Charta Sporca n.5

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NUMERO V - APRILE 2012 I Giovanni Lindo Ferretti, nella sua canzone Morire, aveva individualizzato nel produci-consuma- crepa l’unico grande comandamento della nostra società. Un comandamento che si è poi esteso a macchia d’olio tra tutti i gangli del nostro tessuto sociale, assumendo forme diverse. Nell’edilizia è diventato costruisci-lucra-abbandona. Da una parte palazzi d’epoca ridotti peggio di antiche rovine e casermoni popolari abbandonati... ...cantieri che proliferano in continuazione e nuovi residence che spuntano come funghi dall’altra, sono lo specchio della grande speculazione edilizia italiana (basta osservare la nostra città). E mentre valide proposte per risolvere il “problema-casa” (come, ad esempio, il Mutuo Sociale e altri ancora) incontrano difficoltà a districarsi tra l’ostracismo politico e usurocaratico dei cosiddetti “palazzinari”, si continua a speculare su case e terreni e sulle stesse persone con mutui a tassi improponibili e affitti che appaiono sempre più usure legalizzate. Foto di Giulia Bellemo

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NUMERO V - APRILE 2012

I

Giovanni Lindo Ferretti, nella sua canzone Morire, aveva individualizzato nel produci-consuma-crepa l’unico grande comandamento della nostra società.Un comandamento che si è poi esteso a macchia d’olio tra tutti i gangli del nostro tessuto sociale, assumendo forme diverse. Nell’edilizia è diventato costruisci-lucra-abbandona. Da una parte palazzi d’epoca ridotti peggio di antiche rovine e casermoni popolari abbandonati...

...cantieri che proliferano in continuazione e nuovi residence che spuntano come funghi dall’altra, sono lo specchio della

grande speculazione edilizia italiana (basta osservare la nostra città). E mentre

valide proposte per risolvere il “problema-casa” (come,

ad esempio, il Mutuo Sociale e altri ancora) incontrano difficoltà a districarsi tra

l’ostracismo politico e usurocaratico dei cosiddetti “palazzinari”, si continua a

speculare su case e terreni e sulle stesse persone con

mutui a tassi improponibili e affitti che appaiono sempre

più usure legalizzate.

Foto di Giulia Bellemo

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II

I n quest’epoca di totalitarismo ideologico ap-pare quasi scontato che la “ricetta” per uscire

dalla crisi economica, prodotta da un sistema di mercato caratterizzato dalle sue eccessive sre-golatezze e licenze e dalla più selvaggia con-correnza globale, sia proprio un’apertura ancor maggiore alle liberalizzazioni (e alle privatizza-zioni), le quali favoriscono proprio quel sistema che della crisi è l’origine.

Cos’è un debito? E il denaro, quale valore ha? Massimo Fini, scrittore e giornalista, nel suo “Il denaro «sterco del demonio»”, pubblicato da Marsilio quando la fiducia verso questo siste-ma veniva raramente messa in discussione (nel 1998), risponde a queste domande, anticipando in gran parte la situazione nella quale siamo ora totalmente immersi.Attraverso un’analisi storica, che parte dalla comparsa dell’homo sapiens (quando «si viveva rigorosamente di autoconsumo») fino ad arri-vare alla più vicina contemporaneità, indaga i meccanismi che hanno portato l’uomo a creare ed utilizzare il denaro, la nascita e lo sviluppo degli istituti bancari e la finale digitalizzazione delle transizioni finanziarie tramite l’uso delle carte di credito. Questi processi vengono rac-contati con dovizia di dati storici, gli esempî sono argomentati e facilitano la comprensione del complesso e articolato discorso.

Cos’è il denaro? «È una promessa» di un “bene” futuro, il mezzo attraverso cui il mercato nasce, prospera e si sviluppa (anche geograficamente, fino a livello globale dove la concorrenza spieta-ta delle merci fabbricate nei Paesi dove i lavora-tori sono sottopagati e senza le minime garanzie sindacali distrugge i produttori locali). È quindi – oltre ad un’invenzione – una convenzione, dal valore stabilito arbitrariamente, perciò incerto

ed incline ai più rapidi mutamenti (esempio em-blematico: la crisi del ‘29 in Germania). Lo sno-do fondamentale è la causa di questi mutamenti, non affatto (come si potrebbe pensare) d’ordine materiale, bensì psicologico: il “valore” del de-naro corrisponde alla fiducia che è in grado di catalizzare su di sé (infatti il meccanismo pro-spera laddove viene speso e perciò reinserito nel circuito del mercato); il denaro risulta quindi es-sere, dato che è anche «promessa», «fiducia nel futuro». Quindi fiducia in qualcosa che non esi-ste: il futuro è, anch’esso, un’astrazione mentale («non è un caso che la civiltà contadina, cioè non mercantile e preindustriale, non avesse né il senso del denaro né quello del tempo declinato al futuro»).

È con il denaro, la cui unica “virtù” è la quan-tità, che l’uomo è divenuto quantificabile: con buona pace di liberismo e marxismo, entrambi legati ad una visione economicista della vita, la quale non dà spazio a dimensioni dell’esistenza che non siano strettamente calcolabili. Di valo-re proverbiale la figura di Benjamin Franklin, nella cui vita tutto è ridotto a calcolo: il tempo di lavoro, quello di riposo – inteso anch’esso al solo scopo di accrescere il rendimento –, la preghiera, i pasti,... persino il sesso, praticato «raramente e soltanto per la salute e per la pro-genie» (B. Franklin, Autobiografia).Punto di non ritorno nel processo di sviluppo dei mercati e dell’utilizzo del denaro è la Rivo-luzione industriale, che non solo aumenta enor-memente l’offerta di beni disponibili ma ne crea di nuovi, «stimola e inventa bisogni che prima nessuno sapeva di avere»: si scopre, insomma, «la natura illimitata dei bisogni o, piuttosto, la facilità con cui gli esseri umani si lasciano in-fluenzare».Ma è con l’invenzione della banconota (XIX se-

