Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

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Chuan C. Chang i fondamenti dello studio del pianoforte

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ChuanC.Chang

i fondamenti dellostudio del pianoforte

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È U N L IB RO D I

PUBLISHING COMPANY

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I Fondamenti dello Studio del Pianoforte

di Chuan C. Chang

Titolo originale dell’opera:

Fundamentals of Piano Practice

Copyright © 1991…2004, Colts Neck, N.J., U.S.A.

Traduzione dall’americano a cura di Roberto Gatti

Copyright © 2004, Milano. Proprietà letteraria riservata.

ISBN: 88-900756-5-1.

Editore: Juppiter Consulting Publishing Company

tel. 02 5275500, http://www.juppiterconsulting.it

http://www.studiarepianoforte.it

Prima edizione, marzo 2004.

Stampa: Selecta SpA, via Quintiliano, Milano.

Giammai nessuna parte del presente libro potrà essere riprodotta, memorizzata in un sistema che ne permetta

l’elaborazione, né trasmessa, in qualsivoglia forma e con qualsivoglia mezzo elettronico o meccanico, né potrà

essere fotocopiata, registrata o riprodotta in altro modo, senza previo consenso scritto dell’Editore, tranne nel

caso di brevissime citazioni contenute in articoli o recensioni.

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PREFAZIONE

Questo è il primo libro mai scritto su come studiare pianoforte! La rive-lazione è che esistono metodi di studio altamente efficienti, tali da acce-lerare l’apprendimento. La cosa sorprendente è che questi metodi sono noti fin dai primi giorni del pianoforte: venivano insegnati raramente perché solo pochi insegnanti li conoscevano e questi ben informati non si presero mai la briga di registrarli in letteratura.

Mi resi conto negli anni Sessanta dell’assenza di un buon libro su co-me esercitarsi al pianoforte. Il meglio che riuscii a trovare, dopo una ricerca bibliografica, fu il libro della Whiteside: una completa delusione (si veda la Sezione Riferimenti). Come studente laureato alla Cornell University, che studiava fino alle due di notte solo per stare al passo con alcuni dei più brillanti studenti provenienti da tutto il mondo, avevo poco tempo per studiare pianoforte. Avevo bisogno di sapere quali fos-sero i metodi di studio migliori, specialmente perché qualsiasi cosa usas-si non funzionava, nonostante in gioventù avessi diligentemente preso lezioni di pianoforte per sette anni. Come facessero i pianisti concertisti a fare ciò che facevano restava per me un mistero. Era solo una que-stione di impegno, tempo e talento sufficienti, come sembrava pensasse-ro la maggior parte delle persone? Se la risposta fosse stata “Si” per me sarebbe stata devastante: avrebbe significato che il mio livello di talento era talmente basso da lasciarmi senza speranza. Avevo impiegato impe-

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gno e tempo sufficienti, almeno in gioventù, studiando fino ad otto ore al giorno durante i fine settimana.

La risposta mi arrivò gradualmente negli anni Settanta, quando notai che l’insegnante di nostra figlia usava dei metodi sorprendentemente ef-ficienti, piuttosto diversi da quelli usati dalla maggior parte degli inse-gnanti di pianoforte. Durante un periodo di oltre dieci anni tenni trac-cia di questi metodi e giunsi alla realizzazione che il fattore più impor-tante nell’imparare è il metodo di studio. Impegno, tempo e talento sono semplicemente fattori secondari! Il “talento”, infatti, è difficile da defini-re ed impossibile da misurare. Il talento può giocare un qualche ruolo nel determinare il vincitore di una competizione Van Cliburn, ciò nono-stante, per la maggior parte degli aspiranti musicisti, “talento” è una pa-rola nebulosa spesso usata, ma priva di un vero e definibile significato. I metodi di studio corretti possono infatti rendere praticamente chiun-que un musicista “di talento”! L’ho visto accadere spesso alle centinaia di saggi degli studenti ed alle competizioni di pianoforte a cui ho assisti-to. Ogni studente che aveva trovato l’insegnante giusto era diventato un musicista “di talento”.

C’è ora evidenza crescente, in parte analizzata in questo libro, che il genio, o il talento, possa essere più creato che innato – Mozart è proba-bilmente il più prominente esempio dell’“Effetto Mozart”. Si noti che ascoltare musica è solo una componente di questo complesso effetto: la componente più grande è, per i pianisti, fare musica. Un buon metodo di studio, quindi, non solo accelererà l’apprendimento, ma aiuterà anche a sviluppare il cervello musicale, specialmente nei giovani. Il tasso di ap-prendimento viene accelerato, non semplicemente aumentato (è come la differenza tra interessi composti ed interessi semplici nei conti di ri-sparmio). Gli studenti privi di buoni metodi di studio rimarranno quindi, nel giro di pochi anni, indietro senza speranza. Questo fa appa-rire gli studenti con un metodo di studio adeguato di gran lunga molto più dotati di talento di quanto non lo siano in realtà, perché possono imparare in minuti o giorni quello che farebbe impiegare agli altri dei mesi o degli anni.

Il metodo di studio può fare la differenza tra una vita di futilità e quel-la di un pianista da concerto, in meno di dieci anni per studenti giovani e coscienziosi. Usando il metodo di studio corretto bastano pochi anni, ad uno studente diligente di qualsiasi età, per iniziare a suonare pezzi significativi di compositori famosi. La più triste verità dei due secoli scorsi è che questi straordinari metodi non sono mai stati documentati, sebbene la maggior parte di essi sia stata scoperta e riscoperta migliaia di volte. Ogni studente doveva riscoprirla da sé o, se fortunato, impa-

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rarla dagli insegnanti che ne conoscevano qualcuno. I migliori esempi di questa mancanza di documentazione sono gli “insegnamenti” di Franz Liszt. Ci sono una dozzina di Società Franz Liszt che hanno prodotto centinaia di pubblicazioni, su di lui sono stati scritti numerosi libri (si veda Eigeldinger, nella Sezione Riferimenti) e migliaia di insegnanti hanno sostenuto di insegnare il “Metodo Franz Liszt”. Nonostante ciò non c’è neanche una pubblicazione che descriva in cosa consista il me-todo! Una delle principali ragioni di questa mancanza di documenta-zione è che i buoni metodi di insegnamento sono la base dei mezzi di sostentamento della maggior parte degli insegnanti e sono quindi un “segreto industriale”. Ci sono infiniti resoconti di quello che Liszt fosse in grado di fare e delle sue capacità tecniche, ma ciò nonostante non ci sono riferimenti sui dettagli di come ci arrivò. C’è una certa evidenza, in letteratura, che lo stesso Liszt non riuscisse a ricordare esattamente quello che aveva fatto in gioventù; questo è comprensibile perché pro-babilmente sperimentava e provava qualcosa di nuovo ogni giorno. Siccome la pedagogia pianistica è riuscita a perdere traccia di come i grandi pianisti di tutti i tempi acquisirono inizialmente la loro tecnica di base, c’è poco da stupirsi se non abbiamo niente che si avvicini a quello che potremmo chiamare un libro di testo sull’apprendimento del piano-forte. È possibile immaginare di imparare la matematica, la fisica, la storia, la programmazione dei computer o qualsiasi altra cosa senza un libro di testo e (se si è fortunati) con la sola memoria dell’insegnante come guida? Nonostante questo, quando si va a lezione, l’insegnante non dà mai un libro di testo sullo studio del pianoforte. Ciascun inse-gnante, di conseguenza, ha il suo metodo di studio/insegnamento ed o-gnuno pensa che il proprio sia migliore di quello di tutti gli altri. Senza libri di testo e documentazione la nostra civiltà non sarebbe avanzata molto oltre a quella delle tribù della giungla, il cui sapere è stato tra-mandato a voce. La pedagogia del pianoforte è stata in questa situazio-ne negli ultimi duecento anni!

Ci sono un certo numero di libri sull’apprendimento del pianoforte (si veda nei Riferimenti), ma nessuno di essi si qualifica come libro di testo per il metodo di studio, ciò di cui ha bisogno lo studente. Molti di que-sti libri descrivono le abilità tecniche necessarie (scale, arpeggi, trilli, ecc.) ed i libri più avanzati descrivono la diteggiatura, la posizione delle mani, i movimenti, ecc. necessari per suonare, ma nessuno fornisce un insieme sistematico di istruzioni su come esercitarsi. La maggior parte dei libri per principianti fornisce un po’ di queste istruzioni, ma molte di esse sono sbagliate – un buon esempio è la pubblicità da dilettanti di “Come diventare un virtuoso in 60 esercizi” nell’introduzione della serie

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Hanon, scritta da nessun altro che Hanon stesso (si veda la Sezione III.7H del Capitolo Uno). Se si dovesse fare un sondaggio dei metodi di studio raccomandati da un gran numero di insegnanti di pianoforte, che non hanno letto questo libro, molti sarebbero in contraddizione e sa-premmo subito che non possono essere tutti giusti. Inoltre, siccome non ci sono libri di testo, non avremmo idea di cosa contenga un ragionevo-le e completo insieme di istruzioni. Nella pedagogia del pianoforte lo strumento più essenziale per lo studente – un insieme di istruzioni ele-mentari su come studiare – è stato fondamentalmente inesistente fino alla scrittura di questo libro.

Non realizzai quanto fossero rivoluzionari questi metodi fin quando non terminai la prima edizione. Inizialmente sapevo solo che essi erano migliori di quelli che avevo usato precedentemente: avevo ottenuto ri-sultati buoni, ma non notevoli. Ho fatto esperienza del mio primo ri-sveglio dopo aver finito il libro: fu allora che lo lessi veramente ed ap-plicai sistematicamente i metodi, sperimentandone l’incredibile efficien-za. Quale fu, quindi, la differenza tra il solo sapere le parti del metodo e leggerle? Nello scrivere il libro dovetti prendere le varie parti e siste-marle in una struttura organizzata che soddisfacesse uno scopo specifico e che non mancasse di componenti essenziali. Come scienziato qualifi-cato sapevo che organizzare il materiale in una struttura logica era l’unico modo per scrivere un manuale utile (si veda la Sezione 2 del Ca-pitolo Tre). È ben noto, nella scienza, che la maggior parte delle scoper-te vengono fatte scrivendo i rapporti di ricerca, non conducendola. Fu come se avessi avuto tutti i pezzi di una automobile, ma senza un mec-canico che li montasse correttamente e li regolasse non sarebbero stati molto utili come mezzo di trasporto. Qualunque fossero le ragioni esat-te dell’efficacia del libro, mi convinsi del suo potenziale di rivoluzionare l’insegnamento del pianoforte (si veda la Sezione Testimonianze) e deci-si di scrivere la seconda edizione. La prima non era neanche un libro onesto: non aveva né un indice né una bibliografia, l’avevo scritto in fretta in quattro mesi nel tempo libero tra i vari lavori. Dovetti chiara-mente condurre una ricerca più approfondita per riempire qualsiasi la-cuna e per passare accuratamente in rivista la letteratura. Dovevo, ad esempio, soddisfare i requisiti di un vero approccio scientifico allo stu-dio del pianoforte (si veda il Capitolo Tre). Decisi anche di scrivere questo libro sul mio sito web, in modo che potesse essere caricato men-tre la ricerca procedeva e qualsiasi cosa venisse scritta fosse immediata-mente disponibile al pubblico. Come ormai tutti sappiamo, un libro su internet ha molti altri vantaggi, uno di questi è che non c’è bisogno di un indice analitico perché si può fare una ricerca per parola. Ne è venu-

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to fuori che questo libro sta diventando uno impegno pionieristico nel fornire istruzione gratuita attraverso internet.

Perché questi metodi di studio sono così rivoluzionari? Per avere ri-sposte dettagliate si deve leggere il libro e li si devono provare. Nei pa-ragrafi seguenti cercherò di presentare una visione d’insieme di come vengano raggiunti questi risultati miracolosi e di spiegare brevemente perché funzionano.

Iniziamo con lo specificare che nessuna delle idee fondamentali di que-sto libro nasce da me: sono state inventate e re-inventate da qualsiasi pianista di successo, non so quante volte, negli ultimi duecento anni. L’infrastruttura è stata costruita usando gli insegnamenti del Mo Yvonne Combe, l’insegnante delle nostre due figlie che sono diventate abili pia-niste (hanno vinto molti primi premi in competizioni per pianoforte, en-trambe hanno orecchio assoluto e passano un sacco del loro tempo libe-ro a comporre musica). Altre parti sono state raccolte dalla letteratura e dalle mie ricerche usando internet. Il mio contributo è quello di aver messo insieme le idee, averle organizzate in una struttura e aver fornito alcune spiegazioni del perché funzionano. Questa comprensione è criti-ca affinché il metodo abbia successo. Il pianoforte è stato spesso inse-gnato come una religione – si doveva aver fede che se si fosse seguita una certa procedura, suggerita da un “maestro” insegnante, avrebbe funzionato. Un tipico esempio è il modo in cui insegnava la Whiteside (si veda nei Riferimenti). Questo libro è diverso: un’idea non è accetta-bile finché lo studente non capisce il perché funziona. Trovare la giusta spiegazione non è facile perché non la si può semplicemente tirar fuori dal nulla (sarebbe sbagliato) – per arrivare alla spiegazione corretta si deve avere sufficiente esperienza in quel particolare campo del sapere. Fornire una spiegazione scientifica corretta filtra via automaticamente i metodi sbagliati. Questo potrebbe spiegare il perché gli insegnanti di pianoforte esperti, la cui cultura è strettamente concentrata sulla musica, possano essere in difficoltà nel fornire la spiegazione giusta e le loro de-lucidazioni siano spesso sbagliate anche per metodi di studio corretti. Ciò può fare più male che bene perché non solo crea confusione, ma uno studente intelligente concluderebbe che il metodo non possa fun-zionare; è anche un modo veloce per l’insegnante di perdere tutta la credibilità. A questo proposito è stata preziosa, nello scrivere questo li-bro, la mia carriera/cultura di fondo nel risolvere problemi industriali, nelle scienze dei materiali (semiconduttori, ottica, acustica), nella fisica, nell’ingegneria meccanica, nell’elettronica, nella biologia, nella chimica, nella matematica, nei rapporti scientifici (ho pubblicato oltre 100 articoli nelle maggiori riviste scientifiche), eccetera.

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Quali sono quindi alcune di queste idee magiche che si suppone rivo-luzionino l’insegnamento del pianoforte? Iniziamo con il fatto che quando si guarda l’esecuzione di un famoso pianista questi può suonare cose incredibilmente difficili, ma le fa sempre sembrare facili. Come fa? Il fatto è che per lui sono facili! Molti dei trucchi per imparare trattati qui sono quindi metodi per rendere facili le cose difficili. Non solo faci-li, ma spesso banalmente semplici. Questo si ottiene esercitando le due mani separatamente ed esercitandosi su segmenti brevi, a volte fino an-che a solo una o due note. Non si possono rendere le cose più semplici di così! I pianisti esperti riescono anche a suonare in modo incredibil-mente veloce – come ci si esercita per riuscire a suonare velocemente? Semplice! Usando l’“attacco ad accordo” – un modo, anche per pianisti principianti, di muovere tutte le dita simultaneamente facendo si che, per certe combinazioni di note, possano suonare infinitamente veloce. Non c’è sicuramente bisogno di alcuna velocità più alta di infinitamente veloce! Si veda “Insiemi Paralleli” nella Sezione II.11 del Capitolo Uno. Il termine “insieme parallelo”, sebbene l’abbia coniato qui, è solo uno strano sinonimo di “accordo” (uso “accordo” in senso lato per indicare più note suonate contemporaneamente). Tuttavia “accordo” non era una scelta buona quanto “insiemi paralleli” perché avevo bisogno di un termine che descrivesse meglio il movimento delle dita (la connotazione è che le dita si muovono in parallelo) e tra i musicisti “accordo” ha un significato definito più strettamente. Ci vuole sicuramente esercizio per riuscire ad unire degli insiemi paralleli veloci e produrre musica, ma al-meno ora abbiamo una solida procedura bio-fisica per sviluppare le con-figurazioni neuro-muscolari necessarie a suonare velocemente. In que-sto libro ho elevato gli esercizi per gli insiemi paralleli ad un livello mol-to speciale perché possono essere usati sia come strumento diagnostico per scoprire le debolezze tecniche sia come un modo per risolverle. In pratica gli esercizi per gli insiemi paralleli possono fornire soluzioni pra-ticamente istantanee alla maggior parte delle insufficienze tecniche. Questi non sono esercizi per le dita nel senso di Hanon o Czerny, ma, al contrario, sono il più potente insieme singolo di strumenti per una rapi-da acquisizione della tecnica.

