso ogni concezione
categoriale che ne imbriglia il senso concorrono ad accentuare
20 ivi, p. 209. 21 Katur und Geist (W-GS I), p. 117. Il saggio è del 195(. 22 Ibid.
191
l'aspetto contraddittorio- antilogico- del reale e conducono
infine Weizsacker alla sua nota posizione «patosofica»: «poiché
ora sappiamo che non si può stabilire una distinzione di
principio tra vivente e non vivente e che sensatamente un
limite tra vita e morte non può essere scientificamente
appreso, capiamo anche meglio cosa significhi che la vita è
propriamente una continua morte, sacrificio e trasformazione
per una nuova vita. [ ... ] Il senso della vita non si può dunque
direttamente asserire, lo si può solo evidentemente esperire e
patire»23.
Antilogica e dialettica
Nel saggio intitolato Das Antilogische pubblicato nel 1950
si legge: «chiamo antilogica la gaia libertà della vita di
usare la ragione solo nella misura in cui è ragionevole farlo,
per il resto di gettarla dalla finestra»24. La vita si regola
sulla variabilità repentina dei mezzi e dei modi disponibili
per l'ottenimento dei propri fini: essa non è perciò «in sé»
contraddittoria; la contraddizione come tale appartiene alla
logica, a quel sistema di ordinamento del reale che ha eletto
il principio di non contraddizione a suo cardine e bandito la
contraddizione - che in questo senso si può dire una sua
«invenzione» - dal proprio modello di spiegazione del reale.
La riflessione sul «contrasto» nella vita - tra ragione e
passione, tra razionale e spirituale o nell'ambito
dell'esperienza stessa- rappresenta probabilmente il filo
23 Der Begri/1 des Lebens (W-GS VII, pp. 29-40), p. 40 (trad. it. Il concetto di vita, in Id., filosofia della 1edicina, a cura di Th. Henkel1ann, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 145-154), p. 154, trad. it. IOd. 24 Das Antilogiscbe 1950 (W-GS VII), p. 317.
192
conduttore più appropriato nell'analisi dell'evoluzione del
pensiero di Weizsacker. In essa risalta il valore essenziale
del principio antilogico, il senso dialettico del divenire
della vita. Weizsacker non usa però volentieri il termine
«dialettico». Gli preferisce l'altro, «antilogico», sicuramente
più comprensivo e libero dal gravame storico-filosofico che
porta con sé il primo. L'antilogica ha tuttavia nella
dialettica la propria radice, come il pensiero patosofico ha la
propria nella filosofia speculativa. Ad Hegel viene
riconosciuto appieno il merito di aver saputo cogliere «la
natura dialettica della vita», la filosofia dialettica «si
avvicina al fondamento della biologia»; tuttavia «il sistema di
Hegel che con questo riconoscimento supera cosi bene la
filosofia critica, viola i limiti della filosofia cercando di
entrare nel campo della vita stessa. Ma la vita non è
dialettica, bensl antilogica; essa non contraddice se stessa,
ma la logica»2s. La filosofia- intesa come «visione del mondo»
- non può - come già sappiamo - offrire una rappresentazione
adeguata della natura antilogica del reale. Non è la
sostituzione di un Weltbild ad un'altro ad essere in gioco, non
l'assegnazione di un ordine al reale mediante la comprensione
delle modalità del divenire, ma il riconoscimento della sua
sostanziale impossibilità - che tuttavia non va inteso come
rassegnazione alla rinuncia.
L'antilogica definisce anzitutto il reale come non
sistematizzabile. Essa è anti-logica non perché «contro», ma
perché «oltre» la logica; essa consente la ricomprensione in un
quadro più ampio del valore della logica stessa. L'opposizione
alla quale pensa Weizsacker non si può «ingabbiare» in un
sistema, duale o triadico, in cui se ne proponga una
25 Begegnungen und Entscbeidungen (W-GS I), p. 369.
193
«risoluzione»: ogni «passaggio» antilogico rappresenta un
«salto», un momento di discontinuità; ogni «posizione» - ogni
«verità» - apre un baratro - implica un non-sapere. Esso si
presenta col carattere dell'imprevedibilità. Diversamente dal
significato globalmente sistematico che si può assegnare al
processo dialettico della realtà organica in Plessner,
l'antilogica del vitale nel pensiero di Weizsacker- al quale
lo stesso termine «processo» risulta applicabile solo
limitatamente - riconosce il proprio fondamento
nell'indeterminabilità della scelta - intenzionale, ma non
necessariamente volontaria. L'antilogica ha il significato
della possibilità sempre aperta della posizione dell'«altro».
Qui si trova la base di ogni antropologia e della concezione
dell'organico in generale.
Il primo luogo in cui viene constatata la modalità
antilogica delle relazioni organiche è per Weizsacker l'ambito
neurofisiologico. Abbiamo già visto come mediante l'analisi di
alcuni fenomeni di illusione sensoria Weizsacker abbia potuto
mettere in evidenza l'esistenza di particolari relazioni,
aventi una loro regolarità, tra percezioni «giuste» e
percezioni «errate»26. In ambito fisiologico il verificarsi di
fenomeni illusori veniva generalmente imputato
all'insufficienza delle capacità percettive degli organi di
senso e comunque considerati fenomeni puramente soggettivi
contrastanti con una realtà oggettiva e «vera», e pertanto
considerati fenomeni ingannevoli e «falsi», privi di valore di
verità. Partendo dal presupposto che il senso della percezione
non è quello di uno strumento di verifica di concetti e leggi
razionali e che il suo valore di verità non è subordinato
all'esistenza di un «essere che è» prima e indipendentemente da
26 Si veda nella parte I di questo lavoro il paragrafo «l'attività dei sensi).
194
essa, ma la percezione stessa offre «il vero» secondo le sue
proprie modalità, Weizsacker riesce a spiegare quando e perché
si verificano percezioni illusorie, trovando proprio nel loro
manifestarsi il principio fondamentale dell'attività biologica:
il «principio dell'antilogica»27. Il significato del principio
antilogico si amplia con l'estendersi della sua portata
antologica e da legge fisiologica diviene principio
fondamentale dell'essere vivente. Un primo saggio dell'ampio
valore che il principio viene ad assumere si ha nel saggio Das
Antilogische del 1923. In esso Weizsacker analizza alcuni
tentativi filosofici e scientifici di negazione o
relativizzazione dell'antilogicità della conoscenza e
dell'essere stesso delle cose mostrandone l'insufficienza e
sostenendo quindi l'inevitabilità del suo riconoscimento. Il
principio antilogico, posto in relazione alla storicità del
vivente e all'individualità personale si dimostrerà il
principio più fondamentale di ogni concezione antropologica e
biologica. A partire dal primo dopoguerra, ma soprattutto col
secondo, l'interesse di Weizsacker per il significato
spirituale e religioso della vita nel rapporto con le
concezioni teoriche e con l'attività pratica dello scienziato
si intensifica progressivamente e con esso il senso del
contrasto nella vita assume toni sempre più drammatici ed una
coloritura sempre più marcatamente «patosofica» 28 •
Se l'uomo di Weizsacker vive la propria natura all'insegna
della contraddizione, non meno «contrastato» è l'uomo di
Plessner, condannato alla riflessione su di sé e alla
21 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 109. 2a Per l'orientamento che assuaerà il pensiero di Weizsacker sono senz'altro determinanti gli incontri con alcuni iaportanti rappresentanti della cultura contemporanea (tra gli altri Barth, Guardini, Buber, Scheler), ai quali lo scritto autobiografico Begegouogeo uod lotscbeiduogeo è dedicato: cfr. W-GS I. Emblematico di tale orienta1ento è è il saggio Al Aofaog scbuf Gott HiJJel uod Erde. Gruodfrageo der Katurpbilosopbie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954.
195
consapevolezza del proprio essere «esposto» al mondo.
Posizionalmente eccentrico, l'uomo si trova in relazione a se
stesso e al mondo esterno in una forma strutturalmente
dialettica2 9 che lo rende protagonista di un'esistenza
enigmatica e indeterminata. Capace di osservarsi «da dietro»,
collocato nel «punto di fuga» della propria interiorità, l'uomo
sperimenta su se stesso il gravoso peso della libertà di
progettazione alla quale lo costringe la necessità della
scelta. Contemporaneamente soggetto ed oggetto della propria
vita, e insieme posto oltre questa stessa contrapposizione,
l'uomo costruisce se stesso passo a passo sospeso sul baratro
dello hiatus caratteristico della sua eccentricità. Egli è
altrettanto presente a se stesso quanto infinitamente lontano
da sé e vive in una duplicità assolutamente irriducibile
esprimibile solo mediante coppie di concetti oppostilo. Ogni
determinazione dell'essere umano appare necessariamente
insufficiente: essa trapassa puntualmente nel suo opposto
originando un'unità in cui la dinamica della contrapposizione
non cede mai il posto all'identità.
La forma dialettica della relazione sussistente tra le
suddette determinazioni - non rilevata dalla critica se non in
maniera molto marginale31 - non costituisce che il culmine di
un processo deduttivo il cui meccanismo di sviluppo si è
2t Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 372. 3° Cfr. F. Rodi, Conditio bu1aoa. lu deo Oleicbnaligeo Scbrift von 8el1utb Pleaaner und zur leuauflage seines Bucbea 'Oie Stufen dea Organischen und der lenacb~ czeitschrift fur philosophische Forschung, 19 (1965), pp. 703-711, p. 711. 31 Cfr. W. H. Pleger, Katur und Jenscblicbe Katur. Ueberlegungen zu einer dialektiscben Antbropologie, in Pbiloaopbiscbe lede vo1 Kenacbeo: Studien zur Antbropologie 8el1utb Plessners, a cura di B. Delfgaauw, Frantfurt a. M., Lang, 1986, pp. 17-25, pp. 24-25; H.D. Ase1issen, 8el1utb, Plesaner: Oie lxzentriacbe Position dea Kenacben, in Pbiloaopbie der Gegenrart II, a cura di J. Spect, Gottingen, Vandenhoect & Ruprecht, 1981, pp. 146-180, p. 166; A. Sarcevic, Grundlinien der pbilosopbiacben Antbropologie 8. Plesaner. Oie exzentriscbe Poaition des Kenacben, cSynthesis Philosophica) 1-2 (1986), pp. 111-124, pp. 114 sgg.; aentre aaggiore rilievo alla dialettica è dato nel saggio di H.H. Holz, Hel1utb Pleaaner und das Proble1 der Katur, cit.
196
innescato con l'introduzione del principio posizionale stesso.
Dialettica non è solamente la struttura essenziale dell'essere
umano e del corpo organico in quanto tale, dialettico è il
principio metodologico stesso della deduzione dei modali
organici. Abbiamo già visto che alla base del concetto di
posizionalità è la formulazione del principio di «relazione al
limite»: è qui l'origine di quella dinamica relazionale che
accompagnerà il concetto di posizionalità in ogni sua
realizzazione modale. L'idea di «limite di un corpo» può avere
- dal punto di vista logico - due sole accezioni: o il limite è
limite solo virtuale del corpo, ed il corpo ha nel limite
esclusivamente il punto di inizio o di fine rispetto a ciò che
gli è adiacente (come accade per ogni corpo fisico in quanto
tale); oppure il limite appartiene realmente al corpo come
«limite proprio». In tale caso - il caso dell'organismo vivente
- il corpo risulta essere «uber ihm hinaus» e
contemporaneamente «ihm entgegen»32. Il concetto di
«posizionalità» non esprime altro che questa forma
essenzialmente dialettica della struttura organica. Il vivente
è tale in virtù di una continua dinamica di mediazione: in ogni
aspetto del suo essere - come sistema in sé organizzato e come
processo vitale- l'organismo è, per essenza, unità di momenti
contrapposti. La sua vitalità si manifesta nella forma di un
perpetuo divenire del suo essere «ciò che non è» pur restando
«ciò che esso è».
Oltre che distintiva del modo d'essere dell'individualità
vivente, la dinamica dialettica fornisce il meccanismo di
passaggio da un grado all'altro del mondo organico. La
differenza tra i vari gradi organici (vegetale, animale, umano)
non ha affatto un valore puramente classificatorio, ma
32 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 151 e sgg.
197
distingue la profondità raggiunta dallo sviluppo posizionale
nel dare origine a diverse forme di differenziazione e coesione
interiore dell'organico, di autonomizzazione rispetto
all'ambiente e di distanziamento dal proprio sé. I vari gradi
dell'unica «scala posizionale», ordinati secondo uno sviluppo
progressivo, si costituiscono in un'autentica gerarchia
sistematica.