colo) che il denaro, separandosi da ogni valore intrinseco – e perciò da ogni corrispettivo bene realmente esistente –, inizia a moltiplicarsi ver-tiginosamente: le Banche concedendo prestiti «in ragione quadrupla rispetto a quelle che sono le loro reali disponibilità», lo Stato emettendo titoli, le aziende tramite le azioni e le obbliga-zioni. Arriviamo così alla «finanziarizzazione dell’economia», dove col denaro si compra altro denaro, in un circuito esiziale destinato a crol-lare – più prima che poi – per mezzo del debito sempre maggiore accumulato nei confronti del futuro.Ora il denaro rivela come non mai, proprio mentre – digitalizzandosi – si smaterializza, la sua inesistenza: «il giorno in cui, improvvisa-mente, gli uomini [...] cercassero di convertire in beni tutti i loro depositi, i loro crediti, le loro obbligazioni, le loro azioni, i loro titoli, i loro Futures e gli stessi spiccioli che hanno in tasca si accorgerebbero di ciò che inconsciamente te-mono e, forse, già sanno ma, come struzzi, si nascondono: che il denaro non esiste».Il denaro è, nichilisticamente, un contenitore vuoto. Mentre oggi «da utile mezzo è diventa-to fine, da servo si è fatto padrone, crediamo di maneggiarlo e invece ci manipola, crediamo di usarlo e invece ci usa, crediamo di muoverlo e invece ci fa muovere, anzi trottare, crediamo di possederlo e invece ci possiede».

Poiché il suo “valore” è basato solo sulla fiducia della collettività, basta disilludersi della sua ne-cessità, dargli – all’interno delle nostre singole vite – la poca considerazione che merita, infine rendersi conto che la reale ricchezza di un Paese non è descritta dal PIL ma dalla felicità dei suoi abitanti, e l’impero di cui è simbolo, fondato sul consumo più abietto delle risorse (limitate) del nostro pianeta, crollerà su se stesso.

Denaro “sterco del demonio” di Stefano Tieri

NUGAE - Wa halla’ la wayn (“E ora dove andiamo?”) di F.R.

Vorrei proporvi una semplice riflessione (che forse assume più i connotati di

un intuitivo salto logico) e che associa, mutatis mutandis, l’ultimo lavoro della libanese Nadine Labaki, una colorata e vibrante narrazione ricca di sfumature e contrasti, alle vicende tragiche euripidee. Film “glukupikron”, “dalla dolce amarezza” pare evocare una questione dal sapore antico: “quale ruolo ha l’uomo (la ragione e l’emozione di cui è dotato) nella vicenda tragica? ...ne è creatore o vittima?”* In un’imprecisata landa per disorientati, nel Libano più remoto, un intero variopinto villaggio trascorre una vita senza tempo, ove ìmpera un silenzio assordante rotto, a tratti, da echi lontani di una guerra civile che ancora minaccia ed infervora gli animi umani. Ritmi infiniti scandiscono un non tempo chiamato ad assolvere, nei limiti della sua finitezza, ad una funzione lenitrice. Il non tempo ha il pregio di cicatrizzare ferite difficilmente rimarginabili, anche se solo superficialmente. Ha il volto di un innocuo ragazzino la

ragione di tutti “i mali” che investono la vacillante tranquillità dell’isolato villaggio: da un inconfessato movimento maldestro che danneggia accidentalmente la barra di una croce, scaturisce una serie di eventi “effetto domino” che via via compromettono una situazione sempre più disperata ed insensibile rispetto agli stratagemmi adottati per bloccarne il decorso. Il villaggio è abitato da donne lungimiranti e fantasiose, risolute o temporeggiatrici al bisogno, abili nel preservare equilibri di pace precari dalle reazioni spesso sconsiderate di uomini incapaci di “sviscerare... le ragioni che impongono e le ragioni che ostacolano il gesto sanguinoso”*. Sorge allora il dubbio: risiede nel “destino avverso” che investe il malcapitato ragazzo l’origine della vicenda tragica o piuttosto nell’impulsività ottusa di uomini che, forti del senso di rivalsa, perpetrano atti deprecabili che offendono la sensibilità di ognuno e minano le premesse per una pacifica convivenza tra cristiani e musulmani nella comunità? Fortunatamente nulla in definitiva pare

irrimediabile, specie se ad assistere v’è l’ausilio di una buona dose di audacia: non è impossibile sciogliere lo gnommero che impedisce il dipanare la matassa e consente i più preziosi intrecci. Alla domanda cruciale: è dunque l’uomo artefice o impotente oggetto delle vicende tragiche? “Per un autore drammatico, la domanda ha rilievo solo se dalla risposta dipendono gli esiti drammaturgici“*: se della grande illusione per cui l’uomo ne sia artefice “Euripide rappresenta assai più il fallimento”* che non il successo, per quanto sulla sua “verificabilità sia costruito”*, a Nadine Labaki, futura mamma, questa risposta pare non soddisfare.La formula che si ritrova al termine di alcune tragedie euripidee asserisce: “Molte sono le forme dei destini umani”*. Se anche è un netto sentimento di incertezza ad irrompere ad epilogo del film, circa il “destino” del popolo protagonista, la vicenda senza alcun dubbio incoraggia. A perseverare, nonostante la fatica.*G.Paduano, Il nostro Euripide, l’umano, Firenze, Sansoni 1986 pp.4-7

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inserto letterario

Terza Pagina

III

Canto del futuroa Giuliano l’Apostata

Cristo piange cristallidi vero,un corpo di cerada sciogliere con l’amore.

Suo fratello, il titano,respirasolitudine arsa.Il ceppo del potereriscaldail sentiero della sua prigione.

Dio dei Galilei,luce incoloreche brillanello scrigno del sacrificio.

Angelo caduto,fiore del sapere,gemma di crudele innocenza,imperfetto spirito di potenza.

Cuore trafitto dal tempo,frutto secco, ricordo della veritàin un’anima secca,memorie d’accenti d’amorenel ghigno della bestia.

Ultimo raggionelle ventose verità di un superuomocullato, disegnato, implorato.Aborto di quella stella,ultimo cantoin un tappetto di rumore.

