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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRIESTE Dottorato di Ricerca in Filosofia ciclo VIII La teoria biologica di Viktor von Weizsacker e la filosofia dell'organico di Helmuth Plessner 'b / J_ Ras in i Vallor i '7 Tutore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste) cJ Co-tutore: Pro Poggi Stefano (Universit d. Firenze) Coordinatore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste) /l----a4·o{-

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI TRIESTE

Dottorato di Ricerca in Filosofia

ciclo VIII

La teoria biologica di Viktor von Weizsacker

e la filosofia dell'organico di Helmuth Plessner

'b/ J_ Ras in i Vallor i '7

Tutore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste)

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Co-tutore: Pro Poggi Stefano (Universit d. Firenze)

Coordinatore: Prof. Mattioli Emilio (Università di Trieste) ~L ~·· /l----a4·o{-

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Avvertenza

Introduzione

Parte I - Viktor von Weizsacker il Gestaltkreis e la concezione della biologia

Premessa

I. Der Gestaltkreis {1933): premesse scientifiche

- La circolarità sensomotoria

- Riflessioni sul concetto di tempo

II. Tra 1933 e 1940: lo sviluppo di alcuni concetti

-L'introduzione del concetto di «tempo biologico» a. Lo «zeituberbruckende Gegenwart» di P. Auersperg b. Il tempo «centrato nel presente» c. Tempo soggettivo e tempo organico

- La questione della Gestalt a. Il richiamo a Goethe b. La posizione verso la Gestalttheorie c. Il pensiero di Driesch

III. Der Gestaltkreis {1940): l'unità di percezione e movimento

- La soluzione del «problema della biologia» a. Le determinazioni temporali b. Determinatezza e indeterminatezza

- La spazialità organica

- Il movimento a. L'attività materia b. Incontro di organismo e ambiente

- La percezione a. L'attività dei sensi b. Il «principio di possibilità» della percezione c. percezione e pensiero

La Gestaltung dell'attività organica

p. 5

p. 6

p. 12

p. 13

p. 17

p. 23

p. 28 p. 28 p. 31 p. 36

p. 40 p. 43 p. 48 p. 53

p. 60 p. 62 p. 68

p. 72

p. 78 p. 78 p. 82

p. 89 p. 89 p. 96 p. 102

p. 106

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Parte II - Helmuth Plessner: filosofia dell'organico e teoria posizionale

Premessa

I. La posizionalità dell'organico

La duplicità d'aspetto nella percezione a. Duplicità d'aspetto e Transgredienz b. La percezione dell'essere vivente

- Il carattere spaziale dei concetti

- La posizionalità organica a. Limite e «limite proprio» b. La teoria dei modali organici c. Le caratteristiche del «principio posizionale»

II. Le modalità caratteristiche dell'organico

- I modi di realizzazione della posizionalità a. La processualità organica b. Lo sviluppo del vivente c. Fasi processuali e concetto di morte

Spazalità e temporalità organica a. Raumhaftigkeit b. Zeithaftigkeit

III. Graduazione e Soggettività

- Le «forme» dell'organico

- Il soggetto eccentrico

Parte III - Elementi di convergenza nel pensiero di v. von Weizsacker e H. Plessner

Tra scienza e filosofia

Antilogica e dialettica

Il valore dei sensi

Patico e posizionale

Temporalità e spazialità organiche

Il soggetto nella biologia

Conditio humana

p. 115

p. 116

p. 118 p. 118 p. 123

p. 125

p. 129 p. 129 p. 135 p. 142

p. 146 p. 146 p. 151 p. 156

p. 160 p. 160 p. 163

p. 168

p. 174

p. 183

p. 184

p. 192

p. 205

p. 216

p. 221

p. 228

p. 237

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Bibliografia p. 243

Bibliografia principale p. 244

- Opere di v. von Weizsacker p. 244

- Opere di H. Plessner p. 246

- Saggi critici su v. von Weizsacker p. 248

- Saggi critici su H. Plessner p. 252

Bibliografia secondaria p. 257

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Avvertenza

Le Gesammelte Schriften di v. von Weizsacker e H. Plessner

sono state citate rispettivamente come W-GS e P-GS. Per i saggi

richiamati in nota non comparsi o non disponibili nelle opere

complete si è provveduto a precederne il titolo con la sola

iniziale del cognome del rispettivo autore.

Per la bibliografia utilizzata, quando disponibile, si è

data indicazione della traduzione italiana. Qualora venga data

doppia indicazione di pagina, la numerazione corrispondente

alla traduzione compare tra parentesi.

Dell'esistenza di una traduzione italiana dell'opera di

Weizsacker Der Gestaltkreis si è saputo troppo tardi perché

potesse esserne tenuto conto in questo lavoro.

Per alcuni «classici» del pensiero filosofico citati nel

testo o in nota si è omesso di dare indicazione nella sezione

bibliografica.

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Introduzione

Il presente lavoro è dedicato al confronto di alcuni

aspetti delle teorie di carattere biologico di Viktor von

Weizsacker con la filosofia dell'organico di Helmuth Plessner.

Sia l'opera di Weizsacker che quella di Plessner si possono

inscrivere in quel vasto movimento d'interesse concernente il

valore, i compiti e in generale i fondamenti della scienza

biologica che coinvolge gran parte del dibattito filosofico e

scientifico non solo tedesco tra '800 e '900, e che tanta

importanza ha avuto nella maturazione di alcune tesi

fondamentali del pensiero antropologico e antologico

contemporaneo. In particolare la riflessione su alcuni temi

basilari dell'indagine filosofica, come lo sono l'idea di

soggettività, la posizione dell'uomo rispetto al mondo naturale

e culturale, il significato stesso della vita - tanto nella

loro portata teoretica, quanto in quella morale e sociologica -

mostra di non poter prescindere dall'attenzione per gli

sviluppi della ricerca scientifica e dalla discussione intorno

agli strumenti e ai metodi più adatti ad un settore del sapere

che, se da un lato si è reso sempre più autonomo e distante

dalla teoria filosofica, dall'altro sembra avanzare l'esigenza

di un recupero di certi margini di apertura e di confronto con

la filosofia. Il percorso intellettuale e gli interessi

specifici di Weizsacker e di Plessner - ciascuno per il proprio

ambito disciplinare, e sia pure in forma e misura diversa - si

possono considerare in certo modo emblematici di un simile

intreccio di problemi e difficoltà, come d'altronde lo possono

essere della diffusa richiesta di una generale revisione delle

fondamenta logiche e metodologiche della conoscenza

contemporanea.

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Appassionatosi allo studio della fisiologia sin dal

trasferimento all'università di Freiburg nel 1906, Viktor von

Weizsacker (1886-1957) prese a frequentare l'Istituto

Fisiologico di J. von Kries dedicandosi prima alla riproduzione

dell'eccitazione nervosa, poi - tornato a Freiburg dopo un

breve periodo di studio a Heidelberg ed il superamento

dell'esame di stato - a problemi di fisiologia cardiaca. Il suo

intenso lavoro di ricerca proseguì presso la prestigiosa

clinica neurologica di L. von Krehl di Heidelberg fino al 1917,

ove i suoi studi si indirizzarono verso la realizzazione di un

programma di sviluppo di fisiologia patologica dei sensi.

Questi lavori, di grande importanza per la direzione che

prenderanno i suoi interessi teoretici, vennero ripresi da

Weizsacker, dopo il periodo bellico, prima in qualità di

assistente, poi di direttore del reparto neurologico della

medesima clinica. La partecipazione intensiva ad alcuni

seminari di W. Windelband durante il periodo universitario

testimonia il precoce interesse di Weizsacker per la filosofia

-rafforzato dall'intima amicizia stretta con il coetaneo F.

Rosenzweig - un interesse che accompagnerà costantemente la

riflessione scientifica di Weizsackerl.

Più giovane di soli sei anni, Helmuth Plessner (1892-1985)

studiò medicina, zoologia e filosofia nelle Università di

Freiburg, Heidelberg, Berlin e Gottingen, per laurearsi in

filosofia a Erlangen nel 1916. Costretto al trasferimento

all'estero dalle vicende politiche della Germania, Plessner fu

1 Per informazioni sulla vita e l'itinerario scientifico di V. von Weizsicker si possono consultare gli scritti autobiografici Katur und Geist (1954) e Begegnungen und Entscbeidungen (1949) contenuti in W-GS I (pp. 11-194; pp.195-399) e Neines tebens bauptsicblicbes Be1uhen (1955} in W-GS VII (pp. 372-393); si possono vedere inoltre: !h. Henkel1ann, Yiktor von Neizsicker (1886-1957}. Naterialien zur teben und Neri, Heidelberg, Springer, 1986; Id., Yiktor von Neizsicker. t'uo1o e la sua opera, in V. von Weizsicker, filosofia della Jedicina, Milano, Guerini, 1990, pp. 17-75; M. Wein, Die Neizsickers. Gescbicbte einer deutscben !a1ilie, Stuttgart, Deutsche-Verlags, 1988, pp. 341-410.

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ospite dal 1934 dell'Istituto di Fisiologia di Groninga, dove

mediante studi e sperimentazioni potè approfondire, in

collaborazione con F.J.J. Buytendijk, quegli interessi

scientifici che lo avevano spinto sin dalla giovane età ad

occuparsi di problemi di biologia. La sua produzione

filosofica, assai vasta, si sviluppa sul comune denominatore

dell'analisi della natura e delle condizioni di vita dell'uomo,

uno studio ricco e multiforme, segnato dal confronto con la

scuola di Marburg e con il pensiero fenomenologico ed

ermeneutico, fortemente incline alla realizzazione di un

programma filosofico di stampo diltheyano2.

Plessner e Weizsacker hanno dunque frequentato -

pressappoco negli stessi anni - il medesimo ambiente

universitario, hanno avuto contatti con i medesimi

rappresentanti della cultura scientifica e filosofica del tempo

e hanno in parte condiviso interessi simili. E tuttavia essi

non hanno avuto contatti personali o scambi intellettuali

documentabili 3 e non si può parlare di una reciproca influenza

tra le loro concezioni: proprio questo dato rende forse più

interessante un confronto delle loro posizioni. Ma la

motivazione principale che ha suggerito l'accostamento di

Weizsacker e Plessner è data dalla singolare e significativa

vicinanza che mostrano l'elaborazione teorica di alcuni

interrogativi emersi dal dibattito filosofico-scientifico

2 Per le notizie biografiche si veda la Selbstdarstellung di H. Plessner in P-GS l, pp. 302-341. 3 Rel 1927 Weizsacker pubblicò il saggio Oeber 1ediziniscbe Antbropologie nella rivista «Philosophischer Anzeiger, fondata e curata tra gli altri da Plessner, che professional•ente conosceva, come dimostra l'apprezza1ento fatto al suo contributo Yitalis1us und lrztlicbes Oenken (P-GS Il, pp. 7-27) comparso nel 1922 nel saggio Oeber CesinnungsvitalisJus (cfr. «Klinische Wochenschrift) 2 (1323), pp. 30-33, p. 30}. Regli scritti autobiografici troviaao incidentalmente annotata la presenza di Plessner, in occasione di un incontro tra Weizsacker e M. Scheler, alla lant-Gesellschaft di Koln (cfr. Katur uod Ceist, W-GS I, p. 31), aa il solo accenno al lavoro di Plessner - per buona parte delle questioni di cui ci si occupa in questa sede cronologicamente precedente a quella di Weizsicker - è un richiamo fatto in nota nel saggio del 1926 linleitung zur Pbysiologie der Sinne (W-GS III, pp. 325-427, p. 419) all'opera plessneriana Die Einbeit der Siooe del 1923 (P-GS III, pp. 7-315).

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tedesco e una certa convergenza delle soluzioni ad essi

proposte.

Il lavoro è stato suddiviso in tre parti. Le prime due si

occupano rispettivamente della teoria del Gestaltkreis di

Weizsacher - che, sulla base di rigorose sperimentazioni

scientifiche e avvalendosi di uno strumentario teorico

prettamente neurofisiologico, propone un nuovo modello

scientifico dell'attività biologica- e della teoria della

realtà organica di Plessner, una complessa e articolata

concezione delle caratteristiche dell'essenza biologica,

condotta attraverso una rigorosa deduzione aprioristica. Alle

due sezioni è stata data una diversa impostazione

principalmente a causa della necessità di offrire nei due casi

un quadro appropriato al carattere specifico della concezione.

Il concetto di Gestaltkreis di Weizsacker subisce tra gli anni

trenta e gli anni quaranta una significativa evoluzione che si

verifica parallelamente ad un essenziale ampliamento

dell'orizzonte teoretico della concezione dell'«atto biologico»

e dunque del piano di applicabilità del concetto stesso.

Elaborato come modello si spiegazione del rapporto tra

percezione e movimento nell'ottica del principio del

«cambiamento funzionale» degli organi sensomotori, il concetto

di Gestaltkreis si rivela fecondo non solo nell'ambito

specifico della neurofisiologia umana, ma sul piano generale

della definizione dell'unità intrinseca dell'atto biologico,

esso si dimostra cioè in grado di rappresentare efficacemente

il sistema strutturale dinamico e «antilogico» della realtà

organica in generale. Un'impostazione genetica dell'esposizione

consente di cogliere i momenti determinanti del passaggio -

supportato dal crescente interesse teoretico dello scienziato -

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da una concezione scientifico-funzionale del principio del

Gestaltkreis ad una visione antologica dei caratteri

fondamentali dell'organico; ma, contemporaneamente, permette di

seguire il processo di introduzione del fattore temporale nel

concetto, fattore che verrà a rappresentare nelle formulazioni

più mature del principio il cardine sul quale si sviluppa la

determinazione del carattere antilogico dell'essenza «patica» 4 •

Una simile evoluzione non trova corrispondenza nella ~~ concezione plessneriana, la cui elaborazione si presenta -

nella sola opera dedicata ad una deduzione sistematica dei

caratteri dell'essenza organica, Die Stufen des Organischen und

der Mensch del 1928- con un'impostazione stabile e in certo

modo definitiva. Essa rappresenterà per la successiva

riflessione filosofica di Plessner una base di riferimento

sicura alla quale ancorare le sue principali tesi

antropologico-sociologiche. In questo caso è parso preferibile

procedere ad un'esposizione di carattere analitico, capace di

chiarire il percorso logico della formulazione del principio

«posizionale» e di evidenziare adeguatamente i momenti salienti

della definizione dei «modali organici», la cui deduzione,

sebbene sviluppata in un contesto fenomenologico-aprioristico,

resta tuttavia vincolata nella giustificazione e nella verifica

al dato empirico percettivo.

L'individuazione tematica di alcuni essenziali momenti di

convergenza tra le concezioni dei due autori - che si spinge

talora al di là della circoscritta esposizione offerta dalle

due prime parti del lavoro - è oggetto della sezione finale, in

cui un primo breve capitolo a carattere introduttivo illustra

brevemente le posizioni di Weizsacker e di Plessner - peraltro

piuttosto dissimili- rispetto all'idea di una «scienza

4 Il pensiero di Weizsacker del secondo dopoguerra darà tuttavia al fattore temporale un risalto inferiore.

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filosofica». Fortemente critici nei confronti del sistema

positivistico e meccanicistico che domina l'ambito scientifico

e influenza la teoria filosofica, essi si fanno sostenitori di

una concezione dell'unità strutturale della natura e

dell'attività organica a cui si rende necessaria una nuova

forma logico-metodologica in grado di uscire dai rigidi schemi

imposti dalla tradizione e di cogliere la peculiarità di una

natura che si distingue anzitutto dal corpo fisico per la sua

«plasticità» e «mobilità». La necessità di superare visioni

rigidamente razionalistiche si riverbera nella rivendicazione

del valore di verità dell'attività sensibile e nel significato

di cui sono rivestite le manifestazioni comportamentali in

genere, indice della fondamentale ed imprescindibile unità

psicofisica dell'organico. Parimenti la determinazione di una

dimensione spaziale e temporale specifica della natura organica

evidenzia l'inadeguatezza e persino l'impossibilità dell'uso di

strumenti fisico-matematici nella valutazione dell'attività

vitale. Sul piano antologico, il carattere dialettico o

«antinomico» dell'essenza organica- «patica» nella concezione

di Weizsacker e «posizionale» in quella di Plessner - conduce

ad una diversificazione della struttura essenziale del vivente

rispetto al semplice corpo «antico» che viene elaborata dai due

autori in termini sostanzialmente simili, e che approda in

entrambi i casi alla collocazione di un principio soggettivo

alla base dell'essenza biologica; un principio, portatore di

quel carattere dialettico e antinomico, la cui massima e più

contrastata espressione è rappresentata dalla profonda

inquietudine caratteristica del vivere e del «patire» umano.

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Parte I

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Premessa

Intorno alla fine degli anni venti Weizsacker comincia a

lavorare a quel nucleo tematico che darà origine alla complessa

e polivalente teoria del Gestaltkreis. Vi contribuiscono

soprattutto numerosi esperimenti sulle vertigini, ma, prima

ancora, i risultati ottenuti da approfonditi studi sul problema

della percezione dello spazio. Ad essi Weizsacker si era

dedicato sin dai primi anni venti, quando ancora era convinto

di poter individuare un organo del senso spaziale collocato nel

cervello e capace di rappresentare gli oggetti sensibili in uno

spazio matematico omogeneo. Dal disturbo di questo organo

sarebbero derivati ad esempio alcuni fenomeni di deformazione

delle dimensioni spaziali e degli oggetti percepiti.

Appartenendo Weizsacker ancora ad una fase che egli stesso

definisce «kantiana»l, il disturbo avrebbe riguardato solamente

la costruzione geometrica di disposizioni e rapporti nello

spazio, non lo spazio in sé stesso. Ma le osservazioni

effettuate in clinica non gli permisero di confermare questa

ipotesi: non tutti i fenomeni osservati in caso di disturbo

della percezione spaziale si possono sussumere sotto il caso

del disturbo di un unico organo. Il senso dello spazio, la

capacità di orientamento in esso, si rivela piuttosto come il

risultato di una molteplicità di prestazioni organiche

indipendenti tra loro. Lo spazio della percezione finisce col

non poter più coincidere con uno spazio matematico di tipo

kantiano le cui leggi, anzi, ne vengono chiaramente

contraddette2.

L'idea della necessità di una revisione delle basi teoriche

1 Cfr. Katur und Geist (W-GS I), p. 90. 2 Si veda ivi, p. 92.

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della fisiologia tradizionale ~ insieme del significato che

spetta a questa scienza nell'ambito degli studi biologici si

rafforza in Weizsacker in concomitanza con lo svolgersi delle

considerazioni specifiche concernenti i risultati dell'attività

sperimentale pratica. Il problematico fenomeno dell'illusione

dei sensi, ad esempio, - molto trascurato, quando non

addirittura completamente occultato dalla storia della

fisiologia- viene ad assumere nel corso dell'indagine un

valore prioritario. Esso permette a Weizsacker di avanzare

rilevanti ipotesi di critica del metodo e di definire alcune

premesse necessarie ad uno studio fisiologico rinnovato:

innanzitutto una deduzione strettamente fisiologica delle

prestazioni sensorie porta spesso a forti incongruenze; a ciò

si aggiunge che nella spiegazione di questi processi i vissuti

soggettivi devono essere considerati parte integrante di essi,

come lo deve essere la possibile contraddizione tra quanto è

presentato dai sensi e quanto è offerto dallo stato di cose

oggettivo.

Le ricerche sperimentali sulla patologia delle funzioni

sensorie, che si avvalgono di numerose osservazioni di casi

clinici, lo conducono alla formulazione del principio del

«cambiamento di funzione» (Funktionswandel) degli organi di

senso. Di fronte al manifestarsi di un disturbo (Storung) di

determinate prestazioni sensorie non si verifica una semplice

soppressione della funzione da essi svolta, ma un cambiamento

della funzione complessiva- mediante cui l'organismo,

svolgendo un'attività creativa di trasformazione dei propri

processi biologici - tenta di porre rimedio ad una determinata

mancanza. Assunto questo punto di vista, il concetto di

«funzione» (Funktion) non può più essere legato all'idea di

un'azione fissa, ma lo si deve rivedere in relazione ad un

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ordine più fluido del processo organico: quello della

«prestazione» {Leistung) dell'organismo3.

Tra il 1931 ed il 1933, P. Vogel, sotto la guida di

Weizsacker, si dedica allo studio delle vertigini otocinetiche

da rotazione e dei fenomeni ad esse connesse. L'equilibrio

corporeo costituisce una delle prestazione organiche più

essenziali e complesse e Weizsacker, approfondendo l'analisi di

un fenomeno di disturbo come la vertigine, ritiene possibile

raggiungere risultati considerevoli riguardo al principio del

cambiamento funzionale. La conclusione che permette di trarre

il lavoro di Vogel conferma l'indipendenza del verificarsi

della vertigine dal legame ad un organo specifico, poiché si

osserva che per il soggetto sottoposto ad esperimento «ciascuna

delle velocità critiche della rotazione corrisponde a

determinate composizioni dell'attività motoria e della

percezione»4. La vertigine si origina dalla composizione di

funzioni statiche, ottiche e vestibolari ed il soggetto

dell'esperimento mostra la possibilità di adottare due

differenti soluzioni al mantenimento dell'equilibrio: l'una

percettiva, l'altra motoria. La perfetta equivalenza sul piano

funzionale di tali soluzioni implica una precisa valutazione -

o rivalutazione - sul piano teoretico, del significato del dato

psichico «soggettivo» e del dato fisico «oggettivo»: «al posto

di un movimento percepito può comparirne uno effettuato e

viceversa: qui si introduce la concezione del Gestaltkreis» 5 •

Alla teoria del cambiamento funzionale, dal valore

3 Cfr. ivi, p. 71 e p. 73; si vedano inoltre di Weizsacker lunktionsvaodel der Sinne del 1940 e !unktionsvandel und Gestaltkreis del 1950 {W-GS III, pp. 577-594 e pp. 619·634). Un'importante implicazione di questo principio è la revisione del concetto positivistico di malattia, che nel pensiero di Weizsacker avviene attraverso il recupero di aotivi caratteristici del roaanticis1o tedesco. A questo proposito si può vedere Th. Henkelaann, Viktor von Keizslcker. L'uo1o e la sua opera in V. von Weizsacker, filosofia della Jedicina, Milano, Guerini e Associati, 1990, p. 20 e p. 27. • Katur und Geist (W-GS I), p. 73. 5 lvi, p. 74.

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specificamente neurofisiologico, subentra la concezione del

Gestaltkreis che rappresenta il tentativo di inquadrare la

realtà dell'accadere organico secondo un piano teorico e

metodologico dalle premesse sostanzialmente rinnovate. Per

ottenere una risposta realmente esaustiva ai problemi posti

dalla fisiologia occorre risalire a domande più fondamentali, e

infine alla domanda di base dello studio biologico: «cosa si

deve dunque intendere propriamente per realtà biologica

essenziale?»6.

Con il principio del Gestaltkreis i fenomeni psichici ed i

fenomeni somatici vengono considerati alla luce della loro

fondamentale scambiabilità reciproca in vista dell'ottenimento

di una prestazione (Leistung). La prospettiva in cui si radica

la nuova visione del rapporto tra psichico e fisico si

differenzia sostanzialmente dalla concezione psicofisica

elaborata da Fechner, ed in genere si distanzia dal concetto di

movimento psicofisico volontario7. Essa rende necessaria una

profonda modificazione dei metodi e dei fondamenti della

fisiologia e «possibilmente - dichiara Weizsacker - dovrebbe

condurre ad una revisione, o addirittura una rivoluzione dei

concetti fondamentali»& dell'intera scienza della natura.

6 lvi, p. 76. 7 Cfr. iv i, p. 74. 8 lvi, p. 76.

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I. Der Gestaltkreis (1933): premesse scientifiche

La circolarità sensomotoria

La prima articolata formulazione della teoria del

Gestaltkreis risale ai primissimi anni trenta. Compare nel 1933

sullo Pflugers Archiv dove viene calorosamente accolta come un

interessante contributo offerto alla moderna fisiologia del

sistema nervoso e degli organi di sensol. Il saggio propone di

considerare se non si debba ritenere necessaria una sostanziale

correzione alla teoria delle funzioni organiche distinte

tradizionalmente in sensibili e motorie. Il proposito della

teoria del Gestaltkreis in questo saggio si può individuare

anzitutto nell'impegno a risolvere le principali difficoltà che

affliggono per un verso la teoria del riflesso, per l'altro la

fisiologia della percezione, mediante l'elaborazione di una

concezione unitaria delle funzioni sensomotorie che risulti

dotata di un solido fondamento, sperimentalmente comprovato,

capace di scalzare alla radice il dualismo tradizionale. Se si

perviene al riconoscimento che la vita consiste

fondamentalmente in un intreccio - un'autentica fusione - di

attività motoria e attività percettiva, essa deve

conseguentemente venire considerata come un «atto biologico»

unitario non scomponibile in parti o in momenti connessi

secondo una successione causale lineare. Dopotutto - sostiene

Weizsacker - «non possiamo fare nulla senza anche sentire

qualcosa, non possiamo sentire nulla senza avere anche un

qualunque comportamento motorio: ogni separazione è già

un'"astrazione". La vita, perciò, non è mai un o- o» 2 • Il

1 Cfr. Der Gest1ltkreis, d1rgestellt als psychophysiologiscbe Analyse des optischen Drehversuchs, «Pflugers Archiv fur die gesaate Phisiologie) 231 (1933), pp. 630-661 (cit. W-Gestaltireis 1933), p. 630, nota. 2 lvi, p. 631.

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saggio si presenta come una visione generale dei dati empirici

e degli elementi teorici che giustificano una formulazione in

senso «dinamico» della relazione sussistente tra la funzione

percettiva e la funzione motoria dell'organismo 3 •

Un'analisi non pregiudiziale del processo percettivo

evidenzia come nella successione temporale le azioni che danno

luogo alla percezione si rapportino l'una all'altra secondo una

disposizione circolare. Sensazione e movimento, percezione ed

azione, si susseguono e si scambiano reciprocamente nel dare

origine al processo di conoscenza sensibile. Quale, tra

movimento e percezione, sia primo in senso causale non è

affatto decidibile: «il movimento è quanto meno una delle cause

del dove e del come della percezione, la quale torna ad essere,

allo stesso modo, causa del movimento»; se mai è possibile

stabilire, di caso in caso, un relativo «prima» e «dopo». La

dipendenza del processo percettivo rimanda perciò a se stesso

«come in un movimento circolare in cui non è possibile

stabilire dove sia l'inizio e dove la fine» 4 • Un processo

simile viene denominato Gestaltkreis. In esso non è tanto

l'idea della figura geometrica circolare ad essere importante,

quanto piuttosto «il simbolo della chiusura», l'immagine della

curva, cioè il suo «tornare su se stessa» 5 •

Se l'idea che il movimento fisiologico e la percezione del

movimento devono essere in una relazione reciproca è

generalmente accettata, il disaccordo in ambito teoretico sorge

quando si pone il problema di stabilire in che modo e secondo

quali principi l'attività fisiologica e la percezione siano

reciprocamente collegati. E' necessario riconoscere, secondo

Weiszacker, che una funzione fisiologica - un movimento

3 Cfr. ivi in particolare le pp. 644 e 661. • lvi, p. 633. 5 Ibid. Spesso Weizsicker rappresenta questo rapporto di reciprocità con l'immagine della spirale.

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materiale- e un'impressione vissuta- ad esempio l'impressione

di un movimento - appartengono a disposizioni spaziali

completamente diverse tra loro. E' un merito da ascrivere a

Wertheimer quello di aver condotto ad una simile acquisizione:

egli ha precisato che con la percezione di un movimento non si

verifica un'associazione di segni (Merkmale) di luogo o di

disposizione spaziale alla struttura nervosa, ma si ha a che

fare con una funzione (Funktion), vale a dire con un «accadere»

(Geschehen) 6 • Ad una specifica funzione fisiologica si associa

un'impressione di movimento, la quale non è da considerarsi

spaziale, quanto meno non nel senso in cui sono spaziali i

processi fisiologici materiali. Spazialità della percezione e

spazialità delle funzioni nervose materiali non possono essere

raccolte sotto un unico concetto di spazio. Si ha sensibilità

ave si abbia un'impressione presente: «il vissuto sensibile è

essenzialmente un vissuto di realtà e possiede sempre, in

quanto tale, il valore (Gehalt) di una trascendenza» 7 • Le

relazioni che si danno nell'immagine della percezione sensibile

sono perciò qualcosa di totalmente differente da quelle per cui

«le cose sono là, l'una accanto all'altra o i fatti si causano

l'uno dall'altro» 8 •

E' a maggior ragione difficile, allora, chiarire come

stiano insieme movimento e percezione. Un movimento compiuto

dall'organismo e una percezione psichica sembrano essere

attività autonome prive di un legame originario. Weizsacker,

che rifiuta la «fondazione parallela» di von Kries, secondo la

quale «con la disposizione oggettiva di certi processi

fisiologici sarebbe immediatamente data anche una

' Si veda ivi, p. 636. 7 lvi, p. 637, 1a il passo è citato dalla linleitung zur Pbrsiologie der Sinne (W-GS III, pp. 325-428) p. 331-2. Il concetto di ctrascendenza, sarà chiarito in seguito. ' linleitung (W-GS III), p. 332.

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corrispondente disposizione dell'accadere» 9 , non vede la

possibilità di definire il loro rapporto con una spiegazione di

tipo causale e conclude che occorre considerare tali attività

come componenti di un momento unitario, di un unico «atto»:

«percezione e movimento appartengono ad un atto biologico,

[ ... ]essi non devono però essere trattati come parti che

stanno l'una accanto all'altra o come causa ed effetto che si

susseguono l'uno all'altra» e il fatto che venga ora

considerato l'aspetto della percezione, ora quello del

movimento, dipende dal modo in cui l'osservatore si pone di

fronte a tale atto, e non dal processo percettivo stesso; ne

viene che «se la percezione motoria (Bewegungswahrnehmung) è un

processo a sé, la percezione non si può certo dire né auto­

percezione (percezione del proprio processo nervoso), né

percezione-di-un-oggetto (percezione di un oggetto esistente

indipendentemente da essa)»lo.

L'immagine circolare del Gestaltkreis, descritta dal

rimando reciproco di attività motoria e reazione percettiva,

costituisce l'unica forma processuale capace di abbracciare

concettualmente l'insieme delle forze interne ed esterne del

sistema organico. Nel saggio del 1927 Ueber medizinische

Anthropologie, Weizsacker aveva già precisato che la

particolarità del Gestaltkreis, ciò che lo distingue da altre

forme di processualità circolare, consiste nel fatto che non è

possibile individuare in esso una forza direzionante e solo di

caso in caso, o a seconda delle specifiche esigenze della

ricerca, si può individuare - con eguale diritto e torto - nel

movimento la guida alla forma dello stimolo, o in quest'ultima

la guida alla forma del movimento. L'idea di processo organico

9 Cfr. J. von lries, Allge1eine Sinnespbysiologie, Leipzig, 1923, pp. 211-212, cit. da Weizsicker in w­Gestaltkreis 1933, p. 636. 1o W-Gestaltkreis 1933, p. 638.

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non si esaurisce nell'individualità di un sistema chiuso di

funzioni «interne», ma apre le porte all'esteriorità

circostante: «il Gestaltkreis include cosi il mondo interiore e

l'ambiente dell'organismo in un intero»ll. L'organismo è

infatti sempre calato in un ambiente (Umwelt) e posto con esso

in una relazione di intreccio cosi profondo che il confine tra

essi non è di fatto determinabile. Il limite tra la realtà

organica e l'ambiente circostante si può pensare come

differibile e comunque esso non è coincidente con l'apparire

fenomenico: «la questione riguardante dove comincia il mio

possesso corporeo e spirituale e finisce il mio ambiente non si

può cogliere nella datità del fenomeno, ma va considerata

secondo la dinamica processuale del Gestaltkreis» 1 2.

La forma concettuale del Gestaltkreis mostra di non avere

quelle caratteristiche di evidenza ed intuitività che sono

richieste dalla logica classica. La sua struttura razionale

appare del tutto estranea ad un sistema logico operativo in cui

il principio di non contraddizione svolge un ruolo decisivo. Se

infatti la principale caratteristica del Gestaltkreis consiste

nella indifferenza essenziale della direzione che può assumere

il rapporto causale degli elementi - che può essere ribaltato

in qualunque momento -, la logica tradizionale non può che

riscontrare in esso una contraddizione. Per questo la struttura

del Gestaltkreis viene definita da Weizsacker «antilogica»:

«Antilogica è dunque una struttura gnoseologica che di fronte

ad un processo fa uso della possibilità di scelta di direzioni

contraddittorie»13.

Nell'applicazione ad un simile sistema strutturale il

11 Deber lediziniscbe Antbropologie (W·GS V, pp. 177-194), p. 184. 12 V-Gestaltkreis 1933, pp. 655-6. Veizsicker fa qui un esplicito riaando al saggio di Plessner e Buytendijk Die Deutung des 1i1iscben Ausdrucks, comparso in «Philosophischer Anzeiger, 2 (1925): si veda ivi, p. 656, nota 1. 13 Jed. Antbropologie (V-GS V), p. 185.

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procedimento scientifico risulta estremamente versatile, sia

riguardo ai dati sui quali lavorare, sia riguardo al

procedimento del ricercatore, che riveste ora il ruolo di parte

integrante e determinante dell'esperimento. L'osservatore non è

affatto un elemento indifferente ed estraneo ad una realtà

oggettiva semplicemente osservata e descritta «da fuori», ma

soggetto attivo, che partecipa e prende decisioni che si

ripercuotono sul'accadere di fronte al quale egli si pone.

Dietro questa «introduzione del soggetto» nell'osservazione

empirica si dischiude il campo di un'ampia ed articolata

critica al metodo positivistico applicato allo studio

biologico, critica che Weizsacker matura specialmente sulle

riflessioni inerenti la sua attività medica nel rapporto con il

paziente e in relazione al concetto di malattia. Weizsacker

recupera a tale riguardo una concezione direttamente

ricollegabile alla tradizione del romanticismo tedesco 14 ,

orientata comunque a raggiungere, in primo luogo rispetto

all'esperienza pratica, una cognizione complessiva del reale

accadere che - senza perdersi in suggestioni più o meno

nostalgiche - sappia rendersi efficace e funzionale.

La sua critica si rivolge quindi al metodo e al senso, al

valore stesso dell'indagine sull'organico, e si volge anzitutto

all'esperimento, il suo principale strumento. L'osservato non

può darsi nella sua integrità se isolato e decontestualizzato

dall'insieme di relazioni che contribuiscono e anzi

condizionano la sua specificità. Anche l'osservatore è parte

dell'osservato; non lo è tuttavia contemporaneamente al suo

essere osservatore: il cosiddetto «fattore di non

1' Oltre a Th. Benkelmann, Y. von Keizsicker. L'uo1o e la sua opera, cit., pp. 26-27, si vedano le considerazioni di Veizsicker nella recensione tRo1antiscbe KedizinJ. 1u1 ferk von ferner Leibbrand (V-GS I, pp. 544-547).

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contemporaneità» (Ungleichzeitigkeits-Faktor)lS, detto anche­

con un'espressione estremamente intuitiva - «principio della

porta girevole» (Drehturprinzip), denota una relazione di

alternanza e scambievolezza tra gli elementi dell'accadere

esperienziale e mette in rilievo la «versatilità» dell'insieme,

la valenza plurima tanto del dato esperienziale - della realtà

del vivente e di quella dell'ambiente nel contesto del ciclo

biologico- quanto dell'osservatore.

Riflessioni sul concetto di tempo

Solo nel penultimo capoverso del saggio del 1933 il fattore

temporale fa una rapida comparsa: «Non possiamo formulare tutto

ciò senza chiamare in aiuto il tempo; detto altrimenti: per

impadronirmi della molteplicità del Gestaltkreis devo muovermi

nel tempo, non solo a causa della cosiddetta ristrettezza della

coscienza[ ... ], ma a causa della rottura necessaria al

cambiamento di una connessione o di un ordine; a causa delle

modalità del dato che si escludono reciprocamente e nondimeno

dell'atteggiamento verso di esse»16. E' però chiaro che a

questo proposito non si farà riferimento al concetto di tempo

matematico-obiettivo della fisica classica, esattamente per le

ragioni implicitamente menzionate nel passo sopra citato:

perché sono qui in gioco vissuti esperienziali e non semplici

datità «oggettive» e perché si ha a che fare con peculiari

modalità del dato difficilmente omologabili a quelle di oggetti

misurabili e collocabili in un tempo omogeneo continuo. La

1s Cfr. W-Gestaltkreis 1933, p. 659. 16 lvi, p. 660.

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necessità di introdurre il fattore temporale nell'elaborazione

teorica della struttura del Gestaltkreis rimane in questo

saggio solo accennata. Si può dire che si tratta di una

necessità ancora sostanzialmente estrinseca e derivata

logicamente dalla riflessione sull'applicazione del concetto al

concreto fattuale.

Riflessioni importanti sul concetto di tempo sono invece

contenute nella Einleitung zur Physiologie der Sinne del

1926 17 • Tra il tempo della percezione o tempo vissuto ed il

tempo oggettivo della fisica viene posta una netta linea di

demarcazione. Esiste, secondo Weizsacker, una specifica sfera

della Lebenszeit, la cui legislazione è cosi distante da quella

del tempo obiettivo in cui si muovono gli oggetti della fisica

da rendersi necessaria una formulazione autonoma dei suoi

parametri di misura e comparazione. Un efficace confronto tra

tempo fisico e tempo storico viene riconosciuto da Weizsacker

all'opera di Bergsonls, che nell'Essai sur les données

immediates de la conscience ha individuato nella durée la forma

originaria del vissuto temporale, lo specifico carattere che

contraddistingue il tempo vitale e lo contrappone al tempo

fisico-matematico19. Weizsacker si richiama senz'altro a

Bergson anche nel sottolineare il carattere spaziale delle

determinazioni temporali in uso nel linguaggio comune come

nella scienza: «punto temporale», «luogo temporale», «lasso

temporale», sono espressioni coniate in seguito ad una sorta di

proiezione dell'accadere temporale sul piano spaziale. Eppure,

17 Einleitung (W-GS III), pp. 398-406. 18 lvi, p. 398. si veda anche Der Gestaltkreis. fbeorie der linbeit von Nabroeb1en uod Beregeo, Stuttgart, Thieme, 19401, 1996' (cit. V-Gestaltkreis 1940), pp. 139-140. 19 Essai sur Jes doonées i11ediates de la cooscieoce (tesi di dottorato- Faculté de Lettres de Paris), Paris, Alcan, 1889 (trad it. Saggio sui dati i11ediati della 1e1oria, in Id., Opere 1889-1896, a cura di P.A. Rovatti, Milano, Mondadori, 1986). A proposito dell'iapotanza di Bergson sul pensiero di Veizsàcker si veda s. Baondts, Keoscbeorerdeo in Beziebuog: eine religionspbilosopbiscbe Uotersucbuog der Jediziniscbeo Antbropologie Yiktor voo Neizsackers, Stuttgart, Froaaann-Holzboog, 1993, pp. 199-200.

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le espressioni proprie della temporalità vissuta, il cui

carattere è relativo, non abbisognano affatto di un accordo con

il tempo oggettivo2o. La loro relatività non concerne le

percezioni in se stesse, ma si riferisce essenzialmente proprio

al loro rapporto con il tempo oggettivamente misurabile:

«definito questo [il tempo oggettivo] come omogeneo ed

affermatasi questa definizione, il tempo percepito è, in

relazione ad esso, non omogeneo e solo relativo» 21 .

Sebbene le considerazioni inerenti le caratteristiche del

vissuto percettivo - sia quelle riguardanti l'impossibilità di

descriverle adeguatamente mediante espressioni fisico­

matematiche, sia quelle che conducono ad un inevitabile

conflitto del vissuto con le determinazioni cosiddette

oggettive - siano da Weiszacker ritenute valide egualmente per

lo spazio e per il tempo22, egli trova evidente, anche negli

studi fisiologici, che tra la dimensione spaziale e quella

temporale sussiste una certa - diciamo - sproporzione. «Mi

sembra verosimile - sostiene Weiszacker - che a fondamento di

ciò sia una qualche particolarità molto profonda del tempo»2 3 •

E' questa peculiarità del tempo che, ad esempio, spiega la

scelta di Kant di farne la forma del senso interno e dà ragione

del fatto che buona parte della psicologia contemporanea ne

segua le orme. Questa incorre, tuttavia, in obiezioni

elementari, e la psicofisica, che cerca di porre rimedio ad

alcune delle difficoltà incontrate dalla psicologia di

derivazione kantiana, compie l'errore di attribuire alla

temporalità psichica il senso della temporalità obiettiva della

20 V-Einleitung, p. 399. 21 ivi, p. 399. zz Quanto alle questioni generali concernenti la percezione del tetpo, Veizsacker ritanda, infatti, al paragrafo precedente della Einleitung in cui sono trattate le «disposizioni spaziali,, Cfr. ivi, pp. 373-398. 23 ivi, p. 400.

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scienza24.

La percezione del movimento nel tempo mostra una sua

specificità anzitutto nell'essere priva di una regolarità di

fatto comprovabile. Egli ritiene che il tempo si mostri come

fenomenicamente presente solo quando ci si trova in relazione

ad esso in qualità di percipienti, altrimenti non lo è affatto

- non più di quanto lo sia lo spazio circostante mentre si

esegue un'operazione logica. Perciò l'idea che la realtà

psichica si disponga regolarmente nel tempo non è altro che un

costrutto, un'inferenza, non essendo dimostrabile essa stessa

come fenomeno nel flusso dell'accadere psichico.

Il punto di massimo interesse per la precisazione della

peculiarità del tempo è offerto dall'analisi di quelle

disposizioni temporali le cui connessioni con le percezioni

sensibili vengono talora riconosciute, talaltra invece

contestate: si tratta dei ricordi - più in generale degli atti

mnemonici. Se si distinguono - come sembra doveroso fare - una

memoria intesa come «atto nel tempo», ossia la memoria

dell'apprendimento, e una memoria come «atto di

identificazione», per mezzo della quale si ottiene il ricordo

con la collocazione del fatto nella sfera storica, la

separazione di tempo storico e tempo matematico appare

inevitabile. Premesso che le disposizioni temporali vengono

sempre vissute anche come disposizioni ritmiche, come composti

dotati di una forma caratteristica, quando, ad esempio, si

ascolta una canzone nota si verifica un atto di riconoscimento

mediante l'individuazione nella memoria di un ordine temporale

precedentemente percepito; quando si reincontra una persona

dopo molti anni, oltre ad aversi un riconoscimento, si ha la

possibilità di rendersi conto di un cambiamento avvenuto «nel

24 ivi, p. 400 sg.

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tempo» mediante la collocazione del percepito in un dato punto

del vissuto temporale. Quest'operazione consente altresì di

ricordare il luogo temporale passato e di vivere il presente

sensibile come temporalmente determinato mediante

l'avvicinamento ideale di uno scopo posto nel futuro o di un

avvenimento del passato. Il riconoscimento - vale a dire il

rendersi conto di un «già visto» o «già sentito» - e la sua

collocazione nel vissuto temporale, sono operazioni tra loro

strettamente connesse. Esse denotano l'intervento di una

percezione temporale storica2s.

Tutto ciò che è determinante nell'ambito dei vissuti

temporali - per la loro collocazione nel fluire del tempo, la

loro comparazione, o semplicemente la loro esperienza, cioè la

scelta di punti di allacciamento e di criteri di misurazione e

raffronto, rappresentati da momenti e periodi precisi della

vita reale - dal punto di vista matematico non può che essere

considerato arbitrario. In questo ambito, il tempo della fisica

può solo costituire un mezzo metodologico e astratto mediante

il quale rilevare la totale indipendenza dei tempi vissuti e

percepiti - tempi affatto reali e ben determinati - dalla sfera

della natura esterna26.

2s Cfr. ivi, pp. 402-403. Va precisato che il cteapo storico, a cui Weizsacker si riferisce non è quello della successione di fatti eapirici oggetto di studio dello storico. Quello è cteapo depositato nella aeaoria,, capace di descrivere solo il passato con l'intervento deterainante della posizione dello storico, il quale, per di più, guarda attraverso un teapo calcolato secondo i criteridi della fisica: si veda di Weizsàcker Gestalt ond leit, Balle, Hieteyer, 1942 {cit. W-leit), p. 18. 26 Cfr. Einleitung {W-GS III), p. 404.

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II. Tra 1933 e 1940:

Lo sviluppo di alcuni concetti

L'introduzione del concetto di «tempo biologico~

a. Lo «zeituberbruckende Gegenwart» di P. Auersperg.

L'importanza ricoperta dal tema del tempo nell'opera di

Weizsacker si manifesta gradualmente con l'ampliarsi della

portata scientifico-filosofica della teoria del Gestaltkreis.

Negli scritti Der Gestaltkreis del 1940 e Gestalt und Zeit del

1942 troviamo le formulazioni più ricche e articolate del

concetto di tempo: in esse il fattore temporale rappresenta un

elemento cardine assolutamente imprescindibile.

Si può indicare come momento essenziale per l'introduzione

del tempo nella teoria weizsackeriana l'intensificarsi della

collaborazione scientifica con A. Auerspergl, la cui attività

sperimentale approda, intorno alla metà degli anni trenta, alla

formulazione del concetto di «tempo biologico». Il contributo

di Auersperg alla ricerca di nuove risposte ai problemi posti

in ambito biologico dalla conservazione dei fondamenti classici

della fisiologia era apparso a Weizsacker non del tutto

soddisfacente, «ma - dichiara Weizsacker - trovai nelle sue

riflessioni e nei suoi esperimenti anche un elemento affatto

differente, non del tutto facile da estrapolare, che doveva

però condurci a progressi più fondamentali. Si tratta

dell'introduzione di un "concetto di tempo biologico"

nell'interpretazione degli esperimenti fisiologici» 2 • Le

constatazioni sperimentali di Auersperg mettono in chiara luce

1 Cfr. S. Eaondts, Nenscbenrerden in Beziebung, cit. p, 202. 2 Katur und Geist (W-GS I), p. 77.

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che il tempo vissuto {erlebte Zeit) non è il tempo della

misurazione fisico-matematica, ma tempo presente che connette

passato e futuro: «il tempo vissuto è costituito in maniera

completamente diversa dal tempo matematico. Il tempo matematico

è un continuum pensato come lineare e omogeneo; il tempo

vissuto è presentificazione di una connessione che dal passato

va verso il futuro attraverso il presente»J. Il piano del

vissuto - in cui gli oggetti esistono «attraverso» il tempo

(durch der Zeit hindurch) - si separa dal piano del concetto

fisico - ove gli oggetti si trovano in relazione reciproca

«nel» tempo.

Dedicandosi allo studio di fenomeni ottici già noti a Mach

con il nome di «strisce irregolari dell'immagine postuma»

{regelwiedriger Nachbildstreifen), Auersperg pose l'accento sul

dato temporale emergente dall'illusione del sincronismo, sul

fatto cioè che nella percezione ottica si verificasse talora

una sorta di «scomposizione» e «ricomposizione» dei tempi

sperimentali oggettivi con i quali veniva presentata una

successione di punti luminosi. Tale dato offriva lo spunto per

rivedere non solo le basi del principio secondo cui si

dispongono percettivamente i fenomeni ottici, ma altrettanto il

significato da attribuire alla dimensione temporale nel

processo percettivo: «fummo allora costretti dai nostri

risultati - afferma Auersperg in un saggio elaborato nel 1935

insieme a H. Sprockoff - a cercare la forma adeguata per la

rappresentazione dell'ordinamento biologico non nell'ambito

della situazione stessa, ma nella dimensione temporale» 4 • In

3 lunktionsrandel der Sinoe (W-GS III), p. 587. J. von Kries aveva insegnato che il tempo non è esso stesso oggetto di percezione, a aeno che non ci si occupi di intervalli, velocità, ecc.; 1entre gli oggetti della percezione sono presenti o trascorsi nel teapo. Ma questo principio, sostiene Weizsicker, non è in sé ditostrabile. • Auersperg, A.P. - Sprockhoff, H., lxperi•entelle Beitrige zur lrage der lonstanz der Sebdinge und ibrer lundierung (1935) «Pflfigers Archiv fùr die gesaaate Physiologie, 236 (1936), pp. 301-320, p. 308.

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particolare il fenomeno della visione simutanea di processi

diacronici metteva in discussione la possibilità di

un'interpretazione parallelistica della percezione,

determinando la successione causale fenomenica una rottura del

nesso causale lineare indispensabile alla spiegazione fisico­

oggettivistica. La componente prolettica che si evidenzia con

l'aspettativa di un certo esito nella visione dell'immagine

offre un valido sostegno al quadro teorico impostato

dall'indagine weizsackeriana: «se allora vogliamo andare più a

fondo nel significato biologico dei nostri risultati fenomenici

-che può essere anche solo la collocazione dell'individuo nel

suo ambiente - dobbiamo porre, al posto della dipendenza

univoca del reagente dall'ambiente, un nuovo concetto di

disposizione che sulla scorta della teoria del Gestaltkreis di

von Weizsacker denominiamo coerenza»s. Lo specifico carattere

della temporalità percettiva - definita da Auersperg «creativa»

- si dimostra la fluida compresenza di porzioni temporali

differenti nello «zeituberbruckende Gegenwart» 6 : non si tratta

di un qualunque puntiforme «presente» indicato su di un asse

temporale omogeneo, ma di un'«attualità» che connette il

passato al futuro in una forma temporale presente capace di

indicare - afferma Auersperg - «quella temporalità comprensiva,

estensiva che poniamo alla base della costituzione della

"realtà"»'.

5 lvi, p. 312. Sul concetto di «coerenza) si veda oltre. 6 lvi, p. 316. 1 lvi, p. 317.

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b. Il tempo «centrato nel presente»

Nel saggio Gestalt und Zeit Weizsacker sostiene che

l'elaborazione del concetto di tempo biologico costituisce il

risultato di una ricerca del tutto autonoma dalla discussione

filosofica che ha visto protagonisti pensatori come Bergson,

Scheler e Heidegger. Essa si baserebbe infatti sui risultati ai

quali ha condotto un preciso percorso metodologico

rigorosamente scientifico e non rappresenterebbe affatto -

precisa Weizsacker - un'«applicazione di quelle precedenti

conoscenze»s, ma un conseguimento «parallelo» ad esse.

Weizsacker sembra alludere in tal modo alla possibilità di

vedere nei risultati teorici ottenuti in campo scientifico un

parziale «analogo» - e per certi aspetti una conferma - del

nucleo comune individuabile in alcune concezioni filosofiche

del tempo. D'altronde, l'indipendenza dell'indagine e del

processo di formulazione del concetto weizsackeriano di tempo

dal dibattito specificamente filosofico non esclude, di per sé,

la possibilità di un'influenza, diretta o indiretta, di certe

idee e principi contemporanei sulla sua posizione 9 •

In ogni caso, è certamente significativo che sia lo stesso

Weizsacker a suggerire la stretta vicinanza della propria

concezione a quelle dei filosofi sopra menzionati. Abbiamo già

trovato nell'opera weizsackeriana espliciti rimandi al pensiero

di Bergsonlo e per quanto concerne Scheler, questi ha avuto con

Weizsacker un rapporto d'amicizia e di scambio intellettuale

8 W-Zeit, p. 8. 9 E' noto che in particolare la filosofia heideggeriana ha avuto una certa incidenza sul pensiero scientifico conte1poraneo. Si possono vedere a proposito: Astrada, C. (a cura di), Kartin Heideggers EinfluP aut die Kissenscbaften, Bern, rrancke, 1949; Ganger, H.-H. (a cura di), Von Heidegger ber. Kirkungen in Pbilosopbie, Kunst, Kedizin, rrankfurt a.M., Klostermann, 1990. 1° Cfr. anche S. Etondts, Kenscbenrerden in Beziebung, cit., p. 199.

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che ha lasciato senz'altro la sua improntalt. Ma è sulla

vicinanza alla concezione del tempo heideggeriana - per certi

aspetti evidente, ma probabilmente da non sopravvalutare - che

la letteratura critica ha insistito in modo particolare12.

Con l'affermarsi della consapevolezza che il principio

soggettivo rappresenta un momento ineliminabile nella

descrizione dei processi motorio-percettivi si fa strada in

Weizsacker il bisogno di introdurre nello studio scientifico un

nuovo concetto di realtà, un principio che ponendosi alla base

dei risultati teorici e sperimentali ottenuti sino ad allora -

la legge del cambiamento funzionale e la teoria dell'unità di

percezione e movimento - fosse in grado di inquadrare in uno

spettro più ampio la dimensione esistenziale del vivente: «si

sviluppò l'esigenza- dichiara Weizsacker riferendosi al lavoro

degli ultimissimi anni trenta - di proiettare le ricerche non

sulla visione del mondo (Weltbild) della fisica ma sull'essenza

(Wesensbild) dell'uomo. Il Gestaltkreis- aggiunge- dev'essere

considerato anzitutto sotto questo punto di vista, poiché solo

cosi si comprende lo sviluppo storico di quest'idea, da una

colorazione positivistica al suo nucleo antropologico» 13 •

Secondo il principio di realtà che verrà affermandosi nella sua

concezione - definito «parmenideo» - «l'essere appare ai sensi:

esso solo appare, ma quanto appare è precisamente l'essere» 14 -

e Weizsacker non esita, per ulteriori chiarimenti, a rimandare

alla nota Vorlesung di Heidegger Was ist Metaphysik?15 •

In quegli anni il lavoro sperimentale di P. Christian, uno

11 Cfr. Katur und Geist (V-GS I), pp. 29 sgg. 13 Si vedano in particolare H. Buggle, Der Begriff der "leit" bei Viktor von Keizsicker und Kartio Heidegger, Diss. Heidelberg, 1964; s. Emondts, Nenscbeorerdeo io Beziebuog, cit.; D. Vyss, Viktor von Keizsickers Stelluog in Pbilosopbie uod Antbropologie der Keuzeit, in V. von Veizsacker - D. Vyss, lriscbeo Kedizin uod Pbilosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1957, pp. 181-290. 13 Katur uod Geist (V·GS I), p. 83. 14 lbid. 1S lbid.

32

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dei più stretti collaboratori di Weizsacker, particolarmente

vicino al pensiero di Heidegger, si muoveva precisamente in

questa direzione. La visione in cui si inserivano i suoi

esperimenti sulla percezione considerava il movimento colto nel

fenomeno principalmente come «attività» (Wirksamkeit),

precedente ed indipendente da qualunque rappresentazione

spaziotemporale oggettiva. Mediante l'aggancio alla specificità

della realtà strutturale dell'atto biologico - dichiara

Weizsacker - «si ottenne una nuova e sorprendente

interpretazione della percezione sensibile: essa apparve ora

non più come un velo che deforma la situazione reale fisico­

matematica, ma addirittura come la sua annunciatrice» 1 6. Le

conseguenze di questo passaggio si faranno sentire

nell'impostazione teorica di Weizsacker soprattutto nel periodo

seguente la pubblicazione di Der Gestaltkreis.

Sino ad allora non solo la filosofia esistenziale non

costituisce per Weizsacker un punto di riferimento - egli non

si è formato seguendo un itinerario teoretico affine a quello

di Heidegger o Jaspers, né tanto meno attraverso i principi del

loro pensiero, che «non costituiscono, afferma Weizsacker,

componenti della mia sostanza»17 -, ma il suo atteggiamento nei

confronti del concetto di filosofia esistenziale rimane a lungo

sostanzialmente scetticola. Si trattava in realtà di uno

scetticismo allargato alla filosofia in generale, allo stesso

«fare filosofia», dettato dalla convinzione che l'esistenza non

potesse avere il proprio compimento nel pensiero, ma

esclusivamente nella pratica. Pur essendo convinto di non avere

mai pensato sino in fondo che si potesse fare scienza senza

filosofia - questo sostiene nei suoi scritti autobiografici -

16 lvi, p. 85. 17 lvi, p. 28. 18 lvi, p. 28.

