che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in...

76
GENNAIO 2011 http://www.difesa.it/SMD/CASD/Istituti+militari/CeMISS/

Transcript of che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in...

Page 1: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

GENNAIO 2011

http://www.difesa.it/SMD/CASD/Istituti+militari/CeMISS/

Page 2: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Sommario EDITORIALE Valter Conte MONITORAGGIO STRATEGICO Medio Oriente – Golfo Persico Lo scenario mediorientale dominato dall'incerto futuro dell'Egitto Giacomo Cimetta Goldkorn 7 Regione Adriatico – Danubiana – Balcanica Arresti a sorpresa nelle Forze Armate turche per l’operazione “Balyoz” Paolo Quercia 13 Comunità Stati Indipendenti – Europa Orientale Successi e fallimenti nella politica di Medvedev Andrea Grazioso 19 Relazioni Transatlantiche - NATO I viaggi di Gates e di Hu Jintao Lucio Martino 25 Teatro Afghano Braccio di ferro fra Presidente e Parlamento - Governo pachistano a rischio Fausto Biloslavo 31 Africa Tunisia: punto di partenza della “rivoluzione” in atto nel mondo arabo Maria Egizia Gattamorta 39 Iniziative Europee di Difesa Una mini-NATO nel Nord Europa? Lorenzo Striuli 45 Cina e India Verso gli anni Trenta? Nunziante Mastrolia 51 America latina L’America Latina oltre la crisi economica internazionale Riccardo Gefter Wondrich 61 Organizzazioni Internazionali e Cooperazione Centro-Asiatica Rinnovati contatti con l’Unione Europea Lorena Di Placido 67 Settore energetico Il petrolio ricomincia ad oscillare al rialzo e l’OPEC affida la Presidenza all’Iran Gerardo Iovane 73

Organizzazioni Internazionali Peace building e institution building Valerio Bosco 79 RECENSIONI Le armi robotizzate del futuro: Intelligenza artificialmente ostile ? - Il problema Etico Riccardo Campa 87 Working Towards Rules for Governing Cyber Conflict: Rendering the Geneva and Hague Conventions in Cyberspace

Vari 89

Osservatorio Strategico

AN N O X I I I N U M E R O 1 G E N N A I O 2011 L’Osservatorio Strategico raccoglie analisi e reports sviluppati dal Centro Militare di Studi Strategici, realizzati sotto la direzione del Gen. D. CC. Eduardo Centore. Le informazioni utilizzate per l’elaborazione delle analisi provengono tutte da fonti aperte (pubblicazioni a stampa e siti web) e le fonti, non citate espressamente nei testi, possono essere fornite su richiesta. Quanto contenuto nelle analisi riflette, pertanto, esclusivamente il pensiero degli autori, e non quello del Ministero della Difesa né delle Istituzioni militari e/o civili alle quali gli autori stessi appartengono. L’Osservatorio Strategico è disponibile anche in formato elettronico (file PDF) nelle pagine CeMiSS del Centro Alti Studi per la Difesa: www.casd.difesa.it

Vice Direttore Responsabile C.V. Valter Conte

Dipartimento Relazioni Internazionali Palazzo Salviati

Piazza della Rovere, 83 00165 – ROMA tel. 06 4691 3204 fax 06 6879779

e-mail [email protected]

Questo numero è stato chiuso il 30 gennaio 2011

- Editing grafico a cura di Massimo Bilotta -

Centro Militare di Studi Strategici

Page 3: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

EDITORIALE

Il vento caldo del Maghreb

L’Africa ci ha abituato da tempo a colpi di stato o guerre civili che rovesciano Presidenti, a veder reprimere nel sangue manifestazioni popolari. Anche il Maghreb non è stato risparmiato da questo fenomeno, però quello che questa volta ha sorpreso, è la velocità con cui le manifestazioni si sono propagate nella regione, con un effetto domino che sembra non arrestarsi. In Tunisia, la collera sociale ha tuonato per circa un mese prima di giungere alla destituzione di M. Zine El-Abidine Ben Ali. In Egitto, la folla, galvanizzata dalla deflagrazione tunisina, ha costretto il potere a manovrare. In Algeria e Libia i movimenti di protesta si moltiplicano e qualche volta, quello che fino a ieri sembrava impossibile, accade. In questi Paesi la democrazia era lentamente ma, inesorabilmente, scivolata verso sistemi autarchici fondati sul nepotismo e la corruzione, in cui la ricchezza era concentrata nelle mani di un'elite di famiglie, a discapito del rapporto stato cittadino, con quest'ultimo sempre più marginalizzato e costretto a vivere in condizioni di povertà. In Tunisia, il sacrificio di un giovane e disperato diplomato, venditore ambulante di frutta e verdura, ha scatenato una rivolta che ha avuto ragione di uno dei regimi più autoritari del mondo arabo. Questo sollevamento popolare ha avuto valore d'esempio. Imprevedibile, priva di una vera e propria leadership politica, la rivolta ha beneficiato del suo carattere non strutturato; se lo fosse stato, il regime l'avrebbe probabilmente schiacciata. La folla unita dall’esasperazione verso la dittatura di M. Zine El-Abidine Ben Ali, è entrata, grazie ad internet ed agli sms (tutti possiedono un cellulare per la scarsa capillarità della rete fissa), in un sistema di comunicazione che il regime non aveva saputo anticipare. Senza dubbio l’utilizzo di questi mezzi di comunicazione ha favorito e alimentato lo sviluppo della protesta, ma il loro vero merito è quello di essersi trasformati in portatori di nuove forme d'organizzazione, che al di là delle moderne tecnologie, hanno favorito la diffusione dei sentimenti democratici. Di fronte ad un'informazione di stato vissuta come un'opprimente "cappa di piombo", nella misura in cui stampa e televisione erano manovrate dal regime, i nuovi media sono riusciti a creare un’alchimia che ha trasformato l'informazione in partecipazione e la partecipazione in azione. Gli internauti si sono dati appuntamento per vivere il momento storico, condividendo la nuova idea sul Maghreb: "la dittatura non è il solo orizzonte politico". A differenza di quanto temuto, dietro questa ondata di proteste sembrerebbero non esserci rivendicazioni di carattere religioso, o peggio, un’azione coordinata di locali organizzazioni di estremisti islamici. L'opinione europea ha inizialmente interpretato le rivolte popolari in Africa del Nord ed in Egitto attraverso una griglia vecchia di più di 30 anni: la rivoluzione islamica iraniana. Conseguentemente, si attendeva di vedere i movimenti islamici, all’occorrenza i fratelli musulmani o loro equivalenti locali, guidare le proteste, pronti a prendere il potere; invece, contrariamente a tali aspettative, gli islamisti non hanno giocato un ruolo centrale nel rovesciamento del regime di Ben Ali né in quello di Moubarak. Tale ipotesi, probabilmente alimentata dalla visibile islamizzazione di quest'ultimo decennio - sempre più ragazze portano il foulard (qualche volta addirittura il "niqab"), cresce il numero delle moschee, il rispetto sempre più severo del digiuno durante il ramadan - si è rivelata infondata. Il riavvicinamento della società ai valori islamici, siano essi sociali e culturali, si è sviluppato spontaneamente; "un’onda religiosa" che nessuno riesce al momento a controllare perché animata dai giovani, soggetti individualisti ed innovatori che senza fanatismo avevano voluto manifestare, con il riavvicinamento ai precetti dell'Islam, il loro disprezzo verso classi politiche sempre più corrotte

Page 4: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

EDITORIALE

e degenerate. In breve, gli islamisti hanno probabilmente perso il monopolio della diffusione della parola religiosa nella società che avevano negli anni 80 conservando, tuttavia, un’importante e “pericolosa”capacità associativa. Sebbene al momento non sussistano le condizioni per una deriva islamista, i soli movimenti capaci di creare una vera e propria opposizione politica sono quelli religiosi che grazie all’attività caritatevole promossa nel passato, godono di un grande consenso popolare che potrebbe determinare in Egitto un cambiamento degli equilibri interni e regionali. Come in passato, la folla è stata spinta alla rivolta dalla fame e dalla disperazione, cui si è aggiunta oggi la frustrazione di una massa di diplomati e laureati priva di prospettive, che tra un futuro senza aspettative ed il pericolo di morire negli scontri, ha preferito rischiare. All’origine di tale stato di cose, la mancanza di adeguate politiche e strategie industriali, sempre orientate verso gli interessi della classe dirigenziale e non alla creazione di posti di lavoro. A tali problematiche interne, tipiche di regimi corrotti, si somma l’assenza di una politica regionale, dovuta a dissapori storici sulla leadership nell’area, che frena ulteriormente lo sviluppo economico di una regione con grandi potenzialità. Il conflitto del Sahara Occidentale rappresenta da tempo uno degli ostacoli principali alla cooperazione tra il Marocco e l’Algeria, frenando gli scambi regionali che potrebbero svilupparsi congiuntamente con la Tunisia e gli altri Paesi dell’Unione del Maghreb Arabo (UMA). Eppure, una complementarietà tra i tre Paesi esiste ed una loro collaborazione politica ed economica aiuterebbe a risolvere i problemi della riva sud del Mediterraneo. Il costo del “non Maghreb” si ripercuote in numerosi settori: energia, banche, trasporti, agroalimentare, turismo. Gli scambi tra gli stati dell'Africa settentrionale non superano l’1,3% dei loro export, il tasso regionale più basso al mondo. In numerosi consessi internazionali sono stati evidenziati i vantaggi di cui beneficerebbe la regione da un regime di libera circolazione dei suoi cittadini. La maggior parte degli uomini d’affari maghrebini ha un solo desiderio, quello di potersi spostare in uno spazio regionale che trascenda dalle divisioni nazionali. I poveri come i ricchi pagano l’incapacità delle élites a concepire un progetto comune. Il Maghreb ha molte risorse: petrolio, gas, fosfati in abbondanza, una produzione agricola varia e di qualità, paesaggi meravigliosi che attraggono milioni di turisti ogni anno. Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita delle aspettative di vita ed una significativa crescita demografica fanno si che ogni anno milioni di giovani continuano ad alimentare una forza lavoro che non trova sbocchi – in alcuni di questi paesi, il tasso di disoccupazione tra i giovani è prossimo al 50%. Alla luce di tali considerazioni appare evidente che quello che è accaduto è solo l’inizio di una crisi regionale senza precedenti che si riverbererà a lungo sul nostro Paese: la ripresa degli sbarchi di clandestini sulle nostre coste ne è un tipico esempio, senza contare le potenziali ripercussioni che tale stato di cose potrebbe avere sui nostri approvvigionamenti energetici, fortemente dipendenti da Algeria e Libia. Gli effetti di questo caos politico nel Nord Africa si faranno sentire a lungo e considerata la prossimità geografica al nostro Paese, imporranno un significativo impegno dell’Italia e, più in generale, dell’Unione Europea.

Valter Conte

Page 5: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

7

Medio Oriente – Golfo Persico

Giacomo Cimetta Goldkorn Eventi ►Il 16 gennaio in Israele l'ex Primo Ministro ed attuale Ministro della Difesa Ehud Barak ha abbandonato il partito dei Labur per formare un nuovo partito maggiormente spostato al centro. Alla nuova formazione politica si aggregheranno il Ministro dell'Agricoltura ed un sot-tosegretario alla Difesa. L'evento, per la sua rilevanza politica, avrebbe potuto mettere a ri-schio la tenuta del Governo di unità nazionale, ma al contrario sembra che nessun cambiamen-to significativo si presenti all'orizzonte. Il partito Labur, da anni in crisi di leadership e di con-senso, subisce l'ennesima spaccatura relegando la compagine che ha portato il paese all'indi-pendenza ad un ruolo decisamente minore. ►Il 20 gennaio il Primo Ministro della Giordania Samir Rifai ha preso la decisione di au-mentare i salari dei dipendenti delle Forze Armate. Lo scopo ufficiale è quello di far diminuire il peso nelle famiglie per l'aumento di alcuni generi di prima necessità molti dei quali non di-pendono dal Governo. Tuttavia la scelta di agevolare la classe militare consiste nel fatto di cer-care di attenuare il possibile effetto domino scatenato dagli eventi tunisini che potrebbero far crescere le già insistenti proteste scatenatesi nel Regno dall'inizio dell'anno. Il problema per la Giordania tuttavia rimane in quanto l'aumento dei salari non risolve il problema ed accresce al contempo il disavanzo dello Stato, pressato dalle richieste di rientro della Banca Mondiale. ►Nelle stesse ore in Libano si è formato un nuovo governo alla guida del miliardario Najib Mikati, con il sostegno decisivo del gruppo filo iraniano Hezbullah. La crisi libanese è avve-nuta a seguito dell'impossibilità per l'Arabia Saudita di mediare tra le diverse componenti liba-nesi in relazione al Tribunale Speciale per il Libano (TLS) che deve giudicare le responsabilità dell'omicidio, nel 2005, dell'allora Primo Ministro Hariri. Nelle prime settimane di gennaio Hezbullah aveva ritirato il proprio appoggio al Governo a causa della sua posizione contraria al Tribunale Speciale orientato a coinvolgere nelle accuse il Presidente siriano Assad, storico alleato del “Partito di Dio” (Hezbullah). Najib Mikati viene sostenuto internazionale dall'Ara-bia Saudita e fin'ora apparteneva al campo dell'ex Primo Ministro Hariri, ma l'accordo con Hezbullah, che ne garantisce un ruolo decisamente preminente, lo ha allontanato dalla sua sto-rica compagine politica. In uno scenario altamente fluido, dalle alleanze instabili e dal futuro incerto un ruolo decisivo lo ha esercitato la leadership dei Drusi che hanno sostanzialmente appoggiato Hezbullah rendendone particolarmente influente la posizione. ►In Israele il Direttore dell'Intelligence Militare, Maggior Generale Aviv Kochavi, dopo la sua nomina nel novembre 2010, durante la sua prima audizione alla Commissione Difesa del Parlamento israeliano, ha dichiarato che l'Iran ha la possibilità di costruire la sua prima te-

Page 6: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

8

stata nell'arco massimo di due anni. Il problema, ha suggerito Kochavi, riguarda individuare il momento nel quale Teheran decide di arricchire l'uranio al 90%. Al momento secondo l'intelligence militare esistono poche probabilità che ciò avvenga poiché il paese teme un ina-sprirsi delle sanzioni che metterebbero in pericolo la tenuta dell'attuale regime. ►Il 21 ed il 22 gennaio ad Istanbul sono falliti nuovamente i colloqui tra il gruppo dei 5 + 1 e l'Iran per trovare un accordo sul programma nucleare di Teheran. Gli accordi, come già preannunciato, sono falliti a causa di un inasprimento delle posizioni occidentali manifestatosi con le sanzioni economiche statunitensi, delle Nazioni Unite e di alcuni altri paesi nell'estate del 2010 e della reazione iraniana. Sono stati già preannunciati nuovi appuntamenti di trattati-va sebbene nessun cambiamento delle posizioni potrà avvenire senza nuove prospettive politi-che interne all'Iran e una rinnovata mediazione statunitense. ►Il 24 gennaio la Tv del Qatar Al-Jazeera, condividendo il materiale con il quotidiano ingle-se “The Guardian”, ha pubblicato oltre 1600 documenti provenienti dal “Palestinian negotia-tion support unit (NSU)”, un organismo il cui scopo era quella di redigere e condividere all'in-terno dell'entourage palestinese selezionato per le trattative con gli Israeliani il materiale utile allo svolgimento dei negoziati. L'NSU è stato finanziato in modo particolare dal Governo bri-tannico ed i documenti pubblicati riguardano un ampio periodo che copre all'incirca dieci anni, dalla conferenza di Camp David del 2000 fino alle conversazioni private con l'Amministrazione Obama dello scorso anno. Tale rivelazione, comprovata da ex impiegati dell'NSU, da un diplo-matico e da alcuni membri dell'intelligence dimostrano numerosi retroscena fin'ora non resi pubblici riguardo all'atteggiamento remissivo della leadership palestinese con particolare rife-rimento alle tre questioni cruciali per il popolo palestinese: il ritorno dei rifugiati, l'estensione territoriale di Gerusalemme e soprattutto il problema dello status degli insediamenti. Molte ri-velazioni riguardano inoltre il ruolo, da alcuni commentatori considerato disperato, del gruppo dirigente palestinese, oppure i progetti dell'intelligence britannico di rovesciare il potere di Hamas a Gaza o ancora come riuscire a trasferire una parte della popolazione araba israelia-na in un futuro Stato palestinese. Secondo quanto emerso dalla stampa si tratta del materiale più significativo mai rivelato sulla situazione con conflitto israelo palestinese. ►Tra il 25 gennaio e l’11 febbraio, in Egitto si sono susseguite manifestazioni violente che in 18 giorni hanno portato alle dimissioni del Presidente Mubarak, alla costituzione di un nuovo governo e alla temporanea presa del potere da parte dei militari. Le tappe che seguiranno nelle prossime settimane saranno quelle di cambiare la Costituzione, indire nuove elezioni legislative e presidenziali. Le opposizioni al regime, dalla Fratellanza Musulmana ai liberali legati alla figura di El-Baradei, alto dirigente delle Nazioni Unite e Premio Nobel per la Pace, hanno più volte auspicato che il processo di ricostruzione delle istituzioni, compresa la costituzione, av-venga nei tempi adeguati, in modo tale da garantire a tutte le forze del paese di poter esprimere propri interessi e prerogative.

LO SCENARIO MEDIORIENTALE DOMINATO DALL'INCERTO FUTURO DELL'EGITTO

Il 25 gennaio sono scoppiate al Cairo le prote-ste della popolazione che, a causa di anni di

rincari dei principali generi alimentari e dei carburanti, dell'incapacità del regime di dare

Page 7: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

9

delle risposte alle richieste di maggiore demo-cratizzazione del paese e sotto la spinta di quanto avvenuto nelle settimane precedenti in Tunisia, ha chiesto le dimissioni e l'allonta-namento dal paese del Presidente Mubarak. Hosni Mubarak, alla guida del paese da circa trent'anni, da anni malato e dall'incerto futuro, prospettava la possibilità che il figlio, Gamal, potesse succedergli alla guida del paese. Tut-tavia il partito al potere, l'NDP, fortemente ra-dicato sul territorio e con precise e ferree re-gole di amministrazione interna, non ha mai gradito la possibilità di una successione dina-stica del potere come anche la potente classe dirigente del paese appartenente alle file dell'Esercito. In un clima politico e sociale già teso da mesi a seguito delle elezioni legislati-ve alle quali è stato nuovamente impedito alla Fratellanza Musulmana di partecipare sono esplose sia le proteste della società civile sia quelle dell'opposizione alla ricerca di un forte cambio di regime. Il risultato delle manifesta-zioni, in alcuni casi anche violente con centi-naia di morti nei giorni di apice degli scontri tra opposizione e regime, hanno portato alle dimissioni di Mubarak e ad una totale cancel-lazione del regime e delle reti di potere fino all’11 febbraio ai vertici dello Stato e dell’economia. Il carattere prevalentemente sociale della pro-testa, alla quale si è aggiunta anche una com-ponente politica in un secondo momento, non ha permesso fin’ora a nessun leader dell'oppo-sizione egiziana di condurre il movimento di protesta e di tradurre efficacemente le manife-stazioni in consenso politico. Nei primi giorni della protesta è emerso come rappresentante della piazza presso il regime l'ex funzionario delle Nazioni Unite El-Baradei, da mesi alla ricerca di una collocazione politica nel paese e alla guida di alcuni gruppi liberali. Tuttavia la massa della protesta, come il maggiore con-senso anti regime, appartiene alla più impor-tante struttura politico-sociale del paese: la Fratellanza Musulmana. Questo movimento, le cui diramazioni si estendono dalla Palestina alla Giordania, dalla Siria al Libano, è riuscita nei giorni ad acquisire la guida della protesta grazie al ruolo sociale e religioso che svolge

nel paese, senza riuscire a far emergere tutta-via una singola figura di riferimento. Il ruolo della Fratellanza Musulmana è stato tanto for-te nel susseguirsi dei giorni che la figura di El-Baradei è entrata in ombra tanto da non es-sere invitato alle trattative per la formazione della Commissione per la revisione della Co-stituzione, una delle richieste concesse dal re-gime per trattare sulla transizione del potere. Nonostante le proteste chiedessero con estre-ma decisione e forza le dimissioni del Presi-dente Mubarak ed il suo esilio, il leader egi-ziano è riuscito a tenere in mano l'iniziativa politica e strategica rimanendo al proprio po-sto seppur modificando sensibilmente il pro-prio potere ed anche l'immagine del vecchio Presidente. A fronte di intense pressioni inter-nazionali, in particolare degli Stati Uniti (in-tervenuto esplicitamente nella richiesta di di-missioni di Mubarak da Presidente dell'Egitto) Mubarak aveva promosso importanti atti for-mali affinché si potesse realmente giungere ad un cambio di regime nel paese seppur lenta-mente e con forti condizionamenti. Il primo atto è stato quello di togliere qualsiasi incarico al figlio Gamal e quindi escluderlo di fatto da un possibile accesso alla presidenza. Tale atto politico ha avuto principalmente lo scopo di rinsaldare il sodalizio con l'Esercito e con il partito di Governo, NDP. Il secondo atto è sta-to quello di aprire un tavolo delle trattative per la modifica della Costituzione in senso più democratico al quale hanno partecipato preva-lentemente rappresentati della Fratellanza Musulmana. Lo scopo non era solo quello di aprire il paese ad un nuovo e reale confronto tra le forze politiche ma anche quello di divi-dere l'opposizione fondamentalista da quella liberale di El-Baradei alla quale tuttavia man-ca il sostegno popolare di massa. Il terzo atto formale è stato quello di nominare un Vice Presidente, dopo trent'anni, nella figura di Omar Suleiman, ex capo dei Servizi di Intelligence ed uno dei maggiori protagonisti della sicurezza del paese compreso il delicato rapporto con Israele e con Hamas nella stri-scia di Gaza. Suleiman, in un processo di tran-sizione pilotata potrebbe realisticamente can-didarsi alla carica di Presidente grazie al suo

Page 8: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

10

radicamento nei meccanismi di potere e nell’importante ruolo dell’Esercito. Oltre a Suleiman, a guidare il paese sono stati nomi-nati altri due alti rappresentanti delle Forze Armate, Ahmed Shafiq in qualità di nuovo Primo Ministro e Mohammed Hussein Tanta-wi capo delle Forze Armate e Ministro della Difesa. Si tratta dunque di un triunvirato at-torno al quale si concentrano le trattative con la Fratellanza Musulmana mentre le altre isti-tuzioni civili sono assenti dal processo politi-co in questo momento. Tutti gli sforzi di Mu-barak per rimanere al potere fino a settembre sono stati vani. La portata e l’imprevedibilità delle proteste hanno costretto l’ex Presidente a repentine dimissioni e sostanzialmente ad un occultamento dovuto sia alle sue precarie condizioni di salute sia per la protezione dei suoi interessi e quelli della sua famiglia. Le preoccupazioni della comunità internazio-nale rimangono forti e si concentrano su due aspetti cruciali. Il primo riguarda la possibilità, sempre presente, che le proteste si trasformino in guerra civile provocando danni ancora maggiori, qualora l’attuale processo di transi-zione non si compia con la concertazione del-le maggiori forze sociali e politiche del paese. Il secondo aspetto riguarda il fatto che il paese possa cadere nelle mani o essere fortemente influenzato dai Fratelli Musulmani, organiz-zazione fondamentalista dedita talvolta anche ad azioni terroristiche e violente. Lo scenario che si prospetta è quello nel quale nel beve periodo i Fratelli Musulmani parteciperanno al processo politico egiziano gradatamente fi-no a quando la trasformazione della Costitu-zione riuscirà a garantire a tutte le forze poli-tiche del paese accesso all'Amministrazione. Non è ancora chiaro quale sarà il modello se-guito, se quello turco o quello libanese, ma in ogni caso il movimento fondamentalista isla-mico ha deciso mantenere un basso profilo, di cooperare e di evitare qualsiasi scontro diretto con Suleiman e la giunta militare, senza tutta-via rinunciare alle proprie prerogative. Sotto il profilo geopolitico la transizione egi-ziana creerà un ricollocamento strategico di numerosi paesi. Israele, ad esempio, ha un for-te timore che una presa del potere in Egitto

dei Fratelli Musulmani o un loro accesso al potere potrebbe mettere a rischio i rapporti tra i due paesi fino anche a rimettere in discus-sione il Trattato di Pace del 1978. Le rassicu-razioni dei militari potrebbero non essere più valide una volta giunti al potere gruppi fon-damentalisti. Il secondo grande timore riguar-da il fatto che a Gaza governa il movimento Hamas, costola palestinese della Fratellanza, che potrebbe ricevere aiuto e sostegno dall'E-gitto per ostacolare Israele. Un attore che al contrario potrebbe essere avvantaggiato da una svolta fondamentalista dell'Egitto è l'Ara-bia Saudita che potrebbe accrescere la propria influenza regionale anche nei confronti del più importante paese arabo e musulmano. Fino ad ora, infatti, i due paesi sono stati spesso prota-gonisti di scontri armati e più in generale si sono confrontati per la lotta sulla supremazia di influenza culturale nel mondo islamico. L'I-ran, invece, perderebbe posizioni se i rapporti tra Arabia Saudita ed Egitto migliorassero sensibilmente poiché per Teheran è preferibile avere un nemico laico e secolare piuttosto che un regime più orientato al fondamentalismo ma di matrice sunnita. Per i paesi occidentali le posizioni sono altret-tanto diverse. Gli Stati Uniti si sono esposti molto contro Mubarak per poi frenare una volta compreso che la piazza stava rallentando e perdendo di intensità nella protesta. Tuttavia per l'Occidente, Europa compresa, sarebbe au-spicabile che in Egitto prevalesse un modello di coinvolgimento del fondamentalismo isla-mico simile a quanto avvenuto in Turchia do-ve il partito di Governo, AKP, ha messo da parte la retorica della lotta ed i legami con la componente violenta per assumersi pienamen-te una responsabilità politica che dura da anni. Nonostante il mondo economico abbia ancora scarsamente compreso le opportunità dell'a-scesa al potere di un partito islamico, in Egitto il carattere accentuatamente più violento della Fratellanza Musulmana, le sanguinose repres-sioni, incarcerazioni e torture da parte del re-gime contro il movimento potrebbero non sor-tire gli stessi effetti che in Turchia a causa di una minore capacità di visione strategica dell'attuale classe dirigente.

Page 9: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

11

Concludendo lo scenario che si prospetta in Egitto rimane incerto, ma alcuni elementi chiave sono stati messi in evidenza e delinea-no un percorso più prevedibile. Il primo ri-guarda il fatto che la classe militare ha ancora abbastanza saldo il potere nelle proprie mani nonostante siano costretti a concedere molto sotto il profilo del cambio di regime e di una maggiore democratizzazione. Tale vantaggio strategico interno potrebbe portare una loro figura addirittura a vincere le elezioni se riu-sciranno a mantenere il potere anche in alcuni

settori chiave dell'economia e della società e non solo a livello istituzionale. Il secondo e-lemento riguarda il fatto che una parte consi-stente della popolazione non ha ceduto alle promesse del regime di alzare i salari per atte-nuare l'intensità della protesta e quindi mante-nere al potere lo stesso Mubarak. Il terzo ele-mento chiave riguarderà la capacità dei diversi movimenti liberali di arginare l’influenza del-la Fratellanza Musulmana già dai primi ap-puntamenti elettorali di matrice democratica.

Page 10: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

13

Regione Adriatico – Danubiana – Balcanica

Paolo Quercia Eventi ►Bosnia Erzegovina. Stallo post-elettorale: ancora non formati il governo centrale e quello della Federazione A più di tre mesi dalle elezioni politiche del 3 ottobre scorso i partiti usciti vincitori dalle elezioni bosniache non hanno ancora trovato un accordo per la formazione del governo del paese. Solo nella entità serba è stato possibile riuscire a formare un governo, men-tre una serie di veti etnici incrociati continuano a bloccare la formazione dell’esecutivo della Federazione croato – mussulmana e in quattro dei cantoni federali e soprattutto del governo centrale. La mancanza delle istituzioni ha costretto il Rappresentate della Comunità internazio-nale Inzko ad imporre l’approvazione del bilancio della Federazione utilizzando i propri poteri legislativi speciali. ►Arrestato in Francia uno dei presunti complici del massacro di Trnovo Milorad Momic, ex paramilitare serbo accusato di aver commesso crimini di guerra nella ex Jugoslavia è stato arrestato in Francia nei pressi di Grenoble dove viveva sotto false generalità. Momic ha fatto parte durante la guerra di un’unità speciale di paramilitari comandata da Slobodan Medic, unità formata nella Repubblica serba di Krajna nel 1991 che ha partecipato alle guerre in Cro-azia, Bosnia Erzegovina e Kosovo. Il Tribunale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia ha raccolto prove sulla presenza dell’unità degli Skorpioni (circa 150 uomini) sia nella zona di Srebrenica che in aree del Kosovo ove furono commessi massacri di civili. Resta tuttora da accertare se al momento della loro partecipazione ai massacri tale unità era già stata inserita nella catena di comando del Ministero degli interni serbo, se operava sotto altro coordinamento o come formazione paramilitare. Momic è accusato assieme ad altri sei membri della sua ex unità di aver ucciso sei mussulmani nella città di Trnovo vicino Srebrenica nel luglio del 1995. Per la stessa esecuzione il comandante dell’unità Medic è stato condannato da un tribunale serbo a 20 anni di reclusione. ►Il governo serbo ha consegnato alla Commissione le risposte al questionario sull’allargamento Il governo serbo ha consegnato al Commissario all’allargamento Stefan Fuele il questionario con le risposte alle 2.400 domande che la UE ha posto alla Serbia in vista della decisione per concedere a Belgrado lo status di paese candidato all’adesione. Il parere della Commissione in merito dovrebbe arrivare entro il mese di autunno 2011. ►Croazia, consegnata alla Serbia lista di 1549 ricercati per crimini di guerra La Croazia ha consegnato alla Serbia una lista di 1549 persone condannate o accusate di cri-mini di guerra commessi in Croazia durante il conflitto jugoslavo. Attualmente sono 33 gli ex cittadini jugoslavi processati da tribunali serbi per crimini di guerra commessi in Croazia.

Page 11: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

14

►Kosovo: Parlamento europeo approva Risoluzione Marty Il Parlamento Europeo ha appro-vato a maggioranza di voti la Risoluzione di Dick Marty sul Kosovo, confermando la necessità di proseguire le indagini per verificare la concretezza delle accuse sui crimini commessi in Kosovo da membri dell’Uck e in particolare la questione del traffico di organi, riemersa recen-temente dopo l’arresto a Pristina di un chirurgo turco coinvolto in espianti illegali. Secondo il rapporto, il traffico di organi risalirebbe alla fine degli anni novanta e coinvolgerebbe membri di primo piano dell’Uck che avrebbero utilizzato prigionieri di guerra per il prelevamento clandestino di organi. La questione Marty assume dunque una veste rilevante proprio nell’avvicinarsi del terzo anniversario dell’indipendenza e si intreccia anche con la questione della formazione del nuovo governo di Pristina dopo le elezioni vinte da Thaci. Le trattative per la formazione di un nuovo esecutivo vedono delinearsi un accordo Thaci - Pacolli più i partiti delle minoranze che nel caso della formazione di un tale governo sarebbero altamente rappre-sentati, finendo per controllare circa un terzo dei voti della compagine parlamentare. ► Turchia – Iran: il Presidente Gul in visita a Teheran Il Presidente turco Gul ha guidato un importante visita di Stato di quattro giorni in Iran, accompagnato dal Ministro degli Affari Esteri Davutoglu e da una nutrita delegazione di uomini d’affari. Nel corso della visita si è parlato anche della questione nucleare e dei recenti colloqui svoltisi ad Istanbul. Ma la missio-ne è stata prevalentemente caratterizzata dalla dimensione economica, con i due governi che hanno rafforzato l’impegno di portare a 30 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni il valore dell’interscambio commerciale tra i due paesi.

