Ci sono esperienze di morte che avvengono prima di morire ...

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Ci sono esperienze di morte che avvengono prima di morire: gente piegata, umiliata, schiavizzata. Ci sono piccole risurrezioni che possono anticipare, quale caparra e primizia, la risurrezione finale. Ogni volta che l’evangelo è annunziato come esperienza che rimette in piedi, che solleva chi è abbattuto; ogni volta che un credente tende la sua mano per aiutare chi è più debole a risollevarsi: lì avviene una risurrezione, si spande un profumo soave più forte della morte. (Lidia Maggi, L’Evangelo delle Donne, Figure femminili nel Nuovo Testamento)

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Ci sono esperienze di morte che avvengono prima di morire: gente piegata, umiliata, schiavizzata. Ci sono piccole risurrezioni che possono anticipare, quale caparra e primizia, la risurrezione finale. Ogni volta che l’evangelo è annunziato come esperienza che rimette in piedi, che solleva chi è abbattuto; ogni volta che un credente tende la sua mano per aiutare chi è più debole a risollevarsi: lì avviene una risurrezione, si spande un profumo soave più forte della morte. (Lidia Maggi,

L’Evangelo delle Donne, Figure femminili nel Nuovo Testamento)

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Un’immagine… per dire un impegno:

sognare, progettare, costruire insieme…

mettersi in gioco…

incontrare se stessi, gli altri, l’Altro!

Ecco in sintesi il

Progetto Educativo per l’Anno Accademico 2011/12!

Le tappe già vissute:

- festa di inizio anno accademico (ottobre)

- …per imparare a pregare (da ottobre a dicembre)

- …in gita a… per riscoprire il gusto dell’amicizia!

- …“Un povero, mio Amico”: martedì in stazione con gli amici poveri!

- Natale in festa: Celebrazione, cenone, tombolata, mercatino solidale!

- Prossimamente “Dorotea, una donna per oggi” incontro e proposta missionaria.

Silvia, Francesca Balocco e Francesca D’Angelo ssd

Prof. Marcello Neri

Professore invitato e ricercatore del Dipartimento di Teologia Fondamentale

dell’Università di Graz (Austria) Prof. Klaus Müller Docente di questioni filosofiche nella Teologia e Preside della Facoltà Teologica Cattolica di Münster (Germania)

RIPORTIAMO L’INTRODUZIONE

DI SR. FRANCESCA BALOCCO

CHE HA DATO AVVIO ALLA SERATA

PRIMA DI LASCIARE SPAZIO AI RELATORI

“Scritto sul corpo c’è un codice segreto, visibile solo in certe condizioni di luce: quello che si è accumulato nel corso della vita si ritrova lì. In certe parti il palinsesto è

inciso con forza tale che le lettere si possono sentire al tatto…”

(Janette Winterson, Scritto sul corpo, Piccola Biblioteca Mondatori, 2010, 92).

Il corpo è evidente, l’esistenza stessa è esposizione del corpo: spazio occupato, posizione assun-

ta, luogo di inciampo e pietra angolare… curato e trascurato, accolto e dimenticato, unificato e

scisso… il nostro essere vivi è possibile solo a partire dalla corporeità.

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Ma il corpo non è un incidente di percorso, un’aggiunta alla vita, è la condizione stessa della

possibilità della vita, è ciò che consente ad ogni essere umano di esserci, di essere presente, di essere

nel presente, nell’attualità di ciò che accade.

Il corpo è quindi l’espressione delle potenzialità e delle risorse del vivere umano, è con-tatto; il

nostro corpo è toccato prima che pensato e le nostre esperienze sono costituite da un sentire che è

prima di un riflettere, il corpo è immediatezza dell’esperienza, è esposizione a me stesso e al mon-

do, è il gesto stesso del toccare.

È il posizionamento della nostra vita nell’esistenza, attraverso i gesti e il movimento o l’immo-

bilità…

Perché il corpo, non è solo risorsa ma è anche limite, singolarità, finitudine, mortalità; il corpo,

presenza discreta e dimenticata nella sanità, che diventa dolorosa memoria nella malattia…

Il corpo è il nostro confine, ci costringe alla realtà, ad un qui e ora che non è un ovunque e per

sempre; il nostro corpo ci obbliga a decidere di essere qui e non altrove, ci costringe al rischio di

scegliere tra i molteplici possibili, ci costringe alla rinuncia del tutto desiderato da immaginare a fa-

vore della concretezza da vivere.

Dalla nascita, il nostro corpo, è anche un corpo ferito, che porta il segno del primo distacco,

una prima ferita alla quale se ne aggiungeranno altre che segnano il percorso di un corpo che assu-

me storia e carne, che abbandona l’immaginario e si posizione nella realtà.

Questo distaccamento, avvenuto certamente alla nascita, continua a proporsi di fronte ad ogni

dolorosa assunzione della realtà, di fronte ad ogni avvenimento che nella nostra vita non può essere

ignorato.

La storia di ogni uomo, di qualunque uomo, quella che resta, quella che si passa e che si tra-

smette, non è parallela, o invisibile rispetto alla vita vissuta, ma resta proprio ciò che porta il segno

degli eventi vissuti nella carne, ferite del distacco, della perdita e della mancanza.

L’assunzione della realtà è un impatto, che ferisce, ma è la condizione necessaria per dare con-

tinuamente avvio, ogni volta e ogni volta più profondamente, a quel processo, sigillato dalle cicatri-

ci, che chiamiamo incarnazione.

L’incarnazione della parola è un processo avviato alla nascita, ma non accaduto, finito e chiuso

in quel preciso momento, l’incarnazione acquista lo spessore della carne nella concretezza e nella

consapevolezza che si dischiude ad ogni impatto col reale.

Come ogni nascita, anche la nascita del Figlio di Dio è una passione, non solo perché è fisiolo-

gicamente un passaggio, ma anche perché nell’assumere carne e corpo, Dio da infinito si è fatto

finito, da eterno è entrato nel tempo, da immortale è diventato mortale, da inafferrabile si è fatto

afferrare e inchiodare, da ricco è diventato povero, da invisibile è diventato visibile.

All’inizio la Parola stava di fronte a Dio, poi la Parola è diventata carne (Gv 1, 1.14).