Anche con i metodi qui descritti potrebbe sorgere la necessità di stu-diare passaggi difficili centinaia di volte, qualche volta fino a diecimila, prima di riuscire a suonarli con facilità. Ora, se si dovesse studiare una tipica sonata di Beethoven a – diciamo – metà tempo (la si sta solo im-parando), ci vorrebbe circa un ora per suonarla tutta. Ripeterla diecimi-la volte richiederebbe quindi trent’anni, o metà di una vita, se si avesse – diciamo – un’ora al giorno per esercitarsi e se si studiasse solo questa

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sonata per sette giorni la settimana. Non è chiaramente questo il modo di imparare la sonata, sebbene molti studenti usino un metodo di studio non molto diverso. Questo libro descrive i metodi per identificare quel-le sole poche note che è necessario studiare e per suonarle in una fra-zione di secondo (usando ad esempio gli esercizi per gli insiemi paralleli) in modo da poterle ripetere diecimila volte in sole poche settimane (o anche giorni se il materiale è più facile) studiandole solo circa dieci mi-nuti al giorno, cinque giorni la settimana. Questi argomenti sono cer-tamente molto semplificati, ma quando vengono inclusi tutti i complessi fattori la conclusione finale rimane fondamentalmente la stessa: buoni metodi di studio possono fare la differenza, in pochi mesi (si veda la Se-zione Testimonianze), tra una vita di frustrazioni e delle magnifiche soddisfazioni.

Questo libro analizza molti altri principi di efficienza come ad esempio esercitarsi e memorizzare al tempo stesso. Durante lo studio si deve ri-petere molte volte e la ripetizione è il miglior modo di memorizzare: non ha senso quindi non memorizzare mentre ci si esercita. Per riuscire a memorizzare un ampio repertorio è necessario esercitare sempre la me-moria, nella stessa identica maniera in cui si deve studiare tutti i giorni per essere tecnicamente competenti. Gli studenti che usano i metodi di questo libro memorizzano tutto quello che imparano, materiale da leg-gere a prima vista a parte. Questo è il motivo per cui non vengono rac-comandati esercizi come Hanon e Czerny che non sono fatti per essere memorizzati ed eseguiti. Gli Studi di Chopin sono invece raccomanda-bili per lo stesso motivo. Studiare qualcosa non fatto per essere eseguito non solo è una perdita di tempo, ma anche un degradare qualsiasi senso della musica posseduto originariamente. Una volta memorizzato si pos-sono fare molte altre cose che la maggior parte della gente si aspettereb-be solo dai “musicisti dotati”: come suonare il pezzo mentalmente, lon-tano dal pianoforte, o anche trascriverlo integralmente a memoria. Non c’è motivo per cui non lo si possa fare! Queste doti non servono solo a mettersi in mostra, ma sono essenziali per eseguire in pubblico senza er-rori o vuoti di memoria e sono quasi un effetto collaterale di questi me-todi, anche per noialtri gente comune dotata di memoria ordinaria. Molti studenti sanno suonare interi pezzi, ma non riescono a trascriverli – studenti del genere memorizzano solo parzialmente la composizione ed anche in maniera inadeguata per un’esecuzione in pubblico. Molti pianisti sono frustrati dalla loro incapacità di memorizzare, ciò che non sanno è che quando si imparano nuovi pezzi si tende a dimenticare il materiale memorizzato precedentemente, ciò significa che cercare di mantenere un ampio repertorio mentre si imparano nuovi pezzi non è

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un tentativo fruttuoso. Questa consapevolezza, insieme all’arsenale di metodi trattati qui per instillare progressivamente una memoria perma-nente, porta di gran lunga verso l’eliminazione della frustrazione ed il recupero della sicurezza, in modo da permettersi di metter su un reper-torio. Siccome gli studenti che usano metodi di studio inefficienti pas-sano tutto il loro tempo ad imparare nuovi pezzi, non potranno mai svi-luppare un repertorio a memoria ed andranno quindi incontro a tre-mende difficoltà quando proveranno a suonare.

Un altro esempio di qualcosa di utile da sapere è l’uso della forza di gravità: il peso del braccio è importante non solo come forza di riferi-mento per suonare uniformemente (la forza di gravità è sempre costan-te), ma anche per controllare il livello di rilassamento. Fornirò la spie-gazione, ad un livello più profondo, del perché il pianoforte venne pro-gettato con in mente la forza di gravità come riferimento (si veda la Se-zione II.10 del Capitolo Uno). Il rilassamento è un altro esempio: quando eseguiamo compiti fisici difficili, come suonare un passaggio impegnativo al pianoforte, la nostra tendenza naturale è ad irrigidirsi così tanto da far diventare l’intero corpo una massa di muscoli contratti. Provare a muovere le dita rapidamente e indipendentemente in tali condizioni è come provare a correre uno scatto con degli elastici avvolti attorno alle gambe. Riuscendo a rilassare tutti i muscoli non necessari e ad usare solo quelli richiesti per solo quegli istanti in cui servono, ci si può muovere estremamente veloce, senza sforzo, senza fatica e per pe-riodi di tempo prolungati. Un altro esempio sono i muri di velocità: co-sa sono, quanti ce ne sono e cosa li provoca? Come si evitano o si eli-minano? Risposte: sono il risultato di voler fare l’impossibile (siamo noi ad erigerli), ce ne sono fondamentalmente un numero infinito e si evita-no usando i metodi di studio corretti. Un modo di evitarli è innanzitut-to non erigerli sapendo cosa li provoca (stress, scorretta diteggiatura o ritmo, carenza di tecnica, esercitarsi troppo velocemente, studiare a ma-ni unite prima di essere pronti, ecc.) Un altro modo è arrivare a veloci-tà partendo da velocità infinita e procedendo verso il basso, invece che gradualmente verso l’alto, usando gli insiemi paralleli.

Gran parte di questo libro tratta un punto importante: i migliori meto-di per studiare pianoforte sono sorprendentemente contro-intuitivi per tutti tranne che per alcune delle menti più brillanti. Questo punto è di capitale importanza nella pedagogia del pianoforte perché è la spiega-zione principale del motivo per cui gli studenti e gli insegnanti tendono ad usare i metodi di studio sbagliati. Se non fossero stati così contro-intuitivi questo libro non sarebbe stato necessario. Di conseguenza, qui viene analizzato non solo ciò che si dovrebbe fare, ma anche ciò che

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non si dovrebbe fare. Queste sezioni negative non servono a criticare chi usa i metodi sbagliati, sono solo parti assolutamente necessarie al processo di apprendimento. Non ho ancora trovato una spiegazione e-sauriente del perché i metodi intuitivamente logici portino così spesso al disastro, tranne forse il fatto che, essendo il compito così complesso, le soluzioni più semplici ed ovvie semplicemente non funzionano. Ecco quattro esempi: (1) Separare le mani per studiare è contro-intuitivo perché così facendo

si esercita ciascuna mano, poi entrambe assieme e sembrerebbe che si debba studiare tre volte al posto di una sola. Perché studiare a mani separate se alla fine non verranno mai usate? Approssimati-vamente l’ottanta percento di questo libro tratta il motivo per cui studiare a mani separate sia una necessità. Lo studio a mani separa-te è il solo modo di aumentare rapidamente velocità e controllo sen-za procurarsi problemi, permette di lavorare duro per il 100% del tempo a qualsivoglia velocità, senza fatica, stress o infortuni perché il metodo si basa sul cambiare mano non appena quella che sta la-vorando comincia a stancarsi. È importante basarsi sul tempo della mano che riposa piuttosto che quella che si sta esercitando perché la prima non si deve raffreddare e, quando si scelgono perfettamente i tempi, è “calda”, ma non stanca e può spesso fare cose incredibili. Lo studio a mani separate è l’unico modo di fare esperimenti alla ri-cerca del giusto movimento della mano per la velocità e l’espres-sività ed è il modo più veloce di imparare a rilassarsi. Cercare di acquisire la tecnica a mani unite è la causa principale dei muri di velocità, delle brutte abitudini, degli infortuni e dello stress. Studiare a mani separate a velocità anche più alte della velocità finale può essere utile, esercitarsi a mani unite troppo velocemente è quasi sempre dannoso. L’ironia dello studio a mani separate è che l’obiettivo finale di tutto il duro lavoro è di essere in grado di acquisire rapidamente tutta la tecnica essenziale, al punto da riuscire in fretta, alla fine, a suonare a mani unite con un minimo di lavoro a mani separate (o anche del tutto senza!)

(2) Studiare lentamente a mani unite ed aumentare gradualmente la ve-locità è ciò che tendiamo a fare intuitivamente, ma si scopre che questo approccio è uno dei peggiori modi di studiare perché si spre-ca così tanto tempo e si allenano le mani ad eseguire gesti che sa-ranno diversi da quelli di cui si avrà bisogno alla velocità finale. Al-cuni studenti peggiorano il problema usando il metronomo come guida costante per aumentare la velocità o per tenere il ritmo: uno dei peggiori abusi che si possano fare. Il metronomo andrebbe usa-

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to solo brevemente per controllare il tempo (velocità e ritmo), abu-sandone si può incorrere in ogni tipo di problemi (un altro fatto contro-intuitivo) come la perdita del proprio ritmo interno, la perdi-ta della musicalità ed anche la totale confusione, per non parlare del-le difficoltà biofisiche dovute alla sovraesposizione a rigide ripetizio-ni. È quindi importante sapere come usare il metronomo in modo corretto e perché. Conoscere la velocità di studio ottimale in tutte le possibili circostanze è un elemento chiave dei metodi di questo libro. La tecnica per la velocità viene acquisita scoprendo nuovi movimen-ti delle mani, non accelerando movimenti lenti; i movimenti delle mani per suonare lentamente o velocemente sono ad esempio diver-si. Cercare di velocizzare un movimento lento porta a muri di velo-cità per questo motivo – perché si cerca di fare l’impossibile. Velo-cizzare qualcosa suonato lentamente è come chiedere ad un cavallo di aumentare la velocità di una camminata fino alla velocità di un galoppo – non può. Un cavallo deve cambiare da camminata a trot-to, a piccolo galoppo, a galoppo. Se si cerca di forzare un cavallo a camminare alla velocità di un piccolo galoppo esso urterà contro un muro di velocità e molto probabilmente si farà male riducendo gli zoccoli in brandelli. Questo libro analizza i movimenti più impor-tanti delle mani, non è possibile affrontarli tutti a causa dell’incredibile versatilità della mano e del cervello. La maggior parte degli studenti principianti è completamente inconsapevole di ciò che sono in grado di fare le mani. Suonando le scale, si dovrà, ad esempio, imparare il “movimento glissando” così come imparare ad usare il pollice, che è il dito più versatile. I semplici esempi di questo libro insegneranno agli studenti come scoprire da sé i nuovi movimenti delle mani.

(3) Per memorizzare bene, ed essere in grado di suonare velocemente, si deve studiare lentamente, anche dopo essere riusciti a suonare fa-cilmente il pezzo a velocità. Questo è contro-intuitivo: perché stu-diare lentamente e sprecare così tanto tempo se in pubblico si esegue sempre a velocità? Si potrebbe pensare che studiare a velocità aiuti a memorizzare e ad eseguire bene. Si scopre invece che suonare ve-locemente è dannoso alla tecnica come alla memoria. Esercitarsi sui pezzi a piena velocità il giorno del concerto risulterà quindi in una esecuzione mediocre in pubblico. Quante volte si è sentito il ritor-nello: “Ho suonato in modo orribile a lezione, sebbene abbia suona-to così bene stamattina (o ieri)!”? Perciò, nonostante molto di que-sto libro sia orientato verso imparare a suonare alla giusta velocità, è l’uso corretto del suonare lentamente ad essere critico per rag-

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giungere l’obiettivo di una solida memorizzazione e di un’esecuzione in pubblico priva di errori. Studiare lentamente è tuttavia una que-stione delicata perché non si dovrebbe suonare lentamente fin quando non si riesce a suonare velocemente!, altrimenti non si a-vrebbe idea sulla correttezza del movimento lento. Il problema vie-ne risolto studiando a mani separate per acquisire la tecnica ed arri-vare a velocità. Per lo studente è quindi assolutamente cruciale sa-pere quando studiare lentamente.

(4) La maggior parte delle persone si sente a disagio quando prova a memorizzare qualcosa che non sa suonare, perciò istintivamente prima impara un pezzo e poi cerca di memorizzarlo. Si scopre che si risparmia un sacco di tempo memorizzando prima e suonando poi a memoria (stiamo parlando di musica tecnicamente impegnativa, troppo difficile da leggere a prima vista). Inoltre, per le ragioni spiegate in questo libro, chi memorizza dopo aver imparato non rie-sce mai a farlo bene, sarà sempre tormentato da problemi di memo-ria. I buoni metodi di memorizzazione devono quindi essere parte integrante di qualsiasi procedura di studio: memorizzare è una ne-cessità, non un lusso.

Questi quattro esempi dovrebbero dare al lettore una qualche idea su cosa intendo per metodi di studio contro-intuitivi. La cosa sorprendente è che la maggior parte di quelli buoni è contro-intuitiva per la maggior parte delle persone. Fortunatamente i geni che sono venuti prima di noi sono riusciti a vedere oltre le barriere intuitive ed hanno trovato metodi di studio migliori.

Perché questo fatto, che i metodi corretti sono contro-intuitivi, ha por-tato al disastro? Anche gli studenti che li hanno imparati (ma a cui non è mai stato insegnato cosa non fare) possono scivolare verso i metodi intuitivi semplicemente perché il cervello continua a dir loro che do-vrebbero usarli (è la definizione di metodo intuitivo). Accade sicura-mente anche agli insegnanti, i genitori ci cascano sempre! Il semplice coinvolgimento di questi ultimi è a volte contro producente, anche loro dovrebbero essere informati. Per questi motivi questo libro fa ogni sforzo per identificare ed evidenziare la stoltezza dei metodi intuitivi. Tanti insegnanti scoraggiano il coinvolgimento dei genitori se questi non possono frequentare anch’essi le lezioni. La maggior parte degli studenti e degli insegnanti, se lasciati a se stessi, graviterebbe attorno ai metodi intuitivi (sbagliati). Questo è il motivo principale per cui oggi vengono insegnati così tanti metodi sbagliati e del perché gli studenti abbiano bisogno di buoni insegnanti e di libri di testo adeguati.