ARRESTI A SORPRESA NELLE FORZE ARMATE TURCHE PER L’OPERAZIONE “BALYOZ”

Un’ondata di arresti ordinati dalla 10° Corte penale di Istanbul ha scosso il paese e raggela-to i rapporti tra governo e Forze Armate. Nel corso di un’udienza relativa al processo “Bal-yoz” (“mazza”). Il processo Balyoz va avanti da vari anni e vede 180 militari turchi in ser-vizio ed in pensione indagati per aver elabora-to una serie di piani per sottrarre il potere all’AKP, il partito islamista moderato dell’attuale premier Erdogan. Nel corso del processo, con una mossa inaspettata, il procu-ratore capo Kirbas ha chiesto alla corte di porre sotto custodia un alto numero degli in-dagati a causa dell’emersione di presunte nuove prove di colpevolezza. La richiesta di arresto è stata sottoposta dal procuratore in seguito al ritrovamento di nuovi documenti sul piano rinvenuto all’interno di una base militare della marina. Il Giudice Diken, dopo

aver riunito la Corte ha approvato la richiesta di arresto ordinando la presa in custodia di 163 dei 180 indagati. Tra le persone poste sotto custodia vi sono numerosi militari di alto livello che erano in servizio nel 2003 e alcune figure di primo piano delle Forze Armate co-me il Generale Bek, comandante del Sesto Corpo d’armata, il Vice Ammiraglio Otuzbi-rogu, Comandante del Comando Settentriona-le della Marina, e il Vice Ammiraglio Sagdic, Comandante del Comando dell’Area Meridio-nale della Marina. Ancora più alti i livelli degli ufficiali in pensione arrestati, tra essi il Capo di Stato Maggiore della Marina Ormek, il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Fitina e soprattutto il Generale Ergin Saygun, ex Vice Capo di Stato Maggiore della Difesa andato in pensione nel 2009. L’accusa per molti di loro è quella di aver avuto un ruolo

Page 12: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

15

nell’elaborazione di un complesso piano di destabilizzazione del paese da realizzare at-traverso una serie di sottopiani (denominati Suga, Oraj, Cage) parte del piano con il nome in codice di “Balyoz”. Tale progetto, secondo una serie di documenti sotto indagine della magistratura, avrebbe previsto la realizzazione di omicidi mirati di personalità straniere, at-tentati in moschee, sabotaggio di un volo di linea, assalti ad installazioni militari da parte di finti estremisti religiosi ed altri atti similari allo scopo di dare all’opinione pubblica del paese la sensazione di essere sotto attacco da parte di un nemico terroristico interno (PKK) e di un paese vicino (la Grecia) e dimostrare l’incapacità dell’AKP a gestire la sicurezza del paese favorendo la presa del controllo diretto del governo da parte dei militari (defe-nestrando di fatto il partito di Erdogan dal governo). Una delle persone inserite nella presunta lista di potenziali vip stranieri da eliminare era Hrant Dink, un giornalista turco–armeno ucciso nel 2007. Momenti di tensione si sono verificati quando gli alti uffi-ciali presenti in aula si sono inizialmente rifiu-tati di essere arrestati dai militari di grado più basso presenti in aula, opponendo alla corte il “principio” che si sarebbero fatti scortare presso l’ospedale e la prigione solo se accom-pagnati da militari di parigrado. La protesta degli arrestati, pur pacifica, è durata varie ore, durante le quali vi sono stati svenimenti tra i parenti presenti in aula mentre gli arrestandi cantavano l’inno nazionale turco e altre can-zoni militari. La situazione si è sbloccata quando alla Corte è arrivato un messaggio inviato da un ufficiale di alto grado del Co-mando Centrale delle Forze Armate in cui si “notificava” ai presenti l’arresto invitandoli a seguire i gendarmi presenti nella aula della Corte. Qualunque siano le future vicende pro-cessuali degli arrestati la loro reazione all’arresto è sintomatica di una mentalità presente nelle Forze Armate turche che anco-ra non riconosce la superiorità del potere civile su quello militare e anche nelle manife-

stazioni formali mira a ribadire la linea di comando gerarchica ed autonoma. Per altre 30 persone, che non erano presenti nel corso del processo, è stata emessa un’ordinanza di cattura, e tra di essi figura colui che è ritenuto aver avuto un ruolo prin-cipale nel piano Balyoz, il Generale in pen-sione Cetin Dogan. Dogan, già Comandante del Primo Corpo di Armata, è accusato di aver maturato il colpo di stato contro l’AKP all’interno del protocollo (ora abolito) deno-minato EMASYA, che in determinate circo-stanza di pericolo per l’ordine pubblico con-sentiva la raccolta di informazione e l’attuazione di operazioni di intelligence senza l’approvazione dell’amministrazione civile. Dogan è sospettato anche di aver avuto un ruolo apicale nelle riunioni preparatorie che portarono all’intervento dei militari del 28 febbraio 1999. I massicci arresti, sono una conferma della maggiore confidenza che il governo ha nel trattare le questioni del rap-porto tra politica e Forze Armate. Una tale operazione non sarebbe stata immaginabile in Turchia alcuni anni fa e rappresenta un primo chiaro segnale del lungo processo di erosione del potere politico delle Forze Armate nel paese. Ancora da valutare gli effetti che tali arresti potranno avere nelle future relazioni tra FFAA e Akp (il Ministro Erdogan ha in-contrato il Capo di Stato Maggiore della Di-fesa poche ore dopo l’arresto, ma non sono trapelate informazioni sull’andamento del colloquio). Quello che è certo è che è la prima volta che si verifica una così vasta retata di membri in servizio delle Forze Armate apren-do in tal modo numerosi spazi all’interno della gerarchia militare della Difesa turca. Ciò rappresenta sia un chiaro segnale sul “chi comanda in Turchia” ma anche un tenta-tivo di aprire l’esercito ad una vera rivoluzio-ne dall’interno sbloccando i meccanismi delle promozioni e – verosimilmente – creando le condizioni per l’accesso alle posizioni di ver-tice delle FFAA ad una nuova classe di gio-vani ufficiali meno legati al nazionalismo

Page 13: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

16

secolare kemalista e potenzialmente più vicini all’ideologia islamista moderata del partito di governo Albania: lo scontro tra governo ed opposi-zione finisce nel sangue Il lungo braccio di ferro tra il governo e l’opposizione albanese che è in corso ormai da quasi due anni ha finito per produrre i più gravi incidenti politici verificatisi in Albania nell’ultimo decennio. Dal giorno delle elezio-ni il Partito Socialista (PS)contesta i risultati elettorali che hanno visto la coalizione guidata dal PS arrivare seconda con uno scarto di circa 20.000 voti (mentre il Partito Socialista da solo ha preso circa 10.000 voti in più del solo Partito Democratico). Il similare consen-so elettorale avuto dalle due coalizioni politi-che ha fatto si che il PD potesse contare solo su 4 seggi di maggioranza rispetto all’opposizione (70 vs 66). Il nuovo governo Berisha si è quindi formato anche grazie all’accordo raggiunto con l’LSI di Ilir Meta, già leader del Partito Socialista albanese e ora alla guida di una nuova formazione, il movi-mento per l’integrazione socialista, nato nel 2004 da una costola del PS e che ha ottenuto 4 parlamentari alle elezioni del 2009. Proprio uno scandalo di corruzione in cui è rimasto coinvolto Meta e le sue dimissioni hanno atti-vato una nuova fase delle proteste dell’opposizione contro il governo. Le prote-ste di piazza organizzate dal PS costituiscono l’apice di una lunga strategia di boicottaggio del parlamento e di scontro frontale con il governo Berisha, la cui ventennale leadership nel Partito Democratico inizia a mostrare se-gni di cedimento. La reazione del governo alla linea dura di confronto dell’opposizione – che non ha disdegnato le violenze di piazza – è stata piuttosto maldestra, lasciando alle forze di polizia un ampio potere di utilizzo delle armi da fuoco e accusando magistratura e servizi segreti di aver organizzato attraverso la piazza un tentativo di colpo di stato, per inda-gare il quale è stata costituita una apposita

commissione parlamentare, composta – a causa del boicottaggio dell’opposizione – solo da membri della coalizione di maggioranza. Il governo è sopravvissuto alla spallata dell’opposizione e la comunità internazionale è stata abbastanza prudente nell’interferire negli affari interni del paese, mantenendo una sostanziale equidistanza e attenendosi al prin-cipio di non ingerenza negli affari interni. Tuttavia, l’opinione consolidatasi è oramai quella di una marcata preoccupazione circa il futuro del processo di adesione dell’Albania verso l’Unione Europea a causa dell’immaturità ed irresponsabilità politica dimostrate tanto dal governo quanto dall’opposizione. Indubbiamente, il maggior danno lo subisce il governo e in particolare la leadership di Berisha di cui cresce la distanza del suo metodo di governo “vecchio stile” con i fermenti di modernizzazione ed europeizza-zione che sono presenti ed avanzano nella società albanese di pari passo con lo sviluppo economico, che continua ad essere rilevante. La sfida per l’opposizione è quella di cogliere tale ruolo senza cadere nel rischio di trasfor-mare la propria critica radicale al governo in un confronto violento che rischierebbe di far tornare il paese all’instabilità politica degli anni novanta. Macedonia, scontri inter – etnici in centro a Skopje Preoccupanti incidenti sono avvenuti nel cen-tro di Skopje tra manifestati albanesi e slavo-macedoni, in parte legati a tifoserie calcisti-che. La polizia ha incontrato serie difficoltà nel tenere i due gruppi separati mentre si scontravano nel parco della vecchia fortezza di Skopje. L’argomento del contendere è una presunta questione storico – identitaria, che nasconde ancora profonde ruggini etniche. Gli scontri (che hanno procurato 6 feriti tra i ma-nifestanti e due tra le forze di polizia) sono avvenuti quando due gruppi, che manifestava-no pro e contro l’apertura di un museo all’interno di una nuova struttura moderna che

Page 14: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

17

sarà costruita nello spazio dell’antica fortezza ottomana, sono venuti a contatto. Gli scontri hanno provocato una nuova ondata di odio inter-etnico sui media e specialmente sui nuo-vi media, innescando una spirale di accuse reciproche argomentate su ragioni pseudo-etniche e pseudo-storiche. Il nuovo edificio che è stato oggetto del contendere avrà una forma simile a quella di una chiesa cristiana e dovrebbe divenire, nelle intenzioni del gover-no, un museo. Le proteste sono iniziate quan-do dei media locali hanno riportato che il go-verno aveva iniziato la costruzione di questa struttura all’interno del Kale, la fortezza turco ottomana che nelle visioni di molti albanofoni dovrebbe ricordare “l’identità” mussulmana della Macedonia. Anche i partiti politici alba-nesi, inclusi quelli membri della coalizione-governativa, hanno chiesto la sospensione

della costruzione dell’“oggetto religioso” che non rifletterebbe la natura ottomana dell’area culturale della fortezza. Gli scontri fanno se-guito a numerose provocazioni reciproche che gruppi estremisti di albanofoni e slavo mace-doni hanno portato avanti nelle scorse setti-mane attorno al sito in costruzione e che han-no portato il governo ad interromperne uffi-cialmente i lavori e mandarli avanti in segreto durante la notte. La spirale di provocazione e danneggiamenti, nonché il ruolo giocato dai media e dai partiti politici attorno a un manu-fatto di secondaria importanza dimostra la precarietà della situazione interetnica esistente in Macedonia e la difficoltà per il governo di deconflittualizzare le relazioni tra la compo-nente albanese e quella slava del paese.

Page 15: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

19

Comunità Stati Indipendenti Europa Orientale

Andrea Grazioso Eventi ►Il grande programma di forniture militari ucraine all’Iraq starebbe incontrando forti osta-coli, connessi con l’inadeguata qualità dei prodotti forniti. Il primo lotto di tre velivoli An-32 – su un totale di sei ordinati nel 2009 – è stato rifiutato dalle autorità irachene giacché sarebbe emerso che i velivoli, venduti per nuovi, sarebbero stati in realtà assemblati con parti prodotte prima del 2009, cioè prima della sigla del contratto. Anche il primo lotto di veicoli ruotati da trasporto e combattimento BTR-4 sarebbe stato rifiutato, per malfunzionamenti dell’armamento principale. La commessa, del valore di 550 milioni di dollari, era stata salutata come il mag-giore contratto di esportazione mai ottenuto dall’Ucraina. I problemi attuali hanno, ovviamente, innescato forti polemiche a Kiev, con la dirigenza della società statale responsabile dell’esportazione di armamenti – la Ukrspecexport – che accusa i precedenti dirigenti dei difetti nella organizzazione del lavoro. Cominciano ad emergere anche informazioni circa presunte tangenti, pari al 13% della commessa, che sarebbero state richieste da non meglio specificati “intermediari” per facilitare il buon esito dell’operazione di vendita. Gli Iracheni avrebbero ora chiesto la correzione dei difetti entro il febbraio 2011, per riprendere la consegna dei mate-riali. Per la natura dei problemi riscontrati, però, pare poco probabile che tale scadenza potrà essere rispettata. L’Ucraina rischia quindi di subire un grave danno economico per la cancel-lazione del contratto. ►Significativo incremento nella produzione e nell’esportazione di gas naturale in Russia. Secondo i dati diffusi nel mese di gennaio nel corso del 2010 la Russia avrebbe prodotto un to-tale di 650,3 miliardi di metri cubi di gas naturale, con un incremento dell’11,5% sul 2009. In tale quadro, la Gazprom – principale attore sia nella produzione che nella commercializzazione di gas – ha segnato anch’essa sostanziali incrementi, ancorché non così forti come preventivato. Nel 2010 Gazprom ha prodotto 508,5 miliardi di metri cubi di gas, contro i circa 520 previsti. Ne ha esportati verso l’Europa 139 miliardi di metri cubi, contro i 161 ipotizzati. Il totale delle esportazioni russe verso l’Europa è stato pari, nel 2010, a 185 miliardi di metri cubi, ovvero il 10,6% in più rispetto all’anno precedente. ►Il 25 gennaio, presso i cantieri navali francesi di Saint-Nazaire, è stato siglato l’accordo franco-russo per la realizzazione di due Unità navali da assalto anfibio tipo “Mistral”, per la Marina militare russa. Con un messaggio congiunto, i Governi dei due Paesi hanno ribadito il comune intendimento di realizzare due Unità di tale tipo in Francia (dovrebbe trattarsi, appun-to, delle due prime Unità oggetto dell’accordo siglato pressi i cantieri), e due in Russia. Giunge così al termine la lunga e complessa trattativa per la realizzazione di tali navi e la cessione di importanti tecnologie militari da un Paese della NATO alla Russia. Come ampiamente analiz-

Page 16: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

20

zato sui precedenti numeri dell’Osservatorio, il progetto delle Mistral dovrà essere significati-vamente modificato per soddisfare i requisiti tecnici russi, in particolare per ciò che riguarda l’altezza del ponte hangar, per i diversi ingombri degli elicotteri russi. Sembra anche definiti-vamente chiarito che le Mistral saranno fornite complete del loro sistema di Comando e Con-trollo, cioè la componente di gran lunga più sofisticata e “sensibile” dell’intera fornitura. Le obiezioni dei Paesi baltici, della Polonia e degli stessi Stati Uniti non hanno quindi impedito all’Eliseo di concludere un accordo di notevole importanza economica. ►Nuovi, sofisticati sistemi d’arma sono stati dispiegati nel Caucaso meridionale. Nelle ultime settimane si è avuta conferma della presenza nella regione di sistemi missilistici di origine rus-sa, capaci di alterare l’equilibrio militare esistente. I Georgiani avrebbero segnalato la presen-za in Ossezia meridionale di sistemi missilistici terra-terra SS-21 Scarab-B “Tochka-U”, con un raggio d’azione stimato in 120 chilometri e un cep (errore circolare probabile, ovvero la precisione media) di 95 metri. Con tali sistemi, una larga porzione di territorio georgiano risul-ta essere potenzialmente minacciato e non difendibile, giacché la Georgia non dispone di alcun sistema anti-missile (e solo modestissime capacità anti-aeree). In un contesto non direttamente collegato a quanto sta avvenendo in Georgia, le Autorità armene hanno dichiarato ufficialmen-te di avere in servizio sistemi terra-aria S-300, mostrando anche le immagini di esercitazioni con lanci reali del missile. Il sistema, con raggio superiore ai 100 chilometri (la versione esatta del sistema acquisito dall’Armenia non è nota), costituisce una difesa più che valida nei con-fronti delle crescenti potenzialità offensive dell’Azerbaijan, ed è verosimilmente stato fornito dalla Russia nel quadro dell’alleanza strategica fra Yerevan e Mosca, rinforzata ulteriormente negli ultimi mesi. Nell’agosto 2010, infatti, il Presidente Medvedev, dopo aver sottoscritto l’accordo in base al quale è stata esteso fino al 2044 l’affitto della base armena di Gyumri, a-veva affermato l’intendimento della Russia di fornire all’alleato moderni sistemi d’arma, per rafforzarne le capacità di difesa.

SUCCESSI E FALLIMENTI NELLA POLITICA DI MEDVEDEV

Non si attenua la violenza politica in Russia, malgrado il dichiarato intendimento del Crem-lino di “sterminare” i terroristi che ormai da oltre dieci anni continuano a colpire Mosca e altre importanti città della Federazione. L’attacco compiuto da un attentatore suicida il 24 gennaio all’aeroporto internazionale di Domodedovo ha causato 36 morti e oltre 100 feriti. Dopo le prime notizie che davano una terrorista donna come probabile responsabile dell’attentato, sembrerebbe ora appurato che si sia trattato di un uomo. Le Autorità russe, Medvedev in testa, hanno immediatamente attribuito l’attacco al terrori-

smo caucasico, per le modalità con cui esso è stato condotto. La sera del 7 febbraio è infine giunta, attra-verso il sito internet Kavkazcenter, notoria-mente vicino alla guerriglia, la rivendicazione dell’attacco, effettuata personalmente da Dokku Umarov, alias Dokku Abu Usman, Emiro del Caucaso e leader (quasi) indiscusso della guerriglia. Il luogo scelto per l’attacco, poi, costituisce una relativa novità, non essendo stata presa di mira, questa volta, la rete metropolitana. Ov-viamente, un attentato all’aeroporto interna-zionale della capitale non ha lo stesso impatto

Page 17: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

21

sulla vita quotidiana dei Russi di un attacco alla rete dei trasporti urbani. Sotto certi aspetti, quindi, la scelta dei terroristi può essere letta come “un ripiego”, cioè una diversione verso un obiettivo meno sorvegliato, ancorché meno pagante. In effetti, sembrerebbe che l’attentatore non abbia dovuto superare alcun controllo per giungere sul luogo dell’attentato, perché que-sto è posizionato fuori dall’edificio aeroportu-ale e, quindi, fuori dal perimetro di sicurezza dello stesso. Per contro, l’aver colpito un obiettivo “inter-nazionale” può essere letto anche come una forma di nuova escalation nell’azione dell’insurrezione. Gli “anni di piombo” della Russia durano da oltre un decennio. La Russia del 2011 è molto diversa da quella degli anni Novanta, o anche di soli dieci anni orsono. Gli interessi economici e finanziari hanno trasformato il panorama politico e cul-turale, almeno per una parte dei cittadini russi. Se i primi attentati dinamitardi compiuti con-tro le zone residenziali della periferia mosco-vita – che segnarono l’inizio della compagna terroristica attribuita fin da allora alla guerri-glia cecena, e che determinò anche il successo politico del nuovo leader “forte”, Vladimir Putin – furono probabilmente capaci di pro-durre quel moto delle coscienze e delle opi-nioni che determinò, come detto, la trasforma-zione del quadro politico di allora, non può escludersi che lo spostamento della minaccia verso obiettivi di natura differente possa pro-durre oggi effetti altrettanto straordinari. La Russia dei tardi anni Novanta era, infatti, ancora stordita dalla violenza del crollo del sistema socio-politico sovietico, dalla gravità della crisi economica e dalla perdita dei rife-rimenti ideologici e culturali. La crisi palese della leadership eltsiniana era accompagnata dallo sfaldamento della com-pattezza territoriale della Federazione, con la crescita dell’autonomia – legale e di fatto –

dei leader regionali. La prima serie di attentati colpì “nello stoma-co” i Russi; innescò una reazione che si tra-dusse prima nell’assegnazione dell’incarico di Capo del Governo a un “uomo forte”, Vladi-mir Putin, dopo tanti esperimenti con liberali e liberisti concentrati essenzialmente sulla mo-dernizzazione economica del Paese. Poi Putin succedette allo stesso Presidente El-tsin, e avviò una radicale inversione di marcia con la progressiva ma inesorabile lotta non solo contro gli insorti, ma anche contro le for-ze centrifughe che minacciavano di frantuma-re il Paese. L’attacco all’aeroporto dello scorso 24 genna-io, al momento, sembra esulare dal copione seguito durante tutti questi anni; sembra non iscriversi nello schema che ha visto il ripetersi con cadenza regolare – circa una volta l’anno – di attacchi contro “la popolazione inerme”, il ventre molle perché indifendibile di qualun-que società complessa. Potrebbe esulare dallo schema, come anticipa-to, solo per l’esigenza tattica dei terroristi di eludere i controlli più stretti dei servizi di si-curezza. Potrebbe, però, anche rappresentare l’inizio di un cambio di strategia, o meglio il segnale di un cambio negli obiettivi strategici degli at-tentatori. Se le bombe contro i condomini popolari col-pivano “lo stomaco” dei russi, quelle contro i viaggiatori che tornano dall’estero – turisti, uomini e donne d’affari – potrebbero essere dirette contro “il cervello”. La loro finalità po-trebbe essere quella di alterare, nella perce-zione dell’elite economica al potere, l’equilibrio fra vantaggi e svantaggi nel pro-seguimento del conflitto anti- insurrezionale. È utile, a tal proposito, considerare come il “danno marginale” prodotto dalle azioni terro-ristiche nei territori del Caucaso sia ormai quasi ininfluente. Dieci giorni prima dell’attentato a Mosca, l’esplosione di un’auto-bomba a Khasavyurt,

Page 18: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

22

una importante città del Daghestan, vicina al confine con la Cecenia, aveva provocato la morte di quattro persone. Due giorni dopo l’attacco all’aeroporto, quin-di il 26 gennaio, una nuova auto bomba, sem-pre a Khasavyurt, ha provocato altri quattro morti fra gli avventori di un caffè. Da tempo nel Caucaso settentrionale le forze terroristiche hanno preso di mira tutti quei luoghi – caffè, saune, ristoranti – dove si con-durrebbe uno stile di vita contrario alle regole dell’Islam ortodosso. Questo elemento do-vrebbe suscitare un gravissimo allarme, in Russia, ma anche in tutto il mondo occidenta-le. Eppure, lo stillicidio di attentati nel Caucaso non desta ormai quasi alcuna attenzione; to-talmente diverso è, invece, l’impatto mediati-co e politico di quanto avviene a Mosca o, comunque, nella Russia “europea”. Nei fatti, quindi, esiste una marcata differen-ziazione nella percezione collettiva fra quanto accade in quella parte del Paese che viene vis-suta come sostanzialmente integrata nella co-munità di valori occidentali e il cosiddetto “e-stero interno”, cioè i territori ormai sempre più percepiti come troppo diversi per poter condividere lo stesso destino della Russia. Oggi, proprio come circa dieci anni orsono, sono diffuse le teorie secondo le quali la Rus-sia non ha davanti a sé un futuro roseo, perché non ha completato quel processo di affranca-mento dal suo passato imperiale. La Russia odierna, è la tesi di alcuni influenti opinionisti, vive solo il fardello del suo passato imperiale, in particolare il peso costituito da quella realtà etnica, politica e religiosa così distante dai “valori” russi che è la regione del Caucaso. Se i Russi potessero “liberarsi” di quel fardel-lo, proprio come si sono già liberati dei popoli centro asiatici e degli Ucraini, potrebbero al-lora tornare a crescere e affermarsi sul piano internazionale e, soprattutto, tornerebbero pienamente padroni del loro destino. Al tempo, come visto, le bombe terroristiche

contribuirono in maniera significativa all’affermazione di una leadership forte e “centralizzatrice”, che ha combattuto e vinto la battaglia contro le forze separatiste e quelle “centrifughe”. Oggi, quindi, una nuova strategia terroristica volta a colpire gli interessi economici o, diret-tamente, l’elite economica, potrebbe riuscire là dove le riforme economiche e politiche post-sovietiche avevano fallito, ovvero il compimento di un nuovo passo verso il supe-ramento definitivo della “concezione imperia-le” della Russia. Un nuovo passo indietro nella riforma mili-tare Con un annuncio davvero sorprendente, il mi-nistro della Difesa russo, Serdyukov, ha di-chiarato che nel 2012 il numero di ufficiali in servizio nelle Forze Armate crescerà di 70.000 unità, passando dai 150.000 previsti nel “Modello” approvato nel 2008 a 220.000. Si tratta, quindi, di un incremento prossimo al 50% della forza originariamente prevista, nonché di una straordinaria inversione di ten-denza rispetto alla linea fin qui perseguita dal Governo, malgrado la dura opposizione dell’establishment militare. Solo tre anni orsono, infatti, Serdyukov con-vinse il Presidente ad approvare la più grande riforma delle Forze Armate russe, che preve-deva la rinuncia al sistema di mobilitazione in favore di Forze (relativamente) ridotte e (rela-tivamente) pronte. L’obiettivo era di raggiun-gere un milione di effettivi, riducendo in par-ticolare il numero di ufficiali dai 355.000 in servizio allora a 150.000, ovvero il 15% della forza complessiva prevista. Come già segnalato su queste pagine, il reclu-tamento di “volontari a contratto” pare non aver dato gli esiti sperati, con solo 120.000 – 150.000 soldati coì reclutati. Le Forze armate russe si basano, quindi, in massima parte sulla leva, divenuta annuale e, quindi, non adatta ad addestrare e mantenere operative le Unità così

Page 19: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

23

alimentate. La crescita del 50% nel numero di Ufficiali può quindi essere collegata alla presa d’atto dell’impossibilità di giungere nei tempi previ-sti ad una struttura moderna e simile a quella in uso nei Paesi occidentali. La Russia, infatti, non riesce apparentemente a reclutare, adde-strare e mantenere in servizio un adeguato numero di sottufficiali, che dovrebbero rap-presentare la componente principale di Forze professionali. Al momento, risulterebbero solo 500 allievi nella categoria dei Sergenti, men-tre l’Esercito avrebbe previsto il reclutamento di soli 2.000 nuovi allievi nel 2011. Ciò, a fronte di una esigenza stimata da sottosegreta-rio alla Difesa Nikolai Pankov pari ad oltre 200.000 unità.

I 70.000 ufficiali in più, annunciati da Ser-dyukov, potrebbero quindi essere ottenuti semplicemente bloccando parte dei pensiona-menti anticipati previsti nel programma del 2008. In tal modo, si ovvierebbe sia alla ca-renza di quadri – che pare stia conducendo anche ad un ulteriore abbassamento nel livello di addestramento e di prontezza delle Forze –, sia alla difficoltà di garantire, come previsto, agli ufficiali licenziati un ragionevole livello di garanzie sociali. Resta il fatto che il repentino ritorno ad una struttura del personale militare con oltre il 20% di ufficiali e pochissimi sottufficiali di professione segnala il mancato raggiungimen-to di quegli obiettivi di modernizzazione san-citi nel “Modello” del 2008.

Page 20: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

25

Relazioni Transatlantiche - NATO

Lucio Martino Eventi ►Nella seconda decade di gennaio il segretario della Difesa Robert Gates ha visitato le capi-tali delle tre principali potenze del Pacifico occidentale: Cina, Giappone e Corea del Sud. Il nuovo viaggio in estremo Oriente del segretario di Stato è stato concepito anche al fine di favo-rire il successo della poco successiva visita del capo di Stato cinese a Washington. ►Il 19 gennaio, a Washington, il presidente degli Stati Uniti Barak Obama ha ricevuto la vi-sita del suo omologo cinese, Hu Jintao.