Per noi non è possibile pensare Dio senza entrare in con-tatto con la Sua carne, nel corpo di

Gesù di Nazareth Dio si è fatto disponibile a essere toccato, accarezzato, ferito; in Gesù, Dio si offre

come pro-vocazione alla ricerca e domanda di senso dell’essere umano, come riferimento e ricono-

scimento del senso teologale del corpo stesso, del nascere, del vivere e del morire.

È Dio stesso che riconosce il corpo degno di Lui ma soprattutto riconosce per sempre se stesso

come corpo, la sua scelta è lo spaesamento di essere corpo tra i corpi, presente lì dove vive l’uomo.

Troviamo Dio nel corpo perché è lì che desidera essere.

Il Dio cristiano può essere ferito, ma la ferita si trasforma in pertugio per l’ingresso anche in Dio

stesso della sensibilità e del godimento.

Per noi come per Dio non esiste la possibilità del piacere se non attraversando il rischio della fe-

rita, il Dio cristiano non è il Dio della sicurezza ma del desiderio infinito di sentire entrando in con-

tatto, desiderio infinito di restituire dignità alla carne ferita e mortale.

Il desiderio per questa serata non è di offrire risposte, ma al massimo di suscitare domande e di

aprire la possibilità, anche se percepita lontana e remota, di concederci la sensibile piacevolezza del

limite inscritto nel nostro corpo.

Un desiderio e un augurio: che al termine di questa serata ciascuno possa tornare a casa con la

consapevolezza di essere felicemente limitato.

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Storie di donne e Storia della salvezza.

La storia di una donna e la storia della salvezza

offerta ad un intero popolo e alle generazioni future.

Da sempre si racconta la capacità delle donne di

far perdere la testa agli uomini ma Giuditta mette in

pratica alla lettera questa saggezza popolare: fa perde-

re la testa ad Oloferne, con due colpi di scimitarra.

Oloferne, capo delle fila nemiche, che ha avuto la

malaugurata idea di mettersi contro Israele, il popolo

di Giuditta, contro i suoi deboli, contro i suoi poveri

(16, 11).

Di fronte all’incapacità di reazione degli Israeliti,

paralizzati dalla paura, dall’oppressione e dal dominio

del nemico, Giuditta si mostra capace, non solo di

restare in piedi, ma anche di esporsi in tutta la sua

bellezza e di agire con tutta la forza di cui è capace

(13, 8).

Un unico obiettivo, scritto da sempre nel corpo di

ogni donna: generare, custodire e far crescere la vita

fino a difenderla, anche con la forza, quando in gioco

ci sono la sopravvivenza e la salvezza di ciò che è ge-

nerato.

Giuditta, nome che significa giudea, ci mostra che la storia non è solo opera dei grandi.

Questa donna, nella quale ogni donna può e deve avere il coraggio di riconoscersi, nasce e vive

dentro un popolo, freme e agisce a suo favore, lo libera dal suo nemico e ci aiuta a credere che la

storia, pur registrando le imprese dei grandi, si snoda in un quotidiano, in una anonima ferialità.

Le gesta eroiche sono precedute e seguite dalla quotidianità offrendo il doppio volto della sto-

ria: tempi straordinari, segnati dalle azioni eroiche e giorni ordinari che scorrono nelle anonime

vicende dei piccoli del popolo. La straordinaria salvezza di Dio si serve delle azioni degli uomini

feriali e anonimi, anzi, si mescola con esse, senza scandalizzarsi e senza confondersi.

In questa umanità fiera e brutalmente violenta la vittoria del popolo è posta nelle mani e

nell’azione di una donna, ma la vittoria è solo del Signore, nella sua azione vivificante e liberatrice.

Una donna porta a compimento il desiderio di vita e di salvezza di Dio; la forza di Dio ha bi-

sogno del sostegno della debolezza di una donna. L’arma e la risorsa di Giuditta è la sua bellezza, il

suo corpo; un corpo che, dopo aver sconfitto il nemico, danza e canta, mettendosi a capo di un

popolo fatto non solo di uomini, ma anche di donne, e con il suo canto aiuta a cantare i deboli, chi

direttamente non era sceso in guerra ma ugualmente aveva conosciuto l’oppressione.

Ora, il popolo, che può cantare la sua liberazione, ritrova l’agilità, la forza e la gioia della dan-

za, che esige il coraggio dello sbilanciamento, la perdita dell’immobilità, di un equilibrio paralizzan-

te e rassicurante, per affidarsi al rischio di un passo che non trascina in una caduta ma spinge verso la

risalita, un passo che è una corsa carica di un annuncio di salvezza e di gratitudine.

Il compito di Giuditta, e con lei di ogni donna che vive in mezzo al popolo e dentro la storia, è

di aiutare il popolo ad avere il coraggio e la forza di rivolgere la parola e di sciogliere i propri sen-

timenti davanti al Dio che libera, al Dio che dà Vita, al Dio che dà vittoria.

Spesso le donne appaiono come la riserva privilegiata del Signore per rivelare la sua salvezza, la

loro debolezza è il luogo in cui la sapienza di Dio trova il modo di far trionfare la Sua potenza.

Quando la storia del popolo sembra costretta a fermarsi, quando il male sembra essere più for-

te della fiducia in Dio, ecco che una donna si alza, con coraggio e intraprendenza per ricordare, a

tutti e a ciascuno, la potenza di Dio e in nome di questa potenza ritrovare, insieme a loro, la forza

di rimettersi in cammino (14, 1s), disposta ad esporsi nel proprio corpo e a consegnarsi in tutta quan-

ta la sua vita.

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Giuditta ha mostrato che Dio si prende cura del suo popolo e lo ha fatto attraverso la natura-

lezza di ciò che le appartiene: la bellezza del corpo. Una donna che in nome di Dio e del suo popo-

lo trova la forza e l’audacia di restituire bellezza a quel corpo che porta i segni delle ferite della vita,

esaltando la bellezza presente ma rimasta nascosta per anni sotto il peso del dolore e della sofferen-

za; nel caso di Giuditta del lutto e della vedovanza (16, 7-9).

Giuditta è la prima ad essere salvata in questa storia, salvata dalla sua stessa bellezza, salvata at-

traverso il coraggio di mostrarsi nello splendore del volto e del corpo. Primogenita di schiere di

donne portatrici inconsapevoli di una bellezza a lungo nascosta e talvolta sfigurata, che grazie a lei

possono trovare la capacità di restituire dignità alla propria vita e al proprio corpo e di mostrarsi

nella fierezza del loro splendore.

