Chi mi darà ali come di colomba per volare nel deserto?

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Chi mi darà ali come di colomba per volare nel deserto? (Salmo 54)

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Chi mi darà ali come di colomba per volare nel deserto?

(Salmo 54)

Queste pagine vorrebbe-ro essere semplicemente unatestimonianza. Vorrebbero farintravedere quale “gioia elibertà donano la solitudine e ilsilenzio vissuti nel deserto condei fratelli. vegliando in attesadel Signore” (san Bruno).

E’ una testimonianzache, con semplicità, vorrebbeanche essere condivisione,facendo conoscere qualcosadella quotidianità che viviamoe che dà forma e concretezzaalla nostra ricerca di Dio, e cirende una comunione di soli-tari per Cristo.

E’ dunque anche un invi-to ad accompagnarci per untratto di strada nell’avventurasempre nuova che viviamoogni giorno inoltrandoci neldeserto, sulle tracce delSignore che ci ha attirati die-tro a Sé.

Sappiamo con certezzache Dio attraversa la vita diogni uomo, seminando in tuttila nostalgia di Lui.

Per questo motivo, Gliaffidiamo queste pagine con lasperanza che, se Egli lo vorrà,possano anche servire un pocoa rendere esplicite le domandee i desideri che, spesso silen-ziosamente, abitano nel cuoredi ognuno e lo rendonoinquieto finché non trovano inDio l’unica vera risposta.

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LA VOCAZIONECERTOSINA

SAN BRUNO

A lode della gloria di Dio,Cristo, Verbo del Padre, per mezzodello Spirito Santo, si scelse fin dalprincipio degli uomini per condurlinella solitudine e unirli a Sé in intimoamore (Statuti, 1.1).

Uno di questi uomini fu Bruno diColonia, canonico e maestro della cat-tedrale di Reims. Dopo aver lottato perla libertà e la riforma della Chiesa, eglifu chiamato da Dio a lasciare tutto e adincamminarsi verso la solitudine perincontrarlo. Questo cammino lo portòad stabilirsi nella valle di Chartreuse(Certosa), una zona quasi inaccessibiledelle Alpi del Delfinato, dove nel 1084fondò un monastero strutturato sull’e-sempio delle “laure” orientali: celleeremitiche attorno ad una piccola chie-sa dove i solitari si riunivano per laliturgia. Era già, nei suoi tratti essen-ziali, la forma attuale della vita certosi-na.

Chiamato a Roma da Urbano II,dopo un breve soggiorno alla cortepontificia, chiese ed ottenne di poterriprendere la sua vita solitaria e fondòcosì in Calabria un nuovo eremo similea quello di Certosa. Qui si spense lumi-nosamente il 6 ottobre 1101. Sarà daquesta esperienza di ricerca di Dionella solitudine vissuta da Bruno e daisuoi primi fratelli che germoglieràl’Ordine certosino.

AFFERRARE L’ETERNO

Bruno stesso ci descrive la gra-zia che cambiò radicalmente il corsodella sua esistenza: Ardenti (Bruno e isuoi amici) d’amore divino, promet-temmo, facemmo voto e decidemmo diabbandonare le fuggevoli realtà delmondo e cercare di afferrare ciò che èeterno (A Rodolfo, n. 13).

Fugitiva relinquere et aeternacaptare: in queste parole Bruno haofferto la sintesidel movi-mento inti-mo donato-gli da Dio inquel momen-to di grazia,e che d’orain poi loguiderà, omeglio los o s p i n g e r àsempre più innan-zi. Bruciato daquesto fuoco inte-riore che non gli dàtregua, egli cer-cherà di afferrareciò che è eterno, diunirsi a Dio stesso,di possederlo,perché Diostesso perprimo haafferrato esedotto ilcuore diBruno.

Ed èq u e s t omovimento

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intimo di abbandonare-conquistare,questa dialettica continua di morte-vita, questa continua tensione pasqualeche costituisce l’anima profonda dellaCertosa, la sua vocazione specifica, ciòche ne plasma con forza anche i trattiesterni, che talvolta lasciano sconcerta-ti coloro che non partecipano in qual-che misura del suo mistero.

Spendere totalmente l’esistenzanella ricerca e nell’adorazione del

Volto misterioso del Dio tre volteSanto, desiderato e cercato più di

ogni altra realtà, è il dono fattodallo Spirito a Bruno e, per

mezzo suo, a noi.È questo possesso di

Dio, ad esclusione di ognialtro fine secondario, per

quanto buono e nobile, loscopo che gli Statuti certosini

assegnano chiaramente almonaco: Cercare Dio

più ardentemente nelproprio intimo, tro-varlo più pronta-mente e possederlopiù perfettamente(cf. Statuti, 1.4). Ildesiderio ardente(captare) dellacomunione di vitacon Dio, abbando-

nando (relinquere)tutto il resto: ecco ilfine unico del certosi-

no, ecco la seteche Diostesso perprimo hadeposto nelcuore di

Bruno e nel

cuore dei suoi figli: L’anima che alme-no in parte percepisce l’incomparabilegrazia, splendore e bellezza di questobene, accesa dalla fiamma dell’amoreesclama: “L’anima mia ha sete delDio forte e vivo; quando verrò e vedròil volto di Dio?” (A Rodolfo, n. 16).

Perché questo desiderio di Diopossa appagarsi, per quanto è possibilein questa vita, il monaco si immergenella solitudine, nel silenzio e nelnascondimento, che costituiscono ilclima in cui si svolge la vita in Certosa.

Ma la separazione esterna dalmondo, di cui la clausura è segno estrumento, non è che il primo passoverso l’incontro con Dio. Ciò che valasciato, l’ostacolo principale che sioppone all’unione con Dio a cui ten-diamo, è in realtà soprattutto l’attacca-mento a se stessi. Abbandonare ciò cheè fuggevole è solo l’aspetto iniziale delmovimento che spinge il certosino alasciare il mondo e se stesso; il fine diquesto movimento, ciò che solo gli dàsenso e valore è il desiderio di afferra-re ciò che è eterno, l’unione con Diosommamente amato. È per possederequesta perla preziosa, questo tesoronascosto, che il monaco vende tutto ese stesso. È la speranza di vedere Dioche lo sostiene in questo cammino, neguida tutte le scelte e ne plasma conforza la vita, anche nel suo quadroesteriore.

L’essenziale di questo quadrorisale a san Bruno. Come riconobbero icontemporanei, era la luce d’Oriente el’antico fervore dei monasterid’Egitto1, che i certosini portavano fra

1 Guglielmo di St.-Thierry, Lettera ai certosinidi Mont-Dieu, SC 223, p. 144.

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le tenebre dell’Occidente e i freddidella Gallia. Era la forma della vitasolitaria che sembrava morta ed oratornava in vita2.