I VIAGGI DI GATES E DI HU JINTAO

Il presidente cinese Hu Jintao si è recato a Washington per quattro giorni di colloqui e contatti. È stato ricevuto con un banchetto uf-ficiale, un segno di distinzione che non gli fu riconosciuto cinque anni fa, durante la sua precedente visita, quando l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush ritenne che un simile convivio fosse riservato solo ai rap-presentanti dei paesi alleati, e non toccasse dunque ai suoi ospiti cinesi. In concreto, l’evento è stato preparato su tre livelli: mili-tare, con una missione a Pechino del segreta-rio della Difesa Gates, economico, con una disamina della situazione corrente da parte del segretario del Tesoro Geithner; politico, con una serie di dichiarazioni, alcune delle quali anche particolarmente impegnative, fat-te dal segretario di Stato Clinton. I commenti della stampa alla vigilia della vi-sita sono stati particolarmente discordi, tanto

da offrire l’impressione di un paese profon-damente diviso su una questione di particola-re importanza come la natura del dialogo con la Cina. Il New York Times è stato partico-larmente severo nei confronti di Hu Jintao, descritto come la guida più debole che il mondo comunista abbia mai conosciuto, privo di qualsiasi influenza sui falchi dell’Armata Popolare, ormai indipendenti dalle autorità politiche. Gli altri due grandi quotidiani sta-tunitensi, vale a dire il Wall Street Journal e il Washington Post, si sono per una volta alli-neati su un forte risentimento per l’intenzione, apertamente manifestata dai Cinesi, di detro-nizzare il dollaro dalla sua posizione privile-giata di moneta di riserva mondiale. Gates Il segretario alla Difesa Gates, incontrandosi ai primi di gennaio con il suo omologo cinese,

Page 21: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

26

Liang Guanglie, ha inaugurato quella che al-meno nelle attese dovrebbe rivelarsi una fase di intenso scambio di informazioni e prospet-tive. Durante i tre giorni del suo soggiorno in Cina, il segretario della Difesa ha poi incon-trato il capo del partito comunista e dello Sta-to, Hu Jintao, a sua volta destinato a raggiun-gerlo a Washington solo pochi giorni dopo. La visita di Gates è il sintomo più evidente di una nuova apertura in quel dialogo in campo militare quasi soppresso l’anno scorso alla no-tizia di una nuova massiccia fornitura di armi a Taiwan da parte degli Stati Uniti. Questo rinnovato dialogo tra Stati Uniti e Ci-na è il prodotto del desiderio, comune ai go-verni dei due paesi, di avviare un “dialogo strategico”, cioè lo scambio di comunicazioni sul livello dei rispettivi armamenti, che tra i suoi tanti obiettivi ha anche quello di bilancia-re una corrente radicale, cresciuta in seno all’Armata Popolare Cinese, volta quasi ad imporre alla direzione politica una decisa mo-dernizzazione delle forze armate. L’intem-pestivo annuncio dell’avvio del programma di sperimentazione in volo di un caccia di quinta generazione denominato J-20 ne è forse la più sorprendente testimonianza. L’impressione è che proprio a Pechino l’amministrazione Obama stia cercando la chiave di un nuovo equilibrio asiatico. I collo-qui di questi ultimi giorni avranno sicuramen-te avuto contenuti che vanno oltre quanto di-chiarato ufficialmente. Le attuali contingenze sembrano rendere nell’interesse dell’una e dell’altra potenza la ripresa del dialogo anche sulle più particolari questioni tecniche e stra-tegiche. Secondo alcune fonti, i progressi compiuti dalla Cina nella modernizzazione del proprio dispositivo militare sono superiori alle previsioni. Particolari sono i progressi rag-giunti nella messa in cantiere di un’unità por-taerei e della realizzazione di un raffinato si-stema balistico antinave. La realizzazione di questi nuovi sistemi d’arma è accompagnata da una riduzione del numero delle forze arma-

te cinesi, in un processo destinato a trasforma-re un sistema militare nato per l’esclusiva di-fesa del territorio continentale in un altro, pla-smato su caratteristiche e potenzialità analo-ghe a quelle del modello occidentale. A rende-re possibile un tale sforzo è solo la presente ricchezza di un’economia che permette al tempo stesso massicci investimenti tanto nel settore militare quanto in qualsiasi altro setto-re infrastrutturale. Dato questo stato di cose, era dunque necessario che la controparte sta-tunitense fosse debitamente informata, in mo-do che questa possa rispondere con una serie di misure equivalenti, secondo la logica dell’equilibrio. Nei suoi incontri, Gates si è quindi, con tutta probabilità, dedicato al consolidamento di un dialogo strategico destinato a garantire l’equilibrio tra gli opposti schieramenti nel Pacifico occidentale in generale e, più in par-ticolare, intorno all’isola di Taiwan. Lasciando la Cina per recarsi prima in Corea del Sud e poi in Giappone, il segretario di Sta-to ha toccato i due cardini sui quali poggia un sistema di sicurezza regionale costruito e ali-mentato dagli Stati Uniti fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, che sembra aver bisogno di una profonda ristrutturazione. In questi due paesi sono state affrontate questioni che vanno oltre quella riguardante un’isola di Taiwan che gli Stati Uniti intendono conser-vare a tempo indeterminato in una condizione di concreta indipendenza, pur riconoscendone in linea di principio l’appartenenza alla Cina continentale. In Giappone, il segretario di Stato ha affronta-to la questione della base americana di Fu-tenma, sgradita alla popolazione locale e ap-pena tollerata dalle forze politiche attualmente al governo. Sulla gestione di questa annosa questione, la visita sembra aver condotto ad alcuni sicuri passi in avanti. Minori invece i risultati raggiunti nei riguardi del rapporto tra Giappone e Corea del Sud. Per quanto acqui-sita una qualche nuova disponibilità alla col-

Page 22: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

27

laborazione, rancori risalenti alle vicende bel-liche di oltre settant’anni fa sembrano pesare ancora. Non sono stati particolarmente brillan-ti neppure i risultati della visita effettuata in Corea del Sud. Il governo di Seul sembra aver opposto una seria resistenza alla richiesta sta-tunitense di riprendere il dialogo con i Nor-dcoreani. Le intemperanze nordcoreane non impensieri-scono solo i paesi direttamente interessati, ma riguardano anche la Cina, tanto che il confron-to tra le due Coree rende ancora apprezzabili le preoccupazioni per la stabilità dell’intera Asia del Pacifico. Lo scorso anno, mentre si diffondevano le voci di un consistente pro-gresso nel programma volto alla produzione di una capacità militare nucleare, la Corea del Nord si è ripetutamente esibita in una piccola serie di azioni di forza. Nella sua missione in Oriente, il segretario della Difesa ha invitato le autorità cinesi a darsi da fare per moderare le ambizioni nor-dcoreane. Procedendo in questo modo, ovvero attribuendo alla Cina il diritto e il dovere di intervento sul governo nordcoreano, l’amministrazione Obama sembra di fatto ri-conoscere alla Cina una vera e propria sfera d’influenza regionale, estesa fino alla parte settentrionale della penisola coreana. Geithner Mentre il segretario alla Difesa Gates racco-glieva sul campo gli esiti incerti di un’esperienza che ha forse prodotto i risultati migliori più a Pechino che nelle capitali dei due tradizionali alleati regionali, il segretario al Tesoro, Tim Geithner, in una sede partico-larmente prestigiosa quale la John Hopkins School On Advanced International Studies, esponeva una serie di riflessioni sul presente e sul futuro dell’economia cinese. A suo avviso, l’eco-nomia mondiale è ormai profondamente trasformata dalla crisi finanziaria dell’autunno del 2008. Le potenze economiche di più tradi-zionale industrializzazione incontrano forti

difficoltà nell’uscire dalla stagnazione, mentre i paesi di nuova industrializzazione dimostra-no una sorprendente vitalità. Gli Stati Uniti si trovano in una posizione intermedia tra questi due gruppi: il ritmo della ripresa americana è doppio rispetto a quello del Giappone e dei paesi dell’Unione Europea, ma è pari solo alla metà di quello dei paesi emergenti. Tuttavia, posto che per il segretario al Tesoro i sistemi produttivi di Stati Uniti e Cina sono complementari, la presente particolare contin-genza apre in realtà importanti e fruttuose prospettive di collaborazione per questi due paesi. Non per niente le esportazioni america-ne in Cina crescono ad un ritmo accelerato ri-spetto a quelle destinate alle altre parti del mondo. Restano da risolvere alcune difficoltà non irri-levanti, quali la difficile riforma di una piani-ficazione economica governata ancora da un piano economico quinquennale e il valore arti-ficiosamente contenuto della moneta cinese. A questo proposito, l’amministrazione Obama sembra decisa più che a spingere affinché le autorità cinesi decidano un ritocco del tasso di cambio, ad operare per indurre un profondo mutamento degli orientamenti cinesi di base, in modo da indirizzare la produzione anche verso il mercato interno e non solo in direzio-ne dei mercati esteri. Apparentemente il segretario al Tesoro ha presentato una visione tutt’altro che inedita ma questa volta ha evitato quei toni radicali che in passato avevano avuto l’effetto di irri-tare altri paesi esportatori, quali la Germania, l’India e il Giappone. Clinton Da parte sua, il segretario di Stato, Hillary Clinton, in un intervento al quale è stata data una particolare visibilità, ha tratteggiato a me-tà gennaio una nuova visione prospettica delle relazioni tra Stati Uniti e Cina. Nella sua parte più ampia e penetrante, tale visione sembra allontanarsi dal tradizionale idealismo ameri-

Page 23: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

28

cano per abbracciare un’impostazione tipica del realismo continentale europeo. Per quanto il segretario di Stato non abbia certamente tra-lasciato questioni importanti, quali l’affermazione di valori etici e politici univer-sali anche in Cina, muovendo dal riconosci-mento dei progressi ivi compiuti negli ultimi tre decenni e da una sostanziale equidistanza statunitense dall’Occidente europeo e dall’Oriente asiatico, un particolare rilievo è stato attribuito agli aspetti economici e alla dimensione strategica dell’intera regione dell’Asia del Pacifico, giudicata di particolare interesse per entrambe le parti. Verso un equilibrio regionale di potenza Da quanto è possibile desumerne da quest’insieme di iniziative politiche, militari ed economiche che ha caratterizzato le prime settimane del nuovo anno, l’amministrazione Obama più che l’istituzione di un “G2” e, in misura ancora minore, la costruzione di una “chimerica”, sembra intenzionata a consolida-re un dialogo attraverso il Pacifico che sia complementare e non alternativo al dialogo attraverso l’Atlantico. Questa nuova fase nell’elaborazione della vi-sione strategica statunitense coincide con un momento molto particolare della vita cinese, un momento di notevole sviluppo ma anche di agitazione politica e sociale. Per quanto il controllo del paese resti in mano al partito comunista, e al gruppo dirigente erede di Deng Xiaoping, una nuova classe di intellet-tuali sembra orientarsi in direzioni a volte in-compatibili: oltre alla sinistra sopravvissuta alla fine del maoismo, sembra fare i primi passi una nuova corrente di pensiero, per ora minoritaria ma tutt’altro che insignificante. Una corrente di pensiero che riscuote i suoi consensi soprattutto negli ambienti militari e nei quadri dell’amministrazione locale, atti-rando a se una gioventù impaziente e ambi-ziosa. Numerose sono negli Stati Uniti le specula-

zioni sul carattere che potrebbe assumere tale nuova corrente di pensiero. Nelle università, e soprattutto nei centri studio dove si sviluppa, e prende a mano a mano forma, un pensiero strategico statunitense sempre più attento alle realtà africane e asiatiche, non sono in pochi a credere che tale evoluzione potrebbe anche risolversi in una serie di spinte di natura sino centriche e antioccidentali, per quanto nessu-no sia in grado di stabilire quanto profonde siano le istanze nazionalistiche e universalisti-che radicate tra i settori più intraprendenti del paese. Nel prospettare una società più libera dal controllo del partito, si teme che i Cinesi possano orientarsi in direzione di una politica estera e strategica sempre più energica, al punto da compromettere, se non spezzare, la presente alleanza di fatto con gli Stati Uniti. Una svolta che non è estranea ad una serie di speculazioni intellettuali da ultimo concepite e prodotte in Cina, nelle quali si accentua l’esigenza di impegnare le grandi energie del paese nell’affermazione universale del model-lo cinese, spesso insistendo sulla necessaria acquisizione di una forza militare capace di rompere l’egemonia statunitense. Per il futuro della Cina, l’eccellenza economica potrebbe dunque rivelarsi insufficiente, tanto da render necessario che questa si traduca in potenza militare. Alla base di qualsiasi analisi prospet-tica è sempre la possibile evoluzione della condizione del contadino cinese, protagonista e vittima di una trasformazione che muove milioni di uomini lontano dalle proprie origi-ni, verso i centri industriali della costa del Pa-cifico. In ogni caso, l’amministrazione Obama sem-bra ispirata più che da speculazioni a volte an-che sinistre, dalla serie di precise e definite posizioni espresse e sostenute dalle autorità politiche cinesi. L’ideologia del partito e del governo ha fino ad oggi presentato il quadro ideale di un mondo ordinato, prodotto dall’armoniosa coesistenza di civiltà diverse, ognuna raccolta intorno ad un suo baricentro

Page 24: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

29

politico, ognuna governata da un caratteristico sistema sociale. Tale visione cinese del sistema internazionale, ricordando quella di un mondo multipolare per molti versi più simile a quello settecente-sco retto dall’esclusivo equilibrio di potenza, che a quello ottocentesco rappresentato dal concerto europeo già influenzato dal concor-rere di spinte ideologiche universali, sembra generare un volume relativamente ridotto di possibile attrito con gli Stati Uniti. Dalla fine del mondo bipolare per conseguen-za della disintegrazione dell’Unione Sovieti-ca, gli Stati Uniti, nella propria elaborazione strategica, sembrano alternare una concezione del sistema internazionale spiccatamente uni-polare ad una particolarmente atomizzata, nel-la quale è inutile ricondurre le dinamiche in-ternazionali ad un qualsiasi sistema “uni-” op-pure “multi-” polare perché lo “stato” è ormai seriamente indebolito dal concorrere di una serie di forze sub-, infra- e sovra- nazionali. Non è un caso se la produzione intellettuale vicina all’amministrazione Obama descrive il mondo contemporaneo come un mondo “non più polare” nel quale è sempre più difficile de-finire cosa sia “potere” e quali siano gli “inter-locutori” da coinvolgere in qualsiasi tentativo statunitense di gestione concordata delle vi-cende internazionali. In questo quadro, nono-stante una serie di piccole e grandi “frizioni”, tra Washington e Pechino sembra quasi inevi-tabile l’instaurarsi di un solido rapporto di so-lidarietà. Oltre al Tesoro e alla difesa, anche il diparti-mento di Stato sembra accreditare l’idea che

Stati Uniti e Cina condividano enormi interes-si. Del resto è ben difficile pensare che le due economie non siano destinate ad una marcata complementarietà, posto che i due paesi sono già profondamente legati l’uno all’altro, es-sendo la Cina il più grande esportatore non americano negli Stati Uniti ed essendo la cre-scita economica statunitense funzione di un flusso stabile di capitali e di importazioni ci-nesi a basso costo. La possibilità che gli Stati Uniti possano compromettere le recenti aperture caldeggian-do una soluzione indipendentista della que-stione taiwanese, oppure spingendo per un cambiamento di regime in Cina o, ancora, de-cidendo di promuovere i movimenti separati-sti dello Xinjiang e del Tibet, sembra a questo punto estremamente improbabile, anche in prospettiva. Al contrario, l’amministrazione Obama sembra sempre più determinata a per-seguire una costruttiva collaborazione bilate-rale per la sistemazione di questioni regionali ormai atipiche e relativamente pericolose per tutti e due i paesi, quali il futuro delle dittature in Corea del Nord e in Myanmar. La Cina rappresenta per gli Stati Uniti di oggi un fattore di stabilità e di mantenimento dell’ordine mondiale, nella speranza che rie-sca a completare linearmente una trasforma-zione epocale che la vedrà passare da paese a maggioranza rurale a paese a maggioranza ur-bana. Se la ricerca della potenza militare e del primato restano obiettivi condivisi da tutti e due i paesi, sembra farsi sempre più strada l’idea che la solidarietà, e non la competizio-ne, sia il rapporto reciproco più vantaggioso.

Page 25: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

31

Teatro Afghano

Fausto Biloslavo Eventi /Afghanistan ►Il 2010 è stato l’anno più sanguinoso del conflitto afghano con 711 soldati della coalizione internazionale uccisi. Le forze di sicurezza afghane hanno perso 1292 poliziotti e 821 militari. Purtroppo i civili hanno pagato il prezzo più alto, come già in passato. Secondo le Nazioni Uni-te da gennaio a ottobre 2010 hanno perso la vita 2412 civili e 3803 sono rimasti feriti. ►Secondo il ministero della Difesa afghano le forze di sicurezza dovranno raggiungere un numero totale superiore ai 400mila uomini. Lo ha dichiarato il generale Zaher Azimy, porta-voce del ministero, sottolineando che l’obiettivo dovrà essere raggiunto per il 2014, quando av-verrà la definitiva transizione alla polizia ed esercito afghani, che garantiranno la sicurezza del paese al posto della missione ISAF. ►Il Pakistan avrebbe proposto la creazione di una forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, con caschi blu di ''Paesi islamici neutrali'', per garantire la sicurezza nel vicino Afghanistan una volta che si saranno ritirate le forze della coalizione. Lo rivela il quotidiano pachistano “The Express Tribune”, secondo il quale i responsabili di Islamabad ritengono che in questo modo si potrebbe garantire il contesto ''giusto'' per i negoziati con i talebani che dovrebbero porre fine al conflitto in corso. ►I servizi segreti di Kabul hanno arrestato cinque terroristi che pianificavano un attentato contro il vice presidente dell'Afghanistan, Mohammad Qasim Fahim. Lo ha rivelato Lutfullah Mashal, portavoce della Direzione Nazionale della Sicurezza (Nds). La cellula aveva la sua ba-se operativa nei sobborghi meridionali di Kabul. I cinque membri arrestati volevano organizza-re "un attacco suicida contro la residenza di Fahim" ha aggiunto il portavoce. Mashal ha pre-cisato che i terroristi facevano parte della famigerata rete Haqqani, una delle più temibili for-mazioni armate alleate dei talebani. Eventi/Pakistan ►Il 14 gennaio il presidente pachistano, Asif Ali Zardari, è stato ricevuto alla Casa Bianca. L’incontro con il presidente Barack Obama si “è focalizzato sulla lotta al terrorismo e la stabi-lità regionale” fra Pakistan e Afghanistan. La Casa Bianca è tornata a premere sui pachistani per avviare l’offensiva militare nell’area tribale del nord Waziristan rifugio dei talebani, del clan Haqqani e di Al Qaida, a ridosso del confine afghano. Ufficialmente l’offensiva è stata ri-mandata a “tempo indeterminato” a causa dell’inverno, ma la realtà è che i militari di Islama-bad sono restii ad impegnarsi in questa nuova campagna, che si prospetta sanguinosa e contra-ria alle loro alleanze sotterranee con alcuni gruppi estremisti. Il presidente americano ha con-fermato l’intenzione di recarsi in visita ad Islamabad nel corso dell’anno.

Page 26: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

32

►"A sei mesi di distanza dalle devastanti alluvioni che hanno colpito il Pakistan, ci sono an-cora circa 166 mila sfollati che vivono nei campi profughi o in abitazioni temporanee allestite per affrontare l'emergenza". A lanciare l'allarme è Andrej Mahecic, portavoce dell’UNHCR, l'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati. Secondo l'NHCR la situazione peggiore si riscontra nella provincia meridionale del Sindh, dove molta gente è rimasta senza casa. ►India e Pakistan hanno concordato di riprendere i colloqui di pace interrotti dopo la strage Mumbai del novembre 2008. Il ministro degli Esteri indiano, Somanahalli Mallaiah Krishna, aveva invitato il suo omologo pakistano, Shah Mehmood Qureshi, a Nuova Delhi per rilanciare i negoziati. ►I talebani hanno rivendicato la strage compiuta il 10 febbraio da un giovanissimo terrori-sta suicida in un centro di reclutamento dell'esercito nel nord-ovest del Pakistan, in cui sono morti 27 cadetti e altri 35 sono rimasti feriti. Il kamikaze, un adolescente, si è introdotto nella caserma grazie alla divisa da allievo che gli ha permesso di mescolarsi alle reclute mentre que-ste stavano effettuando una marcia di addestramento. Poi si è fatto saltare in aria. L'attentato, il più grave dallo scorso dicembre, è avvenuto a Mardan, una trentina di chilometri a nord-est di Peshawar.

BRACCIO DI FERRO FRA PRESIDENTE E PARLAMENTO

Il nuovo parlamento afghano, eletto il 18 set-tembre scorso, si è riunito per la prima volta solo il 26 gennaio, dopo un braccio di ferro con il presidente Hamid Karzai, che non si è certo esaurito. Il 23 gennaio, quando doveva aprirsi la nuova assemblea, circa 200 parla-mentari su 249 si sono riuniti all’hotel Inter-continental di Kabul per l’ultimo duro con-fronto con Karzai. Alla fine il presidente, pressato dalla comunità internazionale, ha ac-cettato l’inaugurazione del parlamento per il 26 gennaio, ma il braccio di ferro continua sulla corte speciale insediata con un decreto da Karzai per investigare sui brogli elettorali e le migliaia di impugnazioni dei candidati e-sclusi. Il giudice Sadiqullah Haqiq, capo dell'organo di controllo speciale, aveva chie-sto al presidente ancora un mese di tempo per approfondire le indagini. Karzai voleva ri-mandare l’apertura dell’assemblea fino a quando il lavoro della corte non fosse conclu-so, ma i candidati ritenuti eletti il 24 novem-

bre dalla Commissione elettorale si sono fer-mamente opposti. Il presidente uscente della Camera bassa, Younus Qanooni, sostiene che una volta convocato il parlamento i suoi membri godono dell’immunità e non possono venir scalzati dalla corte speciale. Karzai è stato pressato a bloccare la nuova as-semblea dagli esclusi pasthun, che hanno già minacciato di impugnare le armi, non solo al fianco dei talebani, ma in particolare contro i tajiki del nord e probabilmente gli hazara, pre-senti in forze in parlamento, sentendosi taglia-ti fuori dalla gestione del potere. Il rischio, as-solutamente da evitare, è che la situazione de-generi riflettendo la guerra civile ed etnica degli anni novanta, che favorì l’avvento al po-tere dei talebani. “Passo dopo passo i pasthun vengono rappre-sentati sempre meno. Il governo non ci calcola e noi, passo dopo passo, ci uniremo al nemi-co” ha dichiarato al New York Times Jamil Karzai, non rieletto e cugino del presidente.

Page 27: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

33

L’ex membro del parlamento fa parte di un gruppo di 80 esclusi che contestano i risultati elettorali. In molti fra i pasthun chiedono un riconteggio dei voti o addirittura l’an-nullamento delle elezioni. Secondo loro, la manipolazione è servita a creare un parlamen-to pesantemente sbilanciato a favore delle et-nie del nord come tajiki ed uzbeki e degli scii-ti hazara. I pasthun, che rappresentano il 46% della po-polazione, governano tradizionalmente l’Afghanistan. Gli attriti con i tajiki del nord e gli sciiti hazara sono storici. Il problema è che i pasthun avrebbero perso 26 seggi scendendo da 120 a 94 nella Camera bassa composta da 249 parlamentari. Non solo: il nuovo commis-sario che controllava lo svolgimento del voto, Fazal Ahmad Manawi, è un tajiko accusato di aver sfavorito i pasthun. Il ricordo dei brogli e delle contestazioni delle presidenziali del 2009 ha convinto Manawi a non far svolgere il voto in molti distretti a rischio sicurezza. Intere tribù pasthun, come i Khogiani, nell’Est del paese, sono rimasti tagliati fuori dalle ele-zioni. In alcune aree tradizionalmente pa-sthun, come Ghazni, il boicottaggio talebano, ha favorito l’elezione di parlamentari hazara. Al momento la Camera bassa del parlamento, la più importante, è divisa in quattro blocchi: i pro Karzai, che hanno perso la maggioranza, l’opposizione sotto le bandiere dell’alleanza per la Speranza ed il cambiamento guidata dal tajiko Abdullah Abdullah, il gruppo dei par-lamentari hazara ed una minoranza di indi-pendenti. La fronda degli 80 parlamentari pasthun, e-sclusi a torto o a ragione, dalla rielezione non va sottovalutata. Mir Wali, un ex parlamentare della provincia di Helmand, che era certo della rielezione so-stiene di possedere documenti che dimostrano come per settimane fosse in testa nello spoglio dei voti e poi è stato misteriosamente retro-cesso. “Il risultato di questa situazione sarà estremamente pericoloso - ha dichiarato - Karzai ha compiuto uno storico errore e gli

afghani se ne accorgeranno per i prossimi 100 anni”. Secondo il New York Times Mir Wali e altri candidati esclusi dal parlamento po-trebbero riattizzare la violenza e le divisioni etniche, se non verranno ascoltati, il che ri-schia di provocare la guerra civile. Gli Americani non se ne andranno da Ka-bul nel 2014 Gli Stati Uniti, se sarà necessario e richiesto da Kabul, non se ne andranno dall’Afghanistan nel 2014, quando è previsto che esercito e polizia locali garantiscano la sicurezza del paese. Lo ha detto nella capitale afghana, il vicepresidente USA, Joe Biden, che incontrava per la prima volta a Kabul, con questa carica, il capo dello stato Hamid Kar-zai. “Non ce ne andremo se non lo volete voi. Stiamo pianificando di continuare a lavorare assieme, per l’interesse delle nostre due na-zioni” anche dopo il 2014 ha spiegato Biden a margine dell’incontro con Karzai. Il vicepre-sidente americano era stato in passato molto critico nei confronti del capo di stato afghano considerandolo debole ed incapace di combat-tere radicalmente la corruzione. Le parole di Biden non cambiano gli obiettivi della Casa Bianca, che vorrebbe iniziare il riti-ro dei quasi 100mila uomini presenti in Af-ghanistan dal prossimo luglio. A metà gennaio sono cominciati ad affluire a Kandahar altri 1400 marines, per rafforzare le operazioni nel sud e non permettere ai talebani di riprendersi in vista della primavera. Nell’ottica del disimpegno il governo tedesco chiederà il 28 gennaio al parlamento di avvia-re il ritiro delle truppe in Afghanistan alla fine del 2011. Lo prevede una bozza di risoluzione messa a punto dai ministeri di Esteri e Difesa presentata alla cancelliere Angela Merkel. La Germania è il terzo paese per numero di sol-dati in Afghanistan, con 4600 uomini, schiera-ti nel nord. Il governo olandese, invece, ha da-to il via libera a una missione di addestramen-to della polizia afghana nel periodo 2011-2014. La decisione arriva 11 mesi dopo la ca-

Page 28: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

34

duta del precedente esecutivo proprio a causa delle polemiche sulla missione militare in Af-ghanistan. "In totale, la missione comprenderà 545 uo-mini e donne" ha affermato il premier cristia-no-democratico, Mark Rutte, aggiungendo che avrà un "preciso obiettivo di addestramento e nessuna componente sarà coinvolta in offen-sive militari". Circa 1.950 militari olandesi erano schierati in Afghanistan fino all'agosto scorso, principalmente nella provincia centra-le dell'Uruzgan, una delle roccaforti dei tale-bani, infestata dalle coltivazioni di oppio. La richiesta della NATO di un'estensione dell'impegno militare provocò un terremoto politico che lo scorso febbraio portò alla cadu-ta del governo di centrosinistra e alle elezioni. Gli sforzi si stanno concentrando nella forma-zione di credibili forze di sicurezza afghane, che riescano a sostituire le truppe della Nato. Non a caso gli Stati Uniti e i loro alleati spen-deranno nel 2011 11,6 miliardi di dollari, po-co meno di 9 miliardi di euro, la cifra più in-gente mai stanziata in un solo anno, per la formazione dell'esercito e della polizia. Se-condo il generale William Caldwell, che guida la creazione delle forze di sicurezza afghane (oltre 400mila uomini in tutto nel 2014) il to-tale complessivo per il 2010 ed il 2011 arrive-rà a 20 miliardi di dollari, una cifra equivalen-te a quanto speso nei sette anni precedenti. La longa manus dell’Iran in Afghanistan Il 7 gennaio un bombardamento mirato nella provincia settentrionale di Kunduz ha elimina-to il comandante Abdul Hai Shinwari ed una decina di talebani. Fra i documenti sequestrati sul luogo del raid si è scoperto che il leader degli insorti aveva un conto corrente nella Banca nazionale iraniana. Negli ultimi mesi la guerra segreta contro le infiltrazioni iraniane in Afghanistan ha coin-volto in diverse occasioni l’Afghanistan occi-dentale, sotto controllo italiano, e in particola-re l’ “Op box Tripoli”, l’area operativa fra Bakwa ed il Gulistan, al confine con la pro-

vincia di Helmand. La presidiano circa 500 alpini divisi in tre basi: Lavaredo, Ice ed il piccolo avamposto Snow. L’8 gennaio gli US MARSOF, i corpi speciali dei marines, hanno catturato un comandante talebano in contatto con Al Quds, la costola dei Guardiani della rivoluzione iraniani spe-cializzata nelle operazioni all’estero. Il suo nome non è stato ancora rivelato, ma gli ame-ricani hanno fatto sapere che il prigioniero era “legato alla forza Al Quds e disponeva di in-genti somme di denaro per lanciare attacchi contro forze della coalizione internazionale ed afghane nella zona”. Nell’Op box Tripoli il contingente italiano ha perso 6 uomini dallo scorso settembre. Il 31 dicembre nell’avamposto Snow di Buji, il ca-poral maggiore degli alpini, Matteo Miotto, è stato centrato da un tiratore scelto, che durante un attacco ha sparato da almeno 600 metri. Gli italiani in Gulistan sono convinti di aver di fronte “gente ben addestrata, con preparazione militare” e non le solite bande stile armata Brancaleone. Il talebano catturato l’8 gennaio e legato ai Pasdaran era “il comandante anziano nella zo-na di Bakwa”. Il 2 gennaio, nella confinante provincia di Nimroz, è stato eliminato un altro leader degli insorti “che, secondo ISAF, la missione NATO in Afghanistan facilitava le azioni dei terroristi suicidi in Afghanistan e guidava operazioni nei distretti di Bakwa e Gulistan”. Dallo scorso ottobre i corpi speciali, anche ita-liani della Task force 45, hanno incrementato le missioni sul fronte sud. Da marzo, nel corso di tredici raid, sono stati uccisi o catturati 6 comandanti degli insorti legati all’Iran. Uno dei più famosi era mullah Aktar accusato “di organizzare l’addestramento di combatten-ti stranieri facendoli arrivare attraverso l’Iran”, che confina con la provincia di Farah dove si trova il Gulistan. Il 16 luglio i corpi speciali della NATO hanno distrutto un cam-po di addestramento della guerra santa ucci-dendo Aktar. Il campo si trovava nel distretto

Page 29: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

35

di Bala Baluk, dove gli italiani tengono la ba-se avanzata Tobruk. Secondo “The long war Journal”, un blog spe-cializzato nella guerra al terrorismo, la forza Al Quds dei Pasdaran ha incaricato delle ope-razioni clandestine in Afghanistan il Corpo Ansar con base a Mashad, nel nord est dell’Iran poco distante dal confine. Il 6 agosto scorso il suo comandante, generale Hossein Musavi, è stato inserito nella lista nera del Di-partimento del Tesoro americano di chi ap-poggia i talebani. “Gli iraniani utilizzano l’arma dei rimpatri forzati dei clandestini afghani, per infiltrare spie e tenere sotto minaccia la stabilità socio economica della parte occidentale e sviluppata del paese, attorno ad Herat” spiega una fonte militare della NATO. Nel 2010, secondo i dati dell’UNHCR, l’agenzia dell’Onu per i rifugia-ti, l’Iran ha deportato 247.757 afghani. A fine ottobre si era arrivati a 753 rimpatri al giorno, soprattutto dal posto di confine di Islam Qala, dove un reparto del 5° alpini di Vipiteno for-nisce appoggio alla polizia di frontiera afgha-na. “Fin dal 2007 UK SOF, le unità speciali in-glesi, hanno lanciato operazioni denominate “anti influenza iraniana” - spiega la fonte NATO - Lungo il poroso confine di 1186 chi-lometri si individuano, grazie all’intelligence, i carichi di armi o colonne di insorti che arri-vano dall’Iran. Poi si lanciano i Predator per seguirli dal cielo e si interviene per intercet-tarli”. Uno dei sequestri più ingenti di armi in arrivo dall’Iran è avvenuto il 6 ottobre nella deserti-ca provincia di Nimroz, confinate con il setto-re ovest sotto il comando del generale Marcel-lo Bellacicco. Il piccolo arsenale di armi leg-gere, lanciarazzi e componenti per trappole esplosive era suddiviso in 337 casse stipate in container. Un’altra sfida segreta con l’Iran è la “guerra” delle dighe. “In Afghanistan e nella zona oc-cidentale ci sono diversi progetti per nuove centrali idroelettriche - fa notare la fonte

dell’Alleanza atlantica - Un investimento stra-tegico, ma temuto dagli iraniani perché fareb-be arrivare meno acqua verso di loro. Per que-sto gli agenti di Teheran assoldano gruppi di insorti o bande di criminali per rapire i tecnici o attaccare e bloccare i lavori”. Dalla scorsa estate la Task force centrale del contingente italiano conduce importanti operazioni di “stabilizzazione” nel distretto di Chest e Sha-rif, circa 160 chilometri da Herat. Nella zona è in corso la costruzione di una diga che fornirà energia elettrica a 70mila famiglie. Teheran smentisce seccamente qualsiasi coin-volgimento a favore dei Talebani in Afghani-stan, ma l’intelligence segnala campi di adde-stramento in Iran, dove vengono reclutate pu-re donne Hazara, una minoranza afghana che è di fede sciita come gli iraniani. A Herat la Guardia di Finanza addestra la po-lizia di frontiera afghana dispiegata lungo il confine con l’Iran con la piccola Task force Grifo. Non è un caso che il comandante di ISAF, generale David Petraeus, durante la vi-sita nel settore ovest dello scorso novembre, si è recato nell’area di confine di Islam Qala, conosciuto come Zero point, per incontrare gli alpini di Vipiteno. Dallo scorso dicembre l’Iran ha bloccato i ri-fornimenti di carburante verso Herat provo-cando tensioni in Afghanistan. Il prezzo della benzina e del gasolio per riscaldamento è au-mentato dal 35 al 60%, a causa del blocco nel-la rigida stagione invernale. Manifestazioni di protesta sono state organiz-zate davanti al consolato iraniano di Herat e dell’ambasciata a Kabul. Teheran ha promes-so di allentare il blocco, ma per il rappresen-tante diplomatico iraniano in Afghanistan, Fa-da Hossein Maliki “il carburante che transita nel nostro paese viene poi utilizzato dalle for-ze della Nato. Per noi è inaccettabile”. Gli af-ghani smentiscono. L’ultimo minaccioso episodio che chiama in causa l’Iran riguarda l’attacco con l’acido spruzzato in faccia al noto giornalista afgha-no, Razaq Mamoon. Duro con i talebani ed

Page 30: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

36

autore di un libro sulle infiltrazioni di Teheran in Afghanistan, lo stesso Mamoon ha dichia-

rato dal letto d’ospedale: “Questo attacco è stato certamente organizzato dall'Iran”.