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Gli insegnanti di pianoforte generalmente appartengono a tre catego-rie: (A) insegnanti privati che non sanno insegnare, (B) insegnanti privati molto bravi e (C) insegnanti delle università e dei conservatori. Quelli dell’ultimo gruppo sono di solito piuttosto bravi perché si trovano in un ambiente in cui devono comunicare l’un l’altro. Essi sono in grado di individuare in fretta i metodi di insegnamento intuitivi peggiori e di eli-minarli. Sfortunatamente la maggior parte degli studenti dei conserva-tori è già ad un livello piuttosto avanzato e di conseguenza gli insegnanti non hanno bisogno di insegnare loro i metodi di studio elementari; uno studente novizio non otterrà pertanto un gran ché da essi. Il gruppo di insegnanti A consiste principalmente in individui che non comunicano bene con altri insegnanti e che usano per gran parte invariabilmente i metodi intuitivi; questo spiega come mai non sappiano insegnare. Si possono eliminare gran parte degli insegnanti scadenti scegliendo solo quelli che hanno siti web: almeno hanno imparato a comunicare. Gli insegnanti dei gruppi B e C hanno più facilmente dimestichezza con me-todi di studio adeguati, molto pochi di essi, comunque, li conoscono tut-ti perché non esiste un libro di testo convenzionale; d’altro canto la maggior parte conosce un sacco di dettagli utili non presenti in questo libro. Ci sono pochi preziosi insegnanti del gruppo B e quelli del grup-po C di solito accettano solo studenti di livello avanzato. Il problema di questa situazione è che la maggior parte degli studenti inizia con inse-gnanti di tipo A e non progredisce mai oltre il livello di principiante o intermedio: non è perciò mai all’altezza di un insegnante del gruppo C. In questo modo la maggior parte degli studenti principianti abbandona per frustrazione, sebbene praticamente tutti abbiano il potenziale di es-sere dei musicisti esperti. Questa mancanza di progressi alimenta inol-tre la comune idea sbagliata che imparare il pianoforte equivalga ad una vita di inutili sforzi e gli studenti di insegnanti scadenti non si rendono conto di aver solo bisogno di un altro insegnante. L’obiettivo di questo libro è dedicare il 10% del tempo di studio all’acquisizione della tecnica ed il restante 90% a fare musica. Questo rapporto di fatto massimizza il tasso di acquisizione della tecnica perché solo suonando pezzi finiti si possono veramente studiare le abilità musicali (ritmo, controllo, colore, espressività, velocità, ecc.). Pertanto studiare sempre materiale difficile non è il modo più veloce di acquisire la tecnica; ovvero, tecnica e musi-ca non possono venire separate. Questo rapporto del tempo di studio è la più forte giustificazione per non provare ad imparare composizioni che sono troppo al di là del proprio livello.

Tutti gli insegnanti di pianoforte dovrebbero adottare un libro di testo che spieghi i metodi di studio: questo li svincolerebbe dal dover inse-

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gnare i meccanismi dello studio e li porrà in grado di concentrarsi sulla musica, dove sono più indispensabili. Anche i genitori dovrebbero leg-gere il libro di testo a causa dei tranelli dei metodi intuitivi.

Riassumendo, questo libro rappresenta un evento unico nella storia della pedagogia del pianoforte ed ha la potenzialità di rivoluzionarne l’insegnamento. Sorprendentemente c’è poco di fondamentalmente nuo-vo in questo libro: ogni metodo presentato è stato inventato e re-inventato dai pianisti esperti. La quantità di tempo e sforzo sprecato nel re-inventare la ruota ad ogni generazione di pianisti fa vacillare l’im-maginazione. Rendendo disponibile agli studenti, dal primo giorno di lezioni di pianoforte, la conoscenza contenuta in questo libro spero di far entrare in una nuova era dell’imparare a suonare il pianoforte.

Questo libro, infine, è ovviamente il mio regalo personale alla società. Anche i traduttori hanno contribuito con il loro prezioso tempo. Insie-me stiamo aprendo la strada ad un approccio basato sul web per fornire istruzione gratuita del più alto livello, qualcosa che si spera diventi l’onda del futuro. Non c’è ragione per cui l’istruzione non debba essere gratuita. Una tale rivoluzione potrebbe sembrare mettere a repentaglio il lavoro di alcuni insegnanti, ma, con metodi di apprendimento miglio-ri, suonare il pianoforte diverrà molto più popolare e produrrà una grande domanda. Metodi di apprendimento migliori vanno perciò a beneficio di insegnanti e studenti. L’impatto economico di questi meto-di migliorati è enorme. Il sito web di questo libro è stato creato nell’e-state 1999, da allora stimo che oltre diecimila studenti abbiano imparato questi metodi. Assumiamo che il tipico studente risparmi, usando que-sti metodi, 5 ore/settimana e che studi 40 settimane/anno e che il suo tempo valga circa 5 dollari/ora (nei paesi sviluppati): il totale dei ri-sparmi annui è allora di dieci milioni di dollari/anno, questo numero aumenterà ogni anno. Dieci milioni di dollari all’anno è solo il rispar-mio degli studenti e siamo solo all’inizio. Ogni volta che l’approccio scientifico ha prodotto tali salti quantici di efficienza il campo è storica-mente fiorito, apparentemente senza limiti, ed ha favorito tutti; in que-sto caso principalmente gli studenti, gli insegnanti, i tecnici (accordatori) ed i costruttori di pianoforti. Non si può arrestare il progresso, proprio come i pianoforti elettronici sono sempre accordati, anche quelli acustici dovranno presto esserlo, sfruttando, ad esempio elettronicamente, i co-efficienti di dilatazione termica delle corde. Oggi praticamente tutti i pianoforti di casa sono scordati praticamente sempre perché iniziano a scordarsi nel momento in cui l’accordatore se ne va o quando cambia la temperatura o l’umidità della stanza. Questa è una situazione del tutto inaccettabile. Nei pianoforti futuri si premerà un pulsante ed il piano-

PREFAZIONE 13

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forte si accorderà in qualche secondo. Quando verranno prodotti in massa il costo sarà basso rispetto al prezzo di un pianoforte di qualità. Si potrebbe pensare che questo tolga lavoro agli accordatori, ma non lo farà perché nei pianoforti accordati con tale precisione la frequente e perfetta intonazione e regolazione dei martelli (oggi troppo spesso tra-scurati) farà migliorare in modo significativo il prodotto musicale. La musica di tali pianoforti suonerà come quella che si sente nelle sale da concerto. Ci si potrebbe improvvisamente rendere conto che era il pia-noforte, e non se stessi, a limitare la propria produzione musicale (i mar-telli usurati lo fanno sempre!) Perché si pensa che i pianisti concertisti siano così puntigliosi riguardo ai loro pianoforti?

Inoltre questo libro non è definitivo – è solo un inizio. Ricerche future nei metodi di studio produrranno indubbiamente dei miglioramenti; questa è la natura dell’approccio scientifico. Non comprendiamo ancora i cambiamenti biologici che accompagnano l’acquisizione della tecnica e come il cervello umano si sviluppi musicalmente (specialmente negli in-fanti). Capire queste cose ci permetterà di affrontarle direttamente in-vece di dover ripetere diecimila volte qualcosa. I pianoforti, e l’imparare a suonarli, sono cambiati poco negli ultimi duecento anni, nei prossimi venti possiamo sperare di vedere enormi mutamenti in en-trambe le cose.

14 PREFAZIONE

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Capitolo Uno

LA TECNICA PIANISTICA

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I - INTRODUZIONE

I.1 - Obiettivo L’obiettivo di questo libro è presentare i metodi migliori per studiare pianoforte. Questi metodi sono talmente efficaci che se tutti li usassero il numero di pianisti preparati sarebbe più del doppio e di conseguenza la domanda di pianoforti, insegnanti ed accordatori sarebbe maggiore. Imparare questi metodi significa, per gli studenti di pianoforte, dimi-nuire il tempo dedicato allo studio del pezzo, che consiste in una buona parte della loro vita pianistica, ed aumentare il tempo disponibile a fare musica invece di lottare con i problemi tecnici. Molti studenti passano il 100% del loro tempo ad imparare nuovi pezzi e, siccome si tratta di un processo lungo, non rimane tempo per imparare l’arte di fare musi-ca. Questa triste situazione è di grande impiccio nello sviluppo della tecnica perché essa si sviluppa suonando pezzi finiti. Il nostro obiettivo è rendere il processo di apprendimento talmente veloce che miriamo a dedicare il 10% del tempo di studio ad imparare il pezzo ed il 90% a fa-re musica, massimizzando al tempo stesso lo sviluppo della tecnica.

Gli studenti che hanno studiato pianoforte nei conservatori e negli i-stituti musicali dovrebbero trovare familiare la maggior parte del mate-riale contenuto in questo libro. Sfortunatamente sono relativamente

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pochi quelli che ricevono questi insegnamenti; pertanto questo libro è stato scritto assumendo una conoscenza minimale della teoria della mu-sica e della sua terminologia. Quali sono alcune delle caratteristiche eccezionali dei metodi di questo libro? (1) Non sono troppo esigenti come quelli vecchi che richiedevano agli

studenti di impegnarsi in uno stile di vita che includesse l’insegna-mento pianistico. Nei metodi di questo capitolo vengono dati agli studenti degli strumenti per scegliere il procedimento giusto al fine di ottenere un obiettivo definito. Molti di questi procedimenti sono simili a quelli dei metodi Suzuki, eccetera. Semplicemente non ri-chiedono allo studente una vita di completa dedizione ad una rigida procedura abituale. Se tali metodi funzionassero veramente non ri-chiederebbero, per raggiungere la competenza, una vita di cieca fe-de.

(2) Ogni procedimento di questi metodi ha una base fisica (se funziona ne ha sempre una!) e deve soddisfare i seguenti requisiti: a) Obiettivo: la tecnica da acquisire. Ad esempio: non si riesce a

suonare abbastanza velocemente, non si riescono ad eseguire be-ne i trilli o si vuole memorizzare, eccetera.

b) Perciò: cosa fare. Ad esempio: studiare a mani separate, usare l’attacco ad accordo, eccetera.

c) Perché: spiegazioni di carattere fisiologico, psicologico, meccani-co, ecc. per cui questi metodi funzionano. Ad esempio: lo studio a mani separate consente di acquisire velocemente la tecnica rendendo semplici i passaggi difficili (con una mano è più sem-plice che con due), l’attacco ad accordo garantisce il raggiungi-mento istantaneo della velocità finale, eccetera.

d) Altrimenti: problemi derivanti dall’uso di metodi errati. Ad e-sempio: l’acquisizione di brutte abitudini per le troppe ripetizioni, lo sviluppo di stress a causa dello studio con mani stanche, ecce-tera. Senza questo “Altrimenti” gli studenti potrebbero scegliere un qualsiasi altro metodo — perché proprio questo? Dobbiamo sapere cosa non fare perché le maggiori cause di mancanza di progressi sono le brutte abitudini ed i metodi sbagliati, non la mancanza di studio.

Una persona non deve essere straordinariamente dotata per riuscire a suonare bene il pianoforte. Sebbene sia necessario essere musicalmente dotati per comporre musica, l’abilità di muovere le dita non è così di-pendente dal cervello musicale. Molti di noi sono, di fatto, più musicali

18 I - INTRODUZIONE

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di quanto credano, è la mancanza di tecnica che limita la nostra espres-sività musicale al pianoforte. Abbiamo tutti avuto l’esperienza di ascol-tare dei pianisti famosi e di notare che ognuno è diverso: solo questo è ben oltre la sensibilità musicale di cui avremmo mai bisogno per inizia-re a suonare il pianoforte. Sfortunatamente il solo esercitarsi per tutta la vita non ci porta all’abilità tecnica perché ci sono migliaia di modi di muovere la mano per suonare anche un solo passaggio musicale. La maggior parte di noi non è in grado di dire quale sia il modo migliore, anche assumendo di conoscerli tutti. Un obiettivo di questo libro è quello di far rendere conto al lettore di tutti questi diversi possibili mo-vimenti. Tuttavia, il fatto che ci siano stati un sacco di grandi giovani pianisti è la prova che ognuno di loro lo ha scoperto. Dobbiamo solo conoscere i metodi che hanno usato. Non c’è bisogno di studiare otto ore al giorno: alcuni pianisti famosi hanno consigliato tempi di studio inferiori ad un’ora. Si possono fare progressi studiando tre o quattro volte alla settimana, un’ora ciascuna. Se si studia di più si faranno cer-tamente progressi più rapidi.

I.2 - Cos’é La Tecnica Pianistica? Dobbiamo capire cosa significa tecnica perché non capire cos’è porta a metodi di studio sbagliati; la cosa più importante, comunque, è che ca-pire ci porta ai metodi di prim’ordine. Il malinteso più comune è quel-lo per cui la tecnica è una qualche destrezza ereditata delle dita. Non lo è. La destrezza innata dei pianisti formati e della gente comune non è così diversa. Alcuni ritardati mentali, con una coordinazione limitata, possono a volte riuscire in passaggi musicali complessi. Sfortunatamen-te molti di noi sono ritardati mentali che hanno molta più destrezza nel-le dita, ma che non riescono ad eseguire i passaggi musicali a causa del-la mancanza di alcune informazioni semplici, ma fondamentali.

La tecnica è l’abilità di eseguire, al pianoforte, milioni di passaggi diversi; non equivale quindi alla destrezza, ma è una summa di tante capacità. Il compito di imparare la tecnica si riduce quindi al risolvere il problema di come acquisirne così tante diverse in poco tempo. La cosa straordinaria della tecnica pianistica, ed il messaggio più impor-tante di questo libro, è che l’abilità tecnica al pianoforte può essere ac-quisita in poco tempo a patto che vengano utilizzate le procedure di ap-prendimento corrette. Queste capacità vengono acquisite in due stadi: (1) scoprendo come devono essere mosse dita, mani, braccia, ecc. e (2) allenando i muscoli ed i nervi ad eseguire con leggerezza e control-lo. Questo secondo stadio riguarda il controllo, non lo sviluppo della

I.2 - COS’É LA TECNICA PIANISTICA? 19

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forza o della resistenza atletica. Molti studenti pensano allo studio del pianoforte come ad ore di maratone delle dita perché nessuno gli ha mai insegnato la definizione giusta di tecnica.

La precedente definizione ci dice che una volta imparato qualcosa (co-me una scala), suonarla e risuonarla non migliora materialmente la tecnica ed è uno dei processi di apprendimento più errati. Dobbiamo capire la nostra anatomia ed imparare, con l’uso degli strumenti trattati qui, come scoprire ed acquisire la tecnica giusta. Questo risulta essere un compito praticamente impossibile per il cervello umano medio, a meno che non venga dedicato ad esso l’intera vita sin dall’infanzia. Anche in questo modo la maggioranza non riuscirà. Molti studenti di pianoforte non hanno la più vaga idea della complessità dei movimenti delle dita, delle mani e delle braccia. I principianti vedono solo i polpa-strelli davanti a loro ed è qui che iniziano i loro problemi. Fortunata-mente i tanti geni venuti prima di noi hanno fatto le scoperte più im-portanti (altrimenti non sarebbero stati degli esecutori così grandi). Per questo gli studenti dei conservatori apprendono la tecnica velocemente queste istituzioni hanno una storia di dimestichezza con questi metodi. Sorprendentemente questo libro è la prima raccolta piuttosto completa delle regole fondamentali.

Un’altra idea sbagliata riguardo alla tecnica è quella per cui una volta che le dita diventano abbastanza abili si può suonare qualunque cosa. Quasi ogni passaggio diverso è una nuova avventura: deve essere im-parato da zero. I pianisti esperti sembrano capaci di suonare praticamen-te di tutto perché: (1) hanno studiato praticamente di tutto e (2) sanno come imparare velocemente cose nuove. Acquisire la tecnica potrebbe quindi sembrare, all’inizio, un compito arduo per via del numero quasi infinito di passaggi diversi — come si fa ad impararli tutti? Questo pro-blema è stato in larga misura risolto: ci sono ampie classi di passaggi (come le scale) che compaiono spesso, sapere come suonarli coprirà una gran parte dei passaggi delle composizioni.