Fu dunque la vita del deserto, conle sue esigenze di totalità, radicalità espogliamento, ma ridondante in una vitafraterna di amore, quella che Bruno scel-se come la forma più adatta per la suaricerca di Dio; e questa vita descrisse conuna concisa formula: abito nel desertocon dei fratelli (A Rodolfo, n. 4).

LA SOLITUDINE

Ogni Certosa è un “deserto”, unluogo da dove i rumori del mondosono esclusi. Questo deserto prenderealtà e forma concreta nella custodiadella cella: L’ideale della nostra pro-fessione consiste principalmente nel-l’attendere al silenzio e alla solitudinedella cella. Questa è la terra santa e illuogo dove il Signore e il suo servoconversano spesso insieme, come unamico col suo amico. In essa frequen-temente l’anima fedele si unisce alVerbo divino, la sposa si congiungecon lo Sposo (Statuti, 4.1).

È soprattutto quindi tra le paretibianche e spoglie della cella che avvie-ne il nostro lungo pellegrinaggio, ilnostro ritorno dalla “regione della dis-similitudine” alla terra promessa dellavisione di Dio; qui speriamo di afferra-re ciò che è eterno, come ci ha promes-so quel Dio che un giorno ci ha attirati

nel deserto per parlarci al cuore.Bruno fece voto di mettersi alla

ricerca di Dio ardente di amore divino(A Rodolfo, n. 13) e per lui la vita con-templativa è una vita d’amore, amoreche egli non teme di esprimere con leimmagini audaci dell’amore sponsale.Questa (la vita contemplativa) è quellabellissima Sunammita, l’unica trovatain tutto il territorio d’Israele, che, gio-vane, potesse accarezzare e riscaldarel’anziano Davide. Magari, fratello mio

2 Ibidem. Verso il 1150 nello stesso senso parladei certosini anche Pietro il Venerabile, abatedi Cluny; cf. De Miraculis libri duo, PL 189,943-945.

carissimo, tu la amassi sopra ogni altracosa, sicché, riscaldato dai suoiabbracci, tu potessi ardere d’amoredivino. Se anche una sola volta il suoamore si stabilisse nel tuo cuore, subitoquella seducente e carezzevole ingan-natrice che è la gloria del mondosarebbe per te degna di disprezzo (ARodolfo, n.7). Soprattutto, per Bruno,nel deserto si acquista quell’occhio ilcui sereno sguardo ferisce d’amore loSposo (ibidem, n. 6).

È dunque l’amore e solo l’amoreche ha condotto il certosino nella soli-tudine e l’unione con Dio è, per lui,essenzialmente opera dell’amore; èun’unione nell’amore quella che eglicerca con tutto se stesso, perché egli sache il Dio che lo ha sedotto non è ilDio dei filosofi, ma il Dio di GesùCristo, Colui che si è rivelato comeAmore (cf. 1Gv 4,16).

Per amore egli desidera donarsitotalmente a Colui che per primo lo ha

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amato; spera, già da questa vita, dipotergli appartenere senza riserve, diessergli unito senza diaframmi, di con-templarlo, di vederlo, perché sa cheDio per primo desidera questa unione.

Questa unione, che è eminente-mente personale, avviene nel fondosegreto di ognuno ed esige di esserecircondata dal massimo silenzio eriserbo e di restare avvolta nell’ombradella fede e della croce, dove essagiunge alla sua pienezza.

Ma non è solo dagli ostacoliesterni che proteggono le mura dellacella. Ben presto infatti, come detto, ilmonaco vedrà, con una evidenza chesolo la solitudine può dare, che gliostacoli al suo dono completo a Diosono interiori, li porta in sé, da sempre.Chi s’incammina su questa via dellaricerca di Dio nella solitudine, nontarda infatti a scoprire che il “mondo”è molto più dentro il suo cuore che nonfuori delle mura della clausura. Ilclima saturo di silenzio della Certosa èsolo un mezzo, è l’ambiente indispen-sabile perché l’ostacolo vero vengaalla luce, affiori dalle profondità torbi-de in cui si nasconde e possa quindi,con la grazia dello Spirito, essere supe-rato e vinto. Sperimenterà che lungo èil cammino attraverso brulla e riarsastrada prima di arrivare alle fonti diacqua e alla terra promessa (Statuti,4.1). Proverà in se stesso che non puòentrare in codesta quiete (dell’unionecon Dio) se non dopo essersi cimentatonello sforzo di una dura lotta (Statuti,3.2).

È questa, in profondità, l’unicavera occupazione del monaco, è l’ozioattivo di cui parla san Bruno al seguitodi tutta la tradizione monastica, la

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quiete faticosa (A Rodolfo, n. 6), losforzo laborioso di conservare quieto ilcuore perché sia totalmente disponibileper Dio: La nostra vocazione è di stareincessantemente vigilanti alla presenzadi Dio (Statuti, 21.15).

È questa attesa quieta e immobiledel cuore “la pazienza certosina”, è ilvegliare montando con perseveranzala guardia, per attendere il ritorno delSignore per aprirgli immediatamentequando busserà (A Rodolfo, n. 4): “Ilservo che sarà amato è colui che sta inpiedi, immobile, vicino alla porta, sve-glio, attento, in attesa, preoccupato diaprire non appena sente bussare. Né lafatica, né la fame, né le sollecitudini,né gli inviti amichevoli, le ingiurie, icolpi o gli scherni, né le voci che pos-sono circolare intorno a lui, secondo lequali il suo padrone sarebbe morto o

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irritato contro di lui e deciso a farglidel male, niente insomma lo distoglieràminimamente dalla sua immobilitàattenta [...]. Lo stato di attesa cosìricompensato è ciò che ordinariamentechiamiamo ‘pazienza’ [...]: indica unoche attendesenza muover-si, a dispettodi tutti i colpie le percossecon cui sicerca di smuo-verlo”3. È questo chefaceva scrive-re a Guigo:R i t e n i a m oche nulla siapiù faticosonegli esercizidella vitar e l i g i o s adella quiete,del silenzio edella solitudi-ne4.

Allora,nella fedeltà aquesto sforzodi attesa quie-ta, la solitudi-ne assumetutta la suadimensione pasquale, dimensione cheforse all’inizio il monaco non avevapercepita, ma che ora viene potente-mente in risalto. La fedeltà alla quiete

diventa il modo per morire a se stessi eal peccato con Cristo e risorgere conlui, per vivere per Dio solo. Diviene illuogo in cui facciamo l’esperienzaspesso dolorosa e lancinante dellanostra povertà, del nostro essere radi-

calmente pec-catori, senzapossibilità dinasconderciai nostri pro-pri sguardi néa quelli diDio.

Se il mo-naco accettaliberamente diperseverare inquesta via diumiltà e debo-lezza, scoprecome la suasolitudine lopone in comu-nione con tuttii suoi fratellidi umanità,p e c c a t o r icome lui, macome luiamati gratui-tamente daDio; divieneun uomo di

dolcezza e compassione, perché lui perprimo ha provato in sé, senza limiti, lacompassione misericordiosa di Dio.

