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Chi ha rubato la marmellata?

Esperienze e buone pratiche sul diritto al gioco

a cura di Maria Carla Rizzolo

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Città di Torino

ITER - Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile

Presidente

Mariagrazia Pellerino

Assessora alle Politiche Educative

Direttore

Umberto Magnoni

Centri di Cultura per il Gioco

Responsabile pedagogico

Maria Carla Rizzolo

Cura redazionale

Rosella Fonsato

Progetto grafico

Giuseppe Filosa

Info

Centri di Cultura per il Gioco

via Fiesole 15 - 10151 Torino

telefono 011.4439400

[email protected]

www.comune.torino.it/iter

© Città di Torino, ITER - 2013

il volume è protetto dalle norme vigenti in tema di diritto d’autore e di proprietà intellettuale

edizione fuori commercio

pubblicazione a supporto dell’azione pedagogica dei docenti e libera consultazione degli allievi

e dei familiari

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Indice

Presentazione, Torino città in gioco

Mariagrazia Pellerino, Umberto Magnoni

Introduzione

Maria Carla Rizzolo

Prima parte

Capitolo 1 - Itinerari, progetti e percorsi in gioco

Maria Carla Rizzolo

Premessa

1. Spazio al gioco

2. Dare continuità a progetti e servizi

3. Differenti tipologie di servizi ludico-educativi

Riferimenti bibliografici

Capitolo 2 - Diritti e opportunità di gioco in Italia per grandi e piccoli

Riccardo Poli

Premessa

1. Alcuni dati sul gioco in Italia

2. Il diritto al gioco

3. Un’esperienza: indicatori per città “giuocose”

Conclusioni in stile “RockPolitic”

Riferimenti bibliografici

Capitolo 3 - Le buone prassi nelle città e nei piccoli comuni

Amilcare Acerbi

1. Gioco, giovani cittadini, amministratori

2. Da un’idea di sistema, al sistema interruptus della 285, allo sbracamento come sistema

3. Resistenza ludica

4. Cattive prassi e anticorpi timidi

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Seconda parte

I contributi dei gruppi di lavoro

Presentazione, Maria Carla Rizzolo

Capitolo 4 - Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento

Coordinamento a cura di Grazia Bisonni, Roberto Pompermaier

Riflessioni e lavoro di gruppo, Grazia Bisonni, Roberto Pompermaier

1. Il gioco e le attività motorie e sportive, Loretta Fabiani

2. Uno sport per tutti: l’Hit Ball, Michele Segreto

3. Libertà d’azione, sicurezza e responsabilità personale, Stefano Oletto

4. Giochi d’ingegno, Paolo Munini

5. Modellismo nelle scuole, Roberto Lattini

Considerazioni per non concludere, Grazia Bisonni

Capitolo 5 - Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare

Coordinamento a cura di Bruna Pangallo, Antonio Damasco

Riflessioni e lavoro di gruppo, Bruna Pangallo, Antonio Damasco

1. Giocare ancora ai giochi di ieri? Bruna Pangallo

2. Lavorare insieme costa di più, Antonio Damasco

3. L’ingegneria del buon sollazzo, Piero Santoni

4. Gioco delle bije, Giancarlo Tavella

5. Sport e giochi tradizionali in Sardegna, Maria Pina Casula

Considerazioni per non concludere, Bruna Pangallo

Capitolo 6 - Ludo-tecnica e edutainment: fattori negativi e valore aggiunto

Coordinamento a cura di Silvia Carbotti, Maria Battaglia

Riflessioni e lavoro di gruppo, Silvia Carbotti, Maria Battaglia

1. Sui videogiochi, Silvia Carbotti

2. Uno spazio per il videogioco in ludoteca: problematicità e prospettive, Maria Battaglia

3. Bambini e robot, Giusy Dompé, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto

4. Collaborazione tra scuole primarie e università in attività con piccoli robot programmabili, Barbara Demo

5. Playful learning e Smart-us, Gustavo Evangelista

Considerazioni per non concludere, Maria Battaglia

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Capitolo 7- Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco

Coordinamento a cura di Livia Papi, Roberto Maurizio

Riflessioni e lavoro di gruppo, Livia Papi, Roberto Maurizio

1. Ricerca sulle ludoteche in Sicilia, Irene Catalano Randò, Deborah Bontempo

2. Il laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine di San Giorgio a Cremano,

Francesco Langella

3. La ludoteca… la Carneade dei servizi per l’infanzia, Giorgio Bartolucci

Considerazioni per non concludere, Livia Papi

Capitolo 8 - Gioco, scuola ed extrascuola

Coordinamento a cura di Rosanna Clinco, Beniamino Sidoti

Riflessioni e lavoro di gruppo, Rosanna Clinco, Beniamino Sidoti

1. “OCApito” - Esempio di buona prassi in un piccolo Comune, Olivia Modica

2. Progetto “Amico di classe”, Martina Bracci

3. Percorsi di gioco in classe, Patrizia Di Lorenzo

4. Laboratorio sulle competenze socio-affettive, Caterina Di Chio

Considerazioni per non concludere, Rosanna Clinco

Capitolo 9 - Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e di diversità

Coordinamento a cura di Renata Bronzino, Santo Cicco

Riflessioni e lavoro di gruppo, Renata Bronzino, Santo Cicco

1. Il gioco, strumento di relazione, Renata Bronzino

2. Un sorriso contro la paura, Santo Cicco

3. Giochiamo alla quotidianità? Rosita Deluigi

4. Associazione Babi-Xitter e il gioco, Gianni De Corral

5. La storia del gioco in ospedale a Parma, Corrado Vecchi

6. Tra la nebbia ed il deserto, Maria De Vita

Capitolo 10 - La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare

Coordinamento a cura di Tamara Lavina, Bernardetta Gallus

Riflessioni e lavoro di gruppo, Tamara Lavina, Bernardetta Gallus

1. Fare formazione per i servizi educativi, Luisa Norgia

2. La “Forma…Azione” ludica, Irene Catalano, Deborah Bontempo

3. Finisterrae: servizi e formazione, Simonetta Straccamore

Considerazioni per non concludere, Tamara Lavina

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Capitolo 11 - La Minestra sul Cortile: tracce per indagini visionarie alla scoperta dei ladri di “marmellata”

Andrea Mori

Per non concludere: pensieri in libertà

Maria Carla Rizzolo

Autrici e Autori

.

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Presentazione

Torino, città in gioco

Il tema della cultura ludica, del gioco e del piacere di giocare si intreccia naturalmente con la storia

educativa di Torino.

Intorno al gioco sono nati, infatti, già alla fine degli anni Settanta, numerosi progetti e luoghi destinati

sia a sostenere l’approccio ludico alla conoscenza, sia a recuperare e divulgare un patrimonio straordinario

di saperi e di cultura provenienti dalla tradizione del territorio e destinati all’incontro-scambio con altre

culture, altre storie, altre realtà.

All’interno dell’Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile, il gioco trova un terreno fertile

nelle molte attività dei Centri di Cultura che ne custodiscono la storia e la memoria, ne divulgano le infinite

esperienze, ne sostengono il valore e il ruolo fondamentale all’interno del processo formativo della persona,

ne promuovono la caratteristica fondamentale: giocare per il gusto di giocare.

Se è vero che buoni apprendimenti sono legati a buone emozioni, allora il gioco e il giocare sono

strumenti davvero preziosi per scoprire ed esplorare quello che ci circonda, per entrare in relazione con

l’altro, per operare con la realtà, ma anche per affrontare il dolore e, talvolta, per guarire. Le emozioni

positive legate al gioco e al giocare rappresentano quella dimensione speciale e necessaria che distingue

l’attività ludica da ogni altra attività umana e la connota come espressione libera e autonoma della persona,

a qualsiasi latitudine, in qualsiasi cultura.

Il valore del gioco come propulsore al dialogo e alla qualità delle relazioni umane è, in questo senso,

grande e attuale, ma ha bisogno di essere evocato, sostenuto, diffuso.

Per questo i Centri di Cultura, accanto alle specifiche attività di ricerca e di formazione, si propongono

sul territorio come testimoni della trasversalità del gioco rispetto ai diversi ambiti in cui la persona vive e

cresce, offrendo infinite opportunità di riscoprire e liberare l’homo ludens che abita in tutti noi.

Il Convegno nazionale Chi ha rubato la marmellata? Riflessioni intorno ai diritti e ai rovesci del gioco è

stato preceduto da altri appuntamenti che si sono svolti a Torino, quali il Convegno nazionale Bisogno di

gioco, bisogno di vita nel 1987, la 4a e la 5a Conferenza internazionale delle ludoteche nel 1988 e nel 1990 il

34° Congresso internazionale dei ludobus e l’8° Incontro nazionale delle ludoteche e dei ludobus Time To

Play nel 2005.

Si tratta di un percorso che ha visto la città di Torino diventare promotrice della ricerca continua nel

campo del gioco e dei giocattoli, perché non basta un enunciato stilato sulla carta perché questo diventi un

diritto reale, esigibile e tutelato. Infatti, l’art. 31 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza

riconosce al bambino il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e all’attività ricreativa propri

della sua età, oltre a partecipare da protagonista alla vita culturale ed artistica della società.

Eppure se esiste un diritto esiste anche un rovescio e lo conosciamo bene questo nodo cruciale che

vede da una parte una dichiarazione di intenti che si scontra con la realtà, variegata e complessa e di difficile

interpretazione.

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Alla fine dei lavori del convegno, nel lontano 1987, si evidenziò la difficoltà di promuovere

l’autonomia e quindi l’identità del soggetto rispetto ad un bisogno di sicurezza rispondente sia ad un clima

ansioso del nostro modo di vivere sia ad una ricerca di omogeneizzazione dei comportamenti che stride con

la ricerca di autonomia.

Gioco, giocattoli e sicurezza, un problema sempre più presente a tutti che chiede una risposta non

limitata alla applicazione delle norme che, proprio per la loro natura astratta, non sempre si possono riferire

a contesti dove la libertà, la spontaneità del soggetto sono il cardine dell’azione.

Nell’apertura del Convegno Play To Play si sottolineò la necessità di assicurare al gioco, un tempo e

uno spazio in città, valorizzando il lavoro di ludoteche e laboratori come luoghi di incontro per chi ha voglia

di giocare.

Oggi ci troviamo a confrontarci per capire meglio a che punto siano e per vedere, attraverso l’analisi

dei diversi mondi del gioco, in quale società viviamo.

Molta strada è stata fatta, pensiamo solo all’attenzione che ultimamente si sta orientando verso gli

adulti che giocano e che in questo convegno ha una propria sessione o agli impulsi che la Legge 285/97 ha

prestato nel confronto dell’attuazione di servizi che vedevano nel gioco il fulcro esistenziale.

Lo stesso sport viene esaminato per capire se possiamo parlare ancora di gioco a fronte di situazioni

che richiamano molto più un sistema imperniato sull’avere economico, rispetto al piacere del giocare. Senza

dimenticare l’impegno che alcune città hanno assunto aderendo alla rete GioNa.

Eppure sentiamo che qualcosa manca, percepiamo che quelle riflessioni e preoccupazioni dei tempi

lontani ancora permangono.

Sarà forse perché, ancora troppe volte, ci vengono chiesti interventi di ludotecari o operatori del

settore che poco hanno di educativo ma molto di intrattenimento, sarà perché le risorse economiche sono

sempre minori e la gemmazione maturata con la Legge 285/97 si sta velocemente inaridendo, sarà perché,

ancora una volta, facciamo fatica a capire dove sono le buone pratiche, i modelli in mancanza di una

formazione in grado di garantire operatori del settore che giocano e che propongono ai bambini o lasciano

che i bambini giochino e cercano di capire chi sono per garantire le loro autonomie.

Sarà forse perché, scusate, ci sta stretto quell’art. 31 che associa il gioco e il divertimento al tempo

libero, non è forse possibile giocare ed apprendere divertendosi? Occorre una netta separazione tra il

bambino/scolaro e il bambino che si diverte?

Non per forza il gioco deve essere visto come il tempo liberato dall’adulto, senza restrizioni. Può

essere presente anche quando si parla di apprendimento, trasformando o trasferendo l’aula in contesti

educativi in grado di stimolare l’interesse dei bambini e la loro voglia di aspettative.

Sarà forse perché quel rinascimento culturale che diede vita a Torino, alla fine degli anni Settanta, ai

diversi sistemi di laboratori e ludoteche sembra oggi sempre più in affanno, non solo per la mancanza di

risorse finanziarie ma anche per la difficoltà a coinvolgere preadolescenti e adolescenti che si muovono

sull’onda di una comunicazione massificata e che troppe volte privilegia la mancanza di relazione e di

impegno per un semplice consumo del tempo presente.

Non ultimo, sarà forse perché pian piano quelle persone che hanno progettato e realizzato servizi

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come le ludoteche e i punti gioco, partendo dalla convinzione che con il gioco si scopre la realtà unica del

soggetto che abbiamo davanti, è ormai al termine del proprio percorso lavorativo e al pensionamento e si

domanda a chi lascerà il testimone.

Occorre costruire ponti che colleghino le esperienze passate al futuro, attraverso corsi di formazione

professionali che consolidino gli apprendimenti appresi negli anni di studi e trasmettano un metodo che

possa essere oggetto di successive riflessioni ma che costituisca una base di partenza forte su cui contare.

Solo in questo modo l’educatore e l’operatore che si incontrano in ludoteca saranno in grado di fornire ai

bambini quelle competenze che li rendano capaci di essere quello che realmente vogliono e non ciò che il

mondo del consumo e della finzione vorrebbero che essi fossero.

Sappiamo bene che i messaggi che noi trasmettiamo resistono solo se troviamo conferma nel nostro

modo di comportarci, quindi abbiamo bisogno che chi si occupa di gioco provi il piacere di giocare e far

giocare e non solo far passare qualche parola d’ordine e qualche specifica abilità. Di certo sappiamo che il

gioco manca dell’attenzione che si meriterebbe sia per l’importanza che riveste per lo sviluppo del bambino

sia per il benessere psicofisico dell’adulto.

Nel contempo rileviamo che in Italia, solo facendo una veloce ricerca su internet, troviamo migliaia di

luoghi che si chiamano ludoteca ma non possiamo dire che abbiano tutti le stesse caratteristiche e svolgano

le stesse funzioni, ovvero sono accomunati da un nome ma non da una vera e propria identità comune.

L’Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile, con il convegno Chi ha rubato la marmellata?

Riflessioni intorno al diritto al gioco ha voluto coinvolgere gli oltre 400 addetti ai lavori non solo con

interventi e presentazioni di studi e ricerche scientifiche ma attraverso momenti di dialogo e di confronto in

gruppi di lavoro.

Ci auguriamo che il lavoro qui presentato possa costituire la base per un seguito, fatto di proposte e

sollecitazioni, ritenendo fondamentale l’impegno a garantire il diritto al gioco con attenzione ai mutamenti

non solo del mondo della scuola ma soprattutto a quelli socio-culturali che determinano la trasformazione

delle relazioni familiari, tra coetanei, tra generazioni diverse e tra culture differenti.

Mariagrazia Pellerino Assessora alle Politiche Educative

Umberto Magnoni Direttore ITER

Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile

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Introduzione

di Maria Carla Rizzolo

Sappiamo da tempo che è difficile definire in modo netto che cos’è il gioco, anche per chi lo agisce

quotidianamente nel lavoro, nelle ludoteche nei punti gioco, sui ludobus o in ogni altro contesto socio-

culturale.

Insigni studiosi ci hanno provato e ciascuno di loro ha trovato, nello specifico dei propri percorsi

storici, filosofici, sociologici, etnologici, pedagogici, il significato e le funzione del gioco nella vita dell’uomo.

Una raccolta di molteplici punti di vista che non arriva a definirlo completamente, ma che rimanda alle

caratteristiche che ne fanno inequivocabilmente, al di là delle diverse età dell’uomo, un’occasione

imprescindibile di esperienza di vita: libertà, gratuità, regola, innovazione e creatività.

L’occasione di un convegno nazionale vuole essere un momento di scambio in cui teoria e prassi si

sostengono, la raccolta degli atti ne caratterizza in modo chiaro l’intento formativo e documentale. La

particolare connotazione che è stata data al convegno, attraverso i gruppi di confronto, ha offerto spazio alla

discussione e all’apporto di contributi, non solo scelti e concordati, ma anche estemporanei e di cui

riteniamo sia importante lasciare una traccia.

Un incontro nazionale sul tema gioco e creatività, per la ricchezza dei significati possibili, si presenta

come un arduo compito, in prima battuta può aiutare il riferimento al titolo scelto: Chi ha rubato la

marmellata? che rimanda all’acume di Italo Calvino nella definizione della fantasia: “La fantasia è come la

marmellata se la mangi con il cucchiaio ti senti male per il troppo zucchero se la metti in una fetta di pane è

deliziosa… Insomma bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane se no rimane una cosa informe su

cui non si può costruire niente”1, e il gioco è certamente un’ottima fetta di pane integrale (ce lo auguriamo!)

su cui, in modo naturale, trova sostegno la fantasia, che a sua volta nutre il gioco in modo egregio. Ma non

solo, l’attinenza con il furto della marmellata ci riporta da un lato al gioco di furbizia della maroda2 di antica

memoria, un’esperienza della tradizione contadina che piace ancora ai bambini di tutte le età, dall’altro alla

consapevolezza che, in qualche circostanza, anche il gioco è un poco come la marmellata che qualcuno ha

rubato per conto del mercato, in nome della sicurezza, a favore di altre attività considerate educative per

eccellenza... chissà!

L’argomento è vasto, e le suggestioni da cui si è partiti, che hanno trovato riscontro nella riflessione,

sono molte. Per questo si è scelto di presentare questo lavoro in due volumi: il primo per presentare i

contributi teorici di ricercatori e studiosi che nella prima giornata sono stati una forte spinta per la

discussione; il secondo volume per presentare il pensiero ludico che attraversa coloro che nella pratica

quotidiana esercitano il gioco e il giocare a diverso titolo.

Gli interventi che sono stati riportati all’interno di questo secondo volume hanno la funzione di

mettere in relazione il lavoro dei due volumi e sono strettamente collegati alle questioni affrontate nel

1 Beseghi E., “La marmellata di Calvino”, in Pedagogia più Didattica, gennaio 2009, n.1, Erikson.

2 Maroda: termine di origine piemontese per indicare l’abilità dei ragazzini nel sottrarre la frutta ai contadini nei caldi pomeriggi

estivi o nelle lunghe notti stellate.

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dibattito:

quanto sono cambiati il tempo, lo spazio, il modo di giocare di bambini e ragazzi dal 1991, data della

ratifica italiana della Convenzione; ci interessa saperlo, e perché?

In un momento in cui pare abbia ripreso rilevanza culturale e storica la salvaguardia delle memoria,

al di là dell’evento folcloristico della festa di paese (senza su questo esprimere alcun giudizio di valore) in

quale dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare?

Sul territorio nazionale come operano e quali sono i servizi sul gioco, oltre la L. 285/97 o dentro la L.

328/97, verso quale futuro si sta avviando il gioco?

Come si è modificata la formazione professionale dei ludotecari, i riferimenti regionali sono

comparabili, la formazione permanente è un’esigenza forte, e quali relazioni sono possibili in ambito

europeo per scambi e interconnessioni, chi sono gli operatori che si occupano di gioco in termini educativi?

Quale consapevolezza esiste tra gli operatori del gioco della variegata realtà italiana dei servizi, ma

soprattutto quali servizi possono essere impresa pur mantenendo qualità di proposte per bambini, famiglie e

giovani?

I servizi per il gioco sono un diritto per tutti i bambini (ma anche un salvagente per gli adulti), da chi

è diversamente abile a chi arriva da territori diversi con differenti culture, da chi si trova a dover affrontare

percorsi di vita difficili legati alla sofferenza e alla malattia a chi vive in luoghi deprivati in cui morte e

violenza sono all’ordine del giorno, insomma come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di

gioco di cui tutti questi soggetti sono portatori?

Come e dove giocano gli adulti oggi, quanto sono individuabili dai ragazzi come modelli positivi?

Nella complessa dimensione educativo-didattica, come può il gioco entrare nei programmi curricolari

della scuola se nei fatti non può occupare neppure i tempi dell’intervallo?

Cosa e come vivono il rapporto tra tecnologia e gioco i bambini di oggi, i “nativi digitali” che, secondo

Postman3, hanno già perso l’infanzia e si dirigono verso una lunga “baby adultità”: con l’infanzia è destinato

a scomparire anche il gioco in rapporto con la tecnologia, oppure, così come avviene per la scienza, il gioco

trova nella tecnologia un prezioso alleato?

Nella consapevolezza che non si può essere esaustivi su temi di tale portata, nel poco tempo reso

disponibile dal convegno, sono stati organizzati sette gruppi di lavoro, ogni gruppo si è concentrato solo su

alcune questioni, poi le sintesi delle discussioni sono state riportate all’attenzione di tutta la platea in un

momento conclusivo di scambio.

Quello che ha reso possibile la stesura di questo volume è, quindi, il contributo di esperienze

significative e le riflessioni corali che sono emerse, raccolte e presentate dai due coordinatori, che in ogni

gruppo hanno saputo valorizzare le peculiarità dei partecipanti e soprattutto hanno scelto di restituircele

con passione e originalità.

Per questo l’andamento del lavoro, se pure in una cornice riconoscibile, non è del tutto uniforme,

ogni capitolo presenta delle caratterizzazioni perché, così come per il gioco, le regole date devono poter

essere interpretate e concordate tra i giocatori per dare i migliori risultati.

3 Postman N., La scomparsa dell’Infanzia, Armando, Milano, 2005.

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Il volume si divide in due parti, nella prima parte la presentazione della variegata realtà dei servizi

torinesi sul gioco consente di cogliere l’esigenza propulsiva di confronto, che dà senso alla scelta di

realizzare il convegno come impegno formativo, utile a rispondere sempre meglio alla complessità delle

esigenze educative e sociali. Pertanto i significativi contributi di Riccardo Poli e Amilcare Acerbi si

presentano come due valide prospettive per comprendere la realtà italiana dopo la L. 285/97: dal punto di

vista dell’accurato esame dei dati portati dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e

l’adolescenza, nell’intervento di Poli; mentre la relazione di Acerbi attraversa la pluralità di servizi e, senza

esitazioni, entra nel merito del rapporto tra il gioco e le politiche, i territori, gli spazi, la memoria.

La seconda parte del volume raccoglie i lavori dei sette gruppi ed è presentata con una introduzione

dedicata.

Infine un significativo richiamo alla rilevante figura di Walter Ferrarotti4, a cui questo convegno

nazionale sul gioco è stato dedicato con la cerimonia di intitolazione del Centro per la Cultura Ludica alla sua

memoria. Il suo impegno di vita, il suo stile come educatore e come persona lo legano, non solo al gioco ma

a tutto il Sistema educativo della Città di Torino, di cui è stato artefice. Walter Ferrarotti si è inserito in

questo lavoro attraverso brevi contributi, fornendoci un ulteriore stimolo per la freschezza e l’innegabile

attualità che li contraddistinguono. Il brano che ho scelto di riportare di seguito, riferito alla capacità di

esercitare la dimensione creativa del gioco al di là del tempo e dello spazio, ne è un significativo esempio:

“Chi alimenta il gioco creativo apre la mente ad una dimensione in cui tutto è possibile tutto si

trasfigura e si trasforma. Non sto parlando di fantasticherie ad occhi aperti che estraniano dal

mondo e dalle quali si è richiamati più o meno energicamente dalle persone di buon senso che

ci circondano. Sto dicendo che si può usare ciò che fa parte del quotidiano per uscire dal

quotidiano: così la biro che ho in mano in questo momento cessa di scrivere e di disegnare per

farsi piccolo strumento musicale per una parentesi sonora. Basta lasciarsi andare con la

fantasia batterla toccarla e soffiarci dentro. Si va da questa ingenuità al piacere di costruzioni

grafiche dove ci si propongono problemi di matematica e geometria sempre più complessi,

problemi non imposti dalla necessità, ma solo dalla necessità di esplorare le proprie capacità di

inoltrarsi per una strada dove le regole del gioco sono rigorosissime e non si può fingere. Ma si

può giocare creativamente in cucina facendo scoprire al palato qualcosa di inedito, o per la

strada divertendosi a considerare quell’infinito repertorio di maschere che sono le facce dei

nostri simili. Si può passare tutta la vita ad elencare i materiali e le operazioni con i quali

trascorrere in modo inconsueto una parte della nostra esistenza. Uscire dalla routine vuol dire

liberarsi, sentire che la propria vita può espandersi indefinitamente senza l’aiuto di nessuno.

Questa bellezza del gioco creativo vale per me perché rinnova la mia esistenza, mi fa sentire

ricco perché possiedo il mondo con il quale gioco e non sono limitato da problemi di

autotassazione, di giudizi critici. Godo di vivere e basta!

4 Dirigente dei Servizi educativi del Comune di Torino, scomparso nel dicembre 2007, fondatore con il CIGI e con Giancarlo

Perempruner del Centro per la Cultura Ludica di Torino.

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Si incomincia a creare da bambini se si ha la fortuna di scoprire o di essere aiutati a scoprire

che il mondo è ricchissimo per tutti, non solo per chi ha un conto in banca. Non si diventa

necessariamente artisti giocando creativamente, ma si prova un gran desiderio di vivere perché

ogni giorno, in mezzo agli affanni possiamo trovare il nostro attimo di felicità e di libertà.”5

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5 Ferrarotti W., Introduzione agli Atti della I Biennale del Gioco e del Giocattolo, supplemento alla rivista Gioco tempo dell’uomo,

CIGI, 1988.

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Prima parte

I tempi delle grandi trasformazioni sono sempre molto lunghi

e nessuno di coloro che ne discutono saprà mai chi avrà avuto ragione,

ma il discuterne non è ozioso perché svela il nostro atteggiamento

verso la vita e verso la società, ciò che vogliamo e ciò che temiamo;

ci dice, in altri termini, verso quale direzione stiamo tendendo e quali sono

i nostri “reali” rapporti con gli altri al di là delle formule verbali

o degli atteggiamenti che possono essere smentiti

nei momenti in cui occorre prendere decisioni che contano per il futuro.

Forse anche questo può apparire ozioso se pensiamo che gli eventi

sono manifestazione di una realtà di cui noi siamo parte determinata

non diversamente dalle altre.

Io penso che almeno servirà a dichiarare ad ogni nostro interlocutore

quale responsabilità crediamo di avere vivendo. 6

Walter Ferrarotti

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6 Ferrarotti W., Il condizionamento dell’ambiente nella scelta del gioco e nell’orientamento dello sviluppo, Città di Torino, Quaderni

Centri di Documentazione, 1990.

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Capitolo 1

Itinerari, progetti e percorsi in gioco

di Maria Carla Rizzolo

Trent’anni di impegno sul territorio cittadino lasciano il segno nel quotidiano delle famiglie che lo

abitano, proprio i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze con la loro cerchia parentale sono da sempre

gli interlocutori privilegiati dei Centri di Cultura per il Gioco. Un arco di tempo importante, che segna anche

la disponibilità al cambiamento e l’attenzione di chi lavora nel cogliere istanze, nel saper leggere nuovi

desideri poggiati su antichi bisogni. Con il presente lavoro si vuole completare e arricchire il contributo del

primo volume, che presenta la realtà torinese: dalla storia dei servizi ludici alle scelte pedagogiche che

sostengono l’offerta educativa a scuola e famiglie. Il contributo che segue mira ad approfondire

maggiormente la presentazione dei servizi che compongono i Centri di Cultura per il Gioco, dando spazio

anche ai progetti in corso e all’impegno verso iniziative e collaborazioni per noi significative.

.

Premessa

I Servizi educativi della Città di Torino si occupano di luoghi dedicati al gioco da più di trent’anni anni,

quando ancora l’argomento non era di moda, in un epoca in cui risultava molto faticoso spiegare,

soprattutto a politici ed amministratori, l’importanza di istituire dei servizi che si occupassero del

divertimento di bambini e ragazzi, sostenendo il gioco quale esperienza collegata strettamente con

l’apprendere, una occasione per mettere in pratica il rapporto con il mondo, sia fisico che relazionale7.

Il modo di giocare, gli spazi di gioco, i giocattoli, come sappiamo, rispecchiano l’evoluzione sociale e

culturale di ogni Paese. In Italia, intorno agli anni ‘60, l’industria è riuscita ad implementare il mercato con

oggetti ludici accattivanti a costi molto contenuti, così i bambini hanno smesso di costruire giocattoli con i

loro padri o i loro nonni; il giocattolo di produzione industriale, che fino ad allora era riservato a pochi, è

diventato un oggetto di consumo alla portata di quasi tutte le famiglie.

Anche i cortili, le strade e i marciapiedi non sono più frequentati dal gioco: le trasformazioni sociali,

culturali e urbanistiche hanno determinato sostanziali modifiche degli spazi e dei tempi per il gioco.

Occorrono, sempre più spesso, luoghi in cui recuperare il piacere di stare con altri a giocare, facendo

esperienza diretta di relazioni: incontri, scontri, litigi e rappacificazioni; luoghi in cui sfidare le produzioni del

mercato industriale, attivando la propria capacità creativa per progettare e realizzare giocattoli con i

materiali più diversi. Tra questi luoghi si possono inserire i Centri di Cultura per il Gioco che propongono a

bambini, ragazzi e giovani, non stimoli ma occasioni d’incontro vero con le cose e tra le persone,

riconoscendo che è questo che produce conoscenza e di conseguenza creatività. È però necessario che non

siano esperienze estemporanee, è importante che possano diventare momenti significativi riconosciuti e

7 La storia e le trasformazioni di ludoteche, punti gioco, sale gioco in ospedale e del Centro per la Cultura Ludica torinesi, sono

descritte in Rizzolo M.C., Giocare in città, in Venera A. M., (a cura di) Garantire il diritto al gioco. Studi e ricerche sul diritto al gioco, Junior, Bergamo, 2011, pp. 183-186.

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praticati quotidianamente, come succede nelle ludoteche torinesi. Ma non basta: il ruolo dei Centri di

Cultura per Gioco, nella realtà locale (ma anche in quella nazionale e internazionale), trova significato nella

sua funzione di strumento di raccordo con altre realtà educative, sociali e culturali che si rivolgono al

bambino, non solo per ampliare le offerte, ma anche per costruire e condividere l’intervento pedagogico.

1. Spazio al gioco

Ancora oggi il gioco ha la funzione di sperimentare la scoperta e la conoscenza, di orientare al

cambiamento, di stimolare la ricerca, in tutte le età dell’uomo. Il bambino che gioca sarà un adulto che “si

metterà in gioco”, che saprà guardare alla realtà con spirito critico e, crescendo, sarà disponibile a trovare e

a sperimentare soluzioni divergenti.

Possiamo anche pensare il gioco come un modo di essere, una possibilità per avvicinarsi alla realtà o

un tentativo per comprenderla prendendone le distanze attraverso la sua rappresentazione. Il gioco,

funzione elementare della vita umana, appartiene alla natura e alla dimensione culturale dell’uomo, anche

se spesso si tende a considerarlo come un’allegra e divertente compensazione del lavoro e della vita seria.

La questione è molto più impegnativa, non solo i pedagogisti ma anche psicologi, etologi, filosofi,

sociologi hanno riscattato l’apparente futilità di questa esperienza, affrontando l’argomento con la massima

serietà, come dice Umberto Eco, nel tentativo mai completamente concluso di “…postulare quello che

ancora oggi spaventa e non pochi, eppure va postulato: che anche i fondamenti dei rapporti materiali di vita

vanno risolti in regole di gioco per capirne la natura e la meccanica”8.

Il gioco diventa occasione di conoscenza, di interiorizzazione e di esperienza della realtà; Piero

Bartolini, che alla riflessione sul gioco ha dedicato una buona parte del suo lavoro di ricerca, sottolinea

come il gioco abbia una funzione di conoscenza della realtà, ma contemporaneamente, quanto sia

un’esperienza fondamentale per conoscere se stessi e per riuscire a dominare la realtà.

“… chiunque operi in situazione di autentico gioco, sa bene quanto nell’attività del giocare si realizzi

quella corretta relazione tra l’oggetto e il soggetto che caratterizza e struttura qualsiasi attività dell’uomo …

un rapporto che dal punto di vista pedagogico permette di comprendere ancora meglio la duplice funzione

del gioco: una funzione di avvicinamento alla realtà e di una vera e propria presa di coscienza di essa da

parte del bambino; ed una funzione di stimolo ad una progressiva presa di coscienza di un sé capace di

muoversi, di trasformare, di manipolare, insomma di dominare questa stessa realtà”.9

Se è vero che i bambini giocherebbero ovunque e comunque, non è altrettanto vero che gli adulti lo

permettano e, soprattutto, che siano consapevoli di quanto sia importante giocare, pensiamo a frasi del tipo

“Pensi solo a giocare!” o “Giochi dopo, c’è tempo per...” o ancora “Perdi sempre tempo a giocare”. Ma chi

può o deve decidere quando si gioca e come si gioca? Gli studiosi del gioco ci insegnano che decide solo chi

gioca e non si può obbligare nessuno a giocare (anche se oggi esistono forti condizionamenti, verso un tipo

di gioco principalmente di fortuna, che troppo facilmente crea dipendenza). Purtroppo certi adulti,

responsabili delle scelte urbanistiche, commerciali e culturali, condizionano fortemente famiglie e ragazzi

8 Eco U., Saggio introduttivo, in Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1998, p. XXVI.

9 Bartolini P., Diritto al Gioco come diritto allo studio, a cura di La Guardia, Lucchini, Centro Programmazione Editoriale, 1990, p. 52.

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sulle opportunità, le tipologie e i contenuti del gioco. Il ritornello ricorrente è che i bambini non sono più

capaci di giocare. Difficilmente però gli adulti si chiedono quali reali possibilità di gioco vengano messe a

disposizione dei bambini, quali siano gli spazi e i tempi di autonomia concessi affinché il gioco sia “vero” e

non solo una riduttiva esercitazione ludico-guidata.

Lo spazio è una delle questioni educative aperta e strettamente collegata con la dimensione di libertà

che è insita nel gioco: serve uno spazio per giocare o si può giocare in ogni spazio? I bambini giocherebbero

ovunque, come sostiene Françoise Dolto, ma hanno bisogno di luoghi sicuri, non troppo presidiati, in cui si

possano fare esperienze di relazioni autentiche, in cui gli adulti possano evitare di esercitare un controllo

costante: “Per essere più chiari bisognerebbe creare nelle città e nelle strade luoghi di incontro riservati ai

bambini tra loro ... hanno bisogno di questo, di territori sistemati sommariamente, ma soprattutto

sistemabili da loro, con l’eventuale aiuto degli adulti” 10.

Lo spazio, nelle città, è una questione complessa, strettamente legata alla dimensione urbana, alla

percezione del senso di sicurezza, al progetto sociale di comunità, come mette bene in evidenza Zygmunt

Bauman in Fiducia e paura nella città (Bruno Mondadori, Milano, 2005).

Il traffico sempre più congestionato influenza la mobilità e gli spostamenti: oggi i veri padroni di

strade e piazze sono le automobili e il commercio; per bambini e ragazzi è sempre più difficile esercitare

l’autonomia misurandosi con le difficoltà per superarle.

La violenza diretta, ma ancora di più quella strutturale e culturale, hanno una forte influenza

(chiaramente comprensibile) sulle scelte delle famiglie e, conseguentemente, sulla possibilità di movimento

e di gioco aggregativo in spazi pubblici della città.

Due modi diversi di vedere il problema, pur andando nella stessa direzione, sono quello di Elisabetta

Forni (presentato nel testo La città di Batman): “… La crisi del modello urbano contemporaneo dovrebbe

essere affrontata con un progetto educativo che punti all’attivazione e alla valorizzazione non solo delle

capacità critiche, comunicative e relazionali dei bambini, ma anche delle loro capacità progettuali e

lavorative, appunto del loro bisogno di ‘fare cose’ giocando. E giocare anche a recuperare e mantenere in

vita i luoghi della convivenza sociale significa imparare a mettere in relazione identità personali, sociali ed

etiche che sono la potenziale e specifica risorsa della città.” 11

E quello, ancora più forte e provocatorio, della psicoterapeuta francese Francoise Dolto presente nel

testo Il bambino e la città: “… Nelle città non si sfruttano abbastanza gli spazi appartati, per esempio sotto i

ponti. Gli angoli sotto i ponti attraggono molto i bambini e hanno una sonorità strana… Sotto i ponti, ecco

un angolo della città che non è affatto usato. I bambini ci potrebbero creare un’orchestra di percussioni.

Bisognerebbe dire loro: ‘se volete andare a giocare là potete farlo’. Basterebbero dei ripari per lasciarci i

giocattoli che non si possono portare ogni volta”.12

Il contributo dei Centri di Cultura per il Gioco accoglie entrambe le suggestioni: da un lato l’impegno

concreto con la presenza come cantieri del gioco al Tavolo interassessorile del Laboratorio Città Sostenibile -

in questo caso l’azione consiste nella progettazione e nell’accompagnamento all’esperienza partecipata dei

10

Dolto F., Il bambino e la città, Mondadori, Milano, 2000, p. 18. 11

Forni E., La città di Batman, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 13. 12

Dolto F., Il bambino e la città, cit., p. 18.

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bambini delle scuole, sostenendo e collaborando all’iniziativa Cortili aperti, che prevede la possibilità per le

famiglie di utilizzare il cortile scolastico oltre il tempo scuola; dall’altro il valore dello spazio viene rimarcato

nella progettazione di eventi territoriali, come ad esempio iniziative di gioco in strada e feste in piazza, che

consentono non solo di conoscere lo spazio, ma di agire nello spazio attraverso la chiusura al traffico di

luoghi di vita quotidiana.

L’impegno di una grande città come Torino, che sta con grande sforzo recuperando le fabbriche per

un uso “altro” di carattere sociale e culturale, dal Lingotto alle OGR (Officine Grandi Riparazioni), che a breve

aprirà la prima ludoteca progettata con caratteristiche innovative nel campo della bioedilizia, è anche quello

di restituire al gioco un po’ di spazio urbano strappato al traffico.

La sfida educativa è proprio quella di portare fuori da spazi e tempi strutturati il gusto e l’esperienza

ludica, mettendola a disposizione di bambini, ragazzi e famiglie nel tempo quotidiano di ciascuno.

Oltre alle questioni spinose dei tempi e degli spazi per il gioco, resta forte l’esigenza di costruire

collaborazioni per dare continuità ai servizi.

La scelta di ITER, che ha coinvolto in primo luogo i Centri di Cultura per il Gioco, si è sviluppata su due

fronti:

- predisponendo percorsi di formazione professionale per i giovani educatori, attraverso l’attivazione

di due corsi regionali (filone Mercato del Lavoro) per tecnico di laboratorio ludico, in collaborazione con

l’agenzia formativa CSEA;

- sperimentando, nella gestione dei servizi, l’affiancamento di personale educativo comunale, con

esperienza pluriennale nei servizi, a giovani educatori di cooperative, con l’obiettivo di valorizzare le

professionalità ma, contemporaneamente, di immettere nuove energie.13

Questa strada ha permesso di poter contare su un nucleo di educatori formati che lavorano nei

servizi, integrando il personale comunale, consentendo così un prolungamento dell’orario di apertura.

Il futuro del gioco nei centri urbani sarà sempre più legato alla capacità di sostenere e rinnovare spazi

diversi da casa e scuola ma inseriti nella quotidianità di bambini, ragazzi e giovani, (ludoteche e punti gioco

o altro ancora), in cui sia possibile una significativa esperienza di relazione e di incontro tra pari, ma anche

tra generazioni diverse, dove si possa esercitare quella mediazione che consente di giocare insieme, di

trasmettere conoscenze e trasferire competenze, di ridefinire le regole e i tempi del gioco. Luoghi in cui la

ricerca di soluzioni, la progettualità e l’invenzione diventino componenti indispensabili, dove si possa dare

senso al concetto di educazione alla cittadinanza sviluppandolo attraverso operazioni concrete e

responsabili, dove sia possibile fare esperienze, certamente non solo positive ma che, essendo reali, aiutano

a conoscere se stessi e gli altri.

+ spazio x il gioco, + tempo x te è un progetto che ha seguito questa direzione; il gioco, il tempo e

l’uso divergente dello spazio ne sono stati i protagonisti, con l’obiettivo di offrire esperienze significative

13

Attualmente sono impegnati nei Centri di Cultura per il Gioco 4 istruttori amministrativi, oltre 40 insegnanti comunali, a cui si aggiungono nel lavoro pomeridiano 16 educatori di cooperative. In media ogni sede (nove sul territorio cittadino) offre 200 aperture all’utenza libera, tra mattino e pomeriggio con una presenza complessiva media di circa 90.000 passaggi pomeridiani. Inoltre vengono attivati percorsi innovativi rivolti alle scuole (per lo più costruiti in forma di co-progettazione direttamente con gli insegnanti), a cui aderiscono più di 250 classi all’anno (dalla scuola per l’infanzia alla scuola secondaria di II grado ).

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recuperando, nel tempo utilizzato per la spesa al mercato, uno spazio dedicato al fare e al giocare insieme.

L’idea è nata in un contesto favorevole e ha coinvolto un intero quartiere, in una ricerca tesa a migliorare i

tempi di vita delle famiglie che vi abitano; in questo lavoro sono stati coinvolti la Circoscrizione III, il Settore

Tempi e Orari della Città, la Compagnia di San Paolo e altre agenzie del territorio. Tra le molte proposte, è

stato possibile sperimentare un servizio aperto alle famiglie che utilizzavano il mercato di corso Racconigi

per la spesa nella giornata del sabato, in un periodo compreso tra maggio e settembre del 2009.

Sono stati utilizzati alcuni locali della scuola per l’infanzia comunale di via Moretta, dal giardino che

ha ospitato la maggior parte delle attività ad alcuni spazi interni in caso di mal tempo, e per quattordici

sabati si sono incontrati bambini di età diversa e famiglie di culture diverse. Ogni volta, per l’intera

mattinata, sono stati allestiti angoli-gioco attrezzati e laboratori rivolti ai bambini, con personale

specializzato per accoglierli e presentare le attività, che potevano poi essere svolte da adulti e bambini

insieme, o dai soli bambini. Quando la famiglia era presente veniva integrata nell’esperienza da condividere,

quando questo non era possibile i bambini trascorrevano il tempo con nuovi amici. Durante questi

appuntamenti settimanali l’esperienza è cresciuta proprio nella giusta dimensione: si è stabilito un rapporto

equilibrato tra regole e libera scelta, tra esplorazione ludica e costruzione di nuovi gruppi di amici, tra il

mettersi alla prova e i tentativi di sfidare l’adulto. In una situazione protetta, in cui gli educatori erano

propositori non invadenti e lo spazio del giardino consentiva di ricavare spazi sicuri di gioco, sono nate

avventure magiche, sono cresciute amicizie, è stato possibile esercitare i ruoli naturali di gregari per i più

piccoli e di condottieri per i più grandi.

La dimensione del gioco di avventura è stata quella più esercitata dai maschi, che hanno saputo

organizzare lo spazio e il gruppo trovando il modo di sottrarsi alla vista degli adulti (capaci di osservare a

distanza), usando i cespugli e gli alberi, ma anche recuperando il giusto compromesso per avere nel gruppo i

più piccoli, adibiti alle mansioni da sottoposti, mentre i più grandi prendevano le decisioni sull’andamento

del gioco. Per le bambine l’interesse si è rivolto in particolare agli attrezzi ludici: la palla, i coni per i percorsi

di abilità, la corda, le attività grafiche, dimostrando di gradire molto anche le diverse proposte di laboratorio

manuale che ogni sabato gli educatori presentavano. La questione della differenza di genere è emersa in

modo spontaneo e certamente resta uno dei campi aperti da approfondire nell’universo del gioco, una

dimensione che richiede una costante attenzione, perché l’influenza sociale e culturale incide fortemente

sulle scelte ludiche individuali. Ancor più oggi, in quanto la pluralità di culture e tradizioni che si intrecciano

modifica continuamente la relazione con i modelli di famiglia, di convivenza sociale, con i poteri economici e

culturali.

L’impegno dei Centri di Cultura per il Gioco in questa direzione si traduce in una stretta

collaborazione con l’Università, la Facoltà di Scienze della Formazione, che è iniziata alcuni anni fa

nell’ambito della ricerca condotta da Anna Venera e Paola Ricchiardi14, e che prosegue con nuovi

approfondimenti formativi finalizzati a costruire nuove progettualità educative.

14

Venera A.M., Ricchiardi P, Giochi da maschi, da femmine e…da tutti e due, Junior, Azzano San Paolo (Bg.), 2005.

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2. Dare continuità a progetti e servizi

I Centri di Cultura per il Gioco offrono un variegato ventaglio di attività, la loro collocazione in luoghi

diversi, prevalentemente periferici, facilita il rapporto con il territorio; concorrono così, con le loro iniziative

e l’attiva partecipazione degli utenti, a vivacizzare l’offerta ludica:

- laboratori, animazione, documentazione e consulenze mirate vanno ad integrare gli interventi

territoriali e le iniziative che si svolgono al di fuori delle strutture, nelle vie o nelle piazze;

- collaborazioni ad eventi progettati dalla Città quali mostre, giornate dedicate, convegni, iniziative di

altri assessorati, che nel tempo si sono adeguate alle esigenze dei quartieri e alle trasformazioni dei diversi

Servizi della città.

Nella progettazione educativa e nelle proposte di attività si presta particolare attenzione alla ricerca

sulla tradizione ludica popolare, che rappresenta una costante nei contenuti del Centro per la Cultura

Ludica15, ma che trova spazio di riflessione anche in tutti i Centri di Cultura per il Gioco. La ricostruzione di

un patrimonio di giochi non sempre conosciuto, l’attenzione alla relazione fra radici antiche e modernità, il

rapporto fra generazioni e culture diverse, la relazione possibile tra i giochi di ieri e quelli di oggi, sono i

principali elementi che promuovono una nuova dimensione del “sapere” ludico oggi, valorizzando e

sostenendo l’impegno dell’UNESCO di inserire il gioco di tradizione popolare nel Patrimonio immateriale

dell’Umanità da salvaguardare.

Su questo tema è ormai consolidata la collaborazione con la Rete Italiana di Cultura Popolare, nata, a

Torino, per dare voce a quelle conoscenze che si trasmettono attraverso la comunicazione

intergenerazionale con la parola, il gesto, la musica. La Rete e i suoi organismi, “... Hanno come obiettivo

prevalente quello di creare le condizioni affinché si faciliti il passaggio dei saperi da una generazione

all’altra, ponendo un’attenzione particolare ai processi culturali che si distinguono nelle comunità

caratterizzate da un’omogeneità culturale.16 La ricca collezione di giocattoli artigianali della tradizione

popolare17 esposta presso il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti costituisce il perno intorno al

quale si muove il lavoro di ricerca del gruppo di docenti, con l’obiettivo di affrontare non solo la dimensione

della testimonianza e della trasformazione del modo di giocare e dei giocattoli, ma con la precisa intenzione

di rilanciare il tema verso quelle che possono essere considerate oggi le forme ludiche di carattere popolare.

Nel tentativo di restituire al gioco e al giocare la sua funzione primaria e naturalmente educativa, chi

opera all’interno dei Centri di Cultura per il Gioco imposta le attività considerando il gioco come il libero e

naturale impulso dell’essere umano, specifico del bambino; ne coglie la dimensione privilegiata della

relazione educativa attraverso la quale è possibile acquisire, condividere e modificare le regole, tenendo

presente il desiderio di protagonismo di ciascuno e il proprio senso del limite e di appartenenza.

Un’esperienza che, attraverso il coinvolgimento del corpo, dei sensi, della mente e delle emozioni, produce

conoscenza in una condizione di esercizio di libertà, senso di responsabilità, condivisione del “ bene

15

Non è mai venuto meno l’impegno dei fondatori (il C.I.G.I, nella figura di Amilcare Acerbi, e i Servizi educativi del Comune di Torino, attraverso il dirigente Walter Ferrarotti) che ne hanno definito il modello e i contenuti, tutt’ora attuali. 16

Tratto dal sito della Rete Italiana di Cultura Popolare: www.reteitalianaculturapopolare.org. 17

La Collezione Perenpruner è composta da oltre duemila giocattoli e oggetti ludici e modi di giocare, documenti e fotografie, che si riferiscono al gioco della tradizione popolare italiana nella prima metà del 1900.

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comune”.

L’impegno costante è quello di offrire, per quanto possibile, spazi e tempi adeguati per consentire ai

bambini e ai ragazzi l’opportunità di giocare liberamente e fuori da ogni impegno scolastico o agonistico, da

soli o con gli altri, alla scoperta del significato di comunità e del suo “senso” più profondo.

Le molte esperienze in corso nascono dalle competenze di coloro che operano nei Centri di Cultura

per il Gioco, dalla capacità di rispondere a istanze più o meno esplicite che arrivano, portate dalla scuola,

dalla famiglia, da altri operatori del sociale o dagli amministratori. Per la maggior parte si tratta di interventi

mirati, risposte progettuali specifiche, che consentono di costruire un percorso di lavoro condiviso e

coerente in cui il gioco resta il protagonista principale al servizio della storia, della matematica, della fisica,

della lingua parlata o scritta, della cooperazione. Si propende naturalmente verso quella che Gianfranco

Staccioli chiama “fiducia pedagogica nel valore gioco, nella sua ricchezza sul piano motorio, relazionale,

cognitivo, affettivo; nella sua importanza intrinseca per lo sviluppo del bambino, nella sua utilità funzionale,

nella sua specificità che lo rende al tempo stesso azione reale ed esperienza parallela al reale”18 e si cerca di

tradurla in una forma di ludo-didattica contagiosa per insegnanti ed educatori. Quello che ne deriva è una

forma di lavoro co-progettato che aiuta a crescere da entrambe le parti: la scuola si trova a riflettere sul

gioco e il giocare, mentre il confronto operativo per chi lavora nei Centri consente di trovare e percorrere

nuove strade.

Le sette ludoteche e il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti, in un orario variabile dalle 8.30

fino alle 19.00, alternano molteplici attività: le mattine vengono dedicate prevalentemente ad accogliere

classi scolastiche di ogni ordine e grado, per attività scelte tra le proposte del Crescere in Città19 secondo un

calendario concordato e distribuito sull’intero anno scolastico; ma, in ludoteca, alcune mattine sono

dedicate alle famiglie con bambini al di sotto dei sei anni, a cui vengono proposte attività ludiche mirate:

manuali, motorie, espressive e di relazione, per consentire esperienze ludiche di interazione. Questo spazio

è importante non solo per i bambini ma anche per gli adulti che li accompagnano, che hanno così modo di

confrontarsi, raccontare e condividere esperienze, dando vita a momenti di solidarietà e di sostegno,

soprattutto nei confronti di giovani genitori.

I pomeriggi sono a disposizione di una utenza più territoriale che, provocatoriamente, va da 0 a 99

anni, ma che istituzionalmente consente di organizzare il servizio per bambini e ragazzi al di sotto dei 15

anni e per le loro famiglie. L’offerta è ampia e comprende spazi, materiali e attività che favoriscano il gioco

libero individuale e collettivo, i giochi della tradizione infantile; i giochi cantati: conte e filastrocche, i giochi

di imitazione; i giochi espressivo-simbolici (travestimenti, burattini...); i giochi di movimento e di cortile, i

giochi metropolitani, i giochi con i sensi, i giochi con materiali diversi; i giochi con giocattoli, i grandi giochi di

gruppo e di piazza, i giochi di abilità e rompicapo; i giochi di fortuna e di magia; i giochi sportivi. In periodi

particolari dell’anno si organizzano feste a tema, durante le quali le strutture si trasformano in grandi piazze

dove ci si incontra, si gioca, si mangia, si fa laboratorio, ci si scambia giocattoli... insomma ci si diverte.

18

Staccioli G., Il gioco e il giocare, Carrocci, Roma, 2007, p. 191. 19

Catalogo delle offerte educative che ITER e i Servizi educativi della Città di Torino offrono alle scuole, per saperne di più www.comune.torino.it/iter

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Uno dei servizi che contraddistingue le ludoteche è senz’altro il prestito dei giocattoli. Ogni ludoteca

possiede un luogo attrezzato con giochi e giocattoli a disposizione che gli utenti possono prendere in

prestito. I bambini possono scegliere autonomamente senza l’intervento dell’adulto, a meno che questo non

sia esplicitamente richiesto; possono prima provare il giocattolo e poi decidere se richiederne il prestito. I

punti gioco, non avendo in dotazione giocattoli di produzione industriale, offrono alle scuole, alle

associazioni, agli utenti, la possibilità di avere in prestito giochi da kermesse (giochi da fiera) costruiti in

collaborazione tra insegnanti, genitori e ragazzi, divenuti ormai un ricco patrimonio delle strutture.

Il laboratorio è il luogo in cui si sviluppano molti dei progetti educativi dei Centri di Cultura per il

Gioco, è lo spazio in cui le capacità manuali vengono costantemente messe in opera per realizzare il

giocattolo che completi il gioco, o il giocattolo desiderato. Ciascuno può esprimere il proprio desiderio di

creatività scoprendo soluzioni e utilizzando materiali diversi, confrontandosi con i propri limiti, provando il

piacere di portare a casa il giocattolo costruito. In laboratorio sono coinvolti bambini e adulti, nella fase di

progettazione e nella costruzione dei giocattoli, che per la maggior parte si realizza con materiale di

recupero o con materiali facilmente reperibili. Il laboratorio viene generalmente gestito con tempi e orari

dedicati, ma le possibilità di creare occasioni per manipolare sono molte; in ludoteca, e ancora di più nei

punti gioco, si trovano spazi dedicati e attrezzati per lavorare con la stoffa, con il legno e il materiale di

recupero urbano, con il gesso, con la carta, il cartone e altri materiali simili.

Un riferimento particolare merita il rapporto di ludoteche e punti gioco con i soggetti diversamente

abili e con i gruppi che si occupano di loro: associazioni, cooperative o singoli ragazzi accompagnati da

volontari, educatori, giovani del Servizio Civile e genitori, in genere si tratta di realtà collegate con i servizi

socio-assistenziali della Città. Per questi ragazzi viene concordata la modalità di intervento più adatta, è

possibile predisporre specifici percorsi di gioco o di laboratorio, in stretta collaborazione con l’equipe che

segue i ragazzi, consapevoli che le problematiche relative alla disabilità devono essere affrontate con

attenzione e rigore, seguendo le indicazioni del personale competente.

Spesso chi è in difficoltà trova nella ludoteca un ambiente stimolante ed accogliente, perché esso è

pensato per valorizzare le singole competenze, prevede la compresenza di persone con età diverse, è un

luogo in cui tutti riescono facilmente a riconoscersi. Su richiesta dei servizi socio-assistenziali, ludoteche e

punti gioco diventano sede di incontri in “campo neutro” per tutti quei bambini soggetti a provvedimenti

del Tribunale dei minori. Qui, in presenza di un accompagnatore-educatore, i bambini incontrano i genitori,

e il gioco diventa il mezzo più immediato per ricostruire una relazione.

Già nello svolgere quotidianamente gli obiettivi del servizio, ludoteche e punti gioco tendono a

sostenere il rapporto tra genitori e figli, realizzando uno spazio dedicato e attrezzato, coadiuvato dalla

presenza di operatori ludici attenti e disponibili anche verso le richieste degli adulti. Questo contesto si

presenta, quindi, come particolarmente adatto per i progetti di integrazione familiare e sociale, secondo un

modello di educazione informale e di sostegno tra pari.

Nei Centri di Cultura per il Gioco si riconosce il diritto di tutti al gioco e al piacere del sano

divertimento, nello sforzo di vivere un tempo libero non troppo condizionato, in un significativo tentativo di

intervenire sulla qualità della vita individuale e collettiva: “…la ludoteca è diventata anche strumento per

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l’affermazione del diritto al gioco di bambini e ragazzi; talvolta di più: testimonianza del diritto al gioco

dell’uomo.”20

Tra i progetti che coinvolgono tutti i Centri, merita un particolare riferimento la Giornata Mondiale

del Gioco21, un appuntamento annuale aperto a tutti per sostenere (e ancora serve sostenerlo!) il diritto al

gioco in una dimensione sociale e di partecipazione internazionale. Grazie all’impegno di GioNa22 e del CIL,23

questa giornata è diventata un importante evento nazionale. Ogni anno i Centri di Cultura per il Gioco

definiscono il programma, il tema da condividere con i bambini e le famiglie. Torino, da subito, ha dilatato la

GMG estendendone la durata, come è possibile fare solo nel gioco, rilanciando le attività in ludoteca, nei

punti gioco e in ospedale con diversi appuntamenti l’ultimo fine settimana di maggio, preparando per le

famiglie e per i cittadini una festa in piazza o in un parco, con il coinvolgimento di associazioni e cooperative

con cui già esistono collaborazioni.

Altra esperienza importante e trasversale è il percorso di formazione professionale per tecnico di

laboratorio del gioco. Un impegno che ha coinvolto, per due anni, un gruppo di insegnanti dei Centri di

Cultura per il Gioco, nel rilevante compito della formazione. I due corsi regionali24 sono nati dalla riflessione

interna del servizio, che ha evidenziato l’esigenza di poter integrare nella gestione dei servizi personale

esterno all’ente, in una logica di continuità e non di delega. Infatti già con le risorse della legge Turco (L.

285/97) era stato possibile inserire nelle ludoteche, nei punti gioco e nelle sale gioco in ospedale nuovi

educatori, con un grande sforzo di integrazione, indispensabile per garantire la condivisione delle linee

progettuali, metodologiche e organizzative. La possibilità di formare direttamente un nucleo di educatori sul

modello di servizio esistente ha costituito una vera sfida, ma è stata anche un’occasione per riflettere.

L’entusiasmo e la disponibilità con cui si è affrontata l’esperienza ha reso possibile trasformarla in uno

strumento di approfondimento e di confronto interno a tutto il collegio dei docenti, sia sui temi del gioco e

del giocare oggi, sia sulla figura dell’adulto/educatore. Il ruolo e la professionalità del ludotecario sono temi

che necessitano di costanti approfondimenti, perché sono calati in una dimensione ludica ricca e

multiforme, in cui le competenze richieste comprendono sia la capacità di giocare che quella di sapersi

allontanare dal gioco, di sapersi relazionare per “mettersi in gioco” con bambini e adulti, ma anche di essere

in grado di costruire un progetto di servizio educativo all’interno di un gruppo di lavoro.

L’impegno formativo ha permesso di costituire un nucleo di persone motivate e specializzate, utili ad

integrare le risorse educative comunali, che tutt’ora sono in servizio e consentono di ampliare l’offerta

educativa alle famiglie, proponendo un modello di servizio integrato che vede le due figure affiancate. Si

vuole così trasmettere alle nuove generazioni la storia e la competenza professionale fin qui maturata, ma

contemporaneamente ricevere una spinta innovativa per poter pensare al futuro, costruendo un presente

capace di far tesoro del passato.

20

Acerbi A., Ludoteche e dintorni, oggi. Una grande insopprimibile positiva sperimentazione nella nebbia, in Farnè R. (a cura di), Le case dei giochi. Ludoteca, ludobus e processi formativi, Guerini Studio, Milano, 1999, p. 29. 21

La Giornata Mondiale del Gioco si svolge ogni anno nell’ultimo fine settimana di maggio contemporaneamente in tutto il mondo. 22

Associazione delle città in gioco di cui Torino è tra i soci fondatori. 23

Centro Internazionale Ludoteche di Firenze che rappresenta l’Italia, tramite il suo direttore Giorgio Bartolucci, all’interno dell’ITLA (International Toy Librerie Association). 24

Entrambi i corsi di formazione professionale, realizzati con fondi regionali su finanziamento europeo, sono stati presentati in collaborazione con l’Agenzia formativa CSEA negli anni 2006/07 e 2007/08, con un impegno di 600 ore, di cui 240 di stage.

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26

3. Differenti tipologie di servizi ludico-educativi

I Centri di Cultura per il Gioco costituiscono un insieme di servizi differenti (cinque Ludoteche, due

Punti gioco, il Gruppo Gioco Ospedale, il Centro per la Cultura Ludica) che hanno il comune intento di

praticare e promuovere il gioco nelle diverse realtà territoriali, riconoscendo la necessità di rivendicare per il

gioco uno spazio di diritto, che molto spesso è assorbito dai tempi e dai ritmi della vita metropolitana.

L’orientamento pedagogico dei Centri di Cultura per il Gioco è rivolto principalmente a rinsaldare la

dimensione del gioco libero alla caratteristica educativa che gli è propria.

Se il modello di ludoteca ha una storia consolidata anche a Torino, la prima ludoteca si aprì nei primi

anni ‘80, dalla riflessione torinese nasce l’esigenza di progettare anche modelli differenti. Le motivazioni

sono diverse e da ricondurre a considerazioni socio-culturali e pedagogiche.

Da un lato lo sviluppo urbanistico della città non permette a bambini e ragazzi di incontrarsi e

muoversi agevolmente, anche se sta crescendo la discussione e la ricerca, da parte degli adulti, di focalizzare

proposte che consentano di individuare luoghi di aggregazione adeguati, che rispondano a bisogni diversi e

che permettano di realizzare una pluralità di scelte. In una società sempre più omologata dallo sviluppo

economico, con difficoltà crescenti a creare sane relazioni, ancora troppo superficiale nell’analizzare la

crescita e l’influenza dei mezzi di comunicazione, diventa fondamentale poter offrire un modello di servizio

educativo critico nei confronti del mercato dei giocattoli. Per questo, all’inizio degli anni ‘90, sono nati i

punti gioco Aliossi e Cirimela, che non a caso portano i nomi di due giochi di tradizione popolare che si

possono giocare con strumenti semplici, che richiedono però un buon livello di abilità personali; con la sfida

di dare uno spazio maggiore al laboratorio per costruirsi il giocattolo in funzione del gioco che si sta

giocando. Il laboratorio consente di approfondire il tema della ricerca dei materiali, della loro conservazione

organizzata e sistematica. Un po’ alla volta si è costruita un’esperienza in cui la presenza degli adulti

(genitori, nonni ...) è diventata sempre più significativa, tanto da rendere necessario ritagliare un tempo

espressamente dedicato alle mamme25, per consentire, attraverso l’esercizio della creatività, di costruire

nuove relazioni positive tra adulti. Certo c’è ancora molto da fare per cogliere esigenze, desideri e bisogni in

costante cambiamento, ma è importante valorizzare ogni piccolo passo in questa direzione e la scelta di

dedicare nel presente convegno uno spazio di approfondimento ai luoghi del gioco vuole essere un ulteriore

arricchimento.

È parte di questa ricerca di servizi innovativi anche l’esperienza in ospedale, che si è consolidata con

la definizione del Gruppo Gioco Ospedale26: insegnanti specificatamente formate per offrire un servizio in

due ospedali cittadini. L’attività principale svolta è quella di proporre, in accordo con le diverse equipe

mediche, in spazi dedicati, animazioni, laboratori, occasioni di gioco, che entrano così nei reparti pediatrici.

La sala gioco diventa un luogo fisico che tutela il diritto al gioco anche in ospedale, un importante

25

Presso il punto gioco Cirimela una mattina a settimana, ormai da qualche anno, un gruppo di mamme si incontra sistematicamente per progettare e realizzare oggetti ludici. 26

Il servizio del Gruppo Gioco Ospedale è nato alla fine degli anni Ottanta nell’Ospedale Infantile Regina Margherita e si è esteso, dopo alcuni anni, anche all’Ospedale Martini nel reparto pediatrico.

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collegamento con la vita quotidiana lasciata a casa, che sottolinea la possibilità di non rinunciare a un

mondo fatto anche di colori, di segni, di suoni… per una migliore qualità della vita in ospedale. Ma il gioco,

secondo le necessità, entra nelle stanze di degenza, raggiunge i letti dei bambini costretti a posizioni

obbligate, attraverso il paziente lavoro delle insegnanti. Da qualche tempo il gruppo si avvale anche della

collaborazione di educatrici di cooperative o di volontari delle associazioni impegnate in ambito ospedaliero,

delle quali, però, le insegnanti curano parte della formazione.

Nel tempo sono cambiate le condizioni di ricovero e i tempi di degenza, le sale gioco in reparto si

sono trasformate, le relazioni con il personale medico si sono consolidate e sempre più spesso viene

richiesta una collaborazione nei confronti della necessità di tradurre in modo semplice, ma efficace,

contenuti complessi come quelli che riguardano l’intervento chirurgico in generale, ma ancor più alcune

specifiche procedure spesso invasive, come la biopsia, l’introduzione del catetere venoso, la dialisi.

Dall’esperienza maturata nei reparti chirurgici, le insegnanti del Gruppo Gioco Ospedale hanno costruito, in

collaborazione con il personale sanitario delle due aziende ospedaliere, un percorso di riflessione e di studio

riguardante la preparazione del bambino all’intervento chirurgico. Si è trattato di riscrivere, senza

banalizzare, l’informazione su tempi, ritmi e procedure legate all’intervento chirurgico, per accompagnare i

bambini in questa difficile esperienza e aiutare i genitori ad affrontare la comunicazione con i figli su quello

che succederà loro in ospedale. In questa direzione sono nati, nell’Ospedale Infantile Regina Margherita

(O.I.R.M.), i progetti Operazione in Gioco, per i bambini tra i 3 e gli 8 anni e Play hospital, per i ragazzi dagli 8

ai 14 anni; analogamente, presso l’Ospedale Martini, l’attività GiocoOperando.

Bibliomouse è la prima biblioteca per ragazzi con sede in ospedale, realizzata nel 2001 presso

l’O.I.R.M., per rispondere al piacere dei bambini di ascoltare storie, lette o raccontate da un adulto. Topo

Ernesto, protagonista di una serie di avventure, la prima delle quali è nata con il contributo dello scrittore

torinese Massino Tallone, ne è diventata la mascotte. Bibliomouse è dotata di più di tremila libri e di un

carrello itinerante per raggiunge i diversi reparti, anche nei casi in cui il ricovero obblighi il paziente a

rimanere per lungo tempo a letto.

Nel corso di più di venti anni di servizio si è potuta realizzare una molteplicità di progetti che si sono

alternati alle proposte quotidiane di gioco e che hanno messo in relazione i ricoverati con gli eventi della

città: dal biblio-bus, in collaborazione con GTT (Gruppo Trasporti Torinese) in occasione del Salone

Internazionale del Libro di Torino, al passaggio della fiaccola delle Olimpiadi invernali del 2006; altri progetti

sono diventati ricorrenti, come La storia cancellapaura, percorso ludico-creativo sulla trasformazione di

materiali sanitari in oggetti di gioco, per renderli meno ostili e far assumere agli oggetti nuove identità con

l’aiuto della fantasia; il racconto dell’esperienza è contenuta in un video e in un libro27. L’esperienza di Un

mazzo di giochi, che ha l’obiettivo di creare una rete di raccolta e di condivisione dei giochi più diffusi e di

quelli poco conosciuti, con l’utilizzo del computer, in collaborazione con l’associazione Giochimpara e con gli

altri Centri di Cultura per il Gioco diffusi nella città, rappresenta una delle possibili forme per collegare il

“dentro” l’ospedale con altri luoghi.

27

La pubblicazione La storia cancellapaura, Editore Città di Torino - ITER, Torino, 2010, può essere richiesta alla segreteria dei Centri di Cultura per il Gioco - via Fiesole 15/a, [email protected]

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28

Differente dai servizi fin qui descritti, il Centro per la Cultura Ludica Walter Ferrarotti merita un

discorso particolare: si configura come un luogo di ricerca-azione sul gioco, una piazza per sperimentare le

invenzioni degli appassionati, un volano di occasioni per approfondire e incontrare persone, un cantiere

ludico in movimento. Un’esposizione permanente abbraccia la storia del gioco, dagli antichi giochi della

senet o del duodecim scripta al videogioco e, attraverso gli oggetti in mostra, consente di reinventare

modalità e funzioni ludiche contemporanee. Nei laboratori si sperimentano nuovi contenuti da mettere in

mostra, dando vita al progetto Il Gioco in Mostra che, attualmente, dispone di sette mostre tematiche

itineranti28. Il patrimonio di testi e oggetti è disponibile per tutti i Centri di Cultura e fornisce costantemente

occasione di aggiornamento e approfondimento per tutto il collegio insegnanti, ma è anche ampiamente

utilizzato per ricerche e tesi universitarie.

È importante sottolineare come le finalità comuni, condivise nelle ludoteche e nei punti gioco, nel

Gruppo Gioco Ospedale e nel Centro per la Cultura Ludica, costituiscono una componente importante nella

progettazione e nel confronto collegiale che tiene conto sia degli ambiti di autonomia e di responsabilità

educativa a cui è chiamato chi opera sul campo, sia della fondamentale esigenza di caratterizzare il proprio

fare educativo coerentemente con le esigenze e i bisogni del territorio in cui si opera; a partire dalla

necessità di garantire che le diverse proposte ludiche, gli spazi e i tempi del gioco, non siano un’esperienza

estemporanea, episodi isolati, ma esperienze significative praticate quotidianamente.

L’obiettivo, come è bene ripetere, è ancora quello di garantire il diritto al gioco (secondo quanto

previsto dalla Convenzione Internazionale dei Diritti dell’Infanzia art. 31, recepito in Italia nel 1991), con la

consapevolezza che rispondere con attenzione ai bisogni dei bambini consente di avvicinarsi ad un ulteriore

obiettivo: intervenire sulla qualità della vita, riassumendo in questo modo il valore di tutte le operazioni

educative, nel senso più ampio del termine, che si compiono nei Centri di Cultura per il Gioco e che li

connotano consapevolmente come territori educativi attenti alla cura, al sostegno, all’accompagnamento

non solo dei bambini e dei ragazzi, ma anche delle figure parentali che li circondano.

Ma non basta, il significato di riunire tutti i servizi del gioco all’interno dei Centri di Cultura per il

Gioco di ITER trova ulteriore conferma nell’impegno di confronto con altre realtà educative sociali e

culturali, per costruire una gestione integrata del servizio pubblico funzionale ad una migliore offerta

all’utenza. Fino ad ora la scelta sperimentale di lavorare gomito a gomito ha consentito di aumentare

l’offerta, senza perdere le caratteristiche peculiari di ogni sede, ma anche di migliorare la conoscenza tra i

diversi soggetti per costruire, non senza fatica, un progetto di lavoro comune. Una maggiore condivisione di

obiettivi e di strumenti si è potuta realizzare anche attraverso un confronto più ampio all’interno di

seminari, convegni, momenti formativi di portata nazionale e internazionale, intesi a qualificare sempre più

28

La mostra I percorsi della memoria: l’inverno e le altre stagioni propone un viaggio tra memoria e curiosità attraverso giochi, giocattoli e tradizioni del Piemonte e della Valle d’Aosta; Le culture in gioco offre uno spunto unico di educazione alla mondialità e alla diversità, con la sua raccolta di giochi e giocattoli dal mondo e le proposte di laboratorio; Sull’uovo e La bustina dello zucchero sono due mostre che, partendo da un oggetto da collezionare, sviluppano e arricchiscono il tema con approfondimenti ludico-creativi, scientifici, culturali; Da Roma per gioco percorre la storia del gioco nell’antico Impero Romano, con riproduzioni da reperti museali e pannelli esplicativi; Giochi di vento raccoglie e interpreta in modo ludico il tema dell’energia eolica con notazioni tecniche, curiosità e sviluppi creativi come proposte di laboratorio; Rêves d’Enfants, crescere giocando dal Marocco a qui riunisce più di 200 giocattoli auto-costruiti da bambini marocchini con materiali di recupero; prototipi provenienti dall’area marocchina dell’Anti Atlas, donati al Centro per la Cultura Ludica dall’antropologo belga Jean Pierre Rossie. Per ulteriori informazioni sulle mostre: Centro per la Cultura Ludica, tel. 011 4439400, [email protected].

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l’intervento pedagogico. Una dimostrazione concreta di disponibilità di questi servizi che, nella dimensione

di Centri di Cultura, aprono nuove prospettive all’esperienza ludica, coerenti alle esigenze sociali e culturali

contemporanee. Resta la spinta verso una speranza futura, da costruire nella quotidiana qualità educativa

non priva di difficoltà, ma carica di senso di responsabilità e di disponibilità all’innovazione.

Per chiudere prendo in prestito alcune righe di Antonio Erbetta: “Detto senza enfasi: qui prende

verità, in ultimo, il senso civile dell’impegno formativo a Torino. Laddove sono i volti dei ragazzi e delle

ragazze che li vivono dall’interno e quelli degli insegnanti, degli educatori e di quanti vi lavorano, a lasciar

intravedere il senso di un progetto di città futura. Certo: le luci e le ombre si accompagnano, così come ogni

esperienza educativa non si dà se non nell’orizzonte dei problemi irrisolti che la suscitano. Eppure resta il

segno di una continuità che si rinnova e che tramite ITER, sembra dunque segnare un percorso a venire.” 29

Riferimenti bibliografici

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Acerbi A., Martein D., Il gioco è di più, Junior, Azzano San Paolo, 2005

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Pollo M., Educazione come animazione, ElleDiCi, Torino Leumann, 1986

29

Erbetta A., Ascoltare, vedere, capire, in AA. VV., Lusso? No, grazie: democrazia, Tirrenia Stampatori, Torino, 2007, p. 15.

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30

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Singer D.G., Singer J.L., Nel regno del possibile, Giunti, Firenze, 1995

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Capitolo 2

Diritti e opportunità di gioco in Italia per grandi e piccoli

di Riccardo Poli

Fammi giocare solo per gioco

Senza nient’altro, solo per poco

Senza capire, senza imparare Senza bisogno di socializzare

Solo un bambino con altri bambini Senza gli adulti sempre vicini

Senza progetto, senza giudizio Con una fine ma senza l’inizio

Con una coda ma senza la testa Solo per finta, solo per festa

Solo per fiamma che brucia per fuoco Fammi giocare per gioco

(Bruno TOGNOLINI - Filastrocca sul gioco)

Premessa

Il gioco è una componente fondamentale della vita umana, presente in modo diverso in tutte le

società, sia del passato che del presente. Ed esiste una certa variabilità nei tempi dedicati al gioco, nei luoghi

ad esso deputati, nelle modalità e negli strumenti che vengono utilizzati.

È noto come il gioco eserciti un ruolo fondamentale nelle fasi dello sviluppo infantile e

adolescenziale, rappresentando quasi una forma di apprendimento, di tirocinio, più o meno guidato, di

simulazione e accompagnamento alle regole e situazioni che nel mondo adulto poi verranno affrontate.

Una componente importante che muove il gioco è la sfida a cui è legato il suo esito finale che

determina vincenti e perdenti. Spesso le sfide prevedono una forma di premio per il vincitore, a volte solo

simbolico o di autogratificazione, o con l’attribuzione di ruoli specifici o forme di riconoscimento sociale,

altre volte con vincite in natura. Oggi sempre più spesso si tratta di premi in denaro, specie quando la sfida

non dipende dalle abilità esercitate, ma dall’imponderabilità della sorte, quando minime sono le effettive

probabilità di azzeccare la situazione vincente.

Il ruolo della funzione ludica in Italia si è modificato molto negli ultimi anni e pare sempre più in

questa direzione. L’esperienza del gioco e del giocare si è andata sempre più connotando, nella fascia di

popolazione giovanile e adulta, come binaria: del gioco si vive sempre più solo la chance, la possibilità di

vincere o di perdere, spinti e motivati dal desiderio di vincere o di perdere denaro assieme a quella di

passare il tempo. Il mix di passatempo, divertimento, competizione o sfida, di abilità fisiche o mentali, o di

resistenza, o della sorte, in gruppo, o individuale si è decisamente orientato verso la dimensione di alea -

dove conta l’imponderabile ruolo della fortuna - piuttosto che quella di agon, dove a contare sono le

capacità intellettuali, fisiche, di riflesso.

Il fenomeno è giunto all’attenzione anche del mondo della ricerca che da diverse prospettive ne ha

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indagato consistenza, modalità fenomenologiche, conseguenze sociali e rilevanza economica.

Nel corso di questo intervento farò cenno ad alcune di tali indagini per dare una idea della sua

dimensione per poi soffermarmi sugli aspetti del gioco che riguardano più la fascia dei bambini e

adolescenti, nella quale si inquadra il ragionamento generale sul diritto al gioco. A questo riguardo farò

riferimento ad alcuni strumenti di politica sociale ed educativa che Stato ed Enti locali hanno posto in

campo per promuovere una cultura ludica attraverso interventi, progetti e servizi educativi e sociali, in un

quadro normativo generale che fa riferimento alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Cito poi in

conclusione un’esperienza che, partendo anche da quei riferimenti, ha cercato di promuovere concrete

politiche di diritto al gioco da realizzarsi a livello di singola città.

1. Alcuni dati sul gioco in Italia

Volendo farsi una idea di quale sia il posto che il gioco come attività ludica occupa nella vita

quotidiana delle persone, possiamo fare riferimento ad una indagine che l’Istat ha realizzato nel 2006

relativa all’utilizzo del tempo libero da parte dei cittadini italiani30.

L’indagine ha intervistato un campione di 19.921 famiglie per un totale di 50.569 individui ed è la

terza rilevazione della serie “I cittadini e il tempo libero”, iniziata nel 1995 e ripetuta nel 2000. Il suo scopo è

stato quello di descrivere in modo sistematico temi quali il tempo libero, il consumo culturale e mediale tra

le famiglie italiane.

L’indagine si è concentrata sulle concezioni, gli atteggiamenti e i comportamenti della popolazione

riconducibili alla sfera del tempo libero; nello specifico si è soffermata sui comportamenti e sulle attività

relative alla partecipazione culturale, alla pratica sportiva e alle attività più direttamente legate alla sfera del

sé e dell’autorealizzazione. Un capitolo del rapporto di ricerca è dedicato al tema dei videogiochi, dei giochi,

dei concorsi e delle scommesse.

Secondo l’Istat in Italia il 21,5 per cento della popolazione di 3 anni e più gioca con i videogiochi ma,

ovviamente, il dato è fortemente influenzato dall’età. Il dato è invariato rispetto al 2000, che vedeva una

quota del 20,7 per cento di persone che dichiaravano di giocare ai videogiochi.

I bambini, scrive l’Istat, cominciano prestissimo ad interessarsi ai videogiochi: infatti li utilizza ben il

25,9 per cento dei bambini di 3-5 anni. La percentuale di videogiocatori aumenta notevolmente tra le

persone dai 6 ai 10 anni (61,5 per cento, diminuita rispetto al 64,7 per cento del 2000), raggiunge il picco tra

le persone dagli 11 ai 14 anni (75,1 per cento) e si mantiene molto elevata fino ai 24 anni (superiore al 43

per cento) per poi decrescere rapidamente fino a raggiungere il 4,2 per cento tra le persone di 55-59 anni e

meno del 2 per cento tra gli ultrasessantacinquenni.

L’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile: il 28,6 per cento dei maschi gioca con i videogiochi

rispetto al 14,8 per cento delle donne e tale prerogativa maschile è costante anche a parità di età. Giocano

con i videogiochi l’83,5 per cento dei ragazzi di 11-14 anni rispetto al 66,4 per cento delle coetanee.

30

Istat, Spettacoli, musica e altre attività del tempo libero - anno 2006. Indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”, Collana Informazioni n. 6, Roma, 2008. Reperibile sul sito web dell’Istat all’indirizzo http://www.istat.it/dati/catalogo/20081031_00/

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Dal punto di vista territoriale l’uso dei videogiochi è leggermente più diffuso al Centro e nel Nord-

Ovest anche se le differenze sono ridotte. Le regioni in cui è maggiore la quota di persone che gioca con i

videogiochi sono il Lazio e la Lombardia (entrambe con il 23,5 per cento) seguite dal Trentino-Alto Adige

(22,7 per cento), Friuli-Venezia Giulia (17,3 per cento), Molise (18,7 per cento) e Puglia (18,8 per cento)

sono invece le regioni in cui tale pratica è meno diffusa.

L’uso dei videogiochi è più diffuso tra i diplomati (24,1 per cento) e tra le persone con la licenza media

(22,4 per cento) mentre è meno diffuso tra i laureati (18,3 per cento). Questo dato risente, però, dell’età. Se

consideriamo, infatti, le persone di 25-44 anni si evidenzia che i diplomati usano i videogiochi nel 25,9 per

cento dei casi seguiti dai laureati che li usano nel 23,4 per cento dei casi.

Considerando la frequenza d’uso si evidenzia che il 14,1 per cento di chi usa i videogiochi ci gioca tutti

i giorni, il 39,4 per cento ci gioca una o più volte a settimana, il 25,5 per cento qualche volta al mese e il 21,0

per cento qualche volta all’anno. I videogiocatori più assidui sono i maschi (18,2 per cento gioca tutti i giorni

rispetto al 6,5 per cento delle donne), i ragazzi dai 6 ai 17 anni (oltre il 20 per cento) e le persone con la

licenza elementare.

È la propria casa il luogo privilegiato in cui si gioca. L’82,0 per cento delle persone ci gioca a casa

propria, il 26,2 per cento a casa di amici o parenti, l’8,3 per cento nelle sale giochi e l’1,9 per cento altrove.

L’uso a casa è prevalente in tutte le classi d’età ma tra i ragazzi dagli 11 ai 24 anni l’uso a casa di amici o

parenti raggiunge dimensioni consistenti (oltre il 34 per cento). Infine, l’uso dei videogiochi nelle sale giochi

è diffuso soprattutto tra i giovani dai 17 ai 24 anni, tra gli ultrasessantacinquenni, in Italia centrale e

nell’Italia meridionale.

Per quanto riguarda i giochi di società, giochi di carte, cruciverba o simili e biliardo e bowling, si

registra un più alto coinvolgimento della popolazione. Si dedica ad almeno una delle attività considerate ben

oltre la metà della popolazione, il 58,7 per cento delle persone di 14 anni e più. Il dato è comunque in calo

rispetto alla rilevazione del 2000. Diminuzione registrata in tutti i tipi di attività.

La quota di giocatori è più elevata tra i maschi (63,2 per cento rispetto al 54,5 per cento) e tra i

giovani (oltre il 70 per cento tra le persone dai 14 ai 24 anni). Le differenze di genere, però, sono fortemente

influenzate dall’età. Tra le persone tra i 14 e i 24 anni, infatti, le differenze di genere sono minime e in alcuni

casi sono le donne a giocare più degli uomini. Tra le persone dai 55 anni in poi, invece, il divario tra uomini e

donne diventa molto consistente. Tra gli ultrasettantacinquenni, ad esempio, giocano il 54,4 per cento dei

maschi rispetto al 31,0 per cento delle coetanee.

Il gioco, come attività del tempo libero, è più diffuso al Nord (61 per cento circa) e in particolare in

Trentino-Alto Adige (68,6 per cento) rispetto al resto d’Italia.

Infine le attività di gioco sono praticate di più dai diplomati (65,7 per cento), seguiti dai laureati (63,0

per cento) e dalle persone con la licenza media (62,5 per cento). Le più svantaggiate sono le persone con la

licenza elementare che praticano attività di gioco solo nel 44,1 per cento dei casi.

Tali differenze, inoltre, restano sostanzialmente invariate anche considerando congiuntamente l’età e

il titolo di studio.

Il gioco di scommessa o per i concorsi a premio (totocalcio, totogol, totosei o totip, lotto e

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superenalotto, corse animali, bingo, videopoker, concorsi a premi di vario tipo) riguarda, sempre secondo

l’Istat, il 40,2 per cento delle persone al di sopra di 14 anni che dichiarano di aver effettuato qualche tipo di

scommessa o aver partecipato a qualche gioco a premi nei 12 mesi precedenti l’intervista. Anche in questo

caso il dato è in calo rispetto alla rilevazione del 2000 in tutti i vari comparti di attività.

La quota di chi scommette è più alta tra gli uomini (49,4 per cento rispetto al 31,6 per cento) e tra le

persone tra i 20 e i 64 anni (oltre il 41 per cento).

La quota di persone che scommette è più elevata in Italia centrale e in Italia insulare (circa 41 per

cento) e soprattutto in Italia meridionale (45,1 per cento) mentre nel Nord dell’Italia è più contenuta (circa

36 per cento). Le attività più praticate sono il superenalotto (26,3 per cento), il lotto (25,1 per cento), il

totocalcio (17,4 per cento) e i concorsi a premi e/o le lotterie di vario tipo (12,3 per cento). Molto più

contenuta la quota di chi gioca al bingo (4,4 per cento), di chi effettua scommesse (2,8 per cento), di chi

gioca ai videopoker (2,0 per cento) e di chi gioca alle corse di cavalli, cani e/o al casinò (1,9 per cento). Le

attività considerate sono diffuse soprattutto in Italia meridionale dove, ad esempio, gioca al lotto il 31,6 per

cento delle persone di 14 anni e più rispetto al 19,5 per cento dell’Italia Nord-orientale.

Altre indagini sul gioco come comparto produttivo finalizzate a cogliere il suo significato economico e

sociale, sono state condotte da Censis ed Eurispes che hanno realizzato, nel corso del 2009, due studi per

rilevare la consistenza del mercato del gioco e quindi anche le modalità di consumo ad esso connesso.

Queste indagini hanno come unità di rilevazione la quantità di denaro speso nei giochi piuttosto che il

numero di giocatori e ci restituiscono una rappresentazione in parte diversa rispetto all’indagine multiscopo

dell’Istat, almeno per quanto riguarda la stima della popolazione coinvolta, la distribuzione territoriale del

gioco e l’evoluzione della domanda di gioco scommessa e intrattenimento negli ultimi anni. Un trend in

crescita quanto a volumi della raccolta che pare in parte contrastare con il dato di contenimento del numero

di persone coinvolte nei vari ambiti di gioco rilevato dall’Istat nelle due indagini del 2000 e 2006.

Gioco ergo sum31 è il titolo del volume realizzato dal Censis Servizi per l’Associazione Giochi e Società

in collaborazione con Confindustria - Servizi Innovativi e Tecnologici con il supporto di AS.TRO, ACMI, Acadi e

Federbingo. Si tratta di un rapporto di ricerca che si compone di due parti:

1. gioco ergo sum: l’indagine completa che illustra l’evoluzione e i nuovi trend del gioco in Italia

con un’attenzione anche al fenomeno delle ludopatie32 e alla dimensione del gioco illegale;

2. l’atlante del gioco in Italia: un’approfondita analisi territoriale (province italiane up down;

province italiane più e meno ‘fortunate’, volumi di gioco... ) del fenomeno.

L’Italia in gioco di Eurispes33 è una ricostruzione dei dati relativi al mercato dei giochi di scommessa e

intrattenimento in Italia dove ha assunto le caratteristiche di una vera industria. L’analisi del contesto

31

Censis Servizi, Gioco ergo sum, Roma, 2009. Consultabile sul sito web del Censis nella sezione Le ricerche (indirizzo http://www.censis.it/20?relational_resource_146=5768&resource_144=5768&relational_resource_400=5768&relational_resource_404=5768&relational_resource_147=5768&relational_resource_406=5768&relational_resource_407=5768&relational_resource_408=5768&relational_resource_409=5768&relational_resource_430=5768) 32

Del tema delle “ludopatie” e del rischio di dipendenza per i giocatori d’azzardo si è interessato anche il Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo) che nel 2008 ha condotto una indagine su 2750 persone in sette regioni d’Italia. Sintesi della ricerca è reperibile all’indirizzo http://centrostudi.gruppoabele.org/gambling/?q=node/205. 33

Eurispes, L’Italia in gioco. Percorsi e numeri dell’industria della fortuna, Roma, 2009. Consultabile sul sito web dell’Eurispes nella sezione ricerche al tema “lotterie e giochi a premio” (indirizzo http://www.eurispes.it/?option=com_content&view=article&id=274&Itemid=219&fontstyle=f-larger)

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35

italiano è arricchita da alcuni confronti con la situazione dei principali paesi europei. Un percorso di analisi e

ricerca effettuato all’interno del complesso comparto del gioco letto attraverso le potenzialità, le

problematiche del gioco d’azzardo e illegale, le evoluzioni subite negli ultimi decenni e l’ascolto degli

operatori del settore. L’indagine è stata realizzata su un campione di 1.007 cittadini, stratificato per quote

proporzionali della popolazione italiana secondo le seguenti variabili: sesso, classi d’età, area territoriale

(Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) ed ampiezza demografica del comune di residenza (piccolo,

medio e grande comune).

Con 35 milioni di italiani coinvolti (una stima assai diversa rispetto ai 24 milioni, pari al 40% della

popolazione, rilevata dall’Istat nel 2006), una spesa complessiva negli ultimi sei anni di 194 miliardi di euro,

il mercato dei giochi ha raggiunto proporzioni tali da poter essere considerato una vera e propria industria,

afferma il rapporto Eurispes.

Una industria che ha una capillare distribuzione. I negozi che mettono a disposizione il gioco

pubblico, tra rivendite tradizionali e nuovi punti vendita risultano così distribuiti: 14.000 punti vendita

(agenzie e corner) destinati alla raccolta delle scommesse ippiche e sportive, dove sono installate 31.000

slot; 228 sale bingo, che detengono circa 1.000 slot; oltre 100.000 esercizi pubblici, diversi dai punti vendita

menzionati, collegati da più tecnologie (Gprs, Adi e Rtg) per la rilevazione dei dati sul funzionamento delle

slot. Al maggio 2008 la rete distributiva delle slot comprende 59.000 bar (169.000 macchine), 1.500 sale

giochi (29.000, oltre a slot senza vincita in denaro), 2.200 ristoranti (5.600 macchine), 4.000 circoli privati

(12.200), 464 alberghi (1.000), 65 stabilimenti balneari (150); 515 banchi lotto.

La raccolta complessiva dei giochi in Italia nei primi nove mesi del 2009, secondo i dati Eurispes, ha

superato i 39 miliardi di euro (+14,4% rispetto ai primi nove mesi del 2008), con un valore medio di raccolta

mensile di 4,3 miliardi di euro e punte massime di 4,5 miliardi di euro registrati nei mesi di gennaio e marzo.

Una crescita che continua da sei anni, salita dai circa 15,5 miliardi di euro raccolti nel 2003 ai circa 47,5

miliardi di euro del 2008 e che pare destinata a proseguire anche per il 2010, raggiungendo, secondo le

previsioni dell’Istituto di ricerca, quota 58 miliardi di euro nel 2010.

Tale crescita non ha però interessato in maniera omogenea tutte le diverse tipologie di giochi -

prosegue il rapporto Eurispes - essendo viceversa il risultato del bilanciamento tra due diverse dinamiche:

la minore raccolta dei giochi a base ippica (da 1,79 a 1,5 miliardi di euro, -16%), del bingo (da

1,2 a 1 miliardo di euro, -13,9%) e del lotto (da 4,4 a 4,2 miliardi di euro, -4,5%), per i quali si

conferma quindi il ridimensionamento dei volumi di raccolta registrato negli ultimi anni;

la maggiore raccolta del superenalotto (da 1,4 a 2,5 miliardi di euro, +77,1%), degli

apparecchi da intrattenimento (da 15,8 a 17,9 miliardi di euro, +13,4%), dei giochi a base

sportiva ( da 2,7 a 3 miliardi di euro, +9%), delle lotterie (da 6,8 a 7 miliardi di euro, +3,8%) e

il successo dei giochi di abilità a distanza e poker on-line, la cui raccolta ha già superato 1,7

miliardi di euro, superando sia i giochi a base ippica, sia il bingo.

Rispetto alle varie tipologie di giochi i comportamenti di spesa si sono trasformati nel tempo. Nel

2003 circa metà della raccolta (44,8%) proveniva dal gioco del lotto, contro il 12,3% del 2008. Sorte analoga

per i giochi a base ippica, che nel 2003 rappresentavano circa il 19% della raccolta, contro il 4,8% del 2008 e

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per il superenalotto, che nel 2003 garantiva circa il 13% della raccolta, contro il 5% circa del 2008.

I giocatori hanno favorito, quantomeno in termini di raccolta, gli apparecchi da intrattenimento, che

nel 2003 rappresentavano appena il 2,4% della raccolta, contro il 45,6% del 2008. In questo settore si

affermano le NewSlot progressivamente diventate la tipologia di gioco principale per raccolta di denaro,

arrivando nel 2008 a rappresentare il 45,6% delle entrate complessive del settore. Gli apparecchi da

intrattenimento in seguito alla regolamentazione, avvenuta alla fine del 2003, hanno fatto registrare

incrementi considerevoli passando dai 367 milioni di euro raccolti nel 2003 ai 21,68 miliardi di euro raccolti

nell’ultimo anno e 320.000 apparecchi installati in 120.000 punti vendita (bar, alberghi, sale giochi, ecc.).

Anche le lotterie, e in particolar modo i Gratta e vinci, hanno visto aumentare la propria quota di raccolta in

maniera esponenziale dall’1,8% del 2003 al 19,5% del 2008.

L’evoluzione del quadro di offerta dei prodotti da gioco trova conferme anche nel rapporto Censis.

Nel 1999 a prevalere erano pochi giochi dai grandi volumi (lotto, scommesse ippiche, concorsi pronostici). Il

mercato valeva 17,7 miliardi di euro, con tre prodotti leader capaci di concentrare l’85% delle giocate. La

netta separazione tra i profili skill (abilità) ed i profili luck (fortuna) riproduceva - tra i consumatori - una

nettissima propensione per la componente fortuna.

Su 100 euro giocati le poste si distribuivano per il 77% del valore nel IV quadrante (quello della

fortuna) e per il 23% nei quadranti I e II (quelli dell’abilità). Fig. 1. Quadro di offerta al 1999. Prodotti secondo il posizionamento fortuna vs abilità e giochi tradizionali vs nuovi giochi Fonte: Censis, Gioco ergo sum, op. cit. pag. 5

Nel periodo 2004-2008 si sviluppa in modo esponenziale la raccolta delle scommesse sportive

(+300%) e delle apparecchiature elettroniche (+580%) che insieme rappresentano il 55% del giocato. La

concomitante rivitalizzazione (attraverso un processo di forte segmentazione della gamma di offerta) delle

lotterie istantanee e la “congiuntura positiva” dei jackpot trascinano giocatori e volumi. In Italia il numero di

giocatori (almeno una volta l’anno) si attesta al 60% della popolazione. I volumi a loro volta crescono fino a

toccare il loro punto di massima nel 2008 con oltre 47,0 miliardi di euro.

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Fig. 2. Quadro di offerta al

2008.

Prodotti secondo il posizionamento fortuna vs abilità e giochi tradizionali

vs nuovi giochi Fonte: Censis, Gioco ergo sum, op. cit. pag. 9

Il settore del gioco di scommessa e di intrattenimento fornisce grandi risorse anche alle casse

dell’Erario. Le entrare erariali, fa notare il rapporto Eurispes, derivanti dalla raccolta hanno subito un forte

incremento: da 3,5 miliardi di euro nel 2003 a 7,7 miliardi di euro nel 2008, con un tasso di crescita

complessivo del 121,1%.

Si tratta di una crescita che deriva prevalentemente dall’aumento della raccolta dei giochi registrato

nel corso degli ultimi anni piuttosto che dal regime fiscale cui i singoli giochi sono sottoposti. Infatti il

prelievo fiscale ha registrato tra il 2003 e il 2004 un incremento del 6% (da 23% a 29%) per poi ridursi negli

anni successivi, passando dal 29% al 19% tra il 2004 e il 2006 e dal 19% al 16% tra il 2006 e il 2008.

L’evoluzione degli ultimi sei anni delle entrate erariali per tipologia di gioco, che derivano da una

combinazione tra l’andamento della raccolta di ciascun gioco e le modifiche apportate al regime fiscale cui

ciascuno di essi è sottoposto, mostrano una forte crescita del gettito erariale derivante dagli apparecchi da

intrattenimento che, a fronte della crescita della raccolta di 21,3 miliardi di euro e del prelievo erariale del

3%, è passato da 33.000 euro nel 2003 a quasi 2,6 miliardi di euro nel 2008.

Rispetto alla geografia del gioco Eurispes rileva come oltre il 50% della raccolta dei giochi in Italia

(23,4 miliardi di euro) si concentri in quattro regioni.

Il primato spetta alla Lombardia (8,3 miliardi di euro, 19,9% del totale), al Lazio (4,6 miliardi di euro,

11% del totale) e alla Campania (4,2 miliardi di euro, 10,1% del totale), mentre tutte le altre regioni hanno

totalizzato nel 2007 una raccolta inferiore ai 4 miliardi di euro, con valori compresi tra i circa 3,3 miliardi di

euro dell’Emilia Romagna (7,8%) e i 90 milioni di euro della Valle d’Aosta (0,2%).

Il 50% circa della raccolta dei giochi in Italia si concentra in sole 18 province italiane, localizzate

prevalentemente nel Nord-Ovest (Milano, Torino, Bergamo, Brescia, Pavia, Varese, Genova) e nel Meridione

(Napoli, Bari, Palermo, Salerno, Caserta, Catania) e solo marginalmente nel Centro (Roma, Firenze) e nel

Nord-Est (Bologna, Venezia, Modena). Il primato spetta alle province di Milano (3,9 miliardi di euro di

raccolta, 8,3% del totale), Roma (3,4 miliardi di euro, 8,1%), Napoli (2,3 miliardi di euro, 5,7%), Torino (1,4

miliardi di euro, 3,5%) e Bari (1 miliardo di euro, 2,5%).

Questo dato nel rapporto del Censis è letto in relazione anche al numero di abitanti, poiché è

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evidente che assunti in valore assoluto, i volumi di gioco siano destinati a privilegiare le province più

popolose, mentre l’indicatore volumi di gioco/popolazione (intesa come popolazione maggiore di 14 anni)

rappresenta con più efficacia la propensione al gioco in relazione al dato territoriale.

La classifica delle prime cinque province per giocato procapite si presenta molto diversa da quella che

fotografava la situazione al 1998, rileva il Censis. Tutto ciò è probabilmente dovuto alla straordinaria

accelerazione del giocato medio procapite che in Italia è passato dalle 631.000 mila lire del ‘98 (poco più di

326 euro) agli oltre 890 euro del 2008, di fatto quasi triplicando il valore.

La provincia di Roma, prima per giocato procapite nel 1998, scende ora al 22° posto ed è sostituita in

testa da Pavia che, con 1.364 euro di spesa procapite, rappresenta la provincia italiana top spender a

testimonianza che il gioco attecchisce maggiormente nelle aree ad alto reddito del Paese.

Seguono nelle altre posizioni le province di Pescara (l’unica presente nelle “Top Five” nel 1998 al 2°

posto), Rimini, Lodi e Teramo mentre, rispetto a dieci anni prima, retrocedono Milano (dal 3° al 14° posto),

Ascoli (dal 4° al 19° posto) e Pistoia (dal 5° al 26° posto).

Anche il dato regionale, se letto in relazione al rapporto con il numero di abitanti, cambia e vede

l’Abruzzo al primo posto precedere Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna. La Campania si colloca al 6° posto

mentre nelle ultime tre posizioni si trovano nell’ordine Veneto (18° posto), Basilicata e Calabria.

Tab. 1 Giocato pro-capite nel 2008 per regione (Val. in €)

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Nel campione di persone intervistato da Eurispes emerge un giudizio tendenzialmente positivo del

gioco: il 29,8% degli italiani considera i giochi e le lotterie un divertimento allo stato puro, l’8,2% associa

invece scommesse e puntate all’adrenalina data dalla suspense. In parallelo, la posizione espressa da chi

spera di ottenere dal gioco un’integrazione al proprio reddito personale (9,2%), segnala che probabilmente

questo sistema sta diventando un rimedio alle difficoltà economiche di molte famiglie italiane.

I giocatori con un reddito annuale piuttosto basso, sperano più di altri che una grossa vincita possa

risollevare le loro finanze con l’opportunità di vivere una vita più agiata (28,4%). Essi, inoltre, mostrano una

maggiore propensione a giocare per mettere alla prova le proprie abilità (7,6%) e per portare avanti una

consuetudine familiare (5,6%). Chi percepisce un reddito compreso tra i 10.001 e i 20.000 euro si distingue,

poi, in misura maggiore di altri, perché trova nel gioco un modo per guadagnare facilmente (21,5%), per

passare il tempo libero (7,1%) o fare opere di bene (4%). La scelta di giocare semplicemente per divertirsi

(39%) o per assaporare il brivido del gioco (6,8%) è, invece, diffusa prevalentemente tra chi ha dichiarato

redditi più alti.

Per il 3,8% cimentarsi con il panorama dell’offerta ludica messa a disposizione dai gestori significa

principalmente mettere alla prova le proprie abilità e competenze. In alcuni casi, questa tendenza porta a

far diventare il gioco una costante della vita quotidiana (2,1%).

Poco più di un terzo dei cittadini (30,6%) ritiene invece che investire somme più o meno consistenti

nel tentativo di sfidare la dea bendata costituisca uno spreco di denaro e, per il 12,5%, questo

comportamento rappresenta un modo poco costruttivo di passare il tempo.

Gli uomini, in misura maggiore rispetto alle donne, considerano il gioco in denaro un puro

divertimento (30,7% vs 28,8%), sperano di ottenere giocando un’integrazione al proprio reddito mensile

(10,7% vs 7,6%) e sono più attratti delle emozioni che il gioco è in grado di dare (9,4% vs 7%). Al contrario, le

donne valutano, nel 33,4% dei casi (contro il 28,1% del dato maschile), il gioco come un inutile spreco di

denaro.

Nelle fasce più giovani di età si rileva un atteggiamento favorevole nei confronti del gioco in denaro:

per il 34% dei 18-24enni e per il 32,6% dei 25-34enni, esso è principalmente un divertimento. I più anziani

sono coloro i quali più di altri dichiarano di apprezzare l’aspetto emotivo legato all’universo dei giochi

(11,7%). Infine, la maggior parte degli italiani che gioca (o giocherebbe) per tentare di ottenere qualche

entrata extra allo scopo di arrotondare lo stipendio mensile appartiene alla classe d’età 35-44 anni (14,3%).

Gli italiani, prosegue il rapporto, incominciano a tentare la fortuna abbastanza presto: il 39% ha,

infatti, investito per la prima volta dei soldi per giocare tra i 18 e i 25 anni, mentre il 38,4% tra i 13 e i 17

anni (1.132.555 teen players).

2. Il diritto al gioco

Il diritto al gioco per bambini e ragazzi è riconosciuto espressamente da alcune carte internazionali

ratificate con legge dall’Italia, come la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989

(ratificata con legge n. 176/91, da ora in poi CRC) e la Convenzione ONU sui diritti delle persone con

disabilità del 2006 (ratificata con legge 18/2009).

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La prima riconosce espressamente il gioco, il riposo e lo svago come diritti di cui sono titolari tutti i

bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze (art. 31 CRC). L’art. 23 della CRC afferma inoltre il diritto dei

bambini con disabilità di avere una vita piena e decente che comprende l’accesso alle attività ricreative

(comma 3).

La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 ribadisce l’importanza del diritto

al gioco per il bambino con disabilità impegnando gli Stati firmatari a prendere misure appropriate per

«assicurare che i bambini con disabilità abbiano pari accesso alla partecipazione ad attività ludiche,

ricreazionali, di tempo libero e sportive, comprese queste stesse attività qualora si svolgessero in ambiente

scolastico» (art. 30 comma 5 lett. d).

Per quanto sia riconosciuto come diritto fondamentale di bambini e ragazzi per garantire loro una

crescita armoniosa ed equilibrata, è tuttavia difficile che questo trovi applicazione concreta nel caso dei

bambini con disabilità.

Le difficoltà dell’agire, la scarsa motivazione, il deficit percettivo ed espressivo condizionano l’attività

spontanea di gioco in un’esistenza in cui viene data maggiore importanza ai processi riabilitativi, di cura ed

educativo-scolastici.

A queste limitazioni oggettive e culturali si sommano altre criticità che - come fa rilevare il Gruppo di

lavoro per la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia - riguardano:

«la mancanza di luoghi che stimolino e sensibilizzino i genitori all’importanza del gioco, non

solo come fattore di apprendimento, ma come momento ludico di piacere;

la mancanza di competenze degli operatori sulle modalità e approcci al gioco nelle diverse

disabilità;

la presenza di barriere architettoniche negli spazi gioco all’aperto; la scarsa diffusione di

tecnologie informatiche applicate al gioco;

la scarsa diffusione di ludoteche con particolare attenzione per bambini con bisogni speciali;

la scarsa progettazione di materiali, giocattoli e spazi idonei;

la scarsa capacità di sviluppare il gioco come momento di integrazione e inclusione sociale.

Limitazioni che - prosegue il rapporto - nel complesso determinano nel bambino con disabilità alcune

conseguenze importanti quali:

carenze nel processo di crescita affettivo, cognitivo e socio-relazionale;

scarse opportunità di socializzazione;

difficoltà nella relazione mamma-bambino e con le figure familiari;

solitudine e isolamento;

danni secondari alla patologia;

limitazione all’inclusione sociale»34.

Per quanto riguarda le politiche di intervento promosse a livello nazionale e locale è difficile indicare

34

Gruppo di lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 3° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2006-2007, Roma, 2007, pag. 81. Il Rapporto è consultabile sul sito http://www.gruppocrc.net . Nella sezione documenti è possibile scaricare tutti i rapporti prodotti dal Gruppo di lavoro da quando ha iniziato la sua attività nel 2001.

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la quota dei bilanci che gli Enti pubblici hanno destinato alla promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e

dell'adolescenza.

Secondo quanto riportato nel rapporto Governativo all’ONU sull’attuazione della CRC, la spesa per

l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese può essere ricondotta sostanzialmente a tre aree: la spesa

socioassistenziale, la spesa sanitaria, la spesa per l’educazione e l’istruzione. Nel complesso la dimensione

stimata della spesa pubblica a favore dei minori si può collocare intorno al 6,2-6,4% del Pil35.

Ancor più difficile risulta poter identificare la quota parte di spesa dedicata al settore della

formazione extrascolastica e della promozione di esperienze aggregative e ludiche nel tempo libero e alla

promozione di migliori e più ricche modalità di fruizione culturale.

A livello nazionale questo impegno è stato suscitato sicuramente dall’attuazione della L. 285/1997 che

ha reso disponibile un fondo di circa 150 milioni di euro per anno ripartito per il 70% fra le Regioni e

Province autonome e per il 30% fra 15 città cosiddette “riservatarie”, con il quale sono stati finanziati nei

due cicli di programmazione triennali oltre 7.000 progetti e interventi che per quanto riguarda il discorso sul

gioco hanno sostenuto azioni tese a:

favorire la cultura e la pratica del gioco, mediante iniziative rivolte soprattutto ai più piccoli,

che si concretizzano in proposte sia strutturate con la creazione di spazi sicuri e ambiti di

socializzazione controllata – centri ricreativi, ludoteche, ludobus – sia destrutturate,

finalizzate al recupero in chiave ludica di piazze, giardini, spazi pubblici;

sostenere e rivalutare la dimensione di protagonismo e di autonomia dei preadolescenti e

degli adolescenti, con la creazione di centri di aggregazione e di centri educativi che,

mettendo a loro disposizione spazi, strumenti e competenze, tendono a promuovere le

possibilità di espressione dei giovani;

rafforzare il rapporto minore-spazio urbano con interventi che si concretizzano sia in attività

di animazione, sia nel coinvolgimento attivo dei bambini e dei ragazzi in iniziative finalizzate

alla riappropriazione delle strade e delle piazze della loro città;

valorizzare il tempo libero estivo che stagionalmente assorbe gran parte del budget time dei

minori, mediante soggiorni marini e montani e campi solari.

Dal 2003 la legge riserva finanziamenti dedicati alle sole 15 città riservatarie mentre per le Regioni e

Province autonome la dotazione del fondo è confluita nel Fondo nazionale per le politiche sociali, che però

ha subito diversi tagli negli anni, andando a dimezzare la sua iniziale consistenza.