33

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la consapevolezza piena di ciò doveva maturare in lui solo più

tardi. Quanto all'esistenzialismo dichiara: «ciò che

propriamente intendevo quando sostenevo il mio scetticismo nei

confronti della filosofia dell'esistenza poté divenire chiaro

solo allorché si determinarono nuovi avvenimenti»19. In tal

modo egli, pur riconoscendo la pregiudizialità della sua prima

posizione e la possibilità di attribuire ampi riconoscimenti

alla filosofia esistenziale, non smentisce sostanzialmente la

sua posizione di distanza.

Prima di tentare qualunque avvicinamento del pensiero

weizsackeriano con la concezione del tempo di Heidegger -

poiché questo è ciò che interessa - è necessaria una breve e

persino banale premessa: è già chiaro che Weizsacker è estraneo

all'impostazione filosofica di Heidegger. Non si tratta qui di

compiere un'analisi antologico-esistenziale del Dasein ma di

valutare le componenti essenziali dell'attività biologica.

L'atto biologico si determina come «incontro» tra organismo e

ambiente. Nell'incontro il fattore temporale viene ad assumere

un ruolo prioritario, ma la temporalità non rappresenta

qualcosa come «il senso della cura»: concetti come «cura» e

come «senso» non hanno corrispondenza alcuna - almeno sino agli

anni quaranta - con le fondamenta teoretiche del pensiero

weizsackeriano. La teoria del Gestaltkreis si muove su di un

piano che Heidegger definirebbe senz'altro preontologico 20 -

Weizsacker extraontologico.

Ciò premesso, è senz'altro possibile individuare un

elemento comune al pensiero dei due autori nell'estraneità e

contrapposizione del principio temporale da essi tematizzato al

19 lvi, p. 29. ze M. Beidegger, Sein und Zeit, GesaJtausgabe 2 (trad. it. Essere e te1po, a cura di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 1976), p. 230.

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concetto di tempo fisico21: ma si tratta di un elemento ancora

poco indicativo. Una convergenza più specifica si può invece

ritrovare nel rapporto che si determina tra tempo ed ente:

l'esserci di Heidegger come il vivente di Weizsacker non sono

«calati» nella dimensione temporale, ma la temporalità

«proviene» dall'essere specifico rispettivamente del Dasein e

dell'organico 22. Ancora più significativo è il carattere per

entrambi estatico del tempo. «La temporalità - afferma

Heidegger- è l'originario "fuori di sé", in sé e per sé.

Perciò noi chiamiamo i fenomeni esaminati sotto i titoli di

avvenire, esser-stato e presente, le estasi della

temporalità»23; similmente Weizsacker definisce estatico lo

«zeituberbruckende Gegenwart»24, in cui passato, presente e

futuro si compongono in un'unità non «sommativa» - come

d'altronde aveva precisato lo stesso Heidegger2 5 -, ma

prolettica ..

Mentre però Weizsacker determina la temporalità biologica

essenzialmente come Gegenwartszeit, tempo «centrato» nel

presente, «attualità che connette passato e futuro 26, Heidegger

rivendica per il futuro il ruolo di «estasi» decisiva: non solo

il presente, ma persino «il passato scaturisce in certo modo

dall'avvenire»27. «Nell'enumerazione delle estasi- dice

Heidegger- abbiamo sempre dato il primo posto all'avvenire ..

Ciò vuol significare che l'avvenire vanta un primato

nell'ambito dell'unità estatica della temporalità originaria e

autentica[ ... ]. Il primato dell'avvenire subirà certo una

21 H. Buggle in Der Begriff der "Zeit" bei Yiktor von Yeizsicker uod Nartio Heidegger, cit., vi insiste tolto. 22 W-Zeit, p. 14 e p. 19; M. Heidegger, Sein uod Zeit, cit., J 45 e 65. 23 M. Heidegger, Seio uod Zeit, cit., p. 395. 24 Cfr. W-Zeit, p. 19. 2s M. Heidegger, Seio uod Zeit, cit., p. 392. 26 W-Zeit, p. 19. 27 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 392.

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modificazione nel processo di temporalizzazione della

temporalità inautentica, ma sarà comunque visibile anche nel

«tempo» derivato»2a. La temporalità prolettica di Weizsacker

non ha il senso dell'«essere per» il futuro; !'«attesa»

(Erwartung) caratteristica del fenomeno prolettico non è

propriamente un'«anticipazione», ma una forma di «apertura»

alla possibilità come «sospensione» - non preveggenza, ma

esposizione alla «sorpresa» (Ueberraschung); e d'altro canto,

la «decisione» che interviene nell'atto biologico a rompere

l'indeterminatezza del futuro non è Entschlossenheit che

alludendo all'eliminazione di una chiusura prepara la priorità

dell'avvenire, ma Entscheidung, un cambiamento repentino, uno

stacco che segna !'«attimo», !'«adesso», il momento preciso

dell'«ora» (Jetzt), in cui ha luogo la fondazione

dell'effettività temporale organica.

c. Tempo soggettivo e tempo organico

In un breve paragrafo dedicato al concetto di tempo in Der

Gestaltkreis del 194029 si trovano puntualizzate in funzione

del contesto teorico globale alcune riflessioni sulle modalità

e sugli oggetti della conoscenza in un passaggio essenziale che

può permetterei di cogliere al meglio la reale portata del

concetto di «tempo biologico». Il concetto di tempo - sostiene

qui Weizsacker - si mostra al senso comune per un verso sotto

l'aspetto dell'intuitività, di quell'evidenza (Anschaulichkeit)

«in virtù della quale ordiniamo gli avvenimenti nel tempo e li

possiamo esperire in una forma temporale»; per altro verso

28 lvi, p. 395. 29 W-Der Gestaltireis 1940, pp. 58-61.

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sotto l'aspetto della misurabilità di entità temporali3o. Il

fatto che questi due aspetti non si presentino come

inseparabili porta con sé la possibilità teorica che non tutto

ciò che è intuitivamente temporale sia anche misurabile, e

quindi indagabile secondo i metodi del procedimento

quantitativo. Il fatto inoltre che storicamente svariati

tentativi di presentare questi due aspetti del tempo come

inseparabili non abbiano avuto successo alcuno - né sul piano

filosofico, né su quello fisiologico, dove in particolare il

pensiero di Kant, in parte viziato da forzature e distorsioni,

aveva rappresentato un punto di aggancio durevole ma illusorio

- spinge a tentare la strada della separazione di due concetti

di tempo: «il concetto di tempo pare - per via di molti segnali

- uno di quei concetti dalla cui revisione poter sperare una

composizione del contrasto ed un ordinamento unitario del

sapere scientifico»31. Tra la temporalità «intuitiva» e la

temporalità misurabile matematicamente esiste difatti la più

grande differenza: «L'ordine intuitivo di una formazione può

essere propriamente solo descritto, il tempo matematico può

propriamente solo essere pensato o definito»32. Il dato che ne

emerge è che il concetto di tempo cambia a seconda che ci si

occupi dell'oggetto della percezione soggettiva o di quello

della conoscenza obiettiva. L'oggetto della percezione va

considerato come «esistente attraverso il tempo», secondo

l'espressione coniata da Auersperg come «zeituberbruckende

Gegenwaro33; mentre l'oggetto della conoscenza è ciò che

30 lvi, p. 58 31 lvi, p. 8. Concetto di teapo non è «uno dei tanti), uno qualunque di quelli che andrebbero riveduti, aa senz'altro il principale (insieme a quello di forma). Ma la questione può essere affrontata a partire da punti diversi, co1e di1ostra la diversa iapostazione delle opere di W., ed è quindi possibile rivolgervisi­e la cosa riguarderebbe coaunque anche il tempo - anche aediante la revisione di altri concetti della scienza. 32 lvi, p. 59 33 Cfr. Auersperg, lzperiJentelle Beitrige, cit. p. 316.

37

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consideriamo posto in un tempo omogeneo continuo. L'oggetto

della percezione anche nel cambiamento resta ciò che era e che

sarà; l'oggetto della conoscenza invece è identico a se stesso

o non lo è, è costante o non lo è, è eguale o diverso34. Le

caratteristiche degli oggetti si definiscono sulla base di

modalità diverse delle possibilità di conoscenza soggettiva:

l'una non esclude l'altra ma vanno reciprocamente distinte

insieme con i loro oggetti.

Sin qui si tratta dunque di oggetti della conoscenza in

generale, di oggetti gnoseologici che a seconda del modo in cui

vengono colti, percettivamente o razionalmente, presentano

caratteristiche temporali diverse: e ciò giustifica la

distinzione di due concetti di tempo. «Queste importanti

determinazioni - aggiunge quindi Weizsacker -, da cogliere ora

non nel concetto di tempo ma a partire dagli oggetti, hanno le

più diverse conseguenze»3s. Prosegue poi con una riflessione

riguardante gli oggetti in se stessi, nella loro specificità -

potremmo dire- «ontologica»36: poiché gli oggetti si

trasformano nel tempo divenendo «altro» da ciò che erano,

occorre poter determinare in che cosa consiste la loro

«stessità» (Derselbigkeit o Selbigkeit). Se si prende in

considerazione un organismo si può constatare che la modalità

del suo sviluppo - della trasformazione delle sue componenti e

della forma fenomenica - si fonda su di un rapporto tra

«stessità» e cambiamento profondamente diverso da quello

caratteristico del semplice corpo fisico. La sua stessità non

si fonda sull'identità delle parti materiali o del modo in cui

esso appare formalmente: qui si ha a che fare con un problema

storico-genetico e non matematico e meccanicistico. Ciò che

34 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 60. 35 Ibii 36 Weizsacker attribuisce spesso al teraine «antologia, un significato particolare: si veda oltre.

38

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appare in un dato modo soltanto «appare» cosi, non «è» anche

cosi. La stessità dell'organico consiste proprio nel fatto che

il fenomeno (Erscheinung) e ciò che appare (das, was erscheint)

non coincidono. Se una determinata cosa può essere la stessa

solo perché non «è» nello stesso tempo, ma appare diversa «nel»

tempo, significa che la cosa è trascendente il suo fenomeno. Un

sistema materiale regolamentato da leggi fisiche può essere

conosciuto solo se si ha l'identità delle sue parti e le

relazioni spazio-temporali formali sono univoche, ovvero la

somma di tali determinazioni è in accordo con il fenomeno

(Erscheinung) (le similitudini - precisa Weizsacker - non sono

che parziali eguaglianze); nell'altro caso, quello in cui

consideriamo la cosa attraverso il tempo, il fenomeno e ciò che

appare sono ben distinti. Nel primo caso gli oggetti obiettivi

sono immanenti al tempo, nel secondo sono trascendenti il

tempo37.

Nell'esemplificare le difficoltà concettuali riguardanti la

temporalità, il dualismo di tempo come oggetto della conoscenza

e come oggetto della percezione - appartenente al piano della

teoria della conoscenza - ed il dualismo di temporalità

organica e temporalità inorganica o fisica - concernente il

piano antologico - Weizsacker effettua inesplicitamente un

passaggio che trova la sua giustificazione soltanto

nell'impostazione generale di una teoria della realtà organica:

sussiste una precisa corrispondenza tra oggetti reali, modalità

conoscitive adatte a coglierli e concetti di tempo loro

adeguate, e per quanto concerne l'organico con il solo concetto

di «tempo biologico» - il «tempo della percezione» - è dato

coglierne l'essenza, non invece con le categorie della ragione.

37 Va notato che l'essere i11anente al te1po dell'oggetto inani1ato diviene un «avere teJporalità i11anente,; lo stesso vale per l'essere trascendente al tetpo.

39

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Il tempo dei vissuti ed il tempo della realtà organica sono

unificabili sotto il concetto di «tempo biologico» poiché la

percezione è attività vitale e anzi la vita stessa, l'attività

biologica in generale è esprimibile nella forma di relazione

organica percettivo-motoria.

La questione della Gestalt

L'applicazione del tempo obiettivo nella scienza biologica

come in generale il tentativo di spiegare i fenomeni organici

esclusivamente mediante i principi della fisica - spesso non

tanto falsi quanto inutili - ha complicato la situazione della

scienza anziché contribuire a trovare risposte concrete. Il

concetto di prolessi, che sarà essenziale nella definizione

weizsackeriana della realtà organica, rimane assolutamente

escluso dall'universo della fisica; qui il rapporto forma­

contenuto viene capovolto: se in ambito fisico-obiettivo il

tempo è forma della determinazione del processo, in ambito

organico il processo è forma per la determinazione temporale

(«prima~, «poi~, ecc.). L'introduzione del fattore

indeterministico che si rende indispensabile nel sistema

causale organico comporta una diversificazione del concetto di

necessità a seconda che lo si ponga in relazione al passato o

al futuro: la necessità del determinato è sostanzialmente

diversa dalla necessità che costringe alla decisione. Questa

spaccatura è all'origine della dialettica dell'organico come

forma (Gestalt) e temporalità: «La dialettica del concetto di

forma è precisamente la stessa del concetto di tempo, che si

scinde in una struttura obiettiva ed una biologica» 38 •

38 ivi, p. 24.

40

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La questione inerente il senso del vivente ha contemplato

sin dal pensiero presocratico la possibilità di ottenere una

risposta attraverso l'inclusione di principi opposti. E si

tratta secondo Weizsacker - che pensa in primo luogo ad

Eraclito, ma non esclude Empedocle e Anassimandro39 - della via

più giusta, abbandonata purtroppo - sostiene un po'

sommariamente - a partire da Platone e Aristotele, con i quali

si sarebbero formati partiti alterni a favore di singoli

principi differenti. Il richiamo al filosofo del Panta rei,

allo Skoteinòs che tenta di dire l'indicibile facendosi poeta

del Logos e tratteggiando l'inquieta armonia dei contrari, è

assai frequente, anche se per lo più solo incidentale; in

Eraclito Weizsacker vede, oltre che il padre della dialettica

del divenire, anche e soprattutto colui che più di ogni altro

ha saputo cogliere il senso antilogico più intimo della realtà

patica•o.

Ma se la filosofia ha avuto prestissimo sentore della

complessità e molteplicità di aspetti che presenta la vita, la

storia della fisiologia ci fa constatare che invece solo la

morfologia fisiologica ha saputo individuare l'importanza di

alcuni temi centrali come quelli della forma e del tempo. Per

attenerne progressi si dovranno però attendere gli ultimi

sviluppi della fisiologia della percezione. Mentre dunque la

fisiologia classica trascura completamente il problema della

forma, il movimento della Gestaltpsychologie lo pone al centro

dell'attenzione. Tuttavia- sostiene Weizsacker - la teoria

39 Si veda Anony1a Scriptura {W-GS VII), p. 56 (trad.it, Id., Anonili in. V. von Weizsicker, Filosofia della 1edicina, a cura di !h. Henkelaann, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 175-216, p. 185). Di Eraclito si possono vedere in particolare i fraamenti l; 8; 64; 65; 76; 53; 80; 88; 103 (nuaerazione Diels-Kranz). •o Cfr. Anony1a (V-GS VII), p. 56 (p. 185), dove Eraclito viene contrapposto agli idealisti tedeschi. Si vedano anche Begegnungen und Entscbeidungen (W-GS I), p. 307, e Das Antilogiscbe 1950 (W-GS VII, pp. 316-322), p. 466. Dna brevissiaa osservazione- quasi ingenua- è di dovere: ciò che per Eraclito concerne l'intero Essere ed ha valore cosaico, ciò in cui Weizsicker riconosce il palpitare del patico, viene attribuito da quest'ultiao alla sola sfera dell'organico.

41

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della Gestalt, pur avendo ottenuto risultati apprezzabili e

rappresentando comunque un passo in avanti per le ripercussioni

che l'introduzione del concetto di Gestalt ha avuto nell'ambito

fisiologico, non è riuscita a cogliere la reale entità della

questione e a darle l'impostazione più corretta41.

Un esperimento riguardante il movimento stroboscopico mette

in chiara luce quali siano i termini della principale

difficoltà incontrata dalla fisiologia classica: se vengono

presentati in successione due punti luminosi immobili, la

percezione non coglie la «datità oggettiva», una separazione

tra i punti e un rapporto cronologico causale, ma una forma

(Gestalt). Quello che si ottiene nella percezione è la

composizione simultanea di due stati successivi l'uno all'altro

e la rappresentazione percettiva di un percorso come forma di

un movimento (cioè di successivi «passati») in un «atto di

memoria»; e ciò si verifica in ogni visione di movimento. Nella

fisica tradizionale dati come il «percorso» e la «forma» non

hanno realtà alcuna. La produzione di forme si verifica

egualmente in situazioni di stasi. La percezione di forme -

considerata da Weizsacker questione specifica della biologia,

non essendo la fisica capace di occuparsene - richiede sempre

un'anamnesi e non è separabile dalla questione del tempo 42 . Da

qui i risultati dell'analisi svolta da Weizsacker si

differenziano sia da quelli ottenuti della fisiologia delle

sensazioni, sia da quelli ottenuti dalla psicologia della

Gestalt: «la ricerca analitico-causale - dichiara Weizsacker -

trova nelle Formen o Gestalten il suo limite» 43 •

41 W-leit, p. 25. Valutazioni positive dei risultati ottenuti dalla Gestaltpsycbologie si trovano in lunktionsraodel der Sinne (W-GS III), pp. 582-3; Oie fitigkeit des leotralnervensrsteJs (W-GS III), p. 564. Meno positive in: linleitung (W-GS III), p. 417 sg., Der Abbau der sensiblen lunktionen (W-GS III), p. 447. 42 Cfr. W-leit, p. 25. 43 lvi, p. 29.

42

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a. Il richiamo a Goethe

Il frequente richiamo di Weizsacker al lavoro di J. Goethe

è motivato specialmente dall'attenzione rivolta al tema della

Gestalt. La coniazione del concetto di morfologia, che si fa

risalire a Goethe 44, risponde al bisogno di dare consistenza

scientifica ad un'intuizione che coglie l'esistenza di

Gestalten in metamorfosi nel mondo naturale - oltre che in

quello storico ed artistico. La Gestalt non costituisce un'idea

intellettuale e astratta, è invece inseparabile dall'esperienza

empirica; essa coglie dinamicamente l'intero e rimanda a ciò

che più vi è di originario in natura. In applicazione

all'ambito scientifico, la morfologia diviene studio delle

forme organiche vegetali ed animali: essa «deve contenere la

teoria della forma, formazione e trasformazione dei corpi

organici». Senza alcuna pretesa di spiegare, ma proponendosi

solamente di descrivere e rappresentare, essa è da considerarsi

«o come dottrina a sé, o come scienza ausiliaria della

fisiologia»4s. Alla base del concetto di Gestalt è il divenire

caratteristico della realtà organica: «Il già formato viene

subito ritrasformato»46, per questo la percezione della forma

non può avere un carattere statico.

La corrispondenza con il concetto di Gestalt assunto da

Weizsacker non è piena, ma assai forte. Lo attesta anzitutto il

motto didascalico - omaggio a Goethe - in apertura al saggio

Gestalt und Ze1t. Si tratta della nota definizione di Gestalt

44 Il teraine venne usato priaa di Goethe da C.F. Burdach nel 1800 per indicare, indistintaaente, la foraazione organica e inorganica. Nel 1817 egli lo usò richiamandosi invece a Goethe. 45 J.W. Goethe, Vorarbeiten zu einer Pb!siologie der Pflanzen, trad. it. Id., Lavori preliJinari per una fisiologia delle piante, in Id., La JetaJorfosi delle piante, a cura di S. Zecchi, Milano, Guanda, 1983, p. 103. 4' J.W. Goethe, Die Absicbt eingeleitet, trad it. Id., Introduzione all'oggetto, in Id. La 1eta1orfosi delle piante, cit., p. 43.

43

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organica dello scritto introduttivo ai lavori di botanica del

1807: «se esaminiamo le forme esistenti, ma in particolar modo

le organiche, ci accorgiamo che in esse non v'è mai nulla

d'immobile, di fisso, di concluso, ma ogni cosa ondeggia in un

continuo moto»4 7 • La Gestalt nella concezione weizsackeriana,

sia nel più ristretto ambito della teoria della percezione, che

nel più ampio della concezione della realtà organica, è

inseparabile dall'idea di movimento ed indefinibile senza

ricorso ad esso. «Perciò - prosegue la citazione da Goethe - il

tedesco si serve opportunamente della parola Bildung,

formazione, per indicare sia ciò che è già prodotto, sia ciò

che sta producendosi. Ne segue che, in un'introduzione alla

morfologia, non si dovrebbe parlare di forma (Gestalt) e, se si

usa questo termine, avere in mente soltanto un'idea, un

concetto, o qualcosa di fissato nell'esperienza solo per il

momento» 4s. Ma la scelta terminologica di Goethe si chiarisce

meglio se si legge anche quanto nel saggio del 1807 precede la

citazione riportata da Weizsacker: «Per indicare il complesso

dell'esistenza di un essere reale, il tedesco si serve della

parola Gestalt, forma; termine nel quale si astrae da ciò ch'è

mobile, e si ritiene stabilito, concluso e fissato nei suoi

caratteri, un tutto unico»49. E' per evitare che si possa

fraintendere il senso da attribuire alla forma che Goethe

rinuncia alla parola Gestalt a favore del termine Bildung50 • Ma

rispetto alla concessione estrema fatta da Goethe - quella di

4 7 !bi d. 41 Ibid. 49 Ibid. so Sulla Bildung co•e concetto espriaente in Goethe la continuità ed il divenire del processo foraativo, si possono vedere in particolare le pp. 107-112 del saggio di S. Fabbri Bertoletti I1pulso, for1azione e organis1o. Per una storia del concetto di Bildungskraft nella cultura tedesca, Firenze (Olschki) 1989. Si veda anche il breve scritto di Goethe Bildungstrieb (1817-1818), pubblicato in lur Korpbologie I, nel 1820, in cui viene tratteggiata la genesi del concetto di «ciò che dovrebbe venire priaa che noi percepiaao qualcosa,, ovvero di cuna tendenza, un itpulso, un'attività vigorosa, da cui la fortazione sarebbe provocata, (Id., I1pulso for•ativo, in Id. La JetaJorfosi delle piante, cit., p. 142).

44

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poter forse conservare un'idea astratta di Gestalt, per quanto

inadeguata al reale essa sia -, Weizsacker è assai più

intransigente: le indicazioni di Goethe in questo senso sono

considerate contraddittorie, dato che «se si vuole determinare

una forma non è affatto possibile effettuare una simile

astrazione dal divenire temporale»sl. Inoltre, più in generale,

Weizsacker pensa che la ricerca sulla Gestalt di Goethe,

nonostante gli innumerevoli meriti che senza dubbio le

spettano, non abbia proceduto con sufficiente determinazione

verso «la nascosta essenza di tale cosa»s2.

La nozione di Steigerung, di ascesa graduale, che designa

la composizione armonica di parti o di organismi in uno

superiore e che è elemento essenziale dell'idea di formazione

di Goethe, non rappresenta un processo verticale che a partire

dal livello più basso si eleva in progressione lineare fino ai

più alto grado della forma organica, ma un movimento

ascensionale di tipo circolare. Esso mostra infatti nella fase

conclusiva il ricongiungimento con quella iniziale, e denota

un'evoluzione degli stadi di sviluppo, composti in una

polarizzazione ritmica, che determina la formazione organica,

la Bildung.

Il divenire della forma si effettua secondo una

conformazione temporale che non coincide con quella lineare

caratteristica della successione storica, ma con quella

circolare della concezione classicas3. E' necessario in ogni

caso precisare che, se la ciclicità del tempo nel pensiero di

Platone o degli stoici è connessa all'immutabilità dell'eterno

ritornos4, in Goethe la ciclicità del divenire temporale si

51 W-leit, p. 36. s 2 Ibid. 53 Cfr. s. Zecchi, Il te1po e la Jeta•orfosi, in J.W. Goethe, ta Jetalorfosi delle piante, cit., p. 22. st Si pensi alle celebri definizioni di Platone del teapo coae ciaaagine aobile dell'eternità) e «i11agine eterna che procede secondo il nuaero, (fi1eo, 37d); si veda inoltre il passo di Hemesio che descrive il

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salda con l'idea di creatività metamorfica e con la mutabilità

perpetua della forma. Se la Steigerung deve indicare un

processo realmente ascendente, pur rappresentando un ritorno al

principio, essa non può essere fatta coincidere con la statica

immagine dell'eterno eguale a se stesso. E il movimento che

viene descritto in questo modo sembrerebbe avere maggiore

affinità con l'immagine della spirale del pensiero dialettico

piuttosto che col circolo del pensiero classico. Nella

configurazione goetheiana del tempo infatti nascita e morte

ottengono il loro significato naturale di «inizio» e «fine» in

seno ad uno sviluppo processuale che mentre trova il proprio

compimento nella fase del «ritorno», dà vita ad un nuovo

inizio.

Goethe tuttavia non ha indicato nel tempo una componente

essenziale alla definizione della Gestalt, non ha affatto

individuato nel tempo, come invece fa Weizsacker, un elemento

dal rapporto imprescindibile con la Gestalt. Ma non è questo il

solo elemento di dissonanza rispetto a Goethe: nel determinare

l'idea di Gestalt, Weizsacker cerca continuamente di

sottolineare !'«apertura» verso l'esterno, verso

l'indefinibilità dei confini che delimitano la Gestalt, essendo

essa costituita proprio nel rapporto circolare con «l'altro».

Goethe non insiste invece su un simile aspetto della Bildung;

nell'osservare la creazione vegetale sembra individuare una

regola, valida per l'intera natura organica, che ne rappresenta

anzi l'opposto: «nessuna vita può agire direttamente sopra una

superficie e qui esprimere la sua forza produttiva: l'energia

vitale ha bisogno di un involucro che la protegga dall'elemento

ripetersi eterno del aoto degli astri misura del teapo: «poi di nuovo si ritorna dal principio allo stesso ordine cosaico e di nuovo tuovendosi gli astri ugualmente, ogni avvenitento accaduto nel precedente ciclo torna a ripetersi senza alcuna differenza. [ ... ]Questo ritono universale si effettuerà non una sola volta aa aolte volte e all'infinito, (De nat. bo1., 38).

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esterno, sia esso acqua o luce o aria, e difenda la sua

esistenza delicata, in modo ch'essa compia ciò che alla sua

essenza interna appartiene. [ ... ]Tutto ciò che deve prendere

vita, tutto ciò che deve agire in modo vivo, dev'essere

racchiuso in un involucro»ss. Nell'indicare i principi della

metamorfosi delle piante come base per una loro fisiologia,

Goethe distingue due leggi fondamentali della formazione: «1.

la legge della natura interna, in base alla quale le piante

sono costituite; 2. la legge delle circostanze esterne

(ambientali), da cui le piante sono modificate»s6. Dette leggi

presiedono alla regolamentazione di due realtà separate per le

quali il momento dell'incontro non può evitare conseguenze

caratteristiche piuttosto di uno «scontro» che di

un'interazione dinamica. Non solo il vitale è racchiuso e ben

protetto da solidi confini, ma si manifesta come una forza5 7

che dall'interno di un nucleo originario si spinge verso

l'esterno- verso la «non-vita»- con cui l'impatto risulta

localmente rovinoso: «tutto quanto si rivolge verso l'esterno è

precocemente votato alla morte e allo sfacelo» 5s.

Si può aggiungere che invece l'atteggiamento di acuto

osservatore, onesto e ricettivo nei confronti della natura,

suggerito da Goethe al naturalista è accettato senza riserve da

Weizsacker: se se ne vuole cogliere l'essenza vitale, «se

vogliamo acquisire una percezione vivente della natura,

dobbiamo mantenerci mobili e plastici seguendo l'esempio

ch'essa ci dà»S9; d'altronde il segreto della penetrazione

della natura consiste proprio nel rendersi conto del reciproco

ss J.W. Goethe, Die Absicbt eingeleitet, cit., p. 45. 56 Id., Yorarbeiten zu einer Pbysiologie der Pflanzen, cit., p. 100. 57 La definizione della vita coae forza è esplicita nella Yorarbeiteo zu eioer Pbysiologie der Pflanzeo, cit. p. 105. 5& J.W. Go~the, Die Absicbt eingeleitet, cit., p. 45. 59 Il passo è riportato da Weizsacker in W-Zeit, p. 6.

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influsso che ha luogo tra natura e uomo, allorché questi si

accorge che gli oggetti «gli s'impongono con una tale forza

ch'egli capisce quanto abbia ragione di riconoscerne il potere

e di rispettarne l'azione»6o. Va da sé che, con tutto il

rispetto per le scienze fisiche e storico-naturali, che

mantengono tuttavia una loro funzione e loro propri meriti, il

metodo analitico di scomposizione e sezionamento non può andare

troppo oltre nello studio della composizione dell'insieme

organico: «ciò che prima era vivo è bensi scomposto in

elementi; ma da questi non si può ricomporlo né, tanto meno,

ridargli vita»61. Al medesimo problema conduce l'esperimento

effettuato in laboratorio: senza dubbio alcuno esso ha

notevolmente contribuito allo sviluppo delle conoscenze in

campo chimico, fisico e fisiologico, ma prevedendo l'isolamento

di una parte dal tutto, non consente di osservare la natura nel

suo vivente operare62.

b. La posizione verso la Gestalttheorie

La soluzione al problema della forma proposto da J. von

Kries - che pare avesse dato un'appropriata formulazione alla

questione già alla fine del secolo scorso 6 3 - appare a

Weizsacker del tutto insoddisfacente. Ritenuta problematica la

concezione di Helmholtz, che aveva considerato scientificamente

significativo il contenuto d'esperienza dei sensi e non

semplicemente il loro dato, e che intendeva le forme come

percezioni immediate, frutto di esperienza inconscia e non di

60 Id., Oas Uoteroeh1eo rird eotscbuldigt, in Id., La •eta1orfosi delle piante, cit. p. 41. 61 Id., Oie Absicbt eiogeleitet, cit., p. 42. 62 Cfr. Id., Glucklicbes lreigois, in Id. La 1orfologia delle piante, cit., p. 98. 63 E' quanto afferaa Weizsicker nella Besprecbuog del 1924 J. voo lries, Allge1eioe Syooespbysiologie (W-GS III, pp. 663-670); cfr. inoltre S. Eaondts, Keoscbeorerdeo io Beziebuog, cit., p. 209.

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elaborazione intellettuale, J. von Kries ricorse nuovamente

all'innatismo - rifiutato invece da Helmholtz -per spiegare la

peculiarità della forma. Le forme degli oggetti verrebbero

proiettate attraverso le rappresentazioni di un apparato

sensorio su di un altro, dando luogo, per la prossimità

spaziale e temporale, ad una fondazione «parallela» della

percepibilità delle forme nella sensazione e nella coscienza.

La fondazione psicofisica doveva render conto non solo della

produzione delle rappresentazioni dei sensi, ma anche della

produzione delle rappresentazioni soggettive. In fondo, però -

sostiene Weizsacker -, neanche von Kries credeva veramente ad

una simile fondazione64.

Alla Gestalttheorie Weizsacker riconosce il coraggio e la

forza con cui ha saputo contrastare il luogo comune secondo cui

«ciò che non viene compreso fisiologicamente va spiegato

mediante concetti psicologici»6s. Ma se essa ha il merito di

aver fatto della questione della Gestalt.una questione

fondamentale, ha tuttavia il demerito di averne dato una

trattazione limitata e sostanzialmente inutile al progresso

della teoria della percezione. Nel saggio del 1927 Ueber

medizinische Anthropologie, Weizsacker precisa che

l'impostazione fisiologica della Gestalttheorie tiene

certamente conto di fattori sino ad allora trascurati:

innanzitutto del fatto che la Gestalt di una reazione non

dipende esclusivamente dall'energia dello stimolo e dalla

capacità di stimolazione, poiché può accadere che l'energia

dello stimolo non esprima affatto ciò che lo stimolo

rappresenta per la capacità di reazione. E' allora più corretto

parlare di Gestalt dello stimolo (Reizgestalt), e più in

,. Cfr. V-Zeit, p. 30. Il parallelismo psicofisico è considerato da Weizsacker una foraa di regresso alla spiegazione naturalistico-aeccanicistica. 65 Kinleitung (W-GS III), p. 417.

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generale di Gestalt della situazione biologica

(Situationsgestalt). Per «forma situazionale» si dovrebbe

intendere un insieme di elementi significativi di tipo

materiale e psichico che, attraverso qualche necessità

biologica, sono uniti a fini ed idee spirituali. Ove si abbiano

queste Gestalten - che parrebbero avere esistenza

incondizionata - si avrebbe anche una coazione verso un

determinato decorso biologico. Ma gli argomenti portati a

motivare la formazione di quegli insiemi di elementi sono

eterogenei e fondamentalmente appaiono insufficienti.

Weizsacker mette a fuoco alcune delle difficoltà cui va

incontro la teoria della Gestalt: in primo luogo non viene

esaminato come mai ad un determinato impulso corrisponda una

certa Gestalt e non un'altra, dato che il principio di massima

economia non basta a spiegarlo; il senso delle Gestalten,

inoltre, non è univoco, potendo la medesima Gestalt avere

indirizzi o finalità differenti; e per finire, in questo

sistema non è calcolabile anticipatamente il cambiamento di una

Gestalt, cioè la successione dell'associazione degli elementi,

e quindi non si possiede alcun criterio stabile per la

determinazione degli impulsi e delle associazioni. Il tentativo

della Gestalttheorie viene considerato da Weizsacker del tutto

naufragato specialmente di fronte alle conseguenze che Kohler

ne trasse per opporsi al neovitalismo - considerato nello

scritto del 1927 l'ipotesi migliore, anche se purtroppo solo

un'ipotesi66. Nella teoria di Kohler Weizsacker vede

sostanzialmente una «filosofia della natura» caratterizzata dal

regresso ad una forma di parallelismo psicofisico 67 , niente più

66 Per quanto riguarda le critiche a Kohler, di cui Weizsàcker ha presente specialtente Die pb[siscben Oestalten in Rube uod il stationiren lustande, Braunschweig, Vieweg, 1920, cfr. 1ed. Antbropologie (W-GS III), pp. 182-184; si veda anche la linleitung (W-GS III), p. 415. '' Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 12.

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di quanto aveva concepito von Kries. In essa «la supposizione

secondo cui la Gestalt dello stimolo (Reiz) produrrebbe (in

maniera causale o parallela) la Gestalt della reazione (anche

la percezione sarebbe qui solo una reazione) è falsa nel

momento in cui risulta che questa Gestalt dello stimolo non

dipende unilateralmente solo dall'oggetto stimolante

(Reizobjekt) e in generale esso non è semplicemente dato

oggettivamente. [ ... ]Quando tasto una chiave con gli occhi

chiusi la forma (Form) e la conseguenza dello stimolo sul mio

organo di senso dipendono dalla forma e dalla conseguenza del

mio movimento di tastazione; la Gestalt dello stimolo è allora

determinata su due lati: dall'oggetto e dalla reazione»6 8 • E'

solo questo processo nel suo insieme e nella sua circolarità a

meritare il nome di Gestalt: «Sino a che la Gestalttheorie si

lascia sfuggire questa particolarità, cioè la elimina con

l'astrazione, essa non giunge neppure alla "totalità" del

processo di cui tuttavia sempre· parla»69. La principale critica

mossa contro la Gestalttheorie è perciò di carattere

metodologico e concerne il tentativo, inattuabile secondo

Weizsacker, di individuare il momento di formazione, di

costituzione della Gestalt in un fattore «non-sommativo» e di

«sovraordinamento» del percepito all'interno di un'indagine

dall'impostazione analitica che si serve della rappresentazione

causale' o.

Per quanto concerne lo studio sperimentale condotto dalla

Gestaltpsychologie riguardo al rapporto di forma e tempo,

Weizsacker è dell'opinione che esso si limita in definitiva a

rilevare dati di valore solo accessorio. Dalla dovizia di

'' 1ed. Antbropologie (W-GS III), p. 184. 69 lbid. 7° Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 11 e Id., Patbosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1967 2, p. 206.

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esperienze disponibili si desume che perché si formino delle

Gestalten deve trascorrere un certo lasso di tempo; che il

tempo necessario alla costituzione delle percezioni è variabile

a seconda che si tratti di Gestalten o di semplici impressioni,

cioè di sensazioni (Empfindungen); che occorrono tempi sempre

più lunghi nel passaggio dalla percezione di forme semplici a

quella di forme complesse, poiché ivi sono necessari atti

composizionali sempre più lunghi. E' quindi chiaro che la forma

e la sua percezione hanno origine e svolgimento nel tempo, sono

cioè in esso geneticamente. Qui non si ha a che fare però con

la struttura del tempo biologico di cui si è trattato sopra,

tempo genetico in un senso del tutto diverso: il «prima» e il

«dopo» si determinano in modo tale che ne risulta non solo un

trascorrere, ma anche un preciso legame tra passato e futuro.

Lo «zeituberbruckende Gegenwart» è differenziabile al suo

interno non perché scorre, ma per il fatto di potersi porre

sempre come presente nel divenire organico: «Nel senso del

tempo obiettivo sempre (Ueberall) avrebbe un significato del

tipo «in ogni momento»; ma il senso dell'essere centrato nel

presente che si autopone non è affatto questo: sempre significa

«hier e Jetzt», senza alcun riguardo per la posizione su di un

asse temporale e per il luogo in uno spazio matematico» 71 • La

critica che Weizsacker rivolge alla Gestaltpsychologie è

sostanzialmente la stessa che si può rivolgere ad ogni teoria

della percezione che si appoggi, direttamente o indirettamente,

alla concezione del tempo obiettivo della fisica classica:

quella di non cogliere l'essenza del processo percettivo, anche

se si cerca di introdurre nella fisiologia degli organi di

senso una nuova funzione attraverso «un agente sinora

71 W-Zeit, p. 31.

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sconosciuto come "l'intero" o "la Gestalt"»'2. Insomma, non

serve introdurre una funzione che, come le altre psichiche e

fisiologiche, si svolge nel tempo obiettivo e non consente di

spiegare la specificità del rapporto temporale sussistente tra

i diversi momenti del processo percettivo (ma potremmo anche

dire del processo vivente).

L'«essere centrato nel presente» non ha luogo affatto «nel»

tempo, ma «attraverso» il tempo si origina un ordine temporale

che procede all'indietro e in avanti. Si costituisce cosi la

«forma temporale» (Zeitgestalt) di quell'accadere (Geschehens)

che è un «atto biologico». «Deve essere chiaro ora che non è la

Gestalt ad avere origine o a consistere nel tempo, ma è il

tempo che si origina e viene meno nella Gestalt»'3. La forma

temporale del fenomeno nella percezione riceve la sua

conformazione (Gestaltsein) dall'unità di forma

(Gestalteinheit) di ciò che appare: «la forma[ ... ] starebbe

quindi prima rispetto al tempo, che è secondo» 74 •

c. Il pensiero di Driesch

H. Driesch rappresenta per Weizsacker - indipendentemente

dal loro rapporto di conoscenza's - un interlocutore di non

scarsa importanza, avendo suscitato il neovitalismo un ampio e

vivace dibattito nell'ambiente filosofico e scientifico

dell'epoca difficile da eludere. Le istanze avanzate da questa

corrente di pensiero trovano in realtà vasto riscontro, anche

se le soluzioni proposte dal vitalismo non riscuotono affatto

72 lioleituog (W-GS III) p. 418. n V-leit, p. 31. 14 Ibid. 75 Si veda !h. Henkel1ann, Viktor vov Keizsicker (1886-1957). Naterialieo zu heben und Kerk, Heidelberg, Springer, 1986, pp. 46-47.

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il medesimo successo76.

In un saggio pubblicato nel quinto volume degli «Annalen

der Philosophie und philosophischen Kritik», Driesch - in

polemica ormai da anni con la Gestalttheorie di Kohler - compie

ad una definizione delle peculiarità dell'organico in cui viene

sottolineato il contrasto con la concezione kohleriana, secondo

la quale sarebbe possibile riferire il carattere di Ganzheit

non solo alla natura organica, ma anche all'inorganica''· Le

conclusioni di Kohler sono viziate, secondo Driesch, dal

grossolano errore di non aver distinto in modo adeguato le

possibili forme di legame tra le componenti di un insieme. A

differenza della semplice Und-Verbindung, una relazione di

sommazione tra elementi puramente esteriore, nella Einheit si

verifica la possibilità di interazione tra le diverse

componenti di un insieme. La fisica e la chimica sono, ad

esempio, Einheiten in tale senso. Una somma di elementi, un

insieme dal carattere sommativo (summativ), è una Einheit, ma

non una Ganzheit. Il termine Ganzheit viene riservato da

Driesch ad un genere di legame affatto particolare. La

difficoltà principale, e fonte di seri fraintendimenti,

consiste nel dare una chiara e precisa delimitazione

dell'ambito di applicazione del concetto. Kohler, definito un

«sistema puramente sommativo» come un insieme in cui la

composizione delle parti non causa alcun cambiamento delle

parti stesse, individua in certi tipi di sistema, come quello

'' Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia 1oderoa, III, torino, Einaudi, 1955, in partiolare p. 309 e p. 319. A proposito dell'attenzione riservata a Driesch nell'aabiente filosofico può essere interessante consultare l'articolo di M. Bassanese, ta noia e il 1oodo della vita aoi1ale, «Verifiche, 1996, pp. 37-91, in cui si accenna all'influenza eserciata da Driesch su Heidegger -dal quale tuttavia egli prende distanza (ivi, pp. 51-53). Le tesi di Driesch, coae vedremo, sono al centro dell'attenzione di Plessner. '' H. Driesch, "Pbysiscbe Gestalteo' uod Organis1en, cAnnalen der Philosophie und philosophischen Kritik, 5 (1925-1926), pp. 1-11 (rist. A1sterda1, Svets-Zeitlinger X.V. 1967), p. 1. In questo articolo Driesch ha di tira in particolare gli scritti di Kohler Die pbysiscben Gestalten io Rube uod io statiooire Zustaod, Erlangen, Verlag der philosophische Akadeaie, 1919, e GestaltprobleJe uod Aofioge eioer Gestalttbeorie, cJahrbericht uber die Gesaate Physiologie,, 1922, diretto contro il pensiero dello stesso Driesch.

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costituito dall'interazione tra campi elettrici, sistemi di

tipo particolare non semplicemente sommativi, dato che vi si

possono determinare reali modificazioni delle parti (come

quando in un sistema di certe cariche elettriche viene

introdotta una nuova carica). Detti sistemi presentano una

forma fisica loro propria dipendente dalla strutturazione

spaziale o topografica dei loro elementi. Attraverso simili

considerazioni Kohler formula la teoria che sostiene

l'esistenza di Ganzheiten inorganiche, caratterizzate da quella

speciale forma di unità che non posseggono le semplici «somme»

di elementi. Al contrario, Driesch ritiene che sistemi di tale

genere non possano essere considerati altrimenti che semplici

Einheiten e che si può definire Ganzheit solamente un sistema

organico. Il fatto che in un sistema elettrico si verifichino

dei cambiamenti delle parti non concerne la sua «essenza»,

l'essenza dell'insieme di parti, ma solamente la sua attualità

dinamica. Rimane infatti valido per esso il principio

deterministico secondo il quale, conoscendo le diverse

componenti (velocità, forze, situazione), si sarebbe in grado

di determinare ciò che accade all'interno del sistema. Quanto

poi alla topografia fisica come condizione e fondamento di ciò

che accade nel sistema, Driesch sostiene che qualcosa di

estraneo all'essenza stessa del sistema, come lo è la

topografia, la semplice disposizione delle parti, non può dare

origine ad una Ganzheit, ma solo ad un tipo di unione che nulla

ha a che vedere con la specifica forma di unità essenziale

caratteristica esclusivamente dell'essere biologico 78 • Infine i

corollari della teoria di Kohler non sarebbero in grado di

descrivere determinati aspetti della realtà organica: fenomeni

come quello della «equipotenzialità armonica» osservata e

7' H. Driesch, tPbysiscbe GestaltenJ und Organis1en, cit., pp. 4-6.

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descritta da Driesch in seguito a molteplici sperimentazioni

non potrebbero mai avere un analogo in quanto accade nei

sistemi inorganici 7 9. In un sistema organico la struttura o la

forma della Ganzheit è dovuta a specifiche caratteristiche

della sua essenza, è il risultato della dinamica di una

particolare forza interiore, che rende impossibile una sua

deduzione da principi di ordine meccanicisticoao.

Dal canto suo Weizsacker non avrebbe avuto difficoltà

alcuna a sottoscrivere la critica metodologica rivolta da

Driesch a Kohler: l'idea della specificità dell'organico, della

sua inconfrontabilità ed indeducibilità dal sistema

meccanicistico delle leggi fisiche, è da Weizsacker pienamente

condivisa, come lo è d'altronde la richiesta fondamentale

avanzata dal vitalismo di una revisione filosofica dei

fondamenti della scienza biologicaal. «Nella misura in cui

presupponiamo il diritto e la necessità di questa esigenza -

scrive Weizsacker in un saggio giovanile dedicato al

neovitalismo - troviamo il metro della nostra critica su di un

piano diverso da quello dell'antitesi al meccanicismo- nel

quale il vitalismo resta impigliato»a2. Di fatto i

riconoscimenti di Weizsacker alla teoria vitalistica di Driesch

non mancano: in primo luogo la sua polemica ha evidenziato la

necessità di un allargamento del concetto kantiano di natura;

egli ha debitamente insistito sull'inadeguatezza del rapporto

causa-effetto meccanicistico nello studio dell'organico e in

genere sulle molteplici difficoltà che presenta il tentativo di

aggettivazione dell'organismo, traducendo tutto ciò nella

79 lvi, pp. 6-7. 80 lvi, p. 4. 81 Cfr. di H. Driesch, Die Biologie als selbstindige Gruodrissenscbaft uod als Systhel der Biologie. Ein Beitrag zur Logik der Katurrissenscbaften, Leipzig, Weizsacker Engelmann, 1911 2

a2 Weizsacker, V. von, KeovitalisJus, cLogos, II (1911-1912), pp. 113-124, p. 115.

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fondamentale categoria di «individualità organica,s3.

Ma gli sforzi compiuti dal vitalismo per liberare la sfera

biologica dalla catena dei principi meccanicistici si risolvono

di fatto in un fallimento. Nell'opera di Driesch, non solo le

prove a favore dell'impossibilità di una comprensione

meccanicistica dell'organico risultano, agli occhi di

Weizsacker, non convincenti nella loro impostazione, ma è del

tutto ingiustificato inferire a partire da tale -impossibilità,

eventualmente comprovata, che ciò di fronte· a cui ci si trova è

veramente un organismo, ed ancora meno lo è asserire che alla

sua base vi sia un principio entelechiales4. A questa critica

di carattere logico si aggiunge la conflittualità introdotta

nella sfera naturale dalla pretesa interazione di un principio

metafisica con il piano materiale di una natura ancora soggetta

ad una legislazione meccanicistica. L'entelechia è infatti

concepita come una forza del tutto diversa dalle forze fisico­

chimiche naturali, autonoma rispetto ad esse, capace tuttavia

di intervenire su queste in modo da determinare la forma

dell'organismo e direzionarne l'attivitàas. L'interazione con

il piano materiale avviene «dall'esterno», e agisce in modo da

«sospendere» processi altrimenti possibili secondo leggi della

materia inorganica. Il concetto di organismo si costituisce sul

fondamento di una duplicità di principi destinata a sfociare in

una contraddizione: quando si afferma che una «unità organica»

si «autoconserva», ovvero trova in se stessa il principio del

proprio movimento, della propria attività e finalità, si

83 lvi, p. 119. 84 Cfr. ivi, p. 116. 85 Si possono consultare le opere di H. Driesch: Philosophie des Organischen, 2 voll., Leipzig, Engelaann, 1909; Id. Der Yitalis1us als Ceschichte und als tehre, Leipzig, J.A. Barth, 1905 {trad. it. a cura di M. Stenta, Il vitalis1o. Storia e dottrina, Milano, R. Sandron, 1909); Id., Das Organische il ticbte der Philosophie, «Atti del V Convegno Nazionale di Filosofia, (Napoli 5-9/5/19), pp. 615-625. Per indicazioni bibliografiche si riaanda al recente saggio di Th. Miller, lonstruktion und Begrundung, Bildesheia, Olms, 1991.

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intende che «ciò che conserva» e «ciò che viene conservato»

sono la medesima cosa, e quindi che la causa e l'effetto della

conservazione coincidono. Diversamente da quanto accade nella

sfera dell'inorganico, dove la materia è «esternamente» in

relazione alla materia, cioè causa ed effetto non coincidono,

l'organismo è in relazione a se stesso «interiormente». Ora,

secondo la teoria vitalistica di Driesch, l'autoconservazione

avverrebbe ad opera dell'entelechia, una forza «esterna» alla

materialità dell'organismo. Ne segue che «l'autoconservazione

non è autoconservazione, ma conservazione dall'esterno» 8 6, e il

fondamentale principio fissato da Kant nella sua Critica del

Giudizio&', secondo cui l'organismo si comporta come causa di

se stesso, viene inevitabilmente infrantoss.

L'aggancio al concetto di organismo in Kant rimane

naturalmente inessenziale: per quanto corretto ne sia il

principio, seguire la via indicata dalla filosofia di Kant non

può portare secondo Weizsacker ad una biologia come autentica

«scienza dell'organico», vale a dire ad una teoria

dell'organizzazione «in sé» della natura organica, ma

esclusivamente alla comprensione dell'organizzazione

dell'oggetto naturale conformemente ad un principio critico

della ragione valido per il giudizio riflettente; essa cioè può

condurre alla conoscenza della forma e finalità dell'organico

solo in virtù della particolare natura della facoltà

conoscitiva e non secondo la necessità dell'oggetto stesso 89 •

Nell'impostazione kantiana dello studio naturale la materialità

organica viene legittimamente indagata secondo principi

meccanicistici, rappresentanti ancora l'unica base scientifica

86 W-KeovitalisJus, p. 117. 87 Si veda I. Kant, Kritik der Urteilskraft (1790), J 66. 88 W-Keovitalis•us, p. 118. 89 I. Kant, Kritik der Urteilskraft, J 75.

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della ricerca biologica; «Kant - sostiene Weizsacker - non

parla della vita, e neppure del vivente, ma dell'organismo.

Egli parla di ciò che è scientificamente legittimo, e la

scienza non vuole spiegare la vita, ma prodotti naturali» 9 o;

nella Critica del Giudizio «l'organismo è concepito solo come

mezzo per la realizzazione di quegli oggetti naturali che sono

adeguati a certe idee. Perciò il loro meccanismo è mezzo per il

fine dell'idea; esso viene preso sotto un'unità come se

servisse ad essa quale mezzo per la sua autoproduzione» 91. La

filosofia kantiana del «come-se» - così la denomina Weizsacker

- anziché raggiungere le profondità della vita, genera la

scepsi della biologia, che mentre continua a porre domande

teleologiche riceve inutili risposte meccanicistiche 92 .

Il tentativo effettuato da Driesch con l'introduzione di un

principio entelechiale come spiegazione della finalità organica

non libera la biologia dalle difficoltà in cui resta impigliato

il concetto di natura kantiano. Non è nell'idea che i principi

della biologia siano categorie in senso kantiano che si può

trovare il giusto avvio al rinnovamento della scienza

biologica; ciò per cui la biologia si distingue dalle altre

scienze non è la «forma dell'esperienza», ma la forma del

sistema dell'esperienza, la forma della connessione delle

singole esperienze. E per trovare un progresso della

riflessione filosofica in questo senso - sostiene Weizsacker -

occorre guardare non verso le teorie vitalistiche, ma verso

quelle idealistiche di Hegel e Schelling9 3 •

90 Weizsicker, V. von, Kinleitung zu Kant: Der Organis1us (W-GS I, pp. 502-517), p. 511. 91 W-leovitalisJus, p. 123. 92 Cfr. ibil; inoltre: lant: Der OrganisJus (W-GS I), p. 516. 93 Cfr. W-leovitalisJus, p. 122 e p. 124. Vedremo in seguito in quale senso sia da intendere il rimando all'idealismo tedesco e quale il suo riflesso sulla teoria del Oestaltkreis.

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III. Der Gestaltkreis {1940):

L'unità di percezione e movimento

La soluzione del «problema della biologia»

La difficoltà di accordare la biologia con le scienze

esatte è strettamente legata, secondo Weizsacker, ad un errore

nella concezione della temporalità. Nel saggio Gestalt und Zeit

il tempo diviene tema centrale in vista della chiarificazione

del «problema della biologia», all'origine del quale Weizsacker

individua il tentativo di adozione di un concetto unico a

supporto di principi scientifici che devono invece fondarsi su

idee distinte di tempo.

Nei confronti del concetto di natura la scienza si avvale

di due principi esplicativi differenti che, pur in sé

contrastanti, quando utilizzati per differenti scopi non si

escludono reciprocamente: il principio della naturgesetzliche

Bestimmtheit (regolarità naturale) e quello dello sviluppo

(Entwicklung). Essi dovrebbero condurre ad una distinzione tra

scienze esatte e scienze descrittive, e quindi ad una precisa

diversificazione dei loro reciproci oggetti. Ci si accorge però

che come nel campo delle scienze esatte è stato introdotto il

principio dello sviluppo (si pensi alla legge dell'entropia ed

alle sue conseguenze teoriche), nello studio delle funzioni

organiche si fa uso di leggi appartenenti al campo delle

scienze esatte. La contemporanea presenza dei due principi nei

diversi campi della scienza non è tuttavia accompagnata dalla

soluzione del contrasto cui essi danno origine.

Nella storia della fisiologia il riconoscimento della

differenza sussistente tra le nozioni di Reizbarkeit e di

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Erregbarkeit, o di Ekzitabilitat e di Irritabilitatl, ha dato

origine a rappresentazioni scientifiche diverse. Mentre lo

stimolo (Reiz} è misurabile in relazione a certe costanti

naturali, l'eccitazione (Erregung} provocata nell'organismo non

è determinabile con altrettanta obiettività2. La differente

reazione ad un medesimo stimolo sembra dimostrare anzi che la

regolamentazione dell'organismo si fonda proprio

sull'incostanza delle reazioni, sulla loro variabilità

costitutiva. La fisiologia tradizionale si è servita in genere

di due sole variabili per rappresentare la relazione tra

stimolo e reazione: la fisiologia del riflesso usa stimolo

(Reiz} e reazione materia (Reflexbewegung}, la fisiologia dei

sensi si serve di stimolo e sensazione (Empfindung}. A questo

sistema binario di coordinate Weizsacker propone di sostituirne

uno ternario, essendo risultato - soprattutto dagli esperimenti

condotti da P. Vogell - che per una descrizione completa e

corretta delle funzioni organiche è necessario considerare tre

fattori: il processo esterno (lo stimolo}, il processo di

reazione (il movimento dell'organo} e il processo soggettivo

(la sensazione o il vissuto). La relazione tra questi tre

elementi determina un'unica funzione, un «atto biologico» 4 • Si

deve quindi stabilire quale sia la forma logica e quali i

concetti più adatti a coglierla.

Il principio della regolarità naturale (gesetzmassige

Bestimmtheit) introdotto in ambito biologico assume cosi una

nuova forma: la reazione organica è determinata dallo stimolo

(Reiz} al quale si aggiunge necessariamente la condizione

1 Per una panoraaica storica su questi concetti e sulla loro distinzione si veda H.-J. Moller, Die Begriffe "Reizbarkeit" uod •aeiz". Koostaoz uod Naodel ihres Bedeutuogsgehaltes sovie die Proble1atik ihrer ezakteo Defioitioo, Stuttgart, Fischer, 1975. 2 Cfr. W-leit, p. 9. 3 Cfr. P. Vogel, Studieo uber deo Schviodel, Berlin, de Gruyter, 1933. 4 Cfr. Katur uod Geist {W-GS I), pp. 75-76.