Si rende conto che non è più lui acercare Dio, come finora ha creduto,ma è molto più Dio che cerca lui, e locerca appassionatamente non per pre-miare delle virtù, che egli non ha, oricompensare dei “meriti” che non ci

3 S. Weil, Teoria dei sacramenti, in id., L’amoredi Dio, Roma, Borla 1979, pp. 221-222.4 Guigo, Consuetudini di Certosa, 14, 5, SC313, p. 196.

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sono5, ma solo per colmarlo di Sé, perdonargli gratuitamente Se stesso.

Allora il solitario comprende chela sua solitudine e reclusione non lopongono fuori del mondo, ma nelcuore stesso dell’universo e dellaChiesa, per-ché esse,f a c e n d o g l ivivere senzapiù veli la suadebolezza eimpotenza, loin se r i s conoes i s t enz ia l -mente nelladebolezza es o l i t u d i n estesse delSignore croci-fisso, lo ren-dono parteci-pe per graziadi quell’unicoatto che Gesùha compiutoi n c e s s a n t e -mente nellasolitudine delsuo cuore,durante tuttala sua vita diuomo, attoche si è piena-mente manifestato nella solitudinedella Croce e che costituisce il centro eil perno del cosmo e della storia, ossia

il suo ritorno dal mondo (cf. Gv 16,28relinquo mundum) al Padre; è nellasolitudine della sua morte-risurrezioneche l’uomo Gesù ha raggiunto la mas-sima intimità col Padre.Ed è questa dimensione segreta e

profonda disolitudine esilenzio dellaPasqua delSignore chesiamo chia-mati a condi-videre e ade s p r i m e r econ la nostrafedeltà allas o l i t u d i n edella cella eal servizioper amore.

LA VITAFRATERNA

Ma ilcertosino nonè un puroeremita, per-ché vive neldeserto condei fratelli

che condividono la sua ricerca di Dio econ i quali si ritrova in momenti e gior-ni stabiliti; è allora l’affioramento visi-bile, sobrio e semplice, ma profonda-mente intenso, della dimensione eccle-siale, insita in ogni solitudine che siauna solitudine cristiana. Bruno concepìinfatti il deserto come un organismovivente, un corpo dove ogni membro

5 Cf. Guigo: “La vita solitaria spera ciecamentenella misericordia e non ha fiducia nei meriti”(Lettera sulla vita solitaria ad un amico scono-sciuto, SC 88, p. 142).

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abbia il suo posto e la sua funzione,dove i doni che la grazia ha deposto inogni solitario possano fruttificare avantaggio di tutti. È la dimensionecomunitaria della nostra vocazione.

Se nella nostra solitudine venia-mo configurati in profondità al Signoremorto e risorto e come lui accogliamoin noi lo Spirito d’amore, principio evincolo di unità della Trinità, alloradiveniamo capaci di comunioneprofonda con tutti i nostri fratelli, inco-minciando dai più vicini. Quando incella o nelle obbedienze conduciamovita solitaria, il cuore s’infiamma e sialimenta al fuoco della Carità divina,che è il vincolo della perfezione e ci famembra di un solo corpo.Radunandoci nelle ore stabilite, pos-siamo manifestare nella gioia quest’a-more reciproco con le parole e con leazioni, come anche rinunciando a noistessi per i fratelli (Statuti, 22.1).

La qualità e l’intensità della vitacomune, sono dunque la testimonianzadell’amore che alimenta la vita solita-ria, perché chi non ama il proprio fra-tello che vede, non può amare Dio chenon vede (1 Gv 4,20). E le occasioni

che offre la vita certosina di vivere emanifestare questo amore fraternosono molto più numerose e frequenti diquanto si pensi comunemente.

Ci si trova infatti ben presto inse-riti in una rete di rapporti fraterni che,per il fatto di essere per lo più silenzio-si, non sono per questo meno impegna-tivi ed esigenti, anzi. Questi rapportisono uno stimolo continuo ad uscire dase stessi, a superare la tentazione diisolamento che minaccia il solitario,per imparare a scoprire nel fratello, checon la sua realtà concreta ci interpella,un’immagine di Colui che cerchiamoassiduamente di contemplare nellanostra solitudine.

Il solitario che si sforza di“vedere” con la vita Colui che è Amoree Comunione sussistente, nella misurain cui progredisce in questa visione,non può fare a meno di essere attento acoloro che lo circondano, offrendo loroanzitutto il servizio incomparabile delproprio delicato rispetto per la lorosolitudine e per il mistero di unione ed’amore che in essa si consuma: infattiil primo atto di carità verso i nostrifratelli consiste nel rispettare la loro

solitudine (Statuti,4.4).

Offrirà poi sestesso, la propria pre-ghiera, il propriotempo e i doni che ilSignore gli ha confi-dato a vantaggio ditutti, perché tutti eciascuno dei suoi fra-telli possano cammi-nare sempre più ala-cremente verso ilSignore che li chiama.

L’ITINERARIO DI FORMAZIONE

Nessuno può incamminarsiverso la solitudine del deserto dipropria iniziativa, ma, come Gesù,deve esservi condotto e “spinto”dallo Spirito (cf. Mt 4,1). La vitacertosina non viene “scelta”, maricevuta gratuitamente da Dio. Anoi spetterà rispondere nel lalibertà a questa proposta e acco-gliere questo dono che il Signore cioffre con amore gratuito. Tutta laformazione monastica ha comescopo di discernere la presenza diquesto dono e di aiutare il novizioa rispondervi con tutto se stesso.

L’età minima per essere ammessial noviziato è di vent’anni, quellamassima di quarantacinque. La for-mazione, attraverso tappe successi-ve, si prolunga lungo l’arco di piùdi sette anni, al termine dei quali ilgiovane monaco può emettere lasua Professione solenne che legheràper sempre la sua vita a quella diDio. La formazione consiste soprat-tutto in un cammino di apprendi-mento del dono di sé, di purifica-zione del cuore, di preghiera, per-ché poi il monaco possa inoltrarsisenza più riserve nella sua propriaavventura di ricerca di Dio per vive-re sempre più alla sua presenzalasciandosi trasformare totalmentedalla Bontà di Dio.

Anche se “lungo è il camminoattraverso brulla e riarsa stradaprima di arrivare alle fonti d’acquae alla terra promessa” (Statuti 4,1),tuttavia, per chi è chiamato daDio, è una gioia abbandonaretutto e mettersi per strada perincontrarLo, per giungere a quelle“profondità del cuore dove diverràcapace non solo di servire Dio, madi aderire a Lui” (St. 3,2) abbrac-ciando in silenzio l’universo intero.