Per quanto riguarda le città riservatarie, con riferimento al 2008, risulta che:

sono stati finanziati almeno 46536 progetti;

210 di questi, il 45% del totale, dichiarano di avere come finalità la promozione anche del

diritto al gioco;

186 di questi, il 40% del totale, indicano come ambito di intervento prevalente il tempo libero

35

Diritti in crescita. Terzo-quarto rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2009, pag. 5. Consultabile sul sito www.minori.it nella sezione pubblicazioni, rapporti e relazioni all’indirizzo http://www.minori.it/?q=3-4-rapporto-onu-diritti-infanzia-adolescenza 36

Dato al 30 giugno 2009 tratto dalla Banca dati nazionale dei progetti 285 consultabile sul sito http://www.minori.it/banca-dati-citta-riservatarie

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e il gioco.

Un’offerta di progetti e interventi che non riassume certamente tutta la gamma di esperienze ludiche

e di promozione del gioco che per spontanee iniziative degli Enti locali o di comitati e associazioni del terzo

settore si sono venute realizzando e che hanno anche carattere episodico, legate a manifestazioni, mostre,

rassegne di eventi a carattere ludico.

Tra le iniziative di rilievo a livello nazionale e locale si segnalano inoltre:

come ricorrente dal 2005 la celebrazione nel mese di maggio della giornata mondiale del

gioco, promossa in Italia dall’Associazione nazionale Città in gioco – GIONA. L’associazione,

nata nel 2002, riunisce oltre 20 amministrazioni locali (Comuni, Province e Comunità

montane) che, in tutta Italia, hanno messo al centro della propria attività politica l’attuazione

del diritto al gioco, in tutte le sue forme. La filosofia e lo spirito che animano l’associazione

sono contenuti nel Manifesto del gioco, che è scaricabile dal sito Internet www.ludens.it;

dal 2000 si tengono con cadenza più o meno annuale gli incontri nazionali dei ludobus e delle

ludoteche. Nel 2005 a Torino il tradizionale incontro ha assunto anche una veste

internazionale con il convegno “Time TO Play”, ospitando il 34° Congresso internazionale dei

ludobus e l’8° Incontro nazionale dei ludobus e delle ludoteche, al quale hanno preso parte

quasi 1.000 persone provenienti da tutte le parti d’Italia e da vari Paesi del mondo;

di rilievo per la promozione e il sostegno a iniziative degli Enti locali, nell’ambito della

progettazione di interventi per la promozione di una cultura ludica, del tempo libero e dei

diritti di cittadinanza dei bambini in chiave partecipativa, è il lavoro svolto da Camina (Città

amiche dell’infanzia e dell’adolescenza, www.camina.it) nata nel luglio 1999 sulla base di un

progetto pilota di Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia);

la continuazione della promozione dei “9 passi per le città amiche dei bambini”

(www.childfriendlycities.org e www.unicef.it);

la campagna annuale di ricerca “Ecosistema bambino” promossa da Legambiente

(www.legambiente.it);

l’inserimento del tema del gioco nelle proposte di Piano nazionale infanzia del Forum

nazionale del Terzo settore e la redazione del manifesto per l’infanzia elaborato dal Gruppo

infanzia del Forum, che contiene proposte per i LIVEAS per l’infanzia;

a livello locale, tra le altre, si segnalano l’edizione annuale della manifestazione “Tocatì”,

Festival internazionale dei giochi in strada che si svolte a Verona (www.tocati.it).

Il diritto al gioco trova riferimento, oltre che nel quadro di norme internazionali e nazionali, anche in

quelle emanate a livello regionale. Una prima ricognizione sulle leggi promulgate dalle Regioni con

riferimento al tema del diritto al gioco evidenzia due gruppi di norme:

leggi regionali di promozione di un sistema integrato di interventi comprensive anche di

quelli rivolti all’infanzia e all’adolescenza e quindi anche degli interventi ad esse rivolte con

riferimento al diritto al gioco;

leggi regionali di settore che disciplinano il funzionamento di alcuni servizi socioeducativi e

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culturali, come ad esempio le ludoteche, o che promuovono il riconoscimento specifico della

cultura ludica.

Del primo gruppo fanno parte la legge regionali n. 6/2009 della Liguria e la n. 14/2008 dell’Emilia

Romagna.

La legge ligure n. 6 del 9/4/09 recante Promozione delle politiche per i minori e giovani, fa riferimento

al gioco rispetto alle tipologie di servizi socioeducativi: nido d’infanzia, servizi integrativi, servizi domiciliari,

servizi ricreativi (gioco occasionale ed estemporaneo in ambienti adeguati sotto la guida di animatori) e

nelle finalità: gioco e socializzazione nel tempo libero nell’ottica della prevenzione; promozione del gioco e

dell’approccio ludico come tipologia di interventi a sé stanti.

La L.R. Emilia Romagna 14 del 28/7/08 recante Norme in materia di politiche per le giovani

generazioni, nelle sue finalità dichiara di promuovere, tra gli altri, il diritto al gioco e al tempo libero. La

legge promuove la pratica del gioco quale strumento educativo che favorisce la relazione attiva,

l’aggregazione tra persone, l’integrazione, il rispetto reciproco e delle cose, la sperimentazione delle regole

e la gestione dei conflitti. Rispetto alle varie tipologie di servizio disciplinate dalla legge si fa riferimento in

particolare a quelle per i bambini in ospedale, prevedendo di riservare appositi spazi al gioco e

all’intrattenimento dei bambini ricoverati; ai centri estivi e agli spazi di aggregazione giovanile.

Del secondo raggruppamento invece fanno parte la legge regionale Marche n. 10/2009, la n. 18/2002

del Lazio, la n. 29/2000 del Molise e la n. 66/1997 dell’Abruzzo.

La regione Marche con la L.R. del 3/4/2009 n. 10, recante Norme per il riconoscimento del diritto al

gioco e per la promozione dello sport di cittadinanza, eroga contributi per comuni, enti di promozione

sportiva, Aps per la realizzazione di attività aventi finalità ludiche e sportive di cittadinanza. La Regione

riconosce altresì la funzione sociale del diritto al gioco e dello sport di cittadinanza durante tutto l’arco della

vita, finalizzata alla formazione ed alla integrazione sociale delle persone, allo sviluppo delle relazioni sociali,

al miglioramento degli stili di vita e alla tutela della salute. Favorisce inoltre:

lo sviluppo e la qualificazione degli spazi e delle aree per l’esercizio delle attività aventi

finalità ludiche e sportive di cittadinanza;

l’integrazione delle politiche del gioco e delle attività ludico-motorie con quelle sociali,

turistiche, culturali, promuovendo interventi per il miglioramento degli impianti, delle

attrezzature e dei servizi per la mobilità e il tempo libero.

Promuove infine l’attività di enti di promozione sportiva, delle associazioni sportive e di quelle di

promozione sociale che operano nell’ambito delle finalità di cui alla presente legge.

La Regione Lazio con L.R. 11/7/2002 n. 18 recante Tutela del gioco infantile e disciplina delle ludoteche

nelle sue finalità richiama l’articolo 31 della CRC al fine di tutelare l’inalienabile diritto al gioco del bambino

e promuove per questo l’istituzione e la realizzazione delle ludoteche, quale servizio culturale, ricreativo e

sociale, destinato a bambini e ragazzi.

La ludoteca è definita come uno spazio polifunzionale protetto, destinato ai minori di età compresa

fra i tre ed i diciassette anni, dove vengono svolte attività ludico-ricreative, educative e culturali, individuali

e di gruppo, ed ha lo scopo di favorire la socializzazione, la capacità creativa ed espressiva, l’educazione

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all’autonomia ed alla libertà di scelta dei minori. Le attività devono essere articolate per fasce di età, devono

favorire lo sviluppo psicologico, relazionale e cognitivo dei minori tramite il gioco, l’animazione ludica, il

prestito ed il riciclo dei giocattoli, il laboratorio, i campi scuola ludico-ambientali, la ricerca delle tradizioni

popolari, l’educazione all’integrazione multiculturale.

Tra i compiti della Regione vi sono quelli della concessione di contributi (350mila euro nel 2006) per il

potenziamento di servizi per il gioco infantile, quali ludoteche e strutture per il gioco ricreativo all’aperto, al

Comune di Roma ed ai Comuni associati negli ambiti territoriali d’intervento previsti dalla legge 28 agosto

1997, n. 285 (Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza) ed

individuati dal piano socio-assistenziale regionale di cui alla legge regionale 9 settembre 1996, n. 38 e

successive modifiche.

La Regione Molise con L.R. 23/12/2004 n. 36 recante Modifiche alla legge regionale 14 aprile 2000, n.

29, ad oggetto: Tutela del diritto al gioco dei bambini e sviluppo delle ludoteche e la Regione Abruzzo con

L.R. 22/7/1997 recante Tutela del diritto al gioco dei bambini e promozione e sviluppo delle ludoteche

dispongono - in maniera analoga - norme rispetto al riconoscimento del significato sociale del gioco e

riguardo alle caratteristiche di funzionamento delle ludoteche.

Il gioco è considerato un diritto inalienabile delle bambine e dei bambini. Questi devono potervisi

dedicare in forma appropriata alla loro età e poter partecipare liberamente alla vita culturale della propria

comunità anche attraverso proprie espressioni dirette. I tratti caratteristici del gioco sono ritenuti la

spontaneità, la creatività e la libertà. Il gioco consente, poi, l’acquisizione da parte dei bambini di graduali

livelli di autosufficienza, il valore preparatorio attraverso cui l’individuo perfeziona le sue attitudini che si

realizzeranno a pieno nella sua vita adulta.

Per quanto riguarda i riferimenti al gioco nelle tipologie di intervento si fa riferimento alla ludoteca,

considerata un servizio educativo-culturale aperto a quanti intendono fare esperienze di gioco. La ludoteca

ha lo scopo di favorire la socializzazione, di educare all’autonomia ed alla libertà di scelta e di valorizzare le

capacità creative ed espressive di ogni bambina e bambino. Tra le attività della ludoteca vi sono, tra le altre,

l’animazione ludica con o senza giocattoli, il prestito di giocattoli, il laboratorio, i campi scuola ludico-

ambientali, la ricerca delle tradizioni popolari, il recupero e il riciclaggio dei giocattoli, il gemellaggio con le

altre ludoteche e con le scuole, la conoscenza delle diverse etnie, la formazione e informazione dei genitori.

Si precisa che è possibile prevedere, tenendo conto della realtà territoriale, la presenza di ludoteche

negli ospedali, negli istituti educativo-assistenziali per minori o in altri luoghi di attesa e di aggregazione in

locali messi a disposizione dai proprietari. La Regione eroga contributi pari al 40% dei costi per l’apertura

(costruzione, ristrutturazione) dei servizi. Prevede l’istituzione di un albo regionale delle ludoteche

pubbliche e private (attivato nel 2003 in Molise).

Infine, sempre nel quadro delle iniziative assunte a livello regionale, c’è da segnalare che la

Conferenza delle Regioni e Province autonome ha adottato il 29 ottobre 2009 il Nomenclatore

interregionale degli interventi e dei servizi sociali.

Nelle varie tipologie di interventi e servizi rivolti all’infanzia vi trovano riferimento anche quelle

relative al diritto al gioco:

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centri di aggregazione sociale: centri di aggregazione per giovani e anziani nei quali

promuovere e coordinare attività ludicoricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per

un corretto utilizzo del tempo libero;

strutture semiresidenziali: servizi integrativi per la prima infanzia. In questa categoria

rientrano i servizi previsti dall’art. 5 della legge 285/97 e i servizi educativi realizzati in

contesto familiare. In particolare: spazi gioco per bambini dai 18 ai 36 mesi (per max 5 ore);

centri per bambini e famiglie; servizi e interventi educativi in contesto domiciliare;

centri diurni estivi: centri organizzati per attività ricreative, sportive, educative che si

svolgono nel periodo estivo;

centri estivi o invernali con pernottamento: strutture comunitarie comprendenti le colonie, i

campeggi, i centri ricreativi a carattere stagionale, i soggiorni climatici o termali;

attività ricreative di socializzazione: interventi di utilizzo del tempo libero organizzati per

rispondere a bisogni di socializzazione e comunicazione delle persone in stato di disagio e per

promuovere occasioni di incontro e conoscenza tra italiani e stranieri. Vi è compresa

l’organizzazione di soggiorni climatici o termali rivolti in particolare ai soggetti fragili;

ludoteche/laboratori: le ludoteche sono centri di attività educative e ricreative rivolte a

bambini/ragazzi in età prescolare e di scuola dell’obbligo. I laboratori sono spazi attrezzati per

l’integrazione di disabili, anziani, bambini in difficoltà o persone con disagio.

La classificazione, sebbene non esaustiva delle modalità di intervento con le quali si può

concretamente esprimere tale diritto, specie con riferimento alle dimensioni del gioco libero e non

confinato in una struttura specializzata e organizzata, costituisce tuttavia una importante base di riferimento

comune - lessicale e concettuale - propedeutica all’adozione da parte dello Stato dei Livelli essenziali di

assistenza sociale e della possibilità di costruire un sistema di monitoraggio e rilevazione dell’offerta e della

domanda di servizi comune tra le varie Regioni.

3. Un’esperienza: indicatori per città “giuocose”

Arciragazzi Liguria ha sviluppato con la Regione Liguria (Assessorato ai Servizi Sociali) un progetto dal

titolo La città giuocosa che tra il 2007 e il 2008 ha realizzato uno studio articolato sulle caratteristiche

positive dei contesti urbani che possono favorire il gioco libero dei bambini e l’accoglienza per le famiglie e

quelle che, altresì, lo contrastano e lo limitano. Ciò al fine di promuovere una campagna di buone prassi per

e con gli Enti locali affinché si realizzino microiniziative di “facilitazione al gioco libero” (sicurezza,

regolamenti dei parchi, illuminazione, traffico, eccetera).

Operativamente il progetto ha visto la collaborazione con il Laboratorio CRAFTS dell’Università di

Genova al fine di predisporre un’indagine empirica finalizzata ad indagare le posizioni di esperti ed

amministratori pubblici in merito alle condizioni del gioco libero nelle nostre città, le opinioni, le posizioni e

le possibilità di mettere a punto degli indici e buone prassi sperimentabili con metodo rigoroso e

riproducibile anche in contesti territoriali differenti.

Il progetto ha definito un “dodecalogo” di indici di promozione urbana del diritto al gioco, decalogo a

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sua volta collegato a buone prassi e microazioni di sviluppo censite nell’ambito dei Comuni liguri. Le 12

famiglie di indici e le buone prassi per sviluppare la città “a misura di gioco dei bambini” sono le seguenti:

Accessibilità - mobilità sostenibile

Cura dei luoghi di gioco e di incontro

Attenzione ai giardini e cortili scolastici

Attenzione agli spazi condominiali

Regolamenti e divieti

Progetti di educazione al gioco degli adulti e sensibilizzazione nei confronti del diritto al gioco

Promozione della conoscenza degli spazi urbani

Promozione della cittadinanza attiva di bambini e famiglie

Accessibilità in sicurezza agli spazi fluviali ed agli arenili

Politiche dei tempi delle famiglie

Organizzazione amministrativa

Promozione della partecipazione

La ricerca e gli indici “per la città amica del gioco” costituiscono parte integrante di un Kit di

sperimentazione e un Vademecum dedicato agli Enti locali della Liguria, il quale contiene indicazioni e

suggerimenti concreti - a partire proprio dagli indici elaborati e dalle buone prassi individuate - per i Comuni

che vogliano intraprendere micro e macro azioni di trasformazione urbana a favore del gioco libero dei

bambini e delle bambine e dell’accessibilità della città per loro e per le loro famiglie. La sperimentazione,

avviata nel corso dell’anno 2008, è aperta a tutti gli Enti locali che vorranno cimentarsi con le iniziative

suggerite dal presente progetto. L’iniziativa “Città GiUocosa” dovrebbe evolversi, nelle attuali intenzioni

progettuali di Arciragazzi, nella promozione di un “Premio per le Città GiUocose” in Liguria, occasione di

diffusione della cultura del gioco e del gioco libero nei Comuni della Regione.

Conclusioni in stile “RockPolitik”

Al termine di questo intervento mi sia concesso un vezzo, un prendersi alla leggera, per riassumere in

forma di antinomie a ritmo di blues - sullo stile della fortunata trasmissione di Adriano Celentano del 2005 -

alcune convinzioni che dovrebbero sostenerci e animarci nel nostro impegno a garantire il diritto al gioco:

Giocare è rock, desiderare di giocare è rock. Consumare giocattoli, desiderare solo di

possedere gli oggetti del gioco è lento.

Avere tempo libero per giocare è rock. Giocare solo nel tempo programmato è lento.

Giocare liberi da soli o in compagnia di altri o soli in compagnia di se stessi è rock. Vivere il

tempo dell’otium è rock. Giocare con gli altri nei recinti del tempo libero programmato, preda

di forme di socialità iperprestativa, giocare solo per il risultato finale, per la chance di vincere

o perdere è lento. Vivere solo il tempo del negotium è lento.

Il gioco creativo e di fantasia, di abilità e di ruolo è rock. I giochi ricchi e fastosi, ma poveri di

contenuto e idee sono lenti.

Il gioco è un “decreto di libertà”, è apertura al possibile, al rischio e al piacere e per questo è

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rock. Le ludopatie, la dipendenza da gioco, dai suoi rischi e dai suoi piaceri è lenta.

Il gioco è una cosa seria. Avere il diritto di giocare e promuovere il diritto al gioco è rock. Non

prendere sul serio le cose dei piccoli, pensare che il gioco sia una seccatura, non garantire il

diritto al gioco è lento. Vietato giocare nei condomini, nelle piazze e nei giardini pubblici è

lentissimo.

La 285 è rock. Un piano d’azione per promuovere i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è

rock, anzi hard rock. Politiche per bambini e adolescenti di tipo residuale, che si fanno se ci

sono i fondi, se passa la crisi, fatti di tagli alle briciole, con una visione che non tiene insieme i

loro bisogni di tutela e i loro diritti di partecipazione sono lente.

Le regole del gioco sono rock. Una politica che si prende gioco delle regole è lenta, anzi

lentissima.

Riferimenti bibliografici

Censis Servizi, Gioco ergo sum, Roma, 2009 Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Il gioco, in Cittadini in crescita, n. 2/2006 Diritti in crescita. Terzo-quarto rapporto alle Nazioni Unite sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, Istituto degli Innocenti di Firenze, Firenze, 2009 Eurispes, L’Italia in gioco. Percorsi e numeri dell’industria della fortuna, Roma, 2009 Istat, Spettacoli, musica e altre attività del tempo libero anno 2006. Indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”, Collana Informazioni n. 6, Roma, 2008 Gruppo di lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, I diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. 3° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, 2006-2007, Roma, 2007

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Capitolo 3

Le buone prassi nelle città e nei piccoli comuni

di Amilcare Acerbi

Le buone prassi costituiscono il tortuoso percorso nazionale di una moltitudine di servizi ludici, in prevalenza nati con i fondi L.285/97, che segna profondamente tempi, spazi e cultura del gioco. Il desiderio di dare continuità ai servizi per rispondere alle richieste dei cittadini e le difficoltà che segnano profondamente anche le amministrazioni virtuose. Ma il gioco resta un fattore fondamentale nelle relazioni tra culture e nella continua trasformazione dei territori, un fattore non sempre riconosciuto e non sempre sfruttato appieno, ma che vale sempre di più la pena sostenere e incentivare. Allora, anche questa puntuale analisi della realtà italiana, diventa strumento di confronto e di stimolo per la costruzione di una consapevole resistenza ludica.

1. Gioco, giovani cittadini, amministratori

Provo a declinare i termini del titolo di questo paragrafo iniziale.

Gioco. Il gioco come dimensione sociale, come mezzo di apprendimento, come esigenza umana,

giovanile e senile, è stato già talmente studiato e descritto che non mi sembra necessario qui procedere e

riprendere cose già dette. Comunque alla questione ho già dedicato molte pagine in cinque manualetti.37

Giovani cittadini. Mi interessa maggiormente richiamare il rapporto tra giovani e gioco. In questo caso

parlare di cittadini, rispetto al gioco risulta anche malizioso. I giovani attualmente non sono veri e propri

cittadini, ma “consumatori” o per meglio spiegare, eccezionali compratori, “bersaglio” per usare un termine

caro ai pubblicitari e ai comunicatori.

Oppure individui fastidiosi. Per gli amministratori, soprattutto.

Così come i viaggiatori sono stati trasformati nella retorica degli annunci delle stazioni ferroviarie in

“clienti”. E si sa che il cliente è facilmente preda di truffe e raggiri, se non è accorto. E se il commerciante è

un abile illusionista.

Ebbene, bambini e ragazzi sono preda costante di offerte, il più delle volte abilmente camuffate con

abbinamenti gioco/cibo - gioco/concorso - gioco/apprendimento - gioco/torneo.

Il gioco senza gadget, dunque secondo la sua storica e innata essenza, basato solo su regole

condivise, autogestite, rielaborate, serenamente gustate, non esiste quasi più. E neppure un gioco senza

arbitro si riesce più a concepire.

Poi per giocare e praticare uno sport in forma dilettantesca si deve essere “socio”, munirsi di una

“divisa”, essere “assicurato”.

Senza l’uno, l’altra e l’altra ancora si è “fuori” dalla società contemporanea; con molta somiglianza

con l’extracomunitario che “pretende” di utilizzare i parchi e i giardini pubblici per ritrovarsi con gli amici e

37

Acerbi A., Giuliani M., Martein D., Spazi ludici. 30 progetti per aree gioco in interni e all’aperto. Manuale per la progettazione e la gestione, Maggioli, Rimini, 1997; Acerbi A., Martein D., Il gioco è di più. Ludoteche e centri per il gioco e l’aggregazione, Junior, Bergamo, 2005; Acerbi A., Martein D., Musei, non-musei, territorio. Modelli per una pedagogia urbana e rurale, Franco Angeli, Milano, 2006; Acerbi A., Martein D., Città creaTTiva, Pironti, Napoli, 2004. In pubblicazione la rivista Italia Ludens, atlante dei protagonisti.

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fare pic-nic insieme, e addirittura occupare a lungo le panchine nei giorni festivi o alla sera, per riposarsi.

Sembrerebbe che i parchi siano un fatto “estetico” e tutt’al più vadano bene per spingerci il

passeggino alla domenica mattina o per portarci i cani due volte al giorno.

Si aggiunga che se in un giardino pubblico con aiuole e altalena (che già di per sé è considerabile

attrezzo infido) il bambino o il ragazzo non è “sorvegliato” da un adulto, automaticamente viene catalogato

come “individuo in pericolo”.

Amministratori. Agli amministratori delle imprese interessa poco il gioco, se non per il fatturato che

può produrre; certo, interessa anche la normativa, purché essa sia sufficientemente interpretabile e non

influisca troppo sui costi di produzione.

Anche i dirigenti scolastici possono essere annoverati tra gli amministratori, ora che le scuole sono

diventate “autonome”, così pure i presidenti delle molte società sportive e ricreative e le cooperative sociali;

spesso anche per loro vale di più il “bilancio” che le persone.

Agli amministratori pubblici invece interessa la società civile, il benessere dei cittadini. Ma a fronte

delle richieste di intervento nel settore dell’educazione e della cultura giovanile da venti e più anni gli

assessori purtroppo rispondono frequentemente che sono alle prese coi “tagli” dei bilanci. E ogni anno gli

interventi e i finanziamenti sono in forse.

Qualcuno si chiede se una simile preoccupazione emerga anche di fronte a parcheggi, rotatorie,

semafori intelligenti e istallazione di telecamere spione. Il più delle volte si tratta di maliziose insinuazioni.

Parlare di impegni di spesa relativi al gioco dei minori suscita nei consigli comunali e regionali reazioni

di fastidio acuto. E quegli sparuti assessori che hanno osato affermare che si potrebbe attribuire una delega

al gioco sono stati spesso sommersi di sorrisi di compatimento.

Nessuno si scandalizza, al momento del voto in consiglio comunale, di deliberare per investire in stadi

per il gioco del calcio professionistico, per parcheggi attorno agli impianti e per tutto ciò che possa tornare

utile alla squadra del cuore. Sindaci e assessori si danno facilmente appuntamento sulle tribune, durante i

loro mandati. Ma questa è un’altra storia.

2. Da un’idea di sistema, al sistema interruptus della 285, allo sbracamento come sistema

A cavallo degli anni ‘90 si è sviluppato un dibattito sociale e pedagogico attorno all’esigenza che le

varie agenzie educative, scuola, famiglie, associazioni ricreativo-sportive, si confrontassero e cercassero di

collegare i loro interventi a favore dei minori onde si producessero fatti e tempi educativi quotidiani utili a

far crescere armoniosamente i figli/alunni. Si impostarono scuole a tempo pieno, scuole “integrate” ovvero

con attività pomeridiane aggiuntive correlate a quelle curricolari, in parte a carico dei comuni e in parte a

spese dello Stato. I modelli messi a punto in quel periodo furono molteplici, graditi alle famiglie, talvolta

osteggiati dalla scuola statale, perché costringevano a pensare e progettare troppo in chiave educativa,

ovvero a rivedere metodi e aggiornare contenuti. Le resistenze, nonostante le spesso roboanti dichiarazioni

pubbliche, sono venute purtroppo anche dalle organizzazioni sindacali del settore, che invece hanno

assecondato un progressivo appesantimento burocratico dell’esercizio dell’insegnamento e indotto gli

insegnanti ad assumere atteggiamenti ostili nei confronti dei genitori.

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Gli insegnanti, anziché vivere i genitori come alleati, anch’essi alla ricerca del metodo migliore di

educazione “democratica” (e non più autoritaria), presero a vederli come controparti tutte le volte che essi

chiedevano qualcosa nei consigli di classe o di istituto, o esponevano le difficoltà dei propri figli.

Ora i genitori sono diventati la controparte, spesso integrata da un avvocato.

Sul piano metodologico gli importanti aspetti legati al coinvolgimento emozionale e affettivo degli

allievi non sono stati studiati, il lavoro in team è stato osteggiato, e scarsissima attenzione è stata riservata

al peso che ha l’educazione “non formale”. Nessuna strategia è stata elaborata per educare alla relazione coi

mass-media.

Un governo, dei tanti succedutisi, parve accorgersi dell’esigenza di affrontare la nuova società

giovanile. Peccato che non abbia realizzato un accordo “ragionato” tra ministro del welfare e ministro

dell’istruzione. Dal primo nacque la leggendaria “Legge 285”, dal secondo l’altrettanto avveniristica

“autonomia scolastica”. Entrambi gli interventi legislativi erano basati su esigenze realissime: gli enti locali

debbono farsi carico di interventi (diretti o di regia) nel processo educativo e gli insegnanti devono essere

valutati nel loro operare e le scuole adeguare i programmi anche alle esigenze territoriali.

Purtroppo la “285” portava in sé il seme della precarietà: fece nascere grandissime speranze in tutte

le giunte comunali italiane, del Nord e del Sud, consapevoli di dover fare qualcosa a favore dei minori e di

dover rispondere alle attese dei nuovi genitori. Correvano gli anni dell’approvazione della Convenzione dei

diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, le mamme ambivano tutte ad un lavoro fuori casa, le coppie giovani si

affrancavano dai genitori cercando casa altrove, il pendolarismo verso il lavoro si andava generalizzando. I

comuni assecondarono progetti e progettini elaborati, spesso confusamente, da associazioni e nuove

cooperative, scopiazzando progetti. Il tutto in assenza di un riordino delle normative regionali alla luce degli

obiettivi indicati dalla “285”. Non fu dunque questa una legge di riordino ma semplicemente di distribuzione

di fondi, assomigliando nella sua seconda edizione sempre più ad una precedente legge del ministro degli

interni, che affidava alle prefetture il vaglio dell’elargizione di fondi per interventi socio-culturali-ricreativi a

favore di giovani e giovanissimi.

Sul versante dell’istruzione, trasformati i Provveditorati scolastici in banali servizi ragionieristici (non

che precedentemente brillassero per iniziative in campo di istruzione, ma almeno aiutavano

nell’interpretazione delle circolari ministeriali e tenevano le fila a livello territoriale), ogni scuola avrebbe

dovuto gestirsi in autonomia (contando su fondi economici incerti e su organici di personale mutevoli).

Successe che i direttori e i presidi furono catapultati in cambio di aumenti di stipendio consistenti nel girone

dei dirigenti (leggasi manager), senza valutazione e selezione preventiva e neppure con formazione

adeguata, loro e dei docenti; si contò che bastasse la revisione del ruolo perché spontaneisticamente

fossero in grado di creare reti o, peggio ancora, di rapportarsi con i comuni e i soggetti esterni, per

impostare piani di offerta formativa (POF, acronimo dal suono così statico da far prefigurare improbabili

successi), adeguati alle esigenze dei territori. La valutazione e l’adeguamento delle capacità dei docenti

invece svanirono nel nulla.

Entrambi gli interventi, dunque, pur orientati a nuovi bisogni, nacquero senza i necessari

accompagnamenti.

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E le rappresentanze sindacali e professionali, sempre arroccate in difese corporative fuori dal tempo e

incomprensibili alla popolazione, le dirigenze e le segreterie delle scuole in gara tra loro a cercare iscritti per

non perdere cattedre: humus fertile terreno per la progressiva perdita di credibilità della scuola e del ruolo

degli insegnanti.

Nel frattempo, purtroppo, si è fatta agguerrita l’offerta di consumi culturali/comportamentali e

bambini, ragazzi, adolescenti sono diventati una eccezionale massa di consumatori da spremere.

La predisposizione all’accondiscendenza da parte dei genitori verso i propri figli ha trovato interessata

attenzione solo nei produttori di beni e narrazioni televisivo-ludiche e un muro “schizofrenico” dalla parte

della scuola e delle istituzioni locali.

I nuovi professionisti dell’educazione, ovvero gli animatori-educatori attirati dai finanziamenti

dispensati dalla legge “285”, si sono dovuti adattare a fare anche gli imprenditori di se stessi, inseguendo

gare d’appalto asfittiche, con le quali si chiedevano, a fronte di contratti misurati a mesi anziché ad anni,

roboanti contenuti e risultati educativi e culturali, offrendo in cambio compensi pari a un quinto di quanto

consegnato (in nero) a muratori e idraulici. Un bel sistema per impedire programmazioni serie e

aggiornamenti professionali.

Si è aperta così, con il beneplacito di tutti, la via (la chiamerei voragine!) della privatizzazione

dell’educazione… antesignana, comunque, ahimè, la mitica Reggio Emilia … che pensò bene di dare in

appalto i pre e post asilo e poi di porre sullo stesso piano servizi retti da cooperative (purché si allineassero

alle indicazioni comunali) e servizi condotti da personale comunale.

Ora migliaia di ex giovani sono “orfani della 285” e vagano da un comune all’altro alla ricerca di un

incarico, sono capaci, i più, di intrattenere culturalmente, creativamente, ludicamente bambini e ragazzi, ma

per sopravvivere debbono concorrere per servizi socio-assistenziali; infatti, con un colpo di genio finale il

dettato della legge “285” è stato fatto assorbire dalla legge n. “328”, ovvero quella che dovrebbe regolare i

servizi sociosanitari. Concezione bizzarra che introduce il principio che l’intervento pubblico nel settore del

gioco e della ricreazione vale solo se è terapeutico.

E in questa confusa deriva le cooperative di operatori, formatesi nei vari territori sulla base di

vocazioni e sensibilità spiccate, perdono appalti a favore di aggregazioni sempre più grandi e voraci.

Sul versante del privato, nel frattempo, si moltiplicano per infanzia e adolescenza le offerte televisive

a tutte le ore, il cellulare diventa una vera e propria “protesi” del corpo umano, che dispensa videogiochi e

messaggini, la discoteca sta in tasca (sotto forma di ipod, o di pasticca), veline e grande fratello diventano

motori di promozione sociale, senza neppure più dover imparare a ballare o calciare.

I finanziamenti per l’educazione e il gioco dei ragazzi diminuiscono di mese in mese e i fondi

disponibili vanno tutti nella realizzazione di centri storici lastricati in porfido, di rotonde pseudoartistiche,

tornelli per i campi di calcio, semafori intelligenti e parcheggi automatici.

Animatori no, poliziotti sì, al seguito domenicale di squadre di sfascisti.

È esagerato parlare di “sbracamento”?

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3. Resistenza ludica

A fronte dei numerosi esempi di buone pratiche sviluppatisi in Italia, a causa del citato “sbracamento”

si rischia di perdere non solo il patrimonio delle realizzazioni ma anche la memoria.

Per questo parlo di “resistenza ludica”.

Per meglio descriverla, anzi, per meglio disporre di modelli cui fare riferimento e quindi utilizzarli

come moltiplicatore di resistenza riunisco le buone pratiche in quattro categorie:

a. Iniziative permanenti.

b. Interventi itineranti.

c. Manifestazioni ricorrenti.

d. Circoli e associazioni di famiglie.

La “normalità ludica” si può raggiungere quando le quattro tipologie citate sono presenti nella stessa

comunità e i referenti, politici, sociali e culturali si sentono impegnati a diffonderle e consentire al massimo

della popolazione infantile di goderne. Pochissime sono le comunità italiane che usufruiscono già di una

normalità ludica.

La situazione privilegiata, a mio parere, è Torino, città di lunga tradizione di interventi a favore

dell’infanzia. Si sappia che ai primi del 1900 don Bosco vi inventò gli oratori (antesignani luoghi del gioco) e

parallelamente il comune si dotò di un impianto civico di scuole, a partire da quelle materne; nel 1975 avviò

la scuola integrata con laboratori scolastici diffusi in ogni sede e sostenne il Comitato Italiano per il Gioco

Infantile, sottoscrivendo con esso una convenzione durata sino al 1995 e grazie alla quale istituì il Centro per

la cultura ludica nel 1987 e promosse le prime manifestazioni ludico-pedagogiche nazionali; già alla fine

degli anni ‘80 attivò un Progetto giovani, le prime ludoteche, due ludobus; nel corso degli anni ‘90 aprì una

seconda serie di ludoteche, attrezzò nella massima sicurezza possibile e con impianti innovativi campi gioco

e cortili scolastici, garantì formazione ludica a tutto il suo personale educativo e alle insegnanti statali che lo

richiedessero, attraverso un gruppo di più di 80 educatori comunali altamente specializzati e competenti.

Nel 2001 istituì una rete di otto centri di cultura per l’infanzia e l’adolescenza, specializzati per campi

tematici, successivamente fatti confluire dal Comune in ITER38.

Iniziative permanenti

Ludoteche. Differenti modelli in varie città italiane.

Cosenza, la città si è dotata di un complesso di quattro palazzine immerse in un’area verde recintata:

una di esse è una ludoteca. L’insieme è denominato “Città dei ragazzi”. Lo considero uno dei migliori utilizzi

dei fondi “285” realizzati in Italia. Debbo però anche segnalare che le più recenti scelte amministrative

comunali (diversamente definibili come... confronti politici) ne hanno seriamente minato le prospettive.

Jesi, il Comune ha inserito biblioteca e ludoteca in un quartiere affollato di famiglie straniere o con

problemi sociali, onde utilizzarle per una normalizzazione delle relazioni e la attivazione di un processo

identitario positivo. La gestione, pur affidata in appalto, risente positivamente dell’indirizzo pedagogico

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Acronimo di Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile. Ma richiama anche l’idea di una strada intrapresa la cui direzione dipende dal dialogo tra operatori e giovani cittadini.

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lungimirante dell’amministrazione, volto ad esaltarne la funzione socioculturale.

Omegna, Comune e Comunità montana hanno creato un insieme di risorse denominato “Parco della

fantasia”, ispirato a Gianni Rodari, insigne scrittore e pedagogista, originario di quei luoghi. La ludoteca è

parte fondamentale del progetto ed è intitolata e ispirata alla raccolta di racconti “Tante storie per giocare”.

La struttura ha assunto una duplice funzione, tanto a favore dei residenti quanto di attrazione turistica. Ha

un grande successo di pubblico.

Rovereto, il Comprensorio ha impostato un intervento strategico molto intelligente: nella vecchia

palazzina dell’ente del turismo ha creato una biblioteca con ludoteca e ludobus, onde poter soddisfare le

aspettative del territorio. La gestione è molto raffinata e di grande qualità pedagogica, a dimostrazione

dell’utilità dell’intreccio dei tre strumenti.

Firenze, il Comune si è dotato di una rete di ludoteche, ma soprattutto grazie alla convenzione con

l’Istituto degli Innocenti ha trasformato la storica ludoteca centrale in un nuovo servizio cittadino, un centro

di propulsione culturale che attraverso l’azione ludica, utilizzando i più moderni sistemi multimediali,

interagisce anche a distanza con i ragazzi.

Torino, di quanto la città svolge, ho già detto. Aggiungerei soltanto che ogni suo intervento è

caratterizzato da un forte impegno culturale, molta attenzione dunque alla relazione tradizione-modernità,

nonché territorio-mondo. La funzione di collante sociale del gioco deriva dall’azione culturale, non viceversa

e trattandosi di azioni verso i minori, l’impianto è strettamente connaturato con il settore dei servizi

educativi. Sono state superate le dicotomie nel campo dell’educazione ambientale; gli interventi sono

affidati al settore educazione e non più all’assessorato all’ambiente; più difficile il raccordo tra sezioni

didattiche museali e centri di cultura per l’infanzia, pur in presenza di strategie metodologiche coerenti. Il

Servizio educativo si sta impegnando molto nel coinvolgimento di bambini e ragazzi nella co-progettazione

degli spazi collettivi e nella conoscenza e uso dei luoghi della città storicamente significativi attraverso il

format denominato Adotta un monumento; tutto ciò allo scopo di far sentire ai ragazzi la città come propria,

impresa ancor più significativa trattandosi di una metropoli di quasi un milione di abitanti.

Musei del gioco e del giocattolo

Nel corso dell’ultimo decennio sono aumentati i luoghi dove è raccolta la memoria del gioco e del

giocattolo. Hanno contribuito molto i lasciti dei collezionisti e le ambizioni turistiche di alcune centri.

Tra le realizzazioni ne cito cinque, perché ritengo siano le più significative sul piano culturale e

pedagogico.

Torino possiede dal 1987 il Centro per la cultura ludica ove è raccolta tutta la storia italiana del gioco

e del giocattolo a partire dalle estreme esperienze di Roma antica. La formula è quella di collezioni

finalizzate alla diffusione dei saperi ludici, quindi ognuna delle sei sezioni è dotata di un laboratorio e dei

conseguenti percorsi, esperienziali per i bambini e formativi per gli adulti. Biblioteca, emeroteca e mostre

itineranti ne completano le dotazioni.

Santo Stefano Lodigiano ha accolto la più completa collezione italiana di giocattoli a partire

dall’Ottocento, realizzata da Paolo Franzini, grandissimo appassionato, colto, raffinato, che presentai

giocattoli raccontando come si è evoluto il modo culturale attorno al bambino e alla bambina. La cornice è

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quella di una villa di campagna dove alla piacevolezza del luogo si aggiunge anche una buona attività

laboratoriale e stimolanti approfondimenti iconici e artistici.

Bergantino, piccolo paese al confine tra la provincia di Rovigo e di Mantova, sulle rive del Po. Esso

detiene la storia della giostra e dello spettacolo viaggiante. Dai “luna park” Bergantino ha derivato la sua

vocazione, trasformandosi da luogo dell’agricoltura povera in centro industriale. Vi si narra mirabilmente

come dal mito e dalle tradizioni europee, russe e turche, che sancivano i momenti più importanti della vita

di uomini e donne, siano derivate le occasioni di svago e spensieratezza per ogni comunità locale,

inizialmente legate alle cadenze agrarie, poi via via collegate a date patronali, che tutt’ora persistono. Ora

alcuni impianti sono divenuti fissi, alimentando una transumanza periodica di famiglie intere.

Albano Lucano è un piccolo centro che sorge proprio di fronte alla cresta di montagne denominata

“Dolomiti lucane”, in Basilicata. La lungimiranza di un professore e artista, e di un sindaco, ha reso possibile

raccogliere un’ampia collezione di giocattoli della tradizione contadina, ponendoli accanto a quasi duecento

quadri e sculture che sviluppano il tema del gioco, alcune firmate dai maggiori artisti italiani contemporanei.

Un vero tesoro, intriso di sentimenti ed evocazioni. Il museo è collocato all’ultimo piano mansardato della

scuola. La piazzetta antistante da alcuni anni, in maggio, alla fine delle lezioni, si anima e gli alunni rievocano

il famoso dipinto che Brueghel dedicò al gioco.

Cigole. A questo paesino della pianura bresciana va il merito di aver realizzato l’ultimo museo del

gioco. In questo caso non vi sono collezioni, ma narrazioni ed evocazioni di varie forme di gioco, da quelle

più antiche sino alle tradizionali forme ludiche presenti nelle campagne, nelle osterie, sulle aie delle cascine.

Per avventurarsi nella storia dei giochi popolari ed aristocratici, di adulti e di bambini è stata escogitata una

modalità ludica. Inoltre a fianco dell’esposizione è possibile scoprire le antiche forme di produzione

artigianale e agricola locale, assaggiare specialità culinarie, sperimentare i giochi in cortile, acquistare

prototipi di giochi popolari. È un luogo adatto per trascorrere l’intera giornata, con famiglia, in comitiva

oppure in convegno o presentazioni di prodotti commerciali. Una grande villa di campagna, non più

utilizzata dai proprietari nobili per feste private, ma aperta ad un pubblico particolarmente curioso.

Centri e laboratori creativi

I tre esempi qui richiamati non sono solo luoghi ove intrattenersi giocando, rappresentano invece

strumenti dove la dimensione ludica, attraverso la semplicità di gesti e situazioni, crea le condizioni per

alimentare fantasia, creatività, svariati interessi, relazioni, autonomia, concretezza, manualità, in

controtendenza rispetto alle banalità televisive e alle prove spesso autistiche indotte dai videogiochi.

Fantasilandia, Città dei ragazzi, a Siano. Siano è una cittadina dell’Agro nocerino sarnese, a metà

strada tra Napoli e Salerno, nel versante verso il Vesuvio, che da un’economia agricola povera è divenuta

centro terziario. Ha forti tradizioni di impegno culturale, è sede di un Centro Studi denominato

Fantasilandia, che da più di venti anni promuove iniziative rivolte alla scrittura, alla lettura e allo sviluppo

della fantasia infantile; ispirandosi per lo più a Gianni Rodari. L’amministrazione comunale ha deciso di

realizzare un centro denominato “Città dei ragazzi”, in cui far confluire la biblioteca ragazzi, la ludoteca e una

serie di laboratori creativi, ispirati a Gianni Rodari e a Gian Battista Basile, scrittore campano, cui è attribuita

la prima raccolta di racconti orali popolari. Lo completerà un ampio parco impostato a tema. La struttura è

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in corso di realizzazione e provvisoriamente le attività si svolgono in un elegante edificio storico, ex scuola

materna.

Parco della Fantasia Gianni Rodari, a Omegna. Di questo centro già ho scritto. Aggiungerei che esso

ha come missione quella di portare l’attenzione sulla particolare pedagogia di Gianni Rodari, di come egli

abbia avvicinato i giovani lettori alla realtà, nelle sue contraddizioni e nelle sue durezze, oltre che nelle sue

sfaccettature, sempre narrando di persone e di relazioni; dell’importanza che egli ha attribuito alla parola e

di come il gioco dell’invenzione sia praticabile con rigore utilizzando una particolare “Grammatica della

fantasia”. Il Parco comprende nei suoi percorsi anche la scoperta della città, la navigazione sino all’isola di

San Giulio (quella del Barone Lamberto), la visita a una delle ultime fabbriche italiane di giocattoli e alla

Alessi, dunque rodarianamente un rapporto tra bambini - realtà - lavoro.

La lucertola, Centro gioco, natura, creatività, a Ravenna. Un laboratorio dove il gioco è al contempo

radice di ogni azione e interpretazione di come la tradizione ludica sia trasformabile in attività

contemporanea, godibile e appetibile. Gli aspetti estetici degli oggetti esposti e delle esperienze

laboratoriali proposte sono caratteristica intrinseca di ogni esperienza che bambini e adulti vi conducono.

Ha fatto scuola in tutta Italia su come si possano affrontare le problematiche naturalistiche e ambientali in

forma concreta, seppur giocosa. Mostre e laboratori itineranti ne completano il repertorio culturale.

Spazi verdi

Va detto che gli spazi all’aperto dedicati ai ragazzi lentamente sono cresciuti di numero e sono stati

dotati di attrezzature più sicure. Purtroppo i modelli collocati in essi non sempre rappresentano il meglio

della produzione sul mercato: chi provvede all’acquisto cerca di risparmiare e non sempre ha competenza

rispetto alle esigenze dell’infanzia.

C’è scarsa attenzione ad alcune età e pochissima propensione a sfruttare meglio i cortili scolastici.

Nell’uso dei giardini e degli spazi pubblici prevale il diritto dei cani rispetto a quello di bambini e

ragazzi, alimentando in questo modo i timori dei genitori che così preferiscono il metodo della reclusione

dei figli rispetto a quello della relazione con amici.

City farm e parco dei giochi popolari a Pavia. Nel corso degli anni la città ha sperimentato in varie

direzioni l’inserimento del gioco in contesti educativi diversi, la prima esperienza, ancora in corso, nacque

nel 1978 dedicando un’antica cascina agricola ai ragazzi (Bosco Grande - laboratori natura) e dove si iniziò a

svolgere educazione all’ambiente e all’agricoltura utilizzando il gioco e l’esplorazione sensoriale: fu la prima

city farm italiana (fattoria didattica). La seconda esperienza, molto più recente, è stata la realizzazione, negli

spazi adiacenti al campo di atletica (campo Coni), di una vasta area con istallazioni che richiamano i giochi

motori della tradizione popolare, liberamente accessibile al pubblico e teatro di prove preolimpiche, se così

si vogliono definire i giochi dimenticati.

Parchi gioco a tema, a Piacenza. La città ha realizzato nel corso di alcuni anni la revisione di tutti i

suoi spazi verdi, aggiungendovene di nuovi, in modo che risultassero tutti in sicurezza e sufficientemente

raggiungibili e accessibili da parte delle famiglie. Il criterio utilizzato è stato quello di dotarli di attrezzature

differenziate, potenziando in ognuno le caratteristiche del luogo e dedicandoli a temi differenti, per

esempio il parco dedicato allo sport, alla storia, al lavoro, all’arte, ecc. In ciascuno comunque garantendo

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quattro tipologie di attività (motricità, creatività, socialità, avventura) e prove per età diverse, a partire dai

più piccoli sino agli adolescenti. In alcuni sono stati realizzati piccoli fabbricati per attività al coperto,

sperimentando l’inserimento di “tate” che garantissero accoglienza, socialità, sorveglianza. Purtroppo

quest’ultima esperienza, molto gradita ai cittadini, ultimamente si è arenata, a causa della contagiosa

timidezza economica dell’amministrazione comunale.

Interventi itineranti: i ludobus

Una delle novità pedagogiche più interessanti dell’ultimo periodo è stata l’attivazione in Italia dei

Ludobus. Esperienza europea di matrice anglosassone, presente in Italia dagli anni Ottanta solo in Alto

Adige; dopo qualche faticoso tentativo a Torino e in Abruzzo ha preso a diffondersi, grazie ai finanziamenti

derivati dalla legge “285” (che lo ha indicato come strumento possibile) e al coraggio e all’intraprendenza

degli animatori che l’hanno scelto come professione. È uno strumento educativo molto interessante, di cui

ogni provincia e ogni città capoluogo dovrebbe dotarsi, per consentire nuovamente che gli spazi pubblici

vengano utilizzati da bambini e ragazzi e affinché la socialità delle comunità venga garantita attraverso

un’abitudine alla relazione acquisita e acquisibile nei primi anni di vita.

Fondamentalmente oggi ci sono tre modalità di gestione:

Pubblica. È il caso dell’ormai decennale esperienza dell’Amministrazione provinciale di Pesaro, che

garantisce a tutti i comuni che ne fanno richiesta un intervento qualificato di animazione ludica e del

Comune di Udine, che propone interessanti azioni che spaziano dai giochi, all’espressività, alla matematica,

dalle scuole, alle piazze del centro storico, alle situazioni di crisi sociale.

In associazione. Molti operatori hanno iniziato l’attività riunendosi in associazione, questo

soprattutto dove le opportunità economiche sono più ridotte, dove è più forte l’energia, il coraggio, la

speranza delle persone di quanto lo sia l’avvedutezza delle amministrazioni pubbliche.

Per tutti desidero citare il caso della Campania e di Napoli dove si sta registrando un eccezionale

attivismo, notevole per qualità delle proposte e non solo per la perseveranza.

In Cooperative. Altri operatori hanno potuto riunirsi in forma cooperativa, è il caso della storica

Cooperativa Progetto città, di Bari, che nel suo lungo ed eccezionale percorso si è dotata anche di un

ludobus, dopo aver creato ludoteche, interventi nelle scuole, un centro di cultura ludica, fornendo anche

ricerche, eventi, sperimentazioni d’arte con bambini e ragazzi. Ma altrettanto vanno citati il gruppo di

Rimini, con una capacità di intervento territoriale di notevole intensità, o i gruppi di Siena, di Vittorio

Veneto, di Torino, di Narni, che coniugano l’attività del ludobus con quella di gestione di ludoteche e di

servizi per la prima infanzia.

Non cito tutti, e un poco me ne dispiace, ma mi servo di alcuni esempi diffusi sul territorio nazionale

per dimostrare come lo strumento sia utilizzabile in contesti sociali ed economici molto diversi tra loro.

Ogni soggetto gestore ha messo a punto un repertorio, vi sono alcune costanti nelle proposte ludiche,

ma i più hanno inventato o adattato procedure e attrezzature a proprie vocazioni artistiche, espressive e

tecniche. Spesso l’attività del ludobus è intrecciata con la gestione di uno spazio ludoteca. Quando l’azione si

svolge nel medesimo territorio i programmi diventano complementari, generando ottimi risultati sociali. Se

le scuole del territorio sono sensibili e attente il livello di produttività educativa è massimo. A questo

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proposito vorrei qui ricordare l’esperienza del WKE di Bolzano, di cui dirò più oltre.

Manifestazioni ricorrenti o annuali

Si stanno diffondendo alcune tipologie di manifestazioni che richiamano bambini e adulti in spazi

pubblici, il più delle volte riproponendo forme di socialità ludica della tradizione o sperimentando il

collegamento tra feste popolari e attività di ricerca scolastica: interessante che aumentino gli insegnanti che

assumono il compito di dare spazio al gioco, non come tecnica per migliorare gli apprendimenti di alcune

materie, ma come occasione non casuale e saltuaria per imparare a “socializzare”, dunque un compito

nuovo in una scuola che si pone l’obiettivo di educare e non solo di istruire.

In alcune situazioni è emerso come il gioco aiuti nell’incontro tra bambini figli di genitori immigrati e

di genitori del luogo, in altri casi come il giocare in forme popolari, con strumenti semplici e materiali di

risulta, divenga una piacevole scoperta e novità, facilitando incontro e scambio tra nonni e nipoti.

Anche in questo caso cito degli esempi, derivati da Regioni diverse, attribuibili ad animatori sociali,

operatori culturali, insegnanti, preparati e sensibili.

I bambini del Mediterraneo, a Ostuni. Una manifestazione autunnale in provincia di Brindisi, che

coinvolge scuole e gruppi di una vasta porzione del Salento e che ospita ogni anno bambini e ragazzi

provenienti da altre nazioni del Mediterraneo.

Il carnevale di Saviano, in provincia di Napoli. È una manifestazione in cui confluiscono attività

ludiche popolari che si svolgono anche in altri periodi dell’anno, curate da un manipolo di cultori del gioco e

dell’arte, con livelli molto raffinati di espressività e di organizzazione dei giochi.

Il festival dei giochi tradizionali, di Massicelle, nel cuore del Cilento, in provincia di Salerno, dove

grazie ad alcune insegnanti ed a una brillante e ingegnosa organizzatrice culturale arrivano nel mese di

maggio alcune classi dall’Italia e dall’Europa, portando i propri giocattoli e arricchendo così il piccolo museo

del gioco tradizionale (ora è in un’aula scolastica, ma dovrebbe essere trasferito in tempi ragionevoli in un

antico frantoio in corso di ristrutturazione).

Per l’occasione i paesi sono in festa, i bambini si incontrano e si misurano con la costruzione di nuovi

giocattoli e scoprono sapori, forme, bellezze di una terra aspra e affascinante.

La città dei bambini. A Verbania, San Giorgio a Cremano, Fano, Cremona, Roma, Perugia, Settimo

torinese, Collegno e altre, grazie anche all’opera di riflessione e innovazione del CNR di Roma (vedi

Francesco Tonucci), hanno preso piede manifestazioni annuali dedicate a bambini e famiglie. L’elemento

unificante è la relazione con la scuola, l’obiettivo condiviso quello di riportare i giovani ad utilizzare gli spazi

pubblici; il collante per questi incontri è il gioco, di volta in volta miscelato e intrecciato con altre attività

proprie dei luoghi e dei gruppi organizzatori.

Le olimpiadi del gioco popolare, in Sardegna e in Calabria. Grazie a ricercatori locali, studiosi delle

forme di aggregazione e appassionati “ricostruttori” di oggetti e di abitudini, queste modalità di incontro

hanno conquistato il diritto a comparire nei programmi ufficiali delle manifestazioni regionali. Confronti -

incontri, definiti “olimpiadi”, dove ragazzi di età diverse si misurano con la costruzione e l’uso di attrezzi di

gioco. Va attribuito all’associazione Uisp il merito di questa pratica che si va diffondendo nei suoi vari circoli

locali. Così come va dato merito alla sezione marchigiana dell’Uisp di aver riportato l’attenzione

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sull’importanza di una correlazione tra gioco e sport, per contrastare la ottusa tendenza a spingere bambini

e bambine a pratiche sportive disciplinari troppo precoci e di aver ottenuto la prima legge regionale che

riconosce il diritto al gioco per tutti, bambini e adulti.

Il TocaTì, a Verona. Tra le manifestazioni di maggior successo di pubblico e di attenzione mediatica va

inserito il TocaTì, due giorni in cui il centro storico accoglie decine di migliaia di giocatori adulti, famiglie con

bambini, animatori, insegnanti, che scoprono quante pratiche ludiche sopravvivano in Italia e in Europa,

grazie alla passione di piccoli gruppi di cittadini: in Italia esistono quasi settanta esperienze e

raggruppamenti stabili!

Fra il 1990 e il 2000 Gradara, piccolo paese delle Marche, è stato il catalizzatore degli appassionati di

gioco, dell’incontro fra il gioco tradizionale e il videogioco; occasione per la legittimazione del gioco di ruolo

(che oggi annovera tantissimi giovani tra i suoi praticanti) in una cornice urbanistica che bene mischia il

virtuale e lo storico, sfumandone i confini.

È stata probabilmente una delle premesse ai festival del gioco che oggi si svolgono in alcune città

(Lucca, Modena, Mantova, Napoli, per esempio) e stanno attirando migliaia di cittadini: si tratta di kermesse

interessanti, ma rumorose, con la presenza e interesse di molti produttori del settore e fan- club

agguerritissimi. Forse troppo fiera merceologica e poco festa, con condivisione collettiva; rispetto agli altri

modelli citati il tasso di consumismo prevale su quello relazionale.

In Gradara Ludens ci si confrontava anche sui perché del gioco, sulle modalità, sul rapporto tra

turismo di massa e cultura: forse per questo la dialettica politica locale ha favorito la chiusura di

quell’esperienza. Ma forse non per sempre.

Circoli e associazioni di famiglie, in autogestione

Per tutti i soggetti impegnati nel nostro settore, a maggior ragione alla luce del Manifesto delle città

del gioco, redatto dai fondatori di GioNa e ricordando soprattutto che sono stati amministratori pubblici

quelli che lo hanno promulgato, ritengo utile e opportuno guardare con estrema attenzione ad alcuni

esempi italiani che si sono sviluppati grazie alla stretta relazione creatasi all’interno di nuclei di cittadini,

decisi a realizzare situazioni in cui il gioco fosse strettamente connaturato con altre manifestazioni ricreative

e intrecciato col vivere quotidiano.

Si tratta di tre esperienze, esempi per superare il provvisorio, il precario, il soggettivo, e costruire

invece risposte stabili e coerenti alle nuove aspirazioni dei cittadini, per una buona qualità della vita di

relazione e fisica.

Un non trascurabile contrasto e antidoto all’aridità e alla frenesia monomaniacale del consumismo

esasperato che caratterizza molte manifestazioni e prodotti per il tempo libero.

Cremona. Molte città italiane annoverano società ricreative, ora dedicate al tennis, ora al canottaggio

o alla nautica e i circoli del dopolavoro: retaggio di una visione elitaria, in alcuni casi, in altri scelta

paternalistica e inclusiva delle grandi imprese. Comunque positiva se questi si pensano come luoghi dello

svago, della relazione, della motricità.

Pochi sanno che Cremona è dotata di una serie di società ricreative che arrivano a contare come

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iscritti quasi la metà dei suoi abitanti e dove ciascuna, dalle più antiche alle più recenti, è totalmente

autofinanziata. Ognuna è dotata di impianti sportivi per il gioco del calcio, delle bocce, del tennis, del nuoto,

della pallavolo, con palestre e in un caso con le vasche per il canottaggio al coperto. Aree gioco per le

diverse età, prati ove correre, prendere il sole, fare pic-nic, vegetazione molto curata, bar, ristorante,

parcheggi; approdi fluviali dotati di barche varie, per quelle adiacenti al Po. Risorse per tutte le età. Il gioco

come fatto quotidiano.

Associazione VKE di Bolzano. Rispetto agli interventi a favore dell’infanzia e dell’adolescenza credo

che il modello più interessante sia quello dell’associazione VKE di Bolzano, che riesce a gestire ludobus,

ludoteche, piccoli centri gioco, feste periodiche nei parchi, avvalendosi di un costante aiuto economico da

parte dell’istituzione pubblica e del sostegno convinto dei genitori, che partecipano e contribuiscono

associandosi; si è così andata creando una rete territoriale stabile che comprende oltre a Bolzano

numerosissime cittadine dell’Alto Adige. Perfetto connubio tra privato e pubblico, che ha superato già

ampiamente i suoi primi venti anni di vita.

Fano, Il paese dei balocchi. In ogni paese o frazione dell’Italia c’è un santo da festeggiare. Attorno a

tali ricorrenze si sono realizzate delle feste, per lo più sono gestite dalle Pro Loco, associazioni quasi sempre

di benemeriti, che promuovono il proprio territorio valorizzando prodotti, ambienti e costumi, quasi sempre

non fasulli, ovvero con radici storiche accertate. Tutte sono diventate occasione di grandi abbuffate, mercati

di bancarelle ambulanti, balli serali che mischiano mazurche romagnole a valzer viennesi, tammuriate al

rock. In qualche caso vengono solcate da rievocazioni storiche in costume, laiche o religiose.

Vorrei a questo proposito richiamare l’attenzione su una esperienza molto recente, ma già solida e

affermata, quella che si svolge in uno dei quartieri di recente edificazione alla periferia di Fano, denominato

Bellocchi. Un gruppo di cittadini ha creato un’associazione denominatasi “Paese dei balocchi”, parafrasando

il nome del quartiere e da esso derivando poi una delle vocazioni portanti, quella della narrazione e

dell’attenzione all’infanzia. Le feste che qui si organizzano non sono solo cibo e ballo, ma vedono la presenza

di musici giovanissimi, teatranti provenienti dalle scuole locali, giochi per tutte le età, mostre d’arte, sfilate

di padroni di cani e di gatti, tendone della biblioteca, gazebo delle associazioni di volontariato, raccolta di

fondi per la solidarietà verso ospedali o comunità lontane. Tutto nato dalla voglia di giocare insieme e di

creare uno spazio a misura anche dei figli.

La domanda/provocazione che pongo a tutti i lettori: perché non cerchiamo di inserire in ogni luogo e

in ogni festa locale altrettanta attenzione all’infanzia e allo scambio culturale e sociale?

4. Cattive prassi e anticorpi timidi

Solo in forma leggera cito ora alcune questioni che meriterebbero approfondimenti, tanto

professionali che istituzionali. Un promemoria ad uso futuro, per innescare polemiche e riflessioni.

Ineludibile, se la dimensione ludica non è opzionale, nella società e per chi si va affrancando dalla fatica

fisica e dal lavoro, non più unica attività quotidiana.

Il gioco è in via di estinzione nelle scuole dell’infanzia

Pareva tutto chiaro, tanto nei programmi ministeriali che nei libri universitari: i più piccoli

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apprendono giocando, le esperienze sensoriali sono fondamentali, la motricità è base e prerequisito per

ogni apprendimento, l’educazione all’autonomia è obiettivo fondamentale. Però...

In cortile si va raramente: perché fa freddo, fa caldo, c’è nuvolo, c’è vento. Con la neve ci si bagna. Se

si corre troppo si rientra sudati. Ovvio che non si va fuori se piove.

Palette e secchielli? Non più, perché l’Asl non vuole che si usi la sabbia. Manipolare? Poco, perché i

bambini mettono tutto in bocca e soffocano. Materiali grezzi no, perché non sono a norma. Se si corre ci si

sbuccia e le mamme e i papà sporgono denuncia subito. Strumenti in mano ai bambini? Pericolosi; escluse

le forbici di plastica, che però non tagliano quasi nulla...

Tutto il resto è permesso, ovvero carta e pennarelli di tutti i colori. Anche i giocattoli vanno bene,

soprattutto quelli che richiamano i personaggi dei cartoni, perché con essi i bambini esercitano la fantasia.

Ovviamente a tavola tovaglie, piatti, bicchieri, posate, caraffe sono di plastica, così non c’è il rischio di

rompere le stoviglie e di farsi male coi coltelli. E la gestione costa meno.

Le razioni sono ben calcolate, uguali per tutti. Ciò che avanza si butta.

Riordino e pulizia sono a carico del personale ausiliario, che spesso prende servizio alla fine delle

lezioni.

I bambini sono serviti di tutto punto.

Pesi, consistenze, gesti, tempo delle azioni si imparano. Ma solo parlandone...

Compaiono finalmente nei cortili alcuni grandi giochi, per lo più ispirati ai piccoli attrezzi delle

gabbiette dei criceti e dei pappagallini.

Se il cortile è liscio ed elastico, meglio: si evita di imparare ad alzare i piedi prima di inciampare e

cadere.

A sei e sette anni bambini e bambine hanno già come gioco preferito i videogiochi e grazie alla

capacità intuitiva e istintiva sanno usare i cellulari meglio degli adulti.

Sono gli unici oggetti il cui uso è consentito in libertà!

L’intervallo negato della scuola dell’obbligo

Crescendo i pericoli aumentano, infatti gli allievi non sanno contenersi: vogliono correre, muoversi, si

urtano, parlano, creano confusione. Esigenze marziane.

Tutta la responsabilità dell’incolumità di ciascuno è sempre degli insegnanti!

Meglio allora se i ragazzi consumano la merenda in aula, seduti. La pipì, sì, è consentita, ma è

importante che i corridoi vengano presidiati per evitare che l’uscita dall’aula in direzione bagno riservi

traumi e sorprese. Meglio se le porte dei gabinetti sono senza serratura e senza chiusure interne. Se

qualcuno non fosse più in grado di riaprire oppure se vi si chiudesse dentro per un qualche strano

esperimento fisico?

In cortile non c’è tempo per andare e poi, tutti insieme, sarebbe un vero caos.

L’Asl raccomanda che nei bagni ci siano i distributori di sapone liquido, così si evitano i contagi e le

micosi. Bidelli e dirigenti preferiscono di no, perché ai ragazzi piace premere il pulsante, i consumi vano alle

stelle e i soldi disponibili sono sempre meno.

Quando suona la campana della fine dell’intervallo tutti gli insegnanti tirano un sospiro di sollievo.

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Molti si chiedono perché l’intervallo debba durare così a lungo. L’obesità infantile è pericolosamente in

aumento. Si dovrebbe incentivare l’educazione alimentare.

Le palestre scolastiche vengono messe a disposizione di associazioni che realizzano la “promozione

sportiva”. Per le femmine comunque è possibile anche l’iscrizione a corsi di danza, molto meglio se tutte si

presentano vestite come la famosissima Fracci, già dal primo incontro.

Il mercato del cartellino ovvero il lavoro minorile negli sport di massa

Tutto inizia dall’abbigliamento. Le scarpe. La lunga maglia della squadra del cuore. Poi vengono

berrettini, pantaloncini diversi per ogni tipo di azione motoria, caschi vari. Borsoni porta indumenti, griffati

o con il logo della società.

Il gesto atletico può anche venire dopo. Quello giocoso, imitativo, deve durare poco perché poi

l’istruttore … provvede a correggere l’impostazione. La selezione bravi/non bravi incomincia poco dopo. Il

cartellino … serve per garantire la copertura assicurativa. Se l’istruttore individua una qualche propensione

atletica incoraggia, plasma e incomincia a pensare di indirizzare il giovane verso una squadra di prima

categoria. Quasi tutte le squadre professionistiche di calcio, basket, ciclismo, pallavolo hanno società e

associazioni di riferimento che militano nei campionati di categoria inferiore. Inizialmente il costo del

cartellino, nello scambio tra squadre minori, è contenuto, tutt’al più tra l’una e l’altra ci sono degli incentivi

economici e dei premi agli istruttori. Presto comunque inizia la vendita degli atleti o il loro coinvolgimento

attraverso premi partita e rimborsi mensili. Si ha notizia che minorenni e ragazzi che hanno appena

superato i quattordici anni già vengano “legati” da contratti a società famose, che li alloggiano a proprie

spese anche lontano dalle rispettive famiglie, per meglio frequentare gli allenamenti.

I genitori sono orgogliosi che il proprio figlio venga comprato. E venduto.

In Italia il lavoro minorile è vietato.

I videogiochi sono fuori controllo

Più che far sorridere, propongo un appello.

Tutti i giocattoli che vengono posti in vendita sul territorio europeo devono avere un marchio di

sicurezza, apposto dai fabbricanti, che certifichi che sono costruiti secondo norme di legge.

I videogiochi, per ora, hanno una dicitura che, eventualmente, ne consiglia l’uso agli adulti. Si

possono acquistare, ritirandoli dagli scaffali senza chiedere alcunché, presso i grandi magazzini.

La possibilità di scaricare da internet o di duplicare col proprio pc consente di scambiare files in

quantità, con una diffusione generalizzata di qualsiasi prodotto.

Il dibattito culturale e psicologico è tutt’ora ancorato su “videogiochi sì - videogiochi no” senza

entrare nel merito delle numerose categorie e tipologie, correlate ai contenuti, ai meccanismi psicologici e

identificativi che li caratterizzano e li possono distinguere negli effetti.

Lo schermo, di qualsiasi dimensione sia, ha un grande fascino su tutti; ma soprattutto è la tastiera e la

possibilità di influire col proprio tocco su ciò che appare sullo schermo che dà l’ebbrezza dell’autonomia e

della libertà, la sensazione di poter influire e determinare qualsiasi effetto o cambiamento.

Esperienze, queste, che a causa delle proibizioni che accompagnano qualsiasi altro strumento

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meccanico o elettrico vengono costantemente scoraggiate nei bambini e nei ragazzi.

Urge una analisi critica dei molti prodotti in circolazione, la diffusione della critica attraverso i

periodici e le rubriche riservate a genitori ed educatori, l’accettazione del gioco elettronico nei contesti dove

se ne possa verificare il contenuto, indirizzarne l’uso, discuterne gli effetti coi ragazzi.

Comunque ci vorrebbe una normativa che regoli la vendita ai minori e che renda più avvertiti e

prudenti i produttori e i diffusori.

L’imbroglio dei nidi/ludoteca

La già richiamata legge “285” e le consuetudini comunali da essa derivate hanno di fatto liberalizzato

il mercato dell’assistenza alla prima infanzia. È facile incontrare insegne che pubblicizzano “centri gioco” e

“ludoteche” e che offrono ai genitori la gestione “a ore” dei figli, l’organizzazione di feste di compleanno,

minicorsi creativi. Nessuno vieta di pensare che tutti coloro che li gestiscono siano bravissimi, però stride il

fatto che per assistere bambini tra i tre mesi e i sei anni di età ci debbano essere, in asili nido e scuole

dell’infanzia, insegnanti con diploma quinquennale, ma ora anche laureati, e che per gli edifici si prevedano

standard specifici per ampiezza dei locali, cubature, esposizione alla luce, assenza di barriere

architettoniche, giardini esterni.

Nel caso dei nidi/ludoteca la problematica delle norme poco e male si pone; chiunque potrebbe

gestire le azioni ludiche.

Si sa che a queste età qualsiasi apprendimento passa attraverso forme ludiche, forte è il potere di

suggestione e di condizionamento; le relazioni tra bambini e tra adulti e bambini si debbono saper gestire,

soprattutto quando non le regola il vincolo e la relazione affettiva specifica del genitore, ma il semplice

rapporto strumentale che l’adulto sa istaurare con essi.

Se definire tali opportunità “ludoteca” è garanzia di un buon metodo di intrattenimento educativo,

altrettanto dovrebbe avvenire per le competenze e le responsabilità dell’adulto.

L’improvvisazione, o l’assecondamento delle mode di intrattenimento dettate dai produttori di

oggetti per l’infanzia, possono creare qualche guasto irreversibile. O no?

Il declino della formazione

Non posso affrontare adeguatamente in questa sede questo aspetto. Un percorso formativo ufficiale,

stabilito per legge, non esiste. Si sa che per acquisire padronanza di tecniche ludiche ed espressive ci vuole

molta pratica ed esercizio e che altrettanto necessario sia “saper essere” per gestire le relazioni tra persone

e la conduzione dei gruppi.

Per gli educatori sussiste la libertà di insegnamento, senza alcuna ombra di supervisione.

Purtroppo gli apprendimenti nei corsi degli istituti psicopedagogici e nelle università sono

principalmente teorici e i tempi previsti per i tirocinii sono irrisori (si sa che per imparare i molti giochi

possibili, per età differenti, non bastano le ore di un intero tempo di tirocinio. E il resto quando?).

Ma sta diventando molto aleatorio anche il tempo dedicato all’aggiornamento e allo scambio di

esperienze.

La pratica dei contratti brevissimi, anche di pochi mesi, nel settore socio educativo e soprattutto il

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basso livello dei compensi non incentivano e non consentono percorsi di aggiornamento professionale.

I comuni non investono, le singole cooperative e associazioni si autogestiscono, valorosamente, va

detto. Salvo quando divengono imprese vere e proprie e quindi assumono personale a tempo: in tal caso

per stare al prezzo di mercato e vincere gli appalti spesso non hanno margini economici che consentano la

formazione. E d’altra parte chi non ha prospettiva di impiego per un tempo ragionevole, dove trova la

ragione per aggiornarsi?

Gli orfani della 285

Come ho già affermato la legge “285” ha spinto ogni comune italiano a riconoscere che avrebbe

potuto realizzare qualcosa per i propri giovani cittadini. Una tale prospettiva ha determinato una forte

domanda di interventi cui hanno risposto alcune migliaia di giovani, felici di poter lavorare nel campo

dell’educazione e dell’espressività. Sono settori affascinanti e che corrispondono spesso a vocazioni giovanili

molto forti.

A quasi tutti questi giovani si è chiesto di diventare anche imprenditori, considerato che quasi nessun

ente locale, al tempo, poteva prevedere assunzioni, sia perché gli organici pubblici da quasi due decenni

vengono bloccati dalle ricorrenti leggi finanziarie, sia perché si è diffusa la pratica dell’affidamento esterno

in appalto, ritenendolo più economico.

Tutti o quasi hanno “fatto da sé”. La legge è stata finanziata per due tornate (dieci anni in tutto), già

prevedendosi che al termine le sue funzioni sarebbero state assorbite dalla legge di riordino dei servizi

sociosanitari. Così è stato, con la conseguenza che il sanitario e il socio assistenziale (portatori di disabilità

ed anziani), gestito da ciascuna Regione, si è via via mangiato le disponibilità economiche.

Qualche operatore dopo più di dieci anni di lavoro, professionalizzazione, sacrifici, ha abbandonato,

cambiando settore; molti però hanno resistito, adattandosi a queste altre tipologie di incarichi, comunque

sempre in un tempo di appalti a durata limitata.

Abilità, competenze, ingegno, passioni. Sprecate!

Di fronte allo sfarinamento sociale e morale, nella incertezza di fronte alle immigrazioni e al processo

di globalizzazione nel movimento di merci, capitali e persone, a fianco della crisi di ruolo del settore

scolastico, paiono dare più sicurezza le invocazioni volte ad avere più militari nelle strade.

A fronte di una moltitudine di cittadini e di giovani che crede sempre più che la qualità della vita

dipenda dalle conoscenze e dalle capacità di relazione, e che si alimenta, senza razzismi e preconcetti, di

musiche, cibi, letture, film provenienti da ogni parte del mondo, si vuol far credere sia meglio tornare ad

una società autoritaria e autarchica.

È una fortuna, una iattura o uno spreco che si sia creato un manipolo di assessori, amministratori

pubblici, che tengono in vita un’associazione che si denomina “GioNa” e che invoca “città del gioco”?

Se credete utile mandateci informazioni delle vostre imprese ludiche e fateci incontrare gli assessori

che vi chiedono di svolgere attività per le loro città. www.ludens.it

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Seconda parte

Noi abbiamo provato in questi giorni a riconquistare

la capacità di giocare o quantomeno di riflettere

su quelle che sono state le nostre capacità di giocare.

Abbiamo visto che tutto questo è assolutamente essenziale

al nostro rapporto corretto con il bambino che gioca.

Ecco la proposta concreta che vi faccio:

bisognerebbe che periodicamente voi vi ritrovaste a giocare

come adulti, per quella riscoperta della vostra capacità di giocare e di creare.

È sperabile che un giorno anche chi “sceglie” l’educazione di base,

capisca che il fenomeno gioco è fatto biologico non soltanto per l’uomo

e che diventi una materia di esperienza, di educazione, di sviluppo.

Nell’attesa, vedete voi, di fare le vostre scelte e (…)

continuate il dialogo che abbiamo cominciato insieme. 39

Walter Ferrarotti

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39

Ferrarotti W., Gioco movimento e sviluppo del bambino, a cura di Panfili O., Perego D., Brugnolli I., Trento, Provincia Autonoma di Trento, Assessorato Istruzione, 1981, pp. 70-71

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Presentazione

I contributi dei gruppi di lavoro

di Maria Carla Rizzolo

La seconda parte del volume raccoglie i lavori dei sette gruppi in cui si sono diligentemente suddivisi i

partecipanti. Una considerazione è d’obbligo: il gran numero di partecipanti, (circa 400 iscritti in totale al

convegno, 310 iscritti nei gruppi di lavoro), ma ancor più la significativa presenza di operatori di servizi ludici

provenienti da 18 diverse regioni, stanno a dimostrare l’interesse verso un’opportunità formativa e di

confronto nazionale di cui si sentiva l’esigenza e a cui il mondo ludico non ha voluto rinunciare.

L’impegno di documentare quanto si è svolto nei gruppi di lavoro vuole essere una restituzione e un

ringraziamento al contributo di ciascuno, ma intende anche scandire, attraverso le esperienze concrete

riportate, le questioni teoriche della prima giornata. Si configura così un breve ma significativo panorama

delle opportunità che la complessa tribù ludica italiana propone alla scuola, alle famiglie e ai ragazzi.

L’intenzione è di porre l’accento sulla varietà di esperienze portate, consapevoli che sono solo una minima

parte… quella minima parte che in una giornata di convegno poteva essere ascoltata, ma ogni intervento

può essere inteso come il sassolino i cui cerchi nell’acqua rimandano alle molte azioni in corso e a quelle

ancora da progettare.

Partendo dalle suggestioni teoriche si sono aperti dialoghi, si è dato spazio alla discussione, si sono

evidenziati nodi problematici, ma è cresciuto anche l’entusiasmo e l’autentica volontà di innovazione

educativa.

I capitoli del libro che vanno dal quarto al decimo si presentano come strade parallele ma

differentemente articolate, attraverso cui i coordinatori (due per ogni gruppo) ci accompagnano

presentandoci gli argomenti con brevi contributi iniziali, raccontandoci le modalità in cui si sono svolti i

lavori e le opportunità di scambio, riportando, infine, alcune impressioni… per non concludere, in linea con

le scelte di fondo del convegno.

Lo sforzo dei coordinatori è stato quello di farci entrare nei gruppi, sia attraverso argomentazioni

preliminari, ma ancor di più descrivendoci con attenzione scrupolosa come si è sviluppato il confronto. Le

differenti conduzioni dei lavoro, con cui i convegnisti sono stati chiamati a partecipare, offrono di per sé un

ulteriore arricchimento.

La difficoltà di avere avuto poco tempo a disposizione e per contro, la presenza di persone motivate,

con la voglia di portare il proprio contributo, ha reso il riordino del materiale non facile. Inoltre la scelta di

avere un coordinatore torinese (tendenzialmente interno ai Centri di Cultura per il Gioco) e uno di altre

realtà italiana, è stata certamente una ricchezza, ma in alcuni casi ha reso un poco più lungo il lavoro di

condivisione dei testi e degli elaborati.

Come si è già accennato nell’introduzione generale, la costruzione dei capitoli, seppure con una

connotazione simile, si presenta con un andamento autonomo, gli interventi iniziali rispecchiano la storia e

le differenti competenze dei coordinatori e questa leggera disomogeneità diventa arricchente, offrendo uno

svolgimento forse meno lineare, ma gradevole.

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Nel quarto capitolo i contributi ci riportano a riflettere sul gioco in relazione allo spazio, al

movimento, allo sport, riprendendo il contributo di Mario Pollo40 della prima giornata, quando sottolinea

come lo sport senza la dimensione ludica perda alcuni requisiti formativi fondanti per i ragazzi: dal senso di

responsabilità all’autonomia, dall’integrazione di pensiero e azione alla consapevolezza dell’autonomia.

Il ruolo dello sport, sempre di più, deve recuperare il piacere e il gusto ludico, anche nei fondamentali

momenti della competizione, come sottolineano sia Loretta Fabiani che Michele Segreto, segnando una

differenza tra lo sport delle Federazioni e il gioco sportivo spontaneo e libero. È un difficile rapporto quello

che si crea tra le aspettative, in particolare degli adulti, di scoprire o di formare i nuovi “campioni”, e il

desiderio dei bambini di mettersi alla prova senza troppe pressioni.

Nel gioco anche la dimensione creativa e progettuale e la questione della sicurezza assumono una

connotazione significativa e le relazioni di Stefano Oletto e di Roberto Lattini sottolineano con forza

l’esigenza di trovare una giusta dimensione tra il bisogno di fare esperienza con materiali e strumenti e una

corretta educazione alla sicurezza. Questa è certamente una questione spinosa che, sempre di più, crea

difficoltà a coloro che lavorano in campo ludico educativo, verso la quale si tende troppo sovente ad

adottare un atteggiamento di rinuncia, desistendo dal costruire esperienze concrete, abdicando così alla

responsabilità che sottende il lavoro educativo, nel tentativo di salvaguardare una tutela individuale.

A completare la riflessione di questo capitolo Paolo Munini evidenzia, con il progetto della festa del π

(pi greco), come anche lo sport della mente abbia un ruolo importante; il suo intervento punta l’attenzione

sulla promozione di questa festa, da estendere a tutti quelli che sono disposti ad accettare la sfida con la

matematica, facendola diventare sempre di più un’occasione di confronto nazionale, in cui corpo e mente si

completano.

Nelle considerazioni finali, utili a raccogliere i pensieri, vengono rilanciate due questioni

fondamentali: da un lato l’importanza di sostenere e stimolare nei bambini e nei ragazzi l’atteggiamento

curioso verso il mondo, dall’altro l’esigenza di tendere, nella formazione dell’individuo, al superamento della

frammentarietà educativa, se pure consapevoli della condizione di complessità plurale in cui stiamo

vivendo.

Il quinto capitolo tocca il vasto tema della cultura popolare, dalla memoria alla trasmissione,

partendo dalla tradizione intesa come cultura in costruzione e trasformazione, che prende forma attraverso

la ripetizione di gesti e di azioni condivisi dal gruppo. Antonio Damasco, in apertura, ne sottolinea la doppia

dimensione, di memoria ma anche di rivisitazione, utile a costruire nuove tradizioni contemporanee e

condivise che il Festival dell’Oralità Popolare rilancia annualmente, partendo da Torino per toccare molte

delle province italiane.

Ma la trasmissione, in particolare del gioco, ha bisogno di luoghi fisici in cui adulti e bambini possano

incontrarsi e Piero Santoni ce ne propone un lungo elenco, sospeso tra realizzazioni già sperimentate e

desideri progettuali.

40

Pollo M., Lo sport è ancora un gioco? Provocazioni e proposte dell’animazione culturale, in Venera A.M, (a cura di), Garantire il diritto al gioco, Junior, Azzano San Paolo (BG), 2011, pp. 43-57.

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A rappresentare i giochi tradizionali è, uno per tutti, il gioco delle bije , che a Farigliano ha mantenuto

il suo carattere di gioco femminile, ma è stato anche portato nelle scuole, interpretato e proposto con

nuove regole. Giancarlo Tavella lo presenta con sentimento e competenza, dimostrando che, quando

un’autentica passione muove emozioni e curiosità, genera anche negli adulti la voglia di ricerca, il piacere

del gioco e della competizione, la disponibilità alla trasmissione.

In questo rapporto tra ricerca e reinvenzione i contributi di Anna Bondioli, che sottolinea il ruolo

importante della relazione tra adulti e bambini, e di Gianfranco Staccioli, con la sua puntuale analisi sui

giochi da tavoliere, offrono due ampie angolazioni in cui inserire la discussione.

Nella ricerca della Uisp Sardegna, presentata da Maria Pia Casula, il ricco mondo dei giochi

tradizionali di quella regione si apre al confronto, attraverso un lavoro accurato di interviste e di raccolta di

materiali che ha contribuito a fissare con la scrittura un tassello importante della tradizione ludico-sportiva

del secolo scorso.

Raccogliendo le suggestioni che sono emerse Bruna Pangallo ci ricorda che, a Torino, i Punti gioco

privilegiano, nei loro obiettivi educativi, proprio la salvaguardia della tradizione ludica; infatti sono

impegnati, insieme al Centro per la Cultura Ludica, nel promuovere nuove interpretazioni del gioco e del

giocare tradizionale, un’esperienza che non si genera da sé ma che ha bisogno di adulti attenti che sappiano

valorizzarne il grande potenziale ludico, tra ieri e oggi, verso il domani.

Oggi non è più possibile sorvolare sul variegato mondo di videogiochi e dintorni, sia perché sono

entrati a tutti gli effetti nel giocare quotidiano dei ragazzi, sia perché costituiscono un costante campo di

indagine sociale, pedagogica, psicologica e medica. Inoltre, come spesso succede con ciò che si conosce

meno, sono fonte di preoccupazione per genitori e docenti che, da un lato, ne intuiscono il potenziale

innovativo ma dall’altro ne sono sopraffatti (consapevoli dei propri limiti nei confronti dello strumento).

In questa direzione, nel sesto capitolo, si esprime un confronto che non è scontato, soprattutto se lo

si riconduce al gioco e al giocare, al piacere e al divertimento. Il tentativo è quello di sollecitare curiosità

negli adulti impegnati sul versante educativo, di aprire piste di ricerca per approfondirne le molte

implicazioni positive o meno, partendo dalla riflessione su come vivono il rapporto tra tecnologia e gioco i

bambini di oggi. Il contributo di Silvia Carbotti ci inquadra il tema del videogioco nella sua evoluzione, anche

in rapporto alle trasformazioni culturali e tecnologiche del nostro tempo. Si coglie l’invito, rivolto agli

educatori e ai genitori, a non sottovalutarne le potenzialità ma a guardare con attenzione al mondo del

videogioco, perché ci fornisce strumenti importanti per costruire competenze fondamentali nel prossimo

ventennio.

Nei servizi dedicati al gioco, quali le ludoteche o simili, la presenza del gioco tecnologico è ancora

troppo limitata: Maria Battaglia ci accompagna nella riflessione su quante e quali resistenze persistano, ma

sottolinea con passione anche le prospettive e le opportunità che i videogiochi possono offrire, le

implicazioni che derivano dalla scelta dei software, degli spazi in cui collocare le consolle o i computer.

Una collaborazione importante è quella tra il Politecnico di Torino e la scuola primaria raccontata a

due voci, da un lato Barbara Demo, docente di informatica al Politecnico, che delinea presupposti, sfondi

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culturali e scelte progettuali dell’esperienza in corso con la rete di scuole impegnate a sperimentare la

robotica, con assemblaggi, uso e programmazione di semplici robot; dall’altro il gruppo di insegnanti che

testimoniano il loro impegno di lavoro in classe presentandoci le attività e l’impianto metodologico, gli

obiettivi e i risultati fin qui ottenuti, attraverso un percorso di play learning che vede gli allievi coinvolti e

motivati nel lavoro di gruppo e gli insegnanti mediatori che accompagnano alla scoperta.

In ultimo un esempio ancora diverso che coinvolge una azienda finlandese, produttrice di giochi per

esterno, che da anni lavora in collaborazione con l’Università della Lapponia per realizzare innovazione. Il

gioco dello SmartUs che ci presenta Gustavo Evangelista, ne è un esempio significativo in quanto coniuga

movimento e azione con la progettazione informatica e il videogioco. L’invito è quello di scoprirlo, non solo

nella presentazione di questo volume, ma anche venendo a giocare al Centro per la Cultura Ludica.

Non è per nulla scontato oggi affrontare il tema dei luoghi in cui si gioca, dei servizi dedicati al gioco,

dell’impegno nel sostenere e incentivare tali servizi. Diventa significativo tentare di puntualizzare le

differenti funzioni, gli obiettivi comuni, le molteplici organizzazioni e gestioni di questi servizi, dall’impegno

dell’Ente pubblico al contributo del Privato verso le differenti e possibili gestioni integrate.

Il rischio è quello di restituire una bella marmellata ludica, ma Roberto Maurizio e Livia Papi, nel

costruire il settimo capitolo, hanno da subito inquadrato il problema e raccolto il confronto nel gruppo, con

una strategia organizzativa che punta a concentrare l’attenzione sulla complessità dell’argomento. La scelta

è stata quella di aprire subito il dibattito, dando modo ai presenti di intervenire, in prima battuta per

definire insieme di quali servizi ludici si stava parlando, per cercare poi di allargare il contraddittorio sulla

questione delle modalità e dei criteri di valutazione della qualità, cercando di individuare quegli elementi

che possono concorrere a definire il successo di un buon servizio ludico.

I contributi di Irene Catalano e Giorgio Bartolucci consentono di fare un confronto tra la realtà delle

ludoteche censite oggi in Sicilia (Catalano), con la situazione storica di due precedenti ricerche sul territorio

italiano nel 1991 e in Sardegna nel 2001 (Bartolucci). Proprio Bartolucci ci propone una visione più ampia di

questo servizio, ne delinea la storia e sottolinea come siano stati fondamentali i momenti formativi nella

costruzione di nuovi luoghi del gioco, con un occhio attento anche al panorama europeo. Uno stimolo

importante per riprendere l’impegno verso l’applicazione dei diritti dell’infanzia che ancora oggi devono

essere sostenuti con determinazione e costanza.

Come avviene a San Giorgio a Cremano, anche altri Comuni hanno aderito al progetto delle Città dei

Bambini e delle Bambine, dedicando risorse e impegno per costruire iniziative e interventi di qualità nel

territorio urbano. Langella ci presenta il Laboratorio Regionale della Campania e in particolare la Giornata

del Gioco, un’iniziativa interessante che dedica una intera giornata feriale al gioco e che può essere

agganciata alla Giornata Mondiale del Gioco, evento similare che si svolge in tutto il mondo, nell’ultimo fine

settimana di maggio di ogni anno. Senza nulla togliere alle due iniziative, entrambe rilevanti, si evidenzia la

difficoltà che stiamo vivendo e che rende difficile costruire una forza ludica nazionale.

Sicuramente ci sarebbe bisogno di una realtà condivisa che possa dare vigore alle iniziative, indicare

con chiarezza i contenuti di qualità che contraddistinguono una ludoteca da un altro tipo di servizio,

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sostenere l’impegno nel rivendicare norme e leggi a tutela di quel gioco sano e gratuito, indispensabile

elemento formativo della persona. Immaginare un futuro per questi servizi considerati “non essenziali” non

è cosa da poco, prevede un impegno progettuale per delineare prospettive fondate su serie innovazioni che

si costruiscono più facilmente partendo dall’analisi dell’esistente, per fissarne i requisiti imprescindibili, le

fondamenta.

L’intervento di Amilcare Acerbi, riportato nella prima parte del testo, può considerarsi uno dei piani di

riferimento alla discussione, sia per l’indicazione puntuale sulle trasformazioni del panorama ludico, sia per

la spinta a porsi domande anche scomode ma necessarie alla resilienza ludica. Quindi servizi dedicati al

gioco che richiamino chiari contenuti pedagogici e culturali, per contrastare uno spasmodico espandersi di

un gioco dissonante che crea dipendenza, che favorisce il formarsi di pensieri distorti che inducono a

costruire il proprio progetto di vita non sul lavoro e sulle differenti competenze professionali ma solo sulla

fortuna.

Questo gioco non ci interessa! Rappresenta quella dimensione di furto che è necessario contrastare.

Nell’ottavo capitolo si è affrontato il controverso rapporto gioco - scuola, un incontro che è ancora

molto difficile, seppure nel corso degli anni molte teorie afferenti alle aree psico-pedagogiche, sociologiche

e antropologiche abbiano messo in luce il valore formativo del gioco. Uno strumento educativo

naturalmente presente in molte specie animali che, attraverso i comportamenti ludici, imparano a vivere, a

procurarsi il cibo, a distinguere i nemici, a diventare autonomi: il gioco è scuola di vita. Nonostante ciò in

quasi tutte le realtà educative, il gioco resta un fanalino di coda, spesso sacrificato alla didattica o ancor

meglio sacrificato e basta.

Lo sottolineano con determinazione i due conduttori accompagnando la descrizione del lavoro di

gruppo con fondati commenti pedagogici. Lo sostengono i componenti del gruppo in un confronto articolato

e ricco di stimoli, anche gli stessi insegnanti se ne rendono conto: come si possono giustificare i giochi in

classe quando si deve seguire un rigido programma! Cosa si può dire ai genitori che si lagnano perché

“avete solo giocato”?

Bene, chi è curioso e desideroso di sapere, nelle parole di Beniamino Sidoti e di Rosanna Clinco

troverà elementi su cui riflettere, sollecitazioni e proposte. Merita ancora un accenno la conduzione ludico-

espressiva del gruppo, per suggerire ai lettori di prestare attenzione alla metodologia adottata, allo sforzo

comunicativo e di ascolto e alle strategie adottate. Un labirinto di questioni che si cerca di districare

passando tra i molti tempi della scuola, le difficoltà di riconoscimento del gioco quale componente dello

sviluppo della personalità di ciascuno, la complessità del sapersi mettere in gioco, il significato di essere

modelli educanti, il doversi confrontare sui temi della noia o della libertà o della strumentalizzazione e della

spontaneità… e molto altro ancora.

Un bell’esempio di come si possano ascoltare voci diverse facendole interagire e al contempo

sapendole sostenere. A voler essere critici le esperienze raccolte risentono in parte dell’impostazione

scolastica, sottolineando in modo prioritario obiettivi, metodologie, senza rendere giustizia alla dimensione

di piacere e di divertimento nella quale si sono svolti gli apprendimenti, quasi fosse una nota di demerito

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l’apprendere con piacere. Ma, al di là di questo, è importante sottolineare, nel caso dell’esperienza torinese

descritta da Patrizia Di Lorenzo, lo sforzo che ha consentito l’azione ludico- educativa, articolata in un

progetto pluriennale che si è snodato attraverso giochi di narrazione, di movimento, di cooperazione, e che

ha coinvolto con grande soddisfazione più classi e più docenti.

L’esperienza presentata da Olivia Modica, invece, pone l’accento sull’interazione ludoteca e scuola

che ha portato con grande soddisfazione a realizzare un gioco di percorso vero e proprio, sul tema dei diritti,

pubblicato e distribuito da una casa editrice.

Un accenno ancora alle considerazioni …per non concludere attraverso le quali Rosanna Clinco ci

propone i temi che hanno maggiormente coinvolto i componenti del gruppo e quelli che sono rimasti aperti,

che a causa del poco tempo sono stati solo accennati ma che meritano di trovare nuovi spazi di confronto,

in cui scuola ed extra scuola possano dialogare per lavorare insieme alla formazione di adulti responsabili e

ludici.

Il nono capitolo ci costringe ad avventurarci in un territorio che non ha confronti possibili, le emozioni

e le difficoltà che lo attraversano sono ineguagliabili. Eppure ci documenta come, per chi affronta la malattia

e il dolore, per chi vive in continua precarietà fisica o psicologica, il gioco possa essere una significativa

risorsa. In queste situazioni saltano le certezze del tempo quotidiano, cambiano i ritmi della giornata, la

frequentazione dei luoghi conosciuti, allora il gioco può rappresentare un filo che ancora tiene insieme la

vita del prima e quella del dopo.

Come ci sottolinea Cicco Santo anche giocare può aiutare a non sentire il terremoto, e l’impegno della

sua cooperativa nelle tendopoli in Abruzzo ne è la testimonianza.

Il quotidiano lavoro in ospedale è presentato da Renata Bronzino e da Corrado Vecchi con due esempi

diversi di presenza, in reparti pediatrici, di personale specializzato, dedicato al gioco e alla relazione ludica.

Un impegno che coinvolge il personale sanitario e medico, che offre strategie di comunicazione, che

sostiene le famiglie.

Proprio per le famiglie è pensato il servizio di Casa OZ di cui ci racconta Rosita DeLuigi, una esperienza

di collaborazione con l’Università che integra formazione e attività sul campo.

Mentre il sintetico, ma significativo, esempio portato da Gianni De Corral ci mette di fronte alla forza

di molte famiglie, che nell’impegno volontario cercano di costruire, anche per bambini diversamente abili,

opportunità di socializzazione e di crescita attraverso il gioco.

Questo è un problema vasto, che vede impegnate molte associazioni e gruppi di volontari, averlo

inserito nelle relazioni del gruppo rappresenta il tentativo, nel nostro piccolo, di non dimenticarcene. Anche

se esiste una Carta dei Diritti dei Bambini in Ospedale, non è ancora diffuso su tutto il territorio nazionale un

servizio continuativo di sostegno attraverso il gioco. Certo servono risorse e un impegno di qualità non

improvvisato, ma è facile cogliere l’importanza di esperienze come quelle raccontate, ed è difficile spiegare

come mai siano ancora così poco diffuse!

Un altro esempio è il gioco in movimento che ci portano le ludotecarie di Alessandria che, armate di

ludobus e di voglia di giocare, hanno affrontato un lungo viaggio per arrivare a Kasserine in Tunisia, e là

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lasciare una traccia ludica indelebile, che ha dato vita ad una ludoteca e ad un ludobus locale e ha

contaminato altre città e altre comunità.

Possono sembrare piccoli segni nella vastità di situazioni in cui c’è ancora bisogno di intervenire, ma

le testimonianze portate ci offrono un ottimo motivo per …non concludere, per costruire nuove proposte

andando incontro a bisogni e diritti ancora drammaticamente inascoltati e irrisolti.

Un tema spinoso, ma anche di grande interesse, è quello del decimo capitolo, basti sapere che questo

è stato uno dei gruppi più numerosi. Tamara Lavina e Bernardetta Gallus hanno affrontato l’argomento della

formazione, inquadrando due situazioni di partenza: una, di portata nazionale, legata alla proliferazione di

servizi finanziati dalla L.285/97, l’altra più circoscritta alla presentazione dell’impegno formativo in diverse

realtà regionali.

Ma, ancora meglio, nella conduzione dei lavori hanno tentato di far emergere le domande e le

contraddizioni che in campo ludico legano il bisogno riconosciuto di una formazione specifica con il mancato

riconoscimento di una figura professionale definita.

Sono molte le professioni educative che fanno del gioco il loro principale strumento, anche se, per

contro, il gioco è ancora poco presente proprio all’interno dei percorsi di formazione universitaria o

professionale, in campo educativo.

Le relazioni presentate, che hanno sostenuto la ricca e animata discussione, offrono l’opportunità di

confrontarsi con tre esperienze che, pur essendo singolari, contengono un filo comune che sottolinea con

forza, non solo la necessità di coerenza e di competenza professionale, ma anche l’esigenza di una

formazione permanente che consenta una crescita continua. Partendo dal Piemonte, con la presentazione

di Luisa Norgia, per arrivare in Sicilia, con i progetti del “Dado Magico” di Irene Catalano, passando per il

Lazio, con il contributo di Simona Straccamore, si percorrono territori formativi che aprono interessanti

orizzonti, anche in relazione alla formazione ludica in Europa che l’ITLA (International Toys Library

Association) al suo interno sta cercando di affrontare, non senza difficoltà, per tentare di costruire una

piattaforma comune europea.

Per lavorare in quella prospettiva diventa importante sostenere, in prima battuta nella realtà

regionale, e poi in quella nazionale, una normalizzazione e un riconoscimento della figura del ludotecario

(educatore ludico o come altro lo si voglia chiamare). Questo consentirebbe una migliore relazione interna

di condivisione di percorsi e di obiettivi; con i partner europei si faciliterebbe la possibilità di costruire

opportunità di accesso a contributi e a scambi. Un quadro formativo comune potrebbe anche essere un

passo significativo per definire il riconoscimento della ludoteca come servizio territoriale di qualità.

Infine le conclusioni costruite per lasciare aperte le strade della riflessione e del pensiero, ma ancor di

più del confronto, come efficace occasione di crescita. Andrea Mori, con competenza ed ironia, riassume in

qualità di detective l’indagine partita il primo giorno: Chi ha rubato la marmellata?

Per scoprire qual è la chiave del mistero e quale degli indiziati è il vero colpevole non resta altro da

fare che leggere tutto il volume.

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Capitolo 4

Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento

Il tema: nello scandire un po’ caotico “dei tempi moderni” quanto è cambiato il tempo, lo spazio, il

modo di giocare di bambini e ragazzi dal 1991, data della ratifica italiana della Convenzione Onu sui diritti

del fanciullo? Quanto gli adulti sono oggi individuabili come modelli positivi? Gioco e sport sono ancora

mondi vicini?

Coordinamento a cura di: Roberto Pompermaier, Grazia Bisonni

Contributi di: Roberto Pompermaier (VKE Bolzano), Grazia Bisonni (ludoteca Avrah Kadabra - ITER),

Loretta Fabiani (CONI/FIGC), Michele Segreto (Federazione Italiana Hit Ball), Paolo Munini (Comune di

Udine), Stefano Oletto (Politecnico di Torino), Roberto Lattini (Gruppo Modellisti Michelin)

Riflessioni

Roberto Pompermaier

Mi occupo di gioco all’incirca dal 1978, inizialmente soprattutto nel settore dell’animazione teatrale e

dell’arte circense per bambini e ragazzi, poi, a partire dal 1980, come collaboratore del primo ludobus

italiano, il ludobus “Spielbus” del VKE di Bolzano (www.vke.it), in cui ho potuto mettere a frutto

l’esperienza accumulata nei miei primi anni “ludici” e allo stesso tempo fare la conoscenza di una modalità

e di un approccio al gioco a 360 gradi, molto diffusi nei paesi mitteleuropei. Il ludobus come idea e come

progetto aveva preso il via agli inizi degli anni ‘70, più o meno contemporaneamente e l’uno all’insaputa

dell’altro, in Germania (Berlino, Colonia e Monaco) ed in Inghilterra. Già alla fine degli anni ‘70 in Germania

si era sviluppato un “movimento” dei ludobus e nel 1979 si tenne il primo congresso “internazionale” con

partecipanti da Austria, Germania, Svizzera e Italia (Bolzano).

Nel 1992 i ludobus tedeschi dettero vita alla loro federazione nazionale, la BAG Spielmobile

(www.spielmobile.de ), cui aderirono anche ludobus austriaci ed un ludobus italiano (Bolzano). Dal 29

settembre al 3 ottobre 2010, nella regione tedesca della Ruhr, si terrà la 39ª edizione del congresso sul

tema “Infanzia trasformata” (www.spielmobilkongress.de, per adesso si trovano sul sito le informazioni sul

precedente congresso, il 38°, che si è svolto a Friburgo dal 4 all’8 novembre 2009).

In Inghilterra il “movimento” iniziò nel 1969 a Liverpool, ma si diffuse a macchia d’olio e rapidissimamente

in tutto il Regno Unito, tanto che già nel 1973 venne fondata la ‘National Playbus Association’

(www.playbus.org.uk).

In Italia il movimento dei ludobus ha una storia più recente ed è diventato tale solo a partire dal 1997, con

la famosa legge 285, che per prima finanziò progetti a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Nel 1996 si

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tenne a Bressanone (Bolzano) il 27° Congresso internazionale e lì si ritrovò per la prima volta un gruppo di

operatrici e operatori che anche in Italia facevano concretamente attività di ludobus.

Nel 1998, in occasione del 1° Incontro nazionale dei ludobus italiani a Parma, venne fondata “ALI per

giocare”, l’associazione italiana dei ludobus e delle ludoteche (www.alipergiocare.org ), di cui sono stato il

primo presidente fino al 2003. Se si legge la pagina dedicata ai ludobus su wikipedia.de, e grazie alla

stringatezza delle informazioni wikipediane, si scopre che il ludobus “ha il compito di promuovere lo

sviluppo del movimento e della creatività, di creare spazi per il gioco, di migliorare le possibilità di gioco, di

realizzare luoghi di incontro e possibilità di comunicazione per bambini e ragazzi”.

Va poi ricordato l’impegno nel settore della pedagogia culturale - o vogliamo chiamarlo apprendimento

motivazionale? - che ha portato i pedagogisti e gli operatori dei ludobus ad inventare quello straordinario

laboratorio dell’apprendimento ludico meglio noto come “Città dei Ragazzi”, a partire dalla “madre” di tutti

i progetti che sono poi seguiti - Mini-München (www.mini-muenchen.info) – la cui prima edizione risale al

1979 (la 15ª si terrà dal 3 al 22 agosto 2010 a Monaco/Olympia-Park/Event Arena) per non finire a MiniBZ,

la “Città dei Ragazzi” di Bolzano (http://minibz.vke.it) di cui ho organizzato la prima edizione nel 1990 e poi

le altre fino al 2005 (la storia prosegue: 2007, 2009 - decima edizione, nel giugno 2011 la prossima). Tutte

queste attività, idee, progetti hanno in comune una “filosofia”: per tutti i bambini del mondo fra zero e

undici/dodici anni il gioco è un diritto perché è il loro “lavoro”, il loro modo specifico per apprendere e

appropriarsi del mondo stesso; quando i bambini fra quattro/cinque e undici/dodici anni non hanno la

possibilità di giocare liberamente, senza la “sorveglianza” degli adulti, crescono con un “deficit”

incolmabile, perché quello che non si impara giocando a quell’età non si impara mai più: è perso; tutto ciò è

più che sufficiente per impegnarsi con tutte le proprie forze come lobby per bambini e ragazzi a favore del

diritto al gioco, anche e soprattutto nello spazio pubblico.

Lavoro di gruppo

Roberto Pompermaier, Grazia Bisonni

Con queste premesse mi sono accinto al coordinamento del gruppo di lavoro nel convegno. Il nostro

obiettivo (mio e di Grazia che ha collaborato con me, che ringrazio qui, ed a cui sono dovuti tutti i resoconti

verbalizzati di quanto avvenuto nel gruppo di lavoro) era duplice: verificare lo stato dell’arte in Italia

rispetto ai temi indicati - questo grazie alla “lente di ingrandimento” fornita dalle relazioni introduttive al

gruppo di lavoro e individuare un certo numero di questioni aperte su cui è assolutamente necessario

concentrare le idee, le proposte e le attività di tutti coloro che si occupano di gioco in Italia.

Per raggiungere quanto ci eravamo proposti abbiamo convenuto di utilizzare il metodo “open space”

(http://it.wikipedia.org/wiki/Open_Space_Technology ). Abbiamo chiesto ai cinque relatori di indicare -

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scrivendole su cartelli da affiggere ai muri della sala - al gruppo, in plenaria e in massimo tre minuti, quali

erano le questioni “brucianti”, quelle che stavano loro più “a cuore” fra quelle affrontate nella loro

relazione:

Stefano Oletto: sono un architetto, di formazione, quindi in questa sede ho un punto di vista

probabilmente un po’ diverso. Da alcuni anni porto avanti un dottorato di ricerca su una serie di laboratori

di architettura con i bambini. Questo è un lavoro pratico che pone come condizione l’utilizzo di materiali

edili reali, di strumenti di lavoro reali, quindi materiali e strumenti di lavoro propri degli adulti; è un gioco e,

come nel gioco, ci sono delle regole che vengono sempre enunciate all’inizio, c’è un fine funzionale e

pratico che va raggiunto, c’è un test finale che verifica il funzionamento di questi prodotti che vengono

costruiti e, ovviamente, delle osservazioni che poi io riutilizzo per rinnovare questi giochi e inventarne di

nuovi.

Ascoltando le relazioni che sono state fatte in questi due giorni mi sono convinto dell’emergenza di un

tema che riguarda il rapporto tra gioco e lavoro, mi sembra di vedere una certa contrapposizione tra queste

due categorie, e quasi un’accezione positiva da una parte e negativa dall’altra. Questo vorrei approfondire

con voi, con chi vuole discutere di questo argomento.

Paolo Munini: attualmente sono referente del Dipartimento Politiche educative e culturali del

Comune di Udine. La proposta che io faccio è un po’ particolare: vorrei parlare della “festa del ”. Cosa

c’entra con il tema del gruppo? Non lo so, sicuramente è una bella avventura occuparsi della matematica in

maniera giocosa, di quello che può essere la matematica ricreativa. Vi propongo tre quesiti matematici di

cui non darò la soluzione, per cui, se volete conoscere la risposta di questi quesiti dovrete venire nel mio

gruppo.

Michele Segreto: mi occupo dell’Ufficio stampa della Federazione Italiana dell’hit ball. Il motivo per

cui sono qui rispecchia un po’ la domanda che sempre tutti si pongono: che cos’è l’hit ball? La problematica

è proprio quella della scarsa visibilità pubblica, soprattutto a livello istituzionale e mediatico, degli sport

minori, e non parlo di sport minori poco praticati ma proprio di quegli sport che hanno un seguito.

Questa scarsa visibilità, secondo me, può contribuire a determinare quella che è attualmente l’immagine

dello sport in generale per molte persone, e cioè soprattutto antagonismo, collezione di medaglie e cose

simili, dimenticando l’aspetto educativo dello sport, l’etica, quello che riguarda anche l’insegnamento di

valori ai ragazzi attraverso lo sport. Appunto in quest’ottica l’hit ball è uno sport che nasce proprio per i

ragazzi, è uno sport che nasce e viene praticato nelle scuole.

Loretta Fabiani: se si tocca la parola sport mi sento sempre chiamata in causa. Sono un’insegnante

di educazione fisica, sono laureata in Scienze motorie, da tanti anni mi occupo di formazione e consulenza

per le attività motorie e sportive, in particolar modo per la scuola dell’infanzia e primaria, in modo specifico

sono docente formatore CONI per l’area metodologia e didattica dell’insegnamento. Come si può

immaginare mi occupo di attività sportiva vista soprattutto con finalità educative e quindi anche come

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strumento giocoso, in particolar modo me ne sono occupata nell’ambito di attività di gioco-sport ad

esempio nel calcio.