La teoria aprioristica dei modali organici nel suo
complesso risulta avere - secondo lo stesso Plessner - «più
affinità con una dialettica che con una fenomenologia. Essa
parte da uno stato di cose fondamentale, la cui realtà essa
tratta in modo puramente ipotetico, e, passo a passo, ottiene
una determinazione dall'altra. Le determinazioni essenziali
sorgono l'una dall'altra, si dispongono per gradi, si rivelano
come una grandiosa connessione, che viene ricompresa come
manifestazione dello stato di cose fondamentale» 33 •
L'individuazione dei caratteri d'essenza di ciascun grado
posizionale porta inevitabilmente con sé la determinazione di
ciò che quel grado «non è»: e precisamente in questo «non
essere» si trova la possibilità del grado successivo. Il
passaggio da una forma all'altra dell'essere organico appare
cosi guidato da un principio che - con un'espressione hegeliana
- potremmo dire «della negazione determinata» 34 • Se ne può
avere una dimostrazione nella descrizione del passaggio dal
grado posizionale animale a.quello umano: caratterizzata la
forma posizionale animale come centrica (guidata cioè da un
centro costituitosi nella parziale riflessione del sistema
vivente, di cui era priva la forma «aperta»), Plessner precisa
33 Stufen (P·GS IV), p. 167. 34 B.B. Bolz usa questa stessa espressione appunto per indicare il tipo di relazione sussistente tra i vari gradi posizionali: criefer in die Dialektik fuhrt hinein, da~ jede der Stufen die "besti11te Hegation" der vorhergehenden darstellt, nicht einfach etwas beliebig anderes,: Id., BelJutb Plessner und das ProbleJ der Katur, cit., pp. 46-47.
198
che proprio a causa di questa centricità al soggetto animale è
preclusa la coscienza piena delle proprie esperienze essendo
«il corpo nel suo complesso non ancora pervenuto a riflessione
totale» e prosegue: «non ancora, vale a dire che è pensabile
un'elevazione che innalzi il corpo vivente ad un grado
posizionale superiore, oltre il grado animale, secondo la
medesima legge che determina la distinzione di grado tra
animali e piante» 3 s. Nella progressiva riflessione del sistema
vivente il grado posizìonale antecedente ha in sé il proprio
negatìvo 3 6 come possibilità d'essere del successivo, e
quest'ultimo include in sé il precedente come superato: «per
questa legge, secondo la quale dal momento del grado inferiore,
colto come principio, risulta il grado superiore e
contemporaneamente in esso compare (resta «mantenuto»), si
lascia pensare un'essenza la cui organizzazione è costituita in
ragione del momento posìzionale dell'anìmale» 37 • L'uomo è
eccentrico in virtù del fatto dì essere anzitutto centrico. Il
passaggio alla nuova forma posìzionale si mostra come il
compimento (Vollzug) del principio costitutivo nel momento
posizionale in cui la mediazione determinata dal grado
precedente si «risolve».
Ma come va considerato il principio posìzìonale nel
contesto del sistema plessnerìano? Se esso rappresenta il
principio costitutivo dell'essenza organica, se è suo principio
antologico, deve anche darsi un «essere» (la Natura, la Vita,
l'Organico) che si autosviluppa originando un'autentica
Naturgeschichte. In questo caso lo sviluppo posizìonale non
ls Stufen (P·GS IV), pp. 360-361. 36 Per il concetto di negativo in Hegel, cfr. Id., Kissenschaft der Logik, trad. it. Id., Scienza della logica, a cura di A. Noni, Bari, Laterza, 1981, p. 36 e p. 106; Id., lnzyklopidie der pbilosophiscbeo Kisseoschafteo il Grundrisse, trad. it. Id., Enciclopedia delle scienze filosofiche, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1980, J 120. 37 Stufen (P·GS IV), p. 362.
199
offrirebbe una semplice descrizione «esterna» all'essenza dei
gradi dell'organico e alla loro connessione, ma s'imporrebbe
come principio di una realtà essa stessa dialettica. In queta
direzione procede l'interpretazione -molto «hegeliana»- di
H.H. Holz, che ritiene possibile considerare la filosofia
naturale di Plessner come una sistematizzazione dello sviluppo
logico-dialettico del reale in cui la determinazione
aprioristica delle forme del vivente rappresenta «la forma
concettuale della natura», la sua logicità. Egli non esita a
paragonare i gradi dell'organico di Plessner con i livelli
dello sviluppo dello Spirito in Hegel: «dialettico è perciò il
metodo di sviluppo della determinazione delle forme
dell'organico l'una dall'altra in una graduazione il cui
livello di realizzazione di volta in volta nuovo - forma
aperta, chiusa, eccentrica - ha il valore di un salto
qualitativo proveniente dal precedente. Il parallelismo formale
dei gradi con la fenomenologia dello Spirito - coscienza,
autocoscienza, spirito - è evidente»3s. Il principio dialettico
in Plessner «non ha semplicemente il significato della regola o
dello schema di una forma processuale empirica della
Naturgeschichte. Essa fornisce piuttosto il principio
costitutivo di questa forma processuale che si può raggiungere
a partire costituzione materiale elementare dell'essere» 39 .
Dobbiamo con ciò pensare ad una coincidenza delle strutture
logico-razionali con il reale stesso? Holz, che sembrerebbe
portare l'interpretazione di Plessner in questa direzione,
osserva tuttavia che lo sviluppo per gradi posizionali è, si,
razionalmente ricostruibile, ma conserva una componente
contingenziale•o. E' probabile che il riconoscimento di un
38 H.H. Holz, HelJutb Plessner und das Proble1 der Katur, cit., p. 46. 39 ivi, p. 47. 40 Questa la frase di Holz: «Die apriorische Bestiaatheit der Begrenzten [ ... ] manifestiert sich als
200
aspetto contingente - in netto contrasto con la necessità del
procedere logico-dialettico - si riferisca al fatto che
Plessner, in ultima istanza, affida alla ricerca scientifica la
certificazione del sistema dei modali organici41. Il principio
posizionale è infatti condizione di possibilità
dell'esperienza, ma non anche condizione della sua esistenza.
La coincidenza di reale e strutture razionali non sembra dunque
sostenibile: per il rifiuto di Plessner di assumere un
presupposto idealistico e perché in tal caso non vi sarebbe
ragione di affidare all'esperienza l'ultima parola sulla
veridicità della deduzione dei caratteri d'essenza.
La «dialettica della natura» in Plessner rappresenta un
processo infinito nella struttura, ma limitato
nell'applicazione. Essa riguarda esclusivamente la natura
organica, non l'intera realtà fisica; il suo limite coincide
con quello del concetto di posizionalità, che non riguarda la
realtà inorganica. Essa rappresenta tuttavia un processo
infinito poiché nel massimo grado di realizzazione posizionale,
alla totale riflessione raggiunta dal sistema vivente
corrisponde la possibilità della riflessività infinita dell'Io
autocosciente. L'infinitezza della riflessione pensante non è
il prodotto dell'autosviluppo di un principio soggettivo o
ideale e lo sviluppo dialettico della posizionalità non è di
fatto una dialettica dell'assoluto. Si potrebbe piuttosto
definirla una «dialettica del concreto», concepita da Plessner
come spontanea mediazione della realtà materiale organica, di
cui la soggettività è il prodotto, anziché il fondamento.
In essa la riflessione, celata sotto le neutrali sembianza
rational rekostruiebarer, wenn auch kontingenter Entfaltungsproze» der Seinsforten (Stufen) der Hatur, (ivi, p. 46). 41 Si veda F. Ha11er, Die ezzentriscbe Position des Nenscben, cit., p. 116; sul valore ipotetico della deduzione, cfr. Stufen (P-GS IV), p. 156.
201
della mediazione (Vermittlung), accompagna tuttavia sin da
principio la deduzione posizionale. Il principio della
riflessione non differisce strutturalmente in nulla da quel
principio della semplice mediazione che consente la definizione
del concetto di corpo organico. Il termine Reflexivitat
sostituisce quello di Vermittlung al momento della comparsa
dell'interiorità cosciente; esso non ha il significato
esclusivo di «riflessione pensante» poiché non designa solo
l'attività del soggetto cosciente, ma anzitutto il processo
stesso che conduce al sorgere dell'interiorità. In fondo la
riflessività è - certo - prerogativa del soggetto, ma la
soggettività non è caratteristica esclusiva dell'organismo
pensante. Il concetto di soggetto, il cui significato non è
affatto univoco, si determina come caratteristica
dell'organismo- con i suoi attributi corrispondenti ai diversi
gradi dell'organico- proprio attraverso la dialettica
«materiale» determinata dalla dinamica biologico-posizionale. E
forse proprio per non confondere la dinamica posizionale con
una dialettica di tipo idealistico, Plessner per esprimere il
rapporto di mediazione ricorre al semplice pronome ihm - quando
la sintassi lo permetta - piuttosto che al più impegnativo
riflessivo sich: il corpo vivente è caratterizzato come uber
ihm hinaus ed ihm entgegen, è definito come sistema in
relazione zu ihm o posto in ihm. Ma la «neutralità»
grammaticale perde la propria ragion d'essere non appena lo
sviluppo posizionale approda al livello di costituzione
dell'individualità cosciente, al livello in cui si origina un
vero e proprio Sich organico: il vivente è allora in sich ed
aupen sich, in relazione zu sich, fino a divenire sich selbst
als Sich gegeben nella distanza riflessa sul proprio corpo e
sul proprio sé.
202
Un'ultima osservazione sul tratto forse più caratteristico
della dialettica plessneriana, tratto che la distingue dai
modelli dialettici noti: il momento della scissione, della
contrapposizione di poli opposti, predomina nettamente su
quello della loro riunificazione sintetica. Naturalmente il
momento sintetico è necessario logicamente allo sviluppo
dialettico, poiché in esso la dinamica processuale ha il suo
momento propulsivo, la condizione della sua possibilità. Ma
nello sviluppo posizionale concepito da Plessner il momento
sintetico passa - per cosi dire - in secondo piano. Già Hegel
aveva dato forte rilievo all'elemento logico della «rottura»
nella rappresentazione del reale, e lo stesso Plessner lo
riconosce42. A differenza del sistema schellingiano, in cui il
principio unitario si trova a monte di ogni opposizione, mai
realmente evaso da una differenziazione polare solo
quantitativa, nel modello hegeliano la dinamica dialettica
determina opposizioni qualitative. Esso offre, però, un sistema
di continua riconciliazione delle differenze, un modello di
intrasgredibile ricomposizione del contrasto, un sistema in cui
giudizio e speculazione, altrettanto necessari, accampano i
medesimi diritti. Instabilità e stabilità, opposizione ed
unità, in ogni piano dell'essere, si pongono e presuppongono
vicendevolmente in un armonico equilibrio. Diversamente, la
dinamica della dialettica posizionale di Plessner determina un
approfondimento sempre più marcato del momento di frattura tra
determinazioni opposte: la funzione assegnata al fattore hiatus
è affatto preponderante. L'organismo è unità organizzata e
sistema armonicamente equipotenziale, equilibrio di differenza
e sintesi, ma soprattutto nel rispetto funzionale.
Strutturalmente appare invece determinante il motivo della
42 Stufen (P-GS IV), pp. 207-208.
203
scissione che il concetto stesso di posizionalità porta con sé.
E ciò appare evidente sul piano dello sviluppo in gradi:
ciascuno di essi rappresenta rispetto al precedente non un
momento di maggiore perfezione antologica o assiologica, ma un
livello di maggiore profondità della «distanza» da sé e
dall'ambiente. Non si tratta tuttavia di un processo che tende
alla frantumazione dell'individualità, alla dissoluzione
dell'essere: all'opposto l'essere naturale si costituisce, o
autocostituisce, proprio nell'irriducibilità dei momenti
opposti, nell'insolubilità di quel contrasto tra determinazioni
che nel rispetto fenomenico si traduce nella duplicità
d'aspetto. Al culmine di tale processo non troviamo l'armonico
ricongiungimento della spiritualità con la propria assolutezza,
ma la disarmonica conflittualità dell'Io, massimamente distante
da sé e consapevole della propria origine posta nel nulla, che
costantemente mette a rischio l'integrità del soggetto
riflettente. E nell'incolmabilità di questo conflitto- in cui
echeggiano noti motivi poetico-letterari, primo tra tutti
quello dell'inquietudine43 - il processo posizionale trova
l'ultimo dei suoi gradi di sviluppo, l'infinità delle sue
possibilità e contemporaneamente la conclusione della sua
ascesa.
43 R. Troncon conduce una lettura originale del pensiero di Plessner nell'ottica di una confluenza di motivi caratteristici della filosofia dell'inquietudine, sviluppatasi in rapporto al aondo artistico e letterario, nell'antropologia del novecento: cfr. Id., Studi di 1ntropologia filosofica, cit ..
204
Il valore dei sensi
La necessità di una rivalutazione del ruolo ricoperto dalla
sensibilità nell'ambito del processo conoscitivo umano viene
energicamente rivendicata sia da Weizsacker sia da Plessner e
per l'uno come per l'altro il compito di una dimostrazione del
valore essenziale della sfera del sensibile si inserisce nel
quadro dello sviluppo programmatico di una ridefinizione del
sistema delle leggi dell'organico e degli strumenti
metodologici adatti al suo studio.
Il «progetto antropologico» perseguito da Plessner, pur
nelle modificazioni talora sostanziali subite negli anni, si
prefigge lo scopo di fondare su basi sistematiche una teoria
generale della realtà naturale e spirituale dell'uomo
nell'ottica della sua fondamentale unità psicofisica 44 .
Rispetto a questo ambizioso progetto l'opera del 1928 Die
Stufen des Organischen und der Mensch ha il compito di offrire
le basi di una filosofia della natura organica quale
presupposto e cardine per una filosofia della natura e della
realtà esistenziale umana4s. Una ricerca complementare e non
meno essenziale deve contemporaneamente dirigersi verso
l'analisi del valore e del significato del sensibile nella
sfera esperienziale ed esistenziale umana. Concepito come
«estesiologia dei sensi» e realizzato sotto forma di «critica
dei sensi» il saggio Die Einheit der Sinne rappresenta uno
studio sistematico dell'organizzazione, delle modalità e
dell'apporto conoscitivo del sistema sensibile che serva come
primo contributo all'elaborazione di un'antropologia filosofica
44 Cfr. Stufen (P-GS IV), Introduzione e p. 70. Il motivo scheleriano dell'unità psicofisica, che risale agli scritti degli anni venti, resterà nella sostanza una costante del suo pensiero. Ad esso è connessa l'idea che una separazione netta di attività sensibile e attività razionale, e altrettanto di conoscenza e azione, non sia possibile. 45 Cfr. ivi, p. 63.