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(Zustand) dell'organismo. In questo modo, sostiene Weizsacker,

alla regola fisica della misurabilità viene a mancare l'unità

del criterio di misura. La possibilità di una misurazione

precisa si affida all'idea che la serie delle cause

determinanti sia passibile di estensione all'infinito, ciò che

rappresenta un assurdo. In realtà la diversità delle reazioni

organiche di fronte a stimoli simili è costitutiva e

fondamentale per l'adattamento del vivente; La possibilità di

adattamento si basa proprio sull'incostanza dell'eccitabilità

condizionata dalla specifica situazione dell'organismo 5 • Lungi

dall'essere un elemento destabilizzante, questa incostanza

rappresenta il senso autentico della realtà organica. La

capacità di trasformazione caratteristica della vitalità -

affatto incalcolabile - rappresenta un limite indispensabile:

«viviamo in virtù di una limitazione della regolarità del

vivente»6.

a. Le determinazioni temporali

Il tentativo di stabilire la forma della temporalità dei

processi biologici mediante l'ausilio di coordinate spaziali

incontra grossi ostacoli, poiché essi presentano difficoltà

nella collocazione su di un asse temporale. Al fine di mostrare

l'inadeguatezza delle determinazioni temporali fisico­

matematiche in ambito biologico, Weizsacker prende in esame le

nozioni di «punto temporale» (Zeitpunkt), «lasso temporale»

(Zeitstrecke) e «unità temporale» (Zeiteinheit).

Se ci si rappresenta il tempo come una linea continua

s Cfr. W-leitp. 10. ' W-Der Gestaltkreis, p. 119.

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raffigurante una-successione costante di momenti temporali, il

«punto temporale» corrisponde ad un preciso «luogo» su quella

linea. Ora, per la realtà biologica non è dato parlare di punto

temporale se non in relazione a singoli fatti empirici, mentre

la collocazione ed il senso della disposizione del processo

organico non è precisabile - per usare un'espressione di

Weizsacker «la priorità biologica resta indecisa» 7 • La

direzione temporale dell'accadere biologico non è fissata una

volta per tutte come accade nella teoria della successione

causale e temporale della fisica; essa è data piuttosto dalla

prospettiva con la quale la si vuole considerare. E' per

questo, sostiene Weizsacker, che la domanda «è prima l'uovo o

la gallina?» fa sempre riflettere.

Di fronte all'accadere organico ci si può porre in una

prospettiva storico-biologica che consente di scambiare a

piacere il senso di percorrenza della successione degli

avvenimenti e di stabilire altrettanto arbitrariamente i

momenti determinanti, i punti di inizio e fine di un processo.

Ad esempio si può decidere di considerare la civiltà primitiva

come il momento della giovinezza dell'umanità o all'opposto

come il vecchio antenato delle giovani generazioni

contemporanee: qui «è la direzione dello sguardo che determina

la direzione temporale, non viceversa»s. Si può dire, insomma,

che in ambito organico il punto temporale inteso come luogo su

di un'asse temporale «non è decisivo»9 non è dotato, di quella

capacità di determinazione che possiede in ambito fisico. I

parametri della determinazione meccanicistica del tempo sono

qui inutili; in questo senso, la biologia rappresenta l'aporia

1 W-Zeit, p. 12. e Ibid. ' lvi, p. 13.

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della matematica 10 . Se non è localizzabile nel tempo obiettivo

un punto temporale, neppure un lasso temporale biologico è

misurabile come porzione di tempo obiettivo. La vita non si

lascia misurare in maniera puramente numerica come semplice

segmento, essa si determina come intervallo temporale

(Zeitspanne) tra due avvenimenti fondamentali: nascita e

morte 11 . L'unità temporale della biologia non rimanda dunque al

sistema della fisica e non è da essa desumibile12.

Chiarito che con il sistema fisico-matematico e con i

relativi accorgimenti tecnici di determinazione non si è in

grado di misurare il tempo biologico a causa della specificità

della temporalità e dell'essenza organica, vediamo in quale

modo essa si caratterizza in positivo e quali sono i mezzi

mediante cui è dato coglierla. Sostenere che una prestazione

(Leistung) organica avviene «nel» tempo non è corretto;

piuttosto lo è dire che essa determina un tempo1 3 • La vita non

è scansione temporale, ma ritmo (Rythmus)14, e la figura delle

sue prestazioni determina il tempo, non viceversa. La

spiegazione di questo principio è affidata all'esemplificazione

della cosiddetta «legge del tempo figurale costante» (Regel der

konstanten Figurzeit), elaborata in ambito neurofisiologico

grazie ai contributi di A. Auersperg e A. Derwort, suoi

collaboratori, dedicatisi a complessi esperimenti concernenti

il rapporto tra velocità di movimento, grandezza e figura delle

prestazionils. La legge sostiene che, entro certi limiti, il

tempo globale necessario perché si ottenga una certa

1° Cfr. ivi, p. 12. 11 Si veda anche linfubrung (W-GS III), p. '04. 12 Cfr. V-leit, p. 16. 13 Cfr. ivi, p. 14. 14 Cfr. ivi, p. 13. 1s Cfr. in particolare l'articolo di Derwort Ontersucbungen uber den leitablauf figurierter Bevegungen bei1 Nenscben, «Pflugers Archiv, 240 (1938), al quale riaanda lo stesso Weizsàcker: V-Der Gestaltkreis 1940, p. 134, nota 11.

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prestazione rimane costante indipendentemente dalla grandezza

della sua figura. Questa legge - una «legge di formazione»16

specificamente organica - si differenzia sostanzialmente da

qualunque legge fisica. Gli esempi di cui viene fatto uso per

illustrare tale legge hanno il pregio di essere semplici e

chiari.

Quando il movimento compiuto dalla mano nello scrivere

subisce una modificazione per accelerazione o decelerazione

della velocità, la calligrafia - cioè la forma figurativa del

movimento - subisce un cambiamento, divenendo più simile ad uno

scarabocchio o assumendo un aspetto più elementare. Se invece

si modificano le dimensioni della grafia non si verificano

simili conseguenze17. Già questo primo esempio mette in

evidenza una particolare relazione tra i termini in gioco non

sussistente nel movimento meccanico. Per tracciare con un dito

una figura nell'aria, un cerchio o una ellissi, si impiega lo

stesso tempo - entro limiti considerevoli - indipendentemente

dalle dimensioni della figura tracciata. «Il movimento organico

comincia già con una velocità tale che in ogni caso, nel

medesimo tempo, si origina un cerchio completo»1a. Questo

significa che la velocità lineare del movimento aumenta

spontaneamente con le proporzioni della figura. Questa regola

del movimento, per cui ad ogni figura si associa una precisa

velocità, non si può variare intenzionalmente: «nella genesi

della forma figurale l'organismo è soggetto ad una regola di

connessione della figura del movimento ad un tratto temporale

ad essa associato»19.

Il movimento di oggetti fisici, il moto meccanico, non

16 Si veda V-Der Oestaltkreis 1940, p. 134. 17 lbid. u V-lei t, p. 14. 19 Ibid.

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prevede questa reciproca dipendenza di figura e velocità: una

motocicletta può compiere, entro ampi limiti, uno stesso

percorso a diversa velocità e modificare a piacere la relazione

tra le variabili. Nel movimento meccanico, inoltre, data la

velocità, è il tempo a determinare la grandezza della figura.

Prendiamo ad esempio il movimento planetario: si può dire che

esso sia composto dal rapporto di forza centrifuga e forza

gravitazionale, quindi che la sua figura circolare non è altro

che la risultante di queste forze costanti. La conoscenza del

tempo può dare la misura di una qualunque porzione del percorso

del corpo celeste2°. Se dunque nel movimento meccanico è il

tempo che - insieme ad altri fattori - consente di determinare

la figura del movimento, nel caso del movimento organico si

verifica la situazione opposta: è la figura che determina il

tempo del movimento, ovvero la forma determina la velocità.

Nel tracciare una curva di una determinata forma si ha a

che fare con un fenomeno caratteristico del movimento organico,

!'«anticipazione dell'effetto», in cui «la figura[ ... ] è

premessa di una determinata composizione di forze in una

determinata successione temporale»21. Sin nel primo atto del

movimento è contenuta l'intera forma della prestazione; si

parla, in questo caso di movimento prolettico: «il movimento,

già nella sua prima porzione temporale anticipa la prestazione

complessiva, più precisamente la figura della prestazione, e

noi chiamiamo questo comportamento prolessi»22. La conformità

alla legge risiede qui nella forma. La «legge del tempo

figurale costante» non è che un caso particolare di questo

principio generale.

E' opportuno precisare, prima di proseguire, che Weizsacker

2o Si vedano V-Der Gestaltkreis 1940, p. 135 e V-Zeit, p. 14. u 'i-Der Gestaltkreis 1940, p. 135. 22 'i-leit, p. 14.

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usa per lo più i termini «forma» (Form) e «figura» (Figur) come

sinonimi (talora si serve persino del termine «forma

figurativa»). E' tuttavia possibile cogliere nell'uso dei due

concetti una lieve sfumatura: mentre «figura» viene

generalmente detto l'aspetto concreto o concretizzabile

dell'immagine del processo, «forma» sembra indicare piuttosto

una nozione astratta o categoriale indipendente dalla sua

eventuale realizzazione in una figura. Sinonimi sono per lo più

anche i termini Form e Gestalt. Quanto al concetto di prolessi,

esso esprime: a) che la forma come risultato dell'intero (Ganz)

è già nel suo principio, è inclusa in esso (come nel singolo

movimento) - ha cioè il senso del tutto incluso nelle parti; b)

che la serie degli accadimenti biologici non è che una

ripetizione della forma, pure nella variabilità delle

determinazioni obiettive - ha cioè il senso della costante

processuale. La riproducibilità delle forme determina il

significato del ritmo vitale, dove - si ribadisce - «forma e

ripetizione della forma (ritmo) sono inaccessibili alla

determinazione a mezzo di tempo, spazio, forze» 23 •

Il tempo organico è determinato quindi dalla forma delle

prestazioni; «Il tempo meccanico è successivo, il tempo

biologico è prolettico in relazione al movimento risultante» 24 •

Fatti biologici e ritmi sono la misura dei periodi temporali, a

differenza di quanto accade nella fisica, dove il tempo

obiettivo successivo è misura di movimento e velocità. E se la

prestazione organica è misura del tempo biologico il punto

temporale si qualifica come punto d'inizio di un processo

organico. Questo punto temporale appartiene al tempo prolettico

e non è naturalmente localizzabile su di un'asse temporale

23 ivi, p. 15. Per cteapo, si intende naturalmente il teapo obiettivo della fisica. 24 ivi, p. 16.

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fissa, come un lasso di tempo biologico non è su di essa

misurabile. Allo stesso modo il tempo obiettivo non è

ricavabile da fatti biologici: l'indipendenza di tempo organico

e tempo obiettivo è totale. Essi sono cosi sostanzialmente

differenti che tentare la determinazione del tempo organico sul

metro del fisico è «non un'inesattezza, ma un'insensatezza»2s.

Si può cosi dire che «non la vita è nel tempo, ma il tempo è

nella vita, o più precisamente esso diviene mediante

l'autoposizione di quella»26.

b. Determinatezza e indeterminatezza temporale

L'elemento deterministico che contraddistingue la

temporalità fisica si scontra con quel carattere di

indeterminatezza che il senso comune conferisce al futuro, e

pone quest'ultimo sul medesimo piano del passato. Una siffatta

omogeneità di passato e futuro non può assolutamente darsi

nell'ambito della temporalità biologica, dove futuro e passato

sono distinti nettamente. Occorre ricordare tuttavia che anche

in ambito fisico le certezze del determinismo sono state messe

in discussione, ad esempio da C.F. von Weizsacker. La sua

interpretazione del secondo principio della termodinamica

introduce anche nella fisica una differenziazione tra passato e

futuro e mette in discussione i principi stessi in base ai

quali si distinguono un «prima» e un «dopo» temporale 27 .

La riserva maggiore nei confronti dell'indeterminismo in

biologia concerne il contrasto che viene a crearsi con il

principio della regolarità naturale (gesetzliche Bestimmtheit)

2S lbid. 26 Ibid. 21 Cfr. c.r. von Veizsicker, Der lreite Bauptsat: und der Unterschied von Yergangenheit und lukunft, in «Annalen der Physik,, 5 Folge, 36 (1939), pp. 275-283.

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delle scienze empiriche. Lo studio della realtà organica non

può prescindere dal contributo di discipline come la chimica e

la fisica, le cui leggi sottostanti al principio di causalità,

appaiono talora fortemente contrastanti con alcune

caratteristiche del vivente. D'altronde, l'organico è

altrettanto partecipe di regolarità e di sviluppo, di stabilità

e di evoluzione2 8 • Il contrasto, che si rivelerà agli occhi di

Weizsacker solo apparente, può essere sanato con l'ausilio di

un sistema elastico di composizione dei termini.

Per mostrare come sia possibile - e anzi talora necessario

tenere conto sul piano logico di una duplicità di principi,

Weizsacker propone una riflessione sulla pratica del gioco

degli scacchi. Una partita a scacchi «può svolgersi solo a

condizione che la prossima mossa dell'avversario non sia

conosciuta. L'indeterminatezza della mossa successiva è

pertanto condizione reale della partita»29. Ogni gioco

d'azzardo si fonda proprio su quell'elemento di

indeterminatezza che costringe il giocatore al calcolo

arrischiato e a compiere mosse le cui conseguenze prevedono

solitamente un'ampia rosa di possibilità. La realizzabilità

stessa del gioco «è legata essenzialmente all'osservazione

delle regole del gioco ed alla libertà delle mosse, quindi al

legame di supposizione ed osservazione - non al legame di causa

ed effetto secondo una legge»lo. Quello del gioco si può

ritenere il più valido esempio di composizione pratica di

determinismo ed indeterminismo, un caso in cui nella regolarità

stessa del processo e proprio affinché si dia quella

regolarità, la componente indeterministica è assolutamente

necessaria.

uSi veda 'tl-Zeit, p. 17. 29 I/Jid. 30 W-Der Cestaltkreis 1940, p. 150, dove si ripropone l'eseapio degli scacchi.

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La stessa struttura va attribuita alla temporalità

organica. L'indeterminatezza è condizione necessaria reale per

la determinabilità del futuro e perde in questo contesto quel

carattere esclusivamente negativo che spesso le viene

attribuito. Non di meno, però - esattamente come nel gioco

degli scacchi -, perché sia possibile l'indeterminatezza devono

esservi regole determinate e costanti. L'espressione con cui

Weizsacker indica la composita struttura antologica e temporale

dell'organico, è «indeterminatezza regolata» (gesetzma~ige

Unbestimmtheit)31. L'indeterminatezza regolata dell'organico è

rappresentata nella sua specifica forma temporale dallo

zeituberbruckende Gegenwart. Il tempo organico è tempo presente

che si colloca nella continuità e nel perpetuo superamento di

passato e futuro, momenti temporali tra loro ben distinti.

L'espressione zeituberbruckende Gegenwart indica l'attualità in

perpetuo divenire del vivente e congiunge passato e futuro in

un processo che, anziché collocarsi nel tempo, lo origina. 32 In

questo processo di sviluppo il dualismo viene superato per

mezzo del complementarismo, del completamento reciproco

dialettico di «essere» e «divenire».

Le leggi naturali, che costituiscono l'aspetto stabile e

regolare del vitale, condizionano quindi lo sviluppo, il

divenire dell'organico e, viceversa, questo condiziona quelle.

La loro composizione colloca l'unità dell'organico

nell'attualità del presente; il fenomeno è caratterizzato

dall'indeterminatezza fino al subentrare dell'avvenimento

(Geschehen), quindi si ha determinazione: «Una determinazione

ante festum non è possibile, poiché questa unità non è ancora

costituita. Post festum quest'unità è conoscibile, ma possiamo

31 Cfr. W-leit, p. 18. 32 Cfr. ivi, p. 19. Si veda inoltre il saggio di Auersperg del 1935 E:peri1entelle Beitrige, cit., p. 316.

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cogliere la sua composizione solo a partire dalla sua

realizzazione»33. Le forze determinanti l'accadere organico

sono conoscibili non in virtù di un determinismo preventivo,

quindi sulla base delle condizioni premesse, ma esclusivamente

a partire dalla realizzazione (Verwirklichung) del fenomeno.

«Ciò appartiene alla determinabilità dell'essenza

[dell'accadere organico], per cui il "prima" e il "dopo" non

rappresentano semplicemente una differente direzione dello

sguardo rispetto a questa cosa, ma la cosa stessa è prima

qualcosa di diverso rispetto al dopo»34.

La reciproca complementarità di determinatezza ed

indeterminazione si verifica in modo che la determinazione

mancante nella considerazione del «prima» viene completata

dalla necessità del «dopo»; l'indeterminatezza che manca al

«dopo» è data dalla libera determinabilità del «prima»: «la

vita è là dove, in ogni momento, l'indeterminatezza diviene

invariabilità»ls. L'indeterminatezza costitutiva del tempo non

è affatto - come già ricordato - negazione della

determinatezza; non è più, in generale, «mancanza di» da

compensare con l'introduzione nello studio fisiologico

dell'organico di impulsi naturali o decisioni volontarie, ma un

fattore assolutamente necessario al compimento stesso della

determinabilità del processo organico. Sul piano metodologico

ne viene la piena legittimazione del metodo empirico, capace di

cogliere l'accadere organico mediante l'osservazione; esso dà

significato e valore al concetto di Ueberbruckung, concetto che

di per sé sarebbe vuoto36. La temporalità biologica è

l'espressione della duplicità dialettica di essere e di

33 W-Zeit, p. 20. 34 Ibid. 3S ivi, p. 21. 3 6 Cfr. ibid.

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sviluppo, di stabilità e di trasformazione, è insomma la

manifestazione stessa del divenire organico e rende manifesto

il suo carattere paradossale.

L'ambito biologico mette di fronte alla paradossalità dei

fenomeni. Il fenomeno organico ha la peculiarità di

sorprendere: esso «è sempre diverso da come ci si aspetta» -

come aveva sostenuto anche von Kries37. Il paradosso

dell'attività organica consiste nella possibilità che la

realizzazione (Erfullung) sia altro dall'aspettativa

(Erwartung). In esso il concetto di sviluppo ottiene la sua

definizione: «sviluppo è una relazione tra aspettativa e

realizzazione» 3a. Una situazione di paradossalità, si ha, ad

esempio, di fronte ad un movimento intenzionato e non ottenuto

o ad un movimento ottenuto sebbene non intenzionato. La

paradossalità non è altro, secondo Weizs&cker, che la classica

aporia del razionale di fronte alla vita, e viceversa. In

questo sta la maggiore delle difficoltà che pone il problema

del tempo organico.

Spazialità organica

Nel saggio Gestal t und Zei t Weizs&cker accenna, pur non

affrontando direttamente la questione, al fatto che allorché si

accolga nella. biologia il concetto di «tempo biologico» anche

altri concetti, per i quali si ricorre generalmente alle

definizioni della fisica classica, abbisognano di una

«correzione»; primo tra tutti quello di «spazio», legato a

doppio filo al concetto di tempo. La definizione di movimento,

37 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 83. 38 V-leit, p. 22.

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ad esempio, rimanda necessariamente ad entrambi i concetti, non

essendo esprimibile né come spazialità atemporale, né come

temporalità non spaziale: in generale, l'attività dei sensi è

tale che «non si dà percezione determinata temporalmente che

non sia anche agganciata alla spazialità»39.

Nell'ambito della teoria della percezione è inevitabile

affrontare la questione della spazialità. La domanda principale

a cui essa deve poter rispondere è: in relazione a quali corpi

ci si percepisce contemporaneamente coordinati? Il senso della

percezione va cioè trovato in primo luogo nella collocazione e

nel sistema di relazioni spazio-temporali che legano il

soggetto percipiente e l'ambiente circostante. Naturalmente, lo

spazio biologico che viene a definirsi in relazione alla

percezione, e piO in generale nell'incontro con l'ambiente, si

distingue in modo essenziale da quello fisico-matematico'o. A

tale distinzione Weizs&cker procede servendosi di fatto proprio

del concetto di tempo, a cui egli assegna una funzione di

fondazione: ci troviamo cosi di fronte ad un vero e proprio

capovolgimento della priorità attribuita ai concetti di spazio

e tempo nella fisica tradizionale - in cui è il tempo ad essere

definito mediante il concetto di spazio•l. Se per la

determinazione dello spazio fisico ci si deve servire di un

sistema di riferimento costante nel tempo, di coordinate in

assoluta quiete sulle quali i corpi sono tra loro in relazione

senza contrasti reciproci, per la spazialità biologica le cose

stanno in maniera molto diversa. L'integrazione biologica nello

spazio «ha sempre solo un valore momentaneo; il suo ''sistema di

riferimento" può avere cioè solo una certa durata e può

39 lvi, p. 32. 4° Cfr. i vi, p. 10. 41 Abbiamo già visto come Weizsicker si richiami a Bergson nel considerare il tetpo della fisica coae «spazializzato,.

73

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comunque sempre essere sacrificata per qualcos'altro»42, vale a

dire che per la struttura biologica non si può parlare

propriamente di un sistema di riferimento spaziale, ma solo di

una coordinazione nel presente di prestazioni biologiche. La

relazione spaziale ha una certa «durata» nel presente; si dà

tuttavia anche un presente che «non perdura» così che si genera

un contrasto nel quale il presente (l'accadere) ha validità e

allo stesso tempo non ha valore43. Il contrasto si determina a

causa del disconoscimento di parte del movimento che si

verifica, il quale può essere irreale pur nella realtà del

presente. La relazione spaziale, a seconda del fine della

percezione ha validità e non ce l'ha nel medesimo tempo- e

proprio per il fatto di essere «nel tempo» quale «presente». Il

carattere di contemporaneità della spazialità biologica può

realizzarsi solo nel contrasto, in un contrasto che non

potrebbe mai darsi nella fisica.

L'oggetto della percezione appare come «lo stesso oggetto»

grazie alla coordinazione di una molteplicità di muscoli e di

funzioni corporee e la determinazione spaziale, dovuta

all'attività dei vari sensi, rimanda al consenso reciproco di

movimento e sensazione. Nelle teorie psicologiche e nelle

teorie della conoscenza - specie quelle legate alla teoria

kantiana - in cui viene presupposta una rappresentazione

matematica dello spazio, un oggetto viene determinato nelle sue

coordinate spaziali in maniera «assoluta»; se due impressioni

sensorie provengono dal medesimo luogo di una rappresentazione

spaziale è data per ciò stesso la loro provenienza dallo stesso

oggetto. Una simile concezione non è conciliabile con l'idea

dell'intreccio di percezione e movimento in un unico atto in

42 W-Zeit, pp. 10-11. 43 ivi, p. 11.

74

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cui il presente sensibile si costituisce via via e la sua

inscrizione in una medesima rappresentazione spaziale è essa

stessa una prestazione particolare che può - ma non «deve» -

indicare la percezione e il movimento. Non è perché ordinati in

uno stesso spazio che si dà la possibilità di una comparazione

e coordinazione dell'attività dei vari organi, ma perché si dia

la costituzione di un oggetto dopo l'altro, di un atto dopo

l'altro, per l'unità stessa dell'accadere. E non si tratta di

un'«unità generale», o del «tutto», ma esclusivamente di quella

di determinati, particolari punti di vista. L'intreccio di

movimento e percezione a cui pensa Weizsacker non esaurisce il

proprio significato nell'idea di una collaborazione tra

apparato sensibile e movimento, contemplato già nelle teorie

fisiologiche classiche, sebbene lo includa. La cooperazione

degli organi e delle loro parti non si fonda sul fatto che ad

essi corrispondano specifici Raumwerte o Lokalzeichen, e non

esiste una specifica energia sensoria in relazione alla

spazialità. L'unitarietà della cooperazione tra organi non ha

il suo fondamento sulle relazioni strutturali e funzionali che

si danno tra essi; queste sono piuttosto un limite alla

formazione unitaria della cooperazione, ciò che può

eventualmente interromperla o impedirla.

Per quanto riguarda la forma organica secondo il suo essere

spaziale, essa rappresenta, come sappiamo, il «luogo» del

movimento che coinvolge organismo e ambiente. Se si

presupponesse l'esistenza di uno spazio indipendente dal tempo

e dal movimento con cui si verifica l'attività organica la

forma sarebbe semplice figura spaziale. Ma il dato che emerge

dalla valutazione dell'atto biologico non consente la

contemplazione di una simile indipendenza. Se si prende, ad

esempio, la vasta gamma di livelli che copre la velocità del

75

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movimento negli animali superiori, si osserva che al

cambiamento di velocità corrisponde - oltre una certa soglia -

un cambiamento dell'andatura: cosi il cavallo dal passo passa

al trotto, al galoppo, alla carriera. E non solo ogni andatura

ha un proprio quadro di coordinazioni, ma all'interno di una

stessa andatura viene modificata, oltre. alla frequenza con cui

i passi si susseguono, anche la loro lunghezza. Nel movimento

organico la componente spaziale è funzione di quella temporale

e viceversa••. L'attività organica dà forma a rapporti sempre

nuovi determinantisi tra spazio e tempo, e mai a semplici

raffigurazioni spaziali indipendenti dal tempo. Sarebbe perciò

una vera e propria falsificazione considerare il movimento

biologico secondo la sua rappresentazione spaziale atemporale o

facendo astrazione dal suo tempo di formazione: questa regola

possiede, secondo Weizsacker, il più ampio valore.

Il movimento organico è sempre rivolto ad un fine e, dal

punto di vista della prestazione da ottenere, dato il rapporto

funzionale sussistente tra spazio e tempo, un aumento della

velocità con cui il fine si può raggiungere implica anche un

suo avvicinamento. I fenomeni di illusione percettiva

testimoniano appunto la possibilità di uno scambio tra un

aumento di velocità del movimento ed un avvicinamento

dell'oggetto-scopo della percezione•s. E per il vivente, vale a

dire non «oggettivamente», ma per quanto concerne la sua

attività biologica, la costante in una prestazione organica non

è altro che una relazione di spazio e tempo in cui è possibile

invertire le misure.

Quali sono dunque le caratteristiche dello spazio

biologico: non quelle dello spazio matematico euclideo della

44 V-Der Gestaltireis 1940, p. 142. 4S Ibid.

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fisica; esso non ha la struttura tridimensionale omogenea e

isotopica di questo e non è spazio assoluto46. Lo spazio

biologico non è «dato», ma «si costituisce» con il movimento,

più precisamente il movimento organico è ciò che produce una

formazione (Gestaltung) spaziotemporale, non ciò che si

costituisce mediante la determinazione di luoghi «nello»

spazio. Naturalmente è sempre possibile inscrivere in uno

spazio matematico una conformazione motoria, ma si tratta di

un'operazione di obiettivazione che non può riuscire a rendere

adeguatamente la realtà della formazione del movimento

organico, il senso proprio del movimento autonomo: «il

movimento dell'organismo non si svolge (sich bewegen) nello

spazio e nel tempo, ma l'organismo muove (bewegt) lo spazio con

il tempo»4'.

Come il tempo biologico anche lo spazio biologico, dovendo

essere considerato una formazione (Gestaltung), va trattato

metodologicamente secondo la sua genesi. In relazione, ad

esempio, ad una prestazione organica costante come l'equilibrio

corporeo, lo spazio si rivela affatto relativo. Esso si

determina mediante innervazioni e movimenti nel contesto della

relazione tra organismo e ambiente, che di quelle innervazioni

appunto determina la forma. Lo spazio biologico è del tutto

relativo alle prestazioni che lo determinano e la sua struttura

non corrisponde allo schema generale di una prestazione, ma a

costrutti singolari dipendenti dalle rispettive prestazioni. E'

la prestazione stessa a dare la determinazione spaziale ad ogni

elemento che le appartiene: «la prestazione determina anzitutto

un qui in certo modo puntiforme e a partire da questo il

trovarsi (Befindlichkeit) spaziale intorno alla cosa» 48 . Le

46 lvi, p. 143. 47 Ibid. 48 lvi, p. 145.

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determinazioni che seguono a quel «qui» avranno un carattere

relativamente elementare come: «là», «a sinistra», «dietro»,

«sopra», «lontano», «più grosso», ecc. Nella genesi della

formazione biologica questo «qui» definisce il primo luogo

spaziale, lo spazio matematico in cui qualcosa si trova ha un

significato secondario e inessenziale.

Il IIOVillento

a. L'attività motoria

Il concetto di Gestaltkreis, come sappiamo, si conforma

principalmente sul rapporto tra percezione e movimento. La sua

dinamica presuppone tra esse un principio di equivalenza, il

principio, cioè, della sostituibilità vicendevole di movimento

e percezione49. Tra le due componenti del circuito vi è una

relazione funzionale di rimando reciprocoso, insieme

complementare ed oppositivo, anche rispetto a ciò che esse

rappresentano sul piano conoscitivo. La percezione ha la

caratteristica di «indicare» (zeigen) qualcosa; il movimento

quella di «condurre» (ffihren) a qualcosa. L'indicare ed il

condurre sono reciprocamente contrastanti: «l'indicato

(Gezeigte) lascia una scelta, il condotto (Gefiihrte) è

scelto»sl. Le condizioni del movimento sono pertanto

limitazioni del volere; le condizioni della percezione sono

invece limitazioni del conosceres2. Lo studio delle condizioni

formali e reali del movimento equivale all'analisi

49 lvi, p. 161. 50 lvi, p. 163. 51 lvi, p. 120. 5 z !bi d.

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dell'effettuabilità della percezione.

Ogni qualvolta si parla di movimento nella sfera biologica,

si parla di movimento autonomo (Selbstbewegung). Il concetto di

movimento autonomo include in sé l'idea dell'indipendenza

reciproca di elementi adiacenti - nel nostro caso l'organismo e

l'ambiente: l'autonomia è dunque tale per entrambe le parti.

Non solo: vi è inclusa l'idea del movimento di entrambe:

«quando dico che una cosa si muove - sostiene Weizsacker - con

ciò stesso è già pensato che anche il suo ambiente si muove -

entrambi si muovono, se uno si muove»s3. Il movimento non è

concepito dunque come «cambiamento di luogo» o di quantità di

energia in relazione alla massa, ma come processo che coinvolge

in maniera concomitante organismo e ambiente, non essendo dati

parametri fissi di riferimento, ma la sola reciprocità quale

unico criterio di valutazione. Naturalmente Weizsacker può

procedere ad una trattazione unitaria del rapporto tra

indipendenza e movimento solo grazie all'adozione di una

prospettiva dialettica.

Il movimento autonomo (Selbstbewegung) è caratterizzato

dall'intenzione (Vorsatz)S4 e nel suo effettuarsi urta contro

le forze ambientali pur partecipando della loro stessa origine

e direzione: si tratta di principi interdipendenti. Non è di

alcuna importanza che si consideri il movimento organico come

asservito ad un'azione motoria o sensoria: «guardando e

sentendo compiamo movimenti; camminando e afferrando percepiamo

le cose. Come atto biologico questo è un complesso senso­

motorio come l'altro»ss. E' in questo complesso che si trova

l'origine della forma organica. Il movimento organico non è

fine del movimento stesso: gli organismi non eseguono movimenti

53 lvi, p. 130. 54 E questo non vuole dire che sia «volontario,. 55 lvi, p. 126.

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«in quanto tali», ma «i loro movimenti significano o causano

qualcosa che non è esso stesso solo movimento»s6: il movimento

è il principio mediante cui qualcosa prende forma.

Una ricerca delle condizioni della forma del movimento,

ovvero del «come» esso viene ottenuto, conduce alla

determinazione di un complesso di contrazioni muscolari,

connesso ad un insieme di processi di eccitazione di nervi, il

quale presuppone una serie di eccitazioni centrali. Tra il

movimento effettuato e gli elementi fisico-fisiologici indicati

non si dà alcuna somiglianza geometrica, e tuttavia sussiste

tra essi una precisa correlazione delle forme. La fisiologia

classica presuppone perciò che essi si connettano in una catena

causale in cui avvengono una serie di trasformazioni che

conducono al movimento avente quella determinata forma. La

costruzione di una simile catena causale non è però sempre

sufficiente; occorre talora tenere conto di fattori non

contemplati da questo tipo di costruzione. L'esempio riportato

da WeizsAcker per rendere il genere di difficoltà a cui si

riferisce è quello di una coppia danzante che si muove

tracciando nella sala figure virtuali. Nessuno dei due

danzatori, da sé solo, è la causa per intero dei movimenti

risultanti: ciascuno di essi regola sé stesso anche in

relazione all'altro e di questa peculiare relazione la

spiegazione causale neuro-fisiologica non tiene conto. La

fisiologia contemporanea cercava di affrontare le difficoltà di

fronte alle quali pone un caso come quello del moto dei

danzatori attraverso lo studio della rotazione motoria e delle

vertigini, studio al quale lo stesso Weizsacker si è a lungo

dedicato. Per trasporre il caso sul piano sperimentale egli ha

sostituito uno dei danzatori con un oggetto inanimato ma

56 lvi, p. 127.

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mobile, una cabina girevole, ed ha osservato i comportamenti

motori della persona collocata in essas'. La fisiologia

classica, che non parte dal movimento autonomo

(Selbstbewegung), spiegava i movimenti di un organismo -

considerato alla stregua di una macchina inserita in un

ambiente - mediante stimoli esterni e riflessi fissi.

Ora, questo tipo di spiegazione, di fronte ai particolari

fenomeni che si osservano negli studi sulla rotazione, non

risulta soddisfacente: i cosiddetti riflessi del soggetto in

osservazione non sembrano dipendere da singoli stimoli e

ricettori, ma dallo spostamento relativo di corpo (Korper) ed

ambiente (Umgebung) otticoss. Il significato di questa

relatività nel rapporto tra organismo ed ambiente (Umwelt)S9

costringe ad una generale revisione dell'approccio alla

questione della forma del movimento: in primo luogo viene meno

la possibilità di affidarsi all'unilateralità della direzione

causale; inoltre la forma dell'accadere fisiologico può venire

espresso solo come «rapporto formale» (Formbezug) rispetto

all'accadere ambientale, e viceversa. Il legame di dipendenza

causale reciproca di organismo ed ambiente, l'intreccio dei

suoi nessi, non si manifesta col carattere dell'omogeneità. Il

comportamento dell'organismo nei confronti del suo ambiente

rappresenta ora una relazione stabile, ora un'interruzione di

questa; ora si presenta come conservazione del contatto tra

l'organismo o una sua parte e l'ambiente circostante, ora come

distruzione di questa coerenza e magari come sua

ricostituzione, nella stessa o in altra forma. Non essendovi la

possibilità di ottenere un'immagine formale unitaria e fissa di

57 L'esperiaanto della cabina rotante verrà illustrato in seguito. 58 Si veda V-Der Oestaltkreis 19,0, p. 129. st Veizsacker usa generalmente il termine Olgebungper indicare un aBbiente circoscritto alla specifica situazione in esa1e, il teraine OJvelt, invece, per l'ambiente organico in quanto tale.

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tale intreccio, il suo studio dovrà essere di tipo genetico,

dovrà cioè occuparsi del suo originarsi.

L'immagine motoria che si costituisce relativisticamente è

«bipolare», vale a dire che, nel considerare il rapporto

organismo-ambiente, non vi è differenza alcuna tra la

determinazione della forma a partire dall'organismo o a partire

dall'ambiente. Ma l'identità della forma non ha il solo

significato di un'identità estrinseca (come nel caso dell'acqua

che assume la forma del suo contenitore): si tratta

dell'identità dinamica dovuta ad un temporaneo contatto

regolato dal principio di coerenza. Il movimento autonomo non è

che la conseguenza più immediata del principio di relatività:

«Allorché diciamo "ciascuno dei due si regola anche secondo

l'altro" non diciamo nulla di nuovo, poiché nell'espressione

secondo cui una cosa si muove è già incluso che anche l'altra

si muove»6o.

b. Incontro di organismo e ambiente

L'attività percettiva non offre, secondo Weizsacker,

immagini «fabbricate» e fisse di qualcosa, ma un divenire di

relazioni determinate dall'incontro dell'organismo, o dell'Io,

con l'ambiente (Umwelt). Essa non rappresenta affatto un

prodotto soggettivo compiuto: il mondo interiore (Innenwelt) è

portatore e teatro di questo incontro, ma non il luogo della

sua «produzione». Si può partire dalla Umwelt per ottenere dati

sulla Innenwelt o viceversa; i dati stessi della percezione

forniscono informazioni sia sull'ambiente dell'organismo, che

60 lvi, p. 130.

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sul soggetto percipiente 6 1. Nello studio dell'attività motorio­

percettiva dell'organismo Umwel t ed Innenwel t non possono

perciò essere considerate entità separate: esse rappresentano

momenti indissolubilmente intrecciati della realtà

dell'organico, al punto che ogni prestazione biologica può

essere rappresentata come conformazione della relazione di Ich

ed Umwel t6 2 •

Per la verità, nella teoria weizs&ckeriana permane

un'ambiguità di fondo: pur dando inizio alle proprie ricerche

nell'ambito degli studi della fisiologia umana, Weizs~cker

elabora una teoria dell'«atto biologico» che riguarda

l'organismo in quanto tale, nella sua essenziale struttura

ricettiva e attiva. Finché si tratta di percezione e movimento

si può forse pensare la sua teoria come applicabile persino

alla realtà dell'organismo vegetale (sorgerebbero probabilmente

delle difficoltà quando si scendesse sino al regno degli

organismi unicellulari), ma spesso Weizs&cker, riferendosi in

generale al Lebewesen, e non limitandosi esplicitamente

all'uomo o all'animale, usa termini come «soggetto» e «io» -

per_al tra senza f~:re t_r_a essi alcuna d.istinzione 6 3 •

_Il principio dell'incontro di organismo e amb_iente rimanda

alla concezione elaborata da J. von UexkOll nei primi decenni

del novecento,· una concezione che suscitò vasto interesse in

ambito scientifico 6 • e che venne in vario modo discussa e

recepita anche dalla filosofia contemporanea6 s. Essa, pur

61 V-Der Bestaltkreis19U, p. 101. 62 lvi, p. 160. · 63 Si è dunque autorizzati a pensare che si dia anche un cio, - o una qualche foraa di «soggettività, -vegetale, o si deve invece assegnare un valore «ristretto, alla sua concezione dell'organico? Questa seconda ipotesi è probabilaente la pià verosiaile. Vedreao co1e nella filosofia dell'organico di Plessner la questione si ponga in teraini pià espliciti. 6' Si possono vedere a proposito gli atti del siaposio tenutosi a Breaa nel 1950, curati da R. Plessner, Das OJreltproblel, in Sylphilosopbein, Mdnchen, Lehnen, 1952. On riconosciaento esplicito di Weizsicker alla teor i a di J. von Oexkdll si trova in w- Der Bes taltireis1940, p. 160 65 Basti qui fare i noai di M. Scbeler, M. Merleau-Ponty e M. Beidegger. Di J. von Oexkdll si possono

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estendendosi fino alla considerazione del sistema vitale dei

microrganismi, si limita alla valutazione del rapporto

dell'uomo e dell'animale con il proprio mondo di appartenenza.

Il compito specifico della biologia - affatto distinto secondo

von Uexkfill da quello della fisiologia - consiste precisamente

nello studio dei rapporti tra l'organismo ed il proprio

esterno, consiste cioè nella definizione e nello studio della

relazione che si instaura tra un'individualità organica

soggettiva e ed il «suo» mondo. Non esiste per la biologia un

«mondo oggettivo» in cui si collocano degli organismi a loro

volta considerabili come degli «oggetti». L'organismo è un

soggetto che si pone in relazione attiva nei confronti

dell'ambiente circostante, un ambiente concreto e specifico con

cui l'organismo è sempre in un rapporto di scambio

funzionale66. E se le capacità di ricezione degli stimoli

esterni e di azione sull'ambiente dipendono dalla costituzione

biologica e dagli scopi particolari dell'organismo, anche le

determinazioni spaziali e temporali dell'ambiente, le

caratteristiche qualitative di esso e la sua «ricchezza»,

dipendono strettamente dal soggetto che in esso si trova a

svolgere la propria vita. La biologia ha dunque a che fare con

«mondi individuali», con campi d'azione specifici le cui

componenti dipendono dalla conformazione assunta

dall'interazione reciproca di due fattori, ma in cui l'elemento

soggettivo - scevro da caratterizzazioni strettamente

«psicologiche» - rappresenta il principio determinante.

Esattamente come von Uexkfill, Weizsacker ritiene

vedere: Id., D1relt und Innenrelt der fiere, Berlin, Springer, 1909; Id., rheoretische Biologie (Berlin, Springer, 1920), Frankfurt a.M., Suhrkaap, 1973; Id., StreifzOge durch die OJvelten von tieren und Kenschen, Reinbeck, Rowohlt, 1934 (trad. it. I 1ondi invisibili, a cura di P. Manfredi, Milano, Mondadori, 1936). Un s.aggio critico recente e ben articolato sul pensiero scientifico di J. von Uexkull è quello di R. Langthaler, OrganisJus und U1relt, Hildesheia, Olas, 1992. " Cfr. J. von Uexkull, rheoretische Biologie, cit, pp. 66-67; Id. I Jondi invisibili, cit., p. 86.

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impossibile sapere qualcosa di un mondo e delle sue

disposizioni spazio-temporali indipendentemente dal soggetto67.

Allo stesso modo - egli prosegue - non si può tracciare un

netto limite spaziale e temporale tra vivente e Umwelt:

l'organismo non è infatti identificabile con il contorno

spaziale del suo corpo, la superficie cutanea o la membrana

cellulare dell'organismo6s. L'individuazione di un limite

materiale spaziale o temporale dell'individuo organico è

possibile solo considerando, di momento in momento, e di caso

in caso, una specifica attività vitale. L'idea stessa della

ricerca di un limite, di una disgiunzione tra Umwelt e vivente

è profondamente scorretta, perciò lo studio dell'attività

organica deve svolgersi nell'ottica dell'incontro e dello

scambio reciproco tra essi, deve considerare in una visione

unitaria le diverse forze di trasformazione delle eccitazioni

nervose e muscolari dell'organismo e altresi le forze

specifiche dell'ambiente del vivente. In queste relazioni si

rivela il significato del cambiamento funzionale

(Funktionswandel) e dell'illusione che «hanno necessità

costitutiva per la realtà delle cose, del nostro corpo, del

corso degli avvenimenti»69.

La percezione rappresenta un momento dell'incontro di Ich

e Umwelt in un preciso passaggio dello sviluppo - dalla

teleologia sconosciuta - di un processo che è, di nuovo,

incontro perpetuo di Ich e Umwelt - di movimento e percezione.

Il «risultato finale» - ovvero la «forma» che assume tale

incontro- è il risultato tanto delle forze dell'organismo

quanto di quelle dell'ambiente, è il prodotto della loro

67 Cfr. J. von Uexkiill, tl1eoretiscbe bologie, p. 9. 68 Questa probleaatica - rileva lo stesso Veizsicker - ha iapegnato von Bunge in aabito fisiologico, Bohr in atbito fisico e Scheler in quello filosofico: V-Der Gest&ltkreis 1940, p. 198, nota 17. 69 lvi, p. 160.

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concorrenza e concomitanza. Perciò all'incontro delle forze

corrisponde una coincidenza della «forma dinamica» degli

elementi organici con quella dell'ambiente.

Le determinazioni spaziali e temporali, che si generano

dall'incontro di Ich e Umwelt, non hanno nella percezione il

carattere della persistenza; la durata di un'immagine

percettiva non dà alcuna garanzia di costanza nello spazio e

nel tempo: «in fondo - afferma Weizsacker - percepire significa

sempre anche passare ad altro»'o. Accanto ad un ordinamento

spaziale e ad una successione temporale, è quindi necessario

riconoscere nella struttura della realtà organica una

particolare dinamica secondo la quale gli oggetti vengono

percepiti e abbandonati, o «sacrificati», ed entrambi i

momenti, l'accoglimento e l'abbandono sono altrettanto

determinanti per l'attività biologica. E' precisamente il

mancato riconoscimento di tale dato ad aver portato al

fallimento di quei tentativi di spiegazione scientifica che

hanno semplicemente visto in esso un fenomeno legato

esclusivamente alla soggettività percipiente o dovuto alla

limitatezza delle possibilità dell'apparato sensibile. Il suo

significato può essere colto soltanto con il superamento

dell'alternativa percepito-percipiente e attività percettiva­

attività motoria, mediante la preliminare unione dell'attività

psichica e di quella fisico-fisiologica sotto un concetto

capace di fungere da denominatore comune: il concetto di

movimento autonomo (Selbstbewegung)71.

Le modalità spazio-temporali, derivate dall'attività

biologica e non «trovate» nel mondo esterno, sono - si può dire

- al servizio della percezione e del vivente. La funzione che

70 lvi, p. 103. 71 Ibid.

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svolgono gli organi di senso è sostanzialmente quella di

produrre la collocazione del vivente in un mondo, non quella di

ottenere informazioni su di un mondo indipendente dal vivente,

quindi dal soggetto. Si tratta, sostiene Weizsacker, di un dato

di fatto perfettamente verificabile: le disposizioni spaziali e

temporali della percezione sono costitutive per la

realizzazione della vita, non certo per una conoscenza del

mondo indipendente da essa'2.

Ogni atto percettivo - si diceva - ha il carattere

dell'incontro e nell'unione delle componenti, denominata

coerenza (Koharenz), l'attività percettiva dà origine a quelle

disposizioni spaziali e temporali studiate dalla fisiologia e

dalla psicologia come fenomeni di «localizzazione egologica»

(in ambito ottico il riferimento della collocazione degli

oggetti alla posizione del soggetto percipiente), di

«soggettivizzazione» o «oggettivizzazione» delle sensazioni (ad

esempio le impressioni tattili possono essere somatizzate e

vissute come condizioni del proprio corpo, oppure sottoposte a

proiezione e considerate come processi del tutto esterni

all'organismo), ecc73. E proprio lo studio delle sensazioni

corporee è particolarmente in grado di mettere in risalto che

la linea di demarcazione tra l'«io» e !'«altro», l'o~getto

della sensazione, non è affatto univocamente predeterminata:

«qui si è altrettanto giustificati a dire che, ad esempio,

questo dolore è "mio", come che esso è solo nel mio "corpo",

non nel mio io»'4. Il momento della distinzione dell'«io»

dall'«altro» è anzi da considerarsi, esso stesso, un atto

biologico.

Ogni percezione, ogni incontro tra «io» e «ambiente», va

12 lvi, p. 114. 7 3 I v i , p • 116 .. 14 Ibid.

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considerato come un «originale» per sé, non collocabile in una

realtà spazio-temporale omogenea. Le modificazioni e

trasformazioni continue della percezione sensibile sono una

condizione necessaria perché si possa esperire una cosa come

«la stessa cosa» in momenti distinti e secondo modalità diverse

dell'apparire percettivo. Il verificarsi di spostamenti

relativi continui tra corpo organico ed ambiente, spiegabili

secondo uno schema stimolo-movimento-percezione, danno piena

ragione dei risultati ottenuti da Weizsacker ad esempio con gli

esperimenti sulle vertigini's, dai quali si desume anzitutto

che «se non si dà alcuno spostamento relativo non segue alcun

riflesso né alcuna percezione motoria»76. Quando invece abbia

luogo un simile spostamento relativo si ha anche la libertà di

percepire un movimento del proprio corpo o un movimento

dell'ambiente (Umgebung), o ancora un movimento di velocità

dimezzata distribuito su entrambi, indipendentemente dal dato

reale obiettivo. La relatività del movimento proprio o

dell'ambiente non è casuale e privo di regola, ma soggetto di

un principio denominato da Weizsacker di «costanza

sommativa::.77.

La percezione mostra cosi di avere una limitazione

costitutiva, quella di non potersi rivolgere contemporaneamente

all'innumerevole quantità di stimoli di fronte ai quali

costantemente viene a trovarsi. Essa deve compiere una

selezione sulla base di ciò che, di momento in momento, è

essenziale o significativo. Ma porsi la domanda: «essenziale

per cosa?» o «significativo per cosa?» vuole dire oltrepassare

l'ambito della considerazione della percezione. Entrano qui in

campo fattori di vario genere non necessariamente legati alla

75 lvi, p. 162. 76 lvi, p. 163. 71 Ibid.

88

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percezione sensibile. E' possibile infatti stabilire «come» si

verifica l'incontro di Ich ed Umwelt mediante i sensi, ma non

risalire al «perché», a ciò che va al di là dei sensi, alla

sfera transensibile che attraverso i sensi viene realizzata: si

può solamente constatare se essa viene realizzata

soddisfacentemente o meno nella percezione. Per questo è

possibile determinare l'inadeguatezza e la patologia della

percezione degli oggetti, ma non il perché ed il particolare

modo della percezione'&.

La percezione

a. L'attività dei sensi

Tra l'oggetto presentato ad un soggetto e la percezione da

questi ottenuta solitamente si verifica un accordo. E'

possibile cioè stabilire che la percezione è conforme

all'oggetto; non di rado, tuttavia, si generano tra essi delle

discrepanze e ci si trova di fronte ad un fenomeno «illusorio».

Il tema dell' illu.sione dei .sensi, come già accennato, riveste

un ruolo fondamentale nell'ambito delle ricerche sperimentali

di Weizsacker: il .suo studio permette di trarre conseguenze

teoriche essenziali sia sul piano della fisiologia della

percezione sia su quello allargato della teoria dell'organico.

Le discordanze che talora si determinano tra configurazioni

(Figuren) oggettive e percezione, si presentano con una certa

evidenza nei casi in cui interviene un movimento dell'oggetto

percepito. In particolare in queste circostanze, insieme

all'importanza metodologica dell'inganno dei sensi, si

78 lvi, p. 118.

89

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manifesta, secondo Weizsacker, la necessità di parlare di

«tempo biologico» e soprattutto di rilevare una sostanziale

discrepanza sussistente tra tempo obiettivo del movimento e

tempo biologico della percezione. L'esempio che Weizsacker

propone concerne un esperimento di moto rotatorio

(Drehversuch). Si tratta di un esperimento articolato in più

fasi, che utilizza una sedia girevole installata in una piccola

cabina chiusa. Un soggetto seduto sulla sedia che sia fatta

ruotare ad una velocità pari a quella della cabina non avverte

alcun movimento, né proprio, né dell'ambiente circostante. Se

invece la velocità della sedia viene differenziata da quella

della cabina, il soggetto avverte un movimento, che può essere

percepito come movimento del proprio corpo o come movimento

della sola cabina, o ancora come movimento di entrambi in

misura variabile. In ogni caso la percezione del soggetto non è

corrispondente alla situazione oggettivamente presentata: essa

è- si può dire- relativa alla situazione oggettiva' 9 •

Una relatività di questo stesso tipo viene osservata anche

in esperimenti sulla percezione ottica di punti luminosi

nell'oscurità. In esperimenti di questo tipo, la distinzione

tra stato di quete e di moto non è affatto corrisponde~te al

dato oggettivo. La percezione sembra effettuare una

scomposizione e una ridistribuzione del movimento sui vari

punti osservati, in modo che se oggettivamente vengono

presentati un punto luminoso stabile ed uno in movimento, la

percezione coglie il movimento come distribuito su entrambi i

punti. La velocità del movimento che si manifesta

all'osservatore in modo oggettivo viene ripartita e distribuita

sui vari punti luminosi in modo che la somma delle velocità

rimanga costante. Spesso viene modificata dalla percezione

7' Cfr. V-Zeit, p. 35 e V-Der Gestaltkreis 1940, p. 162.

90

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persino la direzione del movimento di un punto luminoso: un

movimento lineare può apparire circolare non appena si presenti

un secondo punto che ruota intorno al primo. Fenomeni di questo

tipo non sono affatto occasionali: essi si presentano con la

regolarità di una legge, e sono validi per ogni osservatore.

Inoltre essi sembrano aver luogo nello spazio siderale e

provenire da entità libere. Weizs&cker ne trae la conclusione

che l'occhio coglie preferibilmente il movimento rappresentato

dalle più semplici leggi della geometria, della meccanica e

dell'astronomia; egli chiama questa tendenza «nomofilia della

percezione». Grazie alla nomofilia della percezione le

divergenze erronee possono essere facilmente riconosciute; sono

invece difficilmente individuabili deviazioni concernenti

figure casuali, che non rappresentano cioè quelle leggi fisiche

cui tende spontaneamente la percezione e che rimangono

difficilmente impresse nella memoria.

Se durante la presentazione dei punti luminosi vengono

introdotte delle modificazioni nella velocità con la quale essi

compaiono o si muovono, l'occhio percepisce una figura

deformata rispetto a quella tracciata oggettivamente dai punti.

La stessa cosa accade se si suddivide il tracciato del punto

luminoso. Il verificarsi di simili fenomeni come

rappresentazione di una precisa legge meccanica è detto da

Weizs&cker «nomotropia della percezione»: il dato sensibile che

viene a comporsi spazio-temporalmente, mostra regolarità

fisiche e geometriche che nella rappresentazione sensibile

rimandano ad una qualche attività di dette leggi sulla

percezione. E non si deve pensare che questo sia dovuto alle

conseguenze di una traccia di memoria empirica; questo fenomeno

va considerato «come attività delle leggi stesse, come

91

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anamnesi»so.

Numerosi esperimenti sul rapporto tra la velocità del

movimento di punti luminosi e la raffigurazione che assume il

loro tracciato, rapporto che si delinea sempre come soluzione

compromissoria, permettono di concludere che «alla

conformazione (Gestaltung) è immanente la struttura temporale

che abbiamo indicato come biologica»sl. Il particolare percorso

della formazione della figura, per il quale è indispensabile

una componente temporale trattandosi di processo e non di

visione immediata, non è adattabile all'idea di tempo obiettivo

della scienza fisica. Velocità oggettivamente diverse non

vengono infatti percepite come tali, ma come modificazioni del

percorso seguito dal punto. Proprio a causa di questo specifico

rapporto tra velocità e raffigurazione si verifica la non

coincidenza del tracciato oggettivo e di quello percepito,

quindi il fenomeno illusorio. L'illusorietà va quindi

considerata costitutiva dell'immagine sensibile della Umwelt82 •

L'analisi di Weizs&cker del processo percettivo riconosce

dunque nell'elemento illusorio una condizione necessaria

all'orientamento geometrico e biologico del vivente e al.

compimento dell'azione finalizzata: «il di.sconoscimento

(Nichtanerkennung) di parte del movimento che si verifica (e

del cambiamento di luogo) è quindi la condizione per un

ambiente stabile»s3; esso rappresenta la garanzia della

perseguibilità del fine stabilito. Lo stesso significato viene

80 W-leit, p. 35. 11 lvi, p. 34. 82 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 16. Se si volesse precisare cosa sia da intendere con il concetto di non-illusorio si dovrebbe anzitutto specifificare che vi sono per Veizsicker alaeno due sensi per l'idea di figura oggettiva: il priao è quello di una figura aateaatica, il secondo è dato dall'essere la figura intuitiva (anschaulich). cse il feno1eno Jensibile è in accordo con l'intuilione (Anschauung) (riprodotta rappresentativuente) dello stato di fatto oggettivo, allora diciuo che la figura viene percepita cote se •tosse" oggettiva, perciò non illusoriu: V-leit, p. 34. &3 W-Der Gestaltkreis 1940, p. 6.

92

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ad assumere il «salto qualitativo» che si osserva talora nella

rea~ione ad uno stimolo: l'organismo sacrifica parte del

comportamento adottato sino a quel momento o parte del fenomeno

per ottenere la conservazione dell'equilibrio o la costanza

dell'ambiente visibile»s4.

Il rapporto dell'organismo con l'ambiente circostante è

strettissimo; il contatto degli organi con determinate porzioni

dell'ambiente determina quel legame, definito da Weizs&cker di

«coerenza» (Koh&renz)as, che si mantiene sino al subentrare di

potenti disturbi. La coerenza è data dalla conserva~ione di una

serie di movimenti che rendono possibile un'unità di azioni

raccolte intorno ad un fines6. Se, ad esempio, l'attività

percettiva in corso consiste nell'inseguimento di una farfalla,

alla visione dell'immagine si affiancano una quantità di

movimenti muscolari che in virtù del fine, compongono

osservatore e osservato in una unità. La coeren~a si ha a

condizione del mantenimento di quella serie di movimenti che

determinano l'unione; per «coerenza» si intende perciò

l'assenza di forze o fatti che pongano termine ad uno stato

persistente nella perce~iones'. E' l'attività dovuta al

movimento autonomo (Selbstbewegung) dell'organismo a fare si

che l'ambiente si distingua in «coerente» e «sacrificato».