I discorsi che sono stati sollecitati nell’incontro di ieri, in parte a parer mio anche in modo provocatorio,

evidenziano una contrapposizione fra ambito educativo e ambito di divertimento dei bambini. “Io imparo,

ma imparo molto di più se mi diverto”: questa è un’affermazione di cui sono fermamente convinta e quindi

mi farebbe davvero piacere confrontarmi con voi su questo binomio sport e gioco, in un ambito di

approfondimento, se volete, nel settore più critico, ma fertile, cioè quello delle attività scolastiche.

Roberto Lattini: sono modellista. Con Amilcare Acerbi abbiamo inventato un gioco con le scuole

medie di Caorso “Storie di fiume”. L’intervento comprende quattro fasi: partendo da un laboratorio di

modellismo all’interno della scuola, con la costruzione di un’imbarcazione e l’invenzione di un racconto,

prevede poi una fase di esplorazione del territorio che è situato sulla confluenza di tre fiumi (a piedi, in

bicicletta, con il battello…), per individuare elementi interessanti dell’ambiente, fotografarli e riprodurli

successivamente in un plastico, procurandosi contemporaneamente materiali naturali necessari per la

realizzazione del progetto.

Se vi piace questo è il mio argomento, il discorso che porto avanti nella scuola media per invogliarla a

metodi nuovi, che poi sono quelli dell’insegnamento delle “applicazioni tecniche”, che un tempo prevedeva

esperimenti reali e creazioni pratiche e che oggi invece si svolge solo in maniera teorica con fotocopie.

Le/i partecipanti al gruppo - in base a quanto era stato visualizzato - hanno poi raggiunto i relatori nel luogo

da loro precedentemente indicato. Nella seconda fase i sotto gruppi hanno approfondito le questioni

brucianti indicate inizialmente e dopo circa un’ora hanno riportato in plenaria le questioni che volevano

sottoporre alla discussione:

Paolo Munini: noi abbiamo lavorato sul tema proposto, intanto risolvendo i quesiti posti nel gruppo

iniziale, quindi abbiamo cercato di analizzare i meccanismi sottesi a quella che possiamo definire la

matematica ricreativa, prendendo in considerazione quei giochi sotto forma di rompicapi, paradossi, ecc.,

che appartengono alla sfera creativa.

Riprendendo le osservazioni iniziali della mattinata abbiamo condiviso l’idea che è una buona cosa uscire

dagli schemi, quindi usare un diverso punto di vista e anche utilizzare l’aspetto ludico; è forse la

metodologia più interessante per favorire un pensiero divergente, riteniamo anche che sia una qualità

necessaria per risolvere problemi di tipo matematico o comunque trovare soluzioni innovative.

Abbiamo ritenuto il gioco una metodologia corretta proprio nel momento in cui è veramente gioco, quindi

libero e volontario, non imposto e che potrebbe esserci un rischio di insuccesso in un contesto troppo

scolastico. Abbiamo convenuto quindi che il contesto è molto importante: per sviluppare questo tipo di

attività ci vuole un contesto non giudicante, come condizione essenziale perché questa attività venga

portata avanti con successo.

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Abbiamo anche ritenuto che ci debba essere la condizione per mettersi in gioco, quindi la volontà di

rischiare e di affrontare delle cose che escono dalle situazioni normali, che si discostano quindi proprio

dagli schemi. Ovviamente il punto di partenza era la “festa del ” per il fatto di utilizzare dei giochi propri

della matematica ricreativa, in cui abbiamo individuato e sottolineato l’aspetto ludico e l’aspetto del gioco

inteso anche come intrattenimento di molti.

Roberto Lattini: partendo da quello che era il progetto che ho presentato e la mia esperienza nella

scuola media di Caorso, abbiamo evidenziato le problematiche urgenti da sottoporre all’attenzione di tutti:

- la necessità di recuperare la manualità, la mobilità e il rapporto con la natura;

- il bisogno di recuperare lo spazio di gioco e di costruzione nella scuola attraverso le attività tecniche;

- il problema della sedentarietà dei ragazzi a scuola.

Stefano Oletto: mi collego direttamente a questo discorso nel senso che il nostro tema era quello

del lavoro, del rapporto gioco/lavoro, lavoro inteso come attività manuale.

Noi abbiamo individuato due filoni di discussione da approfondire:

il primo riguarda la sicurezza: siamo partiti parlando dei problemi della sicurezza, dagli spigoli vivi ai limiti

cui spesso gli operatori della scuola sono sottoposti, al crescente atteggiamento di diffidenza da parte delle

famiglie nei confronti delle istituzioni, e di come questo abbia innescato sempre di più un circolo vizioso per

il quale gli spazi deputati all’animazione sono sempre più rigidamente controllati, sono sempre più sicuri, i

bambini sempre più protetti.

I giocattoli, i giochi, tutto tende verso una direzione che è quella di una sicurezza totale; così come gli edifici

sono controllati in maniera molto sicura, i giochi sono molto sicuri e questo comporta avere dei giochi

sempre più preformati, freddi, in cui la creatività è ridotta, in cui tutta la giocabilità è differente, vincolata.

Quindi ci siamo chiesti: che fare in questa spirale di attenzione e di apprensione sempre maggiore? Una

risposta interessante è far partecipare i genitori, quindi creare una specie di percorso di comprensione

reciproca all’interno della scuola, sottolineando anche l’importanza fondamentale dell’aggiornamento degli

insegnanti e dell’educazione alla relazione.

Poi abbiamo ragionato sul prodotto del lavoro e sul percorso che si intraprende quando si fa un lavoro

manuale: il fine è qualcosa cui si tende e l’obiettivo finale del lavoro è parte del processo creativo, del

percorso del lavoro di gruppo, inteso come gioco sociale. Questo ci ha portato a discutere di un altro

problema secondo noi assolutamente fondamentale, che è la separazione fra le attività manuali e le attività

intellettuali, ovvero su come il gioco sia sempre immaginato come un’attività ricreativa e, anche quando

consideriamo servizi come la ludoteca o le attività di laboratorio, tendiamo a rafforzare l’idea che ci sia

un’attività più impegnata a scuola, e poi in secondo piano, un momento più di ricreazione, “liberi tutti”, per

le attività manuali, di costruzione e di animazione.

Secondo noi andrebbe ricavato uno spazio:

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1) all’interno della città, quindi in collegamento con quel mondo adulto e quel mondo del lavoro a cui

facevamo riferimento prima, un collegamento tra mondo adulto e mondo infantile;

2) all’interno della scuola, proprio per cercare di sanare questa frattura che si vede, tra quello che è gioco,

momento libero e ricreativo, e le attività serie, impegnative, per cercare di raggiungere una parificazione

tra attività manuali e attività intellettuali.

Loretta Fabiani: il nostro gruppo, al quale va il mio personale ringraziamento, è stato un gruppo

molto attivo e la discussione che è emersa è stata davvero interessante. Condividevamo questo “peso sullo

stomaco” per via del fatto che gioco e sport sembrano spesso viaggiare su due mondi solo paralleli e,

invece, ci siamo confrontati ed abbiamo constatato che sono due mondi assolutamente vicini; per precisare

tale concetto successivamente abbiamo delineato gli aspetti più importanti osservandoli dal punto di vista

della relazione, in particolare il gruppo l’ha legata all’ambito calcistico. Abbiamo scelto questo ambiente

proprio perché, per molti componenti del gruppo, sembrava la situazione più esasperata rispetto a quella

vista in altri sport, in quanto mette in gioco aspettative più forti.

Il gruppo ha sottolineato come, per prima cosa, quando si parla di sport con i bambini e i ragazzi si

dovrebbe puntare soprattutto all’impegno e alla realizzazione all’interno di una proposta e non puntare

solamente alla prestazione e al raggiungimento del risultato, visto in termini di vittoria o di sconfitta. È

un’ottica molto importante verso la quale si dirige la preparazione degli allenatori e dei tecnici in questo

settore.

Un altro aspetto comune tra gioco e sport, che sottolineiamo, è il divertimento e non l’addestramento, che

è invece connotato come una cosa noiosa e pesante. Abbiamo poi valutato in maniera positiva l’agonismo

inteso come “mi misuro con me stesso, con i miei limiti e mi misuro con l’altro” dove la lettura del limite e

delle possibilità non è solo riferita a se stessi, ma anche a chi gioca con me.

L’agonismo crea un contesto più stimolante per la partecipazione, ma per viverlo bene è necessario

lavorare su un altro importante aspetto: imparare ad accettare la sconfitta, imparare a superare la

frustrazione e a cercare delle strategie che sollecitino la motivazione ad apprendere, anche nel gioco.

Ci siamo infine interrogati sull’importanza della collaborazione fra i servizi e le famiglie, sia per quanto

riguarda l’ambiente scolastico sia per quanto riguarda le società sportive.

Michele Segreto: si può dire che abbiamo trovato molti punti in comune nel valutare alcune scelte

in senso educativo. Noi abbiamo preso in considerazione come i ragazzi vedono lo sport e abbiamo fatto

alcune ipotesi su come lo stesso vede l’allenatore. Quindi abbiamo affrontato l’argomento “come si gioca

uno sport”, le linee fondamentali che servono per capire il vero spirito di uno sport, concordando

sull’importanza di riscoprire come si gioca nello sport e di una presa di coscienza degli allenatori come

educatori.

Tutto questo mette in evidenza un altro aspetto importante, e cioè che il divertimento è nel processo, nel

percorso e non nel risultato finale, e ci riconduce a quello che era il tema iniziale dell’importanza di dare

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maggiore visibilità agli sport minori e di sottolineare e pubblicizzare il divertimento nello sport. Questo

potrebbe comportare una presa di coscienza da parte delle istituzioni stesse nel dare più spazio a tutti gli

sport e un’attenzione per lo sport a 360 gradi, garantendo così una reale possibilità di scelta ai ragazzi.

A conclusione delle presentazioni, la decisione su quali delle questioni approfondire ulteriormente insieme

è stata presa a maggioranza dalla plenaria stessa: ognuna/o aveva tre voti da assegnare (insieme o separati)

ad una, due o tre delle questioni emerse dalla discussione dei piccoli gruppi. La discussione è così

proseguita sui seguenti temi:

1. Recupero della mobilità, della manualità e del rapporto con la natura

2. Uscire dagli schemi

3. Presa di coscienza degli allenatori come educatori.

Nel corso dei seguenti sessanta minuti insieme si è definito su quali temi è assolutamente necessario

concentrare le idee, le proposte e le attività di tutti coloro che si occupano di gioco in Italia, da presentare

in plenaria.

1. Il gioco e le attività motorie e sportive

Loretta Fabiani41

Il gioco è una delle attività che attraversa tutte le fasi e le età della vita di un individuo, mutando di volta in

volta le modalità e gli obiettivi con i quali viene svolta. Riconosciuto come fondamentale per lo sviluppo

integrale del bambino, e per questo eletto come momento privilegiato della didattica, il gioco è un’attività

che produce esperienze significative ed è pertanto una fonte di apprendimento insostituibile che

accompagna la crescita della persona.

Il gioco ha una profonda funzione educativa perché tocca e investe il profondo dell’esperienza umana e si

radica nei più specifici bisogni della persona: è il denominatore comune dell’apprendimento e del

benessere del bambino e dell’adolescente.

Il gioco riveste un ruolo unico e determinante: garantisce a chi insegna la realizzazione di un

apprendimento duraturo, che si consolida proprio in azioni di tipo motorio, ed assicura a chi impara

l’opportunità di “imparare divertendosi”.

Con il gioco si può strutturare una serie illimitata di proposte didattiche ed educative, per stabilire le

migliori condizioni di partenza per lo sviluppo di capacità motorie e soprattutto per la realizzazione di un

percorso didattico mirato ed efficace, che possa realizzarsi rispettando le capacità e i tempi di ciascuno.

41

Docente di Educazione fisica - Laureata in Scienze motorie e sportive - Docente Formatore di Metodologia dell’insegnamento sportivo della Scuola regionale dello sport del Piemonte - CONI- Formatore nazionale della FIGC - Esperta nei processi educativi in adolescenza e nella gestione delle difficoltà di relazione, di integrazione culturale e di apprendimento.

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L’Educazione motoria, nelle sue molteplici proposte ludiche, consente di veicolare concetti, esperienze,

significati, di attivare processi mentali che in modo astratto sarebbero acquisiti in tempi molto più lunghi o

a volte non lo sarebbero affatto.

Per queste ragioni il gioco è considerato un punto focale dell’apprendimento: è un linguaggio capace di

dare espressione all’affettività, all’emotività e a tutte le espressioni spontanee dei bambini, offrendo ai

docenti l’opportunità di vederle in azione, di capirle, di valutarle e, se necessario, di contenerle o di

alimentarle.

Anche la dimensione sociale può essere positivamente coinvolta dalle attività di gioco e di sport,

soprattutto con i ragazzi preadolescenti ed adolescenti: buona parte delle attività ludiche e sportive si

realizzano in gruppo, pongono delle sfide, aprono allo scambio, al confronto diretto tra pari. Ciò che

caratterizza questo genere di attività sono dunque la relazione e la comunicazione, perché il linguaggio è

molto significativo, non solo da un punto di vista verbale e corporeo, ma soprattutto quando si lega al

vissuto.

Fondamentale, quindi, il carattere di mediatore sociale che il gioco assume là dove riesce a stemperare, ad

attenuare le tensioni, a scaricare l’aggressività e a potenziare invece la relazione con l’altro, con il

compagno di squadra, con l’avversario e a divenire strumento di forte integrazione.

Il confronto nel lavoro di gruppo

Nel gruppo di lavoro proposto dai conduttori Roberto Pompermaier e Grazia Bisonni, il mio intervento è

stato quello di condurre uno dei sottogruppi sul tema del gioco e dello sport.

L’obiettivo che c’era stato assegnato era quello di aprire un dialogo ed un confronto su questa specifica

domanda: gioco e sport sono mondi ancora vicini?

Il gruppo, dopo aver espresso le motivazioni alla scelta di questo sottogruppo, è partito dalla riflessione che

il gioco è una delle attività che attraversa tutte le fasi della vita di un individuo, mutando di volta in volta le

modalità e gli obiettivi con i quali viene svolta. Riconosciuto come fondamentale per lo sviluppo integrale

del bambino, e per questo eletto come momento privilegiato della didattica, il gioco è un’attività che

produce esperienze significative ed è pertanto una fonte di apprendimento insostituibile che accompagna

la crescita della persona. Quindi giocare garantisce a chi insegna la realizzazione di un apprendimento

duraturo, che si consolida soprattutto in azioni di tipo motorio, ed assicura a chi impara l’opportunità di

“imparare divertendosi”.

Il gruppo ha sottolineato un punto cruciale: le attività sportive per i bambini dovrebbero puntare

all’impegno e non al risultato, quindi vertere sul compito e non sulla prestazione.

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Sostenere l’impegno nel gioco, soprattutto nelle sport, favorisce la spinta motivazionale e appoggia le

scelte del bambino nei momenti critici: gli permette di vedere oltre la sconfitta del momento, gli offre la

possibilità di riprovare e di ritentare altre esperienze.

Il gruppo ha puntato il dito sulla parola AGONISMO che potrebbe segnare l’allontanamento dello sport dal

gioco ma, dal confronto costruttivo e dall’intervento di molti partecipanti, è emersa una riflessione

importante: l’agonismo, distribuito nello sport in “buone dosi”, diventa positivo e significativo, perché

connotato come sfida e confronto con l’altro, come modalità per mettersi in gioco definisce i limiti e le

capacità di ciascuno, in un’ottica di confronto spontaneo, pertanto leale e mai esasperato.

Per questa ragione si è sottolineato il concetto che nell’ambito educativo, in quello sportivo e in quello

esclusivamente ludico è importante che si stabilisca un filo conduttore comune che passi dal gioco allo sport

attraverso la valorizzazione degli aspetti emotivi, affettivi e relazionali.

Ciascun componente del gruppo ha voluto rimarcare il concetto di vicinanza tra gioco e sport, anche

raccontando il proprio vissuto positivo nei confronti dell’attività sportiva che, nell’esperienza di ciascuno,

ha sempre avuto una sfumatura molto piacevole e molto positiva. Le esperienze motorie permettono a

ciascuno di noi di conoscere meglio se stessi, il proprio corpo, uno dei valori fondamentali nella crescita e

nell’educazione dei bambini è proprio lo sviluppo della corporeità, perché pone l’individuo in continua

relazione con l’ambiente e con gli altri.

Il gioco, che in palestra gradualmente e nei modi opportuni si trasforma in attività sportiva, permette di

attivare le strategie per conoscere se stessi, il contesto, per comunicare e per “diventare grandi”.

Parere del gruppo è che queste riflessioni attente e costruttive a volte rimangono solo nella teoria e non

sempre sono attivate in concreto da parte di chi opera nei differenti ambienti educativi, per superficialità o

per carenza di strumenti.

Il gioco e lo sport non sono mondi separati e lontani se, a cominciare dai contesti dove si educa, si riesce a

rendere sfumati i contorni tra il gioco e lo sport, attraverso proposte formative e didattiche che sappiano

valorizzare lo sviluppo del bambino sotto ogni punto di vista: emotivo, affettivo, relazionale e cognitivo.

La chiave del successo di un lavoro educativo che proceda in questa direzione sta proprio nella capacità di

“unire i due mondi” del gioco d e dello sport aprendo all’uno i valori dell’altro.

Per questa ragione la richiesta forte emersa dal gruppo è stata quella di incentivare ed aprire spazi di

confronto significativi tra chi insegna il gioco e chi insegna lo sport: tra educatori e allenatori, tra docenti e

istruttori, ed è proprio su quest’ultimo binomio che è nata spontaneamente la richiesta di progettare degli

spazi di formazione e informazione tra chi opera nelle ludoteche, nelle scuole dell’infanzia. È in queste

realtà educative che prende l’avvio il rapporto significativo che deve esserci tra gioco e sport perché l’uno

sia il punto di forza dell’altro, perché si possano stabilire le migliori condizioni di partenza per lo sviluppo di

capacità motorie e, soprattutto, per la realizzazione di un percorso didattico mirato ed efficace.

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Creare dei momenti di formazione “incrociata” tra figure educative del mondo dello sport e di quello del

gioco, tra la scuola che “insegna a giocare” e la palestra che “insegna a muoversi”, permetterebbe di creare

delle sinergie finalizzate a potenziare lo sviluppo di capacità cognitive, motorie, affettive e relazionali, nel

rispetto delle capacità e dei tempi di crescita e di sviluppo di ciascun bambino: che bella sfida educativa!

Le attività motorie, come le attività di gioco, nei loro molteplici aspetti consentono di veicolare valori,

concetti, esperienze, significati, di attivare processi mentali che in modo astratto sarebbero acquisiti in

tempi molto più lunghi o, a volte, non lo sarebbero affatto.

Per queste ragioni il gioco è considerato un punto focale dell’apprendimento e rimane in stretta

connessione con lo sport: è un linguaggio capace di dare espressione all’affettività, all’emotività e a tutte le

espressioni spontanee dei bambini, offrendo nel contempo ai docenti l’opportunità di vederle in azione, di

capirle, di valutarle e, se necessario, di contenerle o di alimentarle.

Anche la dimensione sociale può essere positivamente coinvolta dalle attività di gioco e di sport,

soprattutto con i ragazzi preadolescenti ed adolescenti: buona parte delle attività ludiche e sportive si

realizzano in gruppo, pongono delle sfide, aprono allo scambio, al confronto diretto tra pari.

La mia esperienza come docente e come formatore

La mia lunga esperienza personale come docente formatore nell’area delle attività motorie, ludiche e

sportive, in una fascia di età compresa tra i tre e i diciotto anni, conferma pienamente il valore insostituibile

delle attività di movimento e di sport nella crescita e nello sviluppo di un soggetto. Ma tale sviluppo vede la

sua migliore e più efficace realizzazione se legato strettamente al gioco. Il gioco diventa non solo uno

strumento per condurre e gestire attività motorie, ma si trasforma in parte integrante dell’attività. Il gioco

insegna il limite dato dalla regola, il rispetto degli altri, permette la definizione dello spazio e del tempo

nelle azioni da svolgere, fissa gli obiettivi e stabilisce i contenuti delle proposte educative: è un alleato

insostituibile della didattica e dei processi di apprendimento. Il gioco si inserisce nello sport e lo sport si

inserisce nel gioco e ciò potrà succedere ogni volta che un bambino potrà accedervi in qualsiasi momento,

potrà divertirsi nel raggiungimento di un obiettivo, potrà imparare e crescere insieme agli altri.

Per questa ragione quando mi occupo di Formazione, ad esempio con gli allenatori delle diverse

Federazioni, insisto che la metodologia dell’Insegnamento preveda, soprattutto per i bambini, una

metodologia a carattere ludico, far “vivere” lo sport ai bambini, farli avvicinare a questa ricca e meravigliosa

esperienza attraverso proposte ludico-motorie può valorizzare molto gli interventi che gli allenatori

saranno chiamati a fare.

Persino l’esperienza come docente di educazione fisica da diversi anni, mi ha insegnato che anche gli

adolescenti imparano di più e con maggior motivazione se spinti ad affrontare le attività sportive anche con

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delle sfumature di sfida, di gara non sempre legata alla sola prestazione, ma soprattutto connessa alla

gratificazione ed al divertimento che nasce dal confronto con l’avversario.

Anche l’aspetto dello sviluppo cognitivo risente positivamente dell’interazione tra attività motorie ed

attività ludiche, perché nei bambini come negli adolescenti, la necessità di risolvere problemi, di trovare

strategie, di mettere alla prova non solo le proprie abilità, ma anche la creatività e l’originalità delle proprie

scelte, porta a stimolare lo sviluppo non solo del corpo, ma soprattutto della mente.

Personalmente credo molto nella mia scelta come Formatore, perché penso che sia molto importante

stimolare, aggiornare, “formare” i docenti, gli allenatori, gli educatori e tutti coloro che a titolo diverso si

occupano di Educazione, perché si possono conoscere ed imparare delle strategie, delle metodologie di

lavoro davvero molto importanti nell’ambito dell’apprendimento.

Nella mia esperienza ho avuto l’occasione anche di insegnare una lingua straniera (l’Inglese) in una scuola

dell’infanzia e ho scelto di farlo proprio attraverso le attività di gioco e di movimento e l’esperienza ha

avuto un grande successo, ha coinvolto moltissimo non solo i bambini, ma anche i loro insegnanti, che

hanno avuto modo di vedere e confrontarsi con una metodologia diversa da quelle usuali.

Conclusioni

Il gioco e lo sport sono due mondi molto vicini, così vicini che spesso si intersecano.

Sono due mondi che si possono fondere uno nell’altro se parliamo di sport che EDUCA, se consideriamo il

gioco nei suoi aspetti educativi e formativi, nelle sue implicite caratteristiche motivazionali.

Il gioco e lo sport non saranno mai mondi separati se concederanno ad ogni bambino la possibilità di

esprimere al massimo il proprio potenziale, come scrisse Vygotskij “il gioco è una fonte di sviluppo

potenziale, nel gioco il bambino è sempre al di sopra del suo abituale comportamento quotidiano, nel gioco

egli è in qualche modo una testa più alto di se stesso”.

George Bernard Shaw scrisse

“Noi non smettiamo di giocare perché diventiamo grandi;

noi diventiamo grandi perché smettiamo di giocare”

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2. Uno sport per tutti: l’Hit Ball

Michele Segreto42

Dal 1978 ad oggi abbiamo lavorato nel settore sportivo scolastico ed associazionistico mantenendo come

principio ispiratore di tutte le nostre iniziative la ferma volontà di educare attraverso lo sport.

Non sta a noi giudicare se siamo riusciti o meno nell’intento e l’eventuale bontà e valenza del nostro

operato ma di sicuro confidiamo di poter dare legittimamente il nostro contributo di idee e proposte in

virtù dell’esperienza maturata, delle competenze acquisite e delle opinioni maturate dal nostro

personalissimo osservatorio sportivo e culturale.

L’hit ball trae le sue origini da un progetto sperimentale scolastico, iniziato nel corso dell’anno scolastico

1978/1979 presso il locale interrato adibito a palestra della scuola media statale Gramsci di Settimo

Torinese.

L’attività ludico motoria che ha originato il progetto si chiamava allora “baraonda” (sì, proprio come la

società sportiva affiliata di Chieri militante in A2). La baraonda era una variante del calcio svedese (più

conosciuto come calcio seduto), attività ludico-motoria utilizzata per il potenziamento degli arti superiori

con spostamenti in quadrupedia.

Squadre già separate all’epoca con i tre difensori in ginocchio sui tappeti e gli attaccanti seduti e/o in

quadrupedia. Pallone sempre colpito o respinto con tuffi in difesa e colpi prevalentemente con le mani in

difesa e con mani e piedi in attacco. Pareti che già allora facevano parte integrante del campo di gioco

sostituendo le linee laterali e consentendo la continuità del gioco. Nel dicembre del 1978 i giocatori

recuperarono la stazione eretta e da allora è ufficialmente nato il nostro sport.

Luigi Gigante, insegnante di educazione fisica torinese, cominciò la sperimentazione (1981-1985) e nel 1986

depositò alla SIAE una pubblicazione con il regolamento di gioco. Successivamente vennero depositati i

brevetti relativi all’attrezzatura di gioco e agli impianti gioco (strutture fisse e gonfiabili). Dal 1987 al 1992

l’hit ball venne presentato nella maggior parte delle scuole di ogni ordine e grado della provincia di Torino.

L’iniziativa raccolse consensi da parte degli studenti e dei professori. Nel 1989 venne costituita la prima

società sportiva che iniziò l’attività di avviamento alla pratica agonistica. Da questa nacquero le prime

squadre giovanili (Prima Promo, Absolute Beginners, ecc.). Nel 1991 venne organizzato a Torino il primo

campionato, al quale parteciparono quattro squadre con vittoria della formazione dell’Hit Ball Somme

guidata dal professore Silvio Benati presso la Scuola Sommelier. Il 26 marzo 1992 si costituì a Torino la

Federazione Italiana Hit Ball che, da allora, ha regolarmente organizzato edizioni annuali dei Campionati

Italiani e dei Giochi Sportivi Studenteschi.

42

Rappresentante della Federazione Italiana Hit Ball.

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Nato nella scuola per la scuola, ha avuto un notevole successo nella provincia di origine anche in ambito

extra-scolastico, grazie alle numerose iniziative della Federazione Italiana Hit Ball, per poi diffondersi in

altre regioni. Attualmente si sta diffondendo in Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Valle d’Aosta e sta

varcando i confini nazionali facendosi conoscere e apprezzare come sport made in Italy (dal sito ufficiale

della FIHB, www.hitball.it).

Con un certo orgoglio abbiamo spesso posto in evidenza le origini nazionali della nostra disciplina, pur

senza pretendere condizioni di favore ma solamente pari dignità e pari opportunità, che spesso ci sono

state negate. Il quadro che emerge è a tinte purtroppo prevalentemente scure.

L’educazione attraverso lo sport e la cultura sportiva nel nostro Paese, a mio parere, sono temi poco

dibattuti e poco considerati. In seguito ad una prima sommaria e superficiale analisi della questione si

potrebbe chiudere il discorso dicendo che ci sono argomenti e priorità più importanti per i cittadini e per le

famiglie. Questa considerazione, soprattutto in tempi di crisi come i nostri, è sicuramente vera, per

esempio temi come la sanità e la salute pubblica, il lavoro, le infrastrutture pubbliche ecc.. Ma, ancora una

volta, come spesso accade l’apparenza inganna e proveremo a dimostrarlo. Nel nostro Paese la sanità è un

pozzo senza fondo e un business per una casta e un gruppo di potere. L’interesse dominante non è quello

della salute degli utenti ma, spesso, quello prevalente della “filiera della salute” (dai produttori di medicine

ai medici fino ai dirigenti). Ciò è sotto gli occhi di tutti, ormai accertato e comprovato dai sempre più

numerosi casi accertati.

Nelle azioni di prevenzione l’attività motoria e sportiva non solo non è adeguatamente sostenuta, ma

appare deliberatamente e paradossalmente esclusa come strategia di prevenzione, a favore della vendita

delle medicine che è vista come unica soluzione.

In un Paese in cui l’obesità infantile è un problema molto serio (peggio di noi soltanto la Grecia in Europa,

dato che non ci fa certamente onore e in ogni caso non è un indicatore di qualità delle Amministrazioni

pubbliche e, più in generale, della nostra Nazionale), al punto da risultare una vera e propria emergenza.

Senza considerare poi la principale causa di mortalità in Italia: le malattie cardiocircolatorie. Da anni si

attende un’inversione di tendenza ma le specifiche di bilancio alla voce Sanità e alla voce Prevenzione

(anche e soprattutto spese per attività ludico-motorie e sportive in ambito scolastico e associazionistico)

continuano ad andare nella direzione sbagliata…

Un altro pozzo senza fondo nel nostro Paese è la “filiera del cemento” e delle costruzioni pubbliche e

private e delle infrastrutture. Apparentemente lo sport non c’entra e invece anche qui mi permetto di

dissentire.

Prima di tutto perché anche i pochi impianti sportivi che vengono costruiti sono progettati per rispondere

alle esigenze dei costruttori e non alle reali necessità dei cittadini, con logiche molto discutibili e ciò appare

evidente dagli esempi delle cosiddette “cattedrali nel deserto”, strutture che vengono costruite ma che

restano troppo spesso inutilizzate o sottoutilizzate.

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Gli amministratori potrebbero almeno “sfruttare” maggiormente il loro potere in termini di scambio,

quando concedono permessi edilizi alle ditte costruttrici, per favorire la restituzione alla cittadinanza e in

particolare alle nuove generazioni (private del gioco libero ormai da anni) di impianti sportivi di grandi

dimensioni e di aree gioco polivalenti e giardini pubblici, mentre ci si accontenta troppo spesso di aree di

piccola superficie e di conseguente utilità pubblica limitata.

Nel nostro Paese c’è poi un’altra caratteristica evidente nel settore sportivo, ossia il totale e incontrastato

dominio del calcio rispetto agli altri sport (aspetto che ci distingue ancora una volta da molti altri Paesi

d’Europa). Una vera e propria tirannia e una vera e propria monocultura. Fin qui poco male. Si potrebbe

concludere la questione dicendo che si tratta di un dominio dovuto ai gusti del pubblico sovrano e che

quindi, democraticamente, occorre semplicemente prenderne atto. Peccato che il movimento sportivo

dominante nel nostro Paese abbia ormai abdicato rispetto al suo ruolo educativo e che quest’ultimo non sia

più neanche considerato, a favore del business a tutti i costi. Regole costantemente disattese e non

rispettate, truffe, inganni, scandali vari e assortiti, simulazioni, atteggiamenti aggressivi incontrollati,

provocazioni, falli sistematici, risse, gomitate, sputi, doping, tifo contro e violenza sugli spalti e fuori dagli

stadi sono quanto di peggio si può vedere sui campi di gioco.

Il tutto alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno si assuma delle responsabilità. Si assiste

al solito scaricabarile quando accade qualcosa di grave per poi ricominciare a peggiorare subito dopo, con

buona pace di tutti. L’aspetto peggiore di questa diseducazione di massa è che l’ambiente calcistico (tutti i

suoi protagonisti indistintamente, compresi i commentatori televisivi che potrebbero invece educare e

stigmatizzare non dovendo esser di parte) propone come “furbizia” e “esperienza” situazioni di mancato

rispetto delle regole (segnare con le mani, falli tattici, simulazioni), facendo passare per furbi coloro che

non rispettano le regole e per fessi coloro che invece le regole del gioco si ostinano a rispettarle nonostante

tutto e chissà mai perché…

L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Il calcio “oppio dei popoli” è stato oggetto e argomento di studi e di

numerose pubblicazioni e gli studiosi concordano nel ritenere tipico di società poco evolute avere un

passatempo nazionale capace di distrarre il popolino rispetto a temi più importanti, che così passano in

secondo piano. Siccome abbiamo dichiarato guerra all’ipocrisia e alla rassegnazione concludiamo dicendo

che la partitocrazia ha fatto il suo tempo, con le sue logiche di consenso, di appartenenza e di clientela. I

cittadini eletti devono dare chiara prova di discontinuità rispetto ad un passato assai discutibile e devono

distinguersi invece dando prova di voler mettere al centro la Costituzione, la meritocrazia, il comune

interesse e la pubblica utilità. Ripartire dalla scuola, dall’educazione alla cittadinanza e alla partecipazione

alla vita “veramente” democratica del nostro Paese anche attraverso lo sport.

Lo sport è cultura e in altri Paesi questo è un dato di fatto consolidato e indiscusso (vedi centri culturali

francesi che comprendono piscine e palestre), mentre da noi c’è un ritardo culturale da colmare nella

Unione europea, che mette per fortuna a nudo ritardi, differenze e manchevolezze varie, in una

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competizione virtuosa che può essere la nostra salvezza se sapremo essere pienamente consapevoli e

sufficientemente umili nei prossimi anni.

Tra l’altro è ormai dimostrato (vedi contributi offerti con successo in ambito aziendale e industriale da

parte di dirigenti sportivi di chiara fama come Velasco e Montali) che le dinamiche di gruppo e di squadra,

sperimentate con successo in ambito sportivo, possono dare ottimi risultati anche nell’ambito dei gruppi di

lavoro di altra natura (industria, marketing, ecc.). È arrivato il momento di trasferire queste esperienze di

gestione dallo sport di squadra cosiddetto “minore” ai tavoli amministrativi pubblici, partendo dal più

piccolo comune o quartiere fino ad arrivare al Parlamento, per rimettere al centro l’interesse di tutti a

danno del profitto prevalente di piccoli gruppi di potere in lotta e/o in combutta tra di loro.

Un altro motivo di ottimismo e di speranza è indubbiamente il lavoro sempre più incisivo, proficuo e utile,

del mondo associazionistico (laboratori di quartiere, comitati, cooperative sociali, associazioni sportive e

culturali, ecc.) che si spera in futuro possano avere sempre maggiore potere, in modo da favorire la

partecipazione dei cittadini e in modo da contrastare ulteriormente il meccanismo di delega illimitata ai

partiti.

3. Libertà d’azione, sicurezza e responsabilità personale

Stefano Oletto43

La profonda trasformazione socio-culturale del nostro paese avviata nel secondo dopoguerra coinvolse la

sfera dell’educazione in modo fisiologico e naturale, accompagnando la trasformazione dello stile di vita

delle masse inurbate. Questa graduale trasformazione coinvolge naturalmente la cultura dell’infanzia ed il

modo di concepire la fanciullezza e l’esperienza ludica, ed è una tendenza che perdura tuttora.

La fanciullezza era considerata una fase provvisoria nel percorso di realizzazione di un individuo, e per

questa ragione il gioco fu a lungo considerato poco meritevole di attenzione di per se stesso e tanto meno

in funzione educativa.

Oggi la società tributa quasi una fissazione per il gioco in termini generali e più specificamente per il

giocattolo (specie per le sue ramificazioni nel sistema dell’entertainment) ed in generale coltiva una

specificità dell’offerta che un tempo era sconosciuta alle masse.

L’attenzione nei confronti dell’esperienza ludica ha quindi conosciuto una notevole implementazione sia in

termini di impegno sia in termini di spesa da parte delle famiglie. Non è banale stabilire se questo maggiore

investimento contribuisca ad un effettivo incremento della qualità del gioco. Perché non è soltanto

l’applicazione nel gioco e l’uso dell’intrattenimento a creare automaticamente una occasione di gioco e di

43

Architetto, Dottore di ricerca in Teoria e costruzione dell’architettura - Politecnico di Torino.

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crescita, ma anche il contesto familiare entro il quale i bambini esprimono da soli od in gruppo la loro

attitudine ludica.

Una condizione di minor sensibilità ed attenzione (iperprotettività) degli adulti nei confronti dell’attività

ludica si accompagna ad uno stimolo alla auto-organizzazione del tempo e delle modalità del gioco da parte

dei piccoli. È una riflessione su cui possiamo operare interessanti comparazioni tra famiglie italiane ed

immigrate, che sembrano concedere un più ampio campo d’azione ed una maggiore libertà di aggregazione

in virtù di una diversa presenza degli adulti. In questo quadro anche il giocattolo come oggetto preformato

(progettato e standardizzato) lascia il posto agli oggetti ed alle situazioni disponibili nella realtà quotidiana:

Forzando un po’ la mano si può affermare che in mancanza di giocattoli è necessario giocare con la fantasia.

La categoria merceologica del giocattolo di massa - anche in funzione delle spinte emulative che provoca -

non può che agire in controtendenza rispetto a questo principio di auto-organizzazione.

Sicurezza

Dall’incremento tendenziale dei contenziosi relativi al problema della sicurezza delle strutture scolastiche

desumiamo un dato di crescente sensibilizzazione rispetto ai diritti ed alla tutela dell’infanzia. Da questo

deriva, a tutela del corpo insegnante, che l’attività ludica deve necessariamente essere sicura. Rimuovendo

per quanto possibile le occasioni di rischio.

Su questo fronte il giocattolo industriale rappresenta anche un ottimo investimento, essendo progettato e

testato per essere sicuro dal punto di vista infortunistico.

La responsabilità del rischio è dunque gradualmente spostata di soggetto in soggetto, con obiettivi che

hanno a che fare con necessità legali più che educative.

Tutto va quindi nella direzione di favorire un intrattenimento passivo (e facilmente inquadrabile dal punto

di vista legale) che eluda quelle componenti di imprevedibilità connaturate al gioco attivo e libero. La

contropartita di questo atteggiamento sta nella perdita dei valori educativi dell’esperienza diretta: quanto

più allontaniamo il verificarsi di un rischio tanto meno forniremo gli elementi per prepararsi a quella

situazione rischiosa. In questo senso occorre ragionare sulla necessità di una omeopatia del rischio:

sottoporre il bambino a situazioni di rischio controllato che consentano di rischiare in sicurezza (un

ossimoro?).

Nella nostra esperienza di laboratori di costruzione di architettura per l’infanzia un elemento che spesso si

presenta in tutta la sua forza è proprio il rapporto inestricabile tra sicurezza del gioco, imprevedibilità del

progetto, fatica nel lavoro e assunzione di responsabilità personale.

Occorre naturalmente un concreto sforzo organizzativo per considerare i rischi del lavoro di costruzione,

ma il risultato, dal punto di vista dei contenuti educativi, ripaga dello sforzo.

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Questa pratica contiene diversi valori: la creazione di oggetti di grandi dimensioni, la loro permanenza nel

tempo e, per finire, l’utilizzo ludico dell’esito progettuale, ma l’aspetto che più di tutto affascina i bambini è

proprio la possibilità di utilizzare strumenti di lavoro reali confrontandosi - in tal modo - con il mondo degli

adulti. Per fare questo occorre insegnare il senso di responsabilità.

Il lavoro

La dimensione manuale del gioco-lavoro porta con sé un altro esito specifico: la risoluzione di una

dicotomia tra mondo adulto e bambino attraverso la pratica del lavoro.

Gli adulti proiettano nel mondo dei bambini valori verso cui sentono una particolare affezione e che

maggiormente si contrappongono a quelli che rappresentano la loro dimensione di adulti. Si vengono così a

creare due dimensioni in opposizione: da una parte si trovano i bambini e la presunta leggerezza del gioco;

dall’altra c’è l’adulto, con la seriosità del suo impegno nel lavoro.

Così, nell’ottica degli adulti, il gioco sublima e diventa necessariamente leggero, creativo, libero e senza

scopo. Quest’ottica va depurando il gioco da tutti i caratteri di cimento e di fatica, che in fondo gli sono

propri e connaturati. In realtà il gioco - specie quello di gruppo - è sempre un’esperienza regolata, in cui gli

attori si confrontano con ostacoli e difficoltà fittizie. I bambini fingono di essere adulti, si allenano mediante

il gioco alla condizione adulta, mettendo in scena dinamiche complesse. Se si potesse osservare in modo

disincantato alle dinamiche del gioco infantile si potrebbe forse riconsiderare questa rigida

contrapposizione: le due caratteristiche cui facevamo riferimento sopra (la difficoltà ed il rischio) sono due

componenti pervasive del lavoro e della vita sociale. Allenarsi a riconoscerle ed a cimentarsi con esse

significa costruire l’indipendenza e la responsabilità nell’individuo. Questo processo risulta tanto più utile

quanto più è impostato in modo omeopatico e graduale.

Il ruolo dell’adulto

“…la fantasia è come la marmellata, se la mangi con il cucchiaio ti senti male per il troppo zucchero, ma se

la metti in una fetta di pane è deliziosa, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane se no rimane

una cosa informe su cui non si può costruire niente!…” La riflessione di Italo Calvino è dunque molto

calzante alla dimensione della libertà nel gioco. Il gioco necessita di regole, sennò viene a mancare il make

believe tipico dell’astrazione ludica; è dunque importante non lasciare soli i bambini nel momento della

loro immedesimazione in una realtà fittizia. Questa affermazione è solo apparentemente in contraddizione

con quanto descritto all’inizio sul tema del gioco auto-organizzato: Il gioco deve essere inventato, rischiato,

effettuato lontano dal controllo degli adulti, in un luogo speciale in cui vigono regole speciali. L’adulto è

parte integrante di quelle che potrebbero essere definite le “condizioni al contorno” dell’esperienza ludica,

ovvero le regole, il luogo, la durata, gli strumenti ed i materiali. Come tale deve rivestire un ruolo di garante

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senza eliminare del tutto le possibili fonti di rischio. L’approccio prescrittivo tenta di moderare il rischio e,

facendo ciò, conforma strettamente le modalità del gioco. Occorre pertanto proporre in alternativa un

metodo basato sulla responsabilità personale, che insegni ai bambini a sperimentare liberamente facendo

costantemente i conti con il rischio.

Spielraum - Room to play: un progetto per esemplificare.

La parola Spielraum indica lo spazio del gioco, ma anche la possibilità di giocare. Raum significa spazio,

stanza, buca, vano. Lo spazio del gioco è un luogo dove adulti e bambini si incontrano per realizzare dei

progetti. La nostra proposta consiste in un ciclo di laboratori di costruzione con i bambini.

Presupposti e Finalità - Un bambino creativo diventerà un adulto, una persona libera, una persona

pericolosa (Bruno Munari)

Questo progetto nasce come una ricerca di dottorato su una metodologia per la progettazione partecipata.

Il metodo impiegato in tale ricerca fa riferimento alla pratica della ricerca-azione, ed ha pertanto una

connotazione sperimentale. Tematiche e finalità del progetto compongono un insieme non scindibile di

azioni ed osservazioni.

Il termine progettazione è inteso nell’accezione più ampia, nell’accezione del termine anglosassone design

riferito in generale al fare, creare, immaginare, costruire e trasformare.

Il mezzo per raggiungere questo scopo è l’invenzione di una serie di giochi di costruzione da mettere in atto

con bambini. Tale esperienza ludica diviene un modo per decodificare e trasformare l’ambiente costruito,

imparare gli strumenti del progetto, esercitarsi in un lavoro di squadra e realizzare esperienze formative

giocando.

Il territorio e la democrazia

L’architettura e l’ambiente costruito sono il quadro di riferimento per tutte le attività umane. L’ambiente

costruito è a tutti gli effetti la più evidente espressione del sistema culturale, sociale, istituzionale,

economico e simbolico di una collettività. Ciò accade perché l’ambiente costruito subisce la modellazione

lenta e continua dei suoi attori socio - economici e ne influenza a sua volta le scelte e le inclinazioni in

maniera inevitabile. Il territorio italiano rappresenta un esempio pervasivo di antropizzazione, essendo un

continuum inestricabile di infrastrutture e paesaggio.

Secondo le linee guida del congresso mondiale degli architetti per l’educazione all’ambiente costruito44 la

creazione dell’architettura è un esercizio di immaginazione, che si basa sulla cultura, sulla storia,

sull’ambiente e sulla comprensione critica di ciò che esiste ma anche un processo che implica tenacia,

lunghe attese e determinazione. La qualità del nostro ambiente sarà determinata dall’educazione dei

cittadini di domani. La loro capacità di prendere decisioni come cittadini dipenderà dalle conoscenze e

44

UIA - Unione Internazionale Architetti BEE (Built Environment Education).

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dall’abilità ricevuta nel corso della loro istruzione. Comprendendo in maniera critica l’architettura e

l’ambiente costruito di oggi i cittadini adulti saranno in grado di partecipare in maniera efficace alla

creazione di architettura di qualità, sostenibile e rispettosa del suo contesto. Fornire questo tipo di

educazione è un dovere di architetti, scuole, genitori, autorità scolastiche ed in ultima istanza delle

istituzioni.

Le potenzialità espressive ma anche investigative del mondo dell’infanzia sono note da tempo, ma un

interesse per il ruolo attivo dell’infanzia si sviluppa in Occidente in tempi piuttosto recenti45. Prima di allora

esisteva solo l’idea del bambino come un essere da proteggere, curare ed educare: il riconoscimento di una

capacità e di un diritto al pensiero ed al progetto è la differenza fondamentale tra Agenda 21 e la Carta dei

diritti dell’infanzia dell’89 (e quelle del fanciullo, del 1924 e del 1959).

Nel contesto della progettazione partecipata con i bambini, Torino è un Comune all’avanguardia e vanta un

elevato numero di ristrutturazioni di cortili scolastici su tutto il territorio comunale, l’impegno da parte

delle istituzioni a prendersi carico di un iter procedurale di questa portata è segnale di un contesto ricettivo

ed avanzato. A partire da questo contesto di educazione alla cittadinanza attiva, il nostro progetto si

propone di veicolare una serie di valori educativi legati ad aree di interesse molto differenti ed a volte

strettamente interrelate.

Comprensione dello spazio / educazione ambientale

Modificare l’ambiente circostante è uno degli istinti che contraddistinguono la nostra specie e che

naturalmente si ricoprono di significati culturali e simbolici. Robinson che costruisce il proprio rifugio è

l’esempio di un essere in pieno equilibrio con l’ambiente che lo ospita. Una condizione che è metafora non

solo delle società primitive ma anche di quelle che ci hanno preceduto nello sviluppo tecnologico. La fatica

e quindi la fattibilità, la reperibilità di materiali e la realizzazione degli scopi sono un insieme di condizioni al

contorno che finiscono per determinare la forma dell’ambiente costruito di una collettività. Dal momento

che da sempre l’uomo si adatta al proprio ambiente trasformandolo, è dunque importante insegnare

questa consapevolezza e responsabilità con l’educazione ambientale, ed al fine di rendersi conto della

propria impronta sull’ambiente. Per questo i nostri laboratori sono improntati alla comprensione di aspetti

dinamici, e sono improntati alla comprensione di diversi aspetti della realtà. Osservare un gruppo che gioca

alla scoperta dello spazio significa entrare nei meccanismi stessi dell’apprendimento, della scoperta dello

spazio e della sua natura sociale. Significa comprendere i principi antropologici dell’abitare e del costruire.

Significa reinterpretare le proprie considerazioni sulla formulazione dei giochi, ed inventare nuove regole

del progettare e del costruire.

45

Il primo atto formale a livello globale su questo argomento fu il capitolo 25 di Agenda 21, presentata nel 1992 a Rio de Janeiro, che riconosce i bambini come soggetti aventi diritto ad un ruolo attivo nella cittadinanza.

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Cultura tecnica, progettuale e ludica

La cultura progettuale in senso lato, vista come quella attitudine ad affrontare le criticità attraverso uno

scatto di immaginazione, viene qui applicata alla progettazione di oggetti e dello spazio. Essa si configura

anche come una capacità tecnica di tradurre in realtà le proprie volontà ed il proprio pensiero astratto. Tale

attitudine è l’obiettivo fondamentale dell’insegnamento della progettazione nelle Facoltà di architettura e

design, ed utilizza sistemi didattici completamente differenti da quelli frontali degli altri insegnamenti. Si

potrebbe dire che il sistema didattico del laboratorio, in cui ci si confronta su dei problemi e sui metodi per

risolverli, sia in tutto e per tutto uguale a quello da noi impiegato per la realizzazione dei nostri laboratori. Il

tema della creatività dei bambini è quindi un ponte per indagare il tema della creatività nella progettazione

in generale: una creatività che media ed è stimolata da aspetti di utilità e funzione, e che per questo è

essenzialmente diversa da quella delle altre arti. Pertanto il nostro obiettivo finale è quello di perseguire

un’esperienza di sintesi tra le esercitazioni progettuali degli studenti della Facoltà di architettura e quelle, di

natura non dissimile, che vengono presentate come gioco ai bambini delle scuole elementari e medie.

Per questo non è assolutamente necessario riferire la didattica progettuale ad un contesto meramente

produttivo (edilizio o di design industriale), e siamo quindi persuasi che esista un livello zero della

progettualità, un’abilità non finalizzata che si declina successivamente con le occasioni di progetto. Per

questa ragione una regola didattica può avere natura provvisoria ed inventata: perché deve proporsi di

stimolare la funzione progettuale, e non una specifica competenza tecnica.

La cultura tecnica istintiva del costruire come gioco collettivo possiede dei ritmi e delle regole proprie,

provvisorie ed istantanee. Come in un contesto ludico, anche in quello universitario la simulazione del

laboratorio è dominata da regole provvisorie, che non hanno finalità pratica apparente, se non quella di

allenare ad un ragionamento progettuale complesso.

Anche il gioco per i bambini rappresenta una costruzione fantastica che decodifica per approssimazione gli

aspetti più incomprensibili della realtà. La finzione del gioco si basa su regole provvisorie che ricostruiscono

un quadro di riferimento cui ci si deve accostare per comunicare, ovvero giocare insieme. Make believe,

cioè la finzione del gioco, è l’impalcatura ideale cui ci si deve riferire seriamente e in maniera scrupolosa

per ottenere l’attenzione dei bambini e coinvolgerli nel gioco. La simulazione progettuale di un laboratorio

di progettazione utilizza la medesima modalità.

Da un punto di vista specificamente tecnico, questo tipo di giochi consente di esprimere la propria

creatività mediante la sperimentazione di strumenti e tecniche che si apprendono man mano. Costruire con

strumenti veri, alla scala reale, oggetti che hanno una funzione ed un obiettivo ben preciso, è

un’operazione che ha un valore educativo e pratico che trascende quello degli oggetti realizzati e il valore

del gioco in sé.

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Educazione, socialità e azione

Il lavoro di squadra implica responsabilità, coesione, partecipazione, comprensione delle regole del vivere

comune ma anche comprensione del proprio ruolo nella collettività.

Il lavoro creativo è efficace quanto lo sport a sviluppare questa attitudine. L’intraprendenza e la tenacia nel

perseguire un obiettivo hanno un effetto di risonanza tra i membri di un team, ed un profondo valore

educativo nell’ambito della peer education: la responsabilità che ci si prende nei confronti del gruppo funge

da collante nei confronti del fine comune, ed il laboratorio diventa così un modo per coalizzarsi e

comprendere le regole del vivere comune. Dal punto di vista sociale e socio-culturale è poi interessante

osservare come i giochi dei bambini mettano in scena una serie di comportamenti sociali e dinamiche di

gruppo ben osservabili (differenze etniche, cooperazione, territorialità, espressioni di disagio, differenze tra

maschi e femmine, ecc.). L’individuazione di questi elementi rende possibile isolare le tematiche ed

indirizzare il gioco verso di esse, con l’idea di esplorarle più in profondità. Ad esempio, sarebbe possibile

comprendere di più sulla condizione abitativa delle famiglie degli immigrati attraverso il lavoro scolastico

dei bambini. Tramite un gioco di progettazione della propria casa ideale si potrebbe sicuramente

comprendere moltissimo della condizione e delle aspirazioni dei nuovi cittadini. Costruire è un’azione che

insegna a misurare le proprie forze e nei confronti di un obiettivo, confidando mano a mano sui propri

mezzi e considerando se stessi come attori di un processo e non semplici spettatori. Costruire fornisce la

coscienza delle proprie capacità e rafforza la speranza nella propria riuscita. Il lavoro manuale è così

affascinante per i bambini proprio per la sua qualità di essere una cosa “da grandi”. Per questo gli utensili

giocattolo perdono sempre nel confronto con quelli reali. Nei nostri laboratori utilizziamo strumenti e

materiali “veri” con lo scopo di combinare questo maggior interesse per il mondo degli adulti con un alto

grado di responsabilizzazione personale.

Sicurezza sul lavoro

Il grado di civilizzazione di una società si misura anche con il grado di sicurezza cui essa aspira. La rimozione

del rischio, e quindi della sofferenza, è un parametro che accompagna la diffusa sedentarietà di una

società, dapprima a livello simbolico e poi a livello reale.

Il rischio e la sua esperienza sensibile costituiscono però un binomio inscindibile nella fase della

formazione: la coscienza del rischio si sviluppa con l’esperienza. Senza questa esperienza “controllata” i

bambini non sono dotati di quegli strumenti concettuali istintivi mediante i quali possono affrontare i rischi

di tutti i giorni. Per questa ragione le esperienze dei nostri laboratori iniziano con un mini corso di sicurezza

sul lavoro, e sempre per la stessa ragione nei nostri laboratori ci si equipaggia con i dispositivi di protezione

individuale richiesti dalla normativa.

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In tempi in cui la sicurezza sul lavoro è un argomento di cronaca quasi quotidiana, crediamo sia importante

diffondere un concetto di lavoro responsabile, cominciando proprio dalla conoscenza e dalla confidenza

con gli strumenti del lavoro e con la prassi dell’antinfortunistica.

I concetti base dell’antinfortunistica riguardano i movimenti semplici come trasportare dei pesi, stare in

equilibrio, fare attenzione alla presenza di pericoli per altre persone, maneggiare strumenti potenzialmente

pericolosi. Tali concetti non attengono solo al lavoro nelle costruzioni, ma sono invece una componente

essenziale nella vita di tutti i giorni e nell’attitudine a qualsiasi lavoro che implichi qualche tipo di rischio e

che richieda quindi un’attenzione particolare.

Valori cinetici e fisici

I valori cinetici e fisici del lavoro rivestono un significato ancora più importante nel contesto della socialità e

della ludicità moderna che, appoggiandosi sempre più a reti e mezzi virtuali, è carente di contatti e relazioni

fisiche. I bambini giocano e si incontrano sempre più di frequente di fronte al monitor, o con il medium di

telefoni e posta elettronica: la società ha idealmente barattato il coinvolgimento fisico per un alto

coefficiente di sicurezza.

La gestualità e la tecnica si trasformano con le abitudini ed il grado di civilizzazione di una collettività, e la

sedentarietà ha influssi negativi specialmente negli stadi evolutivi della crescita. La capacità di compiere

correttamente gesti coordinati (prassìa) e diretti alla realizzazione dei movimenti si sviluppa con

l’esperienza, assemblando ed immagazzinando in memoria le sequenze motorie. Con la pratica ogni

sequenza si consolida e diviene automatica: quando il gesto è abituale non deve essere pensato e

monitorato. Se il gesto è nuovo la sequenza degli atti che lo compongono deve essere in qualche modo

progettata: il progetto dell’azione deve essere immaginato e monitorato in maniera iterativa nell’atto della

realizzazione. Il lavoro da noi richiesto (esempio: costruire una struttura di legno che innalzi una persona ad

un minimo di altezza di un metro) corrisponde ad una azione di problem solving. Come tale il sistema di

azioni impiegate per realizzare le lavorazioni necessarie rappresentano un progetto nel progetto,

organizzato gerarchicamente in priorità.

Le dinamiche inedite cui i bambini sono sottoposti all’interno di un ambiente sociale noto (quello della

classe e della presenza delle maestre), possono anche favorire il mutamento dei rapporti di forza tra le

persone (i più ed i meno bravi a scuola), e dare così un impulso nuovo per affrontare la dimensione

dell’apprendimento in generale. La novità del problema (ovvero il costruire) favorisce un livellamento tra le

capacità dei membri di una classe, che sono costretti a prescindere da conoscenze pregresse. Per finire, noi

richiediamo un atto di elaborazione del gioco adatto (come il disegno) a rivalutare in maniera grafica le

scoperte fatte nel campo della spazialità e della dimensione fisica degli oggetti costruiti. Nel riepilogo delle

esperienze condotte presso le scuole di Settimo Torinese, ci è stato fatto notare come le azioni attuate

durante i laboratori di costruzione abbiano stimolato atteggiamenti inattesi ed incoraggianti proprio sotto il

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profilo della motricità e della spazialità (ovvero della comprensione e misurazione dello spazio). Tali

atteggiamenti si sono palesati anche durante la normale attività didattica che è seguita ai laboratori.

Conclusioni

Il monitoraggio e la rielaborazione delle azioni messe in pratica con l’aiuto di esperti nel campo della

neuropsichiatria infantile, psicologia e psicoterapia infantile e della psicomotricità, hanno il significato

fondamentale di unificare differenti prassi e diverse azioni educative e terapeutiche sotto l’azione del

gioco.

Questo è secondo noi importante anche per diffondere l’intenzione di abbattere le barriere tra gioco ed

apprendimento. Le differenti componenti che abbiamo delineato nel frontespizio del nostro progetto

intendono analizzare i diversi aspetti e punti di vista di una pratica di gioco complessa ma fortemente

comunicativa, non con l’idea di esaurire l’argomento ma di presentarlo nella maniera più esaustiva

possibile.

4. Giochi d’ingegno (per non parlar di matematica46)

Paolo Munini47

Un giornalista una volta chiese ad Albert Einstein, di spiegare la formula del suo successo.

Dopo una breve riflessione rispose:

«Se A è il successo, direi che la formula è: A=X+Y+Z, laddove X rappresenta il lavoro e Y il gioco».

«E Z cosa rappresenta?» chiese il giornalista.

«Tenere la bocca chiusa», replicò lui.

Quando Maria Carla Rizzolo e lo staff dei Centri di Cultura per il Gioco del Comune di Torino mi rivolsero

l’invito a partecipare al convegno Chi ha rubato la marmellata?, ho accettato volentieri offrendomi di

esporre, nei gruppi di lavoro collaterali all’evento principale, l’esperienza del Comune di Udine con

particolare riferimento alla Festa del Pi greco. Allorché si trattò di convincere gli iscritti al convegno a

partecipare al mio workshop, mi tornò utile il consiglio di Furio Honsell48 che ebbe a dire: “Il pubblico ha

46

C’è ancora un forte pregiudizio legato alla parola stessa “matematica”, termine che per la maggior parte della gente possiede connotazioni negative e suscita sentimenti sgradevoli quali paura, nausea e noia, che spesso trovano spiegazione in spiacevoli esperienze scolastiche. Sono pronto a scommettere che questo articolo avrebbe più lettori se nel titolo non comparisse il vocabolo “matematica”. Cosa ben presente a editori e divulgatori: avete mai notato che i titoli principali dei libri di matematica ricreativa non contengono (quasi) mai il nome-che-non-deve-essere-nominato? 47

Comune di Udine - Dipartimento Politiche sociali, educative e culturali, Servizi educativi e sportivi Unità Operativa Ludobus [email protected] - www.comune.udine.it. 48

Matematico e Sindaco di Udine.

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sete non tanto di quiz, quanto di problemi”. Proposi quindi ai presenti alcuni quesiti tratti dal repertorio

classico della matematica ricreativa e che di solito utilizzo negli interventi ludico-educativi nelle scuole

(sono riportati nel testo che segue).

Alla fine si formò un bel gruppo di lavoro che sviluppò un’interessante discussione sull’utilizzo dei giochi

d’ingegno nella pratica educativa.

Il lato divertente della matematica

Può la matematica non essere noiosa e risultare addirittura divertente? Ne è assolutamente convinto Furio

Honsell, matematico e Sindaco di Udine, che, in qualità di amministratore, è fortemente impegnato nel

promuovere la cultura scientifica privilegiando un approccio ludico in grado di coinvolgere tutti i cittadini.

“La matematica è allo stesso tempo uno strumento, un linguaggio e un metodo rigoroso per accrescere la

nostra consapevolezza del mondo e dei limiti della conoscenza, - sostiene Honsell - il lato divertente e

quotidiano della matematica offre lo spunto per far riflettere su questa disciplina soprattutto in modo

attivo e partecipativo”. Purtroppo gli attuali programmi scolastici ministeriali puntano a una competenza

che è meramente esecutiva, quindi non aiutano a far amare la matematica, che invece è logica e intuizione,

creatività e bellezza.

Quattro problemi... per cominciare

Una delle caratteristiche della pratica matematica è ricercare soluzioni (possibilmente eleganti) ai problemi.

Ecco allora alcuni quesiti (più o meno classici) che apparentemente hanno poco a che fare con la

matematica: cercate di risolverli da soli (o in buona compagnia) senza leggere le soluzioni che potete

comunque trovare al termine della relazione.

Pierino va in Paradiso

Pierino muore e va in Paradiso. Al suo arrivo trova di fronte a sé tutti i personaggi della Bibbia completamente nudi, ad eccezione delle parti intime. Come riconosce Adamo ed Eva?

Pomodori secchi

100 kg di pomodori sono composti dal 95% di acqua. Dopo 3 giorni di esposizione al sole, la percentuale d’acqua scende al 90%. Quanto pesano ora i pomodori?

Un orso

Un orso si avvicina ad una casa i cui muri sono tutti rivolti a sud. Di che colore è l’orso?

La mamma di Pierino

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Il padre di Pierino ha 30 anni più del figlio. Tra due anni, la sua età sarà 25 volte quella di Pierino.

Dove si trova in questo momento la madre di Pierino?

La materia prima della matematica ricreativa è rappresentata da giochi di logica, giochi d’ingegno,

paradossi, rompicapo, indovinelli ed enigmi, la cui esistenza è testimoniata fin dai primordi della storia

umana. Risale infatti al 1650 a.C. circa il primo problema di matematica ricreativa conosciuto, che è

contenuto nel cosiddetto Papiro di Rhind, compilato dallo scriba Ahmes:

Problema 79

Ci sono sette case, in ogni casa ci sono sette gatti, ogni gatto mangia sette topi, ogni topo mangia sette spighe, ogni spiga produce sette hekat [unità di misura per i volumi] di grano, quanti sono in tutto?

49

L’elegante espediente

Un problema è interessante se ci costringe a ragionare in maniera originale, a cercare relazioni nascoste, a

scoprire soluzioni inattese, eleganti e (a posteriori) semplici. Ricordate l’uovo di Colombo? “Questa è

matematica come arte, non routine: matematica fatta di pensiero e abilità, non formule e ricette.” 50

Martin Gardner, popolare autore di matematica ricreativa, ha scritto: “Cosa è la matematica, dopo tutto, se

non la soluzione di un indovinello? E cosa è la scienza se non uno sforzo sistematico per ottenere sempre

migliori risposte agli indovinelli posti dalla natura?”51. E aggiunge: “Non vi è molta differenza fra il piacere

provato da un dilettante nel risolvere un abile rompicapo ed il piacere che un matematico prova nel

dominare un problema più difficile”52.

Cos’è l’intelligenza?

Matematica e intelligenza vanno a braccetto, si sa. Ma non ci riferiamo all’intelligenza dei famigerati test di

Q.I., piuttosto a quella che possiede le seguenti caratteristiche essenziali:53

reagire in modo molto flessibile alle varie situazioni;

trarre vantaggio da circostanze fortuite;

ricavare un senso da messaggi ambigui e contradditori;

riconoscere l’importanza relativa dei diversi elementi di una situazione;

trovare somiglianze tra situazioni diverse nonostante le differenze;

trovare differenze tra situazioni diverse nonostante le somiglianze che possano unirle;

sintetizzare nuovi concetti prendendo concetti vecchi e collegandoli in modi nuovi;

produrre idee nuove.

49

Se vi piace vincere facile, la soluzione è: 19.607. 50

Golan J., Introduzione a: Birenboim A.,Pazzi pazzi numeri, Sonzogno, 2001, p. 5. 51

Gardner M., Enigmi e giochi matematici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2003, p. VIII. 52

Ibid., p. VII. 53

Hofstadter Douglas R., Godel, Escher, Bach, un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi, Milano, 2005, p. 28.

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Logico, no?

Piccolo intermezzo ludico con due storielle divertenti che i matematici si raccontano quando si trovano al

bar.

[1] Una volta, un figlio disse al padre:

“Papà, oggi non voglio andare a scuola; ti darò tre buone ragioni: la prima, che ho sonno; la seconda, che mi annoio; la

terza, che i bambini ridono di me.”

Al che, il padre rispose:

“Allora anch’io ti darò tre buone ragioni perché tu vada: la prima, che è tardi; la seconda, che hai 45 anni; la terza, che

sei il preside54

.”

[2] “Fammi male” dice il masochista. “No” risponde il sadico.

La matematica è fondamentale per il nostro stile di vita

“Non c’è aspetto della nostra vita che non sia influenzato, in misura maggiore o minore, dalla matematica,

perché gli schemi astratti sono la vera essenza del pensiero, della comunicazione, del calcolo, della società

e della vita stessa”.55

Il matematico, oltre ad essere, secondo Paul Erdős, una macchina che converte caffè in teoremi, è anche

sicuramente un individuo in grado di cogliere il lato matematico delle cose che ci circondano e di dare

un’interpretazione logica a fenomeni apparentemente inspiegabili. La matematica è presente nelle nostre

azioni quotidiane, per esempio quando facciamo il nodo alla cravatta o allacciamo le scarpe; quando ci

chiediamo se sotto la pioggia sia meglio correre o camminare o perché mai gli autobus arrivino spesso

insieme due alla volta; quando dobbiamo decidere qual è il modo migliore di tagliare una torta o se

conviene tentare la fortuna giocando al lotto. Da qui l’importanza di saper riconoscere la matematica

nascosta nella vita quotidiana e di scoprire quanto possa essere affascinante, divertente e, perché no, utile,

una lettura scientifica e consapevole della realtà.

Il ruolo dell’ente locale per una città educativa

Per questi motivi l’Amministrazione comunale del capoluogo friulano è decisamente impegnata a

promuovere la matematica privilegiando un approccio ludico e coinvolgente rivolto a tutti i cittadini.

Quest’azione trova riscontro nell’appuntamento annuale della Festa del Pi greco, di cui il Comune di Udine

e l’Associazione nazionale delle Città di Gioco (GioNa) sono convinti sostenitori e promotori a livello

nazionale affinché diventi una grande festa della matematica da svolgersi nelle piazze italiane.“C’è sempre

più bisogno di cittadini consapevoli e capaci di usare gli strumenti del pensiero scientifico e matematico. A

54

Mataix M., Ozi matematici, RBA, Milano, 2008, p. 7. 55

Devlin K., Il linguaggio della matematica, Rendere visibile l’invisibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, p. 23.

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Udine abbiamo scelto di coinvolgere nell’iniziativa tutta la cittadinanza” ha dichiarato Furio Honsell, che è

anche l’attuale Presidente di GioNa.Tale impegno trova supporto e strumento anche nell’attività svolta dal

Ludobus, sottolineando la funzione e l’importanza delle attività ludiche nei processi educativi e formativi,

del ruolo del gioco nello sviluppo delle capacità creative, del rapporto tra cultura ludica e qualità della vita.

Un’esperienza significativa : Festa del pi greco

Cos’è il pi greco?

Il pi greco (indicato con il simbolo π) è una costante matematica che è definita come il rapporto tra la

lunghezza della circonferenza e il suo diametro.

È un numero trascendente, con infinite cifre decimali non periodiche.

Le prime tre cifre con cui il pi greco è universalmente conosciuto sono 3,14.

Breve storia del pi greco

“π è il numero più famoso della matematica. Per le altre costanti naturali non c’è speranza: π sarà sempre il

primo della lista. Se esistesse l’Oscar per i numeri, π lo vincerebbe ogni anno56”.

Già nel 2000 a.C. i Babilonesi osservarono che la lunghezza della circonferenza di un cerchio era uguale a

circa il triplo del suo diametro.

Attraverso il Papiro di Rhind (1650 a.C.) sappiamo che gli Egiziani consideravano il valore di π

corrispondente a (16/9)2, pari a circa 3,1605. Nel XII secolo a.C. i Cinesi usavano nei loro calcoli il valore di π

= 3. La lettura della Bibbia, nell’Antico Testamento, ci conferma che anche gli Ebrei conoscevano il rapporto

(considerato pari a 3) tra la lunghezza della circonferenza e il suo diametro. Nel 225 a.C. Archimede di

Siracusa indicò il valore di π compreso tra 223/71 e 22/7, approssimativamente 3,1419. Nel 1706 il

matematico gallese William Jones introdusse per la prima volta il simbolo π (corrispondente alla lettera

greca iniziale di Pitagora); successivamente Leonhard Euler (Eulero) lo adottò e contribuì alla sua diffusione.

Nel 1761 Johann Lambert dimostrò che π è un numero irrazionale, cioè non può essere scritto come

56

Crilly T., 50 grandi idee di matematica, Dedalo, Bari, 2009, p. 20.

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quoziente di due numeri interi. Il suo sviluppo decimale è infinito e non presenta una regolarità definibile.

Nel 1882 il matematico tedesco Carl Louis Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è trascendente, cioè non

può costituire soluzione di un’equazione algebrica (un’equazione in cui compaiono solo potenze intere di x).

Dalla dimostrazione di Lindemann consegue l’impossibilità della “quadratura del cerchio”, cioè della

costruzione di un quadrato con la stessa area del cerchio con il solo uso di una riga e di un compasso.

In anni più recenti, grazie alla potenza di calcolo dei moderni computer, si è arrivati a trovare le prime

1.241.100.000.000 cifre decimali di pi greco.

Pi greco è una costante che compare ovunque e nei modi più inaspettati nella matematica.

Per esempio, il valore di pi greco può essere determinato con l’accuratezza desiderata mediante la serie: π

= 4 (1-1/3+1/5-1/7+1/9-1/11+…).

Si chiama identità di Eulero ed è considerata la più bella formula della matematica: eiπ + 1 = 0

Pi day

Il pi greco ha da sempre suscitato un grande fascino tra gli studiosi e gli appassionati di matematica. Nel

1988, all’Exploratorium, il celebre Museo della Scienza di San Francisco, per iniziativa del fisico Larry Shaw,

si tenne la prima celebrazione del pi greco. Non a caso fu scelta la data del 14 marzo (3.14 nella notazione

anglosassone, che richiama l’approssimazione con tre cifre di pi greco).

Da allora la celebrazione si ripete ogni anno in numerose scuole, università e istituzioni scientifiche di tutto

il mondo.

Il pi greco viene festeggiato con giochi, musiche, cortei, banchetti, conferenze, gare e altre iniziative tutte

ispirate alla costante matematica. In Italia la promozione e diffusione del giorno del pi greco nelle scuole si

deve soprattutto all’impegno del Politecnico di Torino, che da alcuni anni organizza in tale data importanti

iniziative a cura del Progetto Polymath.

Il 14 marzo 2009 anche il Comune di Udine ha organizzato la Festa del pi greco, promuovendo un

appuntamento pomeridiano nel centro cittadino con giochi d’ingegno a cura del Ludobus e una gara di Pi

greco a memoria (sfida all’ultima cifra). Si è trattato della prima iniziativa del genere in Italia organizzata

direttamente da un ente locale.

Il 12 marzo 2009 la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti d’America ha approvato la Risoluzione H.

Res. 224, con la quale sostiene la designazione del Pi Day e la sua celebrazione in tutto il mondo, allo scopo

di promuovere e incoraggiare lo studio della matematica. Il 14 marzo è anche l’anniversario della nascita di

Albert Einstein (1879-1955): un motivo in più per festeggiare questa data.

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Festa del pi greco

Nella convinzione che la matematica rivesta un ruolo di primaria importanza nella vita di tutti i giorni e che

la conoscenza scientifica rappresenti un’esigenza strategica nella società attuale, il Comune di Udine,

assieme all’Associazione Nazionale Città in Gioco (GioNa), invita tutte le Amministrazioni locali a indire la

Festa del Pi greco il giorno 14 marzo. In tale data si possono organizzare iniziative pubbliche, in

collaborazione con le scuole e gli istituti scientifici, allo scopo di avvicinare alla conoscenza della

matematica e delle scienze in generale la maggior parte dei cittadini, promuovendo un approccio festoso e

divertente attraverso giochi, conferenze e altre iniziative, affinché tale data diventi una grande festa della

matematica.

La Festa del Pi greco è stata presentata ufficialmente venerdì 25 settembre 2009 a Verona al Festival

Internazionale dei Giochi di Strada Tocatì, presente il Sindaco di Udine prof. Furio Honsell, già Magnifico

Rettore dell’Università friulana. Nel 2010 il 14 marzo cadrà di domenica. Motivo in più, a scuole chiuse, per

celebrare la Festa del Pi greco nelle piazze delle città italiane.

Vademecum per l’organizzazione di attività57

Si forniscono di seguito, ad uso di enti, associazioni e scuole, alcuni suggerimenti e consigli per realizzare al

meglio la Festa del Pi greco e rendere più divertente l’evento.

La data per organizzare la Festa del Pi greco è convenzionalmente stabilita il 14 marzo (3.14 nella notazione

anglosassone, che richiama l’approssimazione con tre cifre di pi greco). Poiché le prime cifre decimali del pi

greco sono 14 15, l’appuntamento può essere fissato alle ore 15. Buon compleanno, Albert! Il 14 marzo è

anche l’anniversario della nascita di Albert Einstein (1879-1955): un motivo in più per festeggiare questa

data.

Sfida all’ultima cifra, gara mnemonica di Pi greco: attività classica dove vince chi recita correttamente il

maggior numero di cifre decimali di pi greco a memoria.

Come memorizzare pi greco, concorso per la migliore frase o filastrocca per ricordare le cifre decimali di pi

greco (formata da vocaboli con un numero di lettere corrispondente alla sequenza delle cifre del pi greco);

ad esempio:

Che n’ ebbe d’ utile Archimede da ustori vetri sua somma scoperta?

3 1 4 1 5 9 2 6 5 3 5 8

57

Sono graditi commenti sulle attività proposte e contributi con suggerimenti e consigli, da inviare a: Comune di Udine - Dipartimento Politiche sociali, educative e culturali, Servizi Educativi e Sportivi Unità Operativa Ludobus, via Lionello 1 - 33100 Udine (UD), tel. 0432 271677-756, fax. 0432 271687 http://www.comune.udine.it/, e-mail: [email protected].

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o, in inglese:

How I want a drink, alcoholic of course, after the heavy chapters involving quantum mechanics!

3 1 4 1 5 9 2 6 5 3 5 8 9 7 9

Per i Facebook-dipendenti iscriversi al gruppo “Festa del Pi greco - Pi Day” per condividere notizie,

commenti, foto, video, eventi, ecc.

Pi greco puzzle, rompicapo, formato da sei pezzi, con cui ricostruire il simbolo del pi greco.

Probabilità e pi greco, proporre l’esperimento di Buffon (1707-1788): lancio di un ago di lunghezza l su un

piano con linee parallele a distanza l; qual è la probabilità p che l’ago intersechi una linea? Risposta: p = 2/π;

da cui ricavare il calcolo sperimentale di pi greco. Come? Fate cadere l’ago un numero qualsiasi Nv di volte;

contate il numero Nl di volte in cui l’ago incrocia una linea; Calcolate la probabilità p = Nl/Nv; quindi

calcolate π = 2/p.

Pi greco a piedi, marcia non competitiva su un percorso di lunghezza pari a 3,14 km.

Pi fashion, collane o braccialetti con perline di dieci colori diversi, ciascuno corrispondente alle cifre da 0 a

9, a comporre la sequenza 3,14159265…

Pi tattoo trucco del viso e tatuaggi (rigorosamente temporanei!) con il simbolo di pi greco e/o ispirati a temi

matematici.

Conferenze, incontri e conferenze per le scuole e/o per la cittadinanza su argomenti di interesse

matematico.

Catena umana, corteo o girotondo di persone che vestono una maglietta numerata (con cifre da 0 a 9) a

comporre la sequenza 3,14159265…

The Pi-Search Page, divertirsi a ricercare nella sequenza dei decimali di pi greco la data di nascita delle

persone che partecipano all’evento, utilizzando il Pi Searcher all’indirizzo:

http://www.angio.net/pi/piquery

Pi greco in cucina, preparazione e assaggio di cibi dolci e salati ispirati a pi greco: pizze, torte, ecc.

Grande schermo, proiezione o rassegna di film ad argomento matematico, ad esempio:

Pi - Il teorema del delirio (1998)

A Beautiful Mind (2001)

Morte di un matematico napoletano (1992)

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In ludoteca, ludoteca con giochi da tavolo di strategia astratti (dama, scacchi, othello, blokus, go, quarto!),

con giochi di logica e d’ingegno (rompicapo, tangram, indovinelli, sudoku, ecc.) e giochi enigmistici.

Pi greco in musica, canzoni e musiche ispirate al pi greco. Visita il sito:

http://www.avoision.com/experiments/pi10k/index.php

Grafica-disegno, concorso ispirato al simbolo pi greco.

In biblioteca e libreria, rassegne bibliografiche con testi di matematica ricreativa e divulgativa e letture di

testi di argomento matematico quale, ad esempio, Il mago dei numeri di H. Magnus Enzensberger.

Land Art, installazioni e/o performance ispirate al pi greco.

Soluzioni dei giochi

Pierino va in Paradiso

Poiché Adamo ed Eva sono gli unici a non essere nati in modo regolare, ossia da un normale parto, sono gli unici a non

mostrare un ombelico.

Pomodori secchi

All’inizio i pomodori contengono 5 kg (pari al 5% di 100 kg) di sostanza non acquosa (chiamiamola per comodità

polpa). Dopo 3 giorni di esposizione al sole, la percentuale di polpa non varia. Se la percentuale d’acqua è scesa al

90%, questo significa che la percentuale di polpa è pari al 10%. 5 kg sono il 10% di 50 kg. Pertanto i pomodori pesano

ora 50 kg (45 kg di acqua e 5 kg di polpa).

Un orso

L’unico luogo sulla Terra dove è possibile costruire una casa i cui muri sono tutti rivolti a sud è il Polo Nord.

L’orso quindi è di colore bianco.

La mamma di Pierino

Sia x l’età (in anni) di Pierino; l’età di suo padre è 30+x. Tra due anni l’età di Pierino sarà x+2, mentre quella di suo padre

sarà 32+x. Dall’enunciato del problema ricaviamo l’equazione 32+x=25(x+2) che ammette la soluzione x=-3/4. L’età di

Pierino è quindi -9 mesi: ossia i suoi genitori lo stanno concependo. Si presume che la mamma di Pierino sia a letto!

Riferimenti bibliografici

Birenboim A., Pazzi pazzi numeri, Milano, Sonzogno, 2001

Crilly T., 50 grandi idee di matematica, Dedalo, Milano, 2009

Devlin K., Il linguaggio della matematica, Rendere visibile l’invisibile, Bollati Boringhieri, Torino, 2002

Gardner M., Enigmi e giochi matematici, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2003

Hofstadter Douglas R., Gödel, Escher, Bach, Un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi, Milano, 1984

Honsell F., L’algoritmo del parcheggio, Mondadori, Milano, 2007

Mataix M., Ozi matematici, RBA, Milano, 2008.

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5. Modellismo nelle scuole

Roberto Lattini 58

Il convegno Chi ha rubato la marmellata, è stato per me un’esperienza molto positiva, visto l’interesse

mostrato dai partecipanti alla sessione, tutti molto coinvolti, ma anche per le numerose domande che mi

sono state poste durante e dopo l’intervento, e persino nei corridoi del centro congressi.

Innanzitutto mi presento: sono un modellista, responsabile della sezione di modellismo del Michelin Sport

Club di Torino e Cuneo. Ricercatore navale presso il Laboratorio Italiano di Archeologia Sperimentale di

Torino (L.I.A.S.T.). Ho collaborato con il Centro per la Cultura Ludica di Torino come consulente delle

sezione di modellismo dal 1987, sia per la realizzazione di mostre a tema, sia all’interno di corsi didattici.

Oggi in collaborazione con Amilcare Acerbi organizzo mostre didattiche e laboratori per docenti e studenti

di scuole elementari e medie. Costruisco modelli in scala per scuole e musei, il mio campo specifico è la

storia delle imbarcazioni, dalla preistoria sino al 1800; realizzo mostre didattiche corredandole di

documentazioni tratte da testi specialistici di tipo storico, antropologico, ingegneristico.

Il progetto che qui illustrerò riguarda un’esperienza in corso di svolgimento, condotta con Acerbi presso

una scuola media di Caorso, nel Piacentino; il titolo è “Storie e scene di fiume” e prende l’avvio da una

mostra di “Zattere e piroghe preistoriche e primitive” allestita nella biblioteca del paese. L’iniziativa è stata

proposta nell’ambito di Favoleinfesta, manifestazione tesa a promuovere il territorio e farne meglio

conoscere le risorse produttive e ambientali. Il Sindaco di Caorso, poi, ha richiesto esplicitamente di

valorizzare la zona adiacente al fiume Po che scorre nel territorio. Si è scelta la scuola media anche per

mettere a punto un modello di intervento per un’età spesso considerata problematica e restia al

coinvolgimento. Il concorso, di cui si riporta il testo in calce a questa relazione, prevede un’attività da

svolgere per l’intero anno, da soli o in piccolo gruppo, in classe oppure a casa, con o senza l’aiuto di genitori

e altri parenti.

Il senso pedagogico della proposta sta nel miscelare aspetti diversi in contemporanea: aspetti mitologici

(imbarcazioni preistoriche), ambienti reali e spesso non più esplorati perché se ne è persa la consuetudine

o se ne ha paura (il fiume, i campi, i boschi); aspetti di lavoro manuale (con l’uso di semplici seghetti del

traforo e materiali naturali come legno, foglie, erbe oppure di strumenti più sofisticati come seghetti

termici, silicone, polistirolo, dai pennelli alle macchine fotografiche digitali); impegno a narrare (con la

tridimensionalità colorata, materica, sensoriale così come con la scrittura) utilizzando elementi linguistici

58

Responsabile della sezione modellismo del Michelin Sport Club di Torino e Cuneo. Ricercatore navale presso il Laboratorio Italiano di Archeologia Sperimentale di Torino (L.I.A.S.T.). Consulente di modellismo dal 1987 presso il Centro per la Cultura Ludica di Torino, collaboratore con Giancarlo Perempruner e Maria Carla Rizzolo per corsi didattici e mostre di modellismo.

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tratti dal proprio ambiente di vita ed elementi tratti dall’immaginario derivato dalle narrazioni video;

operando in gruppo.

Altro aspetto pedagogico significativo è dato dall’intervento degli adulti: non si tratta di un vero e proprio

corso, ma solo della presentazione di esempi e modelli che fanno leva sulle abilità e sulla creatività del

gruppo che si è formato, gli insegnanti e i genitori e parenti possono entrare nella lavorazione, se richiesti

dai ragazzi; le scadenze sono poche e diluite nel tempo di un anno scolastico, dunque a sollecitare una

presa in carico della responsabilità, la scuola accetta la proposta, la accoglie all’interno, un’insegnante si fa

carico di essere il tramite e il terminale delle iscrizioni. La proposta prevedeva le seguenti fasi59:

a. presentazione a tutte le classi, riunite a due per volta di alcuni modelli di imbarcazioni primitive, la illustrazione del concorso, la presentazione di materiali e attrezzature necessarie per costruire imbarcazioni, l’invito a iscriversi e l’invito a ritornare nel pomeriggio per iniziare alcune lavorazioni esemplificative;

b. un secondo appuntamento a distanza di due mesi, sempre a tutte le classi, per presentare alcuni modelli di scenografie e plastici; la verifica degli elaborati realizzati dai ragazzi; l’invito a partecipare nel pomeriggio alla costruzione dei primi prototipi di scenografia, verificando direttamente strumenti, materiali e tecniche;

c. un terzo appuntamento per verificare le realizzazioni dei vari gruppi (inizialmente si sono iscritti 45 ragazzi e ragazze; la partecipazione reale è stata alla fine dell’anno di 33 allievi, pari al 25% dei frequentanti la scuola);

d. un quarto incontro in cui sono esposti gli elaborati, in scuola, onde tutti gli insegnanti e i genitori le vedano, successivamente una mostra durante la Festa del Pescatore, nella frazione di Roncarolo, perché la popolazione possa apprezzare l’impegno dei ragazzi60.

L’elaborato finale doveva comprendere la costruzione di un natante preistorico (di massima una zattera), la

creazione di un diorama “fluviale” in cui inserire il natante, una serie di fotografie relative ai luoghi

rivieraschi utilizzati per ispirare il diorama; un breve racconto che avesse e protagonista quanto inserito nel

diorama. Tutto ciò per stimolare l’attività di gruppo, l’esplorazione d’ambiente, il dialogo e il

coinvolgimento dei genitori. Che in effetti c’è stato, considerato che i lavori sono stati realizzati quasi

completamente al di fuori degli orari scolastici.

Per riuscire a riprodurre con la massima fedeltà gli ambienti i ragazzi sono infatti partiti con la scelta di un

angolo di natura fluviale reale, da fotografare e studiare in tutti i suoi dettagli. Il tutto condito con un po’ di

“pepe e sale”come è d’uso nell’ambiente ludico, facendo tesoro di tutto il materiale che la natura stessa

può mettere gratuitamente a disposizione, infatti la prima suggestione è stata quella di spronare i ragazzi

ad immergersi nel territorio dotati di zaino a tracolla e di un utile corredo di sacchetti e di borse, per

raccogliere terra, sabbia, pietre, foglie, rami di ogni tipo e dimensione.

La ricerca si è poi ampliata in una falegnameria, tra i materiali di recupero: per scegliere una tavola di

dimensioni utili a realizzare il progetto del diorama; raccogliere vari tipi di segatura da usare naturali o da

59

La stesura della relazione definitiva è avvenuta in giugno, quindi le notizie riportate riguardano già i risultati del percorso illustrato nell’ambito del convegno. 60

L’iniziativa si è svolta con la collaborazione del Comune di Caorso e dell’ANSPI di Roncarolo, associazione promotrice di iniziative di festa in cui i ragazzi da sempre hanno un ruolo attivo.

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colorare in seguito; reperire polistirolo residuo di imballaggi e quant’altro poteva essere utile all’attività. Il

lavoro è stato svolto dai ragazzi, soli o con l’aiuto dei genitori, del proprio insegnante, o in gruppo con

diversi compagni di scuola e in questo caso avendo la possibilità di dividere i compiti per realizzare il

progetto: qualcuno si dedica alla zattera, altri alla ricerca fotografica, altri ancora al diorama e allo

svolgimento del racconto. Il percorso didattico interattivo così impostato ha consentito di mettere in azione

sia la manualità e il movimento, sia l’approfondimento letterario e scientifico, attraverso le diverse

competenze che sono chiamate ad attivarsi per la realizzazione: matematica, geometria, storia,disegno,

geografia eccetera.

Il laboratorio didattico di Caorso

Il laboratorio di modellistica è stato realizzato nel grande atrio/anfiteatro della scuola. La prima lezione con

la presenza di 132 studenti, divisi in due prime, due seconde e due terze, con i rispettivi insegnanti. Per

prima cosa ho spiegato le qualità e lo scopo dell’attrezzatura e dei vari oggetti che avevo portato: modelli,

utensili e svariati materiali, cercando di interessare i ragazzi all’argomento.

Per rompere il ghiaccio ho fatto circolare tra i ragazzi i modelli di zattere e piroghe che avevo a

disposizione, affinché si rendessero conto in che cosa consistesse un modello. Naturalmente ho notato una

certa apprensione negli insegnanti, ma li ho tranquillizzati subito: i ragazzi avrebbero avuto sicuramente

rispetto per i modelli e gli oggetti cosa che poi puntualmente è avvenuta. Questo gesto di fiducia verso di

loro ha dato subito i suoi frutti, ed è stato ampiamente ricambiato dall’interesse dimostrato in seguito e

dalle numerose domande che via via mi venivano rivolte.

La spiegazione successiva ha riguardato la costruzione di una zattera con l’uso di cinque tondini di legno da

un centimetro, da unire tra loro con uno spago; l’aspetto stimolante per attirare la loro attenzione è stato il

tipo di nodo che era necessario per fare le legature: un nodo senza il quale non è possibile tenere assieme il

legno. Con un minimo di provocazione ho chiesto se qualcuno dei presenti fosse in grado di effettuare una

legatura capace di non sciogliersi indebitamente, e come immaginavo nessuno dei ragazzi (né dei docenti)

sapeva farlo. Ho chiesto se conoscevano il “nodo dell’impiccato”, e mi hanno guardato tutti piuttosto

perplessi: allora ho eseguito, sotto i loro occhi, il nodo scorsoio, quello cioè utile per legare i tronchi. A

questo punto tutti, studenti ed insegnanti, hanno avuto un pezzo di cima e hanno cominciato a lavorare su

quel nodo sino a che tutti non lo hanno ben memorizzato, dopo di che abbiamo visto come metterlo in uso

per realizzare la piccola zattera. Il tempo è trascorso in fretta; ci siamo dati appuntamento con chi era

interessato a sviluppare l’argomento nel pomeriggio, in un luogo attrezzato come laboratorio.

Qui la lezione pomeridiana, che doveva durare una sola ora, si è protratta per ben tre ore, con sommo

piacere mio e degli studenti che si sono presentati nei locali messi a disposizione dal parroco di Roncarolo,

dove avevo allestito un laboratorio con il mio materiale, e dove un lungo tavolo è diventato una efficace

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base di lavoro: Loredana, Gianluca, Michele, Edoardo, Aldo, Daniele, Damiano, Alessandro sono stati i miei

primi allievi del laboratorio sperimentale di modellismo e i loro primissimi modellini sono serviti come

“richiamo” per i compagni di classe.

La volta successiva la lezione è ripresa dal famoso nodo, in modo da impararlo meglio per poi passare alla

spiegazione di come si usa l’archetto da traforo: come si monta e si aggancia la lama, mostrando in pratica

come questa non sia affatto pericolosa per le mani, (direttamente passandoci sopra un dito) perché la lama

da traforo se usata con cura taglia solo il legno. Ho insegnato come piazzare la tavoletta di sostegno e

montarla sul tavolo con il morsetto, per non danneggiare il mobile quando si usa l’archetto. A questo punto

ho consegnato ai ragazzi un tondino di legno lungo un metro con il compito di trasformarlo in una zattera di

cinque tondini di lunghezza uguale e li ho messi al lavoro.

Posso dire che ciò che ho visto nei loro occhi è stato un entusiasmo che non mi accadeva di vedere da molti

anni; la voglia di creare qualcosa, di poter usare degli utensili che purtroppo nelle scuole sono ormai

banditi. Tutto questo mi ha ricordato il mio passato di ragazzo, quando mi ingegnavo a realizzare, con il

legno delle cassette della frutta, spade, pugnali ed altri giocattoli, con lo stesso eccitamento e la stessa

espressione di felicità che ora leggevo sui loro volti.

Al termine della lezione che, come ho già detto, si è protratta più del dovuto, li ho lasciati con il compito di

costruire per l’incontro successivo una zattera con listelli a scalare usando un tondino da un metro da me

regalato ad ognuno. Dopo circa due mesi dal primo incontro, ho preparato un nuovo laboratorio nell’atrio

della scuola. Gli oggetti che servivano alla lezione, oltre a due archetti da traforo, erano contenuti in scatole

trasparenti, sacchetti e scatoloni; c’era anche un certo numero di modelli nuovi: zattere, barche egizie,

mesopotamiche e del lago Titicaca.

Un astrolabio polinesiano appeso ad un traliccio ha suscitato molta curiosità, così come una “carta nautica

eschimese” costituita da un tronchetto tutto sagomato e intagliato sui lati. Barattoli trasparenti di plastica

(quelli dei cioccolatini) contenevano essenze utili allo svolgimento della lezione, inoltre ramoscelli di ogni

genere e lunghezza, saggina delle scope, listelli di faggio, pioppo, noce, matasse di spago di diverse

sanzioni, e polistirolo come materia prima, in abbondanza, oltre a strumenti solo taglierini “opinel”, forbici

e un archetto termico per lavorare il polistirolo.

Non mancava la colla vinilica, l’unica che uso e faccio usare senza pericolo di intossicazioni, mentre ci vuole

molta attenzione quando è necessario l’uso di altre colle, magari a base di benzolo, o resine, a causa della

loro tossicità.

Come nella lezione precedente ho iniziato presentando le varie essenze che andavo mostrando, facevo

passare di mano in mano i barattoli ed i sacchetti chiedendo ai ragazzi di indicare il contenuto: sabbia,

terra, ghiaia, pietre, foglie tritate o intere, segatura di vario tipo con colorazione naturale a seconda del tipo

di legno, ma anche di quella colorata artificialmente in giallo, verde, rosso, eccetera. Passato il primo

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momento di distrazione con l’esame delle essenze, è iniziata la spiegazione di come si costruisce un

diorama.

In primo luogo mi sono fatto mostrare da quelli che avevano costruito una zattera a casa la loro opera e ho

notato con piacere che tra essi, oltre a quelli che avevano partecipato alla prima lezione a Roncarolo,

c’erano altri studenti che avevano raccolto il mio invito ed avevano realizzato il lavoro secondo le mie

indicazioni; alcuni avevano completato la loro zattera persino con un albero per la vela.

Siamo poi partiti con il diorama: una tavola di compensato è diventata il basamento, con l’aiuto di tutti i

ragazzi si è iniziata la costruzione che deve fornire alla zattera lo scenario in cui sarà posizionata. Mentre

lavoravo parlavo e descrivevo quello che si doveva fare, ma anche di tutte le implicazioni logistiche, così ho

chiesto ai ragazzi, “dove andrebbe bene ambientare una zattera?”... “ma è semplice, in un fiume!”… “e

allora facciamo un diorama in cui passi un fiume” … “e il fiume come si fa?” … “semplice, si scava un solco

abbastanza largo e profondo sul terreno di base, e poi si riveste la cavità con la sabbia, pietre e detriti di

vario genere, come potrebbe essere sul fondo e sulle sponde di un onesto corso d’acqua …”.

I ragazzi cominciavano a darmi suggerimenti ed a porgermi le essenze e i materiali che secondo loro

andavano bene e quando l’alveo è completato siamo passati a creare l’acqua, naturalmente “artificiale”, a

questo è servito benissimo il silicone con i suoi ottimi effetti di trasparenza. Per completare poi l’effetto

scenografico del diorama abbiamo aggiunto un albero. Per questo ho proposto ai ragazzi di scegliere tra

alcuni bonsai di varie misure che avevo in uno scatolone, facendo prendere quello che a loro pareva più

proporzionato alle dimensioni del diorama: così ho potuto illustrare l’importanza dell’effetto di scala che

ogni buon modellista deve conoscere alla perfezione.

L’appuntamento si è poi spostato nel pomeriggio per la solita ora didattica da tenersi nell’atrio dell’istituto

e mi sono preparato a rispondere alle domande che mi sarebbero state rivolte.

L’incontro è stato entusiasmante, anche perché oltre metà della scolaresca aveva scelto di venire ai miei

incontri. Allora ho messo a disposizione dei molti presenti tutto il materiale che avevo portato e sono stati

realizzati con il polistirolo piccoli diorami ed altro di loro fantasia. Si sono consumati due chili di colla,

cinque tubi di silicone, parti di bonsai ed altro materiale, ma a me ha fatto un immenso piacere notare

l’entusiasmo che tutti mettevano nel creare “qualcosa” e nel mostrarmelo con orgoglio.

Tre ragazze mi hanno chiesto di insegnare loro a costruire una barca egizia con le caratteristiche fascine di

paglia. Usando i fili di saggina abbiamo fatto dei fasci panciuti al centro e affusolati alle estremità, poi

unendo assieme quei fasci abbiamo dato forma ad una barca. Nel giro di due ore il lavoro era compiuto; è

stata una grande soddisfazione capire che il mio esperimento era riuscito e che i ragazzi avevano compreso

il mio messaggio: loro sono ancora e sempre “creativi”, basta portarli nella giusta direzione ed insegnare

“come si fa”; hanno ancora una gran voglia di imparare.

Il terzo appuntamento è stato dedicato a come si crea in un diorama, un manto erboso, con del materiale

naturale come la canapa dei lattonieri.

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Il laboratorio è stato impostato con plastici da me costruiti, che poi sono rimasti in visione nella scuola, a

disposizione dei ragazzi, così che fossero incoraggiati a crearne altri di loro iniziativa. La proposta è

consistita in una modalità per così dire “cellulare”, che rende possibile riunire pezzi vari per formare un

grande diorama unico, in cui inserire fiume, zattera, ponte di legno, palafitta, cascata, ecc., elementi che

creano “movimento” nello scenario, e ancora un altro con una capanna ed infine il lago Titicaca, con una

delle sue barche di giunchi.

La mia opinione su questo programma è che il modellismo nelle sue sfaccettature può essere di stimolo

nella preparazione scolastica, perché sprona l’immaginazione, la scoperta dei materiali (peso, consistenza,

duttilità) e del loro uso nell’adattarlo al modellismo, ma soprattutto dà ai ragazzi la possibilità di esprimersi

destando, o ridestando, la manualità propria dell’Homo Sapiens.

Mi auguro che in futuro la scuola ne prenda atto e sostenga la realizzazione di laboratori didattici manuali,

vale a dire rimetta in gioco le antiche “Applicazioni tecniche” attraverso il coinvolgimento di istruttori

didattici validi, da affiancare al corpo docente, con il compito di offrire allo studente stimoli tecnici e

tecnologici”.

Sono e siamo disponibili a incontrare chiunque sia interessato a questo progetto.

Considerazioni per non concludere

Grazia Bisonni

L’esperienza ormai trentennale sul campo e la fortuna nell’ultimo periodo di operare in un Centro di

Cultura per il Gioco situato all’interno di un parco pubblico mi suggeriscono questo tipo di osservazione:

che cosa accade quando un gruppo di ragazzini incontra uno spazio non strutturato, un prato se sono

fortunati, ma anche una piazza o una strada non destinata al traffico automobilistico?

Come per magia, quasi sempre salta fuori una palla e quattro zainetti o magliette diventano i pali di porte

immaginarie delimitando così i confini del campo di gioco, oppure si improvvisa una gara con lo skateboard

per affrontare scalini e imperfezioni del terreno che possono provocare rimbalzi inaspettati.

Ma si tratta di immagini abbastanza rare nelle nostre città e al ragazzo o alla ragazza amanti del gioco

sportivo non resta che rivolgersi ad una palestra o un campo attrezzati.

Questo il grande paradosso in cui viene a trovarsi il gioco e in particolar modo il gioco di movimento:

quando il tempo libero infantile non era considerato un problema educativo ma veniva lasciato alla

discrezione dei bambini stessi, il gioco nasceva non da un’intenzionalità educativa adulta ma da una

necessità quotidiana dei bambini, che dovevano anzi inventarsi il modo di sopravvivere ad una certa

trascuratezza da parte degli adulti. I bambini dovevano arrangiarsi, ma, avendo molto tempo per giocare

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insieme ed uno spazio per poterlo fare, mettevano in campo tutta la loro creatività per inventare i modi più

personalizzati di divertirsi.

Dove ancora l’infanzia può disporre di tempi e spazi di aggregazione autonoma e ha la possibilità di vivere

un rapporto diretto con la realtà fisica e sociale, sviluppa una vera e propria cultura ludica indipendente che

si trasmette direttamente, senza mediazioni del mondo adulto.

Nell’organizzazione delle società moderne con la loro continua frammentazione dei saperi e dei tempi,

invece, il gioco e il giocare, e proprio perché riconosciuti come vitali per l’esistenza, vengono direzionati

verso ambiti creati e organizzati appositamente dagli adulti.

I ritmi veloci della vita quotidiana, il processo di specializzazione funzionale degli spazi urbani che ha

progressivamente fatto scomparire luoghi di libero incontro e, contemporaneamente, l’estensione dei

tempi scolastici e il proliferare di attività specialistiche nel tempo libero, che offrono occasioni di amicizia,

ma solo fra coetanei e non la socializzazione fra soggetti di età diverse, hanno interrotto quel circuito

naturale di trasmissione continua e non programmata di regole e pratiche dei giochi di gruppo, di tutti quei

giochi che chiedono tempi dilatati e spazi ampi e aperti.

Oggi queste esperienze possono anche essere organizzate e lo sono, spesso con grande attenzione e

professionalità, da educatori e insegnanti, ma non è la stessa cosa: viene a mancare quello spirito di fuga

dal mondo adulto, di autonomia, di libertà e di imprevedibilità che rende il gioco sempre una nuova

avventura. I comportamenti dei giocatori sono regolamentati a priori e bambini e ragazzi compiono sempre

tutto con azioni codificate e stabilite dagli adulti.

Un gioco di competizione spontanea non richiede lo stimolo di premi o medaglie, è divertente per chi lo

gioca, la gara si svolge solo all’interno del campo gioco, non prevede tifosi ed è quasi sempre possibile

variare la durata della competizione, i ritmi dei punteggi e determinare sul momento il termine della partita

e delle rivincite. Può accadere che non vi siano punteggi finali a sancire la conclusione, ma un’alternanza di

successo e insuccesso e di ruoli interscambiabili, o il gioco può ricominciare automaticamente, cosicché

ciascuno è di fronte a una nuova possibilità. Consente di sperimentare forme relazionali diversificate, non

solo la competizione fra singoli giocatori o l’alleanza di un gruppo contro un altro gruppo, ma, in diversi

giochi il meccanismo prevalente risulta essere quello dell’ambivalenza ludica, cioè la possibilità di essere

contemporaneamente alleati e avversari di qualcuno e conseguentemente di trovarsi nella condizione di

variare le proprie alleanze e cercare continuamente nuove strategie di gioco.

Le regole appartengono solo ai giocatori e parte del gioco è dedicato alle discussioni sulle stesse: le regole,

la loro natura, la loro trasformazione, l’intervento che i giocatori possono compiere su di esse,

appartengono alla sfera degli affetti, allo sviluppo delle capacità relazionali, allo sviluppo della coscienza di

sé e del proprio essere con gli altri. Proprio nel gioco e nella sua carica identificativa si muovono aspettative

e progettazioni, amicizie e ostilità, esuberanze e timidezze, emozioni e regolamentazioni. Solo chi gioca

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capisce cosa stia avvenendo all’interno del campo e solo chi gioca si fa arbitro degli eventi complessi che

avvengono durante la partita.

Ogni giocatore è accettato dal gruppo nello svolgimento del ruolo che ha in quel momento, non è

sottoposto a giudizi o valutazioni e se sbaglia, quasi sempre cambia ruolo o al limite, in molti giochi, fa la

penitenza, che poi è un altro gioco.

Questo non significa svalutare lo sport praticato nelle Federazioni, significa semplicemente segnare una

differenza.

I due sottogruppi che si sono confrontati su questo tema “gioco e sport”, guidati da Loretta Fabiani e

Michele Segreto, hanno richiamato la nostra attenzione sul fatto che non sempre i giochi sportivi praticati

nelle Federazioni perdono la loro identità ludica per assumerne una esclusivamente tecnica, specialistica,

professionalizzata e tesa alla selezione di piccoli campioni, ma che esistono molte realtà in cui l’aspetto

educativo e quello ludico e della relazione sono prioritari e che in questa direzione si effettua la formazione

degli allenatori. La consapevolezza degli allenatori di essere in primo luogo educatori è risultata essere una

delle questioni prioritarie da sottoporre alla riflessione di tutti i partecipanti al convegno.

Un suggerimento si è aggiunto nella discussione conclusiva in merito all’intervento educativo che dovrebbe

essere rivolto in primo luogo ai genitori, che sovente investono sui propri figli aspettative di successo oltre

misura, perché essi costituiscono un modello per il tipo di approccio che i bambini avranno con lo sport. E

forse questo sforzo educativo potrebbe tentare di aprire una breccia nella nostra società, dominata dalla

fabbrica del divertimento, che rischia di allontanare sempre più il gioco di gruppo e di squadra dalla sfera

del divertimento disinteressato, trasformandolo e modellandolo secondo l’ideologia competitiva

dominante, che impone il principio della supremazia nei confronti degli altri, ostenta ammirazione e

rispetto soltanto per i “vincenti” ed enfatizza l’aspetto di spettacolarità della competizione sportiva e il

risultato finale.

Non più abituati a vedere i ragazzi giocare liberamente all’aperto e un po’ spaventati dai grandi spazi aperti

non strutturati che consideriamo ambienti pericolosi e non adatti ai bambini, è più facile e tranquillizzante

per noi adulti, genitori o educatori, predisporre spazi idonei, sicuri, con tutti i possibili para-pericoli, con

materiali e oggetti creati appositamente per l’infanzia.

Il pedagogista Walter Ferrarotti amava ricordarci che “il luogo più sicuro di questo mondo è il luogo più

diseducativo di questo mondo” perché la sicurezza non è solo un problema di ambiente da modificare, ma è

soprattutto un problema di conoscenza, di consapevolezza del rischio, di capacità di riconoscere il contesto

in cui ci si muove ed assumere comportamenti adeguati, di capacità di prevedere le conseguenze di

un’azione. La sicurezza è in primo luogo un problema educativo e di sviluppo dell’autonomia.

In nome della sicurezza dei nostri bambini spesso limitiamo i loro contatti con la realtà, che avvertiamo

sempre più minacciosa, offrendo in cambio conoscenze preconfezionate senza che possano verificarle con

l’esperienza diretta; e così, nelle ultime generazioni, sempre più bambini e ragazzi imparano a rapportarsi

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con animali, luoghi, persone senza averne avuto una conoscenza diretta, crescono assorbendo la realtà

sempre sotto forma di racconto di esperienze fatte da altri e codificate anziché viverle in prima persona,

sono immersi in un mondo di immagini televisive e di libri molto ben illustrati, sono circondati da giocattoli

che riproducono perfettamente oggetti reali, ma sono sempre solo imitazioni della realtà.

Il fatto che ai ragazzi manchi l’esperienza diretta ed esplorativa dell’ambiente fisico e sociale che li circonda,

il problema della sicurezza e la necessità di recuperare la mobilità, la manualità e il rapporto con la natura,

sono alcuni dei temi su cui i sottogruppi guidati da Stefano Oletto e Roberto Lattini ci invitano a riflettere.

Dal momento che nella nostra moderna organizzazione urbana ogni luogo è stato adibito ad una precisa

funzione e gli spazi cittadini esterni sono destinati quasi esclusivamente al transito, è venuta a mancare

quella loro importante funzione sociale di luoghi di incontro, ma non è affatto scomparso il bisogno di

incontrarsi. Lo si può notare dall’interesse e dalla grande partecipazione alle feste e manifestazioni

cittadine organizzate in piazza. Ne è un esempio “La festa del л” che ci ha raccontato Paolo Munini, in cui

anche gli adulti sono coinvolti in prima persona in un’esperienza ludica.

Un intervento su questo argomento ha sottolineato l’importanza di quei giochi della “matematica

ricreativa”, in cui i bambini, i ragazzi e gli adulti riescono a sentirsi “alla pari”; sono quei giochi che possono

essere giocati con divertimento da tutti e quindi possono essere anche alla base di nuove relazioni fra

individui diversi. Non solo, ma “uscire dagli schemi”, che è stato considerato dal gruppo di lavoro un punto

fondamentale da porre all’attenzione di tutto il convegno, allenare la mente a questo, può contribuire ad

aumentare la curiosità verso quanto ci circonda e può abituare a considerare gli altri nella loro complessità.

Questo è un atteggiamento che si acquisisce nel tempo, che necessita di un costante allenamento, e di un

esercizio di coerenza educativa più che di un diretto insegnamento.

Nella fase conclusiva del lavoro si è evidenziata la necessità di rimettere insieme tutti gli aspetti affrontati

nella discussione per non rischiare di proporre un approccio frammentato nei confronti del bambino: ora si

considera il momento di svago, ora il momento di apprendimento, ecc., per affrontare il discorso educativo

nella sua complessità.