205
modellata sulla linea del programma diltheyano46. Per quanto
diversi si presentino il progetto di ricerca concepito da
Plessner (una «teoria dei «modali inorganici», come la definirà
nelle Stufen) ed il suo metodo (aprioristico-ermeneutico)
rispetto al taglio teorico e alle modalità del lavoro di
Weizsacker, il movente principale all'esigenza di una
rifondazione del sistema del sensibile è rappresentato per
ambedue i pensatori dalla pregiudiziale e decisiva separazione
di una sfera soggettivo-emozionale umana dal dato oggettivo
della formazione delle sensazioni scientificamente
determinabile nel suo processo.
Dal punto di vista di Plessner, il fatto che le leggi
essenziali (Wesensgesetze) concernenti la sfera della
sensibilità umana vengano considerate nell'ambito scientifico
come meno importanti di quelle che regolano il processo
«oggettivo» della sensazione, costituisce una mancanza
decisiva. Il modello della ricerca fisiologica e psicologica
seguito da grandi ricercatori come Fechner, Helmholtz e Wundt
si regola sulla preventiva separazione del dato psichico da
quello fisico e ricerca poi una correlazione tra la serie delle
eccitazioni nervose e quella delle sensazioni. I tentativi di
correzione dello statuto della ricerca introdotti dalla
generazione successiva - Plessner si riferisce in particolare
agli studi di Stumpf che cercano di inserire nell'analisi
scientifica l'esistenza di elementi aprioristico-materiali -
per quanto lodevoli, risultano ancora insufficienti allo scopo
di ristabilire l'unità essenziale della realtà antologico
esistenziale umana•'.
46 Cfr. H-U Lessing, Sinn-Sinngebung-Versinnlicbung. zu einigen zentralen pbilosopbiscben Proble1en il Briefvecbsel Konig-Plessner, «Dilthey-Jahrbuch fur Philosophie und Geschichte der Geistesvissenschaften, 7 (1990-91), pp. 209-229. 47 Cfr. Oie linbeit der Sinne (P-GS III), p. 13.
206
Le medesime carenze in ambito scientifico vengono rilevate
da Weizsacker, sebbene la sua attenzione si rivolga non alla
ricerca di leggi aprioristiche del dato percettivo, ma - come
abbiamo visto- al senso pratico-conoscitivo dell'attività
percettiva nel complesso del sistema fisico-fisiologico vitale.
Nel delineare gli sviluppi della fisiologia contemporanea egli
individua come fondamentali le tappe che conducono verso una
reintroduzione graduale della soggettività nella valutazione
scientifica dei processi di percezione e che tendono ad
assegnare un valore di verità al dato sensibile.
Cosi si può considerare un passo importante persino la
teoria di A. von Haller: essa determina il passaggio dalla
fisiologia del riflesso di derivazione cartesiana, che dà peso
esclusivamente all'azione dello stimolo esterno, ad una teoria
della reazione che considera, indipendentemente dal riflesso,
la capacità di reazione che l'organismo manifesta dal suo
interno: «il processo vitale non può più essere costituito,
calcolato e governato solamente da riflessi agli stimoli. Vi si
deve.riconoscere la stimolabilità variabile, per cui, a seconda
della stimolabilità, la reazione è differente» 48 • Ma il primo
vero tentativo di congiungere il mondo della fisica con quello
dei vissuti sensibili viene visto da Weizsacker nell'opera del
fisiologo J. Muller. Muller è sostenitore di una teoria delle
energie sensorie specifiche che vuole segnare - con risultati
solo parziali - il primo distacco dalla scienza fisiologica
della Naturphilosophie romantica. Sono significative le riserve
manifestate da Muller nei confronti dell'esperimento in
laboratorio, ritenuto inadatto a presentare i fondamenti reali
•• Oeber Jedizioische Anthropologie, GS v, pp. 177-194, p. 182. Considerato il fisiologo più significativo del secolo XVIII, Haller riuscl a diaostrare con procedimento induttivo che le prestazioni funzionali degli organi sono seapre connesse a determinate strutture organiche. Sulla fisiologia di A. von Haller si possono vedere Radl, E., pp. 119 ss.; Rothschuh, l.E., Physiologie, pp. 123 ss., Id., History of Physiology (trad.), pp. 134 ss.; H-J. Moller, Die Begriffe tReizbarkeitJ und tReizJ, pp. 13 ss ..
207
della vita: solo l'osservazione della natura stessa,
preferibile sul piano qualitativo come sul quantitativo, può
permettere di cogliere tali fondamenti. Nella sua teoria, che
mette insieme determinismo e vitalismo dinamistico, le qualità
sensorie rappresentano il prodotto dell'incontro e della
mediazione tra organismo e ambiente. Ad essa si riallaccia H.
von Helmholtz, che vede in essa un'empiricizzazione della
teoria kantiana della conoscenza. Le sensazioni non dipendono
secondo Helmholtz dagli oggetti che provocano le stimolazioni,
ma dalla connessione centrale degli specifici nervi: esse,
quindi, non sono immagini del mondo, ma «segni», fenomeni
soggettivi dipendenti dalla struttura del sistema sensorio e
nervoso, eppure non semplici «illusioni». Per quanto
costituisca un progresso nella direzione di una revisione dei
principi della percezione e di un approfondimento delle
ricerche sull'attività sensibile, la teoria di Helmholtz
rappresenta una forma di soggettivismo metodologico non
accettato - sia pure per motivi differenti - né da Plessner, né
da Weizsacker. Il concetto di «senso», con la tendenza ad un
passaggio dallo studio della sfera della sensazione a quello
del sistema percettivo, sembra aver avuto una sorta di
«rinascita» a partire dai primi decenni del XX secolo 49 • In
tale tendenza si può inscrivere anche l'opera weizsackeriana.
Weizsacker riconosce tuttavia a Helmholtz il particolare
merito di aver saputo vedere nella Farbenlehre di Goethe - al
di là dei pretesi risultati scientifici della teoria dei colori
- l'esigenza più che legittima avanzata in essa dall'autore: il
bisogno di una rivalutazione del valore di verità dell'apparato
sensorio, poiché è proprio a partire dall'attenta valutazione
49 Cfr. E. Scheerer, Sinne, in Bistoriscbes Korterbucb der Pbilosopbie, Basel-Stuttgart, Schvabe & Co, 1971-sgg., IX, pp. 860-861.
208
dell'attività degli organi di senso che Helmholtz ritiene
possibile risolvere i problemi posti dalla percezioneso. La
Farbenlehre ha tuttavia la pretesa di presentarsi come una
critica alla teoria di Newton dal punto di vista fisico, e le
ragioni del biologo, che in un trattato di fisiologia dei sensi
sarebbero forse venute alla luce, nella Farbenlehre rimangono
nascoste. Per trovare in quest'opera ciò che può essere utile
ad una teoria della percezione - sostiene Weizsacker - occorre
guardare non al fallimentare tentativo di spiegare la fisica
della luce o la sensazione del colore, ma il fatto che «nella
parola Wahrnehmung è contenuta la parola "Wahr"»51. Su questo
punto - sulla totale veridicità del dato percettivo -
Weizsacker ritorna con insistenza, sottolineando inoltre che il
«vero», essendo da porre in relazione con la pratica del
vivere, deve avere un senso non «assoluto», ma - si potrebbe
dire - «esistenziale» e «operativo»: «lo stesso termine
"percezione" tradisce, con profonda intuizione linguistica, che
qui il "vero" non esige di essere posseduto, ma "preso". La
percezione sensibile, questa prensione dell'universo delle cose
esistenti - sempre concreta e autocertificata - sembra
certamente promettere un buon modello di una simile nuova
concezione pratica della verità»S2.
L'aspetto assolutamente veridico della percezione risulta
egualmente dalla teoria plessneriana dell'unità dei sensi. La
necessità di stabilire i principi a priori della sensibilità
capaci di rappresentare le caratteristiche materiali della
percezione - non rilevabili secondo Plessner in un'ottica
5° Cfr. H. von Hel1holtz, Opere, Torino, UTET, 1967 (in particolare gli scritti del 18531 1875, 1878 e 1892). 51 W-leit1 p. 27. Riguardo al cvalere per vero, e all'illusorio nella percezione si veda anche W-Der Oestaltkreis 1940, p. 83. 52 w- Kabrbeit und KabrnebJung ( trad. it. Verità e percezione, in Id. 1 Filosofia della Jedicina, cit.), p. 1561 trad. i t. IOd.
209
puramente fisico-fisiologica - ha il senso di un sicuro
ancoramento della relatività delle qualità sensibili all'unità
della natura umana. La concezione della realtà umana come
«persona», punto di «indifferenza psicofisica», offre un
fondamento all'oggettività della percezione sensibile: «le
qualità sensibili appartengono, proprio in virtù della loro
totale relatività rispetto all'unità personale, in quanto modi
di connessione di corpo e anima, all'essere oggettivo delle
cose - anche se non al loro essere assoluto, essendo le qualità
sensibili modi possibili della materia»s3. L'idea dell'unità
personale nella sua molteplicità è perciò indice e garanzia
dell'oggettività delle proprietà sensibili fondamentali del
mondo fenomenico: «l'apparire del mondo non dipende cosi dalla
nostra coscienza, ma la nostra coscienza dall'apparire del
mondo. I modi dell'oggettività sono in senso rigoroso
corrispondenze, immagini oggettuali vere del tipo esistenziale
della persona»s4.
A questo primo contributo di indagine sulle modalità
sensibili e sulla loro connessione alla sfera spirituale umana
- i cui temi verranno ripresi anche molti anni più tardi5 5 -
sono connesse in vario modo una quantità di ricerche sulle
espressioni comportamentali animali e umane 56 il cui
significato confluisce in una visione che - muovendosi tra
Sl Die linbeit der Sinne (P-GS III}, p. 20. 54 lvi, p. 21. 55 Cfr. Oeber die Verkorperungsfunktion der Sinne (P-GS III, pp. 7-27}, e Antbropologie der Sinne (P-GS III, pp. 317-393}. 56 Si veda il volume VII di P-GS. Ricordiamo in particolare il saggio Die Oeutung des 1i1iscben Ausdrucks (1925), scritto in collaborazione con il fisiologo olandese r. Buytendijk, con il quale Plessner continuò a lavorare dopo il suo trasferitento a Groninga. A tale proposito si può vedere: Delfgaauw, Bernard (a cura di), Pbilosopbiscbe lede vo1 Nenscben: Studien zur Antbropologie 6el1utb Plessners, Frankfurt a. M., Lang, 1986, pp. 139-153. Il lvoro di Buytendijk pare sia stato di non scarso rilievo per la concezione del Gestaltkreis di Weizsacker: cfr. H. Struyker Boudier, Oeber Gestaltkreis und lolple•entaritit. Die Korrespondenz !.J.J. Buytendijks 1it V. von Yeizsicker und C.!. von Yeizsicker, cMan and World, 23 (1990), pp. 143-155.
210
principi ermeneutici e fenomenologicis' - ha uno degli elementi
di massimo interesse precisamente nella rivalutazione del
sistema sensibile. La sensibilità è concepita come centro di
unione e mediazione tra realtà interna ed esterna e come il
luogo della comprensione e dell'elaborazione del senso, un
senso il cui carattere qualitativo e le cui modalità di
formazione e interpretazione non possono essere indagati con un
procedimento di scissione del dato e di riduzione dei fenomeni
a processi causali. I sensi percepiscono e comprendono mediando
nella corporeità tra ricezione ed espressione di senso. Essi
non hanno dunque una funzione solo passiva, di semplice
prensione di ciò che proviene da fuori - la pura ricettività
sensoria è secondo Plessner un'invenzione scientifica-, ma
contemporaneamente una funzione attiva di trasformazione ed
azione proiettata sul mondo. I termini del rapporto tra interno
soggettivo ed esternità mondana si trasformano sostanzialmente
e con essi il concetto di coscienza - come abbiamo visto
trattando delle Stufen. Nella rappresentazione sensibile si dà
già una conoscenza del mondo, un'elaborazione dell'oggettivo
nel soggetto, poiché attività sensibile e spirituale non sono
tra loro separabili: le modalità sensibili sono infatti «il
collegamento, i ponti tra spirito e corpo»sa. L'intuizione
(Anschauung) - concepita da Plessner come conoscenza immediata
della cosa attraverso i sensi - non si distingue di fatto
dall'attività razionales9, tra esse cioè sussiste un rapporto
di intreccio, giacché la stessa intuizione rappresenta una
57 Hel saggio Potere e co1preodere. La questione dell'esperienza storica e l'opera di H. Plessoer, Milano, Guerini e Associati, 1995, s. Giaamusso sottolinea l'autonoaia del pensiero plessneriano nel richiamarsi alla filosofia er1eneutica e fenomenologica, illustrando come il paradigma ermeneutico venga piegato alle esigenze della comprensione dell'esperienza sensibile e quello fenoaenologico applicato ad un orizzonte conoscinitivo ampliato, cfr. ivi, pp. 137 sgg. 58 Oie liobeit der Sinne (P-GS III), p. 300. 59 Cfr. F. Ha1mer, Oie ezzeotriscbe Positioo des Nenscbeo, cit., p. 69; e S. Giamausso, Potere e co1prendere, cit., p. 139 e p. 147, dove si sottolinea la poleaica plessneriana con la concezione di Kant.