Non è sufficiente una liberazione per mano di donna, è necessaria la liberazione per mano di

una bella donna, perché la speranza di percorrere la via della Vita chiede di fondare la sua forza

nella certezza che Dio ridonerà dignità alla bellezza umana ferita. E la bellezza di Giuditta continue-

rà anche dopo la sua morte a liberare il popolo dalla paura della debolezza (16, 25).

Sarebbe fin troppo facile, per quella parte benpensante di noi giudicare inaccettabile il compor-

tamento di una donna che seduce, che inganna, che usa il suo corpo come strumento di conquista e

che infine uccide; troppo facile se in noi non si levasse anche il grido dei deboli, dei poveri, di chi

vede violati i suoi diritti, di chi è ridotto alla fame e alla sete dall’ossessione di dominio del potente

di turno.

Troppo facile giudicare, per chi pensa che l’umanità si possa dividere in buoni e cattivi, nell’illu-

sione di trovarsi dalla parte giusta; troppo facile se non fosse per Giuditta che ci riporta al realismo

della vita, che ci mostra come in ognuno ci sia la complessa ambiguità di forza e debolezza, bellezza

e violenza.

La trama della vita non si risolve, fortunatamente, in modo così semplicistico separando i buoni

dai cattivi ma è necessario lo Spirito di Dio per discernere che il Dio della Vita è il vero liberatore,

che sconvolge le vie umane di pensare e di agire e che non è insensibile al grido del Suo popolo, e

allo stesso tempo scoprire che il Suo modo di agire è all’insegna della sorpresa e dello stupore, fino

ad essere scandalo, inciampo, per chi vorrebbe un Dio che agisce, libera e salva al di fuori della sto-

ria, della vita, della debolezza e della bellezza delle donne e degli uomini che con i loro corpi la

scrivono.

Francesca Balocco ssd

Pubblicato in: “Messaggero Cappuccino", n° 06 giugno-luglio 2011

In portineria si possono fare molte cose: aprire e chiudere la porta, rispondere più o meno garbatamente al telefono, accogliere col sorriso o distrattamente le persone, tentare di studiare o lavorare, pregare a in-termittenza, leggere per passare il tempo o per aprire una finestra e far entrare il mondo…

Tempo fa scorrendo il blog [il termine blog è la con-trazione di web-log, ovvero "diario in rete"] di VITA, un quotidiano online, mi sono imbattuta in un articolo di

fondo, la cui attualità è indubbia.

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DA COMMUNITAS

di Marco Dotti

HADJADJ, L’IMMIGRAZIONE, LA DOPPIA ASSENZA DELL’EUROPA

Un dramma, non un problema.

Fabrice Hadjadj sintetizza così, senza ba-

nalizzarla, la “ferita aperta” di una questione

che l’Europa non sembra più in grado di co-

gliere. Nemmeno con la forza – che, a parole,

sarebbe a “sua” forza – dei numeri.

Di altre “forze” (Tripoli insegna), meglio

non parlare. Questione comunque aperta,

doppia, ambivalente, quella dell’immigrazio-

ne. Da intendere come fatto sociale totale.

Perché parlare dell’immigrazione è parlare

della società nel suo insieme, delle sue struttu-

re, della sua storia, del suo “funzionamento”. Parlare, certo, ma al tempo stesso porsi domande sul

soggetto che quelle istituzioni le abita e, fino a prova contraria, le fonda. Significa interrogarsi sul

loro, con parola oramai fuori moda, destino. E del destino di migliaia di uomini e donne che giorno

dopo giorno patiscono e incarnano un “dramma” – ha ragione Hadjadj – non un “problema”.

I “problemi” chiamano soluzioni. I “drammi”: attenzione, dialogo. Rispetto.

In una bella intervista con Alessandra Stoppa, Hadjadj pone alcune contro-domande proprio su

questa storia, su queste strutture, sulle meccaniche di assimilazione o rimozione di questo “dramma”

ridotto a “problema” igienico, merceologico, persino ambientale. E sul destino dei “soggetti”, persino

sulle loro storie, nell’epoca che doveva essere della fine del Soggetto e della Storia.

Limitiamoci a quella che lo stesso Hadjadj definisce la questione fondamentale.

Cerchiamo quindi di farne “luogo comune” , tralasciando per ora gli appunti critici ad altre parti

del discorso del filosofo e teologo francese. Osserva dunque Hadjadj:

«Pensare unicamente all’immigrazione senza riflettere sull’emigrazione è come pretendere di ar-

restare un’emorragia con dei pannicelli, quando occorrerebbe suturare la ferita. Ancor più, significa

non considerare l’immigrato nel contesto della sua storia particolare. E ridurlo, di conseguenza, a

un’entità astratta, sulla quale può convergere qualunque compassione come qualunque odio. Sia egli

oggetto di compassione o di odio, resta sempre un oggetto, qualcosa su cui proiettiamo i nostri desi-

deri o le nostre paure, e non un soggetto, una persona responsabile con la quale entrare in dialogo».

[da Tracce, n. 5, 2011]

Fabrice Hadjadj tocca qui dei nodi irrisolti, irrisolti proprio perché “drammatici”, non “proble-

matici”, della questione.

Sintetizzando:

Punto 1).

Non si può pensare all’immigrazione, senza pensare all’emigrazione. Ciò che in un luogo o in

una società si definisce – fosse anche come “problema” – immigrazione, altrove è chiamato emigra-

zione. Sono due lati di una stessa medaglia. Sembra banale, ma è purtroppo sulla considerazione

asimmetrica dell’uno o dell’altro lato che derivano gli altri punti.

Punto 2).

L’immigrato, proprio perché non è visto “anche” come emigrato, è un uomo senza storia e senza

un vissuto di radicamento-sradicamento personale, famigliare, sociale, storico, culturale.

Punto 3).

L’immigrato è dunque un’entità astratta, sulla quale far scivolare una compassione liquida o un

odio altrettanto indifferenziato. Qualsiasi compassione e qualsiasi odio.

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Punto 4).