Quanto viene sacrificato è precisamente il «disconosciuto», ciò

che non viene preso sul serio in base ad una decisione

preliminare concernente l'oggetto dell'atto percettivo (cosi su

di un treno in corsa può sembrare apparente il proprio moto

oppure quello del paesaggio fuori dal finestrino) 88 • Con il

principio della coerenza diviene evidente il contrasto tra

•• lvi, p. 7. Si veda anche ivi, p. 15. as lvi, p. 9, ove si riaanda, in nota, allo scritto del 1933. 86 Si veda in W-Der Oestaltireis 1940, p. 5 sgg. 87 lvi, p. 18. 88 lvi, p. 10.

93

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oggettività fisica ed oggettività della cosa percepita: tra la

cosa fisica e la cosa percepita vi è di fatto totale

inconfrontabilità89.

Il concetto di coerenza è centrale nella teoria della

percezione di Weizs~cker al punto che dinanzi a fenomeni

percettivi differenti la domanda fondamentale che lo studioso

deve porsi è quale coerenza viene interrotta e a quali

condizioni ciò accade. Strettamente dipendente da questo è la

determinazione della stessità (Selbigkeit o Derselbigkeit)

dell'oggetto della percezione: essa non è legata

all'osservazione di una rappresentazione spaziale fissa, non

può servirsi di Ortswerte o di una composizione del mosaico di

singole eccitazioni in un organo9o. La stessità non è

«fabbricabile» e viene meno non appena la coerenza si

interrompe o si presenta una condizione diversa (un limite

quantitativo delle determinazioni misurabili viene oltrepassato

e si verifica un cambiamento qualitativo della percezione). Ci

si trova cosi di fronte al caso in cui viene sacrificata una

proprietà della cosa percepita e rimane la stessità della

sostanza (quando ad esempio si assiste alla trasformazione di

un camaleonte); oppure a quello in cui viene sacrificata la

cosa e conservata la stessità del luogo (quando troviamo una

nube ove prima era la luna). Lo stesso accade nella percezione

del movimento. La conservazione della stessità è legata proprio

al sacrificio di certe determinazioni, e la coerenza viene

continuamente interrotta rispetto a queste determinazioni e

ricostituita rispetto ad altre91.

La percezione, che coglie la presenza del fatto o

89 lvi, p. 18. ,. Il senso degli Ortsrerte va ridefinito, secondo Weizsacker, alla luce delle osservazioni fisiologiche che sotolineano l'insufficienza della teoria della rappresentazione della percezione- evidenziata già da Helmholtz: ivi, p. 84. 91 lvi, p. 19.

94

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dell'oggetto, non si dà senza legame con passato e futuro:

l'oggetto cambia nel tempo pur restando lo stesso. Si tratta di

un contra$to ineliminabile, anzi necessario alla percezione.

L'oggetto si trova in un rapporto monogamico con la percezione,

nella quale viene presentificato in un legame di coerenza - o

di distruzione e ricostituzione della coerenza -, che si

determina come atto complessivo (Gesamtakt) in un contesto di

forme varie di vissuto e di non-vissuto. L'espressione comune

con la quale vengono designate queste prestazioni costitutive è

«prestazione negativa» (negative Leistung). La prestazione

negativa non ha il senso della negazione, di quanto «non viene

fatto» (cioè che, ad esempio, non si guarda una cosa quando se

ne guarda un'altra), ma quello dell'implicazione nell'atto

percettivo di ciò che - necessariamente - non appare. La

prestazione negativa acquisisce il suo significato nella

relazione di reciproca esclusione, ascosità di movimento e

percezione.

Movimento e percezione si compongono in un particolare

intreccio (Verschr~nkung) in cui è condizione ineliminabile che

l'attività mediante cui qualcosa appare non appare essa stessa.

Il movimento che permette la percezione non è esso stesso

oggetto di percezione: il moto autonomo dell'organismo non è un

fattore condizionante contenuto nella percezione, ma la

percezione stessa è moto autonomo. Il cosiddetto «principio

della porta girevole»92, che esprime efficacemente il senso di

quell'intreccio, è da considerarsi perciò principio

fondamentale della biologia.

92 Weizsacter annota che prita che da lui l'espressione era stata usata da L.A. Saloaè nel 1931: cfr. lvi, p. 192, nota 13a.

95

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b. Il «principio di possibilità» della percezione

La percezione, concepita da Weizs&cker come attività

conoscitiva sensibile non separabile dall'attività fisico­

materia del vivente, è - in realtà - essa stessa movimento.

Essa è momento essenziale di quel modo d'essere specifico

dell'organismo che lo distingue come ente dotato di movimento

autonomo: «quando mi muovo faccio in modo che mi appaiano dei

movimenti. Poiché il movimento autonomo ed il movimento che

appare sono in un rapporto fisso, si può anche indicare queste

percezioni come autopercezioni»93. Il termine «autopercezione»

non è presa qui nel senso della «percezione di sé», ma nel suo

significato etimologico di «prendere attraverso sé»: «nella

parola percezione è già originariamente contenuto il momento

dell'azione attiva, cioè il "prendere". Percepire è quindi

anche nella nostra concezione un'auto-attività» 94 .

E' chiaro, quindi, che un approccio all'idea di percezione

cosi impostato richieda l'elaborazione di un apparato

concettuale e teorico completamente rinnovato. La percezione è

innanzitutto un'attività in continuo divenire dovuta

all'incontro del soggetto percipiente con l'ambiente. Da questo

incontro hanno origine le disposizioni spaziali e temporali

come «fenomeni possibili» degli oggetti del mondo 95 . La

possibilità che lo spazio non sia «prima»- nell'oggettività

fisica oppure «a priori» - ma che «si costituisca», che venga

«trovato» negli oggetti o «prodotto» nella percezione non viene

indagata dalla fisiologia a causa dell'impronta tipicamente

naturalistica che in essa domina. Nell'idea che le cose siano

contenute in uno spazio e in esso debbano apparire, sostiene

93 lvi, p. 7. 94 Ibid. 95 Cfr. iv i, p. 111.

96

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Weizs~cker, è contenuta non poca confusione: è come se si

avesse a che fare con uno spazio oggettivo ed uno spazio

soggettivo, l'uno reale, l'altro percettivo, tra i quali, però,

non si può avere alcun criterio di confronto. Il tentativo del

confronto, anzi, rivela la presenza ineliminabile di un circolo

vizioso che induce ad escludere la possibilità di una netta

distinzione di soggettivo ed oggettivo: «possiamo avere

l'oggettivo solo nel soggetto, possiamo avere il soggettivo

solo con l'oggetto»96. Ne segue che la loro relazione non è

affatto rappresentabile come se si avesse a che fare con due

mondi distinti, opposti l'uno all'altro sussistenti in modo

affatto indipendente. Si ha sempre a che fare con un

contenimento attuale dell'oggetto nel soggetto.

La correlazione spazio-temporale dei dati percettivi nello

studio fisiologico dei sensi viene spiegata attraverso la

composizione di funzioni fisiologiche elementari per lo pià

nell'ambito di teorie della localizzazione. Esse rivelano però

una quantità di limiti intrinseci. La teoria di von Kries, ad

esempio, che sostiene la collocazione delle percezioni in uno

spazio a mezzo degli organi sensori, si presta a numerose

osservazioni critiche, non ultima quella per cui, oltre ad

avere la sua fondazione un valore solo entro certi limiti, i

valori locali (Ortswerte) degli elementi sensibili o delle

parti degli organi devono essere considerati variabili 97 .

Le disposizioni spazio-temporali «non possono pià, essere

concepite come semplici determinazioni o inscrizioni in uno

spazio (vuoto) o in un tempo precedentemente dati. Ciascuna di

tali disposizioni esprime bensi una situazione attuale - un

96 Cfr. ivi, p. 113. 97 Cfr. iv i, p. 112. Considerato il padre della teoria dei Loialzeicben, Lotze ritiene tuttavia errato vedere nelle relazioni locali degli organi cose tali la base per le disposizioni nelle iatagini percettive e conferisce agli organi sensori una funzione di aediazione delle iapressioni localizzate.

97

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avvenimento»9 8 , e il legame di un avvenimento con altri in una

disposizione spaziale e in una successione temporale è un nuovo

avvenimento, e cosi via. La catena che viene a prodursi in tal

modo non va quindi pensata collocata come un tutto in uno

spazio e in un tempo, ma come tale da prodursi in un

perfezionarsi dell'accadere (Geschehens-Fortbildung) ove si

costituiscono determinazioni spaziali e temporali che via via

sorgono e scompaiono, si compongono e dissolvono in immagini

sempre nuove. «Le cose, allora, non sono nello spazio e nel

tempo, ma spazio e tempo sono sorti nel perfezionarsi

dell'accadere (Geschehens-Fortbildung) e vengono incontrati

nelle cose o con esse»99; e ancora: «non il mondo e le sue cose

sono nello spazio e nel tempo, ma lo spazio e il tempo sono nel

mondo con le cose»loo.

Le disposizioni spazio-temporali vissute mediante la

percezione non sono dunque quelle «oggettive» - cioè non sono

date in maniera fissa ed univoca, e non sono quelle misurabili

con i criteri delle scienze fisico-matematiche -, esse sono

tuttavia condizionate dalle disposizioni degli oggetti 101 • Ci

si chiede allora come sia possibile intendersi con il mondo e

potersi muovere in esso, dato che non si possiede alcuna chiave

ultima di confronto tra realtà mondana e percezione. Il

procedimento di confronto della percezione con una

rappresentazione ottenuta dal calcolo delle disposiz.ioni

oggettive e delle proporzioni degli oggetti non dà alcuna

informazione sul nascere della percez.ione, né sui limi ti della

rappre_sentazione, entro i quali esso rimane racchiuso. E

tuttavia è proprio attraverso tale procedimento che le

98 lvi, p. 113. 99 lvi, p. lH.

· 100 I bi d. La nota che segue il passo ri1anda a Seio uod leit di M. Heidegger. 101 Cfr. ivi, pp. 103-107.

98

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percezioni risultano essere un'incredibile mistura di

rappresentazioni «corrette», «somiglianti» o «sbagliate» degli

oggetti del mondo. Ciò che quindi Weizsacker considera valido

in generale è proprio la possibilità di riscontrare una

concordanza tra singole percezioni di un oggetto e

rappresentazioni ottenute per misurazione, cosi che «si

dovrebbe dire che tutte le rappresentazioni sono costituite in

modo tale che secondo le leggi della matematica esse sono

quanto meno possibili»l02: non è la distanza tra corretto e

sbagliato a separare percezione ed oggetto, ma quella tra

possibile e reale. Weizsacker vede perciò il rapporto tra

percezione e mondo reale fondato su di un principio di

possibilit~ avente la propria verifica nell'esperienza stessa e

non basato, come avrebbe voluto Kant, su «forme pure

dell'intuizione», su principi a priori di carattere matematico.

La percezione si realizza nel divenire dell'eventualità di una

coincidenza o di una contraddizione con il reale che ne

definisce il senso specificamente biologico, il valore sul

piano dell'attività vitale.

E' un dato di fatto che il principio di possibilità della

percezione si scontri con la contraddizione - una

contraddizione che si dimostra tuttavia solo apparente: in

questo dato di fatto consi.ste la cosiddetta «antilogica della

percezione». Se si guarda lungo i binari del treno. si ha

l'impressione che essi convergano sino a raggiungere la

fusione; eppure il loro interasse è il medesimo in ogni punto.

I modi del fenomeno, presi per sé nella loro singolarità,

appaiono spesso contraddittori; tuttavia il contrasto è

sanabile, prima che nell'elaborazione logico-razionale, nella

percezione stessa: poiché la percezione non si limita a

102 lvi, p. 107.

99

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rilevare la convergenza dei binari, ma contemporaneamente viene

vissuta in relazione al percipiente come in parte vicina, in

parte lontana, e il contrasto si risolve e si elimina in un

dato geometrico necessario. La percezione della profondità, che

conserva l'impressione globale del parallelismo, fa si che si

annulli il contrasto con la convergenza: «per questo stato di

cose appunto adottiamo l'espressione antilogica in

contrapposi&ione all'ineliminabile contrasto della

contraddizione logica»lo3.

Il carattere antilogico si manifesta nella perce&ione in

relazione al suo essere necessariamente parte di un processo

conoscitivo in cui il «vero» e !'«illusorio» si rivelano tali

nel divenire di un percorso: «una percezione cessa di essere un

preso-per-vero quando in essa viene scoperto il carattere

illusorio, quando cioè sorgono nuove conoscenze che mostrano

che questa realtà è antilogica. Nella conoscenza empirica può

dunque essere oggi vero ciò che domani sarà falso», poiché «la

conoscenza empirica è vera solo come componente di una storia

della conoscenza, non come "conoscenza in sé". L'antilogico,

perciò, va ora definito meglio come una realtà della conoscenza

storica. Non solo una parte della storia della conoscenza, ma

all'opposto: una realtà che riconosciamo come vera là dove il

conoscere è essenzialmente mutabile, cioè nell'esperienza» 104 •

Nella descrizione del reale accadere in ambito organico, alla

logica del pen.siero razionale si .sostituisce l' antilogica

dell'esperienza, non solo mezzo di conoscenza, ma essa stessa

reale accadere. Essa non esprime una «contrad.dizione in sé»,

uno statico contrasto insanabile, ma la necessità del

presentarsi dell'opposizione nello sviluppo del divenire

103 Ivi, p. 109. Si veda anche il saggio di Weizsicker Oas AntilogisclJe, «Psychologische Forschung, 3 (1923), pp. 295-318 (V-Antilogiscbe 1923). 104 V-Antilogiscbe 1923, p. 297.

100

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biologico: «l'antilogica non è affatto la contraddizione.

Poiché la contraddizione è precisamente il logico, e il

contrasto con essa viene dalla logica, avendo l'astuto logico

com'è noto, deciso di riconoscere, a ragione, nel principio di

contraddizione il principio fondamentale della logica»los. Il

principio antilogico conferma il principio di possibilità della

percezione, poiché l'apparire di binari paralleli in una

convergenza prospettica di allontanamento è l'apparire di un

oggetto possibile nella percezione. Ma si può andare oltre, e

sostenere che questo fenomeno non solamente è possibile, bensi

necessario: la convergenza deve apparire, come deve diminuire

l'angolo dell'interasse con l'aumentare della distanza.

La giustificazione del principio dell'antilogica della

percezione consiste nel fatto che non si percepisce un oggetto

per quel che esso è in sé stesso, ma «per come un oggetto in

generale può apparire»lo6; questo rende possibile la

coesistenza del contrasto cui dà luogo la comparazione tra

percezione ed oggetti reali (sottoposti a misurazione) e del

fatto che le percezioni sono comunque condizionate dagli

oggetti obiettivi. Si può dire che l'antilogica della

percezione è il presupposto stesso dell'accostamento della

percezione alla realtà oggettiva: date le specifiche condizioni

delle modalità del fenomeno (angolo visuale, distanza), non può

che darsi un'apparenza della cosa diversa nella vicinanza e

nella lontananza. «La parola apparente (scheinbar) non indica

qui che debba darsi un'illusione dei sensi, ma che in generale

nella percezione una cosa solamente appare, il che non

significa che sia data in modo falso, ma relativamente e quindi

imperfettamente»lo7. Il significato del «principio di

105 Oas Alltilogiscbe 1950 (i-GS VII}, p. 317. 106 i-Der Gestaltkreis 1940, p. 109. 107 lvi, p. 109.

101

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possibilità» della percezione non è dunque quello di una scelta

tra possibilità diverse offerte dalla percezione, esso consiste

invece nel fatto che «la percezione produce un'unità

immaginativa (bildhaft) di certe determinazioni, che sarebbero

reciprocamente contrapposte, se esse fossero la cosa stessa per

intero e non solo modi del fenomeno di quella»los. Le modalità

dell'apparire del fenomeno hanno il carattere della necessità

dettata dalle condizioni proprie della percezione; ne segue che

«le percezioni sono fenomeni delle cose reali ottenuti mediante

organi reali»lo9.

c. Percezione e pensiero

l'idea di Gestalt non esclude affatto di per sé il concetto

ed il metodo della scienza obiettiva: anzi, sostiene

Weizs~cker, essa ne ha bisogno, sebbene non come presupposto

logico, ma come sua contrapposizione pratica. Potremmo dire

insomma che la scienza obiettiva costituisce !'«altro da sé»

sul piano pratico-conoscitivo del sistema metodologico e

concettuale necessario a determinare il concetto di Gestalt

organica. La stessa implicazione .si ha riguardo al tempo

biologico rispetto al tempo obiettivollo. Per il chiarimento di

questo a.sserto Weizs~cker ricorre al presupposto di una

separazione netta di percezione e pensiero: si tratta di

attività assolutamente separate ed autonome, eppure

reciprocamente legate a doppio filo. «L.e Gestalten - dice

Weizs&cker - ci appaiono nella percezione e nella

rappresentazione (Vorstellung); conosciamo (erfahren} invece i

108 lvi, p. 111. 109 Ibid. 110 v ... zeit, p. 40.

102

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processi obiettivi attraverso il pensiero»111. Certo, anche ciò

che appartiene al ricordo può essere intuitivamente

(anschaulich) rappresentabile, cosi come ciò che è percepito

può essere pensabile. Pensiero e percezione hanno tuttavia un

fondamento differente; la loro legittimità riposa su

presupposti completamente diversi: «la certezza della realtà

(Realsein) nella percezione si fonda sul presente sensibile, e

lo stesso vale per le Gestalten; la certezza dell'obiettività

nell'esperienza (Erfahrung) del pensiero si fonda sulla

conclusione logica»112. Questo fondamento non è comunque

sufficiente da solo a garantire l'operatività di ciascuna delle

due funzioni conoscitive: perché sia possibile «fidarsi» di

loro accorre una sorta di prova incrociata, per cui il pensiero

obiettivo ha bisogno anche della percezione sensibile, e la

percezione si appoggia anche allo statuto logico della

razionalità. Naturalmente in ciascun caso la priorità

metodologico-fondativa dovrà venir assegnata rispettivamente

all'ipotesi teorica, che dall'esperienza sensibile dovrà

ottenere solo conferma, oppure alla percezione dei sensi - e

questo è il caso in cui si tratti di Gestalten organiche -, che

la critica teorica può solo eventualmente correggere mediante

strumenti logico-astrattivi.

Nonostante il fondamento autonomo, sensibilità ed

intelletto presi separatamente non sono dunque concludenti. Non

si tratta di facoltà semplicemente «affiancate» l'una

all'altra, come lo sono le tessere di un puzzle a comporre

l'intero; potremmo dire che esse sono reciprocamente

«perfettibili». Il rapporto sussistente tra le due facoltà è un

rapporto di completamento reciproco, ma di tipo particolare:

111 Ibid. 112 Ibid.

103

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«il rapporto di completamento tra le due si mostra qui non come

qualcosa di simile alla partizione e ricomposizione di un campo

divisibile - come la natura inorganica e gli organismi; il

fatto che sensibilità e intelletto non si possano usare

contemporaneamente e nella medesima direzione sembra piuttosto

un perfezionamento delle facoltà conoscitive stesse

dell'uomo»113. Non si tratta solo di una possibilità di

«potenziamento» della facoltà conoscitiva e di «miglioramento»

del prodotto derivantene, dato ché «l'una non può darsi senza

l'altra e viceversa»114. Nonostante l'autonomia del fondamento,

percezione ed intelletto sono reciprocamente dipendenti, nel

senso che «l'intelletto prende informazioni dai sensi, i sensi

si sottopongono all'intelletto, e tuttavia ciascuno di essi

deve rimanere "puro" rispetto all'altro»lls, essi si applicano

cioè alla conoscenza in modo da «scambiarsi» e non

«interferire» l'una con l'altra.

In merito alla collocazione in un'unica categoria di natura

organica e inorganica che abbiamo trovato in una delle

precedenti citazioni, occorre fare alcune precisazioni. Sia

l'una che l'al tra si possono considerare - dice Weiz.sacker -

come campi divi.sibili in parti scomponibili e ricomponibili tra

loro; a questo genere di completabilità egli contrappone quella

specifica del rapporto intelletto e percezione. Ora, è chiaro

che il rapporto sussistente tra gli elementi che compongono un

oggetto fisico è assai diver~o da quello di dipendenza

strutturale e funzionale sussistente tra le componenti

organiche. Ma quello che in questo momento egli vuole

evidenziare e che determina la comunanza tra detti oggetti è la

loro compresenza, ovvero la contemporaneità, degli elementi

113 lvi, p. 41. 114 Ibid. 115 Ibid.

104

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costituenti l'insieme dell'oggetto fisico e dell'organismo (per

il quale, se mai, resta da valutare la contemporaneità delle

specifiche funzioni). Viceversa la conoscibilità nel suo

insieme prevede una dipendenza - diciamo - «di alternanza» tra

le sue componenti (necessariamente funzionali): anche qui si ha

a che fare con il «principio della porta girevole» che tanta

parte gioca nella teoria del Gestaltkreis.

Come si è parlato di «nomofilia della percezione»116 , si

dovrebbe ora parlare di «eidofilia dell'intelletto», essendo

dato ogni prodotto astratto del pensiero solo come idea di

un'intuizione (Anschauung) che possa rappresentarla.

Rappresentazione (Vorstellung) e fantasia (Phantasie)

costituiscono il perfezionamento dell'intuizione. «Come allora

la percezione tende al pensiero, il pensiero tende

all'intuizione»117.

Il particolare rapporto di completamento tra facoltà

conoscitive che si verifica sul piano pratico dell'attività

svolta da esse ha infine lo stesso carattere del rapporto tra

sapere scientifico e vita concreta, poiché in fondo: «la

scienza consiste in uno scambio incessante di teoria e prassi,

in quanto ciò che ora essa viene a conoscere poi lo

applica»tle.

116 Si veda sopra il paragrafo intitolata «L'attività dei sensh. 117 W-leit, p. U. 118 Ibid.

105

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Gestaltung della forma

Lo studio della formazione (Gestaltung), vale a dire del

costituirsi della forma (Gestalt) dell'attività organica, rende

possibile a WeizsAcker la soluzione del conflitto che viene a

crearsi tra la necessità del processo materiale dell'organico e

il carattere arbitrario e intenzionale tipico del movimento

autonomo. Esso consente infatti di determinare, mediante

l'analisi genetica della forma, quelle leggi che definiscono e

delimitano questa contrapposizione.

106

Le osservazioni effettuate sul movimento volontario

permettono di constatare che tra percorso spaziale e decorso

temporale dell'azione sussiste una relazione particolare.

Secondo gli esperimenti condotti da A. Auersperg e H. Derwort

ogni variazione volontaria della velocità nell'esecuiione di in·

un movimento coinvolge necessariamente la sua figura spaziale:

se con un dito si traccia una linea continua in aria essa

risulterà retta sino a che la velocità si mantiene costante; un

aumento o una diminuzione della velocità fanno si che si

ottenga una linea ondulata. Figura, spazio e tempo sono

elementi in reciproca relazione e nessuno di essi può essere

determinato preventivamente indipendentemente dagli altri. La

formazione di una figura motoria (Bewegungsform) è sempre

vincolata ad una specifica determinazione spazio-temporale,

che, pur non rappresentando il fine del movimento, non può

essere elusa. Se per esempio si cerca di descrivere un circolo

di una certa grandezza in un tempo pià breve di quello

utilizzato in precedenza esso risulterà inaspettatamente pià

grosso; se si desidera trasformare il circolo in una ellissi la

velocità con cui si riuscirà a descriver1a viene

necessariamente modificata; se invece ci si propone di variare

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la velocità saranno la grandezza, la figura o entrambe a subire

cambiamenti. Allo stesso modo non è possibile riproposi di

eseguire una determinata figura ad una certa velocità, e quindi

una grande il doppio ad una velocità doppia: la velocità

risulterà infatti tre o quattro volte superiore. Secondo la

«regola del tempo figurale costante», l'associazione fissa di

figura, grandezza e velocità è assolutamente indipendente

dal!' intenzione e dal!' attenzione che le si può rivolgere: <<la

realizzazione motoria non avviene in maniera tale da

corrispondere all'intenzione e inoltre essa è tale che se

programmata non verrebbe affatto realizzata»119 .. La validità di

tale legge non concerne il solo movimento volontario, ma il

movimento organico in generale.

La forma dell'incontro tra organismo ed ambiente non è, per

essenza, qualcosa di simile ad una connessione di azioni che si

svolgono nel tempol2o. Se si tenta una comprensione del

movimento organico assumendo lo schema della successione

ordinata di azioni concatenate in un rapporto causale, ave ad

una intenzione segue un risultato, ci si trova di frequente

dinanzi al paradosso della non conformità all'esperien~a:

l'accadere, in virtà dell'indeterminatezza del 1uturo~ spesso

non corrisponde all'aspettativa (Erwartung), si rivela

sorprendente, è perciò la stessa esperienza empirica ad imporre

l'esclusione della struttura matematica del tempo organico.

L'essenziale nella «legge del tempo figurale costante» è il

legame funzionale sussistente tra la durata temporale e la

figura, il dato prolettico (proleptisch) che caratterizza

l'aspettativa (Erwartung) nell'attività degli organi di senso.

Tale dato definisce l'accadere «cosi che ciò che accade

119 'i-Der Gest1ltkreis 1940, p. 136-137. 120 lvi, p. 140.

107

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attualmente debba essere rappresentato come un proveniente

(Kommendes) da qualcosa di accaduto, non più dal passato che si

modifica, e un dirigentesi (Gehendes) verso un futuro non

accaduto, atteso o sorprendente, quindi ancora indeciso»121. Un

simile «da-a» ha una struttura composta di determinatezza ed

indeterminatezza insieme, dove l'indeterminatezza parziale non

è dovuta ad una conoscenza incompleta dei fattori determinanti,

ovvero delle cause, ma si fonda su di una proprietà essenziale

del tempo biologico che, diversamente dal tempo omogeneo

continuo, si costituisce via via a partire dal presente.

Empiricamente, l'indeterminatezza consiste nel fatto che un

osservatore del movimento biologico non può considerare il

processo completo come se fosse «trascorso fino alla fine»~

come se potesse averlo dinanzi come un intero, ma è costretto a

limitarsi al presente attuale, a dover partire sempre di nuovo

dall'«ora» posto tra necessità del passato ed imprevedibilità

del futuro. Tra la necessità della catena causale e la libertà

dell'indeterminato si pone il momento della «decisione»

(Entscheidung)122 - un autentico «salto», uno «stacco» decisivo

dall'ordine della successione ordinata: «l'origine dell'atto è

decisione, ed essa è altrettanto lotta della necessità contro

la libertà come del dovere contro il volere»12 3 • Il tempo di

formazione della figura o «tempo figurale» (Figurzeit) si

configura come questione generale del Gestaltkreis. Esso viene

valutato da Weizsacker, oltre che nella determinazione empirica

del movimento, nella strutturazione dell'attività percettiva

nel suo complesso.

Con un esperimento concernente la percezione del movimento

di punti luminosi Auersperg e Sprockhof nel 1935 hanno potuto

121 Ibid. 122 Cfr. ivi, p. 141. 123 lvi, p. 186.

108

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dimostrare che l'occhio è in grado di cogliere

contemporaneamente sia quanto avviene nell'attualità come

inatteso (Ueberraschung) sia ciò che rappresenta l'attesa

(Erwartung). L'occhio cioè risulta in grado di restare «fermo»,

per un certo lasso di tempo (Zeitspanne), ad una situazione per

la quale mancano gli stimoli corrispondenti mentre quelli

presenti producono un'immagine completamente differente, per

cui contemporaneamente si ottengono una immagine attesa ed una

non attesa. Questo fenomeno, in relazione al quale è stata

coniata l'espressione «zeituberbruckende Gegenwart», non è

ottenuto per mezzo di un'immagine postuma, ma per «una

prestazione attuale dell'organo resa possibile solo mediante

"attesa"»124. L'anticipazione (Vorwegnahme) o prolessi che cosi

si verifica non è in alcun modo dimostrabile mediante una

registrazione temporale.

La sorpresa, la visione inattesa, è un'aspettativa di tipo

negativo, è un paradosso; l'attesa che non si tramuta in una

situazione reale viene soddisfatta o meno. La paradossalità

dell'attività materia consiste sostanzialmente nel fatto che -

per usare il linguaggio della psicologia- «l'intenzione

soggettiva e la realizzazione oggettiva del movimento riguardo

alla forma divergono in maniera essenziale»12s. L'intenzione

crea un'aspettativa (Erwartung) disattesa, quindi un'illusione

dovuta ad una divergenza sul piano conoscitivo tra la

rappresentazione e l'oggetto. Tale considerazione contiene un

giudizio su processi che avvengono nel tempo, ma anche un

giudizio sul tempo organico stesso. Non si può dare qui una

qualunque rappresentazione di disposizione temporale

quantitativa, poiché si ha a che fare con una «decisione

124 lvi, p. 138. 125 lvi, p. 137.

109

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qualitativa sull'inizio (Eintritt) dell'ordine come tale»126.

Se una disposizione venga realizzata in una forma

corrispondente o meno ad essa, va considerato come la

conseguenza di una relazione al tempo e non ad una successione

temporale.

Anche la «percezione di qualcosa» non è rappresentabile in

una successione temporale: essa può magari essere messa in

relazione al decorso dell'eccitazione nell'organo, non al

rapporto di soggettività ed oggettività concepite sul medesimo

piano temporale: «La distinzione di tempo soggettivo e tempo

obiettivo-matematico - dichiara Weizsacker - non è perciò

affatto da trattare, a mio parere, sotto un comune

superconcetto di "tempo"»127. Tenere rigorosamente distinti

l'ordinamento temporale oggettivo e quello organico-soggettivo

è indispensabile: «la disposizione temporale oggettiva e quella

soggettiva sono disposizioni di due processi nello stesso

tempo, ma ciò che viviamo soggettivamente è un fenomeno del

mondo- tra l'altro ordinato temporalmente; una comparazione o

un parallelo del fenomeno con ciò che appare annulla il nucleo

di questo rapporto»12s. Tra ordine temporale vissuto ed

obiettivo si dà solo un certo parallelismo grazie al quale si

può vivere l'inserimento nel proprio ambiente, ma esso è

soltanto parziale; «ciò che nel tempo (obiettivo) trascorre, in

un presente è per metà non più e per l'altra metà non ancora

realizzato»129.

Weizsacker aveva imparato da von Kries che la misurazione

del tempo è in realtà sempre solo una misurazione spaziale di

connessioni spaziotemporali pensate come costanti. Ma con

126 lvi, p. 138. 127 lvi, p. 139. 128 Ibid. 129 w- Jeit, pp. 39-40.

110

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simili premesse non è possibile cogliere la struttura

essenziale del tempo organico, il suo essere cioè un presente

che si staglia tra passato e futuro13o: «Il presente come

atteso (Erwartetes) è una continuità temporale che costringe

dal passato verso il futuro; il presente come sorpresa è una

puntualità del tempo rilevata tra passato e futuro. Entrambe

costituiscono una relazione alla temporalità dell'accadere come

avvenimento, non alla determinatezza temporale del corso

obiettivo»131.

La relazione sussistente tra Gestalt e tempo non concerne

naturalmente la sola percezione di figure che si determinano

nel movimento, ma ogni formazione di Gestalt organica: «ogni

fenomeno che abbia una figura (figuriert), in quiete o in moto,

possiede anche una forma temporale (Zeitgestalt)»132; giacché è

la Gestalt stessa a conformare la struttura temporale, non può

darsi forma o figura atemporale. Si possono distinguere due

valenze del concetto di forma organica: rispetto ad una

determinazione spaziale essa è propriamente il «luogo»

dell'incontro tra organismo e ambiente; sotto il profilo

temporale essa è da considerarsi «genesi» del rispettivo

presente. Nonostante che il significato spaziale sia necessario

al concetto di forma, il suo senso spaziale è di fatto

prioritario133.

La scienza analitica classica non può essere in grado di

cogliere e formulare un simile concetto di Gestalt. La

percezione della figura del movimento di una particella

materiale richiede memoria (Ged!chtnis); essa può quindi

fondarsi sul materiale senza essere affatto corrispondente a

130 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 139. 131 Ibid. 132 W-Zeit, p. 36. 133 'i-Der Gest1ltkreis 1940, p. 141.

111

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qualcosa di materiale. Ma la concezione analitico-meccanica

della scienza prevede che la materia sia del tutto indipendente

dalla memoria e anzi, se ci si attenesse alla distinzione

cartesia_na del materiale, apparterrebbe alla sua stessa

definizione di res extensa l'essere affatto distinta da tutto

ciò che è res cogitans. Per poter percepire il movimento di una

particella materiale è necessario un processo di

simultaneizzazione del succedersi degli spostamenti, una

conservazione sincronica mediante il ricordo dei luoghi,

obiettivamente successivi l'uno a_ll' al tra, appa_rtenenti al

percorso effettuato dalla particella. La semplice conservazione

mnemonica, tuttavia, non giustifica ancora il riconoscimento

della particella che si trova nel luogo successivo come la

stessa particella che si trovava al luogo precedente. Anziché

proporre un principio di identificazione della particella, va

riconosciuto il carattere prolettico della percezione, per via

del quale con il fenomeno dello spostamento sono dati i momenti

del «proveniente da» e «procedente verso». Ne segue che la

direzione (da-verso) del movimento costituisce una

caratteristica essenziale della percezione della figura: «Ad

esempio, in molti casi l'occhio intraprende~ solo a partire da

questo "da-verso", dei chiari completamenti della figura che

non sono affatto fondati nello stimolo (dell'oggetto dato)» 134 •

Questa «prolessi della percezione», ovvero anticipazione dei

possibili esiti del movimento, è sostenuta da Weizsacker - come

sappiamo - in base ad una rigorosa attestazione sperimentale.

Naturalmente anche questo carattere prolettico non può

avere realtà alcuna nella scienza fisica e meccanica: «ciò che

nella forma obiettiva del tempo non è ancora, non è

134 W-leit, p. 36.

112

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affatto» 13 S. Ciò che è reale nella forma della

presentificazione anamnestico-prolettica tipica della

percezione è un irreale nella scienza naturale analitica. La

struttura biologica del tempo nel superamento del dualismo

psicofisico rivela la sua paradossalità: il tempo biologico

«non è il tempo obiettivo ciò in cui viviamo, bensi otteniamo i

tempi per il fatto che viviamo»136. Se «il tempo obiettivo

[ ... ]distrugge la realtà della Gestalt», il tempo biologico

«in quanto presentificazione anamnestico-prolettica della

fattualità del vivere (Lebensereignis) abolisce il tempo

obiettivo»137. Le forme sfuggono al tempo obiettivo per il

fatto di richiedere il «sincronismo in un presente di ciò che

obiettivamente non è più e di ciò che obiettivamente non è

ancora»lJs. La transitorietà e la direzionalità della Gestalt

temporale si uniscono alla sua stabilità in un presente grazie

ad una concezione della struttura temporale in grado di

descrivere il divenire del processo di formazione figurale

della percezione: «è propriamente il vigile sprofondamento

nell'immagine della nostra percezione ad insegnarci che non c'è

nulla di bell'e formato (Ausgestaltet), ma sempre soltanto

qualcosa che si autoforma (ein Sich-Gestaltendes)»139 • Anamnesi

e prolessi non possono spiegare certo da sole il processo

vivente; esse sono però presupposti della realtà biologica,

«monito a voler riconoscere il vivente nel tempo obiettivo

trascurando il soggetto»140. La reintroduzione del soggetto in

biologia è reso possibile - secondo Weizsacker - anzitutto

grazie al concetto di tempo biologico che ha, più in generale,

135 lvi, p. 37. 136 lvi, p. 39. 137 Ibid. 138 Ibid. 139 lvi, p. 37. 140 lvi, p. 40.

113

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il significato di tempo soggettivo.

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Parte II

Relmut.h.._P-l.e_s_s_n_e.r...:. -------·-------··

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Premessa

Il vasto progetto filosofico concepito da Helmuth Plessner

come rifondazione della scienza della natura dell'uomo si pone

nell'ottica di un radicale rinnovamento della struttura stessa

del sapere comtemporaneo. Scienza e filosofia, altrettanto

indispensabili allo scopo di una ricognizione esaustiva della

realtà antropologica, devono sapersi mettere nella condizione

di svolgere un'attività di reciproco completamento e di

proficua collaborazionet. L'oggetto comune della loro indagine

è rappresentato dalla complessa e peculiare unità psicofica di

una struttura - insieme biologica e razionale - la cui

effettiva duplicità ha rappresentato da sempre l'ostacolo

maggiore per un chiarimento decisivo del suo statuto

antologico. Dal punto di vista filosofico, il problema, che

richiede anzitutto una corretta impostazione metodologica, va

affrontato secondo Plessner nella duplice prospettiva suggerita

dalla condizione stessa della natura umana - il suo appartenere

cioè tanto ad una dimensione spirituale quanto ad una

dimensione organica - senza con ciò cedere al rischio di

scindere aspetti differenti ma concomitanti ancorandoli a

principi essenziali distinti. Un unico principio deve perciò

presiedere allo studio di una natura unitaria, mentre la

direzione della ricerca deve potersi differenziare al fine di

ottenere un quadro antropologico completo. Uno studio

«orizzontale» dell'uomo «portatore di cultura», capace di

organizzarsi in società ed esprimersi creativamente nel

linguaggio, nell'arte, nella scienza, uno studio che risalga

quindi alle condizioni della possibilità di simili

1 Si veda il saggio di Plessner Noderner Nissenscbaftsbegriff und pbilosopbiscbe rradition (P-GS IX, pp. 325-331).

116

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manifestazioni, deve affiancarsi ad un'indagine «verticale»

della sua specifica condizione biologica2.

Nell'opera Die Stufen des Organiscen und der Mensch del

1928 - che orientandosi in quest'ultima direzione dovrà

raggiungere le fondamenta ultime sulle quali poggia

sostanzialmente l'intero progetto antropologico 3 - Plessner

elabora una «teoria dei modali organici» attraverso una

minuziosa e complessa deduzione dei caratteri d'essenza della

realtà organica e dei diversi «gradi» in cui essa si compone 4 •

Essa conserva una duplice radice: se il suo carattere è

rigorosamente apriorico e la sua validità necessaria ed

universale, la sua giustificazione - il suo punto di partenza

come la sua verifica - si affida in ultima istanza al dato

percettivo, all'attività sensibile dell'esperienza. Metodo a

priori fenomenologico-dialettico e metodo empirico a posteriori

mantengono la loro efficacia in un singolare intreccio

teoretico che persegue non il fine di costruire una «metafisica

dell'organico», ma quello di tracciare un quadro logico­

antologico delle coordinate strutturali essenziali

all'elaborazione di una teoria dell'organico e dell'uomo che

possa articolarsi esaurientemente su piani filosofici e

scientifici molteplici.

2 Cfr. Die Stufen des Organiscben und der Nenscb. linleitung indie pbilosopbiscbe Antbropologie, Berlin­Leipzig, 1928, 19652 (ora P-GS IV), p. 70. 3 «Senza una filosofia dell'uomo- sostiene Plessner- nessuna teoria dell'esperienza di vita umana nelle scienze dello spirito. Senza una filosofia della natura nessuna filosofia dell'uoao»: Stufen (P-GS IV), p. 63. 4 Mel contesto della produzione filosofica di Plessner quest'opera rimane unica nel suo genere. Ripubblicata invariata dall'autore nel 1965, essa continuerà a rappresentare la base antologica, la «filosofia della naturaJ, alla quale rimandano gli studi successivi.

117

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I. La posizionalità dell'organico

La duplicità d'aspetto nella percezione

a. Duplicità d'aspetto e Transgredienz

Gli oggetti fisici appaiono alla percezione in modo tale da

presentare la duplicità di un interno - il centro nucleare

della cosa - ed un esterno, un insieme di proprietà che

rimandano a quel centro. Tale duplicità d'aspetto

(Doppelaspektivitat), dato fondamentale ed innegabile

dell'esperienza sensibile, costituisce il punto di partenza per

la formulazione dell'ipotesi che guida Plessner alla

determinazione dei caratteri distintivi della realtà organica:

questa caratteristica potrebbe risultare decisiva per una certa

categoria di oggetti, i quali non solo mostrano una duplicità

d'aspetto comune ai corpi fisici in generale, ma sembrano

apparire «nella» Doppelaspektivitat come se essa stessa fosse

una loro essenziale proprietà. Si postula quindi che a questa

seconda specie di oggetti corrispondano le cose viventi 1 • Il

fatto che il vivente, e in particolare l'uomo, possa essere

considerato come avente una caratteristica simile, è attestato

dall'intera storia della filosofia, che per lo più ha cercato

di darne ragione ricorrendo a concezioni che prevedono un

duplice principio a capo della sua essenza. Col sottolineare

l'ineliminabilità di una duplicità d'aspetto2 Plessner si

propone il fine di trovare in essa non un momento di

scomposizione, ma l'elemento di unità intrinseca che presiede

all'essenza del vivente, un «intero» in continuo rapporto e

t Stufen (P-GS IV), pp. 115-116. z lvi, p. 115 e p. 116.

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scambio con l'ambiente.

Punto di partenza dell'indagine plessneriana, la

Doppelaspektivitat ha dunque il suo fondamento nella percezione

esperienziale. Che le cose estese appaiano in una duplicità

d'aspetto di esterno ed interno, non convertibili l'uno

nell'altro3, è un dato originario fornito dall'intuizione

(Anschauung)4. Ciò significa che il corpo fisico nella sua

totalità appare all'intuizione come il lato esterno di un

interno che rimane nascosto, e che del corpo costituisce il

nucleo (Kern o Mitte). A tale nucleo fa capo l'unità intrinseca

in cui la cosa viene percepita.

In parziale accordo con gli studi compiuti dalla psicologia

della Gestalt, in particolare con la teoria antimeccanicistica

dell'organizzazione dei contenuti percettivi di Kohlers,

Plessner ritiene che la cosa percepita non consista

semplicemente della somma dei dati dei sensi tenuti insieme da

una forma 6 , ma, se pure di somma si può continuare a parlare,

essa costituisce una grandezza a sé stante, relativamente

separata dall'ambiente circostante e in sé unitariamente

organizzata. La percezione presenta la pura immagine di un

oggetto che appare come una grandezza circoscritta dalla quale

dipendono le proprietà con cui l'oggetto si presenta ed il cui

centro si mantiene tra semplice presentazione e reale

percezione. Il centro o nucleo della cosa, non va dunque

pensato come un centro sostanziale in senso ontologico­

metafisico, né come un vuoto ed astratto concetto scientifico,

ma come un «polo percettivo» a cui rimanda necessariamente

3 Per quanto riguarda l'oggetto di questo breve capitolo cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 127-133. • Per il significato di questo concetto si veda oltre. 5 Cfr. lohler, W., GestBltprobleJe und Anfinge einer GestBlttbeorie, «Jahrebericht uber die gesaate Physiologie) 1922, pp. 510-518; Id., Gest1lt Psfcbologf, Hew York, 1929 (trad. it. LI psicologiB delll Gest1lt, a cura di G. de toni, Milano, Feltrinelli, 1977). ' Cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 128-129.

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l'organizzazione dei dati sensibili.

E' proprio nei dati sensibili e mediante essi, che la cosa

si rivela «fondata in sé stessa»: appartiene cioè all'essenza

di questa struttura che i dati sensibili, in quanto proprietà

«della cosa», rimandino all'«interno» della cosa stessa, ad un

centro al quale sono legati - centro che, tuttavia, non appare

esso stesso nel fenomeno. Nonostante che la cosa si costituisca

mediante le proprietà queste mostrano chiaramente la propria

dipendenza, la propria mancanza di autonomia, nel rimandare ad

un centro della cosa'.

L'immagine offerta dalla percezione è senz'altro- secondo

il principio fenomenologicos - la «cosa stessa», in sé fondata,

ed autenticamente presente. Nondimeno, ciò che della cosa

appare realmente, e quindi è sensibilmente documentabile, non è

altro che uno degli infiniti possibili lati (Seiten o Aspekten)

della cosa, non la cosa per intero, la quale non è mai

sensibilmente documentabile nella sua interezza «in una volta

sola». Per quanto si cerchi di osservare attentamente un

oggetto, muovendolo o suddividendolo in parti, questo non potrà

apparire che «da un lato», «secondo un lato», cioè come aspetto

parziale di un intero, di un «tutto», che l'intuizione non

riesce a cogliere. Il lato realmente presente implica soltanto

l'intera cosa della quale fa parte, ma né del modo del suo far­

parte della cosa, né della cosa come intero è data

documentazione sensibile. Il contenuto fenomenico, cosi, va

oltre il suo semplice esser-lato, e lascia trasparire

quell'intero, la cui necessità viene indicata da Plessner nella

struttura stessa del rapporto interno-esterno. Nel fenomeno

5 Delle proprietà viene aesso in luce l'ambiguo aodo in cui esse si presentano all'intuizione: da un lato coae ciò che fa si che la cosa sia quel che è, dall'altro come entità relative, trasponibili in altre cose. E l'uso linguistico corrente favorisce, secondo Plessner, questa duplicità (Cfr. ivi, p. 152). 8 Plessner accoglie i principi fenoaenologici in foraa «elastica,, piegandoli alle esigenze di una ricerca che si avvale di stru1enti differenti, talora dialettici, talaltra eraeneutici.

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reale9 il centro nucleare della cosa, !'«asse portante»

dell'essere della cosa stessa, appare, ma- abbiamo detto -né

come realmente immanente ad essa, ovvero documentabile

sensibilmente, né come trascendente, cioè senza legami

percepibili con essa. Per questo motivo, necessariamente, la

cosa appare come adombrata (abgeschattet).

A tale proposito, Plessner si richiama espressamente alla

teoria fenomenologica di Husser11o. Nelle Idee, Husserl pone la

distinzione tra percezione di oggetti trascendenti e percezione

di oggetti immanenti al flusso coscienziale, gli Erlebnisse. A

differenza di questi ultimi, le cose spaziali vengono percepite

in sé stesse attraverso la sintesi unitaria di continuità di

adombramenti, ragione per cui la loro percezione è sempre

«inadeguata», ovvero «unilaterale»ll. Ma rispetto al

significato del principio dell'adombramento husserliano,

Plessner prende subito una certa distanza. L'Aspektivitat, o

«l'essere secondo un lato», appartiene, nella teoria di

Plessner, strutturalmente all'oggetto nel fenomeno: non è

dovuta all'insufficienza dei sensi, né ha a che vedere con la

soggettività della percezione; e tanto meno essa va confusa con

l'immagine della percezione o della presentazione della cosa

che rimane nella coscienza, mentre - aggiunge Plessner

«coloro che concepiscono la legge dell'adombramento di Husserl

come un rimando al processo cognitivo soggettivo-idealistico si

lasciano influenzare troppo dall'interpretazione stessa di

9 Le espressioni reelles Pblno1en e reelle lrscbeinung sono usate da Plessner come sinonimi. Esse indicano il fenoaeno documentabile attraverso 1 sensi. 1° Cfr. lvi, p. 130. Il riferiaento, tuttavia, non vuole essere troppo vincolante: insieae ad Husserl, Plessner cita Kant ed Hegel per avere posto l'accento, come Husserl, sulla necessaria unilateralità del fenoaeno. 11 Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Pblno1enologie und pblno•enologische Pbilosopbie, a cura di W. Bieael, «Husserliana, III, IV, v, Den Haag, 1950-1952 (trad. it. Idee per una feno•enologia pura e per una filosofia feno1enologica: l, a cura di G. Alliney, !orino, Einaudi, 1981; II, a cura di E. Filippini, Torino, Einaudi, 1982; III, a cura di E. Filippini, !orino, Einaudi, 1982), I, J 41, p. 88 e J 44, p. 94 (i numeri di pagina si riferiscono all'edizione italiana).

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Husserl e non si chiariscono questa distinzione tra

Aspektivitat e soggettività»12. Dal canto suo, tuttavia,

Husserl ha cercato di porsi al riparo da interpretazioni

soggettivistiche (non trascendentali) da un lato distinguendo

nettamente tra cosa adombrata - realmente trascendente - e dati

sensibili - che, fungendo da adombramenti, sono Erlebnisse -

dall'altro sostenendo che la necessaria unilateralità inerente

la percezione di un trascendente appartiene all'essenza della

correlazione tra cosa e percezione di cosa13 e non al semplic~

modo di percezione soggettivo. Ma lo sviluppo della concezione

fenomenologica di Husserl, già nelle Idee, muove verso

quell'idea di coscienza trascendentale in cui trova piena

legittimazione ogni determinazione essenziale, inclusa quella

di «essere trascendente». Nell'assoluta priorità e apoditticità

che viene ad assumere la soggettività trascendentale, essendo

ciò attraverso cui passa ogni costituzione di mondo, Plessner

vede i connotati di un soggettivismo assoluto di tipo

idealistico-trascendentale; e un'interpretazione viziata

idealisticamente della legge dell'adombramento non può- a suo

parere- cogliere adeguatamente l'Aspektivitat quale proprietà

d'essenza. L'«andare oltre sé stesso» del contenuto fenomenico

propriamente esperito, che lascia trasparire l'intero della

cosa, è chiamato da Plessner Transgredienz. Grazie a tale

carattere, documentabile sensibilmente, il fenomeno reale è più

che un aspetto «sulla cosa» (auf das Ding), cioè un aspetto

parziale di quella, è un aspetto «della cosa» (des Dinges), un

aspetto di quell'intero che esso lascia trasparire.

La Transgredienz si manifesta in due opposte direzioni: «la

Transgredienz del fenomeno «verso il fuori» della cosa ("in"

1z Stufen (P-GS IV), p. 131. 13 Cfr. E. Husserl, Idee I, J 41, p. 89; J 44, p. 94.

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das Ding "hinaus") e «intorno» alla cosa ("um" das Ding

"herum")» 14 ; l'una si dirige verso l'interno della cosa, verso

il suo centro sostanziale, l'altra invece si dirige verso

l'esterno, verso i suoi vari, possibili lati. E' proprio grazie

alla Transgredienz, a questa duplice direzionalità della

percezione, che la cosa appare come cosa presente e come unità

coordinata di lati. Nel fenomeno reale dell'oggetto le due

direzioni si danno anticipatamente, ciò che Plessner esprime

anche dicendo che la cosa appare come un continuum «profondo»

di aspettilS.

b. La percezione dell'essere vivente

Non meno della cosa fisica inanimata, il vivente è

sottoposto alle leggi del fenomeno della cosa in generale. In

quanto corpo fisico, anche per esso vale la legge della

percezione secondo la duplice direzione interno-esterno, e

quindi il principio dell'adombramento. Ma rispetto alla cosa

non vivente, il corpo organico si presenta alla percezione con

il «sovrappiù» di una proprietà particolare, la proprietà della

vitalità che - si può dire - cambia materialmente e formalmente

il modo in cui esso viene a fenomeno. Le cose viventi infatti,

per come appaiono all'intuizione, non sembrerebbero

riconducibili al principio della Gestalthaftigkeit dei corpi

inorganici. In questo modo Plessner prende posizione nel

dibattito tra Kohler e Driesch a favore di quest'ultimo:

sebbene dal punto di vista delle scienze empiriche Kohler possa

14 Stufen (P-GS IV), p. 130. 15 lvi, p. 131. Husserl potrebbe fornire una buona parafrasi di questo punto: Cfr. Husserl, Idee I, J 44, p. 95. Lo stesso carattere di fransgredienz, appartenente struttural1ente al fenoaeno delle cose fisiche spaziali, si presenta anche nel fenoaenizzarsi delle cose spirituali, nelle Janifestazioni della coscienza. Stufen (P-GS IV), p. 131-132.

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aver ragione, è a Driesch che bisogna dare ascolto quando

afferma- sostenendo le ragioni dell'intuizione- che i viventi

presentano una peculiare struttura organizzativa16.

Questa divergenza rispetto al fenomeno del semplice corpo

fisico giustifica agli occhi di Plessner la formulazione

dell'ipotesi di una costituzione essenziale particolare del

vivente. Sviluppata attraverso il metodo a priori, essa

dovrebbe mostrarsi in grado di spiegare lo specifico modo

d'apparire e d'essere dell'organico, il fatto cioè che la

relazione interno-esterno si presenti nel vivente come

determinazione oggettiva del corpo nel suo fenomeno e lo faccia

apparire come un intero. La duplicità d'aspetto,. pur avendo, in

quanto proprietà come altre, il significato di una

determinazione solo aggiunta alla loro somma, sembra che non

sia semplicemente «disposta accanto» a quelle, bensi loro

«sovraordinata» (ubergeordnet). Per questa ragione il corpo

organico dovrebbe venir considerato come organizzato secondo un

principio di Ganzeitlichkeit, piuttosto che secondo il

principio generale della Gestalthaftigkeit valido per la

corporeità fisica in generale17.

16 Cfr. ivi, p. 157; e inoltre le pp. 138-149 sulle differenti posizioni di Kohler e Driesch. Di Driesch si veda tPbtsiscbe GestaltenJ und Organis1en, cit .. La teoria dell'entelechia di Driesch viene tuttavia decisamente rifiutata da Plessner, che - con una certa frequenza nelle Stufen, ma non solo in esse- viene considerata affatto insostenibile principalmente sul piano aetodologico: cfr. H. Plessner, Vitalis1us und irztlicbes Denken (P-GS IX) del 1922 e il poscritto alle Stufen, in Stufen (P-GS IV), pp. 426 sgg. 17 Stufen (P-GS IV), p. 149.

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Il Carattere spaziale dei concetti

La terminologia specifica utilizzata da Plessner nella

descrizione dei caratteri dell'organico si richiama­

direttamente o indirettamente - alla dimensione spaziale della

corporeità materiale. Ciò propone tra l'essere organico e la

corporeità materiale in generale un rapporto prioritario, anche

se puramente analogicols.

«Interno» ed «esterno», «nucleo» e «lati» sono

determinazioni che fanno immediatamente pensare al carattere

spaziale della cosa, alla sua misurabilità in uno spazio

fisico, alla sua determinazione mediante punti di riferimento

geometrici. Lo stesso concetto di «posizionalità» rimanda

all'idea di una «collocazione» o «collocabilità» spaziale della

cosa «rispetto a» qualcosa. E Plessner ne è sicuramente

consapevole, tant'è che si preoccupa di salvaguardare le

relazioni strutturali dell'organico da pericolosi avvicinamenti

alle relazioni spaziali della fisica, che, per quanto utili,

risulterebbero fuorvianti: «Essere spaziale significa avere

limiti dimostrabili. Ogni cosa, in quanto costrutto spaziale,

ha le sue dimensioni in un luogo determinato, in termini più

espliciti essa ha contorni, una periferia ed un centro

dimostrabili. Su centro e lati nel senso spaziale si può

mettere il dito. Su centro e lati intesi come costitutivi della

cosa ciò non è possibile»19.

11 Renato !roncon sottolinea questo aspetto del pensiero di Plessner: «la cosa è anzitutto nello spazio. La cosa ha un eletentare nesso con lo spazio. Corporeità e spazialità sono inti1a1ente connesse, ed è solo l'arretratezza e approssitazione- nonostante tutto- dei nostri studi relativi a non farci vedere quanto sia inti1o questo nesso [ ... ]. Plessner lavora con un concetto di prospettìcità prelevato dallo spazio, •a [ ... ]si rifiuta di considerare lo spazio co1e tale, cole prospetticità, e lo dichiara tetaforico!): R. Troncon, Studi di antropologia filosofica, vol. I hl filosofia dell'inquietudine, Milano, Guerini, 1991, p. 95. 19 Stufen (P-GS IV), p. 131. E' interessante notare che dall'espressione «caratteri costituenti la cosa, è stata atessa la precisazione cnel feno1eno,, o1issione che sarà seapre più frequente e significativa: Plessner è infatti interessato a considerare «ciò che la cosa è,, non invece «coae essa appare,, o co1e

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Le relazioni fisico-spaziali non sono dunque le relazioni

della definizione dell'essenza dell'organico. Il richiamo

all'ordine spaziale di queste, il loro carattere

«apparentemente» geometrico-spaziale, si può giustificare

attraverso la concezione plessneriana della percezione, secondo

la quale i caratteri d'essenza appaiono originariamente

all'intuizione in un legame inscindibile -per la percezione

stessa - con le caratteristiche fisiche corporee2o. La

relazione nucleo-proprietà, di per sé indifferente rispetto

alla spazialità degli oggetti nei quali essa si manifesta, è

comunque strettamente legata alla forma strutturale del

prodotto materiale di cui costituisce l'essere reale affatto

indipendentemente dal suo essere spazialmente condizionato, dal

suo consistere di una forma e una materia che si deteriorano o

si trasformano nel tempo.