Eleonora Zeper

Cari lettori,Lo scorso numero ho rotto il silenzio che, nel cominciare questo incarico di curatore, mi ero prefissato di mantenere: avevo promesso di non scrivere; purtroppo la carenza di materiale alla quale sono stato sottoposto mi ha costretto a ciò. Spero tuttavia non vi sia dispiaciuto. Non mi considero un buon poeta, per questo ho preferito tacere finché l’ho ritenuto idoneo. Se invece oggi vi scrivo è perché, ahimè, nella prima mia pubblicazione c’è stato sùbito un primo errore. Seccante, ma gli pongo rimedio così: il titolo della poesia non era “To c.” bensì “To C.”, essen-do nome proprio di persona. Chi di voi vuole colga la citazione, la persona interessata colga come un fiore questi versi che le ho donato.In secondo luogo, per ovvî motivi, da questo numero i racconti che dovrebbero proseguire a lungo nel tempo – e quindi nelle pubblicazioni – verranno ridotti a due parti iniziali. Il resto dell’opera lo potrete trovare, se interessati, direttamente sul nostro sito, all’indirizzo www.chartasporca.tk.Buona lettura,

Giovanni Benedetti

[Continua dal precedente numero]

Ciondolando sulla sedia in un movimento catatonico, ma gioioso, aveva spalancato le porte della taverna per far entrare Scott.

Si sentì un urlo felice provenire dall’interno; Billy poggiò la sua mano bagnata sul muro ed entrò.Chiese all’oste del pane in regalo e, non appena questo si prestò a scuotere la testa per negarglielo, subito tirò fuori il nome di Melvill.A ciò il taverniere, che stava pulendo fortemente un bicchierino da a caffè, rispose:”E allo-ra!?! Ti pare un buon motivo per venire a disturbare il mio lavoro del mattino? Chiedi del pane in nome di quel rozzo pescatore che mi manda qui tutte le sue prede, pescate in giro qua e là! Vergognati! Non permetterti più di turbare la quiete di un povero commerciante, che arranca per vivere dal mattino fino a sera!Zotico e bifolco, ciarlatano quel Melvill, che ti ha mandato! Fuori dal mio locale! FUO-RI!!!”.Con queste parole stupì Billy e lo azzittì completamente, tanto che questi fece per tornare indietro, quasi tremando. Ma l’oste, che prendeva il nome di Poe, esordì con una risata e si presentò:”Scherzavo ragazzo! Scherzavo! Gli amici di Melvill sono benvenuti nel mio lo-cale, anche se … questo è meglio che non glielo dici ... lui a scroccare bocconi e beveraggi non è niente male!”Billy:”Grazie, oste! Mi hai fatto prendere un colpo! Roba che ti spaccavo una delle tue bottiglie di vetro sul capo!”Poe:”Ah! Ah!” continuò a ridere per un minuto con una risata isterica.Poi:”Sei divertente! Tale quale a quel “barbone” che campeggia lì, fuori dal mio locale! L’hai conosciuto?!? Quello che cantava!Cosa posso offrirti?”Billy:”Mi bastano un tozzo di pane ed una birra! Ma se hai altro non mi offendo mica …”Poe:”Ah! Non ti allargare, ragazzo! Non ti allargare! Ah! Ecco!! Tieni il tuo cibo e la birra!”Gli pose il boccale e gli schiaffò davanti un panino di prosciutto, che gli fece venire una sete, la quale si sarebbe placata solo se avesse bevuto altre venti birre.Quel cibo aveva un sapore talmente intenso, che Billy scordò l’incidente della tempesta e tornò con i piedi per terra, ricominciando finalmente a vivere.Dopo aver mangiato, il giovane lasciò la locanda, salutando cordialmente.Fuori di lì, notò che la strada era ricoperta da uno strato spesso di trucioli di legno, che la rendevano grezza e rustica.Poi, un sottile strato d’erba s’ergeva alla base il una colonnina illustrativa, che portava su di sé un segnale, indicante la biblioteca pubblica.La scritta era color ruggine, anzi era proprio ricoperta di ruggine.Billy Scott prese quella via, che era indicata dalla colonnina; non si sa ben perché, dato che aveva sempre avuto un astio innato verso i libri. Infatti, non riteneva avessero il benché minimo senso; erano misture di parole dozzinali ed insensate.Intanto un uomo oscuro spiava il piccolo marinaio da dietro la taverna con uno strano sor-riso, una via di mezzo tra bene e male. Con un mantello nero scuro ed una maschera rosso bordò, si nascondeva dal sole, nel più assoluto mistero.

Continua su www.chartasporca.tkSolivagus Rima

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IV

L o scrittore, fiero di sé, il mento altezzoso di chi ostenta di aver-lo lungo, sogghignando come chi sa di poter manipolare men-

ti ottenebrate per mezzo di frasi a effetto propalanti il vuoto cosmi-co, entra al “Caffé Splash” di Roberto Pulici, uomo dall’umorismo fine, esiziale, di abbacinante ispirazione per il Sommo. Con voce stentorea, e pur non sapendo cosa significhi Stentoreo, lo scrittore ordina un caffè lungo. Ovvio.“Quest’uomo fa i caffè con i chicchi di caffè”, pensa lo scrittore, ed è un pensiero che dà i brividi.Dopo aver aperto e poi richiuso con attenzione la porta a vetri sme-rigliati, tenendo sino all’ultimo metacarpi e falangi sulla maniglia consunta ma dignitosa, lo scrittore si avventura per strada. Davanti al museo egizio, grufola un gruppo di studenti inquietanti e sorri-denti. Lo scrittore, temendo di essere riconosciuto dalla pletora di poppanti, chiude il cappottone a coprire il celeberrimo pacco.Va di fretta, deve prendere un treno per Milano. Il Frecciarossa ha un guasto, cosicché il guru lisergico MauroMorettiRegna gli suggerisce di prendere uno dei dieci Intercity rimasti in Italia. Il viaggio si rivela turpemente disdicevole, per un sabaudo così intri-so di crasso bon ton. Su quei sedili logori e graveolenti, a tenergli compagnia, la sempre ignorata marmaglia plebea si palesa nella sua dimensione più raccapricciante. E’ in momenti come questi che lo scrittore partorisce le future frasi a effetto per le menti obnu-bilate che compreranno bagnate i suoi libri; e nell’atto di annusare quelle luride stanze quotidiane, che irrompe il suo efferato genio deodorante.Con una bestemmia all’indirizzo di MauroMorettiRegna, suo raro momento di impegno sociale, lo scrittore sale i gradini del sotto-passaggio a testa alta; la fronte aggrottata a scrutare il futuro, per circuirlo col lazo del suo immane talento. Tanti non glielo ricono-scevano. Per lo più lo giudicavano gettato nel cesso. Cani. Cani disumani.