Se gli immigrati sono oggetto, è quasi logico che vengano trattati secondo principi e tecniche

della logistica: spostati da un campo all’altro, stoccati come merci parzialmente deperibili, stipati in

convogli che di umanitario hanno solo il nome e, nel caso siano eccessivamente “avariati”, rispediti al

mittente. Solo che non c’è un mittente. Ma attenzione: non c’è nemmeno più un porto di partenza,

mentre quello d’arrivo sta diventando incerto. Tunisia? Egitto? Algeria? Libia? Che ne è o ne sarà di

quella che negli scenari Usa viene definita con spregio improntato a nostrane abitudini culinarie ”cin-

tura dell’aglio” (“garlic Belt”) dell’Eurafrica mediterranea? E qui noi, per abitudine e cultura portati a

credere che una Itaca sia sempre non solo dietro, ma anche davanti ai nostri remi, in attesa del nostro

ritorno, dobbiamo fare i conti con una costante finora sottovalutata della globalizzazione: l’erosione

degli spazi, anche quelli simbolici e di dialogo.

I movimenti cinetici degli ultimi mesi ci hanno svelato l’esistenza, consegnandocene l’immagine,

di moltitudini senza approdo. Uomini e donne si muovono da un paese all’altro cercando un futuro

(emigrazione-immigrazione) o da una piazza all’altra piangendo per la mancanza di futuro (gli indi-

gnados di Madrid o Atene), dentro e fuori l’Europa. Eppure quelle piazze non sono più piazze. E forse

l’Europa non è più l’Europa. O, più banalmente, questa Europa ora nemmeno simbolicamente c’è

più. Doppiamente assente, come struttura e come soggetto. Come “cultura”.

Ma cosa chiedono, immigrati e giovani, sui barconi o nell’Atene di piazza Syntagma se non di es-

sere qualcosa di più, che semplici oggetti senza storia, vissuto, culture che “questa Europa vorrebbe

semplicemente stoccare qui o altrove, accorgendosi però di avere i depositi pieni?

Saprà mentirci, l’Europa delle merci e dei mercanti, parlando loro coinvolgendoli, e non trattan-

doli semplicemente come indifferenziate categorie buone per il lamento, l’indignazione, la retorica o

il rimpianto? Chissà.

Per ora, la questione è posta.

La questione, non il problema.

La lettura di questo articolo ha messo in moto alcune riflessioni e mi è venuto spontaneo acco-

stare il testo con le Costituzioni in cui è descritta la nostra vocazione di educatrici.

Prendiamo parte alla missione di Gesù Cristo… il nostro servizio alla crescita inte-grale dell’uomo… in un mondo diviso dal peccato e agitato da molteplici aspirazio-ni… manteniamo vivo lo spirito per discernere l’azione di Dio nella Storia e collabo-rare con essa in ogni situazione concreta. (Cost. 5)

Discernere e collaborare “con l’azione di Dio nella storia in ogni situazione concreta”.

Certamente l’azione di Dio va nella linea dell’accoglienza. E l’accoglienza è una cosa concreta,

molto concreta. Fatta di cose quotidiane

come ci racconta Gen 18, 1-15: acqua e

catino per lavare i piedi dell’ospite; fior di

farina, acqua e mani che impastano; panna,

latte fresco e carne di vitello sacrificato per

l’ospite, forestiero, sconosciuto, inatteso,

venuto in un’ora inopportuna.

Lo straniero, anzi ben tre stranieri,

troppi per una famiglia di nomadi del de-

serto. Troppi, come gli stranieri del Mare

Nostrum, troppi per un’isola come Lampe-

dusa, troppi per una comunità, troppi per

una nazione come l’Italia?

Troppi anche per noi?

Forse vale la pena ricordare che pro-

prio accogliendo i tre viandanti Abramo ha

incontrato il Dio vivente e insieme a Sara ha vissuto l’esperienza di una relazione ritrovata e… fe-

conda!

Non sarà che la nostra fecondità passa per l’accoglienza?

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… inviate a evangelizzare attraverso l’Educazione, preferendo i giovani e i più poveri. (Cost. 26)

Quando si parla di giovani la fascia etaria di riferimento è molto variabile secondo il contesto

di riferimento.

Se si tratta di convenzioni economiche si arriva massimo ai 26 anni.

Se si parla di concorsi per giovani laureati non si va oltre i 28.

Se ci si riferisce a proposte di attività socio-culturali anche i 30enni ci rientrano.

Se ci troviamo in parrocchia o nelle associazioni le proposte coinvolgono anche chi raggiunge i

35. Se poi parliamo di religiosi/e anche dopo i 40 si è tranquillamente giovani… per la vita eterna!

Insomma viviamo in una società che vuole a tutti i costi essere, sentirsi e soprattutto sembrare

giovane…

Gli unici che non riusciamo a chiamare giovani sono proprio le centinaia di ragazzi dai 15 ai 25

anni che approdano alle coste della nostra solidarietà, sognando di incontrare uno sguardo amico e

mani che stringano relazioni di fraternità.

Come Dorotea, chiamata per natura e per grazia a preferire “i giovani e più poveri” mi sento

provocata a passare dalle parole ai fatti di fronte a questi giovani, a questi nuovi poveri.

Un abbraccio a tutte le Dorotee, donne che amano e si prendono cura della vita…

Silvia ssd

La festa di S. Dorotea in collegio a Bologna è ormai una con-

suetudine. Ma quest’anno abbiamo avuto una guest star d’eccezio-

ne: direttamente dall’Albania Sr. Tina ha dato la sua testimonianza

di vita missionaria. La serata in onore della patrona dell’ordine

fondato da S. Paola Frassinetti ha avuto inizio in cappella con il

racconto della vita di questa giovane martire Dorotea (Dono di

Dio) che preferisce morire ed incontrare il suo Sposo Divino piutto-

sto che rinnegare la fede in Cristo.

È patrona dei fiorai e dei fruttivendoli ma soprattutto è un

esempio di Amicizia. Un modello di relazioni vere. La conversione

delle sue amiche Crista e Callista e del

giovane Teofilo (Amante di Dio)

sono i frutti della sua fede in Cristo e

di un’umanità ricca.

L’incontro è poi proseguito nella

“sala del mare” dove Sr. Tina ha ri-

cordato con noi le sue esperienze di

Dorotea e la sua affascinante vita in

terra albanese.