Plessner non dà chiarimenti a proposito di come si effettui

il legame tra struttura spaziale e struttura essenziale del

corpo, né di come l'intuizione possa da un lato presentare la

loro inseparabilità, dall'altro fornire le condizioni che

permettono di distinguerle21. Alla domanda se esista un qualche

rapporto di fondazione tra profondità strutturale o

multilateralità dell'essere della cosa e i momenti spaziali

della sua corporeità fisica, Plessner risponde negativamente,

sostenendo che tra essi, appartenenti a differenti «piani

dell'essere», esiste solo un rapporto di reciproco

condizionamento22.

potreamo inferire che essa sia a partire da come appare. 2° Cfr. ivi, p. 131: ci momenti costitutivi della cosa ed i momenti spaziali non sono[ ... ] identici, anche se inseparabili nell'intuizione). 21 Plessner pensa probabilaente proprio a simili mancanze della teoria allorché afferma: cgui si perviene solo al !eno1eno della struttura, non alla sua genesi, non alla sua legittiaazione e non al suo valore di verità): ivi, p. 135. 22 Cfr. ivi, p. 133.

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Tra la relazione interno-esterno spaziale e la relazione

interno-esterno strutturale della cosa si riscontra una

fondamentale differenza. Gli aspetti della dimensione spaziale

della cosa costituiscono, in quanto tali, direzioni divergenti,

ma non inconvertibili l'una nell'altra. Come concavo e convesso

abbisognano solo di una conversione per divenire coincidenti,

reciprocamente scambiati, cosi, mediante una semplice

inversione, è possibile trasformare - anche solo idealmente -

l'interno di un oggetto nel suo esterno e viceversa, come

quando si rovescia un indumento. Non vale lo stesso per la

relazione essenziale interno-esterno o nucleo-proprietà, sulla

cui divergenza di principio si fonda l'unità strutturale della

cosa: «sfere divergenti per principio sulla cui reciprocità

deve fondarsi l'unità di una struttura oggettiva, sono

coordinate tra loro polarmente come l'interno e l'esterno

spaziali, ma diversamente da tale relazione non sono

trasponibili l'uno nell'altro»23. In questa duplicità di un

interno che mai appare realmente ai sensi, cioè che mai diviene

esterno, e di un esterno che mai si converte in interno,

l'oggetto non si sfalda, all'opposto: proprio in tale duplicità

e grazie ad essa si forma la sua oggettiva unità di cosa 24 .

La radicale divergenza d'aspetto non appare, però, essa

stessa nel fenomeno. L'intuizione scorge solo un costrutto

chiuso, che, saldo al suo nucleo, rivela l'esistenza di un

interno avente una superficie esterna. E' solo la riflessione

successiva che, come riflessione filosofica, analizzando la

«richiesta» dell'Anschauung- che supera il limite di controllo

dei sensi - raggiunge l'autentica divergenza di aspetti della

relazione essenziale interno-esterno: «la duplicità d'aspetto

23 Ivi, p. 128. 24 Cfr. ivi, p. 137.

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costituisce il prodotto dell'intuizione del corpo, ma come

condizione reale essa si perde in ciò che è da essa

condizionato» 25 . L'intuizione è conoscenza immediata della cosa

ottenuta attraverso i sensi. Essa non giunge alla struttura

dell'essenza di quanto incontra, tuttavia avanza una

«richiesta» che oltrepassa i limiti della sensibilità26 e

dell'indagine empirica in genere. In tal modo l'intuizione

accenna a «qualcosa d'altro», ad uno strato più profondo della

realtà e giustifica un proseguimento dell'indagine verso le

strutture essenziali.

Possiamo cosi dire che l'intuizione esperienziale è punto

di partenza e insieme legittimazione di una teoria a priori

dell'essere fenomenico. La riflessione razionale le viene in

aiuto determinando la reale natura della relazione essenziale

di interno ed esterno: «che nella relazione di interno ed

esterno si abbia a che fare con un'autentica divergenza

d'aspetti e non con la relazione di una relativa ascosità di un

interno coperto dall'esterno, appare chiaro solo mediante la

riflessione filosofica»27. Ma la riflessione sembra essere, di

per sé, un'arma a doppio taglio: poco prima essa era stata

criticata da Plessner come strumento inadeguato per la

determinazione del reale centro sostanziale della cosa 28 . In

quanto operazione dell'intelletto, la sua proficuità ai fini

della conoscenza dipende infatti dalla specifica applicazione

della riflessione, che dev'essere guidata da un metodo in grado

di mantenerla in stretta collaborazione con l'intuizione

sensibile.

2s lvi, p. 137. 2& Cfr. ivi, p. 137. 27 lvi, p. 137. 2a Cfr. ivi, pp. 132-133.

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La posizionalità organica

Lo studio delle caratteristiche essenziali della realtà

fisica sia inorganica che organica non appartiene ad un piano

di ricerca empirico ma ad un ambito dichiaratamente apristico:

il fenomeno della Transgredienz dovuto alla relazione

inconvertibile di interno ed esterno, i concetti di

multilateralità e profondità d'aspetti, appartengono alla

percezione di ogni cosa, indipendentemente dalla singola

esperienza29. Prendendo le mosse da quanto appare

all'intuizione, questi dati sono stati isolati da Plessner come

elementi appartenenti al fenomeno della cosa in generale. Il

punto, ora, è stabilire quale sia la caratteristica che

distingue l'essere vivente dal non vivente. Con la definizione

del concetto di limite, prettamente logica, e l'elaborazione

dialettica della legge di relazione del corpo al «limite

proprio», Plessner pone le premesse non solo per distinguere il

vivente dal non vivente, ma anche per procedere alla deduzione

degli specifici caratteri d'essenza del vivente in quanto tale

e della graduazione del mondo organico.

a. Limite e «limite proprio»

La duplicità d'aspetto con cui l'oggetto si presenta alla

percezione - l'intuizione dell'esistenza di un interno ed un

esterno di esso - non è indice della separazione di due «parti»

o «sezioni» della cosa, ma rivela la divergenza di due

«direzioni» percettive». Su di un piano logico sorge cosi la

11 Cfr. l. Ha••er, Die ezzentriscbe Position des Nenscben. Netbode und Orundilien der pbilosopbiscben Antbropologie HelJutb Plessners, Bonn, 8. Bouvier, 1967, p. 111.

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necessità di individuare una «zona neutrale» che permetta di

distinguere i rispettivi campi delle due direzioni. E' in una

zona neutrale che le due direzioni - quella verso il· nucleo

della cosa e quella verso i suoi «lati», le proprietà - urtano

l'una contro l'altra, da essa si dipartono, attraverso essa si

effettua il passaggio dall'uno all'altro campo, mentre ciascuna

delle due direzioni si conserva quando si inverte il senso di

percorrenza. La zona neutrale non può occupare alcun campo, ma

pone accanto ad interno ed esterno un reale «Zwischen», un

limite (Grenze) tra le due direzioni3o.

Naturalmente il limite a cui Plessner si riferisce non è da

prendere per un limite spaziale. Un evidente limite spaziale

(Grenzkontur) è in ogni corpo che abbia un inizio o una fine.

Esso costituisce il margine per mezzo del quale il corpo è

delimitato rispetto a qualcos'altro, che lo definisce e ne

determina la forma (o contorno) entro il quale il corpo della

cosa è racchiuso. Grazie al limite spaziale l'oggetto si

determina come «questa cosa qui». Il limite spaziale appare

all'intuizione come qualcosa di simile a semplici linee

grafiche che riproducono i contorni di una figura; non

corrispondono ad entità alcuna e divengono sensibili solo

allorché venga messo in rilievo il campo spaziale limitato dai

contorni stessi. Come le altre proprietà, esso è anche

un'entità relativa, ossia non esistente «per sé», perché

trasponibile in cose e materiali diversi. Considerato in

un'ottica differente, nella prospettiva cioè di una divergenza

assoluta tra direzioni opposte, il limite spaziale rappresenta

una determinazione del lato esterno della cosa. Esso non è zona

d'avvio di una divergenza assoluta, ma limite tra direzioni

solo relative, l'una diretta verso un interno convertibile in

JD Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 151.

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un esterno, l'altra verso un esterno convertibile in un

interno.

Il concetto di limite a cui pensa Plessner, pur essendo

connesso al limite spazialell, è un «limite assoluto», un

concetto strutturale capace di rivelarsi in grado di designare

la zona d'inizio di una divergenza assoluta tra direzioni e

altresi di spiegare la Doppelaspektivitat come proprietà della

cosa: «si ricerca un limite oggettivamente dimostrabile come

proprietà che sia egualmente zona d'inizio della divergenza

assoluta di direzioni»32. Dal punto di vista logico, un corpo

può essere in rapporto al limite in due forme:

(a) il limite costituisce solo il virtuale «Zwischen» tra

corpo e medio adiacente, il «ciò in cui» qualcosa inizia o

termina se qualcos'altro in esso termina o inizia. In questo

caso il limite non appartiene realmente né al corpo, né al

medio attiguo, ed insieme appartiene ad entrambi. Il limite

rappresenta qui il puro passaggio da un ente all'altro, ma

questo stesso passaggio non appartiene all'essenza della

limitazione del corpo come sua propria realizzazione, cioè esso

non è necessario all'essere del corpo. In tal senso si può dire

che il limite è qualcosa di diverso dalla reale limitazione

(Begrenzung) che traccia la forma del corpo come suo contorno,

e se pure non è propriamente solo «accanto» al corpo,. rimane

tuttavia limite «esterno» ad esso;

(b) il limite appartiene realmente al corpo, al quale

garantisce, di fatto, il passaggio al medio attiguo. Il corpo è

ora non solo limitato nei suoi contorni, ma corpo «realizzato»

31 Deve seapre darsi una corrispondenza tra quanto è realtà fisico-spaziale e quanto appartiene alla struttura essenziale della cosa (cfr. ivi, p. 133), coae pure deve darsi una corrispondenza tra quanto appare sensibilaente ed è colto dall'intuizione e quanto viene teorizzato aprioristicaaente al fine di chiarire ed esplicitare razionalaente ciò cui accenna l'intuizione stessa. 32 lvi, p. 153. E' chiaro che Plessner si sta riferendo al corpo organico e non alla cosa fisica in generale.

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nella sua limitazione. Esso è dunque questo stesso passaggio;

ed il limite è «limite essente»: non più vuoto passaggio dovuto

ad una determinazione reciproca tra enti, ma limite capace di

distinguere da sé, per principio, il costrutto limitato come

tale dall'altro in quanto altro. Il corpo non inizia perché

termina il medio attiguo, ma il suo iniziare o terminare è

indipendente dall'ente che gli è esterno33. Questo secondo modo

di relazione offre, secondo Plessner, lo schema di rapporto tra

corpo e limite nell'essere organico.

La conclusione tratta dall'elaborazione di tali possibilità

logiche trova la propria ragion d'essere nell'economia della

precisa impostazione data da Plessner allo sviluppo della

ricerca, il cui fine principale è - come sappiamo - quello di

determinare le caratteristiche essenziali del vivente. Il corpo

non vivente viene lasciato in disparte, sullo sfondo di questo

prioritario interesse. Per avere un quadro generale e sintetico

del percorso logico effettuato, tenendo conto anche di quanto

non viene tematicamente esplicitato, riassumiamo brevemente per

punti il filo conduttore di questa fase della deduzione:

1. ipotesi: il principio di Gestalthaftigkeit dei corpi non

basta a spiegare la peculiarità della forma organica che appare

nella Doppelaspektivitat e che sembra piuttosto regolata da un

principio che la rende un tutto organizzato, una Ganzheit.

2. Per darne dimostrazione occorre trovare, per via

deduttiva, un oggetto in cui si presenti una forma di limite

avente la duplice caratteristica di essere zona neutrale della

divergenza assoluta interno-esterno e proprietà oggettiva della

cosa.

3. Quando vengono soddisfatte entrambe le condizioni?

Allorché un corpo è in relazione al limite nel modo (b), ed il

5 Cfr. ivi, p. 154. Tale indipendenza non è tuttavia rilevata direttamente dai sensi (cfr. ivi, p. 155).

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limite può esser detto «limite proprio» o «limite realizzato»

del corpo.

4. La deduzione delle caratteristiche che un corpo deve

presentare in tale relazione conduce a determinazioni che bene

si prestano alla descrizione del vivente come «forma

organizzata»: è allora trovato il modo per confermare

l'ipotesi.

Ma anche per il corpo non vivente deve valere la legge di

divergenza inconvertibile della relazione interno-esterno

(nucleo-proprietà), quella divergenza che, non essendo intesa

in senso spaziale, deve essere anche qui assoluta e dare

origine alla Doppelaspektivitat con cui i corpi appaiono nella

percezione. Anche per la cosa fisica inanimata deve allora

darsi un limite quale zona neutrale che distingue le due

direzioni percettive. Tuttavia, a differenza del corpo

organico, la duplicità d'aspetto che accompagna il suo fenomeno

non appare come «essenziale» all'essere del corpo. Da qui la

differenza tra l'apparire del corpo con una duplicità d'aspetto

e l'apparire nella duplicità d'aspetto. Il limite non spaziale

del corpo inorganico è allora quello che origina la relazione

logicamente inessenziale con il corpo stesso definita al punto

(a).

Nel presentare il secondo caso di relazione tra corpo e

limite Plessner sottolinea la connessione essenziale che solo

in questo caso.si crea tra realizzazione del limite e

delimitazione reale del corpo. Naturalmente ciò non significa

che non sussista relazione alcuna tra limite virtuale e forma

fisica nel corpo inanimato: è già stato notato che una certa

(non precisata) connessione tra elementi strutturali

aprioristicamente determinati e realtà empirico-spaziale deve

sempre sussistere. Quanto preme a Plessner in questo momento è

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soprattutto insistere sull'idea della radicale differenza che

determina l'essenzialità della realizzazione del limite

rispetto al corpo inanimato, differenza riscontrabile già nel

fenomeno della sua struttura. Così, quando un corpo ha il

«passaggio del limite» (Grenzubergang) come proprietà, la

limitazione del corpo è ad un tempo spaziale (Raumgrenze) ed

assoluta (Aspektgrenze) e il contorno assume il valore di

Ganzheitsform, fermo restando il suo carattere di Gestalt34 •

Solo cosi la Doppelaspektivitat è in un legame d'essenza

(Wesensverknupfung) con la forma del corpo ed il corpo mostra,

per principio, quel duplice aspetto in virtù del quale appare

come unità di interno ed esterno. In questo modo ottiene un

fondamento l'asserzione di Plessner: «i corpi dell'intuizione

nella quale compare oggettivamente una relazione di divergenza

interno-esterno come appartenente al suo essere, si dicono

viventi» 35 , allo stesso modo che l'altra: «al principio secondo

cui i corpi viventi mostrano fenomenicamente una relazione per

principio divergente di interno ed esterno si deve dare la

forma: i corpi viventi hanno un limite fenomenico intuitivo» 36 •

Per questa sua relazione al limite, il vivente differisce

dall'essere inorganico piuttosto nel rispetto formale che in

quello materiale, quindi anzitutto nel modo del suo fenomeno:

diversamente dalla cosa inorganica, esso apparirà un essere­

per-sé, un essere relativamente indipendente dall'ambiente

circostante e fondato in se stesso. Proprio per la necessità di

riconoscere questa autonomia, che la Gestalttheorie non poteva

riuscire a spiegare, si giustifica, agli occhi di Plessner, la

posizione di Drieschl7.

H Cfr. iv i, p. 154. 35 lvi, p. 138. 36 lvi, p. 151. 37 Per la questione si possono vedere i paragrafi ad essa dedicati nella pri1a parte del lavoro.

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L'esigenza di mettere a punto un concetto di limite utile

alla spiegazione di certi dati empirici sviluppata in campo

ipotetico-aprioristico approda a risultati significativi in una

dimensione logica di tipo dialettico. Corpo e medio adiacente,

nucleo e proprietà, sono termini reciprocamente opposti, legati

da una particolare relazione di carattere dialettico. Il

risultato principale ottenuto da Plessner non è quello di una

precisazione logico-funzionale del concetto di limite, ma

l'individuazione - enucleata nella formula «realizzazione del

limite» - della specifica forma di relazione tra concetti,

capace di descrivere una struttura essenziale il cui fenomeno

si presenta secondo modalità intuitivamente differenti da

quelle del fenomeno dell'oggetto inanimato. Essa fungerà da

modello nella deduzione degli a priori essenziali.

b. La teoria dei modali organici

Il principio di «realizzazione del limite» esposta al punto

(b) offre, secondo Plessner, la rappresentazione schematica

della peculiare forma d'organizzazione che presiede alla

struttura di un intero (Ganzheit). Partendo da tale principio è

possibile sviluppare una rigorosa deduzione di quelle funzioni,

caratteristiche dell'essenza del corpo organico, che originano

il fenomeno della vita. Tale principio deve costituire solo la

base logico-ipotetica a partire dalla quale si può individuare

la specifica strutturazione del corpo organico - e non deve

affatto essere scambiato per la causa stessa del fenomeno

vitale.

Determinare la differenza essenziale dell'organismo

rispetto al corpo inanimato e sviluppare, mediante una teoria a

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priori dei modali organici, le caratteristiche essenziali della

vita è il compito principale dell'indagine di Plessner. Non si

tratta di elaborare una teoria che si limiti a descrivere un

meccanismo che i sensi non riescono direttamente a percepire e

che si porrebbe sul medesimo piano dell'indagine empirica; si

tratta di cogliere i fondamenti di quegli strati dell'essere

che, per principio, non sono osservabili per se stessi, ma solo

nelle conseguenze del loro fenomeno. Per questo è necessaria

una teoria a priori, una rigorosa deduzione categoriale delle

«qualità ultime» della vita, e non una classificazione ottenuta

per induzione delle caratteristiche costanti osservabili

nell'organismo vivente. Queste qualità, dedotte da un principio

unico e non da arbitrarie e provvisorie assunzioni,

costituiscono gli elementi non ulteriormente analizzabili o

riconducibili ad altre qualità; essi non possono essere

tradotti in termini fisico-chimici, poiché oltrepassano il

campo dell'empirico.

Nel concetto di «a priori» di Plessner si può vedere il

risultato dell'intenso e decisivo rapporto critico mantenuto

dal filosofo da un lato con la scuola neokantiana di Marburg 38 ,

dall'altro con l'indirizzo fenomenologico della ricerca

filosofica. L'a priori denota strutture d'essenza ed è

indipendente dall'esperienza in quanto inerente ad ogni

percezione di cosa. Poiché costituisce ciò che pertiene

essenzialmente alla cosa nel fenomeno, esso è condizione della

possibilità dell'esperienza. Possiamo considerare la struttura

d'essenza come una conoscenza a priori in senso kantiano nella

misura in cui in Kant una conoscenza a priori si distingue da

una conoscenza pura (a cui non è commisto alcun elemento

38 Sull'importanza del pensiero neokantiano di Marburg, in particolare sull'impostazione teoretica della ricerca plessneriana si può vedere il recente saggio di E. Volaicke, GrundzOge neukantiscben Oenkens in den frubscbriften und der tPbilosopbiscben AntbropologieJ HelRutb Plessners, Alfer, VDG, 1994.

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empirico) dato che in Plessner la ragion d'essere dell'a priori

è da ritrovare sempre nell'esperienza, nella «ursprungliche

Erfahrung» di derivazione fenomenologica. «A priori» e

«categoria» in Plessner coincidono: ma la categoria di Plessner

non è la categoria di Kant, dato che le categorie di Plessner

non hanno bisogno d'essere condizioni gnoseologiche della

possibilità dell'esperienza39 e non sono concetti in senso

kantiano. In polemica con certe forme di neokantismo diffuso in

ambiente scientifico, Plessner afferma: «le categorie non sono

concetti, ma li rendono possibili poiché esse hanno il valore

di forme dell'accordo tra sfere eterogenee, tra pensiero ed

intuizione, come tra soggetto ed oggetto»4o. Ci troviamo

dinanzi ad un punto nodale nell'interpretazione del pensiero di

Kant. Plessner infatti si richiama in parte proprio a Kant nel

sostenere la propria concezione antilogicista delle categorie

organiche. Egli sottolinea che nella concezione kantiana si può

cogliere un legame indissolubile tra le categorie ed il sistema

aperto dell'esperienza, come pure il carattere sostanzialmente

irrazionale delle categorie razionalmente fondate e che l'unità

trascendentale dell'autocoscienza rappresenta il punto centrale

per le categorie, ma non il luogo della loro deduzione, non il

principio e la fonte della loro distinzione 41.

La funzione di accordo - potremmo dire «analogica» 42 -

assegnata alle categorie è fondata sull'idea che tra intuizione

sensibile e pensiero non si dia una netta separazione, che non

vi sia tra le due forme di conoscenza uno scarto, un salto

39 Cfr. Stufen {P-GS IV), pp. 121-122; I. Kant Xritik der reinen Yernunft {1781, 1787); trad. it. Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. LoJbardo-Radice {1909-1910), riveduta da V. Mathieu (1959), Bari, Laterza, 1985, pp. 303-304. 40 Stufen {P-GS IV), p. 169. 41 lvi, p. 165. 42 L'espressione è presa a prestito dal lessico di R. Troncon {Cfr. Id. La filosofia dell'inquietudine, cit.).

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qualitativo 43 • Le categorie- le categorie che rendono

possibile la conoscenza biologica - consentono di dare un

ordine razionale ai dati dell'esperienza restando avvolte in un

velo di irrazionalità. «Trovate» all'occasione nell'esperienza,

le categorie biologiche sono raggiunte- mediante l'intuizione

- nell'essere oggettivo delle cose e guidano il biologo già

nella scelta dell'oggetto della sua ricerca. Il loro senso, la

loro autentica giustificazione è nella realtà stessa: «la loro

verifica, cioè la piena comprensione di ciò che con esse

dev'essere compreso può perciò riuscire solo all'intuizione

della concreta realtà vivente: le categorie della biologia

empirica sono radicata nelle categorie del vivente stesso» 44 •

Il valore dell'a priori in Plessner resta infatti

sostanzialmente vincolato ad un'indagine di tipo

fenomenologico•s che si presenta come «scienza di essenze» e di

relazioni tra essenze. Le determinazioni strutturali

dell'organico sono a priori materiali: la loro necessità non è

legata - come lo era in Kant - al loro carattere formale, ma è

determinata dalla relazione a dei contenuti.

La teoria dei caratteri d'essenza vuole dunque approdare

ad una «assiomatica dei modali organici»• 6 connessa con

l'esperienza sensibile e da questa giustificata, ma non fondata

su di essa. Per mezzo delle categorie dell'organico diviene

attuabile il tentativo di stabilire un ordine nella

regolamentazione del sistema vivente. Esse mantengono un

costante e prioritario rapporto con l'intuizione, la quale è in

grado, da sé sola, di scorgere e riconoscere le caratteristiche

tipiche della vita e, anzi, proprio mediante l'intuizione è

43 Si veda a proposito F. Haaaer, Die exzentriscbe Position des Nenscben, cit., p. 69. 44 Stufen (P-GS IV), p. 166. 45 Cfr. H. Plessner Der Aussagerert einer pbilosopbiscben Antbropologie (P-GS VIII, pp. 380-399), p. 396. 46 Stufen (P-GS IV), p. 160 e p. 175.

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p~ssibile individuare e cogliere ciò che le categorie

indicano 47 • L'intuizione in Plessner non è riconducibile alla

conoscenza osservativa; essa ha il valore di una possibilità

d'esperienza fenomenologicamente ampliata capace di aprire un

varco verso gli strati più profondi della realtà. Le categorie

dell'organico, determinano la vita come «essere per

l'intuizione» 4 s, ma non sono da confondere con le categorie di

cui si serve la razionalità empirica, non avendo esse

immediatamente nulla a che vedere con gli strati dell'essere in

cui si formano le immagini concettuali di tipo fisico e

chimico. In questo modo la teoria dei caratteri costitutivi,

mentre si allontana dall'ambito dell'intuizione concreto­

sensibile, «si regge tuttavia solo su autentici dati intuitivi,

non su concetti qualunque e cerca di cogliere nell'unione di

questi dati i fenomeni essenziali della vita nella loro

differenziazione»• g.

Ci troviamo di fronte ad una duplice caratterizzazione

dell'intuizione- positiva da un lato, negativa dall'altro­

legata alla concezione plessneriana delle caratteristiche

essenziali della vita. Essa si può chiarire sulla base della

distinzione da lui posta tra indicatori di caratteri d'essenza

{indicatorische Wesensmerkmale) e caratteri d'essenza

costitutivi (konstitutive Wesensmerkmale). Indicatori di

caratteri d'essenza si presentano all'esperienza ovunque vi sia

vita: in un certo tipo di movimento, in una certa regolarità o

ritmicità di un fenomeno, e cosi via; ma essi possono apparire

anche in corpi inanimati ed ingannare sulla natura del corpo

stesso. Non invece i caratteri d'essenza costitutivi, che

47 lvi, p. 166. u Ivi, p. 167. 49 Ibid.

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appaiono all'intuizione in tutta la loro autenticità5°.

I due generi di indicatori non sono privi di connessione

reciproca: «la proprietà dell'evidenza (Anschaulichkeit) è

infatti comune ai caratteri d'essenza indicatori e a quelli

costitutivi, perciò è possibile anche la riconduzione degli uni

agli altri»S 1 • La possibilità di ricondurre gli uni agli altri

dipende dalla specifica impostazione dell'indagine che di essi

si occupa, nonché dal valore assegnato da questa

all'intuizione. Dinanzi alle manifestazioni della vita

l'empirista tenta di costruire induttivamente dei concetti, in

genere perfettibili, che vengono successivamente verificati o

modificati mediante l'osservazione e la sperimentazione

empirica. Egli traduce tali manifestazioni in termini fisico­

chimici e cerca di fondare le proprie «categorie» nel campo

dell'esperienza stessa. In tal modo l'empirista resta ancorato

ai semplici caratteri indicatori e si allontana dalla

descrizione immediata delle datità intuitive. La teoria di

Plessner tenta invece una riconduzione dei caratteri essenziali

che si offrono originariamente all'intuizione a categorie

necessarie a priori, le quali, dedotte dialetticamente 52 da un

50 Riguardo alla deterainazione dei caratteri d'essenza dell'organico Plessner ri1anda allo scritto di J. von Kries - di cui, co1e sappiaao, Weizsicker è stato allievo - Oeber Kerk11le des Lebens (Veroffentlichungen der rreiburger Wissenschaftlicher Gesellschaft, Bd. 6) del 1919 e a quello di r. Buytendijk Anscbaulicbe lennzeicbnen des Organiscben, cPhilosophischer Anzeiger) II (1927-1928), pp. 391-402, non ancora apparso al 101ento della priaa pubblicazione delle Stufen (cfr. Stufen (P-GS IV), p. 177). La concordanza tra Plessner e Buytendijk riguardo al concetto di Ganzbeit organica - contrapposto a quello di Gestalt Kuhleriano- (cfr. Buytendijk, op. cit., p. 394), coae riguardo all'individuazione dei caratteri essenziali (cfr. ivi, p. 395 e p. 398) è cotpleta. Il proposito di Plessner è però quello di andare olre la loro indicazione e dare una giustificazione del loro appar~re all'intuizione- dimostrandone la necessità­Jediante una rigorosa deduzione apriorica. 51 Stufen (P-GS IV), p. 167. 52 Plessner sostiene la necessità di non restare ferti ad una descrizione fenoaenologica estatica,, con la quale ci si troverebbe nel dubbio riguardo alla possibilità di passare da una fase di rilevaaento dei caratteri d'essenza al 101ento della loro deterainazione co1e costitutivi. Qui (cfr. !bit) Plessner si richiama al bisogno di sviluppare una deduzione che, pur conservando presupposti feno1enologi~i, si serva di un procedimento dialettico, di una deduzione aprioristica nella quale le determinazioni d'essenza non siano se1plice1ente «stabilite, o creperite, fenoaenologicaJente, aa si producano dinamicaaente le une dalle altre.

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unico principio, vengono «riempite» dall'intuizione, vengono­

per cosi dire- riconosciute e confermate dall'intuizione,

nella quale solo esse trovano la loro ragion d'essere.

Nell'impostazione del costrutto teorico è determinante

l'idea che esistono strati dell'essere non riconducibili ai

sistemi della rappresentazione empirica. Secondo Plessner

l'intuizione ha a che fare anche con contenuti che non sono

propriamente oggetto di percezione, bensl solo oggetti

corrispondenti ad una «visione d'essenza»: la Ganzheit, lo

specifico tipo di organizzazione del corpo vivente appartiene a

questo genere di contenuti. Se si può dire che essa appare

fenomenicamente in diversi modi - al tatto o alla vista - la

Ganzheit, in quanto essenza, non perviene «essa stessa» a

fenomeno. Il problema che ora si pone è quale sia il modo

adatto per accordare la cosa fisica con l'essenza della sua

organizzazione. Il tentativo effettuato da Plessner è quello di

individuare le condizioni che devono essere soddisfatte perché

si possa dare un simile accordo seguendo l'idea che il fenomeno

della vita si fonda su un peculiare rapporto del corpo al

limite.

La realizzazione del limite non rappresenta dunque un «dato

di fatto» a partire dal quale dedurre le categorie

dell'organico, ma il punto di vista (Gesichtspunkt) 5 3 -

centrale nell'economia del costrutto filosofico di Plessner -

sotto il quale procedere alla deduzione. Contemporaneamente la

deduzione decide del carattere d'essenza della vita stessa,

della necessità di quelle caratteristiche essenziali che,

indipendentemente dal fatto che possano legarsi a specifiche

condizioni fisico-chimiche, rappresentano le qualità ultime ed

irriducibili della vita.

53 Cfr. ivi, p. 175.

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c. Il «principio posizionale» dell'essere vivente

Il primo passo compiuto nella direzione di una teoria dei

modali organici è la definizione del carattere posizionale del

vivente. Assunto il punto di vista della Grenzrealisierung,

cosa significa che un corpo è in relazione al proprio limite?

Quali sono le conseguenze sul modo dìessere e d'apparire del

corpo che ha un «limite proprio», ovvero possiede il

«passaggio» del limite come proprietà? Allorché il limite

appartiene realmente al corpo, il corpo è limite di sé stesso e

dell'altro da sé; esso è dunque in una situazione di

opposizione tanto a se stesso quanto all'altro da sé. Il corpo

non è solamente chiuso in se stesso dal limite, ma

contemporaneamente aperto al medio attiguo, al quale è perciò

strettamente legato: il corpo è «uber ihm hinaus»s4. Esso non

dispone solamente della possibilità del passaggio offerta da un

limite solo virtuale: quel «passare» gli appartiene realmente.

Il limite crea cosi una relazione di opposizione tra elementi

contemporaneamente separati e uniti da esso; il limite non

sarebbe altrimenti reale «passaggio» ma un semplice

«proseguire» incapace del salto qualitativo egualmente prodotto

ed annullato dal reale «passare». Per conseguenza, l'essere

reale del limite si esprime anche nel modo d'essere il corpo

«ihm entgegen»ss. Per essenza il corpo organico è altrettanto

"uber ihm hinaus" quanto "ihm entgegen".

In quanto cosa corporea il vivente è soggetto alla

duplicità della contrapposizione assoluta delle direzioni

percettive orientate verso l'interno e verso l'esterno di esso.

In quanto vivente, la cosa corporea si presenta con la

54 lvi, p. 181. ss lvi, p. 182.

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duplicità d'aspetto come proprietà, che rende trascendente la

cosa fenomenica in duplice direzione, ponendola da un lato

oltre se stessa, all'esterno di sé, dall'altro entro se stessa,

in sé 56 • Per questa duplice direzionalità del suo essere, la

cosa diviene «angehoben», sospesa: con questo termine Plessner

cerca di offrire un'immagine concettuale e descrittiva che

riesca - per quanto inadeguatas7 - ad avvicinare quel senso

della determinazione essenziale che conferisce al corpo il

carattere di una limitazione mobile, di una relazione

dialettica con se stesso.

Il corpo tuttavia non può essere semplicemente «angehoben»,

poiché, oltre ad essere «passaggio» in duplice direzione, esso

costituisce pur sempre una cosa corporea essente. Nella

determinazione della sua essenza si deve tener conto di

entrambi i momenti, del momento del «permanere» del corpo nel

suo essere, e del suo incessante «passare». Il loro significato

viene enucleato da Plessner nell'espressione «porre» (Setzen),

«che evoca il momento dell'essere-tolto (Aufgehobensein),

dell'essere-sospeso (In-Schwebe-sein), senza perdere il momento

della stasi (Aufruhen), della fissità (Festsein)» 5 8: essa

definisce la principale modalità dell'essere dell'organismo.

Con la realizzazione del limite il corpo è «posto», esso

presenta il carattere specifico del vivente: «nella sua

56 La cosa, quindi, pone se stessa in sé e fuori sé. A proposito della posizione (Setzen) l'autore si premura di aettere in guardia il lettore contro una tradizione idealistica che fa risalire il senso della parola ad un atto del pensiero effettuato dal soggetto: cSetzen als Hiedersetzen hat ein Aufgestandensein, ein Aufgehobensein zur Voraussetzung, {ivi, p. 183). In quanto corpo fisico, la cosa cè, già di per sé. In nessun senso l'essere sta di fronte ad essa o da essa si staglia coae essente. Questa precisazione sul significato del cporre,, che vuole il distacco da un pensiero che affida all'attività di un soggetto (puro) la determinazione dell'essere finito (non-Io), ricorda la critica di Schelling al pensiero di Fichte, e la sua esigenza, non dissiaile da quella di Plessner - nonostante la forte differenza nella soluzione - di rendere giustizia all'oggetto ricercando un principio che stia egualmente a aonte dell'oggettività coae della soggettività. 57 L'inadeguatezza della descrizione rispetto all'essere reale rappresenta un dato inelitinabile. Termini ed i11agini usate possono solo tratteggiarlo: cfr. ivi, p. 184. 58 lbid.

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vitalità quindi il corpo organico si differenzia

dall'inorganico per il suo carattere posizionale o la sua

posizionalità»s9.

La categoria posizionale è la più fondamentale e generale

dell'essere del vivente: ciascuna delle successive

determinazioni dell'essenza organica non rappresenta che una

«modalità di realizzazione» del carattere posizionale. In essa

appare inconfondibile l'elemento dinamico evidenziato da

Plessner alla base della struttura che distingue l'organismo

dalla semplice corporeità fisica. Per definire la forma

vivente, piuttosto che una determinazione statica - un «essere»

o uno «stare» del corpo - è indicata una struttura concettuale

dinamica e plastica, una definizione essenziale che rimandi

immediatamente ad una attività continua di posizione e

contrapposizione: il corpo non «é», ma «ha» o «prende»

posizione rispetto a se stesso e al suo ambiente. Individuato

come struttura essenziale, il principio vitale trova la propria

collocazione originaria nella natura, nella materialità stessa

in cui esso si manifesta, e non - come ad esempio nella

dottrina di Driesch- in un principio ad essa esterno6o.

Plessner tenta un recupero del valore e della creatività della

vita in contrasto con l'astratto concettualismo e lo

sperimentalismo dell'empirismo biologico e in sintonia con le

nuove tendenze della filosofia della vita, continuando tuttavia

a mantenersi ostile a forme di irrazionalismo e spiritualismo

metafisica. La categoria posizionale se non vuole restare

un'astratto momento logico, un puro costrutto razionale, deve

accordarsi con il reale essere del corpo organico deve mostrare

una realtà ontica, oltre che un significato logico. Pur non

5' Ibid, p. 184. '° Cfr. M. Grene, Positionality in tbe Pbilosopby of HelJutb Plessner, in "rhe Rewiew of Metaphisics" 20 (1966-1967), pp. 250-277, p. 266.

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essendo empiricamente dimostrabile61, la reale essenza del

corpo deve manifestarsi empiricamente come proprietà, come

«fenomeno di superficie» (Randphanomen): «in un corpo di

carattere posizionale esiste sempre una compenetrazione della

relazione nucleo-proprietà con quella del duplice

trascendimento, ove il trascendimento (= duplicità d'aspetto)

ha il valore di proprietà e come proprietà appare»62. A causa

della sua particolare essenza questa proprietà prevale su tutte

le altre, tutte le pervade e sembra effondersi, come le altre

proprietà, dal centro nucleare della cosa. Il carattere

posizionale si manifesta distintamente nel fenomeno del corpo e

- pur non essendo empiricamente determinabile - esso si lascia

cogliere dall'intuizione. L'intuizione, infatti, avverte con

chiarezza il cambiamento fenomenico subito da un corpo non

vivente nel divenire vivente, percepisce il suo trasformarsi da

semplice cosa in un Fur sich Sein63. Essa tuttavia non ha la

possibilità di cogliere con sufficiente precisione

quell'essere-per-sé determinante il quadro invisibile in cui la

cosa si staglia dall'ambiente con una particolare forma della

limitazione. Diversamente, il corpo non vivente è estraneo dal

«trascendimento» in duplice direzione: esso infatti «è» solo

fin dove arriva. Laddove il corpo ha le proprie estremità, dove

trova la sua fine, ha termine anche il suo essere: il corpo si

ferma, si interrompe, essendo privo dell'elasticità strutturale

appartenente al corpo di carattere posizionale.

61 Cfr. Stufeo (P-GS IV), p. 183. 62 lvi, p. 184-5. 63 lvi, p. 185.

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II. Le modalità caratteristiche dell'organico

I modi di realizzazione della posizionalità

In conformità con i dati dell'esperienza sensibile, la

teoria dei «modali organici» - come abbiamo visto - deve

dedurre a priori le qualità della vita a partire da un

principio unico. Il «principio posizionale», che stabilisce il

più generale e fondamentale dei caratteri dell'essenza

organica, deve consentire tale deduzione sistematica per

ciascuna delle dimensioni e dei «livelli» o «gradi»

dell'organismo. I modali organici rappresentano modalità e

forme di realizzazione della posizionalità.

a. La processualità organica

Il corpo vivente, che abbiamo visto caratterizzato dalla

modalità oppositiva «uber ihm hinaus» e «ihm entgegen», si

presenta necessariamente nel movimento: «la vitalità - sostiene

Plessner- si annuncia con piena evidenza all'intuizione

principalmente nel movimento»1. L'intuizione coglie il moto

come indicatore di un carattere d'essenza; tuttavia

l'esperienza del movimento di per se stessa non è probante il

carattere vivente del corpo. Alla dinamicità essenziale

dell'organico si perviene invece con certezza guidati dalla

specificità del carattere posizionale e se ne conclude che «la

vita è movimento, essa non può darsi senza moto» 2 • La deduzione

del carattere motorio del vivente sviluppata attraverso

1 Stufeo (P-GS IV), p. 187. 2 Ibid.

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l'analisi dell'essenza della «cosa stessa» ha autentico

carattere a priori e, conformemente alla tradizione kantiana,

validità necessaria e indipendente da ogni esperienza: «anche

se l'esperienza non avesse affatto trovato conferma di questo

principio - sostiene Plessner - la sua verità si reggerebbe su

di una necessità a priori»3. Dal punto di vista di una teoria a

priori dei modali organici, il significato essenziale del

movimento è quello del «divenire processuale»: «una cosa di

carattere posizionale può darsi solo in quanto essa diviene: il

processo è il modo del suo essere» 4 ; sua condizione è che la

cosa possa prendere distanza da sé, possa separarsi da se

stessa, dal suo essere. La cosa non rimane rinchiusa entro le

limitazioni fisiche che le sono tracciate: essa ha in se stessa

la possibilità del «passaggio» determinato dal principio di

realizzazione del limite, «il suo "essere" è pertanto

essenzialmente determinato dal passare (Uebergehen)» 5 •

Ma il semplice divenire (Werden) rappresenta un puro

«passar-oltre» (Uebergehen), è «que~l'unità di non-ancora e

non-più» 6 dato dall'unità di due modi del non-essere, nella

quale manca ancora il momento conservativo, il momento del

«permanere in sé» del diveniente. Il puro «passare» in quanto

tale si oppone ad ogni delimitazione (Begrenzung) fisica, di

cui dovrebbe determinare l'annullamento e la conseguente

perdita del limite (Granze). Necessariamente quindi, oltre al

momento del «passare», deve appartenere all'essenza del limite

realizzato quello del «restare» (Stehen, Halt). Solo nell'unità

dei due momenti opposti il limite è «stehendes Uebergehen» e la

cosa si costituisce come un «restare ciò che essa è e un

3 Ibid. 4 Ibid. s lvi, p. 188. 6 Ibid.

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passare altrettanto in ciò che non è (oltre sé) e in ciò che è

(in sé)» 7 • Espresso in termini processuali essa è l'unità dei

momenti contrapposti, «divenire di un permanere e permanere di

un di venire» a •

Prese le mosse dal concetto puramente logico di

«realizzazione del limite», Plessner deve render conto del

carattere dinamico proprio della realtà corporea. La deduzione

dei caratteri dell'organico sembra cosi muoversi su differenti

«livelli d'astrazione» ai quali corrispondono gruppi di

concetti più o meno «vicini» alla sfera dell'empirico, anche se

comunque a priori. Divenire (Werden) e permanere (Beharren),

che costituiscono due aspetti dell'essenza reale della cosa

fisica, non possono presentare le medesime caratteristiche del

precedente binomio Uebergehen-Stehen: quest'ultimo è

rappresentato da determinazioni logiche massimamente astratte,

ricavate analiticamente dal concetto di «limite realizzato» e

tra loro non indipendenti; non è lo stesso per i due momenti·

costitutivi della processualità, che vengono a prodursi

sinteticamente e devono avere una certa rispondenza nel

fenomeno del corpo fisico vivente9. Uebergehen e Stehen non

sono quindi lo stesso che Werden e Beharren, mentre «ognuno dei

due lati, quello del permanere e quello del divenire, è,

ciascuno per sé, una sintesi di Stehen ed Uebergehen» 10 •

Werden e Beharren sono momenti essenziali, reciprocamente

indipendenti e tra loro necessariamente contrapposti: «il

divenire è reale essenzialmente solo nel diveniente, vale a

' lvi, p. 189. 8 lbid. 9 Se pensiamo al significato delle categorie nel pensiero di Plessner- «ponti sull'empirico,, elementi di connessione tra intuizione e razionalità - diviene più facile capire il bisogno di stabilire una gradazione nel loro livello d'astrazione. 10 Ibil Insieme questi deterainano l'essenza di quel concetto di limite che dà luogo ai distinti momenti del Bebarreo e del Yerden.

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dire in contrasto con un permanere al quale si mostra legato;

ed il permanere è reale essenzialmente solo nel permanente,

vale a dire in contrasto con un diveniente al quale si mostra

legato- a cui oppone resistenza»ll. In quanto condizioni

logico-dialettiche della realtà dell'organico, Werden e

Beharren si presentano sempre reciprocamente connessi. La loro

contrapposizione origina una vera e propria scissione

all'interno dell'essere- pur tuttavia unitario- della cosa

reale: con il carattere processuale si manifesta in tutta

chiarezza il significato teoretico dell'opposizione, dello

hiatus e della sintesi dialettica.

Il vivente è nel processo, ma non è il processo stesso.

Plessner intende la processualità come un'autentica «proprietà»

della cosa12; essa costituisce l'unità dinamico-dialettica in

cui l'organismo si manifesta, il modo in cui esso esiste nei

suoi limiti, «realizzando» le proprie limitazioni fisiche come

tali. In altre parole, non abbiamo a che fare con un concetto

astratto, ma con il modo d'essere in cui concretamente si

manifesta l'organismo fisico nei suoi limiti spaziali. In

ciascuno dei suoi momenti il «processo» non è altro che la

realizzazione effettiva del duplice trascendimento essenziale,

della divergenza assoluta di interno ed esterno della quale

esso rappresenta l'unità sintetica nel corpo reale. Il processo

organico deve effettuarsi nel rispetto dei limiti materiali

della cosa e a condizione del mantenimento dei contorni

materiali, contorni che non subiscono demolizioni, ma vengono

continuamente modificati nella processualità.

Ma in che modo si modificano i limiti materiali della cosa?

Secondo quali principi ciò è possibile, perché sussista la

11 lbid. 12 Ivi, p. 191.

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garanzia che la cosa rimanga se stessa pur nel divenire

continuo? In quale direzione deve svilupparsi un processo come

quello sopra definito? Plessner per rispondere a simili

questioni ricorre all'introduzione del concetto di Formidee,

detto anche Gestaltidee o Typus. Si tratta di un concetto

prototipico, ricco di reminiscenze romantiche e per certi

aspetti persino platoniche, mediante l'introduzione del quale

Plessner intende dare spiegazione da un lato del permanere

costante della forma dell'organismo pur nella sempre diversa

conformazione dei suoi contorni (nelle fasi del suo divenire),

dall'altro del presentarsi di una medesima forma per un'intera

classe di organismi (di cui ciascuno costituisce un Individuo).

Il divenire processuale in ciascuna delle sue fasi rimanda

ad una costante, ad un principio-forma dal carattere «ideale»,

del quale la fase rappresenta, di momento in momento,

l'espressione variabile. La forma organica è necessariamente

sempre «forma di» un Typus, «coniazione di un'idea formale

intuibile concretamente in una forma individuale»1 3 • In quanto

tale, la forma organica è forma dinamica in cui la cosa

corporea realizza il proprio limite ottenendo sempre il

carattere di coniazione in un individuo «la semplice cosa

individua deve essere, se viva, coniazione di un'idea formale,

ovvero avere il carattere dell'individualità» 14 .

Forma dinamica e processualità non sono da identificare tra

loro; esse appartengono infatti a differenti piani dell'essere,

nonché a differenti piani teorici: il livello d'astrazione

della Gestaltidee è paragonabile probabilmente a quello della

relazione di Uebergehen e Stehen - priva in se stessa di un

reale riscontro empirico - non invece al concetto di processo;

13 lvi, p. 192. 14 lvi, p. 193.

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la prima è, inoltre, condizione della possibilità del

secondo 15 . La legge del Typus costituisce il principio al quale

sottosta l'intera natura organica. L'organismo, impronta

individuale di un Typus, è poi collocato da Plessner in una

gerarchia di unità tipiche: «tipicità e graduazione (Stufung)

del mondo organico sono[ ... ] modalità essenziali secondo i

quali soltanto la vita (in quanto realizzazione del limite di

una cosa fisica} ottiene realtà fisica»16.

Per quanto riguarda il significato del concetto di Typus,

se ci si limitasse a considerare questo concetto come un puro

costrutto logico, una semplice idea della ragione, la teoria

rischierebbe di degradare al piano della semplice ipotesi e

verrebbe a cadere la pregnanza antologica e fondativa di cui

Plessner riveste la deduzione dei modali organici. Plessner

presenta infatti la Gestaltidee come una categoria necessaria a

priori alla stessa stregua del principio posizionale, cioè come

un concetto che conserva una valenza fenomenologica nel quadro

di una rigorosa deduzione aprioristico-dialettica.

b. Lo sviluppo del vivente

Restiamo fermi alla caratteristica della processualità

organica e seguiamo Plessner nella ricostruzione dell'immagine

figurativa che si origina dal significato della categoria.

Abbiamo detto che il processo organico consiste egualmente in

un «restare» il corpo ciò che esso è (in un restare

essenzialmente se stesso} ed in un «passare» in ciò che è e in

ciò che non è (cioè in un essere come diveniente), secondo il

1s Cfr. ivi, p. 192. 16 lvi, p. 193.

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rapporto sopra descritto dei momenti del Werden e del Beharren.

Non ne risulta un semplice dileguarsi dell'una delle fasi del

processo nell'altra, ma una separazione del «divenuto»

(Gewordene) dal «divenire», così che quest'ultimo possa

costituire un nuovo punto di partenza per il movimento di

sviluppo. Il processo non resta fermo in se stesso, ma «va

oltre», verso ciò che nel momento antistante ancora «non era».

L'immagine dell'evoluzione processuale non può essere dunque

rappresentata da un cerchio, da una linea che semplicemente

torna su se stessa senza determinare un reale sviluppo. Lo può

essere, piuttosto, da una linea retta, che procede in avanti

superando via via i momenti precedenti. Ma se caratterizzato

come procedere rettilineo, il progresso che ne deriva prevede

che la cosa divenga realmente «altro» da ciò che era, ma non

esprime il reale andamento del processo organico. In esso la

cosa otterrebbe la sola determinazione di un «costante

procedente oltre»l' nel rispetto della Formidee e della

conservazione della corporeità, ma nel percorso !'«essere

divenuto» sarebbe sempre di nuovo perduto: essa

rappresenterebbe null'altro che «il luogo della morte (das

Totenhaus) dal quale la vita è fuggita; la sua vita sarebbe

solo un morire e la sua morte non sarebbe la fine della vita,

la vita stessa non sarebbe reale»ls. Perché il momento

dell'Uebergehen abbia effettivamente la sua realizzazione il

processo deve dirigersi anche verso (gegen) sé stesso; certo,

non in maniera radicale, o si risolverebbe nella chiusura del

movimento circolare. Esso deve perciò svilupparsi nella forma

determinata dalla sintesi dei due momenti contrapposti (Werden

e Beharren), nella forma espressa rappresentativamente dal

17 lvi, p. 195. 18 lvi, p. 196.

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connubio della linea retta con il cerchio: la spirale

(Schraubenlinie)19.

Per il concetto di processo è possibile individuare una

pluralità di significati: esso stabilisce un movimento che

conduce dialetticamente la cosa verso ciò che essa è e verso

ciò che non è - nel senso della dimensione sostanziale e

formale della cosa stessa (nel rapporto con la Formidee) - in

uno sviluppo di tipo temporale; contemporaneamente esso indica

una relazione della cosa nella duplice direzione di interno ed

esterno che - per quanto qui le determinazioni non indichino

direttamente aspetti fisico-spaziali - rimanda alla dimensione

spaziale del corpo. Lo sviluppo del processo riguarda

egualmente l'aspetto della crescita (Wachstum), cioè della

modificazione della massa corporea che si trasforma insieme

alla sua conformazione, e quello della differenziazione

(Differenzierung) interna del corpo, vale a dire della

molteplicità costitutiva dell'organico. Il concetto copre

insomma ciascuna delle dimensioni dell'essere fisico del

vivente.

Lo svolgimento del processo vivente per sintesi successive

ha luogo nella forma di uno sviluppo in cui il corpo ha se

stesso (sich) come risultato. La Formidee, costituendo ciò in

cui si accordano la «cosa iniziale» (Ausgangsding) e la «cosa

finale» (Endetwas), è data anteriormente (vorweg) alla cosa

stessa, appartiene alla sua essenza, ed è fine necessario dello

sviluppo 20 •

Ma cosa significa che la Formidee è fine dello sviluppo?

Non certo che l'idea formale viene ottenuta come risultato

effettivo di quello nel senso in cui lo può una realtà

19 !bit La spirale, com'è noto, può rappresentare l'immagine del processo dialettico hegeliano e schellingiano. Essa si adatta non di meno al carattere logico del processo biologico veizsàckeriano. 2o lvi, p. 197.

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materiale. La Formidee non diviene la cosa, né la cosa diviene

Formidee: quest'ultima è e rimane «pura idealità» (Idealitat).

Ci si trova di fronte ad una situazione apparentemente

paradossale: come può il Vorwegsein della Formidee (di una

idealità) appartenere all'essenza della cosa che si sviluppa (e

che pertanto è incompiuta) - cosicché questa possa veramente

divenire altro da ciò che era - e contemporaneamente essere

qualcosa di «precedente» - qualcosa che guida il processo della

cosa? Le difficoltà si dissolvono, secondo Plessner, solo

qualora ci si astenga dall'impostare il problema in termini

spazio-temporali; «esser prima» non significa «precedere

cronologicamente» e tanto meno «essere spazialmente separato»

dalla cosa fisica.

La cosa, alla quale l'anteriorità della Formidee appartiene

per essenza, è necessariamente incompiuta e il processo, in

ogni suo passo, si sviluppa verso una compensazione di questa

incompiutezza. La cosa è perfettibile nel senso

dell'avvicinamento al suo fine (la Formidee), che le resta

comunque infinitamente lontano (essendo un puro ideale). Questo

avvicinamento avviene in una progressione che si effettua su

livelli ad ogni passo più elevati: «l'approssimarsi raggiunge

l'unica adeguata realizzazione di un avvicinamento all'ideale

nel movimento ascendente (Hohersteigern) del processo» 21 • Il

concetto di «sviluppo» prevede espressamente un movimento di

ascesa e l'immagine della spirale provvede a darne una

raffigurazione grafica corretta.

L'impostazione della relazione fondamentale tra i membri

del sistema processuale e l'individuazione dell'immagine

corrispondente devono resistere ad una molteplicità di prove,

soddisfare all'esigenza di spiegare più fenomeni, conservandosi

21 lvi, p. 199.

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nella connessione con diversi fattori e devono poter essere

giustificate o verificate sotto vari aspetti. Il movimento

dialettico in questo momento deve mantenere l'unità

dell'«essere» e del «dover essere» della cosa. I termini della

relazione sono ora la «Wesenszugehorigkeit des Vorwegseiendes

zu dem Ding» ed il suo essere «vorweg» rispetto alla cosa

stessa; il risultato della loro unione determina la specifica

modalità del succedersi delle fasi del processo: «l'unità del

momento dell'appartenenza al già essente e dell'essere

anteriore dà al processo( ... ] quella significativa

inclinazione (deklination) secondo la quale ciascuna delle

successive fasi si pone su di un livello più elevato rispetto

al precedente»22.

Il processo è capace di autoconduzione (Selbstlenkung)

proprio per quella particolare «inclinazione» che appartiene

per essenza allo sviluppo organico in virtù della modalità

aprioristico-dialettica caratteristica del principio di

relazione al limite. Grazie a ciò non vi è più alcun bisogno di

introdurre dall'esterno forze che guidino il processo organico,

non è più necessario postulare l'azione di qualche fattore

esterno - come era stato costretto a fare Driesch - per

spiegare le peculiarità del carattere del vivente: «al posto

dell'entelechia quale fattore naturale compare l'entelechia

come modo d'essere corrispondente a quella condizione del

limite che si lascia cogliere essa stessa, anche se per essa

non può essere data alcuna caratterizzazione fisica (alcuna

"spiegazione")»2l; è precisamente questa «condizione del

limite» a mettere in accordo la causalità relativa particolare

con il fenomeno dell'autonomia del sistema organico. Di fronte

22 lvi, p. 198. n lvi, p. 203.

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al dibattito insoluto tra preformazionisti ed epigenetisti

Plessner avanza una proposta di soluzione del problema della

causalità nella biologia che determina una sorta di compromesso

tra le due posizioni 24 . Al vitalismo, che fallisce il suo

tentativo, egli riconosce tuttavia il merito di aver

individuato i giusti termini del problema.

c. Fasi processuali e concetto di morte

Il processo esistenziale dell'individuo ha una durata

limitata. Il percorso vitale dell'organismo è scandita dalla

fase ascendente della crescita e da quella discendente

dell'invecchiamento. Il divenire del vivente trova

irrimediabilmente la propria fine nel momento della morte

fisica2 5 •

Come si delinea la relazione tra la vita e le fasi che ne

descrivono la curva? Quale significato ha il concetto di morte?

Plessner non accetta né la concezione secondo cui vita e morte

rappresentano forze reciprocamente estranee che entrano

accidentalmente in rapporto tra loro, né quella che vede nella

morte un a priori della vita e nella vita una progressiva

realizzazione della morte. Sulla prima concezione si fonda la

contrapposizione della corporeità - intesa come finitezza -

alla vita - in sé eterna - che nella morte, con la liberazione

dal corpo, ritrova la propria purezza. La seconda concepisce la

morte come essenziale alla vita, la quale quindi è in se stessa

finita; ogni momento dello sviluppo è insieme vita e morte, il

che equivale a dire che il corpo non ha mai realmente la

24 Altrettanto si può dire della concezione weizsackeriana. zs La considerazione delle fasi del processo di vita è indipendente dalla collocazione temporale del corpo fisico. Si veda oltre.

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propria vita e mai trova veramente la propria morte.