Lo scrittore osserva i tassì disponibili. Sceglie una Mercedes, con una bella donna al volante.“Via Andegari 6, per favore.” E, sarà la voce, saranno quegli occhi la cui devastante acutezza s’intravede appena, delimitata da sciar-pa e cappello, l’autista lo riconosce. E non capisce più nulla. Lo scrittore, uberrimo d’anticlericalismo, sacramenta pesantemente all’indirizzo della Madonna, contrito da un rassegnato dolore. Sta-volta, dice, non ce la faccio. Mentre sfila il guanto di cuoio dalla divina mano destinata a firmare il maledetto autografo, la donna ha già preso dalla borsetta quel suo primo libro, così inutile, così ridondante.“Me la fa una dedica? Scriva ‘Con amore, alla fedele lettrice Mer-cedes’ “. Lo scrittore rimane folgorato, la penna gli vibra nel pu-gno tremante.Mercedes, tassista alla guida di una Mercedes. Un’altra immagine che dà i brividi.Mentre il Genio rimugina, il taxi accosta sbandando sul marcia-piede. “Grazie ancora, e arrivederci”. “Speriamo di sì”, risponde lo scrittore, mascherando con la sciarpa un sorrisetto falso e mel-lifluo. Erano così stupide, le sue lettrici. Soprattutto le sue lettrici. Ed era così semplice farle volare lì, sacrificarle a ridosso del sole, per lui che per metà era un Abramo assai più ganzo, e per l’altra un sontuoso Dedalo malvagio.

Ma la spocchia è un pannolino lercio. Dopo l’ultimo massacro edi-toriale stentava a riesumarsi. Il nuovo capolavoro viveva di rendita ma il suo stile, vagamente più sobrio e maturo (seppur ameno e inconcludente), stava disinteressando i critici e schifando i lettori.Lo scrittore sa già cosa gli dirà il Grande Capo. Esattamente.

“Non ci siamo. Il libro vende, ma non può durare. La critica non ti stronca più, non ti disprezza; stiamo pericolosamente scivolando

nella più tiepida indifferenza. Devi tornare allo stile di un tempo, altrimenti hai chiuso.”“Dammi ancora una possibilità. Ci sono quasi, sento che posso fare finalmente un libro compiuto e degno di ricordanza.”“Intanto smettila di frignare con questi cruschismi del cazzo. Non vuoi capire. Tu sei un piazzista eccezionale, il migliore al Mondo. È ciò che sai fare meglio, per cui la gente ti acclama da vent’anni come il narratore per eccellenza di questo paese. Ricomincia. ““Quindi devo tornare a riempire ogni singola pagina di stronzate per ragazzini problematici e semianalfabeti?”“Bravo. Lo vedi?, quando non spari cazzate sulla politica sei un ragazzo intelligente.”“E’ che volevo fare un libro come si deve, prima di morire. Ci tengo tanto, e tu lo sai che sono bravo. Me lo merito, no?”“Hai 50 anni e passa, non lo scriverai mai più, un libro decente. Non a caso il tuo libro migliore è un monologo teatrale. E non tutti scrivono il libro della vita a 87 anni, a meno che non ti chiami Saramago o giù di lì. Tu ti chiami Saramago, forse?”La proverbiale sicurezza dello scrittore vacilla. Si scopre fragile, riaffiora inattesa la sua umanità.“No, non lo sono. Hai ragione. Senti, prima in macchina mi è ve-nuta un’idea per il nuovo romanzo.”“Vai.”“La protagonista è una escort francese...”“Una che?”“Una puttana.”“Okay.”“Dicevo, una escort che fugge in Italia per scampare al suo pappa. All’inizio non ha una lira. È un personaggio complesso, che fa sì sesso a pagamento ma suona Liszt spalle al pianoforte, per dire. Va be’. Comunque, sai come risolve il problema dell’alloggio?”“No.”“Accogliendo i clienti nella sua Ford Escort.”“Geniale.”“Aspetta. A causa del battutismo greve da cui sarà afflitta sin dalle prime righe, Nella Putta userà i primi stipendi per spararsi eroi-na in vena. Col passare del tempo racimolerà un sacco di soldi e incontrerà personaggi straordinari; ho già pensato all’eroe che la farà sognare: un poeta gay islandese cieco dall’occhio destro che suona la chitarra elettrica usando un archetto per violoncello.”“Quello esiste già, si chiama Jonsi.”“Buon Dio, e chi è il coglione che l’ha inventato?”“Esiste davvero, è il leader dei Sigur Ròs. Band stracciapalle come poche, ma sai com’è, ogni tanto i discografici hanno qualche rigur-gito radical-chic.”“Mmm, peccato, mi era venuto bene...però...ohh, sì sì!, ne avrei in mente un altro...”“Il ragazzo che nasce, vive ed esplode sul transatlantico sul quale diventa il più grande pianista di tutti i tempi l’hai già usato.” “...”“Va be’, fa nulla. L’idea della zoccola è buona, il Principe Azzurro verrà. Lavoraci. Ma ricorda: pura astrazione. Non creare paralleli-smi, altrimenti poi i ragazzini riflettono e non ti leggono più, e ci tocca andare in cerca di bravi scrittori. La troia può emanciparsi grazie al suo straordinario eroe, ma dopo il tradimento di lui con una flautista bisex di San Pietroburgo dovrà abortire e tornare a farsi di cazzi ed eroina nella sua Ford Escort, okay? Nessuno deve poter aspirare a qualcosa di meglio. Nessuno.”

In quella stretta di mano allignava una nuova promessa. Nuovi successi. Altri lampi. Il Nobel, forse. Di certo, la Storia. Il numero uno tornava su piazza.