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Capitolo 5

Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare

Il tema: in un momento in cui pare abbia ripreso importanza culturale e storica la salvaguardia della

memoria, al di là dell’evento folcloristico della festa di paese, (senza voler esprimere alcun giudizio di valore)

in quale dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare?

Coordinamento a cura di: Antonio Damasco, Bruna Pangallo

Contributi di: Antonio Damasco (Rete Italiana Cultura Popolare - Torino), Bruna Pangallo (Punto gioco

Cirimela - ITER - Torino), Piero Santoni (Associazione L’ingegneria del buon sollazzo - Firenze), Giancarlo

Tavella (Associazione Il gioco delle bije - Farigliano), Maria Pina Casula (UISP Sardegna - Cagliari)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Antonio Damasco, Bruna Pangallo

Il tema proposto in questo gruppo di lavoro suggerisce di esaminare l’aspetto più tradizionale del gioco in

un’ottica che parte dalla realtà attuale, dalle caratteristiche, dagli interessi delle nuove generazioni di oggi,

per rivedere senza pregiudizi ma anche senza inutili enfasi, cosa è sopravvissuto, cosa è assolutamente

indispensabile non perdere della cultura ludica tradizionale poiché conserva un valore educativo pregnante

e significativo per la società contemporanea.

L’interrogativo da cui si è partiti riguarda la dimensione in cui si può ancora incontrare e reinventare il gioco

di tradizione popolare in un momento in cui ha ripreso importanza culturale e storica la salvaguardia della

memoria, depositaria di una cultura popolare da non disperdere. Antonio Damasco ha aperto i lavori

presentandosi ed illustrando gli obiettivi e le attività della Rete Italiana di Cultura Popolare, soffermandosi

in particolare sui concetti di salvaguardia delle testimonianze viventi di varie forme di cultura popolare,

incluso il gioco, della trasmissione di questa cultura tra diverse generazioni, sul concetto di “tradimento”

insito nella trasmissione stessa e lanciando l’invito ad entrare nella Rete a tutti gli operatori e le

organizzazioni che, a diverso titolo, si adoperano per mantenere in vita le nostre tradizioni ludiche.

Subito dopo c’è stato l’intervento di Bruna Pangallo che, ricollegandosi ai concetti già espressi, ha riportato

il tema della cultura, della memoria e dell’oralità ad una dimensione più direttamente ludica, parlando di

gioco come espressione privilegiata della cultura popolare, ma anche come forma educativa imprescindibile

per la trasmissione di quei valori socialmente condivisi che caratterizzano una comunità e contribuiscono a

creare una forte identità di gruppo.

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Altri temi toccati nell’intervento, e proposti per un approfondimento nella successiva discussione, sono

stati il problema del rapporto tra gioco creativo, costruzione e autoproduzione di giocattoli e norme e

misure di sicurezza vigenti, rapporto spesso complicato e ricco di insidie, fonte di ansia per molti educatori;

inoltre il tema del gioco d’azzardo ieri e oggi, nelle sue diverse forme ed espressioni, è apparso un

indicatore significativo del rapporto tra disagio sociale, deprivazione culturale e necessità di un riscatto

economico-sociale o, almeno, della possibilità di nutrirne la speranza.

A questo punto la parola passa ai due interventi prenotati per la presentazione di esperienze significative e

buone pratiche: Piero Santoni della Compagnia del Buon Sollazzo di Rignano sull’Arno (Firenze) e Maria

Pina Casula della UISP di Sassari.

Piero Santoni presenta l’esperienza portata avanti dalla sua associazione attraverso la creazione di un

ludobus e di tutta una serie di giochi autocostruiti che, recuperando lo spirito e la giocabilità dei giochi

tradizionali, sono stati reinventati con materiali e tecniche attuali, per offrire sempre nuovi stimoli ludici in

una società sempre più condizionata dalla comunicazione ipertecnologica. Viene quindi presentato il

progetto di un “Parco Diffuso”, che con ambizione ed audacia propone la realizzazione di un sogno: una

Città Ludica, in cui tutti, bambini ed adulti, possano ritrovare una vivibilità degna della dimensione umana.

La pedagogista Maria Pina Casula, presidente della UISP di Sassari, presenta una interessante ricerca sugli

sport ed i giochi tradizionali in Sardegna, realizzata negli anni 2006-07, che ha coinvolto i bambini dei centri

estivi, educatori e studenti dell’istituto statale d’arte di Sassari, oltre che 238 anziani del territorio

interessato, che sono stati intervistati ed hanno offerto la loro testimonianza su giochi, racconti,

filastrocche ed usanze ludiche di un passato più o meno recente, ma comunque quasi dimenticato. Il lavoro

di ricerca ha condotto ad una classificazione dei giochi “ritrovati” e alla ricostruzione di alcuni giocattoli e

manufatti artigianali, consentendo di mettere in relazione due mondi diversi (sport e cultura) ma non

contrapposti, e stimolando l’organizzazione di numerose giornate di animazione e festa, durante le quali

bambini, giovani, adulti e anziani sono stati coinvolti in giochi di piazza e in eventi ludici di grande

risonanza.

A seguito di questi due interventi molto interessanti è stato aperto il dibattito agli interventi liberi sui temi

proposti, sulle diverse esperienze di lavoro ludico e su eventuali considerazioni sulle relazioni ascoltate.

Non possono non cogliere subito l’occasione di portare la loro significativa esperienza le insegnanti del

settore Tradizione del Centro per la Cultura Ludica di Torino, che intervengono descrivendo la realtà del

centro nei suoi diversi aspetti, le proposte per il pubblico e per il privato, per le scuole, per le famiglie, per

la formazione di insegnanti ed educatori. Si soffermano in particolare sul recupero e la riproposta dei giochi

di strada e di cortile, la ricostruzione di giocattoli con materiale di recupero sia rurale che urbano e

ricordano la collezione di giochi della tradizione piemontese raccolta da Giancarlo Perempruner,

soprattutto nelle valli cuneesi.

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La loro esperienza testimonia il grande valore di questi giochi, che conservano una grande giocabilità ed un

non trascurabile valore educativo a livello relazionale in generale ed interculturale in particolare. Il gioco

diventa un linguaggio universale nello spazio e nel tempo: in questa ottica si sta sviluppando il progetto

dello SmiG (Spazio mostre in Gioco), che nella nuova sede espositiva di via Fossano accoglierà inizialmente

la raccolta di giochi del Marocco realizzata dall’antropologo belga Jean Pierre Rossie.

Sonia, un’educatrice della ludoteca Aquilone di Amelia (Terni) racconta la sua esperienza di spazio gioco

con bambini da uno a tre anni al mattino e con ragazzi di età scolare al pomeriggio, ricordando soprattutto

le difficoltà incontrate nel rapporto con i genitori e gli adulti in genere, a causa della paura dei pericoli e del

problema della sicurezza quando si propongono attività di laboratorio o di gioco che esulano anche

minimamente da quelle effettuate normalmente a scuola. Si tratta effettivamente di un problema molto

sentito, soprattutto nelle realtà più piccole, dove il timore di incorrere in “incidenti” di percorso può

portare ad un atteggiamento di eccessiva prevenzione, che può tradursi in minori stimoli creativi.

L’intervento di Francesco, un educatore dell’associazione Babalud di Saviano (Na), specializzata sui giochi

della tradizione soprattutto campana, riporta l’attenzione all’ambiente in cui si trovano ad operare,

caratterizzato da forti disagi sociali, e alle particolari modalità di intervento diretto necessarie per interagire

positivamente con i ragazzi del luogo; si tratta sovente di organizzare attività prevalentemente all’aperto, a

differenza del Nord Italia, e la rivalutazione di alcuni giochi tradizionali come la lippa (chiamato mazza e

pizzo), ritrovati nella grande manifestazione nazionale di Verona, è uno degli strumenti privilegiati per

lavorare sulle dinamiche di gruppo, la contrattazione delle regole, l’inserimento di nuovi soggetti nei gruppi

precostituiti e per raggiungere alcuni obiettivi primari quali il rispetto reciproco, la capacità di rispettare le

regole, i tempi del gioco e risolvere in maniera civile le controversie. In questo caso la tradizione deve

essere adattata alla realtà dei giovani di oggi, e necessariamente modificata per permettere quella

“palestra di relazioni” di cui essi maggiormente necessitano.

Intervengono nuovamente le insegnanti del Centro per la Cultura Ludica di Torino sul problema della

sicurezza, ricordando la propria personale esperienza di formazione con Giancarlo Perempruner, il quale

consigliava per la costruzione dei manufatti l’uso di semplici strumenti, se possibile manuali e non elettrici,

e l’utilizzo di un coltellino OPINEL , una volta in dotazione di ogni famiglia, ma anche di molti ragazzini. Il

segreto per lavorare in sicurezza consiste nel fare esperienza: il primo gioco è proprio prendere un arnese

in mano e studiarne il funzionamento, a prescindere dalla produzione di un prodotto finito. Sovente nei

loro centri si può osservare che i nonni fanno da mediatori in queste attività più dei genitori, poiché

provengono da un tempo in cui queste esperienze “costruttive” erano fondamentali per ogni ragazzo,

apprese attraverso l’insegnamento dei fratelli maggiori o dei ragazzi più grandi, oggi del tutto scomparso a

causa della rigida organizzazione sociale in gruppi d’età omogenei. Solo nei loro laboratori, sovente, i

ragazzi possono realizzare queste esperienze, e le insegnanti tentano, pur con difficoltà ma con successo, di

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far usare molti attrezzi manuali insegnandone l’uso con gradualità: ciò costituisce già di per sé un grosso

valore educativo che va oltre quello della conoscenza e riproduzione dei giochi di una volta.

Rosi, un’insegnante del punto gioco Cirimela di Torino, ricorda come anche nel suo centro a volte gli adulti

presenti, genitori o insegnanti, abbiano difficoltà a tollerare il rumore o l’apparente “confusione” di un

atelier produttivo, ed in questo caso vengono invitati, senza darne un giudizio negativo ma

comprendendone le difficoltà, a “prendersi uno spazio per loro”, allontanandosi se ne hanno la necessità,

per arrivare poco per volta a comprendere il valore delle attività che i loro ragazzi stanno svolgendo. Viene

ricordato, ad esempio, un percorso per le scuole di qualche anno fa, intitolato “Battere il chiodo”, che è

stata un’esperienza molto bella per i ragazzi ed anche per gli educatori, consisteva nell’attività vera e

propria di battere chiodi su pezzi di legno appositamente predisposti e scelti, senza una particolare finalità

produttiva, ma come attività positiva di per sé, creativa e artistica in qualche modo.

La storia del punto gioco Cirimela parte proprio dalla necessità di rivalutare le attività creative e costruttive

dei tempi passati, che si realizzano oggi in un laboratorio sempre attivo centrato però sulla modernità, su

tutto ciò che la nostra realtà urbana offre come scarto delle famiglie e delle industrie; inoltre si valorizza la

valenza educativa del gioco tradizionale, che attraversa anche diverse fasce d’età, e si concretizza

soprattutto nei giochi di movimento all’aria aperta per buona parte dell’anno. La rispondenza delle famiglie

è molto buona, ed il coinvolgimento anche di genitori e nonni nelle diverse attività del centro risulta

fondamentale per la trasmissione di alcuni principi educativi basilari.

I bambini presenti hanno sempre la possibilità di scegliere quale gioco fare e con chi, e ciò risulta essenziale

in una organizzazione di vita in cui le possibilità di scelta sono sempre più ridotte. Anche l’occasione per

poter giocare insieme ai propri genitori o nonni non è usuale per i bambini di oggi e la frequenza a Cirimela

può diventare lo stimolo per riprendere un dialogo su un piano ludico, mentre si verifica che i giochi

tradizionali mantengono una loro attrattiva ancora oggi e si concretizzano nel piacere di giocare e divertirsi

con poco, materiali semplici o addirittura senza oggetti.

Diversi altri interventi sottolineano l’importanza di rivalutare questi giochi e viene anche lanciata la

proposta per le prossime festività natalizie di farsi promotori di un’iniziativa che si potrebbe riassumere nel

motto: “Per Natale niente giochi nuovi, ma giochiamo insieme!”

Alcune operatrici di diverse cooperative che operano in vari comuni italiani sottolineano come la realtà di

Torino in tema di gioco sia una vera e propria utopia in confronto ad altre realtà, dove le risorse messe in

campo sono a livelli molto diversi.

Pur essendo la discussione molto interessante ed ancora del tutto aperta ad ulteriori interventi, il tempo si

rivela tiranno e ci costringe, nostro malgrado, ad interrompere i lavori in corso per arrivare alla definizione

di alcuni temi fondamentali da portare in sessione plenaria da parte del relatore.

La sintesi estrema a cui si giunge collettivamente è rappresentata da alcune parole-chiave che vengono

identificate come rappresentative dei concetti fondamentali emersi nel gruppo:

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Identità

Valorizzare la coesistenza di una pluralità d’identità che nell’atto del gioco o di un’azione sociale si

confrontano.

Memoria e concetto di trasmissione

Individuare quelle che sono state le espressioni del passato e renderle fruibili per le comunità del presente.

Re-invenzione

Avere il diritto di interpretare una tradizione a seconda dei modelli contemporanei.

Tradimento

Operare al fine di ripristinare una tradizione ed avere la coscienza che in quel momento una forma di

“tradimento” permette ad essa stessa di perpetrarsi.

Il gioco degli adulti

Rivalutare la dimensione del gioco come parte fondamentale della vita adulta e come ambito privilegiato di

relazione con le nuove generazioni.

Libertà di scelta del bambino: cosa fare e con chi

Avere uno spazio di tempo e luogo per poter esercitare il diritto alla scelta, nel come, nel che cosa e nel con

chi giocare.

Sicurezza: educare al rischio

Cercare di operare nel rispetto della sicurezza personale, affidando alle esperienze progressive la

consapevolezza del proprio agire.

Il piacere del sollazzo

Pensare che il gioco sia una eterna ricerca della bellezza e del piacere della vita sociale.

1. Giocare ancora ai giochi di ieri?

Bruna Pangallo

Il concetto di memoria e di testimonianza orale è stato rivalutato dal filone della Nuova Storia francese, che

nel secolo scorso ha ampliato i campi di interesse della storia tradizionale dalla politica ed economia a

nuovi temi quali la vita quotidiana e la cultura popolare. La testimonianza diretta dei protagonisti ha offerto

una nuova visione dei più recenti eventi, dall’ultima guerra, alla Resistenza, all’olocausto, sottolineando la

necessità di salvarne la memoria “per non dimenticare”. Anche rispetto a temi relativi ad aspetti di vita

materiale, tecnologie, lavoro, alimentazione, racconti, feste e passatempi, il ricordo ed il racconto delle

persone ormai anziane che li hanno vissuti è oggigiorno oggetto di interesse e di studio da parte di storici,

studiosi, associazioni culturali ed è spesso valorizzato anche nelle nostre scuole.

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La necessità di salvare la memoria di esperienze e testimonianze culturali del nostro passato è

un’emergenza generalmente riconosciuta ed il tema del gioco rientra a pieno diritto in questa tematica, in

quanto espressione culturale di grande rilievo, che ha subito grandissime trasformazioni negli ultimi

cinquant’anni, legate ai cambiamenti ambientali, culturali ed economici della società.

La tematica del tempo libero, delle feste, dei riti stagionali, dei giochi coinvolge il ricordo dei protagonisti a

livello fortemente emotivo, in quanto legato a momenti della propria vita estremamente significativi dal

punto di vista formativo della propria identità e del proprio ruolo. Diverse associazioni, di cui abbiamo in

questo gruppo una rappresentanza, ed i nostri stessi centri per il gioco di Torino, si occupano di raccogliere,

“salvare” e far rivivere queste espressioni di cultura ludica tradizionale, cercando di dare loro nuova energia

vitale e di trasmetterle alle nuove generazioni. Ciò è estremamente importante perché il valore educativo

di questo tipo di giochi risiede proprio nella forte coesione di gruppo che producevano, nella trasmissione

di valori socialmente condivisi e conseguentemente nella creazione di una forte identità locale. Questi sono

aspetti che hanno grosse difficoltà a riprodursi nelle attuali condizioni sociali, caratterizzate spesso da

isolamento e scarsissime occasioni di incontro tra esponenti di generazioni diverse. È importante

sottolineare che il concetto di identità locale non ha nulla a che fare con l’etnia, ma solamente con il

territorio, e può e deve coinvolgerne tutti gli abitanti, pur di diversa provenienza etnica, esaltando le

diverse peculiarità ma anche le enormi somiglianze, che in tema di gioco sicuramente esistono.

Altro aspetto da evidenziare è l’importanza del “passaggio del testimone” tra vecchie e nuove generazioni:

oggi i nonni si sentono spesso disorientati nei confronti delle nuove abilità tecnologiche dei nipoti, al punto

da sottovalutare essi stessi il proprio patrimonio di competenze e cultura tradizionale, ritenuto ormai

obsoleto ed inutile. Devono essere aiutati a riconoscere il valore delle loro conoscenze ed incoraggiati a

comunicarle ai giovani offrendole come un dono prezioso, ben superiore a quello di beni materiali o

biglietti di super-lotterie, abitudine che sembra essere diventata ormai assai diffusa.

Mi interessa sottolineare in questa sede l’importanza del gioco di tradizione popolare non tanto e non solo

da un punto di vista culturale, aspetto sicuramente molto importante (esistono organismi appositi che se

ne occupano), ma soprattutto, come educatori, dobbiamo occuparci di recuperare il grande valore

educativo di questo tipo di giochi; valore che risiede soprattutto nella loro peculiarità di giochi prettamente

sociali e di gruppo, che favoriscono il confronto, l’elaborazione di regole condivise, la formazione di

comportamenti, linguaggi gergali e consuetudini che identificano il gruppo e comunicano all’individuo un

importante senso di appartenenza che perdura nel tempo, contribuendo alla formazione dell’identità

personale. Si tratta di aspetti educativi non trascurabili, che difficilmente si realizzano con i giochi moderni,

spesso troppo codificati, che lasciano scarsi margini di interpretazione individuale. All’educatore di oggi si

pone il problema dell’attrattiva che i giochi tradizionali, nella loro semplicità strumentale, possono

esercitare sui nostri bambini e ragazzi, cosiddetti nativi digitali, con competenze tecnologiche sovente

superiori alle nostre. La nostra opinione, riscontrata in una lunga pratica di gioco nei nostri centri, è quella

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di un grande interesse e coinvolgimento in questi giochi che, nonostante non si generino spontaneamente,

ma abbiano la necessità di essere proposti e stimolati da un adulto attento e competente, possiedono

tuttavia un potenziale di coinvolgimento ludico altissimo a livello relazionale; d’altronde non è certamente

un caso se sono sopravvissuti nei secoli. Questo aspetto relazionale è ciò che mi sembra importante

recuperare nelle nostre esperienze di gioco oggi, perciò mi appaiono particolarmente interessanti le

esperienze di “reinvenzione” del gioco tradizionale, di cui dobbiamo salvare soprattutto l’essenza più che la

forma, gli aspetti di contenuto educativo che lo caratterizzavano più che cercare di mantenersi fedeli alle

procedure, ai materiali o ai regolamenti, che in qualche caso possono essere rivisti ed “attualizzati” senza

deprivarne il valore più autentico.

Un problema da non sottovalutare, parlando di materiali, riguarda il rapporto con problemi di sicurezza in

relazione alla normativa vigente: certamente i giochi autocostruiti non possono esibire un marchio CE di

conformità europea, tuttavia ci pare importante non limitarne l’uso per questi motivi, al contrario si

potrebbero utilizzare proprio le caratteristiche particolari di questi prodotti per sviluppare le capacità

individuali di valutazione dei pericoli ed educare alla prevenzione possibile del rischio, elementi

imprescindibili per una efficace politica di sicurezza del gioco.

Non si può negare che il gioco d’azzardo abbia sempre fatto parte della tradizione popolare, che, attraverso

scommesse e vincite a giochi di carte, permetteva ai più umili di “vincere la malora”: lo stimolo per giocare

nasceva da una situazione di povertà che faceva tentare la fortuna in ogni modo, ma tra i giocatori vigeva

una specie di codice d’onore, che faceva sempre tenere fede ai debiti di gioco. Tra i bambini l’azzardo si

realizzava giocandosi figurine, biglie, pennini, bottoni o al massimo qualche piccolo soldo, e quasi tutte le

forme di gioco “di interesse” si basavano sull’abilità personale, dedicando anche molto tempo

all’allenamento di specifiche capacità. Al contrario oggi si preferisce affidare totalmente al caso le proprie

possibilità di riscatto sociale ed infatti proliferano le lotterie ed i giochi di fortuna in cui le competenze

individuali non hanno alcun significato. L’enorme diffusione di tali pratiche, che spesso coinvolge anche

bambini abbastanza piccoli, ci pare un campanello d’allarme sociale, in quanto si perseguono sempre più

obiettivi di ricchezza e successo, a scapito di valori quali la formazione e il conseguimento di competenze

utili alla propria realizzazione di vita.

Su questi nodi problematici della salvaguardia e del valore attuale del gioco di tradizione apriamo il gruppo

di lavoro ai diversi interventi, a partire dalle relazioni di Piero Santoni e di Maria Pina Casula ed a seguire a

tutti i partecipanti che desiderino portare il loro contributo su questi temi.

Era prevista in questo gruppo la partecipazione anche di Giancarlo Tavella, dell’Associazione Birilli di

Farigliano (CN), per raccontarci l’esperienza di un progetto educativo che porta all’interno delle scuole del

suo territorio la cultura ludica tradizionale, per conservare e diffondere le diverse forme di gioco in uso nel

secolo scorso nel territorio piemontese. Purtroppo Giancarlo non ha potuto essere presente oggi, ma ha

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inviato il suo contributo in forma di relazione, che alleghiamo per rendere più completo il quadro della

tematica trattata.

2. Lavorare insieme costa di più

Antonio Damasco

Storia di ragazzi

Sembra un’affermazione provocatoria, invece è una realtà innegabile. Anzi, in questi nove anni di

“costruzione” della Rete, chi ha lavorato al progetto è stato via via apostrofato con appellativi che, nel

migliore dei casi, mostravano indifferenza, se non sentimenti di sufficienza, facendo sentire tutti noi un po’

illusi od addirittura presuntuosi. Un filo d’ironia, sul nostro volere “unire l’Italia” attraverso le Culture, non

era difficile scorgerlo tra le personalità più “aperte”. Sapendo bene che questo Paese ha fatto delle proprie

“identità” uno scudo da alzare contro il Comune più vicino.

Se avessimo immaginato tutto ciò che ci sarebbe capitato, forse non avremmo avuto il coraggio di molte

delle azioni che tuttora accompagnano questo faticoso percorso.

Ma si sa, l’incoscienza è la madre dei sogni meno realizzabili ed i cuscini dei giovani ne sono le migliori

dimore.

Sarebbe stato certo più semplice - l’idea partì proprio da Torino, dalla sua Provincia, dalla sua Regione, in

loro avevamo trovato subito interlocutori attenti e pronti ad accogliere le nostre proposte - sarebbe stato

comodo, dicevo, creare l’ennesimo festival di musica, teatro, danza o video per esprimere tutta

quell’energia vitale e la voglia di dimostrare, che incolpevolmente la nostra età si portava addosso.

Ma Torino, allora come oggi, è veramente un laboratorio di nuove convivenze: lo era già stata per mio

padre, giovane emigrato napoletano, in una FIAT che aveva richiamato la più vasta rappresentanza

italiana… una sorta di parlamento popolare per un giovane Paese.

Esiste un’età in cui portare un cappotto invece che una giacca ha la stessa funzione di “appartenenza”

dell’indossare una maglia di una squadra calcistica e anche per noi, che camminavamo con in mano un libro

invece che una chiave inglese, era facile avere l’arroganza di credere che bastasse leggerlo o peggio

“possederlo” per conoscere “la verità”.

E allora, forse complice una migliore situazione economica - a pancia piena si studia di più e si ragiona

meglio - o ancora la neonata rivoluzione della “rete” per eccellenza - quella che sembra esistere da sempre,

mai nata! Internet - il mondo diventava improvvisamente più piccolo, raggiungibile. La nostra generazione

era la prima a potersi immaginare oltre i confini della propria strada, quartiere, città e nazione restando

comodamente a casa propria.

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La storia sarebbe lunga e le persone incontrate che si appassionarono al progetto furono molte da tutta

Italia: i folli fra loro si attirano e la pazzia, quella, non ha età.

Quell’idea crebbe, quel Comitato Promotore per la Valorizzazione delle Tradizioni Popolari organizzò, da

subito, un festival sì, ma itinerante nell’intera penisola, facendo incontrare a tutti una cultura che solo fino

a dieci anni fa era descritta come residuale, “museale” o, in senso dispregiativo, “folkloristica”, senza alcuna

possibilità di comunicare con i contemporanei. Ed invece, come spesso capita alzando lo sguardo al cielo,

inspiegabilmente il vento decise di cambiare ritmo e direzione, da sud a nord e viceversa: migliaia di ragazzi

si ritrovarono nei paesi di provincia a pestare i piedi con e come i loro nonni, per sfuggire dal morso della

tarantola, o a stringere mani sconosciute per un circolo occitano. Non lo facevano con i costumi di un

passato idealizzato, ma con jeans e magliette alla moda, registrando file-video con cellulari iper-tecnologici,

e ben presto facendo di quei ritmi la base per nuove sperimentazioni.

Senza rendersene conto, alcuni - pochi, troppo pochi - portatori di quei saperi destinati ad estinguersi con la

loro presenza (dalla musica alla teatralità, dall’artigianato al rito della tavola), cominciarono ad essere

circondati da persone che li riconobbero quali “Maestri” che non accettarono di omologare la propria

cultura a quella dominante e che divennero improvvisamente i rappresentanti della “resistenza” per la

diversità culturale. Gli stessi che pochi anni prima venivano additati come nostalgici, appartenenti ad un

passato da dimenticare in fretta, vecchi insomma, divenivano adesso paladini di una rinnovata dignità,

dando una sconosciuta speranza a coloro che sarebbero venuti dopo.

Ma quale tradizione?

Volevamo incontrare la tradizione. In una sorta di ricerca emozionale, dove l’ambiguità del presente di noi

immigrati di seconda generazione, o sradicati dalle campagne autoctone e inseriti in una città

multiculturale, si “scontrava” con una discordante radice linguistica e carnale.

Cercavamo di appartenere a questa città, dove eravamo cresciuti e ci eravamo formati. Ma tornando a

casa, ogni giorno, ci sembrava di percorrere mille e più chilometri, trovando nelle nostre cucine, sui tavoli

del soggiorno, fuori dai balconi, i segni dei luoghi da cui provenivano i nostri genitori: Palermo, Napoli,

Potenza, Reggio Calabria o anche la campagna di La Morra, Biella, Vercelli e Val di Susa. Questo era il vero

laboratorio! Con gli anni imparai dall’Antropologia che il nostro sentimento era e sarebbe stato comune a

quello di molte altre migrazioni, dove i padri rifiutano la propria memoria mentre i figli ri-leggono quella dei

nonni, così come ora sta accadendo ai nuovi migranti provenienti da Perù, India, Romania …

Questo fu l’avvio: incrociando alcuni di questi “maestri inconsapevoli” avevamo la possibilità di conoscere

una “cultura altra”, assente dai programmi scolastici. In un luogo dove i saperi si erano sedimentati, re-

inventati, sovrapposti a quelli di molti altri e si erano trasferiti da una generazione all’altra, da padre in

figlio e da madre in figlia, oralmente, attraverso l’esercizio della comunità, della condivisione delle

esperienze: voce, corpo e azione. Non era un atto artificiale, ma necessario, quando la musa della poesia

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sedeva tra i pascoli degli Appennini, scenario per eserciti di animali, condotti da un poeta-pastore che

improvvisava poesie in terzine, sestine ed ottave. Greggi quieti che ascoltavano storie di paladini o la

“Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso.

Non vogliamo mitizzare un mondo, non parliamo di un passato “arcadico”, la fame di quell’ epoca ci è sin

troppo nota, ma non vogliamo neppure lasciare che i nostri figli rimangano senza questa memoria e quel

che a noi ha trasmesso.

Vogliamo però provare a vincere almeno la battaglia delle “diversità culturali”, far sapere anche a loro,

bambini che oggi hanno quattro, sette, dieci anni, che la bellezza è reperibile ovunque, che non vi sono

luoghi deputati, e che non bisogna possedere degli oggetti per poterne godere. Quello che cercavamo era

la festa, il rito, quello necessario, lì dove una comunità di uomini ha bisogno di riconoscere i suoi simili,

anche nel momento più infelice, più doloroso.

Ricordo che un amico, docente di antropologia a Roma, mi raccontò un episodio di “Se questo è un uomo”

di Primo Levi. Non credo vi sia situazione peggiore di quella descritta dall’autore sopravvissuto alla Shoah,

ove la dimensione “uomo” perdeva qualsiasi connotazione, anche fisica, per essere ridotta ad un cumulo di

carne ed ossa, senza più sentimenti ed emozioni, permettendo così ad altri uomini di sentirsene possessori

e quindi in grado di sostituirsi alla morte. Paolo mi raccontava che, durante una ricerca per un libro sulle

feste, trovò, quasi inaspettati, barlumi di spirito festivo, poche parole appunto, dentro questo magnifico e

orribile racconto. Come i Greci di Salonicco, che “stanno stretti in cerchio, spalla a spalla, e cantano una

delle loro interminabili cantilene”. E che dicendosi, “l’anno prossimo a casa” “continuano a cantare, e

battono i piedi in cadenza, e si ubriacano di canzoni”. Basterebbe questo frammento a spiegare il ruolo

della cultura in una società dove gli uomini vogliono, devono, convivere e perché la politica non può da essa

prescindere, se riconosciuto compito della politica è leggere e costruire i complessi rapporti del vivere

comune.

“Riuscissimo a fare questo sarebbe già bello!”…

… Ci siamo detti qualche anno fa a metà del guado, come se stessimo arrivando ad un compimento. Questa

era la funzione della Rete Italiana di Cultura Popolare, la “mission” come si direbbe oggi, o per lo meno ciò

per cui lottare, ma “lavorare insieme costa di più” dicevamo. Molti fra i più convinti iniziavano ad accusare

il peso di questa operazione, dovevamo trovare modi per rappresentare la nostra idea di impegno.

Attraverso la Rete Italiana di Cultura Popolare, dalla Provincia di Torino e Cuneo lanciammo appelli agli altri

enti, rivolgendoci, prime tra tutte, alle Province italiane e arrivando ben presto a contarne almeno una per

regione. Ora sono più di trenta. Le Province furono subito interlocutori privilegiati, in virtù della loro

funzione di programmazione di più comuni; pensavamo che le Regioni, invece, dovessero avere un compito

successivo di coordinamento, ma che fosse necessario partire comunque dai territori. Avevamo in mente

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un organismo di soggetti locali che, nel lavoro in rete, superasse le difficoltà dei “localismi”. Teorizzazioni e

buoni intenti non bastavano, bisognava “agire”.

Così nacque il “Festival delle Province”, con il compito di percorrere i territori in rete e con la sua

“carovana” trascinare persone, artisti, associazioni e reti locali: tutti coloro che fossero in grado di dare una

mano nell’individualizzazione di questi “tesori” e avessero la volontà di valorizzarli.

Per questi “Maestri inconsapevoli” istituimmo un premio:“I Testimoni della Cultura Popolare”. Non targhe

o coppe da esporre in bacheca, ma un reale impegno nel “prendersi cura” di loro: attualmente dodici sono i

“Testimoni” riconosciuti. C’è ancora molto da fare e spesso il nostro nemico è il tempo, e ogni anno la Rete

li sostiene attraverso azioni e progetti partecipativi, formativi e esplicativi.

Un’iniziativa per tutte, l’istituzione delle “Cattedre Ambulanti di Cultura Popolare” in collaborazione con

alcune Università italiane. Le Cattedre, nate per far incontrare questi saperi al pubblico, sono delle vere e

proprie lezioni aperte, sia in istituti scolatici, che in piazze adeguatamente preparate… E qui accadde

qualcosa di straordinario.

Molti di questi Testimoni, quali il Maestro Puparo Turi Grasso dell’Opera dei Pupi di Acireale, Amerigo

Vigliermo e il suo Coro Bajolese, e alcuni Poeti, eredi diretti della poesia della transumanza, ebbero, fuori

dai loro territori, un riconoscimento di pubblico che neanche nelle nostre più rosee previsioni giovanili

avevamo osato immaginare. Ma quel che più significò per i “Testimoni” fu il ritorno a casa, dove alcuni

trovarono perfino manifesti di “ben tornato”: quasi un riscatto, una dignità riconquistata, un

riconoscimento più importante del nostro, che rimetteva nel centro della piazza una ninna nanna antica, o

la voglia di giovani appassionati del free-style di incontrare la tradizione tutta italiana dell’improvvisazione

poetica. In meno di un decennio eravamo arrivati, complice forse l’esigenza di ritrovare un’appartenenza

scaturita dalla sotto-cultura globalizzante che tutto appiattisce, a far parlare i media ma soprattutto

migliaia di ragazzi con questi incredibili “Maestri”. Nulla di retorico o nostalgico, niente passato da riportare

in vita o nonni che raccontavano vicino ad un caminetto, ma il valore dell’esperienza, la necessità di entrare

nel cerchio magico ed essere parte di un rito, una festa: né protagonisti, come spesso ci vogliono nella

comunicazione di massa, né spettatori, ma semplici “partecipanti”. Parola in disuso, ma in grado di divenire

terapeutica nel momento in cui la si applica, il miglior modo per noi di concepire un intervento

socio/culturale.

Il Festival Internazionale dell’Oralità Popolare

Dopo tanto itinerare si pensò di organizzare un raduno senza precedenti in Italia, per dare un volto a quello

che stavamo costruendo.

Il Festival Op conquista proprio il centro della città di Torino con quasi cinquecento portatori di saperi e

tradizioni ed un pubblico ormai attento a seguire performance, ma anche laboratori, incontri, “Dialoghi con

i Maestri”, un pubblico “partecipe”, pronto a raccogliere il “testimone”.

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Da quando abbiamo iniziato, centinaia sono stati i gruppi di ragazzi che hanno aderito rileggendo,

trasfigurando, tradendo - compito della Rete è comunicare, quello degli studiosi e degli archivi conservare -

portando in piazza e in ogni luogo in Italia danze, musiche, teatro, artigianato ed enogastronomia per

rimettere, trasmettere alcuni principi di una tradizione, che in sé avevano già il germe del “tradimento”.

Intendiamo per tradimento, un modello positivo nella costruzione di un rapporto con la propria o

qualsivoglia radice, difatti nel momento in cui un “attore” riporta al pubblico un racconto od un canto,

sicuramente ometterà alcuni particolari e ne includerà altri, lo trasformerà in una sua personale

interpretazione: diversa la grana della voce e diversa la fisicità di chi agisce. Ci piace infatti pensare che il

verbo “trasmettere” derivi etimologicamente dal verbo “tradere”, tradire, che letteralmente significa dare,

consegnare, mettere in mano. Oggi il verbo tradire ha significato negativo, le antiche scritture

ecclesiastiche invece utilizzavano “traditore” per chi, per timore della morte, consegnava ai gentili qualche

esemplare delle sacre scritture e la lingua francese lo utilizza per “scoprire, svelare”. È così che vogliamo

definire la trasmissione del “patrimonio culturale immateriale”: una consegna, una donazione che dal

momento in cui è messa nelle mani dell’interlocutore sarà anche tradita, modificata, personalizzata per

essere nuovamente ritrasmessa, rimanendo, grazie a questa sua personalistica natura, sempre viva.

Visione certo non accettata da tutti, non condivisa quale “regola”. E anche qui la Rete trova un valore

generazionale. Un dialogo intorno al “passaggio del testimone” da una generazione all’altra, salvando la

tradizione senza per questo rinunciare all’innovazione implicita nel transito.

Arriviamo così al “logo” della Rete Italiana di Cultura Popolare, quel cerchio che tenta di chiudersi e di

ricominciare il ciclo, senza mai interrompere quella comunicazione con la memoria che crediamo sia

essenziale per realizzare tanto il presente quanto il futuro.

Non ho ancora specificato perché “lavorare insieme costa di più”, ma vorrei che ci fosse l’intero quadro

prima di spiegare questa affermazione.

Molte sono le attività ipotizzabili per raggiungere gli obbiettivi che la Rete si è posta ed ognuna è

importante e rilevante.

La Rete non è un circuito di musica, teatro o altre performance, anche se queste sono alcune delle energie

che agiscono in piazza.

Ma altre ve ne sono di valore identico, come la nuova collana editoriale, che porterà alcuni di questi saperi

al grande pubblico; o la sezione formativa con cui, insieme alle Università, si sta cercando di stimolare

progetti di ricerca. Insomma tutto ciò che renda possibile un reale passaggio del “testimone”.

Negli ultimi tre anni, il movimento della Rete è stato intercettato anche all’estero, permettendoci di

costruire rapporti con ben dodici paesi dell’area Euro-mediterranea, e con essi si sta dialogando per una

collaborazione internazionale, così come è già avvenuto con l’Egitto, il Marocco, la Francia, la Spagna e altre

nazioni. Paesi in cui sono stati ospitati i nostri canti a tenore sardi, i pupi siciliani, la tradizione delle “cante”

emiliane, cantori piemontesi, ma anche seminari e studiosi.

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È necessario ascoltare

In questi anni di “carovane”, in cui abbiamo incontrato persone, individuato “Testimoni”, gruppi, visitato

paesi di bellezza unica fuori dalle rotte turistiche, quel che più ci mancava era costruire delle “case” in cui

intrecciare relazioni permanenti con le reti locali.

Qui l’affermazione iniziale si presenta a noi con tutta la sua forza, “lavorare insieme costa di più”: bisogna

avere molta voglia di ascoltare, condividere, essere pronti a mutare le proprie convinzioni, sapere di non

avere inventato nulla e non essere detentori di soluzioni o verità. Creare, costruire e fare vivere una Rete

sul territorio, coinvolgendo migliaia di persone, significa essere un filo che li unisce, non la mano che li crea,

accorgersi che le esigenze dei singoli, visti in relazione a quelli di tanti altri, possono attivare processi di

respiro più ampio. E finalmente, bisogna osservare, riconoscere che questo mondo esiste, con o senza di

noi, sebbene talvolta gli stessi portatori della tradizione sembrano esserne inconsapevoli.

E di contro sapere usare il giusto metro, non farsi intrappolare nelle esigenze localistiche, mantenere “alta”

la visione, in gergo calcistico si direbbe avere sempre una visione d’insieme del gioco di squadra.

Ciò comporta scelte, inizialmente non sempre condivisibili da tutti, ma sulle quali ci si confronta con tutti i

nodi di una Rete che deve essere unita per raccogliere i risultati.

Tutto questo costa!

…E non è quantificabile, se non con la passione che pochi operatori e migliaia di volontari quotidianamente

concedono ai progetti.

Lavorare insieme è molto più faticoso, ma lavorare insieme permette a tutti i territori di adottare una reale

economia di scala, con il risultato, per ogni singolo territorio, di essere soggetti presenti sull’intero territorio

nazionale, avere una comunicazione unitaria, reperire risorse inimmaginabili per i singoli, scambiare idee e

buone pratiche, non ripetere errori, programmare con una logistica eco-compatibile, e misurarsi con la

platea internazionale con la garanzia di essere diventati un “sistema” in grado di rappresentare, sia

organizzativamente che scientificamente, un modello innovativo di politica culturale di questo paese.

Antenne del territorio

Il lavoro che ci aspetta ora sembra più difficile di quello svolto fino ad adesso. Coinvolgere quei territori

dove non siamo ancora arrivati, costruire insieme agli amministratori una “visione Politica” della Rete, la

Politica con la P maiuscola, quella del rapporto fra le persone, ed attraverso questa far nascere quelle

“Antenne” a cui abbiamo accennato. Una Rete nazionale, dovrebbe prestare servizio affinché le reti locali

possano dialogare e nell’interscambio realizzare azioni ancora più efficaci. Per questo motivo siamo entrati

in una nuova fase, che ha l’obiettivo di mettere insieme i sistemi di un territorio: biblioteche, musei ed eco-

musei, scuole, archivi, associazioni, ecc. Lo strumento che abbiamo scelto sono gli “Stati Generali della

Cultura Popolare”, che saranno realizzati in ogni Provincia della Rete, per arrivare concretamente alla

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costituzione delle “Antenne del territorio”, come il luogo del confronto e dell’agire comune. Affinché il

locale sia realmente tutela del patrimonio, ma con una visione nazionale ed internazionale.

Mentre scrivo questi brevi e personali appunti del lavoro sulla Rete, mi accorgo che gli anni sono passati

velocemente, e che nell’ultimo periodo ho visto crescere l’attenzione verso questi temi, su tutti i tavoli

progettuali, talvolta con anche il pericolo di una nuova rilettura “benpensante” della Cultura Popolare, che

io forse per una strana forma di rispetto ed orgoglio “familiare” scrivo sempre con le due lettere maiuscole.

O, ancora, vi sono modelli di esercizio commerciale, che secondo gli studiosi di marketing vedono nei

giovani potenziali consumatori di cultura popolare. Io non giudico nessuna di queste attività, credo facciano

parte di percorsi storici e umani, ma ringrazio fortemente tutte quelle persone che, ognuna nel proprio

settore, stanno impegnandosi per una cultura del “quotidiano”, dai giovani alle associazioni, agli artisti, ai

funzionari o assessori illuminati… fino a loro, i “Maestri inconsapevoli”, che hanno deciso di esserci per

realizzare quel passaggio del “testimone”, obiettivo della Rete Italiana di Cultura Popolare, affinché la

cultura torni ad essere il luogo dove si confrontino le diverse anime della società, come fu la fabbrica per

mio padre… magari con difficoltà di comprensione, con lingue diverse, affrontando migrazioni ancora più

lontane, ma con la consapevolezza che solo la condivisione ha il potere di mettere in pratica quella legge

non scritta che gli uomini applicano nel loro vivere sociale.

3. L’ingegneria del buon sollazzo

Piero Santoni61

Salve a tutti, sono Piero Santoni, un perito meccanico e un falegname per hobby, comunque una persona

che ha, nell’infanzia, sempre dovuto inventarsi il modo di passare il tempo e che ha visto scomparire gli

spazi e gli ambienti preposti al libero gioco dell’infanzia: tutto questo per dire che non ho una formazione

pedagogica.

Nel corso degli anni ho assistito alle trasformazioni avvenute nella società a seguito di un boom economico

che, tramite un afflusso di molta materia ed energia, ha frantumato le comunità sia rurali che cittadine ed

ha proiettato gli individui in mete lontane con l’ausilio di una auto divenuta simbolo di individuale libertà.

In questa dinamica penso che l’auto sia stata il più bel giocattolo per gli adulti e che l’infanzia abbia perso

molti spazi di gioco libero. Collateralmente all’auto ed alla perdita di spazi liberi, si è venuta affermando

una cultura della TV quale strumento di tranquillo e domestico parcheggio dei bambini, che li pone ancora

una volta seduti e passivi ad ascoltare, per non parlare del distacco delle relazioni sociali che essa induce

nelle famiglie assieme al computer. Questa situazione penso abbia influito negativamente sulla formazione

degli individui e penalizzato una infanzia che, non potendo reagire, ha manifestato e manifesta

61

Inventore e costruttore di giochi – Associazione Ingegneria del Buon Sollazzo.

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nell’adolescenza tutti i disagi di una formazione carente dei bisogni primari di relazione, gioco, tempo e

spazio libero.

Se questo è un quadro relativo agli anni passati, con la crisi economica le cose stanno tornando un poco ai

tempi passati e le persone si riaccostano agli spazi vitali più prossimi. L’iniziativa portata avanti dalla mia

associazione si colloca in questo stato di cose con dinamiche che puntano ad “una via ludica ad un futuro

sostenibile” dando alle persone di tutte le età “le massime gratificazioni ai più bassi costi e minimi impatti

ambientali”.

Su questo percorso di restauro socio-ambientale abbiamo ritenuto il Gioco (quello con la lettera maiuscola)

un fattore di positive relazioni e di alte gratificazioni a buon mercato, ma abbiamo scoperto pure quanto il

gioco fosse bistrattato nella sua essenza: si assiste ai giochi televisivi o si gioca al lotto, si gioca da soli ai

videogiochi.

La scommessa è stata quella di costruire una nuova tipologia di giochi in legno, di metterli su un ludobus e

di portarli in giro per città e paesi: il riscontro è andato oltre le aspettative ed i giochi hanno incontrato un

tale favore di pubblico che hanno reso evidente quanta esigenza di vero gioco sia sopita nelle persone. In

tali manifestazioni giocano assieme giovani ed anziani, genitori e figli, in un contesto di unione tra le

generazioni che è cosa rara nei tempi correnti.

Abbiamo aderito ad ALI, l’associazione dei ludobus italiani (e ludoteche) ed in questa realtà associativa

abbiamo scoperto molti giovani che con entusiasmo e professionalità portano avanti, su tutto il territorio

nazionale, i principi di promozione e rivalutazione del gioco, ma al contempo abbiamo verificato quanti

limiti si porta dietro una esperienza di un ludobus che va in un posto e poi scompar,e lasciando un notevole

vuoto.

Questo limite ci ha stimolato a pensare nuove proposte e ci ha portato anche troppo lontano, arrivando ad

ipotizzare la creazione di un “Parco Diffuso” su tutto il territorio, in un contesto di positivi e proficui

gemellaggi tra città e campagna e cioè a riscoprire quelle dinamiche che gratificavano intere generazioni in

epoche di duro lavoro.

Questa ipotesi progettuale prevede un parco diffuso che parte dalla famiglia, con la riscoperta del gioco

quale strumento relazionale domestico preposto alla sana crescita dei “cuccioli umani”, per finire alle più

sperdute aree ad economia svantaggiata, sede delle ultime persone testimoni di una era ormai lontana. Un

compito che ci siamo proposti è proprio quello di trovare giochi per adulti e bambini, giochi che gratifichino

entrambi ed in questo i giochi artigianali in legno hanno dimostrato di far divertire sia adulti che bambini,

ma poi abbiamo scoperto in Europa una galassia di giochi in scatola che sono idonei a far giocare e divertire

insieme genitori e figli, giochi che non sono commercializzati in una Italia invasa da balocchi usa e getta di

origine orientale.

Se usciamo di casa e scendiamo le scale, su tale percorso si apre uno scenario che mette in risalto la misera

realtà dei condomini, dove le famiglie sono arroccate nelle case e dove i giardini sono per l’infanzia un tabù,

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o asserviti a parcheggi per auto. Quelli condominiali sono luoghi di primaria importanza per l’infanzia,

ambienti dove si impara a convivere bene o male con le cose e le persone, dove i vicini sono persone

familiari o esseri anonimi: oggi il vicinato ed i condomini sono i soggetti più lontani nei rapporti sociali.

Occorre avviare un lavoro sociale che porti a forme di vita condominiale più sociali ed a rompere

l’isolamento individualista, utilizzando in positivo quegli spazi e ambienti condominiali svuotati dalla

“cultura del nulla”, e questo tramite un lavoro di socializzazione con proposte o sperimentazioni sociali

nuove. Per innescare queste dinamiche, che hanno pure molte valenze ludiche, è stata istituita in Francia, e

si sta diffondendo nel mondo, “La Giornata del Buon Vicinato”.

Nel contesto del parco diffuso abbiamo ipotizzato delle città più ludiche, città dove il dispotismo delle

automobili è ridimensionato a favore di bici, pattini, giardini, spazi liberi, itinerari, feste, orti, ecc. Quello

che necessita fare è ancora una volta riportare un equilibrio tra le esigenze di mobilità e quelle di vivibilità,

facendo in modo che nella città nascano isole, spazi, giardini, orti e centri vari collegati da itinerari piacevoli

e sicuri che restituiscano la libertà ai bambini.

Ambienti e strutture di una città ludica

Piste ciclabili - Spazi liberi e ambienti condominiali - una città punteggiata di mille spazi liberi vicini a casa

dove l’infanzia possa andarci a piedi. Tra questi:

- Centro Remida, una esperienza nata a Reggio Emilia, un luogo dove si raccolgono e si offrono a scuole e

fruitori liberi i materiali di recupero ricavati dalle rimanenze e dagli scarti della produzione industriale ed

artigianale. Per gli impulsi creativi che inducono nell’infanzia, negli insegnanti e nella popolazione tutta, e

per la importanza sociale che hanno i laboratori creativi, sarebbe auspicabile che ogni città si dotasse di un

Centro Remida.

- Ludoteche Sollazzo, scuole che insegnano il gioco ed il gusto di giocare non solo ai bambini, ma anche ai

genitori, giovani e anziani.

- Giardini Ludens, nuovi e semplici parchi gioco cittadini per l’infanzia, le famiglie e gli anziani dove sia

possibile divertirsi senza andare lontano. Impostati sul principio di usare in chiave ludica i quattro elementi

naturali (aria, acqua, terra e fuoco) e arredati con piante e strutture finalizzate al gioco ed al relax. In

questo senso la fontana diventa torrentello e poi laghetto, per consentire di giocare con barchette e pesca

magnetica, gli alberi e siepi sono strumenti di gioco. Ci sono in essi casette con tettoie, griglie e tavoli per

cuocere cibi e socializzare mangiando insieme, per fare feste, per giocare, fare gare gastronomiche e ritrovi.

Una estensione dei giardini ludens sono i giardini “Riciclingioco” giardini-cantieri di formazione dell’infanzia,

con una casetta di rimessaggio per i giochi ricavati dai materiali di scarto; in tal senso nei giardini avremo

cerchi di bici da mandare col bastone, reti da letto per saltare, carretti in legno autocostruiti, casette

ricavate con scatole di cartone, bersagli e palle di carta, comete, sci a due, trampoli, birilli e costruzioni con

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ritagli di legno, aerei ed origami di carta, laboratori con stoffe, ecc. Il ruolo degli anziani è quello di gestire le

“casette dei giochi riciclati” in un contesto di collaborazione tra le associazioni degli anziani e quelle per

l’infanzia, di aprire la casetta, di attuare un discreto controllo, di insegnare giochi e promuovere dei

laboratori creativi, rifacendosi pure alle proprie esperienze lavorative ed a sera ritirare e riporre i materiali

ed i giochi nella casetta.

- Orti Sociali, il luogo di ritrovo e aggregazione degli anziani, polivalente e versatile non solo per lavorare,

ma pure per giocare.

- Feste, Sagre, Balli e Giochi, sono i momenti sociali e ludici dei cittadini, da non rendere solo

commemorativi, in questo senso il Tocatì di Verona ha aperto una strada molto interessante.

- La Via Ludica, almeno una volta l’anno restituire una strada alla città con iniziative che stimolino il gioco.

Lungo questa strada si presentano, insegnano e propongono giochi vecchi e nuovi, sportivi e da tavolo. Può

essere pure la via dove gli artigiani insegnano ludicamente i segreti del proprio mestiere.

Il territorio ludico

Il parco diffuso, poi, si estende dalla città alla campagna in un contesto di proficui gemellaggi città -

campagna che, riscoprendo i principi di Equilibrio, Creatività e Armonia di una civiltà recente, ispirano e

generano un territorio di notevole creatività socio-ambientale, finalizzato a gratificare tutte le persone

senza assassinare l’ambiente naturale.

Su questo territorio potremo trovare:

- Gli Itinerari, percorsi che ci immergono in vari ambienti piacevoli, ludici e culturali.

- I Rifugi-Ostello, punti di ritrovo e incontro a buon mercato per i giovani, la meta del trekking, lo stare

insieme positivo.

- Gli Spazi Ludici, le aree dove si mangia, si gioca e ci si rilassa, semplici spazi improntati all’uso collettivo di

tavoli, griglie e di liberi spazi per semplici giochi.

- Le Fattorie ludico-didattiche, fattorie con carattere più ludico che didattico, per insegnare con modalità

piacevoli e partecipate le cose della campagna. Semplici giochi di ispirazione agricola quali “Sfalcia”,

“Ammosta”, “Mungi”, “Staccia”, ecc. possono far apprendere meglio la vita e il lavoro nella campagna.

- Gli Agriturismi, strutture turistico recettive che esercitano un ruolo didattico verso quei cittadini distaccati

dalla campagna. Sono arredati con giochi interni, esterni e agricoli e sono punto di richiamo non solo dei

turisti, ma pure delle popolazioni cittadine.

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- I Parchi gioco, ambienti ludici all’insegna della semplicità. Sono spazi ludici nei paesi o frazioni con laghetti,

aree pic-nic, spazi gioco, ecc. Eventuali parchi-gioco più grandi dovranno avere caratteri più semplici,

naturali ed umani degli attuali mega-parchi, tecnologici e commerciali.

- I Parchi Culinari del Buon Gusto, ambienti con griglie, cucine, paioloni, forni, ecc. mirati a valorizzare i

prodotti locali ed a riscoprire il gusto di una cucina sana e genuina.

- Le Feste, Sagre, Fiere e Carnevali, i momenti di gioia collettiva delle comunità locali: da tutelare e

valorizzare quali monumenti antropologici e fucine di creatività popolare.

Il criterio base è quello di giungere ad un progetto territoriale complessivo, armonioso ed organico, per fare

in modo che in esso le popolazioni locali si trovino bene ed i turisti vi si immergano con sommo piacere. Per

far questo occorre che la ricchezza prodotta dal territorio non sia bruciata ed esportata, ma investita nel

territorio al fine di migliorarne l'ambiente e la qualità della vita delle popolazioni locali, specie quelle

giovanili, troppo spesso sradicate dal territorio e quindi alienate dai contesti locali e ambientali, e tutto

questo pure con lavori di alta soddisfazione.

Il centro ludico

Motore di questa dinamica, volta a dare più caratteri ludici a tutte le realtà ambientali, produttive, culturali

e sociali, è il Centro Ludico, un posto dove confluiscono da tutto il mondo idee e progetti per nuovi giochi,

nuovi parchi e nuovi giardini ed è un posto dove questi progetti vengono irradiati nel territorio circostante

per la realizzazione di un parco diffuso. Quindi il centro ludico è un posto:

di scambi culturali con le tante realtà ludiche diffuse nel mondo;

dove si elaborano e si sperimentano nuovi giochi per giardini o parchi;

dove si studiano giochi per donare abilità ai disabili e gioia agli anziani;

dove le persone di tutte le età imparano a giocare bene in compagnia;

non solo ad alta valenza turistica, ma pure fondamentale per scuole, comitive, famiglie, giovani ed

anziani;

che anima anche gli animatori quale fucina di creatività;

dove si creano giochi per promuovere attività produttive, feste e sagre;

che irradia nel territorio progetti e nuovi giochi per un “Parco diffuso”.

Ora risvegliamoci dai sogni e torniamo alla realtà, il terreno istituzionale oggi è abbastanza arido, ma

questo non deve esimerci da immettere nuovi semi di creatività nell’attuale società civile. Nel sito

dell’Associazione Ingegneria del Buon Sollazzo62, (http://www.ingegneriadelsollazzo.it/), o sul “Grande libro

dell’ecogioco, ovvero il Manuale del Buon Sollazzo” potrete trovare una descrizione più ampia del progetto,

62

Sollazzo: divertimento allegro e gustoso; conforto, soddisfatto, contento, felice, beato; svago, trastullo e sollievo.

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la collezione dei giochi artigianali in legno, i giochi ricavati dai materiali di scarto, giochi agricoli, giochi

artigiani, giochi per aree svantaggiate, ecc.

4. Gioco delle bije 63

Giancarlo Tavella 64

Il gioco tradizionale parte del patrimonio culturale immateriale

“Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può

negare la serietà. Ma non il gioco.” Così scrive Johan Huizinga in Homo Ludens65, un saggio fondamentale

per chi ha interesse al gioco. Ma non solo il gioco esiste, esso viene definito come un atto libero, isolato

dalla sfera ordinaria della vita e che si svolge entro limiti spazio-temporali, ma dominato al suo interno da

regole precise. Una delle caratteristiche principali del gioco è quindi di essere un atto libero. Il gioco

comandato non è più gioco. Tutt’al più può essere la riproduzione obbligata di un gioco. Per questa

peculiarità il gioco esce dai limiti del processo puramente naturale. È un di più, vi si aggiunge come un

addobbo. Una libertà intesa in senso lato, senza una sua definizione propria, ben determinata. Spesso si

scambia questo concetto, specie per il bambino (e per l’animale), con l’istinto arrivando a dire quindi che

quella libertà non esiste: essi devono giocare, perché il loro istinto lo comanda. Forse sarebbe meglio dire

che il bambino e l’animale giocano perché ne hanno diletto, e in ciò sta la loro libertà.

Quindi il gioco c’è, è sempre esistito. Ma anche: il gioco è più antico della cultura, perché il concetto di

cultura, per quanto possa essere definito insufficientemente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e

gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare. L’Associazione “Birilli di

Farigliano66 - Gioco delle Bije”, nasce con lo scopo di diventare custode del gioco, ovvero come strumento

per identificare e rivalutare le comunità in cui si gioca tuttora seguendo regole antiche, per puro piacere e

non per folklore o interessi turistici.

Sposa quindi e fa propri gli obiettivi dell’Associazione Giochi Antichi di Verona, che il 17 febbraio 2008,

insieme alla propria rete nazionale, ha stilato il primo manifesto in Italia che definisce e valorizza le

Comunità ludiche tradizionali.

Le enunciazioni del manifesto permettono di avere una guida sicura che indica il percorso attraverso il

quale operare nell’attività di ricerca e sviluppo delle tradizioni ludiche. Innanzi tutto il legame con il

territorio, valutando per ciascuna comunità di gioco le peculiarità collegate alla storia e alle condizioni di un

63

Quella che segue è la presentazione del progetto educativo che l’Associazione “Birilli di Farigliano – Gioco delle Bije”, nell’ambito delle proprie iniziative a tutela e salvaguardia del gioco, ha redatto ed ha avviato in collaborazione con due istituti scolastici per “educare alla cultura ludica” tramite la formazione, l’insegnamento e la relazione sul gioco tradizionale. 64

Responsabile comunicazione e rapporti Comunità ludiche “Associazione Birilli di Farigliano - Gioco delle Bije”. 65

Huizinga J., Homo Ludens, Einaudi, Torino, 1973. 66

Associazione Birilli di Farigliano, piazza Vittorio Emanuele II 27 - 12060 Farigliano (CN), www.birillidifarigliano.it

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territorio, un legame che ha quindi un fondamento sociale, storico e ambientale. I giochi tradizionali

conservano saperi, eredità artigiane non scritte, proprie del territorio e sono replicabili in qualsiasi tempo e

spazio, il terreno di gioco è luogo di scambio sociale quotidiano e condiviso. L’azione ludica delle comunità

deve essere fatta in maniera ricorrente nel proprio territorio d’appartenenza, non necessariamente

vincolata a specifiche manifestazioni. Non deve essere un’azione sportiva o di maniera, ma una pratica

ludica di tradizione che si rinnova nei contesti contemporanei. In tal senso non sono da considerarsi

comunità ludiche coloro che svolgono rievocazioni storico-folkloristiche o semplici attività didattiche o di

animazione, sebbene considerate valido strumento di emersione del gioco tradizionale. Il gioco tradizionale

va salvaguardato in quanto corre il rischio di esser dimenticato.

Quanto all’appartenenza alla comunità ludica va evidenziato che il gioco tradizionale lavora sul concetto di

territorio e non di etnia. È possibile includere le comunità ludiche dei migranti, portatrici di culture

differenti. Le comunità ludiche non devono avere fini di lucro. I rapporti con privati e aziende non devono

prevalere nelle varie iniziative delle comunità. Non è possibile utilizzare gioco, giocatori e spazi per

veicolare attività e progetti commerciali.

La comunità ludica deve essere per la quasi totalità composta da giocatori praticanti. Infine la qualità

ludica: una sfida intellettuale che obbliga a giocare un gioco con tutti i sensi e con la testa per valutare la

complessità, la tipicità, la storia. L’Associazione “Birilli di Farigliano – Gioco delle Bije” riconoscendosi nel

“manifesto” si è posta l'obiettivo di promuovere la riscoperta e la diffusione di giochi di piazza e di strada

tramite azioni volte a far conoscere i giochi tradizionali; rivalutare le strade e le piazze dove si svolgono le

attività ludiche; organizzare manifestazioni, eventi e iniziative culturali che promuovono il gioco di strada e

che favoriscono la riutilizzazione di spazi pubblici; sviluppare il gioco quale radicamento del territorio

partendo dal presupposto che tradizionalità è cultura del confronto e non dell’isolamento.

Le argomentazioni hanno un loro fondamento storico che si esplica nella memoria storica, un fondamento

ambientale che si ritrova nelle peculiarità ambientali del gioco tradizionale, un fondamento sociale che

diventa creatività sociale. In questa logica si inserisce il discorso dell’evoluzione degli spazi, che non vuole

dire / non deve essere lo stravolgimento o lo svuotamento della dimensione esterna (il gioco del “ferro” si

giocava nelle strade, ora che nelle strade ci sono le auto si gioca nei boschi; il “pallone elastico” si giocava

nelle strade, ora si gioca negli sferisteri); la localizzazione e la territorialità delle regole di gioco con la

necessità di adeguare le regole alla situazione dell’area di gioco; la territorialità anche nella denominazione

con i nomi dei giochi che cambiano da regione a regione.

È quindi intento dell’Associazione creare nei giocatori la consapevolezza che sono portatori di cultura e non

solo gente che si diverte a giocare!

Lo strumento dell’azione è stato individuato nella scuola e nell’educare alla cultura ludica tramite la

formazione, l’insegnamento e la relazione sul gioco tradizionale nelle scuole.

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Per questo è stato redatto il progetto educativo Il gioco tradizionale - Parte del Patrimonio Culturale

Immateriale che vorremmo qui sommariamente illustrare.

Le motivazioni del progetto: l’Italia ha compiuto grandi sforzi per inventariare e conservare il proprio

patrimonio architettonico. Ma le cose non sono andate allo stesso modo in materia di patrimonio

immateriale che, sebbene complesso e disperso, è una risorsa di grande potenziale sociale ed economico. Il

termine “Patrimonio Culturale Immateriale” (Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio

culturale immateriale, Parigi, ottobre 2003) utilizza rappresentazioni, espressioni, la conoscenza e le

competenze, insieme con gli strumenti, oggetti e spazi, che sono inerenti comunità, gruppi e, in alcuni casi,

individui, che si riconoscono come parte del loro patrimonio. Questo patrimonio culturale immateriale, che

si trasmette di generazione in generazione, è costantemente ricreato da comunità e gruppi in base al loro

ambiente, alla loro interazione con la natura e con la loro storia, infondendogli un senso di identità e di

continuità.

In questi tempi di crescente globalizzazione, la protezione, la conservazione e l'interpretazione della

diversità, nonché il patrimonio di un territorio o di una regione, sono una sfida importante per qualsiasi

comunità o gruppo, ovunque. Un obiettivo chiave della gestione patrimoniale è quello di comunicare il suo

significato e la necessità di preservare sia le comunità di accoglienza che i visitatori: l'accesso allo sviluppo

culturale è sia un diritto che un privilegio. L'autenticità è un elemento essenziale del significato culturale,

espressa attraverso l'eredità della memoria e delle tradizioni del passato.

I giochi tradizionali: i giochi tradizionali sono praticati fin dai tempi antichi in Italia. Essi sono principalmente

giochi di origine rurale che sono praticati all'aperto in luoghi pubblici, e che creano una opportunità per

l'intrattenimento e le relazioni fra le popolazioni. Si parte quindi dalla considerazione che i giochi

tradizionali sono parte di quel patrimonio culturale immateriale, che contribuisce a rafforzare l'identità

delle popolazioni e la creazione di una comune tradizione di carattere nazionale. I giochi tradizionali

rappresentano un fattore di rafforzamento della coesione sociale creando spazi e momenti di rapporto.

Destinatari del progetto: il progetto è indirizzato agli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo

grado. La scuola primaria e secondaria di primo grado, per la particolare fascia di età, costituisce il luogo

privilegiato ove più facilmente e consapevolmente possono cogliersi identità e differenze a livello spaziale e

temporale, con la riflessione mediata sul fluire del tempo e sull’essere personalmente inseriti in tale

incessante processo. Il ricorso alle tradizioni popolari nelle attività didattico/educative della scuola primaria

e secondaria di primo grado si potrebbe collocare, così, in un ambito relazionale e riflessivo, in un processo

di relativizzazione dei punti di vista, in un percorso del “diventare grandi” che aiuta i bambini a costruire la

propria storia personale, radicata nel passato, immersa nel presente ed orientata al futuro.

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Obiettivi generali: conservare e diffondere il gioco tradizionale, come risorsa integrante dello sviluppo

culturale e rafforzare l’identità di riferimento per la popolazione. Valorizzare il patrimonio della tradizione

locale: recuperare le memorie perdute e riconoscersi in un ritmo di generazioni. Ricostruire saperi

sovrapponendo i propri stili di vita a quelli di coloro che ci hanno preceduti, senza nostalgia o improbabili

desideri di ritorno al passato, ma con una progressiva acquisizione di forme di esperienza utili per un futuro

possibile. Contribuire al processo di crescita attraverso la conoscenza e la pratica dei giochi tradizionali

attinti dal patrimonio culturale del territorio e sperimentati attraverso la dimensione del gioco motorio.

Obiettivi specifici: sviluppare e migliorare la capacità di relazionarsi con gli altri e con gli oggetti. Migliorare

la capacità di organizzare la propria azione nei giochi non sportivi. Riscoprire e conoscere i giochi della

nostra terra: le regole, gli strumenti e gli aspetti socio-culturali che li caratterizzano. Instaurare legami tra

diverse realtà, con l'organizzazione di eventi legati al gioco tradizionale nelle sue diverse forme. Rafforzare

lo studio, l'inventario, la registrazione e la documentazione. Promuovere la conoscenza del gioco

tradizionale attraverso nuove tecnologie. Creare un percorso locale sulla pratica dei giochi tradizionali.

Il territorio: il progetto si inserisce nel concetto di paesaggio culturale. I giochi tradizionali sono praticati su

aree all'aperto all’interno di un “paesaggio” che ha sue specifiche componenti. Il progetto mira a

contestualizzare il paesaggio e le persone con la loro storia e cultura, la conoscenza e l'interpretazione

dell'ambiente naturale e allo sviluppo culturale, come uno dei modi per la cura e il rispetto per l'ambiente.

Gli attori: popolazione giovanile scolastica e corpo docente dei territori coinvolti nel progetto. Comuni ove

esistono comunità ludiche, associazioni o comunque realtà interessate ai giochi tradizionali. Associazioni di

giocatori, club, federazioni a livello locale, regionale e nazionale.

Quando: verrà avviato nel mese di dicembre 2009 e si concluderà a fine maggio 2010.

Lezioni: il programma prevede la realizzazione di lezioni con oggetto: gioco tradizionale, patrimonio

culturale del territorio; perché giocare: il significato del gioco; archeologia ludica; iconografia ludica; gioco e

spazio urbano; l’aspetto ludico del gioco; gioco costruito e gioco giocato: costruire i giochi per giocare; il

gioco quale veicolo per trasmettere la conoscenza della storia; riscoprire gli usi e tradizioni locali e

approfondire la conoscenza dei giochi in uso alla fine del ‘900 nel territorio piemontese (tappi, biglie,

bottoni, elastico, anelli e figurine); approfondire il programma legato alla preistoria scoprendo il contesto e

l’ambiente di vita e di gioco negli insediamenti primitivi.

Le lezioni saranno tenute da esperti ed insegnanti, da giocatori e da costruttori di giochi tradizionali.

Mostre: una mostra fotografica sarà allestita all’inizio di dicembre 2009 in concomitanza con la

presentazione ufficiale del progetto. Successivamente saranno allestite nel periodo tra gennaio e giugno

2010 mostre con soggetti attinenti il gioco.

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Eventi: Il progetto si concluderà con la manifestazione “GHITA! - Festa dei giochi di strada” programmata

per la fine di maggio 2010.

5. Sport e giochi tradizionali in Sardegna

Un’indagine sulle attività ludico-sportive delle passate generazioni, la riscoperta del loro valore storico,

sociale, culturale.

Maria Pina Casula67

Nell’ambito del programma di finanziamento della legge regionale 17/99, art. 40, che supporta progetti di

ricerca volti alla conoscenza dell’attività motoria in tutte le sue manifestazioni e implicazioni psico-fisiche, il

Comitato provinciale UISP68 di Sassari ha realizzato la ricerca dal titolo “Gli sport e i giochi tradizionali in

Sardegna: un’indagine sulle attività ludico-sportive delle passate generazioni, la riscoperta del loro valore

storico, sociale, culturale”.

L’idea è nata da alcune riflessioni sull’esperienza ludico-sportiva sviluppata negli ultimi decenni all’interno

della progettazione e dell’organizzazione delle attività UISP rivolte ai minori (centri estivi, camp, attività pre

e post scuola, laboratori ludici, ecc).

Nello specifico, un forte stimolo ha rappresentato l’osservazione di alcuni bambini che, nei momenti di

“gioco libero”, non strutturato e non codificato, di tanto in tanto proponevano al gruppo giochi tradizionali

appresi dai propri nonni, spesso proprio durante il periodo estivo, momento in cui la frequentazione con gli

anziani è facilitata dalla chiusura delle scuole.

In queste situazioni sovente i giochi venivano presentati dal bambino senza regole ben definite e in maniera

approssimativa, tutto ciò forse dovuto a descrizioni imprecise da parte dei nonni, la cui memoria doveva

scavare ormai in un passato molto lontano, o alla scarsa possibilità dei nipoti di cimentarsi in dimostrazioni,

gare e competizioni con i propri coetanei, attratti soprattutto da videogames e giochi multimediali

interattivi, lontani cronologicamente e culturalmente da quelle “forme ludiche”.

Da qui il proposito di elaborare una raccolta articolata di giochi e attività sportive caratterizzanti la realtà

del territorio della provincia di Sassari, secondo la suddivisione delle vecchie province (dunque

67

Referente del Comitato Provinciale UISP Sassari. 68

L’UISP (Unione Italiana Sportpertutti) è un ente di promozione sportiva fondato nel settembre del 1948, riconosciuto dal CONI il 24/06/1976, in base al DPR N.530 del 02/08/1974 e dal Ministero dell’Interno con decreto del 06/05/1989 quale ente a finalità assistenziali. Organizza l’attività motoria nelle sue forme ludico-ricreative, sportive, espressivo-comunicative; ne promuove inoltre l’educazione nella scuola. Svolge attività nei seguenti campi, nell’ambito e per il perseguimento dei propri fini statutari istituzionali: formazione professionale, aggiornamento e formazione degli insegnanti e dei tecnici, attività ricreative e turistiche, culturali, ludiche, sociali, di servizio alla persona, di gestione e costruzione impianti, informazione ed editoria. L’attività sportiva della UISP è di natura dilettantistica. Sostiene i valori dello sport contro ogni forma di sfruttamento, d’alienazione, contro la pratica del doping; opera per il benessere dei cittadini, i valori di dignità umana di non violenza e solidarietà, tra le persone e tra i popoli. Riconoscendo lo sport come diritto di cittadinanza, come risorsa per l’integrazione, s’impegna alla promozione e alla diffusione - nello sport e, attraverso lo sport, nella vita sociale - di una cultura dei diritti, dell’ambiente e della solidarietà.

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comprendente anche il territorio dell’attuale provincia Olbia-Tempio), con l’obiettivo di raccogliere e

codificare la tradizione ludica, o quanto meno alcuni aspetti di essa, attraverso il ricordo e il racconto delle

persone più anziane individuate nei paesi maggiormente significativi delle diverse aree omogenee della

provincia e con una forte tradizione storico-culturale.

Vista la complessità del lavoro di acquisizione di informazioni, raccolta dati, analisi schede, ricostruzione

giochi, elaborazione report finale, formazione specifica degli animatori ludico-sportivi, il progetto di ricerca

è stato suddiviso in due annualità: nella prima è stato realizzato tutto il lavoro relativo all’acquisizione dei

dati con ricostruzione di una parte dei giochi, attrezzi e strumenti utilizzati, seguendo fedelmente le

descrizioni e i racconti raccolti; nella seconda si è conclusa l’elaborazione del report finale della ricerca, la

realizzazione di un’altra parte di giochi e strumenti, l’organizzazione di giornate ludiche con esposizione dei

manufatti realizzati.

La prima parte della ricerca è stata realizzata nell’anno 2006, la seconda nel 2007, grazie a una coesa

équipe di lavoro costituita da dodici persone, oltre al coinvolgimento di un gruppo di studenti dell’istituto

statale d’arte di Sassari, che hanno reinterpretato in veste grafico-figurativa le descrizioni di circa sessanta

giochi.

Tra gli obiettivi della ricerca sono stati individuati e perseguiti i seguenti:

Obiettivi generali

Riscoperta degli sport e dei giochi tradizionali praticati dalle popolazioni locali Studio delle regole dei giochi Analisi dei materiali utilizzati per la costruzione degli attrezzi Rilevazione del valore sociale e culturale delle esperienze ludico-sportive del passato Confronto tra gli sport e i giochi della tradizione e quelli attuali Rilevazione della conoscenza dei “giochi antichi” tra la popolazione giovanile Rilevazione ed eventuale confronto con altri dati ed esperienze regionali e nazionali

Obiettivi in termini di ricaduta promozionale e culturale

Rivalutazione della tradizione ludico-sportiva locale Riproposizione dei giochi “riscoperti” attraverso mostre e giornate di animazione Promozione di iniziative volte alla tutela delle antiche tradizioni Coinvolgimento di fasce della popolazione tradizionalmente ai margini dei circuiti ludico-sportivi

Obiettivi in termini di ricaduta sociale

Coinvolgimento dei giovani, in particolare dei bambini, nella rivalutazione dei giochi in strada Coinvolgimento degli anziani nell’attività ludico-sportivo-motoria, strumento di vitalità e benessere

psico-fisico Apertura di un nuovo canale di comunicazione tra giovani e anziani Riscoperta del valore formativo-educativo dell’attività ludico-sportiva all’aria aperta e dei temi della

tutela ambientale

È stato delineato l’ambito territoriale di indagine suddividendo i novanta comuni della provincia in nove

zone omogenee. Relativamente alla città di Sassari la ricerca si è sviluppata per quartieri. È stata chiesta la

collaborazione di alcune case di riposo presenti nel territorio urbano. Le nove zone hanno privilegiato alcuni

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comuni oggetto d’indagine, definiti sulla base della specificità e della valenza storico-culturale all’interno

della propria area di riferimento; tuttavia, a garanzia di una maggiore rappresentatività, sono stati indagati

anche altri comuni per così dire “minori”. Sono stati intervistati 238 anziani, di cui 118 uomini e 120 donne,

di età superiore ai 70 anni, con qualche eccezione tra i 65 e i 70 anni, nati e cresciuti nei comuni della

provincia, a volte contattati tramite associazioni locali, circoli, parrocchie, tuttavia, più spesso, la piazza del

paese è stata il punto d’incontro privilegiato dagli intervistatori. Sono stati elaborati gli elementi relativi alle

persone intervistate: provenienza territoriale, sesso, età, classe sociale, livello d’istruzione. È stato

interessante rilevare che differenze tra classi sociali corrispondevano talvolta a manufatti realizzati con

materiali di differente pregio e valore.

È stata ideata una classificazione nella quale sono stati ripartiti i giochi per tipologia.

Il lavoro di ricerca ha condotto infine alla ricostruzione di alcuni giocattoli e manufatti artigianali. Il lavoro di

ricerca svolto ha consentito il coinvolgimento partecipato di quelle persone tradizionalmente escluse dalle

attività ludiche e sportive, ha promosso il dialogo tra generazioni lontane, consentendo di recuperare e

costruire insieme strumenti e modalità di gioco, ha favorito il confronto fra persone distanti per età, sesso,

cultura, provenienza, non ultimo, ha contribuito a “fissare” nella tradizione culturale scritta dell’isola le basi

e i fondamenti dell’attività ludico-sportiva del secolo scorso.

La ricerca sugli sport e sui giochi tradizionali è nata con l’obiettivo di scavare nelle tradizioni per arricchire i

giovani di elementi della cultura tradizionale, fotografare e rafforzare la memoria storica, coinvolgere le

generazioni più anziane in un processo non solo di riscoperta ma anche di rivalutazione e riproposizione

delle tradizioni sportive e ludiche locali.

Ancora una volta il gioco ha mostrato il suo carattere universale, terreno di confronto e incontro di culture,

luoghi e tempi spesso molto distanti tra loro. Nel ricco lavoro di raccolta sono stati descritti il gioco con gli

astragali, già noto a Greci e Romani, i giochi che “fanno rumore” i cosiddetti crepundia dei Romani o quelli

con le noci che troviamo nella scultura, nella pittura, nella ceramica, nelle decorazioni delle tombe di tutte

le civiltà antiche, le case delle bambole con gioielli e stoviglie dell’Egitto dei faraoni e ancora palle, cerchi,

trottole, carretti e tanti altri ancora. Il linguaggio universale del gioco migra nello spazio e nel tempo

avvicinando geograficamente e storicamente nell’immaginario i bambini di varie epoche e diversi

continenti, oltre ai millenni si annullano i confini e le distanze, le lingue e le differenze etniche.

Considerando il valore socio-culturale del gioco e dello sport, il linguaggio non verbale è diventato nel

presente un luogo di incontro fra differenti generazioni, culture e ideologie, abile strumento di

socializzazione.

Il lavoro di ricerca ha consentito di mettere in relazione due mondi diversi (sport e cultura) ma non

contrapposti, valorizzando alcuni aspetti importantissimi e non trascurabili del mondo ludico-sportivo e del

sistema socio-culturale.

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Non è stata evidenziata una chiara distinzione fra le attività prettamente ludiche e quelle più propriamente

sportive. I ricercatori non hanno avvertito l’esigenza da parte degli intervistati di scindere le due attività.

La distinzione, se vogliamo anche un po’ arbitraria, è stata fatta in sede di elaborazione dei dati rilevati, dal

gruppo di coordinamento che ha deciso di inserire alcuni giochi con la palla o altri di competizione a

squadre tra le attività sportive o competitive.

Tuttavia non è improprio definirle sportive in quanto investono la sfera motoria nel suo complesso,

sottendono a regole definite e condivise, rispondono a quella esigenza di sfida e, in taluni casi, agonismo,

che da sempre caratterizza il mondo sportivo, nel bene e nel male.

Un quesito emerso da questo lavoro porta a chiederci se è poi veramente necessario adottare questo tipo

di distinzione o se è una dissociazione superficiale e inutile.

Lo sport dovrebbe sempre mantenere viva la sua connotazione ludica, solo così può assolvere la sua

importante funzione pedagogico-educativa oltre che sociale.

Nel passato le occasioni di praticare una o più discipline sportive non erano molto frequenti per i bambini.

Le priorità erano considerate altre. Tuttavia la ricerca ha dimostrato che numerose erano le occasioni di

confrontarsi con i propri coetanei, di gareggiare insieme e competere per un eventuale premio (spesso un

oggetto di poco valore). Il gioco, come lo sport, ha regole proprie, talvolta negoziabili, ma sempre da

rispettare alla cui base sta il divertimento e il piacere di stare insieme, confrontarsi, sfidarsi. Il lavoro fin qui

fatto ci porta a condividere l’assioma “non c’è sport senza gioco e non c’è gioco senza sport” alludendo in

questo modo al carattere necessariamente ludico, ricreativo e socializzante dello sport, senza il quale

l’attività sportiva sarebbe solo un lavoro o un sacrificio e parallelamente al gioco che, per quanto possa

apparire destrutturato, rivela una condivisione di obiettivi e regole tra i partecipanti e talvolta stimola una

sana ed equilibrata competizione.

La ricerca non è stata un momento fine a se stesso; grazie alla ricostruzione dei giochi e all’abilità di

educatori e animatori ludico-sportivi, il comitato UISP Sassari organizza, col patrocinio delle amministrazioni

comunali della regione, numerose giornate di animazione durante le quali bambini, giovani, adulti e anziani

vengono coinvolti e invitati a giocare nelle piazze, per le strade, nei parchi, nei luoghi tradizionali della

socialità. Figli e genitori, nonni e nipoti giocano insieme scambiandosi conoscenze ed emozioni.

Durante le giornate di animazione itinerante la realizzazione di otto grandi pannelli con la descrizione dei

giochi più famosi e di alcuni particolarmente interessanti, la messa in opera di una piccola mostra dei

manufatti e l’allestimento di un laboratorio di costruzione dove i bambini possono ricostruire con l’aiuto

degli operatori alcuni semplici vecchi giochi, contribuiscono a promuovere la tradizione e la storia,

impedendo che vengano dimenticate o relegate nei luoghi classici della cultura.

Di rilevante importanza è la collaborazione sviluppata con alcuni circoli didattici nei quali sono stati avviati i

laboratori dei giochi tradizionali. L’entusiasmo dimostrato nelle attività di costruzione, la passione e

l’impegno profusi sono sintomatici del bisogno che hanno i bambini di sperimentarsi e confrontarsi con le

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proprie abilità intellettive ma anche manuali. La soddisfazione di giocare e competere con un gioco

realizzato con le proprie mani innesca meccanismi di gratificazione e autostima determinanti per un sano

sviluppo psico-motorio e un’adeguata crescita emotiva e relazionale del minore.

I laboratori di costruzione del gioco tradizionale si dimostrano un agevole strumento per avvicinare i

bambini alla storia e alla geografia utilizzando un piacevole metodo di apprendimento, il gioco.

Considerazioni per non concludere

Bruna Pangallo

Il tema proposto si è rivelato di grande interesse ed attualità e la discussione all’interno del gruppo di

lavoro si è mantenuta sempre vivace e densa di contributi utili alla riflessione comune.

La prospettiva di “lavorare in rete” ha stimolato la consapevolezza di essere degli anelli di una catena di

eventi, esperienze e realtà che assumono un valore complessivo particolare, in funzione della loro

interazione e “contaminazione” al fine di muovere insieme verso obiettivi comuni e condivisi. L’attenzione

e l’ascolto hanno caratterizzato tutti gli interventi, unitamente alla volontà di rendere partecipi gli altri delle

considerazioni, problemi, caratteristiche e soprattutto prospettive e sogni delle proprie situazioni

professionali.

La tradizione è emersa così come una realtà tutt’altro che morta o decadente, come un prezioso

patrimonio ludico e culturale che continua a rinnovarsi e a trovare nuove forme di realizzazione, laddove

esiste la volontà di non “arroccarsi” al semplice mantenimento in vita di ciò che appartiene al passato, ma si

trasmette alle nuove generazioni attraverso un processo di “riappropriazione” che non esclude forme di

trasformazione più o meno formali, per mantenerne intatto lo spirito essenziale. Ci si è infatti soffermati sul

concetto di “tradimento” che, al di là del significato negativo che il termine oggi generalmente assume,

indica letteralmente la “trasmissione” (dal latino tradere) che non può prescindere da forme più o meno

consapevoli di modifica, dovute all’atto stesso del “passaggio” da un individuo all’altro, da una generazione

all’altra, da un epoca alla successiva e così via…

Tutto ciò permette l’identificazione di un gruppo con le proprie manifestazioni ludiche e culturali, eventi e

feste, intese come espressione di relazioni, socialità, valori etici, in sostanza permette la realizzazione di

scelte politiche e culturali.

Al di là dei concetti fondanti esplicitati nei diversi interventi rimangono tuttavia aperte le prospettive di un

percorso di collaborazione tra i centri di cultura ludica e le diverse realtà e gruppi che si riconoscono nella

Rete ed hanno come finalità la salvaguardia della tradizione, e con gli enti preposti alla ricerca e alla

formazione delle diverse figure educative coinvolte.

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Il gioco risulta ancora una volta il nodo centrale attorno al quale si coagula una comunità, ritrova le proprie

origini non per chiudersi in un’identità locale circoscritta, ma per aprirsi allo scambio e al confronto con le

altre realtà, siano esse quelle del territorio adiacente o quelle, più lontane solo territorialmente, delle

comunità di migranti che coabitano oggi con noi. Gioco inteso come creatività, comunicazione,

contrattazione di regole, socialità, movimento, esperienza, ma soprattutto che mantiene inalterate le sue

caratteristiche essenziali di gratuità e libera scelta, di piacere in se stesso senza necessità di scopi ulteriori,

concetto che al gruppo è parso ben sintetizzato nella definizione di Piero Santoni di “buon sollazzo”!

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Capitolo 6

Ludo-tecnica e edutainment: fattori negativi e valore aggiunto

Il tema: un viaggio ludico dall’edutainment al play learning per domandarci dove e come vivono il rapporto

tra tecnologia e gioco i bambini di oggi, “nativi digitali” che, secondo Postman69, hanno già perso l’infanzia

e si dirigono verso una lunga “baby adultità”? Con l’infanzia è destinato a scomparire anche il gioco? Il

rapporto con la tecnologia, così come avviene per la scienza, è per il gioco un prezioso alleato?

Coordinamento a cura di: Silvia Carbotti, Maria Battaglia

Contributi di: Silvia Carbotti,(ricercatrice UniTo), Maria Battaglia, (Centro per la Cultura Ludica - ITER -

Torino), Giusy Dompè, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto (Circolo didattico Gramsci - Beinasco),

Barbara Demo (Politecnico di Torino), Gustavo Evangelista (collaboratore Lappset)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Silvia Carbotti, Maria Battaglia

All’interno di un convegno dedicato al gioco non poteva mancare un momento di riflessione riservato ai

videogames e alle altre forme ludiche che implementano le tecnologie informatiche.

Il bisogno di riflettere su questo tema rispecchia un’esigenza meno diffusa tra gli adulti che gravitano

intorno al mondo ludico-educativo, soprattutto se rivolto alle fasce d’età dei più piccoli, ma può diventare

centrale, anche se a volte rimosso o ignorato, per chi opera in servizi rivolti agli adolescenti. A questo

proposito è necessario evidenziare come spesso esistano preconcetti o difficoltà degli adulti nei confronti di

questa forma di gioco, in genere poco praticato e distante dal passato ludico personale, e che tale

indisposizione renda spesso difficoltosa l’esplorazione delle possibilità ludiche ed educative offerte dai

videogiochi.

Per aprire il dibattito è stato necessario porsi delle domande, semplici nella formulazione ma complesse

nelle risposte: come vivono il rapporto tra gioco e tecnologia bambini, ragazzi e adulti? È questa la

domanda che ha accompagnato il gruppo di lavoro. A partire da alcune considerazioni iniziali e dalla

presentazione di esperienze significative, individuate sul territorio, si è cercato di aprire il dibattito e

facilitare il confronto circolare, in un atteggiamento di accoglienza - curiosità - indagine per discutere di

69

Postman N., La scomparsa dell’infanzia, Armando Editore, Milano, 2005.

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come il videogioco sia o meno presente e agito nelle realtà ludiche esistenti sul territorio italiano, tra loro

così differenti.

Attraverso questo intervento si auspica di gettare le basi per sollecitare una ricerca ludica che esplori

l’universo del videogioco, con incursioni nell’edutainment e nel play-learning, e un’attenzione verso le

differenze di genere e il contesto ludico contemporaneo, al fine di creare proposte articolate, significative e

vicine ai bisogni e alle domande delle nostre ragazze, dei nostri ragazzi e delle loro famiglie.

Lavoro di gruppo

Alcune insegnanti hanno portato la loro esperienza, legata all’uso di robot all’interno della scuola

dell’infanzia e primaria del circolo didattico Gramsci di Beinasco, realizzata in collaborazione con il

Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Torino (Prof.ssa Demo). Elemento chiave per la

riuscita dell’esperienza è stata la collaborazione tra i bambini che ha facilitato la costruzione di conoscenze

condivise. I bambini avevano la possibilità di manipolare un robot, programmarne un percorso e

sperimentarne il funzionamento: nel caso della scuola dell’infanzia il robot si presentava con le fattezze di

una simpatica coccinella, programmabile attraverso una tastiera collocata nella parte superiore, mentre per

la scuola primaria aveva le sembianze di un veicolo, programmabile attraverso un pc e in cui poteva essere

inserito un pennarello utile a lasciare una traccia tangibile del percorso compiuto.

Secondo le insegnanti, per questi bambini l’aspetto più coinvolgente non era solo quello di imparare a

programmare il robot che stavano utilizzando, ma anche di inventare nuovi giochi, porsi dei traguardi ogni

volta diversi e cercare di raggiungerli, agendo in prima persona.

Da questa esperienza emerge come questi oggetti, con una forte componente ludica, possano sostenere la

costruzione della conoscenza, una costruzione diretta di idee e saperi attraverso l’attività, l’esplorazione e

la manipolazione di oggetti e la relazione con gli altri. Alcune tecnologie, in questa prospettiva, sono viste

come piattaforme ideali per sperimentare idee, prendere decisioni, comunicare con gli altri, ed esplorare o

costruire nuovi mondi. I bambini/giocatori diventano costruttori attivi di saperi piuttosto che destinatari

passivi. Si sviluppa dunque un “apprendimento situato”, ovvero quello che occorre in ogni attività umana:

nell'esame della natura dei problemi che si incontrano, del modo in cui le persone applicano la teoria alla

pratica. Questi oggetti ludici, che si avvalgono di tecnologie informatiche, al pari dei videogiochi,

consentono di sviluppare strumenti utili a rappresentare la problematicità di una situazione, ricostruendo

ambientazioni storiche o fenomeni fisici e naturali.

Successivamente all’interno del gruppo è stata esposta una breve presentazione sui risultati di una ricerca,

condotta in alcune classi in Inghilterra, sull’uso dell'ambiente ludico-pedagogico SmatUs, proposta da

Gustavo Evangelista.

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Da una tecnologia finlandese, sviluppata dalla società Lappset, nasce SmartUs, un gioco interattivo

elettronico generalmente installato all’aperto. I progettisti del gioco avevano come obiettivo quello di

creare uno strumento didattico in grado di dar vita a un ambiente ludico di apprendimento (Playful

Learning Environment, PLE), alternativo all’insegnamento tradizionale e attento ai diversi stili cognitivi

(learning styles). Attraverso software dedicati, gli insegnanti possono utilizzarlo a fini educativi con i ragazzi

creando nuovi giochi, in cui sviluppare in forma ludica anche contenuti svolti in ambito scolastico. Oltre ai

vantaggi forniti sul piano didattico, come messo in evidenza nella ricerca inglese, le attività svolte con

SmatUS consentono di coniugare e conciliare il gioco, l’apprendimento e il movimento (camminare, saltare

o correre) come bisogno del bambino e modalità di esplorazione dell’ambiente.

A partire da tutte le suggestioni e le esperienze fino a questo momento presentate, si è aperto un dibattito

con operatori, educatori, insegnanti e ludotecari che quotidianamente si confrontano con questi temi o

cominciano a prenderli in esame.

Il primo aspetto, messo in evidenza durante la discussione all’interno del gruppo di lavoro, è stato il

rapporto tra il luogo in cui si possono utilizzare i videogiochi e lo stato d’animo o la condizione di chi li usa.

Dalla testimonianza di un’insegnante che lavora in ospedale, si è messo in evidenza come ragazzi in età

adolescenziale, che vivono uno stato di degenza, usino i videogiochi anche in reparto, ma preferiscano

giochi per un’età inferiore alla propria, in cui la narrazione è molto più semplice: sono giochi di avventura o

di abilità e destrezza che i ragazzi sembrano “risolvere” senza particolari difficoltà. Questo ha permesso di

sottolineare come il contesto tenda ad influenzare la scelta del tipo di videogioco. Si tratta, infatti, in questo

caso di giochi che, nella loro semplicità, riescono a rilassare, intrattenere, divertire e favorire l’interazione

con gli altri.

Il concetto di immersione è stato evidenziato come una dimensione importante e che si rivela in grado di

aiutare alcuni ragazzi a superare situazioni di svantaggio che sembrano percepire nella vita reale. «Quando

gioco mi sento un eroe!»: adolescenti che vivono una situazione di disagio nei confronti di altri coetanei,

perché presi in giro, o peggio perché subiscono situazioni di bullismo, trovano nuovi amici, che scoprono o

condividono con loro la passione nei confronti dei videogiochi. Si confidano trucchi e mosse da fare, si

stimano a vicenda. Scoprono la possibilità di “sbagliare”. I videogiochi consentono di reiterare, anche più

volte, un’azione fallendo, tentando, riprovando ancora. Questo permette di non arrendersi quando la prima

volta non si riesce positivamente nei propri intenti.

È emerso, inoltre, come questo aspetto sia, per esempio, molto significativo quando si fa leva sull’uso di

videogiochi interattivi, per aiutare i bambini stranieri nell’apprendimento della lingua italiana.

Generalmente questi bambini si trovano in una condizione di mutismo, dettata dalla paura di esprimersi in

una lingua che non è la propria, davanti a coetanei o compagni di classe. La possibilità di reiterare, anche

più volte, un’azione consente di poter tentare e sperimentare, fino a comprendere l’azione giusta o la

formulazione giusta per raggiungere un obiettivo.

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La difficoltà principale è quella, però, di portare all’esterno queste caratteristiche positive che non

dovrebbero rimanere circoscritte al gioco davanti allo schermo, limitate in una dimensione solo privata, ma

dovrebbero poi consentire di aprirsi anche verso il mondo reale.

Infine è emersa, attraverso l’intervento di alcuni operatori, una resistenza personale e una valutazione

negativa sull’uso di questi strumenti nel tempo libero. A questo proposito è necessario sgomberare il

campo da alcune critiche troppo semplicistiche: parlare di videogiochi e cercare di identificare punti di forza

e svantaggi non nasce dall’esigenza di “introdurli” nella vita dei bambini, ma dalla constatazione che, per le

caratteristiche insite in questi strumenti, sono già elementi di forte attrazione per i bambini, presenti nelle

case e nelle vite sia dei più grandi che dei più piccoli. Occorre, pertanto, capire quello che sta succedendo,

per non creare un gap culturale e generazionale troppo grande per consentirci di comprendere i bambini

stessi. I videogiochi, pertanto, sono solo un elemento del ludico contemporaneo di bambini e ragazzi e non

lo esauriscono, ma dall’altra parte non possiamo permetterci di ignorarli e non comprenderli.

1. Sui videogiochi

Silvia Carbotti

Le generazioni cresciute con Pac-man e Pong, a partire dagli anni ‘70, hanno aperto la strada all’infanzia e

all’adolescenza del ventunesimo secolo e hanno acquisito una graduale familiarità con le tecnologie, in

particolare con tutte le opportunità da queste offerte, attraverso la sperimentazione, l’esplorazione e il

gioco. Ciò ha fatto sì che alcuni videogiochi, in un dato momento storico, per innovazione e caratteristiche,

siano diventati particolarmente famosi, si siano trasformati in insegnanti/istruttori del tutto informali per

sviluppare competenze nel problem solving, nello sviluppo del pensiero divergente, nella coordinazione tra

occhio e mano. Ed ora il gioco elettronico non è solo un’esperienza vissuta in casa e intesa come puro

intrattenimento, ma è entrato a più livelli nell’esperienza umana quotidiana, sia nell’extra-scuola che nelle

classi.

I videogiochi offrono feedback rispetto alle strategie intraprese, consentendo così di calibrare le abilità

individuali e scoprirne di nuove. Le categorie sono ovviamente molteplici: dai giochi di abilità e destrezza,

passando per la simulazione fino ai giochi di avventura. Se però i videogiochi sono nati specificatamente

nell’ambito del cosiddetto entertainment, l’accezione che si utilizza con maggiore frequenza oggi è quella di

edutainment, per legare il carattere di intrattenimento a quello educativo. I videogiochi consentono, infatti,

un rapporto multisensoriale, basato sull’imparare facendo e dunque giocando. Ciò non vuol dire che lo

scopo ultimo sia strettamente educativo o debba necessariamente esserlo, ma che, per la natura

interattiva, collaborativa e la presenza di una molteplicità di codici comunicativi, i videogiochi si pongono

senza dubbio anche in questa prospettiva.

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Va detto inoltre che l’uomo, sin dalla nascita, apprende attraverso una modalità percettivo-motoria che si

attiva quando si interagisce in prima persona con la realtà che si intende conoscere. Questa modalità è

caratterizzata da una vera e propria immersione all’interno di un ambiente e, non a caso, è quella che

contraddistingue l’apprendimento legato all’interazione con ambienti multimediali in cui coinvolgimento e

simulazione divengono elementi centrali. I videogiochi permettono ai bambini di creare un

rapporto/relazione non tanto con la tecnologia ma principalmente con la realtà con cui si stanno

relazionando. È argomento condiviso, inoltre, che i bambini vivano e crescano immersi in contesti ricchi di

tecnologie e, proprio per questo motivo, sviluppano nuovi modi di interagire con esse e con la realtà che li

circonda. Le generazioni precedenti, invece, che non sono cresciute in contesti simili, finiscono con l’essere

goffe e impacciate rispetto alle abilità di bambini ben più piccoli. L’immersione in un contesto tecnologico

forte potenzia nei bambini, cosiddetti “nativi digitali”, la modalità percettivo-motoria.

La scuola ci porta in una seconda fase della vita in cui l’apprendimento segue una struttura più lineare,

basata sullo studio attraverso il libro e più vicina alle generazioni precedenti, definite “immigrati digitali”,

che si sono accostate alle tecnologie, dalle più casalinghe e semplici alle più professionali e complesse, in

una seconda fase della vita ed hanno imparato gradualmente ad usarle e comprenderne le relazioni.

Questa posizione, sempre più popolare nella letteratura, suggerisce che i nuovi prodotti multimediali, tra

cui i videogiochi, siano sofisticati “beni” culturali, in grado di permettere lo sviluppo di competenze e abilità

cognitive più vicine alle condizioni emergenti del ventunesimo secolo.

Il più noto divulgatore di queste idee è Marc Prensky, scrittore, consulente e progettista di videogiochi

educativi e simulazioni. Nel 2001 ha pubblicato Digital Game-Based Learning70 e, nel 2006, Don't Bother Me

Mom - I'm Learning: come computer e videogiochi stanno preparando i tuoi figli per il successo del

ventunesimo secolo!71; Prensky si rivolge a genitori ed educatori per mettere in evidenza come i videogiochi

siano utili allo sviluppo dei bambini. Citando il concetto di neuroplasticità72, colto dalle neuroscienze,

l’autore sostiene che giocare aiuti a riorganizzare le attività del cervello: gestire la complessità, esperire il

fallimento in un ambiente a basso rischio, collaborare con gli altri (anche attraverso il web), comprendere le

conseguenze delle proprie azioni, esplorare diverse identità, gestire informazioni multimediali simultanee

(multitasking).

In questa visione ci sono enormi somiglianze con la posizione proposta da Don Tapscott73 secondo il quale i

bambini “of the new media” sono esperti, autosufficienti, affamati di relazione, di analisi, creativi, curiosi,

70

Prensky M., Digital Game-Based Learning, McGraw-Hill Companies, 2001. 71

Prensky M., Don't Bother Me Mom - I'm Learning, Paragon House Publishers, 2006. 72

Il cervello è l’organo del cambiamento. C’è un concetto nelle neuroscienze denominato neuroplasticità, che afferma che il cervello altera se stesso ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo. Inoltre cambia quando abbiamo una qualsiasi nuova esperienza. La nostra materia grigia, per funzionare al meglio nella vita, si riorganizza mentre scegliamo di modificare il nostro comportamento. In altre parole quando cambiamo realmente idea (change our mind in originale), il cervello cambia… e quando cambiamo il cervello, la mente cambia. 73

Tapscott D., Growing Up Digital: The Rise of the Net Generation, McGraw-Hill Companies, 1998.

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tutte caratteristiche che, secondo David Buckingham74, sono l’effetto di un’immersione in contesti

fortemente caratterizzati dalle tecnologie piuttosto che il risultato di altre forze sociali, storiche o culturali.

E, come Prensky, sia Tapscott che Buckingham ritengono che i videogiochi possano offrire una visione

realistica di come chiunque, giovane o vecchio, apprenderà e lavorerà nei decenni futuri. Il lavoro di

Prensky è significativo perché cerca di coinvolgere in prima persona genitori e insegnanti nel dibattito su

giochi e apprendimento, fornendo alcuni suggerimenti assennati su come utilizzare i videogiochi per scopi

didattici, in casa e a scuola75, suggerimenti preziosi che spesso vengono tenuti presenti anche da educatori

e ludotecari.

2. Uno spazio per il videogioco in ludoteca: problematicità e prospettive

Maria Battaglia

I videogiochi fanno parte del ludico quotidiano di giovani, adolescenti e, sempre di più, anche dei bambini

più piccoli. Nell’incontro con educatori, insegnanti, genitori e colleghi emergono esigenze e interrogativi

sull’introduzione dei videogiochi all’interno di ludoteche o di spazi-gioco aperti soprattutto agli adolescenti.

Ci sembra quindi interessante non tanto offrire soluzioni che rischiano di essere soltanto parziali,

approssimative e fuori luogo, quanto mettere in luce i nodi problematici che l’introduzione dei videogiochi

in ludoteca può produrre o, più semplicemente, far emergere per avviare un confronto all’interno dei

gruppi di lavoro.

Un prezioso aiuto ci viene sia dall’esperienza maturata a Torino, nelle strutture dei Centri di Cultura per il

Gioco, in particolare presso il Centro per la Cultura Ludica, sia dall’articolo Il videogioco nelle ludoteche,

pubblicato su La Ludoteca,76, in cui sono riportati i risultati di uno studio interessante, condotto in Francia

dal 2007 al 2008, sulle attrezzature, i servizi e le pratiche videoludiche nelle ludoteche.

Avviare un confronto, allargato ed esteso, sull’opportunità di allestire uno spazio dedicato al videogioco,

all’interno del gruppo di lavoro, è il primo fondamentale passo che permette di esplicitare bene le

motivazioni personali degli educatori e dare una risposta condivisa dal gruppo di lavoro.

È un approccio metodologico certamente più faticoso in fase iniziale, ma che evita tanto il rischio di limitare

l’intervento a iniziative personali individuali o di una parte dell’equipe, quanto il rischio di confinarlo in un

ambito per addetti ai lavori, con il rischio di privilegiare l’aspetto ludotecnico e tralasciare gli aspetti più

interessanti e significativi legati alla relazione educativa.

74

Buckingham D., Beyond Technology: Children’s learning in the age of digital culture, Cambridge Polity, 2008. 75

Il sito gamesparentsteachers.com descrive diversi modi in cui i videogiochi esistenti possono diventare il punto di riferimento per discussioni e attività. Suggerisce, per esempio, di utilizzare The Sims come punto di partenza per una discussione sulla identità, in particolare propone agli insegnanti di utilizzarlo per affrontare questioni come l’identità personale o la diversità. 76

Rivista La Ludoteca, anno XXX, n. 3.4 - maggio/agosto 2009.

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Un rapporto dialogante, che si confronta con i colleghi e con l’utenza, permette a ognuno di crescere, cioè

di uscire dai limiti dei pregiudizi personali, delle contrapposizioni oziose e fuorvianti, per dare invece un

respiro progettuale più ampio al proprio agire, in grado di dar vita a proposte e iniziative più coinvolgenti,

articolate e motivate.

Le due domande chiave a cui rispondere, perché e per chi introdurre i videogiochi in ludoteca, hanno come

premessa alcune riflessioni e considerazioni.

Sicuramente le risposte sono meno urgenti per chi si rivolge alla fascia di utenti dagli zero ai sei anni,

mentre per altri servizi che si rivolgono a fasce d’età più ampie introdurre i videogiochi vuol dire non

lasciare fuori, ma accogliere una parte importante del ludico contemporaneo, in particolare per gli

adolescenti.

Va comunque sottolineata la crescente e costante diffusione dei videogiochi: già i bambini, di sei/sette

anni, o anche meno, ne fanno richiesta, ne sono in possesso o semplicemente li giocano. In molti casi può

trattarsi dei giochi degli adulti o dei fratelli maggiori, o ancora acquistati e regalati dai genitori per

soddisfare un proprio bisogno di riconoscimento sociale: sovente, in questi casi, i giochi non risultano adatti

alla giovane età, possono trasformarsi in fonte di frustrazione o disinteresse verso altre forme di gioco

palesemente destinate ai più piccoli, ma ritenute socialmente meno gratificanti e puerili.

Se le famiglie devono imparare a gestire la presenza del videogioco in casa, la ludoteca, riconosciuta come

agenzia educativa competente sul gioco, può fornire un modello di comportamento da valutare,

apprezzare, criticare, modificare e, in altre parole, da sperimentare a genitori e a adulti che la frequentano.

L’equipe della ludoteca può scegliere se offrire o meno una proposta limitata, magari funzionale ad attirare

un’utenza in altri modi difficilmente raggiungibile o invece promuovere una proposta culturale inserita in

maniera attiva e problematica nella relazione educativa, ma è comunque importante dare una risposta

coerente, condivisa e leggibile dall’utenza per misurare e dichiarare la dimensione progettuale

dell’intervento che l’equipe è in grado di sostenere.

Quali strumenti: computer o console?

La domanda non è oziosa e la scelta influenzerà sicuramente l’utenza che frequenta il Centro.

Dalla ricerca avviata in Francia emerge che “il tipo di strumenti presenti in una ludoteca (console o

computer) fanno variare considerevolmente non solo le tipologie di giochi e il numero di titoli, ma anche gli

utenti in termini di età e di sesso. Quando le ludoteche, infatti, sono attrezzate con i computer, i giochi di

piattaforma fanno posto a giochi ludico-educativi (…) i giochi di strategia sincroni e i giochi di tiro sono più

numerosi,(…) si tende a far giocare anche i più piccoli (3-6 anni) oltre agli adolescenti (dai 14 anni in su)(…)

si osserva anche una maggiore presenza femminile.

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Inoltre, sembra che le attrezzature nelle ludoteche siano determinanti nello strutturare la pratica video-

ludica: infatti, nel caso delle ludoteche attrezzate con le console, le pratiche del videogioco sono meno

educative, più orientate su prodotti di mercato e centrate sul divertimento.

Nel caso delle ludoteche attrezzate con i computer, i titoli sono più diversificati, i giochi più utilizzati dalle

femmine, gli adolescenti e gli adulti più presenti”77. Sicuramente il computer diventa uno strumento più versatile, utile non solo per il gioco, ma funzionale

anche per altri aspetti della vita in ludoteca. Pone però maggiori problemi di natura tecnica, mentre le

console generalmente sono più semplici da gestire perché i giochi per queste piattaforme sono

immediatamente fruibili.

Altro nodo problematico è scegliere quali software acquistare, ma anche accogliere: infatti, quando c’è uno

spazio dedicato ai videogiochi, anche i ragazzi tendono a portare i loro giochi per condividerli con amici e

compagni. La ludoteca può accettarli o operare una selezione, scegliendo quali far entrare e quali no, o

ancora raccogliere l’occasione per articolare, sviluppare e arricchire la relazione educativa con gli

adolescenti.

Per la ludoteca la scelta dei giochi non è, in ogni caso, secondaria o casuale, ma avviene sempre in base a

criteri condivisi tra gli operatori. Nel caso dei videogiochi il codice PEGI è sicuramente un punto di

riferimento. Il sistema PEGI (Pan European Game Information) è il primo sistema paneuropeo di

classificazione in base all’età per computer e videogame. Esso fornisce raccomandazioni sul contenuto e

l’idoneità in base alle diverse fasce d’età, ma non dà indicazioni sulla “giocabilità” e sulla “usabilità”. Notizie

in merito devono essere reperite in altro modo ed è cura degli adulti raccogliere le informazioni adatte78.