Nel rispetto del concetto di sviluppo sopra elaborato e del

movimento dialettico che regola il rapporto tra membri opposti,

la relazione tra vita e morte deve essere tale - dal punto di

vista di Plessner- da garantire tanto l'indipendenza dei due

fattori, quanto la loro unità mediata: «la morte è

immediatamente esterna ed inessenziale alla vita, ma diviene

mediatamente, per la forma di sviluppo dell'essenza vitale,

destino incondizionato della vita»26. Plessner insiste

sull'indipendenza e l'alterità di vita e morte: la morte è

morte, non vita, ed il suo autentico significato è quello di

essere l'«altro» rispetto alla vita, il suo opposto ideale e

reale. E tuttavia la vita va verso la morte, il cui potere

autonomo produce una frattura definitiva con la vita.

Realizzandosi secondo le modalità dello sviluppo, la vita

produce solo le condizioni iniziali che hanno per conseguenza

la morte. Si distinguono una morte naturale ed una innaturale,

l'una porta ad espressione la fase discendente del deperimento

fisico, la fase finale dello sviluppo; l'altra dimostra la

totale indipendenza del potere della morte rispetto alla vita.

Il morire è il risultato di una mediazione, il passaggio

realizzato e assoluto in ciò che è qualitativamente altro. Esso

non è affatto autonegazione della vita. Insieme al rifiuto per

una teoria di tipo heideggeriano - «viene anticipata

l'annullabilità (Nichtheit) della vita, non il suo essere-nulla

(Nichtheit)»27 - viene il riconoscimento di Plessner alla

filosofia dell'idealismo per aver saputo produrre la svolta

verso una concezione alternativa del rapporto vita-morte:

«questa svolta sarebbe quella tipicamente dialettica per come

26 lvi, p. 204-5. 21 lvi, p. 206.

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l'hanno in generale improntata classicamente Fichte e Hegel al

fine di riconoscere egualmente positivo e negativo, essere e

nulla; mentre di fatto essa toglie con ciò peso ad entrambe,

mediando il contrasto in un terzo, nella vita, nell'io, nello

spirito» 28 • Ma solo nel sistema hegeliano - secondo Plessner­

lo hiatus riceve il pieno valore di principio nella produzione

di ciascuna determinazione dell'essere reale.

La dialettica vita-morte si presenta strutturalmente

identica alla dialettica che presiede al concetto di «limite

realizzato», di «sviluppo» e di «divenire» in generale; in

questa applicazione, tuttavia,· manca quell'equilibrio tra i

termini della mediazione che là pareva mostrarsi: uno dei due

momenti - quello della morte - non è semplicemente «l'altro» da

cui viene la condizione per un «ritorno», la possibilità

dell'«andare oltre» del processo, ma !'«altro decisivo», quello

che determina la conclusione definitiva del percorso dello

sviluppo. Il punto raggiunto non rappresenta un nuovo inizio,

ma determina una cesura; «passaggio assoluto» significa ora

sopraffazione di uno dei due membri della relazione ad opera

dell'altro. L'immagine del movimento dialettico viene

mantenuta, ma il ritmo uniforme e costante che è caratteristico

della struttura dialettica viene meno: qui esso ottiene la

forma della finitezza. Di fronte alla morte, concepita da

Plessner come fatto bruto, concreto e non «mediabile», il

movimento dialettico-processuale si arresta. Il rapporto

dialettico riguarda solo i momenti interni di un processo

finito; esso si delinea come dialettica del materiale in

contrasto con l'idea di processualità universale dell'essere,

la sola che possa darsi come infinita.

Per altro verso, le fasi del processo vitale - gioventù,

za lvi, p. 207.

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maturità, invecchiamento - costituiscono la forma a priori

della vita, che, analogamente alla funzione della Gestaltidee,

determinano in maniera univoca il risultato del processo: «come

la cosa vivente, in quanto forma semplice deve darsi sotto

l'idea formale che le fornisce i margini della variabilità

individuale, il processo di sviluppo si dà sotto la legge

formale dell'ascesa, della crescita e del deperimento»29. Non è

il procedere dialettico in sé a dare la forma a priori del

processo di vita individuale nelle sue determinazioni, ma la

curva crescita-deperimento, conformemente alla quale, il

processo si effettua nel modo dello sviluppo dialettico. Questo

il risultato dell'incontro di dialettica e pensiero

categoriale: il movimento progressivo si sottomette al

prototipo ideale, il movimento dialettico cede il passo alla

stabilità delle categorie.

Un'ultimo appunto sul rapporto tra concreto e a priori:

allo stesso modo che per la Formidee, è possibile cogliere e

determinare soltanto il modo in cui entrano in contatto il

vivente e la morte (cioè la forma a priori del loro incontro),

vale a dire è possibile cogliere solo l'esternità alla vita

della morte e il tipo di relazione tra esse sussistente. Mentre

ciò che non è dato cogliere è «come» si dia questo contatto 30 •

Non ha senso alcuno chiedersi se la morte debba avere carattere

d'essere prima e indipendentemente dall'atto del morire

concreto: l'a priori si dimostra solo in ciò per cui esso è

tale, la sua necessità è inseparabile da ciò per il quale esso

è forma, ovvero dal vivente.

29 Ivi, p. 205. 30 Esattamente coae accade nella teoria delle idee di Platone e nello scheaatismo kantiano.

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Spazialità e temporalità organica

a. Raumhaftigkeit

La determinazione della processualità dell'essere

posizionale costituisce la principale delle «caratteristiche

dinamiche» dell'organico. Poiché ottenuta deduttivamente dalla

struttura essenziale della realtà organica, non c'è per ciò

stesso alcun bisogno di subordinarla o affiancarla ad una

considerazione di un fattore temporale pensato come fattore

eventualmente condizionante l'essenza stessa. Nel contesto di

una deduzione aprioristica dei caratteri essenziali dell'essere

non ha senso alcuno chiamare in causa elementi esterni alla sua

struttura, elementi intesi come fattori dal «carattere

oggettivo» quali appunto il «tempo fisico» o lo «spazio fisico»

della ricerca scientifica. Esattamente come il corpo fisico

inanimato, il vivente è «nel tempo», ha una «durata temporale»

misurabile mediante strumenti adeguati, come pure è «nello

spazio», in un «luogo fisico» altrettanto obiettivamente

determinabile nella relazione ad altri oggetti o con l'uso di

sistemi di misura. Ma questo non riguarda minimamente la sua

struttura essenziale: là il corpo non appare come corpo

organico, ma solo come corpo fisico.

Tuttavia, al di là del suo essere - diciamo -

«accidentalmente» nello spazio e nel tempo, al vivente

appartiene una dimensione spazio-temporale direttamente

connessa al suo peculiare modo d'essere e dipendente

esclusivamente dal suo carattere posizionale. Con la

«realizzazione del limite» il corpo è «posto» (prende

posizione) rispetto alle dimensioni della spazialità e della

temporalità: i modi d'essere nello spazio e nel tempo specifici

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del vivente rappresentano autentiche caratteristiche d'essenza.

La formula «in sé ed oltre sé», indicante la mediazione

dialettica dell'essere del corpo, consente a Plessner di

spiegare tanto la costituzione insieme unitaria e differenziata

dell'individualità organica, quanto la sua relazione

all'ambiente e al tempo.

Considerato nel suo essere «in sé», l'individuo costituisce

un'entità separata rispetto a tutto ciò che lo circonda.

L'organismo appartiene all'ambiente, certo, ma, diversamente

dalla cosa inanimata che semplicemente «occupa un posto» nello

spazio, esso è in una relazione di «opposizione» al medio

adiacente. La mediazione dialettica dell'in sé del corpo con

l'altro da sé procede dal corpo verso l'ambiente nella forma di

«tensione oltre sé» e di «ritorno» al corpo stesso.

Naturalmente, anche l'intuizione riesce a cogliere questa

dinamica, ma senza riuscire a definirla nella sua struttura

essenziale. In questa relazione la cosa appare come una

totalità (Ganzheit) a sé stante, come un Fursichsein costituito

da parti ma «indipendente» da queste, come un intero che si

staglia dalla propria stessa composizione e insieme si separa

da quanto lo circonda: esso appare, insomma, come un essere

pienamente «autonomo». Non semplicemente «collocato» nello

spazio, esso «tiene» un posto, una «posizione»; esso «prende

posto» rispetto a sé e all'altro da sé: «esso ottiene da sé un

luogo, il suo "luogo naturale"»31. Diversamente dalla cosa

inanimata, l'organismo è in relazione attiva con l'ambiente,

cosicché non solo esso «è» in un luogo, ma propriamente «ha» un

luogo. L'aggettivo che Plessner adotta per indicare questo

peculiare modo dell'essere spaziale è raumhaft, mentre raumlich

continua a definire la spazialità oggettiva del corpo fisico in

31 lvi, p. 186.

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generale.

La deduzione dei «caratteri statici» dell'essenza del corpo

organico riguarda la determinazione delle caratteristiche del

sistema considerato nel suo essere in sé un intero contrapposto

ad un ambiente, rispetto al quale esso mostra un'evidente

delimitazione. Il punto di vista col quale si considera la

relazione posizionale ora è tale per cui «realizzazione del

limite significa irrealizzazione del limite»32. Sappiamo

infatti che il principio prevede, insieme, la posizione

dell'essere in sé e dell'essere fuori di sé del corpo rispetto

al limite, ovvero realizzazione della sintesi dei due momenti,

perciò l'analisi del solo aspetto dell'in sé organico- «tolto»

il momento del compiuto «passaggio oltre sé», dell'essere il

corpo uber ihm hinaus- assume la forma dell'isolamento del

momento negativo della realizzazione stessa del limite.

Preso in questo aspetto della relazione al proprio limite,

il corpo è un «sistema»: cosa composta strutturalmente in se

stessa mediante la relazione unitaria delle sue parti. Esso è

l'unità di una molteplicità di parti mediatamente connesse e

legate ad un centro. Non si tratta, naturalmente, di un centro

spaziale (anche se non privo di rapporti con la spazialità

della cosa), ma non è nemmeno un semplice polo percettivo come

l'interno della cosa fisica. Nella relazione del corpo con se

stesso il centro si distanzia dall'unità stessa delle parti

come polo di mediazione dell'organizzazione nell'intero. Esso è

il reale «portatore» delle parti che lo costituiscono:

rappresenta un «selbst» che propriamente «ha» un corpo. Se la

cosa fisica è data dall'unità risultante dall'insieme delle sue

parti, il corpo vivente è «unità nella molteplicità e

molteplicità nell'unità», ove la relazione circolare che si

32 lvi, p. 216.

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instaura tra i due poli conferisce all'intero il pieno

significato di «gestalthaftes Ganze».

In questa mediazione interna, in cui un centro si rende

autonomo dall'insieme delle parti, Plessner vede il fondamento

della peculiare forma di totalità che si manifesta nel fenomeno

della regolazione interna dell'organismo: i fenomeni della

restituzione studiati da Driesch trovano qui la loro

giustificazione, non nell'ipotesi dell'esistenza di un fattore

entelechiale immateriale. L'intero del corpo organico è un

sistema armonicamente equipotenziale di parti capace di

autoregolazione e di adattamento ad un ambiente (regolazione

mediata attraverso il mondo esterno). Le parti che compongono

il corpo non sono «pezzi» di un insieme, ma organi

rappresentanti l'unità stessa: nella loro immediatezza parti,

divengono mediatamente mezzo per la formazione della Ganzheit.

In questo modo «nell'organo il vivente ha il proprio mezzo: per

la vita. Nel suo corpo l'intero si media per l'intero. La

posizione (Gesetztheit) del corpo organico è in esso realmente

immediatezza mediata (vermittelte Unmittelbarkeit)»33.

b. Zeithaftigkeit del corpo organico

L'idea di «temporalità organica» in Plessner come non ha

nulla a che vedere con una concezione del tempo scientifico­

oggettiva (né meccanicistica, né relativistica), non ha a che

fare con un'idea psicologistica del tempo soggettivo. Non si

tratta in ogni caso di una teoria che debba sostituire ogni

altra concezione del tempo: piuttosto essa si affianca ad

altre, e in particolare una teoria del tempo «oggettivo»

33 lvi, p. 229.

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continua a mantenere inalterata la propria validità in rapporto

allo studio dei corpi fisici in quanto tali34. La temporalità

specifica dell'organico, denominata da Plessner Zeithaftigkeit,

viene determinata, come la sua Raumhaftigkeit, quale autentico

carattere d'essenza posizionale.

Ciò per cui il corpo come «Selbst» ottiene realtà

(Realitat) è, sostiene Plessner, il suo apparire una

potenzialità (Potenz) o un potere (Vermogen) nella relazione

con sé stesso e con i suoi organi. Non si tratta di una

«facoltà» posseduta da un essere già di per sé essente: il

corpo ha la «qualità del potere» (Kannqualitat) come proprietà

d'essenza, esso è cioè in se stesso una possibilità, un non­

ancora-essente (Nochnichtsein). Non può esserlo tuttavia in un

senso radicale, giacché il corpo organico «è», ed è nella

realtà come essente nell'«adesso». Nell'attualità esso «è», ma

come «non-ancora» rispetto al futuro. In fondo, l'essere in

relazione attuale con il futuro non è di per sé una

caratteristica esclusiva del vivente: qualsiasi oggetto fisico

quanto alle sue proprietà è un non-ancora in divenire. La

differenza determinante rispetto al corpo fisico sta nel fatto

che l'essere del vivente come Potenz o Vermogen ottiene una

peculiare determinazione «nella direzione di dipendenza tra la

modalità del non-ancora (Nochnichtmodus) e la modalità

dell'adesso (Jetztmodus)»3s. La possibilità come modo del non­

ancora appartiene effettivamente all'essere del corpo, non è

semplicemente «offerta» alla cosa, non è «con» la cosa come

possibilità «esterna» alla sua essenza della cosa. La

possibilità appartiene all'essere dell'organismo come sua

34 A un'indagine sulle strutture dell'essere del vivente, del suo aodo d'essere in relazione a sé e al tondo, le teorie scientifiche del teapo non possono offrire - secondo Plessner - alcun sostegno, né esse possono sperare di raggiungere la ditensione organica della leitbaftigkeit, derivante dall'essere il corpo un «sisteta) dialetticaaente aediato in una duplice relazione. 35 lvi p. 234.

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proprietà, ovvero il suo non-essere-ancora si realizza nel

corpo nello stesso senso e con la stessa necessità essenziale

con cui si realizza il suo essere attuale. La realtà della

possibilità connessa al suo essere reale come sua specifica

modalità fa si che l'organico sia da intendere «come un corpo

nell'adesso non ancora essente altrettanto che come un corpo

nel non-ancora essente nell'adesso»36, ave la direzione della

determinazione procede dal non-ancora verso l'attualità. Data

la radicale contrapposizione del non-ancora e dell'essere

attuale, la realizzazione di entrambi nel corpo organico non

può avvenire che nella differenza (nella non contemporaneità

logica), pena l'annullamento dell'esistenza fisica del corpo

stesso. Attualità ed esser-potenzialmente devono insomma

compenetrarsi nell'unità dell'esistenza istantanea, devono

accordarsi reciprocamente nella vita reale (wirklich) del

corpo, senza annullarsi3'.

La condizione perché si dia tale accordo è indicata da

Plessner nella non coincidenza di «possibilità» e «non-essere»:

l'essere come possibilità conserva infatti in sé il «passaggio

all'essere». La possibilità indica soltanto una direzione che

va dal non-essere all'essere, cioè stabilisce nell'essere una

relazione anticipata di dipendenza del presente dal futuro.

La rilevanza assunta dalla direzione verso il futuro nella

determinazione dell'essenza del vivente non deve far pensare al

Dasein di Heidegger come essere-per-il-futuro. Il solo

accostamento sarebbe fuorviante. Al di là della constatazione

36 lbid. 31 Abbia1o qui una confer1a del fatto che !'«indifferenza, non trova posto nella struttura dialettica elaborata da Plessner. I poli opposti devono poter confluire in un moaento di unificazione che non eli1ini tai quella fondatentale contrapposizione necessaria all'essere dell'organisao. Ogni sintesi avviene cosi se1pre nel rispetto di una foraa di tediazione dialettica la cui struttura riposa sul presupposto della ineliainabilità della distinzione, che nel aoaento sintetico è «tolta) e tuttavia 1ai «annullata,; e tanto porta a conferaare una vicinanza della logica plessneriana alla concezione begeliana piuttosto che a quella scbellingiana.

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che il vivente di cui si occupa Plessner non è il Dasein umano

di Heidegger e che la prospettiva esistenzialistica di

quest'ultimo ed il suo procedimento analitico sono aspramente

criticati da Plessner come insufficienti anche nello studio

dell'essere dell'uomo3s, la discriminante fondamentale tra le

due posizioni è data dal differente significato di cui è

rivestita la relazione del vivente con le dimensioni del

presente e del futuro. Come abbiamo detto, Plessner rifiuta di

identificare !'«essere-possibile» con una forma di non-essere,

avendo questa «in sé stessa le condizioni del passaggio

nell'essere»39. L'essere nella possibilità non è un «essere­

per» il futuro, come la vita non è un «essere-per» la morte.

Nella concezione di Plessner la relazione al futuro si effettua

nella realtà del vivente senza le implicazioni della posizione

di Heidegger. Essa si prospetta piuttosto come la condizione

della possibilità di auto-organizzazione o auto-progettazione4o

dell'organismo nell'attualità del presente.

Per la sua Zeithaftigkeit il corpo è veramente nel presente

ed ha realmente un passato e un futuro. Nell'unità posizionale

il corpo come totalità è dato a sé stesso anticipatamente: ciò

spiega, secondo Plessner, la teleologia interna che mostra

l'unità dei membri, dà ragione della loro collaborazione

nell'azione secondo un piano unitario e, in generale, spiega

l'automediazione dell'intero. In tal senso il corpo è fine a se

stesso, nell'organizzazione come nel funzionamento.

Il carattere posizionale, di per sé totalmente indipendente

dalla posizione «oggettiva» del corpo nel tempo e nello spazio,

38 Cfr. ivi, pp. 155·159. 39 Ivi, p. 236. 40 Come è noto, questo tema avrà importanti sviluppi specialmente nella teoria antropologica di Arnold Gehlen: Id., Der Keoscb. Seine Katur uod seine Stelluog io der relt (1940), Wiesbaden, Akademische Verlagsgesellschaft Athenaion, 1978 (trad. it. Id., t'uo1o. ta sua natura e il suo posto nel 1oodo, a cura di c. Mainoldi, Milano, Feltrinelli 1990).

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indifferente rispetto alla sua Zeitlichkeit e Raumlichkeit,

determina Zeithaftigkeit e Raumhaftigkeit del vivente come

caratteri d'essenza. Il corpo, nell'assoluta unione di queste

proprietà, che si manifestano tanto nelle determinazioni

dinamiche quanto nelle statiche, si dice «nei» suoi limiti, in

un «luogo naturale».

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III. Graduazione e soggettività

Le «forme» dell'organico

Determinate le caratteristiche essenziali che distinguono

l'organico in generale, Plessner procede alla definizione delle

«forme» dell'essenza organica che sul piano fenomenico

conducono alla diversificazione dei regni naturali. Il concetto

di forma (Form) indica qui la corrispondenza dell'organismo ad

un determinato «grado» dello sviluppo del principio posizionale

e ne indica la specifica struttura. Esso rappresenta una

categoria o «idea» che non si presenta in se stessa

all'osservazione empirica, tuttavia la sua impronta può essere

colta dall'intuizione poiché «appare» nel fenomeno. Derivato

dal pensiero di Driesch, ma trasformato in senso aprioristico,

il concetto di forma indica il modo in cui si risolve il

conflitto tra la chiusura in sé dell'unità organica e

l'apertura dell'organismo al suo esterno, al suo campo

posizionale (Positionsfeld); il legame biologico-funzionale che

si instaura tra l'organismo e l'ambiente determina quel ciclo

vitale (Lebenskreis) in cui si verifica un continuo e reciproco

scambio di materia ed energia. La forma, nel contesto di questo

legame, «indica l'idea di organizzazione [ ... ]secondo la quale

il corpo vivente unisce la propria autonomia oggettiva con la

sua dipendenza vitale»l.

Si distinguono due modalità fondamentali di organizzazione,

due forme dell'organico che rimandano al rispettivo Typus

ideale: la «forma aperta» (offene Form) caratteristica

dell'organismo vegetale e la «forma chiusa» (geschlossene Form)

1 Stufen (P-GS IV), p. 283.

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che distingue l'organismo animale2. Nella «forma aperta» il

vivente è inserito «immediatamente» nell'ambiente, cosi da

costituire una parte non indipendente del proprio Lebenskreis.

Nel contrasto tra la chiusura in sé dell'organismo e

l'appartenenza al Lebenskreis quale membro di esso, questa

forma è caratterizzata dalla preponderanza dell'apertura verso

l'esterno sulla chiusura dell'organismo in se stesso, ciò che

va prevalentemente a discapito dell'individualità del corpo

organico. E' significativo che nella considerazione morfologica

la pianta sia priva di un organo centrale che possa fungere da

nucleo a cui si lega l'intero organismo e che possa

rappresentare l'individualità singolare nell'unità delle parti.

Nell'organismo vegetale l'individualità non si presenta dunque

come costitutiva, bensi soltanto come momento «esteriore» della

sua forma. La mancanza di un vero e proprio «sé» nella pianta è

testimoniata inoltre da una relativa indipendenza delle parti

strutturate in un'abbondante intelaiatura e protese verso

l'esterno- come pure è evidente nel carattere prevalentemente

statico dell'organismo vegetale, radicato in un luogo preciso,

privo di moto spontaneo e di autentica vitalità3.

La pianta rappresenta un sistema organizzato, un organismo

«a sé stante» e in questo senso indipendente da ciò che lo

circonda, tuttavia esso è totalmente dischiuso all'ambiente: è

2 Plessner liaita le sue considerazioni agli organisti pluricellulari, poiché - sostiene - la coaparazione tra differenti forte ha senso solo laddove si verifichi il conflitto posizionale di cui abbiaao pocanzi parlato, ove vi sia organizzazione e rapporto con l'aabiente, vale a dire negli organisti coaposti. Si può parlare di organizzazione anche riguardo agli organisai unicellulari, aa il rapporto della sostanza protoplasaatica delle parti con l'intero è in essi sostanzialaente diverso da quello caratteristico dei pluricellulari. Cfr. Ibid. 3 Non vi è aolto di nuovo nella concezione dell'organisao vegetale rispetto alla tradizione scientifico­roaantica ottocentesca: gli eleaenti su cui Plessner insiste riaandano ancora, fondaaentaltente, ad un criterio coaparativo che evidenzia un livello inferiore di autono1ia e di libertà di questa foraa organica rispetto a quello di forae superiori. Si può notare, in particolare, la singolare so1iglianza delle specifiche deter1inazioni, nei loro nessi strutturali, con la rappresentazione dell'organisao vegetale elaborato nella filosofia della natura dell'idealisao tedesco.

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un «Selbst» e «ha» un corpo, ma manca alla sua essenza

interiore quel «contrasto» capace di determinare la separazione

di un centro organizzativo dell'intero dall'unità delle parti.

La forma vegetale è priva di un organo centrale che, elevandosi

al di sopra della totalità del corpo, sia in grado di guidarlo

in azioni intenzionali e coscienti.

Abbiamo già visto a proposito della struttura

dell'organismo in generale che l'essere posizionalmente

determinato è dotato, per ciò stesso, di un Selbst soggetto del

proprio «avere un corpo». Plessner sottolinea però che questo

«sé» e questo «avere», privi di qualunque valenza psicologica,

costituiscono esclusivamente determinazioni strutturali

dell'essenza dell'organismo: «un Selbst non è ancora un

soggetto cosciente, avere non è ancora sapere o sentire»•. Ciò

nonostante, Plessner ha posto le basi per lo sviluppo della

sensibilità e della coscienza (modi dell'essere dell'organismo)

con il concetto stesso di posizionalità. Queste determinazioni

della relazione posizionale caratterizzeranno tuttavia solo i

gradi più elevati del mondo organico, saranno cioè costitutive

dell'essere organico solo nelle forme più sviluppate della

relazione posizionale. E la pianta è soltanto l'infimo di tali

gradi quello che non presenta ancora alcuna forma di coscienza

o di sensazione.

Diversamente stanno le cose per l'organismo di «forma

chiusa». Tutte le sue manifestazioni vitali di fronte

all'ambiente sono «mediate» di modo che esso costituisce un

elemento nel proprio ciclo vitale, ma indipendente da questo.

Il concretizzarsi di questa indipendenza si osserva nelle

funzioni sensorie e materie di cui l'animale dispone: esso

«sente», cioè recepisce stimoli dall'esterno ed «agisce», è

4 lvi, p. 217.

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attivo verso l'ambiente. L'unità organica è rappresentata da un

organo centrale, grazie al quale l'organismo può porre il corpo

-l'insieme degli organi- come intermediario tra sé e

l'ambiente. Il vivente non ha più un contatto immediato con

l'esterno: il Leib si staglia dal corpo (Korper) come unità

rappresentata e governata da un centro e viene a costituire una

sorta di «seconda realtà» del corpo «nel» corpo stesso.

Possiamo dire che il corpo organizzato e guidato da un organo

centrale è «in sé» come Korper, come sistema di parti e nucleo,

e «fuori di sé» come Leib.

Diversamente dalla pianta, questo organismo presenta un

duplice modo d'essere: «l'essere il corpo stesso e l'essere nel

corpo» 5 : in questa duplicità esso è un'unità che prende

distanza dal proprio corpo. Contemporaneamente «nel» corpo e

«fuori» di esso è anche il centro posizionale che media tra

corpo (Korper) e Leib sotto forma di interiorità soggettiva:

«il centro spaziale (raumhafte Mitte), il nucleo (Kern) è il

soggetto dell'avere o il Selbst»6. L'organismo, che entra in

relazione a se stesso ed è presente a sé, diviene un Selbst di

tipo particolare, un «zuruckbezugliches Selbst» o un «Sich» 7 •

Il termine Sich viene riservato da Plessner a questa

particolare forma del Selbst, prodotto da quel grado

posizionale che implica una separazione mediata dell'organismo

da se medesimo. Il concetto di soggetto che nel grado più basso

indicava il Selbst «in se stesso», la semplice unità

sistematica del corpo, ora indica la «riflessione»& del corpo

5 lvi, p. 303. 6 lvi, p. 304. 7 Ibid. 8 Si tratta di una riflessione solo parziale dell'essenza posizionale: una riflessione totale si avrà solo nel grado posizionale umano. E' i1portante sottolineare che il teraine «riflessione) coapare col presentarsi della coscienza, ma qualitativamente la riflessione non si distingue dalla Yer1ittluog caratteristica dell'intera dinaaica posizionale; aa essendo qualitativaaente diverso il prodotto della dialettica posizionale, il principio prende il nome di «riflessione, quando si abbia a che fare con il sorgere

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su di sé, indica una situazione di «estrinsecazione» del corpo

e la sua reale contrapposizione ad un esterno. Mentre nella

pianta il soggetto era semplicemente «nel» proprio «avere» un

corpo e l'organismo ancora posto in una relazione immediata con

se stesso e con il proprio esterno, ora l'animale è un Sich,

soggetto nella centralità organizzativa del proprio essere,

Selbst riflessivamente centrico9 e perciò dotato di

un'«interiorità» mediante la quale esso agisce e reagisce.

Col termine Zentrizitat Plessner indica la relazione

posizionale in cui ha luogo una «separazione» e un

«innalzamento» dell'organismo dal proprio Leib grazie ad una

centralizzazione organizzativa che consente all'organismo un

contatto di mediazione con un ambiente - il suo ambientalo -

percepito come separato dal Leib. Alla centricità si accompagna

la modalità posizionale della frontalità (Frontalitat), del

trovarsi l'animale «di fronte a» ciò che gli sta intorno come

qualcosa con cui è costantemente in antagonistica interazione.

In questo livello più elevato della soggettività compare ciò

che con il concetto di Selbst era dato solo come possibilità.

L'animale dimostra capacità di azione e reazione, di scelta tra

dell'interiorità cosciente e autocosciente. 9 La traduzione del teraine «lentrizitiò con «concentricità, sarebbe probabilaente più elegante e più corretta dal punto di vista linguistico. Tuttavia, aentre la concentricità richiaaa alla mente un aoviaento che si dirige verso o si auove intorno ad un centro, il teraine centricità rende forse Jeglio l'idea dell'essere legato, o vincolato, ad un centro, aspetto sottolineato da Plessner specie nel confronto con le aodalità del grado posizionale superiore. Inoltre la lingua tedesca per espri1ere la concentricità ha il teraine «Konzentrizitiò, che Plessner potrebbe aver evitato intenzionalmente. 10 La teoria di J. von Uexkull dell'caabiente specifico, e del «ciclo funzionale, che lega organisao e U1relt è accolta da Plessner - con alcune variazioni - in relazione alla cforaa chiusa, aniJale: clo schema sensoaotorio- il "ciclo funzionale", coae dice von Oexkull- è la condizione della possibiltà della realtà specifica (Realsein) della foraa chiusa, dell'idea dell'organizzazione aniaale, (cfr. ivi, p. 295). Questo vale sia per il sistema organizzativo decentrato (cfr. ivi, pp. 314-315), sia per quello centralizzato (cfr. ivi, pp. 316-317). Mel suo complesso, tuttavia, la teoria di von Uexkfill è considerata da Plessner oraaai superata grazie all'ampliaaento degli orizzonti verificatosi nell'aJbito di studi coae quelli della conteaporanea psicologia animale. Essi non identificano più l'habitus co1portamentale animale con le condizioni fisiologiche di esso (cfr. ivi, 113-114; si veda inoltre: Id., (a cura di), Das OlreltprobleJ, cit.).

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varie possibilità, di direzionamento intenzionale dei

movimenti. E proprio nel compiere atti finalizzati e spontanei,

nel vivere la propria corporeità come «presente» a se stesso, a

contatto con un ambiente da esso nettamente separato, l'animale

è «coscienza».

Ma se in questo sentire ed agire l'animale è soggetto

cosciente, esso non è ancora un «Io»: sa e conosce ma non è

consapevole di questo suo sapere, né conosce le relazioni che

lo rendono un soggetto cosciente. Ciò significa che all'animale

- posto nella sua centricità - restano nascoste le «forme

dell'avere» che gli sono proprie, forme in cui esso

semplicemente «è»: «quando nella distanza dal proprio Leib il

corpo ha il suo medio, in quanto elevato sul proprio Leib, e un

campo a lui contrapposto; quando esso lo percepisce (Merken) ed

agisce su di esso con l'aiuto della sua corporeità (Korperleib)

esso lo ha percependo ed agendo - non come sospeso su di un

abisso, ma ad esso legato. Lo porta, ma non è per esso: lo è

solo» 11 . Insieme all'aspetto positivo della centricità animale

viene in luce quello negativo: posizionato nel proprio centro,

l'organismo animale è privo di quella ulteriore e completa

riflessività che lo renderebbe cosciente del suo modo d'essere:

«la totalità corporea non è ancora divenuta completamente

riflessiva»12. Nel concreto dell'osservazione empirica

l'animale dimostra intelligenza e memoriai è capace di

autentica analisi della struttura del campo spaziale e sa

utilizzare strumenti che trova a disposizione nell'ambiente per

superare ostacoli e compiere azioni finalizzate. Esso manca

però della capacità di ottenere soluzioni negative, soltanto

pensabili e non immediatamente visibili. Questo prova - secondo

11 Stuteo (P-GS IV), p, 305. 12 lvi, p, 306.

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Plessner, che si rifà agli esperimenti di Kohler sulle scimmie

antropoidi - che all'animale è negato il carattere di

oggettività dell'ambiente, come gli è negata la capacità di

risolvere situazioni in cui è necessario saper distinguere tra

particolare e generale, attestazione della mancanza di una

piena coscienza di sé e dell'ambiente.

Il soggetto eccentrico

L'idea che ha Plessner della soggettività- come sarà ormai

chiaro- non è da confondere con l'attività senziente e

pensante in genere, come una secolare tradizione di pensiero ci

aveva abituati a fare. Il concetto di soggetto si può

considerare sinonimo di vivente: il vivente in quanto tale,

l'essere posizionale nelle sue modalità essenziali è soggetto

in primo luogo in quanto «portatore» della propria realtà

antica. Soggettivo è quel modo d'essere dell'organismo che, in

relazione a se stesso e all'altro da se, costituisce un Selbst,

un'individualità mediatrice e mediata. Interiorità e coscienza

compaiono solo come modalità particolari di quell'cavare» e di

quell'«essere» del soggetto che prevede una relazione di

mediazione riflessiva del Selbst su di sé e al di là di sé. E

come soggettività e coscienza non coincidono, neppure coscienza

ed egoità sono equivalenti. Nel percorso seguito dallo sviluppo

posizionale dell'organico il concetto di soggetto subisce una

trasformazione graduale nella direzione di una «profondità»

sempre maggiore, sino a raggiungere - solo nel grado di

sviluppo più elevato - le caratteristiche che una consolidata

tradizione post-cartesiana presupposte come costitutive del

soggetto in quanto tale.

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Il massimo grado di realizzazione della legge posizionale è

rappresentato dal livello umano13. Anche questo livello, come

quello animale appartiene alla «forma chiusa» dell'organico,

qui però, diversamente dal grado animale, il centro

posizionale, il «raumhafte Mitte» dei vissuti e delle azioni

non è soltanto «portatore» e guida del Leib: se nel livello

animale l'individuo si colloca «nell'attraversamento (Hindurch)

del suo essere mediato nell'unità», nel livello umano esso si

pone «attraverso l'attraversamento del suo essere mediato

nell'unità»14. La peculiarità dell'organizzazione chiusa è

dovuta al costituirsi di un'unità centrale rappresentante

l'interiorità senziente o la soggettività cosciente nella

mediazione del Selbst organico con la corporeità; ora, la

caratteristica specifica del grado di organizzazione umano è

dato dalla mediazione del Selbst non più solo con il corpo, ma

con sé, con il Selbst stesso. In questo modo il centro

posizionale prende distanza da sé facendo raggiungere al

sistema organico un punto di totale riflessione: «il suo vivere

a partire dal centro giunge in relazione ad esso, il carattere

riflessivo del corpo centralmente rappresentato è dato a lui

medesimo»ls.

Plessner stabilisce cosi il passaggio dalla semplice

13 All'idea di cgrado più elevato, non è associato alcun giudizio assiologico, né un significato finalistico: Plessner rifiuta l'idea di uno sviluppo organico unilineare che abbia nell'uoao il suo culaine: cfr. Der Kenscb als Leberesen. Adolf Port1ann 101 70. Geburtstag, (P·GS, VIII, pp. 314-327) (trad. it. L'uo1o co1e essere biologico, in Filosofi tedeschi d'oggi, a cura di A. Babolin, Bologna, il Mulino, 1967, pp. 355-376), p. 325 (pp. 373-374). Mediante la deduzione dei caratteri d'essenza di ciascuna «forma organica) si può individuare la differenza specifica delle todalità di strutturazione della realtà organica, si può considerare la graduazione delle forae secondo un principio di continuità che ne rappresenti la seapre aaggiore coaplessità costitutiva e organizzativa, cole si può e si deve riconoscere all'uoao una «posizione particolare); ciò non significa tuttavia, per Plessner, che dietro la aolteplicità di forte e di sisteai biologici si possa riconoscere il dispiegarsi di un preciso disegno finalistico: cla fantasia creativa, la copia di for1e, che si dispiega quasi in un gioco, si fanno beffa d'ogni tentativo d'una evoluzione avanzante con processo unilineare che culaini nell'uoao, (ivi, p. 374). 14 Stufen (P-GS IV), p. 362. ts lvi, pp. 362-363.

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coscienza del proprio corpo e dell'ambiente alla coscienza del

Selbst e delle cose. In questo movimento di totale riflessione

su se stesso l'essere vivente non solo «ha» il proprio corpo,

ma ha presente se stesso per intero, ha coscienza di sé poiché

può osservarsi da un punto prospettico posto «hinter sich»,

dietro o al di là di sé stesso: esso diviene un Ich. L'uomo non

si pone, come l'animale, nel «qui ed ora» di una relazione di

dominio immediato del proprio Leib e dell'ambiente. Egli è

pienamente consapevole del propio Leib quale centro del suo

vivere in un «qui ed ora» da cui dipendono le determinazioni

spaziali e temporali vissute; il suo corpo (Korper) può

essergli dato oggettivamente come una cosa tra altre cose da

una posizione di assoluta unione spazio-temporale. In quanto Io

l'uomo è non solo coscienza, ma autocoscienza e duplicemente

distante da sé: come Selbst dal suo Leib, e come Io dal suo

Selbst. L'uomo, posto al centro della propria esistenza,

conosce la propria posizione ed è perciò oltre quel centro

stesso, proiettato fuori di sé: nonostante la sua centricità,

esso diviene eccentrico (exzentrisch).

Alla natura umana appartiene cosi una profonda duplicità;

vi si delinea l'esistenza di un'insanabile spaccatura. E

proprio in questa duplicità si realizza l'unità di tale natura.

L'uomo «vive al di là e al di qua della frattura, come anima e

come corpo e come l'unità psicofisica neutrale di queste

sfere»16 • L'unità stessa è «la frattura, il baratro, il vuoto

attraversamento della mediazione che per il vivente equivale al

carattere di duplicità assoluto e al duplice aspetto di corpo

(Korperleib) ed anima nella quale egli lo vive» 1 '. A differenza

dell'animale che solo «è» nella duplicità l'uomo la vive. Con

16 lvi, p. 365. 17 /bid.

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il concetto fondamentale di «posizione eccentrica» Plessner può

spiegare la spaccatura intrinseca alla natura umana senza

ricorrere a due distinti principi, né privilegiare uno dei due

aspetti - quello materiale o quello spirituale - altrettanto

necessari alla natura dell'uomo, poiché in qualsiasi modo lo si

consideri, come organismo vivente o come geniale produttore di

cultura, l'uomo è sempre inscindibile unità di corpo ed anima.

Il concetto di eccentricità umana è perciò psicofisicamente

neutrale.

Grazie alla propria eccentricità l'uomo presenta una

triplice modalità posizionale: «il vivente è corpo, è nel corpo

(come vita interiore o anima) e fuori dal corpo come punto di

vista a partire dal quale esso è entrambi»ls. Essa corrisponde

al concetto di «persona» che indica il soggetto delle proprie

esperienze, delle proprie percezioni, azioni ed iniziative;

indica, insomma, il soggetto che sa e vuole. Conformemente alla

propria posizionalità l'uomo è in triplice relazione al mondo:

come AuPenwelt, Innenwelt e Mitwelt. L'uomo vive il mondo che

lo circonda non solo come suo ambiente (Umfeld) 19 , ma anche

come mondo esterno, come mondo oggettivo fisico-spaziale. In

esso le cose gli appaiono unilateralmente come ombreggiate,

come corpi estesi che riempiono lo spazio. In questo rapporto

con il mondo si trova la possibilità dell'aggettivazione anche

del suo stesso corpo che può essere esperito come cosa tra le

altre cose. L'esistenza di un mondo esterno è possibile per

l'uomo in quanto egli ha anche un mondo interiore, un'egoità

riflessiva grazie alla quale egli è presente a se stesso. La

profonda scissione caratteristica del vivere dell'uomo è in

1' Ibid. 19 .Generalmente Plessner usa i teraini U1gebung ed U1feld come sinoniai per indicare ciò che sta d'intorno al vivente come suo Kilieu. Mentre U1relt, usato in contrapposizione a Kelt, indica il correlato specifico della struttura organica.

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questa sfera particolarmente evidente: nell'interiorità l'uomo

è duplicità di realtà psichica o anima (Seele) e realizzazione

del vissuto psichico (Erleben); egli è distanza di sé da se

stesso in quanto non solo ha vissuti, ma vive i propri vissuti

rendendosi fenomeno a se stesso.

Il mondo esterno è dato oggettivamente all'uomo in maniera

conforme alle modalità consentitegli dai suoi sensi. Questo

tuttavia non significa che l'uomo viva in un ambiente (Umwelt)

che rappresenta il semplice correlato della sua organizzazione

fisica e che di conseguenza egli sia legato ad esso - ad un

ambiente specifico- come lo è l'animale2o. Ma non è neppure

corretto pensare che l'uomo sia completamente slegato da ogni

ambiente ed abbia un rapporto con il mondo di assoluta apertura

ed indipendenza, come pensano Max Scheler ed Arnold Gehlen 2 1.

L'uomo vive in un continuo intreccio di apertura al mondo

{Weltoffenheit) e di vincoli all'ambiente {Umweltgebundenheit)

e permane nell'antagonismo che in lui si crea tra una guida

istintiva e un guida cosciente nell'adattamento a situazioni

sempre nuove22. Grazie alla propria eccentricità l'uomo vede

«dal di fuori» i propri bisogni e le proprie modalità di

20 A differenza dell'animale che vive in una 01relt, in un ambiente specifico, al quale è adattato e in cui può trovare i aezzi per la propria sopravvivenza, l'uoao è «aperto alla Nelb. Pur riconoscendo che anche Oexkùll aveva «intuito, la diversità sussistente tra la relazione dell'animale e quella dell'uoao all'aabiente (cfr. H. Plessner, Conditio bu1ana in P-GS VIII, col titolo Oie lrage nacb der Conditio hu1ana, pp. 136-217; (trad. it. Conditio buJana, a cura di M. Attardo Magrini, in I Propilei I, Milano, Mondadori, 1967, pp. 23-97, p, 66), nel sottolineare e nell'insistere su questa distinzione, Plessner si allontana da Oexkùll: cfr. Langthaler, Organis1us und 01relt, cit., pp. 237-239. Di Plessner si può vedere, tra gli altri Ober das ielt-O•reltveltverbiltnis des Nenscben (P-GS VIII, pp. 77-87. 21 Cfr. M. Scheler, Oie Stellung des Nenscben il los1os (1928), Gesa11elte Nerke vol. IX, Bern-Mùnchen, 1976 (trad. it. La posizione dell'uo1o nel cos1o, in La posizione dell'uo•o nel cos1o ed altri saggi, a cura di R. Padellaro, Milano, Fabbri, 1970, pp. 153-224), pp. 181 sgg. (in particolare p. 83); di A. Gehlen, Der Kenscb. Seine Katur und seine Stellung in der Nelt (1940), Wiesbaden, Akadeaische Verlagsgesellschaft Athenaion, 1978 (trad. it. Id., L'uo1o, cit., in particolare p. 62 (trad. it.), ove Gehlen si richiaaa espressaaente al concetto di «apertura al aondo, scheleriano. Hel saggio Ober das Nelt-OJreltveltverbiltnis des Nenscben (P-GS VIII), p. 78, Plessner stesso contrappone la propria posizione a quella dei due filosofi. 22 Cfr. H. Plessner, Oeber Oie Yerkorperungsfunktion der Sinne in «Studiua Generale) 6 (1953), pp. 410-416 [ripubblicato nel 1970 coae parte del saggio Antbropologie der Sinne (P-GS III)], p. 412.

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percezione, e non è strettamente vincolato dal legame ad uno

specifico ambiente naturale appunto perché aperto al mondo, ma

non in maniera assoluta. Mentre l'animale, perfettamente

adattato ad un ambiente selettivo, vive in un rapporto

«circolare» con il suo ambiente - un rapporto equilibrato di

azione e reazione, che gli garantisce adattamento e

sopravvivenza- l'uomo, relativamente debole di istinti e non

specializzato23, è privo di un rapporto armonico con l'ambiente

naturale. Ma l'uomo può trasformare questo suo svantaggio in un

vantaggio: il suo campo d'azione diviene il mondo (Welt), un

ordine aperto di possibilità rispetto al quale egli compie

scelte e fa progetti. Costretto ad una libera progettazione

della propria vita, a guidare passo a passo la propria

esistenza, la naturalità dell'uomo si rivela una forma di

artificialità costitutivamente necessaria al suo modo

d'essere 24 . La vera natura dell'uomo è quindi la cultura- o,

meglio ancora - il suo modo di essere nella natura è

«naturliche Kunstlichkeit» ed il suo mondo esterno è sempre un

insieme di naturale e spirituale. Ciò che esprimono le

espressioni «Versinnlichung des Geiste~> e «Vergeistigung der

Sinne» 25 è proprio questo intrecciarsi di elemento spirituale

ed elemento naturale nel sistema di vita umano. L'uomo vive in

un ambiente, un ambiente culturale, che funge però sempre da

medio per l'apertura al mondo quale insieme di possibilità.

Plessner denomina «vermittelte Unmittelbarkeit» la legge

23 E' la tesi di Herder dell'uo1o «invalido, e tuttavia forte della propria invalidità, a cui si rifà anche Gehlen. Questi ne fa anzi il principio biologico fondaaentale su cui si costruisce la sua teoria dell'azione: cfr. A. Gehlen, L'uo1o, cit., particolar1ente pp. 58-67, e pp. 100 sgg. In Plessner questa teaatica viene sviluppata in particolare nei saggi: Id., Conditio bu1ana (P-GS VIII); Id., Der Kenscb als Leberesen (P-GS, VIII) cit.; Id., Kacbt und 1enscblicbe Katur. lin Yersucb zur Antbropologie der gescbicbtlicben leltansicbt (P-GS V, pp. 135-234). 24 «Egli è per natura non naturalet: H. Plessner, Der Kenscb als Lebevesen (P-GS VIII), p. 314 (trad. it. p. 360). 2s Stufen (P-GS IV), p. 71.

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antropologica che presiede alla relazione dell'uomo con il

mondo esterno e con l'interiorità: entrambi sono dati

immediatamente alla coscienza, ma nella riflessione che è

propria dell'essere umano, posizionalmente eccentrico, le cose

del mondo esterno, come la sua stessa interiorità, divengono

oggetto di coscienza, divengono quindi mediatamente

coscienti 26 • Su tale mediazione si fonda la possibilità di

mettere in dubbio la realtà del mondo esterno, avvertito

dall'Io come relativamente estraneo, e corrispondentemente la

possibilità del dubbio sulla veridicità dell'Io stesso: l'Io

scopre in sé stesso la possibilità di falsi sentimenti e del

pensiero inautentico, scopre la possibilità di essere altro da

ciò che è, scopre il punto nevralgico della propria !abilità.

Il principio della riflessione si dimostra un principio

positivamente costruttivo e di rafforzamento dell'Io, ma

insieme la causa della sua estrema debolezza.

In quanto Io totalmente riflesso, l'uomo non si trova più

nel «qui ed ora» in cui era posto l'animale, vincolato ad un

ambiente ed alla propria corporeità. In quanto Io, posto

«dietro» se stesso, senza luogo, l'uomo «sorge nel nulla,

nell'in nessun luogo-in nessun tempo spaziotemporale

(raumzeithafeten Nirgendwo-Nirgendwann)»27, «la sua esistenza è

realmente posta nel nulla»2s. L'uomo si vive come «sradicato»,

diviene consapevole della propria nullità (Nichtigkeit) e

correlativamente della nullità del mondo. Insieme alla propria

unicità e a quella del mondo, l'uomo coglie l'essere «causato»

del proprio Dasein e si spinge verso la ricerca, o la speranza,

di un fondamento assoluto, di un Dio. Data la sua peculiare

posizione, definita da Plessner «utopischer Standort», all'uomo

26 lvi, p. 229 e pp. 396 sgg. 27 lvi, p. 364. 28 lvi, p. 365.

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resta solo il «salto» nella fede. E' allora insita nella sua

specifica forma posizionale la fonte di ogni religione, che

stabilisce per l'uomo un definitivum, ciò che la sua posizione

eccentrica non può offrirgli: un senso della realtà, un ordine

cosmico, un luogo di vita e di morte, una patria.

Infine, alla persona - individualità proiettata oltre sé -

è garantita per ciò stesso la realtà della Mitwelt o «sfera del

puro Wir». Con l'eccentricità è data infatti la condizione

della possibilità dell'altro da sé, la condizione della

possibilità di altre persone, indipendentemente dalla realtà

della loro effettiva esistenza. La sfera intersoggettiva - che

costituisce il fondamento antropologico della comunità (come

possibilità) - è in senso stretto la sfera della relazione

reciproca tra persone, in quanto sfera dello spirito. Lo

spirito non è anima né coscienza, e l'uomo non ha spirito nello

stesso modo in cui ha anima e corpo: egli è anima e corpo e li

vive come realtà; lo spirito costituisce invece «la sfera

esistente e creata con la peculiare forma posizionale e non

stabilisce con ciò alcuna realtà, essa è tuttavia realizzata

nel mondo intersoggettivo anche se esistesse una sola

persona»29. Nella misura in cui partecipa della sfera dello

spirito, l'uomo cessa di essere soggettività, giacché in

riferimento alla sfera spirituale i concetti di soggettivo ed

oggettivo non sono applicabili: «senza riguardo al portatore

dello spirito, la sfera dello spirito, in quanto spirito auto­

esprimentesi, si lascia determinare solo come soggettivo­

oggettivamente neutrale, cioè come indifferente alla

distinzione di soggetto ed oggetto»lo. Sebbene secondo Plessner

non si possa parlare di «assolutezza» dello spirito, l'uomo,

29 lvi, p. 377. 30 lvi, p. 378-379.

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grazie alla propria spiritualità, è proiettato al di là della

contrapposizione soggetto-oggetto. Ma l'essere umano non è solo

spirito. Non dobbiamo dimenticare che esso è sempre anche di

fronte al mondo e a se stesso come soggetto ed egoità

riflettente. In ciò consiste il paradosso originario del vivere

umano: «egli sta come soggetto di fronte a sé e al mondo e

contemporaneamente, per questo, è sottratto a tale

contrapposizione»31. Egli è posto nel mondo e di fronte al

mondo, in sé e di fronte a sé, senza che alcuna di queste

determinazioni abbia il sopravvento sulle altre.

31 lvi, p. 379.

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Parte III

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Tra filosofia e scienza

Se il problema della validità del sistema meccanicistico

all'inizio del secolo è generalmente sentito e discusso sia in

ambito scientifico che filosofico, è nel campo della biologia

che esso presenta un'intensità del tutto particolarel. Plessner

sostiene che alla base dell'insufficienza dei metodi utilizzati

dalla scienza moderna è anzitutto il presupposto che da secoli

guida l'indagine scientifica nello studio degli oggetti

naturali, presupposto sul quale si modellano gli strumenti

stessi dell'indagine: la distinzione di origine cartesiana di

una res cogitans ed una res extensa. Un ambito fisico,

identificabile con l'estensione e determinabile mediante la

misurazione, viene contrapposto ad una sfera dello psichico o

dello spirituale, talora concepita essa stessa come tale da

essere indagabile con gli strumenti e i metodi della scienza

empirica, talaltra affidata alla speculazione metafisica o

spiritualistica. Esplicitamente o tacitamente accolta, l'idea

di natura che sottende lo sviluppo delle moderne teorie della

realtà organica è fondamentalmente fuorviante: ne risulta un

processo di sostanziale falsificazione della realtà, in cui il

sistema naturale appare sempre più come il prodotto dei metodi

utilizzati2. Il concetto di natura deve ritrovare la propria

unità nella ricomposizione antologica e gnoseologica attraverso

una revisione dei principi di fondazione del sapere intorno

alla natura e una riorganizzazione dei metodi dell'indagine

fisica e biologica. Un simile compito è - secondo Plessner - di

pertinenza specifica della ricerca filosofica.

1 Sulla questione si può vedere E. Ungerer, !ondaJenti teorici delle scienze biologiche, a cura di F. Mondella, Milano, Feltrinelli, 1972. Sulle ripercussioni nell'ambito degli studi biologici della trasfor1azione dei fondatenti della fisica, cfr. ivi, pp. 207-218. 2 Cfr. Stufen (P-GS IV}, p. 83.

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La filosofia non rappresenta un ambito disciplinare

«chiuso», definito dal dominio dei suoi oggetti e dall'apparato

metodologico al quale essa fa riferimento. A differenza della

ricerca scientifica, che mostra un evidente sviluppo in senso

progressivo sia dal punto di vista storico che da quello

teoretico, la filosofia non può sottrarsi all'indeterminatezza.

La scienza «lascia dietro di sé il proprio passato. Essa non

ritorna su se stessa quando si occupa dei propri problemi. In

ogni disciplina la ricerca si distacca dalla sua storia»3. Non

vale lo stesso per la filosofia: essa, nonostante secoli di

riflessione, si trova ad avere a che fare in ogni tempo con

problemi che si ripresentano sempre di nuovo. I suoi risultati

vengono continuamente rimessi in discussione insieme ai suoi

metodi e al suo stesso campo d'azione. Il tentativo di

omologare la filosofia alle scienze empiriche, di farne cioè

una scienza rigorosa, non può riuscire: la sua scientificità ha

- e deve avere - un significato affatto diverso da quello delle

scienze pragmatiche, per quelle scienze - sia della natura che

dello spirito - che, nonostante i continui contrasti interni,

avanzano sulla via dello sviluppo. Ciò non significa che nei

confronti della filosofia non si possa parlare in alcun senso

di progresso: la sua connessione al sapere scientifico è

inscindibile, poiché essa pone i problemi la cui soluzione è

affidata alla competenza delle scienze. In questo senso anche

la filosofia partecipa di un progresso. Ma essa si muove anche

in un'altra direzione, essendo riflessione sull'originario

(Ursprungliche), sulla totalità dell'essere dell'uomo e della

vita 4 • La filosofia pone l'uomo di fronte all'«enigma», un

genere di questione sostanzialmente differente dal problema

3 Gibt es einen lortscbritt in der Pbilosopbie? (P-GS IX, pp. 169-191), p. 174. • Cfr. ivi, pp. 185 sgg.

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scientifico inerente qualcosa che non si conosce o non si

conosce ancora 5 • Un enigma concerne un «saputo»; esso è

polivalente, può essere «indovinato», ma la risposta ad esso

non è mai una vera «soluzione»: «la soluzione resta questione,

essa non si distacca da se stessa»6.

La filosofia si distingue così per essenza dalle scienze

della natura come dalle scienze dello spirito. Sostenere che

essa è fondamentalmente priva di un campo determinato di

oggetti sui quali compiere indagini significa propriamente

riconoscere che ogni giudizio sull'appartenenza di un oggetto

al suo ambito è già, esso stesso, un giudizio filosofico. Ad

ogni suo passo la filosofia coinvolge se stessa per intero e

ogni domanda sul suo oggetto è una domanda sulla sua essenza 7 •

Una risposta univoca resta però indecidibile giacché l'istanza

filosofica appartiene all'essenza stessa dell'uomo e il suo

inevitabile ripresentarsi è legato al rinnovamento continuo del

Dasein umano. Questo il limite essenziale della filosofia,

indice insieme della sua universalità. Nei confronti dello

scienziato, la filosofia - unità originaria delle forme del

sapere - ha lo specifico compito di indicare i limiti che sono

necessariamente imposti al Dasein umano in una determinata

situazione. Domandare è compito specifico del filosofo, non

dello scienziato&; al filosofo spetta criticare e porre in

rilievo il valore ultimo del lavoro scientifico, il suo

significato per la vita e per l'uomo. E' in questo senso che

una revisione delle scienze·è compito precipuo della filosofia.

L'interesse di Weizsacker per la filosofia è precoce e

costante; la riflessione filosofica attraversa la sua vita

s iv i, p. 183. ' iv i, p. 184. 7 Cfr. Die !rage nacb de1 Keseo der Pbilosopbie {P-GS Il, pp. 96-121), pp. 103 sgg. 8 Cfr. Das Proble1 der Katur io der gegenvirtigeo Philosopbie (P-GS Il, pp. 56-72), p. 57.

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accompagnando ad ogni passo il suo lavoro di scienziato. La

scienza non può e comunque non deve darsi senza filosofia, ma

la posizione di Weizsacker è piuttosto diversa da quella di

Plessner: la filosofia rappresenta uno strumento

indispensabile, e tuttavia non indipendente dalla ricerca

scientifica. Non si può essere solo scienziati - tanto meno

solo tecnici della scienza - per non smarrire il senso del

tutto ed il significato del proprio operato, ma la filosofia

«non può costituirsi-come sospesa nell'aria sopra o accanto

alla ricerca scientifica»; essa si dà nel vincolo alla

concretezza dell'agire scientifico: «si tratta del legame

all'esperienza sensibile e alla verifica sperimentale e dunque

[ ... ]del legame morale della filosofia alla scienza

naturale» 9 • Non che la filosofia abbia bisogno di una «verifica

empirica» o di costituirsi come «empiricamente fondata»; non è

questo il senso di quel «legame morale» che l'unisce alla

scienza. Esso esprime la necessità dell'aderenza del sapere

filosofico ad un reale che - diversamente dalla concezione

kantianalo e similmente a Plessner - «si dà» pienamente e

autenticamente nell'esperienza sensibile.