211
forma di incontro di percezione e pensiero. L'aspetto più
interessante della concezione plessneriana del sistema
sensibile, qualora lo si voglia accostare alle direttrici della
ricerca di Weizsacker, è senz'altro il rilievo dato all'unità
inestricabile tra attività percettiva e motoria che si
rispecchia nel legame tra soggetto e ambiente6o, un legame che
produce le modalità di esistenza del corpo organico nello
scambio materiale come nel rapporto di ricezione e conferimento
di significati.
Nei paragrafi precedenti è stato ampiamente dimostrato il
valore imprescindibile della percezione nella teoria del
Gestaltkreis di Weizsacker. Sarebbe perciò superfluo entrare
nuovamente nel dettaglio in una tematica indirettamente già
sviluppata. Ci limitiamo qui a riportare alcune significative
considerazioni fatte da Weizsacker nel corso di una conferenza
tenutasi di fronte alla Società Filosofica di Lipsia nel 1942 e
pubblicata l'anno successivo col titolo Wahrheit und
Wahrnehmung. L'aspetto più interessante del saggio consiste nel
rilievo dato da Weizsacker alla profonda trasformazione in
corso nel mondo scientifico riguardante i fondamenti teorico
epistemologici e la riorganizzazione dei rapporti tra i diversi
ambiti disciplinari, trasformazione che Weizsacker interpreta
nel senso di una progressiva tendenza alla convergenza
reciproca tra settori storicamente separati - come la fisica e
la biologia - in cui emerge come indispensabile il
riconoscimento della sensibilità come centro di verità del
vivere e del conoscere scientifico.
L'imperfezione degli organi di senso di fronte
all'esattezza scientifica e l'idea dell'incompletezza e della
60 Su questo aspetto della realtà organica, centrale nelle Stufen e trattato nella precedente sezione, si veda l'articolo di 8.8. Bolz Die SysteJatik der Sinne, in Unter offene• Borizont: Antbropologie nacb Bel1utb Plessner, a cura di J. Friedrich e B. Westeraann, Frankfurt a. M., Lang, 1995, pp. 117·127.
212
relatività di una forma di conoscenza soggettiva gravano da
sempre sulla percezione come difetti incorreggibili, nonostante
che proprio ad essa ci si debba comunque e sempre rivolgere
nell'avere un rapporto col reale. Considerata- sensualismo a
parte - una sorta di ponte tra un mondo esistente «a sé» e la
sfera razionale dell'uomo, la percezione ha rappresentato la
garanzia della corrispondenza del pensiero con una realtà
esterna ed indipendente, almeno sino a che il presupposto
naturalistico, secondo il quale la misurabilità del percepito
offre un'espressione attendibile e dei rapporti naturali
oggettivi (anche se con l'ausilio della matematica), ha
mantenuto la sua credibilità. Ma non appena tale presupposto ha
cominciato a mostrare la propria debolezza la psicologia e la
fisiologia si sono dovute impegnare in un grande sforzo di
ricerca sulle proprietà specifiche della percezione. Ed è in
particolare da alcune di queste ricerche condotte in ambito
fisiologico che emergono dati interessanti su di un aspetto
essenziale della percezione: proprio quella caratteristica di
«inaffidabilità» della sensazione rivela la legge fondamentale
dell'attività percettiva, il principio dell'antilogica. Essa
svela che l'oggettività non si dà affatto61, e che
!'«oggettivo» per il vivere è in se stesso antilogico (non
oggettivo)62.
Rispetto alla presentazione del fenomeno è possibile
scegliere tra criteri di valutazione differenti, tra diversi
metodi di misurazione e di relazione del percepito con
l'oggettività naturale - basti pensare alla varietà di sistemi
possibili e di volta in volta scartati o corretti nella storia
61 Cfr. W-Kabrheit uod rabroebJuog, p. 173. 62 Si veda l'esetpio concernente il contrasto tra l'idea di percezione del tovitento- che richiede una conservazione 1neaonica del passato, una resa si1ultanea del diacronico e l'identificazione di un aedesimo punto in una successione di posizioni e di 1o1enti te1porali - e la spiegazione fisica del toto: ivi, pp. 160-161.
213
della scienza. L'oggettività naturale appare dunque
interpretabile, il percepito è «traducibile» in una
molteplicità di forme «oggettive». La percezione stessa non
dispone di riferimenti assoluti, mentre valgono per essa leggi
antilogiche come quella dell'equivalenza materia,
dell'interdipendenza di elemento spaziale e temporale, della
scambiabilità delle variabili del fenomeno - movimento e
figura, forza e figura - in vista della conservazione di uno
scopo. L'illusione sensibile si dimostra un fattore
indispensabile e la percezione appare talora persino più
informativa e oggettiva della misurazione scientifica63. I
sensi rivelano una loro «logica inconscia» che raggiunge
direttamente la realtà più profonda della natura stessa:
«solamente l'essere può apparirci, come pure l'essere può
solamente apparirci; eppure ciò che così ci appare non è una
parvenza, bensì l'essere stesso»64. La percezione è
sostanzialmente una produzione, per cui la non prescindibilità
dalla soggettività nella valutazione di essa da elemento
negativo si trasforma in un dato positivo. Essa è condizione
della possibilità della natura e del suo valore «oggettivo», è
condizione della possibilità dell'orientamento e del vivere nel
mondo, è indice dell'esistenza di un'«armonia preordinata» tra
interno ed esterno, tra soggetto e natura. La «natura
oggettiva» della scienza non può che trasformarsi in «natura
dell'uomo»6s; la nuova situazione scientifica richiede una
nuova forma di centralità dell'unità umana, una
riconsiderazione della sua posizione nel mondo: «le rinunce
63 Cfr. ivi, p. 167. Weizsicker si riferisce al fatto che, aediante alcuni esperimenti sulla percezione della forza impiegata nell'esecuzione di un lavoro, è stato possibile di1ostrare che il soggetto è in grado di percepire ed affrontare il sopravvenire di un nuovo stato di cose, senza che gli strumenti atti a rilevare l'intensità della forza i1piegata segnalino alcuna variazione quantitativa. 64 lvi, p. 174, trad. it. 1od. 65 Cfr. ivi, p. 172.
214
della fisica alla determinazione esaustiva - delle quali
abbiamo ormai dovuto prendere atto - non salvano l'unità
dell'immagine oggettiva del mondo data dalle scienze naturali,
bensi esse preannunciano, come mi pare inevitabile, la nuova
centralità riposta nell'unità della persona umana»66. E se da
un lato la fisica deve rinunciare alle sue pretese
oggettivistiche, dall'altro la biologia deve liberarsi del
presupposto vitalistico di una «posizione speciale» dell'uomo
nella natura, per far posto, comunemente alle altre scienze,
all'idea di «una dipendenza dell'uomo-natura da un fondamento
che non può mai esso stesso divenire oggetto»6 7 • Con tale
fondamento, per sua essenza inconoscibile scientificamente, la
biologia - scienza di cose viventi, di oggetti che hanno in sé
un soggetto - si trova in un rapporto particolare, in un
«rapporto-di-fondo» {Grund-Verhaltnis)68, per la necessità di
un continuo rimando a quel fondamento all'interno del quale
essa stessa si muove. Questa situazione viene espressa da
Weizsacker anche con la celebre frase: «per comprendere il
vivente bisogna prendere parte alla vita»69.
" lvi, p. 173, trad. it. aod. 67 lbid., trad. i t. IOd. 61 Cfr. Anony1a (W-GS VII), pp. 47-48 (pp. 177-178). 69 Cfr. W-Der Gestaltireis 1940, p. V e Anony11 (W-GS VII), p. 48 (trad. it. p. 178).
215
Patico e posizionale
L'immagine del Gestaltkreis descrive- tra figurazione e
concetto- la dinamica distintiva dell'organico, l'atto vitale.
In essa si distinguono due componenti: la circolarità, che
indica l'immutabile nel mutamento mediante il «ritorno a sé» e
la forma, che coglie il mutamento nella configurazione del suo
percorso e lo fissa istantaneamente nell'intuizione. «Il
vivente è sempre qualcosa di permanente che muta - come
l'uomo» 70 ; ma non solo l'uomo. Sappiamo che il Gestaltkreis
nasce come chiarimento del rapporto unitario sussistente tra
percezione e movimento nell'ambito dello studio della
fisiologia umana, ma la sua capacità esplicativa non si limita
alla specifica relazione funzionale tra attività sensoria e
motoria. In un appunto per la preparazione delle sue lezioni,
risalente al 1945, il Gestaltkreis viene definito un rapporto
tra percezione e movimento, psiche e soma, soggetto e
necessità, libertà e necessità, soggetto e predicato 7 1. Ma non
è tutto; nella sua più ampia valenza, il concetto di
Gestaltkreis indica il modo d'essere dell'organico in generale,
di un genere di oggetto che non può essere definito
univocamente mediante determinazioni antologiche, poiché la sua
natura attiva e ricettiva non si lascia fissare nel semplice
«essere»: «con Gestaltkreis intendo una struttura essenziale
dell'atto vivente afferrato in modo patico» 72 • Il patico e
l'antico definiscono due categorie dell'essere che si
differenziano anzitutto sul piano esistenziale, per la modalità
di appartenenza ad un mondo e la forma di relazione ad esso. Il
corpo fisico semplicemente «è» in un mondo, «si trova» in esso
70 ADODfl8 (W-GS VII), p, 50 (p. 180), trad. it. 10d. ' 1 Cfr. !h. Benkelaann, Viktor voo Keizsicker (1886-1957). Naterialieo zu tebeo uod Kerk, cit., p. 149. 72 AoooyJa (W-GS VII), p. 54 (p. 183).
216
in una relazione spaziale e temporale oggettivabile: per questo
«l'è-assertivo (Ist-Aussage) dice tutto e con sufficienza»'3.
Non vale lo stesso per la categoria del patico: l'organico è in
un rapporto di coappartenenza all'ambiente, esso si pone in una
relazione antilogica col suo esterno e propriamente agisce su
di esso, come subisce da esso: «non solo esso [il patico] pone
sé stesso ed è cosi attivo, ma altrettanto gli accade di essere
ed è perciò passivo. le nostre espressioni pertanto incontrano
non solo l'antico, ma anche il patico»'•. L'espressione della
modalità esistenziale patica dovrà dunque adeguarsi
all'oggetto: un oggetto che vive all'insegna della
contraddizione. L'antilogica del vivere viene colta
figurativamente mediante l'immagine del Gestaltkreis: «Il
Gestaltkreis raccoglie quindi in sé sia la natura patica sia la
natura antilogica del modo di esistenza del vivente»' 5 , esso
rappresenta - come un simbolo'& - il senso della modalità
esistenziale organica.
Se prescindiamo dall'accento posto da Weizsacker sulla
gravità e sofferenza del vivere patico' 7 , possiamo riconoscere
in questo breve richiamo dei caratteri della realtà organica
una molteplicità di elementi di convergenza con la concezione
della struttura posizionale in Plessner. Abbiamo già visto come
il carattere antinomico della modalità posizionale organica non
si possa esprimere secondo Plessner altrimenti che in forma
dialettica: per cogliere unitariamente la duplicità essenziale
dell'essere organico e per rendere la dinamicità caratteristica
della sua struttura. L'essenziale è, come per Weizsacker,
73 lvi, p. 49 (p. 178), trad. it. aod. 74 W-Der Cestaltkreis 1940, p. 183. 75 ADOD!Ii (W-GS VII), p. 54 (p. 183), trad. it. aod. 76 Cfr. quanto detto sopra a proposito della siabolicità. 77 Essi sono in realtà la giustificazione più autentica della scelta terainologica di Weizsicker, in questo 101ento tuttavia ci importa evidenziare altri aspetti del concetto di epatico).
217
cogliere il divenire - «una cosa di carattere posizionale può
darsi solo nella misura in cui essa diviene»'a - senza con ciò
trascurare, nel processo di trasformazione, l'aspetto costante
dell'organico: «il divenire si determina come divenire di
qualcosa (il permanente) in modo che il permanere "porta" il
divenire, ovvero il permanere si determina come il qualcosa di
un divenire, ove il divenire porta il permanere»'9. La duplice
valenza del «Setzen»so distingue l'organico dal semplice
«essere» dell'inorganico che «in quanto corpo fisico "è" già da
sé; l'essere non si porta in contrapposizione, né si eleva da
se stesso come essente»sl. Il corpo fisico «si trova» in una
precisa posizione spaziale e temporale rispetto agli altri
corpi e all'osservatore, esso «sta» in un luogo, «riempie» uno
spazio determinabile oggettivamente e «passa» in un tempo
misurabile con gli strumenti della fisicas2. Diversamente
stanno le cose per l'organismo, le cui caratteristiche dovranno
essere espresse altrimenti da quelle fisico-oggettuali. «Un
vivente appare posto di fronte al suo ambiente. Da esso
proviene la relazione all'ambiente (Feld) nel quale esso è, e
la relazione vicendevole al vivente stesso»s3. L'organismo si
staglia dall'ambiente in un modo caratteristico
intuitivamente rilevabile -, poiché esso propriamente «si pone»
nell'ambiente, con il quale instaura un rapporto di
reciprocità: esattamente questo esprime il concetto di
posizionalità. Il corpo organico appartiene realmente
all'ambiente, ha anzi un «suo» ambiente - come ha insegnato J.