Una delle prime cose di cui parleremo nel seguito sono degli strata-gemmi per imparare così potenti da permettere di acquisire la tecnica u-sando dei procedimenti generalizzati da applicare a praticamente ogni passaggio. Questi stratagemmi garantiscono la via più veloce verso la scoperta dei movimenti ottimali (di dita, mani, braccia) per suonare il passaggio. Ci sono due motivi per cui è necessario fare le scoperte per conto proprio: primo, ci sono talmente tanti passaggi diversi che non si possono elencare tutti i modi di suonarli; secondo, i bisogni di ognuno sono diversi. L’insieme di regole di questo libro deve perciò servire so-

20 I - INTRODUZIONE

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lo da guida per potersi adattare ai bisogni personali. I lettori che capi-ranno veramente il contenuto di questo capitolo non solo riusciranno ad accelerare la velocità di apprendimento, ma lo faranno per ogni abilità aggiunta. Il livello di questa accelerazione determinerà in larga misura quanto veloce e quanto lontano si avanzerà come pianisti.

Sfortunatamente molti insegnanti privati di pianoforte, che non sono coinvolti con i conservatori, non conoscono questi metodi ed insegnano per lo più ai principianti. All’altro estremo i grandi maestri ed i pianisti professionisti hanno scritto libri, sul suonare il pianoforte, che analizza-no argomenti ad un livello più alto, come il fare musica, ma non tratta-no le basi dell’acquisizione della tecnica. Ho notato questa carenza nel-la letteratura pianistica e questo mi ha dato la motivazione a scrivere questo libro.

I.3 - Tecnica vs. Musica La relazione tra tecnica e musica influisce sul modo in cui si studia per la tecnica. In musica ci sono concetti indipendenti dalla tecnica, come l’interpretazione e le teorie dell’armonia e della composizione. Ci sono tuttavia altre relazioni tra tecnica e musica derivanti dal fatto che la tecnica è necessaria ed è usata per fare musica. Concentrarsi sulla tec-nica negando la musica, durante lo studio, fa correre il rischio di acqui-sire abitudini di esecuzione poco musicali. Questo è un problema insi-dioso perché studiare per migliorare la tecnica implica una mancanza di quest’ultima per cui non c’è modo di fare musica. Come fa allora uno studente a studiare “musicalmente”? Non c’è altra scelta che iniziare non-musicalmente. L’errore viene commesso quando lo studente si dimentica di aggiungere il lato musicale non appena è in grado di farlo. Un sintomo comune di questo è l’incapacità di suonare la lezione quan-do l’insegnante (o chiunque altro) sta ascoltando. Quando c’è il pubbli-co questi studenti commettono errori strani che non avevano mai fatto durante lo studio. Questo può accadere se lo studente ha studiato senza pensare alla musica e si è poi però reso conto all’improvviso che la musica deve essere aggiunta, non avendola mai studiata, perché l’insegnante sta ascoltando!

C’è, comunque, una relazione ancora più essenziale tra tecnica e mu-sica. Gli insegnanti di pianoforte sanno che lo studente deve studiare in maniera musicale per acquisire la tecnica. Quello che va bene per le orecchie e per il cervello si scopre essere giusto per il meccanismo uma-no che suona. Le ragioni di questo fenomeno non sono ancora del tut-to chiare. Sia la musicalità che la tecnica richiedono precisione e con-

I.3 - TECNICA VS. MUSICA 21

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trollo. Praticamente qualsiasi errore tecnico può essere individuato nel-la musica. In fondo la musica è la prova suprema per sapere se la tec-nica è giusta o sbagliata. Come vedremo in questo libro, ci sono diver-se ragioni per cui la musica non deve mai essere separata dalla tecnica. Nonostante ciò un sacco di studenti la tralascia preferendo mettersi al lavoro quando non c’è nessuno che ascolta. Questo tipo di studio è nocivo all’acquisizione della tecnica e genera i cosiddetti “pianisti da armadio” che amano suonare, ma non sanno esibirsi in pubblico. Una volta diventati pianisti da armadio è estremamente difficile invertirne la psicologia. Se agli studenti viene insegnato a studiare musicalmente tutte le volte, questo tipo di problema non esisterà nemmeno: esibirsi in pubblico e studiare saranno la stessa cosa.

I.4 - Interpretazione, Formazione Musicale, Orecchio Assoluto Questi non sono gli argomenti principali di questo capitolo: l’obiettivo dichiarato è accorciare al 10% il tempo di acquisizione della tecnica in modo da dedicare il 90% del tempo a fare musica. Questo capitolo non si occupa di questo 90%. Ci sono, naturalmente, alcuni utili principi generali. Si veda “Studiare Musicalmente” nella Sezione III.14 per ave-re indicazioni generali su come suonare in modo musicale. Ci sono li-bri che trattano l’interpretazione (Gieseking, Sandor).

La formazione musicale dei ragazzi molto giovani può essere estre-mamente gratificante. I bambini esposti spesso a pianoforti perfetta-mente accordati spesso sviluppano l’orecchio assoluto. Se questo non viene esercitato verrà perso più avanti nella vita. L’addestramento dei bambini al pianoforte può iniziare tranquillamente attorno ai tre o quattro anni. Esporre i giovanissimi (dalla nascita) alla musica classi-ca è benefico perché questa ha un contenuto musicale più elevato rispet-to agli altri tipi di musica. Alcune forme di musica contemporanea, enfatizzando eccessivamente alcuni aspetti particolari, potrebbero essere deleterie allo sviluppo musicale.

Infine, la formazione musicale (scale, tempo, solfeggio, orecchio, ecc.) dovrebbe essere parte integrante dell’insegnamento del pianoforte. In ultima analisi una formazione musicale completa è l’unico modo di im-parare il pianoforte. Sfortunatamente la maggior parte degli aspiranti pianisti non ha le risorse o l’inclinazione a seguire questa strada, questo libro è stato scritto a loro vantaggio.

22 I - INTRODUZIONE

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II - PROCEDURE ESSENZIALI PER

STUDIARE PIANOFORTE

Questa sezione contiene l’insieme minimo di istruzioni necessarie prima di iniziare a studiare.

II.1 - La Seduta di Studio Molti studenti adottano abitualmente questa procedura: (1) Prima studiano le scale e gli esercizi tecnici finché le dita non si so-

no riscaldate, continuano così per mezzora o più se hanno tempo, per migliorare la tecnica specialmente usando esercizi come l’Ha-non.

(2) Poi prendono un pezzo nuovo e lo leggono lentamente per una pa-gina o due, stando attenti a suonare dall’inizio con le due mani in-sieme. Ripetono da capo suonando lentamente finché non riescono ad eseguirlo ragionevolmente bene, poi aumentano la velocità gra-dualmente (potrebbero usare un metronomo) finché non hanno raggiunto la velocità finale.

(3) Alla fine delle due ore di studio le dita volano quindi possono suo-nare veloce quanto vogliono e goderselo prima di smettere. Dopo tutto sono stanchi di studiare e quindi si possono rilassare, possono

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suonare di cuore alla massima velocità: è il momento di gustarsi la musica!

(4) Il giorno del concerto, o della lezione, ripassano più volte possibile il pezzo alla velocità giusta (o più velocemente!) in modo da essere sicuri di saperlo completamente e di tenerlo in condizioni ottimali. Questa è l’ultima occasione, ovviamente più studiano e meglio è.

Ogni passo di questo procedimento è sbagliato! La procedura prece-dente garantirà agli studenti, quasi certamente, di non andare oltre al livello intermedio, anche studiando diverse ore al giorno. Il motivo lo si capirà non appena verranno letti i metodi più efficienti descritti nel seguito. Questo metodo, ad esempio, non dice nulla agli studenti su cosa fare quando incontrano un passaggio per loro impossibile, a parte continuare a ripeterlo, alle volte per una vita, senza una chiara idea di quando o come sarà acquisita la tecnica corretta. Questo metodo lascia del tutto allo studente il compito di imparare a suonare il pianoforte. Inoltre, al concerto la musica uscirà piatta e le stecche inaspettate sa-ranno praticamente inevitabili, come spiegato più avanti. Le lezioni di questa sezione dimostreranno perché la procedura precedente sia sba-gliata. Si conoscerà il motivo per cui al concerto la musica esce piatta e perché i metodi sbagliati portano alle stecche, ma la cosa più importan-te è che si impareranno i metodi giusti!

La mancanza di progressi è la ragione principale dell’abbandono del-lo studio del pianoforte. Gli studenti, specialmente i più giovani, sono intelligenti: perché lavorare come uno schiavo per non imparare nulla? Si gratifichino gli studenti e si otterrà più dedizione di quanto qualsiasi insegnante possa volere. Si può essere un dottore, uno scienziato, un avvocato, un atleta o qualunque cosa si voglia e nonostante ciò essere un buon pianista. Questo perché, come presto vedremo, ci sono meto-di che permettono di acquisire la tecnica in un lasso di tempo relativa-mente ristretto.

Si noti come il procedimento precedente sia un metodo “intuitivo”. Se una persona di intelligenza media fosse abbandonata su un’isola con solo un pianoforte e decidesse di imparare a suonarlo, molto probabil-mente adotterebbe un metodo di studio come quello descritto. Un in-segnante che usa questo metodo quindi in realtà non insegna nulla: il metodo è intuitivo. Quando ho iniziato a redarre “i procedimenti cor-retti per imparare”, sono rimasto stupito da quanto essi siano contro-intuitivi. Spiegherò più avanti il perché, ma è questo il motivo per cui così tanti insegnanti usano l’approccio intuitivo: in realtà non hanno mai veramente capito il metodo giusto e quindi adottano naturalmente

24 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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quello intuitivo. Il problema del metodo contro-intuitivo è la sua diffi-coltà ad essere adottato: il cervello dice continuamente che è sbagliato e di tornare al metodo intuitivo. Questo messaggio del cervello può di-ventare irresistibile appena prima di una lezione o di un concerto — si provi a dire (a chi non conoscesse questi metodi) di non godersi l’intero pezzo dopo averlo finito di studiare e prima di terminare la seduta di studio o di non suonarlo alla sua velocità il giorno del concerto! Non solo gli studenti e gli insegnanti, ma anche i genitori e gli amici, nono-stante le buone intenzioni, influenzano il metodo di studio dei giovani pianisti. I genitori non meglio informati spingeranno sempre i loro figli ad usare il metodo intuitivo. Questo è uno dei motivi per cui i buoni insegnanti chiedono sempre ai genitori di accompagnare i loro figli a lezione. Se i genitori non sanno bene cosa debba essere fatto è garanti-to che spingeranno gli studenti ad usare metodi che sono in netta con-traddizione con le istruzioni date dall’insegnante.

Gli studenti che hanno incominciato con il metodo giusto sono appa-rentemente più fortunati. Devono comunque stare attenti perché non conoscono i metodi sbagliati. Una volta lasciato l’insegnante possono inciampare nel metodo intuitivo e non capire perché va tutto a rotoli. È come un orso che non ha mai visto una trappola: ci cascherà sempre. Questi fortunati spesso non riescono neanche ad insegnare, perché il metodo giusto è per loro naturale e non riescono a capire perché qual-cuno dovrebbe usarne qualsiasi altro. Potrebbero non rendersi conto che deve essere insegnato e che molti metodi intuitivi possono portare al disastro. Qualcosa che viene naturale è spesso difficile da descrivere perché non ci si è mai pensato molto: non ti accorgi di quanto sia diffi-cile l’italiano finché non cerchi di insegnarlo ad un giapponese. D’altra parte gli studenti apparentemente sfortunati, che hanno imparato prima il metodo intuitivo e poi sono passati a quello migliore, hanno alcuni vantaggi inaspettati: conoscono sia il metodo giusto che quello sbaglia-to e spesso sono degli insegnanti migliori. Quindi, anche se questo ca-pitolo insegna il metodo corretto, è parimenti importante conoscere cosa non fare e perché. Per questo motivo in questo libro vengono trattati i metodi sbagliati usati più spesso: ci aiutano a capire meglio il metodo giusto.

Nelle sezioni seguenti descriverò le parti del metodo di studio corret-to. Vengono presentate approssimativamente nell’ordine in cui uno studente potrebbe usarle dall’inizio alla fine di un nuovo pezzo. Le se-zioni dalla 1 alla 4 sono propedeutiche, il nuovo metodo inizia effetti-vamente dalla Sezione 5.

II.1 - LA SEDUTA DI STUDIO 25

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II.2 - Le Posizioni delle Dita Ognuno sembra avere le proprie idee sulla posizione delle dita, è perciò chiaro che non ci sono regole rigide. L’unica guida è il fatto che le dita dovrebbero essere nelle posizioni più rilassate e potenti possibile. Si tenga prima stretto il pugno, poi si apra la mano e si stirino le dita il più possibile. Ora si rilassino completamente. In questo stato di rilassa-mento si appoggi la mano su una superficie piana facendo toccare tutti i polpastrelli e tenendo il polso alla stessa altezza delle nocche. La mano e le dita dovrebbero formare una cupola, tutte le dita dovrebbero essere curve, il pollice dovrebbe indicare leggermente in basso e molto legger-mente verso le dita in modo che l’ultima falange sia parallela ad esse. È importante mantenere questa leggera curvatura del pollice verso l’interno quando si suonano accordi ampi. Questa posizione della pun-ta del pollice (parallela ai tasti) rende meno probabile premere anche tasti adiacenti. Inoltre si orienti il pollice in modo che vengano usati i muscoli giusti per alzarlo ed abbassarlo. Le dita sono leggermente in-curvate verso il basso ed arrivano sui tasti con un angolo di circa 45 gradi. Questa posizione ricurva permette di suonare tra i tasti neri. La punta del pollice e gli altri polpastrelli dovrebbero formare un piccolo semicerchio sulla superficie piana. Fare questo con entrambe le mani affiancate dovrebbe portare ad avere i due pollici uno di fronte all’altro. Questa è una buona posizione di partenza per suonare il pianoforte. La si potrà poi modificare in base allo stile di esecuzione. Per suonare si usi la parte del pollice appena sotto l’unghia, non l’articolazione. Nelle altre dita l’osso presso la punta è molto vicino alla pelle più esterna, appena sotto (lontano dall’unghia) la carne è leggermente più spessa. È questa parte carnosa [il polpastrello, ndt] che dovrebbe venire a contat-to con i tasti, non la punta del dito.

Ho solo suggerito una posizione di partenza, una volta iniziato a suo-nare queste regole vanno immediatamente gettate via. Potrebbe essere necessario, in base a ciò che si sta suonando, distendere le dita quasi del tutto o incurvarle di più.

II.3 - L’Altezza dello Sgabello e La Distanza dal Pianoforte Le giuste altezza e distanza dal pianoforte dello sgabello sono anch’esse una questione di gusti personali. Un buon punto di partenza si può de-terminare nel seguente modo: ci si sieda sullo sgabello con i gomiti di lato e gli avambracci paralleli ai tasti, si mettano ora le mani sui tasti bianchi. La distanza dello sgabello dal pianoforte (e la posizione in cui

26 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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sedersi) dovrebbe essere tale per cui i gomiti, se spinti in dentro, non tocchino il corpo. Non ci si sieda al centro, ma sul bordo anteriore. L’altezza e la posizione dello sgabello sono più critiche quando si suo-nano accordi forti. Si può, di conseguenza, provare la correttezza della posizione suonando più forte possibile due accordi sui tasti neri. Gli accordi sono Do2#-Sol2#-Do3# (5,2,1) per la mano sinistra e Do5#-Sol5#-Do6# (1,2,5) per la destra. Si prema forte, con tutto il peso delle braccia e delle spalle, inclinandosi leggermente in avanti per produrre un suono risonante ed autoritario. Ci si assicuri che le spalle siano completamente coinvolte: i suoni forti e solenni non si possono produr-re con solo mani e avambracci, la forza deve arrivare dalle spalle e dal corpo. Se si è comodi allora lo sgabello e la posizione dovrebbero esse-re corretti.