GOVERNO PACHISTANO A RISCHIO

Ad Islamabad il 2011 si apre con un governo che conta su una maggioranza scricchiolante. Il premier pachistano, Yusuf Raza Gillani, gode nell’opinione pubblica di maggiore cre-dibilità rispetto al presidente Asif Ali Zardari, ma rischia di non avere più i numeri per go-vernare in parlamento. Agli inizi di febbraio l’intero esecutivo si è sciolto, per un ampio rimpasto. Lo stesso Gillani darà vita ad un nuovo governo ben più ridotto e, si spera, più efficiente del precedente. Gillani ha così cedu-to alle pressioni delle forze di opposizione, che da tempo reclamavano un forte ridimen-sionamento dell'esecutivo. Il governo di Isla-mabad era uno dei più vasti e dispendiosi al mondo con 62 tra ministri, vice ministri, sot-tosegretari e super-consulenti. Da più parti, però, l’iniziativa è stata subito liquidata come una mera mossa tattica di facciata. I problemi per il governo sono iniziati lo scor-so dicembre quando Gillani ha rimosso dall'incarico due ministri, uno del partito reli-gioso Jamiat-i-Ulema-i-Islam ed il secondo del Partito popolare di Zardari, accusati di corruzione. Il Jamiat ha reagito uscendo dalla coalizione di governo. Agli inizi di gennaio l’aumento del prezzo del carburante, la tassa sulle vendite e altre misure obbligate richieste dal Fondo monetario inter-nazionale, che tiene in piedi il paese con un prestito di 11 miliardi di dollari, ha scatenato la crisi. Il movimento laico Muttahida Qaumi Move-ment (Mqm), molto forte a Karachi (la più grande città del paese, cuore finanziario del Pakistan) e principale alleato della coalizione, è uscito dal governo. Il primo ministro ha do-

vuto fare precipitosamente marcia indietro per evitare un voto di sfiducia in parlamento. Gil-lani ha subito il “diktat” del più carismatico leader dell’opposizione, l’ex premier Nawaz Sharif, della Lega musulmana pachistana (PML-N). Il secondo grande partito di opposi-zione ha praticamente lo stesso nome, ma è guidato da Chaudhry Shujaat Hussain e per questo viene indicato come PML-Q. In definitiva il primo ministro, per non cadere, ha cancellato l’aumento del carburante, si è impegnato a riformare i dipartimenti governa-tivi e a lottare contro la corruzione. L’Mqm a questo punto ha garantito di nuovo l’appoggio alla maggioranza, ma la situazione politica è estremamente fragile. Alcuni esperti ritengono che la mossa dell'Mqm sia stata un pretesto per negoziare nuovi incarichi di rilievo nel governo e soprattutto nell'amministrazione della provincia del Sindh, il cui capoluogo Karachi è il centro economico del paese e ser-batoio di consensi del movimento. Il presidente Zardari sta cercando di ricucire i rapporti anche con il partito religioso Jamiat-i-Ulema-i-Islam perchè un premier “anatra zoppa” non farebbe altro che indebolire la sua posizione, già ampiamente criticata nel paese. “Il governo potrebbe sopravvivere anche que-sta volta, ma non può continuare ad andare avanti in questo stato - ha sottolineato l’analista politico pachistano Hasan Askari Rizvi - Deve consolidare la coalizione e l’appoggio (in parlamento) altrimenti l’op-posizione continuerà ad imbarazzare il premier e a paralizzare l’agenda dell’esecu-tivo”. All’orizzonte si profila l’annunciato ritorno di

Page 31: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

37

un personaggio scomodo come l’ex generale e presidente, Pervez Musharraf, deciso a tornare in patria dall’esilio per riscendere in campo. Dopo il golpe del 1999 aveva guidato il paese fino al 2008, per poi ritirarsi in esilio a Londra sfuggendo alle accuse di violazione della Co-stituzione e al rischio di una procedura di impeachment a suo carico. Il suo obiettivo è il voto del 2013, ma durante la crisi dei primi di gennaio Musharraf, che ha fondato un nuovo partito, si è detto pronto a scendere in campo nel caso di elezioni parla-mentari anticipate. Da Dubai e Londra ha lan-ciato aperture a qualsiasi formazione politica disposta ad allearsi con lui cominciando dall’Mqm definito “un buon partito”. Negli anni duemila Musharraf si è appoggiato a lun-go al movimento di Karachi, che è di fatto l’ago della bilancia del governo. Nonostante le forze armate intendano tenersi fuori dalla crisi politica l’ex generale è con-vinto “che dopo 40 anni in divisa nessuno all’interno dell’esercito sarà contro di me”. Anche se il Pakistan ha una lunga storie di golpe è escluso, per ora, un pericolo del gene-re e lo stesso Musharraf ammette che le forze armate “non danneggeranno un partito a favo-re di un altro”. Il problema di fondo è che nel 2011 il governo di Islamabad sarà impegnato a lottare per la sua sopravvivenza, mentre avrebbe bisogno di forza e compattezza per far uscire il Pakistan dalle gravi crisi che lo attanagliano. L’uccisione del governatore liberale e la legge sulla blasfemia Il 4 gennaio, ad Islamabad, è stato brutalmen-te ucciso, Salman Tassare, il governatore libe-rale del Punjab, la più importante provincia pachistana. L’assassino è una delle sue guar-die del corpo, Malik Mumtaz Hussain Qadri, che ha deciso di riempire di proiettili (ha spa-rato una ventina di volte) chi doveva proteg-gere, perché il governatore si batteva da tem-po per emendare la legge contro la blasfemia in Pakistan. Non solo: Taseer aveva preso le

difese di Asia Bibi, la giovane cristiana con-dannata a morte per blasfemia, che in realtà sarebbe stata vittima di interessi locali e dell’odio di certi ambienti estremisti religiosi contro le minoranze religiose. Qadri, 26 anni, avrebbe agito da solo, come lui stesso ha ammesso, ma è incredibile che nessuna delle altre guardie del corpo lo abbia fermato o sospettato del suo insano gesto. Ep-pure l’assassino era stato un affiliato del Da-wat i Islami, un partito religioso di Karachi e quando si è arruolato nelle forze speciali della polizia del Punjab, nel 2002, i superiori ave-vano segnalato le sue idee estremiste e le atti-vità settarie. Nonostante i precedenti, nel 2008 Qadri è entrato a far parte delle scorte e asse-gnato alla sicurezza del governatore più libe-rale e laico del Pakistan. Taseer era un perso-naggio di spicco del Partito popolare al potere, da sempre nel mirino dei partiti religiosi. Non a caso dopo la sua morte alcuni movi-menti hanno organizzato manifestazioni con 50mila persone, in città come Karachi, dipin-gendo l’assassino come “un eroe” dell’Islam. Cinquecento leader religiosi, molti dei quali considerati “moderati”, hanno giustificato l’omicidio aggiungendo che chiunque sia in lutto per la fine del governatore deve seguirne lo stesso destino. Syed Munawar Hasan, il capo del Jamaat i I-slami ha sottolineato che non è necessario al-cun lutto per la morte del governatore. Sahi-bzada Abul Khair Muhammad Zubair leader di un altro movimento religioso ha sostenuto che “c’è un Mumtaz Qadri (l’assassino nda) in ogni casa pachistana”. E poi ha aggiunto che se il governatore non si fosse schierato contro la legge sulla blasfemia “sarebbe ancora vi-vo”. All’arrivo in tribunale un gruppo di av-vocati ha accolto l’omicida con petali di rosa e anche alcuni poliziotti parteggiavano per il reo confesso. Gli avvocati erano guidati da Rao Abdur Raheem, che in dicembre ha lanciato il Movimento per proteggere la dignità del Pro-feta Maometto. Nonostante siano 100mila i legali in Pakistan, un migliaio ha aderito a

Page 32: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

38

questo movimento. Qadri è diventato un eroe anche in rete con migliaia di adesioni su Facebook a suo favore, dopo l’arresto. Il vero nodo del contendere è la tanto discussa legge sulla blasfemia, che prevede pure la pe-na di morte. Al momento non è mai stata ese-guita una sentenza capitale in Pakistan per questo reato, ma in gennaio due musulmani hanno ricevuto una condanna all’ergastolo da un tribunale anti-terrorismo di Muzaffargarh per aver calpestato dei manifesti che pubbli-cizzavano un evento islamico e contenevano versetti del Corano. Solitamente i bersagli del-la legge sono i cristiani. "Non possiamo per-mettere l'oltraggio di religioni o personalità religiose - ha spiegato il ministro per le mino-ranze Shahbaz Bhatti, di fede cattolica - ma gli estremisti islamici hanno abusato di questa legge per colpire le minoranze". Il ministro ha anche ribadito che "vogliamo continuare a tu-telare gli interessi dei cristiani e vorremmo permettere ad Asia Bibi di uscire dal carcere". Le dichiarazioni sono seguite all’appello di Benedetto XVI sul rispetto delle minoranze cristiane nei paesi musulmani e l’abrogazione della legge sulla blasfemia. “Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà reli-giosa, una menzione particolare dev'essere fat-ta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pre

testo per provocare ingiustizie e violenze con-tro le minoranze religiose'' ha detto il Papa dopo l’omicidio del governatore. I partiti religiosi si sono scagliati contro il Va-ticano denunciando “ingerenze negli affari in-terni del Pakistan” e accusano il Santo Padre di “volere la guerra di religione”. L’ex mini-stro Sherry Rehman, che ha presentato il dise-gno di legge per cambiare la norma sulla bla-sfemia, vive nascosta ed il ministero degli In-terni le ha suggerito di lasciare il paese per motivi di sicurezza. Gli estremisti sono sicuramente una minoran-za fra i 170 milioni di pachistani, ma esiste forte preoccupazione per la penetrazione dei fondamentalisti nella polizia e nell’esercito. Non solo: si sta avvicinando il cambio gene-razionale a favore di chi è nato negli anni ot-tanta. In quel periodo il generale golpista Zia ul Haq aveva sfruttato l’invasione sovietica dell’Afghanistan ed il fiume di soldi america-ni e sauditi per appoggiare e propagandare la guerra santa contro i russi. La società pachi-stana si è ritrovata invasa da un’interpre-tazione wahabita dell’Islam, che non ha mai attecchito nella maggioranza, ma influenzato minoranze sempre più forti e pericolose che si appoggiano ai partiti religiosi. Non è un caso che ai funerali del governatore liberale non sia andato il leader più forte dell’opposizione, Nawaz Sharif e anche il pre-sidente, Asif Alì Zardari, sia stato costretto a non partecipare perché si temeva un attentato.

Page 33: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

39

Africa

Maria Egizia Gattamorta Eventi ►Una Commissione energetica Nigeria-Brasile è stata recentemente creata per lavorare su progetti idroelettrici congiunti. Tale notizia è stata rilasciata del vicepresidente nigeriano Na-madi Sambo in visita a Brasilia (30 dicembre 2010-3 gennaio 2011) per presenziare alla ceri-monia inaugurale della Presidenza Roussef. L’autosufficienza nella produzione energetica rap-presenta un obiettivo di primaria importanza per il paese occidentale africano, raggiungibile grazie ad investimenti privati nazionali e a collaborazioni con partner stranieri. ►La visita del presidente liberiano Ellen Johnson Sirleaf in Libia (7-8 gennaio) ha permesso di fare un punto della situazione dei progetti finanziati dal governo di Tripoli, quali il Ducor Palace Hotel a Monrovia, la costruzione del Robber Procession Plant nella contea di Bong e la riattivazione del Rice Project nella contea di Lofa. Il leader Gheddafi ha garantito il sostegno del suo paese per lo sviluppo infrastrutturale del partner liberiano nell’ambito dell’African De-velopment Bank e della Censad Investment Bank. Nell’agenda dei lavori è stata dedicata parti-colare attenzione alla crisi ivoriana e ai possibili spillover sulla regione limitrofa: da parte li-bica è stato garantito pieno sostegno per affrontare l’emergenza umanitaria in atto. ►Algeria e Canada hanno deciso di rafforzare la loro cooperazione, nel settore politico, in quello economico e dei trasporti aerei. Tale volontà è stata espressa in occasione della visita di tre giorni del ministro degli Esteri canadese, Lawrence Cannon, ad Algeri (9-11 gennaio). Il capo della diplomazia di Ottawa ha sottolineato il ruolo chiave del paese maghrebino all’interno dell’Unione Africana e della Lega Araba, “impegnato nella lotta al terrorismo e nella promozione della pace e della sicurezza nel continente”. ►Dal 9 al 15 gennaio si è svolto lo storico referendum per l’indipendenza del Sud Sudan. Se-condo quanto rilasciato dalla Commissione competente, quasi il 99% dei voti nelle 10 aree coinvolte nell’operazione ha sancito la creazione del 54mo Stato africano. Diversi i problemi che l’esecutivo di Juba dovrà affrontare nel breve periodo: il rimpatrio di buona parte di quanti emigrati nel Nord negli ultimi anni, il rientro di 4000 studenti nelle tre strutture universitarie presenti nella regione, la costruzione di pipeline alternative a quella giacente nel territorio del Nord per il trasporto del petrolio fino al Mar Rosso o all’Oceano Indiano, la creazione di nuo-ve infrastrutture e gli scontri tra alcuni gruppi etnici locali. ►Il 19 gennaio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha autorizzato lo schieramento di 2000 militari aggiuntivi a supporto dell’Operation des Nations Unies en Cote d’Ivoire (O-NUCI) fino al 30 giugno 2011. Nel frattempo è sempre più palese la crisi all’interno del paese e si moltiplicano gli scontri tra sostenitori di Laurent Gbagbo e Alassane Dramane Ouattara. I capi di stato maggiore dei paesi Economic Community of Westa African States (ECOWAS) al

Page 34: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

40

termine di una riunione a Bamako si sono detti pronti ad intervenire dopo aver ricevuto il pla-cet dei leader politici. ►L’11 e 12 gennaio si è svolta la seconda sessione della Commissione mista di cooperazione libico-senegalese. Madické Niang (ministro degli esteri senegalese) ha chiesto una diversifica-zione degli investimenti nel settore energetico, minerario, industriale ed edile. Le due parti hanno concordato per promuovere un Consiglio degli Affari, volto a favorire un partenariato tra gli imprenditori dei due paesi. ►Il 13 gennaio alle elezioni primarie del People’s Democratic Party (PDP, partito nigeriano di maggioranza), Goodluck Jonathan ha ottenuto 2736 voti contro i 805 suffragi a favore di Atiku Abubakar. L’attuale presidente Goodluck Jonathan dovrebbe riconfermarsi al potere senza grandi difficoltà alle consultazioni nazionali del prossimo aprile. Secondo fonti a lui vici-ne, la sua campagna elettorale sarà focalizzata sull’unità nazionale, sulla lotta alla corruzione e sulla ripresa del dialogo con i ribelli del Delta del Niger. ►Il 13 gennaio al Tin Can Island Port (secondo porto nigeriano), ufficiali della National Drug Law Enforcement Agency (NDLEA), in un’operazione congiunta con la United Stated Drug Administration, hanno scoperto in un nave container circa 110 kg di cocaina. Ahmadu Giade (responsabile della NDLEA) ha espresso grande soddisfazione per l’esito dell’intervento portato a termine grazie al sostegno americano e ha messo in guardia i trafficanti di stupefa-centi dal proseguire con operazioni criminali. ►Dal 15 al 17 gennaio si è svolta a Tripoli la Conferenza storica dei Migranti africani in Eu-ropa, organizzata dal governo libico e dal Forum generale delle organizzazioni non governati-ve arabe ed africane. All’evento hanno partecipato rappresentanti della diaspora provenienti da diverse regioni del mondo ed eminenti personalità delle istituzioni continentali. Jean Ping (presidente della Commissione dell’Unione Africana) nella sua relazione ha sottolineato l’importanza del ruolo della diaspora e ha auspicato che essa possa essere ben presto conside-rata la sesta regione del continente. Negli interventi è emersa la necessità di valorizzare le ri-sorse umane e naturali locali per assicurare lo sviluppo dell’Africa. ►Ha destato molto scalpore l’arresto a Khartoum il 17 gennaio di Hassan Al Tourabi e di nove esponenti del Popular Congress Party (PCP). Secondo le Autorità locali, il leader islami-co, avrebbe incitato la folla alla rivolta (prendendo ad esempio il sollevamento popolare di Tu-nisi che ha portato alla fuga il presidente Ben Ali) ed avrebbe al tempo stesso “finanziato e pi-lotato” il movimento ribelle Justice and Equality Movement (JEM) nel Darfur. Nei giorni suc-cessivi all’operazione, la polizia locale è dovuta intervenire con gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti scesi in piazza per esprimere il loro sostegno al simbolo dell’opposizione sudane-se. ►Il XVI Summit dell’Unione Africana (UA) si è svolto ad Addis Abeba dal 24 al 31 gennaio. A testimoniare l’esigenza sempre più sentita dai leader locali per la costruzione dell’unità del continente, gli organizzatori hanno pensato di focalizzare l’attenzione dell’evento sul tema “Towards greater unity and itnegration through shared values”. Nell’agenda dei lavori è stata data grande attenzione alla crisi ivoriana, a quella somala e su-danese. Gli eventi drammatici del Nord Africa, pur essendo trattati nell’ambito dei vari incon-tri, non hanno avuto menzione particolare nella dichiarazione finale, secondo quanto stabilito da Jean Ping (Presidente della Commissione dell’UA). La presidenza di turno per il 2011 è stata affidata al presidente della Guinea Equatoriale, Teo-doro Obiang Guema. Tale scelta, criticata da numerose organizzazioni non governative a causa

Page 35: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

41

della violazione dei diritti umani che viene operata dall’esecutivo di Malabo, è stata giustificata con l’esigenza della rotazione regionale nella guida dell’organizzazione panafricana. ►Il 31 gennaio si sono svolte pacificamente le elezioni legislative e presidenziali in Niger. Secondo i dati provvisori ha partecipato al voto circa il 50% dei 6,7 milioni di persone aventi diritto. Da quanto emerso dai primi dati, al secondo turno delle consultazioni presidenziali pre-visto per il 12 marzo, parteciperanno Seyni Oumaru (rappresentante del Mouvement National pour la Société de Développment-MNSD, ex partito del deposto presidente Tandja) e Mamadou Isoufou (candidato storico dell’opposizione del Parti Nigérien pour la Démocratie et le Sociali-sme –PNDS)

TUNISIA: PUNTO DI PARTENZA DELLA “RIVOLUZIONE” IN ATTO NEL MONDO ARABO

La sponda a Sud del Mediterraneo vive un momento storico molto delicato, una fase di crescita e di trasformazione interna. Purtroppo l’Italia e l’Unione Europea colgono solo l’elemento finale di questo passaggio epocale - l’arrivo di migliaia di disperati sulle coste di Lampedusa - troppo prese dalla gestione di spinose questioni interne, incapaci nel giusti-ficare il supporto degli ultimi vent’anni assi-curato alle elites al potere, titubanti nella ri-cerca di nuove forme di dialogo con i partner nordafricani. Il messaggio che emerge chiaramente dalle rivolte di piazza di Tunisia ed Egitto eviden-zia la voglia di libertà e di cambiamento all’interno del mondo arabo. Se è vero che l’evoluzione politica egiziana ha una sua spe-cificità perché potrebbe avere dei riflessi sia sul panorama mediorientale che sull’area del bacino del Nilo, lo sviluppo degli avvenimenti tunisini ha una valenza simbolica diversa ma ugualmente profonda nello spazio maghrebino e comporta sfide particolarmente inquietanti …soprattutto per il nostro paese. Le rivolte di strada che si sono registrate a Tunisi, a Kasserine, a Gabes, a Biserta, a Sidi Bouzid, a Gafsa e Nabeul sono state il punto di partenza, l’epicentro di un terremoto che si è esteso prepotentemente ai paesi della “gran-de nazione araba”.

La disoccupazione è stata l’elemento detona-tore di un malcontento profondo, che questa volta non si è fermato alla dimostrazione o al-la ribellione aperta per le strade. La rabbia re-pressa per anni è andata “oltre”, ottenendo ab-bastanza velocemente la fuga di Ben Ali e di alcuni personaggi del suo entourage. Inizialmente gli esperti internazionali hanno pensato che gli aggiustamenti proposti dal Capo dello stato potessero soddisfare le ri-chieste provenienti dal basso, che il rimpasto del governo e l’impegno a non ricandidarsi alle prossime elezioni potessero essere una condizione necessaria e sufficiente per placare l’insoddisfazione popolare. Tale calcolo si è invece dimostrato errato e poco realistico. L’era Ben Ali, iniziata nel 7 novembre 1987 (vale a dire con la deposizione del Presidente Bourghiba), si è conclusa il 14 gennaio 2011 senza possibili tergiversazioni. Come nella parallela crisi egiziana, è emerso in modo determinante il fattore “forze armate” . L’uomo-simbolo è stato il Generale Rachid Ammar, capo di Stato maggiore dell’Esercito, colui che si è rifiutato di reprimere i moti spa-rando sulla folla il 13 gennaio e che ha tenuto un basso profilo nei confronti degli uomini a lui sottoposti. Secondo la stampa internazio-nale, l’esercito ha dimostrato in tal modo grande professionalità, ha dato prova di lealtà

Page 36: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

42

verso la Repubblica, ha testimoniato fedeltà alle istituzioni ed al paese. In un discorso del 24 gennaio, il Gen Ammar ha esibito grande pragmatismo e lucidità, evidenziando da un lato l’impegno delle forze di terra ad essere garanti della Costituzione ed al tempo stesso della rivoluzione in atto, dall’altro avvertendo che è opportuno evitare il vuoto di potere e che si deve lasciar lavorare l’esecutivo transi-torio del premier Mohammed Ghannouchi. Un segnale chiaro ed inequivocabile, dato al pae-se ma anche ai politici che lo guidano in que-sto momento: il paese ha bisogno di una guida concreta, per superare questa delicata fase di passaggio. In realtà l’esecutivo sta dimostrando palese-mente le sue deficienze e le sue debolezze. Il tentativo del premier Ghannouchi di allargare all’opposizione non ha dato buoni frutti per-ché l’opposizione tentenna nel dare una rispo-sta chiara. Il dubbio è amletico: partecipare o meno all’interno di una coalizione in cui ci sono uomini che rappresentano il passato del Rassemblemnt Constitutionnel Démocratique? Il Parti Démocratique Progressiste di Néjib Chebbi, il Forum Démocratique pour le Tra-vail et les Libertes di Mustapha Been Jafaar ed Ettajdid di Ahmed Brahim hanno inizial-mente accettato ma poi hanno rivelato titu-banze gravi che potrebbero inceppare la mac-china amministrativa tunisina. In tal senso po-trebbe essere funzionale (anche se pericolosa) la possibilità data al presidente ad interim Fouad Mebazaa di utilizzare decreti legge per accelerare il passaggio della transizione. In tutti i componenti dell’esecutivo è chiaro che ci sono due problemi impellenti che ri-chiedono attenzione: la sicurezza e l’economia. Nel primo caso il proseguimento delle manifestazioni in alcune regioni occi-dentali e lo sciopero delle forze di polizia po-trebbero aggravare la situazione e quindi de-vono essere prontamente arginate; per quanto riguarda il secondo elemento, si teme per il turismo e per la caduta degli investimenti e-

steri, quindi ci deve essere un impegno totale nel dare visibilità al processo di lenta norma-lizzazione in atto. In tale quadro complesso, sono inevitabili al-cune domande: perché la crisi si è sviluppata solo adesso? Quali potrebbero essere le pro-spettive nel breve periodo per il paese? So-prattutto, quali potrebbero essere i riflessi sull’Italia? Alfabetizzazione massiccia, alto tasso di di-soccupazione, marginalizzazione della gio-ventù istruita: potrebbe sembrare un parados-so ma è proprio il suddetto trinomio che ha causato la situazione attuale tunisina. Sono stati i giovani, con un diploma scolastico e u-niversitario, a spingere la ribellione ed a e-sprimere il malcontento attraverso i canali in-formatici (utilizzati nel paese da 2 milioni di persone). Proprio quei giovani illusi dal mi-raggio di un lavoro dopo l’università, dalla promessa di costruirsi un futuro, si sono ribel-lati all’assenza di prospettive reali ed hanno utilizzato facebook e twitter per dare eco alla loro protesta. Il momento era maturo per ri-vendicare i propri diritti e per cercare l’alternanza della guida politica. Una cosa deve essere riconosciuta a titolo di merito: il presidente è stato abile nel cogliere il momento della fuga e non perdersi in inutili tergiversazioni, mentre il popolo è stato espli-cito nel suo messaggio e non ha accettato di-lazioni ulteriori. Certo mandare via Ben Ali non comporta au-tomaticamente lo smantellamento di un siste-ma, però significa mettere a repentaglio i ri-sultati acquisiti e consolidati nel tempo. Ora, ad esempio, sono messe a dura prova tutte le realtà economiche costruite attorno all’entourage del capo dello stato. Cosa ne sa-rà delle imprese guidate da Belhassen Trabelsi (fratello di Leila Ben Ali, première dame) o da Sakhr el-Materi (genero dell’ex presiden-te)? Quale il futuro della Banque de Tunisie, della Kharthago Airlines, della Khartago Tra-vel Service, dei complessi immobiliari di va-

Page 37: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

43

ste aree turistiche del paese, della Global Te-lekom Networking e della Princess Holding? Le cifre di affari di tali società non sono indif-ferenti e soprattutto coinvolgono migliaia di dipendenti. E’ necessario garantire il funzio-namento delle varie strutture, seppur modifi-cando i vertici di comando. La parola chiave deve essere, dunque, cautela. Non è solo nel mondo delle grandi aziende che si deve agire con saggezza e lungimiran-za, si deve operare anche e soprattutto nel so-ciale. Il rischio è quello di buttare via e rinnegare in blocco un sistema che comunque in oltre un ventennio ha garantito l’evoluzione della figu-ra della donna, ha acquisito credibilità all’estero, ha garantito un buon grado di alfa-betizzazione, ha eliminato sacche di povertà, ha impresso un ritmo dinamico al sistema in-dustriale locale. In questa breve analisi, non si può non tenere in conto un altro fattore: il riflesso della “rivo-luzione del gelsomino” in Italia, anzi “i rifles-si”. In questo processo storico, paragonabile per la sua valenza alla rivoluzione francese oppure alla caduta del muro di Berlino, c’è in gioco la sorte di oltre 800 piccole e medie im-prese italiane avviate in molteplici settori (tu-ristico, tessile, agroindustriale, manifatturie-ro); la possibilità o meno di proseguire un dia-logo con quello che è stato nell’ultimo decen-nio un partner apprezzabile nella lotta al terro-rismo, nelle iniziative mediterranee del Grup-po 5+5, in quelle del Forum Mediterraneo, del Partenariato Euro-Mediterraneo e dell’Unione per il Mediterraneo. Non solo. C’è il rischio di

assistere impotenti all’arrivo di migliaia di di-sperati sulle coste di Lampedusa, di non poter garantire un’assistenza opportuna e di non sa-pere, soprattutto, filtrare elementi collegati con reti terroristiche come Al Qaeda nel Ma-ghreb Islamico. Non è realistico credere in un aiuto da parte dell’Europa, piuttosto c’è il rischio che ogni scelta dell’esecutivo di Roma sarà criticata duramente da Bruxelles e dalle capitali euro-pee. Un dato è certo: l’Italia risentirà senza dubbio della mancanza di una propria linea collaudata sul tema migratorio, dell’assenza di una politica concertata delle strutture comuni-tarie e della carenza di fondi sul medesimo settore. Il risultato finale sarà quello di una risposta disordinata e scarsamente adeguata all’emergenza in atto sulle sue coste. Di fatto, l’Europa non era pronta a cogliere quanto accaduto nell’ultimo mese, non lo a-veva preparato e lo aveva anzi paventa-to….Proprio in questo frangente sarebbe op-portuno cogliere il significato profondo di quanto accade sull’altra sponda del Mediter-raneo: una parte del popolo arabo- quella a noi più vicina geograficamente- ha voglia di mo-dernizzazione e di democrazia; non desidera un ritorno al passato anzi vuole un cambia-mento netto e vuole proiettarsi con coraggio nel futuro, pur nel rispetto delle proprie tradi-zioni. Il messaggio è chiaro e consequenziale per le forze radicali islamiche: il progetto di jihad e di negazione dei valori occidentali rischia di essere vanificato… dall’interno.

Page 38: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

45

Iniziative Europee di Difesa

Lorenzo Striuli Eventi ►Attorno a metà dicembre l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Catherine Ashton ha annunciato le nomine dei nuovi funzionari de-stinati sia al Consiglio dell’UE che al nuovo strumento della diplomazia comunitaria, lo Eu-ropean External Action Service (EEAS). In particolare, per il primo organo sono stati nomina-ti dodici Presidenti Permanenti dei Gruppi di Lavoro del Consiglio, fra i quali l’italiano Fabio Della Piazza in qualità di Presidente Permanente del Gruppo di Lavoro sull’Esportazione di Armi Convenzionali. Per ciò che concerne l’EEAS, invece, si tratta di quattro Direttori Esecuti-vi tra i quali va annoverato l’italiano Agostino Miozzo in qualità di Direttore Esecutivo per la Risposta alle Crisi e Coordinamento Operativo. Contestualmente, inoltre, si è annunciata anche la nomina del finlandese Ilkka Salmi alla direzione dell’European Situation Centre (o SITCEN), la struttura dell’EEAS responsabile di tenere i contatti sia con i servizi di intelligence dei Paesi membri dell’Unione Europea che di fornire al Consiglio informazioni e rapporti sulle varie questioni di sicurezza. ►Fra la prima e la seconda metà di dicembre il Consiglio dell’Unione Europea ha deliberato una serie di nuove sanzioni, sia nei confronti della Costa d’Avorio che della Corea del Nord. In particolare, nei confronti del Paese africano si è trattato di una serie di misure restrittive nei riguardi di una serie di personalità che si oppongono al locale processo di pace, non ricono-scendo l’autorità del democraticamente eletto Presidente Alassan Quattara. Nel secondo caso, invece, si è ampliata la lista di cittadini ed enti istituzionali di Pyongyang, già oggetto di san-zioni varate precedentemente, che includono sia il divieto di ingresso nell’Unione Europea che il congelamento di attività commerciali e finanziarie che potrebbero contribuire ai programmi di armamento della Corea del Nord. ►Recentemente, taluni membri del Parlamento Europeo hanno inteso avviare una discus-sione sull’ipotesi di qualche forma di valutazione e reporting pubblico atte a misurare l’impatto delle costose tecnologie di sorveglianza e data gathering in materia di antiterrori-smo. In particolare, si sta considerando di proporre la messa in opera di un panel di esperti in-dipendenti provenienti dal mondo della security consultancy, dell’analisi dei costi delle politi-che pubbliche e dalle Organizzazioni Non Governative impegnate nel campo delle libertà civili, in modo da porre sotto esame qualunque aspetto della materia d’interesse in relazione sia al suo costo-efficacia, che al suo impatto in materia di privacy e diritto alla riservatezza; il tutto, a fronte dei risultati finora conseguiti. Dall’Undici settembre ad oggi, sembra che la Commissio-ne Europea abbia speso un totale pari a circa 745 milioni di Euro per supportare programmi e politiche nazionali atte al contrasto del terrorismo e della criminalità organizzata. Se si tengo-

Page 39: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

46

no da conto i programmi di ricerca sviluppo finanziati dall’UE, invece, si parla di cifre pari a circa un miliardo e quattrocentomila Euro spesi per il solo settore della sicurezza interna. ►L’11 gennaio è stata rilasciata alla pubblica attenzione una relazione del Comitato di Revi-sione delle Attività delle Agenzie di Intelligence del Belgio, in cui sono contenute rivelazioni in relazione a un vecchio scandalo, risalente al 2003, relativo alla scoperta di intercettazioni ambientali compiute ai danni di edifici ad uso delle istituzioni dell’Unione Europea. In parti-colare, sarebbe stato accertato che due persone coinvolte nell’installazione, sin da un periodo collocato fra il 1993 e il 1994, di “cimici” presso il palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio dell’Unione Europea, avrebbero ricevuto formazione tecnica presso la compagnia di telecomu-nicazioni israeliana COMVERSE, notoriamente legata al Mossad. Le “cimici”furono rinvenute in porzioni dell’edificio utilizzate da diplomatici britannici, francesi, tedeschi e spagnoli. ►L’11 gennaio la Corte Suprema danese ha giudicato come ammissibile il ricorso attuato da un piccolo gruppo di cittadini danesi euroscettici contro il Primo Ministro di quel Paese Lars Lokke Rasmussen in ragione della sua adesione al Trattato di Lisbona senza prima essere passato per un referendum popolare. Resta ora da stabilire cosa potrebbe accadere qualora tale ricorso avesse successo, dal momento che l’unico precedente in tal senso nella storia costi-tuzionale danese è rintracciabile in una similare iniziativa intrapresa nel 1996 nei confronti del Trattato di Maastricht che, però, non ebbe poi seguito. È probabile, comunque, che la questione potrebbe risolversi nella disposizione, da parte di detta Corte, di taluni emendamenti secondo una formula simile a quella prevista dalla Corte Costituzionale tedesca. ►Il 17 gennaio è stato licenziato in tronco dalla OHB Technology, la maggiore azienda tede-sca costruttrice di satelliti artificiali, l’Amministratore Delegato Berry Smutny, a seguito delle imbarazzanti indiscrezioni trapelate grazie al sito di whistleblowing Wikileaks. È stato reso noto, difatti, un cifrato dell’ambasciata statunitense a Berlino risalente al 2009 in cui si ripor-tava che Smutny, in conversazioni riservate, aveva descritto il noto programma satellitare GA-LILEO, il rivale europeo del GPS, come un progetto “stupido, enormemente costoso e portato avanti solo per fare l'interesse dei francesi che vogliono duplicare il sistema americano per non dover dipendere da uno Stato straniero, sprecando i soldi dei cittadini europei che potrebbero essere altrimenti spesi meglio”. Smutny, la cui oramai ex-azienda ha partecipato pesantemente al progetto GALILEO, si era inoltre spinto a spiegare che la volontà dell'Unione Europea di sviluppare un sistema ridondante ma alternativo al GPS è stata sollecitata dai francesi dopo un incidente durante il conflitto in Kosovo, causato dal fatto che gli Stati Uniti avevano manipolato i dati GPS per supportare le proprie operazioni militari. Il GALILEO dovrebbe diventare ope-rativo nel 2014 per arrivare a pieno regime nel 2020. Fino al 2013 l'Unione Europea ha stan-ziato un finanziamento pari a tre miliardi e quattrocentomila Euro, ma ne serviranno quasi altri due per i successivi sette anni. Poi i costi dovrebbero salire ancora, totalizzando, da qui al 2030, circa venti miliardi di Euro. Ai primi di febbraio è stato annunciato che l’Unione Europea invierà una gruppo di esperti in Sudan allo scopo di valutare i rischi per la stabilità e la sicurezza a seguito del recente re-ferendum secessionista tenutosi nel sud quel Paese, e vinto da una maggioranza pari a quasi il 99 % su un totale di quasi quattro milioni di votanti. Sulla base di tali risultati, non contestati dal governo centrale di Karthoum, tale regione, poverissima e caratterizzata da una mancanza quasi totale di infrastrutture di ogni genere, dovrebbe ufficializzare la propria indipendenza il prossimo luglio, ma al momento un grosso flusso di migranti (pari a circa due milioni) prove-nienti dal nord del Sudan sta affluendo nel territorio del costituendo stato. Inoltre, ancora non

Page 40: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

47

sono chiari al momento i termini di ripartizione delle risorse petrolifere fra le future due nazio-ni.