Francesco Farina

Il miglior piazzista del Mondo

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V

La proprietà privata (intellettuale) è un furto!di Davide Pittioni

Con la chiusura di Megaupload abbia-mo assistito ad una forte iniziativa del

governo americano per combattere la vio-lazione dei diritti sul copyright; violazione che si è diffusa divenendo prassi “quoti-diana” in seguito all’ingigantirsi delle rete globale, connettore universale di relazioni, difeso a spada tratta dagli illuminati del web e dai populisti più disparati.Una prima annotazione, credo importante, è che il web ha delle potenzialità indubbia-mente liberatrici dai vincoli di potere, ma anch’esso, come ogni rapporto umano, ri-produce pratiche di dominio e assoggetta-mento. A riguardo Wu Ming è molto chiaro, sostenendo la tesi di un nuovo feticismo, il feticismo della merce digitale: «Quando si parla di Rete, la “macchina mitologica” dei nostri discorsi – alimentata dall’ideolo-gia che, volenti o nolenti, respiriamo ogni giorno – ripropone un mito, una narrazione tossica: la tecnologia come forza autono-ma, soggetto dotato di un suo spirito, real-tà che si evolve da sola, spontaneamente e teleologicamente».Di conseguenza la rete appare come un campo neutro dove le libertà d’espressio-ne sono garantite in maniera radicale, per l’essenza stessa di internet. Chiaramente, invece, il mondo cibernetico offre una re-altà ben diversa, lontana mille miglia dal-la narrazione pacificata e pacificante che vorrebbero i promotori della candidatura di internet a premio nobel per la pace. Fa-cebook è un caso eclatante: mentre noi im-pieghiamo, e crediamo di impiegare, il no-stro tempo libero nella navigazione, questo dall’azienda facebook viene trasformato in lavoro non-retribuito (categoria assoluta-mente innovativa) e valorizzato come mer-ce da vendere ad altre aziende per proget-tare strategie pubblicitarie mirate. In poche parole, lavoriamo senza saperlo...Il problema del copyright assume, allo-ra, un significato ben più pregnante della semplice “questione legale”. Esso va con-testualizzato nella realtà contraddittoria della rete, dove in potenza la violazione dei diritti d’autore è ben più equivoca che nella realtà sociale.Da una parte ci troviamo di fronte a uno sfruttamento dell’attività produttiva extra-lavorativa, dall’altra ad un progressivo controllo di questa attività in funzione di una difesa del copyright (e ciò sembrerebbe limitare il pieno e (libero)* dispiegamento del lavoro collettivo da cui estrarre valore). Contraddizione che risiede nell’ambiguità delle aziende a forte connotazione cogni-tiva.Ciò che le nuove legislazioni stanno in-troducendo è chiaramente una restrizione sempre maggiore della libertà di pensie-ro, espressione e circolazione delle idee. Prolungamento temporale del copyright, censura preventiva dei siti video-sharing, maggiori capacità di controllo delle multi-nazionali che detengono i brevetti, ne sono le più vistose conseguenze. Dati significa-tivi se inseriti in una cornice globale che

vede una forte insistenza nella stipulazio-ne di accordi commerciali internazionali vertenti proprio sulla difesa della proprietà intellettuale.E’ utile, in questo caso, giocare al rialzo e vederne i possibili effetti sulla realtà sociale. Seguendo il filo della difesa del-la proprietà intellettuale ci troviamo di fronte a situazioni paradossali che non possiamo sottovalutare: contadini del terzo mondo che dovranno pagare per utilizzare tecniche agricole in uso da secoli in quei luoghi, a causa della brevettazione delle multinazionali; oppure produzioni intel-lettuali totalmente asservite (in nome di una presunta razionalità produttiva) alle logiche del profitto (è un caso che l’inutile cultura umanistica venga tagliata, scredita-ta, abbandonata?) Inoltre con le conquiste della biogenetica non ci troveremo nell’in-quietante situazione in cui dei privati de-terranno la proprietà dei nostri geni? Non è quello che sta avvenendo con gli Ogm? Non è poi così assurdo pensare, in queste condizioni, l’allargamento dei brevetti ol-tre la natura inanimata...Insomma il famoso fenomeno delle “en-closures” non si è arrestato allo spazio abitabile, ma sta colonizzando campi fino ad oggi inesplorati, quello dell’essenza della natura (i corredi genetici) e quello, altrettanto preoccupante, dei prodotti intel-lettuali. Proprio in queste situazioni ci tro-viamo di fronte ai limiti della validità della proprietà privata, alla sua inadeguatezza sostanziale a essere trasposta nel campo intellettuale. Zizek a proposito afferma: «Con i media interattivi globali di oggi, l’inventività creativa non è più individua-le, è immediatamente collettivizzata, parte del comune, per questo ogni tentativo di privatizzarla attraverso il copyright è pro-blematico: in questo caso si può dire che la proprietà privata è un furto nel vero senso della parola».È lecito chiedersi: fin dove arriva la pro-prietà intellettuale di un privato? I tenta-tivi, alle volte disperati, di coprire i vuoti giuridici in materia sembrano prospettare un’insistenza sempre maggiore nella cen-sura, nei controlli, nelle proibizioni sulle attività intellettuali.Allora, forse, non dovremmo chiederci se il modello della proprietà intellettuale non sia fallimentare e controproducente? Vale la pena difenderlo a ogni costo?Sembra che la difesa dei diritti d’autore, se li si intende come proprietà intellettua-le, non verta tanto sulla tutela dell’autore, quanto invece sulla volontà dei capitali a sfruttare il lavoro collettivo, che per eccel-lenza è quello intellettuale: a conti fatti ri-guarda un certo capitalismo, quello cogni-tivo (ah, il capitale cognitivo!), nelle sue ultime manifestazioni!

*La parentesi è d’obbligo per una libertà fittizia

La Musa del Tuono

Crini tuoi d’orosparsi dal ventonon vincono il rarotuo portamento.Occhi del mare,occhi profondiche fanno viaggiarelontano pei mondi.E lontano eral’Amore cieco,lontana la notadolce, del cuore:lontano il poeta.Eccoti poi saettache il cielo dividi, unicaforza nell’universofiglia misticadel retaggio ormai perso.Or scendi leggerasui passi dell’aeree sei così verach’è difficile credere.Fai pochi passie traccia non lasciail tocco sull’erba;e corre le messiora il mio sguardoe cerca tee il caldo abbracciodelle tue labbradi fuoco amaranto...