78 Stufen (P-GS IV), p. 187. 79 lvi, p. 189. 80 lvi, p. 18t 81 Ibid. 82 lvi, p. 186 e p. 239. 83 Cfr. ivi, p. 186.
218
von Uexkull84 - e la relazione con esso è tanto più complessa e
ricca quanto maggiore è la sua «distanza» o la consapevolezza
dell'alterità dell'ambiente. L'organismo si mostra perciò
anzitutto come un ente autonomo: un Fur sich Seinas, che rende
manifesta all'intuizione questo suo carattere attraverso il
movimento 86 : non è un caso che anche Weizsacker insista sulla
necessità di considerare il vivente anche in fisiologia
prendendo le mosse dal movimento autonomo (Selbstbewegung)s'.
I contorni del corpo organico sono incerti e la sua forma
plastica: «ogni vivente mostra instabilità nella stabilità,
regolare irregolarità»as. La dinamica ritmica e non meccanica
che gli è propria conferisce all'organismo una variabilità del
tutto peculiare. La sua forma appare «libera» nel movimento che
la modella: non calcolabile e via via determinabile nel
processo di modificazione, ma come sfuggente, «in tensione»s9,
mentre il movimento del corpo inorganico «si presenta come
assolutamente determinato, "tale qual'è", la sua forma coincide
esattamente con il percorso da esso compiuto: essa è quel
movimento; non vale lo stesso per il movimento vitale. Qui ogni
fase effettivamente percorsa, proprio perché appare fondata e
proveniente da una tendenza[ ... ], sembra essere stata
indeterminata in ciascun punto del suo percorso. Esso si
presenta come un movimento che avrebbe anche potuto avvenire
diversamente da come realmente è avvenuto» 90 . Lo stesso
carattere di indeterminatezza, di imprevedibilità appartiene
costitutivamente all'essenza dell'atto biologico
84 Si veda il paragrafo del presente lavoro intitolato «le "forme" dell'organico, (nota 10). 85 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 185. &6 Cfr. ivi, p. 187. 87 Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 187. 88 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 178. 89 Cfr. ivi, pp. 179-180. 90 lvi, p. 180.
219
weizsackeriano, ove la «scelta» rappresenta in ogni momento un
salto, una rottura nella continuità91. Tra l'attesa ed il
compimento dell'atto- percettivo, motorio, biologico in genere
- si pone il possibile, il non calcolabile prodotto della
vitalità. Cosi anche in Plessner: «nel ritirarsi dell'attesa,
nel momento della tensione che deve trovare la propria
soluzione, sta quello hiatus dell'anticipazione (Vorweg) che
solo un atto spontaneo, un atto arbitrario può superare»92.
Anche qui, come in Weizsacker, abbiamo a che vedere con un
rapporto imprevedibile tra attesa (Erwartung) e compimento
(Erfullung) - una situazione paradossale. Anche qui si afferma
il valore prolettico della processualità organica intesa come
trasformazione e riformazione (Umgestaltung). Nel divenire
altro del cambiamento la cosa si mantiene se stessa: per questo
il suo divenire è anzitutto sul piano concreto una ri
formazione, una dinamica riorganizzazione della forma 93 .
Al fine di giustificare la costanza nel divenire e spiegare
la direzionalità del processo organico Plessner introduce il
concetto di Gestaltidee o Typus, estraneo al pensiero di
Weizsacker. Il significato della Gestalt in Weizsacker, se
ristretto al campo di trattazione dell'unità motorio
percettiva, consiste nel rappresentare essa il prodotto del
rapporto tra elementi variabili non indipendenti. Ma l'idea di
prolessi che appartiene al concetto di Gestalt ampliato nella
sua portata sino ad indicare la forma dell'atto e della
temporalità biologica in genere94 implica l'idea di una
costante. Non appena la forma si concepisca come «forma di» ed
il processo di formazione venga inteso non come un semplice
tl Cfr., ad esempio, W-Der Gestaltkreis 1940, p. 187. 92 Stufen (P-GS IV), p. 180. 93 Cfr. ivi, p. 193. '4 Cfr. W-Zeit, p. 15.
220
«andar-oltre», ma come evoluzione che «da» qualcosa porta
«verso» qualcosa, cioè come un preciso rapporto tra una
provenienza e una direzione, si fa strada l'idea di un dover
essere o di una finalità della cosa. L'esplicitazione di questo
presupposto conduce Plessner all'ipotesi- certo singolare e
oscura, ma affatto conseguente in una concezione prolettica del
divenire della Gestaltidee (alla quale si riconducono i
concetti di «forma aperta» e «forma chiusa» organiche)
considerata altrettanto come appartenente .anticipatamente alla
cosa e come suo fine9s.
Temporalità e spazialità organiche
Di quella che potremmo chiamare la priorità antologica
della «spazialità» nella definizione dell'essenza organica
plessneriana abbiamo già parlato. Tale priorità non pregiudica
tuttavia la valutazione della dimensione temporale
dell'organico, la cui trattazione procede- paritariamente e
parallelamente a quella della dimensione spaziale - in
corrispondenza ai due momenti costitutivamente inseparabili
dell'essere e del divenire: «nella misura in cui il corpo
vivente è posto in sé (spazialmente) e con questo carattere
della posizionalità rappresenta un corpo che tiene uno spazio,
esso è potenzialmente nel suo esserci attuale, è dato a se
stesso anticipatamente. A partire dalla proprietà dell'essenza
posizionale di una relazione spaziale si determina quindi per
essenza il riferimento temporale del corpo vivente. Appartiene
95 In che aodo venga risolta poi da Plessner la difficoltà derivante dall'accordo dell'anteriorità della foraa ideale e del suo essere fine della cosa, è stato visto in precedenza: si tratta di accordare una pura idealità con la concretezza, non di pretenderne una coincidenza.
221
perciò alla posizionalità stessa la relazione al tempo»96.
L'essere in sé del corpo organico ottiene di fatto la
propria consistenza nell'apparire come «possibilità», come
potenza (Potenz) e potere (Vermogen). Mediante questa modalità
l'organico si determina come tale; il suo «potere» esprime non
una possibilità condizionata o dipendente, ma la qualità stessa
del potere (Kannqualitat), cioè determina l'essere organico
come un «non-essere che ha in sé le condizioni del passaggio
nell'essere» 9'. Tale modalità essenziale si realizza- senza
alcun contrasto logico- nell'«adesso» (Jetzt). E'
nell'attualità del presente che il divenire organico ottiene il
suo significato più autentico; il divenire si fissa
nell'«adesso» determinando un particolare rapporto di
dipendenza tra l'essere-ora e il non-essere-ancora. In quanto
«potere» l'essere è un non-ancora: non nello stesso senso in
cui lo è il semplice corpo fisico, poiché il modo dell'essere
nel-futuro gli è tanto essenziale quanto il modo dell'essere
ora. L'essere-nel-futuro appartiene all'unità esistenziale
attuale dell'organico come «anticipatamente dato» (Vorwegsein),
in questo modo la successione della cronologia fisica viene
capovolta. Anzitutto per questa non conformità tra la
successione causale del tempo oggettivo e la direzione della
dimensione temporale organica non può darsi una
rappresentazione fisico-causale della temporalità specifica del
vivente.
Il non-essere-ancora organico non è tuttavia un «essere
per» il futuro, il futuro non è la dimensione privilegiata del
suo essere: la sua potenzialità è fondata nel futuro, ma è nel
presente che l'essere come divenire ottiene la propria
96 Stufen (P-GS IV), p. 237. 97 lvi, p. 232 e p. 236.
222
realizzazione: «la possibilità essente, la reale potenza in
ogni caso è, essa si radica perciò nella modalità
dell'adesso» 9a. Il vero senso del carattere prolettico,
d'altronde, sta proprio nell'attualità, nel presente- come
sottolinea Weizsacker - non nel «poi» del futuro; il «poi» è
dato solo come anticipazione, non come predeterminazione, ma
come possibilità. Il presente rappresenta dunque il momento
dell'unità esistenziale organica: «potenza- dice Plessner
non è altro che mediazione dell'essere-ora nel presente»99;
esso, il presente concreto, costituisce inoltre il punto di
unione di passato e futuro, la dimensione autentica extrafisica
in cui l'essenza posizionale colloca l'organico: «non più
l'astratto adesso tra futuro e passato si adatta allo schema
della sua esistenza, ma solo il concreto presente, la cui
peculiarità è il momento (Augenblick), unità di futuro e
passato»loo. L'organico ha dunque una sua temporalità
«intrinseca» - non «interiore» o «soggettiva», ma «essenziale»;
il corpo posizionale «è» esso stesso tempo, poiché la sua
essenza implica la forma temporale nell'anteriorità
dell'esserelOl: potremmo concludere con Weizsacker che anche
per Plessner non la vita è nel tempo, ma il tempo è nella
vitalo 2 •
Considerata l'impostazione data a questo lavoro nella
sezione dedicata al pensiero di Weizsacker, sarebbe superfluo
richiamare anche solo per sommi capi i momenti essenziali
dell'elaborazione del concetto di tempo biologico.
Parallelamente all'introduzione nella biologia di un nuovo
parametro di valutazione del tempo, Weizsacker dichiara la
98 lvi, p. 236. 99 lvi, p. 238. 100 lvi, pp. 240-2U. 101 lvi. p. 239. 102 W-Jeit, p. 16.
223
necessità di una revisione generale delle caratteristiche della
realtà biologica, prima fra tutte quella della spazialitàlOJ.
Accanto ad una specifica «temporalità biologica» si deve
riconoscere una «spazialità biologica», le cui caratteristiche
divergono sostanzialmente da quelle della spazialità fisica
delle scienze matematiche. Considerata nel contesto
dell'attività biologica, la collocazione spaziale ha una
validità «momentanea» - è cioè legata al presente della
situazione - e «relativa» - essendo essa dipendente dal «punto
di vista» della valutazione e mancando di un sistema di
riferimento fisso. L'unità spaziale è determinata dall'attività
biologica stessa e si costituisce via via in relazione alla
direzione e alle finalità di tale attività104. Nel determinare
il concetto di spazialità organica Weizsacker si serve di
quello di temporalità, che mantiene - almeno sino agli anni
quaranta - una netta priorità, un valore fondativo. Sul piano
antologico, tuttavia, spazio e tempo ottengono un valore
equanime: nell'attività biologica la componente spaziale e la
componente temporale si rivelano funzione l'una dell'altra1° 5 •
L'ordinamento spaziotemporale, che corrisponde sempre ad una
situazione «attuale», ha una struttura genetica106; essa si
compone e si scompone perpetuamente nella continuità
dell'accadere organico: «una catena che si crea in tal modo
dice Weizsacker - non può affatto essere inscritta come un
intero nello spazio e nel tempo, bensi le determinazioni
spaziali e temporali via via sorgono e scompaiono, si
cristallizzano e si dissolvono in altre formazioni o nuovamente
vengono ricomposte nell'accadere-perfezionante (Geschehen-
103 lvi, p. 32. 104 lvi, pp. 10-11. 105 Cfr. W-Der Castaltkreis 1940, p. 142. Sulla loro dipendenza reciproca nell'attività percettiva si veda W-Yabrbeit und YabrnebiUDg, p. 165. Cfr. inoltre ADODfll (W-GS VII), pp. 77-79 (pp. 205-207). to' Cfr. W-Der Castaltkreis 1940, p. 145.
224
Fortbildung)»lo7. In questo processo- il processo percettivo
ovvero l'attività organica in genere- si creano lo spazio e il
tempo incontrati nelle cose. Richiamandosi qui esplicitamente
al concetto heideggeriano del dischiudersi dello spazio
all'essere-nel-mondo costitutivo del Dasein Weizsacker afferma:
«il mondo e le sue cose non sono nello spazio e nel tempo, ma
spazio e tempo sono nel mondo accanto alle cose»loa.
Il tempo e lo spazio per l'organico e il tempo e lo spazio
dell'organico nella trattazione che ne dà Weizsacker si
confondono, poiché vengono a coincidere. Lo stesso accade in
Plessner: alla definizione dell'unità spaziotemporale
posizionale egli fa precedere una valutazione delle
disposizioni spaziali e temporali vissute, le cui
caratteristiche coincidono con quelle della spazialità
(Raumhaftigkeit) e temporalità (Zeithaftigket) dell'organico,
che delle prime sono il fondamento. «Sopra» e «sotto», come
«ora» e «poi», indicano precise direzioni spaziali e temporali,
non meno significative di quanto lo siano le misurazioni
oggettive. Il senso di simili determinazioni viene considerato
come puramente relativo al soggetto che percepisce o valuta
quelle disposizioni; ma, nella relazione stessa in cui si
danno, esse sono assolute, non scambiabili tra loro, mentre
dipendente dall'osservatore è solamente la scelta della
direzione da perseguire. La loro specificità consiste nel non
essere dimostrabili matematicamente, nel non essere
rappresentabili mediante lo schema della successione e
dell'enumerabilità spaziotemporale della fisica1° 9 •
Se la medesima specificità viene riconosciuta da Weizsacker
alle stesse determinazioni - a determinazioni come «là», «a
107 lvi, p. 114. 108 /bid. 109 Cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 241-242.