Un punto dolente restano i costi dei software: non acquistare le ultime novità, molto più onerose, ma

scegliere riedizioni più economiche, giochi longevi per durata e possibilità di gioco e affidarsi al passaparola

tra videogiocatori possono essere buone strategie per contenere notevolmente i costi e offrire una buona

varietà di giochi che accontenti tutti i “gusti” e offra, allo stesso tempo, un’opportunità di ampliare gli

interessi ludici.

Il collegamento internet, inoltre, permette di ampliare l’offerta ludica usando le risorse gratuite messe a

disposizione dalla rete. Questa possibilità apre tuttavia un altro problema: non è facile per la ludoteca

gestire e conciliare la possibilità di navigare sicuri, garantendo la tutela del minore e il suo diritto di accesso

all’informazione e alle opportunità della rete, e il rischio non da poco di esporre i minori a contenuti non

appropriati agli strumenti di lettura in loro possesso. Internet, i cui contenuti sono per tutte le fasce d’età e

non sempre collocati in siti separati, ben identificabili, è una risorsa e uno strumento sempre più in uso

diffuso sia a scuola che a casa: gestirlo richiede una sinergia tra genitori, bambini ed educatori che li veda in

77

Op.cit. 78

Bruschi B., Parola A., Figli dei media, SEI, Torino, 2005.

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costante dialogo. L’educazione, e non tanto la proibizione, possono essere la pratica migliore per insegnare

un corretto uso della rete.

Altra domanda e altra scelta importante, per le dinamiche a cui dà vita, è la scelta dello spazio e, in

particolare, la scelta tra uno spazio separato dagli altri spazi ludici, facilmente controllabile e fruibile da un

numero ristretto di utenti o uno spazio condiviso con altre situazioni ludiche e accessibile da tutti gli utenti,

indipendentemente dall’età. In questo caso si ha il vantaggio di avvicinare generazioni diverse, ma la

condivisione implica la mediazione, che si rivela fondamentale nella gestione dei tempi e delle modalità di

fruizione.

Mentre i tempi possono essere concordati con l’equipe, autogestiti dall’utenza, tutti i giorni o limitati ad

alcuni, le modalità possono essere diverse: da soli, a gruppi omogenei o no, con il coinvolgimento diretto o

meno degli adulti, educatori e accompagnatori.

L’uso dei videogiochi può inserirsi nella vita della ludoteca con iniziative ad hoc, ma anche in occasioni di

feste per l’allestimento di postazioni di gioco, o, se si possiedono computer, stampante e scanner, per la

preparazione di eventi con la produzione e stampa di materiale vario. Se si dispone di un collegamento

internet può essere un aiuto nelle ricerche dei ragazzi, permette contatti con altre ludoteche per tornei,

scambi.

Le occasioni quindi per arricchire la vita della ludoteca e la relazione educativa sono innumerevoli, rimane

solo un’ultima necessità: la formazione. Anche se molti giovani educatori possono definirsi nativi digitali, è

necessaria, ma non sufficiente, la conoscenza e, possibilmente, la pratica dei videogiochi. È indispensabile

formarsi per poter acquisire, condividere, confrontare competenze e trasformarle in un agire educativo

responsabile in grado di aiutare le bambine e i bambini, i ragazzi e le ragazze a costruire la propria

autonomia, la propria cittadinanza responsabile.

Dieci anni di esperienza

Presso il Centro per la Cultura Ludica di Torino è attiva da una decina d’anni un’area tematica dedicata ai

videogiochi. L’intento iniziale era di esplorare questa parte dell’universo ludico che negli anni ha assunto

dimensioni notevoli non solo a livello di mercato globale, ma soprattutto nel quotidiano ludico

contemporaneo di giovani adolescenti. C’era la necessità di capirne le possibilità in campo ludico ed

educativo, l’urgenza di confrontarsi, uscendo da sterili contrapposizioni di principio, rinnovando

l’attenzione verso il ludico e le sue nuove forme.

Si sono così avviate attività che hanno coinvolto:

- classi della scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e di recupero scolastico

- utenza libera accolta presso il Centro nei sabati a tema

- formazione adulti insegnanti e corsi CSEA.

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Ora si può fare una prima valutazione di alcuni aspetti che sono emersi nel corso di questi anni, con una

particolare attenzione verso bambini e insegnanti, aspetti delle dinamiche di gioco, ruolo dell’adulto nelle

attività presso il Centro e genitori.

Negli anni i bambini sono molto cambiati sotto alcuni aspetti che coinvolgono il ludico.

È cambiato il rapporto che i bambini hanno con i videogiochi: se dieci anni fa, in ogni classe solo un

gruppetto di maschi dagli otto anni in su aveva esperienze dirette, oggi i videogiochi sono utilizzati da tutti,

coinvolgendo bambini e ragazzi anche di età inferiore, senza distinzione di sesso e provenienza sociale e

culturale. Il graduale e continuo cambiamento della composizione sociale delle classi, con l’inserimento di

bambini di altre nazionalità e culture, non ha inciso sulle dinamiche ludiche, anzi le ha arricchite.

Nell’avvicinarsi al mezzo, computer o console che sia, i bambini hanno meno paure, sono curiosi, riescono

velocemente, in particolare con l’aiuto del gruppo dei pari, a imparare come manipolare mouse e

controller, come muoversi in ambienti ludici complessi.

Crescendo, i ragazzi imparano, molto spesso con il passaparola, a manipolare lo strumento di gioco fino a

quando diventa trasparente, sempre più sfondo79, e centrale diventa non solo il gioco, ma anche la

comunicazione con gli altri, la visione di film, l’ascolto di musica, la raccolta di informazioni e la

pubblicazione di propri scritti. Oggi lo strumento per videogiocare viene usato in modi diversi rispecchiando

gli interessi, le capacità tecniche e gli orizzonti culturali e sociali di chi lo utilizza.

Anche gli insegnanti sono cambiati negli anni. Permane in alcuni una resistenza verso il videogioco, in

particolare quello su console, ma cresce in altri l’interesse verso le TIC e un bisogno di capire e includere il

ludico, o alcuni elementi di esso, in ambito didattico. Questa sensibilità nasce da un’esigenza di superare la

lezione d’informatica, creando ambienti di apprendimento capaci di coinvolgere attivamente i propri allievi,

e dalla necessità di migliorare le dinamiche relazionali attraverso il gioco.

Osservando bambini e ragazzi interagire con un videogioco, si notano le stesse caratteristiche e dinamiche

già presenti nel gioco tradizionale quali la scelta dei compagni di gioco; la negoziazione sulla scelta dei

giochi, sui tempi e turni di gioco e su quali azioni compiere; l’impegno e la gioia che accompagnano la

riuscita nel gioco o il raggiungimento degli obiettivi; l’autoesplorazione, il superamento della paura

dell’errore, l’aumento dell’autostima; il bisogno e il piacere di condivisione delle scoperte o conquiste con il

gruppo dei pari e con gli adulti; l’aiuto reciproco con la condivisione di abilità e competenze e il

miglioramento delle performance da un lato e la creazione, il consolidamento o la rottura dei rapporti

amicali dall’altro.

Altre riflessioni riguardano il ruolo dell’adulto a cui è chiesto di: accogliere le narrazioni, di essere

consapevole delle possibilità di bambine e bambini, ragazze e ragazzi assicurando loro sostegno e fiducia,

organizzare l’ambiente calibrando le proposte gioco in modo che la qualità dell’impegno richiesto si accordi

79

McLuhan M., Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano, 1967.

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con l’età di bambini e ragazzi; accogliere/riconoscere/restituire/ampliare gli interessi di bambini e ragazzi e

le loro competenze; riflettere per creare cultura; arricchire/diversificare gli ambienti ludici e gli ambienti di

apprendimento; ampliare la propria formazione, rinnovando una presenza attiva e attenta in campo

educativo.

Un cenno particolare va ai genitori che guardano i loro figli maneggiare computer e videogiochi, molto

spesso curiosi, orgogliosi, speranzosi, altre volte preoccupati o diffidenti. A loro spetta il ruolo importante

di limite e di controllo a tutela del minore.

Un aspetto interessante che emerge in questi ultimi anni è il recupero graduale della frattura

generazionale, che si era creata in campo ludico a partire dagli anni ‘70. In alcune famiglie c’è ora la

condivisione di una cultura ludica che si riavvicina: molti papà e alcune mamme hanno un passato

videoludico che mettono in gioco nelle dinamiche familiari.

3. Bambini e robot

Giusy Dompé, Laura Gullino, Lucia Papalia, Luisa Pezzuto80

Introduzione

“La scuola dovrebbe riuscire a confrontarsi sempre con i cambiamenti e le innovazioni per essere in grado

di fornire risposte formative adeguate alla realtà sociale e culturale che gli allievi vivono e nella quale si

troveranno ad operare.”81

È a partire da queste considerazioni che cinque anni fa è stato inserito nel piano dell’Offerta Formativa del

Circolo didattico di Beinasco il progetto di Robotica che prevede l’uso, da parte degli alunni, di vari tipi di

robot programmabili durante le attività scolastiche.

Da anni avevamo cominciato a potenziare le scuole primarie e dell’infanzia del Circolo in termini di

hardware, software e formazione del personale in campo informatico. Abbiamo rilevato però che tutto ciò

che con i bambini riuscivamo a realizzare (utilizzo di programmi di videoscrittura, fogli di calcolo, disegni,

ecc.) rischiava di risolversi nel computer stesso.

Il rischio dunque era che la macchina diventasse il fine delle attività; noi invece volevamo fortemente

educare i bambini a riconoscere nelle tecnologie il mezzo. Era necessario quindi trovare uno strumento

ludico che fosse per i bambini tecnologicamente appetibile, che li attirasse senza renderli fruitori passivi ma

soggetti attivi che costruiscono, progettano, pensano, provano e verificano.

Per la nostra generazione i robot appartenevano, per lo più, ad un mondo di fantasia e di fantascienza, per i

nostri alunni i robot sono diventati molto più concreti: giocattoli che si trovano comunemente in

80

Docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria, Circolo didattico di Beinasco - Gramsci www.beinascogramsci.it. 81

Feuerstein R., Non accettarmi come sono, Sansoni Editore, Milano, 1995.

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commercio, che eseguono gli ordini che gli sono stati impartiti dai loro costruttori ma che non sono in

realtà controllabili dal bambino che può giocarci solo seguendo alcune regole prestabilite.

I robot proposti a scuola hanno la particolarità di essere dei giocattoli che per funzionare devono essere

programmati direttamente dai bambini, alcuni anche costruiti in base a caratteristiche diverse e particolari,

consone al tipo di movimento e/o di percorso che si vuole che facciano.

I bambini hanno accolto con entusiasmo la proposta dei robot in classe e la loro curiosità ci ha permesso di

progettare un percorso didattico articolato che li ha visti protagonisti nell’ideazione e nella

programmazione dei robot.

“La costruzione che ha luogo nella testa spesso si verifica in maniera particolarmente felice quando

supportata dalla costruzione di qualcosa di molto più concreto: un castello di sabbia, una torta, una casa di

Lego, un programma per computer, una poesia, una teoria dell’universo...” (Seymour Papert).

Esperienze nelle scuole

Le attività che prevedono l’utilizzo a fine didattico di piccoli robot vengono proposte in tutte le scuole

dell’infanzia e in tutte le scuola primarie del Circolo e coinvolgono i bambini dai cinque agli undici anni.

Il fascino esercitato dai robot sui bambini fa sì che anche gli alunni della scuola dell'infanzia possano fare

esperienze inoltrandosi in un mondo scientifico mediante un approccio divertente.

Attraverso queste esperienze abbiamo potuto constatare come i bambini mettano in gioco le loro attitudini

creative, la loro capacità di comunicazione e, con la regia attenta dell'insegnante, anche la disponibilità alla

cooperazione.

Nelle scuole dell’infanzia viene utilizzato il Bee-Bot, una piccola ape di plastica,

che a prima vista sembra un giocattolo come altri ma che in realtà è un robottino.

È programmabile in modo semplice e immediato, premendo in sequenza i tasti

posti sul dorso, sui quali sono disegnate delle frecce che corrispondono alle

direzioni avanti, indietro, destra e sinistra.

Ogni azione in avanti o indietro determina rispettivamente uno

spostamento del Bee-Bot di 15 cm e ogni azione destra o sinistra una

rotazione relativa di 90°; si possono programmare fino ad un massimo di

40 azioni. L’ape viene introdotta nell’attività scolastica come elemento

fantastico durante l’attività di laboratorio: risulta strategico e

fondamentale il numero ridotto dei bambini poiché ciò consente una

migliore partecipazione ed un loro più puntuale coinvolgimento.

I bambini hanno la possibilità di conoscere, toccare, manipolare e

sperimentare liberamente l’uso dei tasti.

Fig.1 Il Bee-Bot

Fig.2 Esempio di cartellone

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In concomitanza a questo primo approccio con il robot, i bambini

svolgono un’attività di gioco motorio che permette loro di vivere

con il corpo esperienze di direzione e lateralizzazione; con i

bambini risulta inoltre sempre molto significativo osservare

come la lunghezza del loro passo vari a differenza di quello del

Bee-Bot (azione conseguente alla pressione del tasto avanti o

indietro) che è sempre lungo uguale.

Dopo questo primo momento di conoscenza del Bee-Bot

vengono introdotti dei cartelloni (vedi figura 2), suddivisi in

quadrati di 15 cm circa di lato, che propongono ambienti diversi

nei quali il Bee-Bot si può muovere.

I bambini imparano quindi a programmare i movimenti dell’ape per fare in modo che si sposti sul cartellone

secondo un percorso stabilito, utilizzando i tasti del Bee-Bot. Pervengono così naturalmente all’utilizzo di un

primo semplice codice poiché sostituiscono la freccia corrispondente alla direzione con le parole: avanti,

indietro, destra e sinistra.

Il Bee-Bot è sempre inserito all'interno di storie che si adattano alla progettazione didattica. È diventato, ad

esempio, uno dei personaggi principali nel Progetto Ambiente. Infatti uno dei cartelloni proposti

rappresenta l'orto, in alcune caselle sono disegnati gli ortaggi, in altre gli attrezzi, gli insetti o i fiori.

Il bambino decide autonomamente il percorso e quindi quali caselle far percorrere al Bee-Bot per

raggiungere quella casella con la figura prescelta. Quasi sempre le attività vengono proposte sotto forma di

gioco. Sono possibili diverse varianti che partono spesso anche dalla fantasia e dalla creatività dei bambini.

Un gioco consiste nel racchiudere in un sacchetto le figure rappresentate sul cartellone. Il Bee-Bot viene

posto sulla casella d’inizio, quindi a turno i bambini estraggono un’immagine che il robot deve raggiungere.

In seguito possono essere associate alle figure dei numeri e la scelta avviene tramite il lancio di dadi.

Un'altra esperienza è incentrata sul racconto di favole: sul

cartellone vengono posizionate immagini di personaggi o

momenti di favole; l'insegnante legge brevi frasi che descrivono

e corrispondono ad un'immagine del cartellone, il bambino deve

mandare il Bee-Bot sulla casella giusta.

È importante sottolineare come questo simpatico robot a forma

di ape sia uno strumento didattico utile allo sviluppo della

percezione spaziale e della logica, ma non solo. Il bambino è

anche chiamato a mettere in atto strategie risolutive, deve

ipotizzare un percorso, possibilmente il più breve, e così

Fig.3

Una bambina programma un Bee-Bot

Fig.4 Lo Scribbler

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comincia a confrontarsi in modo spontaneo e ludico con il concetto di aggiunta e/o diminuzione riguardo

alle azioni da far svolgere al robot.

Il percorso attuato nella scuola primaria propone per la classe prima ulteriori attività con il Bee-Bot, che

diventa anche strumento di raccordo interdisciplinare.

Nella scuola primaria, in continuità con la scuola dell’infanzia, è quindi possibile proporre nuove attività con

l'apina che, in tal modo, diviene uno strumento di conteggio sulla retta

numerica, fornendo un supporto visivo ai bambini che così possono

prevedere, programmare ed effettuare movimenti in avanti e indietro. Il

piccolo robot può anche essere il protagonista di storie da inventare e da

scrivere, può assumere infatti ruoli e travestimenti diversi, può muoversi

in scenari ideati e realizzati dagli stessi bambini.

A partire dalla classe seconda e per tutta la terza, viene proposto ai

bambini lo Scribbler, un robot programmabile dotato di ruote

indipendenti, di led luminosi, di fotocellule capaci di rilevare e

seguire fonti luminose, di trasmettitori a raggi infrarossi per

individuare ed evitare ostacoli, di sensori di linea posti sulla base del

robot che gli permettono di seguire una traccia nera, su uno sfondo

bianco. Di particolare utilità risulta il foro centrale presente nello

Scribbler: in esso è possibile inserire un pennarello che, con il

movimento effettuato dal robot, può lasciare traccia su un foglio del percorso effettuato, da questo il

nome: “Scribbler™ Robot”, ovvero robot che scarabocchia.

La novità introdotta dallo Scribbler è la necessità di utilizzare il computer per programmarne gli

spostamenti attraverso un’interfaccia grafica. I bambini sono dunque avviati ad una programmazione

iconica: la programmazione del Bee-Bot avveniva con la pressione di tasti, per la programmazione dello

Scribbler devono provvedere con la scelta delle icone (comandi) adatte. In

modo del tutto naturale i bambini cominciano a manipolare grandezze

variabili. Occorre infatti impostare in termini di grandezza la direzione, la

velocità e la durata del movimento. Con gli appositi comandi, oltre al

movimento, è possibile attivare l’accensione e lo spegnimento delle luci, la

riproduzione di sequenze sonore e, con l’ausilio di procedure più

complesse, è possibile impostare cicli di ripetizione o di scelta a seguito di

un’interrogazione (ad esempio, “se c’è un ostacolo, allora gira a destra”).

Lo Scribbler propone otto programmi dimostrativi. Utilizzando tali programmi si può osservare il robot in

azione e avere un’idea delle potenzialità; questa fase di osservazione costituisce il primo approccio al robot.

Fig.5

Interfaccia grafica per lo Scribbler

Fig.6

Lo Scribbler legge la traccia

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155

In seguito i bambini, consapevoli delle possibilità di movimento dello Scribbler, possono utilizzare il

software di programmazione e collegare le varie icone corrispondenti a semplici comandi. Ad una fase di

progettazione, nella quale sono stati stabiliti i movimenti e le azioni che si vogliono far eseguire al robot,

segue la fase di realizzazione che si concretizza in espliciti diagrammi di flusso. Facendo muovere lo

Scribbler è possibile disegnare linee rette e/o curve oppure figure geometriche, applicando e

sperimentando le conoscenze possedute.

È evidente che attraverso il canale del gioco e del divertimento possono essere veicolati contenuti

disciplinari, relativi all’aritmetica e alla geometria, di elevato valore per quanto riguarda la maturazione

delle capacità logiche e di problem solving.

Nelle classi quarte e quinte viene introdotto il robot RCX della

LEGO, che si ottiene utilizzando i famosi mattoncini, con cui i

bambini hanno familiarità, uniti all’unità centrale programmabile,

costituita da un blocco contenente il microprocessore (vedi fig. 7).

L’RCX può eseguire azioni programmabili attraverso il computer,

con dei comandi molto simili a quelli usati nel LOGO e usati

normalmente (avanti, indietro, ciao…). In breve tempo i bambini

apprendono e padroneggiano il linguaggio, rendendosi conto

dell’importanza e della necessità di rispettarne le regole

ortografiche e sintattiche (il comando “avanti” funziona, “vai

avanti” no; il comando “avanti (15)” funziona, “avanti15” no).

Inutile scrivere di come questa richiesta di precisione possa estendersi positivamente al linguaggio adottato

quotidianamente.

L’RCX favorisce quindi la creatività nella fase di costruzione e

l’accuratezza nella fase della programmazione.

In un’esperienza condotta in due classi quarte, composte da

22 alunni ciascuna, i bambini hanno operato sia in classe, che

nei corridoi, che nella palestra, in situazioni e in spazi diversi

che hanno presentato diverse condizioni.

Le dimensioni dei locali e le diverse tipologie di pavimento

hanno richiesto continui adeguamenti nella costruzione dei

robot e nella loro programmazione.

I bambini hanno eseguito le attività rivelando grande creatività nella ideazione e nella costruzione dei

robot, e una buona dose d’intraprendenza nella fase di programmazione.

Ogni classe ha lavorato in gruppi formati da tre o quattro allievi. Tale modalità ha fatto emergere in modo

evidente particolari dinamiche relazionali fra i componenti del gruppo.

Fig.7

L’unità centrale dell’RCX della LEGO

Fig.8

Un robot realizzato con l’RCX della LEGO

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In alcuni casi tali dinamiche sono risultate positive e funzionali al gruppo, in altri casi invece sono risultate

d’ostacolo al sereno svolgimento del lavoro.

I docenti si sono così resi conto di come in quest’attività non si trattasse tanto di bilanciare i gruppi in

termini di maggiori e/o minori competenze dal punto di vista scolastico in senso stretto, quanto di formare

squadre di elementi con capacità diverse, non conflittuali fra loro, in grado di contrattare le proposte dei

singoli per giungere ad una soluzione di lavoro unica e condivisa.

Conclusioni

Dalle iniziative messe in atto in questi anni nell’ambito del Progetto Robotica abbiamo constatato che gli

alunni assumono un ruolo da protagonisti e centrale nelle attività, poiché non devono adeguarsi alle

richieste dell’insegnante, che assume il ruolo di consulente, ma devono scegliere mediando con i compagni

i percorsi risolutivi.

Liberi da vincoli i bambini, sulla base di poche istruzioni preliminari, hanno sempre avviato l’esperienza in

modo immediato.

Un ruolo fondamentale ricopre il gruppo di allievi

che collaborano nella costruzione e nella

programmazione del robot. È importante che

siano presenti in modo equilibrato capacità di

intuizione, analisi, astrazione, comunicazione e

realizzazione. La padronanza di un metodo

collaborativo è l’elemento chiave per operare.

Ognuno svolge un ruolo indispensabile in base alle

proprie attitudini e capacità.

L’insegnante è un mediatore, il suo compito non è

quello di fornire risposte e/o soluzioni o trasmettere nozioni ma predisporre occasioni e stimolare gli allievi

ad osservare, a porsi domande, a creare collegamenti e ad individuare strategie.

Una caratteristica fondamentale della robotica è l’assenza di soluzioni prestabilite. Ogni nuova situazione

offre spunti e opportunità diverse, che possono essere affrontate e risolte in modo diverso.

Il percorso di scoperta non è lineare ma è una ricerca continua, non procede per tappe obbligate ma per

tentativi ed errori.

In tale contesto anche l’errore assume una nuova valenza. Quando il robot non esegue quanto previsto

risulta evidente ai bambini che c’è qualcosa di sbagliato, senza bisogno di una valutazione esterna al gruppo

o della supervisione dell’insegnante, ed è chiaro che bisogna apportare degli aggiustamenti. L’errore non è

il risultato dell’azione di uno solo ma di un gruppo, perde quindi la connotazione fortemente negativa

Fig.9 Bambini al lavoro con l’RCX della LEGO

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legata al singolo e diventa una nuova sfida e uno stimolo a ricercare insieme una strategia di risoluzione;

nell’attività robotica l’errore diventa un’occasione per raggiungere in modo più consapevole il successo.

Riferimenti bibliografici

Feuerstein R., Non accettarmi come sono, Sansoni Editore, Milano, 1995

Marcianò G., Robotica a scuola, Rassegna dell’Istruzione, Le Monnier, Milano, 2005, pp. 32-64.

Papert S., The Children’s Machine, Basic Books, USA, 1994

Papert S., Logo Philosophy and Implementation, Logo Computer Systems Inc., Canada, 1999, (traduzione

italiana a cura di G. Marcianò).

4. Collaborazione tra scuole primarie e Università in attività con piccoli robot programmabili

Barbara Demo 82

Una collaborazione tra Dipartimento di Informatica dell’Università di Torino e una Rete di scuole primarie,

distribuite nella regione, ha prodotto un ambiente di sviluppo programmi e traduttori di linguaggi di

programmazione di piccoli robot specificamente pensati per bambini e scuole.

Attualmente questi strumenti sono operativi per i “mattoncini” RCX e NXT Lego ma possono essere adattati

ad altri robot e, più generalmente, ad altri oggetti programmabili. Le attività di programmazione di piccoli

robot servono a fare esperienze inerenti le varie discipline scolastiche, a partire dalla matematica, materia

per cui non è facile produrre attività di sperimentazione che introducano e motivino concetti del normale

curriculum scolastico. Inoltre stimolano la creatività ed il lavorare insieme ad un obiettivo comune. I

bambini coinvolti in queste attività acquisiscono dunque elementi del loro normale curriculum scolastico

con un approccio costruzionista e, al contempo, sono introdotti alla programmazione. Risultano così anche

preparati a non subire bensì ad affrontare attivamente la crescente pervasivitá degli elementi informatici la

cui presenza negli oggetti che ci circondano, già oggi consistente, è in continua crescita.

Introduzione

Con le recenti iniziative di governo per il riordino della scuola italiana si è riaccesa la discussione per

definire quale informatica debba entrare a far parte dei programmi scolastici ai diversi livelli di età.

Recentemente scienziati di grande esperienza, non informatici, hanno affermato che è giunto il momento

in cui i PC devono lasciare l’aula laboratorio dedicata per integrarsi nelle classi, perché gli insegnanti delle

varie discipline possano fare ampio uso della rete e dei molti applicativi che permettono di illustrare le loro

materie con maggior profitto.

82

Dipartimento di Informatica, Università di Torino, [email protected]

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Si invoca dunque una estesa presenza strumentale dell’informatica nella formazione, che richiede

adeguamenti strutturali nelle scuole perché sia disponibile almeno un collegamento in rete per ciascuna

classe. Gli scienziati informatici concordano con questa visione, che senza dubbio permette di migliorare la

didattica delle varie discipline, ma insieme ritengono che nelle scuole debba esserci anche una presenza

dell’informatica quale scienza dell’informazione: le esperienze oggetto di questo lavoro vogliono

contribuire a realizzare attività prototipali di questo tipo di presenza dell’informatica nella scuola

dell’obbligo. In tali esperienze i bambini (o i ragazzi) progettano attività da far compiere a piccoli robot

programmabili, scrivono i programmi per fare muovere i robot nel modo in cui hanno progettato, discutono

dei risultati tra loro e con gli insegnanti che li guidano a raccogliere e considerare i fatti occorsi durante le

attività con i piccoli robot, per fare emergere concetti e principi, per esempio, di matematica o di fisica.

Per programmare i robot si usano linguaggi di programmazione orientati ai bambini ispirati al Logo di

Papert, [Papert, 1980], ma di impianto del tutto simile ai linguaggi comunemente usati nella

programmazione. Dunque i bambini imparano anche a programmare e risultano in tal modo preparati dalla

scuola a non subire bensì ad affrontare attivamente la crescente presenza di elementi informatici negli

oggetti che ci circondano, già oggi consistente ed in continua crescita. Infatti noi usiamo normalmente molti

oggetti che funzionano eseguendo un programma in cui i costruttori hanno codificato il comportamento

che hanno progettato per ciascun oggetto. Nel prossimo futuro troveremo intorno a noi un crescente

numero di oggetti, cosiddetti intelligenti, perché capaci di compiere un certo numero di azioni che un

utente potrebbe decidere di volta in volta specificando le condizioni di inizio, la durata, l’ordine di

esecuzione delle azioni scelte, magari condizionato a certi eventi: in breve, scrivendo un programma.

Si noti che proprio le grandi pervasività, eterogeneità e plasmabilità degli oggetti programmabili non

permettono di paragonarli, per esempio, all’automobile, che può essere guidata senza che si sappia come è

fatto il motore. Semmai paragonabile al saper guidare l’automobile, senza aver messo il naso nel motore, è

l’uso di una specifica applicazione (software) che, per esempio, simula il movimento della terra intorno al

sole e che non ha senso i ragazzi vadano a indagare nell’architettura delle sue componenti. D’altra parte fin

dal 1996 M. Resnick, Bruckman and Martin, nel loro lavoro Pianos Not Stereos, sollecitavano ad avviare i

nostri ragazzi all’uso del computer come fosse un pianoforte, non uno stereo [Resnick, 1996].

Probabilmente la maggior parte dei futuri oggetti intelligenti saranno così poco costosi che il produttore

non si offrirà di cambiare il comportamento standard adattandolo di volta in volta alle esigenze del singolo

utente. Il professionista o il privato che saprà farlo da sé, o almeno si saprà rendere conto di come può

esserne variato l’uso, sarà avvantaggiato rispetto a chi “ha imparato un modo di guidare” e a quello si

attiene per sempre. Per concludere, tra gli obiettivi che gli studenti raggiungono attraverso le attività coi

robot ne mettiamo in evidenza soprattutto due:

- la produzione di fatti su cui ragionare per essere introdotti a concetti del normale curriculum scolastico

attraverso il progetto, la realizzazione, l’osservazione e la valutazione delle esperienze con i robot;

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- l’acquisizione di dimestichezza col modo di far funzionare in modi diversi oggetti programmabili e di

cambiarne il funzionamento, cioè di programmarli o capire la possibilità di variazione di funzionamento, se

il caso prevenirla.

Non abbiamo fin qui detto del valore formativo dell’informatica pur ritenendolo essenziale, specie per le

nuove generazioni che avranno sempre più diffusa e ampia famigliarità con la tecnologia. Discutere questo

importante aspetto ci porterebbe fuori dall’ampiezza che ci è consentita per questo lavoro, e fuori dal suo

obiettivo più proprio che è illustrare i prodotti della collaborazione tra università e scuole dopo averli, come

abbiamo fatto fin qui, motivati. Nel paragrafo che segue descriviamo concisamente linguaggio di

programmazione ed ambiente di sviluppo programmi prodotti presso il nostro Dipartimento, perché

bambini ed insegnanti di elementari e secondarie di primo grado possano programmare piccoli robot con

strumenti a loro orientati, magari dopo aver programmato col BeeBot in attività simili a quelle descritte

dalle insegnanti di Beinasco in questa medesima raccolta.

Dopo il BeeBot

Nelle nostre attività, a partire dal secondo/terzo anno della scuola primaria, la programmazione di piccoli

robot è stata ricondotta ai principi ispiratori del LOGO con l’uso di NQCBaby, un linguaggio testuale

orientato ai bambini, proposto da G. Marcianò con una prima definizione mediante macro nel linguaggio

NQC [Marcianò, 2006 e 2007]. NQC, che sta per Not Quite C, è il linguaggio proposto da Dave Baum, nella

prima versione agli inizi del 2004, e poi rivisto da J. Hansen per programmare il mattoncino RCX Lego

[Hansen, 2006].

Nella primavera del 2007, col progetto “Uso della robotica nella didattica” dell’ex-IRRE Piemonte, è stata

prodotta la prima versione di un vero e proprio traduttore per NQCBaby. Inoltre è stato progettato e

realizzato un ambiente di sviluppo programmi (o IDE) che rende più facili ed integra le operazioni di

scrittura di un programma, sua traduzione, visualizzazione degli eventuali errori e del codice tradotto,

gestione dei vari file (sorgente, tradotto). La finestra del nostro IDE è in figura 1.

Oltre alla descrizione delle attività col BeeBot delle insegnanti di Beinasco, presente in questa raccolta, altri

contributi si possono leggere in [Demichele 2008 e DIDAMATICA 2008, Sezione Robotica educativa]. Per i

bambini che hanno svolto attività con il BeeBot è prevista una fase di trasposizione delle funzioni dei

bottoni sul dorso dell’ape in comandi testuali per il robot più elementare detto carrettino. È NQCBaby0, il

livello 0 del linguaggio NQCBaby, che viene poi esteso per livelli ad NQCBaby1, NQCBaby2, ecc. quando si

arricchisce il robot con nuove componenti hardware (paletta, luci e sensori), il cui uso necessita

naturalmente di nuove istruzioni, o quando gli itinerari pedagogici, delineati per le attività robotiche,

richiedono nuove istruzioni. I bambini che non hanno svolto attività col BeeBot cominciano invece spesso a

programmare usando il livello NQCBaby1.

Il seguente è un programma in NQCBaby2 :

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Progr-1:

1 Ciao Mafalda

2 velocità(3)

3 avanti(100)

4 destra(30)

5 velocità(7)

6 avanti(100)

7 ripeti(4)

8 destra(90)

9 avanti(50)

10 fine-ripeti

11 ripeti(3)

12 indietro(500)

13 sinistra(120)

14 fine-ripeti

15 grazie-ciao.

Se, per semplicità di lettura, assumiamo che destra(90) e sinistra(120) provochino un cambiamento della

direzione di movimento del robot considerato rispettivamente a destra di 90^ e a sinistra di 120^,

eseguendo questo programma il robot traccia sulla superficie su cui si muove un quadrato ed un triangolo

equilatero. Cambiando ruote allo stesso robot il cammino che questo percorre non è lo stesso: capire

perché e cosa bisogna fare per riottenere lo stesso cammino pur con ruote di maggiore (o minore

diametro) è stato oggetto di discussione con bambini di terza elementare che hanno introdotto o ritrovato

in questo modo le proporzioni. Una osservazione sul comportamento provocato dalla sequenza di istruzioni

2-6 induce conclusioni analoghe ragionando su velocità-tempo-spazio.

L’introduzione alle attività coi robot si dipana seguendo percorsi didattici dove gli insegnanti trovano

possibilità di un approccio costruzionista ai concetti del curriculum che i loro allievi devono acquisire.

Poiché l’insegnante conosce meglio di chiunque altro le tempistiche del curriculum nelle proprie classi, ha

in queste attività un ruolo insostituibile, anche se potrebbe non avere troppe competenze informatiche.

Per questi casi, ma non soltanto, le attività di robotica educativa vanno accompagnate da una comunità di

pratica dove si raccolgano esperienze, commenti, valutazioni da condividere tra insegnanti e da cui questi

possono attingere.

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Conclusioni

Sempre più scuole chiedono di essere coinvolte nelle attività coi robot per valutarne il contributo. Noi

possiamo soddisfare poche richieste e per tempi ridotti. Ciononostante ragazzi ed insegnanti con le loro

osservazioni mostrano che sono del tutto pronti a questo tipo di esperienze. Tra le osservazioni dei ragazzi

ci piace ricordare quella di un bimbo di circa sette anni che, dopo avere fatto muovere variamente con i

nostri strumenti software un piccolo robot dopo non più di due ore, concluse meditabondo: “Il mio robot e

questo hanno gli stessi occhi. Il mio è più bello. Però il mio può fare tre cose, sempre le stesse, mentre a

questo qui posso far fare cosa voglio!”.

Sarà un vantaggio anche per la consapevolezza con cui si affrontano le varie situazioni: si potrà valutare con

senso critico e consapevole, invece che accettare l’oggetto e il comportamento che ci è fornito. Il

ricercatore giapponese Kurebayashi col suo gruppo lavora da anni a studiare gli effetti dell’apprendimento

della programmazione di robot autonomi su ragazzi della scuola secondaria inferiore, per garantire loro una

maggiore comprensione del mondo in cui vivono e ancor più vivranno da adulti. Una interessante

esperienza concerne un grave incidente per malfunzionamento di un ascensore che ha a suo tempo

riempito le pagine dei giornali giapponesi. Dopo aver insegnato a programmare piccoli robot ad una classe

di ragazzi di undici-dodici anni, hanno distribuito un questionario a questa classe e ad una classe di coetanei

senza esperienze di programmazione. Questi ultimi non hanno saputo dare risposte, seppure minime, sulle

ragioni dell’incidente e sulle possibilità di diminuire la gravità delle conseguenze mentre, sapendo che

l’ascensore era gestito da un programma, i ragazzi del primo gruppo hanno invece proposto motivazioni

sensate [Kurebayashi, 2007].

Il lavoro in corso è una riflessione su come metodi di inquiry-based education (IBE) possano realizzarsi

meglio nelle scuole in cui gli alunni siano abituati a risolvere problemi di programmazione (di piccoli robot o

altro). Qualche idea al riguardo è stata accennata nella sessione precedente. Contribuire a rafforzare una

enquiry based education sarebbe un importante punto a favore della presenza della programmazione nelle

scuole perché la IBE rappresenta un obiettivo di contrasto alle modalità di insegnamento e apprendimento,

che troppo spesso vediamo, in cui la matematica viene percepita dagli studenti come un esercizio

meccanico. In tutti i livelli di scuola, si hanno ormai poche occasioni di affrontare problemi creativi: anche le

dimostrazioni di geometria stanno scomparendo e molto spesso i ragazzi sono a disagio nelle materie

scientifiche. Esemplare quanto ci ha detto uno studente: “Conosco tutte le regole ma non so quando

applicarle”.

Oltre ai benefici delle attività interdisciplinari programmare i robot permette ai ragazzi di acquisire

competenze digitali importanti per la loro vita in un mondo dove sono sempre più presenti oggetti

intelligenti. Infatti imparano usandoli cosa sono un linguaggio formale, un traduttore, un ambiente di

sviluppo. In tal modo ci si avvia a realizzare l’obiettivo, già citato, di ragazzi che rispetto al digitale siano

come suonatori di pianoforte, non di CD, che auspicava M. Resnick nel 1996.

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Riferimenti bibliografici

Papert S., Children, Computers, and Powerful Ideas, Basic Books, New York, 1980

Marcianò G., Robotica come ambiente di apprendimento, negli Atti Didamatica 2007, pp. 22-30,

Cesena, 2007

Demo G.B., Marcianò G., Contributing to the Development of Linguistic and Logical Abilities through

Robotics, in 11th European Logo Conference, pp. 46, Comenious University Press, Bratislava, 2007

Demo G.B., Programming Robots in Primary Schools Deserves a Renewed Attention, in Atti First World

Summit Knowledge Society, Athens, pp. 24-28, settembre 2008

Kurebayashi S., Kanemune T., Kamada Y., Kuno, The Effect of Learning Programming with Autonomous

Robots for Elementary School Students, in Atti 11 European Logo Conference, p. 46, Comenious University

Press, Bratislava

http://www.eurologo2007.org/proceedings, 2007.

5. Playful learnig e Smart-Us

Gustavo Evangelista 83

Sono Gustavo Evangelista, collaboratore della Lappset. Vorrei ringraziare gli organizzatori di questo

convegno per l’invito che mi dà la possibilità di presentare SmartUs.

Si tratta di un’istallazione ludica che continua a suscitare molto interesse da parte del mondo pedagogico,

prodotta dalla società finlandese Lappset.

Circa due anni e mezzo fa è stato inaugurato il primo ambiente di gioco SmartUs in Italia, a Torino, presso il

Centro di Cultura Ludica di via Fiesole, con la partecipazione dell’Ambasciatore della Finlandia e

dell’Assessore alle Risorse Educative del Comune di Torino. Lappset produce attrezzature ludiche per i

parchi pubblici, in altre parole giochi come

altalene, dondoli, scivoli, torri ed arrampicate ed

è conosciuta per le grandi strutture di fantasia

costruite in legno.

Nei primi anni del 2000, l’azienda iniziò una

collaborazione con l’Università della Lapponia,

Faculty of Education, Centre for Media Pedagogy,

sicuramente per sostenere e migliorare lo

sviluppo dei propri prodotti, ma anche con una

83

Collaboratore commerciale Lappset.

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forte attenzione sia per il gioco e le sue potenzialità educative, sia per migliorare la qualità di vita dei

bambini.

Sono nati vari progetti di collaborazione in continuo divenire, che sono cresciuti nel tempo coinvolgendo più

soggetti, allargando gli obiettivi o definendo in modo più preciso i progetti di ricerca, come nel caso di InnoPlay84.

Secondo le indicazioni e le proposte degli esperti di scienze educative e motorie, sollecitati dall’allarme

suscitato dal crescente numero di bambini che soffrono di malattie causate da uno stile di vita sedentaria (i

casi di obesità e di diabete sono in aumento), il gioco del futuro deve favorire l’attività fisica, deve stimolare

i bambini utilizzando funzioni elettroniche, deve contenere giochi già definiti ma anche la possibilità di

crearne nuovi. Da queste premesse è nato l’ambiente di gioco SmartUs che, giocando sul significato delle

corrispondenti parole inglesi (Smart come intelligente, ed us come noi, quindi intelligenti noi, o intelligenti

coloro che giocano), declina così un suo ambizioso obiettivo, consapevoli che tendere al meglio non è mai

abbastanza quando ci si rivolge alle nuove generazioni.

SmartUs è composto da diversi elementi distribuiti su un’area di gioco, collocata preferibilmente

all’esterno: anzitutto un totem centrale con uno schermo collegato a un computer interno al totem stesso.

Quattro grossi tasti ai lati dello schermo permettono di scegliere il gioco. Sotto lo schermo è inserito un

lettore di carte o tessere personalizzate, che permette di individuare i giocatori quando il gioco lo richiede.

Davanti al totem è posizionata una griglia di dodici mattonelle attraverso cui i giocatori inviano comandi al

totem con la pressione dei piedi, naturalmente seguendo le istruzioni segnalate sullo schermo. Intorno al

totem e alla pedana si estende un’area di gioco su cui sono distribuite nove colonnine con il lettore di carte

o tessere personalizzate integrato per leggere i passaggi dei giocatori. Inoltre ogni colonna ha una serie di

disegni e numeri che possono essere utilizzati per giocare.

Alcuni giochi utilizzano solo la pedana, mentre altri utilizzano le colonnine creando dinamiche di gioco che

richiedono ai giocatori di muoversi velocemente e in modo coordinato con i propri compagni di gioco

nell’intera area di gioco: in entrambi i casi il gioco di movimento incontra le nuove tecnologie in modo

inconsueto e innovativo.

SmartUs è dotato inizialmente di giochi preinstallati, ma contiene anche due software particolari, abbastanza

semplici da utilizzare, con cui i bambini o gli insegnanti possono cambiare i contenuti del gioco, utilizzare

immagini (foto), testo e suoni per creare nuovi giochi. L’ambiente gioco Lappset diventa un ambiente di

apprendimento che il bambino può esplorare, scoprire, reinventare con un grado crescente di autonomia.

I due software possono essere installati su un normale computer e utilizzati dall’insegnante o da bambini e

ragazzi per creare i nuovi giochi. Questi ultimi sono poi trasferiti al totem SmartUs, situato all’esterno nel

parco, tramite un collegamento wireless.

84

InnoPlay è un progetto di ricerca gestito dal Centre for Media Pedagogy, presso l’Università della Lapponia. L’obiettivo è sviluppare il concetto di apprendimento ludico per la scuola futura a partire da campi all’aperto arricchiti da strumenti tecnologici per facilitare i processi di apprendimento e la didattica (Playful Learning Environment - PLE). http://www.ulapland.fi/InEnglish/Units/Centre_for_Media_Pedagogy/Research.iw3

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Il Sistema SmartUs, tramite il modem wireless e un collegamento internet, può essere inoltre connesso al server

centrale di tutti gli SmartUs nel mondo. Questo permette una concreta relazione attraverso giochi e gare tra

bambini in Paesi diversi, ma anche la condivisione di quelli inediti realizzati dai bambini e dagli insegnanti.

Nel mondo ci sono già decine di giochi elettronici SmartUs installati: in Italia, chi vuole conoscere meglio il

sistema SmartUs può vederlo e collaudarlo presso il Centro per la Cultura Ludica, su prenotazione telefonica.

È un’installazione ludica che piace, diverte e interessa i bambini e può essere condivisa anche con gli adulti,

in famiglia, e il gioco cresce adattandosi, se necessario, alle esigenze del giocatore. In Finlandia e in Olanda

il CNR (Centro Nazionale Ricerche) finlandese ha già eseguito studi scientifici sull’ambiente di

apprendimento SmartUs, in particolare sull’incidenza della multimedialità e del gioco nel favorire i processi

di apprendimento. I risultati sono stati molto incoraggianti.

L’ultima testimonianza arriva da una ricerca condotta su due gruppi di bambini - primo gruppo età tra i

cinque e i sette anni, secondo gruppo tra i sette e gli undici anni - in Inghilterra, nella contea di

Straffordshire, presso la scuola elementare di Little Aston dove è stato installato un sistema SmartUs.

Il gioco nell’ambiente SmartUs rimane sempre tra le attività ludiche scelte dagli studenti, anche quando il

senso della novità è scomparso permane il divertimento, l’impegno e l’interesse: questo è importante per

capire non solo la godibilità immediata del gioco, ma soprattutto la validità ludica che invece si misura nel

tempo. Il personale docente ha rilevato una ricaduta molto positiva.

Come primo risultato rilevante si è registrato un aumento dell’autostima e della sicurezza in sé. Questo ha

contribuito al miglioramento degli apprendimenti, con una ricaduta positiva e un rafforzamento della

memoria dei bambini, della concentrazione, della tenacità e della loro capacità di risolvere problemi. Ma

non solo, è stata sottolineata anche una migliore qualità delle relazioni con gli adulti e tra pari, in

particolare nei giochi sociali, in cui i bambini si aiutano ed incoraggiano a vicenda per dare il meglio di sé

nella riuscita della squadra.

Sono ancora in fase di studio le ricadute e i contributi nei processi di apprendimento per lo sviluppo

linguistico o quello di matematica, e sono ancora da verificare i benefici a lungo termine.

Potete visitare il sito internet www.smartus.com per ottenere maggiori informazioni.

Considerazioni per non concludere: “Chi li pratica non li teme”

Maria Battaglia

Per coloro che hanno avuto la curiosità di sperimentare i videogiochi, lo SmartUs e, come nel caso delle

insegnanti delle scuole dell’infanzia e primarie, i robot, sono stati lo strumento per creare nuove

progettualità educative e nuovi ambienti di apprendimento, in grado di coinvolgere bambini e ragazzi, ma,

allo stesso tempo, di rispettare tempi e modalità individuali anche grazie alla loro forte componente ludica.

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Per coloro che ancora non conoscono questo universo è necessario fornire qualche strumento per

interpretare e tradurre il panorama esistente. Un confronto su questi temi, e non solo di tipo teorico, è

necessario, soprattutto per chi lavora in campo educativo con gli adolescenti, cioè con la fascia d’età per cui

l’uso dei videogiochi in casa, da soli o con gli amici, assume un ruolo preponderante nel ludico quotidiano.

La formazione diventa, quindi, uno strumento per conoscere e confrontarsi con esperti ma anche con

colleghi che lavorano in situazioni diverse.

Tra coloro, che operano nelle ludoteche, comincia a svilupparsi una maggiore sensibilità verso questi temi

ed è frequente l’interrogativo se abbia senso oppure no introdurre in ludoteca degli spazi dedicati ai

videogiochi. Compiere questo passo vuol dire riconoscere la necessità degli adolescenti di avere uno spazio

sociale di condivisione, dove poter agire abilità e competenze, interessi e passioni con i propri coetanei e

con adulti disponibili all’ascolto e alla mediazione progettuale.

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Capitolo 7

Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco

Il tema: per confrontarsi sull’opportunità di promuovere leggi regionali (di indirizzo o operative) per i servizi

di gioco sul territorio nazionale, per conoscere come operano e quali sono i servizi sul gioco oltre la L.285/97

o dentro la L.328; un’occasione per riflettere su quale spazio occupano e verso quale futuro si stanno

avviando i sevizi del gioco.

Coordinamento a cura di: Roberto Maurizio, Livia Papi

Contributi di: Irene Catalano Randò (Associazione Il dado Magico - Messina), Francesco Langella (Città dei

bambini e delle bambine di San Giorgio a Cremano), Giorgio Bartolucci (Centro di documentazione

internazionale ludoteche - Firenze)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Roberto Maurizio, Livia Papi

Al gruppo di lavoro hanno partecipato circa trentacinque persone, con ruoli e competenze diverse:

dipendenti pubblici e soggetti privati del terziario sociale, studiosi e ricercatori in ambito ludico-educativo e

rappresentanti della pubblica amministrazione, dirigenti e manager a fianco di docenti e animatori.

L’obiettivo del workshop, definito dal sottotitolo, era quello di analizzare in particolare in quali luoghi oggi

si giochi e chi vi giochi, ma soprattutto che tipo di impegno sia necessario su questo fronte da parte degli

Enti pubblici, e quale possibile collaborazione tra i settori pubblico e privato, nonché quali buone prassi

possono essere condivise.

L’incontro si è svolto in una sala alle cui pareti erano già stati appesi cartoncini con l’indicazione di

innumerevoli luoghi di gioco, per richiamare l’attenzione sulla complessità e diversificazione

dell’argomento. Tra gli altri erano citati: casa, playstation, Lottomatica, bar, giardini pubblici, ludobus,

gruppi gioco in ospedale, laboratorio ludico, centro per l’infanzia, internet, cortili, sala giochi, centro

anziani, punto famiglia, punto gioco, oratori, bingo, campo sportivo, scuola, ludoteca per adulti, baby

parking, cameretta, azienda, museo didattico o interattivo.

Il workshop è cominciato con un gioco logico, per restare in tema, che ha coinvolto tutti i presenti nel

tentativo di individuare il metodo migliore per dar risposta ad un quesito relativo al peso di alcune palline,

ed il cui vero scopo era sottolineare come ragioniamo sulla base di idee preconcette, partendo dalle nostre

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specifiche esperienze, mentre l’obiettivo - almeno nel workshop - era di spingerci oltre nell’analisi e cercare

di essere creativi nella ricerca di soluzioni possibili.

A tutti è stato inoltre distribuito un cartoncino al fine di registrare i propri dati e indicare quali esperienze

(proprie o conosciute), di cui magari non si sarebbe potuto approfondire nel workshop, potrebbero

risultare utili riferimenti per altri soggetti; o viceversa, quali problematiche o difficoltà ostacolano l’azione

nell’esperienza raccontata, e con quali danni.

A beneficio comune sono state sintetizzate le informazioni raccolte nell’allegato alla presente relazione.

I temi su cui si è focalizzato sono:

1. escludendo i luoghi di gioco che non hanno specificamente valenza educativa o di supporto alla

crescita dei bambini e ragazzi, ludoteche ed altri luoghi ‘protetti’ per la promozione della cultura

del gioco, per la pratica del gioco libero e/o strutturato, l’autoproduzione di giochi e giocattoli,

hanno ragion d’essere? sono un investimento ‘piacevole’, utile o necessario?

2. Quali variabili favoriscono la nascita e sviluppo di servizi per il gioco, e ne sottolineano l’utilità e lo

scopo? Quali elementi di cui al punto precedente possono diventare opportunità, e facilitare la

promozione e la diffusione di questi luoghi, aiutare a sostenerli e finanziarli? Quali ottimizzazioni e

sinergie sono possibili, quali esperienze positive riutilizzabili?

3. Quali sono per contro i vincoli e gli ostacoli? Come superarli, quali strumenti possono essere

utilizzabili e in che situazione sono accessibili/utilizzabili? O meglio come trasformare i vincoli in

opportunità?

La metodologia per la conduzione del workshop è stata per lo più il brainstorming, e per la

rappresentazione degli output la tecnica delle mappe mentali. I risultati sono riportati nella tabella che

segue, per quanto possibile data l’assenza della rappresentazione grafica.

La finalità, condivisa tra tutti i partecipanti, era l’individuazione e condivisione di idee e buone prassi, per

acquisire riferimenti incrociati e poter, in seguito, sapere con chi approfondire cosa, e ragionare su

modalità e criteri di valutazione della qualità / successo del servizio.

specifiche collegamenti

1. perché? sono luoghi aperti a tutti. Permettono ai frequentatori di avere spazio e tempo adeguato per giocare (presupposto essenziale!)

quando non ci sono alternative domestiche a portata di mano (vincoli)

luoghi deputati al gioco, promuovono lo sviluppo evolutivo dei bambini

questi luoghi offrono libertà di scelta di giochi (e di giocattoli!)

facilitano contaminazione tra bimbi e anziani, genitori, artisti, diverse culture, studio, ecc.

educano alla creatività manuale, all’utilizzo creativo di materiali di recupero valorizzando le risorse, e il

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protagonismo positivo gioco come strumento di prevenzione

verso malattie / pro salute mentale

luoghi deputati al gioco, promuovono lo sviluppo di relazioni tra genitori

creano integrazione con stranieri stimolano collegamenti con altri

luoghi, opportunità di svago, enti ludici e non sul territorio

facilitano il contatto tra genitori ed educatori

luoghi deputati al gioco, promuovono la cultura del gioco

costituiscono memoria storica e la possibilità di continuare l’esperienza ludica fuori dal luogo, grazie al prestito giocattoli

stimolano la crescita culturale ed esperienziale di adulti e bambini

sono emanazione del servizio pubblico

per sostenere le famiglie per condurre progetti socio-educativi amplificano l’azione delle scuole, e ne

supportano l’attività concretizzano progetti di sviluppo,

come la “Città dei Bambini/e” rappresentano talvolta benefits per i

dipendenti, investimento duraturo e concreto in presenza di fondi pubblici destinati all’infanzia

2. vincoli mancanza di diffusa cultura del gioco

concezione del bambino come di un soggetto ‘da governare’ piuttosto che da ‘sostenere nella crescita’

eccessiva convinzione che il gioco vada ‘controllato’ e debba essere ‘sicuro’

il giocattolo viene troppo sovente visto come premio e non come strumento di esperienza e di apprendimento

collegamenti con ‘ronde del gioco’, esperienze ludiche rivolte alla cittadinanza, progettazioni condivise con altri soggetti, studi e ricerche,ecc. (opportunità)

instabilità politica (a tutti i livelli)

frequente cambiamento degli interlocutori / politici di riferimento

insufficiente competenza / comprensione della significatività del problema

interpretazione dei luoghi preposti al gioco come ‘mero costo’

revisionismo nelle politiche culturali ed educative

vincoli normativi (eccessivi? carenti?)

problema della sicurezza imposizioni della normativa relativa

all’edilizia scolastica rapporto educatori-utenti e tipi di

professionalità, ecc. assenza di normativa specifica (solo 4

regioni hanno norme specifiche per la conduzione di ludoteche e luoghi assimilabili)

nuove proposte di legge o migliore applicazione delle esistenti (opportunità)

copertura dei costi dei servizi per il gioco

fruibilità dei fondi della L. 285 accessibilità dei fondi L. 328 (sul

fronte prevenzione)

riduzione aspettative e creatività/ottimizzazione (opportunità)

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scarsi investimenti perché non vengono comprese utilità e importanza dei servizi per il gioco

maggior utilizzo del volontariato? (ma rischi sulla qualità del servizio)

maggiore/migliore collaborazione tra pubblico e privato sociale?

continuità nella gestione dei servizi

eccessiva permanenza del personale (tipicamente pubblico) nella stessa posizione limita la creatività e l’innovazione

eccessivi cambiamenti nella disponibilità di operatori del privato sociale (e volontariato) che possono collaborare sui servizi ludici, può inficiare la qualità del servizio

affidi per periodi troppo brevi (1-2 anni) generano instabilità; specie in alcuni settori è necessaria maggiore continuità

l’instabilità delle fonti di finanziamento rendono difficoltoso garantire stabilità ai/al servizi/o

migliore collaborazione pubblico-privato (opportunità)

carenze di risorse umane?

mancanza di collaborazione con gli adulti?

frequenza di bambini (utenti) quantitativamente insufficiente?

disponibilità di risorse competenti per la integrazione di portatori di handicap

errata interpretazione di finalità e scopi delle ludoteche

servizi privati inadeguati e non controllati adeguatamente da chi preposto dalla P.A. locale (servizi educativi) per qualificare e monitorare tali servizi esternalizzati

errata interpretazione da parte della cittadinanza di ‘servizio pubblico’ come qualcosa di ‘inadeguato’ per definizione

3. opportunità nelle ludoteche si possono sviluppare relazioni sinergiche

con anziani, scuola, genitori, nel condominio, associazioni culturali, teatro ed altri enti sul territorio

in relazione ad altri progetti sul territorio (es. Consiglio comunale dei bambini)

tra pubblico e privato, sperimentando co-progettazione e co-produzione

stimoli ad una progettazione più efficace e sinergica

migliorare le modalità di progettazione, rendendola più efficace ed in linea con i bisogni concreti del territorio, condivisa con altri soggetti

stimoli alla condivisione di locali

utilizzo di sedi condivise o ‘subaffitto’ delle sedi per altre finalità (pertinenti)

altri luoghi ‘terzi’ possono essere adibiti a ludoteche

ostacoli dovuti a man-canza di fondi (vincoli)

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le opportunità nascono anche se, talvolta, si riducono le aspettative

non adagiarsi sui limiti correnti di finanziamento per il sostentamento dei luoghi di gioco, ma diventare più creativi per trovare nuovi spunti

cercare situazioni economicamente vantaggiose (es. materiali di riciclo, risorse tra il volontariato) senza però ridurre gli standard qualitativi

ostacoli dovuti a mancanza di fondi e di cultura politica che valorizzi il ‘gioco’ (vincoli)

il gioco è strumento di promozione culturale

in collegamento con teatro, scuola, associazioni. culturali, ecc.

attraverso l’organizzazione di eventi come la “Giornata del gioco”

ottenere finanziamenti sotto la voce di ‘promozione culturale’

i perché dei luoghi per il gioco

promuovere attivamente il diritto di dedicarsi al gioco

applicare le norme e convenzioni internazionali, perché il gioco è un bisogno primario e come tale necessita di impegni adeguati

per contro eliminare i divieti (a livello comunale, condominiale, ecc.) quando in contrasto con altre normative nazionali o intenzionali

i perché dei luoghi per il gioco

sviluppare proposte di legge

regionali e nazionali attenta applicazione delle norme (es.

inapplicabilità dei divieti al gioco nei cortili perché incompatibile con la Carta dei Diritti del Fanciullo/a)

vincoli normativi (talvolta costrittivi, spesso inefficaci o inapplicati)

esempi interessanti ronde del gioco ricerche e studi, utili per diffondere

informazioni su esperienze riproducibili

trasferimento buone prassi per infondere fiducia nella fattibilità di alcune idee e progetti

Tutti i partecipanti e le esperienze riportate concordano che è essenziale sollevare l’attenzione sul gioco

come strumento di crescita, sviluppo, esperienza, sfogo, relazione, integrazione, ecc. e “stato di vitalità

essenziale” valido per tutte le fasce di età (infanzia, adolescenza, adulta, vecchiaia) e categorie di persone

(abili e disabili, stranieri e non, benestanti e disagiati, ecc.).

Lo strumento gioco risponde a bisogni diffusi (naturali, sociali, ecc) che però sono sottovalutati, ed ha una

valenza di prevenzione del disagio e dei problemi sociali che non è capita o riconosciuta. Dunque

continuano ad essere necessari luoghi accessibili a tutti:

per stimolare e permettere il gioco libero, creativo, accrescitivo, con la possibilità di sviluppare

apprendimenti che possono svilupparsi solo in contesti di gioco libero,

per sostenere la crescita degli individui,

per sostenere l’equità di accesso alla possibilità di giocare, nel senso di poter garantire a tutti l’accesso al

gioco e a servizi per il gioco indipendentemente dalle condizioni sociali, economiche e di vita familiare,

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per garantire libertà di scelta del gioco da giocare ed evitare il rischio del riduzionismo a pochi giochi

fortemente promossi dai media e dalla pubblicità,

per permettere alle persone di contaminarsi con altri mondi in quanto il gioco è strumento per la

condivisione delle culture,

per sostenere lo sviluppo della creatività,

per sviluppare relazioni sociali,

per costruire integrazione culturale,

per recuperare la storia e le narrazioni individuali e collettive.

Giocare è un’esperienza di protagonismo, che realizza positivamente attraverso lo stimolo ad essere

soggetto creativo e generativo, ad esempio nella creazione di nuovi giochi o nella modificazione di giochi

già esistenti.

Ė difficile garantire il diritto al gioco se non ci sono luoghi e personale educativo che garantiscano pari

opportunità per l’applicazione di tale diritto.

Vi sono diversi aspetti critici, ed i punti qui elencati non hanno la pretesa di essere esaustivi:

il gioco come spazio rischia di diventare un lusso “sociale”, anche perché, non essendo un’attività a base

di lucro, le ludoteche (sia come luoghi che come servizi) necessitano di finanziamenti per lo più pubblici

per il loro sostentamento, e sono fortemente condizionate dalla dinamica continuità/discontinuità dei

finanziamenti,

tra l’altro, avendo questi servizi una valenza territoriale, sovente di quartiere, sarebbe necessaria una

diffusione capillare dei servizi, piuttosto che il contrario,

ci sono grandi diversità sul territorio nazionale nel creare luoghi ed esperienze per il gioco, dalle quali

possono nascere ottimi scambi e circolazioni di buone prassi. Tuttavia è dannosa quanto diffusa la scarsa

conoscenza delle esperienze delle ludoteche, punti gioco ed altre iniziative volte a deputare luoghi (in

interno, in esterno, pubblici, privati, ecc.) al gioco ed all’interazione,

mancando una cultura diffusa sull’argomento ed essendo la normativa di settore praticamente

inesistente, esistono pericolose eterogeneità di interpretazione dei servizi per il gioco (talvolta

schizofreniche, ad esempio interpretazione Dlgs 81/08, Moncalieri, ecc.), specie nell’ambito della

Pubblica Amministrazione con la difficoltà di rendere omogenei servizi analoghi in contesti diversi,

il rischio è che, talvolta, le iniziative nascano solo perché ci sono risorse da utilizzare, o che viceversa non

si generino per sottovalutazione del rapporto investimento/risultato. Più sovente, una volta avviati

progetti di ludoteca (con tutte le difficoltà tipiche di servizi rivolti ad utenza eterogenea, con obiettivi

creativi e liberatori, con intenti educativi e di creazione di tessuto relazionale), vengono a mancare i

finanziamenti, sia per le strutture che per il personale, a scapito della qualità del servizio, della sicurezza,

ecc.

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un ultimo rischio è quello di un uso improprio dei servizi per il gioco, di volta in volta caratterizzati da

finalità e funzioni che cambiano in relazione alle fonti di finanziamento o alle linee progettuali nei quali

sono inseriti.

Nell’insieme, quindi, l’aspetto più critico è il mancato riconoscimento istituzionale che determina una

situazione di sostanziale fragilità delle esperienze. Di fronte a questa debolezza strutturale la necessità,

riconosciuta da tutti, è di operare per legislazioni nazionali e regionali che diano respiro e prospettiva a

questo ambito di intervento delle politiche pubbliche.

Quanto sopra è in contrasto con la necessità, evidenziata bene o male da tutti, di fare rete e sistema,

ovvero di garantire la circolazione delle esperienze e dei dati (per ricerca, sviluppo e consolidamento

metodologico) e assicurare i collegamenti (specie territoriali) con altri enti che condividono i fini

dell’educazione, sviluppo, promozione sociale e prevenzione del disagio.

1. Ricerca sulle ludoteche in Sicilia85

Irene Catalano Randò86, Deborah Bontempo87

L’Associazione Il Dado Magico - A.S.D. (www.ildadomagico.it), la cui sede nazionale si trova a Capo

d’Orlando (ME), opera da tredici anni sul territorio regionale e nazionale, specializzandosi nella

programmazione, progettazione e gestione di servizi rivolti alla famiglia e a tutti i suoi componenti, con

particolare attenzione ai servizi per l’infanzia. Rivolgersi ad un target di riferimento così ampio ma ricco,

tanto di richieste quanto di risorse interne, è stata una decisione chiara fin dall’inizio dell’attività

dell’Associazione, la quale, pertanto, ha scelto di costituirsi come Ente di Promozione Sociale e di

Solidarietà Familiare.

La formazione e la successiva collaborazione con il Centro Internazionale Ludoteche ci ha sempre più

portati a riflettere sul valore fondamentale della ludoteca come servizio sociale, vista la sua potenzialità

intrinseca a rispondere alle diverse esigenze della realtà sociale in maniera mirata ed adeguata.

L’esperienza maturata nel tempo, però, ha rivelato una profonda carenza legislativa e normativa rispetto al

servizio di ludoteca, come pure una notevole confusione che tuttora alberga nel campo dei servizi per

l’infanzia e per la famiglia, nonostante il crescente bisogno di strutture funzionali, efficaci ed efficienti, la

quale esigenza non trova purtroppo alcun riscontro da parte dei servizi pubblici: basti pensare, a titolo

d’esempio, alle lunghissime liste d’attesa relative agli asili nido della nostra regione come di altre regioni

85

La ricerca si riferisce al 2009 ed è stata sostenuta dal Centro Internazionale Ludoteche (CIL) di Firenze, dalla Presidenza del Consiglio provinciale, dalla Regione Sicilia - Assessorato della Famiglia delle Politiche Sociali e del Lavoro, dalla Provincia di Messina. 86

Presidente dell’Associazione Il Dado Magico - A.S.D. 87

Vicepresidente dell’Associazione Il Dado Magico - A.S.D.

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italiane; nel 2000 solo il 67,3% delle domande di iscrizione ai nidi venivano accolte, per un numero di

46.967 bambini in lista di attesa su un totale di richieste di iscrizione di 143.69188. Più recentemente si è

assistito ad un ampliamento dei posti disponibili, nonostante ciò, però, il problema non ha trovato un

riscontro risolutivo, come si evince, peraltro, dai seguenti dati:

“Sulla base di una recente indagine svolta da Cittadinanzattiva, è possibile confrontare l’andamento delle

domande di ammissione e dei posti disponibili con riferimento alle strutture comunali nei soli capoluoghi di

provincia. Esprimendo le due variabili in rapporto alla popolazione con meno di tre anni residente e

aggregando per regione, per gli anni tra il 2002 e il 2005 si segnala un ricorrente legame positivo tra

ampliamento dei posti disponibili e crescita delle liste di attesa . In altri termini, le liste di attesa presso le

strutture pubbliche anziché ridursi spesso si allungano all’aumentare dei posti disponibili”89.

Analizzando tutto ciò, appare chiaro che il settore privato assume anch’esso grande rilevanza in relazione

all’offerta di servizi ludico-educativi; da ciò è inevitabilmente scaturita una profonda riflessioni sulla

quantità e qualità dei servizi rivolti all’infanzia e alla famiglia nel territorio siciliano, la quale ha stimolato

ulteriormente il nostro interesse nel raggiungere delle conoscenze il più aderente possibile alla realtà.

Proprio a questo scopo, supportati dalla collaborazione con il Centro Internazionale Ludoteche, nella

persona del direttore del Centro Giorgio Bartolucci, abbiamo programmato un’indagine conoscitiva

riguardante la realtà delle ludoteche nella nostra regione, la quale ha previsto la somministrazione

telefonica di un questionario, elaborato dal Centro Internazionale Ludoteche, con la nostra collaborazione,

a tutti i Comuni della Sicilia e alle ludoteche attive sul territorio, al fine di creare una banca dati tracciando

una mappatura dei servizi esistenti, ma, soprattutto, avendo come chiaro riferimento le linee guida

elaborate dal Gruppo Europeo delle Ludoteche, con lo scopo di valutare quale sia l’offerta pubblica e

privata e quanto i servizi che ricadono attualmente sotto il nome di ludoteca possano essere realmente

definiti tali.

Il questionario, il quale è composto da 82 quesiti suddivisi in 9 sezioni, è comprensivo di una prima parte,

somministrata ai responsabili dei servizi sociali, relativa alla presenza e alla tipologia di servizi sul territorio

di riferimento, richiedendo anche dati per contattare le ludoteche, mentre la seconda parte, più ampia, è

stata proposta ai responsabili delle ludoteche stesse, ai quali sono state richieste informazioni riguardanti:

1. l’utenza (fascia d’età, numero di iscritti, frequenza giornaliera, ecc.);

2. l’organizzazione (giorni di apertura, servizio di prestito dei giocattoli, utilizzo di schede di

registrazione, ecc.);

3. i locali (numero locali disponibili, presenza di spazi esterni, presenza di locali riservati ai genitori,

ecc.);

88

Elaborazioni IRES su dati del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. 89

Da Il difficile accesso ai servizi di istruzione per la prima infanzia in Italia: i fattori di offerta e di domanda, di Francesco Zollino, su www.bancaditalia.it.

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4. i giocattoli (dotazione iniziale e attuale, presenza di un laboratorio di costruzione dei giocattoli,

ecc.);

5. il personale (numero risorse umane, presenza di volontari, titolo di studio, ecc.);

6. le attività (presenza e tipologia di laboratori permanenti e/o periodici, attività sul territorio, ecc.);

7. la ludoteca come servizio sociale/educativo (partecipazione dei genitori alle attività, rapporti con le

scuole, gli ospedali, l’assistenza sociale, ecc.).

Dai 441 questionari somministrati, i quali hanno permesso la rilevazione di 113 ludoteche presenti su tutto

il territorio regionale (su 390 Comuni), emergono elementi complessi per la loro variabilità. Data la grande

mole dei dati rilevati, abbiamo deciso di presentare in questa sede solo alcuni di essi, rappresentativi,

comunque, della realtà emersa e sintetizzati come di seguito esposto.

In riferimento ai quesiti dedicati ai comuni (sezione 01 - 11 domande), rivolti, nello specifico, ai responsabili

degli Uffici Servizi Sociali, questi ultimi al quesito 01.01: Avete ludoteche sia pubbliche che private? hanno

risposto nel seguente modo:

1. 57 Sì,

2. 282 No,

3. 51 Non So/Non Risponde;

si può dunque affermare che, almeno nel 13,10% dei casi, è riscontrabile un’assoluta carenza di

comunicazione tra l’Ente pubblico e i possibili servizi attivi sul proprio contesto territoriale. Molti dei

Comuni intervistati, infatti, non hanno saputo fornire alcuna notizia sui servizi esistenti sul territorio,

giungendo ad affermarne l’inesistenza anche laddove questi erano invece presenti. Anche nel caso in cui

esiste una collaborazione tra Ente pubblico e privato - ad esempio le ludoteche finanziate con i fondi della

L. 328/00 e della L. 285/97 - alcuni responsabili dei Servizi Sociali contattati non hanno fornito in merito

alcune indicazioni, eppure, in questi casi, come confermato dai responsabili delle ludoteche stesse, gran

parte degli utenti vengono segnalati ed inviati dagli stessi Servizi Sociali.

Rispetto alla tipologia del servizio (quesito 01.02), gli intervistati hanno risposto in tal modo:

1. 25 Pubbliche,

2. 68 Private,

3. 20 Non so/Non Risponde.

Dalla sezione 02 alla sezione 09, i quesiti sono stati rivolti direttamente ai responsabili delle ludoteche, al

fine di raccogliere dati più attendibili e rispondenti alla reale gestione ed organizzazione del servizio.

Riguardo alla frequenza giornaliera (quesito 02.05), si può affermare che i dati emergenti, confrontati con

il numero degli iscritti (quesito 02.04), rimandano a realtà territoriali variegate, tanto che, se in alcuni

contesti il confronto è positivo, denotando una costante presenza quotidiana, in altri gli utenti

giornalmente frequentanti risultano essere inferiori al 50% delle iscrizioni.

Rispetto alla possibilità di somministrazione dei pasti all’interno dei locali (quesito 02.09):

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1. nel 59, 29% dei casi la risposta è negativa,

2. nel 23% dei casi non vi è risposta o si dichiara di non essere a conoscenza del dato richiesto,

3. mentre il 17,7% dei soggetti intervistati rispondono affermativamente.

In quest’ultimo caso il protocollo richiedeva di specificare dove i pasti vengono preparati (quesito 02.10), i

dati a riguardo sono i seguenti:

1. nel 50%dei casi la preparazione dei pasti avviene direttamente in struttura,

2. nel 10% dei casi si tratta di pasti e/o merende portati da casa,

3. 1 solo responsabile tra quelli intervistati dichiara che vengono utilizzate entrambe le metodologie,

4. mentre solo il 15% delle ludoteche si serve, per tale servizio, di ditte esterne, affermando anche

che all’interno della struttura è presente uno spazio specificamente adibito all’accettazione pasti.

In realtà tali dati risultano altamente esplicativi della confusione che alberga nel settore, poiché il servizio

ludoteca non prevede alcun locale adibito a cucina. Gli stessi dati, inoltre, risultano negativi poiché indicano

chiaramente l’utilizzo della ludoteca quale servizio di custodia, una funzione che caratterizza altre strutture,

ma non di certo le ludoteche. Ciò, dunque, potrebbe essere spunto di riflessione, poiché denota una forte

richiesta di servizi a cui i genitori possano affidare i propri figli quando si trovano impegnati nell’attività

lavorativa. Questa necessità emerge anche dalla rilevazione riguardante la fascia d’età dell’utenza (quesito

02.01), dalla quale emerge che, nella maggior parte dei casi, le strutture contattate sono frequentate da

bambini sotto i sei anni d’età; questo dato sembrerebbe evidenziare che molti dei servizi definiti ludoteche

sono in realtà asili e/o nidi “mascherati”. Forse, anziché offrire questi ultimi servizi, altamente

regolamentati a tutela del bambino, si preferisce, attraverso vie più percorribili dal punto di vista

burocratico, aprire servizi indicati come ludoteche, di fatto, ancora, senza alcuna regolamentazione. Con

ciò, di certo, non si vuole colpevolizzare una tipologia d’azione che vuole soddisfare i bisogni di un territorio

altamente carente di servizi per la prima infanzia, ma, piuttosto, l’intento è, ancora una volta, quello di

stimolare le autorità competenti a promuovere un programma che comprenda ed integri i servizi educativi

e sociali rivolti a questa fascia d’età, procedendo attraverso un’attenta analisi dei bisogni rispetto al

territorio di riferimento. Allo stesso modo, si rende necessaria una regolamentazione anche della ludoteca,

per valorizzare la sua valenza sociale e ludico-educativa, come pure diviene fondamentale un

riconoscimento per altre tipologie di servizi che potranno avere una loro denominazione specifica che ne

identifichi le finalità e le attività.

Un’attenzione particolare è da rivolgere alla sezione 03, interamente rivolta ad indagare l’organizzazione

delle diverse ludoteche, ciò al fine di effettuare un confronto con le linee guida proposte dal Gruppo

Europeo delle Ludoteche; le risposte agli specifici quesiti, infatti, denotano in maniera chiara, ancora una

volta, come, nella maggior parte dei casi, nell’organizzazione delle ludoteche non siano previsti alcuni

servizi o attività fondamentali. Un esempio di ciò è rappresentato dal dato relativo al prestito dei giocattoli

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(quesito 03.04), secondo il quale solo 13, ossia il 11,5%, delle ludoteche affermano di effettuare tale

attività.

In questa sezione, inoltre, si è voluto rilevare l’utilizzo di schede di registrazione (quesito 03.05), il quale è

risultato effettivo solo nel 31,86% dei casi, il 44,25% dei soggetti intervistati ha affermato di non utilizzare

tale strumento, nel 23,89% dei casi non si è rilevata alcuna risposta (non so/non risponde).

Rispetto alla presenza di tessere di iscrizione,

1. il 42,48% dei responsabili intervistati ha risposto affermativamente,

2. il 32,74% ha fornito un riscontro negativo,

3. nei restanti casi non si è rilevata alcuna risposta significativa.

Al fine di vagliare l’organizzazione strutturale del servizio, è stata costruita una sezione (sezione 04) del

questionario che comprende quesiti relativi ai locali. Da questa emerge che:

a) in relazione agli spazi disponibili, si sono sintetizzati i dati creando degli intervalli relativi alla

superficie complessiva dei locali:

meno di 50 mq 2,67% delle ludoteche intervistate

da 51 a 150 mq 16,81%

da 151 a 300 mq 28,32%

da 301 a 500 mq 4,42%

da 501 a 1000 mq 1,77%

più di 1000 mq 0,88%

non so 12,39%

nessuna risposta 32,74%

b) sono presenti spazi all’aperto (quesito 04.05) nel 40,71% dei casi, nel 37,17% dei casi si è registrata

una risposta negativa, mentre il 22,12% degli intervistati non ha fornito alcuna indicazione.

c) È stata effettuata una progettazione degli spazi (quesito 04.06) nel 41,59% delle strutture

contattate, il 17,70% di queste non ha previsto una progettazione di tal tipo, mentre la restante parte ha

risposto “non so” o non ha fornito alcun dato significativo.

d) Il quesito 04.08 risulta di sostanziale importanza, poiché indaga la presenza di spazi riservati ai

genitori, presupposto fondamentale per un servizio che dovrebbe rivolgersi all’intera famiglia, accogliendo

un’utenza da 0 a 99 anni. Uno spazio riservato alle famiglie:

è presente solo nel 39,82% dei casi,

è totalmente assente nel 32,75% delle ludoteche intervistate,

mentre nei restanti casi non ci è stato fornito il dato richiesto.

In una ludoteca, ovviamente, uno spazio e una valenza fondamentale devono essere rivolti al giocattolo,

inteso in tutte le sue accezioni; la sezione 05, pertanto, è dedicata a rilevare alcuni aspetti strettamente

correlati a tale argomento. Uno dei più significativi è senza dubbi la presenza di laboratori di costruzione dei

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giocattoli, la quale attività dovrebbe essere uno dei segni distintivi di una ludoteca per diversi ordini di

motivi: attraverso essa, infatti, si stimola la manualità, la fantasia, la creatività, si sperimenta e si esercita la

coordinazione motoria, soprattutto in riferimento ai movimenti fini degli arti, si promuove la conoscenza

dei materiali, anche attraverso un’educazione rivolta alla salvaguardia dell’ambiente, mostrando agli utenti,

inoltre, come ci si può divertire con poco, per la promozione di una cultura che contrasti il consumismo; il

tutto, dunque, attraverso un’attività che possiede la caratteristica di stimolare la cooperazione,

l’interazione e la socializzazione, permettendo l’espressione delle proprie capacità di problem solving

all’interno del gruppo e generando una circolarità dal punto di vista comunicativo. I dati rilevati riassumono

una realtà in cui:

solo nel 43,36% delle strutture si costruiscono giocattoli,

mentre nel 46,6% non si svolge tale attività.

Questo è di certo un dato fortemente negativo, dettato forse dal fatto che gli operatori, mancando dei

punti fermi e delle linee guida precise che possano mettere in luce i bisogni psico-pedagogici, sociali e

cognitivi dell’utenza e, di conseguenza, promuovere risposte adeguate, non riescono a porre riscontro in

maniera puntuale a tali esigenze, in quanto non supportati o da un’adeguata attività formativa o da

un’attenzione ed una presenza significativa delle istituzioni rispetto a tali servizi, i quali, dunque, si

ritrovano senza alcun riferimento fisico e/o normativo.

Un dato più confortante deriva invece dall’analisi delle risposte relative al quesito 05.07 - Avete libri? - al

quale, nel 67,26% dei casi è stata fornita una risposta positiva; tuttavia sarebbe importante che tale

percentuale fosse più vicina alla totalità dei casi, in quanto presupposto fondamentale di una ludoteca è

presentare giochi, attività, stimoli vari, di modo che l’utente possa approcciarsi a quelli che meglio

rispondono alla propria personalità, al proprio gusto o, semplicemente, al proprio stato emotivo dello

specifico momento.

Rispetto alla presenza di schede di rilevazione per i giocattoli, solo i referenti di 17 ludoteche ne hanno

affermato la presenza, il 54% di essi hanno, invece risposto negativamente, mentre nei restanti casi hanno

riferito di non conoscere tale dato o non hanno fornito risposta alcuna.

Rispetto all’organizzazione e alla formazione del personale (sezione 06) emerge che:

1. nel 60,17% dei casi è presente all’interno della struttura un coordinatore,

2. nel 4,42% dei casi non è prevista tale figura,

3. nei restanti casi (35,41%) non è stato fornito alcun dato significativo.

I quesiti 06.07 e 06.08 mirano a rilevare informazioni riguardo eventuali corsi di formazione specifici svolti

dagli operatori, richiedendone, in caso di risposta affermativa, la tipologia. È emerso che, tra il personale

specificamente formato:

1. 10 operatori hanno conseguito la qualifica di ludotecario,

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2. 16 quella di animatore,

3. 3 hanno portato a termine un corso per operatore socio-assistenziale,

4. una sola persona ha frequentato un corso per assistente all’infanzia.

5. La maggior parte del personale, invece, possiede titoli di studio che vanno dal diploma di scuola

secondaria di secondo grado alla laurea in discipline inerente l’area umanistica.

Guardando i suddetti dati non si può prescindere dall’affermare la necessità sostanziale di personale

altamente formato che operi all’interno della ludoteca. Tale servizio, infatti, è indubbiamente molto

complesso, ma, proprio per questo, in grado di intervenire positivamente sulla crescita dell’individuo; ciò,

però, può avvenire solamente qualora gli interventi vengano programmati, progettati ed attuati in modo

altamente professionale, attraverso, dunque, le competenze di personale adeguatamente formato che

possa trasferire le proprie conoscenze e le proprie abilità ludico-educative sul piano pratico.

Rispetto alle attività (sezione 07) i dati sono così riassumibili:

a) Laboratori permanenti:

sono presenti nel 33,63% delle strutture contattate,

non sono previsti nel 38,94% dei casi,

mentre nella restante parte (27,43%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna

risposta);

b) Laboratori saltuari o periodici:

sono attivati all’interno del 40,71% delle ludoteche,

non lo sono nel 36,28% dei casi,

mentre nella restante parte non sono stati raccolti dati significativi (non so 1,77%/nessuna

risposta 21,24%);

c) Progettazione delle attività: avviene nella quasi totalità dei casi (92,92%);

d) Riunioni di verifica:

sono svolte nel 58,40% dei casi,

l’organizzazione non prevede un’attività di tal tipo nel 9,73% dei casi,

mentre nella restante parte (31,87%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna

risposta);

e) Eventuali attività svolte sul territorio:

si è rilevato un riscontro positivo nel 38,05% dei casi,

una risposta negativa è stata fornita dal 25,66% dei referenti contattati,

l’1,77% degli intervistati ha risposto “non so”, negli altri casi non è stato raccolto alcun dato.

La sezione 08 è stata prevista allo scopo di indagare quanto le ludoteche presenti sul territorio regionali si

configurino effettivamente come servizi sociali ed educativi; di seguito i dati emergenti:

a) I genitori e/o gli adulti partecipano alle attività (quesito 08.01)

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all’interno del 51,33% delle strutture,

non si riscontra il loro coinvolgimento nel 22,12% dei casi,

mentre nella restante parte (26,55%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna

risposta);

b) Rapporti con la scuola:

dichiarano di averne intrapreso il 23% dei soggetti intervistati,

non sussistono nel 37,17% dei casi,

mentre nella restante parte (39,83%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna

risposta);

c) Rapporti con ospedali o cliniche:

sono presenti nel 18,58% dei casi,

non sussistono nel 46,90% dei casi,

mentre la percentuale restante (34,52%) ricade nelle opzioni “non so” e “non risponde”;

d) Rapporti con l’Assistenza sociale:

la ludoteca fornisce supporto all’Assistenza sociale nel 23% dei casi,

si riscontra una risposta negativa nel 46,90% dei casi,

mentre nella restante parte (30,10%) non sono stati raccolti dati significativi (non so/nessuna

risposta);

e) Informazioni alla famiglia:

vengono fornite nel 57,52% dei casi,

non si erogano informazioni di alcun tipo nel 15,93 % dei casi,

mentre la percentuale restante (26,55%) ricade nelle opzioni “non so” e “non risponde”.90

I dati raccolti, danno conferma, purtroppo, di quella che è una reale e profonda carenza di conoscenze ed

informazione e formazione specifica sulla ludoteca, la quale è strettamente connessa ad un importante

deficit legislativo di settore - infatti solo un numero irrisorio di Comuni su tutto il territorio regionale

dichiara di aver stilato un regolamento comunale sul servizio ludoteca. Ciò, dunque, contribuisce ad

alimentare la confusione relativa al servizio, permettendo di chiamare tutto ludoteca ed impedendo,

pertanto, l’erogazione di servizi di qualità realmente basati sui bisogni della famiglia contemporanea ed

efficaci nel rispondere adeguatamente alle esigenze sociali, psico-pedagogiche ed educative dell’infanzia,

rispettandone quindi le tappe evolutive.

Troppo spesso, infatti, non è chiaro il profondo valore dei giocattoli e del gioco, quest’ultimo inteso, non

tanto come attività ludica fine a se stessa, quanto, piuttosto come spazio di vita, di crescita, di esperienza…

potremmo dire, con le parole di Winnicott, come uno spazio che si struttura all’interno dell’area

90

Tutti i dati esposti derivano dallo “Studio-ricerca sulle Ludoteche nella Regione Sicilia” condotta dall’Associazione nazionale “Il Dado Magico” - A.S.D.

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dell’illusione, ossia quell’area a ponte tra il mondo esterno ed il mondo interno, in cui prendono vita la

fantasia e la creatività e che caratterizza e permette il difficile percorso dallo stato di dipendenza del

bambino fino all’indipendenza, stimolando l’affermazione del Vero Sé. Il gioco, dunque, è, per Winnicott,

sempre un'esperienza creativa e la capacità di giocare in maniera creativa permette al soggetto di

esprimere l'intero potenziale della propria personalità, “grazie alla sospensione del giudizio di verità sul

mondo, a una tregua dal faticoso e doloroso processo di distinzione tra sé, i propri desideri, e la realtà, le

sue frustrazioni”91 . In questo modo, attraverso un atteggiamento ludico verso il mondo, e solo qui, in

questa terza area neutra e intermedia tra il soggettivo e l'oggettivo, può comparire l'atto creativo, che

permette al soggetto di trovare se stesso, di essere a contatto con il nucleo del proprio Sé; inoltre,

“l'esperienza culturale comincia con il vivere in modo creativo, ciò che in primo luogo si manifesta nel

gioco”92. La creatività è uno stato di vitalità esistenziale, comune ad ogni essere umano, sia esso bambino

o adolescente o adulto, ed è per questo che, per Winnicott, il gioco, intendendo con esso un atteggiamento

ludico e creativo verso il mondo, non ha età: “io considero alla stessa stregua il modo di godere altamente

sofisticato della persona adulta rispetto alla vita, o alla bellezza o all'astratta inventiva umana, e il gesto

creativo di un bambino, che tende la mano alla bocca della madre, e che tocca i suoi denti, e la vede

creativamente. Per me, il giocare porta in maniera naturale all'esperienza culturale e invero ne costituisce le

fondamenta”93.

Il gioco, dunque, come attività afinalistica, ma certamente deputata allo sviluppo cognitivo, affettivo,

motivazionale e di personalità dell’individuo, da fasi di sviluppo precoci fino all’età adulta e anche più.

Winnicott, infatti, introduce una significativa analogia tra l’oggetto transizionale, “l’area dell’illusione” e

“l’area del gioco”:

“il gioco comincia nello spazio potenziale che si crea tra madre e bambino, la zona dell’illusione: nell’atto di

giocare il bambino è in grado di essere creativo perché fa ancora effettivamente esperienza, in qualche

misura, dell’onnipotenza, può far uso dell’intera personalità, e solo nell’essere creativo scopre il Sé. (…)

All’interno di questo contesto deve svolgersi, la conoscenza della realtà che dovrà essere offerta al bambino

non solo gradualmente, ma anche come una sua scoperta, ancora una volta come qualcosa che fa lui, che

egli “crea”. (…) La progressiva disillusione, questa presentazione e conoscenza della realtà, diviene, così,

apprendimento.” 94

Ecco i grandi valori del gioco e dei giocattoli, le cui caratteristiche il ludotecario dovrebbe avere ben chiare.

Da qui, dunque, anche l’importanza del prestito dei giochi che dovrebbe caratterizzare ogni ludoteca,

poiché permette la continuazione dell’esperienza e la condivisione di questa all’interno del nucleo

familiare, dando, inoltre, la possibilità anche alle famiglie in condizioni socio-economiche meno agiate di

91

Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando Editore, Roma. 92

Ibid. 93

Ibid. 94

Ibid.

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affermare e soddisfare l’inalienabile diritto al gioco di ogni bambino; diritto che, troppo spesso, è invece

concesso solo ad alcune fasce d’età, come si è evidenziato, infatti, nessuna delle ludoteche da noi

contattate ha affermato di non porre limiti di età per la propria utenza.

Tutto ciò devia da quella che è la nostra idea di ludoteca, intesa come servizio sociale fruibile da tutti i

“bambini” da 0 a 99 anni che abbiano voglia di esprimersi attraverso il gioco, di conoscersi, sperimentarsi,

scambiare esperienze in uno spazio costruito per loro e da loro.

Ci auguriamo, quindi, che quanto esposto fin qui possa essere per tutti spunto di riflessione, per noi è

ulteriore motivo per perpetuare il nostro impegno, anche e soprattutto attraverso il coinvolgimento e la

sensibilizzazione degli Enti pubblici in relazione al riconoscimento della ludoteca come servizio sociale e del

ludotecario quale figura preposta e professionista del settore, questo perché anche noi, come Shaw,

crediamo che “l’uomo non smette di giocare perché invecchia, ma invecchia perché smette di giocare”.

Vorremmo chiudere la nostra breve relazione ringraziando la Provincia regionale di Messina - Assessorato

alla Solidarietà Sociale e la Regione Sicilia - Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e delle

Autonomie Locali, le quali hanno gentilmente patrocinato la ricerca presentata, e il Centro Internazionale

Ludoteche, nella persona del direttore Giorgio Bartolucci, la cui collaborazione, come sempre, è risultata

preziosa.

2. Il Laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine

Città di San Giorgio a Cremano

Francesco Langella95

Breve storia

Nel 1994, con delibera di Consiglio comunale n. 53, veniva approvata ad unanimità, la costituzione del

Laboratorio regionale di progettazione e sperimentazione San Giorgio Città dei Bambini e delle Bambine,

che si è proposto di comporre le maglie di una rete per la graduale riappropriazione del territorio,

impegnandosi per migliorare la sostenibilità urbana.

Dopo una prima fase sperimentale la città di San Giorgio a Cremano, attraverso il laboratorio regionale è

diventata una città amica dei bambini, impegnata a garantire l'accesso a servizi adeguati per tutti i bambini,

ed a sperimentare nuove forme di partecipazione degli stessi. Negli anni il Laboratorio ha assunto le

caratteristiche di un’unità organica con un proprio bilancio, adeguate dotazioni materiali e strumentali.

Attualmente il servizio è incardinato nel settore della Pubblica Istruzione. Nel 1998 il nostro laboratorio

risulta essere citato tra le quattordici esperienze più significative nella Guida alle Città sostenibili delle

bambine e dei bambini pubblicata dal Ministero dell'Ambiente. Essere prescelti dal Ministero dell’Ambiente

95

Coordinatore del Laboratorio Città dei Bambini e delle Bambine di San Giorgio a Cremano.

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tra le centinaia di città che in Italia hanno attivato canali di ascolto alle esperienze dei loro cittadini più

piccoli ed essere designati tra le quattordici esperienze nazionali più significative è stato motivo di orgoglio

e di stimolo ad approfondire la traccia di lavoro aperta.

Nel maggio 1999 il laboratorio regionale Città dei bambini e delle bambine ha ricevuto il premio “Qualità in

Comune ‘99” del Forum Pubblica Amministrazione ‘99, per la classificazione tra i due migliori progetti nel

settore Città Bambini, rappresentativo di una decisa svolta verso la qualità nelle Amministrazioni locali;

occasione di divulgazione e segnalazione delle best practices e dell’impegno dell’Amministrazione verso

nuovi modelli gestionali e di rapporto con i cittadini.

Il laboratorio regionale è divenuto punto di riferimento regionale, attestato dalle numerose richieste di

consulenza e collaborazione che pervengono da altri enti ed istituzioni regionali; mentre vasta eco e

risonanza hanno determinato la partecipazione di ragazzi e rappresentanti del laboratorio a trasmissioni

televisive di carattere nazionale come “Geo e Geo” - “Mediamente”. Grazie alla collaborazione di tutti

possiamo affermare che il progetto Città dei bambini e delle bambine nella nostra città sta crescendo e

sviluppandosi al meglio. Naturalmente la strada che dobbiamo percorrere è ancora lunga affinché la città

dei bambini cresca e si sviluppi con risultati tangibili di un miglioramento complessivo della qualità della

vita per tutti.

Descrizione del Progetto

San Giorgio a Cremano, la città di Rosario in Argentina e la città di Roma hanno istituito, con rispettive

deliberazioni delle Giunte comunali, “Il Giorno del Gioco” che si realizza, ogni anno, il secondo mercoledì

del mese di maggio. Una grande conquista che pone San Giorgio a Cremano come la prima città della

Regione Campania che dedica una giornata feriale al gioco.

Un grande appuntamento da vivere, un giorno speciale dedicato al gioco come mezzo di espressione,

comunicazione e incontro tra adulti, giovani, bambini, con pari opportunità di generi. Perché giocare è

immaginare, perché la vita è gioco e il gioco è esperienza, rispetto delle regole, convivenza, curiosità e

ricerca delle diversità, in un percorso educativo delle coscienze, al tempo stesso estremamente semplice

ma con meccanismi complessi. Le scuole della città, per l’occasione, dedicano la mattinata al gioco

all’aperto; per un giorno, le ore di lezione possono essere interamente ore di gioco, l’attività che, per

eccellenza, caratterizza un percorso formativo. Le due piazze principali della città, piazza Troisi e piazza

Vittorio Emanuele II, le strade limitrofe ed alcuni edifici scolastici diventano teatro dell’evento. Scopo

dell’iniziativa, che coinvolge scuole e cittadini, è quello di promuovere il gioco negli spazi urbani

riconquistandoli al traffico e alle auto in sosta e creandovi momenti di aggregazione.

L’Amministrazione di San Giorgio a Cremano si è impegnata da tempo nella realizzazione di azioni concrete

sugli aspetti normativi a tutela del gioco dei bambini per la riconquista degli spazi per giocare: nei

condomini innanzitutto, ma anche nei parchi pubblici e nelle scuole. Nel rispetto dell'articolo 31 della

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Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, con l’iniziativa del “Giorno del Gioco”, si vuole favorire il gioco dei

giovani anche sulle aree soggette ad uso pubblico.

La Giunta comunale della città di San Giorgio a Cremano, con delibera n. 353/09 ha anche proposto al

Governo l’adozione di una specifica legge relativa all’istituzione del “Giorno del Gioco”, in considerazione

dell’alto valore educativo e sociale che l’iniziativa può svolgere all’interno della collettività, contribuendo a

ricostruire un tessuto sociale e un clima di cooperazione e di solidarietà fondamentali per migliorare la

qualità della vita urbana. Sostenuto dall’Assessorato regionale alle Politiche sociali, il progetto, coinvolgerà

altri enti locali, scuole, categorie produttive, commerciali e di servizio. L'onorevole Luisa Bossa ha già

presentato la proposta di legge alla Camera dei Deputati come prima firmataria.

La delibera di proposta della specifica legge di festa nazionale dedicata al gioco è stata già trasmessa al

Capo dello Stato, al presidente del Consiglio dei Ministri, al Parlamento, al Senato, al presidente nazionale

dell’UNICEF, al presidente nazionale dell’ANCI e a tutti i presidenti ANCI delle regioni d’Italia, al presidente

della Giunta regionale della Campania, alla Commissione Bicamerale per l’Infanzia, al CNR di Roma, ala

BIMED, perché ciascuno nelle proprie istituzioni si faccia carico della presente proposta ed operi perché

venga tradotta materialmente in legge dello Stato.

Alcuni hanno fatto già pervenire per iscritto lettere di sostegno, formulando osservazioni sugli effetti e sulla

necessità di promozione a livello nazionale della suddetta legge. Francesco Tonucci del CNR di Roma, ha

dichiarato che “l‘iniziativa corrisponde pienamente alle caratteristiche e alle finalità del progetto “La città

dei bambini” di cui il CNR è promotore e coordinatore a livello internazionale. (…) Naturalmente tutti noi che

ci occupiamo dei diritti dei bambini sappiamo che i bambini hanno diritto e bisogno di giocare tutti i giorni e

non solo una volta all’anno, ma riteniamo che sia importante che ogni città in un giorno particolare sia

impegnata a riflettere su questo particolare e poco rispettato diritto dei bambini. Come diceva un bambino

di Rosario in Argentina, dovrebbe essere “Come il giorno del compleanno del Gioco”. Il presidente nazionale

dell'UNICEF in un suo messaggio ha dichiarato il “Giorno del Gioco” “una giornata dall’alto valore educativo

e sociale dedicata al diritto di ogni bambino ad esprimersi, crescere ed imparare divertendosi. L’UNICEF, che

in tutto il mondo sostiene e tutela tale diritto, crede che questa giornata possa contribuire a sensibilizzare

tutti gli italiani con una iniziativa che non coinvolge solo i più piccoli ma anche “i grandi”, cui spetta il

diritto-dovere di giocare con i bambini. È per noi una buona notizia il fatto che il progetto trovi consensi e

sostegno su vari fronti attraverso la positiva sinergia di enti, istituzioni, famiglie che hanno lavorato insieme

ogni giorno per costruire questa iniziativa. Spero che questa di San Giorgio a Cremano sia una buona pratica

per tutti i comuni d’Italia e che raggiunga a livello nazionale il risultato sperato. Mi auguro infine che, grazie

al vostro lavoro, il prossimo anno questa festa diventi un evento ufficiale della Repubblica italiana e che

sancisca, come recita l’articolo 31 della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che il gioco è

un diritto inalienabile di tutti i bambini del mondo.”

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Obiettivi

A seguito di approfondimenti tematici sul gioco e di incontri specifici con altre realtà pubbliche e con

l’Istituto di Scienze e Tecnologia della Cognizione del CNR di Roma, l’istituzione del “Giorno del Gioco”

rappresenta una grande conquista che pone, tra l’altro, la città di San Giorgio a Cremano come la prima

città campana che dedica un evento interamente al gioco per sette giorni.

La manifestazione intende:

trasformare parte della città e renderla a misura di bambini e ragazzi;

rappresentare un’occasione di gioco e socializzazione non solo per i ragazzi ma anche per le loro famiglie,

promuovendo il gioco negli spazi urbani riconquistandoli al traffico e alle auto in sosta e creandovi

momenti di aggregazione, trasformando, per l’occasione, le piazze e le strade della città in teatro

dell’evento;

offrire ai cittadini - bambini, giovani e adulti - l’opportunità di socializzare, di riscoprire il piacere di

utilizzare piazze, luoghi e strade della propria città per momenti ludici, ricreativi e di intrattenimento,

esenti da aggressività e solitudine, e di apprezzare la possibilità di sentirsi protagonisti degli spazi urbani

non invasi da traffico e smog;

favorire il moltiplicarsi di occasioni di gioco intergenerazionale e, quindi, non soltanto fra bambini e

ragazzi, ma anche fra adulti, e fra adulti e bambini;

ri-scoprire i giochi della tradizione popolare, coinvolgendo gli anziani e ricostruendo scene di giochi

derivanti da specifiche tradizioni;

valorizzare il gioco creativo libero e l’ideazione di nuovi giochi, con l’utilizzo di materiali vari, anche di

recupero, anche in considerazione che il 2009 è l’anno europeo dedicato a creatività ed innovazione;

coinvolgere i disabili nei giochi e nelle attività sportive, ricreative e di spettacolo che saranno realizzate;

favorire la partecipazione dei condomini, facilitando così i rapporti fra le famiglie e singoli individui, che

sono solitamente difficili e spesso inesistenti;

promuovere fra i cittadini nuove amicizie e rinsaldare i rapporti sociali;

favorire la partecipazione attiva dei cittadini immigrati e gli scambi e gli arricchimenti culturali,

promuovendo la conoscenza di giochi di vari Paesi del mondo (tema della seconda annualità);

favorire le pari opportunità anche nell’esercizio del gioco promuovendo un’analisi del gioco differenziato

per genere nel tempo, facendo in modo che i diversi giochi siano di libero accesso a maschi e femmine ed

ugualmente sostenuti e incoraggiati in contesti educativi, indipendentemente dall’adeguatezza di

genere, cominciando così dalla base a scardinare gli stereotipi (tema della terza annualità del progetto),

promuovendo riflessioni sul cambiamento dei giochi come cambiamento dei ruoli nella società;

promuovere l’applicazione concreta del diritto al gioco e al tempo libero, così come previsto dall’art. 31

della Convenzione Onu dei Diritti dell’Infanzia.

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Complessità e corposità dell’iniziativa

La precedente quarta edizione dell’iniziativa del “Giorno del Gioco”, che si è svolta nell’arco di una

settimana dal 6 al 13 maggio, con il contributo della Regione Campania, ed altri enti che hanno voluto

sostenerla, ha saputo conquistarsi le simpatie e le attenzioni di un vasto pubblico ed ha coinvolto circa

30.000 studenti delle scuole cittadine e fuori territorio, anche con la partecipazione di bambini e giovani

con handicap e di alcune fasce di bambini e giovani svantaggiati.

Le forti pulsioni creative dei ragazzi e le tensioni ideative che si sono osservate nello svolgimento dei vari

giochi organizzati dalle scuole inducono a pensare ad un progetto più corposo che vuole emergere con più

forza, energia e visibilità. Evidentemente sono molto vive le suggestioni e le implicazioni generate dal tema

del gioco e delle sue evoluzioni.

Con l’edizione successiva (la quinta) si ha intenzione di sviluppare un progetto a lungo termine e

trasformare il “Giorno del Gioco” in un avvenimento significativo che coinvolga l’intera città di San Giorgio a

Cremano, con una serie di eventi, distribuiti nel corso dell’anno, di preparazione alla kermesse finale, che si

concluda con il secondo mercoledì del mese di maggio di ogni anno e veda la partecipazione di altre città-

polo del Parco Scolastico del Mezzogiorno (Regione Campania) e di un’altra città italiana e/o straniera, con

la quale si instaurerà un gemellaggio. Nella preparazione alla quinta edizione l’obiettivo principale è anche

quello di una trasformazione urbana e sociale che identifichi San Giorgio a Cremano come una città adatta

anche al gioco.

Un vero e proprio “Festival del Gioco”, promosso dall’Assessorato alla Scuola Infanzia e Gioco del Comune,

con un tema annuale che trasmetterà il senso dell’iniziativa.

Per la quinta edizione 2010 il tema sarà: Giochi oltre i confini (il gioco nelle diverse culture).

Il patrimonio di giochi tradizionali della cultura infantile rischia di perdersi perché i bambini hanno poche

occasioni di giocare in gruppo e sempre meno in spazi di libera aggregazione. Recuperare e conoscere i

giochi della propria tradizione diventa importante per l'educazione e può essere un modo per avvicinarsi

alle altre culture scoprendo le diversità e similitudini dei giochi. Il tipo di gioco al quale giocano i popoli nel

mondo rispecchia i valori della loro civiltà. Forse non è casuale che i giochi più competitivi appartengano al

bagaglio culturale delle società industriali, caratterizzate da una forte gerarchia e competitività nei rapporti

sociali. I giochi cooperativi invece si trovano più facilmente nelle società di carattere tribale dove il principio

fondamentale è quello della convivenza basata sulla condivisione di tutti i beni prodotti dalla comunità. Con

il tema della quinta edizione si propone un viaggio alla ricerca delle conoscenze di diverse civiltà nel mondo

attraverso il gioco con lo scopo di:

favorire la conoscenza reciproca,

sperimentare e sviluppare la propria corporeità,

valorizzare le differenze attraverso il gioco,

recuperare e sperimentare i giochi tradizionali, a cominciare dai nostri,

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sviluppare le capacità di cooperazione, di accettazione reciproca nell'interazione con l'altro,

analizzare il gioco e il suo valore educativo nel rispettivo contesto culturale.

Attraverso laboratori e seminari di formazione per i docenti delle scuole di ogni ordine e grado si cercherà

di sperimentare giochi provenienti dai diversi contesti culturali. I momenti attivi saranno alternati con fasi

di riflessione ed analisi.

In una società sempre più multietnica e multiculturale, dove le diversità sembrano scontrarsi più facilmente

che incontrarsi, si pone la necessità, al livello educativo, di sensibilizzare le nuove generazioni

all'accettazione delle differenze, atteggiamenti e punti di vista dell'altro. Che questo “altro” sia straniero, di

un’altra religione o semplicemente il compaesano, che la pensa in modo diverso da noi, ha poca

importanza. Tutti i bambini e le bambine del mondo giocano, in modi simili e diversi, e i loro giochi

costituiscono un patrimonio di creatività che accomuna ed esprime le connotazioni autentiche delle diverse

culture. Utilizzare i giochi del mondo per progettare percorsi educativi è creare momenti di incontro e di

confronto con la diversità. Il gioco, pertanto, può diventare uno strumento importante per fare educazione

interculturale. Nell'ambito della riflessione sul valore culturale del gioco e del recupero del territorio, il

“Festival del Gioco” promuove esposizioni, istallazioni urbane e d'arte, incontri e convegni, seminari,

laboratori didattici, concerti di musica tradizionale e spettacoli.

Le scuole pubbliche e private partecipano alle edizioni del “Festival del Giorno del Gioco” con proprie

iniziative organizzate negli spazi della città. Associazioni, enti, aziende, istituzioni private e pubbliche, liberi

cittadini che vogliono partecipare a questa iniziativa possono organizzare autonomamente momenti ludici

e/o di spettacolo durante la loro normale attività. La loro partecipazione viene concordata con il

Laboratorio Regionale Città dei Bambini e delle Bambine, che mantiene il coordinamento dell’iniziativa.

Nell’ambito di tale progetto, attraverso il laboratorio regionale Città dei Bambini e delle Bambine, si

promuove anche un’iniziativa per la realizzazione di progetti creativi ed originali, da utilizzare per la

campagna di comunicazione finalizzata a favorire una diffusa sensibilità verso il diritto dei bambini al gioco.

I progetti originali presentati dai giovani delle scuole, ogni anno, sono esposti virtualmente sul sito internet

del laboratorio regionale (www.cittabambini.it) e riguardano i disegni, gli audiovisivi e gli slogan inventati e

prodotti dai bambini appositamente per la manifestazione.

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3. Ludoteca… la Carneade dei servizi per l’infanzia

Giorgio Bartolucci96

La storia insegna

Se don Abbondio si fosse imbattuto nella parola ludoteca, il buon parroco di manzoniana memoria si

sarebbe sicuramente chiesto: Ludoteca? Chi era costei?

Ignoranza ammissibile perché alla fine del XVIII secolo non era ancora apparsa sul panorama educativo

della Lombardia, ma forse la risposta non sarebbe molto diversa nemmeno oggi perché, ad oltre trent’anni

dalla sua nascita in Italia, se ne stanno perdendo le tracce. Parlare di ludoteche, oggi, è molto difficile

perché questo termine racchiude in sé una tal quantità di servizi che per potersi capire è necessario chiarire

prima di cosa stiamo parlando.

Dalla fine del 1977, quando presso il CRE Enel di Firenze è nata la prima, la ludoteca ha seguito le linee che i

Francesi ci avevano indicato ed avevamo adattato alla situazione italiana e ai nostri obbiettivi. Al primo

posto nel progetto si indicava la nostra ricerca per individuare i modi per permettere al bambino la libera

scelta del giocattolo. Se il gioco è il motore primario dello sviluppo, perché il giocattolo, che ne è lo

strumento, deve essergli concesso solamente se è stato buono, se ha avuto un buon voto a scuola o per le

feste comandate, una sorta di ricatto? Perché non utilizziamo lo stesso metodo con il cibo?

La ludoteca è poi andata avanti fino all’inizio degli anni ‘90 acquisendo una notevole reputazione nel campo

dei servizi per l’infanzia e per le famiglie, favorendo lo sviluppo dell’individuo in campo educativo, sociale e

culturale. Questo grazie all’impegno di amministrazioni pubbliche di grandi città come Firenze, Milano,

Torino e Bologna, ma anche di cittadine come Fiorano, Carpi, Nonantola e molte altre.