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Talvolta questa offerta di sé assu-merà le dimensioni umili e quotidianedi un piccolo servizio, oppure prenderàl’aspetto della preghiera nascosta peruna pena altrettanto segreta di unnostro confratello, oppure ancora saràlo sforzo doloroso e oscuro di superare,con l’aiuto del Signore, ciò chenel proprio cuore può ferirela carità; sarà un dare eun ricevere silenzio-samente il perdonoper le ferite chereciprocamentee spesso in-consapevol-mente ilnostro egoi-smo ha pro-vocato; saràinfine unrinnegarsi,perché nonvenga scal-fita la comu-nione cherende salda lanostra solitudi-ne e autentica lanostra contempla-zione.

Questa unionefraterna ha la sua fonte enello stesso tempo raggiungela sua espressione più alta nella sacraliturgia che è la parte più nobile dellanostra vita di comunità (Statuti, 22.2);essa infatti stabilisce tra noi la piùstretta comunione (ivi).

Quella che avviene ogni giornosotto le volte di un chiostro è una veracon-vocazione, un appello, una chia-mata rivolta dal Signore a questa pic-

cola porzione di Chiesa: ognuno lasciase stesso e la propria cella per rispon-dere all’invito del Signore a formarecon i suoi fratelli un popolo, un’assem-blea riunita dall’Amore che unisce ilPadre e il Figlio. In questi momenti la“chiesa certosina” appare in tutta la sua

visibilità, come comunità di lodee di adorazione, come

Corpo del Cristo glo-rioso che nello

Spirito si dona alPadre.

È qui chela dialetticadell’ “abban-d o n a r e -a f f e r r a r e ”(relinquere-c a p t a re ) ,che sta allabase dellanostra vitamonastica edi ogni vitac r i s t i a n a ,

raggiunge lasua pienezza.

Con il cuorepurificato dalla

solitudine, i monaciavvolti in vesti candi-

de, lavate col sanguedell’Agnello, stanno davanti

al trono di Dio e gli prestano serviziogiorno e notte nel suo santuario (cf.Ap 7,9.14-15); essi sono ora alla pre-senza di Dio stesso, sono ammessi, purnell’oscurità della fede, allo splendoredella liturgia della Gerusalemme cele-ste, dove Cristo glorificato associa alsuo canto nuovo e al suo sacrificio d’a-more tutte le sue membra redente.

Ma se la liturgia è la fonte e ilculmine della nostra vita comune, nonne è l’unica espressione visibile. Visono anche momenti di unione piùsemplici e familiari, che continuano erendono tangibile la grazia di unità cheil Signore dona alla comunità nellacelebrazione, specialmente dell’Euca-ristia.

In questi momenti la vita di fami-glia si espande liberamente nella gioia distare insieme e lo spirito debole, affati-cato da una regola abbastanza austera edall’applicazione alle attività spirituali,prova spesso sollievo (A Rodolfo, n. 5)dall’incontro coi fratelli e dalla contem-plazione delle bellezze della natura.Questi incontri con i fratelli sono1’occasione di vivere e far crescereun’amicizia fraterna che, se è spessosobria di manifestazioni esteriori, non èperò meno profonda e ricca di tenerezza.

Questo clima di amicizia fraternae semplice fra solitari è certamente unodegli insegnamenti più preziosi cheBruno ha trasmesso ai suoi figli, anzi-tutto e soprattutto con il suo esempio.Fu nella contemplazione di “Colui cheè buono”, fu nell’esperienza dellaBonitas divina, che più di ogni altra

cosa lo haattirato eaffascinato,che Brunoattinse lasua capacitàdi stabilirer a p p o r t ip r o f o n d id’amore coni suoi figli edi rendere ildeserto un

luogo dove si possa gustare la gioia ela dolcezza del vivere con dei fratelli.

Non a caso i certosini di Calabriauseranno, alla sua morte, le immaginidella tenerezza materna e della mitezzadell’agnello, unite ad una gioia semprecostante, per descrivere Bruno e il suoamore verso i suoi figli. Questa bontà etenerezza, traboccante dall’esperienzadella bontà di Dio, sarà comunicata daBruno ai suoi figli e ne diventerà unanota caratteristica.

Questa gioia dello stare insiemeè un modo molto semplice e feriale perdire ai nostri fratelli il bisogno cheabbiamo del sostegno della loro pre-senza visibile, nel lungo e faticosocammino verso il Signore nel deserto.È un ricordare a se stessi, qualora vene fosse bisogno, che nessuno, nem-meno il solitario, ha nella Chiesa unruolo tale da poter fare a meno dei fra-telli, ma anzi, più è chiamato, per gra-zia, ad avvicinarsi nelle profondità deldeserto al roveto ardente della Caritàtrinitaria, più questa contemplazionerichiede la presenza in lui di tutti i suoifratelli di umanità: Non verrete allamia presenza se non avrete con voivostro fratello (Gen 43,3).

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LA LITURGIA IN CERTOSA

In Certosa la liturgia vienecelebrata con un rito proprio per-ché “per i monaci solitari la litur-gia deve essere adattata al lorogenere di vita; in essa cioè deveessere preponderante l’aspettointeriore del culto e la meditazio-ne del mistero, nutrita da unafede ardente” (Paolo VI,Optimam partem).

La celebrazione eucaristica èestremamente sobria, sia nei testiche nei gesti. La solitudine delcelebrante all’altare, il canto gre-goriano con la sua spoglia inte-riorità, i numerosi momenti disilenzio accentuano il clima diraccoglimento della celebrazione;al di là delle parole, ognunoentra silenziosamente in comunio-ne col Signore e con i fratelli.

La riforma liturgica seguita alConcilio Vaticano II non ha per-messo solo un ritorno alle origini,ma ha fatto anche accoglierearricchimenti importanti quali laconcelebrazione e la Messa soli-taria. La concelebrazione haluogo nei giorni di vita comunita-ria più rilevanti (domeniche,grandi feste, momenti importantidella vita di comunità) comesegno che vuole mostrare piùvisibilmente questa vita fraterna.La Messa solitaria invece (cheogni monaco sacerdote celebrain solitudine quando non celebrain comunità) manifesta le dimen-sioni i l l imitate del misteropasquale di Cristo, contempora-neo ad ogni uomo.

Anche nel la celebrazionedell’Ufficio divino l’Ordine certo-sino segue un proprio rito, carat-terizzato dall’assoluta preminen-za data alla Parola di Dio: infattitutte le parti dell’Ufficio sonocomposte di testi biblici.

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I PADRI E I FRATELLI

All’interno dell’unica vocazio-ne certosina esistono da sempre duecammini complementari, quello deiPadri e quello dei Fratelli: sono dueforme diverse, secondo il dono dellagrazia a ciascun’anima, di condividerela solitudine pasquale del Signore.