Pensare ed esperire, pensare ed agire sono reciprocamente

connessi nell'interazione con il mondo materiale in un senso

molto vicino a quello indicato dal pragmatismo: il mondo - di

per sé preesistente all'attività conoscitiva come «massa

informe» - viene plasmata come «mondo del senso e dei fatti»

dal processo dinamico e non scomponibile della progettazione­

azione-sensazione-osservazione innescato dall'uomo 11 • La radice

' Katur und Oeist (W-GS I), p. 19. 1o Cfr. ivi, p. 18. 11 Cfr. D. Wyss, Viktor von Keizslckers Stellung in Pbilosopbie und Antbropologie der Keuzeit, cit., che si attiene alla definizione del pragmatisao offerta da M. Scbeler in lrkenntnis und Arbeit (ivi, p. 186). Egli trova giustificata l'interpretazione di buona parte degli studiosi del pensiero di Weizsicker che individuano nella sua teoria un fondatento prag1atico.

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del concetto di Es-bildung di Weizsacker12 può certamente

essere individuata in una simile concezione, come vi si può

trovare quella del principio stesso del Gestaltkreis, essendo

per il pragmatismo ogni percezione sensibile già una precisa

azione pratico-motoria. Ma se si può dire che alcune idee di

Weizsacker vengono anticipate dalla concezione pragmatista, gli

esiti del suo pensiero se ne distanziano sensibilmente. I nodi

principali della sua visione del reale non intendono offrire

una Weltbild, un'immagine del mondo che solo potrebbe

schiacciare la dinamica dell'accadere su di una visione

schematica e parziale delle cose. Dinanzi, ad esempio, alla

distinzione di corpo ed anima chiunque si prefigga lo scopo di

una rappresentazione del mondo come Weltbild si troverà a porsi

la questione della realtà (sostanziale o antologica) di tale

distinzione oppure del suo statuto cognitivo-razionale. «La mia

risposta (ad esempio nella mia teoria della Es-Bildung) è: il

reale e la relazione con esso accadono d'un colpo» 13 . Non si

tratta di una vera «risposta» - di una risposta alla questione

-, ma di una «presa di posizione» nei confronti dell'accadere

(das Geschehen). Non una «spiegazione» coglie il reale come un

tutto, ma un «punto di vista» che si pone al di là delle

possibili e plausibili spiegazioni. Potremmo vedere

nell'atteggiamento di Weizsacker il tentativo di uno

spostamento dei termini della questione: esso comporta che al

posto di una Welt si consideri un sistema di modalità di

interrelazione e anziché una Anschauung s'intenda elaborare una

«concezione»: «al posto di Weltbild possiamo ora parlare di

Verhaltnislehre»14. I capisaldi teorici della nuova forma di

considerazione del reale si lasciano riassumere in quattro

12 Si veda, di Weizsacker, Anony1a (W-GS VII, pp. 43-89), p. 59. 13 Id., Patbosopbie, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1967 2, p. 176. 14 ivi, p. 174.

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punti: essa è simbolica, oppositiva (soggetta al principio di

reciprocità), è caratterizzata dalla necessità della scelta ed

è patica; essa presuppone che in ogni conoscenza di verità

s'insinui sempre anche un non-sapere (Nichtwissen). Il

simbolismo, la preferenza accordata a ciò che semplicemente

«indica» esprime la tendenza a considerare il «racconto» come

più appropriato dell'«analisi» nella determinazione della

realtà; l'oppositività o contraddittorietà rimanda alla

dialettica antilogica dell'essere e del conoscere;

l'inevitabilità della scelta- che si pone con la possibilità

stessa dell'«altro» - richiama ad un coinvolgimento e ad una

responsabilità non solo morale, ma antico-gnoseologica; il

patico definisce la modalità delle relazioni al reale e

sottolinea la sua indefinibilità con un riferimento esclusivo

all'antico.

Il rapporto tra filosofia e scienza non si «rinchiude» in

tal modo in una nuova visione scientifica del mondo: fare

scienza con una consapevolezza filosofica permette di tenere

conto del valore estrinseco oltre che di quello intrinseco di

un costrutto scientifico, consente di vedere la sua limitatezza

e superabilità: «si può dunque delineare una nuova visione del

mondo, ma non senza procurare una rottura nell'immagine o nel

pensiero, e per indicare la rottura si deve rompere la

rottura»ls.

Un cambiamento prospettico nel pensiero weizsackeriano,

frutto di una graduale evoluzione scientifico-filosofica, è

particolarmente evidente nel progressivo passaggio dal

tentativo di definire concettualmente l'idea di natura al

rafforzamento del suo interesse verso il problema della vita.

Negli scritti giovanili lo sforzo filosofico di raggiungere una

15 ivi, p. 177.

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definizione del concetto di natura corrispondente alle esigenze

dello studio biologico si accompagna ad un deciso rifiuto del

meccanicismo: «già da studente ero convinto che la vittoria sul

giogo del meccanicismo dovesse essere cercata non in una

costruzione filosofica affiancata o edificata sopra alla

ricerca scientifica, ma attraverso la trasformazione della

ricerca stessa» 16 • In un saggio comparso nel 1911 sulla rivista

«Logos» 17 la ricerca del concetto di natura si muove lungo il

percorso che dalla filosofia kantiana porta verso una

ricomprensione del pensiero di Schelling e di Hegel -

conformemente alle tendenze accademiche dell'ambiente

universitario da lui frequentatola. La concezione di H. Driesch

viene analizzata da Weizsacker alla luce di questa impostazione

e valutata come sostanzialmente incapace di allontanarsi da una

teoria categoriale dell'organico per accogliere quanto aveva

saputo offrire la corrente idealistica: una concezione

sistematica della natura organica. Il fine che Weizsacker si

prefigge nel saggio pubblicato nel 1917 sulla medesima

rivista1 9 è invece quello di collocare il concetto di natura

meccanicistico in una concezione sistematica superiore della

realtà organica, ponendosi ora dal punto di vista della

scienza. La filosofia speculativa ha saputo inserire il

concetto di organismo e di vita in un «sistema naturale» grazie

all'universalità concettuale; essa porta verso l'accordo e la

composizione armonica delle varie scienze - in particolare la

matematica e la biologia che parevano nettamente separate. - e

ne stabilisce la relazione organica con la filosofia. Guardando

non tanto ai risultati sistematici specifici proposti dagli

16 Katur und Oeist (W-GS I), p. 117. 17 Si tratta dell'articolo KeovitalisJus, cit. 1a Cfr. Katur und Oeist (V-GS I), pp. 20-33. 19 Cfr. Kritiscber und spekulativer Katurbegriff, «Logos, VI (1916-17), pp. 185-209.

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esponenti del pensiero idealistico, ma al loro principio di

connessione concettuale si deve riconoscere che la filosofia

speculativa «solleva il problema del rapporto tra differenti

sfere della natura, delle singole discipline della scienza

naturale, più profondamente ed energicamente di quanto sin'ora

fosse mai stato fatto», poiché «la determinazione del concetto

di natura è transnaturale e in quanto tale un compito

rigorosamente separato dalla scienza naturale. Nella

Naturphilosophie la natura non appare come un grande individuo

privo di coscienza, ma come realtà divenuta concetto»2o.

Il mantenimento della validità di una molteplicità di

metodi e principi - incluso quello meccanicistico, anche se nel

contesto di una visione speculativa del reale - aveva allora un

senso che divenne chiaro a Weizsacker solo più tardi: cogliere

la realtà «antilogica» dell'uomo e dell'organico. Causalità e

teleologia si compongono in un gioco di alternanza di fronte al

quale ci si trova costretti ad optare per l'uno o per l'altro:

«cercai di cogliere questo «o-o» come un «sia-sia» - afferma

Weizsacker in una considerazione retrospettiva-: l'antinomia

non doveva essere concepita come una deplorevole limitazione,

ma ottimisticamente come dotazione positiva» 21. Lo sviluppo del

suo pensiero resterà fedele all'idea propugnata sin dall'età

giovanile. Egli stesso dirà infatti: «alla realizzazione

sistematica del programma di una Naturphilosophie che unifichi

il concetto di natura critico con quello speculativo sono

rimasto sin'ora quanto meno debitore»22. Lo spostamento

progressivo della sua attenzione sulle caratteristiche della

vita e l'opposizione sempre più marcata verso ogni concezione

categoriale che ne imbriglia il senso concorrono ad accentuare

20 ivi, p. 209. 21 Katur und Geist (W-GS I), p. 117. Il saggio è del 195(. 22 Ibid.

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l'aspetto contraddittorio- antilogico- del reale e conducono

infine Weizsacker alla sua nota posizione «patosofica»: «poiché

ora sappiamo che non si può stabilire una distinzione di

principio tra vivente e non vivente e che sensatamente un

limite tra vita e morte non può essere scientificamente

appreso, capiamo anche meglio cosa significhi che la vita è

propriamente una continua morte, sacrificio e trasformazione

per una nuova vita. [ ... ] Il senso della vita non si può dunque

direttamente asserire, lo si può solo evidentemente esperire e

patire»23.

Antilogica e dialettica

Nel saggio intitolato Das Antilogische pubblicato nel 1950

si legge: «chiamo antilogica la gaia libertà della vita di

usare la ragione solo nella misura in cui è ragionevole farlo,

per il resto di gettarla dalla finestra»24. La vita si regola

sulla variabilità repentina dei mezzi e dei modi disponibili

per l'ottenimento dei propri fini: essa non è perciò «in sé»

contraddittoria; la contraddizione come tale appartiene alla

logica, a quel sistema di ordinamento del reale che ha eletto

il principio di non contraddizione a suo cardine e bandito la

contraddizione - che in questo senso si può dire una sua

«invenzione» - dal proprio modello di spiegazione del reale.

La riflessione sul «contrasto» nella vita - tra ragione e

passione, tra razionale e spirituale o nell'ambito

dell'esperienza stessa- rappresenta probabilmente il filo

23 Der Begri/1 des Lebens (W-GS VII, pp. 29-40), p. 40 (trad. it. Il concetto di vita, in Id., filosofia della 1edicina, a cura di Th. Henkel1ann, Milano, Guerini e Associati, 1990, pp. 145-154), p. 154, trad. it. IOd. 24 Das Antilogiscbe 1950 (W-GS VII), p. 317.

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conduttore più appropriato nell'analisi dell'evoluzione del

pensiero di Weizsacker. In essa risalta il valore essenziale

del principio antilogico, il senso dialettico del divenire

della vita. Weizsacker non usa però volentieri il termine

«dialettico». Gli preferisce l'altro, «antilogico», sicuramente

più comprensivo e libero dal gravame storico-filosofico che

porta con sé il primo. L'antilogica ha tuttavia nella

dialettica la propria radice, come il pensiero patosofico ha la

propria nella filosofia speculativa. Ad Hegel viene

riconosciuto appieno il merito di aver saputo cogliere «la

natura dialettica della vita», la filosofia dialettica «si

avvicina al fondamento della biologia»; tuttavia «il sistema di

Hegel che con questo riconoscimento supera cosi bene la

filosofia critica, viola i limiti della filosofia cercando di

entrare nel campo della vita stessa. Ma la vita non è

dialettica, bensl antilogica; essa non contraddice se stessa,

ma la logica»2s. La filosofia- intesa come «visione del mondo»

- non può - come già sappiamo - offrire una rappresentazione

adeguata della natura antilogica del reale. Non è la

sostituzione di un Weltbild ad un'altro ad essere in gioco, non

l'assegnazione di un ordine al reale mediante la comprensione

delle modalità del divenire, ma il riconoscimento della sua

sostanziale impossibilità - che tuttavia non va inteso come

rassegnazione alla rinuncia.

L'antilogica definisce anzitutto il reale come non­

sistematizzabile. Essa è anti-logica non perché «contro», ma

perché «oltre» la logica; essa consente la ricomprensione in un

quadro più ampio del valore della logica stessa. L'opposizione

alla quale pensa Weizsacker non si può «ingabbiare» in un

sistema, duale o triadico, in cui se ne proponga una

25 Begegnungen und Entscbeidungen (W-GS I), p. 369.

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«risoluzione»: ogni «passaggio» antilogico rappresenta un

«salto», un momento di discontinuità; ogni «posizione» - ogni

«verità» - apre un baratro - implica un non-sapere. Esso si

presenta col carattere dell'imprevedibilità. Diversamente dal

significato globalmente sistematico che si può assegnare al

processo dialettico della realtà organica in Plessner,

l'antilogica del vitale nel pensiero di Weizsacker- al quale

lo stesso termine «processo» risulta applicabile solo

limitatamente - riconosce il proprio fondamento

nell'indeterminabilità della scelta - intenzionale, ma non

necessariamente volontaria. L'antilogica ha il significato

della possibilità sempre aperta della posizione dell'«altro».

Qui si trova la base di ogni antropologia e della concezione

dell'organico in generale.

Il primo luogo in cui viene constatata la modalità

antilogica delle relazioni organiche è per Weizsacker l'ambito

neurofisiologico. Abbiamo già visto come mediante l'analisi di

alcuni fenomeni di illusione sensoria Weizsacker abbia potuto

mettere in evidenza l'esistenza di particolari relazioni,

aventi una loro regolarità, tra percezioni «giuste» e

percezioni «errate»26. In ambito fisiologico il verificarsi di

fenomeni illusori veniva generalmente imputato

all'insufficienza delle capacità percettive degli organi di

senso e comunque considerati fenomeni puramente soggettivi

contrastanti con una realtà oggettiva e «vera», e pertanto

considerati fenomeni ingannevoli e «falsi», privi di valore di

verità. Partendo dal presupposto che il senso della percezione

non è quello di uno strumento di verifica di concetti e leggi

razionali e che il suo valore di verità non è subordinato

all'esistenza di un «essere che è» prima e indipendentemente da

26 Si veda nella parte I di questo lavoro il paragrafo «l'attività dei sensi).

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essa, ma la percezione stessa offre «il vero» secondo le sue

proprie modalità, Weizsacker riesce a spiegare quando e perché

si verificano percezioni illusorie, trovando proprio nel loro

manifestarsi il principio fondamentale dell'attività biologica:

il «principio dell'antilogica»27. Il significato del principio

antilogico si amplia con l'estendersi della sua portata

antologica e da legge fisiologica diviene principio

fondamentale dell'essere vivente. Un primo saggio dell'ampio

valore che il principio viene ad assumere si ha nel saggio Das

Antilogische del 1923. In esso Weizsacker analizza alcuni

tentativi filosofici e scientifici di negazione o

relativizzazione dell'antilogicità della conoscenza e

dell'essere stesso delle cose mostrandone l'insufficienza e

sostenendo quindi l'inevitabilità del suo riconoscimento. Il

principio antilogico, posto in relazione alla storicità del

vivente e all'individualità personale si dimostrerà il

principio più fondamentale di ogni concezione antropologica e

biologica. A partire dal primo dopoguerra, ma soprattutto col

secondo, l'interesse di Weizsacker per il significato

spirituale e religioso della vita nel rapporto con le

concezioni teoriche e con l'attività pratica dello scienziato

si intensifica progressivamente e con esso il senso del

contrasto nella vita assume toni sempre più drammatici ed una

coloritura sempre più marcatamente «patosofica» 28 •

Se l'uomo di Weizsacker vive la propria natura all'insegna

della contraddizione, non meno «contrastato» è l'uomo di

Plessner, condannato alla riflessione su di sé e alla

21 Cfr. W-Der Gestaltkreis 1940, p. 109. 2a Per l'orientamento che assuaerà il pensiero di Weizsacker sono senz'altro determinanti gli incontri con alcuni iaportanti rappresentanti della cultura contemporanea (tra gli altri Barth, Guardini, Buber, Scheler), ai quali lo scritto autobiografico Begegouogeo uod lotscbeiduogeo è dedicato: cfr. W-GS I. Emblematico di tale orienta1ento è è il saggio Al Aofaog scbuf Gott HiJJel uod Erde. Gruodfrageo der Katurpbilosopbie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954.

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consapevolezza del proprio essere «esposto» al mondo.

Posizionalmente eccentrico, l'uomo si trova in relazione a se

stesso e al mondo esterno in una forma strutturalmente

dialettica2 9 che lo rende protagonista di un'esistenza

enigmatica e indeterminata. Capace di osservarsi «da dietro»,

collocato nel «punto di fuga» della propria interiorità, l'uomo

sperimenta su se stesso il gravoso peso della libertà di

progettazione alla quale lo costringe la necessità della

scelta. Contemporaneamente soggetto ed oggetto della propria

vita, e insieme posto oltre questa stessa contrapposizione,

l'uomo costruisce se stesso passo a passo sospeso sul baratro

dello hiatus caratteristico della sua eccentricità. Egli è

altrettanto presente a se stesso quanto infinitamente lontano

da sé e vive in una duplicità assolutamente irriducibile

esprimibile solo mediante coppie di concetti oppostilo. Ogni

determinazione dell'essere umano appare necessariamente

insufficiente: essa trapassa puntualmente nel suo opposto

originando un'unità in cui la dinamica della contrapposizione

non cede mai il posto all'identità.

La forma dialettica della relazione sussistente tra le

suddette determinazioni - non rilevata dalla critica se non in

maniera molto marginale31 - non costituisce che il culmine di

un processo deduttivo il cui meccanismo di sviluppo si è

2t Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 372. 3° Cfr. F. Rodi, Conditio bu1aoa. lu deo Oleicbnaligeo Scbrift von 8el1utb Pleaaner und zur leuauflage seines Bucbea 'Oie Stufen dea Organischen und der lenacb~ czeitschrift fur philosophische Forschung, 19 (1965), pp. 703-711, p. 711. 31 Cfr. W. H. Pleger, Katur und Jenscblicbe Katur. Ueberlegungen zu einer dialektiscben Antbropologie, in Pbiloaopbiscbe lede vo1 Kenacbeo: Studien zur Antbropologie 8el1utb Plessners, a cura di B. Delfgaauw, Frantfurt a. M., Lang, 1986, pp. 17-25, pp. 24-25; H.D. Ase1issen, 8el1utb, Plesaner: Oie lxzentriacbe Position dea Kenacben, in Pbiloaopbie der Gegenrart II, a cura di J. Spect, Gottingen, Vandenhoect & Ruprecht, 1981, pp. 146-180, p. 166; A. Sarcevic, Grundlinien der pbilosopbiacben Antbropologie 8. Plesaner. Oie exzentriscbe Poaition des Kenacben, cSynthesis Philosophica) 1-2 (1986), pp. 111-124, pp. 114 sgg.; aentre aaggiore rilievo alla dialettica è dato nel saggio di H.H. Holz, Hel1utb Pleaaner und das Proble1 der Katur, cit.

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innescato con l'introduzione del principio posizionale stesso.

Dialettica non è solamente la struttura essenziale dell'essere

umano e del corpo organico in quanto tale, dialettico è il

principio metodologico stesso della deduzione dei modali

organici. Abbiamo già visto che alla base del concetto di

posizionalità è la formulazione del principio di «relazione al

limite»: è qui l'origine di quella dinamica relazionale che

accompagnerà il concetto di posizionalità in ogni sua

realizzazione modale. L'idea di «limite di un corpo» può avere

- dal punto di vista logico - due sole accezioni: o il limite è

limite solo virtuale del corpo, ed il corpo ha nel limite

esclusivamente il punto di inizio o di fine rispetto a ciò che

gli è adiacente (come accade per ogni corpo fisico in quanto

tale); oppure il limite appartiene realmente al corpo come

«limite proprio». In tale caso - il caso dell'organismo vivente

- il corpo risulta essere «uber ihm hinaus» e

contemporaneamente «ihm entgegen»32. Il concetto di

«posizionalità» non esprime altro che questa forma

essenzialmente dialettica della struttura organica. Il vivente

è tale in virtù di una continua dinamica di mediazione: in ogni

aspetto del suo essere - come sistema in sé organizzato e come

processo vitale- l'organismo è, per essenza, unità di momenti

contrapposti. La sua vitalità si manifesta nella forma di un

perpetuo divenire del suo essere «ciò che non è» pur restando

«ciò che esso è».

Oltre che distintiva del modo d'essere dell'individualità

vivente, la dinamica dialettica fornisce il meccanismo di

passaggio da un grado all'altro del mondo organico. La

differenza tra i vari gradi organici (vegetale, animale, umano)

non ha affatto un valore puramente classificatorio, ma

32 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 151 e sgg.

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distingue la profondità raggiunta dallo sviluppo posizionale

nel dare origine a diverse forme di differenziazione e coesione

interiore dell'organico, di autonomizzazione rispetto

all'ambiente e di distanziamento dal proprio sé. I vari gradi

dell'unica «scala posizionale», ordinati secondo uno sviluppo

progressivo, si costituiscono in un'autentica gerarchia

sistematica.

La teoria aprioristica dei modali organici nel suo

complesso risulta avere - secondo lo stesso Plessner - «più

affinità con una dialettica che con una fenomenologia. Essa

parte da uno stato di cose fondamentale, la cui realtà essa

tratta in modo puramente ipotetico, e, passo a passo, ottiene

una determinazione dall'altra. Le determinazioni essenziali

sorgono l'una dall'altra, si dispongono per gradi, si rivelano

come una grandiosa connessione, che viene ricompresa come

manifestazione dello stato di cose fondamentale» 33 •

L'individuazione dei caratteri d'essenza di ciascun grado

posizionale porta inevitabilmente con sé la determinazione di

ciò che quel grado «non è»: e precisamente in questo «non­

essere» si trova la possibilità del grado successivo. Il

passaggio da una forma all'altra dell'essere organico appare

cosi guidato da un principio che - con un'espressione hegeliana

- potremmo dire «della negazione determinata» 34 • Se ne può

avere una dimostrazione nella descrizione del passaggio dal

grado posizionale animale a.quello umano: caratterizzata la

forma posizionale animale come centrica (guidata cioè da un

centro costituitosi nella parziale riflessione del sistema

vivente, di cui era priva la forma «aperta»), Plessner precisa

33 Stufen (P·GS IV), p. 167. 34 B.B. Bolz usa questa stessa espressione appunto per indicare il tipo di relazione sussistente tra i vari gradi posizionali: criefer in die Dialektik fuhrt hinein, da~ jede der Stufen die "besti11te Hegation" der vorhergehenden darstellt, nicht einfach etwas beliebig anderes,: Id., BelJutb Plessner und das ProbleJ der Katur, cit., pp. 46-47.

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che proprio a causa di questa centricità al soggetto animale è

preclusa la coscienza piena delle proprie esperienze essendo

«il corpo nel suo complesso non ancora pervenuto a riflessione

totale» e prosegue: «non ancora, vale a dire che è pensabile

un'elevazione che innalzi il corpo vivente ad un grado

posizionale superiore, oltre il grado animale, secondo la

medesima legge che determina la distinzione di grado tra

animali e piante» 3 s. Nella progressiva riflessione del sistema

vivente il grado posizìonale antecedente ha in sé il proprio

negatìvo 3 6 come possibilità d'essere del successivo, e

quest'ultimo include in sé il precedente come superato: «per

questa legge, secondo la quale dal momento del grado inferiore,

colto come principio, risulta il grado superiore e

contemporaneamente in esso compare (resta «mantenuto»), si

lascia pensare un'essenza la cui organizzazione è costituita in

ragione del momento posìzionale dell'anìmale» 37 • L'uomo è

eccentrico in virtù del fatto dì essere anzitutto centrico. Il

passaggio alla nuova forma posìzionale si mostra come il

compimento (Vollzug) del principio costitutivo nel momento

posizionale in cui la mediazione determinata dal grado

precedente si «risolve».

Ma come va considerato il principio posìzìonale nel

contesto del sistema plessnerìano? Se esso rappresenta il

principio costitutivo dell'essenza organica, se è suo principio

antologico, deve anche darsi un «essere» (la Natura, la Vita,

l'Organico) che si autosviluppa originando un'autentica

Naturgeschichte. In questo caso lo sviluppo posizìonale non

ls Stufen (P·GS IV), pp. 360-361. 36 Per il concetto di negativo in Hegel, cfr. Id., Kissenschaft der Logik, trad. it. Id., Scienza della logica, a cura di A. Noni, Bari, Laterza, 1981, p. 36 e p. 106; Id., lnzyklopidie der pbilosophiscbeo Kisseoschafteo il Grundrisse, trad. it. Id., Enciclopedia delle scienze filosofiche, a cura di B. Croce, Bari, Laterza, 1980, J 120. 37 Stufen (P·GS IV), p. 362.

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offrirebbe una semplice descrizione «esterna» all'essenza dei

gradi dell'organico e alla loro connessione, ma s'imporrebbe

come principio di una realtà essa stessa dialettica. In queta

direzione procede l'interpretazione -molto «hegeliana»- di

H.H. Holz, che ritiene possibile considerare la filosofia

naturale di Plessner come una sistematizzazione dello sviluppo

logico-dialettico del reale in cui la determinazione

aprioristica delle forme del vivente rappresenta «la forma

concettuale della natura», la sua logicità. Egli non esita a

paragonare i gradi dell'organico di Plessner con i livelli

dello sviluppo dello Spirito in Hegel: «dialettico è perciò il

metodo di sviluppo della determinazione delle forme

dell'organico l'una dall'altra in una graduazione il cui

livello di realizzazione di volta in volta nuovo - forma

aperta, chiusa, eccentrica - ha il valore di un salto

qualitativo proveniente dal precedente. Il parallelismo formale

dei gradi con la fenomenologia dello Spirito - coscienza,

autocoscienza, spirito - è evidente»3s. Il principio dialettico

in Plessner «non ha semplicemente il significato della regola o

dello schema di una forma processuale empirica della

Naturgeschichte. Essa fornisce piuttosto il principio

costitutivo di questa forma processuale che si può raggiungere

a partire costituzione materiale elementare dell'essere» 39 .

Dobbiamo con ciò pensare ad una coincidenza delle strutture

logico-razionali con il reale stesso? Holz, che sembrerebbe

portare l'interpretazione di Plessner in questa direzione,

osserva tuttavia che lo sviluppo per gradi posizionali è, si,

razionalmente ricostruibile, ma conserva una componente

contingenziale•o. E' probabile che il riconoscimento di un

38 H.H. Holz, HelJutb Plessner und das Proble1 der Katur, cit., p. 46. 39 ivi, p. 47. 40 Questa la frase di Holz: «Die apriorische Bestiaatheit der Begrenzten [ ... ] manifestiert sich als

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aspetto contingente - in netto contrasto con la necessità del

procedere logico-dialettico - si riferisca al fatto che

Plessner, in ultima istanza, affida alla ricerca scientifica la

certificazione del sistema dei modali organici41. Il principio

posizionale è infatti condizione di possibilità

dell'esperienza, ma non anche condizione della sua esistenza.

La coincidenza di reale e strutture razionali non sembra dunque

sostenibile: per il rifiuto di Plessner di assumere un

presupposto idealistico e perché in tal caso non vi sarebbe

ragione di affidare all'esperienza l'ultima parola sulla

veridicità della deduzione dei caratteri d'essenza.

La «dialettica della natura» in Plessner rappresenta un

processo infinito nella struttura, ma limitato

nell'applicazione. Essa riguarda esclusivamente la natura

organica, non l'intera realtà fisica; il suo limite coincide

con quello del concetto di posizionalità, che non riguarda la

realtà inorganica. Essa rappresenta tuttavia un processo

infinito poiché nel massimo grado di realizzazione posizionale,

alla totale riflessione raggiunta dal sistema vivente

corrisponde la possibilità della riflessività infinita dell'Io

autocosciente. L'infinitezza della riflessione pensante non è

il prodotto dell'autosviluppo di un principio soggettivo o

ideale e lo sviluppo dialettico della posizionalità non è di

fatto una dialettica dell'assoluto. Si potrebbe piuttosto

definirla una «dialettica del concreto», concepita da Plessner

come spontanea mediazione della realtà materiale organica, di

cui la soggettività è il prodotto, anziché il fondamento.

In essa la riflessione, celata sotto le neutrali sembianza

rational rekostruiebarer, wenn auch kontingenter Entfaltungsproze» der Seinsforten (Stufen) der Hatur, (ivi, p. 46). 41 Si veda F. Ha11er, Die ezzentriscbe Position des Nenscben, cit., p. 116; sul valore ipotetico della deduzione, cfr. Stufen (P-GS IV), p. 156.

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della mediazione (Vermittlung), accompagna tuttavia sin da

principio la deduzione posizionale. Il principio della

riflessione non differisce strutturalmente in nulla da quel

principio della semplice mediazione che consente la definizione

del concetto di corpo organico. Il termine Reflexivitat

sostituisce quello di Vermittlung al momento della comparsa

dell'interiorità cosciente; esso non ha il significato

esclusivo di «riflessione pensante» poiché non designa solo

l'attività del soggetto cosciente, ma anzitutto il processo

stesso che conduce al sorgere dell'interiorità. In fondo la

riflessività è - certo - prerogativa del soggetto, ma la

soggettività non è caratteristica esclusiva dell'organismo

pensante. Il concetto di soggetto, il cui significato non è

affatto univoco, si determina come caratteristica

dell'organismo- con i suoi attributi corrispondenti ai diversi

gradi dell'organico- proprio attraverso la dialettica

«materiale» determinata dalla dinamica biologico-posizionale. E

forse proprio per non confondere la dinamica posizionale con

una dialettica di tipo idealistico, Plessner per esprimere il

rapporto di mediazione ricorre al semplice pronome ihm - quando

la sintassi lo permetta - piuttosto che al più impegnativo

riflessivo sich: il corpo vivente è caratterizzato come uber

ihm hinaus ed ihm entgegen, è definito come sistema in

relazione zu ihm o posto in ihm. Ma la «neutralità»

grammaticale perde la propria ragion d'essere non appena lo

sviluppo posizionale approda al livello di costituzione

dell'individualità cosciente, al livello in cui si origina un

vero e proprio Sich organico: il vivente è allora in sich ed

aupen sich, in relazione zu sich, fino a divenire sich selbst

als Sich gegeben nella distanza riflessa sul proprio corpo e

sul proprio sé.

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Un'ultima osservazione sul tratto forse più caratteristico

della dialettica plessneriana, tratto che la distingue dai

modelli dialettici noti: il momento della scissione, della

contrapposizione di poli opposti, predomina nettamente su

quello della loro riunificazione sintetica. Naturalmente il

momento sintetico è necessario logicamente allo sviluppo

dialettico, poiché in esso la dinamica processuale ha il suo

momento propulsivo, la condizione della sua possibilità. Ma

nello sviluppo posizionale concepito da Plessner il momento

sintetico passa - per cosi dire - in secondo piano. Già Hegel

aveva dato forte rilievo all'elemento logico della «rottura»

nella rappresentazione del reale, e lo stesso Plessner lo

riconosce42. A differenza del sistema schellingiano, in cui il

principio unitario si trova a monte di ogni opposizione, mai

realmente evaso da una differenziazione polare solo

quantitativa, nel modello hegeliano la dinamica dialettica

determina opposizioni qualitative. Esso offre, però, un sistema

di continua riconciliazione delle differenze, un modello di

intrasgredibile ricomposizione del contrasto, un sistema in cui

giudizio e speculazione, altrettanto necessari, accampano i

medesimi diritti. Instabilità e stabilità, opposizione ed

unità, in ogni piano dell'essere, si pongono e presuppongono

vicendevolmente in un armonico equilibrio. Diversamente, la

dinamica della dialettica posizionale di Plessner determina un

approfondimento sempre più marcato del momento di frattura tra

determinazioni opposte: la funzione assegnata al fattore hiatus

è affatto preponderante. L'organismo è unità organizzata e

sistema armonicamente equipotenziale, equilibrio di differenza

e sintesi, ma soprattutto nel rispetto funzionale.

Strutturalmente appare invece determinante il motivo della

42 Stufen (P-GS IV), pp. 207-208.

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scissione che il concetto stesso di posizionalità porta con sé.

E ciò appare evidente sul piano dello sviluppo in gradi:

ciascuno di essi rappresenta rispetto al precedente non un

momento di maggiore perfezione antologica o assiologica, ma un

livello di maggiore profondità della «distanza» da sé e

dall'ambiente. Non si tratta tuttavia di un processo che tende

alla frantumazione dell'individualità, alla dissoluzione

dell'essere: all'opposto l'essere naturale si costituisce, o

autocostituisce, proprio nell'irriducibilità dei momenti

opposti, nell'insolubilità di quel contrasto tra determinazioni

che nel rispetto fenomenico si traduce nella duplicità

d'aspetto. Al culmine di tale processo non troviamo l'armonico

ricongiungimento della spiritualità con la propria assolutezza,

ma la disarmonica conflittualità dell'Io, massimamente distante

da sé e consapevole della propria origine posta nel nulla, che

costantemente mette a rischio l'integrità del soggetto

riflettente. E nell'incolmabilità di questo conflitto- in cui

echeggiano noti motivi poetico-letterari, primo tra tutti

quello dell'inquietudine43 - il processo posizionale trova

l'ultimo dei suoi gradi di sviluppo, l'infinità delle sue

possibilità e contemporaneamente la conclusione della sua

ascesa.

43 R. Troncon conduce una lettura originale del pensiero di Plessner nell'ottica di una confluenza di motivi caratteristici della filosofia dell'inquietudine, sviluppatasi in rapporto al aondo artistico e letterario, nell'antropologia del novecento: cfr. Id., Studi di 1ntropologia filosofica, cit ..

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Il valore dei sensi

La necessità di una rivalutazione del ruolo ricoperto dalla

sensibilità nell'ambito del processo conoscitivo umano viene

energicamente rivendicata sia da Weizsacker sia da Plessner e

per l'uno come per l'altro il compito di una dimostrazione del

valore essenziale della sfera del sensibile si inserisce nel

quadro dello sviluppo programmatico di una ridefinizione del

sistema delle leggi dell'organico e degli strumenti

metodologici adatti al suo studio.

Il «progetto antropologico» perseguito da Plessner, pur

nelle modificazioni talora sostanziali subite negli anni, si

prefigge lo scopo di fondare su basi sistematiche una teoria

generale della realtà naturale e spirituale dell'uomo

nell'ottica della sua fondamentale unità psicofisica 44 .

Rispetto a questo ambizioso progetto l'opera del 1928 Die

Stufen des Organischen und der Mensch ha il compito di offrire

le basi di una filosofia della natura organica quale

presupposto e cardine per una filosofia della natura e della

realtà esistenziale umana4s. Una ricerca complementare e non

meno essenziale deve contemporaneamente dirigersi verso

l'analisi del valore e del significato del sensibile nella

sfera esperienziale ed esistenziale umana. Concepito come

«estesiologia dei sensi» e realizzato sotto forma di «critica

dei sensi» il saggio Die Einheit der Sinne rappresenta uno

studio sistematico dell'organizzazione, delle modalità e

dell'apporto conoscitivo del sistema sensibile che serva come

primo contributo all'elaborazione di un'antropologia filosofica

44 Cfr. Stufen (P-GS IV), Introduzione e p. 70. Il motivo scheleriano dell'unità psicofisica, che risale agli scritti degli anni venti, resterà nella sostanza una costante del suo pensiero. Ad esso è connessa l'idea che una separazione netta di attività sensibile e attività razionale, e altrettanto di conoscenza e azione, non sia possibile. 45 Cfr. ivi, p. 63.

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modellata sulla linea del programma diltheyano46. Per quanto

diversi si presentino il progetto di ricerca concepito da

Plessner (una «teoria dei «modali inorganici», come la definirà

nelle Stufen) ed il suo metodo (aprioristico-ermeneutico)

rispetto al taglio teorico e alle modalità del lavoro di

Weizsacker, il movente principale all'esigenza di una

rifondazione del sistema del sensibile è rappresentato per

ambedue i pensatori dalla pregiudiziale e decisiva separazione

di una sfera soggettivo-emozionale umana dal dato oggettivo

della formazione delle sensazioni scientificamente

determinabile nel suo processo.

Dal punto di vista di Plessner, il fatto che le leggi

essenziali (Wesensgesetze) concernenti la sfera della

sensibilità umana vengano considerate nell'ambito scientifico

come meno importanti di quelle che regolano il processo

«oggettivo» della sensazione, costituisce una mancanza

decisiva. Il modello della ricerca fisiologica e psicologica

seguito da grandi ricercatori come Fechner, Helmholtz e Wundt

si regola sulla preventiva separazione del dato psichico da

quello fisico e ricerca poi una correlazione tra la serie delle

eccitazioni nervose e quella delle sensazioni. I tentativi di

correzione dello statuto della ricerca introdotti dalla

generazione successiva - Plessner si riferisce in particolare

agli studi di Stumpf che cercano di inserire nell'analisi

scientifica l'esistenza di elementi aprioristico-materiali -

per quanto lodevoli, risultano ancora insufficienti allo scopo

di ristabilire l'unità essenziale della realtà antologico­

esistenziale umana•'.

46 Cfr. H-U Lessing, Sinn-Sinngebung-Versinnlicbung. zu einigen zentralen pbilosopbiscben Proble1en il Briefvecbsel Konig-Plessner, «Dilthey-Jahrbuch fur Philosophie und Geschichte der Geistesvissenschaften, 7 (1990-91), pp. 209-229. 47 Cfr. Oie linbeit der Sinne (P-GS III), p. 13.

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Le medesime carenze in ambito scientifico vengono rilevate

da Weizsacker, sebbene la sua attenzione si rivolga non alla

ricerca di leggi aprioristiche del dato percettivo, ma - come

abbiamo visto- al senso pratico-conoscitivo dell'attività

percettiva nel complesso del sistema fisico-fisiologico vitale.

Nel delineare gli sviluppi della fisiologia contemporanea egli

individua come fondamentali le tappe che conducono verso una

reintroduzione graduale della soggettività nella valutazione

scientifica dei processi di percezione e che tendono ad

assegnare un valore di verità al dato sensibile.

Cosi si può considerare un passo importante persino la

teoria di A. von Haller: essa determina il passaggio dalla

fisiologia del riflesso di derivazione cartesiana, che dà peso

esclusivamente all'azione dello stimolo esterno, ad una teoria

della reazione che considera, indipendentemente dal riflesso,

la capacità di reazione che l'organismo manifesta dal suo

interno: «il processo vitale non può più essere costituito,

calcolato e governato solamente da riflessi agli stimoli. Vi si

deve.riconoscere la stimolabilità variabile, per cui, a seconda

della stimolabilità, la reazione è differente» 48 • Ma il primo

vero tentativo di congiungere il mondo della fisica con quello

dei vissuti sensibili viene visto da Weizsacker nell'opera del

fisiologo J. Muller. Muller è sostenitore di una teoria delle

energie sensorie specifiche che vuole segnare - con risultati

solo parziali - il primo distacco dalla scienza fisiologica

della Naturphilosophie romantica. Sono significative le riserve

manifestate da Muller nei confronti dell'esperimento in

laboratorio, ritenuto inadatto a presentare i fondamenti reali

•• Oeber Jedizioische Anthropologie, GS v, pp. 177-194, p. 182. Considerato il fisiologo più significativo del secolo XVIII, Haller riuscl a diaostrare con procedimento induttivo che le prestazioni funzionali degli organi sono seapre connesse a determinate strutture organiche. Sulla fisiologia di A. von Haller si possono vedere Radl, E., pp. 119 ss.; Rothschuh, l.E., Physiologie, pp. 123 ss., Id., History of Physiology (trad.), pp. 134 ss.; H-J. Moller, Die Begriffe tReizbarkeitJ und tReizJ, pp. 13 ss ..

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della vita: solo l'osservazione della natura stessa,

preferibile sul piano qualitativo come sul quantitativo, può

permettere di cogliere tali fondamenti. Nella sua teoria, che

mette insieme determinismo e vitalismo dinamistico, le qualità

sensorie rappresentano il prodotto dell'incontro e della

mediazione tra organismo e ambiente. Ad essa si riallaccia H.

von Helmholtz, che vede in essa un'empiricizzazione della

teoria kantiana della conoscenza. Le sensazioni non dipendono

secondo Helmholtz dagli oggetti che provocano le stimolazioni,

ma dalla connessione centrale degli specifici nervi: esse,

quindi, non sono immagini del mondo, ma «segni», fenomeni

soggettivi dipendenti dalla struttura del sistema sensorio e

nervoso, eppure non semplici «illusioni». Per quanto

costituisca un progresso nella direzione di una revisione dei

principi della percezione e di un approfondimento delle

ricerche sull'attività sensibile, la teoria di Helmholtz

rappresenta una forma di soggettivismo metodologico non

accettato - sia pure per motivi differenti - né da Plessner, né

da Weizsacker. Il concetto di «senso», con la tendenza ad un

passaggio dallo studio della sfera della sensazione a quello

del sistema percettivo, sembra aver avuto una sorta di

«rinascita» a partire dai primi decenni del XX secolo 49 • In

tale tendenza si può inscrivere anche l'opera weizsackeriana.

Weizsacker riconosce tuttavia a Helmholtz il particolare

merito di aver saputo vedere nella Farbenlehre di Goethe - al

di là dei pretesi risultati scientifici della teoria dei colori

- l'esigenza più che legittima avanzata in essa dall'autore: il

bisogno di una rivalutazione del valore di verità dell'apparato

sensorio, poiché è proprio a partire dall'attenta valutazione

49 Cfr. E. Scheerer, Sinne, in Bistoriscbes Korterbucb der Pbilosopbie, Basel-Stuttgart, Schvabe & Co, 1971-sgg., IX, pp. 860-861.

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dell'attività degli organi di senso che Helmholtz ritiene

possibile risolvere i problemi posti dalla percezioneso. La

Farbenlehre ha tuttavia la pretesa di presentarsi come una

critica alla teoria di Newton dal punto di vista fisico, e le

ragioni del biologo, che in un trattato di fisiologia dei sensi

sarebbero forse venute alla luce, nella Farbenlehre rimangono

nascoste. Per trovare in quest'opera ciò che può essere utile

ad una teoria della percezione - sostiene Weizsacker - occorre

guardare non al fallimentare tentativo di spiegare la fisica

della luce o la sensazione del colore, ma il fatto che «nella

parola Wahrnehmung è contenuta la parola "Wahr"»51. Su questo

punto - sulla totale veridicità del dato percettivo -

Weizsacker ritorna con insistenza, sottolineando inoltre che il

«vero», essendo da porre in relazione con la pratica del

vivere, deve avere un senso non «assoluto», ma - si potrebbe

dire - «esistenziale» e «operativo»: «lo stesso termine

"percezione" tradisce, con profonda intuizione linguistica, che

qui il "vero" non esige di essere posseduto, ma "preso". La

percezione sensibile, questa prensione dell'universo delle cose

esistenti - sempre concreta e autocertificata - sembra

certamente promettere un buon modello di una simile nuova

concezione pratica della verità»S2.

L'aspetto assolutamente veridico della percezione risulta

egualmente dalla teoria plessneriana dell'unità dei sensi. La

necessità di stabilire i principi a priori della sensibilità

capaci di rappresentare le caratteristiche materiali della

percezione - non rilevabili secondo Plessner in un'ottica

5° Cfr. H. von Hel1holtz, Opere, Torino, UTET, 1967 (in particolare gli scritti del 18531 1875, 1878 e 1892). 51 W-leit1 p. 27. Riguardo al cvalere per vero, e all'illusorio nella percezione si veda anche W-Der Oestaltkreis 1940, p. 83. 52 w- Kabrbeit und KabrnebJung ( trad. it. Verità e percezione, in Id. 1 Filosofia della Jedicina, cit.), p. 1561 trad. i t. IOd.

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puramente fisico-fisiologica - ha il senso di un sicuro

ancoramento della relatività delle qualità sensibili all'unità

della natura umana. La concezione della realtà umana come

«persona», punto di «indifferenza psicofisica», offre un

fondamento all'oggettività della percezione sensibile: «le

qualità sensibili appartengono, proprio in virtù della loro

totale relatività rispetto all'unità personale, in quanto modi

di connessione di corpo e anima, all'essere oggettivo delle

cose - anche se non al loro essere assoluto, essendo le qualità

sensibili modi possibili della materia»s3. L'idea dell'unità

personale nella sua molteplicità è perciò indice e garanzia

dell'oggettività delle proprietà sensibili fondamentali del

mondo fenomenico: «l'apparire del mondo non dipende cosi dalla

nostra coscienza, ma la nostra coscienza dall'apparire del

mondo. I modi dell'oggettività sono in senso rigoroso

corrispondenze, immagini oggettuali vere del tipo esistenziale

della persona»s4.

A questo primo contributo di indagine sulle modalità

sensibili e sulla loro connessione alla sfera spirituale umana

- i cui temi verranno ripresi anche molti anni più tardi5 5 -

sono connesse in vario modo una quantità di ricerche sulle

espressioni comportamentali animali e umane 56 il cui

significato confluisce in una visione che - muovendosi tra

Sl Die linbeit der Sinne (P-GS III}, p. 20. 54 lvi, p. 21. 55 Cfr. Oeber die Verkorperungsfunktion der Sinne (P-GS III, pp. 7-27}, e Antbropologie der Sinne (P-GS III, pp. 317-393}. 56 Si veda il volume VII di P-GS. Ricordiamo in particolare il saggio Die Oeutung des 1i1iscben Ausdrucks (1925), scritto in collaborazione con il fisiologo olandese r. Buytendijk, con il quale Plessner continuò a lavorare dopo il suo trasferitento a Groninga. A tale proposito si può vedere: Delfgaauw, Bernard (a cura di), Pbilosopbiscbe lede vo1 Nenscben: Studien zur Antbropologie 6el1utb Plessners, Frankfurt a. M., Lang, 1986, pp. 139-153. Il lvoro di Buytendijk pare sia stato di non scarso rilievo per la concezione del Gestaltkreis di Weizsacker: cfr. H. Struyker Boudier, Oeber Gestaltkreis und lolple•entaritit. Die Korrespondenz !.J.J. Buytendijks 1it V. von Yeizsicker und C.!. von Yeizsicker, cMan and World, 23 (1990), pp. 143-155.

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principi ermeneutici e fenomenologicis' - ha uno degli elementi

di massimo interesse precisamente nella rivalutazione del

sistema sensibile. La sensibilità è concepita come centro di

unione e mediazione tra realtà interna ed esterna e come il

luogo della comprensione e dell'elaborazione del senso, un

senso il cui carattere qualitativo e le cui modalità di

formazione e interpretazione non possono essere indagati con un

procedimento di scissione del dato e di riduzione dei fenomeni

a processi causali. I sensi percepiscono e comprendono mediando

nella corporeità tra ricezione ed espressione di senso. Essi

non hanno dunque una funzione solo passiva, di semplice

prensione di ciò che proviene da fuori - la pura ricettività

sensoria è secondo Plessner un'invenzione scientifica-, ma

contemporaneamente una funzione attiva di trasformazione ed

azione proiettata sul mondo. I termini del rapporto tra interno

soggettivo ed esternità mondana si trasformano sostanzialmente

e con essi il concetto di coscienza - come abbiamo visto

trattando delle Stufen. Nella rappresentazione sensibile si dà

già una conoscenza del mondo, un'elaborazione dell'oggettivo

nel soggetto, poiché attività sensibile e spirituale non sono

tra loro separabili: le modalità sensibili sono infatti «il

collegamento, i ponti tra spirito e corpo»sa. L'intuizione

(Anschauung) - concepita da Plessner come conoscenza immediata

della cosa attraverso i sensi - non si distingue di fatto

dall'attività razionales9, tra esse cioè sussiste un rapporto

di intreccio, giacché la stessa intuizione rappresenta una

57 Hel saggio Potere e co1preodere. La questione dell'esperienza storica e l'opera di H. Plessoer, Milano, Guerini e Associati, 1995, s. Giaamusso sottolinea l'autonoaia del pensiero plessneriano nel richiamarsi alla filosofia er1eneutica e fenomenologica, illustrando come il paradigma ermeneutico venga piegato alle esigenze della comprensione dell'esperienza sensibile e quello fenoaenologico applicato ad un orizzonte conoscinitivo ampliato, cfr. ivi, pp. 137 sgg. 58 Oie liobeit der Sinne (P-GS III), p. 300. 59 Cfr. F. Ha1mer, Oie ezzeotriscbe Positioo des Nenscbeo, cit., p. 69; e S. Giamausso, Potere e co1prendere, cit., p. 139 e p. 147, dove si sottolinea la poleaica plessneriana con la concezione di Kant.

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forma di incontro di percezione e pensiero. L'aspetto più

interessante della concezione plessneriana del sistema

sensibile, qualora lo si voglia accostare alle direttrici della

ricerca di Weizsacker, è senz'altro il rilievo dato all'unità

inestricabile tra attività percettiva e motoria che si

rispecchia nel legame tra soggetto e ambiente6o, un legame che

produce le modalità di esistenza del corpo organico nello

scambio materiale come nel rapporto di ricezione e conferimento

di significati.

Nei paragrafi precedenti è stato ampiamente dimostrato il

valore imprescindibile della percezione nella teoria del

Gestaltkreis di Weizsacker. Sarebbe perciò superfluo entrare

nuovamente nel dettaglio in una tematica indirettamente già

sviluppata. Ci limitiamo qui a riportare alcune significative

considerazioni fatte da Weizsacker nel corso di una conferenza

tenutasi di fronte alla Società Filosofica di Lipsia nel 1942 e

pubblicata l'anno successivo col titolo Wahrheit und

Wahrnehmung. L'aspetto più interessante del saggio consiste nel

rilievo dato da Weizsacker alla profonda trasformazione in

corso nel mondo scientifico riguardante i fondamenti teorico­

epistemologici e la riorganizzazione dei rapporti tra i diversi

ambiti disciplinari, trasformazione che Weizsacker interpreta

nel senso di una progressiva tendenza alla convergenza

reciproca tra settori storicamente separati - come la fisica e

la biologia - in cui emerge come indispensabile il

riconoscimento della sensibilità come centro di verità del

vivere e del conoscere scientifico.

L'imperfezione degli organi di senso di fronte

all'esattezza scientifica e l'idea dell'incompletezza e della

60 Su questo aspetto della realtà organica, centrale nelle Stufen e trattato nella precedente sezione, si veda l'articolo di 8.8. Bolz Die SysteJatik der Sinne, in Unter offene• Borizont: Antbropologie nacb Bel1utb Plessner, a cura di J. Friedrich e B. Westeraann, Frankfurt a. M., Lang, 1995, pp. 117·127.

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relatività di una forma di conoscenza soggettiva gravano da

sempre sulla percezione come difetti incorreggibili, nonostante

che proprio ad essa ci si debba comunque e sempre rivolgere

nell'avere un rapporto col reale. Considerata- sensualismo a

parte - una sorta di ponte tra un mondo esistente «a sé» e la

sfera razionale dell'uomo, la percezione ha rappresentato la

garanzia della corrispondenza del pensiero con una realtà

esterna ed indipendente, almeno sino a che il presupposto

naturalistico, secondo il quale la misurabilità del percepito

offre un'espressione attendibile e dei rapporti naturali

oggettivi (anche se con l'ausilio della matematica), ha

mantenuto la sua credibilità. Ma non appena tale presupposto ha

cominciato a mostrare la propria debolezza la psicologia e la

fisiologia si sono dovute impegnare in un grande sforzo di

ricerca sulle proprietà specifiche della percezione. Ed è in

particolare da alcune di queste ricerche condotte in ambito

fisiologico che emergono dati interessanti su di un aspetto

essenziale della percezione: proprio quella caratteristica di

«inaffidabilità» della sensazione rivela la legge fondamentale

dell'attività percettiva, il principio dell'antilogica. Essa

svela che l'oggettività non si dà affatto61, e che

!'«oggettivo» per il vivere è in se stesso antilogico (non­

oggettivo)62.

Rispetto alla presentazione del fenomeno è possibile

scegliere tra criteri di valutazione differenti, tra diversi

metodi di misurazione e di relazione del percepito con

l'oggettività naturale - basti pensare alla varietà di sistemi

possibili e di volta in volta scartati o corretti nella storia

61 Cfr. W-Kabrheit uod rabroebJuog, p. 173. 62 Si veda l'esetpio concernente il contrasto tra l'idea di percezione del tovitento- che richiede una conservazione 1neaonica del passato, una resa si1ultanea del diacronico e l'identificazione di un aedesimo punto in una successione di posizioni e di 1o1enti te1porali - e la spiegazione fisica del toto: ivi, pp. 160-161.

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della scienza. L'oggettività naturale appare dunque

interpretabile, il percepito è «traducibile» in una

molteplicità di forme «oggettive». La percezione stessa non

dispone di riferimenti assoluti, mentre valgono per essa leggi

antilogiche come quella dell'equivalenza materia,

dell'interdipendenza di elemento spaziale e temporale, della

scambiabilità delle variabili del fenomeno - movimento e

figura, forza e figura - in vista della conservazione di uno

scopo. L'illusione sensibile si dimostra un fattore

indispensabile e la percezione appare talora persino più

informativa e oggettiva della misurazione scientifica63. I

sensi rivelano una loro «logica inconscia» che raggiunge

direttamente la realtà più profonda della natura stessa:

«solamente l'essere può apparirci, come pure l'essere può

solamente apparirci; eppure ciò che così ci appare non è una

parvenza, bensì l'essere stesso»64. La percezione è

sostanzialmente una produzione, per cui la non prescindibilità

dalla soggettività nella valutazione di essa da elemento

negativo si trasforma in un dato positivo. Essa è condizione

della possibilità della natura e del suo valore «oggettivo», è

condizione della possibilità dell'orientamento e del vivere nel

mondo, è indice dell'esistenza di un'«armonia preordinata» tra

interno ed esterno, tra soggetto e natura. La «natura

oggettiva» della scienza non può che trasformarsi in «natura

dell'uomo»6s; la nuova situazione scientifica richiede una

nuova forma di centralità dell'unità umana, una

riconsiderazione della sua posizione nel mondo: «le rinunce

63 Cfr. ivi, p. 167. Weizsicker si riferisce al fatto che, aediante alcuni esperimenti sulla percezione della forza impiegata nell'esecuzione di un lavoro, è stato possibile di1ostrare che il soggetto è in grado di percepire ed affrontare il sopravvenire di un nuovo stato di cose, senza che gli strumenti atti a rilevare l'intensità della forza i1piegata segnalino alcuna variazione quantitativa. 64 lvi, p. 174, trad. it. 1od. 65 Cfr. ivi, p. 172.

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della fisica alla determinazione esaustiva - delle quali

abbiamo ormai dovuto prendere atto - non salvano l'unità

dell'immagine oggettiva del mondo data dalle scienze naturali,

bensi esse preannunciano, come mi pare inevitabile, la nuova

centralità riposta nell'unità della persona umana»66. E se da

un lato la fisica deve rinunciare alle sue pretese

oggettivistiche, dall'altro la biologia deve liberarsi del

presupposto vitalistico di una «posizione speciale» dell'uomo

nella natura, per far posto, comunemente alle altre scienze,

all'idea di «una dipendenza dell'uomo-natura da un fondamento

che non può mai esso stesso divenire oggetto»6 7 • Con tale

fondamento, per sua essenza inconoscibile scientificamente, la

biologia - scienza di cose viventi, di oggetti che hanno in sé

un soggetto - si trova in un rapporto particolare, in un

«rapporto-di-fondo» {Grund-Verhaltnis)68, per la necessità di

un continuo rimando a quel fondamento all'interno del quale

essa stessa si muove. Questa situazione viene espressa da

Weizsacker anche con la celebre frase: «per comprendere il

vivente bisogna prendere parte alla vita»69.

" lvi, p. 173, trad. it. aod. 67 lbid., trad. i t. IOd. 61 Cfr. Anony1a (W-GS VII), pp. 47-48 (pp. 177-178). 69 Cfr. W-Der Gestaltireis 1940, p. V e Anony11 (W-GS VII), p. 48 (trad. it. p. 178).