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L’aiuto ed il supporto che viene quotidianamente dato alle giovani di quel paese passa dalle

piccole cose a quelle più grandi, dall’aiuto economico per continuare gli studi alla formazione uma-

na fatta di contenuti e soprattutto di presenza amicale.

Alla scuola di Dorotea!

L’essere donna in quella terra è difficilissimo.

Il contributo delle Suore in Albania si fonda sulla trasmissione dei valori cristiani ad un popolo

che era dichiarato con fierezza dai suoi dittatori “popolo senza Dio”.

Il filo rosso che collega il lavoro delle Suore Dorotee e Santa Dorotea è l’amicizia.

L’instaurazione di relazioni vere con queste ragazze, anche se con fatica, porta molto frutto.

Fiori e frutta… profumano!

È stata questa l’idea della Comunità dorotea di Bologna mentre pensava ad un segno da regala-

re per la festa.

Su un grande tavolo erano disposti tanti saponi con fragranze alla frutta e fiori ed un grande ce-

sto con tante pergamene con una frase sull’amicizia.

Per concludere la serata in bellezza alcuni vassoi di “rose del deserto”, buonissimi biscotti frutto

dell’arte culinaria della comunità…

Con spirito di semplicità ed armonia in compagnia delle Suore Dorotee, delle studentesse del

collegio e di tanti amici di santa Paola Frassinetti e della Comunità si è conclusa una serata speciale

in cui abbiamo gustato la bellezza di legami semplici e veri che hanno il loro fondamento nella fede

in Gesù.

Francesca Frattura

Festeggiamo Santa Dorotea insieme alle Suore Dorotee di Vicenza (fondate dal Beato Giovanni

Antonio Farina, Vescovo), che risiedono nel quartiere della Certosa, a Rivarolo, e dirigono la Scuola

dell’Infanzia e Primaria Parrocchiale.

Sono state invitate a venire in casa nostra nel pomeriggio.

Festosa e cordiale l’accoglienza nell’atrio dove risalta il quadro di Santa Dorotea.

Ci fanno dono di una immagine della Santa che riporta una bella preghiera che recitiamo in-

sieme dopo i Vespri.

Non manca un momento di festa nella sala di Comunità dove è preparato un dolce ristoro.

Ed ecco un canto – che riportiamo – accompagnato da due chitarre, coinvolge festosamente

tutta l’assemblea.

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Sul motivo: La storia dei gobboni

Di Santa Dorotea memoria qui facciamo,

è un esempio di virtù e di fede che ammiriamo.

Il Conte Luca Passi con gran zelo divulgò

la sua Opera speciale che alla Santa si ispirò.

Rit. E così nel ‘36 al Farina la consegnò

e a Paola Frassinetti nel ’38 l’affidò.

Per garantirne allora l’originalità,

le Maestre Dorotee son nate qua e là.

Ai giovani la fede dobbiam comunicare.

e autentici valori in essi risvegliare

Il compito che abbiamo è faticoso, lo sappiam.

Il Signor non ci abbandona, in Lui solo confidiam. Rit.

E l’Opera interpella gli adulti in verità,

per essere cristiani buon esempio devon dar

al mondo giovanile che il Vangelo cambierà

per una vita nuova che in futuro fiorirà. Rit.

Ed ora ringraziamo Iddio di gran cuore

è bella la missione che ci affida il Suo Amore.

Il canto di Maria che eleviamo con ardor:

ravvivi il nostro zelo per il Regno del Signor. Rit.

Nella sala di Comunità ci intratteniamo scambiandoci le esperienze del nostro apostolato con i

giovani: momento di cordiale fraternità e di gioia mentre si consumano i dolcetti preparati con tan-

to gusto….

Sono con noi alcune nostre sorelle della casa di Al-

baro.

Lo scambio dei doni è veramente piacevole perché

richiama il significato della festa.

È un’esperienza di un Carisma educativo che ha

una storia provvidenziale.

Nello stesso tempo ci sentiamo ripetere che, oltre a

condividere le attese del nostro lavoro, si rafforzano i

vincoli di unità nell’affrontare le sfide educative che ci

presenta la gioventù odierna.

Diamo gloria al Signore

che tutto dispone

per l’avvento del Suo Regno.

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Partono notizie da Rivarolo

per il Giornalino di Provincia.

È iniziato l’Anno Scolastico

e così si ricomincia.

Per narrare varie iniziative

non ci sta male la fantasia:…

sono versi un po’ alla buona

che rasentano la poesia…

Ecco, alla Guardia per pregare

fiduciosi lassù tutti vanno.

Con amore li attende Maria.

È l’8 ottobre di quest’anno.

Dopo la Messa nel Santuario

si gusta con piacere un buon panino.

La gioia e l’allegria sono alle stelle…

Si ritorna soddisfatti col pulmino.

Ci sono momenti di riflessione

perché arriva l’Avvento,

che richiede serio impegno

per il suo approfondimento.

Gli alunni della Primaria seguono un percorso originale in quattro tappe, guidato da

Don Andrea che li aiuta a conoscere meglio il periodo che si sta vivendo.

Quanta gioia nel sentire risuonare nella scuola

vari canti natalizi...

Ci si prepara al Natale!

Con entusiasmo il coro che si è formato nella

Scuola Primaria si e-

sibisce in varie occa-

sioni:

in un incontro

organizzato da alcu-

ni Musicisti del Tea-

tro Carlo Felice di Genova, per presentare gli auguri di

Natale alle famiglie e per rallegrare gli ospiti di una casa di

riposo.

Un clima piacevole si avverte all’entrata: un sottofondo

musicale e luci diffuse avvolgono il Mistero Natalizio situa-

to ai piedi della “Lanterna” situata nell’atrio.

Si sosta volentieri…per poi entrare in Cappella, sempre

aperta, dove si può trovare in “briciole” la Parola di Dio.

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Il Sacerdote, Docenti e ragazzi invita

a vivere l’Avvento con fede nella vita.

Allestiti per le Missioni

un mercatino e una Lotteria,

sono accorsi numerosi

grandi, piccoli e così via…

La Scuola dell’Infanzia

fa la festa dell’accoglienza.

Bambini e Genitori

fanno mutua conoscenza.

Si fa piacevole amicizia,

c’è tanta gioia intorno,

ci si diverte tutti insieme.

Come è bello questo giorno!

I bambini si preparano

al Natale imminente

con poesie e canzoncine

ripetute continuamente.