Andrea Franti

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Ultimamente sempre più spazio sulla carta stampa-

ta, su internet e sugli altri mez-zi di informazione più o meno consuetudinari viene dedicato o occupato – passatemi il ter-mine – da analisi più o meno brillanti riguardo alla situazione Italiana, Europea e in generale mondiale per quel che concerne la crisi economica nel signifi-cato più ampio e illimitato del termine, viste anche le pesanti conseguenze politiche, sociali, ambientali, e perché no anche culturali, che questa trascina dietro di sé. Giornalisti, opinio-nisti e chi più ne ha più ne metta si vedono impegnati ad analiz-zare il mondo che ci circonda usando terminologie e parole unte e bisunte, che ormai – al-meno per quel che mi riguarda – danno la nausea; il lettore vie-ne così bombardato da termini e formule che poco hanno da spar-tire con la vita di tutti i giorni, la vita di chi a fine mese non ci arriva, la vita a chi dopo esser-si laureato o diplomato riserva ben poche alternative spesso per niente appetibili, la vita del pensionato che vive da solo e non sa ne come ne perché dopo una vita di lavoro si sia meritato un trattamento simile. L’analista di turno – chiamerò così d’ora in poi, riunendo nel termine le innumerevoli figure che oggi si occupano di informazione – ten-ta quindi di dare una sua visione delle cose criticando più o meno apertamente la mancata reazio-ne di un popolo oramai assopito dai reality e dai social network – sui quali magari ha almeno un profilo, o una pagina per sen-tirsi meno solo con i mi piace dei fan –, un popolo oramai non disposto a rinunciare al suo pic-colo orto e a sentire nuovamen-te come un tempo, il richiamo della “strada” o perlomeno della

partecipazione attiva, un popo-lo a cui non resta che vedersi piovere addosso le manovre di un governo sempre più lontano e padrone di questo grande tea-trino. Le analisi a questo punto lasciano carta bianca a espres-sioni e spiegazioni altisonanti e dai facili paroloni accademici, il richiamo ai grandi del passato trova tra le loro righe uno spa-zio di cui forse solo gli stessi scribi sentivano il bisogno, che in queste forme più astratte che reali cercano di spiegarci quello che la realtà di tutti i giorni ci riserva.Oltre alle facili argomentazioni nominate sopra, molto spesso si vedono le dita puntate ver-so il generale menefreghismo all’italiana, all’ormai famoso italiano medio che più in là del suo orto non vede e ai mezzi di comunicazione classici o meno che cancellano le coscienze e disorientano il popolo – anche questa volta nell’accezione più ampia del termine. Ma cosa si sta facendo per far si che que-sta situazione cambi o cominci a cambiare?Se per una volta si abbandonas-sero le spiegazioni superficiali e le citazioni da intellettuali acca-demici, forse si riuscirebbe a far maggior chiarezza in merito a queste dinamiche; non pretendo di detenere la chiave per la ve-rità assoluta – se mai qualcuno creda esista – ma ho la presun-zione o forse meglio la speranza che il mio intervento possa es-sere punto di partenza per una semplice quanto importante riflessione; non mi addentrerò a fondo negli esempi che por-terò per non dilungarmi troppo ma credo che comunque le mie riflessioni siano fondate e non vittime di una visione superfi-ciale delle cose. Se si osservano gli ultimi sviluppi politici e so-

ciali che hanno interessato nei mesi scorsi e attualmente i pa-esi nord-africani, la quanto mai vicina Grecia, l’Argentina come caso più “antico”, senza trala-sciare il movimento NO-TAV e i numerosi movimenti #occupy, ci si rende conto ben presto che nonostante le differenze, anche sostanziali, nelle premesse e nelle basi dei differenti movi-menti nominati sopra, sono tutte realtà accomunate da una forte mobilitazione della popolazione che, attraverso il suo linguaggio semplice, immediato e veritie-ro è riuscita a diffondere il suo messaggio e a registrare anche qualche vittoria; in questi casi la semplicità del messaggio è riuscita a raggiungere pratica-mente chiunque ed è questa la “chiave del successo”. Mi spie-go meglio: è inutile inalberarsi in citazioni d’alto rango e paro-loni complessi per sentirsi intel-lettuali, se poi in questo modo non riusciamo a raggiungere con il nostro messaggio le per-sone di tutti i giorni, che per i più svariati motivi possono aver scelto o possono non aver avuto la possibilità di una formazione scolastica di un certo tipo. Ein-stein – lo cito perché anche mia nonna di 82 anni e con la terza elementare ripetuta tre volte lo conosce – affermava: «Non hai veramente capito qualcosa fin-ché non sei in grado di spiegar-lo a tua nonna»; credo che sia questa precondizione a rendere grandi i grandi della storia – mi si perdoni la ripetizione e il gio-co di parole. Ora quello che re-almente serve non sono articoli barocchi, utili a dimostrare (a chi, non lo so) di aver superato qualche esame universitario dal nome altisonante, quanto un’in-formazione trasparente, vera e semplice di modo che tutti possano cominciare a prendere maggiore coscienza rispetto al mondo che li riguarda e li cir-conda. Sono fermamente con-vinto che il progresso, quello sano e rispettoso delle diversità e della complessità della società di un Paese e non solo, debba avere alla base un progresso culturale che sia quanto di più lontano dal concetto di elité e cercare di inglobare nel dibat-tito le categorie più disparate e differenti che compongono la società in cui viviamo; lo stu-dente universitario, l’operaio metalmeccanico, il pensiona-

to e il disoccupato dovrebbero essere tutti messi in grado di partecipare al dibattito e quindi allo sviluppo culturale; questo a mio vedere può avvenire solo se chi ha possibilità di intende-re meglio certe dinamiche si fa “traduttore” umile delle stesse. Questo non significa abbassare il livello culturale dei dibattiti, ma anzi arricchirlo grazie alla diversità dei soggetti interessa-ti allo stesso. Un’altra citazio-ne a supporto di questa “tesi” è il caso di Roberto Benigni: la grandezza dell’attore toscano nelle sue lezioni su Dante e la Divina Commedia è stata pro-prio la capacità di spiegare una delle vette più alte della nostra produzione letteraria di modo che la sua bellezza e grandez-za, nonché il suo significato, a chi per i più disparati motivi e le più disparate ragioni non ha potuto usufruire di una forma-zione più o meno accademica. Si cominci – è un appello e un impegno che rivolgo anche a me stesso – a esplorare non solo il mondo accademico, ma anche il mondo della tradizione po-polare – peraltro ricchissimo –, si ritorni a qualche espres-sione popolare, dialettale, più terra-terra prima di cominciare con la costruzione di castelli in aria o abbandonarsi a facile e improduttive seghe mentali, soprattutto se l’unico fine che hanno è l’autocompiacimento e l’auto celebrazione. Vedo come inammissibili le lamentele di chi percepisce come qualcosa di passato il richiamo all’indi-gnazione, il richiamo alla strada nonostante stia parlando da una sopraelevata.