In questi anni, con il mutare dei bisogni della società, delle famiglie, i servizi rivolti all’infanzia si stavano

lentamente modificando mentre l’Ente locale riduceva tali servizi adducendo le diminuite disponibilità

economiche. Sotto queste spinte anche la ludoteca ha diversificato la sua struttura ed i suoi obbiettivi. Da

un lato questo è perfettamente lecito, altrimenti verrebbe meno una delle sue specificità che è quella di

adeguarsi al variare delle necessità degli utenti, ma dall’altro non volevamo che se ne snaturassero le

caratteristiche riducendo le sue potenzialità e creando un’immagine distorta di un servizio che non si è

ancora ben consolidato nell’opinione pubblica.

La scarsa proliferazione dei servizi per la prima infanzia (in Italia i nidi non raggiungevano una copertura del

9%), ne ha aumentato a dismisura la richiesta da parte dei genitori lavoratori, un bisogno sul quale il privato

si è impegnato al massimo diventando numericamente importante.

96

Direttore del Centro Internazionale Ludoteche di Firenze.

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Ma gli asili nido e i centri gioco sono sottoposti a norme molto rigide che ne rendono onerosa la gestione. Si

è allora approfittato della mancanza di regolamenti per la ludoteca aprendo servizi con questo nome che

però, di fatto, sono tutt’altra cosa, sono dei nidi, dei baby parking, delle scuole materne, dei laboratori e

per di più, in assenza di regole, non sono soggetti a controllo.

Nel primo decennio, la ludoteca del CRE era stata il modello ispiratore per numerose realizzazioni, ma non

ci erano pervenute notizie e riscontri precisi sulle loro attività che ne definissero le caratteristiche e le linee

di sviluppo.

Nel frattempo, su iniziativa di alcune persone del gruppo che aveva aperto la ludoteca fiorentina e di altri

docenti che ne avevano teorizzato e seguito lo sviluppo, era sorto, sempre a Firenze, il “CIL - Centro

Internazionale Ludoteche”, associazione senza fini di lucro. Dopo anni di studi e dibattiti tra le ludoteche

italiane si avvertiva, all’interno, la necessità di verificare l’evoluzione di questo servizio, di fare il punto della

situazione attraverso una ricerca nazionale e il CIL se ne assunse l’onere.

Dobbiamo ricordare anche che, dal 1979, il CIL aveva iniziato a pubblicare il periodico La Ludoteca, giunto

oggi al trentesimo anno. Fin dal 1987, il direttore del Centro, Giorgio Bartolucci, è entrato a far parte del

direttivo dell’Associazione Internazionale delle Ludoteche e, nel 1990, aveva organizzato, per il Comune di

Torino, la quinta Conferenza Internazionale che aveva visto la partecipazione di 36 Paesi dei cinque

continenti.

La prima ricerca - 1990/91

L’occasione per realizzare questa ricerca si è presentata quando Marzia Bartoli, che faceva parte del gruppo

che aveva progettato e gestito la prima ludoteca italiana dove ha lavorato per anni, ed era fra i soci

fondatori del CIL, decise di concludere il suo corso di studi alla Facoltà di Magistero dell’Università di Siena,

con una laurea sulle ludoteche.

Nella premessa si leggono le motivazioni: “La volontà di svolgere una ricerca nasceva essenzialmente dalla

necessità di fare chiarezza su un servizio che, a 13 anni dalla sua introduzione in Italia, non riusciva a

decollare, le realizzazioni presentavano i caratteri dell’improvvisazione e rivelavano spesso una certa

carenza di principi pedagogici e di una cultura consolidata dei servizi per l’infanzia.”

“In anni di studi e ricerche svolti dal CIL, erano emerse le potenzialità e gli aspetti che la ludoteca può

presentare. Le periodiche riunioni con i ludotecari, la presentazione delle varie iniziative, i convegni, i

dibatti, portavano a concludere che queste potenzialità apparivano spesso in modo frammentario, che solo

una parte, a volte minima, veniva utilizzata.”

Si evidenziava anche (eravamo alla fine degli anni ‘80), come vi fosse una maggior considerazione

dell’attività ludica ma le mutate condizioni di vita ne ostacolavano la libera espressione. I bambini, che in

passato avevano spazi e occasioni di gioco a disposizione e potevano giocare liberamente per strada

interagendo con compagni di età diverse e anche con gli adulti attraverso le feste popolari, le ricorrenze, le

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veglie, venivano adesso a perdere queste opportunità che venivano sostituite da luoghi di pseudo-

aggregazione come palestre, circoli, club, quasi mai scelti liberamente.

Venne predisposto un questionario di 212 domande (molte a risposta multipla), per indagare sui punti

salienti della ludoteca, che riguardavano le notizie generali, i locali, l’organizzazione, la dotazione dei

giocattoli, l’utenza, il personale impiegato, le attività svolte, i suoi interventi come servizio sociale,

educativo e culturale.

I dati raccolti negli anni dal CIL indicavano in 120 le ludoteche esistenti. Da un’indagine preliminare è

risultato che 16 avevano chiuso definitivamente e 14 lo erano temporaneamente e 20 furono scartate

perché non effettuavano il prestito. Fra le 70 che risultavano aperte, 3 non hanno voluto rispondere per cui

l’inchiesta ha riguardato 67 ludoteche, il 95,7%. La maggioranza del questionari è stata somministrata per

intervista diretta, che garantiva la veridicità delle risposte.

Come previsto i risultati sono stati molto variegati, con finanziamenti iniziali che andavano da 100.000 lire

fino a 235 milioni e le spese di gestione annue, personale incluso, da 200.000 lire fino a 148.645.836 lire,

come risultava dal bilancio comunale.

La dotazione di giocattoli oscillava fra i 20 e i 2.200.

La promozione del servizio è stata per il 47,8% di iniziativa comunale e per il 20% mista; i motivi ispiratori

per il 20,9% sono di tipo sociale, l’11,95% educativi e i rimanenti ne hanno avuti più di uno

contemporaneamente (socio-educativi, socio-culturali, socio-assistenziali, socio-educativo-culturali). La

gestione viene assunta direttamente dal Comune per il 43,3% delle volte, mentre per le altre è mista. La

superficie dei locali varia da un minimo di 35 mq ad un massimo di 1.300, con una media di 186 mq.

32 ludoteche, delle 53 che hanno risposto a questa domanda, hanno spazi all’aperto, con una media di

2.328 mq ciascuna. L‘iscrizione annua alla ludoteca varia da un minimo di 1.000 lire ad un massimo di

50.000. Una ludoteca richiede, come contributo per l’iscrizione, il dono di un giocattolo nuovo. Il 62,7% ha

anche libri (il 70% li dà in prestito), e fumetti. Indicativa l’utenza: 26 ludoteche (38,8%) sono aperte anche

agli adulti ma sono pochi quelli che ne usufruiscono, a significare che il gioco è ancora lontano dalla loro

mentalità, dalla loro cultura. La totalità delle ludoteche consente di lasciare i bambini in ludoteca e 6

(8,6%), anche se si tratta di minori di età inferiore ai sei anni.

Uno degli aspetti più importanti riguarda l’integrazione dei disabili, vocazione iniziale delle ludoteche

scandinave e del Regno Unito che per prime hanno aperto ludoteche. Il 77,6% ha dichiarato di accogliere

persone diversamente abili. La media delle presenze di questa categoria è di 7,9 utenti a ludoteca, che

spesso vengono con la persona di sostegno e si limitano a giocare con questa senza interagire con gli altri

bambini; alcuni frequentano la ludoteca in tempi diversi dalla normale apertura.

Benché 31 ludoteche (il 46,3%) abbiano dichiarato di affrontare con attenzione il problema, 5 parlano

genericamente di “inserimento” e una non ha ancora affrontato il problema. Per il resto si tratta di

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collaborazioni con USL, ANFAAS ed incontri con psicologi, assistenti sociali, insegnanti d’appoggio, ecc.

L’idea d’integrazione sembra ancora lontana.

Il 91% delle ludoteche svolge attività strutturate (laboratori), sia permanenti che periodici o saltuari, alcuni

gratuiti, altri a pagamento. L’88,1% ha una progettazione delle attività e l’85,1% presenta un programma.

L’86,6% tiene riunioni di verifica e ha svolto ulteriori ricerche sia sull’utenza che sul territorio.

Rispetto alla collaborazione con altre istituzioni, che costituisce uno dei punti qualificanti dell’attività

determinando il livello “sociale” della ludoteca ed è un valido supporto che migliora sicuramente la qualità

del servizio, l’80% ha rapporti di collaborazione con la scuola (salvo un caso in cui è stata rifiutata).

Scarsa la collaborazione con ospedali o cliniche pediatriche (solo 3 ludoteche), ma è da tener presente che,

ai tempi in cui si è svolta la ricerca, in Italia esistevano già 50 gruppi gioco in ospedale avviati ben

quarant’anni prima dalla dottoressa Armida Carla Capelli97.

Le altre ricerche - Regione Sardegna 2003/2004

Abbiamo visto come i motivi sopra esposti abbiano portato al deterioramento dell’idea base di questo

servizio e a sminuirne l’importanza; eravamo certi che non tutte le strutture chiamate ludoteche

svolgessero le funzioni che le competono. E qui torna in campo Carneade; il filosofo greco faceva parte

della corrente degli scettici e anche il nostro scetticismo aumentava quando parlavamo di ludoteche.

Eravamo scettici nel senso che il vocabolario ci indica: “diffidenti nei confronti di affermazioni, valori, realtà

o comportamenti…”

Lasciando da parte le dissertazioni filosofiche, era necessaria una ricerca il più possibile accurata sulla realtà

italiana per far chiarezza sulla sua situazione, unico modo per riportare il servizio alla sua funzione originale.

Purtroppo la sua diffusione, si parlava di migliaia, rendeva improponibile una ricerca su tutto il territorio

nazionale.

Ma i dubbi che ci tormentavano erano anche quelli della Regione Sardegna che all’interno del “Piano

Regionale Socio-Assistenziale 1990/92” (Legge Regionale 4/88), con un impegno finanziario consistente,

poneva il servizio ludoteca fra gli interventi nel campo del sociale, dove venivano individuate come

strumento/sede:

* Dove il bambino può esprimere, attraverso il gioco, la propria potenziale capacità di acquisire nuove

conoscenze e misurarsi con i suoi reali bisogni di creatività, senza il filtro delle scelte/impostazioni

dell’adulto che in questa sede si pone al servizio del bambino.

* Dove il giocattolo, troppo spesso vissuto passivamente ed in solitudine, anche per le caratteristiche che

presenta oggi la strutturazione del nucleo familiare, permette di sperimentare diverse situazioni personali e

relazionali di socializzazione primaria, fondamentale per un armonico sviluppo della persona e del cittadino.

97

Fondatrice dell’associazione Gioco e studio in Ospedale e del servizio di Gioco e Scuola in molti ospedali italiani.

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Poi, dei finanziamenti e delle strutture aperte, se n’erano perse le tracce; inoltre non esisteva una

normativa che ne indicasse le finalità, gli standard strutturali e organizzativi, la tipologia delle attività e la

formazione degli operatori. In definitiva si riproduceva la situazione nazionale.

Venne così indetta una gara per l’assegnazione di una ricerca che fu affidata ad un consorzio d’impresa

composto dalla società AdVertere di Cagliari, dalla cooperativa sociale Lariso di Nuoro e dal CIL di Firenze,

dove vi è la più ampia raccolta al mondo di materiali sulle ludoteche tanto da essere indicato come Centro

di Documentazione dell’ITLA. Per questo veniva riconosciuto come punto di riferimento storico. Al suo

direttore, Giorgio Bartolucci, venne affidata la direzione scientifica e la responsabilità della parte

sperimentale della ricerca che si è articolata su quattro punti:

1. Il progetto di ricerca, evidenziava la filosofia progettuale che ha animato l'elaborazione della

proposta e rappresenta una parte propedeutica per un'adeguata comprensione dei risultati.

2. La storia delle ludoteche, proponeva un excursus storico sulla loro nascita e il loro sviluppo

prospettando un recupero dell'identità originaria del servizio.

3. La storia delle ludoteche in Sardegna, offriva inizialmente un quadro quantitativo dei dati

provenienti dalle più accreditate fonti documentali per poi riportare quelli rilevati nel territorio

attraverso la ricerca sul campo.

4. Le linee guida del servizio: verso un modello di Ludoteca, proponeva una serie di indicazioni che ne

consentissero una progettazione nel rispetto delle effettive finalità di questo servizio sia dal punto

di vista socio-pedagogico che organizzativo e gestionale, con un’attenzione particolare all'aspetto

della formazione del ludotecario.

Si trattava della parte più innovativa della ricerca in quanto, dopo aver fornito un quadro generale di

riferimento della situazione regionale, assumeva un carattere propositivo, fornendo gli elementi per

arrivare all’elaborazione di una metodologia/modello di progettazione e predisposizione del servizio che,

pur nel rispetto delle diverse connotazioni che questo potrà assumere in riferimento al contesto territoriale

in cui verrà realizzata, possa essere considerata trasferibile e replicabile.

Questo permetteva di definire una sorta di tipologia modello del servizio, che si presentava innovativa

rispetto al panorama nazionale.

I risultati

La popolazione sarda, circa 1.668.000 persone, è divisa su 377 comuni (dei quali 18 sotto i 300 abitanti). 8

comuni non hanno risposto al questionario per cui, pur nella difficoltà a reperire telefonicamente le

persone responsabili e le notizie giuste, sono risultati dei dati completamente affidabili. Si sono così

individuate 177 ludoteche aperte suddivise su 159 comuni.

Riferiamo solo le notizie più importanti e le risposte “strane” come quelle di 2 ludoteche che hanno

dichiarato un solo utente iscritto.

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La causa principale delle chiusura è stata la mancanza di fondi (54,4%). Una volta aperta la ludoteca, i

comuni attendevano ulteriori finanziamenti regionali per la loro gestione; solo alcuni hanno impegnato

fondi propri.

La prima apre nel 1985, mentre lo sviluppo massimo si ha nel quinquennio 1996/2000 con 71 ludoteche

aperte. Le aperture variano da 1 a 7 giorni settimanali con la percentuale maggiore (37,7%), che apre 3

volte e il 49% che effettua il prestito.

Per quanto riguarda l’utenza, in genere sono aperte ai minori in età di scuola dell’obbligo, ma 3 ludoteche

accettano bambini sotto 3 anni e altre 3 anche adulti dai 18 fino ai 30. Una metà ha operatori per

l’inserimento di disabili. Questo dato evidenzia gli obbiettivi indicati dalla legge.

Il 18,5% è gestito da personale comunale e il 72,2% da operatori esterni. Per il 9,3% la gestione è mista.

Le risposte dei ludotecari sulla loro visione del servizio, sono state, in definitiva, abbastanza positive. Le

recriminazioni espresse dal personale sono comuni ad altre realtà italiane e hanno riguardato locali e

finanziamenti insufficienti, carenze di formazione sui laboratori, difficile contatto con funzionari e politici.

Ma una risposta ci ha colpiti particolarmente perché riguarda l’essenza del gioco in ludoteca; si è lamentata

l’incapacità a:

“far seguire le direttive ai bambini.

“il cattivo rapporto con i bambini che non seguono le loro direttive, i bambini sono agitati, fanno fatica a

seguire le regole dei giochi strutturati, accolgono male i laboratori proposti”.

“Vedono la ludoteca solo come un luogo per giocare”.

A proposito del gioco strutturato, è risultato che il 77% delle ludoteche svolge attività proposte dal

personale, mentre il 76,8% si affida ai laboratori nei quali, molto spesso, l’obbiettivo è il prodotto, il

risultato e non, come dovrebbe essere, il processo.

C’è anche chi risponde che il gioco libero “è sintomo di improvvisazione, di mancanza di programmazione

pedagogica”…

Difficile anche il rapporto con le famiglie che, per il 50%, è mediocre o inesistente.

Risulta anche l’importanza dei locali, interni ed esterni. Spesso le difficoltà di gestione sono state attribuite

alla scarsità degli spazi.

Secondo gli intervistati, il maggior punto di forza delle ludoteche sarde è la grande espansione del servizio,

la elevata presenza sul territorio.

Di contro, al primo posto fra i punti deboli troviamo proprio la grande confusione a livello terminologico

(baby parking, centro di aggregazione e/o animazione…) dal quale deriva una scarsa conoscenza sulle

finalità del servizio.

Dall’analisi delle risposte emerge positivamente lo sforzo che la Regione Sardegna ha svolto, nel campo del

sociale, per garantire all’infanzia validi strumenti di crescita. La diffusione, che è stata considerata, come

detto, un punto di forza, a quel tempo, era di una ludoteca ogni 94.200 abitanti.

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Anche la decisione di promuovere una ricerca per far chiarezza sul servizio, ha dimostrato una notevole

attenzione ai problemi educativi e sociali, oltre che economici, per evitare la dispersione di risorse. I dati

hanno fornito anche, come era stato previsto, indicazioni sui punti salienti che devono caratterizzare la

ludoteca e utili a migliorala.

La ludoteca

La sua origine si perde nella notte dei tempi. Si parla degli anni ‘30 del secolo scorso. Certo è che molto

tempo prima era presente nelle ville della nobiltà russa. Sappiamo anche che, al momento dello scoppio

della Seconda Guerra Mondiale, nella sola città di Mosca erano un centinaio e furono spostate nelle

stazioni della metropolitana dove la popolazione viveva per difendersi dai bombardamenti tedeschi. Una

stanza con numerosi giochi è stata trovata nella villa medicea “La Petraia” di Castello alle porte di Firenze.

Alla fine degli anni ‘50 era già in funzione nei reparti pediatrici scandinavi come strumento di diagnosi e

terapia dei deficit infantili e nel 1967, Jill Norris, una madre inglese con due bimbi disabili, ebbe l’idea di

condividere i giocattoli con altre madri, sue amiche, che avevano figli nelle stesse condizioni, creando così

una dotazione consistente che tutti utilizzavano.

Nata come supporto ai disabili, si è affermata anche come un servizio, pensato appositamente per

l'infanzia, che può avere anche grandi spazi propositivi sia per gli adolescenti che per gli adulti.

Principalmente rivolto con attenzione ai bisogni degli utenti, fa del gioco lo strumento fondamentale per

una sana ed equilibrata crescita dell'individuo, dove “crescita” significa sentirsi arricchiti da scambi che

possono avvenire tramite oggetti ed individui. La sua funzione “educativa” è intesa in senso socratico, come

l’alimentazione di una fiamma e non il riempimento di un vaso.

La ludoteca è stata paragonata ad un altro servizio, ben radicato nella vita culturale, come la biblioteca. La

ludoteca, infatti, offrendo giocattoli in prestito, si pone “con la stessa dignità culturale ma con una propria

specificità, a fianco degli altri servizi culturali del territorio.”

“Finalmente si rendeva possibile riconsiderare i rapporti umani, in uno spazio protetto, attraverso la libera

fruizione.”

Si tratta di un ambiente “protetto” perché il bambino, per adattarsi alla realtà, può usare il gioco in piena

libertà, in uno spazio nel quale gli è possibile sperimentare le abilità individuali e gli aspetti relazionali;

giocando egli si allena ad affrontare i “pericoli” che i rapporti reali comportano, dove vi sono operatori

disponibili ad ascoltarlo, ad incoraggiarlo, a sostenerlo in questo suo impegno, attenti anche al variare delle

esigenze, a seconda delle varie fasce di età, in modo che un’ampia categoria di utenti possa usufruire di

questo servizio, adulti e persone con svantaggi compresi. È anche un centro d'incontro nel quale trovano

ampio spazio momenti di socializzazione e di comunicazione, dove sono possibili scambi tra età e

generazioni diverse, è un aiuto concreto per i genitori al fine di aiutarli a svolgere il loro insostituibile ruolo

di educatori, è anche un supporto per la scuola e per i Servizi Sociali del Comune e della ASL.

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Il funzionamento di una ludoteca è basato su equilibri molto delicati ed è necessario un forte impegno sia

sul piano strutturale che gestionale: questo è facilmente comprensibile se si considera che deve dare

risposte individuali ad ogni utente. La struttura, l’organizzazione, la scelta dei giocattoli, delle attività

devono favorire il raggiungimento degli obbiettivi prefissati.

Poiché gli interventi vanno correlati agli individui che la frequentano e alla loro cultura, ogni struttura non

ha altri riferimenti che se stessa, non può essere clonata da altre ludoteche, perché la situazione nella quale

si colloca è unica e irripetibile e richiede una progettazione e una gestione originale.

Molto importante l’articolazione e la funzione degli spazi, che sono un valido supporto al gioco. Autorevoli

ricerche dimostrano che il gioco risulta più efficace se vi sono gli spazi idonei per svolgerlo. Ogni tipo di

gioco e di giocattolo richiede uno spazio adeguato, sia libero che appositamente attrezzato.

Vediamo adesso come si evolve il movimento nel mondo dove l’ITLA - Associazione Internazionale delle

Ludoteche sta lavorando da anni alla definizione di uno standard che eviti il fenomeno della proliferazione

incontrollata che affligge anche molti altri Paesi. La stesura definitiva verrà presentata alla prossima

conferenza internazionale che si terrà ad ottobre del 2011 a San Paolo del Brasile.

All’interno dell’ITLA, dal 1996, opera un Gruppo di Lavoro formato dalle ludoteche europee che, attraverso

incontri annuali, studia la loro diffusione nel nostro continente e sta cercando una definizione comune che

potrebbero essere ufficializzata dalla Comunità europea. È stato evidenziato che, in Europa, le ludoteche:

forniscono risorse per il gioco, compresi giocattoli, giochi, personale specializzato e spazi appositamente

destinati;

sono aperte a tutti: bambini, adulti, persone disabili, istituzioni e organizzazioni;

servono le persone senza limiti di razza, sesso, disabilità, religione, lingua o nazione di origine;

sono un servizio che fornisce agli utenti l’opportunità di condividere il gioco e/o il prestito di giochi e

giocattoli;

possono essere gestite da singoli, organizzazioni no-profit e amministrazioni locali, regionali, nazionali

e/o ogni altra agenzia o gruppo;

costituiscono una risorsa della comunità offrendo informazioni, guida e supporto ai membri, in aggiunta

al prestito di giochi e giocattoli.

Ma l’aspetto più importante che determina la qualità di una ludoteca, è la possibilità per il bambino di

scegliere in piena autonomia il tipo di gioco e lo strumento idoneo per giocare ed è fondamentale avere

un’ampia dotazione che consenta ogni risposta ai bisogni degli utenti. Solo fra una molteplicità di materiali

il bambino può individuare ciò che più attiene al proprio vissuto emotivo, al proprio mondo interiore, ai

suoi bisogni di crescita. Legata a questo è la sistemazione dei giochi e dei giocattoli sugli “scaffali” che

devono favorirne l’individuazione.

Data la sua importanza, il giocattolo non può essere lasciato completamente in mano all’industria che,

salvo eccezioni, lo tratta come un qualunque oggetto di consumo preoccupandosi poco dei bisogni del

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bambino e quindi delle funzioni del giocattolo stesso. È necessario, come avviene per i media, abituare il

bambino a porsi in posizione critica seguendo le proprie emozioni e non le suggestioni della pubblicità. E la

varietà delle offerte e la libertà di scelta sono una buona palestra.

Inoltre riteniamo che il prestito del giocattolo sia indispensabile soprattutto perché si tratta di un’attività

che ne permette la de-contestualizzazione e dà continuità dell'esperienza ludica che può essere condivisa

anche con i propri familiari e i propri amici.

Comunque, fra i detrattori della ludoteca continua ad aver spazio una polemica che con la ludoteca è nata:

confinare il gioco in spazi ristretti. C’è chi si chiede se enfatizzare troppo le ludoteche non vada a discapito

dell'importanza che i luoghi pubblici, i parchi, le strade, le piazze, ricoprono come aree per l’attività ludica

spontanea e auto-organizzata.

A questo proposito, dobbiamo chiarire come la ludoteca non vuol essere sostitutiva di tali luoghi e di tali

pratiche, ma, piuttosto, integrativa e “partecipativa” relativamente a queste attività. La ludoteca non è

semplicemente un luogo fisico, uno spazio in cui si erogano alcuni servizi per il gioco, ma è anche uno

“spazio mentale” che, comunque, stimola la cultura del gioco, la partecipazione e la condivisione

dell'attività ludica senza limiti fisici, di tempo, di età, culturali, ecc.

Su questo punto vi sono stati interventi di eminenti pedagogisti e psicologi.

Al primo incontro sulle ludoteche in Italia, che fu organizzato dal CIL con il Seminario di studio che si tenne

nell’ottobre del 1985 presso la cooperativa “La Malerba” di Casamicciola sull’isola di Ischia, era presente

anche Walter Ferrarotti che ci indicò la necessità di “educare” il bambino ad avventurarsi nel mondo,

utilizzandolo come un giocattolo anche nella direzione dell’uso di materiali naturali per la costruzione di

oggetti ludici. Questa sua convinzione, oltre ad indicare l’importanza del gioco nella natura, credo possa

dirimere l’eterna diatriba fra gioco della tradizione popolare e gioco tecnologico. Ci dice Walter:

“Il sistema educativo istituzionalizzato ha purtroppo spesso ignorato il grande numero di conoscenze, di

competenze e di abilità psicomotorie che comportavano la costruzione degli innumerevoli giocattoli e

l’esecuzione dei molti giochi della tradizione popolare, come ne può dare testimonianza il numero

decrescente di anziani che l’hanno vissuta e i padiglioni di musei, come il Centro della cultura Ludica di

Torino, dove appaiono ormai come degli alieni. L’imitazione spontanea degli adulti non favoriva soltanto

l’apprendimento del linguaggio e delle regole di comportamento ma anche capacità operative e l’uso degli

strumenti, spesso chiamati in causa da un’attività lavorativa avviata molto precocemente. Sta di fatto che il

gioco era una scuola molto efficace anche perché più fortemente motivata di quanto non lo sia la scuola

vera e propria. La trasformazione più significativa del gioco è avvenuta negli ultimi cinquant’anni per

l’effetto combinato di condizioni di vita alienanti dal mondo fisico e sociale e dello sviluppo impressionante

dei sistemi e dei mezzi di comunicazione, per cui i bambini dei paesi industrializzati trascorrono la maggior

parte del loro tempo a ricevere messaggi, avendone pochissimo per fare esperienze dirette della realtà, che

permettono di interpretare correttamente i messaggi ricevuti. Infatti, in mancanza di informazioni derivanti

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da un rapporto diretto con ciò che viene comunicato con parole e immagini, si ricorre per lo più ad altre

parole e immagini che richiamino il vissuto. In questo modo, tuttavia, l’informazione viene snaturata e

privata di tutti i suoi elementi di novità. Una conseguenza grave riguarda la crescente incapacità di

comprendere testi letterari e poetici oltre a quelli scientifici non sostenuti dall’osservazione e dalla

sperimentazione. La maggior parte degli studenti studia memorizzando formule verbali più o meno lunghe e

complesse da produrre a fronte di precise domande.

Stiamo assistendo ad una progressiva computerizzazione della mente che porta alla robotizzazione

dell’individuo.

Questo inquietante fenomeno ha le radici nel modo di vivere della maggior parte dei bambini che navigano

in un mondo di fantasia le cui immagini sono inventate dagli adulti e rappresentate minutamente con film e

cartoni animati, che sostituiscono sempre più la narrazione verbale che richiede al bambino ascoltatore di

immaginarsi un mondo inesistente o comunque una realtà che non ha mai incontrato e di cui quindi non

può servirsi per collocarvi le storie raccontate.

La realtà immaginata dal bambino non è un luogo indefinitamente esplorabile nella vita quotidiana e fonte

di inesauribili scoperte nel bene e nel male, ma una realtà virtuale in cui egli vive non stabilendo confini certi

con il mondo reale. Questo, per molti, si riduce ad una povera rete di luoghi (casa, scuola, campi sportivi,

discoteche, club e poco altro) dove si svolgono attività, anche trasgressive, prestabilite o previste. Molti

ignorano letteralmente l’esistenza di un mondo fisico in cui ci si può avventurare acquisendo nuove

conoscenze, esercitando le funzioni psicofisiche e mettendole continuamente alla prova.

L’unica fonte di informazioni e di conoscenza è il mondo dei media (e, un gradino sotto, la scuola). Così il

bambino non prende più spunto dal mondo per i suoi giochi; non gioca più con il mondo fisico e sociale, ma

con oggetti e con apparecchiature concepite apposta per il gioco. I videogiochi, sempre più diffusi, sono

evasione totale dalla realtà, promossa dalla società del libero mercato che sollecita anche gli adolescenti e

gli adulti a rifugiarsi nei giochi passatempo, seducendoli con la fantasia, l’impiego di un pensiero logico o

anche creativo, mobilitando le risorse dell’informatica.

Si potrà obiettare, a questo punto, che siamo di fronte a cambiamenti necessariamente indotti

dall’evoluzione tecnologica dell’umanità e che quindi anche il gioco non può fare a meno di risentirne, e che,

anzi, l’enfasi data alla dimensione della realtà dell’informatica consente al bambino di familiarizzare

precocemente con strumenti di lavoro ormai necessari alla vita quotidiana, come lo erano la falce e il

martello nella società agricola e industriale.

L’osservazione è almeno in parte discutibile, perché il bambino giocatore che riceveva, rielaborava e

trasmetteva la cultura popolare era libero, non riceveva suggerimenti diretti dall’adulto, che entrava nei

giochi solo in quanto modello di vita che il bambino assumeva spontaneamente. Il mondo fisico, che pure

veniva messo in gioco, segnava dei confini netti tra realtà e fantasia, ponendo problemi di responsabilità

nell’uso degli strumenti e negli effetti sulle cose dell’ambiente.

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Ciò che più preoccupa oggi è la separazione netta fra mondo reale e mondo virtuale e la possibilità di

muoversi solo in quest’ultimo senza mai dover cercare un rapporto con il primo. Viene meno così un

interscambio fra i due mondi che può favorire negli spiriti creativi una grande libertà anche in situazioni

oppressive e difficili.

Il discorso fatto fin qui non deve essere interpretato come una polemica contro lo sviluppo tecnologico e

quanto ha portato anche in campo ludico, con il rimpianto dei tempi passati, ma una riflessione sugli aspetti

critici di tale sviluppo e la necessità di individuare le condizioni per trarne i maggiori benefici, perché se il

gioco dovesse esaurirsi nella dimensione virtuale si trasformerebbe in un formidabile rinforzo di un processo

di alienazione dal mondo fisico verso il quale invece ha sempre svolto una funzione di mediazione per il

bambino ancora insicuro e inesperto.

In tutti questi percorsi si può realizzare una fase intermedia (pur sempre ludica) in cui le operazioni si

compiono e si definiscono con l'ausilio di materiale cartaceo, che in molti casi resterà come giocattolo.

Nelle prospettive su accennate mondo (reale e virtuale) e gioco sono due realtà distinte, ciascuna con le

proprie leggi, che possono vivere momenti di totale separazione e isolamento, ma che sono comunque

fortemente attratte l'una dall'altra, perché lo spirito che da loro viene animato e nutrito ne avverte

l'originalità dei contributi e il bisogno di averli tutti per quell’equilibrio e quella pienezza di vita necessari

all'avventura umana.”

Troviamo un’eminente conferma di queste teorie anche in un’intervista che abbiamo fatto ad André

Michelet, proprio all’inaugurazione del Centro per la Cultura Ludica. Anche a lui, a Walter e a Dino Perego,

si deve la costituzione del ICCP (International Counsil for Children Play):

“D. André, qual è l’importanza di un Centro come questo?

R. Credo che sia molto, molto importante… Certe persone hanno preso l’abitudine di rinnegare i giocattoli

moderni e, al contrario, di vedere solo nei giocattoli antichi quelli veri. Credo che vi siano due aspetti ma che

sia impossibile scinderli. Viviamo in una società che ha una struttura tecnica, scientifica, logica ed è molto

utile, a parer mio, che il bambino ritrovi questa struttura attraverso i giocattoli moderni, tecnici, scientifici,

ma vi è una gerarchia da seguire e non li capirà se non farà anche delle esperienze più vicine alla natura, ai

materiali naturali. Per comprendere, direi per “sentire” i giocattoli tecnici della nostra epoca, bisogna che il

bambino abbia compreso e sentito i giocattoli creati dal suo ambiente, costruiti con le sue mani, giocattoli

che riflettano la vita quotidiana, la vita semplice che non conosciamo più nemmeno noi, ma che esiste

ancora dentro di noi ed è necessaria.

I nostri bambini, anche se non lo vogliamo, sono spesso frustrati. Un luogo come questo, che resta vivo, che

permette ai bambini non solo di vedere ma di toccare, di costruire personalmente, è un salvataggio, una di

quelle istituzioni che rendono viva, attuale, tutta una parte di giocattoli che abbiamo troppo presto

dimenticati.”

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È comunque fondamentale che l’idea dell’importanza del gioco, e di conseguenza dei servizi correlati, abbia

la possibilità di espandersi. Può favorire lo sviluppo dei servizi ludici solo se viene accettata universalmente,

se diviene parte integrante della cultura di un popolo.

Di questo era profondamente convinto anche il prof. Andrea Canevaro. Al Seminario di Ischia, avevamo

suddiviso i lavori in tre gruppi di lavoro e proprio Canevaro, ribadendo l’importanza della ludoteca, aveva

proposto il primo sulla “Cultura del Gioco” e ne aveva indicate le motivazioni e le azioni.

“La società sta vivendo una crisi di valori e di rapporti, la violenza sta diventando stile di vita, l'impossibilità

a raggiungere degli obbiettivi che spesso non sono reali ma indotti, porta l'individuo ad operare talvolta

scelte personali distruttive. Tutto questo rende sempre più necessario ed urgente un cambiamento che

incida profondamente sui rapporti sia a livello interpersonale che nei confronti dell'ambiente.

Gli operatori delle ludoteche sono consapevoli dei valori insostituibili del gioco per lo sviluppo della

personalità umana e lo ritengono anche strumento di primaria importanza per avviare questo processo di

cambiamento, anche se riconoscono le difficoltà oggettive a far accettare una rivalutazione del gioco in una

società che ha volutamente creato una dicotomia fra gioco e lavoro, fra finzione e realtà, fra gratuità e

possesso, poggiando su quest'ultimo molti dei suoi valori e portando ad una segmentazione della società

stessa, ad una sterilità culturale, ad una distorta concezione dei rapporti con l'ambiente.

Si ritiene innanzitutto indispensabile un’attenta analisi per individuare le cause che hanno portato a questa

situazione, con l'obbiettivo di concordare le strategie e le azioni per un ribaltamento della tendenza.

È necessario anche un costante impegno di tutti gli operatori del settore per riportare il gioco a contenuto

culturale, a strumento di lavoro, a stile di vita. In questo contesto va posta particolare attenzione anche alle

tradizioni culturali disperse dall'emigrazione o soffocate da una internazionalizzazione del materiale ludico.

È infine necessaria una mobilitazione di tutte le forze coinvolgendo uomini di cultura e di scienza, genitori,

insegnanti, operatori di base, per una seria ed approfondita analisi tendente a dimostrare scientificamente:

come il gioco influisca sullo sviluppo armonico dell'individuo sotto tutti gli aspetti, dal fisico allo

psicologico, e sui rapporti interpersonali;

come la società si sia sviluppata ed evoluta anche attraverso tutta una serie di manifestazioni ludiche.

È necessario inoltre:

cercare tutti i possibili canali per una diffusione di massa di quanto emerso da studi e ricerche;

sensibilizzare gli amministratori pubblici;

dotare gli operatori di strumenti idonei per essere portatori e punti di riferimento di questa cultura

ludica.”

A questo proposito è noto che “GioNa - Associazione delle Città in Gioco” ha fatto proprio della città come

spazio ludico il suo cavallo di battaglia, esprimendone ispirazione e modalità nel suo “Manifesto”. Nelle

città le aree destinate al gioco sono sempre più ridotte e spesso inagibili. La creazione di spazi rivolti ai

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bambini e alle loro famiglie avrà effetti benefici anche sulla sicurezza e sulla qualità della vita in generale

nelle nostre città.

Canevaro, sempre nei suoi suggerimenti presentati al Seminario di Ischia, poneva l’accento sull’importanza

di un tessuto urbano fruibile che vedeva come un altro aspetto importantissimo nella vita del bambino:

“Poiché l'ambiente condiziona pesantemente le situazioni e le possibilità di gioco, si dovrà tendere ad una

valorizzazione del territorio con un’attenta ed illuminata progettazione e realizzazione dell'arredo urbano,

con particolare attenzione agli spazi valorizzandone tutti gli aspetti, anche antropologici e culturali, in modo

da creare possibilità ed occasioni di incontro soprattutto per l'infanzia e l'adolescenza.”

Il diritto al gioco è sancito dall’art. 31 della “Convenzione Internazionale dei Diritti del Fanciullo”, approvata

dall’Assemblea Generale dell’ONU il 20 novembre 1989; è stata sottoscritta da 193 Stati ed è entrata in

vigore il 2 settembre 1990. In Italia è stata tramutata nel d.l. 27 maggio 1991 n. 176 che sancisce il gioco

come un diritto del fanciullo. Per sostenerne l’importanza, l’ITLA, a partire dal 1999, ha lanciato la proposta

di una “Giornata mondiale del Gioco”, che attualmente si svolge in una cinquantina di Paesi, da tenersi alla

fine di maggio (data prevista il 28).

Per vigilare affinché questo diritto sia garantito, il nostro Centro ha invitato i genitori e tutte le persone

seriamente intenzionate a promuovere lo sviluppo sano ed equilibrato dei nostri piccoli, ad organizzare le

Ronde del Gioco.

Gruppi di cittadini pattuglieranno parchi, giardini e ogni altro spazio destinato ad attività ludiche, a vigilare

affinché niente e nessuno possa mettere in pericolo od ostacolare lo svolgimento di questa attività

fondamentale.

Provvederanno ad avvertire le autorità ogni qualvolta la possibilità di giocare, sempre nel rispetto delle

libertà altrui, venga gravemente lesa.

I cittadini che svolgeranno questo servizio in accordo con le autorità, potranno anche attivarsi affinché gli

Enti locali creino spazi opportunamente attrezzati ed idonei a svolgere un’ampia gamma di attività ludiche,

eventualmente illuminati per una fruizione nelle ore serali estive.

Potranno inoltre individuare e segnalare locali di proprietà pubblica, ma anche privata, dove sia possibile

allestire servizi dotati di giochi, giocattoli e personale opportunamente formato, creando ludoteche e centri

gioco.

La formazione

È noto che la chiave di volta della qualità di una ludoteca è costituita dalle competenze del personale che ci

lavora. Può essere la più bella, la più organizzata, la meglio dotata, tutte caratteristiche importanti, ma non

potrà svolgere al meglio la sua missione se i ludotecari non hanno le qualità per svolgere il loro compito. E

su questo, svolge un ruolo fondamentale la formazione. Si nota invece che molto spesso, gli investimenti in

questo settore sono quasi inesistenti.

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Come detto la crescita di un essere umano è molto complessa e delicata e innumerevoli le prove che deve

superare in questo difficile cammino. Una buona ludoteca deve essere in grado di dare risposte concrete ai

bisogni di ogni bambino. Oltre la qualità dei materiali sono indispensabili le capacità dei ludotecari.

Un’indicazione importante ci viene data dalle “competenze di base” dell’ITLA e dalla “Charte de Qualité”

degli amici francesi. Si tratta di “qualità” che, pur senza le precise indicazioni dell’ALF, corrispondono a

quelle indicate dal CIL e promosse nei seminari e nei corsi di formazione che teniamo da venticinque anni.

Vi sono indicate le azioni che una ludoteca può svolgere e gli interventi formativi necessari per mettere i

ludotecari in condizione di svolgerli.

Ma quale formazione? John Dewey, del quale è noto il pensiero filosofico di un’educazione basata

sull'esperienza, ha detto, oltre un secolo fa: “Occorre sostituire l'antica “educazione aristocratica” che

insegnava a “parlare delle cose”, con una “educazione democratica” che insegni a farle”.

Il compito non è facile.

Abbiamo visto che in ludoteca non esistono, genericamente, i “bisogni dei bambini”, ma i bisogni di ciascun

bambino e per dare risposte concrete dobbiamo basarci sull'attitudine dell'operatore a svolgere il suo

compito. Egli deve avere competenze come l'osservazione e forti doti comunicative, ma soprattutto la

capacità di saper instaurare un rapporto empatico.

Il prof. Luigi De Marchi sostiene che l'empatia è una qualità fondamentale per chi lavora in questo settore;

il rapporto deve passare attraverso una mediazione empatica, attraverso la capacità dell'educatore di

entrare in consonanza con le emozioni del bambino, di evocarle.

Quello del ludotecario è un compito troppo importante e delicato per essere affidato a persone che non ne

hanno la capacità e in qualche misura anche la vocazione.

Dobbiamo anche sfatare un mito. Molti animatori ritengono più importante il gioco strutturato,

considerato come altamente educativo, su quello libero. A questo proposito abbiamo visto quanto è

emerso dalla ricerca sarda. Gli operatori ritengono il “gioco libero” come “sintomo di improvvisazione, di

mancanza di programmazione pedagogica…” mentre dovrebbero seguire la lungimiranza dei bambini che

vedono la ludoteca come “un luogo per giocare”.

In un articolo apparso all’inizio del 2009 sullo “Scientific American MIND, Febbraio/Marzo”98, una

giornalista di New York, Melinda Wenner Moyer, presentò numerose ricerche che confermano senza

ombra di dubbio come il gioco sia fondamentale per lo sviluppo dell’individuo ma, affinché abbia il massimo

dell’efficacia, deve essere scelto liberamente dal bambino, deve essere quello che gli scienziati definiscono

“gioco libero”.

98

http://www.sciam.com/article.cfm?id=the-serious-need-for-play.

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In cinque lustri di esperienza formativa, abbiamo constatato che le persone che frequentano i corsi arrivano

già con le loro idee in merito, anche se non hanno mai visto una ludoteca e nei formatori cercano la

conferma delle loro idee, sono scarsamente aperti ad accettare altri punti di vista.

È necessario cambiare le convinzioni radicate per rendere le persone accessibili agli insegnamenti. Maria

Montessori ha detto: “Il primo passo per risolvere in totalità il problema dell'educazione non deve essere

fatto verso il bambino ma verso l'adulto educatore: chiarire la sua coscienza, spogliarlo di molti preconcetti,

cambiare i suoi atteggiamenti.”

Sempre il prof. Canevaro, nei punti da lui indicati per lo sviluppo della Cultura del Gioco, vedeva nei

ludotecari delle pedine fondamentali:

I ludotecari dovranno anche impegnarsi in un’attenta riflessione sull'importanza del proprio ruolo e sulla

serietà della propria professione.”

È necessario portarli a riflettere sulle competenze fondamentali di un educatore quali psicologia e

psicologia relazionale e sociale, pedagogia, pedagogia sociale e cultura ludica, sociologia e metodologia

della ricerca, le varie tipologie di ludoteca e la loro gestione, i materiali, i laboratori, la qualità, la sicurezza e

l’igiene dell’ambiente, l’informatica.

L’idea geniale di una madre inglese, ci ha fornito uno strumento eccezionale. Non sprechiamo questa

occasione.

Considerazioni per non concludere

Livia Papi

Parecchie sono tuttavia le esperienze raccolte che dimostrano come talvolta gli ostacoli possono essere

aggirati e possono emergere opportunità da cogliere e situazioni da sfruttare.

Al proposito si suggerisce di sfogliare la tabella di informazioni raccolte dai presenti, con i loro contributi e

riferimenti: si avrà così la possibilità di raccordarsi per approfondire le situazioni di interesse e coglierne

spunto.

In generale possiamo riassumere i seguenti stimoli:

continuare a promuovere la cultura del gioco attraverso ricerche, pubblicazioni ed eventi

raccogliere e riutilizzare le buone prassi attraverso reti di contatti, anche informatiche, e con strumenti

diversi farle conoscere e circolare

richiedere leggi specifiche e pretendere la coerenza e l’applicazione delle normative (es. Carta dei diritti

del Bambino, rispetto della sicurezza secondo logiche utili ma non limitanti, progettazioni e realizzazioni

edili aderenti alle esigenze degli utenti, ecc.)

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sostenere il ‘diritto al gioco’ anche attraverso l’eliminazione dei divieti di gioco nei cortili condominiali, la

pulizia delle aree pubbliche, la disponibilità al pubblico di giardini presso plessi scolastici o sportivi, ecc.

(vedere esperienza San Giorgio Cremano)

creare sinergie (co-progettazione, co-produzione, controllo) sollecitando anche collaborazioni

eterogenee (pubblico, privato, volontariato, utenti e genitori) e contaminazioni (gioco, sport, cultura,

turismo, arte) (es. Palermo)

la collaborazione pubblico e privato è una ‘conditio sine qua non’ in molte realtà: il pubblico ha la

capacità politica e di investimento, il privato ha sovente maggiore versatilità, agilità e motivazione. È

necessario però che queste partnership abbiano il tempo di svilupparsi e consolidarsi nel tempo per dare

risultati adeguati e stabili, anche attraverso collaborazioni più durature e garantite di quanto non

avvenga in media

è utile ridimensionare le aspettative, ma senza adagiarsi: ingegnarsi per trovare soluzioni, meglio se di

gruppo e non in autonomia (coinvolgendo anche gli utenti in progettazioni partecipate, es. Reggio

Calabria) e continuare a pretendere una giusta dimensione dell’attenzione e degli investimenti su questi

temi

tra divertimento come ‘oggetto di mercato’ e quello con ‘funzione sociale e culturale’ è forse possibile

trovare convergenze, studiando meglio i principi che li governano e confrontando i punti di vista di

ambiti di gioco diversi.

Per proseguire lanciamo alcune proposte che ci auspichiamo possano essere utili:

obiettivo strumenti per aumentare la consapevolezza sociale, culturale, psicologica sul valore del gioco per l’essere umano, e quindi dei servizi/luoghi per il gioco

- dare maggiore visibilità ai luoghi e servizi di gioco con giornate aperte, disponibilità degli spazi per riunioni e convegni, ‘vetrina’ con testi, foto, filmati su siti internet e blog, evidenza nelle mappe della città (come per impianti sportivi, di culto ecc)

- assicurare che i risultati di ricerche e studi siano facilmente fruibili e fatti circolare tra tutti i soggetti che possono avere necessità di affinare le proprie conoscenze e coscienza del valore del gioco

- lavorare ad un bilancio sociale sul gioco, che evidenzi in termini di costi e benefici i valori economici investiti in luoghi e servizi ludici v. quelli spesi in assistenza, gestione del disagio sociale, ecc.

- operare per ridurre le barriere nelle normative degli enti locali che impediscono di dare valore al gioco come strumento di crescita per l’essere umano, nei normali spazi di vita dei bambini,

per interpretare il gioco come fattore di coesione sociale e di appartenenza

- sviluppare ulteriormente i contatti tra i luoghi di gioco producendo mappe ipertestuali su siti, sviluppando e collegando le reti e i network esistenti, condividendo le informazioni raccolte a diverso titolo dai vari enti che hanno avuto occasione di censire realtà sul territorio nazionale

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- promuovere lo sviluppo di progetti integrati, usando metodologie ludiche nella scuola, nei servizi sociali, per promuovere il turismo, la partecipazione civile, ecc.

per concepire l’attenzione e la cura nei servizi per il gioco come fattore di crescita per tutta la comunità

- far leva sulle esperienze di giochi proposti in corsi aziendali (management, negoziazione dei conflitti, ecc), tipicamente a pagamento, per sottolineare l’importanza dell’investimento sul gioco infantile

- operare per ridurre le disuguaglianze nell’accesso alla possibilità di gioco

- aumentare la coscienza del diritto al gioco in tutte le età della vita dell’uomo, onde evitare dannose riduzioni al gioco come diritto/bene esclusivo dell’infanzia

- analogamente, diffondere con maggiore enfasi ricerche sulle pericolose conseguenze del gioco d’azzardo e compulsivo, creando pressione sociale per contrastarne la diffusione e l’approvazione dello Stato

per promuovere il gioco come fattore di costruzione del futuro della società

- ampliare le collaborazioni tra soggetti diversi, non finalizzate a terziarizzare i servizi ma a garantire maggiore diversificazione dell’offerta uscendo dalla logica puramente assistenzialistica per abbracciare una logica di tipo promozionale, come la stessa Convenzione per i diritti dell’infanzia propone

- individuare criteri di valutazione e modalità di controllo dell’uso dei luoghi e della gestione dei servizi ludici che mettano in evidenza il valore aggiunto generato per la società, da includere nei bandi di finanziamento

- evidenziare con studi, ricerche, pubblicazioni, il valore del gioco come strumento educativo sociale su temi caldi quali l’integrazione sociale, la partecipazione attiva, l’apprendimento delle regole, l’impegno per il raggiungimento di obiettivi, la lotta allo stress.

Una comunità dove si gioca poco ha un futuro più grigio di quello di una comunità in cui le persone giocano,

e prevenire è meglio che curare: dunque investire in luoghi e servizi di gioco è un “dovere” e non un

“optional”.

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Capitolo 8

Gioco, scuola ed extrascuola

Il tema: Nella complessa dimensione educativa e didattica, come può il gioco entrare nei programmi

curriculari della scuola, se nei fatti non può occupare tempi e spazi neppure per l’intervallo? La dimensione

ludica esiste, o può ancora esistere, nella scuola delle multi-competenze?

Coordinamento a cura di: Beniamino Sidoti, Rosanna Clinco

Contributi di: Olivia Modica (Servizi educativi della città di Santa Margherita Ligure), Bracci Martina

(Cooperativa Gioco le nuvole - Siena), Patrizia Di Lorenzo (scuola primaria don Murialdo - Torino), Caterina

Di Chio (scuola primaria dell’istituto comprensivo King - Grugliasco TO)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Beniamino Sidoti, Rosanna Clinco

Nella complessa dimensione educativo-didattica, come può il gioco entrare nei programmi curricolari della

scuola, se nei fatti non può occupare tempi e spazi neppure per l’intervallo? La dimensione ludica esiste o

può ancora esistere nella scuola delle multi-competenze?

I rapporti tra gioco e didattica sono antichi, ben più antichi della stessa invenzione della scuola. Avremmo

così potuto parlare di giochi educativi o di gioco didattico: ma sarebbe stato un po’ troppo oggettivante. Il

convegno, in fin dei conti, chiede “chi” ha rubato la marmellata, cioè mette al centro un soggetto. E allora

abbiamo voluto cercare modalità di condivisione e di porre le domande che tenessero i soggetti, cioè noi

stessi, tutti noi, al centro.

Partiamo da noi, allora: cioè dai due conduttori, Rosanna e Beniamino.

Chi ha rubato la marmellata?

Rosanna: mi sono chiesta: ma la marmellata, a scuola, è stata mai davvero assaporata, gustata? Se

provo ad accantonare la metafora e ritorno indietro con i ricordi fino ai miei anni di scuola, ripenso al

mattoncino Zuegg, a quella deliziosa cotognatina che non si spalmava sul pane ma si addentava, a

merenda, in refettorio. Lì, come del resto in classe, il gioco era proibito, ma con le dita appiccicaticce e

qualche pezzettino di carta veniva benissimo giocare di nascosto a Gigino e Gigetto. Per la mia generazione,

così come per quelle precedenti, il gioco a scuola è sempre stato furtivo, nascosto, rubato. Penso ai tanti

giochi da banco: conficcato il pennino nel legno lo usavamo come catapulta per lanciarci palline di carta

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(quando la maestra ci voltava le spalle per scrivere alla lavagna), ma a volte era un elastico sottratto alla

biancheria della mamma che suppliva alla bisogna. Come dimenticare i classici giochi di carta e matita fatti

con il compagno di banco, nascosti dietro al sussidiario che fingevamo di leggere con attenzione... Gli

esempi potrebbero continuare e certamente ognuno ne avrebbe altri da raccontare! I giochi di movimento,

normalmente banditi (non si corre in corridoio!), venivano nobilitati dall’ora di ginnastica, nel nome di una

sana attività fisica, e quando si andava in cortile voleva dire che l’anno scolastico era ormai al termine,

prima non c’era tempo da perdere, bisognava stare in classe a studiare.

Fuori dalla scuola eravamo più fortunati, a differenza di oggi le occasioni di gioco, anche nelle città, erano

numerose: strade, piazze, cortili, giardinetti pubblici potevano essere “occupati” dai nostri giochi, senza

troppi pericoli.

Beniamino: dal punto di vista scolastico io ho avuto due vite, la doppia vita di chi ha traslocato da

una scuola a un’altra, capendo nel giro di pochi mesi che cosa significava la rivoluzione pedagogica in atto in

molte parti d’Italia. La scuola in cui sono arrivato prevedeva la marmellata: che erano giochi da fare anche

in classe, modi centrati sulla persona per arrivare alla conoscenza, pratiche condivise, ricerca-azione,

scritture libere… a ripensarci, venivo da una scuola centrata sulla “martellata”, in cui il modello pedagogico

era quello dello scultore che formava il bambino con agili tocchi del proprio strumento. Qualcuno, dunque,

a un certo punto, mi ha rubato la martellata, e mi ha tolto il pregio del maestro unico, dandomi non solo

due ottimi insegnanti ma anche una classe che agiva insieme.

E contemporaneamente, esisteva anche il fuori della scuola, dove la dimensione collettiva ancora resisteva,

in piccoli gruppi, per così dire.

Il gioco c’era anche nelle ludoteche, che esistevano ed erano viste come un’invenzione importante,

riconosciuta, e c’era nella diffusione di giochi da tavolo, di ruolo, che crescevano con me. Esisteva una

pluralità: davvero unica.

Rosanna: da allora molte cose sono cambiate, la scuola è cambiata, l’attenzione ai bisogni reali dei

bambini è cambiata, il gioco non è più un fuorilegge ma, occorre dirlo, è ancora molto “regolamentato”.

È certamente realistico sostenere che nella scuola di oggi si giochi poco, troppo poco in rapporto ai desideri

dei bambini e delle bambine. Nonostante secoli di ricerche e fiumi di inchiostro spesi a favore

dell’importanza fondamentale del gioco nello sviluppo infantile, nei luoghi dell’educazione spesso ancora

viene negato nella pratica. Il mondo degli adulti (famiglia, scuola, media, città) sempre di più tende ad

invadere, controllare, gestire o negare gli spazi e le occasioni ludiche dei bambini e delle bambine.

Oggi il tempo di gioco viene ritagliato, conquistato, quasi sottratto alle molte altre occupazioni che sempre

di più assorbono i bambini e i ragazzi: l’uso incontrollato e spesso eccessivo della TV e dei personal-media,

le dosi massicce di compiti a casa e tutta quella serie di attività extrascolastiche (lingue, sport, musica,

informatica ecc.) che si pensa possano “attrezzare” in modo adeguato le future generazioni ad affrontare

un domani che si prospetta sempre più incerto e difficile. È facile così osservarli cercare di riprendersi il

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proprio tempo per il gioco, approfittando di qualsiasi occasione possibile: al mattino prima di andare a

scuola, in auto, al supermercato, al momento di lavarsi, a tavola, e, naturalmente, a scuola... e molto spesso

accanto a loro c’è un adulto che li incita a non perdere tempo giocando, a testimoniare un diverso modo di

vivere il rapporto tra tempo di vita e gioco. Possiamo quindi affermare, senza timore di esagerare, che è in

atto una progressiva deprivazione ludica del mondo dell’infanzia che non si consuma esclusivamente in

ambito scolastico.

Beniamino: quello che manca è anche il gruppo, la possibilità di crescere insieme ad altri. Mancano

gli spazi per il gruppo, manca a volte anche a scuola la possibilità di fare “lavoro di gruppo”. Mancano le

premesse culturali.

E, certo, a scuola il gioco è a volte una sopravvivenza tutelata, altre un qualcosa di contrattato e

regolamentato. Soprattutto, non è fatto condiviso pensare al gioco come a qualcosa dentro cui si cresce, si

impara, si scopre.

Rosanna: nella scuola il gioco, quando c’è, continua ad avere una connotazione ambigua: non ha la

stessa dignità di altre attività nobilitate dall’apprendimento, molto spesso gli adulti si limitano a tollerarlo

come qualcosa di inevitabile, disinteressandosene ed attendendo che termini per riportare i piccoli verso

attività più intellettuali. A scuola, ma anche in famiglia, si avverte il bisogno di sistematizzare il gioco

infantile, di organizzarlo e di dirigerlo in modo da dargli ciò che noi adulti consideriamo uno scopo, una

finalità facilmente riconoscibile ed un riscontro immediato. Ma “Il gioco pensato come mezzo attraverso il

quale l’ambiente viene sperimentato e conosciuto, come strumento di apprendimento attraverso il ‘fare’

con le cose e l’interagire con le persone, è il luogo di esercizio di una pedagogia invisibile in quanto i suoi

risultati in termini di abilità e competenze acquisite, le sue strategie come i suoi contenuti non sono

controllabili immediatamente”99.

Beniamino: rivendichiamo, almeno tra di noi, il gioco come metodo! Contrapponiamolo al gioco

come “attività”! C’è un’idea strana, perdente, per cui le cose da insegnare vanno trasmesse, e il bambino

avrebbe paura di questa trasmissione. Il gioco è uno dei tanti modi per nascondere quella siringa

pedagogica con cui qualcuno inocula il sapere.

Rosanna: detto più seriamente, nella quotidianità il gioco entra a scuola principalmente con lo scopo di

trasmettere dei contenuti. E gli si chiede solo di essere “leggero”, giocoso appunto, strategia antica, del

resto. Piegando il gioco in maniera funzionale ai fini dell’apprendimento occorrerebbe però aver chiaro che

si sta dando vita ad attività ludiformi che, pur avendo finalità didattiche, vengono proposte e accolte dai

bambini come se fossero un gioco, e pur conservando gli stessi tratti di lievità, interesse, stimolo, perdono

alcuni dei caratteri principali del gioco, che si connota come attività libera, gratuita e fine a se stessa.

Questo nella migliore delle ipotesi; quando poi la scuola primaria persegue ancora il modello nozionistico,

99

Bondioli A. (a cura di), Il buffone e il re. Il gioco del bambino e il sapere dell’adulto, La Nuova Italia, Scandicci, 1989

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enciclopedico, trasmissivo della cultura, il ruolo del gioco è spesso limitato al compito di disintossicare lo

stress mentale prodotto dall’istruzione ufficiale, divenendo quasi un “premio” elargito in cambio del

massimo impegno dimostrato dagli allievi, se non semplice “valvola di sfogo”, per compensare le tensioni e

l’immobilità delle lunghe ore trascorse in classe.

La difficoltà di attribuire al gioco il primato che meriterebbe si riscontra perfino a partire dall’asilo nido

dove si registra la tendenza ad offrire attività guidate e strutturate piuttosto che “costruire” ambienti che

favoriscano il gioco libero. Dati altrettanto allarmanti parlano di gioco in via di estinzione nella scuola per

l’infanzia e di intervallo negato o asfittico nella scuola primaria.

Questo scenario che ci parla di bambini sempre più deludicizzati è, per fortuna, rischiarato dalle molte

buone pratiche che vengono condotte anche grazie all’interazione di soggetti e di servizi diversi, e che

consentono al gioco di permanere o entrare a viva forza nei luoghi deputati all’educazione (e c’è perfino chi

comincia a parlare di “resistenza ludica”!).

Un’indicazione utile ci arriva da Franco Frabboni che nel suo Giocare a scuola. Illusione o progetto

educativo? così argomenta: “Le sette motivazioni/bisogni autentici dell’infanzia (la comunicazione, la

socializzazione, il movimento, l’autonomia, la costruzione, l’esplorazione, la fantasia: che possiamo

sintetizzare nel dire, fare, pensare, sognare) ritrovano - a contatto con i linguaggi del gioco - l’occasione

irripetibile per espandere ed esaltare le loro virtuali potenzialità educative”100.

Quindi il gioco, nelle sue svariate forme, è in grado di soddisfare tutti e sette i bisogni autentici dell’infanzia.

Se dunque la scuola, la città, i media, la famiglia riuscissero ad ancorarsi a queste sette motivazioni/bisogni,

colorandole di gioco, si potrebbe produrre un’inversione di tendenza significativa?

Ma è sempre lo stesso autore ad offrire un ulteriore spunto di riflessione chiedendosi e chiedendoci: “...ma

la scuola è pronta a far entrare l’alfabeto ludico con i suoi canoni semiologici e semantici, le sue

grammatiche e le sue sintassi, il suo gusto per l’imprevisto e per l’avventura, la sua voglia di emozioni, di

imprevedibile, di comico, di “non-sense”?101

La scuola è in grado di appropriarsi del gioco, riconoscendone il primato ed utilizzandolo come strumento

essenziale?

Lavoro di gruppo

Il gruppo era numeroso e piuttosto eterogeneo (dieci insegnanti di ordini di scuole diverse, quattordici tra

educatrici ed educatori, molti di loro in servizio presso Ludoteche, tre ludotecarie, tre insegnanti di Gruppo

Gioco in Ospedale, un sociologo, una pedagogista responsabile dei Servizi educativi, un disegnatore di

giochi, un genitore, un burattinaio, uno studente, una pensionata, un operatore sociale, una animatrice,

una referente settore ludico/ludobus, due referenti UISP, un amministratore di cooperativa sociale).

100

Frabboni F., (a cura di), Giocare a scuola. Illusione o progetto educativo?, Mario Adda Editore, Bari, 1995. 101

Ibid.

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Nella conduzione del gruppo, considerato il poco tempo a disposizione, si è scelto di non lasciare spazio ad

un giro completo di presentazioni individuali, chiedendo ai partecipanti di dire il proprio nome durante

l’eventuale intervento.

Con tutto il portato di ansie, bisogni, domande. E nel nostro gruppo di lavoro i soggetti erano anzitutto

quelli presenti: prima ancora che di modelli e sistemi abbiamo chiesto di formulare per iscritto una

domanda intorno al tema gioco, scuola ed extrascuola, la più urgente o importante, riferita all’esperienza

personale.

Le domande sono state davvero numerose e tutte interessanti; le abbiamo raggruppate, suddivise per temi

poi discussi e sintetizzati in una serie di parole chiave, le riportiamo tutte di seguito.

La lettura delle domande si è alternata ad interventi e considerazioni dei partecipanti e ad indicazioni circa

le possibili risposte, soluzioni, strategie, modalità e proposte utili alla risoluzione delle tante problematiche

affrontate. Il dibattito è stato di conseguenza molto fluido ed articolato, e ha consentito una larga

partecipazione dei convenuti.

Un primo gruppo di domande ha riguardato una variabile fondamentale, il discorso del TEMPO:

- come conciliare le attività di gioco con le esigenze poste dal contesto scolastico, tempi, spazi, programmi?

- Come individuare spazi e tempi all’interno delle aule scolastiche per offrire ai bambini in età scolare

occasioni libere di gioco?

- Nell’ambito extrascolastico quanto è giusto cercare di strutturare ogni momento con il gioco e quanto è

necessario lasciare libero questo spazio?

- Tempo del gioco nella nuova organizzazione scolastica, come? Contrazione dell’organico e tempi ristretti.

Ciò che è emerso rispetto a questo tema è che si può parlare, nella scuola, di due tipi di tempo: un tempo

quotidiano, quindi un tempo all’interno dell’organizzazione della giornata e un tempo contato secondo il

discorso del programma. Una delle metafore con cui la nuova scuola sta andando avanti non è più quella

della scuola-azienda ma è quella della scuola-macchina che deve andare avanti, l’importante è non

fermarsi. In questo senso il gioco può essere considerato come una perdita di tempo, ma il gioco è per sua

natura stessa una perdita di tempo, ed essendo improduttivo non permette di essere quantificato e quindi

non è funzionale al discorso scolastico che è strutturato per obiettivi.

Quindi la domanda successiva è stata :

- è possibile rendere il gioco produttivo?

Una delle modalità possibili, indicata da Beniamino Sidoti, consiste nel difendere il gioco accompagnandolo

con dei momenti di accoglienza e dei momenti di dopo-gioco. Accompagnare la riflessione su ciò che si è

fatto permette di rispettare il gioco e di accompagnare l’uscita dal gioco per farlo dialogare con il resto

dell’attività scolastica, cioè renderlo produttivo. Questa non è una risposta strategica, ma una risposta

tattica, perché sostanzialmente non si risolve il problema dell’uso del gioco in maniera sistematica ma si fa

capire, attraverso una pratica ripetuta, che riflettendo su ciò che si è fatto qualcosa rimane.

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Questo però non risolve la domanda più generale:

- come si fa ad andare avanti con il programma? E quindi, come si può fare a programmare il gioco?

Diversi interventi hanno riportato l’attenzione sui tempi contratti che la scuola si trova a gestire nella nuova

organizzazione con conseguente riduzione dell’intervallo e imposizione di giocare “a comando”

dell’insegnante.

Nascono gli interrogativi:

- come fare per difendere un tempo, uno spazio di gioco libero?

- È possibile trovare all’interno della scuola uno spazio dove i ragazzi possano essere liberi di giocare? Il

gioco cosiddetto libero è sempre positivo?

- Nel momento in cui difendiamo un gioco libero, quali sono le condizioni per essere sicuri che quel gioco sia

libero, come facciamo a difendere la libertà del gioco?

Il gruppo si è interrogato a lungo sulla contrapposizione gioco libero/gioco strutturato, sono stati citati

diversi esempi di interazione con la scuola (dall’asilo nido alla scuola media) da parte di cooperative sociali,

dei referenti della UISP, da chi lavora in ludoteca. In linea di massima è stata sottolineata la difficoltà di “far

passare” progetti che si connotino principalmente come attività di gioco ma occorre che siano finalizzate ad

una qualche forma di apprendimento. Anche l’attività ludico-motoria proposta dalla UISP non è più

accettata come un tempo, oggi nelle scuole si praticano tutti gli sport, anche quelli meno adatti allo

sviluppo armonioso del bambino. Beniamino Sidoti ha rilanciato la riflessione: “noi tutti qui presenti

abbiamo in mente una scuola come qualcosa che ha a che fare con individui presenti in carne e ossa, con

delle loro esigenze e invece spesso la scuola viene trasformata, in maniera aziendalistica, in qualcosa che

deve formare qualcosa che verrà. C’è forse un problema di percezione diversa fra chi deve lavorare nel

presente e chi invece si pone un obiettivo che serve a costruire un futuro, che però non è un futuro

dell’individuo ma è, in qualche maniera, l’esecuzione di quel programma che sta andando avanti”.

L’insegnante di Torino Caterina Di Chio e la pedagogista di Santa Margherita Ligure Olivia Modica hanno

evidenziato la possibilità di utilizzare il gioco all’interno della scuola in maniera strutturata, sistematica e

costruttiva, vale a dire, senza necessariamente ricorrere all’inganno - ti faccio fare una cosa con l’intento di

farne un’altra senza nemmeno esplicitarlo ma ricorrendo al trucco del gioco - ma come occasione,

opportunità per offrire determinati contenuti attraverso una modalità ludica.

Dalla rappresentante di una cooperativa che opera all’interno di una ludoteca di Reggio Emilia, Eleonora

Fiaccadori, è arrivata una testimonianza in merito ad attività proposte alle scuole in assoluta continuità con

la programmazione: se ad esempio la classe sta studiando gli Egizi, la ludoteca propone attività sulla

scrittura, se si studiano le scienze saranno giochi scientifici e via dicendo...

Su questo argomento Beniamino Sidoti ha sottolineato che, rispetto a quello che è il gioco libero nel

rapporto con il gioco strutturato, il gioco strutturato è normalmente benvenuto nella programmazione

scolastica e può essere un’occasione per generare gioco libero e spontaneo. È lo stesso Sidoti a chiedersi

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perché, nonostante il gioco sia ritenuto da tutti gli educatori fondamentale per la crescita del bambino,

quando si propongono percorsi di gioco agli insegnanti non vengano presi in considerazione.

- Come si fa a far capire anche agli altri educatori che il gioco, inteso come relazionarsi con i bambini, è

importante?

- Cosa può fare il gioco per la scuola ma soprattutto cosa può fare la scuola per il gioco?

- Potrebbe essere uno strumento per il recupero della dignità dell’attività ludica fine a se stessa?

Queste domande portano alla parola chiave RICONOSCIMENTO. Il suggerimento di Beniamino Sidoti, in

questo caso, è stato quello di creare reti, offrire la possibilità di mettersi in contatto con altre persone che

riescano, nel loro contesto, a promuovere iniziative, attività, esperienze. La rete per favorire il più possibile

lo scambio di esperienze, di successi, ma anche di fallimenti, non soltanto per sentirsi dentro ad una

situazione di auto-aiuto, ma anche perché possano nascere altre cose. Riconoscersi per far sì che il gioco

non decada culturalmente, ma anche per suggerirsi strategie efficaci per far sì che venga riconosciuto come

pratica educativa (e come libertà fondamentale), e con esso il nostro ruolo e la nostra professionalità.

- È giusto usare la parola gioco per altre attività scolastiche anche se rese divertenti?

Risposta unanime: NO.

- Non sarebbe opportuno che la scuola si rendesse tramite per un avvicinamento delle famiglie al gioco?

Risposta unanime: SÌ.

- È opportuno chiarire i limiti tra didattica giocosa e gioco?

Su questo argomento, piuttosto complesso, il gruppo ha messo una sospensione.

- Il gioco, in qualunque modo venga vissuto, è una risorsa; perché si gioca così poco proprio in quei luoghi

dove maggiormente lo si dovrebbe promuovere? Quanto ciò è limitato dalla paura dell’adulto di mettersi in

gioco?

- Perché è così difficile coinvolgere gli insegnanti nelle attività di gioco proposte? Quale potrebbe essere un

buon modo? Può cambiare il riconoscimento dell’insegnante nella scuola primaria nel momento in cui si

diventa compagni di gioco dei propri alunni? Ma gli insegnanti giocano?

- Quanto può l’adulto regolamentare il gioco proponendolo, regolandolo e quanto deve limitarsi ad

osservare, entrare ed essere propositivo nel gioco spontaneo? Come ci si può porre nel confronto del gioco

dei bambini senza creare illecite interferenze?

Nuovo gruppo di domande che hanno condotto a un altro tema chiave, METTERSI IN GIOCO. Quando e

come? Molti degli interventi hanno riportato esperienze personali positive: nel mettersi in gioco con i

bambini migliora la relazione, le regole vengono acquisite più facilmente, l’adulto è portato a

“comprendere” meglio i bambini, il clima è partecipativo, tutti si divertono di più, ecc.

Beniamino Sidoti ha sostenuto che non bisogna mettersi in gioco ad ogni costo né che non bisogna farlo

assolutamente, ci sarà un momento per fare una cosa e un momento per farne un’altra, è comunque bene

interrogarsi su questo perché non lo si fa mai. Se però si volesse trovare un discrimine fra l’intervento o

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meno dell’adulto nel gioco libero, potrebbe essere che se in quel momento sta giocando anche lui allora

non sarebbe violata la cornice del gioco, se invece intervenisse in un gioco libero per sanzionare,

organizzare o fare, probabilmente finirebbe per cancellare ciò che avveniva prima. In alcune occasioni può

essere giusto, perché magari vogliamo sanzionare un gioco in quel momento, ad esempio non vogliamo che

si giochi al game boy durante la ricreazione perché pensiamo non abbia valenze educative in ambito

scolastico, dato che è un gioco individuale e noi stiamo promuovendo un discorso di gruppo.. Ciò che è

cambiato nel gioco è che è venuta a mancare quella che era la catena di trasmissione orale dei giochi e

questa catena è stata sostituita dal tam tam del gioco commerciale. In ogni caso, per mettersi in gioco

bisognerà prima aver abitato il gioco: e questa è una condizione essenziale che merita più riflessioni.

Una buona domanda quindi è:

ma quando lanciate un gioco, giocate?

Come facciamo a capire che cosa abbiamo fatto, che cosa stiamo facendo? Quali sono le buone domande

che dovremmo farci alla fine? Come stavamo giocando noi?

Osservare, registrare le osservazioni e giocare con i bambini in contemporanea, come?

Queste domande hanno condotto ad altre parole chiave: OSSERVAZIONE, PARTECIPAZIONE e RUOLO.

Si è proposto di compiere un passo successivo: cercare di pubblicare sulle riviste specialistiche, poiché è

importante mandare avanti e far crescere la rete di cui si è parlato precedentemente. Questo può essere

utile per motivare alla partecipazione i colleghi perché spesso, nel mondo della scuola, il riconoscimento

esterno conta di più del riconoscimento interno.

In merito alla definizione del ruolo: a volte gli adulti non vogliono mettersi in gioco perché hanno paura di

perdere in autorità, non in autorevolezza, proprio in autorità, probabilmente anche a causa di un’ambiguità

sul ruolo dell’insegnante o dell’educatore e dell’educatrice. Il problema del ruolo esiste ma è anche vero

che l’adulto può essere compagno di gioco durante il gioco e smettere di esserlo subito dopo.

- Come ovviare alla noia che contraddistingue l’atteggiamento dei bambini nei confronti delle proposte

fatte?

Il tema della NOIA ha interessato i teorici del gioco che ancora oggi ne parlano, fa parte delle buone

domande che possiamo farci. Non ha una buona risposta ma è sempre una buona domanda, che riguarda

ogni esperienza singola, ogni contesto, ogni individuo.

- Quali giochi o esperienze sono più opportune per agganciare gli insegnanti?

Potrebbe essere interessante provare a valorizzare quelle esperienze che ci permettono di essere più

rapidi, più efficaci nel fare quello che gli stessi insegnanti cercano di fare con strumenti più tradizionali, un

esempio per tutti: le coordinate cartesiane le abbiamo imparate sottobanco assai più rapidamente con la

battaglia navale. Gli insegnanti rimangono agganciati, probabilmente, dal fatto che quel gioco è servito per

capire qualcosa, che non significa che quel gioco sia stato usato per apprendere, ma che è servito per capire

una certa cosa che gli insegnanti sanno essere difficile.

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L’ultima domanda letta:

- la scuola non dovrebbe essere un gioco?

A rispondere sono state alcune insegnanti di scuola primaria di Torino con una poesia di Jacques Prévert dal

titolo

Compito in classe

Due e due quattro

quattro e quattro otto

otto e otto fanno sedici...

Ripetete! Dice il maestro

Due e due quattro

quattro e quattro otto

otto e otto fanno sedici...

ma ecco l’uccello-lira

che passa nel cielo

il bambino lo vede

il bambino l’ascolta

il bambino lo chiama:

Salvami

gioca con me

uccello!

Allora l’uccello discende

e gioca con il bambino

Due e due quattro

Ripetete! Dice il maestro

e gioca il bambino

e l’uccello gioca con lui...

Quattro e quattro otto

e otto e otto fan sedici

e sedici e sedici che fanno?

Niente fanno sedici e sedici

e soprattutto non fanno trentadue

in ogni modo

se ne vanno.

E il bambino ha nascosto l’uccello

nel suo banco

e tutti i bambini

ascoltano la sua canzone

e tutti i bambini

ascoltano la musica

e otto e otto a loro volta se ne vanno

e quattro e quattro e due e due

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a loro volta abbandonano il campo

e uno e uno non fanno né uno né due

uno a uno egualmente se ne vanno

E gioca l’uccello-lira

e il bambino canta

e il professore grida:

Quando finirete di fare i pagliacci!

Ma tutti gli altri bambini

ascoltano la musica

e i muri della classe

tranquillamente crollano.

E i vetri diventano sabbia

l’inchiostro ritorna acqua

i banchi ritornano alberi

il gesso ridiventa scoglio

la penna ridiventa uccello.

Una copia della poesia è stata regalata a ogni partecipante.

Nell’ultima parte dell’incontro è stato chiesto di dedicare dieci minuti per scrivere, a partire dalla scelta di

una delle parole chiave individuate e che sarà poi usata come titolo, non una definizione né un’altra

domanda, ma il racconto di un episodio legato all’esperienza personale di gioco, a scuola o eventualmente

nell’extrascuola:

ADEGUARSI, TRUCCO, METTERSI IN GIOCO, OSSERVAZIONE, PARTECIPAZIONE, RUOLO, GIOCO COMMERCIALE, BASTA,

NOIA, TEMPO, PRODUTTIVITÀ, STRUMENTALIZZAZIONE, LIBERTÀ, SPONTANEITÀ, RICONOSCIMENTO.

I racconti sono poi stati letti uno di seguito all’altro:

ADEGUARSI 1. Durante il post scuola mi sono interessata ai giochi di carte dei bambini imparando e giocando con loro. Dopo ho

potuto proporre anch’io il gioco “Lupus in tabula” e spesso ora sono loro a chiedere di giocare. 2. Laboratori didattici con scuole; assistenza accompagnamento classi nei percorsi; osservazione, partecipazione, mettersi in gioco.

BEATI LORO! Ricordo che qualche anno fa, passando con la classe davanti ad una scuola materna, una mia allieva di classe prima esclamò, con un velo di nostalgia nella voce: “Beati loro che possono giocare!” Mi resi conto allora di quanto fosse grande il divario creato dal passaggio dalla scuola per l’infanzia alla scuola primaria.

CAMBIO! Natale, gioco della grande Torre: Io un Signore un ragazzino marocchino lui un venditore, finito il gioco io dico “vendimi qualcosa”, 5 euro, e poi dico al signore che rideva fino a quel momento. “adesso tu comperi qualche cosa”, ho visto passare sul suo volto le immagini solite “io non compero dai Marocchini”, poi si rende conto di aver giocato con lui, di essersi divertito, di fare un piacere, si è sciolto, ha sorriso e ha cacciato la PILA!

LIBERTÀ 1. Durante un’attività ludica, Tony, un bambino arrabbiato, utilizzando un grande pallone, e identificandolo con il suo

papà, facendolo fortemente rimbalzare per terra e schiaffeggiandolo fortemente esclama: “Hai capito, hai capitoooo?” alla domanda come ti senti Tony risponde: “Mai sentito così libero”. scuola primaria, Tony, 7 anni. 2. Libertà e anarchia. Talmente tanta è la voglia di entrare allo spazio gioco, e quindi di firmare come prima cosa il foglio presenze, che i due bimbi corrono e si fiondano sulla scrivania travolgendo da dietro una signora coi capelli già

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grigi che neanche conoscono. Rimproverati chiedono scusa ma, in quel momento, urlare, ridere, correre a scivolare è troppo importante. È un bisogno vitale, arcaico, uno sfogo ...come quello che a me capita di provare quando tiro le arance a Carnevale. 3. Libertà (soprattutto mia di creare su una creazione). Piscina di palline. Un bimbo trova una pallina bianca tagliata su un lato e me la porta (io sono quella che raccoglie le palline rotte) La prendo e la schiaccio per vedere in che modo è rotta. Lui comincia a dire “La balena, la balena” e scappa. E la pallina diventa dei denti che possono mordere. A casa, con un calzino rotto, travesto la pallina da balena e il giorno dopo tutti i bambini che vogliono possono giocare con la balena, fuggendo o inseguendo. 4. Libertà, spontaneità. Cosa vuol dire, cosa si intende per gioco libero? Lasciare che i bambini si organizzino da soli in uno spazio vuoto o semivuoto o in un giardino senza una strumentazione non vuol dire lasciarli liberi. Spesso gli spazi non organizzati conducono i bambini alla noia.

METTERSI IN GIOCO 1. In ludoteca abbiamo uno spazio dedicato per giocare a terra ai Lego Duplo e i bambini (età 6-8 anni) facevano

specie di torte piene e, forse per la noia, finivano per tirarsi i pezzi e litigare. Da quando un paio di volte ho avuto il tempo di sedermi con loro a costruire prima la sfinge e poi un castello, anche se io non ci sono, costruiscono edifici ed altro dando sfogo a notevoli “getti di fantasia” tanto che compreremo altri mattoni indifferenziati. 2. Ogni qual volta l’insegnante si mette in gioco crea un legame particolare con i propri allievi. Vale nell’apprendimento ma passa anche attraverso altri momenti. Visitando il Centro per la Cultura Ludica con i miei studenti del liceo socio-psico-pedagogico li ho stupiti provando io stessa ad usare i giochi antichi. 3. Attività motoria. Facevamo un percorso, passando sotto i tavoli, sopra le sedie, facendo le capriole e a un certo punto si doveva entrare in un tunnel, sono rimasta un po’ perplessa, poi ho deciso di passare anch’io e di entrare, peccato però che sono rimasta incastrata. I bambini ridevano io mi sarei messa a piangere. Il tunnel non era tanto piccolo!! 4. Flash: non sapevo se scriverlo perché devo finire di pensarci. Attività estive del Comune di Siena, da anni continuiamo imperterriti ad inserire nella programmazione momenti di gioco libero. Stavo giocando con un gruppetto di bambini, uno di loro si allontana visibilmente arrabbiato, vado a chiedergli perché “Io non sono qui per giocare con te, io voglio giocare con i bambini” (adottato all’età di 7-8 anni non aveva mai sperimentato il gioco con l’adulto). Siamo rimasti insieme dieci giorni, abbiamo sperimentato molto insieme ma non siamo diventati compagni di gioco ...per ora. 5. Qualche giorno fa con una bambina è capitato che, non avendo nessuno con cui giocare, io ho iniziato a mettermi in gioco per aiutarla a superare l’imbarazzo, poiché era l’unica bimba da sola visto che tutti gli altri giocavano senza coinvolgerla. Alla fine gli altri vedendoci giocare divertite sono venuti a guardarci e piano piano si sono intrufolati nel gioco, finendo poi in un grande gioco di gruppo.

NOIA 1. Solo attraverso la noia nasce la voglia e l’esigenza di giocare. Il bambino ha diritto di annoiarsi per imparare a

giocare, il genitore e la scuola non devono togliergli questa libertà. 2. Quest’estate, durante i centri estivi, dopo il pranzo ci troviamo per alcune ore in un piazzale in attesa dell’ora per tornare in spiaggia. Osservando i bambini abbiamo notato che, in preda alla noia, riuscivano a fare un po’ di danni. Ci siamo resi conto che, con qualche trucco, si poteva impiegare meglio quel tempo.

PARTECIPAZIONE 1. La prima volta che ho partecipato ad un’animazione in un veglione di Carnevale (in qualità di animatore) si era

organizzato tutto (tempi, giochi da fare, pause per la musica, ecc...) e ci si era divisi i compiti. Ad un certo punto gli altri animatori (eravamo 5 in totale, perché i bimbi coinvolti erano più o meno 250) non riuscivano più a trovarmi: ero per terra, in ginocchio, a lanciare coriandoli circondato da decine di bambini sorridenti e “agguerriti” contro un bersaglio più grande di loro (avevo già da diverso tempo superato i venti anni...). 2. All’inizio della mia esperienza a scuola avevo qualche difficoltà a far accettare diverse regole e abitudini ai bambini. Partecipare ai giochi dei bambini mettendomi al loro livello e avendo profondo rispetto delle loro regole e tempistiche è stato (ed è) molto utile per risolvere quel problema ed altri. È una “tecnica” molto utile anche a livello di autorevolezza (non autorità), poiché le regole provengono da una persona che accetta e condivide le regole dei bambini.

RICONOSCIMENTO 1. Ieri in ludoteca tre ragazzi di 13 anni sono arrivati prima dell’apertura del servizio: io stavo facendo attività di

traduzione di regolamenti di giochi stranieri, ma li ho fatti entrare. I ragazzi sono venuti in ludoteca apposta per sfidarmi e hanno capito ed aspettato che anche io potessi essere parte del gioco scelto per sfidarmi, non solo, durante

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la partita è suonato il telefono e ho dovuto accogliere dei rientri di giochi in prestito e gli stessi ragazzi, perché io potessi rientrare in gioco alla svelta, mi hanno aiutato, senza che lo richiedessi, a riordinare i giochi rientrati: ero davvero una di loro nel gioco a cui ci stavamo sfidando. 2. Il gioco è una cosa che ai giorni nostri è difficile da spiegare agli adulti. Loro non lo sanno ma... i bambini lo hanno nel cuore, per loro è un mondo di miracoli e rimarrà per sempre un miracolo! Federico, 10 anni. 3. Il gioco non è inutile, il gioco è fantasia, che in giro non si può trovare. Con il gioco puoi creare, creando puoi trovare. Il gioco non è inutile. Il gioco serve e si sa. Daniela, 10 anni.

OSSERVAZIONE Sono nel nido con un gruppo di bambini di 2 anni circa, abbiamo finito la merenda, i bambini si alzano e si muovono: chi corre, chi cerca il gioco nello spazio costruzioni, chi guarda fuori dalle grandi vetrate. Ad un certo punto un bimbo grida entusiasta: ha trovato una cimice a terra. Io provo a rimanere zitta e ferma (le cimici mi fanno ribrezzo), tutti circondano la cimice e piegati la guardano, non resisto e dico: “no, non toccatela con le mani”. Mi avvicino e la raccolgo con un fazzoletto e la faccio vedere e salutare, poi apro la finestra e la faccio volare. Dopo pochi giorni siamo in cortile e gli stessi bambini giocano a cercare le cimici, un bambino con bacchetta si mostra abile “cacciatore”, la scova, la tocca e la sposta con delicatezza con le zampe in su, tutti gli altri sono con lui a guardare curiosi, felici ad aspettare ogni minimo movimento. Il gioco continua a lungo e quando una cimice vola via, se ne cerca un’altra. Io entro in gioco: mostro a loro una cimice e una bella panca sulla quale sistemare l’animaletto perché tutti possano avvicinarsi, guardare, toccare come ciascuno preferisce. Poi quando rientriamo raccontiamo agli altri il nostro gioco, e lo scrivo nel diario del giorno per condividere con i genitori.

RUOLO 1. Colonia estiva a Recco... arrivano i ragazzi delle scuole medie di Milano. Cosa fare? Giocare a qualsiasi cosa,

sparviero, torneo calcetto, qualsiasi gioco, giocare con loro, divertirsi con loro. 2. Io sono un’educatrice e sono spesso a contatto con bambini e ragazzi, per questo devo saper adattare il mio ruolo in base al momento. Di solito li aiuto nei compiti, ma li seguo anche nei giochi e nelle varie attività che fanno. In base all’attività il mio ruolo cambia.

TEMPO 1. Il tempo negato. Laboratorio a scuola sul Carnevale. Domenica faremo il corteo di Carnevale con le maschere

costruite insieme. “Deborah... domenica non ho TEMPO di venire...” “Ah mi dispiace, come mai?” e lui ORGOGLIOSISSIMO: “Vengono ad arrestare a mio fratello... aggia ‘sta a’ casa!” 2. Tempo-Trucco-Obiettivo. In un posto, dove il tempo non viaggia solo in orizzontale ma in ogni direzione, un gruppo di educatori, usando un trucco, viaggia per tre giorni con un gruppo di adolescenti. Il trucco usato è il racconto del Minotauro che accompagna tutto il gruppo tra boschi, falò notturni, labirinti fatti da siepi, tuffi da una piccola rupe nell’acqua gelata, risate, pianti... questo tempo, questo trucco, hanno dato come risultato il raggiungimento di tanti obiettivi: posso trovare sempre una via di uscita... posso trasformare la paura in coraggio... posso affidarmi ad altri... posso chiedere anche a chi è causa del mio dolore aiuto ad alleviarlo... posso ancora perdermi e ritrovarmi... e ancora, ancora... 3. Tempo e mettersi in gioco. Giardini Reali, sto giocando con un gruppo di bambini della mia ludoteca ai 4 cantoni... dopo si continua a nascondino, a sardina... e giocando con loro perdo la cognizione del tempo tant’è che la collega viene a chiamarci dicendo che è ora di chiudere la ludoteca... quando si gioca, veramente si entra in un’altra dimensione, ci si perde nel gioco. Ho capito i bambini... per capire bisogna mettersi in gioco...

TRUCCO 1. Il trucco è mettersi in gioco, è necessario condividere con i ragazzi il tempo che abbiamo a disposizione.

2. È una bella mattina di novembre, oggi spunta tra le mie mani, come provocazione ad un nuovo gioco un rossetto, cosa ne facciamo? E via... possiamo usarlo in tanti modi, lo dicono la meraviglia dei tanti occhietti che mi osservano

prima sospettosi e poi sempre più partecipi.

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1. “OCApito”102 - Esempio di buona prassi in un piccolo Comune

Olivia Modica103

Il Comune di Santa Margherita Ligure è situato nella Riviera di Levante, a circa 30 km da Genova. I dati

statistici del 2007 rilevano una popolazione di 10.249 persone. La città, nel corso degli ultimi dieci anni ha

visto progressivamente diminuire il numero dei propri residenti (circa 500 persone in meno). Attualmente il

numero di minori rispetto alla popolazione totale è di 1.307 (circa il 12,75%). Già questo dato è indicativo

di una caratteristica che Santa Margherita condivide con altre cittadine rivierasche: quella di avere una

popolazione essenzialmente in età adulta se non avanzata con gli anni.

Per contro, l’esiguo numero in percentuale di popolazione al di sotto dei 18 anni ha visto al proprio interno

in progressiva crescita il numero dei minori stranieri (dal 2004 al 2007 il numero di stranieri è quasi

raddoppiato).

In questa situazione, che potrebbe portare ad una marginalità dell’infanzia ed a spostare l’attenzione su

altri settori (la terza età) che numericamente hanno un peso politico diverso, l’Amministrazione comunale

da ormai un decennio si è invece impegnata fortemente per creare e potenziare anche servizi a favore dei

minori, soprattutto cercando di dedicarsi alla prevenzione primaria, nella consapevolezza che le varie

iniziative, ma soprattutto una presenza educativa quotidiana nel contesto territoriale, possano creare un

ambiente protettivo e di deterrenza contro l’insorgere di eventuali situazioni di disagio. Quindi l’impegno

degli operatori in questi anni è stato quello di lavorare sull’ “agio”, consapevoli che una vita sociale ricca di

relazioni significative per i bambini e le loro famiglie può nel tempo, dati difficili da quantificare in termini

numerici, migliorare sia le condizioni dei singoli individui, sia creare una rete solidale tra le persone.

Ecco quindi che nel 1997 nacque qui la prima ludoteca comunale di tutto il Levante ligure (al tempo l’unica

del territorio era quella comunale di La Spezia).

Nel corso di questi anni il progetto ha conosciuto una continua evoluzione: dalla prima fase sperimentale

nel 1997, nel 1998 poi, con l’impiego di maggiori risorse economiche ed umane, la struttura ha avuto un

disegno sempre più delineato fino a essere oggi un servizio comunale consolidato.

Ne diamo una breve descrizione, forse non estremamente sintetica, ma necessaria per comprendere il

contesto territoriale ed i valori socio-pedagogici che sono alla base di essa.

La ludoteca comunale “L’isola che non c’è” è situata nei locali al pianterreno della scuola primaria Scarsella.

È aperta dal lunedì al venerdì dalle ore 15.30 alle ore 18.00 nel periodo ottobre - giugno.

102

Progetto del Comune di Santa Margherita Ligure Istituzione Servizi Sociali e di Pubblica Istruzione e della Provincia di Genova. 103

Pedagogista, responsabile dei Servizi Educativi del Comune, ha curato il progetto con il collega Massimo Pescio, educatore professionale (Servizi Educativi, corso Matteotti 75 - 16038 Santa Margherita Ligure - GE).

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217

Nel periodo estivo (luglio e agosto) diventa la sede dei centri estivi dei bambini che frequentano le

elementari.

La ludoteca è uno spazio per genitori e bambini da 0 a 12 anni, ovvero fino ai 10 anni è necessaria la

presenza dei genitori o di altri adulti di riferimento (nonni, parenti, baby sitter …), dai 10 anni in poi, con la

manleva dei genitori, la si può frequentare autonomamente.

È uno spazio ludico ricreativo diviso in vari locali e aree ciascuno dedicato ad una fascia di età o ad

un’attività specifica (area morbida 0-2 anni, area 3-6 anni, area Lego, area disegno, area giochi di scatola,

area ambientazioni…). [sul sito del Comune c’è un’ampia galleria fotografica degli spazi].

Ogni bambino qui può giocare in libertà e sicurezza, insieme ai genitori, agli amici, anche da solo, ma mai in

solitudine.

La presenza dei genitori per noi è fondamentale, poiché il servizio non ha mai voluto essere uno spazio di

delega dei bambini quanto piuttosto un luogo dove grandi e piccoli possono relazionarsi e confrontarsi

utilizzando il linguaggio del gioco.

Per i genitori stessi è inoltre uno spazio dove incontrarsi tra loro, confrontarsi sulle esperienze quotidiane,

condividendo il difficile mestiere di genitore con operatori disponibili all’ascolto (educatori professionali,

pedagogista).

Sono infatti presenti in ogni turno di apertura almeno due educatori ed una volta alla settimana è presente

anche la pedagogista del servizio.

L’esperienza di questi anni ha dimostrato che un contesto accogliente e non ansiogeno quale la ludoteca,

può facilitare nei genitori che si trovino in un momento di difficoltà personale (con il proprio coniuge, con i

figli...) la possibilità di chiedere aiuto; moltissime situazioni di disagio che spontaneamente non sarebbero

arrivate direttamente al Servizio sociale, vissuto spesso come controllo, hanno invece avuto un primo filtro

e spazio di apertura proprio in ludoteca. In questi casi un tempestivo aiuto può impedire pericolose

involuzioni più difficili da gestire in seguito.

In ludoteca, oltre ad utilizzare il materiale ludico a disposizione, vengono organizzati durante l’anno

laboratori sia estemporanei, sia tematici che coinvolgono anch’essi genitori e bambini. Sono laboratori

creativi ed espressivi che hanno temi diversi ma come filo conduttore intendono lavorare sulla ‘leggerezza’

ed immediatezza dei linguaggi non verbali (pittura, musica, manipolazione), dove è sì importante il risultato

(ogni bambino ad esempio costruisce un oggetto che poi porta via con sé), ma è ancora più importante

l’esperienza ludica condivisa con altri.

“OCApito” - Metti in gioco i tuoi diritti

In questi anni l’esperienza degli operatori ha permesso di acquisire capacità e competenze proprio

nell’ideazione e progettazione di laboratori e attività strutturate.

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218

Per questa ragione, già dal 2006, l’equipe educativa della ludoteca ha pensato di inventare un gioco che

coniugasse sia l’elemento ludico immediato, già di per sé di valore se consideriamo il significato del gioco

per il bambino, ma in un secondo livello, che potesse rimandare anche a contenuti assolutamente essenziali

per la crescita affettiva e sociale del bambino stesso.

Il lavoro di ideazione dell’èquipe è durato alcuni mesi: ne è nato un GIOCO GIGANTE DELL’OCA che ha come

filo conduttore il TEMA DEI DIRITTI (Convenzione Internazionale per i diritti dei Fanciulli anno 1989; Carta

della Terra anno 2000), sia quelli imprescindibili della persona umana, sia quelli dell’ambiente dove

viviamo. Il titolo che abbiamo dato è “OCApito - Metti in gioco i tuoi diritti”.

Si può utilizzare sia come gioco estemporaneo, ma anche come percorso di laboratori ciascuno dei quali

rimanda a pensieri e riflessioni sui vari diritti, sui comportamenti individuali e sociali ai quali gli stessi

operatori in primo luogo danno valore.

Sono stati espletati gli adempimenti burocratici per ottenere il copyright del gioco (SIAE) e trasformarlo in

gioco di scatola.

È stata contattata la casa editrice La Lontra di Genova-Busalla ed, alla fine di novembre, il gioco sarà

realizzato e pronto sia per essere utilizzato da noi o da altri enti con fini di promozione sociale, sia per

essere immesso nel mercato.

Introduzione

La Convenzione sui diritti dell’infanzia rappresenta lo strumento normativo internazionale più importante e

completo in materia di promozione e tutela dei diritti dei bambini. Contempla l’intera gamma dei diritti e

delle libertà attribuiti anche agli adulti (diritti civili, politici, sociali, economici, culturali). Costituisce uno

strumento giuridico vincolante per gli Stati che la ratificano, oltre ad offrire un quadro di riferimento

organico nel quale collocare tutti gli sforzi compiuti in cinquant’anni a difesa dei diritti dei bambini.

La Convenzione è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre del 1989 a

New York ed è entrata in vigore il 2 settembre 1990. Per la concretizzazione del gioco è stata utilizzata

anche la Carta della Terra, portata a termine nel marzo 2000, che è la dichiarazione di principi etici

fondamentali, approvata a livello internazionale e che si propone di costruire una giusta, sostenibile e

pacifica società globale nel ventunesimo secolo.

Finalità

La scopo del gioco è quello di far apprendere ai bambini, in maniera intuitiva e ludica, l’esistenza dei diritti.

La finalità principale del progetto editoriale è legata alla trasmissione del sapere, attraverso l’utilizzo del

gioco. Il gioco diventa veicolo con il quale educare alla conoscenza attraverso metodi intuitivi. I bambini

vengono facilitati all’apprendimento e alla valorizzazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e della

Carta della Terra. Al gioco possono essere affiancati racconti e laboratori.

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Il gioco

È costituito da un percorso di 62 caselle, 12 delle quali riportano l’indicazione di uno dei diritti della

Convenzione. Le restanti caselle sono state suddivise in libere, premi e penalità. I bambini possono giocare

sistemando le carte una di seguito all’altra sul piano di gioco. Tirando i dati, a turno, potranno muovere le

pedine, attraverso un percorso atto a comprendere l’importanza dei diritti.

Il gioco è suddiviso nei quattro principi riportati dalla Carta della Terra:

diversità

amore, comprensione e compassione

libertà e giustizia sociale

protezione della bellezza della terra

I quattro principi sono contraddistinti da un colore e trattano tre diritti.

I laboratori correlati mettono in gioco le seguenti attività: disegno, rappresentazione teatrale,

brainstorming, gioco del pampano, lettura di una fiaba con finale da inventare, riflessione, labirinto,

kaleidos, il mio amico dottore, lettura e costruzione del giocattolo, merenda interculturale.

Caratteristiche tecniche

Scatola da gioco formato 20 x 20 cm, 62 caselle numerate da disporre a modo di domino su un piano di

gioco, 8 pedine in legno e 2 dadi da gioco.

Il gioco sarà messo in vendita al prezzo di 9,50 euro a copia.

2. Progetto “Amico di classe”

Martina Bracci104

Il progetto “Amico di classe” nasce dall’esigenza di avere una figura di supporto all’insegnante all’interno

delle classi in cui sia/siano presenti bambini o ragazzi di “difficile” gestione. Sempre più spesso, infatti, gli

insegnanti si trovano a dover gestire classi in cui sono presenti bambini/ragazzi provenienti dall’estero e

quindi con problematiche relative all’apprendimento della lingua italiana, e bambini/ragazzi irrequieti e

quindi difficilmente coinvolgibili nelle attività del gruppo classe. L’”Amico di classe” si propone dunque

all’insegnante come aiuto nella gestione del gruppo classe seguendo i bambini/ragazzi che richiedono

un’attenzione particolare attraverso la proposta di attività manuali, ludiche, creative, di socializzazione che

siano di aiuto alla comprensione delle discipline scolastiche.

104

Referente di Giocolenuvole, società cooperativa sociale onlus, via Mentana 108, Siena, [email protected] www.giocolenuvole.com

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L’”Amico di classe” attiva quindi, in accordo con l’insegnante, dei percorsi tematici di “insegnamento

giocoso” - già sperimentati dagli educatori della cooperativa Giocolenuvole con ottimi risultati. Alcuni

esempi: nell’ambito delle scienze abbiamo dato vita alla “Professoressa Cervellonis” una stravagante

insegnante che invita i ragazzi a mettersi in gioco con proposte di esperimenti alquanto difficoltosi;

nell’ambito della musica ci piace invece che i ragazzi possano sperimentarsi nella costruzione di strumenti

musicali con materiale naturale - legno - e di riciclo - barattoli dello yogurt, di latta; per quanto riguarda la

storia abbiamo fatto rivivere ai ragazzi l’esperienza del modellare la creta per la costruzione di semplici

utensili e la costruzione di plastici che riproducono le abitazioni e i villaggi di civiltà remote, con i più grandi

abbiamo sperimentato la proposta dei giochi di ruolo ambientati in varie epoche storiche.

Per l’approfondimento della lingua italiana e della geografia abbiamo proposto con successo i quizzettoni e

il ti rispondo per le rime o siamo andati alla ricerca della saggezza dei nonni con il puzzle dei proverbi e modi

di dire.

In definitiva il compito dell’”Amico di classe” è quello di proporre in maniera giocosa le lezioni

dell’insegnante. Qualora si ritenga utile per la classe e per i ragazzi interessati, l’”Amico di classe” può

lavorare con piccoli gruppi di 5-6 bambini, in modo da poter gestire le problematiche comportamentali,

imparare insieme a gestire le conflittualità e l’aggressività, responsabilizzare e favorire un canale semplice e

diretto di socializzazione.

Le attività da svolgere sono attentamente scelte insieme all’insegnante in base al gruppo interessato, alle

problematiche emerse e alle esigenze di ogni singola classe. Per i bambini/ragazzi l’”Amico di classe” è una

figura che affianca e non sostituisce l’insegnante in particolari momenti della vita scolastica dedicati

all’approfondimento ed alla rielaborazione personale (laboratori manuali-creativi, insegnamento giocoso),

alla socializzazione ed alla sperimentazione di nuovi canali relazionali (giochi di gruppo, circle time, giochi di

socializzazione), alla scoperta di sé e dell’altro (scoperta del corpo, il mio sesto senso, giochi di contatto,

intercultura).

Obiettivi del progetto

Sviluppare la capacità di interazione e la cooperazione fra pari;

aiutare i bambini/ragazzi a riconoscere le proprie abilità, competenze e attitudini e svilupparle;

dare ai ragazzi gli strumenti per gestire le controversie;

collaborare con l’insegnante a districare situazioni e dinamiche comportamentali complesse;

rinnovare l’interesse nelle materie scolastiche.

Proposte di lavoro

circle time, dibattiti, attività ludiche, laboratori manuali, improvvisazione teatrale, letture animate.

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Note importanti

Se si lavora con il piccolo gruppo è opportuno far ruotare i membri per non creare una situazione di

“ghettizzazione”;

è fondamentale che le ore di compresenza (insegnante - educatrice/educatore) vengano condivise e

strutturate preventivamente in maniera che i ragazzi abbiano chiaro il ruolo dell’una e dell’altra figura.

3. Percorsi di gioco in classe

Patrizia Di Lorenzo105

Oltre al lavoro svolto attraverso il laboratorio “Giochi di carte” di cui parlerà Elena Mancuso, le mie

esperienze sono due rivolte alla didattica e sviluppate con i bambini e una relativa al coordinamento di un

intervento formativo seguito da venti docenti di scuola primaria nell’anno scolastico 2008.

Lo strumento privilegiato per l’apprendimento, sia per gli allievi che per i docenti, è stato il gioco e il

giocare.

Esperienza A

L’attività rientra in un progetto da me presentato nell’ambito dello star bene a scuola e intitolato L’arte del

bridging, attività di apprendimento mediato attraverso il gioco (costruzione di ponti) a partire dall’anno

2004. L’attività è proposta a gruppi di 7-9 allievi di età tra i 6 e gli 8 anni, ha come finalità quella di aiutare il

bambino a strutturare la capacità di pensiero attraverso la creazione di un ponte tra l’azione del giocare e

l’azione del riflettere, utilizzando contesti familiari al bambino (l’io - la casa - la famiglia - la scuola).

Obiettivi

Creare nel bambino l’abitudine al pensare, sviluppare la capacità di stabilire connessioni tra i processi di

pensiero e la loro applicazione ai principi e alle strategie dello stare nella vita quotidiana, sviluppare la

consapevolezza di ciò che si è, ciò che si fa e come lo si fa.

Contenuti e filoni conduttori

Consapevolezza del sé corporeo io con me stesso

io e lo spazio che mi circonda

io e gli altri rispetto di sé e gli altri.

105

Insegnante della scuola primaria don Murialdo - Torino.

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222

Metodologia usata

La tecnica è una modalità mediata, nel senso che l’insegnante ha il ruolo di osservatore e di mediatore nei

giochi che propone e durante le riflessioni. Ho usato come strumento il gioco e la musica, utilizzando lo

specchio presente in aula di psicomotricità e il materiale tipico dell’attrezzatura dell’aula di psicomotricità

(grandi palle, cilindro di gomma, cubi, stoffe, tappeti...).

L’apprendimento dei bambini è avvenuto attraverso tre fasi.

In svariate situazioni di gioco il bambino si conosce, esaminandosi, testandosi; mettendosi alla prova il

bambino verbalizza ciò che ha vissuto con il gioco e discute nel gruppo di appartenenza, con il mio aiuto,

attraverso l’uso di buone domande realizza al termine di uno, due incontri una produzione scritta che può

essere un disegno, un pensiero, una rima o una filastrocca o una storia.

L’esperienza mi ha dimostrato la partecipazione responsabile dei bambini sia nel gioco che nella presenza di

allievi di 8 anni più grandi che, in qualche modo, hanno fatto da tutor per i più piccini (allievi che hanno

partecipato a 6/7 anni all’esperienza di gioco con me e che presentavano qualche difficoltà di relazione ). I

bambini hanno dimostrato di aver raggiunto gli obiettivi previsti dal progetto.

Difficoltà e limiti

Poco il tempo previsto, 15 ore di laboratorio rispetto alle 20 previste per un’ora di intervento alla

settimana. Caratteristica rivolta ai bambini con irrequietezza o troppo timidi o aggressivi.

I gruppi sono misti ed eterogenei. Meglio farli di pari età.

Esperienza B

Esperienza di gemellaggi,o che ha avuto come tema il diritto al gioco e all’espressività, e che ha visto

coinvolti allievi di classe II, IV e V in una più grande ricerca che personalmente sto facendo sull’educazione

alla gioia.

I bambini hanno realizzato la città ideale per ciascuna classe producendo il testo, la descrizione degli

abitanti e la rappresentazione grafica della propria città dando il nome.

Il lavoro è stato realizzato utilizzando il giocare con le arti espressive, le idee, i pensieri, e i valori.

Molto interessante è stato lo stimolo dato dal fatto che questo lavoro ha avuto l’individuazione delle

emozioni provate, osservate, lette e poi condivise tra bambini e insegnanti. Lo strumento utilizzato è stato il

questionario.

Esperienza C

Esperienza da me condotta come coordinatore e monitorata per gli esiti raggiunti, nonché come diretta

partecipante, svolta nella mia scuola primaria. Formazione rivolta a venti docenti, relatore Rosanna Clinco,

tema la scrittura creativa e che ha avuto come stimolo privilegiato l’utilizzo del gioco e del giocare.

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Trovo che sia molto utile fare formazione sul tema del gioco espresso e proposto a vari livelli, ad esempio

anche con l’utilizzo della scrittura creativa. Trovo che aver supportato la formazione con una dispensa con

descrizione delle attività, dei giochi, l’aver sperimentato direttamente tra insegnanti l’esperienza del gioco,

e aver poi sperimentato la formazione nelle proprie classi con i bambini, aver lavorato attraverso un

laboratorio per 10 ore utilizzando alcuni dei giochi proposti nel percorso formativo con un piccolo gruppo di

bambini tra i 7 e i 9 anni con alcune difficoltà di relazione (aggressività o timidezza o eccessiva vivacità),

abbia dato la possibilità di verificare la positività sia della formazione che l’utilità della scrittura creativa per

sviluppare creatività giocando.

Belle e costruttive tutte queste esperienze.

4.Laboratorio sulle competenze socio-affettive

Caterina Di Chio106

Il laboratorio si realizza nella scuola primaria dell’istituto comprensivo King.

Coinvolge dodici classi, terze e quarte.

Si propone di guidare gli alunni verso il riconoscimento dei propri bisogni e delle proprie emozioni,

aiutandoli a divenirne più consapevoli, ad esprimerle e ad utilizzarle favorevolmente al proprio sviluppo.

Intende favorire infatti lo sviluppo del linguaggio che Howard Gardner e Daniel Goleman definiscono

“personale”: un linguaggio che consente a ciascun individuo di sdoppiarsi, osservarsi e riflettere su se stessi,

che stimola a “raccontarsi”, a pensare e a pensarsi, nella consapevolezza di quanto la narrazione favorisca

la costruzione di un’immagine di sé autonoma.