UNA MINI-NATO NEL NORD EUROPA?

All’inizio dello scorso dicembre, in una lettera firmata congiuntamente dai Ministri degli E-steri di Francia, Germania e Polonia e indiriz-zata all’Alto Rappresentante europeo per la Politica Estera e di Sicurezza Comune Cathe-rine Ashton, i tre Paesi in questione hanno proposto la piena attuazione della clausola del Trattato di Lisbona in materia di Cooperazio-ne Strutturata Permanente, formula con cui sarà possibile implementare un’Unione Euro-pea a più velocità anche nel campo della sicu-rezza e della difesa. Difatti, essa prevede la possibilità, per even-tuali Stati membri che lo desiderano, di attua-re politiche di cooperazione rafforzata atta-gliate al campo del procurement e/o della strutturazione di forze e comandi multinazio-nali permanenti o semi-permanenti. In partico-lare, i tre Paesi hanno espresso richieste affin-ché la Baronessa britannica possa lanciare al più presto discussioni in tal senso fra i Mini-stri degli Esteri degli Stati membri dell’U-nione Europea, in modo da giungere a una qualche decisione concreta nel quadro della Presidenza di Turno polacca che avrà luogo nella seconda metà del 2011. Anche taluni punti relativi ai rapporti NATO-UE sono stati affrontati in questa iniziativa, ad esempio ipo-tizzando sia l’ambito cyberdefence come nuo-vo campo in cui le due Organizzazioni Inter-nazionali potrebbero muoversi congiuntamen-te, che il maggiore coinvolgimento della NA-TO in missioni CSDP. Comunque, è oramai chiaro come, al fine di muoversi in direzione di tale formula, taluni Paesi membri si stiano spingendo ben oltre quanto poteva inizialmente sembrare una sorta

di riconferma istituzionale di pratiche peraltro già in essere negli anni precedenti detto Trat-tato, come nel caso della European Defence Agency e dei Battlegroups. In tal senso, se già gli annunci dello scorso autunno relativi a maggiori forme di integrazione fra gli stru-menti militari britannici e francesi avevano cominciato a porre in luce questa tendenza, è ora il caso di soffermarsi su un’iniziativa ri-guardante Paesi scandinavi e baltici che da qualche tempo sta gradualmente entrando in fasi sempre più concrete. In realtà, inizialmente, tale ipotesi non si è mossa pienamente nei termini di un’atten-zione EU-focused. Infatti, tutto è cominciato da un rapporto risalente al 2009 e curato dall’ex-Ministro degli Esteri e della Difesa norvegese Thorvald Stoltenberg. In esso, si invocava la creazione di una “Cooperazione Nordica in materia di Politica Estera e di Sicu-rezza” subordinata e modellata sul quadro del-la NATO, e improntata su questioni quali ini-ziative di peace-building, la sorveglianza ae-ronavale congiunta, la cybersecurity, nonché la creazione di task force congiunte civili e militari per azioni nei riguardi di aree di crisi, di unità anfibie, di forze di reazione rapida in materia di guardia costiera e di disaster relief, di forme di sorveglianza satellitare comuni e di un’unità per l’investigazione di crimini di guerra. Tale ipotesi, veniva poi evidenziato, per avere credibilità avrebbe dovuto includere disposizioni di portata pari a quelle dell’articolo 5 del Trattato del Nord-Atlantico, nonché essere aperta a cooperazione per ini-ziative di intervento intraprese nell’ambito dell’Unione Europea.

Page 41: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

48

Quanto contenuto in detto rapporto è stato successivamente oggetto, nel marzo scorso, di discussioni fra i Ministri degli Affari Esteri di Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia in un vertice appositamente tenutosi a Copenhagen, mentre nel novembre seguente si è deciso che, nell’aprile prossimo, un annun-cio ufficiale in tale direzione sarebbe stato formulato pubblicamente, probabilmente nel quadro dell’iniziativa NORDCAPS (Nordic Coordinated Arrangement for Military Peace Support, che include anche una NORDEFCO, o Nordic Defence Cooperation) già esistente fra questi cinque Paesi. Senonché, appena una settimana dopo il vertice di Copenhagen, vi è stato un ulteriore incontro sulla materia a O-slo, fra i Ministri della Difesa di tali Paesi con quelli di Regno Unito, Estonia, Lettonia e Li-tuania, che ha aperto la strada al primo Summit del Nord del Baltico tenutosi il 19 e il 20 gennaio scorso a Londra. È difficile dire dove potrà portare una simile iniziativa. In essa convivono difatti sia Paesi Membri della NATO e dell’Unione Europea, che Paesi membri della NATO, ma non dell’UE, che Paesi membri dell’UE, ma non della NATO. Di questi ultimi, sia la missione in Afghanistan che importanti attività esercita-tive della NATO hanno comportato in anni recenti un deciso loro avvicinamento alle strutture dell’Alleanza Atlantica. Allo stesso tempo, in questi vertici è stata proposta più volte l’opportunità per i Paesi non membri dell’UE di esplorare formule di adesione al Nordic Battlegroup europeo, sul modello di quanto già in essere per la Norvegia. Ciò che appare certo, comunque, è che, che si esplichi “a marchio” NATO o “a marchio” Unione Europea, la cooperazione regionale in questione porrà nuove sfide (ma anche nuove opportunità) sul piano della sicurezza del Nord Europa e dell’Artico in particolare (re-gione così tanto importante da aver determina-to il recente trasferimento dei comandi supe-riori norvegesi da Stavanger a Reitan).

Per ora si può affermare che, al di fuori del contesto dei Paesi interessati, l’iniziativa non sembra aver riscosso sul piano internazionale entusiasmi di rilievo. Così, se la Russia, pre-vedibilmente, si è mostrata finora piuttosto fredda, quando non velatamente ostile, per via di preoccupazioni riguardanti l’avvicinamento su dimensioni security-oriented di Paesi occi-dentali verso le risorse naturali artiche, un’indiscrezione trapelata grazie al sito di whistleblowing Wikileaks ha d’altro canto ri-velato che, in una valutazione formulata dall’Ambasciatore statunitense in Norvegia Benson Whitney all’annuncio del rapporto di Stoltenberg, non si crede molto nell’iniziativa nell’ambito degli stessi Paesi interessati, es-senzialmente sulla base di colloqui avutisi fra l’alto funzionario USA e i consiglieri politici del governo norvegese. Così, se da una parte l’Ambasciatore Whitney esortava l’Ammini-strazione statunitense ad appoggiare eventuali progressi in materia, dall’altra perplessità ve-nivano espresse anche riguardo l’effettiva ca-pacità di garantire una sorveglianza aeromarit-tima congiunta in aree che vanno dalla Nor-vegia, alla Groenlandia all’Islanda, considerati gli assetti nelle disponibilità dei Paesi interes-sati. Ciò che difatti spesso sfugge nel concreto dar-si delle iniziative multinazionali in ambito si-curezza e difesa è che esse, benché nascano da corrette aspirazioni di razionalizzazione delle spese in materia tramite bilanciate ripartizioni di responsabilità fra i partecipanti, nella realtà poi tendono a divenire a loro volta fonte di ul-teriori costi di esercizio per via del fatto che… tali responsabilità si accrescono e aumentano di complessità (si pensi ad esempio all’ipotiz-zata sorveglianza dello spazio aereo islandese da parte dei Paesi suoi partner secondo simi-lari meccanismi già in essere nella NATO), senza contare i numerosi oneri di adeguamen-to standardizzativo e addestrativo che com-portano. Dalla loro parte, i Paesi summenzio-nati hanno il vantaggio di possedere già nu-

Page 42: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

49

merosi approcci operativi, equipaggiamenti e interessi geopolitici similari, nonché una tra-dizione di stretta cooperazione congiunta in operazioni concrete e attività addestrative. Pertanto è forse proprio l’Unione Europea che potrebbe trovare maggiore interesse nel soste

nere questa iniziativa, che potrebbe in effetti in futuro esplicarsi in uno valido strumento atto a conferirle quella maggiore incisività a cui tanto aspira, e che d’altra parte presenta il non indifferente vantaggio di essere prestata per impegni anche NATO o ONU.

Page 43: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

51

Cina e India

Nunziante Mastrolia Eventi ►Il 18 gennaio, un giorno prima dell'inizio della visita di Hu Jintao negli Stati Uniti, le forze armate taiwanesi hanno testato 19 missili air-to-air e suface-to-air. Presente all'esercitazione il presidente Ma Ying-jeou, che ha dichiarato ai giornalisti presenti di essere rimasto insoddi-sfatto dei risultati del test. Il test è indubbiamente un segnale rivolto a Pechino, ma soprattutto un messaggio all'opinione pubblica interna che teme di essere sopraffatta dalla Cina. Un modo, forse, per iniziare ad attenuare la posizione filocinese sinora tenuta dal Kuomintang in vista delle prossime elezioni presidenziali nel 2012. ►La Cina ottiene dalla Corea del Nord la concessione per lo sfruttamento per cinquant'anni del porto di Rajin, che Pechino provvederà a collegare via terra alla provincia di Jilin, otte-nendo così un sbocco diretto sul Mar del Giappone ►Il 24 gennaio la Casa Bianca ha annunciato la fine del divieto imposto alle compagnie a-mericane di esportare tecnologia sensibile in India. Il passo successivo è l'ingresso di Nuova Delhi all'interno del NSG e la sua partecipazione ai Plenary Meeting del Missile Technology Control Regime. La decisione dell'amministrazione democratica americana rappresenta un passo di grande importanza per il rafforzamento dell'alleanza con Nuova Delhi. Il 20 gennaio scorso, tuttavia, l'Australia nonostante tante speculazioni in senso contrario, si è rifiutata di vendere uranio all'India in quanto paese che non ha sottoscritto l'NPT.

VERSO GLI ANNI TRENTA?

Tra il 5 e il 6 gennaio iniziano a comparire le foto inedite del primo test del J-20, il primo caccia di quinta generazione stealth di produ-zione cinese, scattate a Chengdu presso l’ Aircraft Design Institute da privati cittadini.

La notizia è singolare per una serie di ragio-ni. La censura di Stato non interviene a rimuove-re le foto di un progetto fino ad allora segre-tissimo né seguono smentite ufficiali

1

. Anzi alcuni media riferiscono che il test è

avvenuto alla presenza di alte cariche del partito: pare che fosse presente lo stesso vice presidente (della Repubblica Popolare e della

Commissione Militare Centrale) Xi Jinping.

Una notizia singolare I tempi. La maggior parte degli osservatori e-

Page 44: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

52

rano concordi nel ritenere che Pechino avesse bisogno di almeno altri dieci anni per poter arrivare al primo test. Sul finire del 2009 si era espresso sul punto anche il vice capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica cinese, il gen. He Weirong, sostenendo che si sarebbe dovuto aspettare tra gli otto ed i dieci anni prima di vedere il primo caccia stealth cinese. La tecnologia. La rivelazione del test ha im-mediatamente suscitato un ampio dibattito sulle tecnologie impiegate per la costruzione del J-20. Si è fatta immediatamente notare la somiglianza con l'F-22 Raptor e si è fatto rife-rimento all'arresto di un cittadino americano di origini cinesi per spionaggio che potrebbe avere una qualche connessione con lo svilup-po del J-20. Da parte cinese si sostiene, al contrario, che si tratta di tecnologia sviluppata interamente in Cina2

Al di là dei pur importanti aspetti tecnici, tut-tavia, il punto essenziale è cercare di capire perché le autorità cinesi hanno fatto in modo che la notizia del test trapelasse liberamente e perché proprio in quei giorni

.

3

. Il 10 gennaio, infatti, prendeva il via la prima visita di tre giorni del segretario alla Difesa Gates in Cina. Il primo incontro dei due vertici militari a un anno esatto dalla rottura delle relazioni milita-ri tra Pechino e Washington a seguito del via libera della Casa Bianca per la vendita di armi a Taiwan. Mentre il 19 gennaio avrebbe avuto inizio la visita di Stato di Hu Jintao negli Stati Uniti, ritenuta di importanza cruciale per pro-vare a rilanciare le relazioni tra i due paesi dopo un anno di fortissime fibrillazioni.

Proviamo a considerare alcuni elementi 1) Nel 2009 Gates decideva di tagliare i finan-ziamenti per la produzione del F-22 Raptor, motivando tale decisione con la valutazione che Pechino, come si accennava poc'anzi, non avrebbe sviluppato un tale sistema d'arma se non dopo il 2018. 2) Gates in Cina ha chiesto delucidazioni a Hu Jintao sul test del J-20, tuttavia, dalla reazione

che questi ha avuto i media desumono, che non ne fosse stato informato. Altri atteggia-menti: i media riferiscono di una reazione molto tiepida da parte dei vertici militari cine-si a fronte dell'offerta di Gates di istituziona-lizzare le relazioni military-to-military pro-grammando a scadenze prefissate gli incontri dei due vertici politici della Difesa. L'obietti-vo è quello di stabilizzare le relazioni tra le forze armate dei due paesi e svincolarle dagli alti e bassi delle relazioni politiche. Pechino preferirebbe non assumere impegni vincolanti e mantenere un nesso tra le relazioni politiche e quelle militari tra i due Paesi. Breve: Pechi-no vuol essere libera di rompere le relazioni militari con Washington se gli Stati Uniti do-vessero ancora vendere armi a Taiwan4

3) A più riprese, nei mesi scorsi, Pechino si era lamentata del persistere a Washington di una mentalità da Guerra Fredda e accusava gli USA di interpretare le relazioni con la Cina sulla base di una logica a somma zero. Eppure la rivelazione del test del J-20 non fa altro che portare acqua al mulino del partito del China Threat, proprio nel momento in cui i vertici politici cercavano di superare le frizioni dell'ultimo anno.

.

Sulla base di questi elementi molti commenta-tori ed esperti di cose cinesi hanno ipotizzato che a Pechino sia in atto uno scontro tra le leadership del partito e quella delle Forze Ar-mate, tanto che alcuni si spingono a dire che queste stiano sfuggendo al controllo degli uomini del partito e stiano cercando di impo-stare una propria linea di politica estera5 che punterebbe essenzialmente a far salire la ten-sione con Washington per conquistare così un peso politico in vista del passaggio di poteri dalla quarta alla quinta generazione che si a-vrà il prossimo anno con il XVIII Congresso del partito6. In questo senso, inoltre, andrebbe interpretata anche un'altra notizia lasciata tra-pelare nei mesi scorsi e cioè quella relativa alla fabbricazione del “Carrier killer” DF 21D ed in questo senso andrebbero letti anche i

Page 45: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

53

rumors circa un imminente varo della prima portaerei cinese. Si tratterebbe della Varyag, varata dall'URSS nel 1988 e acquistata da Pe-chino dall'Ucraina nel 1998. Non è diventata un casinò galleggiate a Macao, come pure si diceva, ma dovrebbe entrare presto in servizio ribattezzata Shi Lang, il nome dell'ammiraglio che nel 1681 conquistò Taiwan: un dettaglio che lascia poco spazio all'immaginazione. Un vero e proprio scollamento tra mondo mi-litare e mondo politico, dunque, accentuato dal fatto, si argomenta, che il cursus honorum di Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping non si sia mai incrociato con gli ambienti delle forze armate, a differenza dei leader delle preceden-ti generazioni che potevano vantare lunghi trascorsi militari. E' una interpretazione seria e preoccupante, tanto che lo stesso Gates ha ritenuto necessa-rio esprimersi sul punto (“I have had concerns about this over time. And frankly, that is one of the reasons I attach importance to a dialo-gue between the two sides that includes both civilian and military”7

, per poi rassicurare dip-lomaticamente “in the larger sense of who controls the Chinese military and who has the ultimate authority, there is no doubt in my mind that it is President Hu Jintao and the ci-vilian leadership of that government”).

Eppure qualcosa non convince Negli anni Ottanta alle Forze Armate era con-cesso partecipare al boom cinese attraverso la gestione di attività economiche. Una prassi che è stata completamente stroncata da Jiang Zemin, il primo leader senza un background militare. Le Forze Armate, così, non poterono più contare sulle entrate garantite dal mercato, ma a partire da allora si assistette ad un cre-scendo di stanziamenti pubblici con incremen-ti intorno al 15% anno su anno. In breve: la leadership civile ha riservato negli ultimi anni il massimo dell'attenzione per le Forze Armate e il loro ammodernamento è stato sempre ai primi posti dell'agenda governativa. Perché, allora, il mondo militare dovrebbe cercare di

influenzare la leadership politica se gli obiet-tivi sono condivisi? Se si abbandona l'ipotesi di uno scontro tra mondo politico e mondo militare e si guarda con più attenzione alle dichiarazioni pronun-ciate dalla leadership politica negli ultimi me-si, forse si può trovare qualche elemento inte-ressante. In una intervista scritta rilasciata al Washin-gton Post e al Wall Street Journal, pochi gior-ni prima della sua partenza per l'America, Hu Jintao sosteneva che la supremazia del dolla-ro, quale unica moneta internazionale, era da considerarsi un relitto del passato “the current international currency system is the product of the past”, nel contempo candidava lo yuan al ruolo di moneta di scambio e di riserva a li-vello internazionale anche se nel lungo perio-do “making the RMB an international cur-rency will be a fairly long process”. Ora se si considera che la moneta e la flotta sono due elementi cardine della Pax Americana (come lo furono della Pax britannica), sembra corret-to sostenere che vi sia perfetta identità tra mondo militare e politico cinese: alterare l'or-dine internazionale per adattarlo alle ambizio-ni cinesi o quantomeno minacciare un cam-biamento. Infatti chiedere una deposizione del dollaro ed una ascesa dello yuan e lavorare per la creazione di un'area marittima di non ingerenza all'interno della cosiddetta first i-slands chain, non significa altro che avere in agenda obiettivi politici e strategici antitetici rispetto agli interessi americani e alla dottrina del peaceful development: uno sviluppo in armonia con lo status quo. Questo, per inciso, significa che l'attuale leadership cinese ha completamente messo da parte il monito di Deng Xiaoping “osservare con attenzione, consolidare le proprie posizioni, trattare le questioni con calma, nascondere le proprie capacità e prendere tempo, mantenere con abi-lità un profilo basso e mai assumere una leadership”: “ the Chinese military doctrine was 'hide and bide': hide your resources and bide your time, They now appear to have shif-

Page 46: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

54

ted into an era where they're willing to show their resources and capabilities”8

Resta un ulteriore elemento da mettere in evi-denza: questo atteggiamento di sfida all'ordine costituito ha subito un’improvvisa accelera-zione negli ultimi mesi.

.

Perchè? La risposta, probabilmente, continuando il ra-gionamento avviato nel numero di novembre dell'Osservatorio strategico, va rintracciata nel Quantitative Easing 2. La manovra della FED infatti da una parte risponde a motivazioni in-terne: Obama può sperare di ottenere un se-condo mandato nel 2012 solo riducendo dra-sticamente la disoccupazione e il 2011 è l'an-no decisivo per ottenere tale risultato. La poli-tica della FED è funzionale a tale obiettivo: invertire il trend deflattivo stampando moneta e liberare capitali dai T-bond. Tuttavia visto il ruolo che il dollaro gioca a livello internazio-nale l'inflazione generata in America si propa-ga in tutto il mondo soprattutto attraverso un aumento dei prezzi dei generi alimentari e del-la materie prime. Così, l'inflazione americana diventa stagfla-zione in Europa e iper-inflazione in Cina (ed anche in India). A Pechino la connessione tra QE2 e inflazione è chiarissima, tanto che lo stesso Hu Jintao si è espresso sulla questione: “the monetary policy of the United States has a major impact on global liquidity and capital flows and therefore, the liquidity of the US dollar should be kept at a reasonable and sta-ble level”9

Il punto è che all'aumentare del costo della vi-ta in Cina non corrisponde un aumento dei sa-lari con un conseguente impoverimento delle famiglie cinesi, in una situazione di già forte polarizzazione dei redditi, con un coefficiente di Gini ormai allo 0,5

.

10. Il che rischia di tra-dursi nella rottura del patto su cui si basa la stabilità del paese: legittimazione politica in cambio di crescita economica. E' per questo che le autorità temono l'inflazione: i cinesi po-

trebbero perdere la loro fiducia nel partito e nella sua capacità di garantire il benessere. Sono dinamiche già in atto. Cresce infatti il malcontento e a sostenerlo è una fonte autore-vole come l'Accademia Nazionale delle Scienze Sociali Cinese nel Social Blue Paper pubblicato lo scorso 15 dicembre11

Il QE2 ha, inoltre, anche altri effetti perniciosi per la Cina: impone una rivalutazione forzosa dello yuan: per dirla in una battuta, Pechino non può compare tutti i dollari che la FED stamperà. Le conseguenze sono preoccupanti per la Cina: problemi per i settori dell'econo-mia cinese legati all'export (e quindi disoccu-pazione) e svalutazione delle riserve moneta-rie in dollari.

.

Far fronte agli effetti del QE2 potrebbe rive-larsi una missione impossibile: a livello inter-no Pechino sta tentando in ogni modo di dre-nare liquidità, provare a sgonfiare la bolla del-la speculazione immobiliare e si fa strada l'i-potesi di reintrodurre una qualche forma di regolamentazione dei prezzi: l'introduzione di una imposta per la prima casa, un aumento delle tasse sulle seconde case, il continuo au-mento imposto alle banche del paese della ri-serva obbligatoria e del tasso di interesse. Provvedimenti che tuttavia potrebbero non ga-rantire il risultato sperato: basti pensare che nel 2010 c'è stata una pioggia record di inve-stimenti diretti esteri nell'ex impero di mezzo, una crescita del 17,5% in più rispetto al 2009, raggiungendo la cifra di 105,74 miliardi di dollari. A livello internazionale Pechino non può fare altro che fuggire dal dollaro e tentare di creare un blocco monetario “dollar free”: in questo senso si può leggere il recente accordo con Mosca per l'uso dello yuan e del rublo nei commerci bilaterali. Il punto è che nessuno può escludere che un tale blocco monetario possa essere prodromico alla costituzione di blocchi commerciali e blocchi politici in com-petizione fra loro. Il che significherebbe la rottura dell'ordine interrelato costruito dopo la

Page 47: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

55

seconda guerra mondiale, il cui obiettivo era proprio quello di spezzare le logiche del na-zionalismo politico e del protezionismo eco-nomico dei blocchi che si erano andati costi-tuendo negli anni Trenta come conseguenza della rottura della Pax britannica Il che induce a ipotizzare che il QE2 ha, di fatto, dato avvio ad una serie di reazioni che rischiano di frantumare l'ordine internazionale e causare il “ritorno della storia”, per dirla con Robert Kagan, e cioè il ritorno della competi-zione tra le grandi potenze. Un parallelo preoccupante Se così stanno le cose è giocoforza stabilire un parallelo tra il QE2 e le barriere tariffarie in-trodotte in America con lo Smooth and Ha-wley Act e nell'Impero Britannico con gli Ac-cordi di Ottawa del 1932 per far fronte alla crisi del '29: ciò che li accomuna è il tentativo di “salvarsi da soli”, il che significa generare un effetto disgregante su tutto l'ordine interna-zionale. Ora come allora “each country is going to do what it thinks best for itself"12, il che significa che “ the days of coordinated global action to save the world economy in 2008 now look long gone”13

C'è un ulteriore preoccupante elemento da ag-giungere: “Both the Smooth-Hawley Act and the Ottawa Agreement helped to deprive Ja-pan of many of its traditional markets. It paved the way for a military government bent upon imperial expansion that reached its logi-cal conclusion at Pearl Harbor”

.

14

Se l'analisi è corretta, vale la pena chiedersi perché si sia avviato un tale meccanismo? La domanda non è retorica dato che Pechino è disposta ad aumentare i consumi interni per bilanciare la struttura sbilanciata sui consumi americani ed europei del commercio interna-zionale, così come chiede Washington. In al-tre parole Stati Uniti e Cina concordano sull'obiettivo - aumentare i consumi cinesi - ma divergono sui mezzi da usare. Washington chiede una forte rivalutazione dello yuan per frenare le importazioni dalla Cina e aumentare

la competitività dei prodotti americani, in mo-do da assorbire subito la disoccupazione in vista delle elezioni. Per inciso, va rilevato che la Casa Bianca sta tentando di abbassare i toni dello scontro sullo yuan, che pure negli ultimi mesi aveva cavalcato: venerdì 4 febbraio, nel suo rapporto semestrale, il dipartimento del Tesoro americano non ha ufficialmente accu-sato la Cina di manipolare il cambio, cosa che ha creato parecchi malumori nel Congresso. Il Tesoro prende atto della rivalutazione in corso ( il 10% se si tiene conto dell'inflazione), ma la ritiene ancora insufficiente.

.

Pechino, al contrario, punta ad un incremento nel lungo periodo dei consumi, attraverso un aumento dei salari e una riduzione del rispar-mio conseguente alla istituzione di un sistema di welfare pubblico (istruzione e sanità). In questi giorni, paradossalmente, nello stesso senso si è espressa la Federal Reserve Bank di Dallas “boosting government spending on the social safety net may effectively reduce Chi-na’s current account surplus. Increasing such expenditures not only can directly decrease government savings but also reduce overall household savings through shared risk”15

Si tratta pertanto di due prospettive temporali diverse e la grande sfida dei prossimi mesi, per evitare l'incubo degli anni Trenta, è quella di conciliarle.

.

Per la verità va notato che Pechino sembre-rebbe aver imboccato una strada nuova per allentare la pressione americana ed europea per una rivalutazione immediata dello yuan: sostenere direttamente l'occupazione negli Stati Uniti e nell'Unione Europea. In quest'ot-tica possono essere interpretate le mega com-messe sottoscritte da Hu Jintao negli USA e dal vice premier Li Keqiang nel suo recente tour europeo: 185 Boeing 737 per un valore di 15 miliardi di dollari e 15 Boeing 777 valore 4 miliardi; mentre il successore designato di Wen Jiabao ha firmato in Germania contratti per 8,7 miliardi di dollari, in Spagna per 7,5 miliardi (oltre all'impegno ad acquistare i bond di alcuni paesi europei in difficoltà). A

Page 48: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

56

proposito delle commesse alla Boeing vanno annotate alcune cose. In primo luogo Pechino ambisce a competere con Boeing e Airbus e, acquistando dagli USA, non aiuta di certo la statale Aviation Industry Corporation of Chi-na (AVIC). In secondo luogo la produzione degli aerei acquistati da Pechino si farà negli Stati Uniti. Un dettaglio non irrilevante se si considera che nel 2005 Pechino aveva sotto-scritto una commessa per 150 Airbus A320, a condizione che venissero interamente costruiti in Cina in partnership con AVIC: il che signi-ficava trasferimento tecnologico e occupazio-ne. Ora, per alleggerire le pressioni sullo yuan si decide di fare il contrario. Tuttavia, viene da chiedersi, quanti posti di lavoro potrà Pe-chino creare negli USA al fine di placare il Congresso ed evitare che ci sia un QE3?16

D'altro canto va considerata anche l'ipotesi che Pechino non riesca a frenare l'inflazione interna che potrebbe generare malcontento e quindi instabilità politica. “The inflation rate on retail prices was 7.3 percent in 1987, in-creased to 18.5 percent in 1988, and come to 28 percent in the first quarter of 1989. Most Chinese believed that the real figure was much higher. Their perceptions were founded, because inflation rates on food were dispro-portionately higher than on some other prod-ucts, yet most urban families spent at least half of their income on food”

17. Allo stesso modo, ora sono proprio i beni alimentari che stanno facendo registrare una maggiore cre-scita dei prezzi. Non bisogna infatti dimenti-care che i sommovimenti che stanno scuoten-do il Nord Africa hanno avuto origine con la rivolta del pane in Tunisia. Pertanto è ipotiz-zabile una connessione diretta tra il QE2 e le rivolte nordafricane: “it wasn’t until the Fed announced its QE lite program that agricultu-ral commodities exploded above long-term resistance. And in case there was any doubt, QE 2 sent them absolutely stratospheric”18. Le conseguenze sono abbastanza chiare: “for those living in places without social safety

nets, without political freedoms, and who are more exposed to the rise in price of energy and basic foodstuffs, the situation grows less and less tolerable.”19

Questa connessione tra QE2 e instabilità so-ciale in presenza di un “tappo” politico è stata fatta anche a Pechino. Il Wall Street Journal, infatti, riferisce che la censura in Cina ha bloccato tutte le notizie che arrivano dal Nord Africa: “an indication of concern among Communist Party leaders that the unrest there could encourage similar calls for political re-form in China”. Unica eccezione il Global Times, controllato dal partito, che in un lungo editoriale cerca di sostenere che, per far fronte ai problemi economici, la democrazia occi-dentale non è la soluzione per la Cina e per i Paesi in via di sviluppo “The new wave of co-lor revolutions has broken through Tunisia and swept into Egypt this year. Western-style democracy appears to be spreading, yet the affected countries are not comparable with Western society (…) The revolutions were re-ceived with mixed reactions in the West. The international community is no longer clamor-ing for emerging countries to become demo-cracies as it was shortly after the Cold War. (…) Most Western democracies matured over a long period. Japan and South Korea, though implanted democracies, have to pay the price of accepting foreign armies on their territory. Some other countries have had an even tough-er time in adopting a democratic system. (… ) In general, democracy has a strong appeal be-cause of the successful models in the West. But whether the system is applicable in other countries is in question, as more and more un-successful examples arise. In the West, de-mocracy is not only a political system, but a way of life. Yet some emerging democracies in Asia and Africa are taking hit after hit from street-level clamor. Democracy is still far away for Tunisia and Egypt. The success of a democracy takes concrete foundations in economy, education and social issues (…) As

Page 49: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

57

a general concept, democracy has been ac-cepted by most people. But when it comes to political systems, the Western model is only one of a few options. It takes time and effort to apply democracy to different countries, and to do so without the turmoil of revolution”20: una difesa preventiva e un invito a non farsi troppe illusioni che tradiscono la preoccupa-zione del partito che “1.3 billion enraged souls will rise up and tear down the People’s Re-public of China”21 dato che “Beijing’s offi-cials know that every resentment felt by Tuni-sians and Egyptians is shared by those they rule”22

.