II.4 - Iniziare Un Pezzo: L’ Ascolto e L’Analisi (Per Elisa) Si dia un’occhiata al nuovo pezzo e si inizi a suonarlo a prima vista in modo da avere dimestichezza con come suona. Il modo migliore per prendere confidenza con un nuovo pezzo è ascoltarne un’esecuzione (re-gistrata). L’opinione che ascoltarlo prima sia una forma di “imbroglio” non ha fondamenta difendibili. Il preteso svantaggio sarebbe che gli studenti potrebbero imitare invece di usare la loro creatività: è impossi-bile imitare il modo di suonare di qualcun altro perché gli stili sono talmente individuali. Una “dimostrazione” matematica di questa im-possibilità verrà presentata nella Sezione IV.3. Questo fatto può rassi-curare ed alleviare alcuni studenti dall’incolparsi della loro incapacità di imitare qualche pianista famoso. Si ascoltino, se possibile, numerose registrazioni diverse, possono fornire nuovi punti di vista e nuove pos-sibilità. Non dover ascoltare è come dire che non si dovrebbe andare a scuola perché distruggerebbe la creatività. Alcuni studenti pensano che ascoltare sia una perdita di tempo perché loro non suoneranno mai così bene. In questo caso, si pensi di nuovo: se i metodi qui descritti non facessero suonare le persone “così bene” non starei scrivendo il libro! Ciò che accade più spesso, quando gli studenti ascoltano molte regi-strazioni, è scoprire che le esecuzioni non sono parimenti buone, che loro effettivamente preferiscono, ad alcune di esse, il proprio modo di suonare.

Il passo successivo è analizzare la struttura della composizione. Que-sta verrà usata per definire il programma di studio. Usiamo Per Elisa di Beethoven come esempio: le prime quattro misure vengono ripetute 15 volte, quindi imparando solo 4 misure si può suonare il 50% del

II.4 - INIZIARE UN PEZZO: L’ ASCOLTO E L’ANALISI (PER ELISA) 27

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pezzo (125 misure); altre 6 misure vengono ripetute 4 volte, quindi im-parare solo 10 misure ci permette di suonare il 70% del pezzo. Usando i metodi di questo libro il 70% di questo pezzo può essere memorizzato in meno di mezz’ora perché queste misure sono piuttosto facili. L’ap-plicazione di questo metodo fissa automaticamente nella memoria le se-zioni che si studiano. Tra queste misure ripetute ci sono due interru-zioni non semplici, quando si riusciranno a suonare in maniera soddi-sfacente, usando i metodi descritti più avanti, si uniranno alle ripetizio-ni e voila! si sa suonare e si è memorizzato l’intero pezzo. Indubbia-mente la chiave per impararlo è avere la padronanza dei due difficili in-termezzi, affronteremo la questione nelle sezioni successive. Uno stu-dente con due anni di lezioni dovrebbe essere in grado di imparare le 50 diverse misure richieste da questo pezzo in 2÷5 giorni e riuscire a suonarlo per intero a velocità ed a memoria. A questo punto l’insegnante è pronto a lavorare sul contenuto musicale della composi-zione, quanto ci vorrà dipenderà dal livello musicale dello studente. In termini di musicalità non si finisce mai veramente nessun pezzo.

Qui terminano i preliminari: siamo ora pronti ad iniziare le lezioni ve-ramente eccitanti. Il segreto di acquisire velocemente la tecnica sta nel conoscere alcuni trucchi per ridurre i passaggi da difficili ed impossibili non solo a suonabili, ma anche a banalmente semplici. Ci imbarche-remo nel magico viaggio nel cervello dei geni che scoprirono modi in-credibilmente efficaci di esercitarsi al pianoforte!

II.5 - Studiare Prima Le Sezioni più Difficili Ritornando al nostro Per Elisa, si cerchino le sezioni difficili: ci sono due intermezzi con 16 e 23 misure inserite tra il materiale ripetuto, so-no queste le sezioni cercate. Si inizi ad imparare il pezzo esercitandosi prima sulle sezioni più difficili. La ragione è ovvia: ci vorrà di più per impararle, bisognerà quindi dedicargli la maggior parte del tempo. Se si studiassero per ultime e si provasse poi ad eseguire il pezzo, si scopri-rebbe che queste sono le più deboli e che danno sempre problemi. Sic-come la fine della maggior parte dei pezzi è in genere la più eccitante, interessante e difficile, probabilmente si inizierà più spesso dalla fine; nelle composizioni con diversi movimenti si inizierà più spesso dalla fi-ne dell’ultimo movimento.

28 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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II.6 - Accorciare I Passaggi Difficili: Lo Studio Segmentato (Misura-per-Misura)

Uno dei trucchi più importanti per imparare è scegliere un pezzetto breve da studiare. Questo trucco ha forse il maggior effetto, nel ridur-re il tempo di studio, per molte ragioni: (1) All’interno di qualsiasi passaggio difficile, diciamo di dieci misure,

ci sono tipicamente solo alcune poche combinazioni di note che le-gano le mani. Non c’è bisogno di esercitarsi su altro all’infuori di esse. Se ci fossero dieci misure con otto note ciascuna, ma solo quattro note difficili, allora esercitandosi solo su queste quattro si può arrivare a suonare le dieci misure tagliando enormemente sul tempo di studio. Rivediamo i due intermezzi difficili di Per Elisa. Si esaminino e si trovino le misure più problematiche. Potrebbero essere la prima e le ultime cinque del primo o l’arpeggio finale del secondo. In tutte le parti difficili è di importanza cruciale seguire la diteggiatura segnata ed essere doppiamente sicuri che sia comoda. Nelle ultime cinque misure del primo intermezzo la difficoltà è nella destra, dove la maggior parte dell’attività è nelle dita 1 e 5. Il dito 2 gioca un ruolo chiave su alcune note, ma c’è un’opzione di usare maggiormente il dito 1. L’uso del dito 2 è il modo corretto più convenzionale e fornisce un miglior controllo ed un suono più scorrevole. Un maggior uso del dito 1 è comunque più facile da ri-cordare, cosa che può salvare la vita se non si suona questo pezzo da un po’ di tempo. È molto importante scegliere una diteggiatura e mantenerla. Nell’arpeggio nel secondo intermezzo si usi la diteggiatura 1231354321… Andranno bene sia pollice sotto che pollice sopra (si veda la Sezione III.5) perché questo passaggio non è oltremodo veloce, ma io preferisco pollice sopra perché pollice sotto richiede un po’ di movimento del gomito e questo movimento aggiuntivo può portare ad errori.

(2) Studiare solo parti piccole permette di esercitarsi sulle stesse per dozzine di volte, anche centinaia, in una questione di minuti. L’uso di queste rapide ripetizioni successive è il modo più veloce di insegnare alla mano i nuovi movimenti. Se le note difficili venisse-ro suonate come parte di un segmento più ampio, il lungo interval-lo tra esercitazioni successive ed il suonare altre note in mezzo po-trebbero confondere la mano e farle imparare molto più lentamen-te. Questo effetto è calcolato quantitativamente nella Sezione IV.5 ed il calcolo fornisce le basi per la rivendicazione di questo libro

II.6 - ACCORCIARE I PASSAGGI DIFFICILI: LO STUDIO SEGMENTATO (MISURA-PER-MISURA) 29

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che questi metodi possono essere mille volte più veloci di quelli in-tuitivi.

(3) Tutti noi sappiamo quanto sia dannoso suonare un passaggio più velocemente di quanto la propria tecnica permetta. Tuttavia, più è piccolo il segmento che si sceglie, più velocemente lo si può suonare senza effetti deleteri. Inizialmente i segmenti brevi più comuni che si sceglieranno saranno di una misura o meno, spesso solo due note. Scegliendo segmenti così brevi si può portare a velocità in soli pochi minuti praticamente qualsiasi combinazione difficile di note. Si può studiare perciò per la maggior parte del tempo alla o oltre la velo-cità finale, cioè nella situazione ideale perché fa risparmiare così tan-to tempo. Nel metodo intuitivo ci si esercita per la maggior parte del tempo a bassa velocità.

II.7 - Lo Studio a Mani Separate: L’Acquisizione della Tecnica Essenzialmente il 100% dello sviluppo della tecnica si ottiene studiando a mani separate. Non si provi a sviluppare la tecnica dito/mano a ma-ni unite perché è molto più difficile, consuma tempo ed è pericoloso, co-me verrà spiegato in dettaglio più avanti.

Si inizi a studiare qualsiasi passaggio difficile a mani separate. Si scelgano due passaggi piccoli, uno per la destra e uno per la sinistra. Si studi la destra finché non inizia a stancarsi, si passi poi alla sinistra. Si cambi ogni 5÷15 secondi prima che la mano che sta riposando si raffreddi e si impigrisca o che la mano che sta lavorando si stanchi. Se si sceglie l’intervallo di riposo giusto, si scoprirà che la mano riposata è impaziente di eseguire. Non ci si eserciti quando la mano è stanca per-ché porterebbe a stress ed a brutte abitudini. Le persone che hanno poca dimestichezza con lo studio a mani separate avranno in generale una sinistra debole. In questo caso si dia ad essa più lavoro. In questo schema si può studiare duro il 100% del tempo, ma non ci si eserciterà mai con le mani affaticate!

Si studino le due sezioni difficili di Per Elisa a mani separate, prima di unirle, finché ciascuna non sia molto a suo agio a velocità molto più al-ta di quella finale. Potrebbe essere necessario qualche giorno o diverse settimane, a seconda del livello. Non appena si riuscirà a suonare ra-gionevolmente bene a mani separate, si provi a mani unite per vedere se la diteggiatura funziona. La cosa migliore è cercare di usare la stessa diteggiatura (o molto simile) nelle due mani, questo renderà più sem-plice il compito di suonare a mani unite. Non ci si preoccupi, a questo

30 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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punto, di non riuscire a suonare in modo soddisfacente: è solo necessa-rio essere sicuri che non ci siano conflitti o diteggiature migliori.

Deve essere sottolineato che lo studio a mani separate va usato sola-mente nei passaggi difficili che non si riescono a suonare. Se si riesce a suonare il passaggio adeguatamente a mani unite, per carità, si salti la parte a mani separate! L’obiettivo finale di questo libro, una volta di-ventati esperti, è riuscire rapidamente a suonare a mani unite senza stu-dio a mani separate. L’obiettivo non è di coltivare una dipendenza dal-lo studio a mani separate, lo si usi solo quando necessario e si provi a ridurne gradualmente l’uso man mano che la tecnica avanza – la mag-gior parte degli studenti dipende dallo studio a mani separate per 5÷10 anni e non lo abbandona mai del tutto. La ragione di questo è che tutta la tecnica viene imparata rapidamente a mani separate. C’è un’eccezione a questa regola di evitare di studiare a mani separate quando possibile: durante la memorizzazione. Si dovrebbe memorizza-re tutto a mani separate per diverse importanti ragioni (si veda “Memo-rizzare” nella Sezione III).

Gli studenti principianti dovrebbero studiare sempre tutti i pezzi a mani separate, in modo da padroneggiare il più rapidamente possibile questo metodo così criticamente importante. Una volta padroneggiato, comunque, lo studente dovrebbe iniziare ad esplorare la possibilità di suonare a mani unite senza usarlo. I principianti dovrebbero riuscire a farlo in due o tre anni. Il metodo a mani separate non consiste solo nel separare le mani, impareremo più avanti una miriade di trucchi per im-parare da usarsi una volta separate le mani.

Lo studio a mani separate ha valore molto dopo aver imparato il pez-zo. Si può spingere la tecnica molto più in avanti a mani separate che a mani unite ed è un sacco divertente! Si possono veramente esercitare le dita/mani/braccia ed è superiore a qualunque cosa Hanon o altri e-sercizi possano fornire. I “modi incredibili” di suonare un pezzo si sco-prono in questo modo, è qui che si può veramente migliorare la tecnica. L’apprendimento iniziale della composizione serve solo alle dita per prendere confidenza con la musica. La quantità di tempo passato a suonare pezzi imparati completamente è ciò che separa i dilettanti dai pianisti esperti. Per questo motivo questi ultimi possono eseguire in pubblico mentre la maggior parte dei dilettanti suona solo per sé stessa.

Infine, si deve capire che tutta la tecnica delle dita viene acquisita a mani separate perché non c’è metodo più efficiente. Se si riesce a suo-nare immediatamente a mani unite non c’è nessun bisogno di separarle. Tuttavia, se proprio non si riesce, come si fa a decidere quando si può

II.7 - LO STUDIO A MANI SEPARATE: L’ACQUISIZIONE DELLA TECNICA 31

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saltare lo studio a mani separate? C’è una semplice verifica per fare questo: si può saltare lo studio a mani separate solo se si riesce a suo-nare in questo modo a proprio agio, rilassati e con precisione a velocità maggiore di quella finale. È di solito meglio portare la velocità a mani separate almeno una volta e mezzo più in alto della velocità finale. Generalmente non è difficile farlo e può essere un sacco divertente per-ché si riesce a vedere il rapido miglioramento del proprio livello di abi-lità. Ci si potrà perciò ritrovare a studiare a mani separate molto più di quanto strettamente necessario e lo si userà di certo per tutta la vita. Ciascuna mano deve, alla fine, imparare la propria abilità tecnica indi-pendentemente dall’altra (non si vorrà di sicuro che una dipenda dall’altra). Il modo più rapido di acquisire questa abilità tecnica è im-parandola separatamente: ciascuna da sola è già abbastanza difficile, provare ad impararle insieme sarebbe molo più complicato e consume-rebbe tempo. La tecnica di dito/mano si acquisisce con lo studio a ma-ni separate, si ha poi solo bisogno di imparare a coordinarle studiando a mani unite.

II.8 - La Regola di Continuità Si supponga di voler suonare molto velocemente la quartina “Do Sol Mi Sol” (basso Albertino, mano sinistra) tante volte in successione (come nel terzo movimento della Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven). La sequenza da studiare è Do Sol Mi Sol Do. L’inclusione dell’ultimo Do è un’applicazione della regola di continuità: quando si studia un segmen-to, si includa sempre l’inizio del segmento successivo. Questo assicura che una volta imparati due segmenti adiacenti li si possano suonare an-che insieme. La regola di continuità si applica a qualsiasi segmento venga isolato per essere studiato: una misura, un intero movimento o anche segmenti più piccoli di una misura.

Una generalizzazione della regola di continuità è che qualsiasi pas-saggio, per essere studiato, può essere spezzato in segmenti brevi, ma questi segmenti devono sovrapporsi. La nota, o gruppo di note, che si sovrappone è detto congiunzione. Se si sta studiando la fine del primo movimento si includano alcune misure dell’inizio del secondo, non si salti subito indietro. Durante un concerto si sarà contenti di aver stu-diato in questo modo, altrimenti ci si potrebbe ritrovare improvvisa-mente disorientati su come iniziare il secondo movimento! Possiamo ora applicare la regola di continuità a quei difficili intermezzi di Per Eli-sa. Nel primo, l’ottava misura (dell’intermezzo) si può studiare da soli: si suoni l’ultima nota con il dito 1, la congiunzione è la prima nota della

32 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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misura 9 (dito 2) che è la stessa della prima nota della misura 8, perciò usando il Do come congiunzione, si può ripetere ciclicamente la misura 8 per un buon allenamento che eviti perdite di tempo. Questa misura si dice essere “auto-ciclica” (si veda “Ciclicità”, Sezione III.2, per altri dettagli sulla ciclicità). Le misure 9 e 10 come unità sono anch’esse au-to-cicliche. Siccome tutte le sezioni difficili sono nella destra, si trovi del materiale per esercitare la sinistra, anche da un pezzo diverso, in modo da dargli un riposo periodico quando si scambiano le mani.