VI

Strada o sopraelevata?di Marco Sinuello

...parole al vento...

«La bellezza, senza dubbio, non fa le rivo-luzioni. Ma viene un giorno in cui le rivo-

luzioni hanno bisogno della bellezza.»

Albert Camus

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VII

L’arte (e Pound) tra ‘sdoganamento’ e mistificazione di Lorenzo Natural

La critica artistica dovrebbe partire da un semplice

presupposto: essere onesta con se stessa, con il pubblico e soprattutto con l’autore soggetto ad essa, dove con onestà si intende il rispetto incondizionato della realtà e scevro da parzialità soggettive nel giudizio critico. D’altra parte, il pubblico stesso deve sforzarsi – per quanto possibile – di far propria questa qualità nel recepire il messaggio critico per non incorrere in spiacevoli fraintendimenti e distorsioni faziose di una qualsiasi opera d’arte di un qualsivoglia artista, sia esso scrittore, pittore, scultore, musicista, poeta. È scontato, quasi lapalissiano, che per poter formulare un qualsiasi giudizio critico (che non sia per forza ”di valore”, ma nel senso più strettamente filologico di analisi e valutazione) sia necessario conoscere approfonditamente l’opera presa in esame e l’autore di tale opera: ad esempio, non può essere considerato serio né tantomeno degno di valenza oggettiva (criticamente parlando) un esame come quello mosso recentemente dal gruppo Gherush92, organizzazione di ricercatori e professionisti consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite sulla Commedia di Dante Alighieri, accusata di islamofobia, antisemitismo e omofobia senza minimamente tener conto del contesto storico e semantico dell’opera, chiedendone addirittura il ritiro dalle liste dei libri di testo scolastici.

Vorrei, però, porre lo sguardo su un pensiero corollario: poniamo che Dante abbia effettivamente scritto versi razzisti e antisemiti, poniamo che l’abbia fatto perché era effettivamente razzista e antisemita, possiamo bollare la sua grandiosa opera – valutata tra le più grandi, se non la più grande della storia della letteratura mondiale – per tutelare un politically correct strettamente moderno? L’Otello e Il mercante di Venezia di Shakespeare, alcuni racconti e romanzi di Dostoevskij dovrebbero, quindi, essere messi al rogo perché contengono stralci antisemiti e razzisti? Credo che nessun amante della letteratura permetterebbe che ciò accada.

Ciò posto, ritengo totalmente mistificatrice pure una seconda operazione critica: svincolare, o meglio sdoganare, uno scrittore dalla propria essenza. È questo,

ad esempio, il caso di Ezra Pound. In seguito a un recente e grave fatto di cronaca avvenuto a Firenze, l’omicidio di due ragazzi senegalesi da parte di un simpatizzante – poi suicida – di un’associazione politica e culturale che prende il nome dal grande poeta americano, Casa Pound appunto, un gruppo di intellettuali ha lanciato un appello attraverso le colonne de “Il Corriere della Sera” contro l’appropriazione indebita da parte di un gruppo estremista e neofascista del nome di Pound, disconoscendone l’universalità poetica, appoggiando le richieste della figlia di Pound, l’ottantaseienne Mary de Rachewiltz che ha mosso causa contro l’associazione.

Ora, che la poesia di Pound sia patrimonio di tutti credo sia assodato, così come per qualsiasi autore: l’Arte non deve portare etichette politiche là dove l’autore non abbia espressamente voluto ciò (il voler catalogare qualsiasi opera d’arte sotto un preciso indice ideologico, in Italia, è strettamente collegato con il periodo sessantottino e gli anni ad esso immediatamente successivo) e anche se così fosse non vedo perché una persona di sinistra non possa apprezzare un’opera di un autore di destra e viceversa. Tuttavia, svincolare Pound da una precisa ideologia – quella fascista – è un’operazione culturalmente errata, nonché moralmente fastidiosa. Pound era amico di Mussolini, nonché suo ammiratore e punto di riferimento culturale: lo testimoniano alcuni suoi Cantos, la sua adesione alla Repubblica Sociale di Salò, i suoi discorsi radiofonici propagandistici contro l’intervento alleato nella Seconda Guerra Mondiale, la sua prigionia presso un campo d’internamento vicino a Pisa (dove maturò i suoi Cantos Pisani appunto), la sua battaglia poetico-economica contro l’usura e il capitalismo, la sua deportazione negli Stati Uniti per “alto tradimento verso la Patria e infermità mentale”, le sue famose ‘carezze’ ai fasci littori scolpiti su una facciata di Palazzo Diamanti a Ferrara. Come scrisse Pierluigi Battista, sempre su “Il Corriere della Sera”, in data 17 gennaio 2012, in Italia “si fatica ad accettare l’idea che una grande cultura possa essere partorita da un fascista e che tra fascismo e cultura […] non ci siano una inconciliabilità e una incompatibilità assolute. Si

considera ancora il fascismo dei grandi scrittori, artisti, poeti, architetti, drammaturghi, registi fascisti come una parentesi insignificante, un accidente biografico, al massimo un deplorevole ma momentaneo cedimento che non inficia la grandezza dell’arte e della letteratura. Oppure li si depura, si dà loro una versione purgata, narcotizzata, decolorata della loro arte e del loro pensiero.