Gli uni sono chiamati ad una soli-tudine più prolungata e profonda e tra-scorrono in cella l’intera giornata, uscen-done solo per la celebrazione comunita-ria della liturgia, tre volte al giorno. IFratelli invece, oltre che per la liturgia,escono di cella per dedicarsi, general-mente sempre in silenzio, ai servizi indi-spensabili alla vita della comunità.

Crediamo che sia stata l’intuizio-ne del fatto che la solitudine del mona-

co è condivisione di quella dellaPasqua di Cristo ciò che ha fatto sì che,quasi fin dalle origini dell’Ordine, iPadri, avendo ricevuto una chiamata aduna solitudine più rigorosa, ricevanoanche l’ordinazione sacerdotale. Laloro esistenza di solitudine è un segnoparticolarmente espressivo della parte-cipazione alla solitudine dell’attosacerdotale per eccellenza che è laPasqua del Signore.

Ma sulla Croce pregare e donar-si si identificano (cf. C.C.C. 2605) e, ilSignore stesso presenta la sua Pasqua,il suo dare la vita, come un atto di ser-vizio, anzi come il suo servizio specifi-co: Io sto in mezzo a voi come coluiche serve (Lc 22,27). Infatti, Gesù,sapendo che era giunta la sua ora dipassare da questo mondo al Padre […]

cominciò a lavare i piedi dei discepo-li (Gv 13,1.5), perché il Figlio del-l’uomo è venuto per servire e dare lavita in riscatto per molti (Mt 20,28).

Né la solitudine dei Padri, né lasolitudine dei Fratelli si chiude su sestessa, se davvero fiorisce a somi-glianza di quella di Cristo: necessa-riamente essa si fa servizio, secondole caratteristiche proprie di ciascuno.

Chi guarda la vita dei Padrisolo alla superficie, può non cogliereabbastanza questo aspetto. Gli Statutiricordano invece ai Padri che il [loro]sacerdozio… è un servizio reso allaChiesa, specialmente… verso iFratelli (Statuti, 3.5). I Padri bensanno di aver ricevuto, con gli Ordinisacri di cui sono stati insigniti, nontanto una dignità, quanto un servizio(Statuti, 11.6) che si esprime partico-larmente nella celebrazione eucaristi-ca e nei vari aspetti del serviziopastorale.

Certi uffici che i Padri svolgo-no richiedono una notevole dimenti-canza di sé; ma, più in generale, laloro solitudine è – si può dire – sem-pre aperta ad una dimensione di ser-vizio, che si realizza spesso in piccolie umili lavori utili alla comunità eche impedisce di adagiarsi in faciliillusioni di santità disincarnata.

Forse è più facile cogliere illegame esistente fra il servizio e l’at-tività dei Fratelli, ma si ingannerebbechi volesse guardare il loro lavoro daun punto di vista puramente “monda-no”. Si tratta infatti di un lavoromonastico, lontano dalle preoccupa-zioni di rendimento economico, vis-suto nel clima di solitudine propriodella Certosa, teso alla trasfigurazio-

ne attraverso la pur presente dimen-sione di fatica. Bisogna anche quiguardare con gli occhi della fede ecogliere il mistero pasquale in attonella vita e nel servizio del Fratello:Nel sudore e nella fatica del lavoro (iFratelli) ritrovano un frammentodella Croce di Cristo e collaboranocon Lui a rendere già presente qual-cosa dell’universo risorto, dei cielinuovi e della terra nuova (cf. Statuti, 15.1).

È vero che spesso la solitudineesterna per il Fratello non è protettadall’isolamento del chiostro e dalriparo della cella (Statuti, 12.2) e lacustodia del silenzio e il raccogli-mento dell’animo richiedono daiFratelli una vigilanza speciale perchéhanno molte occasioni di parlare (cf.Statuti, 14.11), ma c’è una solitudineinteriore che può seguire il Fratelloovunque, anche mentre lavora (cf.Statuti, 12.2), e c’è un’unione realecon Dio che si rende visibile in unaserenità tranquilla durante un’attivitàche è già di per se stessa una glorifi-cazione del Padre (cf. Statuti, 15.1).

Certo, anche per il Fratello lastrada è lunga prima di giungere allafrescura della quies (cf. Statuti, 12.1).Egli deve passare attraverso la disso-luzione di aspettative immaginarieche, come sempre, vogliono convince-re che la semplicità, l’unione costantecon Dio, il silenzio… si costruisconosecondo schemi prefissati dalla nostramente. Invece non c’è che da lasciarsiplasmare attraverso una quotidianità,che diventa esigente proprio per lamancanza stessa di grandi novità.Così il proprio “io”, con l’aiuto effica-cissimo di una preghiera che diventa il

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centro più profondo dellavita, si perde pian pianoin un servizio prezioso,in un dono di sé che nonsa più neppure di esseretale, nella totale dimenti-canza di sé che costitui-sce il cuore, la realtà piùprofonda del nostrosilenzio e della nostrasolitudine.

L’armonia e lacomplementarietà dellagrazia propria dei Padrie dei Fratelli consentecosì al carisma confida-to dallo Spirito Santo alnostro Padre San Brunodi giungere alla sua pie-nezza (Statuti, 11.5).

Nella misura dellanostra fedeltà allaCroce6 scopriamo alloradove ci portava l’appel-lo che un giorno abbia-mo sentito; la chiamataad abbandonare lerealtà fuggevoli e adafferrare ciò che è eter-no assume ora tutte le sue dimensioni;essa ci pone nel cuore stesso di Dio,nel movimento incessante che porta ilVerbo incarnato dal mondo nel senodel Padre per opera dello Spirito.

È quindi l’intimità totale con DioPadre, propria del Signore Risorto, iltermine cui tende l’itinerario della soli-tudine certosina. Spogliato di tutto, esoprattutto di se stesso, dalla solitudi-

ne, reso povero della povertà di Cristostesso, il solitario diviene solo uno spa-zio di accoglienza totalmente libero esilenzioso in cui Dio può riversarsisenza ostacoli, diviene un silenzio incui il Padre può “dirsi” liberamentecome fa in Suo Figlio.

LA GIOIA DIVINA

Il frutto di questa assimilazioneal mistero pasquale è la gioia stessa diCristo, esultante nello Spirito Santo

6 Guigo, Lettera sulla vita solitaria ad unamico sconosciuto, SC 88, p. 144.

LA GIORNATA IN CERTOSA

Poiché “la nostra vocazioneè di stare incessantemente vigi-lanti alla presenza di Dio”(Statuti 21, 3), la nostra gior-nata inizia nel cuore dellanotte, quando la grande Vegliariunisce in chiesa la comunità,e nel silenzio che allora avvol-ge la terra, il canto dei monacidiventa la supplica e la vocedella Chiesa e della creazionetutta che veglia attendendo ilritorno del suo Sposo.