225
sinistra», «dietro», «sopra», «prima», «tardi», «più lento»,
ecc., questi le definisce- diversamente da Plessner
relative 11 o. Ma ciò che i due autori intendono è la medesima
cosa: l'estraneità di siffatte disposizioni spaziali e
temporali ad un sistema di misurazione oggettivo. Il carattere
assoluto riconosciuto ad esse da Plessner si riferisce alla
loro relazione al vivente e sottolinea il fatto che esse in
detta relazione risultino essenzialmente non indifferenti
rispetto al luogo e alla duratalll. L'assolutezza, pertanto, si
riferisce alla relazione con l'organico, è affatto relativa ad
essa. Egli definisce invece relative le misurazioni oggettive
perché effettuate «nella relazione ad altro» - degli oggetti
tra loro, dell'oggetto rispetto ad uno strumento di misura,
ecc. - e risultano trasponibili indifferentemente a diversi
oggetti, in diverse situazioni e casi.
Il corpo organico - dice Plessner - non è affatto
indifferente rispetto allo spazio e al tempo: «esso cresce e
invecchia»112. Mentre la relazione spaziotemporale rimare
«esterna» al semplice corpo fisico, il corpo organico presenta
un'intima relazione di dipendenza dal luogo e dal divenire
temporale. Anche il corpo organico può essere valutato alla
stregua di un semplice corpo fisico, ma nella sua specificità
posizionale esso ha anche un diverso statuto essenziale: «il
corpo che cresce ha nella sua crescita limitata un criterio
spaziale assoluto, nel suo invecchiamento un criterio temporale
assoluto»113. Spazio e tempo vitali sono criteri di misura che
il corpo organico ha in se stesso come «portatore» e che sono
11o Cfr. lioleituog (W-GS III), p. 399; W-Der Gastaltkreis 1933, p. 633; W-leit, p. 35; W·Oer Gastaltkreis 1940, p. 145 e p. 162. 111 Stufeo (P-GS IV), p. 241. 112 lvi, p. 243. 1l3 Ibid.
226
ad esso limitati11 4 • Sebbene vi sia e vi debba essere una certa
connessione tra la dimensione spaziotemporale organica e quella
fisica, per sua essenza il corpo organico - sia secondo
Weizsacker che secondo Plessner - è affatto indifferente alla
spazialità e temporalità oggettive, nelle quali in fondo viene
a trovarsi accidentalmentells.
L'organico rappresenta il «punto di unione» dello spazio e
del tempo, il luogo in cui si genera il loro «incontro» - un
incontro che unisce e separa insieme, secondo l'immagine
antilogica di Weizsacker116, il quale sostiene inoltre una
manifesta tendenza «pulsiva» dello spazio verso il tempo e del
tempo verso lo spazio117. Non meno dinamica si presenta in
Plessner l'idea di «luogo naturale»lls della realtà organica
determinato dalla strutturazione posizionale stessa - che si
costituisce come centro di origine dell'unità spaziale e
temporale (Raum-Zeithaftigkeit): «il corpo organico non è
semplicemente un costrutto quadridimensionale come ogni corpo
fisico, bensi, nella sua proprietà essenziale, considerati
spazio e tempo in forma posizionale, esso è in se stesso unione
assoluta di spazio e tempo»119 .
. 11• Cfr. ivi, pp. 243-244. 11s Cfr. ivi, p. 244 e linleitung (W-GS III), p. 399. 116 Cfr. Anony1a (W·GS VII), p. 78 (p. 206). 117 Cfr. Anony1a (W-GS VII), p. 79 {p. 207). 11 ' Il richiaao al concetto aristotelico di <luogo naturale, (Aristotele, Fisica, Libro IV) ha la sua giustificazione principalmente nell'idea dell'inseparabilità del luogo dalla corporeità. In Aristoteleco1e ben evidenziato dal saggio di Bergson L'idea di luogo in Aristotele (guid Aristoteles de loco senserit, 1889, trad. it. in E. Bergson, Opere 1889-1896, cit.)- il luogo naturale non è separabile da aateria e forma - essi stessi inseparabili, co1e nella concezione posizionale di Plessner - che costituiscono gli oggetti (gli oggetti fisici in generale, non solo quelli organici, ma va notato che Aristotele concepisce il cosmo stesso come un <vivente,, e che Plessner, diversaaente da Aristotele, distingue il cluogo, dallo <spazio, la cui coincidenza si deteraina solaaente nella for1a spaziale organica). Il concetto di luogo aristotelico si definisce inoltre in relazione al aoviaento: lo stesso vale per la spazialità organica in Plessner, essendo la realà organica posizionale anzitutto cnel moviaento, (cfr. in particolare Stufen (P-GS IV), p. 187). In esso si pone inevitabilmente anche un legame con il tempo. 11t Stufen (P-GS IV), p. 245.
227
Il soggetto nella biologia
Il principio dell'«introduzione del soggetto nella
biologia» è senz'altro uno degli aspetti che ha maggiormente
interessato gli studiosi del pensiero di Weizsacker, potendo
essere considerato il momento in cui si concentra il
significato della sua «rivoluzione» teorica. Esso presuppone ed
implica un ampio spettro di questioni che riguardano
direttamente la ricerca biologica o che si agganciano ad essa.
Posto alla base della sua «svolta antropologica»120 il
principio si rivela efficace e ricco di sviluppi soprattutto
sul piano pratico del rapporto tra medico e paziente121.
L'oggetto col quale il medico ha a che fare non è un semplice
oggetto, ma un oggetto che ha in sé un soggetto. Il principio
ha dunque anzitutto il valore di una «massima per la ricerca» -
per la ricerca biologica in generale. Con l'introduzione di
questo principio si rende impossibile una netta scissione tra
ambito soggettivo- quello dell'osservatore- e ambito
oggettivo: il rapporto tra il ricercatore ed il proprio
oggetto costituisce di fatto un rapporto tra soggetti la cui
«distanza» non ha il senso dell'«estraneità» reciproca, ma
implica un fenomeno di coinvolgimento. Una simile visione
conduce naturalmente - in una scienza dominata da.
un'impostazione positivistica- a ripercussioni considerevoli
sul piano metodologico, tanto più che il concetto stesso di
malattia si modifica sostanzialmente. Il contributo dell'opera
di Weizsacker si estende perciò ai campi della psicofisica,
della psicoanalisi e della medicina sociale, ambiti in cui il
120 Tb. Henkelaann, Yiktor voo Keizsicker. L'uo1o e la sua opera, cit., p. 15. 121 Si può vedere a proposito il saggio di B. Kuppers, Yiktor von ieizsicker: zur aktuelleo Bedeutuog seioer aotbropologiscben Kedizin, in Pbilosopbiscbe Aotbropologie der Noderoe, a cura di R. Wieland, Weinbeia, Athineua, 1995, pp. 225-233. Per una valutazione dell'attualità del pensiero biologico di Weizsicker, cfr. Masullo, P.A., Patosofia. La teoria relazionale di Yiktor voo ieizsicker, Milano, Guerini, 1992.
228
suo pensiero mostra di avere avuto non scarsa incidenza122.
Ma ciò che più direttamente riguarda la presente ricerca è
il significato assegnato da Weizsacker al concetto di soggetto,
antologicamente ampliato rispetto ad una secolare tradizione
che tendeva all'identificazione della sfera del soggettivo con
quella dello psichico o del razionale. Come nella teoria
dell'organico di Plessner, la soggettività appartiene alla
realtà organica in quanto tale: sorge con l'organico e ne
costituisce la caratteristica essenziale più specifica.
Si può senz'altro individuare la causa principale delle
difficoltà teoriche e metodologiche incontrate dalla biologia
nella particolarità del suo oggetto di studio. Se le scienze
fisiche possono affidarsi alla premessa dell'indipendenza di un
mondo-conosciuto dall'Io-conoscente, la specificità
dell'oggetto biologico impedisce secondo Weizsacker l'adozione
di un simile presupposto e vincola la ricerca al principio
della similarità tra conoscente e conosciuto e alla loro
dipendenza da un fondamento che resta in se stesso non
oggettivabile: «ogni sforzo di determinare la differenza tra
organico e inorganico, e forse anche di superarla, deve infine
fare i conti con il dato di fatto della soggettività. L'oggetto
della biologia è precisamente un oggetto in cui abita un
soggetto»123. Come per Plessner, questo non significa affatto
un congedo dell'oggettivo in favore del soggettivo, ma che il
legame - la mistura, come dice Weizsacker - tra soggetto ed
oggetto è nel vivente inscindibile. Il soggettivo si afferma e
si riconosce come tale nell'incontro con l'oggettivo, al di
fuori di sé come all'interno di se stesso. Nell'incontro con
122 Si vedano in particolare !h. Reuster, Viktor voo Yeizsickers rezeption der Psycboanalyse, Stuttgart, Frotlann-Bolzboog, 1990 e Benzenhofer, U. (a cura di), Antbropologiscbe Nedizin und SozialJedizin il Yerk Yiktor von Yeizsickers, Frankfurt a.M., Lang, 1994. 123 W-Der Gastaltkreis 1940, p. 168.
229
l'ambiente l'organismo afferma e dimostra la propria
soggettività come contrasto con l'altro; nei fenomeni della
«crisi» e della «ripresa» il soggetto trova la propria identità
nell'opposizione e nella discontinuità del suo essere.
L'atto biologico - ogni singolo atto - rappresenta un
cambiamento, non testimonia affatto la costanza delle funzioni,
poiché si fonda sull'improvvisazione124, indice del soggettivo.
Si può di volta in volta individuare in uno stimolo, in un
istinto o in un oggetto il motivo di un singolo atto, «ma ciò
che solitamente non sappiamo è perché proprio ora, perché qui,
si è data quest'azione»12s. Caratteristica dell'atto biologico
è la capacità, nel rapportarsi al mondo, di superare le
limitazioni imposte dal funzionamento organico attraverso la
modificazione della forma delle risposte. Improvvisazione e
cambiamento qualitativo dimostrano l'indipendenza
dell'organismo dal proprio ambiente. Essi sono una prova della
soggettività del vivente non meno di quanto lo sia la libertà
dell'azione volontaria. Con il riconoscimento dell'ambiente e
l'opposizione ad esso, insieme all'atto di obiettivazione del
mondo, si verifica un annullamento dell'Io, senza alcun bisogno
dell'intervento di un atto di pensiero cosciente: ciò che si è
dimostrato con la differibilità del limite posto tra percezione
ed azione126. Più complessa, ma strutturalmente non differente,
è la relazione tra Io e «Es» (che raccoglie la contrapposizione
al Leib e all'ambiente quali oggetti per un soggetto) in cui si
realizza la specifica opposizione dell'uomo al mondo. La
«libertà» caratteristica dell'organico consiste essenzialmente
nella limitazione del mondo (Welt) ad un ambiente (Umgebung).
La libertà dell'atto biologico ha dunque sempre il senso della
124 Cfr. ivi, p. 176. 125 lvi, p. 174. 126 Cfr. ivi, p. 178.
230
correlazione alla «limitazione»; essa tuttavia è massimamente
estensibile: «l'autolimitazione - e pare quasi di leggere
Plessner- è, prima d'ogni altra, l'abilità di questo
essere» 1 2 7 •
Il principio dell'unità della soggettività- corrispondente
all'unità dell'organico stesso- si afferma dunque nella
contrapposizione e nell'auto-opposizione, nella perdita e nella
riconquista dell'identità individuale, determinandosi come
controparte dell'unità oggettiva: la medesima dinamica
distintiva della posizionalità organica plessneriana. In essa
l'elemento soggettivo «sorge» e «si evolve» in un processo di
autoestraneazione-autoidentificazione concernente l'essenza
stessa dell'organico e non si esaurisce quindi nell'attività
specifica dell'ente cosciente o di una sostanza spirituale. Ben
prima che nello studio dell'uomo, per la ricerca biologica in
genere è necessario «possedere un principio soggettivo che
esprima la particolarità dell'organico senza essere legato a
dati psichici come il sentimento, la percezione sensibile, il
pensare, il rappresentare, il provare sensazioni, ecc.» 128 •
L'identificazione della soggettività con lo psichico viene
decisamente rifiutata; il concetto di soggetto accolto da
Weizsacker, ampio e polivalente, si definisce nella relazione
di unità e scissione insieme con l'oggettività, una relazione
non rappresentabile in termini fisici, né psicologici.
Lo stesso dato - il legame di soggettivo e oggettivo - è
già emerso nella valutazione dell'essenza posizionale in
Plessner. In Weizsacker esso si rende particolarmente evidente
nei fenomeni di sospensione e annullamento del soggetto; in
Plessner esso si dimostra al massimo grado nella riflessività
127 lvi, p. 176. 128 lvi, p. 172.
231
umana. L'uomo è in Plessner «soggetto-oggetto» culturale e
naturale; la radice dell'unità psicofisica a partire dalla
quale solo è possibile determinare la forma della sua
soggettività si trova nella sua natura organica. La
soggettività, non più esclusiva prerogativa dell'uomo o degli
animali superiori, non ha un significato univoco e una valenza
unica. Genesi e sviluppo delle forme del soggetto procedono
parallelamente alle tappe della posizionalità. L'essere
soggetto rappresenta una funzione della mediazione posizionale;
il «livello di soggettività» raggiunto dall'organismo
corrisponde alla «profondità» di realizzazione del processo
posizionale, del quale l'essere coscienza- come l'oggettività
del mondo esterno - è il risultato.