La richiesta della figlia di Pound e del gruppo di intellettuali firmatarî del documento non solo è figlia di una mentalità tipicamente italiana di condanna aprioristica a tutta l’arte che non rientra nei canoni democratico-costituzionali, ma è anche una richiesta storicamente e moralmente lontana dalla realtà. Tenendo sempre presente che la spaventosa (per quantità) produzione poetica poundiana non sia mica tutta “fascista” (anzi, lo è solo in piccola parte), ribadendo l’universalità dell’innovazione avanguardista dei suoi versi e dei suoi contenuti, cosa c’è di inaccettabile nel vedere un gruppo politico fascista che porta il nome di un grande scrittore fascista? Al di là dei giudizî etici e morali che ognuno può dare al suddetto gruppo, nulla. Ci si scandalizzerebbe se un’associazione politica, un centro sociale di sinistra, si richiamasse a Bertolt Brecht, per esempio? Assolutamente no, nemmeno se un simpatizzante di

questo gruppo, in preda a una follia personale compisse un omicidio a sfondo politico. Perché Brecht era comunista, anche se non tutta la sua produzione teatrale, cinematografica e poetica lo era.

Accettare che un pilastro della nostra epoca abbia parteggiato per Mussolini e per il Fascismo è probabilmente un passo in avanti mentale ancora difficile da compiere per la classe intellettuale italiana, o almeno per i varî Belpoliti, Cucchi, Magrelli, Guglielmi, Ghezzi, Balestrini e per gli altri firmatarî, a quasi settant’anni di distanza dalla fine di quel periodo.

Vorrei aggiungere una chiosa finale: il legale della figlia di Pound, l’avvocato Felice d’Alfonso del Sardo ha successivamente spostato il tiro, sconfessando le dichiarazioni della sua assistita: “Non è un processo di taglio politico. Noi non diciamo che siccome sono fascisti non devono usare il nome di Pound. Diciamo solo che non ci hanno chiesto l’autorizzazione a farlo”. Come dire che la signora de Rachewiltz abbia registrato il nome di suo padre come fosse un marchio, il che sarebbe ancor più denigratorio verso Pound. E proprio vero che Ad Eleusi han portato puttane. / Carogne crapulano / ospiti d’usura.

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Direttore Responsabile: Stefano Tieri

Impaginazione e grafica: Alberto Zanardo

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IIIV

Lilligrafia

Sulla censura e l’antisemitismo di Dante: una questione laica.di Nicola

Capita, quando la gente impazzisce in gruppo, di dare la colpa al torrido cal-

do estivo; tuttavia, fino a prova contraria, siamo a marzo e fuori fa anche discreta-mente freddo. Il tempo però, non ha certo fermato il gruppo Gherush92 -che nono-stante il fuorviante nome da preadolescen-ziale account hotmail- è in realtà un’agen-zia Onu e ha recentemente dichiarato che la Divina Commedia dovrebbe essere ban-dita dalle scuole perché omofoba, antise-mita, islamofoba e avrebbe «certamente […] ispirato i Protocolli dei Savi Anziani di Sion, le leggi razziali e la soluzione fi-nale».Procedendo analiticamente, preso nota delle sopramenzionate accuse al testo dan-tesco, il punto fondamentale orbita attor-no alla richiesta «al Ministro della Pub-blica Istruzione, ai Rabbini e ai Presidi delle scuole ebraiche, islamiche ed altre di espungere la Divina Commedia dai pro-grammi scolastici ministeriali».Ora, in primis, le scuole ebraiche e islami-

che, ammesso esistano in Italia, giuridica-mente sono banalissime scuole private che per erogare un titolo valido nel territorio nazionale debbono soddisfare determinati requisiti, di cui il programma ministeria-le è uno. Eliminato, a scanso di equivoci, ogni dubbio sullo spazio di manovra che si possono (o meglio, non si possono) per-mettere le fantomatiche scuole invocate dall’agenzia Onu, la domanda che rimane è: perché dunque il Ministero della Pub-blica Istruzione dovrebbe cambiare il pro-gramma?La motivazione che dà Gherush92 è piut-tosto semplice: perché urta la sensibilità di ebrei emussulmani, costretti, poveri loro, a ve-dersi insegnare uno dei più grandi capola-vori di letteratura medievale mai prodotto dall’umanità, che però non è aggiornato con le ultime regole in fatto di political-ly correct. Si potrebbe obbiettare che, nell’Inferno di Dante, compaiono anche –e soprattutto- cristiani (senza risparmia-re vescovi o prelati) e questo non mi pare

abbia mai sollevato critiche nemmeno tra i più intransigenti dei cattolici, né abbia dato all’opera una fama anticlericale.Si potrebbe altresì far notare che il Saladi-no viene assegnato tra i valorosi non-cri-stiani del Limbo, in compagnia di Aristo-tele e Cesare, non propriamente coerente con l’accusa d’islamofobia mossa contro il poeta fiorentino. Ma anche nel caso si vo-lesse continuare a fare violenza sul poema decontestualizzandolo e facendolo appari-re come un testo antisemita che i poveri studenti ebrei sono costretti a studiare, da cattolico, mi chiedo cosa dovrei dire di tutta la letteratura smaccatamente anticle-ricale o più o meno sottilmente blasfema presente nel programma ministeriale? Si dovrebbe forse pretendere di passarlo al vaglio dell’ortodossia Cattolica? Non cre-do che nessuno l’abbia mai proposto e in-dubbiamente non lo verrà in futuro. Detto questo della exreligione di stato, va da sé per le altre.Il punto cruciale risiede altrove: in base a quale principio si pretende di voler appor-tare modifiche al programma ministeriale in uno stato aconfessionale seguendo cri-teri religiosi, in uno paese che della lai-cità (e del laicismo, ahinoi) ha fatto una battaglia? Specialmente se tale pretesa viene dall’Onu, che fin quando si tratta-va di promuovere le lobby omossessuali sposava sempre volentieri la causa laica. Inoltre, naturale viene chiedersi dove sia-no finiti gli strenui difensori della libertà dello stato dalle confessioni, che si sono battuti il petto fino a sfondarselo quando c’era da evitare a Benedetto XVI di visita-re la Sapienza ma lasciano mansuetamente che vengano avanzate censure alla Divina Commedia per conto di ebrei e mussulmani.Rispondendo con un minimo di onestà in-tellettuale a queste domande si arriverà alla conclusione che, no, non esiste nes-sun motivo né contesto che potrebbe es-sere vagamente considerato valido in uno stato laico per corroborare la tesi e la ri-chiesta di Gherush92.