Essenziali in questo senso, i giochi e le attività volti a riconoscere e valorizzare gli aspetti della propria

identità e di quella altrui, nell’ottica della promozione dell’autostima e della valorizzazione delle differenze.

Attraverso attività autobiografiche e narrative, il percorso conduce il bambino al riconoscimento delle

proprie competenze e alla ricostruzione della storia personale, che rinforza la capacità di avere cura di sé.

Essa, infatti, fornisce una percezione positiva di autostima ed eterostima:

di autostima, in quanto il soggetto, attraverso la riscoperta della personale storia di vita, ritrova la

propria soggettività;

di eterostima, poiché il narratore si sente riconosciuto e confermato nel momento in cui altri leggono o

ascoltano autenticamente il suo racconto.

Educare a raccontarsi fortifica dunque l’identità individuale mettendo in risalto il sentimento di unicità.

Aiuta a delineare il cosiddetto sé narrativo, ovvero il mondo interiore, ciò che pensiamo di essere e ciò che

gli altri pensano di noi.

106

Insegnante della scuola primaria dell’istituto comprensivo King - Grugliasco (TO)

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L’autoconsapevolezza, così come la definisce Goleman, è la base dell’intelligenza emotiva. Ecco perché il

laboratorio intende allenare i bambini a riconoscere i propri e gli altrui stati emotivi, attraverso lo studio

delle espressioni facciali e dei segnali corporei caratteristici di ogni emozione di base (la collera, la paura, la

felicità, il disgusto, la tristezza, la sorpresa), l’abitudine a riconoscere ciò che si sta provando e la capacità di

esprimere i propri sentimenti, con il linguaggio del corpo e le parole.

Al contempo, si propone di individuare col gruppo classe strategie di controllo e gestione delle emozioni e

di infondere fiducia nella personale capacità della loro attuazione. In particolare si sofferma su modalità di

autoregolazione, di controllo della rabbia e di liberazione dalla tristezza, potendosi così concentrare

attivamente per il perseguimento di un obiettivo ed essendo capaci di rinviare la gratificazione.

Ha lo scopo di favorire lo sviluppo dell’empatia, competenza fondamentale nella relazione con gli altri, che

consente di leggere e rappresentarsi le differenti situazioni sociali nel modo più corretto e funzionale ad

una relazione costruttiva. Non mancano, ad esempio, gli studi che dimostrano come bambini con uno stile

di attaccamento insicuro tendano ad attribuire, in situazioni sociali ambigue, intenzioni ostili ai propri pari e

ad adottare strategie di problem solving sociale inadeguate.

È importante allora allenare i bambini ad interpretare le informazioni in entrata dando loro una

rappresentazione mentale, selezionando un obiettivo e ricercando le strategie più adeguate per

conseguirlo.

Il laboratorio si pone l’obiettivo di esplorare il tema del conflitto, come fenomeno presente nella vita di

ogni individuo, che è però possibile gestire. In questo senso, propone una serie di giochi e di attività

cooperative, incrementando il clima positivo e collaborativo all’interno del gruppo classe.

Obiettivi

Conoscere, esprimere e indirizzare le proprie emozioni: la collera, la paura, la tristezza, il disgusto, la gioia,

la sorpresa, l’imbarazzo ecc.

Valorizzare la propria identità e potenziare l’autostima.

Valorizzare l’altro e le diversità tra gli individui.

Riconoscere il valore del gruppo e favorire la cooperazione.

Controllare le proprie emozioni in vista di un obiettivo.

Riconoscere le emozioni altrui (empatia).

Gestire i conflitti.

Temi

Io e la mia identità.

L’altro e le differenze.

Le emozioni: la paura, la rabbia, il disgusto, la sorpresa, la gioia, la tristezza, l’imbarazzo ecc.

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L’autostima.

Il gruppo: la cooperazione e il mutuo aiuto.

Il conflitto.

Metodologie

Gioco.

Narrazione autobiografica107: didattica dell’auto-racconto, dell’auto-riflessività e della scrittura di sé.

Espressione corporea.

Attività cooperative.

Ascolto e discussione di storie psicologicamente orientate.

Circle time.

Il percorso utilizza metodologie di tipo autobiografico, prevedendo attività volte a raccontarsi, a mettere in

valore la propria identità e a ricostruire la storia personale. Le alterna a momenti di gioco, una delle

principali forme di espressione e di apprendimento di questa fase evolutiva.

Adotta tecniche di espressione corporea ed artistica, per favorire un allenamento espressivo integrato e

globale. Utilizza libri di narrativa per bambini, spesso narrativa psicologicamente orientata, per stimolare la

discussione, proporre soluzioni e favorire l’identificazione empatica con i protagonisti delle storie.

Propone una serie di giochi e di attività cooperative e prevede almeno un momento di “cerchio” ad

incontro, in cui prendersi il tempo per raccontarsi ed ascoltarsi. Il bambino così impara ad ascoltare

aspettando il proprio turno ed appassionandosi alle storie degli altri, dimenticandosi per un momento di ciò

che desidera raccontare egli stesso, ma pronto a riprendere la narrazione, aggiungendo elementi nuovi.

L’insegnante stabilisce un clima di accoglienza, non giudicante, in cui ciascuno si sente libero di dire e

persino di inventare. Sottolinea le regole condivise dal gruppo e mantiene la continuità iniziale, riportando,

se necessario, alla coerenza del discorso.

Considerazioni per non concludere

Rosanna Clinco

Il clima che si è creato nel gruppo è stato fin da subito disteso e partecipativo. Le persone sono sembrate

tutte coinvolte e motivate.

Le diversità, di provenienza geografica, di professionalità, di età, di esperienze, di gestione di servizi diversi,

hanno rappresentato una ricchezza ma, nello stesso tempo, un limite. Ricchezza di possibilità di scambio e

confronto, limite come impossibilità (anche dovuta al poco tempo a disposizione) di addentrarsi in

107

Per autobiografia si intende qualsiasi attività che favorisca il racconto di sé.

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profondità negli argomenti che, se troppo specifici, rischiavano di escludere una parte dei convenuti. Ad

esempio, in seguito ad una verifica interna successiva, è emerso da parte delle ludotecarie di Torino che il

confronto con altri rappresentanti di ludoteche presenti e provenienti da città diverse non è stato

sviluppato come esse avrebbero voluto. Probabilmente c’è stato chi si aspettava di poter parlare più a

lungo e in maniera più specifica in merito al modo di condurre le attività proposte alle scuole, alla

metodologia adottata; certo sarebbe stato interessante entrare nel dettaglio ma, nello stesso tempo,

avrebbe sbilanciato troppo la discussione e si sarebbe verificato un crollo di interesse da parte di chi non si

sentiva coinvolto direttamente in questo tipo di ragionamento. Analogamente, chi è arrivato con la volontà

di confrontarsi su una propria esperienza specifica o portando una propria proposta di gioco da mostrare, è

tornato a casa piuttosto deluso. In questo senso l’idea di costituire una rete risponde ampiamente ad una

evidente necessità di proseguire i tanti discorsi avviati.

Potrebbe esserci stata una certa disparità tra la qualità delle domande e la qualità degli interventi e dei

racconti finali: mentre le domande sono state varie, ben articolate e rappresentative, gli interventi finali

sono stati basati sul racconto, quindi possono sembrare aver banalizzato i tanti temi; si tratta comunque di

esperienze e vissuti personali: liberi ed evocati rapidamente, che affiancano la discussione senza sostituirla.

Il fatto che il tema più dibattuto sia stato quello della contrapposizione tra gioco libero e gioco

guidato/strutturato, che in molti abbiano avvertito la necessità di esprimersi su questo argomento e che si

tornasse spesso su questo punto, anche quando si era già passati ad altro, conferma forse quanto espresso

nella premessa e cioè che si avverte fortemente la necessità di difendere il diritto al gioco. Credo che un

eventuale seguito per approfondimenti futuri dovrebbe partire da qui, o dal tema correlato della scarsità di

tempo dedicato al gioco.

Un tema emerso ma marginalmente affrontato è stato quello della relazione. Nel proporre percorsi alle

scuole i Centri per il Gioco della città di Torino pongono tra gli obiettivi primari l’attenzione al gioco come

cornice all’interno della quale i bambini interagiscono, tra pari e con gli adulti. Il “mettersi in gioco

dell’adulto”, descritto da alcuni giovani animatori con accenti romantici, non esaurisce l’argomento ma

fornisce un ottimo punto di partenza per considerare modalità e metodologie.

La differenza tra i percorsi individuali, i livelli di esperienza e di maturità, i contesti e il riconoscimento

sociale, è rappresentativa di un momento storico. Il discorso sul gioco in Italia è contemporaneamente

diffuso e immaturo: si sta sviluppando a macchia di leopardo, con esperienze di eccellenza, mentre

vengono a mancare gli spazi di confronto quotidiano, le occasioni di riflessione. Ci sono molte associazioni,

ma manca lo spirito comunitario: insomma, il discorso sul gioco si sta forse emarginando e

individualizzando troppo. Far rete sicuramente serve, ma non è l’unica risposta: occorre anche che le

eccellenze vengano riconosciute a livello più ampio, e si possa ragionare anche intorno a modelli; l’auspicio

sarebbe la nascita di corsi universitari, percorsi di formazione riconosciuta, centri di cultura in tante città…

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la realtà, molto più modesta, è che dobbiamo quotidianamente tutti difendere quello che abbiamo

costruito in questi anni.

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Capitolo 9

Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e diversità

Il tema: I servizi per il gioco sono un diritto per tutti i bambini, da chi è diversamente abile, a chi arriva da

differenti territori e differenti culture, da chi si trova a dover affrontare percorsi di vita difficile legati alla

sofferenza e alla malattia, a chi vive in luoghi deprivati in cui morte e violenza sono all’ordine del giorno,

allora come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di gioco di cui tutti questi soggetti sono

portatori?

Coordinamento a cura di: Santo Cicco, Renata Bronzino

Contributi di: Santo Cicco (cooperativa Fantacadabra - Sulmona), Renata Bronzino(Gruppo Gioco in

Ospedale - ITER - Torino), Rosita Deluigi (Università - Educatrice Fondazione CasaOZ), Gianni De Corral

(associazione Baby-Xitter - Torino), Maria De Vita (ludoteca C’è sole e luna - Alessandria), Corrado Vecchi

(cooperativa Mani parlanti - Parma)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Santo Cicco, Renata Bronzino

La domanda-guida che ha stimolato la partecipazione al gruppo di lavoro pone una questione aperta e

raccoglie considerazioni diverse, esperienze che traducono strategie in continuo dinamismo, atte ad una

ricerca in trasformazione che sappia tenere conto di sfaccettatura differenti e sappia contestualizzarsi

secondo variabili spesso non riassumibili, dove i vissuti emotivi devono essere considerati e attentamente

valutati come elementi dominanti in cui la relazione assume una connotazione unica e irripetibile.

La tematica affrontata ha trovato una larga adesione tanto che ha portato il gruppo di lavoro ad essere uno

dei più numerosi, circa una cinquantina di partecipanti provenienti da esperienze e ambiti di intervento

molto diversi. Si è potuto aprire un ventaglio di offerte rispetto ad animazioni ludiche di strada su quartieri

difficili (Napoli, Palermo, Cagliari,…), in situazione di emergenza (tendopoli), in carcere minorile, nei reparti

pediatrici (intrattenimento e accompagnamento), in soggiorni vacanza a favore di soggetti diversamente

abili o in ludobus come sostegno alla genitorialità anche in zone extra-comunitarie quali la Tunisia.

La varietà delle esperienze ha prodotto sicuramente un notevole arricchimento e una apertura di visioni e

di progettualità, ma ha segnato anche il limite del gruppo concedendo pochi spazi per l’approfondimento e

il confronto; ne è emersa una esigenza comune e condivisa di coltivare una sorta di rete che permetta un

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aggiornamento e una riflessione sulle modalità e sperimentazioni che possono sorgere in risposta a sempre

nuove richieste di attenzione verso fragilità e disagi.

Per gestire al meglio le dinamiche di un gruppo così numeroso si è optato per una breve presentazione di

ogni partecipante chiedendo della propria attività e di dare una “parola chiave” che potesse esprimere la

specificità dell’ambito particolare del servizio.

I contributi emersi hanno posto in risalto l’impegno comune di garantire la possibilità di vivere al meglio il

diritto ad una infanzia rispettata, ponendo il gioco come elemento caratterizzante una crescita equilibrata e

come risorsa per trovare un linguaggio che va al di là del verbale, restituendo la condizione di un’intesa di

accoglienza e di condivisione. Oltre agli interventi previsti e di cui si riportano a seguire le relazioni, si sono

potuti conoscere anche percorsi che hanno contribuito a far crescere una mentalità di attenzione e di

accompagnamento.

Paola Lagorio, referente del Progetto Salute di “Mani Umane per il Futuro dell’Arte Medica”, partendo da

una sua ricerca personale rispetto alla capacità di ascolto verso situazioni di disagio ha evidenziato quanto

sia necessaria la collaborazione tra competenze differenti: medico-sociali-educative, per promuovere

visioni più aperte e complementari.

Altra considerazione emersa, accanto alle esperienze legate più all’azione territoriale quale scuole, strade,

ospedali, carcere è stata sottolineata dalla Anna Martinelli, responsabile della Biblioteca Pedagogica del

Centro Multimediale di Documentazione Pedagogica di Torino108, che ha posto l’accento sull’importanza di

sostenere il lavoro sul campo con una adeguata e aggiornata formazione, che possa essere stimolo e

risposta agli interrogativi di chi opera e si trova nella quotidianità a ricercare confronti.

Visto in questa ottica sicuramente la Biblioteca può divenire una risorsa in più sul territorio, un valore

aggiunto, un valido supporto anche per tutti gli operatori del sociale che con passione investono la propria

azione educativa nei vari ambiti lavorativi.

Ivana, educatrice di una ludoteca comunale di Torino, ha anche richiamato l’articolo 31 della Convenzione

internazionale sui diritti dell’infanzia e come una delle modalità di adempimento si sia tradotto in un

percorso proposto alle scuole da parte della ludoteca Serendipity in collaborazione con Emergency.

Diritto al gioco in tempo di guerra è stato il titolo del progetto a cui hanno aderito due classi quinte di

scuola primaria, due classi prime, una seconda, una terza di scuola secondaria di primo grado e una classe

quinta di scuola secondaria di secondo grado. Il lavoro, basato su incontri, visite, ma anche interviste e

ricerche, ha prodotto riflessioni, sollecitato sensibilità e permesso la realizzazione di mostre che hanno

visto i ragazzi protagonisti.

108

www.comune.torino.it/centromultimediale

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Nel giro di presentazione dei partecipanti al gruppo sono emerse alcune parole chiave, di seguito elencate,

che hanno confermato e rinforzato alcune peculiarità del gioco visto come risorsa, relazione, rispetto e

possibilità di fare, di intervenire sulla realtà, anche in relazione alle peculiarità di servizi tra loro differenti.

Riportiamo schematicamente le quattro macroaree delineate:

RISORSA

Pur partendo da una situazione di difficoltà (malattia, detenzione, calamità…) si fa appello alla parte sana

della persona per restituire un diritto e garantire un equilibrio di crescita.

Situazioni di disagio o di dolore spesso portano “alla perdita della capacità di giocare”; promuovere tale

capacità, compito fondamentale del facilitatore ludico, equivale a tutelare la natura del bambino. Non si

parte dalla difficoltà, ma si pone l’accento su ciò che si può trovare di positivo, su una competenza

particolare da promuovere e su cui agire.

Il gioco diventa strumento e veicolo di relazione che prende in considerazione questa risorsa per poterla

sviluppare.

RELAZIONE

In questa macroarea si sono evidenziate le caratteristiche di una funzione educativa che vede nello “stare”,

nella presenza, l’essenza di una “mission” dove entrano in gioco una passione e un coinvolgimento

personale: il valore del tempo dedicato per poter approfondire una relazione, condividere un’esperienza di

intesa e di ascolto.

L’educatore trova la sua finalità nel “giocare con” il bambino permettendogli di esprimersi, e al tempo

stesso gli garantisce un affiancamento qualificato.

RISPETTO

La validità del proporre e non dell’imporre tutela la persona nella sua individualità non considerandolo solo

un oggetto di intervento. La possibilità di poter scegliere o rifiutare l’intervento di animazione restituisce

una identità e un protagonismo molte volte mortificato dal contesto che spesso impone regole rigide

(ospedale, centri di accoglienza, carcere…).

FARE

Una caratteristica fondamentale di questo ambito di intervento è lo spazio dedicato alla manualità, alla

possibilità di realizzare e produrre oggetti che gratificano l’autore rinforzandone l’autostima. L’attività

espressiva che dà forma all’emozione del momento diventa una preziosa opportunità che l’educatore può

cogliere per conoscere meglio la personalità dell’ “altro”.

L’attività manuale è un fare motivante e coinvolgente in cui anche coloro che inizialmente sono esitanti

scoprono di potersi impegnare e trarne soddisfazione.

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I temi aperti sono stati veramente numerosi, il comune denominatore è stata la voglia di mettersi in gioco

nelle diverse situazioni, con responsabilità, ma anche con creatività per trovare nuove strategie che

possano adattarsi alle variegate richieste di attenzione a cui siamo chiamati a rispondere.

1. Il gioco, strumento di relazione

Renata Bronzino

La difficoltà, il disagio, la disabilità sono elementi che segnano e caratterizzano la relazione e la

comunicazione con peculiarità proprie, allo stesso tempo richiedono strategie e modalità di approccio

particolari, attente alle diversità e alle individualità.

Là dove è più forte il coinvolgimento emotivo, chi si trova a condividere e accompagnare deve poter fornire

un ascolto attento e restituire una opportunità nuova e originale rispondente alla necessità espressa..

L’esperienza dell’ospedalizzazione sicuramente rientra tra i contesti che evidenziano elementi di

smarrimento, di precarietà, di ansia legati alla situazione di malattia, ma anche al dover affrontare nuove

relazioni, nuovi ambienti, in un momento in cui fisicamente si è più deboli e fragili.

La sperimentazione di inserire personale educativo che si occupasse di rasserenare la permanenza del

bambino in ospedale è stata avviata nel 1984 all’Ospedale Infantile Regina Margherita, e all’Ospedale

Martini, dalla Divisione Servizi Educativi della Città di Torino, con specifici obiettivi volti al fine di:

restituire un vissuto di normalità al bambino che si trova a vivere un’esperienza di ricovero che lo

allontana dai suoi ambienti quotidiani: casa, scuola…

stimolare le risorse positive e l’autostima in un momento di difficoltà,

creare esperienze di aggregazione in un ambiente nuovo,

facilitare la comunicazione,

lavorare in collaborazione con le diverse figure professionali operanti all’interno dei reparti per ricercare

il benessere globale del giovane paziente.

Lo strumento privilegiato evidenziato come utile a rispondere in modo adeguato alla mission posta dalla

sperimentazione è stato il GIOCO, linguaggio immediato con il mondo del bambino, comprovato facilitatore

delle relazioni con il mondo dell’infanzia.

Dall’analisi dei bisogni si è pertanto ritenuto importante offrire un servizio di animazione ludica, trovare un

tempo per il gioco accanto ad un tempo dedicato alla terapia, questo per tutelare un diritto fondamentale

dell’infanzia, garantire un equilibrio di crescita, rispettare una qualità di vita.

Gioco, quindi, come risposta ad un bisogno e come strumento per creare opportunità, per comunicare,

scegliere, fare, essere protagonisti attivi, efficace risorsa per contrastare lo stato di malessere e di passività

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che connota l’esperienza ospedaliera, ma anche per supportare la famiglia che è interamente coinvolta nel

vissuto.

Da queste considerazioni è nata la necessità di riservare all’interno dei reparti ospedalieri uno spazio

dedicato al gioco dei bambini ricoverati.

Il poter ritrovare un ambiente ben identificabile, perché colorato e decorato sia con cartelloni ed addobbi,

sia con disegni degli stessi bambini, anche se a volte piccolo e polifunzionale, permette di mantenere una

continuità con le esperienze esterne, scuola, interessi, giochi.

La sala giochi sarà uno spazio accogliente messo a disposizione, uno spazio meno ospedaliero, che potrà

essere individuato come luogo di evasione per “allontanarsi” temporaneamente da una situazione che crea

disagio e ansia, dove il bambino potrà spostare l’attenzione dalla malattia e dal ricovero.

Quando il bambino è costretto a letto sarà l’animatrice a recarsi da lui per ascoltare le diverse esigenze e

proporre attività da realizzare insieme o coinvolgere i genitori. Le animatrici, grazie ad una formazione

mirata alla situazione ospedaliera, propongono sia attività individuali, sia di gruppo, nel rispetto dei tempi,

delle preferenze e delle capacità di ognuno.

Dalla rilettura delle esperienze fatte si è potuto constatare come anche il solo “stare accanto”, trovarsi in

compagnia, guardare il gioco o il lavoro degli altri, spesso è il primo passo per il bambino e il ragazzo per

riprendere i contatti e avviare una relazione positiva.

L’adulto può essere testimone silenzioso, ma presente e attento, che sostiene e interviene solo se

necessario. Si è potuto osservare che, soprattutto all’inizio del ricovero, è preferita una relazione in un

rapporto uno a uno: compito dell’adulto è, quindi, quello di offrire una prima accoglienza e di mediare per

facilitare un clima di condivisione con i pari. Grazie a questo rispetto dei tempi, molto spesso si riesce a

“fare gruppo”, cioè a portare i pazienti verso un’atmosfera di scambio e partecipazione, la sala giochi

diventa uno spazio di socializzazione e di collaborazione.

La sala giochi è anche il luogo dove “potersi sporcare”: nell’immaginario collettivo l’ambiente ospedaliero è

pulito e asettico, quindi il bambino deve controllarsi e limitare l’uso di determinati materiali a letto.

In sala giochi potrà ritrovare ciò che aveva messo da parte e sperimentare di nuovo il piacere della

manipolazione e del colore.

Si è osservato, inoltre, quanto l’ospedalizzazione provochi stati di ansia e di apprensione nei genitori e

come tali vissuti influenzino i comportamenti dei figli; anche il genitore ha bisogno di essere ascoltato,

compreso e rassicurato in modo da poter allentare la tensione per recuperare la capacità di sostenere il

bambino rispetto alle sue paure, trasmettergli la tranquillità e la serenità di cui ha bisogno.

Il gioco in comune è lo strumento principale per rinsaldare l’intesa tra genitori e figli.

La rilettura dell’esperienza ha rilevato quanto sia importante, per uno sviluppo psico-fisico equilibrato del

bambino e una buona gestione di vita di comunità, offrire dei punti di riferimento: si è sentita l’esigenza di

stabilire poche regole condivise per migliorare le diverse relazioni.

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Possiamo riassumere in macroaree tali indicazioni:

orari della sala giochi con la presenza dell’insegnante-animatrice

scelta del gioco, cura e riordino dello stesso

scelta delle attività manuali che possono essere proposte.

Naturalmente tali regole si differenzieranno a seconda delle necessità e specificità di ogni reparto.

Dall’analisi e rielaborazione delle osservazioni delle insegnanti animatrici del Gruppo Gioco Ospedale

presentate durante i momenti di supervisione, si è potuto evidenziare nel corso del tempo come, oltre ogni

aspettativa, il gioco, opportunamente proposto, sia anche una possibilità “eccezionale” per familiarizzare

con l’ambiente sanitario, trasmettere messaggi e informazioni, per affrontare in modo più consapevole e

rassicurante le diverse situazioni. Quindi, accanto allo spazio gioco che deve essere garantito, è possibile

ricercare e offrire strategie di comunicazione e informazione che attraverso il linguaggio ludico

accompagnino e rassicurino il bambino e la famiglia in ospedale.

La nuova visione di “ospedale accogliente e competente” potrà e dovrà tenere in giusta considerazione i

contributi offerti da educatori, animatori, volontari… che potranno integrarsi nel quadro dei rimedi atti a

ritrovare un benessere psicofisico globale; da questa azione ne deriverà un valore aggiunto a favore dei

percorsi di accoglienza.

Dal momento che una parte delle ansie e dei timori del bambino, come si coglie dai comportamenti, dai

disegni, dalle espressioni verbali e non verbali, sono sicuramente legate al senso di sconosciuto, di

smarrimento che il bambino e la famiglia si trovano ad affrontare al momento del ricovero, si è cercato di

elaborare alcune proposte progettuali che rispondessero alle necessità di conoscere, di avere spiegazioni e

accompagnamento.

La Storia Cancellapaura, Operazione in Gioco, Play-Hospital, sono progetti nati per presentare l’ospedale,

offrire esperienze di familiarizzazione con l’ambiente ospedaliero, utilizzando anche il linguaggio del gioco

per fornire informazioni comprensibili con termini conosciuti e vicini al vissuto dei giovani pazienti.

In particolare La Storia Cancellapaura propone laboratori per familiarizzare con i presidi sanitari più comuni

(calzari, mascherine, guanti…) per trasformare, con l’uso di un po’ di fantasia, i materiali sanitari in materiali

ludici. L’offerta di un setting adeguato dove sperimentare una manualità libera che dia l’opportunità di

scaricare-trasformare-fantasticare può restituire la possibilità di espressione e creare un clima di

condivisione e di apertura.

Operazione in Gioco invece, propone un percorso di preparazione e di accompagnamento del bambino e

della famiglia all’intervento chirurgico; viene presentato dalle animatrici del Gruppo Gioco Ospedale che

hanno curato la messa in opera del progetto, condiviso e concordato da un gruppo di lavoro che ha visto la

partecipazione di personale medico sanitario ed educativo. La collaborazione delle diverse professionalità

ha reso particolarmente significativa l’esperienza offrendo un esempio di lavoro in sinergia che ha risposto

alle finalità di

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rispondere alle domande dei bambini

aiutare le famiglie ad affrontare la “comunicazione difficile” con i figli

fornire uno strumento alle equipe mediche per dare informazioni in modo semplice ed efficace.

La realizzazione del libro gioco Lasciati prendere per mano è stata la prima tappa di questo percorso, il

libro, consegnato alle famiglie nel momento del pre-ricovero, offre una prima presentazione, seguita dai

laboratori di gioco-teatro e in ultimo dal libro-teatro itinerante, strumento che ripercorre i diversi momenti

che un bambino deve affrontare dal momento del ricovero, alla sala operatoria, alla dimissione.

Il libro-teatro itinerante è stato ideato e realizzato con caratteristiche specifiche (dimensione, grafica) per

poter catturare l’attenzione e la curiosità dei piccoli pazienti, per rinforzare le informazioni e spiegare le

regole indicate in questo percorso. La lettura/racconto di questo libro speciale vede anche l’utilizzo di

pupazzi a guanto che diventano mediatori e facilitatori della relazione con il bambino. Tamino e Stella

saranno le mascottes di riferimento che i bambini potranno ritrovare anche in diverse situazioni di gioco.

Ampliamento del servizio offerto da Operazione in Gioco nell’ospedale Regina Margherita è stata la

collaborazione con i reparti di Oncoematologia e Centro Trapianti dove, utilizzando la stessa metodologia,

si sono potuti avviare degli incontri di accompagnamento dei bambini e delle famiglie per sostenere e

rinforzare le comunicazioni del personale medico.

Date le proprietà del progetto si è potuto anche esportare l’esperienza, adattandola ad un’altra realtà

ospedaliera; in collaborazione con le colleghe del Gruppo Gioco Ospedale operanti presso il reparto di

pediatria dell’Ospedale Martini ha preso avvio un percorso analogo: Giocooperando, che sviluppa gli stessi

obiettivi educativi in un contesto ospedaliero differente.

PlayHospital è un DVD multimediale rivolto a ragazzi tra i dieci e i quindici anni ricoverati in attesa di un

intervento chirurgico, di un esame diagnostico o di cure specifiche. Comprende attività e strumenti diversi

(filmati, interviste) che fanno leva sull’informazione, sulla condivisione di esperienze e sul gioco come

stimoli per superare le situazioni difficili e trasformare la presenza in ospedale in un momento di crescita

personale e familiare. Il progetto si è sviluppato secondo l’approccio dell’edutainment, utilizzando quindi

una piattaforma multimediale e interattiva per stimolare la curiosità e la creatività dei ragazzi e raggiungere

gli obiettivi educativi di base.

La visione del gioco come strumento di relazione ha offerto anche la possibilità di promuovere altre

esperienze laboratoriali che sono state accolte nello spazio biblioteca. La Bibliomouse, biblioteca interna

all’OIRM aperta a tutti i bambini, anche a quelli che vengono solo per visite ambulatoriali o per un day

hospital, è una preziosa opportunità che permette di ospitare numerose iniziative che rinforzano le

relazioni con il territorio.

Esempio di interscambio con la territorialità è stato il progetto Il colore prende il volo, che ha messo in

relazione i bambini in ospedale con gli alunni di classi esterne per produrre opere che fossero segno e

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strumento per migliorare e arricchire gli spazi ospedalieri, con produzioni artistiche realizzate in

collaborazione con Maestri d’Arte.

L’impegno comune e condiviso nell’offrire attenzione e ascolto in un contesto di difficoltà, in cui le risorse

individuali sono particolarmente fragili e dove la comunità può e deve essere di supporto fornendo

appoggio e opportunità diverse, ci permetterà di avviare progettualità nuove, diversamente rispondenti,

ma soprattutto di far maturare e sostenere una sensibilità sempre più aperta, che sicuramente potrà

tradursi in una crescita sociale e umana.

2. Un sorriso contro la paura

Santo Cicco

Anche giocare può aiutare a “non pensare al rumore del terremoto”.

È difficile giocare in una tendopoli dove tutto ha nuove regole, nuovi ritmi e nuove dinamiche, ma farlo può

essere molto importante. I bambini sono stati tra le categorie più esposte alle reazioni del trauma da stress

dopo il terremoto aquilano: ansia, paura, insonnia, rabbia, tristezza, senso di colpa per essere sopravissuti

sono solo alcuni tra i sintomi più comuni.

Nella nostra esperienza tra le tendopoli abbiamo osservato bambini disorientati, catapultati in una

situazione completamente nuova e spesso drammatica. In questa situazione abbiamo più volte avuto

l’impressione di essere in mezzo a “bambini di strada”: tutta la vita si svolgeva tra i viottoli della tendopoli,

senza regole, senza orari se non quelli dei pasti in mensa, senza un luogo domestico se non una tenda

condivisa tra più nuclei familiari.

Da queste osservazioni prende vita il progetto RiCREAZIONE, nato dalla volontà di dare una risposta

immediata e duratura alle esigenze del comprensorio aquilano martoriato dal sisma.

Per chi vive a circa sessanta chilometri da L’Aquila è evidente sentire come vicina la tragedia che ha colpito

colleghi, amici, parenti. Il terremoto ha segnato la vita di noi abruzzesi in profondità, ci ha toccato nei beni,

negli affetti, ma ha dato anche forza ad un senso di responsabilità e ad una voglia di contribuire alla

ricostruzione di un tessuto sociale sentito come proprio.

Nell’immediatezza del sisma abbiamo tutti assistito ad una gara di solidarietà che ha coinvolto tutta la

Nazione ma, come sempre accade, con il tempo i riflettori si spengono. Tante organizzazioni, venute da

lontano, accorse immediatamente dopo l’evento sismico, hanno da subito espresso il massimo sforzo per

essere di aiuto alla popolazione, ma andranno via: noi del posto abbiamo la possibilità di adoperarci per

assicurare una strutturata continuità degli interventi!

Il nostro progetto mira alla realizzazione di interventi stabili e duraturi di clownterapia e animazione per i

bambini e le famiglie, con lo scopo di offrire loro una opportunità di elaborazione dell’evento traumatico

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attraverso attività ludiche e di espressione delle emozioni. L’intento è quello di restituire una quotidianità

di vita tale da diminuire la situazione di disagio.

I soggetti coinvolti sono cooperative, gruppi e associazioni da anni impegnati nel territorio dell’entroterra

abruzzese, in interventi di clownterapia ed educazione di minori.

Iniziato dapprima con interventi settimanali all’interno di varie tendopoli, scelte nell’ottica di privilegiare

quelle meno servite da altri interventi di aiuto e di evitare di disperdere le risorse in azioni che si sarebbero

inevitabilmente ridotte in puro intrattenimento, il servizio, gestito da una equipe di clown/animatori che

provengono da ambiti professionali diversi (educatori, animatori socio-culturali, assistenti sociali, attori,

medici, psicologi…) e coordinati dalla cooperativa sociale Fantacadabra di Sulmona, ha successivamente

pianificato i propri interventi tenendo conto delle reali necessità del territorio.

Una caratteristica delle nostre proposte di animazione è stata da subito la manualità, il fare, il costruire. È

evidente l’importanza pedagogica che assume, per il bambino che ha subito il crollo della propria casa e

della propria vita, il ri-costruire, il ri-creare. Legno di recupero, tappi di rame e di sughero, rocchetti per il

cotone da cucito, bottiglie di plastica e lattine diventano stimoli fondamentali con cui giocare e costruire

giocattoli.

Realizzare un giocattolo non vuole dire solo costruire un oggetto che sostituisca il prodotto acquistato nei

negozi, ma significa riconoscere al giocattolo una serie di legami di tipo relazionale ed educativo. Significa

dare un’opportunità concreta alle potenzialità creative, troppo spesso mortificate e invece una volta tanto

ampliate a dismisura, senza limitazioni di spazio. Si impara che c’è uno spreco enorme nella nostra società e

che non è vero che il giocattolo più bello sia quello comprato.

Nella costruzione il “processo” che porta alla realizzazione del giocattolo diventa importante quanto

l’oggetto realizzato, perché durante il processo il bambino si educa ad utilizzare materiali poveri e naturali,

apprende nuove storie, crea relazioni significative per la sua crescita, e questo è già da intendersi gioco.

È la capacità di stupirsi che contraddistingue l’uomo vivo. Essa è alla base della curiosità e quindi della

conoscenza. È la creatività, la capacità di vedere i lati nascosti delle cose, ribaltare la realtà, a dare

concretezza, o almeno un’immagine tangibile, ai sogni.

3. Giochiamo alla quotidianità?

Rosita Deluigi109

CasaOz è un servizio diurno che si rivolge ai bambini che incontrano la malattia e alle loro famiglie.

L’obiettivo primario è offrire uno spazio aperto perché la famiglia possa ritrovare la dimensione del

quotidiano, spesso scardinata dai ritmi che la malattia impone. In tal senso, lo spazio diventa luogo

109

Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della formazione, dei beni culturali e del turismo - Università di Macerata.

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significativo in cui condividere esperienze, percorsi, difficoltà e l’apertura è data dalla versatilità del servizio

che accoglie ogni singolo membro della famiglia, a seconda delle necessità. Sottolineiamo la dimensione di

casa che si fa luogo grazie alla relazionalità su cui si fonda e che attribuisce significato all’esperienza

condivisa; a differenza dei nonluoghi110, attraverso cui le famiglie spesso passano, non caratterizzati dal

permanere e dal condividere, la casa diventa punto di riferimento per riappropriarsi del proprio sé in

continuo cambiamento. “Lo spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e

similitudine”111; la costruzione di un luogo, invece, richiede attenzione all’identità in evoluzione, supporto

alle interazioni, spazio per l’incontro e promozione della scoperta e valorizzazione dell’originalità e

dell’unicità di ogni soggetto.

I bambini e i ragazzi coinvolti, nella fascia di età zero-sedici anni, possono trascorrere il loro tempo libero

ricreandosi e ritrovandosi112, mettendosi in relazione con un gruppo di pari; le mamme e i papà possono

riposarsi e riacquistare le energie per affrontare le sfide del quotidiano e continuare a dare forza e speranza

ai propri figli; i fratellini e le sorelline sani trovano un tempo per sé in cui esprimere il proprio diritto di

esserci! La storia del Mago di Oz113 fa dà sfondo all’esperienza condivisa e consente a tutti i soggetti

coinvolti di intraprendere un viaggio nella quotidianità alla scoperta non solo delle proprie difficoltà, che

trovano spazio per essere ascoltate e accolte, ma anche delle proprie risorse che, in casi di criticità,

possono diventare fonte di resilienza114 personale e familiare.

Con l’arrivo dell’uragano della malattia, che disarticola i ritmi di “normalità”, si intraprende il viaggio con i

timori e la paure di chi si avventura, come Dorothy, su una via mai percorsa, alla ricerca del coraggio del

leone per affrontare le avversità, avvalendosi dell’intelligenza perduta dello spaventapasseri per diventare

creativi, con il cuore dell’omino di latta per racchiudere e condividere le emozioni, i desideri, i sentimenti di

ciascuno. CasaOz si mette al fianco di chi cammina su questa via sconosciuta perché il sentiero non sia

percorso in solitudine; le famiglie al cui interno vi sia un bimbo ammalato vengono accolte nella loro

interezza o come singoli membri e la relazione di reciprocità si instaura con tutto il nucleo, con i genitori,

con bambini sani e malati.

110

Per ulteriori approfondimenti si veda: Augè M., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano, 1996. 111

Augè M., (1996), op.cit., p. 95. 112

Per ulteriori approfondimenti si veda: Milani L., Un, due, tre… liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi tra disabilità e tempo libero, SEI, Torino, 2004. 113

Il titolo originale dell’opera a cura di L. F. Baum è The Wonderful Wizard of Oz, edito nel 1900. Inizialmente nato come allegoria del sistema economico statunitense entrato in crisi a fine ‘800, divenne nel 1939 un film di successo che contribuì a diffondere l’opera tradotta in numerose lingue. 114

Con il termine resilienza si descrive la capacità dei soggetti di far fronte a momenti critici e stressanti della propria esistenza, facendo appello alle risorse personali, reagendo e riorganizzandosi in maniera positiva. Il termine deriva dalla scienza dei materiali e, originariamente, indica la proprietà che alcuni materiali hanno di conservare la propria struttura o di riacquistare la forma originaria dopo essere stati sottoposti a schiacciamento o deformazione. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Edizioni Erickson, Trento, 2005; Cyrulnik B., Malaguti E., Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di legami significativi, Edizioni Erickson, Trento, 2005.

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Nel contesto di CasaOz115 il gioco diventa strumento di comunicazione, di educazione, linguaggio e modalità

di relazione con bambini, e non solo, che attraversano un momento di difficoltà. Giocando è possibile

instaurare un dialogo fondato sulla reciprocità e una interazione significativa con bambini e ragazzi a caccia

di “normalità”. Ciò avviene perché, nel contesto di CasaOz, il tentativo è quello di lavorare sul sostegno alla

quotidianità e sulla costruzione di luoghi e di tempi a misura di Persona. In tal senso, si promuove il diritto

dei bambini116, malati o sani che siano, a crescere e a sviluppare la propria personalità, così come si

sostengono gli adulti nel riappropriarsi della capacità di far fronte al cambiamento continuo e, in

particolare, nel caso dell’incontro con la malattia infantile, nel continuare ad essere adulti in relazione,

disponibili a mettersi in gioco con i propri figli.

Costruire proposte di gioco e, allo stesso tempo, mettersi in ascolto delle idee, dei bisogni e dei desideri dei

bambini, consente di restituire tempi ai bimbi e di creare interazioni fra i pari che spesso la malattia non

consente. Il tempo libero si alterna al tempo della terapia e della cura, dell’attesa e della risposta, del

controllo e della somministrazione e, forse, può aiutare i bambini ad affrontare i difficili compiti e ritmi che

la malattia impone, in modo diverso, a tutta la famiglia. La cura si integra con il prendersi cura, alimentando

spirali di relazioni in cui trovare appoggio e sostegno e in cui poter esprimere il proprio sé, accettando e

gestendo i propri limiti e attivando e valorizzando le proprie risorse. In tal senso, è importante liberare il

tempo e renderlo a misura di persona, perché vi sia la possibilità di sperimentarsi e di riconoscersi come

soggetto creativo e capace di progettarsi e riprogettarsi anche nelle situazioni di difficoltà. “Il tempo

dell’uomo è un tempo segnato dalle scelte o meglio è il tempo delle scelte, quindi è il luogo della libertà e

delle responsabilità per la progettualità. In questa prospettiva, l’uomo non è il padrone, ma il custode del

tempo, colui che costruisce il senso dell’esistenza. Sacralità, socialità, ritualità, soggettività, progettualità

del tempo sono dimensioni per una qualità dell’esistenza che deve essere garantita a tutti”117. Custodire un

tempo che sembra fuggire nel suo scorrere veloce e in cui anche il significato appare sfuggente di fronte

alla malattia, non è certo impresa facile. È necessario sostenere percorsi di ricerca di senso perché l’uomo

non smetta mai di interrogarsi e di riprogettarsi, anche nel momento in cui la problematicità sembra avere

il sopravvento e l’unica cosa che sembra essere possibile fare è restare immobili perché nulla muti in

peggio. La malattia può avere questo potere paralizzante e rimodellare tutte le dinamiche familiari

facendole diventare statiche e difficili da vivere, sia per i genitori, sia per i figli.

Recuperare la dimensione del gioco può divenire elemento di equilibrio per i bambini e i ragazzi

intrappolati o trascinati nel vortice della malattia, dove davvero è possibile prenderli per mano e

accompagnarli per sentieri che nemmeno noi adulti conosciamo con certezza... È l’arte di avventurarsi alla

115

Per ulteriori informazioni sulla struttura, sul funzionamento e sull’accesso ai servizi si veda www.casaoz.org . 116

A tal proposito, sottolineiamo l’importanza di prendere in considerazione il bambino nella sua interezza, garantendo adeguate occasioni di crescita continua anche in riferimento alle indicazioni della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre. In particolare si vedano l’articolo 24 riguardante le cure sanitarie e l’articolo 31 dedicato al gioco e alle attività ricreative. Per ulteriori approfondimenti si veda il sito www.minori.it 117

Milani L., (2004), op.cit., pp. 9-10.

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ricerca di un orizzonte che è cambiato e che ha destrutturato le certezze, le aspettative e le prospettive

presenti prima dell’arrivo della malattia. Il gioco diventa un modo per camminare insieme nelle sfide della

vita di tutti i giorni esprimendo il proprio sé con un adulto di riferimento e con altri bambini avvolti in un

grande vortice di confusione che li rende frammentati e soli.

È molto importante giocare con i bambini e, allo stesso tempo, mettersi in gioco con gli adulti significativi,

creando spazi di condivisione in cui si pensa, si ride, si agisce insieme e l’esperienza condivisa diventa

momento da ricordare e motivo per sperare! Dove la speranza non è una illusione fittizia ma, piuttosto, il

fondamento di una esistenza autentica. Lo sviluppo continuo della persona come progetto incompiuto e

aperto alla possibilità assume un senso in quanto a ciascuno “è affidato il compito e la responsabilità di

portarlo a compimento. Per questo la vita umana è sostanzialmente incertezza e rischio: una promessa e

una scommessa allo stesso tempo.”118 Sostenere la progettualità personale consente di dare ampio respiro

alla relazione educativa messa in campo e, in particolare la sfera del gioco richiede la giusta sottolineatura

come canale di comunicazione, di interazione e di crescita reciproca continua.

A tal proposito, le proposte curate dagli educatori e dai volontari di CasaOz percorrono alcuni assi

fondamentali che di seguito prenderemo in analisi:

l’ambientazione e il filo conduttore: l’importanza di personaggi fantastici per creare appartenenza;

le situazioni di gioco strutturate come modalità di interazione e di confronto con altri bambini;

l’ascolto e l’accoglienza di proposte di gioco informale;

i giochi simbolici come ritorno alla normalità e ai ritmi di vita;

il gioco come linguaggio e punto di contatto fra culture diverse;

la presenza degli adulti: dal far giocare al mettersi in gioco;

L’ambientazione della casa in relazione alla storia del Mago di Oz consente di caratterizzare gli spazi e di

creare l’incontro con personaggi della fantasia che però riconducono la riflessione su alcuni elementi

caratteristici dell’uomo: l’intelligenza, il cuore, il coraggio.

La dimensione ludico-ricreativa passa attraverso l’ingegno e la creatività dello spaventapasseri, sostenendo

i bambini e i ragazzi nel fare nuove scoperte, nel relazionarsi e familiarizzare con l’ambiente e nel riscoprire

le proprie risorse che, attraverso la fantasia e l’immaginazione, consentono di proiettarsi nel futuro e di

fare progetti. Il gioco si può inventare e, allo stesso tempo, si possono proporre giochi in cui mettersi alla

prova utilizzando le proprie abilità intellettive, stimolandole anche in caso di deficit. Il poter inventare

consente ai ragazzi di riappropriarsi di una facoltà che troppo spesso è condizionata e limitata da percorsi di

gioco pre-stabiliti o pensati con un secondo fine. Scoprirsi e riscoprirsi persone creative119, capaci di

118

Filippi N., Per una dimensione pedagogica della speranza, in Pedagogia e Vita, 3, 2004, p. 90. 119

La creatività consente di mettere in atto modelli divergenti di fronte al continuo ripetersi di una routine che spesso innesca meccanismi di risposta automatici. Interrogarsi di fronte alla realtà richiede la capacità di adottare uno sguardo “altro” e di avventurarsi nella sfida e nel rischio di intraprendere nuovi percorsi. Nell’incontro con la malattia, il cambiamento, talvolta, avviene in modo brusco e i soggetti coinvolti o meglio, travolti, non riescono ad attivare in tempi rapidi tale risorsa. Ecco perché è

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immaginare e di avere un pensiero originale apre spazio alla costruzione della propria identità e alla

possibilità di mettersi in dialogo con gli altri.

Il cuore dell’omino di latta riconduce alla necessità di accogliere i sentimenti, i desideri, i bisogni che ciascun

soggetto porta con sé. Talvolta, possono essere esplicitati anche nella dimensione ludica perché si crea un

clima di familiarità in cui si percepisce di essere in una situazione sicura in cui potersi esporre. La

relazionalità passa attraverso il gioco in ogni istante, sia fra pari, sia nell’interazione con gli adulti e

consente di creare contesti di esperienza significativi. Mettersi in ascolto120 degli altri e del messaggio che

custodiscono e che comunicano, richiede l’accoglienza incondizionata perché possa emergere l’autenticità

di ciascuno. La dimensione ludica mette in dialogo risorse e vincoli e crea uno spazio di espressione e di

incontro della profondità dei soggetti che sanno di potersi mettere in gioco senza troppi pre-giudizi e pre-

comprensioni che spesso ostacolano un incontro autentico.

Il coraggio del leone si declina proprio nella capacità di mettersi in gioco e in dialogo con altri, cimentandosi

in dinamiche cooperative spesso inusuali. Creare incontri e lavorare per un obiettivo comune richiede la

disponibilità a mettersi in dialogo e ad apprendere dall’esperienza121 e dall’incontro con gli altri. Il sapere si

costruisce anche dialogando e non rimane immobile e immutabile; piuttosto, assume sfumature diverse e

in continuo movimento e va alla ricerca di un saper fare e saper stare con gli altri122 che, senza dubbio,

richiede protagonismo e capacità di mettersi in discussione. Il coraggio di mettersi e permanere in relazione

necessita del riconoscimento reciproco “dell’altro da me” e della voglia di scommettere sulle relazioni

autentiche e sulla ricerca di significati condivisi che valorizzino la visione personale di ogni soggetto.

La seconda linea portante presa in esame nell’esperienza ludica di CasaOz riguarda le situazioni di gioco

strutturate come modalità di interazione e di confronto con altri bambini. In tal senso, si rileva l’importanza

della costruzione di occasioni ludiche in cui i soggetti interagiscano in un clima educativo che restituisca

fiducia e possibilità di espressione. I singoli non sono più soli ma entrano a far parte di un gruppo e si

confrontano con i propri pari e, in una dinamica di arricchimento reciproco e di scambio, imparano a gestire

i piccoli conflitti. Agli adulti è richiesto non solo di proporre il gioco e di strutturarlo in modo che sia

accessibile e fruibile da tutti ma, soprattutto, di dare vita al clima di fiducia relazionale in cui le dinamiche si

importante sostenere le persone nello sperimentarsi in tal senso, per non perdersi di fronte al quotidiano che sembra non lasciare spazio ad un rinnovamento sostenibile. Dal punto di vista relazionale, sono necessarie capacità di analisi e flessibilità per costruire maggiori spazi di espressione “per” e “con” il soggetto. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Mencarelli M., Creatività, La Scuola, Brescia, 1976; De Bono E., Creatività e pensiero laterale, Rizzoli, Milano, 1998. 120

Ci riferiamo all’ascolto attivo, competenza fondamentale dell’educatore che si riferisce al saper ascoltare con attenzione e in modo partecipativo il messaggio, più o meno esplicito, che l’altra persona o il contesto stanno comunicando, dando voce alla soggettività e generando spazi di dialogo e di accoglienza in cui può avvenire una interazione autentica e reciproca. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Gordon T., Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari, 2007; Gordon T., Relazioni efficaci, come costruirle, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005; Gordon T., Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: pratiche educative per insegnanti genitori e studenti, Giunti Lisciani, Teramo, 1991. 121

Per ulteriori approfondimenti si veda Blandino G., Granieri B., La disponibilità ad apprendere, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995. 122

Per ulteriori approfondimenti si veda Delors J., Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma, 1997. Inoltre, per aggiornamenti consultare il sito www.unesco.org.

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svolgono. Spesso ciò significa de-strutturare il gioco per creare nuove norme comprensibili e condivise da

tutti e per dare spazio alla creatività anche di fronte alla struttura del gioco che, talvolta, rischia di

imbrigliare la fantasia. Il crearsi del gruppo, sempre mutevole nella sua composizione e nella sua trama

relazionale, diviene obiettivo educativo che trae forza anche dal saper giocare insieme, creando situazioni

interattive e dinamiche. Il gruppo, così, può diventare un “luogo di comunicazione educativa”123 in cui la

trama dei rapporti interpersonali si infittisce e assume significato, singolo e comunitario, anche grazie alle

esperienze condivise.

L’ascolto e l’accoglienza di proposte di gioco informale richiedono apertura verso l’altro per promuovere

una sempre crescente considerazione del contesto e delle identità in interazione in esso presenti. Questi

due elementi fondamentali si influenzano e costruiscono reciprocamente nella continua dinamica delle

relazioni che passano anche attraverso idee di gioco: il contesto si costituisce nello scambio relazionale fra

alterità e diversità; l’identità si rafforza esprimendosi e si modella interagendo. Perché tali condizioni siano

rispettate e valorizzate, occorre dar voce al bagaglio personale che ciascuno porta con sé, alla capacità di

pensare e di mettere in atto modelli differenti da quelli standardizzati a cui solitamente siamo abituati, al

desiderio di liberare il gioco da seconde finalità che spesso lo deformano. Il piacere che la dimensione

ludica produce si sviluppa non solo attraverso una strutturazione organizzata e formalizzata ma, spesso, si

avvia in situazioni informali, innescando una spirale di partecipazione al divertimento e della distensione

come momento che solleva dalla pesantezza del quotidiano con uno sguardo di leggerezza, non per questo

più superficiale.

I giochi simbolici come ritorno alla normalità e ai ritmi di vita mettono in discussione i modelli vissuti

all’interno della dimensione familiare e sociale vissuta dai bambini e dai ragazzi. Immedesimarsi nel ruolo

di…, inventare e articolare una trama in cui si sviluppa la propria storia, interpretate empaticamente i

personaggi che accompagnano i soggetti nella quotidianità o quelli a cui si tende ad essere, mettersi in

gioco immaginando e impersonificando vari ruoli sociali conosciuti, sono tutti modi con cui i bambini

tengono sotto controllo gli elementi e le variabili delle situazioni che loro creano e che decidono come

nascono, come procedono e come si sviluppano. Per i bambini che incontrano la malattia e che, quindi,

hanno ritmi di vita controllati e scanditi ancor di più dall’esterno e da esterni, può essere importante e

rassicurante sperimentarsi nel ruolo di regista, in cui il narratore delle storie rappresentate prende delle

decisioni per sé e, spesso, per gli altri. Non è raro assistere e interagire nel gioco del far finta di… essere a

casa con mamma e papà, andare a scuola con i propri compagni e la maestra, occuparsi della casa,

impersonare il postino o il cuoco di un grande ristorante, coinvolgendo i presenti nella simulazione di una

situazione in cui i bambini sono protagonisti capaci di scegliere e di decidere come andrà a finire… È un

continuo intreccio fra regole e immaginazione in cui si articolano dinamiche interpersonali e modelli sociali

123

Per ulteriori approfondimenti si vedano: Pollo M., Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, LDC, Torino, 1990; Pollo M., Animazione culturale. Teoria e metodo, LAS, Roma, 2002.

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da poter condividere, sperimentare e negoziare con altri124; in tal senso, diventa fondamentale la presenza

di compagni di gioco significativi, creativi e con capacità immaginative, bambini o adulti che siano.

Altro punto fondamentale preso in considerazione in CasaOz è il gioco come linguaggio e punto di contatto

fra culture diverse. La presenza di molteplicità di origini e di culture di riferimento all’interno del servizio

richiede attenzione nel favorire e sostenere la nascita di relazioni fra le famiglie presenti. Talvolta

l’elemento linguistico crea difficoltà in tal senso ed è necessario “attrezzarsi” per avviare una

comunicazione minima per intendersi; nel caso di arrivi e inserimenti improvvisi ci si avvale del mediatore

culturale che può informare le persone su ciò che sta accadendo perché possano entrare nella dimensione

della quotidianità della casa. In seguito, con le prime acquisizioni della lingua, le comunicazioni si

intensificano e riescono ad emergere i bisogni, le preoccupazioni, i desideri. I bambini e i ragazzi trovano nel

gioco un veicolo di interazione con gli altri e spesso un pallone, una bambola, una stanza ambientata, un

materiale messo a disposizione mediano le difficoltà di comunicazione, generando occasioni di “dialogo alla

pari”. Fra adeguamento e riconoscimento reciproco i ragazzi condividono i giochi, si confrontano, si

sperimentano nella ludicità e nelle modalità relazionali, trovando un equilibrio e stabilendo punti di

contatto. I momenti di gioco condivisi diventano patrimonio di relazione e richiamano alla memoria la

possibilità di stabilire legami con gli altri, creando vicinanza e prossimità con chi è diverso da me. La

diversità può divenire occasione di arricchimento reciproco se si è in grado di lasciare spazio all’altro dentro

di sé; è importante, dunque, favorire l’apertura e il dialogo, proporre dinamiche di gruppo in cui ciascun

soggetto possa essere attivo, valorizzare l’originalità di ciascun soggetto e creare percorsi di interazione in

un clima di fiducia e di rispetto. Talvolta, si rende necessario “rallentare per far spazio al legame”125 perché

la condivisione necessita di tempi non affrettati e di spazi in cui permanere. Si rallenta per generare

coesione, ci si ferma per perdersi e ritrovarsi, ci si mette in ascolto dei tempi di ciascun soggetto, ci si

prende cura dei contatti attivati perché non rimangano episodi sporadici ma diventino un nodo significativo

dell’intreccio di relazioni da costruire fra pari e con gli adulti.

Perché la dimensione ludica venga promossa e diventi spazio di interazione è necessario che la presenza

degli adulti veicoli il passaggio dal far giocare al mettersi in gioco. Il gioco, infatti “non è una cosa da

ragazzi” ma richiede di saper richiamare la disponibilità a intraprendere percorsi di vicinanza con i bambini

proprio con il linguaggio a loro più familiare. Ciò richiede la disponibilità a mettersi continuamente in gioco

e in discussione perché la presenza adulta sia significativa, sostenga le relazioni, dia vita a percorsi di

crescita, crei una comunicazione attenta ai più piccoli, autentica e orientata allo sviluppo continuo. Gli

adulti che sanno mettersi in gioco non hanno difficoltà a giocare perché possono in tal modo incontrare i

bambini e i ragazzi e condividere con loro esperienze significative. È necessario non invadere e non

124

Per ulteriori approfondimenti si vedano: Vygotskij L., Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma, 1994; Vygotskij L., Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma, 2010. 125

Revelli M., Perché non rallentare? Fare spazio al legame nella città dei flussi, in Animazione Sociale, 4, 2007, p. 3.

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trasformare a proprio piacimento il contesto della ludicità ma, piuttosto, provare a cimentarsi in regole e

norme condivise che descrivono la cornice in cui la relazione di gioco si svolge. Giocare in momenti di

criticità e di preoccupazione causati dalla malattia può non essere facile per un genitore e CasaOz può

sostenere la capacità di relazionarsi anche attraverso questa dimensione. L’adulto che conosce i personaggi

e si avventura nel meraviglioso mondo del Mago di Oz può attivare o riattivare la sua fantasia e declinare la

creatività proprio nelle modalità di relazione con i bambini e i ragazzi. Entrare a far parte o proporre

situazioni di gioco strutturate facilita l’avvicinamento alla ludicità e richiede di mettersi in gioco in minima

parte; può essere un buon allenamento per proporre in seguito attività e percorsi da vivere insieme ai

propri figli, in ascolto dei loro bisogni. Il gioco simbolico consente di attuare la dinamica dei ruoli, mettendo

in campo aspettative, modelli, stereotipi con cui nella quotidianità dobbiamo fare i conti: a fronte delle

proposte di bambini abbiamo possibilità di metterci in dialogo e di esplorare sentieri originali, stimolando la

curiosità e il desiderio di apprendere e di interrogarsi continuamente. Infine, l’adulto può sostenere

percorsi di avvicinamento fra bambini di origine e di provenienza differente, in quanto partecipanti alla

stessa realtà e soggetti di tempi e spazi di crescita condivisa.

Giocare e mettersi in gioco richiede di saper uscire dagli schemi istituzionali spesso attribuiti ai ruoli sociali

e, soprattutto richiama agli aspetti di gratificazione e di gratuità126 che il gioco, per essere tale, porta con sé.

In seguito al convegno e allo scambio di esperienze avvenuto ci sembra di poter sottolineare la necessità di

creare occasioni in cui giocare e mettersi in gioco, percorrendo un tratto di strada comune sul difficile

percorso della crescita continua. Le differenti identità potranno così incontrarsi, conoscersi, prendersi per

mano e proseguire il cammino, ciascuno con il suo passo ma, forse, un po’ meno sole.

Riferimenti bibliografici

AA.VV., L’animazione socioculturale, EGA, Torino, 2001.

Augè M., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Eleuthera, Milano, 1996.

Blandino G., Granieri B., La disponibilità ad apprendere, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.

Cyrulnik B., Malaguti E., Costruire la resilienza. La riorganizzazione positiva della vita e la creazione di

legami significativi, Edizioni Erickson, Trento, 2005.

De Bono E., Creatività e pensiero laterale, Rizzoli, Milano, 1998.

Delors J., Nell’educazione un tesoro, Armando Editore, Roma, 1997.

Filippi N., Per una dimensione pedagogica della speranza, in Pedagogia e Vita, 3, 2004.

Gordon T., Genitori efficaci. Educare figli responsabili, La Meridiana, Bari, 2007.

Gordon T., Relazioni efficaci, come costruirle, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005.

126

Pollo M., Il gioco come luogo di animazione, in AA.VV., L’animazione socioculturale, EGA, Torino, 2001, p. 163.

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244

Gordon T., Insegnanti efficaci. Il metodo Gordon: pratiche educative per insegnanti genitori e studenti,

Giunti Lisciani, Teramo, 1991.

Milani L., Un, due, tre…liberi tutti. Riflessioni e percorsi educativi tra disabilità e tempo libero, SEI, Torino,

2004.

Malaguti E., Educarsi alla resilienza. Come affrontare crisi e difficoltà e migliorarsi, Edizioni Erickson, Trento,

2005.

Mencarelli M., Creatività, La Scuola, Brescia, 1976.

Pollo M., Il gruppo come luogo di comunicazione educativa, LDC, Torino, 1990.

Pollo M., Animazione culturale. Teoria e metodo, LAS, Roma, 2002.

Revelli M., Perché non rallentare? Fare spazio al legame nella città dei flussi, in Animazione Sociale, 4, 2007.

Vygotskij L., Immaginazione e creatività nell’età infantile, Editori Riuniti, Roma, 1994.

Vygotskij L., Lo sviluppo psichico del bambino, Editori Riuniti, Roma, 2010.

Sitografia: www.casaoz.org ; www.minori.it ; www.unesco.org

4. Associazione Baby-Xitter e il gioco

Gianni De Corral127

L´Associazione Baby-Xitter (www.baby-xitter.org) nasce con l´obiettivo di offrire il primo servizio in Italia di

baby-sitting specialistico per minori diversamente abili.

In questa attività, principalmente legata al migliorare la qualità della vita del bimbo/ragazzo disabile, è

spesso presente “il gioco”, sia come strumento terapeutico (esercizi di logopedia, psicomotricità, etc.), sia

come mezzo di comunicazione e interazione.

Per noi il gioco è sempre un po’ “difficile”, perché spesso abbiamo di fronte ragazzi e bambini che non

riescono a giocare come vorrebbero, per deficit, mancanza d´attenzione, ansia, capacità cognitive e/o

motorie.

Ma è anche vero che il gioco è spesso il mezzo con cui relazionarsi e creare il primo contatto.

Per riuscire a far ciò dobbiamo tenere conto di alcuni punti estremamente fondamentali:

non dimenticare MAI che sono prima di tutto dei bimbi/ragazzi

partire dalle loro risorse e non dai loro problemi

pensare che la relazione con loro è un’occasione per entrambi e NON un problema

Il gioco per noi è uno degli elementi fondamentali per le nostre attività, tanto che nei nostri corsi di

formazione, dedichiamo delle ore sul tema gioco e come relazionarsi attraverso questo.

127

Presidente Associazione Baby-Xitter

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245

L’attività ludica è studiata per le nostre attività ordinarie, ma ci è stata utile anche per un’inaspettata

attività straordinaria.

L´esperienza nata come gioco, si è rivelata utile per una tragica situazione.

Ecco come: noi collaboriamo a volte con l’ANPAS e, quindi, anche con la Protezione Civile.

Nel 2008 quest’ultima ci ha chiesto di fare una serie d´incontri per capire, in caso di calamità, come

intrattenere i bimbi nel periodo di permanenza nelle strutture protette per l´infanzia.

Così abbiamo fatto alcuni incontri con una psicologa esperta in psicologia della catastrofe, con esperti di

attività ludiche su come creare giochi con materiali semplici e di recupero e su come utilizzarli per

relazionarsi con loro.

Nel giugno dello stesso anno è stata organizzata una grossa manifestazione di tre giorni dove è stata fatta

anche una vera e propria esercitazione di protezione civile.

In quei tre giorni avevamo, insieme a loro, il compito di intrattenere nelle strutture protette per l´infanzia i

bimbi arrivati.

È stata un´esperienza importantissima e bellissima.

Quello che più è saltato all’occhio è di come un gioco costruito direttamente dal bambino, diventi un

oggetto preziosissimo e unico per lo stesso.

Ne è un esempio il fatto che una delle tre giornate fosse dedicata alla costruzione di piccole mongolfiere

(gonfiate con elio). Queste sarebbero dovute partire tutte insieme per far arrivare in cielo i desideri dei

bambini, che erano stati scritti in foglietti inseriti dentro i piccoli cestini alla base delle mongolfiere. Il lancio

non è stato fatto, perché nessun bambino ha voluto lasciare la propria mongolfiera! Non avremmo mai

pensato che quest’esperienza sarebbe stata utile a distanza di pochi mesi per il terremoto in Abruzzo.

Anche noi siamo stati presenti nei Campi di Barisciano (AQ) e Acquasanta a L´Aquila, occupandoci

principalmente dei minori disabili presenti nelle due tendopoli. Anche qui il gioco è stato “vitale”... le scosse

sismiche venivano vanificate dal gioco che continuava. Ma non solo, i giochi creati da loro erano

nuovamente dei “loro giochi” (dopo aver perso i propri sotto le macerie) e soprattutto gli unici apprezzati

veramente, a differenza di tutti quelli arrivati in donazione.

Abbiamo voluto accennarvi questi episodi per sottolineare l´importanza del gioco nella vita dei bambini.

Anche se credo sia importante, “per vivere”, che il gioco continui ad essere presente anche negli adulti.

Ora, tra i nostri futuri obiettivi c´è quello di realizzare la prima CASAGIOCO, dove accogliere minori disabili e

normodotati insieme, per attività ludiche libere e strutturate, dove utilizzare il gioco come importantissimo

mezzo per l´integrazione e la crescita.

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5. La storia del gioco in ospedale a Parma

Corrado Vecchi 128

1991: il gioco entra in ospedale

La cooperativa sociale Le Mani Parlanti ha attivato dal 1991 fino al 1997, nel reparto di Oncoematologia

pediatrica, un’attività ludico-espressiva e relazionale. Obiettivo principale era “far giocare” i bambini: non

comico-terapia, clownterapia o ludoterapia, ma gioco, in cui la fantasia del bambino si espandesse

nell’esplorare il mondo attorno, trasformandolo secondo il proprio desiderio. L’organizzazione ospedaliera,

per far sì che la fantasia del bambino trovasse collocazione nell’ambiente ospedaliero, ha dovuto

modificarsi per dare spazio a questa nuova “attività” ed è stato necessario:

porre attenzione alle norme igieniche generali (per evitare la trasmissione di malattie);

valutare le caratteristiche di “pericolosità” dei giochi (pezzi troppo piccoli, sostanze tossiche, ecc.);

considerare gli aspetti logistici del materiale di gioco, tempi di attività da intersecarsi con altre di

riferimento (terapie, riposo, scuola, ecc.);

valutare le preoccupazioni dei genitori, giustamente orientati alla malattia e alla terapia più che ad altro;

evitare l’attivazione di complicazioni: reazioni allergiche alle sostanze di gioco (colori, pongo, mastici,

ecc.).

sormontare preconcetti culturali (i bambini sono malati, si giocherà a casa, i bambini devono rimanere a

riposo…)

1997: si progetta

Il dott. Izzi e la cooperativa sociale Le Mani Parlanti propongono agli assessorati alle Politiche socio-

assistenziali e alle Politiche educative la lettura della legge 285/97 “Disposizione per la promozione dei

diritti e opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” per la riduzione del disagio giovanile, e la relativa

Direttiva Regionale come utile strumento di intervento a favore dei bambini ricoverati in ospedale,

riconosciuti come minori in difficoltà.

1998: si inizia

È l’anno d’inizio ufficiale del Progetto Giocamico, che ha ottenuto il finanziamento previsto dalla legge

285/97. La cooperativa sociale Le Mani Parlanti attiva il progetto, sovvenzionato oggi dall’Azienda

Ospedaliera Universitaria di Parma che si è fatta capofila, dal Comune e dalla Provincia di Parma.

Oggi il progetto Giocamico è composto da:

1 responsabile generale

7 educatori (1 psicoterapeuta, 4 psicologi e 2 educatori professionali)

128

Responsabile della Cooperativa Le Mani Parlanti di Parma

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4 tirocinanti post laurea in Psicologia

tirocinanti di Psicologia - Scienza dell’Educazione

200 volontari (inseriti a seguito di un percorso di formazione di quindici ore che riguarda, tra l’altro, le

responsabilità personali, le norme gestionali, il segreto professionale, le regole vigenti, i vestimenti, le

mascherine,etc.).

Con queste collaborazioni è possibile svolgere l’attività nei reparti tutti i giorni, compresa la domenica e le

festività, sia al mattino che al pomeriggio.

Filosofia del progetto:

Il bambino ha bisogno del gioco per conoscere, imparare e quindi crescere: anche in ospedale è valida la

stessa esigenza. Il fatto di essere ricoverato non vuol dire che la sua crescita si fermi per riprendere una

volta dimesso. Infatti, è diritto di ogni bambino che si trova ad affrontare l’esperienza dolorosa e

destrutturante della malattia e del ricovero ospedaliero, avere tutte le possibilità per esprimere la

propria emotività.

Nella Carta dei diritti dei bambini ospedalizzati l’articolo 7 afferma il diritto al gioco:

“Il bambino deve avere piena possibilità di gioco, ricreazione e studio adatta alla sua età e condizione, ed

essere ricoverato in un ambiente strutturato, arredato e fornito di personale adeguatamente preparato”.

Inoltre l’articolo 10, afferma che:

“Il bambino deve essere trattato con tatto e comprensione e la sua intimità deve essere rispettata in ogni

momento”.

L’attività di Giocamico, oltre ad essere un’attività ludica che utilizza giochi strutturati, ha come priorità la

costruzione di giochi (pupazzi, burattini e altro) con i bambini stessi utilizzando carta, stoffa e cartoncini. I

bambini e le bambine hanno inoltre prodotto numerosi spettacoli di burattini che sono stati rappresentati

da loro stessi nei rispettivi reparti e il filmato dello spettacolo è poi stato mostrato agli altri pazienti.

Giocamico ha quindi tra i suoi obiettivi:

attivare momenti di gratificazione e di gioia;

favorire la socializzazione e quindi l’integrazione sociale;

offrire una continuità con la vita normale di tutti i giorni;

attivare iniziative di gioco a valenza anche terapeutica.

Progetti “speciali”: con questa dicitura s’intendono tutti quei progetti che vanno oltre la “normale”attività

ludico-relazionale quotidiana nei reparti e che utilizzano il gioco in tecniche psicologiche finalizzate ad

obiettivi precisi.

Oltre il Gioco

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Dal 1999, su richiesta dei responsabili del Centro per le Fibrosi Cistiche della Clinica pediatrica, è stato

attivato un servizio specifico per i pazienti affetti da fibrosi cistica; l’attività riguarda l’accompagnamento

dei pazienti, durante le ore di permesso, anche al di fuori dell’ospedale per trascorrere momenti di svago.

In viaggio con fantasia

È un progetto, attivo nel reparto di Oncoematologia pediatrica dal 2002, che si pone come obiettivo quello

di aiutare i bambini che saranno sottoposti a pratiche diagnostiche e terapeutiche dolorose, a controllare,

attraverso tecniche di rilassamento, di gioco con l’utilizzo della fantasia, la loro paura nei confronti di ciò

che dovranno affrontare.

Io speriamo che me lo merito

Progetto attivo nel reparto di Oncoematologia pediatrica che si rivolge a tutti i pazienti che vengono

sottoposti a interventi diagnostici e terapeutici dolorosi. Viene premiata la loro “forza” e la loro

collaborazione, che in questi momenti è estremamente importante, con un attestato di merito e con la

possibilità di scegliere un gioco all’interno di un catalogo. Questo progetto prevede il coinvolgimento del

personale che deve consegnare l’attestato e il catalogo.

Dott. Nanza

Progetto attivo dal 2007 nel Reparto di Medicina nucleare, rivolto ai pazienti pediatrici che devono essere

sottoposti all’esame di risonanza magnetica. Attraverso un’attività di gioco, con l’utilizzo dei presidi medici

che incontreranno durante lo svolgimento dell’esame, gli educatori preparano i/le bambini/e ad affrontare

il suddetto percorso diagnostico.

Scintigrafia

Progetto attivo dal 2009 nel Reparto di Medicina nucleare, rivolto ai pazienti che devono essere sottoposti

all’esame di scintigrafia. Gli educatori, nei momenti in cui i bambini attendono di essere sottoposti

all’esame, svolgono attività ludica e forniscono supporto ai genitori.

Domiciliazione dell’intervento

Attivo sin dall’inizio del progetto Giocamico, riguarda soprattutto i pazienti del reparto di Oncoematologia

che non sono della nostra città e ai quali è stato dato un alloggio e che, pur non essendo ricoverati in

ospedale, vivono nella loro abitazione una sorta di isolamento, specialmente per motivi terapeutici.

In questi casi sono allora le educatrici o i volontari del progetto che si recano all’abitazione per offrire

momenti di gioco e svago ai bambini permettendo inoltre ai genitori di usufruire di tempo libero.

Alla scoperta del Pianeta S.O.

È un progetto attivo nel reparto di Chirurgia infantile, iniziato nel 1999 con l’obiettivo di far conoscere e

sperimentare ai bambini e alle bambine in età compresa fra i cinque e gli undici anni, che dovranno essere

operati, gli strumenti diagnostici e terapeutici che incontreranno nel comparto operatorio.

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Offre contenimento emotivo per bambini e adulti in un momento dove ansia e preoccupazione,

solitamente, sono di difficile gestione, permettendo loro di adattarsi all’ambiente ospedaliero solitamente

fonte di paura.

Avere la possibilità di conoscere e sperimentare sotto forma ludica permette di affrontare con maggiore

sicurezza e tranquillità la nuova situazione che incontreranno.

Alla scoperta del Paese S.O.

Progetto nato nel 2003 con le stesse finalità del precedente, ma rivolto ai bambini e alle bambine (ed ai

loro genitori) in età compresa fra i tre e i quattro anni. L’attività cerca di avvicinare i/le bambini/e e i

genitori alle figure mediche ed infermieristiche presenti nel comparto operatorio. Attraverso il gioco è

facilitata la loro conoscenza, affinché si sviluppi nei bambini fiducia e tranquillità verso la stessa équipe

medica.

6. Tra la nebbia ed il deserto

Storie di incontri, giochi e formazione professionale tra le due sponde di un mare

Maria De Vita129

Prologo

Giugno 1998: il Comune di Alessandria decise di aprire la ludoteca C’è sole e luna. Uno spazio organizzato

per il gioco, progettato e realizzato per essere un servizio socio-educativo, basato sulla relazione e sulla

creazione di condizioni attente all’universo complesso che ogni bambino contiene, attente alla sua libera

espressione, al suo bisogno di cura e di socializzazione con altri bambini, ma anche con adulti che abbiano

tempo e voglia di giocare.

Aprile 2001: lo stesso Comune di Alessandria attivò un nuovo servizio socio-educativo, il ludobus

L’Arcoincielo, un furgone pieno di giochi ed attrezzature ludiche, che si muove per tutta la città, per

incontrare e fare giocare chi incontra, soprattutto in aree e quartieri periferici e decentrati, normalmente

più carenti di servizi ed opportunità per i bambini.

Senza queste due date, la storia che stiamo per raccontarvi, non ci sarebbe mai stata...

Dal nulla sbucò quando meno ce lo aspettavamo, o forse sì… dalle sue tasche uscivano

ora musica, ora raggi di luce, ora macchie dai mille colori. Ma la cosa più strabiliante è

che parlava una lingua che tutti riconoscevano…

Una fredda sera del febbraio di quattro anni fa, arrivarono, in ritardo sull’orario previsto, infreddoliti, ed

assai poco attratti dalla cena che avevamo preparato per loro, sette operatori dei servizi sociali di

129

Referente della ludoteca C’è sole e luna - Comune di Alessandria

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Kasserine, una periferica città della Tunisia, fuori dai circuiti turistici e dai flussi di investimenti, e con un

tessuto economico e sociale che spesso vede nell’emigrare altrove l’unica risorsa.

Questi sette viaggiatori che, guardando un cibo a loro non famigliare, ci stavano riservando un gentile ma

perplesso sorriso, erano venuti ad Alessandria per comprendere come funzionavano e come avrebbero

potuto essere loro utili gli obiettivi, le modalità di intervento, gli strumenti della ludoteca C’è sole e luna e

soprattutto del ludobus L’Arcoincielo.

Il fine era quello di far nascere, anche nella regione di Kasserine, un servizio di ludobus, vale a dire un

progetto socio-educativo capace di compiere una serie di azioni utili alla prevenzione del disagio dei minori,

attraverso la realizzazione di momenti ed iniziative di gioco ed animazione, aventi lo scopo di creare

occasioni di integrazione positiva, di socializzazione, di valorizzazione delle creatività e delle potenzialità di

bambini ed adolescenti. Ma bisognava anche pensare di fornire possibilità di informazione,

sensibilizzazione, e sostegno ai loro genitori, in particolare alle molte mogli di emigrati, spesso sole ed

isolate in luoghi decentrati, ma impegnate a portare (in Tunisia come nel resto del mondo) sulle proprie

spalle i carichi della vita quotidiana.

Il ludobus avrebbe dovuto inoltre contribuire alla diffusione, in quella realtà, di una cultura ed una pratica

della “rete”, creando iniziative capaci di implementare la collaborazione tra i differenti soggetti, istituzionali

e non, attivi nel settore socio-sanitario e nel settore educativo, per una ottimizzazione delle risorse già

presenti a Kasserine.

Una serie di responsabilità complesse ed obiettivi ambiziosi, che il ludobus di Kasserine avrebbe dovuto

svolgere, su un territorio molto vasto e punteggiato da villaggi e piccoli insediamenti lontani e scollegati gli

uni dagli altri. Gli operatori tunisini avrebbero dovuto portare in giro i loro giochi e le loro occasioni di

incontro con bambini ed adulti attraversando, non una urbanizzata pianura spesso nebbiosa, ma spazi dove

le case si fanno sempre più rade e le strade sembrano condurti ai margini del deserto.

Come fare?

Proprio allo scopo di trovare risposte a questa domanda cominciò allora un percorso di formazione, di

scambio di esperienze e metodologie tra noi operatori del Servizio minori e giovani del Comune di

Alessandria, (in particolare i funzionari responsabili di quei servizi, gli animatori della ludoteca e del

ludobus) e gli animatori, gli educatori e gli assistenti sociali del “Ministero per la donna e l’infanzia” ed il

“Ministero per gli affari sociali” di Kasserine.

Un percorso complesso, che ha sempre fatto dell’incontro tra le storie personali e professionali dei

partecipanti, il cardine della riflessione teorica e delle scelte metodologiche della formazione. Quindi un

percorso faticoso ed entusiasmante, ma fondato su poche ma preziose convinzioni, ormai quasi “tatuate”

sulla nostra pelle di operatori:

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La fiducia che la differenza (di provenienza, di esperienza, culturale, ecc.) può certo causare problemi ma

può essere anche una ineguagliabile risorsa, se la si riesce a percepire non come un’anomalia da ridurre,

ma come un’opportunità unica di conoscenza degli altri, e in particolar modo di se stessi.

La fiducia che il gioco possa essere uno strumento ideale per realizzare tutto ciò, uno strumento

universale, immediato e accessibile. Capace di sorvolare i confini ed annullare, per un sospeso attimo, le

distanze, rimanendo sempre scanzonato, leggero e fedele a se stesso.

La convinzione che il lavoro di rete, di messa in contatto e di tessitura di relazioni tra le varie realtà

presenti su di un territorio, sia un lavoro che richiede pazienza e sia spesso irto di ostacoli, ma che

produce risultati insperati, il cui valore va ben al di là della somma delle parti e che accresce, in chi vi

prende parte, il senso di partecipazione e di cittadinanza.

Dal febbraio 2004 il viaggio è proseguito e sta continuando, attraverso periodici scambi, che ci permettono

di verificare come, pur tra i numerosi intoppi, i servizi continuino ad esistere e crescere. Dal giugno 2006 si

è unita al progetto anche un’altra città, Mahdia, un dinamico centro turistico in forte espansione, che ha

inaugurato, nell’agosto 2007, il proprio ludobus e la propria ludoteca.

Prima di concludere è indispensabile evidenziare l’operato di due presenze fondamentali per la nascita ed il

mantenimento in buona salute di questi progetti e di tutta questa esperienza. In primo luogo

l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni di Tunisi, che ha prima favorito l’incontro tra i partners

internazionali, ed ha poi supportato, soprattutto attraverso l’instancabile attività di un suo giovane

funzionario, Mourad Hennar, le varie fasi dell’esperienza, rinvenendo fondi, garantendo le relazioni,

fornendo un supporto operativo e logistico alle idee.

L’altro ingrediente fondamentale di questa riuscita amalgama è Jamila Jakani, mediatrice culturale dello

“Sportello per cittadini stranieri” del Comune di Alessandria, senza le cui molteplici capacità, senza la cui

intelligenza nel cogliere, unire, distinguere le varie situazioni, senza la cui passione e allegria (e un briciolo

di follia…) la strada percorsa sarebbe stata molto, molto più corta.

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Capitolo 10

La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare

Il tema: riflessioni sulla formazione professionale ludica, in un momento in cui la dimensione europea del

gioco si confronta per trovare indicatori e parametri sulla costruzione delle competenze tra teoria, prassi e

autenticità ludica. In particolare come si è modificata la formazione professionale dei ludotecari? La

formazione permanente è un’esigenza sostenuta, chi sono gli operatori che si occupano di gioco in termini

educativi? Quali i riferimenti regionali? E gli stessi sono comparabili? Quali possono essere le relazioni con il

mondo europeo per avviare scambi e interconnessioni?

Coordinamento a cura di: Tamara Lavina, Bernardetta Gallus

Contributi di: Bernardetta Gallus (Forcoop Agenzia formativa - Torino), Tamara Lavina (ludoteca Drago

Volante - ITER - Torino), Luisa Norgia (CSEA - Torino), Irene Catalano e Deborah Bontempo (associazione Il

dado magico, Capo d’Orlando - ME), Simona Straccamore (cooperativa Finisterrae - Frosinone)

Riflessioni e lavoro di gruppo

Tamara Lavina, Bernardetta Gallus

La cornice del contesto normativo di riferimento

Prima parte

La legge Turco ha significato uno spartiacque nell’organizzazione e nell’erogazione dei servizi all’infanzia e

all’adolescenza nell’ente pubblico, istituendo una collaborazione progettuale e fattiva fra privato sociale e

istituzioni pubbliche. La legge 285/97 si proponeva di intervenire per migliorare le condizioni di vita e

prevenire il disagio di bambine e bambini, di ragazze e ragazzi.

L’aspetto innovativo prevede un accordo tra soggetti che devono condividere obbiettivi e risorse mettendo

in luce e strutturando un intervento che tenga conto dei bisogni del territorio. Infatti anche nella

dimensione microsociale i territori sono luoghi di vita, che offrono diverse possibilità di realizzazione e

presentano diversi ordini di problemi. Il territorio mette in luce il valore dell’esperienza educativa

quotidiana: quell’ambito in cui abbiamo esperienza della relazione faccia a faccia.

Il mondo vitale quotidiano costituisce dunque l’ambito di ciò che è vicino, di ciò che è “familiare”.

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Prima di tutto la legge 285/97 ha alle sue spalle la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo (1950 Nazioni

Unite), la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (1989 New York) e poi la Carta di Barcellona

(1992).

Prima della 285/97 la formazione del personale nell’ente locale era soprattutto interna e funzionava come

aggiornamento per le insegnanti delle sezioni di scuola materna: ad esempio le due ludoteche nate a Torino

nel 1981 formavano le insegnanti di scuola materna comunale.

Le finanziarie degli anni ‘90 hanno impedito alle amministrazioni locali l’assunzione di nuovo personale,

soprattutto sui servizi per il tempo libero e quindi si è posto il problema della continuità di questi servizi. La

285/97 ha dato una risposta parziale ma indispensabile alla possibilità dei servizi di sopravvivere. A questo

punto si è posto il problema della formazione degli educatori in relazione alle esigenze dei servizi.

Nel 2004, per tutelare l’esperienza educativa dei Centri di Cultura, è nata ITER, Istituzione Torinese per una

Educazione Responsabile. Nel progetto di ITER vengono individuati i parametri e gli indicatori su cui si

costruiscono le competenze a due livelli:

per gli insegnanti comunali

per educatori di cooperative (che gestiscono servizi in regime di outsourcing)

con lo scopo, per le ludoteche, di mettere al centro il diritto al gioco del bambino, la relazione e la

trasmissione del sapere ludico. Un servizio complesso e diversificato che si confronta quotidianamente con

altre figure pedagogiche, come ad esempio educatori affidatari, educatori di comunità, insegnanti,

educatori di cooperative e genitori. Tutti soggetti educanti che richiedono ai ludotecari una proposta

formativa specifica in rapporto alla relazione che essi hanno con il bambino o il ragazzo.

Seconda Parte

Come vengono formati i ludotecari o gli esperti del gioco in Italia? Quali competenze devono avere? Si

tratta di competenze specifiche di questa professionalità oppure sono competenze diffuse nella educazione

formale e informale dell’individuo? Quali sono le professioni coinvolte nel ruolo del saper giocare?

Sintesi del panorama piemontese e italiano: In Piemonte l’agenzia formativa CSEA ha proposto negli anni

scorsi la formazione per il tecnico di laboratorio educativo ludico di 600 ore, in collaborazione con il

Comune di Torino, finanziato dal Fondo Sociale Europeo.

In Italia, già nel lontano 1989, la regione Sardegna aveva istituito un corso di operatore di ludoteca come

qualifica regionale di 800 ore. Le esperienze della formazione non mancano nel panorama italiano, non

esiste però una normativa nazionale che inquadri questa professionalità del ludotecario o come lo si voglia

denominare in modo univoco e condiviso. Infatti gli standard formativi della Regione Piemonte al momento

non hanno un profilo di riferimento. Diverse agenzie formative, esperte nel settore educativo e

dell’animazione, hanno tentato in questi anni di farsi finanziare i corsi per operatore di ludoteca o per

tecnico di ludoteca e di ludobus (per esempio Forcoop Agenzia Formativa) con il fondo sociale europeo della

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nostra Regione che, pur avendo approvato i corsi, non li ha quasi mai finanziati, non essendo questi ultimi

considerati prioritari per il mercato del lavoro.

In altre regioni italiane esistono esperienze di diverso tipo realizzate negli ultimi vent’anni: si passa da corsi

brevi di 24 ore a corsi di 800 ore o più, proposti da diverse agenzie, associazioni o centri di formazione.

Forte l’esperienza del Lazio che presenta un’offerta interessante, non solo come formazione finanziata ma

anche come offerta formativa a pagamento (ad esempio la Regione Lazio rilascia un attestato di qualifica

riconosciuta a livello regionale). Questa regione ha diversificato la filiera formativa (tecnico di laboratorio

creativo versus tecnico di ludoteca, piuttosto che operatore di ludoteca, o coordinatore di ludoteca, o

semplicemente ludotecario). Nel Lazio, oltre alla formazione base di questi operatori, vi è un’offerta nella

formazione superiore universitaria.

Infatti in questo anno formativo 2009-2010 l’Università degli Studi Roma 3, presso la facoltà di Scienze della

Formazione (Filiera Educativo Professionale - E.P.C.) ha istituito un corso di approfondimento dal titolo

“Ludoteconomia e programmazione delle attività e tecniche educative” a cura del prof. Umberto De Angelis

(del valore di 10 CFU - crediti formativi universitari).

Anche altre Regioni non sono da meno: l’offerta di corsi per tecnici di ludoteca e/o per ludotecari è forte

anche in Lombardia, in Emilia Romagna, in Toscana, in Veneto, in Abruzzo, in Sicilia, in Puglia, in Campania e

si può dire che tutte le Regioni italiane abbiano espresso esperienze in questi ultimi anni, più o meno

strutturate, di formazione delle competenze necessarie a questa tipologia di professionista sia nella

Formazione professionale che in campo privato profit (con corsi a pagamento) che nel Terzo Settore no

profit (ad esempio cooperazione sociale e associazionismo del settore).

La filiera delle professioni contigue al tema pedagogico del sapere e del saper giocare è comunque lunga,

infatti molte professioni intervengono, a diverso titolo, su questo tema portandosi dietro un dominio di

competenze abbastanza diversificato sul fronte del sapere, saper fare e saper essere (se vogliamo utilizzare

questa modalità descrittiva delle capacità umane).

L’elenco sarebbe lungo:

educatori professionali (con laurea triennale attualmente in uscita da diverse Facoltà universitarie; il

titolo più forte normato a livello nazionale è quello del D.M. 529/98)

animatori professionali

educatori prima infanzia (con formazione sia in ambito di Formazione professionale che in ambito

Universitario)

animatori della prima infanzia

educatori per il gioco in ospedale

clown socio-sanitari (standard in osservazione in Regione Piemonte)

assistenti educativi

insegnanti

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tecnici creativi e altri ancora.

Non ci dilunghiamo per non annoiare ma queste professionalità, questi agenti educativi che utilizzano il

gioco a diverso titolo come strumento di lavoro, quali competenze in comune hanno sul tema del sapere e

del sapere giocare? È necessario focalizzare una specializzazione di competenze specifiche in questo settore

per operare con maggiore consapevolezza e responsabilità, oppure no? Se sì, come? Questo è il tema di

confronto del nostro gruppo di lavoro.

Possibili domande-guida per stimolare la discussione:

per operare nei centri ludici quale formazione di base e quali requisiti di ingresso?

Il repertorio ludico è necessario? È necessario saper giocare e saper fare giochi, con conoscenza di giochi

e giocattoli?

La conoscenza pedagogica, come conoscenza di base della psicologia dell’età evolutiva, è una

conoscenza imprescindibile per questa tipologia di operatori? Soprattutto conoscenze legate al valore e

all’importanza del gioco per lo sviluppo armonico nell’infanzia?

Quali sono i bisogni politici, culturali e formativi di questi professionisti?

Necessitano di conoscenze legislative?

È necessaria una conoscenza del territorio e una connessione con altre figure pedagogiche (ad esempio

servizi sociali, scuola, ecc.)

Quale rapporto con le istituzioni, in particolare quelle locali, in vista di una definizione dei ruoli fra

pubblico e privato?

Quali relazioni con l’Università per costruire un riconoscimento formale e istituzionale del ruolo del

ludotecario e delle ludoteche?

Soprattutto quale formazione dare? La sperimentazione a macchia di leopardo in Italia, sul tema della

formazione di questa professionalità, dura ormai da più di vent’anni senza aver visto una regia unica a

livello di normativa nazionale. Cosa ne pensate?

Quali competenze di base? Quali competenze tecnico-professionali? Quali competenze trasversali

dovrebbe avere questo professionista? Formazione teorica e pratica?

Formazione: continua e permanente?

I finanziamenti per la formazione sono un nodo critico?

Quali strategie per uniformare e condividere un profilo di competenze necessarie a operare nel settore?

Lavoro di gruppo

I partecipanti hanno portato le loro esperienze nella formazione degli operatori del settore e le loro idee

nel merito, con interventi brevi di cinque minuti, secondo la metodologia del focus group, la funzione di

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moderatore è stata svolta dai due coordinatori. Le esperienze ed opinioni sono state raccolte in un power

point di sintesi da condividere nella discussione allargata del pomeriggio.

Obiettivi del focus group:

1. confrontare l’esperienza dei partecipanti sul tema della formazione e delle professionalità coinvolte

nel tema del sapere e saper giocare (e in generale degli attori educativi coinvolti in questo tema,

comprese le figure adulte non genitoriali, come per esempio i nonni, che allo stato attuale svolgono

una funzione educativa anche di tipo genitoriale);

2. analizzare la costruzione di competenze teoriche e pratiche di un ludotecario, attraverso la ricerca

di parametri su cui si costruiscono le competenze, per arrivare in futuro ad una carta formativa

comune fra pubblico e privato e spendibile a livello europeo.

Il lavoro del gruppo si è aperto con una breve relazione delle due coordinatrici, Bernadetta Gallus, della

Forcoop e Tamara Lavina, insegnante del Comune di Torino, che hanno presentato al gruppo di lavoro il

contesto normativo di riferimento e gli elementi per avviare la discussione tra i partecipanti.

È subito apparsa chiara l’eterogeneità del gruppo, in cui erano presenti figure professionali molto diverse:

insegnanti, educatori di asilo nido sia pubblico che privato, ludotecari, formatori di agenzie e cooperative,

dipendenti e coordinatori di cooperative, di associazioni e di istituzioni pubbliche. Questa eterogeneità ha

reso sicuramente più ricco il confronto.

Il primo intervento è stato a cura di Luisa Norgia, da trent’anni formatrice per lo CSEA di Torino, che ha

messo in luce l’esperienza come elemento cardine dell’intervento formativo “una formazione che non è

istruzione né addestramento” ma che ha come obiettivo le esigenze dei servizi sul territorio e quindi parte

dall’analisi dei bisogni di questi servizi e dalle capacità individuali per arrivare a definire un percorso

formativo individualizzato. È una formazione non rigida che si adegua alle esigenze di cui segue il

cambiamento.

Simona Straccamore, cooperativa Finisterrae di Frosinone, ha sottolineato l’importanza di una formazione

permanente, sia su tematiche specifiche che trasversali, capace di integrare l’esperienza vissuta con la

teoria (non si può parlare di gioco senza giocare). Una formazione flessibile spendibile in ambiti di servizi

diversi: dall’infanzia, all’adolescenza, agli adulti. Ha sottolineato, inoltre, l’importanza di un coordinamento

nazionale. Oggi Ali per Giocare rappresenta una realtà in questa direzione.

Un differente approccio è stato quello di Irene Catalano, presidente dell’associazione Il Dado Magico, con

sede a Capo d’Orlando (ME), che ha introdotto un nuovo elemento nella discussione: il partire da sé. Il suo

intervento, infatti, ha preso il via da quello che è stato il suo percorso formativo, dall’essere insegnante

statale, al momento in cui intraprende il percorso dell’associazionismo o del privato sociale. La sua

formazione inizia a Firenze con Giorgio Bartolucci, al Centro Internazionale delle Ludoteche. Purtroppo la

realtà del Sud è una realtà complessa, dove esistono forti potenzialità e motivazioni, ma dove le

amministrazioni locali sono l’ostacolo più grande. Non esiste un impegno per la formazione dei ludotecari

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né ludoteche vere e proprie. Cambiare le cose si rivela spesso impossibile a causa di un contesto “chiuso”

alla verifica e al mutamento. L’associazione svolge un lavoro con le famiglie in situazioni di disagio,

promuovendo e valorizzando i ruoli della maternità e paternità responsabile.

Altro tema centrale è stato messo in luce da Pasquale, cooperativa Valdocco di Torino, che partendo dal

clown di corsia di ospedale ha portato al centro del dibattito le emozioni e il saper “far vibrare attraverso il

gioco le corde dell’emozione” (empatia), “saper vivere sulla propria pelle l’emozione nel rielaborare

esperienze infantili a volte dolorose”. Necessità quindi di uno “zoccolo duro” su cui costruire la propria

professionalità, sintesi di formazione teorica ed esperienza di vita, frutto di un costante lavoro introspettivo

e una pratica di verifica e di analisi del lavoro svolto.

Le domande sorte nel gruppo di lavoro a questo punto sono state: come inserire in un corso di formazione

il lavorare di pancia? Come insegnare la motivazione? Michela, educatrice di cooperativa presso una

ludoteca a Torino, ha affermato che spesso ci si trova a lavorare poche ore con un conseguente contributo

economico piuttosto basso, evidenziando a questo proposito l’esigenza di un riconoscimento sociale del

lavoro del ludotecario e dell’educatore. Sicuramente questo aspetto è molto importante e non può essere

dimenticato, anche se, ha affermato Martina (cooperativa sociale Abruzzo), “è importante il rapporto di

pancia”, molto utile per superare ed affrontare situazioni drammatiche, come il lavoro nelle ludoteche delle

tendopoli dopo il terremoto a L’Aquila; è importante inoltre la capacità di cogliere le sensibilità dell’altro.

Luisa, della ludoteca L’Aquilone di Torino, ha focalizzato l’attenzione su un nuovo elemento, i prerequisiti:

va bene l’intervento di pancia, l’emozione, ma è anche fondamentale un supporto teorico che getti le basi

della formazione, una formazione che dovrà essere permanente.

Nella discussione finale sono emersi interrogativi legati agli obiettivi propri delle ludoteche oggi, che

vedono il proprio presente problematico, soprattutto rispetto al riconoscimento di un servizio che vede al

centro il gioco, il bisogno di gioco dell’infanzia e un futuro difficile da riprogettare. La precarietà

istituzionale, la fragilità di una prospettiva non impediscono al gruppo di lavoro di pensare che la ludoteca e

il lavoro sul gioco oggi siano elementi da cui partire per costruire una consapevolezza fondata sulla

relazione, sulla responsabilità educativa calata nella vita quotidiana. Inoltre si è sottolineata la necessità di

un legame con il mondo universitario, richiedendo all’Università stessa di revisionare i suoi contenuti e i

suoi metodi, spesso troppo accademici e separati dalla realtà che il futuro educatore dovrà affrontare.

Dalla discussione di questo gruppo di lavoro, peraltro molto numeroso, sono emerse in sintesi le seguenti

riflessioni conclusive:

1. l’esperienza pratica sul campo è un elemento cardine da valorizzare: è stato infatti considerato in

modo unanime come sia importante “gettare” la formazione teorica dei nuovi operatori del gioco

nella prassi professionale dei contesti di intervento (ludobus, ludoteche, scuole, centri di

aggregazione, ecc.),

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2. la necessità di valorizzare l’esperienza sul campo come il “nutrimento” della formazione continua e

permanente.

Con ampia condivisione i punti di partenza sopra elencati sono stati ritenuti imprescindibili per

l’impostazione di un lavoro formativo e autoformativo in continua evoluzione.

Un elemento trasversale molto interessante e di valore, che è emerso in modo appassionato dall’intervento

di un clown dottore130 (con riferimento all’esperienza del gioco in ospedale a servizio dell’umanizzazione

della cura), è la forza motivazionale che i professionisti del gioco devono avere e devono metterci nei loro

interventi. Quest’ultimo aspetto, trasversale ai contesti professionali di intervento degli operatori del gioco,

abbinato ad un approccio creativo ed emozionale, si è ritenuto che debba essere inserito in una formazione

di base, oltre che da considerarsi come un prerequisito fondamentale (competenze trasversali: saper

essere), che deve essere costantemente nutrito e curato in un sé professionale sempre in divenire.

Nel gruppo è stato molto dibattuto, anche attraverso l’intervento puntuale di Luisa Norgia131, il concetto

che una buona formazione di base e trasversale non debba essere per forza imbrigliata in una forte

standardizzazione, anche perché la diversità delle esperienze territoriali porta in sé i valori e le specificità

delle persone e della comunità locale.

In questa cornice di senso (non eccedere nella standardizzazione dei percorsi formativi) nel gruppo si è

ritenuto necessario dare al ventaglio delle professioni che operano in campo ludico ed educativo una

formazione di base (“zoccolo duro”, così qualcuno dei partecipanti la definiva), nel rispetto delle differenze

e senza appiattire il senso e lo scopo della formazione stessa.

A questo proposito il gruppo ha ritenuto molto importante aggiungere alla formazione di base, da declinarsi

in competenze di: sapere, saper fare, saper giocare e sapere essere, una formazione di tipo tecnico-

professionale continua e permanente, riconosciuta anche a livello universitario, senza cadere nella trappola

dell’accademismo.

Punti aperti e problematici

Dagli interventi è emerso come purtroppo ancora lo status professionale e la riconoscibilità sociale dei

professionisti del gioco sia molto scarsa. La rilevanza educativa data alle ludoteche e ai servizi connessi è

ancora molto poco compresa, quindi come conseguenza non solo sono poco finanziate le politiche dell’agio

e del benessere sociale ma anche i servizi formativi rivolti a questa tipologia di professionalità.

In conclusione, il gruppo ha rilevato come le risorse destinate al sostegno del diritto al gioco, sia per

mantenere i servizi in essere, sia per non disperdere le competenze e le esperienze dei professionisti del

settore, accumulate negli ultimi vent’ anni nei vari territori italiani, siano in gran parte dipendenti da una

volontà politica ed amministrativa. Infatti molti interventi dei partecipanti al gruppo hanno sottolineato che

130

Pasquale Ippolito, formatore e clown dottore - Forcoop di Torino 131

Psicologa e formatrice esperta dell’Agenzia formativa CSEA di Torino

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le amministrazioni locali non sempre si dimostrano, o si sono dimostrate, sensibili e orientate a

comprendere i benefici e le ricadute positive che avrebbe invece l’investimento in spazi di gioco e di agio,

per tutte le generazioni, come fattore protettivo, di inclusione sociale, di promozione della cittadinanza e di

valorizzazione della cultura e del patrimonio locale. Anche a livello di governo centrale questo contenuto

sembra essersi raffreddato in questi ultimi anni, lasciando sul territorio nazionale delle situazioni di

promozione del gioco molto rarefatte e isolate, con perdita di conoscenza di esperienze che non hanno

potuto continuare in mancanza di sostegni economici e normative di settore dedicate.

Quest’ultima considerazione del gruppo, dedicato alla riflessione su quale formazione sia necessaria per il

futuro, ha messo in evidenza quanto sia importante e urgente fare anche un lavoro di formazione generale

alla cittadinanza, a partire dalle giovani generazioni, sull’importanza del diritto al gioco e sulle ricadute che

ciò porterebbe in termini di integrazione e convivenza civile.

1. Fare formazione per i servizi educativi

Luisa Norgia132

Parte della mia attività professionale si svolge all’interno della formazione professionale, quasi tutta spesa

nella formazione (formazione di base, di specializzazione e di formazione continua) rivolta ai servizi

educativi per la prima infanzia. Nasce circa trent’anni fa presso un ente di formazione della cintura torinese

all’interno di un progetto innovativo che vede la formazione professionale come strumento di politica attiva

del lavoro, ponte tra scuola e lavoro e mezzo per l’aggiornamento e la riqualificazione continua in raccordo

col territorio di riferimento.

Inizia in quegli anni la collaborazione con i nidi del territorio attraverso un progetto di riqualificazione degli

operatori degli asili nido (diventati in seguito alla riqualificazione educatori) e continua con progetti di

aggiornamento e di formazione permanente. Si costituisce un gruppo di lavoro tra rappresentanti degli asili

nido dove la mia presenza ha avuto la specificità di “osservatore esterno” che permette il confronto tra nidi

in un’ottica non autocentrata, facendo progressivamente nascere un’idea di servizio educativo e di risposta

ai bisogni del territorio. Questa specificità è diventata l’elemento forte che ha accompagnato la mia attività

in tutti questi anni, permettendo di radicare la progettazione degli interventi formativi con i bisogni di

figure professionali all’interno dei servizi stessi.

L’esperienza più significativa condotta in questi anni è stata quella della progettazione e realizzazione del

corso di base per educatore prima infanzia che nasce nel 1991 come sperimentazione e diventa alla fine

degli anni ‘90 una qualifica degli standard formativi della Regione Piemonte. Ciò è stato possibile

132

Psicologa - psicoterapeuta formatrice e progettista di formazione.

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attingendo dall’esperienza dell’équipe di progettazione nella formazione diffusa nei servizi che faceva

riferimento ad un modello e ad un progetto pedagogico dei servizi all’infanzia.

Si intende qui la formazione professionale come un processo dinamico che si evolve nel tempo e che quindi

è in grado di leggere i bisogni provenienti dal territorio di riferimento e di trasformarli in obiettivi e

contenuti formativi. Ciò comporta necessariamente la creazione di un’équipe di formatori con

professionalità differenti ed integrate ma con un progetto pedagogico condiviso ed un modello di

formazione comune. Un’équipe così formata potrà quindi operare scelte metodologiche precise, realizzare

un progetto formativo in cui si instaurino forme di relazione e di cooperazione tra i protagonisti e

individuare strategie di monitoraggio, verifica e valutazione dei risultati. Il modello di formazione a cui

faccio riferimento è un modello che mette al centro l’esperienza utilizzando una metodologia attiva e

dando un ruolo attivo ai protagonisti; una formazione che utilizza la creatività come risorsa, che propone

attività in cui non conta il risultato ma il processo, che propone momenti costanti di rielaborazione

dell’esperienza mettendo al centro il gruppo con la sua funzione di contenitore e di specchio, che integra la

teoria come possibilità di dare senso alle esperienze. In sintesi, formazione come spazio di esperienza e di

rielaborazione.

Nel corso degli anni la formazione ha accompagnato, in termini di individuazione di nuovi profili

professionali e della conseguente progettazione dei percorsi formativi, l’evoluzione dei Servizi educativi:

dalle prime sperimentazioni di servizi integrativi, alla co-progettazione di servizi da parte dell’ente pubblico

e del privato, alla ridefinizione del ruolo del coordinatore pedagogico nella dialettica tra gestione del

servizio e capacità di lettura dei bisogni delle famiglie e della loro evoluzione, fino ad arrivare a quella

articolazione di servizi (nido, micronido, nido aziendale, nido in famiglia, baby parking, centro per bambini e

famiglie, ludoteca, punto gioco, laboratorio espressivo/creativo) che mi auguro verrà presto normata dalla

nuova legge regionale per i servizi all’infanzia.

Infatti, una delle conseguenze di questa sperimentazione è stata una progressiva frammentazione di servizi

intesi non come realizzazione di un’idea di educazione e nemmeno di risposta a bisogni disomogenei, ma

come rincorsa ad esigenze particolari e frammentate, come risposta a richieste “qui ed ora” attraverso la

proposta di servizi “qui ed ora”. Anche la formazione professionale segue questo percorso: si assiste alla

moltiplicazione di corsi caratterizzati da una parcellizzazione disciplinare, dalla mancanza di una adeguata

selezione in termini di attitudini e motivazioni, dall’utilizzo di docenti esperti nelle materie ma privi di

conoscenza dei servizi educativi, da un tirocinio non adeguatamente rielaborato ma visto come spazio in cui

mettere in pratica le teorie imparate in aula, da verifiche che tengono conto solo della capacità di

apprendere contenuti teorici e non del processo di formazione e di crescita di ogni singolo allievo.

Proprio per far fronte a questo dilagare del modello formativo “qui ed ora” e per riaffermare un modello di

formazione fortemente ancorato ai servizi educativi nasce l’idea di creare un rapporto sinergico con ITER,

Istituzione Torinese per una Educazione Responsabile.

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261

Attraverso un protocollo d’intesa che, in virtù della collaborazione nell’attuazione dei corsi per educatore

prima infanzia con la Città di Torino, in qualità di ente gestore dei Servizi educativi e proseguita nel corso

degli anni con l’ampliamento delle attività formative del settore (educatore prima infanzia - servizi

territoriali, coordinatori pedagogici, animatore prima infanzia, attività di riqualificazione e di

aggiornamento, ecc.), si è ipotizzata una collaborazione che potesse permettere, attraverso l’utilizzo

reciproco di risorse e competenze professionali, di dare un valore aggiunto a ciò che già si stava attuando,

anche attraverso un monitoraggio costante di analisi dei bisogni formativi dei Servizi educativi.

La collaborazione è avvenuta su più piani, ed è stata caratterizzata da progettazione comune e scambio di

docenze/consulenze, indirizzandola su alcuni ambiti:

Progettazione comune di percorsi formativi di base (anche di riqualificazione) mirati a figure

professionali inserite nei servizi educativi integrativi.

Rilevazione dei bisogni nell’ambito della formazione permanente per la progettazione comune di

moduli/corsi di aggiornamento per personale educativo e insegnante in servizio, su tematiche

monografiche mirate alla progettazione di percorsi e attività educative/didattiche e di

coordinamento/gestione gruppi di lavoro.

Elaborazione di un protocollo/modello generale per la gestione dei tirocini anche attraverso la

progettazione e sperimentazione di materiali di rilevazione/valutazione e l’individuazione delle sedi più

idonee sia nel periodo scolastico che estivo (centri estivi).

Progettazione e gestione di iniziative di formazione e aggiornamento indirizzate a personale educativo e

insegnanti sulle tematiche dell’educazione permanente per la fruizione dei beni ambientali e culturali

del territorio.

Progettazione in rete con altri enti del territorio che si occupano a vario titolo di infanzia (ad esempio

Dipartimento Materno-Infantile).

Progettazione e gestione di protocolli di ricerca/documentazione/diffusione su esperienze significative

in ambito educativo e scolastico dei servizi gestiti dal Comune.

Progettazione di iniziative di formazione nell’ambito dei protocolli europei e inter-regionali, oltre che in

collaborazione con altre realtà della provincia di Torino, della regione Piemonte o di altre regioni.

Ricerca/formazione in nuovi ambiti della sperimentazione didattica (ad esempio nei campi della

multimedialità e delle tecnologie informatiche).