In conclusione Se il ragionamento sin qui condotto è corretto, appare chiaro come il QE2 abbia messo Pe-chino con le spalle al muro ed ingenerato un meccanismo che rischia di far divampare l'in-flazione nel paese e con essa il malcontento. E' allora ipotizzabile che, nell'impossibilità di utilizzare strumenti politici ed economici, a Pechino non resti che fare le voce grossa (il dollaro come relitto del passato, Hu Jintao) e mostrare i muscoli (J-20, Varyang, DF 21D) al fine di “to stoke, rather than calm, Ameri-can fears”23

Così facendo, tuttavia, la Cina non fa altro che alimentare le paure e i sospetti di quanti a Washington e nella regione guardano come una minaccia la modernizzazione delle sue forze armate. Si sta avviando un meccanismo di azioni e reazioni che rischia di avvitarsi su sé stesso nella più classica logica del dilemma della sicurezza. Basti, infatti, considerare che proprio nel mese di gennaio Tokyo ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione del suo concetto strategico: si tratta delle National De-fense Program Guidelines (NDPG) alla cui

base c'è un concetto la "Dynamic Defense Force", di segno diametralmente opposto ri-spetto a quello vigente sinora il "Basic Defen-se Force Concept": il perché di questa ristrut-turazione è detto in maniera abbastanza espli-cita “China’s military forces and its security policy are of concern for the regional and glo-bal community”

.

24. Proprio per questo il NDPG prevede una rafforzamento delle forze marittime (in particolare la flotta dei sottoma-rini) ed aeree per contrastare la crescente as-sertività cinese25. Per inciso Gates, che ha fat-to tappa a Tokyo dopo aver lasciato Pechino, ha esplicitamente sostenuto che la minaccia nordcoreana e cinese, richiede una sempre più stretta cooperazione tra Stati Uniti e Giappo-ne26

Se così stanno le cose e se non dovessero es-sere prese misure, soprattutto a livello inter-nazionale, per far sì che le tensioni sui prezzi dei generi alimentari e dei prodotti energetici calino, è possibile ipotizzare che Pechino con-tinuerà ad irrigidirsi, il che, d'altro canto, si-gnifica aprire le porte, in vista del XVIII Con-gresso del PCC, a quanti vedono come una necessità vitale per il partito quella di forzare le logiche di un ordine internazionale che si sta facendo asfissiante per la Cina. E' per que-sto che, per dirla con Kissinger: “Occorre pre-stare grande attenzione” per evitare che “en-trambe le parti si considerino in una situazio-ne di profezia che si auto-avvera (…). Una guerra fredda tra loro potrebbe costringere la comunità globale a dover scegliere da quale parte schierarsi, allargare le divergenze alle politiche interne nel momento in cui alcune questioni cruciali - quali proliferazione nucle-are, ambiente, energia, clima – che richiedono invece una soluzione globale condivisa da tut-ti.”

.

27

1 Si dubitava addirittura che Pechino potesse avere in cantiere un programma per lo sviluppo di aerei invisibili: “The recent rumor about the J-20 is pure speculation. The F-22 is an offensive weapon that fits Washington's global strategy. China's defense development is self-defensive in nature and does

Page 50: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

58

not require a fighter jet of that caliber”, “Rumored stealth jet undergoes tests: report”, Global Times, 5 gennaio 2011. 2 “J-20 stealth fighter jet technology 'innovative'”, People Daily, 25 gennaio 2011 3 Soprattutto se si considera che, è bene sottolinearlo, dovranno passare ancora anni prima che il J-20 entri in servizio attivo, “China stealth plane still 'years away', says Pentagon”, BBC, 6 gennaio 2011 http://www.bbc.co.uk/news/world-asia-pacific-12125566 4 E. Bumiller, “U.S. and China Defense Chiefs Agree to Keep Talking”, New York Times, 10 gennaio 2011. Si veda anche “China Snubs U.S. Defense Pitch”, Wall Street Journal, 11 gennaio 2011 5 Francesco Sisci, “Too many cooks spoil foreign-policy stew”, Asia Times, 7 gennaio 2011 6 Ovviamente ci sono state anche altre interpretazioni tutte degne di nota: per alcuni, così facendo Pechino starebbe tentando di alleviare le preoccupazioni circa le sue capacità militari con una operazione di trasparenza. Per altri, svelare il J-20 sarebbe un segnale da lanciare a India e Russia che di recente han-no concluso un accordo di cooperazione per lo sviluppo congiunto di un caccia di quinta generazione. Al-tri ancora ritengono che il J-20 sia un messaggio diretto a Gates che avrebbe sottovalutato i progressi ci-nesi. 7 “China Shows Its Growing Might”, Wall Street Journal, 12 gennaio 2011 8 John Pomfret, “China's military seems to have a new attitude: lots of chutzpah”, New York Times, 7 gennaio 2011 9 “China's Hu Jintao answers questions with Washington Post”, Washington Post, 16 gennaio 2011 10 Wu Zhong, “People losing faith in government”, Asia Times, 22 dicembre 2010 11 “Ordinary people in China generally feel less satisfied about these developments and more con-cerned about their future than all the positive statistics would suggest. In fact, most Chinese think their living standards deteriorated rather than improved in 2010, and are losing confidence in the government’s handling of economic, social and foreign affairs. Dissatisfaction with inflation is a major reason for people’s waning confidence in their government, the result of their incomes not growing in step with the economy, inflation and housing prices, combined with the absence of a comprehensive social security system, as well as the widening wealth gap.” 12 Jon Hilsenrath, Inflation Shuffles Banks' Influence, Wall Street Journal, 31 gennaio 2011 13 Ivi 14 L. Gomes, The economics and ideology of free trade, Edward Elgar Publishing, Northampton, 2003, pag. 300 15 Jian Wang, “With Reforms in China, Time May Correct U.S. Current Account Imbalance”, Eco-nomi Letter, Vol. 6, No. 1, January 2011, Federal Reserve Bank of Dallas. Per quanto riguarda gli effetti della rivalutazione dello yuan la FED di Dallas scrive: “An appreciating yuan may only minimally reduce the imbalance. Even in the short run, the exchange rate’s impact on import prices would be quite limited, studies have shown. Exporters usually pass on only a fraction of exchange rate movements when setting prices. About 20 percent of exchange rate changes were reflected in U.S. import prices during the past decade, Federal Reserve economists Mario Marazzi and Nathan Sheets found[2]. Profit margins usually absorb some of exchange rate movement as exporters seek to maintain market share. Additionally, the currency under which import prices are invoiced also affects the exchange rate pass-through. Most U.S. imports from China are priced in dollars, and their prices are fixed in the short run. In this case, deprecia-tion of the dollar against the yuan has no short-run effect on import prices from China.”

Page 51: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

59

16 D'altro canto, gli USA potrebbero incrementare le loro esportazioni in Cina di prodotti ad alto contenuto tecnologico e culturale. Tuttavia questa opzione ha due grossi limiti: le restrizioni al trasferi-mento di tecnologie sensibili e la bassa tutela dei diritti di proprietà intellettuale in Cina. 17 Dingxin Zhao, The power of Tiananmen, The Univesity of Chicago Press, 2001, pag. 127 18 “Quantitative Easing Is Causing Food Prices to Skyrocket”, http://therealnewsjournal.com/?p=5012, 23 gennaio 2011 19 Coron Sen, “Quantitative Uneasing: How Fed Policy Ties Into Revolts in Tunisia and Egypt”, http://www.minyanville.com/businessmarkets/articles/quantitative-easing-qe2-fed-policy-tunisia/1/27/2011/id/32433 20 “Color revolutions will not bring about real democracy”, Global Times, 30 gennaio 2011 21 Gordon G. Chang, “Egypt Is the Next Tunisia. What Is the Next Egypt?”, Forbes 30 gennaio 2011, http://blogs.forbes.com/gordonchang/2011/01/30/egypt-is-the-next-tunisia-what-is-the-next-egypt/ 22 Ivi 23 Trefor Moss, “China tries to steal a march”, Asia Times, 14 gennaio, 2011. 24 “National Defense Program Guidelines for FY 2011 and beyond”, Washington Post, 14 gennaio 2011 http://www.mod.go.jp/e/d_act/d_policy/national.html 25 Kosuke Takahashi, Japan gets tough with new defense policy , Asia Times, 21 dicembre 2010. 26 John Pomfret, “U.S.-Japan ties should deepen, Gates says, citing threats from China, N. Korea”, N 27 Henry Kissinger, Obama e Hu amici per forza, Il Sole 24 Ore, 15 gennaio 2011

Page 52: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

61

America Latina

Riccardo Gefter Wondrich Eventi ►Haiti: definito il cronogramma del secondo turno elettorale. Il 20 marzo l’ex first lady Mirlande Manigat disputerà la presidenza della tormentata repubblica caraibica con il popo-lare cantante Michel Martelly. Il primo turno si era celebrato il 28 novembre scorso, ma era stato caratterizzato da brogli per far entrare al ballottaggio il candidato del governo Jude Ce-lestin. In dicembre, a poche ore dall’annuncio che Celestin aveva ottenuto 7.000 suffragi in più di Martelly, i sostenitori di quest’ultimo avevano inscenato violente manifestazioni, minaccian-do di far sprofondare il paese nel caos qualora il loro candidato non fosse passato. L’Organizzazione degli Stati Americani e i donors internazionali impegnati nella ricostruzione del paese dopo il terremoto hanno esercitato pressioni sulle autorità elettorali haitiane. Di fronte al rischio di una ritirata della comunità internazionale, anche il presidente uscente René Preval si era spinto a consigliare a Celestin di ritirarsi dalla competizione. Dal canto loro, gli Stati Uniti temono che a un’esplosione di violenza nell’isola caraibica possa far seguito una nuova ondata di immigrati illegali sulle coste meridionale del paese. ►Il presidente americano Barack Obama ha annunciato una visita di Stato in America lati-na in marzo, con tappe in Brasile, Cile e El Salvador. Sarà la terza volta di Obama nella re-gione. Durante i primi due anni di mandato, Obama si era recato in Messico, paese strategico per prossimità geografica, dimensione e relazioni economiche, politiche e di sicurezza bilaterali (soprattutto traffico di droga, di armi e immigrazione clandestina) e a Trinidad & Tobago per il vertice dei Presidenti delle Americhe. Con la prossima missione ci si aspetta che il governo sta-tunitense intenda rilanciare le relazioni interamericane. La scelta dei tre paesi è chiara: El Sal-vador è il paese centroamericano il cui governo è più affine a Washington, collabora attiva-mente nella lotta contro il narcotraffico e il crimine organizzato e ha adottato un modello eco-nomico pro-mercato distanziandosi dal blocco filo-venezuelano. Il Cile è considerato un esem-pio economico e istituzionale, e vanta i migliori parametri in termini di sviluppo umano, traspa-renza e qualità istituzionale. Il Brasile è il maggior paese della regione e aspira a giocare un ruolo da potenza globale. La presa di distanza da parte del governo guidato da Dilma Rousseff rispetto all’Iran sul tema dei diritti umani costituisce una premessa necessaria per superare gli attriti che si erano creati nell’ultimo anno tra Brasile e USA a causa delle divergenze sulla crisi in Honduras ma soprattutto del voto brasiliano sulle sanzioni all’Iran al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il 23 febbraio il ministro degli Esteri brasiliano Antonio Patriota sarà a Washington dal Segretario di Stato Hillary Clinton per preparare l’incontro di marzo, e si po-trà capire quanto profonda è ancora la frattura che si era creata in quell’occasione.

Page 53: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

62

►Colombia: a fine gennaio le autorità colombiane hanno trovato un deposito di mine terre-stri e 900 chili di esplosivo in un nascondiglio nella selva al confine con l’Ecuador, a 800 chi-lometri da Bogotà. I materiali appartengono al fronte 48 delle FARC. La notizia accompagna la scoperta di circa 15 miniere d’oro illegali nel dipartimento settentrionale di Bolívar gestite in proprio o controllate attraverso estorsioni dalle FARC. Si sospetta ce ne siano diverse altre nel paese, il secondo produttore mondiale di oro. Il governo ha scatenato un’offensiva per con-trollare le miniere illegali, che oltre a fornire ai gruppi irregolari un’importante fonte di risorse in natura per l’acquisto di armamenti, sono causa di distruzione e inquinamento ambientale. 573 persone sono state arrestate nell’operazione. Il governo di Juan Manuel Santos ha ordinato di raddoppiare gli sforzi e le operazioni contro le FARC, che oggi conterebbero ancora tra 9.000 e 11.000 affiliati e negli ultimi mesi hanno intensificato gli attacchi in diverse regioni del paese. ►Brasile. Sono state elevate le stime sulla dimensione dei giacimenti di uranio presenti nel paese sudamericano, che passano da 309.000 a 1,1 milioni di tonnellate. Con questo volume, il Brasile diventerebbe il secondo produttore mondiale, con un volume in termini energetici pari a circa il 40% del giacimento petrolifero al largo delle coste di Rio de Janeiro, il cosiddetto “pre-sal”. Il governo ha annunciato l’intenzione di investire 3 miliardi di reais (1,3 miliardi di euro) per costruire due fabbriche in grado di coprire l’intero ciclo del combustibile di uranio da utilizzare nelle centrali nucleari. Oggi il Brasile si limita a estrarre il minerale, trasferirlo all’estero per poi re-importarlo e arricchirlo nella fase finale del ciclo trasformandolo in cap-sule di combustibile. La conversione intermedia del minerale in gas è realizzata in Canada e Francia. Delle due centrali nucleari attive, solo il 14% della domanda di arricchimento di ura-nio della prima (Angra 1) è fatto in Brasile. L’obiettivo è costruire una terza centrale (Angra 3) operativa dal 2015 e garantire la fornitura completa di combustibile nucleare per le tre centrali entro il 2017. Le riserve di uranio hanno un valore stimato in 100 miliardi di dollari. L’attività di estrazione è riservata al governo federale, che intende modificare il quadro normativo del settore obbligando le società minerarie a informare immediatamente il governo qualora doves-sero trovare dell’uranio. Oggi è attiva solamente una miniera di uranio a Caetité (Bahia), men-tre una seconda a Quitéria (Ceará) è in attesa dell’autorizzazione ambientale e nucleare per iniziare a operare. Il ministero delle Miniere ed Energia vuole incentivare le imprese private a entrare in questo settore altamente strategico e creare una nuova agenzia di controllo. Nel marzo prossimo la Eletronuclear presenterà una mappa delle località che potrebbero ospitare una centrale nucleare. Oltre a Angra 3, entro il 2020 ne dovranno infatti essere costruite da 3 a 7. La discussione su quale utilizzo fare dell’uranio brasiliano e delle entrate che esso può gene-rare è appena agli inizi. In futuro il paese potrebbe esportare l’uranio allo stadio di “yellow cake”. C’è grande interesse nei confronti della Cina, che sta costruendo 25-30 nuove centrali e non ha -o perlomeno non ha ancora trovato- riserve rilevanti di uranio. Francia, Giappone e Corea del Sud sono altri clienti potenziali.

Page 54: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

63

IL PRIMO MESE DI DILMA ROUSSEFF AL GOVERNO IN BRASILE

Così com’era accaduto un anno fa al neo-presidente cileno Sebastián Piñera, anche Dilma Rousseff è stata chiamata nei primi giorni della sua presidenza a gestire un even-to catastrofico. Nel caso del Cile si trattava del terremoto. In Brasile invece lo Stato di Rio de Janeiro è stato colpito in gennaio dalle più intense precipitazioni di cui si abbia me-moria, che hanno creato il peggior disastro naturale della storia recente. Quasi mille per-sone sono morte o disperse in seguito alle al-luvioni nella zona montagnosa alle spalle del-la capitale dello stato. I soccorsi e le risorse economiche per la ricostruzione sono stati pe-rò messi in campo in maniera celere, e la pre-senza e capacità di coordinare le operazioni sul posto del neo-presidente è stata apprezza-ta. Durante la campagna elettorale e i due mesi della transizione dal governo Lula, i principa-li interrogativi riguardavano la capacità di Dilma di gestire le pressioni dei partiti alleati e dello stesso PT mantenendo salda la politica di rigore macroeconomico degli ultimi anni. La spesa pubblica crescente durante l’anno elettorale e l’adozione di posizioni “terzo-mondiste” sulla sfera internazionale (a favore dell’Iran, di Cuba e di alcuni governi poco democratici in Africa) avevano invece destato preoccupazioni nelle cancellerie e nelle borse europee e nordamericane. E gli occhi erano tutti puntati sul peso che avrebbe avuto il ca-rismatico Lula sul nuovo presidente. I primi passi del governo brasiliano sono stati decisi e meritano di essere qui analizzati. Innanzi tutto Dilma ha suddiviso i 24 ministe-ri in quattro macro-aree tematiche scegliendo una sorta di “super ministro” per ciascuna con il compito di coordinare il lavoro e riferire di-

rettamente a lei. Ha adottato uno stile discreto e dirigista, con poche interviste e discorsi at-tentamente misurati. Non ha esitato a sconfes-sare pubblicamente alcuni ministri e a chiede-re le dimissioni del segretario nazionale per la lotta alla droga dopo che questi aveva rilascia-to dichiarazioni polemiche senza chiederle au-torizzazione (nella fattispecie, aveva proposto di liberare i piccoli trafficanti per deconge-stionare le carceri sovraffollate). Si tratta di novità di non poco conto rispetto allo stile sempre incline alla mediazione di Lula. In politica estera, Dilma ha scelto l’Argentina quale prima visita di Stato, dimostrando così di voler rilanciare l’integrazione commerciale e politica della regione partendo dal Mercosur. Sono stati firmati 14 trattati bilaterali, tra i quali quello probabilmente più importante ri-guarda le collaborazioni in materia nucleare. Brasile e Argentina hanno deciso di costruire insieme due reattori per la realizzazione di test scientifici e produzione di isotopi utilizzati in campo medico. Il progetto prevede cinque an-ni di lavori e un costo di 850 milioni di reais (373 milioni di euro). Durante una cerimonia per le vittime dell’Olocausto a Belo Horizonte, Dilma ha criticato tutte le dittature, segnando così una distanza dall’Iran di Ahmadinejad. Ha poi as-sicurato che sarà inflessibile nella difesa dei diritti umani, anche se ciò potesse implicare una contrapposizione con il regime castrista al potere a Cuba. Queste dichiarazioni seguono le prese di posizione durante la campagna e-lettorale contro la lapidazione dell’iraniana Sakineh. In quel caso Dilma fece ricorso alla sua condizione di donna e al suo passato di militante che aveva sperimentato sulla sua pelle le torture del regime militare. Pur senza segnare mai in modo esplicito una rottura con

Page 55: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

64

la politica estera dell’ultimo Lula, è chiaro che il nuovo presidente brasiliano ha inteso dare un messaggio al mondo e agli Stati Uniti in particolare. Il piglio decisionista di Dilma è già stato mes-so alla prova sul fronte interno, dalle richieste dei partiti della coalizione di governo. Il prin-cipale alleato del PT è il PMDB, una forma-zione che ha nella conquista del potere su sca-la locale e dell’occupazione di posti chiave la propria cifra distintiva. Dilma ha affermato e dimostrato che preferisce nominare direttori tecnici e non politici nelle grandi aziende con-trollate dallo Stato, a partire dalla nomina del presidente della società elettrica Eletrobras Furnas. Il leader del PMDB Henrique Alves ha minacciato di restituire tutti gli incarichi che il partito ha nel governo -a partire dalla vice presidenza- qualora fosse scelto un uomo non suggerito dal partito. Dilma non ha ceduto e ha nominato una persona di sua fiducia, José da Costa Carvalho Neto. La decisione è stata interpretata come un messaggio oltremodo e-splicito circa le intenzioni del nuovo presiden-te di non sottostare a ciò che in Brasile è chiamato “fisiologismo”, cioè uno scambio continuo di favori politici. A febbraio sono in programma diverse votazioni in Congresso, e ci sarà bisogno di una certa dose di mediazio-ne politica e Dilma, a differenza di tutti i pre-sidenti che l’hanno preceduta dal ritorno alla democrazia negli anni ’80, ha poca esperienza di dinamica parlamentare, non essendo mai stata eletta. Dalle prime mosse sembrerebbe intenzionata ad aprire una pagina nuova nei rapporti tra potere legislativo ed esecutivo in Brasile, i cui esiti sono incerti. L’altro fronte sul quale il nuovo governo Dil-ma sta prendendo delle decisioni rilevanti è quello dell’industria della Difesa. In primo luogo c’è l’acquisto dei caccia su-personici, una vicenda che sta tenendo in so-speso la Francia, la Svezia e gli Stati Uniti -con le tre rispettive case Dassault, Saab e Bo-eing. La decisione circa la scelta del fornitore

a cui legarsi per il progetto FX-2, una com-messa da 5 miliardi di euro e un trasferimento di tecnologia fondamentale per il futuro dell’industria aeronautica brasiliana, è attesa da anni, fin dai tempi del governo Cardoso (1994-2002). Tutto lasciava presagire che alla fine l’avrebbero spuntata i francesi Rafale-Dassault, preferiti dal presidente Lula e dal ministero della Difesa nell’ambito di un’articolata partnership economico-militare con la Francia. Quando i giochi sembravano fatti, nel dicembre scorso tuttavia Lula scelse di lasciare la partita nelle mani di Dilma, trat-tandosi di una decisione che avrebbe impe-gnato le casse dello Stato per i decenni suc-cessivi. E a gennaio Dilma ha deciso di riapri-re la gara, tra lo sconcerto degli addetti ai la-vori e in particolare dei francesi che attende-vano solo la conferma della loro vittoria. Il ministro dell’economia Christine Lagarde ha chiesto di tenere in considerazione l’enorme lavoro che è stato svolto fino ad ora e il fatto che il suo paese aveva accettato di assumere importanti impegni in termini di trasferimento di tecnologia al Brasile. Il rinvio della deci-sione è attribuito da un lato alla necessità di ridurre la spesa pubblica e dall’altro al fatto che il nuovo presidente vuole disporre di uno studio minuzioso di tutte le possibili proposte, includendo anche eventuali altri fornitori che erano stati esclusi nel 2008 (in primo luogo si parla della Russia). Questa scelta è stata inter-pretata come ulteriore manifestazione di auto-nomia rispetto all’ex-presidente Lula. Ad ogni modo, è ricominciato il balletto delle lobby per promuovere le diverse proposte. A fine gennaio è stato il turno del senatore americano John McCain, repubblicano, che in una riu-nione con Dilma ha chiesto di considerare l’offerta della Boeing per la fornitura degli F-18 Super Hornet. Un discorso in qualche modo analogo va fatto per il programma di acquisizione di undici nuove unità navali della Marina brasiliana per un valore stimato tra 1,7 e 2,6 miliardi di euro.

Page 56: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

65

Anche in questo caso Dilma ha chiesto tempo per ri-valutare con calma le diverse opzioni. Il contratto iniziale sarà firmato nel 2012, e i canditati sono l’Italia, il Regno Unito, la Germania, la Corea e la Francia. Il program-ma di rimodernamento della flotta navale con l’acquisizione di fregate e pattugliatori di nuova generazione accompagna in termini strategici le attività petrolifere al largo delle coste meridionali del Brasile. Tanto le unità di superficie quanto i sommergibili saranno in-fatti chiamati a difendere da possibili attacchi e attentati le piattaforme della cosiddetta A-mazônia Azul, l’enorme giacimento di gas e petrolio contenuto al di sotto della piattaforma continentale. La Segreteria degli Affari Stra-tegici ha stimato che il picco di intensità della minaccia occorrerà nei prossimi 20 – 25 anni. In conseguenza, le prime fregate dovranno es-sere pronte nel 2018-2019 e i pattugliatori un anno prima. Queste unità fanno parte di un pacchetto completo della Marina militare composto da 61 nuove unità di superficie e cinque sottomarini (uno nucleare e quattro convenzionali). Nel pacchetto figurano appun-to cinque fregate da 6.000 tonnellate con ca-pacità stealth, quattro pattugliatori oceanici, una portaerei da 60.000 tonnellate e una nave

appoggio da 22.000 tonnellate entro il 2030. Il progetto prevede di acquistare da fuori sola-mente le prime unità navali -facendo parteci-pare ai lavori gli ingegneri e i tecnici brasilia-ni- e costruire le altre nei cantieri navali na-zionali. Un’altra priorità della Marina riguarda il sistema di gestione dell’Amazônia Azul chiamato SisgAAZ. Si tratta di un complesso sistema di controllo radar su 4,5 milioni di chilometri quadrati in grado di controllare l’intero specchio d’acqua dei giacimenti di pe-trolio con i suoi 15 miliardi di barili sotto il fondale marino e le 133 piattaforme che lavo-reranno per estrarlo. La sola Petrobras ha an-nunciato un piano di investimenti in questo settore pari a 224 miliardi di dollari nel quin-quenni 2010-2015. Per quanto riguarda i rapporti bilaterali con l’Italia, la decisione di congelare l’accordo di cooperazione in materia di industria della Di-fesa, firmato nell’aprile scorso fintanto che non si sia risolto l’affaire, Battisti rischia ora di annullare la posizione di vantaggio che la Fincantieri aveva nella gara per la fornitura e produzione congiunta delle cinque fregate modello Fremm classe “Carlo Bergamini”, della nave appoggio logistico classe “Etna” e dei quattro pattugliatori oceanici.

Page 57: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

67

Organizzazioni Internazionali e cooperazione centro asiatica

Lorena Di Placido Eventi ►Anche il Kazakhstan dichiara di volersi distaccare dalla rete elettrica centroasiatica Il 6 gennaio la KEGOC (Kazakhstan Electric Grid Operating Company) ha annunciato l’intenzione di distaccarsi dalla rete elettrica che tuttora lega Kazakhstan, Uzbekistan e Kirghizstan, a cau-sa delle difficoltà tecniche dei due vicini meridionali, che frequentemente causano interruzioni nell’erogazione dell’energia. La gravità dell’annuncio va comunque ridimensionata, se si con-sidera che già a dicembre 2009 l’Uzbekistan aveva deciso analogamente, non riuscendo, tutta-via, a praticare il distacco. La rete energetica attualmente utilizzata in Asia Centrale è ancora quella del periodo sovietico e soffre, oltre che di obsolescenza, della fine dei meccanismi di compensazione utilizzati fino al 1991. Al momento, nessuno dei tre paesi citati gode di autosuf-ficienza energetica e tutti rischiano, qualora fallisse del tutto la rete esistente, di trovarsi in se-ria difficoltà. ►Resi noti in Kirghizstan i primi risultati della commissione nazionale d’inchiesta sulle vio-lenze di Osh Il 20 gennaio sono stati resi noti i primi risultati di una commissione nazionale d’inchiesta, composta dagli esperti locali che hanno indagato sulle cause e le modalità di svi-luppo delle violenze che hanno insanguinato Osh, città del Kirghizstan meridionale, tra il 10 e il 14 giugno 2010. Come è già stato ampiamente trattato sul numero Febbraio-Settembre 2010 dell’Osservatorio Strategico, una profonda crisi istituzionale ha interessato il Kirghizstan a partire dal 7 aprile, data nella quale sono scoppiate massicce manifestazioni di protesta nella capitale, Bishkek, in seguito alle quali il presidente Bakiev si è dato alla fuga. Nella sua città natale, Osh, un latente focolaio di tensione è esploso il 10 giugno. Secondo stime diffuse a set-tembre 2010, le violenze scatenatesi tra forze di polizia (con assoluta prevalenza di poliziotti di etnia kirghiza) e popolazione uzbeka hanno prodotto circa 3 mila vittime e costretto alla fuga circa 130 mila persone, che si sono rifugiate oltreconfine, in Uzbekistan. I dati resi noti ora dal-la commissione d’inchiesta nazionale risultano sostanzialmente difformi relativamente al nume-ro dei morti, che sarebbe stato valutato in 426 complessivi, 276 dei quali uzbeki e 105 kirghizi. Inoltre, dall’esito delle indagini emergerebbe che la presidente ad interim, Roza Otunbaeva, fosse al corrente del rischio di instabilità e violenza nel sud del paese e che lo avesse minimiz-zato, mentre esponenti governativi avrebbero ignorato volutamente quanto stava accadendo, addirittura istigando alla violenza. Non attribuendo a nessun gruppo etnico in particolare la responsabilità di quanto avvenuto, riguardo alle forze promotrici delle violenze, l’inchiesta i-dentifica in un imprenditore di origine uzbeka, con intento separatista, e nell’influenza dello stesso presidente fuggiasco Kurmanbek Bakiev i presumibili ispiratori dei fatti di Osh. I risulta-ti parziali dell’inchiesta non hanno, però, soddisfatto alcuni dei propri membri, che si sono ri-

Page 58: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°11 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

68

fiutati di firmare il rapporto. Accanto all’attività di indagine della commissione nazionale, an-che una commissione internazionale di esperti, con a capo il deputato finlandese Kimmo Kiliu-nen, sta svolgendo una parallela inchiesta, che dovrebbe esporre le proprie conclusioni entro il mese di marzo 2011. Fonti kirghize della Jamestown Foundation sostengono che su due punti vi sia una comunanza di visione da parte sia della maggioranza kirghiza che della minoranza u-zbeka residenti in Osh: il presidente ad interim era nelle condizioni di intervenire fin dal primo giorno di violenze e non lo ha fatto; il vero ispiratore di quanto avvenuto, probabilmente, non è più nel paese. ►Il Tagikistan cede parte del proprio territorio alla Cina Il 27 gennaio è stata annunciata dal-le autorità tagiche l’intenzione di concedere in affitto 2 mila ettari di terra alla repubblica au-tonoma cinese del Xinjiang Uighur e di venderne 1100 chilometri quadrati (circa l’1% del ter-ritorio nazionale) alla Cina. La notizia dell’arrivo di circa 1500 contadini cinesi nei distretti di Kumsagir e Bokhtar, nella provincia meridionale di Khatlon, rischia di fomentare il già profon-do malcontento popolare, dovuto a una difficile situazione economica che ha indotto circa la metà della forza lavoro maschile a emigrare in Russia o in Kazakhstan. Secondo fonti del mini-stero dell’Agricoltura tagico, l’arrivo dei cinesi recherà miglioramenti sia nella rete di irriga-zione che nelle tecniche agricole utilizzate, mentre sociologi locali notano che quei contadini andranno a riempire il vuoto lasciato nelle campagne dai lavoratori migranti. Considerando che il Tagikistan è un paese montuoso per il 93% e coltivabile solo per il 7%, si comprende quanto sia elevato l’impatto emotivo generato dalle recenti decisioni, proprio mentre si rileva che la presenza cinese è in costante aumento. Negli anni più recenti, la Cina ha investito in Ta-gikistan circa 4 miliardi di dollari in progetti per i quali ha utilizzato forza lavoro propria, cre-sciuta dalle 30 mila unità del 2007 (impegnate nella costruzione di strade e impianti elettrici o nel settore minerario) alle circa 82 mila del 2010. Molti lavoratori cinesi sono rimasti a vivere nel paese e hanno sposato donne tagiche. Dal canto suo, a fine gennaio 2010, il presidente ka-zako Nazarbaev ha tentato di riaprire con la Cina trattative analoghe, suscitando la decisa op-posizione di ampie fasce di popolazion, assolutamente contrarie a cedere in affitto a stranieri la propria terra, poiché comunemente ritenuto un vero r proprio trasferimento di sovranità. Già nel corso del 2009 Nazarbaev aveva negoziato per affittare alla Cina un milione di chilometri quadrati di territorio kazako da destinare a coltivazioni agricole, dovendo poi abbandonare il progetto a causa di diffuse manifestazioni popolari di protesta. ►Si aprono in Kazakhstan i giochi invernali asiatici Il 30 gennaio si sono aperti i giochi in-vernali asiatici, che riuniscono nelle città di Astana e Almaty circa 1100 atleti di 27 paesi. Il costo degli investimenti per la costruzione dei nuovi impianti e la ristrutturazione dei vecchi si aggira intorno ai 300 milioni di dollari.