Sono proprio assai contenti,

in Teatro reciteranno

e gli auguri ai genitori

con affetto presenteranno.

Originale è il Presepio,

costruito su di un albero,

il cui significato ha attinenza

con la programmazione annuale

Non manca Babbo Natale

a fare un po’ di festa

Si divertono i bambini,

tanta gioia si ridesta.

Ecco, arriva la Befana

che riserva i regalini

a chi ritorna dalle vacanze,

a tutti i nostri bambini

Ed ecco i bimbi sono ritornati

e si fa una grande festa.

Con sorprese e giochi vari

grande gioia si ridesta.

Speriamo che non vi abbia annoiato

la lettura di questa relazione.

Vi è piaciuta? Forse no!

Che peccato! Che delusione!

Amen! Alleluia!

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Martedì 28 Febbraio, alla Scuola Santa Dorotea di Casalgrande, si è svolta una serata di forma-

zione dal titolo: “La pedagogia di Santa Paola. Un passato attuale”, tenuta da Sr. Silvia.

La serata è stata rivolta oltre a tutto il corpo docente, anche a tutti i genitori della scuola, che

hanno risposto in modo presente, partecipe e interessato, riportando anche nei giorni successivi

entusiasmo in merito all'iniziativa.

Tutti i giorni i ragazzi che frequentano le nostre scuole vivono, insieme a noi, la pedagogia di

Santa Paola e vorremmo che anche i genitori entrassero a far parte di questo cammino formativo,

umano e spirituale, per essere sempre più corpo nel trasmettere i valori che sono alla base dell’edu-

cazione della nostra scuola”.

Grande successo per il debutto della compagnia teatrale:

“Officina delle fiabe (cercansi meccanici)”

Chi ha detto che un asilo è solo un luogo dove “parcheggiare” i figli mentre i genitori lavora-

no? Non certo i padri e le madri degli alunni della scuola Santa Dorotea di Casalgrande.

Infatti domenica 4 marzo alle 15:30 e alle 18:30 al Teatro Don Milani di Casalgrande è andato

in scena lo spettacolo “Polvere di Stelle”, prima teatrale della compagnia amatoriale “Officina delle

Fiabe (cercansi meccanici)”.

Le registe Ilaria Guidotti e Valentina Mu-

sco, Maestre della Scuola, hanno messo in

scena un divertente spettacolo per bambini

dai 3 ai 10 anni, riuscendo magistralmente a

dirigere e saggiamente frenare gli esuberanti

attori.

La compagnia nasce circa nel marzo 2010

tra le pareti della scuola Santa Dorotea di

Casalgrande, grazie a un gruppo di genitori, di

alunni ed ex-alunni, legati da un grande amo-

re per la scuola e dalla voglia di divertirsi e far

divertire.

Mamme e papà che si sono avvicinati al mondo del teatro senza paure e timori mettendosi in

gioco in ruoli bizzarri e lontani dal “loro sé”, cercando di lasciare un segno e mantenere vivi i sogni

dei piccoli spettatori.

Nonostante sia narrata una storia propinata ai bambini di tre generazioni in tutte le salse e va-

rianti, questo spettacolo è riuscito nell’intento di sorprendere e divertire i numerosi spettatori grandi

e piccini.

I bambini sono rimasti incantati seguendo con attenzione i dialoghi, ridendo e applaudendo a

scena aperta le performance degli attori.

Uno spettacolo curato nei più piccoli particolari, la scenografia, i costumi, le canzoni musicate e

cantate rigorosamente dal vivo e l’espressività teatrale degli attori hanno contribuito al successo e

sono proprio i commenti dei bambini dopo lo spettacolo che lo legittimano.

Una bambina si avvicina a Tantino e con aria timida e sognante e gli dice:

“Vorrei darti un bacino”; oppure:

“Mamma lo voglio rivedere, compra i biglietti per il prossimo spettacolo!”;

“Giglio tigrato posso fare una foto con te?”; “Come sei bella Trilly!”;

“Spugna sei il più divertente!”; “Peter, Uncino, siete proprio forti!”.

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L’intero incasso dello spettacolo, tolte le spese affrontate per la prima realizzazione, è stato in-

teramente devoluto alla Scuola Santa

Dorotea di Casalgrande Alto, perché

crediamo fortemente nell’idea educa-

tiva che offre e divertendoci abbiamo

voluto così contribuire a sostenerla -

dicono gli attori.

È questo il primo motivo per cui

è nata la compagnia teatrale, e visto il

successo, speriamo di poter continuare

al più presto con una seconda data.

Siete curiosi di sapere di cosa par-

la questo meraviglioso spettacolo?

Visitate il nostro sito internet

www.officinadellefiabe.com e la

pagina FaceBook per conoscere le

prossime date del nostro tour!

Brevi cenni storici

La Comunità di S. Onofrio, e, in modo particola-

re Sr. Titta, ha sempre avuto una forte sensibilità per

l’accoglienza: anche in passato delle ragazze sono

passate da questa casa e Sr. Titta, con amore, ha aper-

to loro le porte…

Ma nell’estate 2010, leggendo e studiando la vita

di Santa Paola, ho rivissuto con la fantasia i suoi luo-

ghi… e come Santa Paola… si era posta nei confronti della società e in tutto ciò che la circondava...

anch’io mi sono interrogata… È nata così la domanda:

Ma se Santa Paola fosse qui, oggi, nella nostra società, cosa farebbe?

A chi e come darebbe il suo aiuto?

Ai giovani ovviamente!!!

Ma come?

…E pregando e portandomi nel cuore questo sogno, ho provato pian piano, con l’appoggio di

Sr. Titta, a dare una forma a questo progetto!!!

Spesso mi sono ritrovata a pensare alle giovani del mio paese che non hanno potuto realizzare

i loro sogni per la paura di spostarsi... o perché non avevano punti di appoggio…

Non è facile trovare una casa a Roma... ed è anche molto rischioso, quando devi prendere a

scatola chiusa o da sola!!!

Da ciò il pensiero si è allargato a tante altre giovani che potevano avere lo stesso problema,

...L’idea:

“Apriamo un’ala della nostra casa per le giovani che hanno bisogno di un punto di appoggio

per qualche tempo...”.