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Patico e posizionale

L'immagine del Gestaltkreis descrive- tra figurazione e

concetto- la dinamica distintiva dell'organico, l'atto vitale.

In essa si distinguono due componenti: la circolarità, che

indica l'immutabile nel mutamento mediante il «ritorno a sé» e

la forma, che coglie il mutamento nella configurazione del suo

percorso e lo fissa istantaneamente nell'intuizione. «Il

vivente è sempre qualcosa di permanente che muta - come

l'uomo» 70 ; ma non solo l'uomo. Sappiamo che il Gestaltkreis

nasce come chiarimento del rapporto unitario sussistente tra

percezione e movimento nell'ambito dello studio della

fisiologia umana, ma la sua capacità esplicativa non si limita

alla specifica relazione funzionale tra attività sensoria e

motoria. In un appunto per la preparazione delle sue lezioni,

risalente al 1945, il Gestaltkreis viene definito un rapporto

tra percezione e movimento, psiche e soma, soggetto e

necessità, libertà e necessità, soggetto e predicato 7 1. Ma non

è tutto; nella sua più ampia valenza, il concetto di

Gestaltkreis indica il modo d'essere dell'organico in generale,

di un genere di oggetto che non può essere definito

univocamente mediante determinazioni antologiche, poiché la sua

natura attiva e ricettiva non si lascia fissare nel semplice

«essere»: «con Gestaltkreis intendo una struttura essenziale

dell'atto vivente afferrato in modo patico» 72 • Il patico e

l'antico definiscono due categorie dell'essere che si

differenziano anzitutto sul piano esistenziale, per la modalità

di appartenenza ad un mondo e la forma di relazione ad esso. Il

corpo fisico semplicemente «è» in un mondo, «si trova» in esso

70 ADODfl8 (W-GS VII), p, 50 (p. 180), trad. it. 10d. ' 1 Cfr. !h. Benkelaann, Viktor voo Keizsicker (1886-1957). Naterialieo zu tebeo uod Kerk, cit., p. 149. 72 AoooyJa (W-GS VII), p. 54 (p. 183).

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in una relazione spaziale e temporale oggettivabile: per questo

«l'è-assertivo (Ist-Aussage) dice tutto e con sufficienza»'3.

Non vale lo stesso per la categoria del patico: l'organico è in

un rapporto di coappartenenza all'ambiente, esso si pone in una

relazione antilogica col suo esterno e propriamente agisce su

di esso, come subisce da esso: «non solo esso [il patico] pone

sé stesso ed è cosi attivo, ma altrettanto gli accade di essere

ed è perciò passivo. le nostre espressioni pertanto incontrano

non solo l'antico, ma anche il patico»'•. L'espressione della

modalità esistenziale patica dovrà dunque adeguarsi

all'oggetto: un oggetto che vive all'insegna della

contraddizione. L'antilogica del vivere viene colta

figurativamente mediante l'immagine del Gestaltkreis: «Il

Gestaltkreis raccoglie quindi in sé sia la natura patica sia la

natura antilogica del modo di esistenza del vivente»' 5 , esso

rappresenta - come un simbolo'& - il senso della modalità

esistenziale organica.

Se prescindiamo dall'accento posto da Weizsacker sulla

gravità e sofferenza del vivere patico' 7 , possiamo riconoscere

in questo breve richiamo dei caratteri della realtà organica

una molteplicità di elementi di convergenza con la concezione

della struttura posizionale in Plessner. Abbiamo già visto come

il carattere antinomico della modalità posizionale organica non

si possa esprimere secondo Plessner altrimenti che in forma

dialettica: per cogliere unitariamente la duplicità essenziale

dell'essere organico e per rendere la dinamicità caratteristica

della sua struttura. L'essenziale è, come per Weizsacker,

73 lvi, p. 49 (p. 178), trad. it. aod. 74 W-Der Cestaltkreis 1940, p. 183. 75 ADOD!Ii (W-GS VII), p. 54 (p. 183), trad. it. aod. 76 Cfr. quanto detto sopra a proposito della siabolicità. 77 Essi sono in realtà la giustificazione più autentica della scelta terainologica di Weizsicker, in questo 101ento tuttavia ci importa evidenziare altri aspetti del concetto di epatico).

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cogliere il divenire - «una cosa di carattere posizionale può

darsi solo nella misura in cui essa diviene»'a - senza con ciò

trascurare, nel processo di trasformazione, l'aspetto costante

dell'organico: «il divenire si determina come divenire di

qualcosa (il permanente) in modo che il permanere "porta" il

divenire, ovvero il permanere si determina come il qualcosa di

un divenire, ove il divenire porta il permanere»'9. La duplice

valenza del «Setzen»so distingue l'organico dal semplice

«essere» dell'inorganico che «in quanto corpo fisico "è" già da

sé; l'essere non si porta in contrapposizione, né si eleva da

se stesso come essente»sl. Il corpo fisico «si trova» in una

precisa posizione spaziale e temporale rispetto agli altri

corpi e all'osservatore, esso «sta» in un luogo, «riempie» uno

spazio determinabile oggettivamente e «passa» in un tempo

misurabile con gli strumenti della fisicas2. Diversamente

stanno le cose per l'organismo, le cui caratteristiche dovranno

essere espresse altrimenti da quelle fisico-oggettuali. «Un

vivente appare posto di fronte al suo ambiente. Da esso

proviene la relazione all'ambiente (Feld) nel quale esso è, e

la relazione vicendevole al vivente stesso»s3. L'organismo si

staglia dall'ambiente in un modo caratteristico­

intuitivamente rilevabile -, poiché esso propriamente «si pone»

nell'ambiente, con il quale instaura un rapporto di

reciprocità: esattamente questo esprime il concetto di

posizionalità. Il corpo organico appartiene realmente

all'ambiente, ha anzi un «suo» ambiente - come ha insegnato J.

78 Stufen (P-GS IV), p. 187. 79 lvi, p. 189. 80 lvi, p. 18t 81 Ibid. 82 lvi, p. 186 e p. 239. 83 Cfr. ivi, p. 186.

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von Uexkull84 - e la relazione con esso è tanto più complessa e

ricca quanto maggiore è la sua «distanza» o la consapevolezza

dell'alterità dell'ambiente. L'organismo si mostra perciò

anzitutto come un ente autonomo: un Fur sich Seinas, che rende

manifesta all'intuizione questo suo carattere attraverso il

movimento 86 : non è un caso che anche Weizsacker insista sulla

necessità di considerare il vivente anche in fisiologia

prendendo le mosse dal movimento autonomo (Selbstbewegung)s'.

I contorni del corpo organico sono incerti e la sua forma

plastica: «ogni vivente mostra instabilità nella stabilità,

regolare irregolarità»as. La dinamica ritmica e non meccanica

che gli è propria conferisce all'organismo una variabilità del

tutto peculiare. La sua forma appare «libera» nel movimento che

la modella: non calcolabile e via via determinabile nel

processo di modificazione, ma come sfuggente, «in tensione»s9,

mentre il movimento del corpo inorganico «si presenta come

assolutamente determinato, "tale qual'è", la sua forma coincide

esattamente con il percorso da esso compiuto: essa è quel

movimento; non vale lo stesso per il movimento vitale. Qui ogni

fase effettivamente percorsa, proprio perché appare fondata e

proveniente da una tendenza[ ... ], sembra essere stata

indeterminata in ciascun punto del suo percorso. Esso si

presenta come un movimento che avrebbe anche potuto avvenire

diversamente da come realmente è avvenuto» 90 . Lo stesso

carattere di indeterminatezza, di imprevedibilità appartiene

costitutivamente all'essenza dell'atto biologico

84 Si veda il paragrafo del presente lavoro intitolato «le "forme" dell'organico, (nota 10). 85 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 185. &6 Cfr. ivi, p. 187. 87 Cfr. W-Der Oestaltkreis 1940, p. 187. 88 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 178. 89 Cfr. ivi, pp. 179-180. 90 lvi, p. 180.

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weizsackeriano, ove la «scelta» rappresenta in ogni momento un

salto, una rottura nella continuità91. Tra l'attesa ed il

compimento dell'atto- percettivo, motorio, biologico in genere

- si pone il possibile, il non calcolabile prodotto della

vitalità. Cosi anche in Plessner: «nel ritirarsi dell'attesa,

nel momento della tensione che deve trovare la propria

soluzione, sta quello hiatus dell'anticipazione (Vorweg) che

solo un atto spontaneo, un atto arbitrario può superare»92.

Anche qui, come in Weizsacker, abbiamo a che vedere con un

rapporto imprevedibile tra attesa (Erwartung) e compimento

(Erfullung) - una situazione paradossale. Anche qui si afferma

il valore prolettico della processualità organica intesa come

trasformazione e riformazione (Umgestaltung). Nel divenire­

altro del cambiamento la cosa si mantiene se stessa: per questo

il suo divenire è anzitutto sul piano concreto una ri­

formazione, una dinamica riorganizzazione della forma 93 .

Al fine di giustificare la costanza nel divenire e spiegare

la direzionalità del processo organico Plessner introduce il

concetto di Gestaltidee o Typus, estraneo al pensiero di

Weizsacker. Il significato della Gestalt in Weizsacker, se

ristretto al campo di trattazione dell'unità motorio­

percettiva, consiste nel rappresentare essa il prodotto del

rapporto tra elementi variabili non indipendenti. Ma l'idea di

prolessi che appartiene al concetto di Gestalt ampliato nella

sua portata sino ad indicare la forma dell'atto e della

temporalità biologica in genere94 implica l'idea di una

costante. Non appena la forma si concepisca come «forma di» ed

il processo di formazione venga inteso non come un semplice

tl Cfr., ad esempio, W-Der Gestaltkreis 1940, p. 187. 92 Stufen (P-GS IV), p. 180. 93 Cfr. ivi, p. 193. '4 Cfr. W-Zeit, p. 15.

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«andar-oltre», ma come evoluzione che «da» qualcosa porta

«verso» qualcosa, cioè come un preciso rapporto tra una

provenienza e una direzione, si fa strada l'idea di un dover­

essere o di una finalità della cosa. L'esplicitazione di questo

presupposto conduce Plessner all'ipotesi- certo singolare e

oscura, ma affatto conseguente in una concezione prolettica del

divenire della Gestaltidee (alla quale si riconducono i

concetti di «forma aperta» e «forma chiusa» organiche)

considerata altrettanto come appartenente .anticipatamente alla

cosa e come suo fine9s.

Temporalità e spazialità organiche

Di quella che potremmo chiamare la priorità antologica

della «spazialità» nella definizione dell'essenza organica

plessneriana abbiamo già parlato. Tale priorità non pregiudica

tuttavia la valutazione della dimensione temporale

dell'organico, la cui trattazione procede- paritariamente e

parallelamente a quella della dimensione spaziale - in

corrispondenza ai due momenti costitutivamente inseparabili

dell'essere e del divenire: «nella misura in cui il corpo

vivente è posto in sé (spazialmente) e con questo carattere

della posizionalità rappresenta un corpo che tiene uno spazio,

esso è potenzialmente nel suo esserci attuale, è dato a se

stesso anticipatamente. A partire dalla proprietà dell'essenza

posizionale di una relazione spaziale si determina quindi per

essenza il riferimento temporale del corpo vivente. Appartiene

95 In che aodo venga risolta poi da Plessner la difficoltà derivante dall'accordo dell'anteriorità della foraa ideale e del suo essere fine della cosa, è stato visto in precedenza: si tratta di accordare una pura idealità con la concretezza, non di pretenderne una coincidenza.

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perciò alla posizionalità stessa la relazione al tempo»96.

L'essere in sé del corpo organico ottiene di fatto la

propria consistenza nell'apparire come «possibilità», come

potenza (Potenz) e potere (Vermogen). Mediante questa modalità

l'organico si determina come tale; il suo «potere» esprime non

una possibilità condizionata o dipendente, ma la qualità stessa

del potere (Kannqualitat), cioè determina l'essere organico

come un «non-essere che ha in sé le condizioni del passaggio

nell'essere» 9'. Tale modalità essenziale si realizza- senza

alcun contrasto logico- nell'«adesso» (Jetzt). E'

nell'attualità del presente che il divenire organico ottiene il

suo significato più autentico; il divenire si fissa

nell'«adesso» determinando un particolare rapporto di

dipendenza tra l'essere-ora e il non-essere-ancora. In quanto

«potere» l'essere è un non-ancora: non nello stesso senso in

cui lo è il semplice corpo fisico, poiché il modo dell'essere­

nel-futuro gli è tanto essenziale quanto il modo dell'essere­

ora. L'essere-nel-futuro appartiene all'unità esistenziale

attuale dell'organico come «anticipatamente dato» (Vorwegsein),

in questo modo la successione della cronologia fisica viene

capovolta. Anzitutto per questa non conformità tra la

successione causale del tempo oggettivo e la direzione della

dimensione temporale organica non può darsi una

rappresentazione fisico-causale della temporalità specifica del

vivente.

Il non-essere-ancora organico non è tuttavia un «essere­

per» il futuro, il futuro non è la dimensione privilegiata del

suo essere: la sua potenzialità è fondata nel futuro, ma è nel

presente che l'essere come divenire ottiene la propria

96 Stufen (P-GS IV), p. 237. 97 lvi, p. 232 e p. 236.

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realizzazione: «la possibilità essente, la reale potenza in

ogni caso è, essa si radica perciò nella modalità

dell'adesso» 9a. Il vero senso del carattere prolettico,

d'altronde, sta proprio nell'attualità, nel presente- come

sottolinea Weizsacker - non nel «poi» del futuro; il «poi» è

dato solo come anticipazione, non come predeterminazione, ma

come possibilità. Il presente rappresenta dunque il momento

dell'unità esistenziale organica: «potenza- dice Plessner­

non è altro che mediazione dell'essere-ora nel presente»99;

esso, il presente concreto, costituisce inoltre il punto di

unione di passato e futuro, la dimensione autentica extrafisica

in cui l'essenza posizionale colloca l'organico: «non più

l'astratto adesso tra futuro e passato si adatta allo schema

della sua esistenza, ma solo il concreto presente, la cui

peculiarità è il momento (Augenblick), unità di futuro e

passato»loo. L'organico ha dunque una sua temporalità

«intrinseca» - non «interiore» o «soggettiva», ma «essenziale»;

il corpo posizionale «è» esso stesso tempo, poiché la sua

essenza implica la forma temporale nell'anteriorità

dell'esserelOl: potremmo concludere con Weizsacker che anche

per Plessner non la vita è nel tempo, ma il tempo è nella

vitalo 2 •

Considerata l'impostazione data a questo lavoro nella

sezione dedicata al pensiero di Weizsacker, sarebbe superfluo

richiamare anche solo per sommi capi i momenti essenziali

dell'elaborazione del concetto di tempo biologico.

Parallelamente all'introduzione nella biologia di un nuovo

parametro di valutazione del tempo, Weizsacker dichiara la

98 lvi, p. 236. 99 lvi, p. 238. 100 lvi, pp. 240-2U. 101 lvi. p. 239. 102 W-Jeit, p. 16.

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necessità di una revisione generale delle caratteristiche della

realtà biologica, prima fra tutte quella della spazialitàlOJ.

Accanto ad una specifica «temporalità biologica» si deve

riconoscere una «spazialità biologica», le cui caratteristiche

divergono sostanzialmente da quelle della spazialità fisica

delle scienze matematiche. Considerata nel contesto

dell'attività biologica, la collocazione spaziale ha una

validità «momentanea» - è cioè legata al presente della

situazione - e «relativa» - essendo essa dipendente dal «punto

di vista» della valutazione e mancando di un sistema di

riferimento fisso. L'unità spaziale è determinata dall'attività

biologica stessa e si costituisce via via in relazione alla

direzione e alle finalità di tale attività104. Nel determinare

il concetto di spazialità organica Weizsacker si serve di

quello di temporalità, che mantiene - almeno sino agli anni

quaranta - una netta priorità, un valore fondativo. Sul piano

antologico, tuttavia, spazio e tempo ottengono un valore

equanime: nell'attività biologica la componente spaziale e la

componente temporale si rivelano funzione l'una dell'altra1° 5 •

L'ordinamento spaziotemporale, che corrisponde sempre ad una

situazione «attuale», ha una struttura genetica106; essa si

compone e si scompone perpetuamente nella continuità

dell'accadere organico: «una catena che si crea in tal modo­

dice Weizsacker - non può affatto essere inscritta come un

intero nello spazio e nel tempo, bensi le determinazioni

spaziali e temporali via via sorgono e scompaiono, si

cristallizzano e si dissolvono in altre formazioni o nuovamente

vengono ricomposte nell'accadere-perfezionante (Geschehen-

103 lvi, p. 32. 104 lvi, pp. 10-11. 105 Cfr. W-Der Castaltkreis 1940, p. 142. Sulla loro dipendenza reciproca nell'attività percettiva si veda W-Yabrbeit und YabrnebiUDg, p. 165. Cfr. inoltre ADODfll (W-GS VII), pp. 77-79 (pp. 205-207). to' Cfr. W-Der Castaltkreis 1940, p. 145.

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Fortbildung)»lo7. In questo processo- il processo percettivo

ovvero l'attività organica in genere- si creano lo spazio e il

tempo incontrati nelle cose. Richiamandosi qui esplicitamente

al concetto heideggeriano del dischiudersi dello spazio

all'essere-nel-mondo costitutivo del Dasein Weizsacker afferma:

«il mondo e le sue cose non sono nello spazio e nel tempo, ma

spazio e tempo sono nel mondo accanto alle cose»loa.

Il tempo e lo spazio per l'organico e il tempo e lo spazio

dell'organico nella trattazione che ne dà Weizsacker si

confondono, poiché vengono a coincidere. Lo stesso accade in

Plessner: alla definizione dell'unità spaziotemporale

posizionale egli fa precedere una valutazione delle

disposizioni spaziali e temporali vissute, le cui

caratteristiche coincidono con quelle della spazialità

(Raumhaftigkeit) e temporalità (Zeithaftigket) dell'organico,

che delle prime sono il fondamento. «Sopra» e «sotto», come

«ora» e «poi», indicano precise direzioni spaziali e temporali,

non meno significative di quanto lo siano le misurazioni

oggettive. Il senso di simili determinazioni viene considerato

come puramente relativo al soggetto che percepisce o valuta

quelle disposizioni; ma, nella relazione stessa in cui si

danno, esse sono assolute, non scambiabili tra loro, mentre

dipendente dall'osservatore è solamente la scelta della

direzione da perseguire. La loro specificità consiste nel non

essere dimostrabili matematicamente, nel non essere

rappresentabili mediante lo schema della successione e

dell'enumerabilità spaziotemporale della fisica1° 9 •

Se la medesima specificità viene riconosciuta da Weizsacker

alle stesse determinazioni - a determinazioni come «là», «a

107 lvi, p. 114. 108 /bid. 109 Cfr. Stufen (P-GS IV), pp. 241-242.

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sinistra», «dietro», «sopra», «prima», «tardi», «più lento»,

ecc., questi le definisce- diversamente da Plessner­

relative 11 o. Ma ciò che i due autori intendono è la medesima

cosa: l'estraneità di siffatte disposizioni spaziali e

temporali ad un sistema di misurazione oggettivo. Il carattere

assoluto riconosciuto ad esse da Plessner si riferisce alla

loro relazione al vivente e sottolinea il fatto che esse in

detta relazione risultino essenzialmente non indifferenti

rispetto al luogo e alla duratalll. L'assolutezza, pertanto, si

riferisce alla relazione con l'organico, è affatto relativa ad

essa. Egli definisce invece relative le misurazioni oggettive

perché effettuate «nella relazione ad altro» - degli oggetti

tra loro, dell'oggetto rispetto ad uno strumento di misura,

ecc. - e risultano trasponibili indifferentemente a diversi

oggetti, in diverse situazioni e casi.

Il corpo organico - dice Plessner - non è affatto

indifferente rispetto allo spazio e al tempo: «esso cresce e

invecchia»112. Mentre la relazione spaziotemporale rimare

«esterna» al semplice corpo fisico, il corpo organico presenta

un'intima relazione di dipendenza dal luogo e dal divenire

temporale. Anche il corpo organico può essere valutato alla

stregua di un semplice corpo fisico, ma nella sua specificità

posizionale esso ha anche un diverso statuto essenziale: «il

corpo che cresce ha nella sua crescita limitata un criterio

spaziale assoluto, nel suo invecchiamento un criterio temporale

assoluto»113. Spazio e tempo vitali sono criteri di misura che

il corpo organico ha in se stesso come «portatore» e che sono

11o Cfr. lioleituog (W-GS III), p. 399; W-Der Gastaltkreis 1933, p. 633; W-leit, p. 35; W·Oer Gastaltkreis 1940, p. 145 e p. 162. 111 Stufeo (P-GS IV), p. 241. 112 lvi, p. 243. 1l3 Ibid.

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ad esso limitati11 4 • Sebbene vi sia e vi debba essere una certa

connessione tra la dimensione spaziotemporale organica e quella

fisica, per sua essenza il corpo organico - sia secondo

Weizsacker che secondo Plessner - è affatto indifferente alla

spazialità e temporalità oggettive, nelle quali in fondo viene

a trovarsi accidentalmentells.

L'organico rappresenta il «punto di unione» dello spazio e

del tempo, il luogo in cui si genera il loro «incontro» - un

incontro che unisce e separa insieme, secondo l'immagine

antilogica di Weizsacker116, il quale sostiene inoltre una

manifesta tendenza «pulsiva» dello spazio verso il tempo e del

tempo verso lo spazio117. Non meno dinamica si presenta in

Plessner l'idea di «luogo naturale»lls della realtà organica­

determinato dalla strutturazione posizionale stessa - che si

costituisce come centro di origine dell'unità spaziale e

temporale (Raum-Zeithaftigkeit): «il corpo organico non è

semplicemente un costrutto quadridimensionale come ogni corpo

fisico, bensi, nella sua proprietà essenziale, considerati

spazio e tempo in forma posizionale, esso è in se stesso unione

assoluta di spazio e tempo»119 .

. 11• Cfr. ivi, pp. 243-244. 11s Cfr. ivi, p. 244 e linleitung (W-GS III), p. 399. 116 Cfr. Anony1a (W·GS VII), p. 78 (p. 206). 117 Cfr. Anony1a (W-GS VII), p. 79 {p. 207). 11 ' Il richiaao al concetto aristotelico di <luogo naturale, (Aristotele, Fisica, Libro IV) ha la sua giustificazione principalmente nell'idea dell'inseparabilità del luogo dalla corporeità. In Aristotele­co1e ben evidenziato dal saggio di Bergson L'idea di luogo in Aristotele (guid Aristoteles de loco senserit, 1889, trad. it. in E. Bergson, Opere 1889-1896, cit.)- il luogo naturale non è separabile da aateria e forma - essi stessi inseparabili, co1e nella concezione posizionale di Plessner - che costituiscono gli oggetti (gli oggetti fisici in generale, non solo quelli organici, ma va notato che Aristotele concepisce il cosmo stesso come un <vivente,, e che Plessner, diversaaente da Aristotele, distingue il cluogo, dallo <spazio, la cui coincidenza si deteraina solaaente nella for1a spaziale organica). Il concetto di luogo aristotelico si definisce inoltre in relazione al aoviaento: lo stesso vale per la spazialità organica in Plessner, essendo la realà organica posizionale anzitutto cnel moviaento, (cfr. in particolare Stufen (P-GS IV), p. 187). In esso si pone inevitabilmente anche un legame con il tempo. 11t Stufen (P-GS IV), p. 245.

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Il soggetto nella biologia

Il principio dell'«introduzione del soggetto nella

biologia» è senz'altro uno degli aspetti che ha maggiormente

interessato gli studiosi del pensiero di Weizsacker, potendo

essere considerato il momento in cui si concentra il

significato della sua «rivoluzione» teorica. Esso presuppone ed

implica un ampio spettro di questioni che riguardano

direttamente la ricerca biologica o che si agganciano ad essa.

Posto alla base della sua «svolta antropologica»120 il

principio si rivela efficace e ricco di sviluppi soprattutto

sul piano pratico del rapporto tra medico e paziente121.

L'oggetto col quale il medico ha a che fare non è un semplice

oggetto, ma un oggetto che ha in sé un soggetto. Il principio

ha dunque anzitutto il valore di una «massima per la ricerca» -

per la ricerca biologica in generale. Con l'introduzione di

questo principio si rende impossibile una netta scissione tra

ambito soggettivo- quello dell'osservatore- e ambito

oggettivo: il rapporto tra il ricercatore ed il proprio

oggetto costituisce di fatto un rapporto tra soggetti la cui

«distanza» non ha il senso dell'«estraneità» reciproca, ma

implica un fenomeno di coinvolgimento. Una simile visione

conduce naturalmente - in una scienza dominata da.

un'impostazione positivistica- a ripercussioni considerevoli

sul piano metodologico, tanto più che il concetto stesso di

malattia si modifica sostanzialmente. Il contributo dell'opera

di Weizsacker si estende perciò ai campi della psicofisica,

della psicoanalisi e della medicina sociale, ambiti in cui il

120 Tb. Henkelaann, Yiktor voo Keizsicker. L'uo1o e la sua opera, cit., p. 15. 121 Si può vedere a proposito il saggio di B. Kuppers, Yiktor von ieizsicker: zur aktuelleo Bedeutuog seioer aotbropologiscben Kedizin, in Pbilosopbiscbe Aotbropologie der Noderoe, a cura di R. Wieland, Weinbeia, Athineua, 1995, pp. 225-233. Per una valutazione dell'attualità del pensiero biologico di Weizsicker, cfr. Masullo, P.A., Patosofia. La teoria relazionale di Yiktor voo ieizsicker, Milano, Guerini, 1992.

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suo pensiero mostra di avere avuto non scarsa incidenza122.

Ma ciò che più direttamente riguarda la presente ricerca è

il significato assegnato da Weizsacker al concetto di soggetto,

antologicamente ampliato rispetto ad una secolare tradizione

che tendeva all'identificazione della sfera del soggettivo con

quella dello psichico o del razionale. Come nella teoria

dell'organico di Plessner, la soggettività appartiene alla

realtà organica in quanto tale: sorge con l'organico e ne

costituisce la caratteristica essenziale più specifica.

Si può senz'altro individuare la causa principale delle

difficoltà teoriche e metodologiche incontrate dalla biologia

nella particolarità del suo oggetto di studio. Se le scienze

fisiche possono affidarsi alla premessa dell'indipendenza di un

mondo-conosciuto dall'Io-conoscente, la specificità

dell'oggetto biologico impedisce secondo Weizsacker l'adozione

di un simile presupposto e vincola la ricerca al principio

della similarità tra conoscente e conosciuto e alla loro

dipendenza da un fondamento che resta in se stesso non­

oggettivabile: «ogni sforzo di determinare la differenza tra

organico e inorganico, e forse anche di superarla, deve infine

fare i conti con il dato di fatto della soggettività. L'oggetto

della biologia è precisamente un oggetto in cui abita un

soggetto»123. Come per Plessner, questo non significa affatto

un congedo dell'oggettivo in favore del soggettivo, ma che il

legame - la mistura, come dice Weizsacker - tra soggetto ed

oggetto è nel vivente inscindibile. Il soggettivo si afferma e

si riconosce come tale nell'incontro con l'oggettivo, al di

fuori di sé come all'interno di se stesso. Nell'incontro con

122 Si vedano in particolare !h. Reuster, Viktor voo Yeizsickers rezeption der Psycboanalyse, Stuttgart, Frotlann-Bolzboog, 1990 e Benzenhofer, U. (a cura di), Antbropologiscbe Nedizin und SozialJedizin il Yerk Yiktor von Yeizsickers, Frankfurt a.M., Lang, 1994. 123 W-Der Gastaltkreis 1940, p. 168.

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l'ambiente l'organismo afferma e dimostra la propria

soggettività come contrasto con l'altro; nei fenomeni della

«crisi» e della «ripresa» il soggetto trova la propria identità

nell'opposizione e nella discontinuità del suo essere.

L'atto biologico - ogni singolo atto - rappresenta un

cambiamento, non testimonia affatto la costanza delle funzioni,

poiché si fonda sull'improvvisazione124, indice del soggettivo.

Si può di volta in volta individuare in uno stimolo, in un

istinto o in un oggetto il motivo di un singolo atto, «ma ciò

che solitamente non sappiamo è perché proprio ora, perché qui,

si è data quest'azione»12s. Caratteristica dell'atto biologico

è la capacità, nel rapportarsi al mondo, di superare le

limitazioni imposte dal funzionamento organico attraverso la

modificazione della forma delle risposte. Improvvisazione e

cambiamento qualitativo dimostrano l'indipendenza

dell'organismo dal proprio ambiente. Essi sono una prova della

soggettività del vivente non meno di quanto lo sia la libertà

dell'azione volontaria. Con il riconoscimento dell'ambiente e

l'opposizione ad esso, insieme all'atto di obiettivazione del

mondo, si verifica un annullamento dell'Io, senza alcun bisogno

dell'intervento di un atto di pensiero cosciente: ciò che si è

dimostrato con la differibilità del limite posto tra percezione

ed azione126. Più complessa, ma strutturalmente non differente,

è la relazione tra Io e «Es» (che raccoglie la contrapposizione

al Leib e all'ambiente quali oggetti per un soggetto) in cui si

realizza la specifica opposizione dell'uomo al mondo. La

«libertà» caratteristica dell'organico consiste essenzialmente

nella limitazione del mondo (Welt) ad un ambiente (Umgebung).

La libertà dell'atto biologico ha dunque sempre il senso della

124 Cfr. ivi, p. 176. 125 lvi, p. 174. 126 Cfr. ivi, p. 178.

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correlazione alla «limitazione»; essa tuttavia è massimamente

estensibile: «l'autolimitazione - e pare quasi di leggere

Plessner- è, prima d'ogni altra, l'abilità di questo

essere» 1 2 7 •

Il principio dell'unità della soggettività- corrispondente

all'unità dell'organico stesso- si afferma dunque nella

contrapposizione e nell'auto-opposizione, nella perdita e nella

riconquista dell'identità individuale, determinandosi come

controparte dell'unità oggettiva: la medesima dinamica

distintiva della posizionalità organica plessneriana. In essa

l'elemento soggettivo «sorge» e «si evolve» in un processo di

autoestraneazione-autoidentificazione concernente l'essenza

stessa dell'organico e non si esaurisce quindi nell'attività

specifica dell'ente cosciente o di una sostanza spirituale. Ben

prima che nello studio dell'uomo, per la ricerca biologica in

genere è necessario «possedere un principio soggettivo che

esprima la particolarità dell'organico senza essere legato a

dati psichici come il sentimento, la percezione sensibile, il

pensare, il rappresentare, il provare sensazioni, ecc.» 128 •

L'identificazione della soggettività con lo psichico viene

decisamente rifiutata; il concetto di soggetto accolto da

Weizsacker, ampio e polivalente, si definisce nella relazione

di unità e scissione insieme con l'oggettività, una relazione

non rappresentabile in termini fisici, né psicologici.

Lo stesso dato - il legame di soggettivo e oggettivo - è

già emerso nella valutazione dell'essenza posizionale in

Plessner. In Weizsacker esso si rende particolarmente evidente

nei fenomeni di sospensione e annullamento del soggetto; in

Plessner esso si dimostra al massimo grado nella riflessività

127 lvi, p. 176. 128 lvi, p. 172.

231

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umana. L'uomo è in Plessner «soggetto-oggetto» culturale e

naturale; la radice dell'unità psicofisica a partire dalla

quale solo è possibile determinare la forma della sua

soggettività si trova nella sua natura organica. La

soggettività, non più esclusiva prerogativa dell'uomo o degli

animali superiori, non ha un significato univoco e una valenza

unica. Genesi e sviluppo delle forme del soggetto procedono

parallelamente alle tappe della posizionalità. L'essere

soggetto rappresenta una funzione della mediazione posizionale;

il «livello di soggettività» raggiunto dall'organismo

corrisponde alla «profondità» di realizzazione del processo

posizionale, del quale l'essere coscienza- come l'oggettività

del mondo esterno - è il risultato.

Come abbiamo precedentemente visto, il corpo posizionale è

essenzialmente un Selbst, soggetto del proprio «avere un corpo»

nel «porsi» di fronte all'ambiente. Affatto privi di una

valenza psicologica, questo «sé» e questo «avere» rappresentano

modalità specifiche dell'essenza strutturale organica. Il

concetto di soggetto si può considerare in Plessner sinonimo di

vivente, mentre le sue caratteristiche si modificano in

conformità con la graduazione determinata dal principio

posizionale: coscienza e soggetto non coincidono, come non

coincidono coscienza ed egoità.

Con l'operazione di «fondamentalizzazione della

duplicità»129 Plessner ha voluto fornire un piano antologico

unitario, precedente qualunque distinzione, all'opposizione

soggetto-oggetto costitutiva dell'essere organico e principio

della possibilità stessa della soggettività. In un senso scevro

da qualunque significato sostanzialistico, il soggetto si

oppone all'oggetto, è «l'altro» rispetto ad esso, ma può essere

129 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 115.

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colto nella sua alterità solo a partire dall'unità da cui

entrambi si originano. Soggetto ed oggetto, due lati della

medesima realtà, hanno il loro momento di separazione nella

mediazione, un momento la cui necessità è comprovata

dall'esistenza stessa del vivente. Il vivente è soggetto, e il

soggetto si costituisce nella distanza e nell'opposizione ad un

polo oggettivo, mentre nella mediazione in gradi successivi e

progressivi esso raggiunge determinazioni sempre più complesse.

Cosi, l'organismo vegetale è soggetto nella mediazione tra la

molteplicità dei suoi membri e l'unità del tutto, è un Selbst

«avente» un corpo. L'animale è soggetto nella mediazione di

Selbst e corpo: diviene un Selbst cosciente nella riflessione

che isola un centro posizionale come sua guida e separa il Leib

dal Korper. Infine l'uomo è soggetto nella mediazione tra

Selbst e Selbst grazie alla riflessione totale dell'organismo

su se stesso. Dotato di coscienza e di autocoscienza il

soggetto umano è un Io proiettato oltre se stesso.

Una coscienza autoriflessa e spirituale non è che la

particolare forma di coscienza che si presenta nell'ultimo

grado posizionale; ma si tratta di uno stadio finale non

coincidente con il suo concetto generale. Lungi dal

rappresentare una forma chiusa di interiorità in relazione

circolare a se stessa, l'apparire di una coscienza si delinea

ave si determini un reale rapporto di separazione e di scambio

del vivente con l'ambiente: «la coscienza è solo questa forma

basilare e condizione fondamentale dell'atteggiamento di un

vivente autonomo rispetto all'ambiente» e rappresenta !'«unità

sferica di soggetto ed oggetto»13o. Cosi, nella forma chiusa

animale, l'individuo che sente e si dispone all'azione è

soggetto nel vivere il rapporto tra sé e l'ambiente; mentre

t3o lvi, p. 112.

233

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nell'elevazione al grado posizionale umano esso diviene

soggetto del vivere il rapporto tra sé e l'ambiente, soggetto

del vivere il proprio sentire ed il proprio agire: è organismo

totalmente riflesso su di sé. La progressiva graduazione del

principio posizionale origina differenze qualitative

nell'essenza organica, ma sul piano antologico-strutturale la

diversificazione delle tappe si può considerare il prodotto di

uno sviluppo quantitativo dettato dal meccanismo di mediazione

- interna ed esterna - del principio stesso. Se dunque il grado

seguente può considerarsi - come abbiamo già visto - il

compimento (Vollzug) di ciò che è posto già col grado

antecedente, non si dovrebbe forse pensare che la coscienza in

forma potenziale si presenta già nel più basso livello del

mondo organico? Plessner, ostile a suggestioni e motivi

spiritualistici e vitalistici, sembra rifiutare una simile

ipotesi. Considerare la pianta un «animal endormi» alla Bergson

e, allo stesso modo, postulare l'esistenza di forze o anime

vitali compenetranti la natura, significa secondo Plessner

ricorrere ad «espedienti letterari» che complicano inutilmente

la realtà naturale fuorviandone la ricerca131. Non si può

dunque pensare alla «presenza potenziale» di una forma di

coscienza nella natura in se stessa, in questi o in altri

termini che comunque intendano la potenzialità come attualità

non ancora giunta a perfezione. Mentre si può pensare che

sebbene la coscienza non appartenga strutturalmente se non

all'essenza della forma «chiusa» dell'organico, e risulti

altrove non solo incompiuta, ma affatto irrealizzabile, essa

sia data sin dall'inizio come «possibilità» nel principio

posizionale, non nell'essenza di ogni sua graduazione.

La cosiddetta «riflessione totale dell'organismo» nel grado

131 Cfr. ivi, p. 291.

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più elevato del processo posizionale, come d'altronde la

«riflessione parziale» del grado precedente, non è un «fatto di

pensiero», ma un processo soggetto-oggettivo che coinvolge

l'intero individuo organico nel suo concreto vivere

psicofisico. Eppure, se dal punto di vista di una «filosofia

della natura» l'Io compare come risultato della riflessione

posizionale (nel senso che compare con questa riflessione), è

propriamente esso, di fatto, ad attuare la riflessione: è l'Io

a prendere distanza da sé e a rendersi oggetto a se stesso.

Plessner non pone tuttavia la riflessione alla base dell'Io

autocosciente. Benché infatti l'attività riflettente produca

l'autocoscienza, dal punto di vista della priorità logico­

ontologica il rapporto di fondazione viene capovolto e l'unità

dell'autocoscienza diviene condizione della possibilità della

riflessione. La riflessione - attività separatrice per

eccellenza - non è in grado di cogliere nella sua interezza il

proprio riflettere, poiché l'Io riflettuto non è mai anche il

riflettente, sul quale il processo di riflessione può tornare

(rendendolo riflettuto) solo in un atto di secondo grado, in

cui è data l'identità dei due momenti della riflessione di

primo grado, ma non anche l'identità di quelli del secondo: la

riflessione è fondamentalmente autoestraneazione. Ma l'Io per

poter riflettere su di sé deve essere già prima nell'unità con

sé, quindi cosciente di sé in una forma immediata non riflessa,

avendo soltanto cosi in se stesso la condizione della

possibilità di essere sé e altro da sé: «l'a priori della

riflessione è l'unità dell'autocoscienza»132. Di conseguenza­

sostiene Asemissen- l'unità mediata dell'Io non sarebbe ancora

13 2 B.U. Aseaissen, 8el1uth, Plessner: Die lzzentrische Position des Nenschen, in J. Speck (a cura di ), Philosophie der Gegenrart II, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1981, pp. 146-180, p. 166, che cita Plessner, lrisis der transzendentalen Nahrheit il Anfang (1918). Cfr. anche, H.O. Aseaissen, lgologische leflezion, cKantstudien, 50 (1958-59), pp. 262-272, p. 264.

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la «Entzweiung der Reflexion» di Hegel, ma la condizione della

sua possibilità1 33 , originaria ed unitaria coscienza di sé

precedente ogni atto riflesso - potremmo aggiungere - come lo è

in Husserlll4.

Condizione della possibilità della riflessione è tuttavia

l'unità dell'autocoscienza, non l'autocoscienza stessa, dove

l'unità non è l'identità indifferenziata dell'Io con sé stesso,

ma all'opposto l'unità sintetica (e forse sarebbe più adatto

dire la «sintesi antitetica») dell'Io in sé e con sé,

conformemente al principio antropologico della vermittelte

UnmittelbarkeitllS: immediatezza mediata poiché l'Io è

contemporaneamente presente a se stesso in forma immediata e

mediatamente cosciente di séll6. Non appena l'Io riflette su di

sé, si rende manifesta quella scissione - già insita in esso -

in cui l'Io prende distanza da sé differenziandosi in un Io­

soggetto ed un Io-oggettoll7.

In quest'ultimo grado del mondo organico, in cui il

principio posizionale si realizza nell'autocoscienza riflessiva

133 H.O. Aseaissen, HelJutb, Plessoer: Die lxzeotriscbe Positioo des Keoscbeo, cit. p. 166. 134 Per quanto concerne il rapporto tra unità egologica e riflessione nel pensiero di Husserl, nelle Idee (Libro II, Appendice VII, p. 706 ed. it.) si legge: «Io "divento" oggetto per 1e stesso- oggetto di un aio renderai conto, ecc. Ma io sono oggetto per ae stesso soltanto in quanto ho un'"autocoscienza", anche quando non rifletto. Se non l'avessi non potrei ne11eno riflettere. Per questo ogni rendersi conto è preceduto per essenza da una coscienza costitutiva dell'oggettività in questione). E' interessante notare che la concezione plessneriana dell'unità del Selbst quale condizione della possibilità della differenziazione in sé dell'Io risale al 1918, e che pochi anni pri1a, nel 1914, Plessner seguiva le lezioni di Husserl, presso il quale si era recato spinto soprattutto dall'interesse per un «confronto del concetto di Io nelle Idee con quello di Fichte, {Selbstdarstelluog, P-GS l, p. 308). 135 Cfr. Stufeo (P-GS IV), p. 89. 136 Ma questo non significa altro che la riflessione - sottoforaa di Jediazione - è già inclusa in quell'unità. E non si può non pensare a Hegel: cl'iaaediatezza del sapere non solo non esclude la sua aediazione, aa l'una e l'altra sono cosi congiunte che il sapere iaaediato è perfino prodotto e risultato di quello aediato, (Enciclopedia delle scienze filosofiche, cit., J 66, p. 84). 137 Poiché la riflessione consegue necessaria1ente a questa unità e pone la reale identità dell'Io con sé stesso, il rapporto tra la «preistoria, e la cstoria, dell'autocoscienza (sono i teraini che usa Aseaissen per indicare la relazione di fondazione tra unità del Selbst e riflessione) non è affatto differente dal rapporto posto da Hegel tra riflessione ed iaJediatezza nel percorso logico dello sviluppo del concetto: «il riferi1ento a sé stesso nell'essenza è la foraa dell'identità, della riflessione io s~ questa ha preso qui il posto dell' i11ediatezza dell'essere: entraabe sono le stesse astrazioni del riferiaento a se stesso, (ivi, J 113, p. 124).

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dell'Io, è raggi~nto l'apice della possibilità di sviluppo

posizionale e la più elevata forma di soggettività: l'Io

costituisce infatti «il polo soggettivo non ulteriormente

oggettivabile»13s. Con l'Io è data la possibilità di

realizzazione di sempre nuovi atti di riflessione, la

possibilità di un regresso all'infinito dell'autocoscienza;

«un'ulteriore ascesa è impossibile, poiché la cosa vivente è

ora realmente giunta dietro di sé»139. In questo massimo

livello di riflessività il soggetto rivela la sua più autentica

duplicità: l'essere unità di se stesso e la dissoluzione di

essa.

Conditio humana

La posizione eccentrica «sbalza» l'uomo fuori di sé, lo

costringe a «vedere» il proprio «centro» e a constatare

l'esistenza dei limiti - talora differibili, ma non eliminabili

- imposti alle proprie capacità di sopravvivenza e alle

possibilità di intervento sul mondo e su se stesso. La

finitezza umana, nella concezione plessneriana, prende

consapevolezza di sé attraverso la riflessione e si proietta

nella «possibilità»- nella possibilità dell'infinito. L'uomo

eccentrico si rende conto in essa - nel darsi della

«possibilità»- di essere «sradicato» (wurzellos), di essere

privo di stabilità e certezze, e ne ricava la coscienza della

propria «nullità» - e insieme della nullità del mondo1 40 • La

riflessione sulla natura profondamente antilogica della vita

conduce Weizsacker alle medesime conclusioni: «nel salto - che

1 3 a Stufen (P-GS IV), p. 363. 1 3 9 Ibid. 140 Cfr. Stufen (P-GS IV), p. 419.

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eternamente precipita nell'abisso, o mantiene sospesi su di

esso- esistiamo nel nulla»141.

All'estremo, all'apice del proprio sviluppo, la dialettica

soggettiva approda al «negativo». E' già stato osservato come

nel pensiero di Plessner l'elemento di «rottura» (lo hiatus) -

l'equivalente del «salto» weizsackeriano - assuma un peso

preponderante nello schema del rapporto dialettico, ove il

motivo della «scissione» e dell'irriducibilità sempre più

accentuata dei termini in contrasto conferisce alla struttura

processuale organica un'inclinazione al «disequilibrio», alla

«disarmonia». Essa non rappresenta di per sé un'affermazione

del negativo, tuttavia prepara il terreno al dissidio estremo

del soggetto autocosciente, che nella «perdita» di sé trova il

vuoto spessore dell'inconsistenza. E d'altro canto è certo, nel

succedersi delle fasi di sviluppo biologico - nella dimensione

concreta dell'esistenza materiale - che l'organismo finisca

per incontrare la morte, un negativo «decisivo», non mediabile,

non «superabile»: il soggetto che si sofferma su questo dato,

non può sottrarsi al pensiero che «qui non si dà costruzione e

operazione a negativo; qui si vive e si muore ex nihilo»1 42 •

Inaugurando il sorgere della vita, il principio dialettico

la condanna all'inquietudine- un tema ricorrente negli scritti

weizsackeriani: «il fondamento più profondo dell'inquietudine

patica sta nel fatto che un vivente non è nella stasi; esso è

insieme se stesso e qualcosa che si modifica, quindi un'essenza

diveniente»143. Una certa coloritura «sentimentale»- sempre

più evidente negli scritti del secondo dopoguerra - è

costitutiva dell'atto biologico in quanto tale, rappresentando

proprio essa la radice «patica» della struttura esistenziale.

1u Begegnungen und lntscbeidungen (W~GS I), p. 372. 142 ibid. 143 ADODfll (V-GS VII), p. 53 (p. 183), trad. it. aod.

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L'immagine del Gestaltkreis non offre solo allo scienziato una

rappresentazione del rapporto neurofisiologico tra funzioni

organiche, essa costituisce propriamente una «direttiva per

l'esperienza del vivente»144: per tornare a se stesso, per

ritrovare se stesso esso deve invertire il senso di marcia,

deve tornare a guardarsi e cercare il proprio fondamento - un

fondamento che tuttavia non può trovare. Il principio della

«porta girevole» (il medesimo utilizzato nella descrizione del

rapporto percezione-movimento), determina l'inevitabile

occultamento di ciò da cui si distoglie lo sguardo, la fatale

esclusione di parte di sé e della stessa esistenza: «in ciò -

dice Weizsacker - esperiamo anche qualcosa sul fondamento

dell'inquietudine, che è chiaramente il fondamento della natura

contraddittoria della nostra esistenza: il fondamento di

entrambe- della contraddizione e dell'inquietudine- è

nell'ascosità reciproca delle nostre esistenze nel Gestaltkreis

[ ... ]lo si deve percorrere[- il Gestaltkreis -]e soffrire i

suoi contrasti in un continuo perder-di-vista (Aus-den-Augen­

Verlieren) e in un sempre nuovo perdere-effetto (Die-Wirkung­

Verlieren) al fine di ottenere qualcosa di nuovo»14 5 • La

ripetizione della «perdita» è condizione di possibilità del

«ritrovamento». Il soggetto per potersi autoidentificare deve

cedere alla «crisi» (di cui la malattia è espressione):

«l'essenziale della crisi non è solo il passaggio da un ordine

ad un'altro, ma il prezzo della continuità o identità del

soggetto»146. Essa produce un annullamento dello stato di cose

- l'autoestraneazione del soggetto- nella direzione di un

(momentaneo) ripristino della stabilità: «la crisi è un

transito dalla finitezza inquieta alla stabilità di una

1u ivi, p. 54 (p. 184), trad. it. aod. 1B ivi, p. 55 (p. 184), trad. it. IOd. 146 W-Der Oestaltkreis 1940, p. 171.

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finitezza, attraverso una trascendenza»147.

Allo stesso modo, l'eccentricità umana nella teoria di

Plessner conduce a trascendere il reale: il riconoscimento

della propria unicità, dell'individualità del mondo e del

«poter essere altro» svela all'uomo la casualità del suo

essere-qui-e-ora e lo costringe all'interrogazione sul

principio del mondo e dell'essere. La ricerca dell'assoluto­

di un «punto fermo» e di una «causa prima» - colloca l'uomo in

un «luogo utopico». In esso è la radice di ogni religione. «Le

rappresentazioni del divino - sostiene Plessner - cambiano con

quelle della spiritualità e dell'umanità. Una cosa resta

caratteristica di ogni religiosità: essa procura un

definitivum. Ciò che all'uomo non possono dare natura e

spirito, la cosa ultima- tanto è in gioco- lo dà essa. [ ... ]

Chi desideri una casa, una patria, chi voglia sentirsi al

sicuro, deve sacrificarsi alla fede»14s. Ma il contrasto è di

fatto insolubile. E poiché l'uomo non è mai là dove si trova,

anche il trascendimento viene sovente trasceso: «L'eccentricità

della sua forma vitale, il suo stare in-nessun-luogo, il suo

luogo utopico lo costringono a dirigersi verso il dubbio

dell'esistenza divina, contro il principio di un fondamento a

questo mondo, e dunque contro l'unità del mondo stesso»1 49.

Gli esiti del pensiero di Weizsacker assumono spesso una

connotazione mistica e la sua visione toni cupi, «dolorosi».

Nell'impossibilità di dare una risposta al quesito sul

fondamento viene visto un fallimento: l'emblema della perpetua

sconfitta dei più, della condizione debole dell'uomo, solo di

fronte al malelso. La ribellione - o il rifugio - è visto da

14 7 !bi d. 148 Stufen (P-GS IV), p. 420. l49 lvi, p, 424. 1so Cfr. Anony1a (V-GS VII), pp. 67-68 (p. 196).

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Weizsacker nell'esperienza di un amor fati di memoria

nietzscheana: altrettanto orgoglioso forse, ma meno «gioioso» e

«potente», destinato al perdente come sua unica speranza: «il

credente effettua questa esperienza come volontà divina e

grazia; il non credente come grande sofferenza personale»lsl.

Il concetto di vivente viene sostituito da Weizsacker con

quello di «monade»ls2. Nel suo nucleo sono individuabili un

principio di libertà153 e la radice della dimensione patico­

personale. Tra monadi può solo verificarsi un «incontro», può

cioè determinarsi un tipo di relazione ambiguo e polivalente

che lascia imprecisato se si tratti di un momento di unione o

di dissociazione, se esso coinvolga realmente l'altro o

riguardi solo se stessi, se sia casuale o necessario. Per

questa loro caratteristica sfuggente gli incontri tra monadi

sono detti «esperienze anonime»1S4. «L'incontro delle monadi­

dice Weizsacker - conduce al disturbo, il disturbo conduce alla

formazione-dell'Es (Es-Bildung)»lss. V'è in gioco sempre

qualcosa di esistenziale, un'essenza che si modifica nel dar

luogo all'elemento oggettivo (il costituirsi di un mondo) e

all'elemento soggettivo (il giudizio su di esso). L'uomo di

Plessner ~ meno «sofferente» e forse meno «rassegnato»

all'impero del pathos di quanto lo sia quello di Weizsacker­

non si muove in un circuito cosi strettamente vincolato

all'introiezione soggettiva: se la monade di Weizsacker può

incontrare un «tu» e determinare la formazione di un Es, la

posizionalità eccentrica riesce a conferire un significato

positivo all'impossibilità di variare la sua direzione

esistenziale e a dare all'individualità la consistenza del

1s1 lvi, p. 68 (p. 196}, trad. it. aod. 1s2 Cfr. ivi, p. 61 (p. 190). Il richiamo a Leibniz è esplicito. 153 Cfr. W-Kabrbeit und KabrnebJung, p. 170. 154 Cfr. AnonyJa (W-GS VII), pp. 63-64. (192·193}. 155 lvi, p. 61 (p. 190}.

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vivere sociale. L'io eccentrico è posto nella Mitwelt, dove

mediante l'esternazione del sentimento di solidarietà e la

manifestazione comportamentale, attraverso la rappresentanza ed

il principio di sostituibilità, realizza il superamento della

singolarità individuale con l'organizzazione del vivere

concreto in comunità e l'istituzione della società1 56 •

Ad una posizione come quella di Plessner, equilibratamente

razionale nella valutazione della scomoda posizione dell'uomo

nel mondo, una posizione non di distacco, ma di partecipazione

«teoretica» al destino umano, nell'ultimo Weizsacker si

sostituisce un evidente trasporto emotivo. Lo scienziato svolge

un ruolo umanitario alle prese con la discontinuità del suo

compito finito - scientia facit saltus - senza rinunciare alla

tensione verso un compito «impossibile». «Dicemmo - dichiara

Weizsacker - chi voglia comprendere la vita deve prendervi

parte. Diciamo però anche: chi voglia prendere parte alla vita

deve comprenderla»1S7. In tutta la sua antilogicità.

156 Stufen (P-GS IV), p. 422. Plessner si è dedicato a tolteplici studi di filosofia della politica e della teoria sociale: cfr. i voluti V e VI delle P-GS. 157 V-Der Gestaltkreis 1940, p. 175.

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bibliografia essenziale

QRere di Viktor v.on.....W.eizsiick..e.r

L'opera completa di V. von Weizsiicker è attualmente in corso di pubblicazione col titolo Gesammelte Schriften (W-GS) I-X, a cura di P. Achilles, D. Janz, M. Schrenk, C.F. von Weizsacker, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1986 sgg.:

I. Natur und Geist. Begegnungen und Entscheidungen, 1986

II. Empirie und Philosophie. Herzarbeit/Naturbegriff (non disponibile)

III. Wahrnehmen und Bewegen. Die Tatigkeit des Nervensystems, 1990

IV. Der Gestaltkreis. Theorie der Einheit von Wahrnehmen und Bewegen (non disponibile)

V. Der Arzt und der Kranke. Stucke einer medizinischen Anthropologie, 1987

VI. Korpergeschehen und Neurose. Psychosomatische Medizin, 1986

VII. Allgemeine Medizin. Grundfragen medizinischer Anthropologie, 1987

VIII. Soziale Krankheit und soziale Gesundung. Soziale Medizin, 1986

IX. Falle und Probleme. Klinische Vorstellungen, 1988

X. Pathosophie (non disponibile)

Weizsacker, v. von, Neovitalismus, «Logos» II (1911-1912), pp. 113-124

Id., Kritischer und spekulativer Naturbegriff, «Logos» IV (1916-1917), pp. 185-209

Id., Das Antilogische, «Psychologische Forschung» 3 (1923), pp. 295-318

Id., Ueber Gesinnungsvitalismus, «Klinische Wochenschrift» 2 (1923), pp. 30-33

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Id., Der Gestaltkreis, dargestellt als psychophysiologische Analyse des optischen Drehversuchs, «Pflugers Archiv fur die gesamte Physiologie des Menschen und der Tiere» 231 (1933), pp. 630-661

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Id. Am Anfang schuf Gott Himmel und Erde, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1954

Id., Pathosophie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 19561, 19672

Id., Filosofia della medicina, a cura di Th. Henkelmann, Milano, Guerini e Associati, 1990

Id., Menschenfuhrung. Nach ihren biologischen und metaphysischen Grundlagen betrachtet {W-GS V, con il titolo Seelenbehandlung und Seelenfuhrung), Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1955 {trad. it. Id., Biologia e metafisica. Istruzioni per la condotta umana, a cura di P.A. Masullo, Salerno, 10/17, 1987)

Auersperg, A von - Weizsacker, v. von, Zum Begriffswandel der Biologie, «Zeitschrift fur die gesamten Naturwissenschaften» I (1935), pp. 316-322

Christian, P. - Weizsacker, v. von, Ueber das Sehen figurierter Bewegungen von Lichtpunkten, «Zeitschrift fur Sinnesphysiologie» 70 (1943), pp. 30-51

Weizsacker, v. von - Wyss, D, Zwischen Medizin und Philosophie, Gottingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1957

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Op~e di Helmuth Plessner

I principali scritti di Helmuth Plessner si trovano raccolti in Gesammelte Schriften (P-GS) I-X, a cura di G. Dux, O. Marquard e E. Stroker, con la collaborazione di R. w. Schmidt, A. Wetterer e M. J. Zemlin, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1980-1985:

I. Fruhe philosophische Schriften 1, 1980

II. Fruhe philosophische Schriften 2, 1981

III. Anthropologie der Sinne, 1980

IV. Die Stufen des Organischen und der Mensch, 1981

V. Macht und menschliche Natur, 1981

VI. Die verspatete Nation, 1982

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