All’alba la comunità si riunisce nuovamen-te per celebrare la Pasqua del Signore che sifa incontro a noi Risorto nel misterodell’Eucaristia, manna spirituale della nostraquotidiana traversata del deserto. Dopo la Messa, infatti, inizia la nostra gior-nata solitaria, intessuta della memoria di Dioe del desiderio di Lui che cerchiamo e trovia-mo in tutte le nostre occupazioni quotidiane:lettura della sua Parola, celebrazione dell’ufficio divino unitamente a quello dellaBeata Vergine Maria, servizio reciproco nellavoro, studio. Alla sera, la giornata si chiuderiunendo ancora tutta la comunità per ivespri, solenne preghiera di ringraziamentoper il giorno che tramonta. Dopo qualcheora, nel silenzio della notte, nuovamente lapreghiera della veglia… Così sempre, scor-re una giornata che sembra non avere né

inizio né fine, inattesa della vegliaeterna, del riposoeterno in cui sicompiranno ilnostro desiderio ela nostra chiamataa restare incessan-temente alla pre-senza di Dio, avivere nel suosilenzio.

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perché tutto gli viene donato dal Padre;è questa gioia che costituisce l’espe-rienza della “visione di Dio” concessaal solitario.

Fu l’esperienza di Bruno: Quantautilità e gioia divina apportino la soli-tudine e ilsilenzio deldeserto a co-loro che liamano, losanno soloquelli che nehanno fattol’esperienza.Qui infatti gliuomini gene-rosi possonoraccogliersiq u a n d ov o g l i o n o ,dimorare inse stessi, col-tivare alacre-mente i germidelle virtù enutrirsi congioia dei frut-ti del paradi-so [...]. QuiDio, per leb a t t a g l i es o s t e n u t e ,dona ai suoiatleti la desiderata ricompensa, cioè lapace che il mondo ignora e la gioianello Spirito Santo (A Rodolfo, n. 6).

È la gioia pasquale che il Signoreha lasciato in eredità ai suoi, a coloroche accettano di compiere con lui,nella sua solitudine, il ritorno al Padre,che si mettono alla scuola di lui,Sapienza eterna, sotto la guida e l’a-

zione dello Spirito per imparare lafilosofia divina (ib., n. l0), ossia la fol-lia della Croce, la stoltezza di Dio (cf.1Cor 1,18.25) infinitamente piùsapiente della scienza degli uomini.

È la gioia di concentrare tutta lapropria vita,come Cristo econ Lui, inun unico attodi pienezzacrescente, unatto insepara-bilmente dimorte-vita.

È un tra-scorrere lavita nella cer-tezza, fondatasolo sullafede, che ilSignore tor-nerà; e quindip e r s i s t e r enella vigilan-za, alimen-tando nelfondo dellasolitudine delproprio cuorela lampadad e l l ’ a m o r econ l’oliodella fede e

della speranza, perché sia pronta eardente nelle nostre mani, così da poteraprire subito allo Sposo appena torna ebussa7. E così poterci unire a Lui ediventare con Lui e in Lui gli adoratoriche il Padre cerca.

7 Cf. Lc 12,36 e san Bruno, A Rodolfo, n. 4.

8 Paolo VI, Lettera Optiman partem, AAS 63(1971), pp. 447-450.9 Giovanni Paolo II, Messaggio per il IX centena-rio della morte di san Bruno, 14 maggio 2001.

FUNZIONE ECCLESIALEDELLA VITA CERTOSINA

Questa vita di adorazione, nasco-sta con Cristo in Dio (cf. Col 3,3) è sor-gente di una misteriosa fecondità apo-stolica come ha detto il Concilio (cf. PC,n. 7) e, ancor prima, Pio XI con la cele-bre costituzione apostolica Umbratilem,indirizzata proprio ai certosini. Questafecondità apostolica, questo valoreecclesiale della vita contemplativa è untema che il magistero recente dei sommipontefici ha spesso ripreso.

Scriveva Paolo VI: “Con questoculto sincero e indiviso l’Ordine certo-sino non solo reca un grande e sicurovantaggio al popolo di Dio, ma offreanche un non piccolo aiuto a tutti gliuomini, a tutti coloro che cercano lavia della vita e hanno bisogno dellagrazia divina; la contemplazione e lapreghiera incessante devono dunqueessere stimate come un servizio e undono di primissima importanza, chegiova al mondo intero”8.E Giovanni Paolo II: “Nel ritiro deimonasteri e nella solitudine delle celle,pazientemente e silenziosamente, i cer-tosini tessono la veste nuziale dellaChiesa, “pronta come una sposa adornaper il suo sposo” (Ap 21,3); essi pre-sentano quotidianamente il mondo aDio e invitano l’intera umanità allafesta nuziale dell’Agnello”9.

Posto dalla radicalità della suasolitudine nel centro stesso della vita

battesimale,e quindi delm i s t e r op a s q u a l edel Signore,il monaco èper ciò stes-so posto nelcuore dellaChiesa chevive di que-sto misteropasquale.

E ve-ramente, ser i m a n efedele allasua graziapropria, ils o l i t a r i o ,s e b b e n e“rinchiuso”nel cerchiol i m i t a t odella suaclausura edelle sueoccupazionimolto ordinarie, avverte il progressivodilatarsi in sé di un’attenzione e di unasollecitudine vere per le grandi causedella Chiesa e le sorti di tutti i suoi fratel-li in umanità (cf. Statuti, 6.6). La solitu-dine dilata la sua com-passione, l’amoree la solidarietà, facendogli sperimentare,talvolta dolorosamente, il reale legameche, nel Signore Crocifisso e Risorto, lounisce a tutti e alla creazione intera.

È il mistero della comunione deisanti che in Certosa fiorisce nella con-divisione silenziosa e nell’offerta di sènascosta, compiuta nell’oscurità dellafede.

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Ma se,ovviamente,questo valo-re apostoli-co e di inter-c e s s i o n edella lorovita non èe s c l u s i v odei certosi-ni, poichéessi lo con-d i v i d o n ocon tutti icontemplati-vi, vi è peròforse un’al-tra dimen-sione eccle-siale che,pur senzaessere nep-pure essae s c l u s i v adel nostroOrdine, èperò espres-sa con parti-

colare trasparenza ed evidenza dallaCertosa. È quella della testimonianza, latestimonianza resa all’assoluto misterodi Dio, che merita di essere adorato eamato per Sé, anche se, per assurdo,queste esistenze d’amore e di adorazionefossero “inutili” per il mondo.

Dio merita infinitamente di esse-re amato perché è Dio, e merita chealcune creature si donino a Lui senzapensare ad altro, occupate solo di Lui,di divenire sempre più offerta viva inCristo per la sua gloria.

Il certosino non cerca di saperese e come Dio utilizzerà la sua offerta;

si offre semplicemente perché sa, conl’intuito del suo cuore, che questa èl’unica risposta adeguata, anche sesempre imperfetta, all’Amore.