“Sì, bello!!!….”, ma… il mio sogno, verso agosto, si andava spegnendo

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Ho affidato tutto nelle mani del Signore e di Santa Paola affermando con forza che io mi sarei

liberata da questo desiderio, e se fosse stata volontà di Dio, la cosa sarebbe andata avanti con o

senza di me!!!

Non se ne parlò più per un po’...

Un giorno di fine Agosto arriva la telefonata di una Signora: mi chiedeva di aiutare una ragazza

che sarebbe venuta volentieri a Roma per specializzarsi come Educatrice, ma che, per una serie di

problematiche, avrebbe dovuto rinunciare!!!

Per noi fu la conferma che questo progetto Santa Paola lo stava portando avanti!!!

Che gioia!!!

Come chiamare il progetto?

“Girasole”.

Primo, perché già un’ala della casa portava questo nome; secondo, perché Santa Paola era stata

definita come un girasole: orientata sempre verso Dio…

Così anche le ragazze ospiti da noi avrebbero potuto trovare un orientamento guardandosi in-

torno, potendo sempre contare sul nostro aiuto, nel tempo in cui sarebbero state nostre ospiti, ma

anche dopo!!! E, soprattutto lasciandosi interpellare dalla nostra vita e da come il Signore conduce

le vie di tutti!!!

Annalisa Bracone

Un aiuto davvero importante

Per me il progetto Girasole è stato un aiuto davvero importante nel mio cammino.

Trovandomi in un periodo di profondo cambiamento della mia vita (cambio di città, di percor-

so, di vita, insomma) e vedendomi voltare le spalle da persone che consideravo amiche, ho trovato

un punto d’appoggio in questa casa.

Un punto d’appoggio e anche di sostegno, un ambiente dove non mi sono sentita “giudicare”

nell’inseguimento dei miei sogni, ma sostenere e appoggiare. E oltre al sostegno morale, è stato un

sostegno per l’impostazione della mia vita a Roma e in più fondamentale anche per la conoscenza e

le nuove amicizie con le ragazze che vivevano là.

Insomma, un progetto davvero “Girasole”: come tutti i girasoli che cercano il sole, così questo

progetto mi ha aiutata a vedere e sperare ciò che c’era di buono, nonostante mi trovassi nel buio.

Un trampolino di lancio per il mio nuovo percorso di vita.

Mery Spinello

Non nego che

Non nego che appena ho preso la decisione di andare in affitto in una casa… con due mie ami-

che, la cosa mi ha riempita di gioia.. Tanto è come sapete: ho fatto tutto in fretta e furia!

Ma non nego neppure che la prima settimana senza di voi è stata tragica, e qualche volta anco-

ra oggi lo è!

Il progetto creato da tutte voi, ma in particolare dalla mitica Annalisa, è un’idea che sicuramen-

te molti hanno in mente... ma nessuno mette in atto… invece, voi Suore Dorotee, vi siete e vi im-

pegnate giorno dopo giorno a portarlo avanti, superando le aspettative… perché siete meravigliose!

Il farci sentire costantemente a casa è qualcosa di grandioso!

Lo stare a contatto con le vostre giornate-tipo, arricchisce chi accogliete, cioè noi ragazze, stu-

denti, lavoratrici.

Credo profondamente in ciò che ciò che fate!

Ciò che ho trovato… non mi ha mai scoraggiata, eccetto la mancanza dei miei familiari; però, il

fatto di sapere di vivere in sicurezza quel tempo che serve per organizzarsi per un eventuale lavoro,

rende più sicure sia noi che le nostre famiglie…

Rossana Quarta

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Arance di Rosarno

Tregua con Coca Cola

6 marzo 2012 - Il gruppo incrementa gli acquisti. Ma a che prezzo?

“Registriamo positivamente la disponibilità di Coca Cola che, su sollecitazione del Ministro del-

le politiche Agricole, Mario Catania, ha dichiarato l'’mpegno a continuare a lavorare con gli agrumi-

coltori della Piana di Rosarno-Gioia Tauro”.

È quanto ha affermato il presidente della Coldiretti della Calabria, Pietro Molinaro, nel com-

mentare l’intenzione della Coca Cola di incremen-

tare gli acquisti di arance calabresi rispetto allo scor-

so anno con un approccio contrattuale pluriennale,

dichiarata al termine della mobilitazione promossa

a Rosarno “No all’aranciata che spreme agricoltori,

lavoratori e inganna i consumatori”.

È, però, indispensabile per Coldiretti – sottoli-

nea Molinaro – formulare degli accordi che non

prescindano dal riconoscimento dei costi di produ-

zione e dalla remunerazione del prodotto garan-

tendo un prezzo all’agrumicoltore almeno di 15

centesimi al chilo passando anche attraverso un ac-

corciamento della filiera.

Basterebbe – continua la Coldiretti – pagare le arance ai produttori qualche centesimo di più ri-

spetto agli 8 centesimi al chilo attuali, aumentare di alcuni punti percentuale oltre il 12 per cento il

succo di agrumi nelle bibite e indicare l’origine delle arance sulle etichette delle bottiglie per spezza-

re, con trasparenza e legalità, la catena di sfruttamento che sottopaga il lavoro ed il suo prodotto.

In base ad una legge nazionale ormai

datata (Legge n. 286 del 1961) le bevande al

gusto di agrumi possono essere colorate a

condizione che esse – sottolinea la Coldiretti

– contengano appena il 12 per cento di suc-

co di agrumi.

Un inganno per i consumatori che met-

te di fatto anche un cappio al collo all’intera

filiera agrumicola con lo sfruttamento dei

lavoratori e dei produttori agricoli ai quali

per le arance vengono riconosciuti circa 8

centesimi al chilo.

Ogni punto percentuale di succo di

arancia in più oltre al 12 per cento corri-

sponde all’utilizzo di 25 milioni di chili in

più di arance, pari a circa 560 ettari di

agrumeto, mentre pagando le arance a 15 centesimi al chilo (il costo per la sola raccolta è di 6 cen-

tesimi al chilo), in un litro di aranciata ci sarebbero 6 centesimi di arance con la possibilità – conti-

nua la Coldiretti – di remunerare adeguatamente il prodotto e il lavoro per ottenerlo.