Per lo sviluppo di tali attività è stato istituzionalizzato un Comitato tecnico-scientifico con compiti di co-

progettazione, diffusione delle iniziative, individuazione docenze, utilizzo laboratori e monitoraggio e

valutazione delle attività.

Il corso “tecnico di laboratorio educativo indirizzo ludico”, realizzato a partire dall’anno formativo 2006/07,

è uno dei risultati di questa collaborazione, avvenuta appunto attraverso l’individuazione di un nuovo

profilo professionale in ambito educativo da impiegare nei centri ludici (punto gioco, ludoteca). In base alla

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lettura congiunta dei bisogni specifici di professionalità in questo settore è stato progettato il percorso

formativo individuando gli elementi caratterizzanti tale professionalità in termini di attitudini e motivazioni,

di competenze, di stili di conduzione delle attività ludiche, di modalità di progettazione delle stesse in

termini di obiettivi, spazi, attrezzature, verifiche in itinere e finali. Il corso, rivolto a diplomati e laureati in

ambito umanistico ed educativo, comprende 240 ore di stage e 360 ore di attività di aula suddivise in

momenti teorici e momenti laboratoriali. Peculiarità del corso, e valore aggiunto dello stesso, è stata la

realizzazione dello stage presso i centri ludici e l’affidamento di alcune unità formative, in particolare quelle

laboratoriali, agli educatori di ITER che gestiscono le attività ludiche negli stessi centri. A conclusione del

corso, una parte degli allievi specializzati ha avuto la possibilità, attraverso la presentazione di progetti ad

hoc, di essere impiegata presso i centri ludici.

Qualche considerazione conclusiva rispetto al ruolo che la formazione professionale rivolta ai servizi

educativi può assumere oggi.

Stiamo assistendo in questi anni al passaggio progressivo all’Università dei percorsi di specializzazione

rivolti a diplomati e laureati, percorsi che un tempo erano patrimonio della Formazione professionale. Ciò

comporta alcuni problemi, in particolare nella difficoltà che ha oggi il nostro sistema universitario a

sviluppare corsi di insegnamento connotati da una forte presenza di tirocinio e di rielaborazione dello

stesso, unitamente all’esperienza laboratoriale e alla conoscenza dei servizi in cui queste figure andranno

ad operare.

Il ruolo della Formazione professionale in questo quadro dovrebbe essere quello di innestare sulla

formazione universitaria, che verrebbe a caratterizzarsi come una formazione di base prevalentemente

teorica, percorsi di specializzazione brevi, con una notevole presenza di stage, che vadano ad articolare

maggiormente profili professionali spendibili nella gamma di servizi educativi individuati nell’attuale

disegno di legge. Per fare ciò è necessario ribadire il ruolo fondamentale della collaborazione tra

formazione e servizi, strutturando e ampliando quel modello tracciato nelle recenti esperienze con ITER.

2. La “Forma…Azione” ludica

Irene Catalano133, Deborah Bontempo134

Il gioco è un'attività che può possedere una funzione ricreativa, una educativa, una biologica ed una sociale.

Giocare è una delle attività che accomuna tutto il genere umano: pur con forme e modalità diversissime la

componente ludica è presente in tutte le culture.

133

Presidente Associazione nazionale di promozione sociale e solidarietà familiare Il Dado Magico - Capo d’Orlando (ME). 134

Vicepresidente Associazione Il Dado Magico.

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Il gioco è da sempre stato oggetto di studio di tantissime discipline (filosofia, scienze etnoantropologiche,

psicologia, sociologia, etc.) che spesso arrivano a conclusioni anche molto distanti, probabilmente a causa

della sua intrinseca polisemicità, ma tutte riconoscono al gioco la “gratuità”, il fatto cioè di esulare da

necessità puramente pratiche, senza per questo voler sminuire la funzione dell'atteggiamento ludico nel

processo di formazione. Ma è la psicologia che più di ogni altra disciplina ha visto nel gioco il protagonista

dello sviluppo psico-cognitivo, psico-motorio e soprattutto della personalità del bambino. Per molto tempo

si sono contrapposte sull'argomento due teorie praticamente opposte: quella del “post-esercizio”, per cui

l'attività ludica servirebbe a ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e quella del “pre-esercizio”,

che vede il gioco come momento propedeutico alla vita adulta.

Il gioco è anche affrontato, in maniera puntuale, da Jean Piaget, il quale riconosce ad esso una funzione

centrale nello sviluppo tanto della sfera cognitiva quanto della personalità. L’attività ludica, infatti, sostiene

la funzione simbolica: giocando, il bambino si confronta con una realtà immaginaria che conserva una

relazione con la realtà effettiva ma allo stesso tempo se ne distacca; tramite il gioco, inoltre, i bambini

fanno pratica di un’attività mentale che consiste nel creare simboli per evocare eventi o situazioni non

presenti nella realtà. Tutto ciò è possibile in quanto il gioco è governato dal processo detto assimilazione,

attraverso il quale il bambino adatta e trasforma la realtà esterna in funzione delle proprie motivazioni e

del proprio mondo interno.

Un ulteriore affinamento dell'interpretazione dell'attività ludica viene dallo psicologo russo Lev Vygotskij

che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo, non solo

cognitiva come in Piaget, rivolgendo pertanto la propria attenzione anche agli affetti, alle motivazioni e alle

circostanze interpersonali. Vygotskij critica anche le visioni del gioco come attività non finalistica e non

produttiva, in quanto, seppur atto totalmente gratuito, costituisce un eccezionale elemento di crescita e di

definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti. Il gioco, per l’autore, si colloca nell’ambito del

possibile, quindi apre una Zona di sviluppo prossimale. Giocando, ogni bambino “si comporta sempre al di

sopra del suo comportamento quotidiano” perché “il gioco contiene tutte le tendenze evolutive in forma

condensata ed è esso stesso una fonte principale di sviluppo”. Il gioco, pertanto, rappresenta

un’importante fase di transizione nel processo di separazione del significato dall’oggetto reale. Si creano

infatti nuovi rapporti tra le situazioni nel pensiero e le situazioni della realtà135. Parlando di gioco, è

doveroso un rimando al pensiero di Winnicott, il quale vede nell’attività ludica la situazione in cui

massimamente può esprimersi creatività e, di conseguenza, un momento fondamentale per l’affermazione

del proprio essere. Si possono osservare bambini “perduti” nel gioco: lo spazio-tempo del giocare può

essere infatti definita come “un’area che non può essere facilmente lasciata e che non ammette intrusioni”;

esso rappresenta infatti, come la creatività e la cultura, il momento e lo spazio nei quali poter cercare le

135

Camaioni L., Di Blasio P., Psicologia dello sviluppo, Il Mulino, Bologna, 2002.

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risposte ai propri interrogativi. Ci si muove in un particolare campo di esperienza, quello dell’illusione, né

completamente reale (esterno), né completamente immaginario (interno). Proprio per questo motivo, il

gioco costituisce un esercizio di controllo sul reale e un importante fattore di sviluppo, perché strettamente

connesso all’esperienza culturale e alla creatività nel senso più esteso del termine136.

Questa breve introduzione si rende necessaria per evidenziare come sapere di gioco e saper giocare non

sempre si equivalgono e, quindi, riuscire a giocare, intendendo il gioco nell’accezione di attività libera e

afinalistica, altamente creativa e indispensabile nella vita di ognuno, come affermava anche Winnicott,

significa ritrovare il contatto con la parte bambina di noi, con quell’area che nessuno dovrebbe mai

perdere, ma significa al contempo, riuscire a cogliere, con la maturità e l’esperienza derivanti dall’età

adulta, le peculiarità dell’attività ludica, le sue regole, i suoi ambiti di applicazione, la specificità del gioco,

attuabile in maniera diversa nei vari contesti e situazioni, riuscendo, quindi, a coglierne la valenza di

strumento di crescita, di stimolazione e, a volte, di “guarigione”.

Pensare al gioco stimola in maniera quasi automatica un rimando alle strutture più tipicamente centrate

sull’attività ludica: le ludoteche. Occuparsi di ludoteca richiede riflessioni e conoscenze a grandi livelli. Chi

lavora in ludoteca deve possedere indubbiamente capacità individuali sulle tecniche di progettazione e di

realizzazione di diversa natura: giochi, attività, laboratori artistici, ed in particolare sulle tecniche di

costruzione di giocattoli. La ludoteca è anche il posto delle creazioni, delle invenzioni, ed è per questo che

nel suo interno esiste il “laboratorio”. Quest’ultimo, con le sue molteplici attività, richiede al ludotecario

specifiche competenze: artistiche, artigianali, costruttive, ecc. Occorre, quindi, un impegno educativo

legato concretamente al “fare”, una prassi didattica che traduca in termini operativi l’intervento pur senza

perdere di vista gli obiettivi e le finalità. Entrando nei particolari, per poter lavorare in laboratorio il

ludotecario deve:

conoscere i materiali,

conoscere le attrezzature,

conoscere le tecniche,

saper costruire i giocattoli,

saper riparare i giocattoli,

conoscere l’evoluzione del costruire infantile,

usare un linguaggio appropriato,

fare uso del proprio vissuto ludico,

acquisire conoscenza psicopedagogica,

saper osservare,

136

Winnicott D. W., Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.

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proprio in virtù della richiesta di qualificazione professionale del ludotecario ed in generale dell’educatore

familiare, che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento” che miri a

promuoverne una nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale.

Moltissimi sono gli operatori ludotecari incaricati di gestire le ludoteche italiane sorte in questi ultimi anni.

Questi operatori sono divenuti, di fatto, una categoria. Non possiamo ignorare la condizione sociale dei

centinaia di ludotecari italiani che da anni si impegnano con sacrificio per affermare il diritto al gioco di

bambini e ragazzi prodigandosi per la tutela della qualità del gioco infantile e delle risorse ludiche e

culturali.

Relativamente alla Sicilia, grazie ad una ricerca svolta dall’Associazione Il Dado Magico A.S.D.

(www.ildadomagico.it) e correlata ad una cospicua raccolta di dati significativi sulla presenza di ludoteche

sul territorio regionale, emerge una grave carenza di strutture e personale qualificato.

In Sicilia ad oggi esiste una grave incongruenza relativamente alla formazione ed alla professionalizzazione

del ludotecario, figura formata attraverso la frequenza ed il superamento di un apposito esame, presso i

corsi regionali finanziati dai FSE. Il percorso in termini teorici segue il normale iter della “formazione

professionale”, ma quello che risulta assolutamente irragionevole è l’aspetto correlato all’attività di stage,

ovvero l’applicazione pratica alla formazione. Infatti, come emerge dalla ricerca svolta dall’Associazione Il

Dado Magico A.S.D., la realtà della ludoteca risulta assolutamente inadeguata, sia in termini quantitativi,

che rispetto alla coincidenza con gli standard europei della categoria. Ciò porta alla conclusione che i

tirocinanti ludotecari vengono automaticamente dirottati verso strutture che non corrispondono

assolutamente a ludoteche.

Pertanto la loro formazione non può ritenersi completa al termine della frequentazione del corso e

nonostante il superamento dell’esame finale. Ecco il motivo per il quale nasce ARLeT Sicilia.

ARLeT Sicilia (Associazione Regionale Ludotecari e Tate), visti i vigenti orientamenti in ambito nazionale e

comunitario relativi alle professioni non regolamentate, ed in assenza di azioni normative nazionali o

regionali di regolamentazione della materia, nasce come associazione di promozione sociale con l’intento e

la volontà di sostenere e promuovere interventi in favore della qualificazione ed istituzionalizzazione delle

figure operanti all’interno delle strutture per l’infanzia, con particolare riguardo alla ludoteca ed ai nidi

familiari.

La scelta di costituirsi in associazione nasce dalla consapevolezza - acquisita sul campo attraverso

esperienze dirette, ricerche, raccolta ed elaborazione di dati - che alle esigenze ludico-educative non viene

garantita una adeguata qualità professionale e professionalizzante.

In particolare, con la collaborazione dell’Associazione Il Dado Magico A.S.D - che ha voluto fortemente la

nascita di un ente rivolto a specifiche professionalità ludico-educative, quali, nello specifico, ludotecari e

tate - ARLeT si muove nel contesto Sicilia per:

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rispondere alla richiesta di qualificazione professionale del ludotecario e della tata “madre di giorno”,

che annuncia l’urgenza di programmare una “strategia di coordinamento” che miri a promuoverne una

nuova condizione ottimale per la conquista di uno status professionale,

favorire la costituzione di ludoteche nel territorio,

sollecitare la regolamentazione normativa regionale e provinciale per la costituzione, l’organizzazione ed

il finanziamento delle ludoteche,

definire la distribuzione territoriale in rapporto alla densità della popolazione,

definire gli scopi e le finalità ludico-educative di ludoteche e nidi familiari,

promuovere l’istituzione di Albi regionali e/o comunali e/o provinciali per le figure professionali

coinvolte,

giungere alla identificazione della qualifica dei soggetti gestori, delle modalità di istituzione e della

corrispondenza a requisiti standard sia per quanto riguarda i locali sia per l'organigramma del personale

impegnato,

promuovere l’istituzione di apposite Commissioni, qualificate a ricevere i piani ludico-educativi annuali in

base ai quali poter verificare, alla fine di ogni anno, l'attività svolta e gli obiettivi raggiunti,

giungere ad un censimento relativo a tutte le strutture che svolgono servizi all’infanzia e alla famiglia

nell’ambito educativo, sportivo e ludico-ricreativo, al fine dell’adeguamento e dell’ottimizzazione dei

servizi e dei costi.

ARLeT infatti vuole rappresentare un punto di riferimento in ogni ambito culturale che coinvolga le figure

ludico-educative, al fine di una ottimale qualificazione e programmazione dei servizi, proponendosi ancora

di:

contribuire agli orientamenti ed alle scelte regionali in ambito educativo, sportivo e ludico-ricreativo;

sostenere la completa formazione professionale del ludotecario e dell’educatore familiare;

promuovere lo sviluppo ed il riconoscimento della figura del ludotecario e dell’educatore familiare,

garantendone la specificità professionale;

incoraggiare l'organizzazione e lo sviluppo in Italia delle ludoteche e dei nidi familiari attraverso la

costituzioni di altre ARLeT regionali;

estendere le conoscenze professionali dei ludotecari, degli insegnanti e degli educatori tutti;

dare l’opportunità di fare esperienza pratica e di aggiornarsi periodicamente.

L’aspirazione più alta per quanto riguarda l’attività istituzionale di ARLeT è quella di giungere alla istituzione

di un Registro/Albo nazionale dei ludotecari e degli educatori familiari, che ne regolamenti e qualifichi la

professionalità, all’interno di standard conformi alle direttive europee in relazione e specifiche competenze

istituzionali. Risulta ormai come dato oggettivo, almeno in Sicilia, la necessità di garantire a queste figure

una specializzazione, una preparazione adeguata al ruolo di responsabilità civile assunto ed una sicurezza

normativa ed economica che ne garantisca i diritti e ne stabilisca in definitiva i doveri. La causa principale è

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da attribuire all’assenza di una legge specifica nazionale che riconosca giuridicamente i sevizi ludoteca e

nido famiglia, la loro dignità sociale ed economica, in linea con le condizioni degli altri Paesi europei.

ARLeT Sicilia, consapevole delle esigenze territoriali, opera per definire e tutelare la ludoteca come servizio

pubblico centrato sul gioco e sul giocattolo; per lo sviluppo del gioco e della cultura ludica.

L’associazione, infatti, interviene nel campo dell’educazione, della formazione, anche professionale e della

didattica per favorire lo sviluppo di una coscienza sensibile ai problemi della società moderna,

dell’ambiente e di un equilibrato rapporto tra cittadini, istituzioni, rispetto delle opportunità e conciliazione

dei tempi di lavoro con i tempi di vita.

Promuove attività legate ai principi solidaristici e mirate al coinvolgimento delle realtà sociali e culturali.

Lotta contro ogni forma di sfruttamento, di ignoranza, di ingiustizia, di discriminazione e di emarginazione.

Organizza la vita associativa come esperienza comunitaria, per favorire la maturazione della personalità, la

consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, il rispetto delle altre persone, l’educazione

all’impegno sociale ed alla partecipazione.

L’associazione partecipa attraverso proprie rappresentanze, nelle forme previste dagli atti di

programmazione regionale in materia di politiche sociali e socio-sanitarie, alla progettazione e alla gestione

dei servizi.

È nostro parere che, nell’ottica di un effettivo impegno per la realizzazione di servizi che possano fornire un

concreto riscontro ai bisogni della popolazione, diviene imprescindibile una efficace comunicazione e

collaborazione tra i diversi enti motivati ad operare a favore dello sviluppo e del benessere del contesto di

riferimento.

L’esperienza accumulata in tanti anni ed un’attenta analisi dei risultati raggiunti, insieme ai rapporti di

collaborazione instaurati con altri enti dell’associazionismo nazionale, internazionale, università, etc., ha

portato l’Associazione nazionale Il Dado Magico A.S.D. all’elaborazione del progetto “Architettura di una

rete sociale nazionale”, che mira a fornire, attraverso l’affiliazione all’Associazione, strumenti e

competenze, per la realizzazione di interventi sia pubblici che privati, di strutture socio-sanitarie, igienico-

sanitarie e ricreative, per minori di età e le loro famiglie, persone diversamente abili, immigrati, anziani, etc.

Il progetto “Architettura di una rete sociale nazionale” lega con un filo di solidarietà e partecipazione attiva

organizzata, iniziative sia pubbliche che private, utilizzando tutti gli strumenti legislativi di settore e le loro

risorse finanziarie disponibili in Italia e in Europa, fissando standards qualitativi laddove essi non esistono,

consentendo così la tessitura su tutto il territorio nazionale di una rete sociale, che attraverso il sostegno e

la promozione dell’associazionismo (L.R. 31/07/03 n. 10, L. 383/2000, L. 266/1991, etc.) sia capace di far

relazionare il pubblico con il privato, per costruire, come sancito dalla L. 328/00 interventi sociali e sanitari

che siano insieme efficaci ed efficienti nei risultati.

“Architettura di una rete sociale nazionale” opera per l’interesse generale della comunità alla promozione

umana e all’integrazione sociale dei cittadini; incrementa le capacità di rispondere ai bisogni dei territori e

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di promuovere processi di inclusione sociale, creazione di capitale sociale, distribuzione più equa delle

opportunità.

“Architettura di una rete sociale nazionale” è luogo di condivisione, scambio e confronto tra soggetti che

hanno scelto di scommettere una parte significativa della propria azione di impresa in modo integrato con

altri soggetti di imprenditorialità sociale. Inoltre si riconosce come parte dinamica del Terzo Settore ed

opera attivamente per definirne gli orientamenti etici, strategici ed organizzativi. “Architettura di una rete

sociale nazionale” individua tre funzioni istituzionali, fondanti e irrinunciabili, che, in coerenza con l’identità

condivisa, caratterizzano l’operatività della rete:

1. Trasferimento esperienze: messa a disposizione di tutti gli aderenti - con modalità e regole

condivise - del know how sviluppato localmente, disponibilità a scambi, messa a disposizione di

progetti in contesti di reciprocità e di valorizzazione delle capacità sviluppate dai singoli soci.

2. Condivisione progetti: progettazione secondo criteri mutualistici: all’interno della rete ciascun socio

mette a disposizione i propri elaborati progettuali agli altri partner della rete, che possono utilizzarli

e svilupparli per le proprie attività sociali, rendendo disponibili gli ulteriori sviluppi a tutti i membri

della rete a condizione che i progetti sviluppati secondo questo sistema non creino danni agli

associati

3. Condivisione titoli: messa a disposizione di ciascun socio della rete dei titoli e delle esperienze

necessari per la partecipazione a gare in possesso degli altri soci, con l’obbligo della reciprocità.

Le finalità del Progetto

il mutuo sostegno e la reciproca valorizzazione tra imprese sociali territoriali;

la trasmissione e lo scambio delle esperienze di successo e la circolazione delle eccellenze;

l’individuazione dei nuovi bisogni e lo sviluppo di nuovi servizi;

il sostegno e la diffusione di iniziative sociali;

il supporto a iniziative di sviluppo a livello territoriale mediante la mobilitazione di risorse umane,

economiche e di know how per sostenere le associazioni del territorio che lo richiedono in sinergia con

gli associati territorialmente più vicini; l’offerta di servizi ai soggetti che partecipano alla rete.

La tessitura di una rete sociale, al fine di promuovere esperienze e servizi atti a fornire riscontri mirati ed

adeguati, non può prescindere da un’attenta analisi strutturale, sociale ed economica dei contesti di

riferimento, con lo scopo di dare impulso ad una offerta che sia realmente rispondente ai bisogni, espressi

più o meno esplicitamente, del territorio.

L’attenzione rivolta dall’Associazione in maniera peculiare alle nuove tipologie di servizi, ha stimolato, come

fin qui espresso, una profonda riflessione incentrata sulla specificità dell’attività formativa adeguata per chi

ha l’interesse, la volontà e la predisposizione a lavorare con i minori d’età, rivolgendosi, al contempo, alla

famiglia tutta. A partire da ciò, l’ente ha scelto di impegnarsi attivamente, fornendo sostegno, consulenza,

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formazione e informazione agli operatori che, non trovando riscontro in regolamenti e normative di

riferimento, si ritrovano ad operare in un ambito ricco di confusione e, sovente, di ambiguità, il quale,

anche sul fronte istituzionale, troppo spesso, non trova una sua collocazione in aree di competenze

specifiche (pubblica istruzione, servizi sociali, pari opportunità, famiglia), come ad esempio avviene per i

servizi integrativi quali i nidi famiglia. Inoltre, tale impegno è certamente conseguente all’attenta analisi del

contesto attuale. Una delle più dirette conseguenze delle trasformazioni socio-culturali della famiglia,

infatti, è il cambiamento nella relazione educativa e la crisi del ruolo genitoriale a vantaggio di altri modelli.

Per esempio, l’ultima relazione biennale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza sottolinea come

oggi la vita del bambino sia scandita da tutta una serie di attività dettate dagli adulti, che spesso saturano

completamente il suo tempo limitando se non addirittura annullando quei margini di libera espressione e di

creatività tipici dell’infanzia137. A ciò si aggiunge anche una progressiva tendenza da parte dei genitori ad

anticipare le tappe della crescita dei propri figli per far acquisire loro sempre più precocemente le

competenze ritenute utili per l’affermazione individuale in una società sempre più orientata alla perfezione

e al narcisismo. A fronte di questi dati, quindi, emerge il bisogno sia di sostenere i genitori nel loro ruolo

educativo offrendo per esempio occasioni di confronto e di dialogo anche attraverso forme di

associazionismo, sia di supportare/sostenere i ragazzi nel loro percorso di crescita potenziando per esempio

i loro livelli di autostima, di efficacia e di fiducia anche attraverso iniziative ludiche, culturali, sportive e

sociali.

Negli ultimi anni, tenendo conto che dalle ultime fasi dell’evoluzione normativa emerge la volontà di

raccordare la dinamica dei servizi per l’infanzia con le esigenze reali delle famiglie, parecchie sono state le

ricerche che mirano a delineare efficacemente il sistema dei servizi per l’infanzia; purtroppo, anche nel

migliore dei casi, si verificano delle incongruenze atte a vanificare i benefici dei servizi, principalmente:

orari insufficienti, legati all’andamento delle festività comuni e delle interruzioni estive e che per giunta

variano generalmente secondo il regolamento interno dei nidi (presenza di dati a livello regionale);

liste d’attesa molto lunghe, dovute all’asimmetria tra domanda e offerta, nonché alla procedura di

selezione ponderata secondo il luogo di residenza, grado di disagio familiare, sociale e sanitario, quindi

della condizione lavorativa (presenza di dati a livello regionale); ad esempio in Sicilia nel 2000 più del

30% delle domande di iscrizione non trovavano riscontro. Le varie fonti confermano, pertanto,

un’accentuata dispersione territoriale della ricettività. Al Nord sono stabilmente localizzate le prime

cinque regioni per capacità ricettiva (quasi 24% in Emilia-Romagna), mentre al Sud e isole si trovano le

ultime cinque, con valori inferiori al 5% pur nei casi più favorevoli (Basilicata e Sardegna);

137

“Relazione sulla condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia 2008-2009” in www.minori.it.

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270

tariffe molto alte, teoricamente oscillanti tra un minimo e un massimo fissati dal Comune di residenza,

sulla base del reddito familiare e patrimoniale.138

Secondo un’indagine Cnel-Istat sulla “Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro”, in cui

si dedica particolare attenzione alle reti formali e informali per la cura dei bambini, una peculiarità del

nostro Paese è ravvisabile proprio nella solidarietà intergenerazionale che porta all’utilizzo di aiuti

informali. Quando una madre si trova al lavoro, secondo questa ricerca, circa sei bambini su dieci sono

affidati ai nonni, mentre solamente due su dieci frequentano un asilo nido pubblico o privato.

Il ricorso al sostegno dei nonni da parte delle famiglie non deve caratterizzare un sistema per l’infanzia che

si basi su una solidarietà generazionale, culturalmente e socialmente rilevante, ma al contempo fuorviante

della reale esigenza delle famiglie di una rete equa di servizi, organizzata per chi non può contare sui propri

parenti.139

Pertanto, al fine di rispondere alle necessità della famiglia contemporanea, ponendo, al contempo,

riscontro alle esigenze formative esistenti nell’ambito della nuova tipologia di servizi, le quali, tra l’altro,

emergono dalle frequenti richieste provenienti da chi opera già nel settore e/o da chi vorrebbe

intraprendere una professione di tal tipo, l’associazione, in collaborazione con un ente di formazione

professionale, ha programmato un corso per “madre di giorno”, il quale sarà il primo interevento formativo

a rilasciare una qualifica di tal tipo riconosciuta dalla Regione Sicilia. L’intervento è stato programmato al

fine di:

fornire sostegno alla genitorialità, all’esperienza di maternità e di paternità, differenti per genere;

concretizzare un'azione positiva a favore delle mamme per dar loro l'opportunità di riuscire a conciliare

la realizzazione professionale con la realizzazione delle aspirazioni materne;

costruire servizi innovativi per l'infanzia che tengano conto delle politiche, dei tempi ed in particolare

delle necessità avanzate soprattutto dalle donne;

creare i presupposti per un’adeguata risposta alla necessità occupazionale, attraverso la formazione di

una nuova figura professionale che abbia la possibilità di confrontarsi con una reale spendibilità della

qualifica conseguita. Tutto ciò nell’ottica di una cultura delle pari opportunità, promuovendo iniziative

per l’occupazione e la qualità del lavoro femminile nel quadro degli obiettivi europei di Lisbona, tra i

quali l’innalzamento del tasso di occupazione femminile è definito come una priorità su cui impegnarsi

per elevare il potenziale di crescita e per garantire una più equa ripartizione delle risorse pubbliche;

ampliare le opportunità di scelta per le famiglie proponendo soluzioni flessibili;

sostenere la scelta dei genitori che privilegiano la permanenza del bambino piccolo in ambiente

domestico, riproponendo un contesto familiare ed educativo soddisfacente alle richieste delle famiglie

138

Da L’Informazione Nazionale sui Servizi per l’Infanzia. Un breve studio, in www.res.it. 139

Ibid.

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271

Il corso si articolerà in 610 ore, comprensive di attività teoriche, nello specifico lezioni frontali, attività

pratiche che possano permettere agli allievi di sperimentarsi, applicando le nozioni apprese, e attività di

stage. Le tematiche affrontate sono state pensate per permettere l’acquisizione di abilità e conoscenze

relative a diversi settori, di modo che la “madre di giorno”, a conclusione del percorso formativo, possa

aver sviluppato le competenze inerenti alle aree seguenti:

conoscenze di base: buona padronanza della lingua inglese; buone competenze tecnico-informatiche;

adeguata conoscenza del diritto del lavoro; adeguata comprensione delle norme di igiene e sicurezza che

un servizio per l’infanzia deve possedere;

competenze tecnico-professionali: psicologia, pedagogia, tecniche di assistenza, elementi di

psicomotricità ed elementi di psicopatologia dell’età infantile; alimentazione e dietologia nell’infanzia;

normativa di settore, infanzia e contesti socio-familiari;

competenze pratico-applicative: animazione, attività ludiche, sicurezza e catalogazione dei giocattoli;

competenze trasversali: capacità relazionali, competenze comunicative (comunicazione verbale e non

verbale, modalità di comunicazione infantile) e nella pratica del contatto corporeo quale tecnica di

relazione;

Tutto ciò con la convinzione che la creazione di nuovi servizi che risultino efficaci, efficienti ed altamente

rispondenti alle realtà territoriali, sociali ed economiche in cui si intercalano, come pure il miglioramento

dei servizi esistenti - attraverso una riqualificazione dei servizi stessi e del personale che vi opera - non

possa avvenire se , alla base, non esistono attività formative mirate, in grado di permettere realmente, non

solo l’acquisizione delle competenze tecniche di settore, ma, soprattutto, la traduzione di queste in abilità

pratiche ed applicative, poiché la salvaguardia degli utenti, la loro tutela fisica e psicologica, soprattutto

quando ci si riferisce ad interventi rivolti ai minori d’età, è un dovere di tutti coloro che operano nell’ambito

del sociale.

3. FINISTERRAE: servizi e formazione

Simona Straccamore 140

Costituita nel giugno del 2001, la Cooperativa sociale o.n.l.u.s. Finisterrae è una delle prime cooperative

sociali nel territorio della provincia di Frosinone ad aver tradotto in pratica quei principi che tutelano e

promuovono i diritti dell’infanzia, con particolare riferimento al diritto al gioco (art.31, Dichiarazione ONU

sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza).

140

Responsabile formazione e risorse umane della cooperativa sociale Finisterrae onlus.

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272

Formata da un gruppo di persone con competenze molteplici nel campo dell’educazione (pedagogisti,

psicologi, sociologi, educatori, assistenti sociali, terapisti, ludotecari, animatori, ecc.), accomunate dalla

medesima motivazione individuale e da profonde esperienze condivise, Finisterrae realizza e gestisce

ludoteche, asili nido, ludobus, centri educativi per minori a rischio, progetti educativi, terapie per

diversamente abili, servizi di animazione, ecc. in convenzione con molti enti pubblici e privati della

provincia di Frosinone, ma anche in ambito regionale e nazionale, aderendo a diverse realtà associative

provinciali e nazionali operanti nel campo dell’infanzia, come: Ali per giocare (Associazione italiana dei

ludobus e delle ludoteche), CIL (Centro Internazionale Ludoteche), Consorzio Parsifal (Consorzio di

cooperative sociali delle province di Frosinone e Latina), C.C.F.S. (Consorzio cooperativo finanziario per la

promozione e lo sviluppo cooperativo), Consorzio PAN (Progetto asili nido e servizi per l’infanzia, che si

occupa degli standard di qualità, formazione e aggiornamento del personale degli asili nido), Comitato

provinciale ELSAD (Ente locale per il sostegno a distanza), inserendosi a pieno titolo in un circuito in

continua evoluzione e in continuo aggiornamento.

Ad oggi Finisterrae gestisce ventuno ludoteche (diciassette territoriali - di cui sedici pubbliche e una privata

- due in reparti pediatrici degli ospedali civili, due in carcere - una delle quali in fase di allestimento), tre asili

nido pubblici, un asilo nido aziendale per il Ministero delle Infrastrutture, un servizio privato di tagesmutter

(asilo nido familiare), due ludobus (un ludobus e un ludosoccorso), un centro socio-educativo

intercomunale per minori a rischio, un centro privato di riabilitazione, educazione e didattica (centro RED),

una casa famiglia per minori. Al fine di garantire la qualità e l’innovatività dei propri servizi e di favorire un

processo di diffusione della cultura ludico-educativa e di promozione del cambiamento a livello culturale, la

cooperativa Finisterrae investe risorse economiche e umane in corsi di aggiornamento e formazione rivolti

ad operatori sociali, animatori, ludotecari, educatori e in generale alle figure che operano nel campo dei

servizi sociali, culturali ed educativi rivolti ai minori.

Essa opera in sede o fuori sede, con proposte formative destinate ai privati o ad associazioni, cooperative,

ludoteche, asili nido, scuole, enti, ecc., offrendo al proprio territorio - e a quanti hanno preso contatti con

essa sul territorio nazionale - la possibilità di appropriarsi di nuove metodologie, tecniche e idee per

mantenere la propria evoluzione al passo con i tempi nel settore del gioco, dell’educazione e formazione

riguardante l’età evolutiva tout court. Gli interventi formativi che essa propone si basano sulla ricerca della

qualità a diversi livelli, partendo dalle nozioni di base - necessarie ad acquisire un modus operandi aperto e

flessibile come requisito funzionale in qualunque contesto professionale del mondo attuale (quali la

sicurezza sul lavoro, l’alfabetizzazione informatica e la promozione di competenze nella gestione delle

dinamiche di gruppo e nella risoluzione non violenta dei conflitti) - per poi centrarsi altresì, in un’ottica

specialistica, su contenuti volti all’acquisizione di competenze più specifiche nel settore dell’educazione e

della formazione per i minori.

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I suddetti contenuti tecnici specifici si articolano in due filoni principali, relativi ai differenti target di

intervento con l’infanzia: 0-3 anni e 3-17 anni.

Per il primo filone (0-3 anni) si promuovono conoscenze pertinenti i servizi dedicati alla prima infanzia - asili

nido e spazi gioco - la riflessione sullo sviluppo evolutivo, l’aggiornamento sulle metodologie educative di

avanguardia nel settore e l’acquisizione delle tecniche dei laboratori espressivi realizzabili in questo tipo di

servizi.

Per il secondo filone (3-17 anni) si promuovono conoscenze pertinenti i servizi dedicati alla infanzia e

all’adolescenza - ludoteche, ludobus, centri minori, progetti e servizi socio-educativi - il confronto con le

principali realtà nazionali di riferimento per il settore, lo studio sull’evoluzione motoria e psichica nello

sviluppo del bambino da 3 a 17 anni, l’aggiornamento sulle tematiche educative e sui laboratori espressivi,

con particolare riferimento alle tecniche e metodologie di animazione ludico-culturale.

Nell’economia globale della nostra proposta, i contenuti dei percorsi formativi rivestono un ruolo

fondamentale: altrettanto importante, tuttavia, è la metodologia di linguaggio e di comunicazione adottata

per veicolare i contenuti stessi. Per questo motivo vengono offerti non solo interventi frontali, ma anche e

soprattutto percorsi esperienziali di formazione, basati prevalentemente sull'impiego di tecniche

interattive, durante i quali i partecipanti si misurano più apertamente con le loro capacità e con i loro limiti,

sottoponendo a verifica le loro convinzioni. Tali percorsi formativi sono caratterizzati dall'impiego di

tecniche che consentono ai partecipanti di calarsi fino in fondo nelle situazioni, per “mettere in gioco” le

proprie esperienze personali e la propria emotività, creando le condizioni per imparare dalle interazioni,

dall’andamento delle dinamiche di gruppo e dall’esperienza.

Tale importanza attribuita al processo non sminuisce, infine, l’attenzione che viene conferita al

raggiungimento qualitativo e quantitativo dei risultati e delle finalità formative: al termine di un progetto di

formazione, infatti, appositi strumenti di valutazione verificano che gli obiettivi siano stati raggiunti e

analizzano le ragioni del successo o dell’insuccesso del lavoro svolto, in modo da poter migliorare le

proposte ed eventualmente rimodularle per renderle nel futuro più efficaci. Riteniamo tuttavia che, poiché

i risultati raggiunti dai percorsi di formazione possono essere misurati in base a tre graduali livelli di analisi

(gradimento, apprendimento e impatto), il valore ultimo del cambiamento promosso possa essere misurato

nel tempo e manifestato soltanto attraverso una applicazione pratica dei contenuti trasmessi. 141

141

Per ulteriori informazioni o chiarimenti: Finisterrae cooperativa sociale onlus. Responsabile formazione e risorse umane dott.sa Simona Straccamore [email protected] - www.coopfinisterrae.it.

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Considerazioni per non concludere

Tamara Lavina

La formazione degli educatori, ed in particolare degli educatori di ludoteca, è un tema complesso e

delicato: richiede infatti una preparazione specifica e una formazione permanente che unisca l’aspetto

pratico e l’aspetto teorico. Dalla discussione nel gruppo di lavoro è emerso che al centro del progetto

formativo c’è l’esperienza. Esperienza vissuta, consapevole e responsabile che si confronta con la teoria

(zoccolo duro). Inoltre si è reso evidente il bisogno di un supporto pedagogico per costruire una

professionalità a tre dimensioni: consapevolezza, esperienza emotiva, progettualità.

Una progettualità “in situazione”, legata al territorio, al collaudo delle idee nei fatti.

La formazione si concretizza, quindi, nel dare gli strumenti necessari all’intervento educativo che metta

insieme le esigenze dei servizi, i bisogni del territorio e una preparazione pedagogica necessaria a dare

all’intervento una profondità scientifica: capire l’esperienza, rielaborarla, restituirla. La preparazione

teorica, ciò che dà la direzione, il senso all’intervento educativo, come si rapporta con l’esperienza pratica?

È un quesito che riguarda soprattutto la formazione nelle professioni che vedono al centro del loro agire

l’uomo: dal medico, al sociologo, all’insegnante, all’educatore…

In tutte le discipline scientifiche esiste una divisione fra la ricerca e l’esperienza, ma fra i due momenti

dovrebbe esserci sempre un rapporto di verifica e confronto. In particolare nella pedagogia la possibilità di

un rapporto fra questi due approcci è fondamentale. Lavorare nell’empirico vuol dire spesso che, in ogni

momento, fatti nuovi che non riusciamo a collocare nella nostra teoria ci mettono in crisi. Sono i momenti

in cui è necessario smontare la teoria, cercare nuove soluzioni e forse cambiare direzione.

Altro nodo di crisi che emerge dalla riflessione del gruppo è rappresentato dalla problematicità e dalla

precarietà del rapporto dell’amministrazione locale presente sia nelle realtà del Nord che in quelle del Sud

Italia.

La presenza sul territorio di servizi educativi extrascolastici dedicati a bambini, ragazzi e alle loro famiglie è

costantemente minacciata dai tagli alle spese sociali, senza verifiche sul reale apporto che questi servizi

danno alla prevenzione del disagio, alla creazione di una cultura del gioco e dell’infanzia. In questo contesto

Torino rappresenta una delle eccezioni, poiché anche se con difficoltà in questi anni si è fatta carico di

sostenere un’esperienza educativa quotidiana, attraverso i servizi alla scuola ed al tempo libero. Torino è

una realtà particolare e privilegiata in Italia poiché il Comune propone e gestisce in prima persona un

progetto di Centri di Cultura (ITER), garantendo e impegnandosi per la continuità. “ITER (Istituzione

Torinese per una Educazione Responsabile) si pone all’interno di un sistema cittadino che mira a definire un

piano educativo attento ai bisogni dei bambini e dei ragazzi. Le scelte didattiche di ITER si richiamano alla

Convenzione Internazionale dell’ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, alla Carta delle Città

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Educative, al Piano Nazionale di azione ed interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età

evolutiva predisposto ai sensi della legge 451/1997, ai vigenti regolamenti comunali e ai Quadri pedagogici

di riferimento utilizzati dal sistema educativo comunale” (citazione dalla pubblicazione ITER - qualità del

pensare, risorse per educare, Città di Torino, 2009 ). È quindi necessario lavorare affinché il diritto al gioco,

riconosciuto nell’articolo 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, venga praticato dalla comunità

educante, allo stesso modo del diritto allo studio.

Altro nodo critico emerso è la mancanza di riconoscimento sociale al mestiere di educatore, che viene

segnalato come elemento discriminante e demotivante soprattutto dai giovani che vivono una realtà

lavorativa poco tutelata, spesso precaria e non abbastanza remunerata. Sono ancora molti i dubbi, le

domande a proposito della formazione e dei suoi obiettivi.

Un problema aperto, e che non è stato affrontato nel gruppo per mancanza di tempo, è la formazione

ludica intesa come bagaglio interiorizzato di giochi e di modalità di giocare. Ancora oggi il gioco della

tradizione, per esempio, tramandato nel tempo soprattutto per via orale, grazie alle sue caratteristiche di

adattabilità al contesto, alla possibilità di negoziazione delle regole, all’alternarsi di ruoli e sottoruoli

all’interno dello stesso gioco, e per la ricchezza di relazioni, rappresenta una struttura formativa di

riferimento per i nuovi educatori da indagare, sviscerare, reinventare e riproporre.

In conclusione si sottolinea l’importanza di una formazione ludica che si orienti verso la comprensione

dell’altro e l’autoriflessione, non dogmatica né passiva acquisizione di competenze, ma aperta al

cambiamento, ferma sul significato della responsabilità educativa, consapevole della travagliata storia della

pedagogia e dei suoi paradigmi, rivolta al futuro e pronta ad imboccare nuove strade.

“La cura si esercita nel silenzio della pratica e nel buio del disinteresse per il bene comune” 142

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142

Boffo V., La cura di sé e la formazione degli educatori, in Ulivieri S., Cambi F., Orefice P., Cultura e professionalità educative nella società complessa, Firenze University Press, Firenze, 2007.

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Capitolo 11

La Minestra sul Cortile: tracce per indagini visionarie alla scoperta dei ladri di

“marmellata”

Andrea Mori

Figlia. Papà. queste conversazioni sono serie? Padre. Certo che lo sono. F. Non sono una specie di gioco che tu fai con me? P. Dio non voglia. Sono però una specie di gioco che noi facciamo insieme. F. Allora non sono serie! Gregory Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, 1986 (sesta edizione)

Primo paragrafo in cui l’autore, in preda ad un’ossessione numerica, sospetta che i ladri di gioco possano

essere dieci e in cui esplicita al lettore alcune informazioni sulla scelta dello stile letterario con cui scriverà il

suo saggio.

È utile chiarire subito che - al termine di un consesso articolato e intenso di discussione - la prima risposta

che mi è venuta spontaneamente alla mente alla domanda tema del convegno, che ha visto riuniti a Torino

alcuni tra i più qualificati “investigatori ludici” e molte persone certamente “informate dei fatti”, è che i

sospetti potenzialmente responsabili del furto in questione fossero certamente più di uno.

Come prima idea, in un batter di ciglia, me ne sono, addirittura, figurati dieci.

Numero canonico e dotato di una certa storicità ed attualità (i dieci comandamenti, i dieci giorni che

sconvolsero il mondo di John Reed, i dieci segreti di Medjugorje, le dieci piaghe d’Egitto, ma anche le ormai

famose “dieci domande” di Repubblica, senza contare il dieci per eccellenza, Maradona) esso, nella

suggestione da film “giallo”, mi è apparso anche attraverso Agatha Christie e i suoi “Dieci Piccoli Indiani”.

Forse questi sospetti non costituiscono, di fatto, una banda di malfattori o un’associazione a delinquere -

anche se alcuni elementi lo fanno supporre - ma, molto più probabilmente, un complesso di cause e

soggetti che, più o meno indipendentemente e inconsciamente, agiscono per snaturare, depotenziare,

svilire ciò che la marmellata-gioco sta da millenni a significare nelle sue plurali, universali e naturali positive

e progressive valenze.

Il rischio di giungere ad ovvie conclusioni era compreso nel lavoro affidatomi con generosa incoscienza dagli

organizzatori, così come reale è quello che mi costringerà a proporre una necessaria sintesi delle tesi

presentate dalle dotte relazioni proposte.

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Proverò, quindi, in piena libertà d’opinione non a restituire un “bignami” ad uso di chi non ha potuto

partecipare alle giornate torinesi - che si possono in ogni modo comodamente leggere ex-post in questo

volume che ne raccoglie gli atti e gli interventi - bensì ad esporre con una certa ludicizia, nonostante più

saggiamente il correttore inserito nel computer mi suggerisca di usare il termine “pudicizia”, alcune ipotesi

e tracce d’indagine affiorate e intercettate qua e là tra gli interventi e che cercherò in breve di riproporvi in

forma organica, attraverso una lettura affatto personale.

Corre l’obbligo in genere, nella stesura di un saggio, di dare allo scritto una forma seriosa e scientifica.

Amante della buona letteratura, che ritengo possa aiutare in modo notevole il gioco, arricchendo

l’esperienza dell’immaginazione e del possibile, a rinnovarsi, reinventarsi e celebrarsi, e devoto da molti

anni ad Italo Calvino - altri stranamente preferiscono Padre (San) Pio - ho deciso qui di utilizzare una forma

letteraria ibrida, “cosmicomica”.

La sfida che mi pongo sarà, infatti, quella di provare a mixare, nell’esporre gli argomenti che hanno fatto da

trama all’incontro torinese, come novello Qfwqf, gnosi e fantastica, leggerezza e complessità.

Ovvero gli ingredienti che dovrebbero essere presenti sempre in ogni buon gioco e, soprattutto, in ogni

giocatore.

Secondo paragrafo in cui, per amore di cronaca, si cerca di riepilogare in breve alcune delle tesi introduttive

più significative presentate nel Convegno per cominciare a ragionare sul già citato furto di gioco.

Nella nostra società, nel nostro vivere quotidiano l’attività di gioco non deve essere un’attività ottativa o

sacrificata rispetto ad altre esperienze. Non è un lusso che qualcuno può o non concedersi, un “benefit”per

pochi (Borgogno, Rizzolo).

Ma deve essere davvero cosa preziosa (e, infatti, lo è) se esiste ancora oggi qualcuno che pretende di

rubarlo, (lui, pane) insieme alla creatività e alla fantasia (loro, marmellata) per negarlo o usarlo in forme

patologiche, alienanti, mostruose.

È un tesoro che rischia di svanire, divorato come nella “Storia Infinita”di Ende da un “Nulla” progressivo e

famelico.

Un nulla che noi stessi umani produciamo a volte in modo artato, e a volte inconsapevolmente, a causa

della nostra disattenzione e disaffezione.

È un tesoro che ha bisogno, infatti, prima ancora di essere speso di essere, innanzitutto, riconosciuto: come

un fondamentale diritto ma anche come attività importante per lo sviluppo umano, componente valoriale

che direziona il senso del nostro agire nel mondo.

Un tesoro, ancora, che se è straordinariamente importante e indispensabile per i bambini, lo è anche per gli

adulti che devono poterlo condividere appieno specie con i bambini con intenzionalità e curiosità.

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Ecco allora che, secondo Anna Bondioli, l’adulto può e deve svolgere una parte significativa nell’azione di

riconoscimento e condivisione del gioco nella relazione dialogica e co-costruttiva con i bambini, pena

l’abbandono di essi alla solitudine o di relegare per essi il gioco in spazi e tempi separati, addomesticati,

sempre più segreti.

Per andare in controtendenza a questa deriva c’è, però, bisogno che l’adulto nel confronto del gioco dei

bambini sia capace di curiosità e attenzione, di organizzare e strutturare occasioni positive, abbia voglia di

prenderne parte assecondandolo, promuovendolo e facilitandolo con disponibilità e competenza, lo

sostenga tenendo conto delle regole senza per questo perdere in giocosità.

È il ritratto, quindi, di un adulto interessato, ma che deve essere indissolubilmente interessante (senza l’una

cosa l’altra non ha validità) primo baluardo a difesa del gioco che - sostiene Emma Baumgartner chiamando

a testimonianza il celebre dipinto “I giochi dei Bambini” di P. Breugel - deve poter essere praticato e

coniugato naturalmente in modo plurale in una molteplicità di esperienze.

Un esercizio variegato e diversificato in quanto funzione della specificità evolutiva umana area d’esperienza

transizionale rassicurante e niente affatto performativa, atta a conciliare nell’essere umano il rapporto tra

mondo interno e realtà esterna (Winnicott, 1976).

L’unica strada per attivare fondamentali processi cognitivi, affettivi e sociali è, dunque, l’esercizio di una

ludicità a tutto campo.

Un’estesa e non specialistica pratica del gioco come elemento di benessere che si produce in quanto “play”

e non singolo “game”, rappresentazione intenzionale del “fare finta” attraverso un insieme protettivo di

simboli e ruoli, ma anche sperimentazione e rielaborazione creativa e organizzata, espressione di emozioni,

interazione, ricerca di soluzioni nuove e condivise.

Questo fibrillante scenario che il gioco propone è però minacciato - oltre che da visioni riduttive e

strumentali che confermano l’esistenza e l’influenza sempre più progressiva di un’infezione che produce un

degrado culturale generale del nostro paese - anche da interventi istituzionali e politici che nel tentativo di

normalizzare, sistematizzare e programmare rischiano di produrre strumenti e occasioni riduttivi e non

evolutivi.

“Il gioco è rock, la politica è lenta” - proclama Riccardo Poli parafrasando Celentano.

I risultati di questa discronìa di ritmi - che il suo Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia

e l’Adolescenza presso l’Istituto degli Innocenti di Firenze registra sistematicamente - sono lì, ben visibili.

Poche sono le regioni in Italia che hanno deliberato leggi a favore della promozione del gioco e delle

ludoteche (le Marche nel 2009, il Lazio nel 2002, il Molise nel 2000, l’Abruzzo nel 1997); nell’ambito delle

varie categorie in cui si articolano oggi i servizi sociali e in cui si sono per la gran parte sperduti i fermenti

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vitali contenuti “in fieri” nella legge 285, il gioco è diluito e nascosto in una nomenclatura burocratica di

sigle; tutto ancora da capire e definire, infine, nel quadro normativo della legge n. 328 rispetto ai processi

formativi e di qualificazione, su cui si sovrappongono scuole di pensiero e metodi differenti, è il

riconoscimento contrattuale e professionale delle figure degli operatori da parte degli enti pubblici.

Nel frattempo, in questo stato di cose articolato quanto confuso, tutto è diventato “ludoteca” (1.260.000

sono le pagine dei siti che su internet che Google restituisce ad una richiesta su questa parola) e tutti

“giocano” (la digitazione su “giochi scommesse” porta questa volta a 2.250.000 risultati) tranne che nei

luoghi, nei tempi, nei modi, con i materiali e le persone giuste.

Non fa eccezione l’attività sportiva in cui, evitando le esasperazioni agonistiche performative causa

d’abbandoni e frustrazioni precoci da parte dei ragazzi, e partendo, invece, dalle chiavi interpretative e

categoriche sulle tipologie ludiche elaborate da Caillois, (Paidia-Ludus e poi Agon-Mimicry-Alea-Ilinx) Mario

Pollo propone, prendendo a modello la lezione orientale dell’integrazione psiche/corpo, il recupero di una

dimensione di benessere.

L’esercizio gratuito, inutile improduttivo ma gratificante e “bello” di una capriola di fronte ad una porta

vuota, dove sarebbe utilmente più utile il cinismo di fare goal.

La prevalenza della mente sul corpo, dell’armonia sulla forza.

La ludicità che si afferma appieno con la negazione della spettacolazione, perché chi gioca lo fa soprattutto

per sé educandosi al confronto con i propri limiti, accettando la propria impercettibilità e finitudine, con

l’allenamento ad assumersi le responsabilità nel tempo breve-medio-lungo, nel rispetto della relazione con

l’avversario che determina la condizione del gioco stesso, collaborando con lui affinché il gioco non finisca e

con la cooperazione con i propri compagni di gioco.

C’è forse bisogno, a questo punto, di produrre e rivendicare una “resistenza ludica” come suggerisce

animatamente Amilcare Acerbi prendendo il punto di vista di Gio.Na, l’ente che associa in Italia i Comuni

che intendono promuovere un manifesto di buone pratiche ludiche a favore dei propri cittadini grandi e

piccoli?

Le ragioni per attivare una pratica ludica “militante” di difesa, ma soprattutto di rivendicazione del diritto al

gioco ci sono tutte.

Nel corso degli ultimi 15-20 anni si erano create - attraverso un lento, progressivo lavoro territoriale e la

sperimentazione di modelli operativi mutuati dalle migliori situazioni europee - le condizioni ontologiche di

un modus operandi che potesse coinvolgere tanto gli enti pubblici quanto il grande mare

dell’associazionismo educativo e del terzo settore e che fosse in grado di valorizzare il gioco e la cultura

dell’infanzia e la soggettività e il protagonismo, attraverso il gioco, di bambini e ragazzi.

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Con la legge 285 si era giunti ad una prima ed innovativa sistematizzazione e istituzionalizzazione, non priva

di alcune imperfezioni, di questo percorso.

La prematura fine, un processo “interruptus”, della legge 285/97 prima che potesse modificare lo status

quo pregresso e fornire, in un ragionevole e naturale lasso di tempo, i risultati della sua azione di

rinnovamento, ha portato, secondo Acerbi, ad una disgregazione significativa di tale sistema.

Si è creato, in conseguenza, uno stato di entropia dove si sono smantellate e perdute piccole e grandi

conquiste che si erano date ormai per consolidate.

Tra i segnali di tale degrado ci sarebbero: una riduzione e standardizzazione dell’esperienza ludica nella

scuola, specie in quella dell’infanzia; la nascita selvaggia di servizi ludico-educativi ibridi che confondono la

valenza della ludoteca con altre più di tipo socio-assistenziale; un confuso, discontinuo e sempre più

degradato sistema formativo a sostegno delle professioni che dovrebbero operare con e per il gioco; il

senso di abbandono e la conseguente involuzione/depressione all’interno dei propri piccoli orticelli, di

quelle forze sociali e associative che nella “primavera” della 285 erano uscite allo scoperto e avevano

provato a creare sistemi di rete e cooperazione.

Di contro, per nostra fortuna, per tutta la lunghezza e la larghezza dell’Italia, con sud e isole in pole

position, sono presenti molte buone pratiche ludiche tanto permanenti quanto itineranti, alcune delle quali

assunte quali nuove tradizioni culturali e popolari, fortemente radicate nei rispettivi territori e connotati da

qualità e originalità di contenuti, modalità di gestione e di partecipazione: musei del gioco e della scienza,

città dei ragazzi, centri di documentazione, laboratori e atelier, parchi tematici.

Il passaggio dall’aspetto politico del gioco a quello personale ed etico è a questo punto inevitabile.

Credo che poca sia la letteratura che ha approfondito il rapporto tra gioco ed etica. Nel gioco dell’essere

umano, oltre il rispetto basilare delle regole date (che abbiamo capito tanto ovvio non è più), deve poter

subentrare un fondamentale elemento valoriale che dia la direzione di senso dell’agire.

Dai risultati dei lavori di gruppo particolarmente affollati ed emotivamente partecipati, anch’essi raccolti in

questo volume, emerge evidente che restano aperti molti files su aspetti cardine quali la formazione degli

operatori ludici, le strategie delle politiche sociali in relazione al gioco, l’uso qualitativo di esso nei contesti

problematici e conflittuali, nel rapporto con le nuove tecnologie, nella complessità dei sistemi educativi-

didattici e nelle aree del tempo libero che si muovono in sincrono con altre aree e sistemi altrettanto

complessi.

Quarto paragrafo in cui, finalmente, si elencano tracce di indagine, gli indizi e le ipotesi, si fanno nomi e

cognomi di possibili colpevoli e ci si pongono, in conseguenza, alcune significative domande a cui sarebbe

lecito provare a cercare risposte.

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281

Come Montalbano in un racconto di Camilleri, dopo aver acquisito le dovute informazioni e circoscritto la

“scena del crimine”, è ora di riepilogare tracce e provare a concatenare indizi, cercando di mettere alle

strette colpevoli e responsabili.

Provo a farlo con una sequenza d’immagini concrete.

La prima è quella di un lucchetto. Un indizio che racconta di un diffuso senso d’insicurezza.

Fuori dai rituali pontemilviani inventati da un furbo scrittore contemporaneo e diventati facile esca per

carpire emozioni di freschi cuori giovanili, l’oggetto rimanda in sé ad una più presunta che reale garanzia di

sicurezza e controllo.

Che è la stessa contraddittoria situazione in cui si trova a vivere oggi il gioco in Italia esaltato a parole e

combattuto nei fatti.

In un film per ragazzi recente - non a caso di produzione tedesca - Maga Martina e il libro magico che parla

di una ragazzina scelta da un’anziana maga per diventare suo epigono, la cosa veramente interessante da

notare - almeno per un adulto mediamente attento - è che i bambini protagonisti si muovono nel loro

quotidiano con una naturale disinvoltura e autonomia: vanno in bicicletta a scuola, in aula i banchi non

sono allineati, dopo la scuola vanno a cavalcare nel maneggio, ecc.

Una situazione che si capisce è una realtà “marziana” per il 99% dei loro coetanei italiani dato che non tutti

i bambini e ragazzi italiani hanno la fortuna di essere altoatesini ma vivono anche a Rosarno, Corato e in

altri contesti cittadini più mediterranei dove cuore e sentimento hanno la meglio sulla ragione e quando si

percepiscono bambini e ragazzi che si muovono da soli in strada, sono generalmente la visibilizzazione di un

abbandono, piuttosto che simbolo di conquista di autonomia.

È utile, da questo indizio, aprire una riflessione che può tradursi in due principali domande:

Come restituire in tale situazione al gioco la dimensione di libertà, di evento imprevedibile, di avventura?

Per dirla con la socio-urbanista Luciana Bozzo (Pollicino e il Grattacielo, Seam ed., Milano) come far sì che si

possa parlare di gioco per i bambini sempre più in termini di “playground” al posto delle situazioni

“sandbox”?

Meglio lasciare che il gioco prenda il suo spazio come trasgressione o regolarlo e addomesticarlo nel modo

più ampio possibile secondo il classico paradosso del “Corri, ma non sudare”?

Evidenzieremo altre questioni per gli altri nove indizi che seguiranno ponendocele didatticamente, come ci

suggerisce Daniele Novara (L’Ascolto s’impara, EGA), come “domande legittime” ovvero senza la

presunzione di avere per esse risposte già pronte e codificate ma proponendole come campo

contraddittorio di riflessione e laboratorio creativo in cerca di possibili soluzioni.

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Ecco, allora, un secondo indizio: un telecomando.

Il potere dell’immagine, la società dell’immagine.

Si rincorrono su questa suggestione le lucide catastrofiche visioni di Mc Luhan e di Postmann (ma è davvero

scomparsa l’infanzia come diagnosticava ormai vent’anni fa o si rappresenta in modo altro?) e quelle più

ludiche di Andy Warhol o di Rodari (“La tv? Una tigre di carta”).

Le colpe della televisione quale possibile assassino della ludicità nei bambini (ma a mio avviso più negli

adulti che ne assorbono e ne subiscono duramente e profondamente gli attacchi nefasti) non stanno più

nelle conseguenze alla sua massiva esposizione catodica quanto nella trasmissione che essa fa di modelli

culturali e valoriali di basso profilo, conformisti, consumisti.

Non sono - ripeto - i più piccoli a farne le spese quanto i loro riferimenti adulti che suggeriscono e

fomentano nei ragazzi e negli adolescenti la pratica e il mito di “passioni tristi” in cui il telecomando diventa

simbolo postmoderno di un uso patologico di micro e macro potere da cui anche il gioco è contaminato.

Torniamo anche qui a riflettere come il gioco può fungere, usando una metafora frabboniana “da

controveleno vincente” a chi vorrebbe proporre-imporre una modalità di gioco che è gioco di conquista,

che si rapporta con nemici da schiacciare e rendere sudditi e non con avversari con cui verificare lealmente

le proprie capacità.

Anche qui una domanda difficile e un po’ fastidiosa che dovrebbe dinamizzare i nostri pensieri e riflettere

sui nostri atteggiamenti: è possibile scoprire, cercare, verificare nel gioco e soprattutto in chi gioca una

dimensione etica, solidale, po-etica, e anche eco-logica?

La risposta, credo, non sia scontata. Così come credo che bambini e adolescenti d’oggi si siano mitridatizzati

e siano capaci di sfuggire attraverso flessibili strategie tecnologiche a ciò che oggi, come nel mito della

caverna narrato da Platone, per loro sono solo immagini riflesse di una realtà che non li appartiene.

Si va per flash e si è giunti al terzo indizio che si manifesta nei sembianti di un giornale finanziario, di colore

rosa, di cui non faremo nome.

Ammazza il gioco chiunque cerchi in esso gratificazione a riscontro di una performance produttiva.

Le teorie di Latouche sulla necessità della “decrescita” non valgono solo in campo economico.

Non abbiamo stressato solo il nostro sempre più piccolo pianeta ma anche il piacere di voler giocare.

Ci si dimentica continuamente - e non è un caso ma una declinazione culturale che abbiamo introiettato

profondamente anche noi che propugniamo da educatori e animatori progressisti e innovatori i diritti del

gioco - che l’art. 31 della Convenzione dei Diritti dell’Infanzia del 1989 richieda per i bambini anche la

garanzia di offrire loro “tempo libero” e “relax”.

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È forse è il caso di produrre F.I.L. (Felicità Interna Lorda) più che P.I.L.

Una filosofia che restituisca in generale tempi, spazi e possibilità di errore e sperimentazione, che insista sui

processi e non sulle performance.

Chi ricorda più - sembrano passati millenni - le teorie rivoluzionarie di F. De Bartolomeis per una scuola

basata sui laboratori o la filosofia educativa - accogliente e non discriminante, non violenta e motivante di

chi accettava l’imperfezione performante dell’altro (il “fa quel che può, quel che non può non fa” che

Alberto Manzi declinava per quei ragazzi che venivano tacciati di negligenza o di marginalità rispetto agli

standard didattici tradizionali) o di chi anteponeva il sognare l’altro come condizione per farlo crescere

come insegnava poeticamente Danilo Dolci?

Come, dunque de-PIL-are il gioco, eliminandone i rischi di una sua lettura produttiva restituendogli

emozione e bellezza, affinché possa restituire al mondo armonia?

Incalza il quarto indizio. È uno dei più ambigui e pericolosi.

Uno specchio in cui si può rimirare solo se stessi.

È incredibile come l’autoreferenzialità sia uno dei virus più aggressivi che colpisce chi gioca.

Qui non si tratta solo di alimentare un sano egoismo con cui rafforzare autostima e consapevolezza di

essere.

Chi gioca - e qui intendo sottolineare soprattutto chi dovrebbe essere promotore di cultura ludica e di

politiche a favore del gioco - corre il rischio di giocare, in maniera onanistica, con se stesso e con i propri

simili, escludendo dal proprio orizzonte chi non fa parte del coro.

Se oggi scontiamo in Italia una visione minore e dequalificata del gioco la dobbiamo soprattutto a quelli che

hanno fatto culto della propria ludica personalità autoreferenziandosi e chiudendosi in forme settarie

sentendosi come “templari”, unici missionari predestinati alla ricerca del “Graal” e a difesa del Sacro

Sepolcro.

Come fare allora, per ritrovare un minimo comune denominatore, al posto del massimo comun divisore

oggi trionfante, tra chi opera per e in nome del gioco in Italia?

Come evitare l’insorgere di protagonismi individuali a scapito di soggetti collettivi per poter pesare in modo

maggiore sull’opinione pubblica, la politica, i mass media?

Da dove cominciare, quali elementi potenziali e non categorici mettere alla base di un patto, per ricostruire

un sistema unitario e coordinato istituzionale-formativo-operativo/creativo-socio/culturale riguardo

all’ambito ludico?

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Chi fa da sé, dice la cultura popolare, fa per tre ma nel gioco - grazie alla contraddittorietà della cultura

popolare che tale è in quanto frutto dell’ambigua natura umana - è sempre l’unione che fa la forza.

Orfani ormai da tempo di una visione nazionale (rappresentata per molti dall’esperienza del C.I.G.I.) i vari

stati e staterelli pre unità d’Italia in cui la geo-politica ludica nazionale si è frantumata si compiacciono del

proprio, piccolo orticello in cui illudersi di poter riprodurre ed interpretare il mondo.

Ciò a scapito della necessità impellente di ingaggiare e promuovere - certo con più fatica e mediazioni -

progettualità comuni, rapide-leggere-visibili-progressive che inizino a liberare in modo graduale il gioco

dagli stereotipi agonistici e tecnologici in cui è subdolamente ingabbiato, dalle polverose, nostalgiche ed

estetiche archeologie in cui è conservato e dalle deformazioni mostruose con cui è commercializzato e

(s)venduto.

Complementa e rafforza questo indizio, un quinto: due prese elettriche non compatibili tra loro

simboleggianti proprio l’attuale incapacità e sconnessione tra gli attori che agiscono sul territorio nazionale

sulla scena del gioco.

E siamo al sesto. È un gioco di carta. Di quelli che si fanno (o si facevano?) per far sorridere, sorprendendo, i

bambini più piccoli, ritagliandoli e piegandoli con pochi essenziali gesti della mano e delle forbici.

Se precedentemente abbiamo ricordato tramite le parole della Bondioli l’importanza del gioco nella prima

infanzia e il suo necessario sostegno e condivisione da parte dell’adulto, non possiamo però non

sottolineare quanto sia pericoloso - come ancora si fa - infantilizzare l’esperienza ludica.

Ridurla a pratica da bambini, farne prevalere la valenza ricreativa e di intrattenimento a scapito di quella di

consapevolezza e d’opportunità, di agio e di creatività, di competenza e di qualità della relazione di cui ogni

essere umano può avvantaggiarsi e goderne senza perdere, ma anzi acquisendo, dignità.

Ci sarebbe da cambiare questa retriva concezione già partendo da una rivoluzione linguistica, abolendo dal

consorzio umano quelle parole, deformate da altre più nobili, come “giochino”, “lavoretto” e via dicendo.

Si dovrebbe presupporre, un po’ come teorizza il sociologo Domenico De Masi, la affermazione di una

nuova visione del mondo che dia al lavoro non un valore di alienazione e di subalternità ma di esaltazione,

valorizzazione e gratificazione dei saperi e delle emozioni dell’essere umano - che è quello che fa per

definizione il gioco.

La domanda che ci si dovrebbe porre non è solo legata a come ridare tempo, qualità, occasioni all’adulto

per giocare in modo sereno con il bambino ma anche a quali forme di sperimentazione e modalità nuove di

rapporto tra lavoro, tempi di vita personali, tempi della città (comunità) possono essere immaginate e

quale ruolo può avere il gioco e il giocare in questo percorso?

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La buccia di un mandarino, quale settimo indizio è preso qui come segno relativo al rischio di un uso

mediatico e spettacolare del gioco.

La metafora della buccia è tratta da un classico poetico gioco rodariano (ricordate la filastrocca del “Signore

di Scandicci che buttava le castagne per mangiarsi i ricci”?).

La traduzione ludiforme del gioco, che è essenzialmente un atteggiamento culturale e non un prodotto

estetico da guardare e imbellettare, è diventata una pratica diffusa nella nostra società e ha contribuito

pesantemente all’azione di degrado nel momento in cui l’ha sdoganata come merce e l’ha venduta ai saldi

come puro intrattenimento e condimento funzionale a cose più serie ed importanti.

Che la nostra società, in generale, abbia acquisito una caratteristica ludiforme mi sembra, dunque, un dato

di fatto oggettivo.

Che ludiforme non significhi ludico è però altrettanto evidente. Ci si butta nell’ossessione del divertirsi a

tutti i costi, consumando follemente ciò che è chiamato gioco in varie maniere ad esso allusive ma che da

esso ne rimangono sostanzialmente lontane.

C’è da avere paura di un mondo che senza ironia è capace di inventare il termine “divertentismo”, o che

definisce “ludoteca” qualsiasi posto in cui contenere, a pagamento, dentro gabbie colorate e morbide

tempi e sfoghi infantili fastidiosi all’adulto mentre “Giocare” oggi dovrebbe avere sempre più a che fare con

il concetto di “Possibilità”.

Laddove manca questa condizione il gioco non ha cittadinanza né riconoscibilità, né una sua corretta

pratica ed utilizzo.

Possibilità implica, infatti, la relazione con un sistema fluido connotato da disponibilità (di tempo, di

compagni di gioco, di materiali, di spazi), variabilità (d’ambienti e contesti), potenzialità (intesa come

possibilità di ripensare, immaginare, elaborare), scelta (tra più opzioni di contenuto, tecniche, linguaggi,

interessi) libertà (di cercare, fare e non fare, agire e guardare o pensare); tutti elementi fondanti ed

ontologici del gioco.

Come ridare allora contenuti al gioco, amplificarne i campi dell’immaginario, rielaborandolo e

riproponendolo come esperienza piena, intera, fuori dal consumo ludiforme e superficiale? Quali strategie

o resistenze attuare e proporci?

E siamo agli ultimi tre.

L’ottavo è rappresentato da alcune schede per il gioco del lotto, ovvero: “l’alea come concetto

postmoderno della divina provvidenza”.

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È una divina provvidenza che ha portato a fenomeni patologici sociali, umani ed economici di grande e

preoccupante dimensione.

Per molti adulti oggi gioco è solo identificato con il gioco d’azzardo diventato vizio e malattia endemica

soprattutto tra chi meno ha e meno sa.

La drammaticità di questo giocare non sta nell’atto compulsivo - tipico della dipendenza (da shopping, da

droghe, da fumo, da alcool) che porta migliaia di persone ad acquistare in modo scriteriato biglietti di ogni

forma di lotteria - quanto nella voragine nei confronti della propria autostima e dignità che esso provoca.

Il sogno del fuggire ogni preoccupazione futura attraverso la vincita di un vitalizio perenne o di un jackpot

talmente abnorme da confondere ogni razionale atteggiamento ha la meglio sulla scelta di essere individuo

attivo e “faber fortunae suae”.

La rinuncia a sé e la delega all’imprevedibile disegno del caso è il massimo svilimento a cui questa forma di

gioco può portare.

Ecco che il gioco diventa mostruoso, non una esaltazione dell’uomo in quanto persona ma la sua parodia e

maschera grottesca.

E allora come fare a che il gioco possa proporsi come vaccino al rischio di un suo abuso, riabilitando le

competenze e le possibilità umane, le sue abilità e le capacità d’invenzione, ricerca, adattamento creativo?

Nono indizio: alcune monete.

Sono lì a significare il cinismo, a marcare quell’atteggiamento per cui tutto deve sempre essere utile e

conveniente, “conoscendo il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna” (citando un celebre aforisma di

Oscar Wilde).

E invece andrebbe rivendicata tra gli umani e insegnata nelle scuole l’arte di non accanirsi per accaparrarsi

ogni cosa e invece il piacere di perder/si come atto necessario per ripensarsi e per scoprire quello che ci

potrebbe essere.

Un po’ muovendosi per “Serendipity”, un nome di fantasia inventato dallo scrittore H. Walphole nel 1754,

che sta per “scoprire in modo accidentale cose o fenomeni di interesse che prima si ignoravano mentre se

ne stanno cercando altri”, e, non a caso, anche il nome di una storica ludoteca comunale torinese.

In particolare tale fortunata eventualità, frutto anche e soprattutto di un atteggiamento fatto di attitudini e

capacità di attenzione e desiderio di sperimentazione, si evidenzia più facilmente laddove è in atto un

processo, un percorso, un laboratorio, un itinerare verso qualcosa e qualcuno, un’azione ludica totale,

insomma, per cui occorre essere aperti alla ricerca e attenti a riconoscere il valore qualitativo superiore di

esperienze che disattendono le originarie aspettative.

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Fin da tempi remoti, infatti, le “rivoluzioni”, in tutti gli ambiti del sapere, sono state mosse da “nuove

visioni del mondo”, weltanshaung, scaturite non dalla tradizione, ma da nuove scoperte, nuove idealità,

nuovi orizzonti.

Sul terreno dell’educabilità, data la complessità onto-sociologica del vivere post-moderno e dato il

relativismo permeante qualsiasi forma e dinamica dell’agire quotidiano, la dimensione della “scoperta”, del

“nuovo”, può essere un elemento di slancio, capace di innescare processi formativi tali da consentire una

crescita costruttiva e formativa rivolta alle nuove generazioni.

Può in questa chiave il gioco ri-educare al senso della partecipazione, dell’impegno civico, dello scambio di

esperienze e della condivisione all’interno di una comunità, contribuire al senso di cittadinanza?

Decimo e, finalmente, ultimo indizio: un pacco di spaghetti.

“Italiani pizza, spaghetti e mandolino” o peggio “Italiani, Mafia” erano gli inevitabili standard identificativi

che oltre oceano venivano attribuiti ai nostri connazionali.

Era più pratico e veloce comunicarli e rappresentarli così che starne a comprendere le sfumature e le

diversità identitarie (quanto un emigrante veneto era uguale ad uno pugliese o siciliano?).

L’indizio gastronomico c’è utile a rammentarci il pericolo di una scomparsa del gioco quando esso è

assimilato a pratica monoculturale e stereotipa.

Chiunque conosca un po’ di tradizioni popolari ludiche - chi non lo sa può prenotare a fine settembre una

gita a Verona in occasione della manifestazione Tocatì sui giochi di strada - sa che ogni gioco non dipende

da una tecnica o da un particolare tipo di oggetto/giocattolo ma dalla irripetibile dimensione, natura e

cultura dei giocatori che lo giocano.

È la sua vitalità. È ciò che rende il gioco continuamente nuovo e contemporaneamente antico e ancestrale.

Non c’è un gioco valido per tutti e non c’è un giocatore buono per qualsiasi gioco.

Per un bambino non è migliore un gioco di legno rispetto ad uno elettronico se quest’ultimo è capace di

sollecitare una abilità, una competenza, un desiderio, una relazione.

Non c’è un solo giocare.

Si possono continuare le diatribe tra cultori del gioco di tradizione ed i fan dei giochi virtuali, tra quelli che

amano i giochi di ruolo e i cultori dei giochi di strategia, ecc. ma sono false contraddizioni che perdono il

focus della questione che è fondamentalmente la necessità che si riconosca e si affermi il buon gioco

rispetto alle varie deformanti mutazioni che lo vanno a rappresentare e che rischiano di diventare modelli

vincenti e dominanti.

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E dunque la nostra indagine - che si è fatta man mano sempre più articolata e complessa, a partire da

questo indizio può biforcarsi secondo due aspetti:

Come fare per non perdere radici, memoria, cultura storica del gioco nel futuro in una società connotata

dalla tecnologia?

Dove e come fare incontrare passato e futuro nel nostro presente attraverso nuove forme di narrazione

e di rappresentazione del gioco?

Questi indizi e queste tracce, ampie-confuse-contradittorie non possono chiudere il discorso sui possibili

rischi e i necessari rimedi fatti intorno al gioco. È necessario che l’indagine continui. E che non sia una

avventura solitaria e sotterranea.

Trovare i tempi, i luoghi, i modi e gli strumenti, nuove modalità comuni di comunicazione e di ricerca, campi

di elaborazione e coniugazione culturale, lavorando su quanto ancora, ad esempio - come suggerisce

Roberto Papetti, uno degli sperimentatori più colti del gioco presenti in Italia - gli stereotipi ludici possono

ancora sollecitare, è l’ultima grande sfida che tutti coloro che hanno a cuore il gioco devono affrontare.

Postfazione: quinto ed ultimo paragrafo, politicamente scorretto ma vero, che racconta i retroscena di un

misterioso, anonimo scritto rinvenuto nel computer di un albergo e di una decisione che offrirà al convegno

un finale a sorpresa.

Il Convegno non è ancora del tutto finito.

Nell’albergo in cui sono ospitato insieme ad altri ben più autorevoli esperti ludici, chiedo all’addetto alla

reception di poter usare il computer per leggere le mail ricevute.

Sul desk noto un file.

Si chiama “orgoglio ludico”.

Mi intriga l’abbinamento.

Solletica la mia natura di militante a tempo pieno del gioco.

Chi l’avrà scritto? Un componente delle “Bigliate Rosse” o dei “Nuclei Ludici Con Battenti”?

Forse qualche “grande vecchio” insospettabile tipo Acerbi, Pollo, Bartolucci...

L’avrà letto già qualcun altro? Un altro mistero, oltre quello del furto della marmellata.

Dovevo immaginarlo: Torino, si sa, lo diceva già Ripellino, è una città magica e gotica, scenario ideale per

cose di questo genere.

Questa traccia capitatami sotto gli occhi non può essere casuale. E difatti non lo sarà.

Anch’io come Oscar W. capace di esercizio di temperanza e resilienza di fronte a molte cose ma non alla

curiosità mi abbandono alla tentazione di leggere.

Supero, quindi, di slancio il “chefaccioloapro?”. Mi dico “ok” e clicco.

Ecco cosa ne viene fuori:

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“Può parlare di gioco, solo chi gioca.

Il gioco sfugge alle categorie e se ne alimenta.

Ma il gioco evolve, i giochi evolvono.

Puoi veramente parlare di gioco, se non dedichi gran parte della tua vita a giocare?

Non ti sembra che ti sfugga qualcosa?

Leggere di gioco e non giocare, non autorizza a parlare.

È come leggere le istruzioni di un cellulare e pensare di poterlo usare.

Si può parlare di gioco in assoluto, senza mai aver provato, in relativo, a tenere il joystick di una console in

mano, senza aver mai sudato agitando il comando di una wii?

Si possono fare affermazioni sul modo di giocare, se non si riescono a citare più di 10 giochi da tavolo,

escludendo i classici?

Si può dire che un bambino gioca così, che una bambina organizza il gruppo di gioco così, che l'adulto si

deve comportare così, se in quel gruppo non ci sguazziamo tutto il giorno?

Non so, se è possibile.

Credo di no.

Se il gioco è importante, perché non giochiamo invece di parlare?

E anche se tu fossi capace di parlare bene del gioco, di farne capire l'intrinseca importanza per la vita di un

essere umano, di distillarne l'essenza, quanto di quello che dici, gli adulti che ti ascoltano, riusciranno a

portarsi a casa?

Forse si portano a casa di più se li fai giocare... ma non in una simulata, non per finta, non per

esperimento... se li fai giocare sul serio.

Se in un meeting, in un convegno, in un incontro solo si parla di gioco e non si gioca, tutti torniamo a casa

più poveri.

Come aver l'acquolina e non poter mangiare.

Ti ricordi che ci hanno parlato di uno splendido e debordante tiramisù... ma, accidenti, non ce l'hanno fatto

assaggiare!”.

I dubbi posti dall’anonimo scrivano telematico sono in parte condivisibili.

Un convegno è di solito connotato da un insieme ponderoso di concetti, parole, tesi, uso e abuso di “power

point” alternati ad agognati break coffee e a fruttuose discussioni nei corridoi (c’è, infatti, chi, senza paura

di finire in una visione ossimorica teorizza formule convegnistiche in “open space” o “camp” in cui,

paradossalmente, l’informale è strutturato secondo precise regole).

Chi partecipa ad un evento del genere sa a cosa va incontro e si attrezza.

Quanto il gioco può essere convegnizzato o quanto un convegno può ludicizzarsi è però un problema che ci

si dovrà porre prima o poi.

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A me torna in mente - sempre a Torino e sempre a dicembre, ma nel 2005 - la formula del “Time To Play”.

Interventi colti e qualificati ma, se debordanti i limiti di tempo concordati, interrotti da uno spernacchio di

un trombone (impossibile poi continuare o riprendere il filo del discorso senza cadere nel ridicolo).

Gags e performances che raccontano il gioco vivacemente giocando con il corpo, i cartoni, gli oggetti,

workshop ludico-pratici a contorno dentro e fuori il Lingotto.

Lo scritto clandestino sopra riportato, che racconta una specie di contraddizione mistica tipo: “del gioco

non si può solo parlarne”, apre lì per lì, immediatamente ed inconsapevolmente un altro file, tutto mio,

personale.

È così che decido di impostare le conclusioni del convegno, inserendo il gioco nella mia comunicazione.

Provando a “far finta” di essere uno dei mitici agenti del “R.I.S.” di Parma che, grazie allo sdoganamento

televisivo, hanno sostituito nell’immaginario collettivo contemporaneo degli “eroi buoni” - quelli che alla

fine arrivano e vincono i cattivi - i cow boy d’un tempo che fu.

Con alcune complicità ludiche di qualità (Maria Carla, Roberto, Beniamino, Gianfranco, AnnaMaria,

Paolomunini) costruisco il canovaccio, i presupposti e le motivazioni.

Grazie ad alcuni commercianti torinesi mi procuro gli oggetti di scena e i costumi (tute bianche da lavoro).

Con due affiatate, ludicissime, e intrepide colleghe di Narni - coinvolte solo mezz’ora prima - rappresento la

performance, il “play”, mostrando al pubblico con loro i dieci simbolici indizi raccontati nei paragrafi

precedenti, giocando a ipotizzare colpevoli e responsabili.

Saranno quelle che Pasquale (teatrante torinese, ma anche un po’ pugliese come me) chiamerà con uno

straordinario neologismo le “clownclusioni” del convegno.

Al termine, al culmine dell’adrenalina, c’è spazio anche per una citazione presa in prestito da un altro più

celebre performer, con il pane spezzato e spalmato di marmellata distribuito ai presenti a sottolineare la

“comunione” ludica del momento che dedico, commosso, a Giancarlo Perempruner mio inarrivabile mentore

ludico.

Mi sento bene, non è felicità, ma di più.

Pienezza e consapevolezza data dal coraggio di aver avuto voglia di giocare e di aver giocato.

Sento che è venuta fuori energia e mi sembra si sia propagata tra i partecipanti al convegno.

Sarà una sensazione che mi accompagnerà per molto tempo e spero - nel ricordo di quel gioco di finzione,

piccolo, leggero, insospettato ma fortemente voluto - non solo me.

So che Giancarlo sarebbe stato contento di tutto ciò.

Un grande ringraziamento a Maria Carla Rizzolo e ad Anna Maria Venera, e ai loro colleghi delle Ludoteche

e del Centro per la Cultura Ludica di Torino per aver accettato di giocarsi con me le conclusioni del convegno

e ai responsabili di ITER che lo hanno così ben organizzato e promosso.

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Per non concludere

Pensieri in libertà…

Maria Carla Rizzolo

La prima riflessione che viene immediata è senza dubbio riferita alla difficoltà di trattare in modo

serio e preciso, un tema che non è serio né, tanto meno, preciso.

Sul gioco si è detto e scritto molto, ma si è giocato? Quanto e quando si gioca ancora? In verità è

proprio questo ciò a cui si dovrebbe tendere, visto che in molti ci hanno ripetuto (anche i saggi relatori del

convegno) quanto sia importante giocare, quanto faccia bene il gioco …a tutte le età e in tutti i contesti.

Allora si è cercato di salvaguardare l’atteggiamento ludico, mascherandolo adeguatamente perché non

siamo ancora grandi abbastanza per affrontare un convegno solamente giocato… Tra i mille motivi

ricorrenti, primo tra tutti è la persistente diffidenza a considerare formativa un’occasione ludico-creativa,

costruita sul piacere di divertirsi! La formazione è una faccenda seria, e come tale va trattata!143

Per fortuna lo spunto di calviniana memoria (riferita a Calvino e non a coloro che sono privi di capelli)

ci ha consentito uno stratagemma: partire da una domanda golosa (chi ha rubato la marmellata?), ma

precisamente collocata nella sfera culturale, per esplorare in modo ludico (speriamo!), avventuroso (forse!),

indagatorio (inesistente nel vocabolario, ma molto di moda!) dove sono finite quelle fette di pane e gioco,

che oggi sono sempre più rare! Perché anche il gioco ha bisogno di sostegno: ha bisogno di servizi entro cui

svilupparsi, di persone che lo possano diffondere, di spazi aperti e liberi, insomma di energetiche fette di

pane bianco o integrale, ai cereali o altro poco importa, quello che è fondamentale è che torni ad essere

una merenda genuina, con una moltitudine di gusti e di profumi.

Per prima cosa è importante che se ne parli, che si porti in giro la voce dei saggi unitamente a quella

dei bambini, dei ragazzi, delle famiglie che in molte parti d’Italia, ancora assaggiano il gioco autentico,

insieme a loro potremo provare e trascrivere e a diffondere sempre nuove ricette ludiche. Perché non si

tratta solo di conservare la memoria del passato, ma soprattutto di gustare il passato (non inteso come una

crema di qualsivoglia verdura) per guardare al presente, con la disponibilità necessaria a conoscere e

collaborare con i nuovi mondi ludici contemporanei.

Quello che è stato sottolineato in queste giornate è condensato in alcune parole chiave emerse dai

gruppi, come: comunicazione, relazione, piacere, divertimento, benessere, autenticità, partecipazione.

Soprattutto nella dimensione educativa queste parole chiave diventano fondamentali perché consentono di

realizzare esperienze che difficilmente saranno dimenticate da coloro che ne sono stati protagonisti. Con

l’aiuto di tutti, potremo continuare a farle crescere e a difenderle, quando ce ne fosse bisogno, per

garantirne la continuità. Non di meno conosciamo le difficoltà del gioco, perché non si può dire “gioca!”

143

Purtroppo questa interpretazione, prevalente in campo educativo, lo è molto meno in campo aziendale dove chi manovra le grandi organizzazioni e i profitti ha ben chiaro che contenuti e apprendimenti, anche quelli poco etici, sono maggiormente compresi e meglio assorbiti se passano attraverso il gioco; lo sapevano già gli antichi Romani, che stimolavano il gioco di strategia tra i comandanti delle legioni per migliorare le loro competenze.

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perché chi è nel gioco non può barare (chi lo fa rischia l’espulsione), perché il gioco richiede di essere

autentici e se un gioco non ti piace difficilmente puoi farne un’occasione educativa.

Certo il tempo a disposizione era poco (chissà perché un bel gioco dura poco!) ma oggi sappiamo che

ciascuno dei partecipanti, alla fine dei lavori, ha potuto portare con sé alcuni ingredienti: una domanda, un

barattolo e un gioco, frammenti di discussioni, un sorriso, nuove relazioni, conoscenze sparse, attese…

Con questi elementi, nei diversi territori, si può innestare ancora il buon gioco e diffondere la ricetta

della marmellata - ludica, per renderne vano il furto.

Quando si sta bene insieme il desiderio è di non concludere, ma di rilanciare attraverso la raccolta di

pensieri e suggestioni un po’ in ordine sparso, anche perché la dimensione del gioco e del giocare, dal mio

punto di vista, è un vasto universo sempre in movimento, che si costruisce con il contributo di tutti.

Pensieri in libertà perché pensando al gioco tendo a partire dai bambini, ma poi mi ritrovo nel mondo

adulto; penso agli educatori e alla scuola ma poi incrocio anche la famiglia; penso alla memoria ludica, alla

tradizione popolare e alla cultura orale (oggi dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO) attraverso cui

hanno viaggiato giochi, regole e modalità di relazione tra generazioni di bambini e mi domando quali spazi e

tempi ci siano oggi, e a quali sforzi siamo chiamati per sostenere la cultura ludica popolare.

Tendo a guardare in modo privilegiato ai servizi in cui lavoro, ma cerco di interrogarmi su quali servizi

possono dare risposte ai bisogni e ai desideri dei cittadini di ogni età, di oggi e di domani, quali alternative

possono contrastare i nuovi luoghi del non gioco: macchinette mangiasoldi, i gratta e vinci, il lotto 24 ore…

Se il gioco è parte della vita dell’uomo bisogna distinguere e non confondere la dipendenza con il

sano piacere e la libera scelta.

Presto attenzione alla normativa di sicurezza sul lavoro, alla legislazione che definisce le

caratteristiche degli edifici educativi, ma mi domando come e quando ci sarà spazio per discutere

seriamente su come affrontare una consapevole educazione al rischio che consenta a bambini e ragazzi di

esplorare se stessi e il mondo in modo graduale e consapevole.

Quando sento commenti giudicanti sui comportamenti e sulle difficoltà in cui si trovano i ragazzi oggi,

mi chiedo quali sono i modelli di adulti positivi di cui dispongono? con quali valori etici, sociali e culturali si

possono confrontare?

E ancora, come è difficile maturare consapevolezza e senso di responsabilità, da costruire e da

condividere con chi lavora per loro in tutti i campi: dalla comunicazione mediatica, alla politica fino alla sfera

educativa.

Allora credo sia importante allearsi, mettere insieme pensieri ed energie positive che ci aiutino a

tenere alto il livello culturale e popolare del gioco, a difendere il diritto al gioco senza nostalgiche e

melanconiche memorie verso il passato, ma con entusiasmo, con spirito critico e voglia di sporcarsi le mani,

attenti ad accogliere e restituire un pensiero critico anche sul versante del gioco.

Due giornate di lavori e confronti per noi, ma ci auguriamo anche per ciascuno dei partecipanti, sono

state una vera iniezione di energia pulita, una piccola ricarica personale, da portare con sé per affrontare

meglio i quotidiani impegni.

Per rilanciare prendo in prestito un pensiero di Walter Ferrarotti, pedagogista, che ha diretto per

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molto tempo i Servizi educativi della Città di Torino, alla cui figura, durante i lavori del convegno è stato

intitolato il Centro per la Cultura Ludica:

“… affrontare i problemi di una nuova qualità di vita partendo dall’infanzia e in particolare dal gioco

del bambino è una delle carte che la Città può giocare per sé e per gli altri. Una delle carte non certo l’unica

neppure la più importante, ma significativa perché il gioco è una risorsa biologica che permette ai piccoli di

tante specie di sopravvivere, di imparare a vivere e di intendersi con chi parla un linguaggio diverso o non

parla affatto.”144

Per quello che ci riguarda la promessa è di continuare a credere e a sostenere lo sforzo personale e

pubblico, esercitando il gioco nelle ludoteche e in qualsiasi altro spazio sapremo inventare.

Un impegno che tende anche a contrastare quel gioco che non ci piace e che genera dipendenza, che

confonde le idee promettendo future fortune, che andrebbero conquistate con il lavoro, con l’inventiva

personale.

Grazie a tutti

Un sincero ringraziamento a tutti coloro che con me hanno creduto nell’iniziativa, coinvolgendosi in

prima persona:

innanzitutto il gruppo di collaboratori dei Centri di Cultura per il Gioco: gli esecutori, gli insegnanti,

l’apparato amministrativo, i grafici… senza il loro lavoro puntuale e determinato non sarebbe stato

possibile dare vita al convegno;

poi i relatori, sedici saggi che da varie parti del Paese hanno portato i loro preziosi punti di vista per

consentire un proficuo scambio di pensieri;

il vasto pubblico dei partecipanti145 che ha arricchito la discussione rendendo possibile il confronto e lo

scambio, nei gruppi lavoro, oltre ogni aspettativa;

ultimo ma non ultimo va un ringraziamento al Servizio: dall’Assessore ai Dirigenti che con il loro assenso

e il loro contributo hanno creduto e sostenuto ancora una volta, il valore del gioco.

Un ringraziamento e un saluto a tutti noi che sappiamo bene che, come può succedere solo nel gioco,

quando ci si incontra di persona, si accrescono le relazioni e i sogni diventano un po’ più vicini.

Quando soffia il vento del cambiamento

alcuni costruiscono muri,

altri mulini a vento!

(proverbio cinese)

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144

Ferrarotti W., Gioco e Animazione, Thyrus, Terni, 1981. 145

Quasi 400 iscritti, con 18 regioni italiane rappresentate, 28 differenti professionalità: dagli educatori agli architetti, dagli insegnanti ai pediatri, dai genitori agli amministratori…

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Autrici e autori

Riccardo Poli, di formazione pedagogista, collabora con l’Istituto degli Innocenti di Firenze alle attività del

Centro Nazionale di Documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza fin dalla sua costituzione nel

1996. In questo contesto ha partecipato alla realizzazione di attività di analisi, formazione e promozione,

occupandosi in particolare dell’attuazione della legge 285/97, supportando l’Osservatorio Nazionale per

l’Infanzia e l’Adolescenza nella predisposizione dei Piani nazionali d’azione e collaborando alla stesura del

Rapporto all’ONU sull’attuazione della Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo. Dal 2007 è

segretario nazionale del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza.

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Amilcare Acerbi, coordinatore pedagogico dei Servizi educativi di Pavia, Cremona, Torino, presidente del

Comitato Italiano per il Gioco Infantile. Fondatore e responsabile della prima cityfarm italiana a Pavia, ha

collaborato alla progettazione e all’apertura dei seguenti servizi sul gioco: Centro per la Cultura Ludica di

Torino, Centro per la Cultura del Gioco di Milano, Parco della Fantasia Rodari di Omega, Città dei Ragazzi di

Siano, EcoCittà dei Ragazzi nel Parco del Severo, Museo del Gioco di Tradizione per la Fondazione Pianura

bresciana. Attualmente è direttore di GioNa (Associazione Nazionale delle Città in Gioco), consulente del

Comitato Italia 150 di Torino per la sezione scuola e didattica. Autore dei seguenti volumi: Spazi ludici. 30

progetti per aree gioco in interni e all’aperto. Manuale per la progettazione e la gestione (con Giuliani M.,

Martein D.), Maggioli Editore, Rimini, 1997; Il gioco è di più. Ludoteche e centri per il gioco e l'aggregazione

(con Martein D.), Junior, Azzano San Paolo, 2005; Musei, non-musei, territorio. Modelli per una pedagogia

urbana e rurale (con Martein D.), Franco Angeli, Milano, 2006.

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Andrea Mori, responsabile, animatore ludico e socio-culturale della cooperativa sociale Progetto Città che

ha fondato nel 1980, si occupa di numerose attività e progetti ludico-educativi, mostre, corsi di formazione

e aggiornamento. Progettista e responsabile di diverse manifestazioni nazionali, in particolare ideatore e

responsabile del Centro per la Cultura Ludica di Bari. Socio fondatore dell’Associazione Italiana dei Ludobus

e delle Ludoteche di cui è stato presidente dal 2003 al 2007. Dal 2006 è socio fondatore e presidente della

Fondazione Città Bambino, per cui ha curato nel 2008 e nel 2009 le edizioni della manifestazione

Giocalaluna - La notte dei bambini e delle bambine. Autore di numerosi articoli e contributi in volumi, dal

2002 è curatore, insieme a Roberto Farnè, della collana Piste per la casa editrice La Meridiana, con cui ha

pubblicato In giro giocando-ludobus, animazione e territorio, 2002.

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Maria Carla Rizzolo, responsabile pedagogica dei Centri di Cultura per il Gioco di ITER.

Dal 1984 direttrice di circolo didattico, per il Comune di Torino ha contribuito alla definizione del Progetto

Gioco della Città, del quale è responsabile pedagogica dal 1995. Ha accompagnato l’evoluzione dei servizi

ludici nella loro nuova veste di Centri di Cultura per il Gioco all’interno dell’istituzione ITER. Formatrice per

il CIGI (Comitato Italiano Gioco Infantile) sul tema del gioco e avventura parchi robinson, e per la Città di

Torino nei corsi regionali professionalizzanti per tecnico educativo-ludico; membro del direttivo del CIL -

Centro Internazionale Ludoteche, collabora come docente in corsi tematici su come “istituire una

ludoteca”. È referente, per la Città di Torino, della Commissione Sicurezza Giocattoli dell’UNI, di Milano. Ha

pubblicato un contributo sui Centri di Cultura per il Gioco in AA.VV., Lusso? No, grazie: democrazia, Tirrenia

Stampatori, Torino, 2007 e in Garantire il diritto al gioco, (a cura di Anna Maria Venera), Junior, Azzano San

Paolo, 2011.

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Coordinatori dei gruppi di lavoro

A - Gioco, spazio di avventura, creatività, movimento

Roberto Pompermaier, Associazione VKE, Bolzano.

Animatore teatrale per studi e formazione (dieci anni di teatro fra il 1978 ed il 1988), spirito critico grazie

anche alla laurea in filosofia, ha conosciuto durante il servizio civile (1982) le attività del ludobus, alle quali

si è dedicato “anima e corpo” dal 1988 al 2004 come responsabile del ludobus dell’associazione VKE di

Bolzano (www.vke.it), primo e per lunghissimi anni unico ludobus italiano. Nel 1998, con il VKE, è stato tra i

fondatori di ALI per giocare, l’associazione dei ludobus e delle ludoteche italiane, di cui è rimasto

presidente fino al 2003. Dal 1990 fino al 2005 ha organizzato otto edizioni della Città dei Ragazzi MiniBZ

(http://minibz.vke.it) e dal 2004 ha assunto la carica di direttore del VKE. Inoltre: diploma di Pedagogia del

gioco e inguaribile inclinazione e fiducia nel gioco come strumento di conoscenza e di relazione.

Grazia Bisonni, ludoteca Avrah KaDabra, ITER.

In servizio dal 1980 nella scuola primaria come insegnante di tempo lungo, dopo scuola, sostegno ad alunni

con difficoltà, laboratorio di arti grafico-pittoriche e plastiche, laboratorio di cinema di animazione. Dal

1987 è ludotecaria nella ludoteca Drago Volante, attualmente è impegnata nell’apertura della nuova

ludoteca Avrah KaDabra. Dal 1986 partecipa all’organizzazione e promozione delle attività dell’associazione

culturale Baldanza, per la ricerca, lo studio e la divulgazione di danze, giochi, riti e feste della tradizione

popolare italiana e internazionale e alla realizzazione di spettacoli itineranti.

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B - Memoria e trasmissione nel gioco di tradizione popolare

Antonio Damasco, direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare.

Nato a Napoli nel 1972, si è formato, lavorando sin da bambino, con Edoardo Sanguineti, Enzo Moscato e

Francesco Silvestri, esponenti della Nuova drammaturgia napoletana, con Donato Sartori, direttore del

Centro maschere teatrali di Padova, con Lucio Diana, scenografo del Laboratorio Teatro Settimo, con Ugo

Chiti, autore e regista teatrale e cinematografico e con Roberto Tessari, drammaturgo e docente presso il

D.A.M.S. - Università di Torino. Direttore della Rete Italiana di Cultura Popolare, è stato tra gli ideatori del

Comitato promotore per la diffusione della Cultura del territorio, direttore di OP, Festival dell’Oralità

Popolare. Fondatore del Teatro delle Forme è direttore artistico, regista, attore e drammaturgo.

Bruna Pangallo, ludoteca Cirimela, ITER.

Insegnante della ludoteca Cirimela che ha contribuito ad aprire nel 1994. Ha operato nella scuola

dell’obbligo come sostegno per bambini con problemi relazionali, gestito un laboratorio di psico-corporeità

dopo aver seguito una specifica formazione, passando successivamente alla realtà delle ludoteche.

Laureata in Storia, ha approfondito il tema della storia orale come testimonianza diretta. Negli ultimi anni si

è dedicata all’elaborazione e realizzazione di percorsi didattici sulla storia del gioco, dal gioco antico e

medievale a quello della tradizione popolare.

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C - Ludo-tecnica ed edutainment: fattori negativi e valore aggiunto

Silvia Carbotti, esperta di tecnologie per la didattica.

Ha conseguito il dottorato di ricerca in Tecnologie dell’istruzione e dell’apprendimento con una tesi sull’uso

degli strumenti multimediali per l’apprendimento dell’Italiano L2. Svolge come borsista alcuni laboratori di

progettazione per il web presso l’Università degli Studi di Torino ed è docente di Sistemi informativi presso

l’Università Cattolica del Sacro Cuore - Facoltà di Medicina e Chirurgia Agostino Gemelli. Lavora presso

l’Ufficio attività editoriali della Fondazione del Teatro Stabile di Torino, con particolare riferimento all'area

web e sviluppa come freelance progetti per la rete. È responsabile del progetto navediclo.it.

Maria Battaglia, Centro per la Cultura Ludica, ITER.

Ludocuriosa in genere, appassionata di giochi da tavolo in particolare, per oltre dieci anni ha lavorato nel

gruppo insegnanti della ludoteca Drago Volante. Da diversi anni cura e conduce, nell’aula multimediale del

Centro per la Cultura Ludica, percorsi didattici per le scuole, attività rivolte all’utenza libera, formazione per

insegnanti, con attenzione particolare verso il mondo dei videogiochi.

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D - Dove si gioca oggi: i servizi per il gioco

Roberto Maurizio, Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adolescenza.

Educatore, psicologo, da anni impegnato nel settore delle politiche e dei servizi per giovani, infanzia e

famiglia. Attualmente è componente esperto dell’Osservatorio nazionale sull’infanzia e sull’adolescenza.

Collabora da tempo con l’Istituto Nazionale Innocenti di Firenze per lo sviluppo della legge 285/97 e per le

attività di ricerca e di studio realizzate a livello nazionale. Inoltre collabora stabilmente con la Fondazione

Paideia di Torino e con la Fondazione Zancan di Padova.

Livia Papi, Associazione Giochimpara, Torino.

Dal 1996 coordina l’associazione Giochimpara, che offre servizi alle famiglie per favorire la conciliazione dei

tempi e l’animazione dei bambini, anche utilizzando strumenti di gioco complessi quali il computer e le

lingue straniere. Dal 1996 l’associazione collabora anche con i Centri di Cultura per il Gioco di Torino,

operando presso ludoteche, punti gioco e gruppo gioco in ospedale e contribuendo ad estendere i servizi,

sia negli orari di apertura, che nei contenuti e a facilitare la loro integrazione territoriale. Nel 2007 ha

realizzato la prima Banca del Tempo per bambini e famiglie, presso uno dei punti gioco di Torino.

Consulente di organizzazione, si occupa in particolare di responsabilità sociale, sistemi di qualità e progetti

di conciliazione, professionalità che si traduce in un approccio strutturato anche nell’organizzazione delle

attività ludiche di Giochimpara.

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E - Gioco, scuola ed extrascuola

Beniamino Sidoti, esperto di giochi.

Si occupa, da una ventina d’anni, di giochi e narrazione, come autore, divulgatore, organizzatore,

animatore, formatore, curatore, editore e direttore. È tra i fondatori di Lucca Games e tra i redattori de La

Ludoteca. Ha collaborato con le case editrici Giunti, De Agostini, La Meridiana. Collabora anche con servizi

quali biblioteche, ludoteche, scuole e persino con sindacati ed ospedali nelle diverse regioni italiane.

Rosanna Clinco, Centro per la Cultura Ludica, ITER.

Dal 1992 al Centro per la Cultura Ludica si occupa di gioco e di collezionismo, esplorando con passione

l’universo ludico nelle sue svariate forme, privilegiando i giochi di narrazione e quelli linguistici, i giochi da

tavolo, i videogiochi. Esperta, ma non tuttologa, ricerca costantemente modalità di restituzione del

patrimonio culturale ludico, impegnandosi in attività rivolte ai bambini e agli adulti.

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F - Gioco e relazione nei contesti di difficoltà e di diversità

Santo Cicco, Cooperativa Fantacadabra, Sulmona (AQ).

Educatore, attore-clown, animatore socio-culturale. Coordinatore dei Servizi educativi per i minori previsti

dalla Comunità Montana Peligna e gestiti dalla cooperativa sociale Horizon Service. In questo ambito

conduce laboratori ludico-espressivi per minori e famiglie, ha curato mostre e convegni, organizza le attività

estive dei Comuni montani. Fondatore e presidente della cooperativa sociale Fantacadabra, è clown nel

reparto di Pediatria dell’ospedale di Sulmona, conduttore di laboratori di teatro e cinema nelle scuole di

Sulmona, responsabile di progetti di animazione sociale nel territorio. Attore nelle ultime produzioni di

teatro ragazzi del Teatro Stabile di Innovazione Florian di Pescara, ha condotto laboratori teatrali

nell’istituto penitenziario di Sulmona. Autore di libri sull’animazione, collabora con il cinema e cura la

sceneggiatura di documentari.

Renata Bronzino, Gruppo Gioco Ospedale, ITER.

Insegnante animatrice del Gruppo Gioco Ospedale presso l’Ospedale Infantile Regina Margherita, ha

maturato esperienze nel campo del gioco in ospedale, grazie all’attività svolta nelle sale gioco e grazie alle

esperienze formative di ricerca e confronto con altre realtà ospedaliere. Dal 2000 segue il progetto

Operazione in Gioco, percorso di preparazione e accompagnamento del bambino e della famiglia

all’intervento chirurgico, da cui hanno preso avvio percorsi specifici per l’Oncoematologia, per il Centro

trapianti e un progetto di presentazione della realtà ospedaliera rivolto ai preadolescenti e agli adolescenti.

Coautrice di alcuni libri dedicati a chi ha voglia di “mettersi in gioco”, ha collaborato alla stesura di percorsi

di formazione per operatori e per volontari impegnati nella relazione di aiuto al bambino e ha presentato,

ai corsi di laurea infermieristici, l’importanza dell’approccio ludico nella comunicazione con i piccoli

pazienti.

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G - La formazione ludica compresa tra il sapere e il saper giocare

Bernardetta Gallus, Agenzia formativa Forcoop.

Responsabile della progettazione dell’agenzia formativa Forcoop, ha consolidata esperienza nella

progettazione di profili e di percorsi per educatori prima infanzia, tecnici di ludoteca e per gli educatori che

si occupano dei minori nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Da anni svolge attività come

formatrice in ambito educativo, animativo, socio-sanitario e assistenziale, dal 2000 è responsabile e

coordinatore didattico di corsi di riqualificazione per educatori professionali dell’agenzia Forcoop. È

docente a contratto per l’Università di Torino nell’ambito dell’insegnamento della didattica integrativa

rivolta agli studenti dell’Interfacoltà in Educazione professionale. Dal 2004 è responsabile del Tavolo di

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lavoro nazionale di valutazione e progettazione per i Progetti del Servizio Civile Nazionale Volontario

LegaCoop - Roma e formatore dei progettisti locali del SCNV, fa anche parte della Commissione socio-

educativa della Pubblica Amministrazione della Regione Piemonte - Formazione professionale - Standard

formativi.

Tamara Lavina, Ludoteca Drago Volante, ITER.

Insegnante ludotecaria per il Comune di Torino, nel 1987 è stata co-fondatrice della ludoteca Drago

Volante, primo progetto territoriale di centro ludico per bambini, ragazzi e famiglie. Ha impostato la sua

attività professionale sul valore educativo e sociale del gioco, in particolare nell’infanzia. Nel corso degli

anni, per la Città di Torino, parallelamente al lavoro quotidiano nella ludoteca, ha svolto attività di

formazione in corsi rivolti ad educatori, insegnanti, volontari del Servizio Civile e ha curato i contenuti

relativi alla metodologia e al ruolo del ludotecario nel corso per tecnico di laboratorio educativo-ludico,

organizzato da una agenzia formativa piemontese con la collaborazione del Comune di Torino. Autrice di

diversi articoli per la rivista Infanzia, ha pubblicato Scacchi in gioco fra scuola e ludoteca nel volume

Cordara M., Magnoni U., Mascolo R. (a cura di), Scacchi a scuola, Junior, Azzano San Paolo, 2004.

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Nell’ambito delle attività che ITER, attraverso i Centri di Cultura per il Gioco, svolge per restituire all’esperienza ludica una posizione centrale per l’infanzia, ampio spazio è dato alla riflessione e alla ricerca sul gioco e sul giocare. Con il convegno Chi ha rubato la marmellata? Riflessioni intorno al diritto al gioco, oltre quattrocento addetti ai lavori si sono ritrovati per approfondire, confrontare e, soprattutto, dialogare, sulle tante questioni che la volontà di garantire il diritto al gioco lasciano aperte in una realtà in continua trasformazione. L’argomento è vasto, molte sono state le suggestioni che hanno trovato riscontro nella riflessione; si è per questo deciso di presentare il materiale raccolto in due volumi: il primo (Garantire il diritto al gioco, a cura di Venera A.M., edizioni Junior, 2011) presenta i contributi teorici che ricercatori e studiosi, nella prima giornata, hanno fornito, con grande stimolo per la successiva discussione; il secondo volume raccoglie i contributi di quanti quotidianamente esercitano il gioco e il giocare a diverso titolo, e che si trovano ogni giorno a misurarsi con domande quali: quanto sono cambiati il tempo, lo spazio, il modo di giocare di bambini e ragazzi? In che dimensione si può ancora incontrare e reinventare il gioco di tradizione popolare? Come operano e quali sono i servizi che si occupano di gioco? E ancora, come rispondere in modo adeguato al bisogno e al diritto di gioco di cui tutti i soggetti sono portatori? Nel presente volume sono dunque raccolte le esperienze significative e le riflessioni corali che sono emerse nei gruppi di lavoro del convegno e che i coordinatori hanno saputo valorizzare restituendole con passione e originalità.