RINNOVATI CONTATTI CON L’UNIONE EUROPEA

l 2011 si è aperto con interessanti incontri bi-laterali tra l’Unione Europea e Turkmenistan e Uzbekistan, due elementi di rilievo nello scenario centroasiatico dai punti di vista e-

nergetico e di sicurezza. Sarà interessante se-guire gli ulteriori sviluppi sia del rilancio del-la cooperazione in ambito energetico sia dell’eventuale rinnovato indirizzo delle rela-

Page 59: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

69

zioni con l’Uzbekistan, tenuto sotto particola-re attenzione per quanto riguarda l’ambito dei diritti umani. Entrambi i paesi rivestono una particolare importanza strategica per il supporto logistico ad ISAF. Visita di Karimov a Bruxelles Dopo un periodo di gelo nelle relazioni bilate-rali, seguito ai sanguinosi fatti di Andijan, e in seguito al varo della Strategia europea per l’Asia Centrale nel giugno del 2007, simboli-ca data che segna l’espansione della politica europea di vicinato fino alle porte della Cina, il presidente uzbeko Karimov si è recato a Bruxelles per una visita presso le istituzioni europee. Il 24 e 25 gennaio ha avuto incontri con il presidente della Commissione Barroso e il commissario per l’energia Oettinger, con i quali ha siglato un accordo in materia energe-tica e per l’apertura di una delegazione della UE a Tashkent. Barroso ha sollevato la que-stione dei diritti umani, sia denunciando di-versi casi di attivisti imprigionati sia chieden-do l’apertura nel paese di una sede dello Hu-man Right Watch e dell’ILO (International Labour Organization), al fine di monitorare il lavoro infantile e minorile ancora diffuso nelle campagne. Senz’altro l’ombra di quanto av-venuto in Andijan il 13 maggio del 2005 aleg-gia ancora sul paese, condizionandone reputa-zione e considerazione a livello internaziona-le. Della repressione massiccia e violenta del-la polizia sulla popolazione che, dopo aver li-berato un gruppo di detenuti della locale pri-gione, scese nelle strade animando una prote-sta, non se ne conoscono ancora l’effettiva portata né le vittime civili che ha lasciato sul terreno. Karimov si è sempre rifiutato di ac-cettare una commissione indipendente di in-chiesta che consentisse di accertare i fatti, trincerandosi, piuttosto, sotto l’ala protettrice degli alleati regionali, Russia e Cina, che ne hanno sostenuto l’intervento. Ne è derivato un periodo di isolamento internazionale dell’U-zbekistan, durato all’incirca quattro anni. La sua posizione strategica al confine settentrio-

nale dell’Afghanistan lo rende un alleato inte-ressante e prezioso. La coalizione attiva in teatro operativo ha, quindi, solo temporanea-mente fatto a meno di una delle due basi con-cesse in locazione: mentre Termez rimaneva ai Tedeschi, di Karshi Khanabad (K2) veniva chiesto lo sgombero, per poi concedere, a primavera 2009, l’affitto della base aerea di Navoi. Anche la questione dei diritti umani, nelle sue varie declinazioni, resta aperta nel paese. In particolare, sta suscitando un dibattito sempre più acceso il lavoro minorile, talvolta anche di bambini in tenera età, impiegato soprattutto nella raccolta del cotone, del quale l’U-zbekistan è uno dei principali produttori mon-diali. Nei mesi di settembre e ottobre tutta la popolazione rurale viene impegnata nella rac-colta e anche gli studenti universitari delle a-ree di provincia vengono cooptati, secondo un modello che ricorda molto quanto organizzato durante il periodo sovietico per i lavori sta-gionali, ma senza le garanzie sanitarie e di al-loggio di allora. La eco internazionale del de-ficit democratico e di tutela dei diritti dell’uomo vissuto in Uzbekistan ha fatto sì che la visita del presidente venisse accompa-gnata dalla protesta di numerose OnG. Barroso e Oettinger in visita ad Ashgabat Il 14 e 15 gennaio il presidente della Commis-sione Europea Jose Manuel Barroso e il com-missario per l’Energia Guenter Oettinger si sono recati ad Ashgabat. Precedente tappa del viaggio era stato l’Azerbaigian, dove i rappre-sentanti europei hanno concluso un accordo per l’adesione del paese al progetto Southern Gas Corridor, per il quale anche il presidente turkmeno ha manifestato interesse. In partico-lare, nel corso della visita ad Ashgabat Ber-dimuhammedov ha ottenuto il sostegno euro-peo per la realizzazione del gasdotto trans ca-spico, proponendo anche, dal canto suo, di trasportare con petroliere gas naturale com-presso in Azerbaigian, dove verrebbe decom-presso per il successivo trasporto in Europa

Page 60: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°11 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

70

attraverso il Southern Corridor. L’opzione preferita dal Turkmenistan resta, comunque, quella della costruzione di una pipeline trans caspica, finora osteggiata da Russia e Iran, se-condo i quali anche i progetti che interessano solo due stati rivieraschi dovrebbero essere realizzati con l’approvazione di tutti gli altri. Secondo Berdimuhammedov tale opposizione potrebbe essere facilmente superata se anche imprese russe partecipassero alla gara per la realizzazione della pipeline. UE e Turkmeni-stan hanno, infine, concluso un accordo per la vendita di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno all’Europa, subordinato, però, alla soluzione di taluni problemi tecnico legali. Va segnalato un crescente interesse anche da par-te turkmena nel rinsaldare i rapporti con le i-stituzioni europee, sintetizzato nella prossima costituzione di un comitato di cooperazione bilaterale (che sosterrà il Turkmenistan nell’accesso al WTO) e in più frequenti con-tatti politici, che potrebbero essere favoriti dalla presenza di una delegazione permanente della UE nel paese. L’Unione Europea e il Turkmenistan hanno siglato un accordo di cooperazione (Partnership Cooperation Agreement-PCA) nel 1998. Sulla base di un approccio comune con tutti i paesi dell’ex Unione Sovietica, esso stabilisce una cornice legale per il dialogo in ambito politico ed economico, teso al soste-gno delle riforme democratiche e dello svi-luppo del libero mercato. Finora, la sua entra-ta in vigore è stata congelata a causa dell’in-certa situazione politica interna e delle caren-ze nell’ambito dei diritti umani. Il 26 gennaio il Comitato per gli Affari Esteri del Parlamen-to Europeo ha adottato una mozione di risolu-zione e una raccomandazione per sbloccarne l’operatività, in vista di una votazione plenaria che si avrà a maggio 2011, dopo la visita di una delegazione parlamentare in Turkmeni-stan. La concreta attuazione del PCA avvierà la cooperazione con Bruxelles in materia di democrazia e diritti umani. Nel Parlamento

Europeo è anche allo studio la possibilità di istituire un meccanismo di controllo dello svi-luppo democratico turkmeno, così da poter eventualmente sospendere il PCA qualora si notassero gravi inadempienze (come proposto nel corso del dibattito parlamentare del 25 gennaio 2011). Il presidente della delegazione parlamentare della UE per le relazioni con l’Asia Centrale, Paolo Bartolozzi, ha sostenu-to che il PCA è il mezzo migliore per sostene-re una cultura dei diritti umani e che, coinvol-gendo quei paesi da un punto di vista econo-mico, si può chiedere di più rispetto ai diritti fondamentali. La fine della “neutralità permanente” Anche se non si è avuta alcuna formalizzazio-ne in termini legali, l’orientamento della pre-sidenza di Berdymuhammedov ha sostanzial-mente superato il principio della “neutralità permanente” del Turkmenistan, fortemente sostenuto dal defunto presidente Nyazov. Benché fin dalla sua indipendenza il paese abbia vissuto in un sostanziale isolamento, ri-fiutando di partecipare ad alleanze militari, negli ultimi anni ha prestato un certo sostegno logistico ad ISAF e alla coalizione attiva in Afghanistan. A prescindere dalla questione dell’utilizzo della base di Mary, che sembre-rebbe essere superata dopo l’apertura di Ba-gram, il Turkmenistan, insieme all’Azer-baigian, continua ad essere un irrinunciabile fornitore di carburante. La partecipazione di entrambi i paesi alla Partnership for Peace, in-fatti, rende possibile la vendita di carburante per uso militare al governo americano e ai suoi contractors senza che vengano pagati da-zi o tasse. L’aviazione americana utilizza in-frastrutture e spazio aereo turkmeni fin dal 2002, e l’aeroporto di Ashgabat è un bub per le operazioni che coinvolgono gli aerei da tra-sporto C5 e C-17. Attualmente, una società con base a Miami, la World Fuel Service, de-tiene un contratto triennale da 11 milioni di dollari per i servizi di rifornimento di

Page 61: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

71

quell’aeroporto. Azerbaigian e Turkmenistan sono i maggiori esportatori di carburante nelle strutture americane in Afghanistan. La situazione con il Kirghizstan, anch’esso membro della Partnership for Peace, e, quindi, tenuto a non applicare tassazione alcuna al carburante destinato a rifornire gli aerei in transito per Manas, si è, invece, deteriorata. Nel corso di una riunione di lavoro del 14 gennaio 2011, rappresentanti del governo kir-ghiso hanno proposto a ufficiali americani e dirigenti della Mina Corp., la società che ri-fornisce di carburante Manas, di versare un’accisa di 55 dollari per ogni tonnellata di carburante o 100 dollari di contributo volonta-rio per tonnellata direttamente nelle casse sta-tali. Il portavoce dell’ambasciata americana a Bishkek riferisce a Radio Free Europe che se-condo gli accordi bilaterali conclusi nel 2009, relativamente all’affitto e alle condizioni di utilizzo del centro di transito di Manas, l’acquisto di articoli o servizi sul territorio della Repubblica kirghiza, da o per conto del governo americano, è esente da tasse, dazi o analoghe imposizioni; il pagamento di un’accisa sul carburante comprometterebbe in modo “vitale” la funzionalità di Manas in qua-lità di hub per le operazioni americane e NA-TO in Afghanistan. Attualmente il carburante viene fornito dalla Mina Corp. e, dai primi di gennaio 2011, anche dalla compagnia di stato appositamente costituita di recente, la Manas Refueling Complex (MRFC). A maggio 2010 la presidente ad interim, Roza Otunbaeva, a-veva già avanzato la proposta del pagamento di una tassa per il carburante utilizzato a Ma-nas, scontrandosi con la netta opposizione americana. In seguito, a causa dei forti sospet-ti di corruzione intorno ai rifornimenti di car-burante, che avevano come protagonisti per

sone molto vicine al presidente fuggiasco, Bakiev (si veda l’Osservatorio Strategico di novembre 2010), il governo provvisorio kir-ghiso ha deciso di istituire un’apposita azien-da di stato, libera dai condizionamenti della gestione precedente. Per il momento tale a-genzia sta avviando la propria attività, mentre la Mina Corp ha iniziato ad acquistare il car-burante direttamente dalla Gazprom Neft A-sia, divenendo un intermediario tra quest’ul-tima e la MRFC. Conclusioni L’Uzbekistan, benché presenti innegabili cri-ticità riguardo agli standard di democrazia e rispetto dei diritti umani, resta un alleato stra-tegico per i rifornimenti ad ISAF ed Enduring Freedom, in quanto primo anello della rete di supporto logistico a nord dell’Afghanistan, la Northern Distribution Network. Il Turkmeni-stan, che presenta una situazione interna del tutto simile all’Uzbekistan, è, dal canto suo, un elemento imprescindibile per la differen-ziazione delle rotte per l’approvvigionamento energetico europeo e, quindi, un partner natu-rale degli ambiziosi progetti di affrancamento dal monopolio del fornitore russo. Su tutto grava, comunque, l’intenzione europea di su-bordinare in una certa misura le relazioni eco-nomiche agli standard democratici e delle li-bertà civili vissute all’interno di quei paesi, fortemente restii a lasciarsi giudicare per lo stile di governo. Finora, chi, come gli Ameri-cani, ha impostato in tal senso le relazioni con i centroasiatici ha ottenuto solo reazioni di chiusura. Resta da vedere se l’approccio euro-peo e quello che l’UE sa offrire in termini di partenariato possono diventare moneta di scambio realmente spendibile.

Page 62: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

73

Settore Energetico

Gerardo Iovane Eventi ►E’ l’Iran alla guida dell’OPEC: mentre le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, l’Australia, il Giap-pone ed altri Paesi Occidentali cercano di fermare con mezzi e sanzioni diverse l’ambigua poli-tica iraniana sul programma nucleare, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio – meglio conosciuta come OPEC – affida all’Iran la Presidenza dell’Organizzazione . ►Cambio al vertice dell’Authority per l’energia ed il gas: Il Consiglio dei ministri ha nomina-to il nuovo presidente dell’Authority. Guido Bortoni succederà ad Alessandro Ortis e sarà af-fiancato dai componenti Carbone, Colicchio e Valeria Termini. ►Confindustria Energia, Assoelettrica e Federutility lanciano l’Osservatorio su Energia, Acqua e Ambiente: le tre associazioni che hanno al loro interno tutte le imprese che in Italia operano nel settore energia hanno avviato un Osservatorio che sarà lo strumento di monitorag-gio legislativo, tecnologico e di scenario sui temi dell’energia, dell’acqua e dell’ambiente. ►Il gas dal Turkmenistan viaggia verso la Cina: Il Turkmenistan all’inizio dell’anno ha di-chiarato di aver completato la pipeline Turkmenistan-Uzbekistan-Kazakhstan-Cina e il ramo Turkmenistan-Iran e di essere pronto adesso a dedicarsi allo sviluppo del gasdotto per garanti-re rifornimenti di gas in Europa. ►Il presidente dell’UE Barroso ed il presidente dell’Azerbaijan Aliyev insieme per il gas at-traverso il Mar Caspio: La sicurezza degli approvvigionamenti europei non può dipendere e-sclusivamente dal gas russo e dalla pipeline ucraina-bielorussa, così il presidente Barroso si è recato in Azerbaijan e Turkmenistan per siglare una dichiarazione di intenti sulla creazione di un corridoio Sud che attraversi il Mar Caspio per rifornire l’Europa. ►L’Uranio cinese basterà per 3000 anni: è di gennaio la notizia che un gruppo di ricercatori cinesi ha trovato il sistema per riciclare il combustibile nucleare in modo tale che le risorse ci-nesi di uranio possano durare per un periodo di addirittura 3000 anni. ►Romani e Prodi intervengono pubblicamente con posizioni diverse sul nucleare: mentre Romani e Veronesi affermano che non è immaginabile un futuro energetico in Italia senza il nu-cleare e che si stanno ponendo in essere tutte le azioni necessarie per l’avvio delle attività, Ro-mano Prodi afferma che il treno del nucleare è ormai come “un treno perso a cui è difficile stargli dietro”. ►In Italia cresce il comparto delle rinnovabili e la Cina migliora del 20% la sua efficienza energetica: mentre l’Istat in “Noi Italia” presenta un Paese che si sta adoperando affinché si risparmi energia, posizionandosi così innanzi a Germania e Francia, la Cina contrariamente al passato cresce preoccupandosi anche dell’ambiente tanto è che negli ultimi 5 anni ha realizzato un miglioramento dell’efficienza energetica del 20%.

Page 63: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

74

IL PETROLIO RICOMINCIA AD OSCILLARE AL RIALZO E L’OPEC AFFIDA LA PRESIDENZA ALL’IRAN1

Il 2011 vede a fine gennaio, dopo piccole o-scillazioni, l’assestamento del costo di un ba-rile di petrolio a circa 89 dollari; ciò vuol dire che, rispetto allo stesso periodo del 2010, in un anno vi è stata una lieve crescita pari al 5% circa e le stime attuali vorrebbero una crescita a fine anno di un ulteriore 4-5%, anche se al-cuni esperti, come Vittorio D’Ermo – Diretto-re dell’Osservatorio energia AIEE – Associa-zione Italiana Economisti dell’Energia, intra-vedono il pericolo di un innalzamento dei co-sti legato ad una crescita della richiesta cinese e ad una ripresa della richiesta degli Stati Uni-ti2. Tale innalzamento potrebbe portare il co-sto a toccare anche i 100 dollari a barile. Al-cuni analisti di mercato hanno evidenziato come la volatilità del prezzo del greggio sia legata all’aumento della domanda di Cina ed India; la Cina, infatti, sta evidenziando il più elevato tasso di crescita della domanda di pe-trolio e derivati classificandosi seconda solo agli Stati Uniti. Di fatto dall’analisi che ripor-tiamo qui di seguito e presentata da K.C.Chen, Shaoling Chen e Lifan Wu nell’articolo “Prezzi del petrolio: relazioni casuali tra Cina e mercati petroliferi mondiali” appare eviden-te che anche le forti variazioni del 2008 che fecero arrivare il costo a barile al record di 147 dollari erano legate non solo all’aumento della domanda, ma anche a problemi geopoli-tici in aree produttive, intensa attività specula-tiva sui mercati, interesse di investitori, ecc. L’analisi dei suddetti autori, quindi, invita ad essere cauti nell’assegnare eventuali fluttua-zioni al rialzo al solo aumento della domanda, anzi evidenziano come di fatto accada il con-trario, ovvero “i due produttori OPEC, Arabia Saudita ed Iran sono la principale fonte di va-riazione del prezzo sul mercato petrolifero ci-nese; più nello specifico l’Arabia Saudita non

solo influenza direttamente il prezzo del pe-trolio sul mercato cinese ma trasmette anche le sue variazioni di prezzo per il tramite del mercato USA; l’Iran invece ha solo un effetto indiretto sul prezzo del petrolio in Cina”3

Forse, però, la notizia più interessante di ini-zio 2011 nel comparto petrolifero è stata la nuova Presidenza dell’OPEC. L’Organiz-zazione dei Paesi Esportatori di Petrolio ha, infatti, affidato all’Iran la Presidenza dell’Or-ganizzazione. Al fine di meglio comprendere il ruolo di tale scelta in ambito strategico è utile analizzare gli aspetti fondanti, costitutivi ed attuativi dell’Organizzazione. Fondata nel 1960 l’OPEC oggi conta tredici membri, quali Algeria, Angola, Gabon Libia e Nigeria in A-frica, Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudi-ta, Emirati Arabi Uniti in Medio Oriente, In-donesia in Asia, Ecuador e Venezuela in Sud America. Ciò vuol dire che se incrociamo tali dati con quelli relativi ai primi dieci Stati pro-duttori di petrolio – tra cui l’Arabia Saudita al primo posto con circa 492 milioni di tonnella-te ed il 12.7% di produzione annua, l’Iran al secondo posto con circa 456 milioni di tonnel-late e l’11.7% l’anno, l’Iraq al quarto posto con circa 203 milioni di tonnellate ed il 5,2%, il Venezuela al settimo posto con circa 153 milioni di tonnellate ed il 3,9% e la Nigeria al decimo posto con 129 milioni di tonnellate e circa il 3,3% – si arriva facilmente a circa il 36,8%; tanto è infatti che i Paesi OPEC con-trollano oltre il 70% delle riserve planetarie di petrolio, fornendo circa il 42% della produ-zione. Va aggiunto, inoltre, che gli stessi Paesi dell’OPEC controllano anche il 50% delle ri-serve di gas naturale producendone oltre il 17% del mercato mondiale

.

4. E’ evidente allo-ra come l’OPEC, formando un vero e proprio cartello economico per la negoziazione con le

Page 64: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

75

compagnie petrolifere di tutto quanto concer-ne i costi, la produzione, i prezzi e le conces-sioni, rappresenti un reale centro di potere an-che e soprattutto nei confronti delle superpo-tenze economiche statuali che necessitano di tale fonte di energia per tutte le attività sociali, economiche e industriali. In questo scenario deve essere inquadrata la nuova presidenza assunta dal primo gennaio del 2011 da parte dell’Iran. Era dal 1975 che l’Iran non aveva la presidenza, quindi da oltre 36 anni, e ciò deve far riflettere, visto che tale presidenza ricade proprio nel periodo in cui sono in atto significative attività miranti all’isolamento dell’Iran a causa delle decisioni di Teheran di proseguire il suo ambiguo pro-gramma sul nucleare. A tale proposito è utile ricordare alcuni inter-venti contro Teheran tra cui quello del sotto-segretario di Stato USA che a Washington il 14 aprile 2010 dichiarava la necessità che gli Stati Uniti promuovessero al Consiglio di Si-curezza delle Nazioni Unite “con senso di ur-genza nuovi pacchetti di sanzioni per l’Iran cercando di avere una risoluzione con sanzio-ni il più dura possibile ed il più velocemente possibile”5. Successivamente, lo stesso presi-dente Obama, al Congresso, ai primi di luglio 2010 si esprimeva con parole dure, afferman-do “Colpiamo al cuore le capacità del governo iraniano di finanziare e perseguire i suoi pro-grammi nucleari e mostriamo che le sue azio-ni hanno delle conseguenze e che se insisterà sulle sue posizioni la pressione internazionale non farà che aumentare, così come il suo iso-lamento”. Anche l’Unione Europea, il Canada e l’Australia si sono mosse nella stessa dire-zione tanto da costringere il ministro degli E-steri iraniano Manouchehr Mottaki a protesta-re all’ONU e innanzi ai Ministeri degli Esteri dell’Unione Europea. Nel suo complesso le misure restrittive e di isolamento contro l’Iran ed il suo programma di arricchimento dell’u-ranio hanno riguardato l’approv-vigionamento di benzina ed altri combustibili - poiché l’Iran nonostante la sua produzione di petrolio non

possiede un numero adeguato di raffinerie - e l’indebolimento dei rapporti tra banche e so-cietà estere che intrattengono rapporti con l’Iran6

Ciò comunque non è stato sufficiente a dis-suadere il Governo iraniano ad interrompere il programma di arricchimento dell’uranio, atti-vità tipicamente prodromica alla costruzione di armi nucleari. Infatti al G20 lo scorso 24 gennaio, il presidente Francese Sarkozy ha af-fermato “dobbiamo rafforzare le sanzioni con-tro l’Iran” a seguito del fallimento dei nego-ziati di Istanbul sul programma nucleare. Se-condo il presidente Francese “le sanzioni stanno iniziando a produrre i loro effetti” ed è quindi necessario continuare in tale direzione

.

7. Anche il nostro Governo si è dichiarato più volte favorevole all’inasprimento delle san-zioni contro l’Iran, tanto da suscitare la rabbia degli iraniani che hanno definito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi “un servo d’Israele”8. Diversa è invece al momento la posizione della Cina; infatti, l’alto dirigente del Partito Comunista Cinese Li Changchun recandosi in visita a Teheran a settembre 2010 ribadiva che “la Cina sostiene il diritto legit-timo dell’Iran, quale firmatario del trattato di non proliferazione nucleare, ad utilizzare l’energia nucleare per scopi pacifici ed è for-temente contraria alle sanzioni unilaterali e alla pressione esercitata dai Paesi occidentali e dagli USA sull’Iran, per il suo programma nu-cleare”9. Va aggiunto, però, che la Cina sta correndo ai ripari da eventuali difficoltà di approvvigionamento dall’Iran; infatti, dal primo gennaio è stato avviato l’oleodotto che, connettendo Siberia orientale e Nord Est della Cina, sarà in grado di portare nel Paese 15 mi-lioni di tonnellate di greggio all’anno. Ma l’aspetto più importante di tale dato non è nel-le quantità, quanto nella qualità. Detto in altre parole, il greggio andrà ad alimentare raffine-rie cinesi e la Cina si proietterà nel mercato della produzione degli idrocarburi. La doman-da è: con quale forza produttiva? Dobbiamo aspettarci la stessa invasività che abbiamo

Page 65: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

76

sperimentato in altri comparti produttivi? Il capo della National Energy Administration, che rappresenta l’ente nazionale responsabile delle politiche energetiche cinesi, lo scorso 6 gennaio ha annunciato che la Cina raggiunge-rà i 600 milioni di tonnellate annue di greggio nei prossimi cinque anni e che nel 2015 sarà in grado di raffinare 12 milioni di barili al giorno. Questi numeri devono davvero far ri-flettere se questa sia la strada giusta oppure se valga la pena perseguire su scala planetaria con più efficacia lo sviluppo di tecnologie per l’energia rinnovabile. Di fatto la Presidenza dell’OPEC potrebbe giocare un ruolo rilevante nell’attuale scenario, poiché da un lato vi è il rischio che le tensioni con l’Iran possano essere riflesse anche sull’OPEC e dall’altro i consigli dell’OPEC all’Iran potrebbero portare il Presidente ira-niano ad una migliore disponibilità negoziale. Il 2011 quindi potrebbe rappresentare un anno importante e di svolta sulla tensione iraniana. Gli idrocarburi e l’ambiente: il petrolio ed il gas i protagonisti di inizio 2011 Come riportato da Steve Sorrell della Sussex University nel suo studio sullo scenario futuro del contesto petrolifero, il petrolio è l’indiscusso dominatore delle economie mo-derne e proprio per questo esistono molti ana-listi che invece di considerare il presente si impegnano ad effettuare analisi di scenario a breve, medio e lungo periodo10

Relativamente alle piattaforme off-shore se il disastro della Louisiana aveva aperto gli occhi sui rischi di una ricerca in profondità di idro-carburi, presto i media hanno spento i riflettori e tutti si sono apparentemente sentiti più tran-quilli. Ma proprio a inizio anno, il 3 gennaio, una piattaforma della Exxon Mobil nel Golfo del Messico ha prodotto una fuga di gas riatti-vando l’attenzione del Centro Emergenze USA.

. Dall’analisi strategica di tale studio emerge chiaramente che la domanda mondiale di petrolio continua a crescere rapidamente per due principali fat-tori: la crescita del mercato cinese e indiano di veicoli, lo sviluppo delle economie dell’area Sud-Mediterranea e Nord Africana. Altro e-lemento strategico di analisi è capire come ta-le crescita impatti sulla richiesta di idrocarburi e, nello specifico, di petrolio. Dalle stime e-merge che ogni anno circa il 4% della capacità produttiva deve essere rimpiazzata a causa del declino o dell’esaurimento delle risorse estrat-te. Ulteriore elemento è l’analisi geostrategica

della distribuzione dei campi petroliferi. Sep-pure essi in totale siano circa 70.000, la metà della produzione è concentrata in circa un centinaio di campi, un quinto della produzione proviene da soli dieci campi ed il 6% della produzione viene dal solo giacimento Ghawar in Arabia Saudita. Questi elementi ci portano alla naturale conclusione che stiamo consu-mando il greggio più facilmente reperibile e che i produttori col passare degli anni, per ri-spondere alla domanda, dovranno spendere sempre di più da un lato e dall’altro - quello della produzione off-shore – assumersi per sé e per la collettività sempre maggiori rischi. Il declino di tale risorsa è quindi posticipabile ma non eliminabile.

Anche sul comparto gas quindi il 2011 è co-minciato con significative iniziative. Il Turkmenistan all’inizio dell’anno ha dichia-rato di essere pronto adesso a dedicarsi allo sviluppo di gasdotti per garantire rifornimenti di gas in Europa. Intanto, proprio nello stesso periodo, il Presidente Barroso e il commissa-rio per l’energia Oettinger si sono recati in Azerbaijan e Turkmenistan per definire policy di sicurezza energetica per l’Europa, riducen-do la dipendenza europea del gas che arriva dalla Russia, seguendo la via dell’Ucraina e della Bielorussia, anche grazie al gasdotto che attraversa il Mar Caspio. Inoltre, sia l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Sca-roni, che il presidente di Confindustria Mar-cegaglia a conclusione del meeting italo-tedesco hanno affermato l’opportunità per l’Italia, la Francia e la Germania di acquistare congiuntamente il gas per migliorare le condi-

Page 66: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

77

zioni di competitività dei rispettivi Paesi. Ma la maggior parte dei Governi, tra cui quel-li della UE e gli USA, stanno tanto spingendo sull’efficienza energetica e sulle energie rin-novabili poiché evidentemente la soluzione è nel mix energetico. La domanda quindi è: si farà in tempo e soprattutto quali sono le azioni che nei diversi Paesi si stanno ponendo in es-sere al fine dell’attuazione del piano 20, 20, 20 entro il 2020? Efficienza Energetica ed Energie Rinnova-bili da un lato e nucleare dall’altro: altre due facce della scena del 2011 Mentre ai primi di gennaio è arrivata la notizia che alcuni scienziati cinesi hanno realizzato un sistema innovativo per riprocessare e quin-di riciclare il combustibile nucleare in modo tale che le risorse cinesi di uranio possano du-rare per un periodo di addirittura 3000 anni, in Italia il ricorso al nucleare continua ad essere oggetto di discussione. Tanto è, infatti, che il neo presidente dell’Agenzia sulla Sicurezza Nucleare Umberto Veronesi intervenendo al convegno “Energia Nucleare in Italia” ha evi-denziato come sia “difficile immaginare un futuro senza nucleare” 11 . Anche il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, la pensa allo stesso modo e proattivamente, al termine di un incontro con il ministro dell’Industria francese, Eric Besson, ha affer-mato: “Abbiamo discusso di nucleare, della cooperazione tra Enel ed Edf ”12. Ma Romano Prodi la pensa diversamente. Infatti, alla pre-sentazione del libro di Alberto Clò intitolato “Si fa presto a dire nucleare”, il già presidente del Consiglio Prodi ha affermato: “il treno del nucleare lo abbiamo perso e quando si è perso un treno è molto difficile corrergli dietro”13

Intanto, l’efficienza energetica e le energie rinnovabili non restano a guardare; infatti, si susseguono le iniziative in tale settore. Per Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, l’efficienza energeti-ca merita il primo posto nel 2011, poiché oltre al positivo impatto sull’ambiente può essere un volano per lo sviluppo economico tale da creare un milione e seicentomila nuovi posti di lavoro. Per Ronchi l’investimento richiesto è di 16,7 miliardi di euro di incentivi pubblici, così come dichiarato da Confindustria, a fron-te di un risparmio ben superiore e pari a 25,6 miliardi di euro

. Da queste brevissime frasi si comprende come la politica si stia separando sul tema del nu-cleare; dobbiamo attenderci quindi un dibatti-to che speriamo porti a scelte oculate più che a contrasti politici e che soprattutto permetta al Paese di essere più competitivo, senza ne-

cessariamente rinunciare alla sicurezza, alla conservazione dell’ambiente ed alla valoriz-zazione del territorio.

14

Ancora rimanendo nello scenario internazio-nale è utile concludere facendo un riferimento alla Cina. Seppure in passato si era preoccupa-ta soprattutto della crescita anche a discapito dell’ambiente, va evidenziato che il Governo cinese ha reso noto che nel periodo 2006-2010 la Cina si è impegnata sul rapporto tra quanti-tà di energia consumata e prodotto interno lordo, ovvero l’efficienza o il parametro di in-tensità energetica, con un miglioramento netto del 20%, mostrandosi così davvero un’econo-mia in grado di crescere facendo attenzione all’ambiente, all’habitat ed alle condizioni di miglioramento della qualità della vita.