II.9 - L’Attacco ad Accordo Torniamo alla quartina Do Sol Mi Sol. Studiando lentamente e aumen-tando gradualmente la velocità (a mani separate), si incontrerà un “mu-ro di velocità”: una velocità oltre la quale tutto si sfalda ed arriva lo stress. Il modo di rompere questo muro di velocità è suonare la quar-tina come un accordo singolo (Do-Mi-Sol). Si è passati da bassa velo-cità a velocità infinita! Questo è detto “attacco ad accordo”. Ora si deve solo imparare a rallentare, che è più semplice rispetto a velocizza-re perché non c’è nessun muro di velocità quando si rallenta. Ma… come si rallenta?

Si suoni prima l’accordo e si faccia rimbalzare la mano in alto e in basso alla frequenza alla quale deve essere suonata la quartina (dicia-mo tra una e due volte al secondo); dovrebbe essere più facile suonarla come accordo, ma potrebbe non essere semplice la prima volta. Si noti che le dita sono ora posizionate esattamente nel modo corretto per suonare velocemente. Si provi a modificare la frequenza dei rimbalzi (anche più della velocità richiesta!) notando come alterare la posizione ed i movimenti (di polso, braccio, dita, ecc.), mentre si provano le varie velocità. Se dopo un po’ ci si sentisse affaticati significa che si sta sba-gliando qualcosa oppure che non si ha la tecnica per far rimbalzare gli accordi; sarà necessario esercitarsi finché non si riuscirà a farlo senza stancarsi. Se non si riesce con un accordo non si riuscirà mai con le quartine. In altre parole, si è appena identificata una debolezza tecnica alla quale va posto rimedio prima di poter continuare al prossimo sta-dio.

Si suoni l’accordo con i movimenti più economici che si riescono ad eseguire. All’aumentare della velocità si tengano le dita vicine o sopra i tasti. Si coinvolga l’intero corpo, le spalle, le braccia, gli avambracci ed il polso. La sensazione è di suonare dalle spalle e dalle braccia, non dalla punta delle dita. Una volta riusciti a suonare agevolmente questo accordo, in modo rilassato, veloce e senza sentire fatica alcuna, si saprà

II.9 - L’ATTACCO AD ACCORDO 33

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di aver fatto progressi. Ci si assicuri di suonare accordi perfetti (tutte le note nello stesso istante) perché senza questo tipo di sensibilità non si avrà la precisione richiesta per suonare velocemente. È importante studiare le cadute lente perché è qui che si può lavorare sulla precisio-ne: la precisione migliora più velocemente a bassa velocità. È assolu-tamente essenziale, tuttavia, arrivare ad alta velocità (anche solo bre-vemente) prima di rallentare. Quando si rallenta si cerchi di mantenere gli stessi movimenti richiesti ad alta velocità perché è questo ciò su cui bisogna in definitiva esercitarsi. Se si pensa di essere alla fine di questa semplice questione di accordi, ci si prepari ad una sorpresa: questo è solo l’inizio, si continui a leggere!

II.10 - Le Cadute, Lo Studio degli Accordi ed Il Rilassamento Esercitarsi a suonare accordi precisi è il primo passo nell’applicare l’attacco ad accordo. Studiamo l’accordo Do-Mi-Sol di prima. Il meto-do del peso del braccio è il miglior modo di ottenere la precisione e il rilassamento: questo approccio è stato adeguatamente trattato nei libri in bibliografia (Fink, Sandor) e quindi verrà qui analizzato solo breve-mente. Si mettano le dita sui tasti e si posizionino correttamente. Si rilassi il braccio (l’intero corpo, in verità) e si tenga il polso flessibile, si alzi la mano da 5 a 20 centimetri sopra i tasti (la distanza più breve all’inizio) e si lasci semplicemente che la forza di gravità faccia cadere la mano. Si lasci cadere la mano e le dita come un’unità, non si muovano quest’ultime. Durante la caduta si rilassino completamente le mani. Al momento dell’impatto si “sistemino” poi le dita ed il polso lasciandolo flettere leggermente per assorbire il colpo dell’atterraggio e per premere i tasti. Lasciando che la forza di gravità abbassi la mano si riferisce la propria forza o sensibilità ad una forza molto costante.

All’inizio sembra incredibile, ma un bambino sottopeso di sei anni e un lottatore di sumo gantuan che fanno cadere le mani dalla stessa al-tezza producono la stessa intensità sonora. Questo accade perché la ve-locità della caduta gravitazionale è indipendente dalla massa ed il mar-tello procede in volo libero non appena il rullino lascia lo spingitore (gli ultimi pochi millimetri prima di colpire le corde). Gli studenti di fisica riconosceranno che al limite elastico (urto di palle da biliardo) l’energia cinetica si conserva e l’affermazione precedente non regge. In un urto elastico del genere il tasto del pianoforte volerebbe via dalla punta del dito ad alta velocità, come se si suonasse staccato. Qui però, siccome le dita sono rilassate e la punta delle dita è morbida (urto anelastico), l’energia cinetica non si conserva e la massa piccola (tasto del pianofor-

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te) può stare attaccata alla massa grande (dito-mano-braccio) provocan-do una discesa controllata del tasto. L’affermazione precedente è per-ciò valida finché il pianoforte è regolato correttamente e la massa effet-tiva del tasto che scende è molto minore della massa del di-to/mano/braccio del bambino di sei anni. Irrigidire la mano al momen-to dell’impatto assicura che venga trasferito tutto il peso del braccio al tasto che scende. Non è ovviamente possibile produrre un suono pie-no, con la caduta, se non si irrigidisce la mano al momento dell’impat-to. Si deve stare attenti a non aggiungere forza durante questo irrigi-dimento, ci vuole perciò esercizio per diventare capaci di produrre una caduta pura e questo diventa più difficile all’aumentare dell’altezza. Non aggiungere questa ulteriore forza è più difficile per il lottatore di sumo perché ha bisogno di una gran forza per fermare lo slancio del braccio. I migliori criteri per determinare la forza di irrigidimento giu-sta sono la quantità ed il tono del suono.

A rigor di termini, il lottatore di sumo emetterà un suono leggermente più forte a causa della conservazione della quantità di moto, ma la dif-ferenza sarà piuttosto piccola, a dispetto del fatto che il suo braccio sia venti volte più pesante. Un’altra sorpresa è che, una volta insegnata correttamente, la caduta può produrre il suono più forte che il giovinet-to abbia mai prodotto (per una caduta dall’alto) ed è un eccellente mo-do di insegnare ai giovani a suonare decisi. Si facciano iniziare i più piccini con cadute piccole perché una vera caduta libera, se l’altezza fosse eccessiva, potrebbe essere dolorosa. Per ottenere una caduta ben eseguita, specialmente da parte dei più giovani, è importante insegnare a fare finta che non ci sia nessun pianoforte di mezzo e che la mano venga sentita come se cadesse attraverso la tastiera (ma da essa ferma-ta); molti giovani altrimenti alzeranno inconsciamente la mano quando questa atterra sul pianoforte. In altre parole, la caduta è in costante ac-celerazione e la mano sta aumentando la propria velocità anche durante la discesa del tasto. Alla fine la mano si posa sui tasti con il proprio pe-so – questo atto produce un piacevole e profondo “tono”. Si noti l’im-portanza di accelerare fino in fondo durante la discesa del tasto – si ve-da la Sezione III.1 sul produrre un buon tono.

La ben nota “meccanica accelerata” dello Steinway funziona perché aggiunge accelerazione al movimento del martello usando un supporto arrotondato sotto il foro centrale del tasto. Questo, durante la discesa, provoca uno spostamento in avanti del punto di perno in modo da ac-corciare la parte anteriore del tasto (ed allungare quella posteriore) fa-cendo di conseguenza accelerare il pilota nonostante una pressione co-stante. Questo illustra l’importanza data dai progettisti di pianoforti

II.10 - LE CADUTE, LO STUDIO DEGLI ACCORDI ED IL RILASSAMENTO 35

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all’accelerare la discesa del tasto. Il metodo del peso del braccio assicu-ra che si sfrutti l’accelerazione di gravità per controllare il tono. L’efficacia della “meccanica accelerata” è controversa perché ci sono eccellenti pianoforti senza questa caratteristica. Ovviamente è più im-portante che il pianista sappia controllare questa accelerazione.

Il dito deve essere “sistemato” al momento dell’impatto in modo da premere il tasto e decelerare la caduta, ciò richiede una breve applica-zione di forza. Questa va tolta non appena il tasto raggiunge la fine della sua discesa ed è necessario rilassarsi completamente in modo da sentire la forza di gravità tirare il braccio verso il basso. Si appoggi la mano sui tasti con la sola forza di gravità che li tiene premuti. Ciò che si è appena fatto è stato di premere i tasti con il minor sforzo possibile, è questa l’essenza del rilassamento.

I principianti suoneranno gli accordi con troppe forze non necessarie e non controllabili con precisione. L’uso della forza di gravità per far scendere la mano permette di eliminare tutte le forze o tensioni respon-sabili di far atterrare alcune dita prima di altre. Potrebbe sembrare una curiosa coincidenza che la forza di gravità sia proprio la forza giu-sta per suonare il pianoforte. Non è una coincidenza. Gli esseri umani si sono evoluti sotto l’influenza della forza di gravità, le nostre forze per camminare, sollevare, eccetera, si sono evolute per coincidere esattamen-te con essa. Il pianoforte, evidentemente, venne costruito per pareggia-re queste forze. Si ricordi che la quantità di forza necessaria a suonare gli accordi è grossomodo uguale a quella fornita dalla gravità – non si sbattano quegli accordi irrigidendo le mani, molte cose andrebbero fuo-ri controllo! Sarebbe una buona idea se i principianti, o chi avesse svi-luppato l’abitudine di irrigidire le mani nel suonare gli accordi, si eser-citassero un po’ alle cadute per diverse settimane, o anche mesi, ogni volta che studiano; dovrà senza altro essere inserito nella pratica quoti-diana. Tutto questo significa che si riuscirà a sentire l’effetto della gra-vità sulle mani, mentre si suona, solo quando si sarà veramente rilassa-ti. Alcuni insegnanti enfatizzeranno il rilassamento al punto da negare tutto il resto finché non viene raggiunto un rilassamento “totale”, que-sto è forse un po’ esagerato – riuscire a sentire la forza di gravità è un criterio necessario e sufficiente per il rilassamento.

Le cadute eliminano anche il bisogno di bilanciare la quantità di moto (si veda la Sezione IV.6). Quando la mano suona il pianoforte, la quantità di moto del tasto verso il basso è fornita da quella della mano stessa. Questo slancio verso il basso deve essere compensato dal resto del meccanismo umano che sta suonando, che dovrebbe fornirne uno

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verso l’alto se non utilizzasse la caduta. Sebbene noi tutti riusciamo in questo senza neanche pensarci, di fatto è un gesto complesso. Questo slancio viene fornito dalla forza di gravità nel metodo delle cadute ed il pianoforte viene suonato con il minimo assoluto di azione da parte del meccanismo umano che sta suonando. La caduta ci permette così di rilassare tutti i muscoli non necessari e di concentrarci solo su quelli necessari a controllare l’accordo.

Le cadute sono quindi molto di più di giusto un metodo per studiare gli accordi. La cosa più importante è che le cadute sono un metodo per esercitare il rilassamento. Una volta raggiunto, questo stato di rilas-samento deve diventare permanente: una parte integrante del suonare il pianoforte. Il principio guida nel metodo del peso del braccio è il rilassamento. Oltre alle cadute, è importante imparare a sentire l’effetto della forza di gravità mentre suoniamo. Tratteremo il rilassamento più in dettaglio in seguito.

Infine, suonare gli accordi è una parte importante della tecnica piani-stica e come tale deve essere sviluppata gradualmente di concerto con il proprio livello di abilità. Non c’è alcun modo più veloce di farlo che con l’uso degli insiemi paralleli descritti in seguito. Si veda inoltre la Sezione III.7 per ulteriori dettagli; la sezione III.7E fornisce ulteriori in-dicazioni su come esercitarsi a suonare gli accordi quando la caduta non risolve il problema.

II.11 - Gli Insiemi Paralleli Ora che l’accordo Do-Mi-Sol della sinistra è soddisfacente, si provi a cambiare improvvisamente dall’accordo alla quartina a diverse fre-quenze di rimbalzo. Si dovranno ora muovere le dita, ma tenendo il movimento al minimo. Anche qui ci sarà bisogno di incorporare i mo-vimenti giusti di mano/braccio (si veda Fink, Sandor). Queste però so-no cose avanzate, torniamo un attimo indietro. Si riuscirà a cambiare rapidamente dopo essere diventati abili in questo metodo, ma assu-miamo che non ci si riesca, in modo da dimostrare un potente metodo per risolvere un problema molto comune.

Il modo più elementare per imparare a suonare un passaggio difficile è costruirlo due note alla volta usando l’attacco ad accordo. Iniziamo con le prime due note del nostro esempio Do Sol Mi Sol (mano sinistra). Un attacco ad accordo di due note! Si suonino queste due note come un accordo perfetto, facendo rimbalzare insieme mano e dita (5 e 1) su e giù come si è fatto precedentemente con l’accordo Do-Mi-Sol. Per poter suonare queste due note rapidamente una dopo l’altra si abbassi-

II.11 - GLI INSIEMI PARALLELI 37

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no le due dita assieme, ma si tenga il dito 1 leggermente più in alto del 5 in modo che quest’ultimo atterri prima: giusto un accordo di due no-te arpeggiato rapidamente, si fanno scendere entrambe le dita assieme rallentandone una leggermente. Si possono suonare vicine quanto si vuole riducendo il ritardo: è così che si rallenta da velocità infinita!

È possibile, in questo modo, suonare qualsiasi combinazione di note infinitamente veloce? Certamente no. Come facciamo a sapere quali possono essere suonate infinitamente veloci e quali no? Per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di introdurre il concetto di suonare parallelo. Il metodo di cui sopra, di abbassare le dita assieme, è chia-mato suonare parallelo perché le dita vengono fatte scendere simulta-neamente, in altre parole: in parallelo. Un insieme parallelo è un gruppo di note che possono essere suonate come un accordo. Tutti gli insieme paralleli possono essere suonati a velocità infinita. Il ritardo tra le varie dita è detto angolo di fase. In un accordo l’angolo di fase è zero per tutte le dita. Questo concetto, ed altri ad esso legati, vengono spiegati più metodicamente nella Sezione IV.2. Le velocità elevate vengono raggiunte riducendo la fase al più piccolo valore controllabile, questo è approssimativamente uguale all’errore nel suonare gli accordi. In altre parole, più sono precisi gli accordi e più alta sarà la velocità raggiungibile. Ecco perché prima è stato dedicato così tanto spazio alla descrizione di come esercitarsi ad eseguire accordi perfetti.

Una volta conquistato il Do-Sol si può procedere con il successivo Sol-Mi (1,3), poi Mi-Sol ed infine il Sol-Do per completare la quartina e la congiunzione. Si uniscano poi in coppie. Si noti che Do Sol Mi è an-ch’esso un insieme parallelo, quindi la quartina più la congiunzione possono essere costruiti da due insiemi paralleli (5,1,3) e (3,1,5). Que-sto è il modo più veloce. La regola generale per l’uso degli insiemi pa-ralleli è: si costruisca il segmento su cui esercitarsi usando gli insiemi paralleli più grandi possibile coerenti con la diteggiatura. Si spezzi in insiemi paralleli più piccoli solo se quello più grande fosse troppo diffi-cile. Se si avessero difficoltà con un particolare insieme parallelo si leg-ga la Sezione III.7 riguardo agli esercizi per gli insiemi paralleli. Sebbe-ne, in teoria, si possano suonare in maniera infinitamente veloce, que-sto non garantisce che si riesca a suonare quel particolare insieme paralle-lo con velocità e controllo sufficienti. Lo si riuscirà a fare solo se si possiede la tecnica. Gli insiemi paralleli, quindi, possono essere usati per evidenziare le proprie debolezze. La Sezione III.7 analizza i dettagli di come esercitarsi e come acquisire rapidamente la tecnica usandoli.