Dio sa che il mondo non ha biso-gno delle nostre parole, neppure dellepiù spirituali, non ha bisogno delnostro ministero pastorale, ma ilmondo ha bisogno, e oggi più che mai,di vedere persone che gli ricordino conla trasparenza della loro vita che“amare in modo gratuito è un dirittoinalienabile della persona, anche – ebisognerebbe dire soprattutto – quandol’Amato è Dio stesso”10. E più è grandequesta gratuità dell’amore, più la per-sona umana raggiunge la sua pienezza,perché si configura all’immagine dellePersone divine, che sono totalmenteAmore gratuito reciproco.

È forse questa, crediamo, la testi-monianza più incisiva che la Certosa èchiamata a rendere oggi; è quanto le hachiesto Giovanni Paolo II: “Date con lavita testimonianza del vostro amore a Dio.

Il mondo vi guarda e, forse incon-sapevolmente, molto si attende dallavostra vita contemplativa. Continuate aporre sotto i suoi occhi la ‘provocazio-ne’ di un modo di vivere che, pur intrisodi sofferenza, di solitudine e di silenzio,fa zampillare in voi la sorgente di unagioia sempre nuova”11.

È la gioia della “inutilità”, dellalibertà che dà l’amare gratuitamente,ad imitazione del Signore; come Luistesso ha testimoniato: C’è più gioianel dare che nel ricevere (At 20,35).

10 Giovanni Paolo II, Discorso, alle contempla-tive nel carmelo di Lisieux, 2 giugno 1980.11 Id., Discorso, alla comunità certosina diSerra san Bruno, 5 ottobre 1984.

“La vostra vita nascostacon Cristo, come la Crocesilenziosa piantata nelcuore dell’umanità reden-ta, resta in effetti per laChiesa e per il mondo ilsegno eloquente e il richia-mo permanente del fattoche ogni essere, oggi comeieri, può lasciarsi afferrareda Colui che è soloAmore”.

Giovanni Paolo II

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LA VERGINE DEL SILENZIO

Queste note sulla vocazionecertosina sarebbero incomplete se nonvi aggiungessimo almeno un brevecenno sulla presenza tutta particolareche ha Maria in questa vocazione.Maria, Madre particolare dei certosini(Statuti, 34.2), ha accompagnatol’Ordine fin dalle sue origini.

Quasi d’istinto il cuoredel certosino si volgeverso la Vergine; inlei vede l’esem-pio eminentedel grandem i s t e r od e l l ’ u -nione diCr is tocon las u aChiesa,miste-ro cheegli èchiama-to a vive-re e che gliverrà rivela-to sempre piùprofondamentedalla potenza stessadella sol i tudine (cf . Statuti 2.1).

La perpetua freschezza della ver-ginità di Maria, l’umbratile nascondi-mento della sua umiltà, la profonditàdel suo silenzio che custodivano l’ar-dore della sua carità, sono per noi unospecchio tersissimo nel quale possiamocontemplare ciò che la grazia ci chia-ma a diventare.

La Vergine infatti è colei che piùdi ogni altra creatura ha compreso econdiviso, nel silenzio e nell’ombra, ilmistero della solitudine di Cristo ed èlei che, silenziosamente, vi introduce ilcertosino. Ella è l’arca dell’alleanzache lo guida nel suo cammino neldeserto, anzi che lo precede in questolungo pellegrinaggio, per cercargli epreparargli un luogo di riposo (cf. Nm

10,33).Sappiamo che, in

mezzo alle prove diquesto mondo,

condividia-mo, sia pure

in parte,la vita dilei, per-c h éc o m elei ec o nlei, cis f o r -

ziamo,n o n o -

s t a n t ei m p e r f e -

zioni e debo-lezze, di tra-

scorrere tutta lanostra esistenza nella

contemplazione e nell’a-dorazione incessante di Dio, non

negli splendori della visione a faccia afaccia, ma nell’oscurità della vita feria-le di Nazaret.

È in questa oscurità che Maria,silenziosamente e nascostamente, maincessantemente, genera Cristo nell’a-nima del monaco, senza quasi che eglise ne accorga.

Solo quando giungere-mo alla visione e, nel silen-zio dello Spirito, il Padrepronuncerà in noi il suoVerbo, solo allora vedremoin piena luce ciò che ora civiene donato, nell’ombradella fede, nelle profonditàdel cuore, fra le mura di unacella.

E allora il silenzio ado-rante, con cui accoglieremoil dono di tale mistero, saràl’ultima e più piena paroladel nostro amore.

Tibi silentium laus.

LE MONACHE CERTOSINE

Il ramo femminile dell’Ordineebbe origine verso la metà del XII seco-lo, quando le monache del monasterodi Prébayon in Provenza chiesero diseguire le Consuetudini di Guigo. Lemonache certosine, che conducono lamedesima vita dei monaci, dopo la pro-fessione solenne ricevono anche laConsacrazione verginale che le associain modo speciale al mistero di Maria,

costituendole segno particolarmenteespressivo della Chiesa, Vergine eMadre, che trova in Maria il suo perfet-to modello e la sua piena realizzazione.

La loro verginità consacrata, resaancora più silenziosa dalla loro solitu-dine, partecipa misteriosamente dellafecondità verginale di Maria e dellaChiesa, le quali, per opera delloSpirito, donano incessantemente almondo Cristo, che è la Vita stessa e dàla vita al mondo.

LA CERTOSADI FARNETA

La Certosa di Farneta, dedicata alloSpirito Santo, sorge ai piedi delle collinedella Lucchesia. La sua costruzione iniziònel 1340 per volontà di un ricco mercantelucchese, Gardo di BartolomeoAldebrandi. Degli edifici originari dellaCertosa rimane il piccolo chiostro risalenteal XIV secolo. Tutti gli altri edifici mona-stici furono rinnovati pressoché totalmentenel XVI-XVII secolo: il chiostro fu rico-struito nel 1509 e la chiesa fu ornata diaffreschi nel 1693.

Nessun evento di rilievo deve aver tur-bato l’esistenza della Certosa di Farnetasino al tempo della caduta della repubblicadi Lucca sotto il dominio napoleonico.

Nel 1806, sotto il principato di FeliceBaciocchi ed Elisa Bonaparte, tutti gliOrdini religiosi dello stato lucchese furonosoppressi e ai certosini di Farneta fu ordi-nato di abbandonare il monastero.Dapprima si rifugiarono presso i france-scani del vicino convento di san Cerbone,che tuttavia venne anch’esso presto sop-presso e i certosini si dispersero, mentre illoro monastero, entrato nel demanio stata-le, fu alienato a privati.