Come abbiamo precedentemente visto, il corpo posizionale è
essenzialmente un Selbst, soggetto del proprio «avere un corpo»
nel «porsi» di fronte all'ambiente. Affatto privi di una
valenza psicologica, questo «sé» e questo «avere» rappresentano
modalità specifiche dell'essenza strutturale organica. Il
concetto di soggetto si può considerare in Plessner sinonimo di
vivente, mentre le sue caratteristiche si modificano in
conformità con la graduazione determinata dal principio
posizionale: coscienza e soggetto non coincidono, come non
coincidono coscienza ed egoità.
Con l'operazione di «fondamentalizzazione della
duplicità»129 Plessner ha voluto fornire un piano antologico
unitario, precedente qualunque distinzione, all'opposizione
soggetto-oggetto costitutiva dell'essere organico e principio
della possibilità stessa della soggettività. In un senso scevro
da qualunque significato sostanzialistico, il soggetto si
oppone all'oggetto, è «l'altro» rispetto ad esso, ma può essere
129 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 115.
232
colto nella sua alterità solo a partire dall'unità da cui
entrambi si originano. Soggetto ed oggetto, due lati della
medesima realtà, hanno il loro momento di separazione nella
mediazione, un momento la cui necessità è comprovata
dall'esistenza stessa del vivente. Il vivente è soggetto, e il
soggetto si costituisce nella distanza e nell'opposizione ad un
polo oggettivo, mentre nella mediazione in gradi successivi e
progressivi esso raggiunge determinazioni sempre più complesse.
Cosi, l'organismo vegetale è soggetto nella mediazione tra la
molteplicità dei suoi membri e l'unità del tutto, è un Selbst
«avente» un corpo. L'animale è soggetto nella mediazione di
Selbst e corpo: diviene un Selbst cosciente nella riflessione
che isola un centro posizionale come sua guida e separa il Leib
dal Korper. Infine l'uomo è soggetto nella mediazione tra
Selbst e Selbst grazie alla riflessione totale dell'organismo
su se stesso. Dotato di coscienza e di autocoscienza il
soggetto umano è un Io proiettato oltre se stesso.
Una coscienza autoriflessa e spirituale non è che la
particolare forma di coscienza che si presenta nell'ultimo
grado posizionale; ma si tratta di uno stadio finale non
coincidente con il suo concetto generale. Lungi dal
rappresentare una forma chiusa di interiorità in relazione
circolare a se stessa, l'apparire di una coscienza si delinea
ave si determini un reale rapporto di separazione e di scambio
del vivente con l'ambiente: «la coscienza è solo questa forma
basilare e condizione fondamentale dell'atteggiamento di un
vivente autonomo rispetto all'ambiente» e rappresenta !'«unità
sferica di soggetto ed oggetto»13o. Cosi, nella forma chiusa
animale, l'individuo che sente e si dispone all'azione è
soggetto nel vivere il rapporto tra sé e l'ambiente; mentre
t3o lvi, p. 112.
233
nell'elevazione al grado posizionale umano esso diviene
soggetto del vivere il rapporto tra sé e l'ambiente, soggetto
del vivere il proprio sentire ed il proprio agire: è organismo
totalmente riflesso su di sé. La progressiva graduazione del
principio posizionale origina differenze qualitative
nell'essenza organica, ma sul piano antologico-strutturale la
diversificazione delle tappe si può considerare il prodotto di
uno sviluppo quantitativo dettato dal meccanismo di mediazione
- interna ed esterna - del principio stesso. Se dunque il grado
seguente può considerarsi - come abbiamo già visto - il
compimento (Vollzug) di ciò che è posto già col grado
antecedente, non si dovrebbe forse pensare che la coscienza in
forma potenziale si presenta già nel più basso livello del
mondo organico? Plessner, ostile a suggestioni e motivi
spiritualistici e vitalistici, sembra rifiutare una simile
ipotesi. Considerare la pianta un «animal endormi» alla Bergson
e, allo stesso modo, postulare l'esistenza di forze o anime
vitali compenetranti la natura, significa secondo Plessner
ricorrere ad «espedienti letterari» che complicano inutilmente
la realtà naturale fuorviandone la ricerca131. Non si può
dunque pensare alla «presenza potenziale» di una forma di
coscienza nella natura in se stessa, in questi o in altri
termini che comunque intendano la potenzialità come attualità
non ancora giunta a perfezione. Mentre si può pensare che
sebbene la coscienza non appartenga strutturalmente se non
all'essenza della forma «chiusa» dell'organico, e risulti
altrove non solo incompiuta, ma affatto irrealizzabile, essa
sia data sin dall'inizio come «possibilità» nel principio
posizionale, non nell'essenza di ogni sua graduazione.
La cosiddetta «riflessione totale dell'organismo» nel grado
131 Cfr. ivi, p. 291.
234
più elevato del processo posizionale, come d'altronde la
«riflessione parziale» del grado precedente, non è un «fatto di
pensiero», ma un processo soggetto-oggettivo che coinvolge
l'intero individuo organico nel suo concreto vivere
psicofisico. Eppure, se dal punto di vista di una «filosofia
della natura» l'Io compare come risultato della riflessione
posizionale (nel senso che compare con questa riflessione), è
propriamente esso, di fatto, ad attuare la riflessione: è l'Io
a prendere distanza da sé e a rendersi oggetto a se stesso.
Plessner non pone tuttavia la riflessione alla base dell'Io
autocosciente. Benché infatti l'attività riflettente produca
l'autocoscienza, dal punto di vista della priorità logico
ontologica il rapporto di fondazione viene capovolto e l'unità
dell'autocoscienza diviene condizione della possibilità della
riflessione. La riflessione - attività separatrice per
eccellenza - non è in grado di cogliere nella sua interezza il
proprio riflettere, poiché l'Io riflettuto non è mai anche il
riflettente, sul quale il processo di riflessione può tornare
(rendendolo riflettuto) solo in un atto di secondo grado, in
cui è data l'identità dei due momenti della riflessione di
primo grado, ma non anche l'identità di quelli del secondo: la
riflessione è fondamentalmente autoestraneazione. Ma l'Io per
poter riflettere su di sé deve essere già prima nell'unità con
sé, quindi cosciente di sé in una forma immediata non riflessa,
avendo soltanto cosi in se stesso la condizione della
possibilità di essere sé e altro da sé: «l'a priori della
riflessione è l'unità dell'autocoscienza»132. Di conseguenza
sostiene Asemissen- l'unità mediata dell'Io non sarebbe ancora
13 2 B.U. Aseaissen, 8el1uth, Plessner: Die lzzentrische Position des Nenschen, in J. Speck (a cura di ), Philosophie der Gegenrart II, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1981, pp. 146-180, p. 166, che cita Plessner, lrisis der transzendentalen Nahrheit il Anfang (1918). Cfr. anche, H.O. Aseaissen, lgologische leflezion, cKantstudien, 50 (1958-59), pp. 262-272, p. 264.
235
la «Entzweiung der Reflexion» di Hegel, ma la condizione della
sua possibilità1 33 , originaria ed unitaria coscienza di sé
precedente ogni atto riflesso - potremmo aggiungere - come lo è
in Husserlll4.
Condizione della possibilità della riflessione è tuttavia
l'unità dell'autocoscienza, non l'autocoscienza stessa, dove
l'unità non è l'identità indifferenziata dell'Io con sé stesso,
ma all'opposto l'unità sintetica (e forse sarebbe più adatto
dire la «sintesi antitetica») dell'Io in sé e con sé,
conformemente al principio antropologico della vermittelte
UnmittelbarkeitllS: immediatezza mediata poiché l'Io è
contemporaneamente presente a se stesso in forma immediata e
mediatamente cosciente di séll6. Non appena l'Io riflette su di
sé, si rende manifesta quella scissione - già insita in esso -
in cui l'Io prende distanza da sé differenziandosi in un Io
soggetto ed un Io-oggettoll7.
In quest'ultimo grado del mondo organico, in cui il
principio posizionale si realizza nell'autocoscienza riflessiva
133 H.O. Aseaissen, HelJutb, Plessoer: Die lxzeotriscbe Positioo des Keoscbeo, cit. p. 166. 134 Per quanto concerne il rapporto tra unità egologica e riflessione nel pensiero di Husserl, nelle Idee (Libro II, Appendice VII, p. 706 ed. it.) si legge: «Io "divento" oggetto per 1e stesso- oggetto di un aio renderai conto, ecc. Ma io sono oggetto per ae stesso soltanto in quanto ho un'"autocoscienza", anche quando non rifletto. Se non l'avessi non potrei ne11eno riflettere. Per questo ogni rendersi conto è preceduto per essenza da una coscienza costitutiva dell'oggettività in questione). E' interessante notare che la concezione plessneriana dell'unità del Selbst quale condizione della possibilità della differenziazione in sé dell'Io risale al 1918, e che pochi anni pri1a, nel 1914, Plessner seguiva le lezioni di Husserl, presso il quale si era recato spinto soprattutto dall'interesse per un «confronto del concetto di Io nelle Idee con quello di Fichte, {Selbstdarstelluog, P-GS l, p. 308). 135 Cfr. Stufeo (P-GS IV), p. 89. 136 Ma questo non significa altro che la riflessione - sottoforaa di Jediazione - è già inclusa in quell'unità. E non si può non pensare a Hegel: cl'iaaediatezza del sapere non solo non esclude la sua aediazione, aa l'una e l'altra sono cosi congiunte che il sapere iaaediato è perfino prodotto e risultato di quello aediato, (Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., J 66, p. 84). 137 Poiché la riflessione consegue necessaria1ente a questa unità e pone la reale identità dell'Io con sé stesso, il rapporto tra la «preistoria, e la cstoria, dell'autocoscienza (sono i teraini che usa Aseaissen per indicare la relazione di fondazione tra unità del Selbst e riflessione) non è affatto differente dal rapporto posto da Hegel tra riflessione ed iaJediatezza nel percorso logico dello sviluppo del concetto: «il riferi1ento a sé stesso nell'essenza è la foraa dell'identità, della riflessione io s~ questa ha preso qui il posto dell' i11ediatezza dell'essere: entraabe sono le stesse astrazioni del riferiaento a se stesso, (ivi, J 113, p. 124).
236
dell'Io, è raggi~nto l'apice della possibilità di sviluppo
posizionale e la più elevata forma di soggettività: l'Io
costituisce infatti «il polo soggettivo non ulteriormente
oggettivabile»13s. Con l'Io è data la possibilità di
realizzazione di sempre nuovi atti di riflessione, la
possibilità di un regresso all'infinito dell'autocoscienza;
«un'ulteriore ascesa è impossibile, poiché la cosa vivente è
ora realmente giunta dietro di sé»139. In questo massimo
livello di riflessività il soggetto rivela la sua più autentica
duplicità: l'essere unità di se stesso e la dissoluzione di
essa.
Conditio humana
La posizione eccentrica «sbalza» l'uomo fuori di sé, lo
costringe a «vedere» il proprio «centro» e a constatare
l'esistenza dei limiti - talora differibili, ma non eliminabili
- imposti alle proprie capacità di sopravvivenza e alle
possibilità di intervento sul mondo e su se stesso. La
finitezza umana, nella concezione plessneriana, prende
consapevolezza di sé attraverso la riflessione e si proietta
nella «possibilità»- nella possibilità dell'infinito. L'uomo
eccentrico si rende conto in essa - nel darsi della
«possibilità»- di essere «sradicato» (wurzellos), di essere
privo di stabilità e certezze, e ne ricava la coscienza della
propria «nullità» - e insieme della nullità del mondo1 40 • La
riflessione sulla natura profondamente antilogica della vita
conduce Weizsacker alle medesime conclusioni: «nel salto - che
1 3 a Stufen (P-GS IV), p. 363. 1 3 9 Ibid. 140 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 419.
237
eternamente precipita nell'abisso, o mantiene sospesi su di
esso- esistiamo nel nulla»141.
All'estremo, all'apice del proprio sviluppo, la dialettica
soggettiva approda al «negativo». E' già stato osservato come
nel pensiero di Plessner l'elemento di «rottura» (lo hiatus) -
l'equivalente del «salto» weizsackeriano - assuma un peso
preponderante nello schema del rapporto dialettico, ove il
motivo della «scissione» e dell'irriducibilità sempre più
accentuata dei termini in contrasto conferisce alla struttura
processuale organica un'inclinazione al «disequilibrio», alla
«disarmonia». Essa non rappresenta di per sé un'affermazione
del negativo, tuttavia prepara il terreno al dissidio estremo
del soggetto autocosciente, che nella «perdita» di sé trova il
vuoto spessore dell'inconsistenza. E d'altro canto è certo, nel
succedersi delle fasi di sviluppo biologico - nella dimensione
concreta dell'esistenza materiale - che l'organismo finisca
per incontrare la morte, un negativo «decisivo», non mediabile,
non «superabile»: il soggetto che si sofferma su questo dato,
non può sottrarsi al pensiero che «qui non si dà costruzione e
operazione a negativo; qui si vive e si muore ex nihilo»1 42 •
Inaugurando il sorgere della vita, il principio dialettico
la condanna all'inquietudine- un tema ricorrente negli scritti
weizsackeriani: «il fondamento più profondo dell'inquietudine
patica sta nel fatto che un vivente non è nella stasi; esso è
insieme se stesso e qualcosa che si modifica, quindi un'essenza
diveniente»143. Una certa coloritura «sentimentale»- sempre
più evidente negli scritti del secondo dopoguerra - è
costitutiva dell'atto biologico in quanto tale, rappresentando
proprio essa la radice «patica» della struttura esistenziale.