. Intanto, la Puglia sta diven-tando una regione virtuosa dal punto di vista delle rinnovabili, visto che si registra un au-mento del 50% del numero di impianti instal-lati nel solo 2010; anche la Campania, la Basi-licata, la Calabria e la Sicilia sembrano mo-strarsi attive in uno scenario complessivamen-te in crescita in modo abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale. Nello specifico, in “Noi Italia” l’Istat fotografa l’Italia come uno dei paesi europei con minori consumi pro capite di energia elettrica, immediatamente dietro la Spagna e davanti a Germania e Fran-cia.

Page 67: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

78

1 Il presente articolo ha usato come fonte principale le news di http://www.agienergia.it/ 2 http://www.aiee.it 3 K.C.Chen, Shaoling Chen e Lifan Wu, Price causal relations between China and the world oil markets, Global Finance Journal, 10, 6, 2009, ripreso e riportato in italiano“Prezzi del petrolio: relazioni casuali tra Cina e mercati petroliferi mondiali”, al link http://www.agienergia.it/Notizia.aspx?idd=597&id=36&ante=0. 4 http://it.wikipedia.org 5 http://www.adnkronos.com 6 http://www.terranews.it 7 http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com 8 http://www.libero-news.it 9 http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/?p=334 10 S.Sorrell et al., Oil futures: a comparison of global supplì forecasts, Energy Policy, 38, 4990-5003, 2010. 11 http://www.onegreentech.it 12 http://www.ilsecoloxix.it 13 http://www.ecoblog.it 14 http://www.energiafocus.it

Page 68: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

79

Organizzazioni Internazionali

Valerio Bosco Eventi ►Il 14 gennaio il Rappresentante Speciale del Segretario Generale per la Somalia (Special Representative of the Secretary-General, SRSG), il tanzaniano Augustine Mahiga, ha svolto il suo periodico briefing sulla situazione del Paese presso il Consiglio di Sicurezza (CdS). Mahiga ha aggiornato il CdS sugli sforzi condotti per garantire il coordinamento tra lo UN Country Team – il pool di agenzie e strutture del palazzo di vetro impegnate nell’assistenza umanitaria e nel sostegno al governo di Mogadiscio - e lo United Nations Support Office for AMISOM (UNSOA), l’ufficio chiamato a realizzare il supporto logistico onusiano alla forza di pace dell’Unione Africana. Mahiga, sottolineando le difficoltà registrate dall’organizzazione nell’attrarre personale da dispiegare in un teatro operativo pericoloso e complesso come quello della Somalia, ha invitato il Consiglio ad assistere il palazzo di vetro nel riesame e migliora-mento delle condizioni d’impiego per i funzionari ONU a Mogadiscio. Lo SRSG ha inoltre ri-cordato come lo UN Political Office for Somalia (UNPOS), d’intesa con Jack Lang, Special Adviser to the Secretary-General on Legal Issues related to Piracy off the Coast of Somalia, stia lavorando alla creazione di una task force onusiana per il contrasto alla pirateria, il cui compito sarebbe altresì quello di riattivare l’accordo di cooperazione di Kampala (Kampala Framework of Cooperation) tra il Transitional Federal Government (TFG) e i governi di Puntland e Somaliland. Lo SRSG ha infine auspicato che il dispiegamento di 4mila soldati ag-giuntivi all’interno di AMISOM possa sostenere con efficacia gli sforzi del nuovo governo so-malo, presieduto da Mohamed Abdullahi Mohamed, nella promozione di una agenda politica fondata sulla buona governance, la creazione di istituzioni pubbliche e la distribuzione di servi-zi essenziali alla popolazione. ►Il 18 gennaio 2011, il capo del panel del Segretario Generale (SG) sul referendum in Su-dan, l’ex presidente tanzaniano Benjamin Mkapa e il capo della missione ONU in Sudan (UN Mission in Sudan, UNMIS), l’eritreo-sudafricano Haile Menkerios, sono intervenuti in un meeting del CdS dedicato al voto sull’indipendenza del Sud Sudan svoltosi lo scorso 9 genna-io. Secondo i due alti rappresentanti delle Nazioni Unite il referendum è stato “fair, peaceful and credible”. ►Il 19 gennaio il CdS ha organizzato un dibattito aperto sulla questione mediorientale. La riunione è stata aperta da un briefing del capo del dipartimento affari politici delle Nazioni Unite (DPA), l’americano Lynn Pascoe. Pascoe ha notato come, nonostante gli sforzi condot-ti dalla comunità internazionale per riavviare i negoziati tra israeliani e palestinesi, “the goal of reaching a framework agreement on final-status issues remained elusive”. Il capo del DPA ha inoltre sottolineato come la pace e la costruzione di uno stato palestinese non possano esse-

Page 69: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

80

re ulteriormente rinviati, ricordando come un numero addizionale di Paesi dell’America Latina abbia riconosciuto lo stato palestinese sulla base dei confini pre-esistenti al 1967. L’alto fun-zionario del palazzo di vetro ha infine criticato la politica dei nuovi insediamenti nella West Bank ed a Gerusalemme est, suscettibili di minacciare il dialogo tra le parti e pregiudicare i negoziati sullo status finale. La demolizione di trenta strutture e abitazioni a Gerusalemme Est e di quaranta immobili nell’area C della West Bank è stata stigmatizzata come fonte di possibili nuove tensioni. Pascoe ha infine rilanciato l’invito di Ban Ki-Moon al congelamento di tutte le attività di insediamento “in conformity with international law and the Road Map”. Diverse delegazioni dei Paesi membri del CdS hanno criticato la demolizione dello Shepherd Hotel, “historic landmark in East Jerusalem”, nonchè il piano israeliano di creazione di nuovi 138 in-sediamenti. La rappresentanza della Gran Bretagna all’ONU ha indicato tali iniziative come “deeply unhelpful”. A margine del dibattito, il Consiglio di Sicurezza ha cominciato a discute-re, a porte chiuse, una bozza di risoluzione presentata dalla delegazione libanese e dal gruppo arabo alla fine del 2010. Il testo formulerebbe diversi riferimenti critici alla politica di inse-diamenti israeliani nei territori occupati, delineando altresì le coordinate per un rilancio effi-cace del processo di pace. Alcuni membri permanenti del CdS, in particolare Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, starebbero cercando di inserire modifiche al testo di risoluzione, ritenuto per ora troppo sbilanciato a favore dell’Autorità Palestinese. ►Il 21 gennaio, il CdS, sulla base di una proposta formulata dal Segretario Generale - Letter of the Secretary-General to the President of the Security Council document S/2011/5 – ha a-dottato all’unanimità la risoluzione 1967 che estende sino al 30 giugno l’autorizzazione al di-spiegamento della missione ONU in Costa d’Avorio, disponendone altresì l’incremento di 2mila unità. Tre compagnie di fanteria e due unità d’aviazione della missione ONU in Liberia, UNMIL (United Nations Mission in Liberia), sono state provvisariamente autorizzate al ridi-spiegamento all’interno di UNOCI. La risoluzione 1967 ha inoltre invitato i media ivoriani ad astenersi dalle incitazioni all’odio e alla violenza, sottolineando altresì la determinazione del CdS ad imporre misure, “including targeted sanctions”, contro chiunque cerchi di impedire o ostacolare il lavoro di UNOCI. ►Il 23 gennaio, nel corso di un dibattito con l’intera membership dell’organizzazione, il pre-sidente dell’Assemblea Generale dell’ONU (AG), lo svizzero Michel Deiss, ha sottolineato al-cune delle priorità che domineranno i lavori dell’organo del palazzo di vetro nel corso dei prossimi mesi. Deiss ha sottolineato l’urgenza di rilanciare in maniera decisiva la riforma del CdS, la rivitalizzazione dell’Assemblea Generale, il processo di verifica della performance del Consiglio dei diritti umani, giunta al suo quinto anno di vita. Il presidente dell’AG ha annun-ciato che l’Assemblea ospiterà, nel giugno 2011, un meeting di alto livello sull’AIDS/HIV non-chè una serie di eventi sulla desertificazione, sul “disaster risk reduction”, le migrazioni inter-nazionali, l’economia verde e, infine, sui temi della governance globale. ►Il 2 febbraio l’ambasciatrice Maria Luiza Ribeiro Viotti, rappresentante permanente del Brasile presso l’ONU, Paese che esercita la presidenza mensile del Consiglio di Sicurezza, ha anticipato, nel corso di una conferenza stampa, alcuni dei temi che saranno al centro dell’agenda del palazzo di vetro nelle prossime settimane. La protezione dei civili nei conflitti, il rafforzamento del peacekeeping onusiano, un nuovo dibattito sulla diplomazia preventiva co-stituiranno le principali questioni tematiche in discussione presso il Consiglio. Oltre alle situa-zioni in Kosovo, Guinea-Bissau, Timor-Est e Repubblica Democratica del Congo, il CdS conti-nuerà a negoziare un testo di risoluzione sui negoziati di pace in Medio Oriente. In merito alle

Page 70: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

81

osservazioni sul fatto che il Consiglio sembrasse ignorare “la rivoluzione araba in Tunisia e la lotta anti-governativa in Egitto” e, al contempo, “l’impatto di tali sviluppi sul mantenimen-to della pace e della sicurezza internazionale”, l’ambasciatrice Viotti ha risposto sottolinean-do l’attenzione con la quale il palazzo di vetro continuerà a seguire le vicende e notando tut-tavia come “nessuna decisione collettiva” sia stata assunta in relazione all’inserimento for-male della situazione nord-africana nell’agenda del Consiglio di Sicurezza. ►Il 4 febbraio, nel corso di una conferenza stampa, l’Alta Commissaria ONU per i diritti umani (United Nations High Commissioner for Human Rights, HCHR), la sudafricana Navi Pillay, ha formulato alcuni commenti sui più recenti sviluppi della situazione in Egitto e Tu-nisia. La Pillay ha invitato le autorità egiziane, le sue forze di sicurezza e d’intelligence a so-spendere la repressione violenta della protesta pacifica nel Paese. Pillay ha invocato l’avvio di un’inchiesta rapida e imparziale sulla possibile pianificazione degli episodi di violenza ed ha altresì auspicato l’immediata liberazione di tutti i giornalisti e difensori dei diritti umani ille-galmente arrestati. In relazione alle vincende tunisine, la Commissaria ha infine annunciato il rientro da Tunisi a Ginevra di un team di senior advisors in materia di diritti umani. Un artico-lato rapporto sulla visita in Tunisia sarà pubblicato nelle prossime settimane. Il rapporto do-vrebbe indicare le coordinate di una possibile azione di sostegno dell’Ufficio dello HCHR alla promozione e rispetto dei diritti umani nel Paese.

PEACE BUILDING E INSTITUTION BUILDING

Nel corso del mese di gennaio, la Bosnia Er-zegovina ha esercitato, per la prima volta nel-la sua breve storia, le funzioni di presidenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uni-te. Il 21 gennaio, dopo aver diretto le discus-sioni e le deliberazioni del Consiglio sui prin-cipali temi in agenda – Somalia, Sudan, Costa d’Avorio (cfr. sezione “Eventi”) - la presiden-za bosniaca del CdS ha organizzato un dibat-tito piuttosto interessante sul tema della co-struzione e del consolidamento delle istituzio-ni statali nei processi di ricostruzione post-conflittuale,” (“Post-Conflict Peacebuilding: Institution Building”). Il tema del peacebuilding nel 2010 L’iniziativa bosniaca va collocata nel quadro dei diversi pronunciamenti formulati dal Con-siglio sulla questione del peacebuilding nell’anno appena trascorso. Nel 2010 il CdS ha infatti svolto due importanti dibattiti sulla

ricostruzione post-conflittuale, adottando al-trettante dichiarazioni presindeziali ed appro-vando altresì una risoluzione sull’attesa opera di verifica della performance della Peacebuil-ding Commission (PBC), istituzione sorta nel 2007 all’indomani del processo di riforma del 2005 e pensata come foro diplomatico per il rafforzamento del coordinamento internazio-nale all’opera di assistenza ai Paesi reduci dai conflitti1. Come è stato ricostruito anche nei precedenti numeri dell’Osservatorio Strategi-co, più recentemente, la questione delle mis-sioni onusiane di peacebuilding come exit strategies per le operazioni di pace dei caschi blu ha indubbiamente guadagnato consensi nella prassi dell’Organizzazione e nel dibattito tra gli Stati membri2

Il 16 aprile 2010, la presidenza giapponese del CdS aveva organizzato un dibattito sulla di-mensione preventiva del peacebuilding come strumento per la neutralizzazione dei rischi di

.

Page 71: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

82

ricaduta in stituazione di violenza, dedicando tuttavia particolare attenzione al tema del raf-forzamento delle capacità locali come chiave del sucesso dei processi di stabilizzazione. Nello scorso autunno, il CdS si era inoltre riu-nito per discutere il rapporto del SG “Peace-building in the immediate aftermath of con-flict”3

Il 29 ottobre 2010, infine, il Consiglio aveva discusso in maniera approfondita la revisione del lavoro sin qui compiuto dall’architettura di peacebuilding dell’ONU, composta dalla PBC, dal Peacebuilding Fund e dal Peacebuil-ding Support Office, unità del Segretariato onusiano destinata al sostegno delle attività della commissione. Tale verifica si era con-clusa con la presentazione di un pacchetto di raccomandazioni sul consolidamento delle re-lazioni tra la PBC, il CdS e il Consiglio Eco-nomico e Sociale dell’ONU, sul rafforzamen-to dei meccanismi di finanziamento del soste-gno internazionale alle attività di ricostruzione post-conflittuale, sull’inclusione di una di-mensione di peacebuilding all’interno delle fasi preliminari di pianficazione e dispiega-mento delle operazioni di pace. Grande atten-zione era stata infine dedicata al miglioramen-to delle relazioni tra New York (sede della PBC) e le istituzioni nazionali e internazionali presenti nei cinque Paesi africani al momento inseriti nell’agenda della Commissione (Sierra Leone, Burundi, Repubblica centro-africana, Guinea-Bissau, Liberia). A conclusione di un lungo dibattito, il Consiglio aveva adottato una risoluzione che accoglieva le diverse rac-comandazioni contenute nel rapporto

e il tema del ruolo delle donne nella partecipazione ai processi di ricostruzione post-conflittuale. Una dichiarazione presiden-ziale aveva invitato Ban Ki-Moon a chiarire con maggiore precisione ruoli e responsabilità nelle funzioni chiave di peacebuilding, assicu-rare maggiore efficacia nell’opera di assisten-za internazionale e, infine, a garantire il di-spiegamento di più flessibili strumenti finan-ziari.

4

La delegazione bosniaca all’ONU ha indub-biamente fondato la sua iniziativa di un dibat-tito sul tema dell’institution building nei pro-cessi di ricostruzione post-conflittuale sulla base del processo politico e diplomatico del 2010. Lo scorso 10 gennaio, la presidenza del Consiglio ha pertanto inviato all’intera mem-bership un articolato concept paper che inclu-deva riferimenti specifici all’esperienza bo-sniaca in materia di ricostruzione post-conflittuale

.

Il concept paper bosniaco

5. Secondo il documento, la distru-zione delle capacità istituzionali durante i con-flitti sarebbe all’origine delle notevoli diffi-coltà riscontrate nella restaurazione e mante-nimento della pace e sembrerebbe altresì co-stituire spesso una delle ragioni principali per cui i Paesi reduci da conflitti soffrano, secon-do le statistiche, entro i dieci anni dalla chiu-sura delle ostilità, di pericolosi fenomeni di ricaduta in situazioni di caos e violenza politi-ca. Secondo la delegazione bosniaca, aspetto centrale dell’opera di prevenzione di tali fe-nomeni sarebbe proprio l’identificazione di alcune priorità in materia di institution-building nella fase immediatamente sucessiva alla sospensione delle ostilità. Nondimeno, l’esistenza di tensioni politiche e sociali resi-due, la mancanza di adeguate risorse, la ca-renza di capitale umano, la necessità di cali-brare in maniera efficace il conseguimento di risulatati a breve termine – come il ripristino dei servizi di base - con obiettivi a più lungo termine, identificabili appunto nella promo-zione dello sviluppo economico e sociale e nella creazione delle nuove istituzioni post-conflittuali, creerebbero spesso una situazione assai complessa. Secondo la delegazione bo-sniaca, le istituzioni più rilevanti nei processi di consolidamento della pace sarebbero quelle dotate di funzioni politiche relative all’im-plementazione dei processi di pace, all’orga-nizzazione dei processi elettorali, alla tutela della sicurezza e dello stato di diritto e, infine, le “public finance institutions” incari

Page 72: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

83

cate di guidare la ripresa economica e la di-stribuzione dei servizi essenziali. Pur indican-do nell’assistenza un aspetto fondamentale dei processi di ricostruzione post-conflittuale, il paper sottolineava come il focus dell’in-stitution-building fosse quello di ridurre pro-gressivamente la dipendenza dagli aiuti ester-ni e consolidare in maniera graduale la natio-nal ownership, “conditio sine qua non for the establishment of effective institutions and se-curing sustainable peace”. In tale contesto, l’efficacia della cooperazione internazionale ai processi di ricostruzione do-vrebbe basarsi sull’offerta di meccanismi fles-sibili di finanziamento, di esperti civili “parti-cularly in the areas of justice, security-sector reform, governance and economic recovery” destinati a lavorare in stretto coordinamento con i “local decision makers”. Le Nazioni U-nite, incaricate di coordinare tale assistenza internazionale, dovrebbero altresì accompa-gnare gli sforzi volti a contenere “la fuga dei cervelli” ed assicurare che l’expertise dei Pae-si post-conflittuali sia adeguatamente incorag-giata a partecipare all’opera di ricostruzione e stabilizzazione. Ricordando il grande contri-buto di riflessione offerto da Ban Ki-Moon con il suo rapporto “Peacebuilding in the Im-mediate Aftermath of Conflict”, il paper indi-cava infine il dibattito in Consiglio come oc-casione per esaminare il ruolo del CdS nella considerazione dei processi di institution-building nella fase di preparazione delle mis-sioni di pace. Obiettivo della presidenza bo-sniaca era anche quello di considerare le mo-dalità per il consolidamento e coordinamento del contributo dell’ONU e dell’intera comuni-tà internazionale alla costruzione delle capaci-tà nazionali in materia di ricostruzione post-conflittuale. In particolare, l’idea della presi-denza era quella delineare le coordinate per un rafforzamento del ruolo della Peacebuilding Commission nella promozione di un approc-cio integrato ai temi dell’institution-building “while addressing gaps in transitions”.

Il dibattito del 21 gennaio e la dichiarazio-ne presidenziale Il dibattito del CdS è stato aperto da un inter-vento del SG, il quale ha sottolineato come il sostegno internazionale alle attività di peace-building sia stato sin qui segnato da luci e ombre. Secondo Ban Ki-Moon, errore princi-pale della Comunità Internazionale sarebbe quello di non riuscire a riconoscere che “building effective institutions was a long-term effort”: sebbene molti progressi possano spesso essere realizzati nei primi 3-5 anni dal-la fine del conflitto, le aspettative nazionali e internazionali, incluse quelle nutrite dal Con-siglio di Sicurezza, nonchè gli stessi mandati in materia di institution-building attribuiti alle operazioni di pace e alle diverse missioni poli-tiche dell’ONU, dovrebbero essere improntati ad un maggiore realismo. Le Nazioni Unite, le istituzioni finanziarie internazionali, le orga-nizzazioni regionali sono state pertanto chia-mate a rafforzare il loro coordinamento alfine di assicurare che la conclusione di iniziative autorizzate dal CdS coincida con una “smooth transition of power” alle costituende o ri-costituende istituzioni nazionali. Proprio il rafforzamento dei principi di national owner-ship e leadership, la valorizzazione del patri-monio di conoscenze delle cause dei conflitti da parte degli attori locali, l’individuazione di un numero ristretto di priorità da realizzare nelle fasi iniziali del processo di ricostruzione – sicurezza, costruzione del sistema giudizia-rio, espansione dei servizi sanitari e sociali – possono garantire, secondo Ban Ki-Moon, il ripristino della confidenza e della legittimità delle istituzioni nazionali. Nondimeno, il SG ha suggerito la necessità di procedere con cau-tela sul terreno di riforme più incisive, osser-vando come queste debbano essere piuttosto avviate in una fase successiva a quella dei go-verni di transizione e comunque dopo un pri-mo ciclo elettorale post-confittuale. Il chiar-person della PBC, Peter Wittig, rappresentan-te permanente della Germania presso l’ONU,

Page 73: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

84

ha invece sottolineato come l’institution-building vada oltre la creazione di nuove strutture organizzative, ma si fondi piuttosto sulla definizione di nuove regole del gioco po-litico “from power-sharing and rotation and women’s active participation in decision-making to fair distribution of wealth and eco-nomic opportunities”. Diversi Paesi membri sono intervenuti per ricordare l’importanza della ricostruzione del settore privato e delle organizzazioni della società civile come moto-ri della stabilizzazione sociale ed economica. La delegazione bosniaca è invece intervenuta per sottolineare l’importanza del ruolo svolto da giudici e magistrati internazionali nel so-stegno alla Corte Statale della Bosnia Erzego-vina. Diversi Paesi hanno invece notato come l’institution-building debba piuttosto include-re l’intera struttura sociale dei Paesi reduci da conflitti e combinare progetti nazionali per la promozione della good governance, delle po-litiche sociali, della rivitalizzazione economi-ca. I Paesi membri a capo delle diverse confi-gurazioni della PBC dedicate alle country-situations di Repubblica centro-africana (RCA), Guinea-Bissau, Sierra Leone, Liberia e Burundi hanno offerto un importante contri-buto di riflessione, presentando i casi di tali realtà post-conflittuali come popolate da sfide, incognite e difficoltà di enorme grandezza. In relazione alla RCA e alla Liberia è stato sotto-lineato come mentre il primo Paese disponga di solo 91 magistrati, il secondo possa fare af-fidamento su soli 19 giudici “with proper le-gal training”. Burundi e Sierra Leone sono stati invece indicati come realtà alle prese, ri-spettivamente, con un’incapacità cronica di smaltire processi giudiziari- che coincide con una allarmante situazione di sovroaffollamen-to delle carceri - e con la debolezza di mezzi e risorse finanziarie a disposizione delle forze di polizia. A conclusione del dibattito, il CdS ha approvato una dichiarazione presidenziale che riconosce l’institution-building come compo-

nente essenziale del peacebuilding nei Paesi reduci dai conflitti. Il Consiglio, sottolineando l’urgenza di sostenere il lavoro svolto dalle istituzioni nazionali incaricate di rafforzare la democrazia e lo sviluppo economico-sociale, ha invitato il sistema ONU e l’intera comunità internazionale ad accrescere il proprio coordi-namento nell’opera di sostegno agli sforzi na-zionali nei processi di stabilizzazione post-conflittuale e a fare uso migliore delle capaci-tà nazionali in materia di sicurezza, protezione dei civili, promozione dello stato di diritto e ripristino dei servizi di base. Il CdS si è infine impegnato a fare miglior uso dello advisory role della PBC al fine di realizzare “critical peacebuilding objectives” all’interno dei cin-que Paesi africani al momento inseriti nell’agenda della commissione6

.

I prossimi sviluppi: peacebuilding tra con-flict prevention e peacekeeping Il dibattito del 21 gennaio ha indubbiamente anticipato alcune delle questioni che anime-ranno l’evoluzione del peacebuilding onusia-no nel corso del prossimi mesi. In primo luo-go, il tema del rafforzamento delle relazioni tra CdS e PBC è destinato a riproporsi con forza nel contesto del processo di riforma del peacekeeping dell’ONU. In virtù della sua ormai quinquenniale esperienza, la PBC è de-stinata svolgere un ruolo fondamentale nell’accompagnare i processi di ridimensio-namento delle missioni di pace che potrebbero aprirsi in nuovi contesti operativi. In una si-tuazione come quella del Sudan post-referendum e post-secessione, la vasta presen-za ONU nella forma di due organizzazioni di pace, la UN Mission in Sudan e la forza ibrida ONU-Unione Africana in Darfur, potrebbe es-sere riesaminata e aggiornata. Maggiore spa-zio e rilevanza potrebbe essere conferita alle componenti ed expertise di natura civile alfine di assicurare la tenuta del nuovo quadro poli-tico mediante l’intensificazione dell’opera di ricostruzione e il sostegno al consolidamento

Page 74: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

MONITORAGGIO STRATEGICO

85

delle istituzioni nazionali del nuovo Stato de-stinato a sorgere nel sud del Paese. Più in ge-nerale, la PBC sarà probabilmente chiamata ad incoraggiare la ripetizione dei modelli spe-rimentati sino ad ora con successo in Sierra Leone e in Burundi – UN Integrated Peace-building Office in Sierra Leone, UNIPSIL; Bureau Integré des Nations Unie au Burundi, BINUB - dove missioni di peacebuilding gui-date dal Dipartimento Affari Politici dell’ONU sono state dispiegate con funzioni di exit strategies per le operazioni dei caschi blu. Missioni impegnate nella ricostruzione post-conflittuale - sempre organizzate e dirette dal DPA – sono state organizzate anche in Guine-a-Bissau e RCA alfine di sostenere alcuni a-spetti specifici dell’opera di peacebuilding, tra i quali i processi di disarmo-demobilizzazio-ne-reintegrazione, la riforma dei settori di si-curezza e l’assistenza alle consultazioni elet-torali. Questo ruolo crescente del DPA in materia di peacebuilding sembra al momento scontrarsi con una architettura di peacebuilding – com-posta ufficialmente dalla PBC, dal peacebuil-ding fund e dall’ufficio di supporto, il Peace-building Support Office – che non appare te-ner conto della dimensione preventiva legata all’opera di ricostruzione post-conflittuale, la quale richiederebbe un’iniziativa di riorganiz-zazione delle strutture del Segretariato del pa-lazzo di vetro. L’idea di consolidare la coope-razione tra CdS e PBC dovrebbe infatti ispira-

re una medesima opera di coordinamento de-gli attori del Segretariato ONU impegnati in materia di peacebuilding. La PBC, organo prettamente newyorchese, spesso distante dal-le emergenze in atto, potrebbe accrescere sen-sibilmente l’efficacia dei suoi lavori consoli-dando le sue relazioni e lo scambio di infor-mazioni con le diverse unità del DPA presenti nei vari contesti post-conflittuali. Tali unità hanno al momento un’interazione piuttosto limitata con il Peacebuilding Support Office, “entità newyorchese” che non ha una presenza operativa in alcuno dei Paesi inseriti nell’agenda della PBC e che pertanto svolge un’azione di sostegno alla commissione rical-cante le più classiche funzioni di segretariato o ufficio amministrativo. Un’integrazione dell’architettura onusiana di peacebuilding nella più ampia struttura di prevenzione dei conflitti accentrata nel Dipartimento Affari Politici dell’ONU consentirebbe indubbia-mente di incrementare le sinergie tra le entità newyorchesi e quelle impegnate sul campo. In particolare, l’inclusione del Peacebuilding support Office nel DPA consentirebbe di ar-ricchire sensibilmente l’intero processo deci-sionale della Commissione, garantendole l’accesso alle informazioni relative all’azione delle operazioni di peacebuilding dell’ONU nonchè al più ampio volume di conoscenze ed expertise dedicate dal Dipartimento alla rico-struzione post-conflittuale in funzione di pre-venzione delle crisi.

1 Cfr. Valerio Bosco, Il difficile cammino delle riforme, in Osservatorio Strategico, febbraio 2007. 2 V. Bosco, Quale futuro per i blu?, in Osservatorio Strategico, febbraio-settembre 2010. 3 United Nations, Report of the Secretary-General: Peacebuilding in the Immediate Aftermath of Conflict, document A/64/866-S/2010/386 4 United Nations, Security Council, Resolution S/RES/1947, 29 October 2010 5 United Nations, Security Council, Letter dated 10 January 2011 from the Permanent Representative of Bosnia and Herzegovina to the Secretary-General, document S/2011/16. 6 United Nations Security Council, Presidential Statement, S/PRST/2011/2, 21 January 2011.

Page 75: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

RECENSIONE

87

Titolo Le armi robotizzate del futuro: Intelligenza artificialmente ostile ? - Il problema Etico Autore: Prof. Riccardo CAMPA Progettazione, costruzione e utilizzo di prodotti tecnologici, pertinenti le applicazioni militari,

non sono scevri da problematiche etiche, soprattutto considerandone i possibili sviluppi futuri.

L'autore analizza alcune attualissime preoccupazioni (diffuse nell'opinione pubblica e negli ambiti specialistici) fornendo valutazioni concrete di rilevanza e/o di pertinenza, segnalando come di fatto alcune questioni sorgano non gia' dalla natura del robot, quanto dalla natura dell'uomo che (sebbene piaccia talvolta dimenticarlo) non e' ne' infallibile, ne' moralmente ''angelico'' (imperizia, violenza gratuita, criminalita', fuoco ''amico'', ... ), proponendo una argomentata visione sull'opportunita' o meno di porre freni al progresso di queste tecnologie .

La leggibilita' del rapporto di ricerca e' eccellente, anche in assenza di preparazione formale etico-sociologica e/o ingegneristico-tecnologica.

T.Col. Volfango Monaci Edizione: 2011 Editore: Centro Militare di Studi Strategici Prezzo: Disponibile gratuitamente, all'indirizzo web: http://www.difesa.it/SMD/CASD/Istituti+militari/CeMISS/Pubblicazioni/dettaglio-

ricerche.htm?DetailID=12318 oppure dall'URL abbreviato: tiny.cc/2010t3

Page 76: che - Ministry of Defence · 2012-10-23 · Una popolazione, giovane, sempre più colta ed in possesso di qualifiche professionali oggi in linea con gli standard occidentali. La crescita

Anno XIII – n°1 gennaio 2011

RECENSIONE

89

Titolo: Working Towards Rules for Governing Cyber Conflict: Rendering the Geneva and Hague Conventions in Cyberspace. Autori: Vari

Sistematico, analitico, chiaro, programmatico. Un team di esperti Russi ed Americani affronta congiuntamente un tema di ampio respiro che costituisce una vera sfida per l'intera comunita' internazionale: nel cyber-spazio non vi sono vere e proprie regole consensuali di comportamento ne' si conoscono realmente le intenzioni e le capacita' dei "cittadini" informatici, o degli Attori Non Statuali che vi operano, siano essi O.N.G. o Multinazionali. Gli autori esprimono dieci constatazioni di fatto, ciascuna di cruciale rilevanza. Ne scaturisce un quadro chiaro, perche' mirato ad un lettore che sia ai livelli decisionali nei settori: governativo, privato ed O.N.G., un quadro libero da tecnicismi.

L'analisi procede esaminando il panorama di applicabilita' delle "leggi di guerra" ai casi di impiego di armi convenzionali (o cyber) contro infrastrutture critiche, siano esse convenzionali o "di rete". Ne risultano quattro scenari, di cui uno solo dotato di "protezioni" in base alle vigenti convenzioni internazionali. La situazione e' caratterizzata da una grande vulnerabilita'. Gli autori formulano pertanto 5 raccomandazioni programmatiche : - Districare, nella rete del cyberspazio, le entita' da proteggere ( a fini

umanitari ) ; - Applicare il concetto di emblema distintivo (croce-rossa-mezzaluna...) nel

cyberspazio; - Riconoscere lo status dei nuovi "Attori Non-Statuali“ e della "Cittadinanza

Virtuale"; - Considerare l'estensione dell'applicabilita' dei principi della convenzione di

Ginevra; - Esaminare lo status ontologico di una situazione di "non-pace/non-

belligeranza". T.Col. Volfango Monaci Edizione: Advance Edition 4 Feb 2011 Editore: EastWest Institute http://www.ewi.info/ Prezzo: Disponibile gratuitamente, all'indirizzo web: http://issuu.com/ewipublications/docs/us-russia-cyberspace