Singolarmente, fu un’altra persecuzio-ne a ridare vita alla Certosa. Questa erarimasta pressoché intatta nelle sue struttu-re e in buona parte dei suoi arredi e si tro-vava in vendita, quando nel 1903 i certosi-ni della Grande Certosa dovettero abban-donare la casa madre dell’Ordine in segui-to alla nuova soppressione degli Ordinireligiosi in Francia. Il Reverendo Padredom Michel Baglin, dopo aver predisposto

un sopralluogo per constatarne le condi-zioni, decise di acquistarla per trasferirvila comunità in esilio della Grande Certosa.L’atto di acquisto fu effettuato il 10novembre 1903 e subito furono iniziati ilavori per il riadattamento e l’ampliamentodei locali monastici. Questi lavori consi-stettero principalmente: nella costruzionedi nuovi edifici presso l’ingresso delmonastero per accogliere i partecipanti aiCapitoli generali; nell’ampliamento dellachiesa mediante un allungamento di trecampate dalla parte della facciata; nellacostruzione di un secondo chiostro attiguoa quello originario, in modo da rendere ilnumero delle celle più che raddoppiato.

La comunità della Grande Certosa sistabilì nella Certosa di Farneta il 24 set-tembre 1904. Vi rimase fino al giugno1940, quando fu possibile ricuperare ilmonastero della Grande Certosa.

Da allora Farneta è una Certosa auto-noma dell’Ordine.

Durante l’ultima guerra, la Certosa diFarneta fu vittima di una durissima prova.Avendo generosamente dato rifugio adebrei e perseguitati politici – senza distin-zione di partiti, di nazionalità, di religione– nella notte fra il 1° e il 2 settembre 1944i soldati tedeschi invasero il monastero, dadove il giorno seguente evacuarono tutti ireligiosi e i civili che non erano riusciti afuggire o a nascondersi, trasferendoli convari autocarri a Nocchi, nei pressi diCamaiore, dove furono rinchiusi per piùgiorni nei locali del frantoio. La maggiorparte di essi furono fucilati, in luoghi egiorni differenti, ma specialmente nei din-torni di Massa, la domenica 10 settembre;altri furono avviati, a gruppi separati, alladeportazione.

Dodici furono i certosini fucilati, tra iquali il priore dom Martino Binz, il procu-ratore dom Gabriele Maria Costa e domBernardo M. Montes de Oca, già vescovodi Valencia (Venezuela) e novizio aFarneta dal 1943.Il sacrificio delle loro vite, offerte perfedeltà al Vangelo e alla carità di Cristo,rimane come segno e seme di pace, e il 5settembre 2001 fu solennemente comme-morato con il conferimento della medagliad’oro al valor civile concessa dal Capodello Stato. Passati quei tragici eventi,dopo varie peripezie i certosini poteronorientrare nei mesi successivi a Farneta,dove si riprese la regolare vita monastica.

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Pur avendo una lunga storia, la Certosadi Farneta non si presenta particolarmentericca di opere d’arte, diversamente dallevicine Certose monumentali di Pisa(Calci) e di Firenze (Galluzzo).Probabilmente è stata questa sua relativapovertà artistica che le ha consentito dirimanere in disparte dalle visite turistichee così conservare tra le sue mura la solitu-dine e il silenzio che costituiscono l’auten-tica ricchezza di una Certosa, ed è in que-sta solitudine e in questo nascondimentoche i certosini pregano e si offrono a Dioper il mondo intero.

STORIADELL’ORDINEL’irradiazione del carisma di San

Bruno fu dovuta alla comunità dellaGrande Certosa; infatti a partire dal priora-to di Guigo I (1109-1136), quinto succes-sore di Bruno, cominciarono a sorgere leprime fondazioni. A Guigo stesso si deveil primo testo legislativo dell’Ordine, leConsuetudini di Certosa, che fu via viaadottato dalle nuove comunità.

Le fondazioni si susseguirono a ritmocrescente, soprattutto dal secolo XIV, tantoche all’inizio del XVI secolo, momento dimassima espansione dell’Ordine, vi erano195 Certose disseminate in tutta l’Europa.

Da questa data l’Ordine assistette aduna costante e spesso violenta riduzione,dapprima ad opera delle guerre di religio-

ne, poi delle soppressioni di GiuseppeII, della Rivoluzione Francese e

di Napoleone, tanto che nel

LE CERTOSE OGGI IN ITALIA

CERTOSE DI MONACI

Certosa dello Spirito SantoFarneta – 55050 MAGGIANO (Lucca) - Tel. 0583.59207 - Fax 0583.328087

Certosa dei Ss. Stefano e Bruno89822 SERRA SAN BRUNO (Vibo Valentia)

CERTOSE DI MONACHE

Certosa della Trinità17058 DEGO (Savona)

Certosa di San MarcoVedana – 32037 SOSPIROLO (Belluno)

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www.chartreux.orgSito ufficiale dell’Ordine in varie lingue, con ampia bibliografia

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1810 l’Ordine era quasi scomparso. Dopo il periodo napoleonico la ricostru-

zione riprese lentamente pur tra gravi diffi-coltà dovute a nuove soppressioni e inca-meramenti dei beni soprattutto in Italia e inFrancia tanto che, nel 1903 le leggi antire-ligiose del governo francese costrinsero icertosini di quella nazione all’esilio. Lacomunità della Grande Certosa potè rien-trare in Francia solo nel 1940. Negli ultimidecenni, per la prima volta, l’Ordine hadato vita a delle fondazioni fuoridell’Europa.

Nei suoi nove secoli di storia, l’Ordinecertosino ha condiviso tutte le prove attra-versate dalla Chiesa, pagando spesso lasua fedeltà ad essa con un grave tributo disangue. Tra i martiri certosini spicca il

gruppo dei diciotto monaci inglesi trucida-ti all’epoca dello scisma di Enrico VIII nel1535-1541; vi sono poi i certosini diRuremonde nei Paesi Bassi, uccisi nel1572 dagli Ugonotti e i quarantasei certo-sini martirizzati durante la RivoluzioneFrancese. Ma anche ai nostri giornil’Ordine ha dato la sua testimonianzacruenta a Cristo.

Nel 1936, durante la guerra civile spa-gnola venne saccheggiata la Certosa diMontalegre (Barcellona) e sei monacifurono uccisi. Infine, nel 1944, come giàricordato, durante la ritirata nazista, dodicimonaci della Certosa di Farneta venivanouccisi dalle SS e altri deportati inGermania per aver offerto rifugio a ebrei eperseguitati.

INDICE

INTRODUZIONE 1

LA VOCAZIONE CERTOSINA 2

San Bruno 2

Afferrare l’eterno 2

La solitudine 4

La vita fraterna 9

L’itinerario di formazione 11

La liturgia in Certosa 14

I Padri e i Fratelli 15

La gioia divina 18

La giornata in Certosa 19

Funzione ecclesiale della vita certosina 22

La Vergine del silenzio 25

Le monache certosine 27

LA CERTOSA DI FARNETA 28

STORIA DELL’ORDINE 31

Le Certose oggi in Italia 32