38 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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Dopo essere riusciti a suonare bene una quartina, ci si eserciti a suo-narne due in successione finché non lo si riuscirà a fare a proprio agio, poi tre, eccetera. Si riuscirà presto a suonarne in fila quante se ne vo-gliono! Quando inizialmente si rimbalzavano gli accordi la mano si muoveva su e giù, alla fine, però, quando si suonano le quartine in ra-pida successione, la mano è piuttosto stazionaria, ma non rigida. Si dovranno anche aggiungere movimenti della mano – altro su questo più avanti.

La seconda sezione difficile di Per Elisa finisce con un arpeggio com-posto da tre insiemi paralleli, 123, 135 e 432. Si studino prima singo-larmente, si aggiunga la congiunzione e si colleghino poi in coppie, ecc. per costruire l’arpeggio.

Abbiamo ora la terminologia necessaria e possiamo riepilogare la pro-cedura che usa l’attacco ad accordo per scalare i muri di velocità (si ve-dano le Sezioni IV.1 e IV.2 per un’analisi dei muri di velocità). Si scomponga il segmento in insiemi paralleli, si applichi l’attacco ad ac-cordo e si colleghino tra loro per completare il segmento. Se non se ne riuscisse a suonare qualcuno a velocità praticamente infinita saranno necessari gli esercizi per gli insiemi paralleli della Sezione III.7. Cavo-lo! Abbiamo finito con i muri di velocità!

Per far si che il segmento suoni scorrevole e musicale, abbiamo biso-gno di realizzare due cose: (1) controllare accuratamente gli angoli di fase e (2) collegare gli insiemi paralleli in modo scorrevole. La mag-gior parte dei movimenti di dito/mano/braccio descritti in bibliografia sono mirati a realizzare nel modo più ingegnoso possibile questi due compiti. Questo è il collegamento più diretto tra il concetto di insiemi paralleli e la bibliografia. Siccome questi argomenti sono lì adeguata-mente coperti, verranno qui trattati solo brevemente nella Sezione III.4. Quei libri di consultazione sono perciò compagni necessari di questo. Il materiale esposto qui è per iniziare, quello in bibliografia sarà neces-sario per arrivare al successivo livello di competenza e musicalità. Ho fornito delle recensioni (estremamente brevi) nella Sezione Riferimenti per aiutare a scegliere quale libro di consultazione usare. Velocizzando gli insiemi paralleli si facciano esperimenti con la rotazione della mano, con il movimento su e giù del polso (in generale: abbassare il polso quando si suona con il pollice ed alzarlo quando si raggiunge il migno-lo), con la pronazione, con la supinazione, con il movimento ciclico, con la spinta, con la trazione, eccetera. Tutti questi movimenti sono elencati nei libri dei Riferimenti e riassunti brevemente nella Sezione III.4.

II.11 - GLI INSIEMI PARALLELI 39

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Sarà necessario leggere la Sezione III.7 per apprendere come usare gli insiemi paralleli per acquisire rapidamente la tecnica. L’introduzione di cui sopra sul suonare parallelo è parte di una breve descrizione e di fat-to è un po’ fuorviante. Il suonare parallelo descritto prima è quello detto “a fase bloccata” ed è il modo più facile per iniziare, ma non è l’obiettivo ultimo. Per poter acquisire la tecnica è necessaria la comple-ta indipendenza delle dita, non le dita a fase bloccata. Suonare dito per dito del tutto indipendentemente è detto suonare serie. Il nostro obiet-tivo, quindi, è suonare serie velocemente. Nel metodo intuitivo si ini-zia suonando serie lentamente e si cerca di aumentarne la velocità. Suonare parallelo non è un obiettivo in sé, ma è la via più rapida verso il suonare serie velocemente. Queste questioni sono spiegate nella Se-zione “Esercizi per gli insiemi paralleli”. L’idea di questi esercizi è quel-la di controllare prima se si riesce a suonare “infinitamente veloce”, si rimarrà sorpresi nello scoprire che non si può sempre fare, anche solo due note, e di fornire un modo di esercitare solo quegli insiemi di cui si ha bisogno per quella particolare tecnica. Quest’ultima sarà acquisita quando si riuscirà a suonare l’insieme parallelo controllando ogni nota a qualsiasi velocità.

Certamente suonare parallelo con dimestichezza non garantisce in sé il suonare correttamente. Ci si arriva giusto più velocemente, almeno si sale a velocità in modo da avere meno passi da compiere per poter arrivare ai movimenti corretti. Vale a dire, anche suonando parallelo con successo ci sarà ancora bisogno di effettuare un po’ di altri esperi-menti per poter gestire l’intero passaggio. Siccome il metodo qui de-scritto permette di fare centinaia di prove in pochi minuti, questa spe-rimentazione può essere condotta relativamente in fretta. Applicando il metodo misura-per-misura, ognuna impiegherà meno di un secondo a velocità: in cinque minuti ci si può quindi esercitare trecento volte!

Questo è il motivo per cui non si può fare a meno di un buon inse-gnante: può indirizzare rapidamente verso i movimenti giusti e saltare gran parte della sperimentazione. Avere un insegnante non significa però che si smetterà di sperimentare, ma solo che la sperimentazione sarà più efficiente. Fare esperimenti dovrebbe essere una parte fissa di ogni seduta di studio – un’altra ragione del perché studiare a mani se-parate ha così valore. Sperimentare è abbastanza difficile a mani sepa-rate ed è praticamente impossibile a mani unite!

Suonare parallelo non risolve tutti i problemi, risolve principalmente quelli del materiale contenente volate, arpeggi e accordi arpeggiati.

40 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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Un’altra principale classe di problemi è quella dei salti: per questa si vada alla Sezione III.7F.

II.12 - Imparare e Memorizzare Non c’è modo più veloce di memorizzare che farlo quando si sta impa-rando il pezzo per la prima volta e, per un pezzo difficile, non c’è modo più veloce di impararlo che memorizzandolo. Si memorizzino quindi le sezioni che si stanno studiando per la tecnica mentre le si ripetono così tante volte in segmenti brevi a mani separate. La memorizzazione ver-rà analizzata più dettagliatamente nella Sezione III.6. Le procedure per memorizzare sono quasi esattamente parallele a quelle per l’acqui-sizione della tecnica. La memorizzazione, ad esempio, andrebbe fatta prima a mani separate. Imparare e memorizzare dovrebbero perciò avvenire contemporaneamente, altrimenti sarebbe necessario ripetere la stessa procedura due volte. Potrebbe sembrare semplice rifare la stessa procedura un’altra volta. Non lo è. Memorizzare è un compito com-plesso anche dopo essere in grado di suonare bene il pezzo, per questa ragione gli studenti che lo memorizzano dopo averlo imparato lasce-ranno perdere o non lo faranno mai bene. Questo è comprensibile: l’impegno richiesto per memorizzare può rapidamente raggiungere il punto di diminuzione della resa se si sa già suonare il pezzo a velocità.

Una volta che gli studenti sviluppano delle procedure di memorizza-zione/apprendimento con cui si trovano a proprio agio, la maggior par-te di loro scopre che imparare e memorizzare insieme i passaggi difficili richiede meno tempo di imparare e basta. Ciò accade perché si elimina il processo di guardare la musica, interpretarla e passare le istruzioni dagli occhi al cervello e poi alle mani. Saltando questi lenti passi l’ap-prendimento può procedere senza impaccio. Alcuni si potrebbero pre-occupare che memorizzare troppe composizioni potrebbe creare un in-sostenibile problema di mantenimento (si veda la Sezione III.6C per un’analisi del mantenimento). Il miglior atteggiamento da avere nei confronti di questo problema è di non preoccuparsi di dimenticare al-cuni pezzi che si suonano raramente. Questo perché ricordare un pezzo dimenticato è molto veloce, a patto che sia stato memorizzato bene la prima volta. Il materiale memorizzato quando si era giovani (prima dei vent’anni) non viene praticamente mai dimenticato. Per questo è così importante imparare metodi veloci di acquisizione della tecnica e memorizzare più pezzi possibile prima di raggiungere la tarda adole-scenza.

II.12 - IMPARARE E MEMORIZZARE 41

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Compiendo ogni passo descritto in questa sezione sull’acquisizione della tecnica, si memorizzi la musica al tempo stesso. È semplice. An-che la Sezione III.6 tratta gli enormi benefici della memorizzazione.

II.13 - La Velocità, La Scelta del Ritmo di Studio Si arrivi a velocità più rapidamente possibile. Si ricordi che stiamo ancora studiando a mani separate. Suonare talmente veloce da iniziare a sentire lo stress e fare errori non migliorerà la tecnica perché sotto stress non è il modo in cui si suonerà quando si sarà esperti. Non si aumenti la velocità forzando le dita a suonare più velocemente nello stesso modo. Di fatto, nel suonare parallelo, è spesso più facile suonare velocemente che lentamente. Si concepiscano delle posizioni e dei mo-vimenti delle mani che controllano con precisione l’angolo di fase e che sistemano tutto in modo tale da rendere scorrevole la transizione al successivo insieme parallelo in arrivo. Se non si fanno progressi signi-ficativi in pochi minuti probabilmente si sta sbagliando qualcosa – si pensi a qualcosa di nuovo. Ripetere la stessa cosa per più di qualche minuto senza alcun miglioramento visibile farà spesso più male che be-ne. Gli studenti che usano i metodi intuitivi sono rassegnati a ripetere la stessa cosa per ore con poco visibile miglioramento. Questa mentali-tà deve essere assolutamente evitata usando i metodi di questo libro.

La tecnica migliora più rapidamente quando si suona alla velocità alla quale si riesce a suonare con precisione. Questo è particolarmente vero quando si suona a mani unite (per favore, si abbia pazienza – pro-metto che alla fine arriveremo allo studio a mani unite). Siccome a mani separate si ha più controllo, ce la si può cavare molto più veloce-mente che a mani unite. È sbagliato, di conseguenza, pensare di poter migliorare più rapidamente suonando più velocemente possibile (dopo tutto, se si suona il doppio più veloce si può esercitare lo stesso passag-gio il doppio delle volte!). Siccome l’obiettivo principale dello studio a mani separate è quello di guadagnare velocità, il bisogno di farlo rapi-damente e quello di studiare ad una velocità ottimizzata per migliorare la tecnica diventano contradditori. La soluzione a questo dilemma è di cambiare costantemente velocità di studio: non si rimanga per troppo tempo ad una data velocità. Sebbene sia meglio portare il passaggio immediatamente a velocità, nei passaggi difficili non c’è alternativa che arrivarci per gradi. Si usino, per far questo, velocità troppo veloci in modo da effettuare un’esplorazione che determini cosa sia necessario modificare per poter suonare a quelle velocità. Si rallenti e ci si eserciti poi su questi nuovi movimenti. Se manca la tecnica si dovrà sicura-

42 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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mente tornare indietro, accorciare il passaggio ed applicare gli esercizi per gli insiemi paralleli.

Per variare la velocità si vada inizialmente ad una qualche “velocità massima” gestibile ed alla quale si riesce a suonare con precisione, poi si acceleri (usando, se necessario, l’attacco ad accordo, ecc.), e si presti attenzione a come debba essere modificato il modo di suonare. Si usi-no in seguito questi movimenti e si suoni alla precedente “velocità massima”. Dovrebbe essere ora notevolmente più facile. Si studi a questa velocità per un po’, si provino successivamente velocità anche più basse per essere sicuri di rimanere completamente rilassati. Si ripeta poi l’intera procedura. In questo modo si arriverà per gradi gestibili a velocità maggiori e si lavorerà separatamente sull’abilità tecnica necessaria. Si dovrebbe riuscire, nella maggior parte dei casi, a suonare un pezzo nuovo alla prima seduta, almeno in segmenti brevi, a mani separate ed alla velocità finale. Tali prodezze possono sembrare all’inizio irraggiungibili, ma qualsiasi studente può raggiungere questo obiettivo in maniera sorprendentemente rapida.

II.14 - Come Rilassarsi La cosa più importante da fare quando si aumenta la velocità è rilas-

sarsi. Rilassarsi significa usare solo i muscoli necessari a suonare. Si può lavorare duro quanto si vuole ed essere rilassati. Questo stato di rilassamento è specialmente facile da raggiungere a mani separate. Ci sono due scuole di pensiero sul rilassamento: una sostiene che a lungo andare sia meglio non esercitarsi affatto piuttosto che esercitarsi con anche la minima tensione, questa scuola insegna a rilassarsi suonando una sola nota e poi avanzando con cautela e proponendo solo materiale semplice suonabile rimanendo rilassati; l’altra scuola sostiene che il ri-lassamento è solo un altro aspetto necessario della tecnica, ma che sot-tomettere l’intera filosofia di studio ad esso non sia l’approccio più van-taggioso. Non è chiaro, a questo punto, quale sia il sistema migliore. Qualunque si scelga è ovvio che suonare sotto stress è da evitare.

Se si adottano i metodi descritti in questo libro, e si arriva rapidamen-te alla velocità finale, un minimo di stress può essere inevitabile. Si no-ti che l’intera idea di arrivare rapidamente a velocità serve a potersi e-sercitare a velocità inferiore completamente rilassati. Come fatto nota-re in tutto questo libro, l’alta velocità è praticamente impossibile da raggiungere senza il completo rilassamento ed il disaccoppiamento di tutti i muscoli (specialmente quelli grandi) in modo che le dita possano guadagnare la propria indipendenza.

II.14 - COME RILASSARSI 43

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Gli studenti che suonano con un sacco di stress si accorgeranno che es-so non c’è più quando, all’improvviso, suonare a velocità diverrà facile. Quelli a cui non è stato insegnato ad eliminare lo stress pensano che sia questo il punto in cui hanno acquisito nuova tecnica. In realtà la loro tecnica è lentamente migliorata fino al punto in cui hanno iniziato a ri-lassarsi. Il rilassamento ha permesso alla tecnica di migliorare di più ed il miglioramento ha permesso un ulteriore rilassamento. Questo ciclo a retroazione è ciò che ha permesso una tale magica trasformazione. La trasformazione stessa è stata quindi indotta principalmente dal rilas-samento, è perciò ovviamente meglio iniziare senza stress. Allora, quindi, come ci si rilassa?

Ci sono numerosi esempi in questo libro, così come in molti altri, che istruiscono a “coinvolgere l’intero corpo” senza altri suggerimenti su come fare. Una parte di questo coinvolgimento, a volte la più grossa, deve essere il rilassamento. Il cervello umano è in molti modi uno sprecone: usa generalmente la maggior parte dei muscoli del corpo an-che per i compiti più semplici. Quando il compito è difficile il cervello tende a bloccare il corpo in una massa di muscoli tesi. Per potersi rilas-sare bisogna fare un tentativo consapevole (che coinvolge l’intero cor-po) di spegnere i muscoli non necessari. Non è facile perché va contro la tendenza naturale del cervello e bisogna esercitarsi a farlo proprio come si fa nel muovere le dita per premere i tasti. Rilassarsi non signi-fica quindi “lasciar andare tutti i muscoli”, significa che quelli non ne-cessari sono rilassati anche quando quelli necessari stanno lavorando a pieno regime. Per raggiungere questa capacità è necessaria molta prati-ca.

Non si dimentichi di rilassare le varie funzioni del corpo, come respi-rare e deglutire periodicamente. Alcuni studenti interrompono il respi-ro quando suonano passaggi impegnativi perché i muscoli per suonare sono ancorati al petto. La Sezione 21 più avanti spiega come usare il diaframma per respirare correttamente. Se la gola è secca dopo una dura seduta di studio, significa che ci si è dimenticati di deglutire. Tutti sintomi di stress.