L’aumento del succo contenuto nelle aranciate avrebbe anche positivi effetti per la salute con

un aumento del consumo di frutta in Italia dove – conclude la Coldiretti – c’è un milione di persone

che non mangia mai frutta, secondo un’analisi Coldiretti/Censis e si è verificato un preoccupante

calo soprattutto tra i più giovani.

Redazione www.vita.it

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ARCORE IN FESTA!

È iniziata così la celebrazione dei primi 40 anni

della nostra presenza educativa in Brianza!

Lo slogan: “CON LA GIOIA NEL CUORE” …per conto di Dio…

ci accompagni lungo questo anno di rendimento di grazie e nella nostra missione educativa.

Alcuni momenti della Celebrazione Eucaristica del 6 febbraio e della serata del 2 marzo.

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CECILIA EUSEPI PRESTO BEATA A NEPI - IL 17 GIUGNO 2012

Nacque a Monte Romano (VT) il 17 febbraio 1910 e si spense a Nepi il 1° ottobre 1928. I 18 anni della sua esistenza furono colmi di favori divini a cominciare da quando aveva solo cinque anni. Fino al 1915 vis-se con la mamma nel paese natio. Rimasta orfana di padre dopo circa un mese e mezzo dalla nascita, la figura paterna fu sostituita da quella dello zio, fratello della mamma, Filippo Mannucci. In seguito alla partenza del figlio Vincenzo, chiamato sotto le armi a causa dello scatenarsi della Prima Guerra Mon-diale (1914), la mamma di Cecilia, Paolina Mannucci, il 6 gen-naio 1915 si trasferì a Nepi presso la fattoria La Massa, dove il fratello Filippo gestiva fin dal 1911 le proprietà dei duchi Lante della Rovere. Il 5 settembre 1915 entrò come convittrice nel mo-nastero delle Monache Cistercensi di Nepi, poco distante dal convento dei Frati Servi di Maria. La sua fanciullezza trascorse entro le mura claustrali. Ammalatasi, ne uscì per la prima vol-ta, per pochi mesi, a 12 anni nel febbraio 1922. Rimase presso la mamma e lo zio a La Massa fino al 1° novembre di quell’an-no. In questo periodo divenne Terziaria dei Servi di Maria. Rientrata nel monastero e con-cluso il corso delle Scuole elementari, volle entrare nell’Istituto delle Suore Mantellate Serve di Maria di Pistoia nel novembre 1923. Nel triennio 1923-1926 riprese gli studi frequentan-do il corso delle Magistrali. Finito il secondo anno, nell’agosto 1926 si ammalò di tubercolo-si. In ottobre dovette ritornare a La Massa, dove trascorse gli ultimi due anni di vita. In questo periodo scrisse la sua autobiografia intitolata Storia di un Pagliaccio e il Diario. Le fu guida spirituale il P. Gabriele M. Roschini, insegnante nel convento di Nepi.

Con le famiglie e i nostri bambini siamo impegnate nella Missione diocesana per la Beatifica-

zione di Cecilia Eusepi. Tante le iniziative anche

da parte delle Congregazioni dei Servi e delle

Serve di Maria per conoscere la vita della giovane

Cecilia, la sua anima profonda tutta di Dio.

I nostri bambini hanno visitato la Mostra su

Cecilia Eusepi. Sr. Giovanna delle Serve di Maria,

che risiede a Firenze, ha presentato la figura di

Cecilia quando era bambina e gli oggetti usati.

I nostri piccoli hanno seguito con interesse e

attenzione e sono stati colpiti dai gesti affettuosi

di Cecilia quando giocava con Gesù Bambino.

Il 17 febbraio 2012, alle ore 17:00, nella

Chiesa della Sacra Famiglia, gli studenti dei Licei

linguistico e scientifico di Nepi, hanno rappresen-

tato il laboratorio musicale “Canto l’Amore” in

preparazione alla Beatificazione di Cecilia Eusepi.

Erano presenti: il Vescovo Diocesano Mons.

Romano Rossi, il Sindaco, Autorità civili e religio-

se, professori, genitori e tante persone. Il recital, attraverso canti, balli e scritti di Cecilia, ha

comunicato un messaggio forte sull’amore. I giovani, sempre assetati di felicità, alla ricerca affannosa

del vero amore, con la speranza che mai delude di dare un senso alla propria vita, se conoscono un

testimone come la giovane Cecilia Eusepi, trovano un aiuto per camminare verso Gesù e una guida

sicura. È quanto ci auguriamo!

Cecilia Eusepi è ormai considerata una sorella spirituale di Teresa di Lisieux.

Dice di sé di essere “...come un pagliaccio mezzo grullo, buono a nulla”.

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Dio – Padre misericordioso e Madre tenera – opera e segna il ritmo del nostro cammino di

“Formazione Permanente”. Ringraziando la Congregazione che ci aiuta a percorrerlo, sgorga dal

mio cuore un “Magnificat” per…

LE STAGIONI DELLA MIA VITA

Sr. Giovanna Patrì

Ti ho vista fiorire.

sorridente Primavera,

sugli erbosi spazi

del mio tenero cuore

come fragranza di Sogno

primizia di Chiarità.

Ti ho sentita aleggiare,

sfolgorante Estate

sui saporosi frutti

del mio fragile amore

come carezza di Cielo

riflesso dell’Infinito.

Silente, mistico artista,

iridato Autunno,

oggi alle tremule foglie

con ogni tuo colore

doni un tocco di Vita

abbraccio dell’Invisibile.

Icona gravida di luce

trasfigurato Inverno

sulle vette innevate,

tra silenzio e stupore

apri le danze nel Sole

preludio di eternità.

GLI AUGURI DELLA REDAZIONE…

Facciamo nostre le parole di Don Tonino Bello,

con un augurio-preghiera, per una Pasqua

che sia veramente alba di vita nuova, in Gesù Risorto:

“…Non permettere che sulle nostre labbra il lamento prevalga mai sullo stupore, che lo sconforto sovrasti l’operosità, che lo scetticismo schiacci l’entusiasmo e che la pesantezza del passato ci impedisca di far credito al futuro. Dai alle nostre voci la cadenza degli alleluia pasquali. Intridi di sogni le sabbie del nostro realismo. Rendici cultori delle calde utopie dalle cui feritoie sanguina la speranza sul mondo. Aiutaci a comprendere che additare le gemme che spuntano sui rami vale più che piangere sulle foglie che cadono. (don Tonino Bello)