1u Begegnungen und lntscbeidungen (W~GS I), p. 372. 142 ibid. 143 ADODfll (V-GS VII), p. 53 (p. 183), trad. it. aod.
238
L'immagine del Gestaltkreis non offre solo allo scienziato una
rappresentazione del rapporto neurofisiologico tra funzioni
organiche, essa costituisce propriamente una «direttiva per
l'esperienza del vivente»144: per tornare a se stesso, per
ritrovare se stesso esso deve invertire il senso di marcia,
deve tornare a guardarsi e cercare il proprio fondamento - un
fondamento che tuttavia non può trovare. Il principio della
«porta girevole» (il medesimo utilizzato nella descrizione del
rapporto percezione-movimento), determina l'inevitabile
occultamento di ciò da cui si distoglie lo sguardo, la fatale
esclusione di parte di sé e della stessa esistenza: «in ciò -
dice Weizsacker - esperiamo anche qualcosa sul fondamento
dell'inquietudine, che è chiaramente il fondamento della natura
contraddittoria della nostra esistenza: il fondamento di
entrambe- della contraddizione e dell'inquietudine- è
nell'ascosità reciproca delle nostre esistenze nel Gestaltkreis
[ ... ]lo si deve percorrere[- il Gestaltkreis -]e soffrire i
suoi contrasti in un continuo perder-di-vista (Aus-den-Augen
Verlieren) e in un sempre nuovo perdere-effetto (Die-Wirkung
Verlieren) al fine di ottenere qualcosa di nuovo»14 5 • La
ripetizione della «perdita» è condizione di possibilità del
«ritrovamento». Il soggetto per potersi autoidentificare deve
cedere alla «crisi» (di cui la malattia è espressione):
«l'essenziale della crisi non è solo il passaggio da un ordine
ad un'altro, ma il prezzo della continuità o identità del
soggetto»146. Essa produce un annullamento dello stato di cose
- l'autoestraneazione del soggetto- nella direzione di un
(momentaneo) ripristino della stabilità: «la crisi è un
transito dalla finitezza inquieta alla stabilità di una
1u ivi, p. 54 (p. 184), trad. it. aod. 1B ivi, p. 55 (p. 184), trad. it. IOd. 146 W-Der Oestaltkreis 1940, p. 171.
239
finitezza, attraverso una trascendenza»147.
Allo stesso modo, l'eccentricità umana nella teoria di
Plessner conduce a trascendere il reale: il riconoscimento
della propria unicità, dell'individualità del mondo e del
«poter essere altro» svela all'uomo la casualità del suo
essere-qui-e-ora e lo costringe all'interrogazione sul
principio del mondo e dell'essere. La ricerca dell'assoluto
di un «punto fermo» e di una «causa prima» - colloca l'uomo in
un «luogo utopico». In esso è la radice di ogni religione. «Le
rappresentazioni del divino - sostiene Plessner - cambiano con
quelle della spiritualità e dell'umanità. Una cosa resta
caratteristica di ogni religiosità: essa procura un
definitivum. Ciò che all'uomo non possono dare natura e
spirito, la cosa ultima- tanto è in gioco- lo dà essa. [ ... ]
Chi desideri una casa, una patria, chi voglia sentirsi al
sicuro, deve sacrificarsi alla fede»14s. Ma il contrasto è di
fatto insolubile. E poiché l'uomo non è mai là dove si trova,
anche il trascendimento viene sovente trasceso: «L'eccentricità
della sua forma vitale, il suo stare in-nessun-luogo, il suo
luogo utopico lo costringono a dirigersi verso il dubbio
dell'esistenza divina, contro il principio di un fondamento a
questo mondo, e dunque contro l'unità del mondo stesso»1 49.
Gli esiti del pensiero di Weizsacker assumono spesso una
connotazione mistica e la sua visione toni cupi, «dolorosi».
Nell'impossibilità di dare una risposta al quesito sul
fondamento viene visto un fallimento: l'emblema della perpetua
sconfitta dei più, della condizione debole dell'uomo, solo di
fronte al malelso. La ribellione - o il rifugio - è visto da
14 7 !bi d. 148 Stufen (P-GS IV), p. 420. l49 lvi, p, 424. 1so Cfr. Anony1a (V-GS VII), pp. 67-68 (p. 196).
240
Weizsacker nell'esperienza di un amor fati di memoria
nietzscheana: altrettanto orgoglioso forse, ma meno «gioioso» e
«potente», destinato al perdente come sua unica speranza: «il
credente effettua questa esperienza come volontà divina e
grazia; il non credente come grande sofferenza personale»lsl.
Il concetto di vivente viene sostituito da Weizsacker con
quello di «monade»ls2. Nel suo nucleo sono individuabili un
principio di libertà153 e la radice della dimensione patico
personale. Tra monadi può solo verificarsi un «incontro», può
cioè determinarsi un tipo di relazione ambiguo e polivalente
che lascia imprecisato se si tratti di un momento di unione o
di dissociazione, se esso coinvolga realmente l'altro o
riguardi solo se stessi, se sia casuale o necessario. Per
questa loro caratteristica sfuggente gli incontri tra monadi
sono detti «esperienze anonime»1S4. «L'incontro delle monadi
dice Weizsacker - conduce al disturbo, il disturbo conduce alla
formazione-dell'Es (Es-Bildung)»lss. V'è in gioco sempre
qualcosa di esistenziale, un'essenza che si modifica nel dar
luogo all'elemento oggettivo (il costituirsi di un mondo) e
all'elemento soggettivo (il giudizio su di esso). L'uomo di
Plessner ~ meno «sofferente» e forse meno «rassegnato»
all'impero del pathos di quanto lo sia quello di Weizsacker
non si muove in un circuito cosi strettamente vincolato
all'introiezione soggettiva: se la monade di Weizsacker può
incontrare un «tu» e determinare la formazione di un Es, la
posizionalità eccentrica riesce a conferire un significato
positivo all'impossibilità di variare la sua direzione
esistenziale e a dare all'individualità la consistenza del
1s1 lvi, p. 68 (p. 196}, trad. it. aod. 1s2 Cfr. ivi, p. 61 (p. 190). Il richiamo a Leibniz è esplicito. 153 Cfr. W-Kabrbeit und KabrnebJung, p. 170. 154 Cfr. AnonyJa (W-GS VII), pp. 63-64. (192·193}. 155 lvi, p. 61 (p. 190}.
241
vivere sociale. L'io eccentrico è posto nella Mitwelt, dove
mediante l'esternazione del sentimento di solidarietà e la
manifestazione comportamentale, attraverso la rappresentanza ed
il principio di sostituibilità, realizza il superamento della
singolarità individuale con l'organizzazione del vivere
concreto in comunità e l'istituzione della società1 56 •
Ad una posizione come quella di Plessner, equilibratamente
razionale nella valutazione della scomoda posizione dell'uomo
nel mondo, una posizione non di distacco, ma di partecipazione
«teoretica» al destino umano, nell'ultimo Weizsacker si
sostituisce un evidente trasporto emotivo. Lo scienziato svolge
un ruolo umanitario alle prese con la discontinuità del suo
compito finito - scientia facit saltus - senza rinunciare alla
tensione verso un compito «impossibile». «Dicemmo - dichiara
Weizsacker - chi voglia comprendere la vita deve prendervi
parte. Diciamo però anche: chi voglia prendere parte alla vita
deve comprenderla»1S7. In tutta la sua antilogicità.
156 Stufen (P-GS IV), p. 422. Plessner si è dedicato a tolteplici studi di filosofia della politica e della teoria sociale: cfr. i voluti V e VI delle P-GS. 157 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 175.
242
bibliografia essenziale
QRere di Viktor v.on.....W.eizsiick..e.r
L'opera completa di V. von Weizsiicker è attualmente in corso di pubblicazione col titolo Gesammelte Schriften (W-GS) I-X, a cura di P. Achilles, D. Janz, M. Schrenk, C.F. von Weizsacker, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1986 sgg.:
I. Natur und Geist. Begegnungen und Entscheidungen, 1986
II. Empirie und Philosophie. Herzarbeit/Naturbegriff (non disponibile)
III. Wahrnehmen und Bewegen. Die Tatigkeit des Nervensystems, 1990
IV. Der Gestaltkreis. Theorie der Einheit von Wahrnehmen und Bewegen (non disponibile)
V. Der Arzt und der Kranke. Stucke einer medizinischen Anthropologie, 1987
VI. Korpergeschehen und Neurose. Psychosomatische Medizin, 1986
VII. Allgemeine Medizin. Grundfragen medizinischer Anthropologie, 1987
VIII. Soziale Krankheit und soziale Gesundung. Soziale Medizin, 1986
IX. Falle und Probleme. Klinische Vorstellungen, 1988
X. Pathosophie (non disponibile)
Weizsacker, v. von, Neovitalismus, «Logos» II (1911-1912), pp. 113-124
Id., Kritischer und spekulativer Naturbegriff, «Logos» IV (1916-1917), pp. 185-209
Id., Das Antilogische, «Psychologische Forschung» 3 (1923), pp. 295-318
Id., Ueber Gesinnungsvitalismus, «Klinische Wochenschrift» 2 (1923), pp. 30-33
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Id., Der Gestaltkreis, dargestellt als psychophysiologische Analyse des optischen Drehversuchs, «Pflugers Archiv fur die gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere» 231 (1933), pp. 630-661
Id., Gestalt und Zeit, Halle, Niemeyer, 1942
Id. Der Gestaltkreis. Theorie der Einheit von Wahrnehmen und Bewegen, Stuttgart, Thieme, 19401, 19966 {trad. it. Id. La struttura ciclomorfa. Teoria dell'unità di percezione e movimento, a cura di P.A. Masullo, Napoli, ESI, 1995)
Id. Am Anfang schuf Gott Himmel und Erde, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954
Id., Pathosophie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 19561, 19672
Id., Filosofia della medicina, a cura di Th. Henkelmann, Milano, Guerini e Associati, 1990
Id., Menschenfuhrung. Nach ihren biologischen und metaphysischen Grundlagen betrachtet {W-GS V, con il titolo Seelenbehandlung und Seelenfuhrung), Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1955 {trad. it. Id., Biologia e metafisica. Istruzioni per la condotta umana, a cura di P.A. Masullo, Salerno, 10/17, 1987)
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Op~e di Helmuth Plessner
I principali scritti di Helmuth Plessner si trovano raccolti in Gesammelte Schriften (P-GS) I-X, a cura di G. Dux, O. Marquard e E. Stroker, con la collaborazione di R. w. Schmidt, A. Wetterer e M. J. Zemlin, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1980-1985:
I. Fruhe philosophische Schriften 1, 1980
II. Fruhe philosophische Schriften 2, 1981
III. Anthropologie der Sinne, 1980
IV. Die Stufen des Organischen und der Mensch, 1981
V. Macht und menschliche Natur, 1981
VI. Die verspatete Nation, 1982
VII. Ausdruck und menschliche Natur, 1982
VIII. Conditio humana, 1983
IX. Schriften zur Philosophie, 1985
X. Schrifen zur Soziologie und Sozialphilosophie, 1985
Plessner, H. (a cura di), «Philosophischer Anzeiger. Zeitschrift fur die zusammenarbeit von Philosophie und Einzelwissenschaft», Bonn 1925-1930, Jg. 1-4
Id. (a cura di), Das Umweltproblem, in Symphilosophein. Bericht uber den Dritten Deutschen Kongrep fur Philosophie in Bremen 1950, Munchen, Lehnen, 1952
Id., Anthropologie, philosophisch, in K. Galling (a cura di) Die Religion in Geschichte und Gegenwart. Handworterbuch fur Theologie und Religionswissenschaft, I, Tubingen, Mohr, 19573, pp. 410-414
Id., Anthropologie philosophique, in R. Klibansky (a cura di) Philosophy in the mid-century. A Survey - La philosophie au millieu du vingtième siècle. Chroniques II, Firenze, La Nuova Italia, 1958, pp. 85-90
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Id., Conditio humana (P-GS VIII, col titolo Die Frage nach der Conditio humana, pp. 136-217) (trad. it. Id., Conditio humana, a cura di M. Attardo Magrini, in I Propilei I, Milano, Mondadori, 1967, pp. 23-97)
Id., Diesseits der Utopie. Ausgewahlte Beitrage zur Kultursoziologie, Dusseldorf-Koln, Diederichs Verlag, 1966; (trad. it. par. Id. Al di qua dell'utopia. Saggi di sociologia della cultura, a cura di F. Salvatori, Torino, Marietti, 1974)
Id., Der Mensch als Lebewesen. Adolf Portmann zum 70. Geburtstag, in GS, Bd. VIII, pp. 314-327; trad. it. Id., L'uomo come essere biologico, in Filosofi tedeschi d'oggi, a cura di A. Babolin, Bologna, il Mulino, 1967, pp. 355-376
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Sgggi_critici su Viktor von Weizslckex
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