Il metodo delle cadute spiegato sopra è un eccellente modo di eserci-tarsi al rilassamento. Si studino le cadute con un solo dito, scegliendo dita diverse ogni volta. Usando il pollice il polso deve essere basso (ma non troppo perché è necessario suonare con la punta); usando il migno-lo il polso dovrebbe essere leggermente più alto; una via di mezzo u-sando le altre dita. Il polso leggermente più alto dà al mignolo più po-tenza, meno stress e diminuisce il bisogno di alzare il quarto dito. Non

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si prenda l’abitudine di rilasciare completamente quest’ultimo perché provocherà il tocco involontario di altri tasti. L’evoluzione ha legato con i tendini le ultime tre dita per facilitare la presa degli attrezzi. Si prenda l’abitudine di esercitare una leggera tensione verso l’alto nel quarto dito, specialmente quando si suonano le dita 3 e 5. La prova del rilassamento è di nuovo la gravità: sentire l’effetto della forza di gravità, mentre si suona, è una condizione necessaria e sufficiente per il rilassamento.

Rilassarsi non consiste soltanto nel conservare l’energia non attivando i muscoli non necessari, ma anche nel trovare il giusto equilibrio ed i giusti movimenti e posizioni di braccio/mano/dita che permettono di e-seguire con il corretto dispendio di energia. In altre parole, non si pos-sono rilassare i muscoli non necessari se le posizioni ed i movimenti sono sbagliati. Si deve anche essere sicuri che i muscoli che lavorano possano fare il loro compito. Rilassarsi richiede perciò un sacco di e-sperimenti per trovare queste condizioni ottimali. Se ci si è nondimeno focalizzati sul rilassamento dal primo giorno di lezione, dovrebbe essere un problema rapidamente risolubile perché lo si è già fatto molte volte prima. Chi è nuovo al rilassamento può iniziare con pezzi facili già studiati suonandoli aggiungendolo. Gli esercizi per gli insiemi paralleli della Sezione III.7 possono aiutare anche ad esercitarsi al rilassamento. Niente, comunque, può sostituire la sperimentazione quotidiana che si dovrebbe fare ogni volta che si impara un nuovo pezzo. Si costruirà gradualmente un arsenale di movimenti rilassati – questo è parte di quello che si intende per tecnica.

Molte persone non si rendono conto che il rilassamento in sé stesso è uno strumento diagnostico per fare esperimenti. Assumendo che si ab-bia un certo arsenale di movimenti della mano (ognuno dovrebbe co-struirsene uno – si veda la Sezione III.4), il criterio per una “buona tec-nica” è ciò che permette il rilassamento. Molti studenti pensano che la pratica lunga e ripetitiva trasformi la mano in qualche modo affinché possa suonare. In realtà quello che accade, se allo studente non viene insegnato il modo giusto, è che la mano incappa accidentalmente nel movimento giusto per rilassarsi. Per questo motivo alcune capacità vengono acquisite rapidamente mentre altre richiedono un’infinità di tempo ed alcuni studenti ne acquisiscono alcune rapidamente mentre altri ci lottano. Il modo giusto (e più veloce) di imparare è quello di cercare attivamente i movimenti corretti e di costruirsene un corredo. In questa ricerca è utile capire cosa fa stancare e quali funzioni biologi-che influenzano il bilancio energetico (si veda la Sezione 21, più avanti, sulla “Resistenza”). Il rilassamento è uno stato di equilibrio instabile:

II.14 - COME RILASSARSI 45

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nell’imparare a rilassarsi diventa più facile farlo ulteriormente e vice versa. Ecco spiegato il motivo per cui il rilassamento è per alcuni un problema primario, mentre per altri è completamente naturale. Questa è una delle informazioni più straordinarie: significa che chiunque può rilassarsi se gli viene insegnato il modo corretto e se si impegna costan-temente nel farlo.

L’elemento più importante del rilassamento è, ovviamente, la conser-vazione dell’energia. Ci sono almeno due modi per conservarla: (1) non usare i muscoli non necessari e (2) rilassare i muscoli necessari non appena il loro compito è stato eseguito. Ci si eserciti nell’arte di distendere i muscoli rapidamente. Dimostriamolo con le cadute di un dito: nel modo 1 è più facile: si permetta semplicemente alla gravità di controllare completamente la caduta mentre l’intero corpo è sistemato comodamente sullo sgabello; nel modo 2 sarà necessario imparare una nuova abitudine se non la si possiede di già (pochi l’hanno all’inizio): l’abitudine di rilassare tutti i muscoli non appena si raggiunge il fondo della discesa del tasto. Non si alzi la mano, la si lasci comodamente sul pianoforte con giusto abbastanza forza da sostenere il peso del braccio. Ci si assicuri di non premere verso il basso. All’inizio è più difficile di quanto si possa pensare perché il gomito sta a mezz’aria e gli stessi mu-scoli usati per tendere il dito e per sostenere il peso del braccio vengo-no usati per premere verso il basso. Un modo di controllare se si sta premendo in basso è di posare completamente l’avambraccio sulla gamba e riprodurre la stessa sensazione alla fine della caduta.

Poche persone si preoccupano di distendere i muscoli esplicitamente: ci si dimentica semplicemente di loro quando il lavoro è stato fatto. Questo non porta problemi quando si suona lentamente, ma diventa problematico con la velocità. Ci sarà bisogno di un nuovo esercizio perché nelle cadute la risposta muscolare dipende solamente da cosa sta succedendo presso il pianoforte e questo non si può cambiare. Ciò che è necessario fare è iniziare con il tasto premuto e suonare una rapida nota mezzo forte. Ora è necessario applicare una forza aggiuntiva ver-so il basso e interromperla, quando si fa questo si deve tornare alla sen-sazione che si aveva alla fine dell’esercizio (2). Si scoprirà che più forte si suona la nota e più tempo si impiegherà a rilassarsi, ci si eserciti ad accorciare questo tempo.

La cosa magnifica di questi metodi di rilassamento è che dopo averli praticati per un breve periodo (forse qualche settimana) tendono ad es-sere incorporati automaticamente nel suonare, anche in pezzi già stu-diati. Tuttavia, come accennato precedentemente, c’è una scuola di in-

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segnamento secondo la quale non deve essere permesso di suonare niente senza il completo rilassamento. È chiaro che un tale metodo funzionerà, non è chiaro se sia il più veloce.

La peggiore conseguenza dello stress è che porta ad una lotta che non si può vincere perché si combatte un avversario che è esattamente u-gualmente forte – cioè se stessi. È uno dei propri muscoli che lavora contro un altro: nell’esercitarsi e nel diventare più forte così fa l’avver-sario, di una quantità esattamente uguale. Più forti si diventa e peggio-re è il problema: quando diventa abbastanza grave può portare all’infortunio perché i muscoli diventano più forti della forza materiale della mano. Lo stress tende a bloccare l’intero corpo in una grande massa: la peggior configurazione per provare a muovere le dita rapi-damente e indipendentemente. Il rilassamento porta via da questo pan-tano verso un’efficace canalizzazione dell’energia.

Quando vengono ripetuti miliardi di volte gli stessi compiti i muscoli si sviluppano e si diventa un sacco più forti di quanto ci si renda conto. Di fatto, è facile diventare più forti delle capacità fisiche del corpo e procurarsi infortuni da stress ripetuto. Per questo motivo è così impor-tante essere in grado di riferire le proprie forze ad una forza costante come quella di gravità. Lo stress crea sempre problemi e se non viene rimosso può solo peggiorare progredendo. È un problema insidioso perché la persona di solito non è consapevole di quanto sia diventata forte. Fortunatamente lo stress è facile da evitare perché tutto ciò di cui si ha bisogno è rendersi conto della sua importanza. La riduzione dello stress è talmente necessaria, ed i suoi effetti sono così immediati e benefici, che la motivazione non è mai un problema.

Il rilassamento, il peso del braccio (cadute), il coinvolgimento dell’in-tero corpo e l’evitare esercizi meccanici ripetitivi erano elementi chiave degli insegnamenti di Chopin, ma Liszt era a favore degli esercizi “fino ad esaurimento” (Eigeldinger). La mia interpretazione di quest’ultimo apparente disaccordo è che gli esercizi possono fare bene, ma non sono necessari. Certamente il pianoforte fa una grossa differenza: Chopin preferiva il Pleyel, un pianoforte con una meccanica molto leggera ed una corsa breve. Il rilassamento è inutile se non è accompagnato dal suonare in modo musicale, Chopin infatti insisteva sul suonare in que-sto modo prima di acquisire la tecnica perché sapeva che musica e tec-nica sono inseparabili. Proprio come un ritmo sbagliato rende impos-sibile la velocità, suonare in modo non musicale tende a rendere la tec-nica più difficile da ottenere. La tecnica ha origine nel cervello. Suo-nare in modo non musicale vìola apparentemente così tanti principi na-

II.14 - COME RILASSARSI 47

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turali che effettivamente interferisce con i processi cerebrali naturali di controllo del meccanismo che suona. Non è per sostenere che non ci si possa allenare a diventare una macchina ed eseguire difficili acrobazie a velocità accecante. L’asserzione qui è che le ripetizioni meccaniche so-no la strada più lunga e dispendiosa di imparare il pianoforte.

II.15 - Il Miglioramento Post Studio In una sola seduta ci si può aspettare solo un certo grado di migliora-mento perché ci sono due modi di migliorare: il primo è quello ovvio che viene dall’imparare le note ed i movimenti e risulta in un miglio-ramento immediato (accade nei passaggi per cui si ha già la tecnica ne-cessaria); il secondo è detto “miglioramento post studio” ovvero il ri-sultato dei cambiamenti fisiologici nella mano nell’acquisire nuova tec-nica. Questo processo di cambiamento è molto lento ed avviene prin-cipalmente dopo aver smesso di esercitarsi.

Studiando, quindi, si provi a calibrare i miglioramenti in modo da po-ter smettere e andare a fare qualcos’altro non appena arriva il momen-to di diminuzione del rendimento, di solito in meno di dieci minuti. La tecnica, come per magia, continuerà a migliorare da sola per almeno diversi giorni dopo una buona seduta di studio. Quindi, se è stato fatto tutto correttamente, quando il giorno dopo ci si siede al pianoforte si do-vrebbe scoprire di riuscire a suonare meglio di quanto si sia fatto al meglio il giorno prima. Se questo accadesse per un solo giorno l’effetto non sarebbe un granché, ma l’effetto cumulato su tante settimane, mesi o anni può essere tuttavia enorme.

Naturalmente più si studia un particolare giorno e più lungo sarà il miglioramento post studio, ciò nonostante oltre un certo punto i mi-glioramenti diminuiscono a parità di lavoro aggiuntivo. Di solito è più vantaggioso esercitarsi su cose diverse in una seduta e lasciarle miglio-rare contemporaneamente (mentre non si sta studiando!), piuttosto che lavorare duro su una sola cosa. Sovra-esercitarsi può, di fatto, far male alla tecnica se porta a stress ed a brutte abitudini. Ci si deve esercitare per un minimo, forse centinaia, di ripetizioni affinché questo migliora-mento automatico abbia luogo, ma siccome stiamo parlando di poche misure suonate a velocità, studiare dozzine o centinaia di volte in cin-que minuti è una procedura abituale e dovrebbe essere sufficiente.

Non ci si affligga se si studia sodo ma non sembrano esserci molti mi-glioramenti immediati, potrebbe essere normale per un particolare pas-saggio. Se dopo un’estesa analisi non si riesce a trovare niente di sba-

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gliato in quello che si sta facendo, è ora di smettere e lasciare che il mi-glioramento post studio prenda in mano la cosa.

Ci sono molti tipi di miglioramento post studio a seconda di cosa non permette di avanzare. Uno dei modi in cui questi si manifestano è nella durata, che varia da giorni a mesi. I tempi più brevi sono associati al condizionamento, come l’uso di movimenti o muscoli prima non usati, o a problemi di memoria. Tempi medi, di diverse settimane, possono essere associati alla crescita di nuovi nervi o nuove connessioni tra ner-vi, come nel suonare a mani unite. Se si sono sviluppate brutte abitu-dini potrebbe essere necessario smettere di suonare quel pezzo per mesi finché non si sarà persa quella brutta abitudine, un’altra forma di mi-glioramento post studio. In molti casi simili non è possibile identificare il colpevole, la miglior cosa da fare è perciò non suonare il pezzo ed impararne di nuovi perché far questo è il modo migliore di cancellare le brutte abitudini.

Si deve fare tutto correttamente per massimizzare il miglioramento post studio. Molti studenti non conoscono le regole e possono di fatto negarlo, con il risultato che quando provano a suonare il giorno dopo il pezzo viene peggio. Molti di questi errori hanno origine nell’uso sbaglia-to dello studio lento e veloce: nelle sezioni seguenti parleremo delle re-gole sulla scelta della corretta velocità di studio. Chiaramente ci sarà bisogno, per incoraggiare il miglioramento post studio, di ripetere il movimento qualche centinaio di volte durante ogni esercitazione e que-ste ripetizioni devono essere corrette, qualsiasi movimento non neces-sario o stress minerà al miglioramento. L’errore più comune, commes-so dagli studenti, è suonare velocemente prima di finire la seduta. L’ultima cosa da fare prima di terminarla dovrebbe essere il più giusto e miglior esempio di ciò che si vuole ottenere, altrimenti il migliora-mento post studio risulta confuso e viene negato. I metodi di questo libro sono ideali per questo tipo di miglioramento principalmente per-ché enfatizzano lo studio delle sole note che non si riescono a suonare. Suonare a mani unite lentamente e aumentare la velocità per grandi se-zioni non solo condiziona il miglioramento post studio in modo insuffi-ciente, ma lo confonde del tutto. Una volta che un certo modello viene sufficientemente condizionato si può passare ad altri modelli e tutti in-sieme subiranno un miglioramento post studio contemporaneo.

Fare uso del miglioramento post studio è un’arte a sé. Nello studiare giorno per giorno si deve quindi fare attenzione a quali tipi di pratica portano al migliore possibile. Se c’è una sezione che non migliora in modo rilevante durante lo studio, si saprà che sarà necessario dipende-

II.15 - IL MIGLIORAMENTO POST STUDIO 49

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re da esso per fare ulteriori progressi e si deve, di conseguenza, pianifi-care il tempo di studio. Ad esempio, si potrebbe studiare quella sezione (generalmente molto corta, forse solo qualche nota) per un certo tem-po, due minuti ogni giorno per esempio, senza alcuna aspettativa di no-tabile miglioramento, ma solo per condizionare; si può poi cercare qualche miglioramento di tipo post studio il giorno dopo. Gli esercizi per gli insiemi paralleli sono gli strumenti più utili per farlo.

Il miglioramento post studio è in qualche modo analogo a quello che accade al culturista: quando alza i pesi i suoi muscoli non crescono, di fatto perdono peso, ma durante le settimane seguenti il corpo reagirà allo stimolo e aggiungerà muscoli. Quasi tutta la crescita dei muscoli avviene dopo l’esercizio. Il culturista, quindi, non misura quanti musco-li ha guadagnato o quanto peso riesce a sollevare alla fine degli esercizi, ma si concentra invece sul fatto che l’esercizio produca il giusto condi-zionamento. La differenza qui è che nel pianoforte stiamo sviluppando coordinazione e resistenza invece di far crescere i muscoli. Una analo-gia migliore potrebbe essere quella del maratoneta. Se si fosse mai cor-so un miglio nella propria vita quando lo si è provato per la prima vol-ta si sarà riusciti a correre per un quarto di miglio prima di aver dovuto rallentare per riposarsi. Se dopo un po’ di riposo si è cercato di correre ci si sarà stancati dopo un altro quarto di miglio o meno. La prima corsa non è quindi servita ad alcun miglioramento identificabile. A-spettando un giorno e provando di nuovo, si potrebbe, tuttavia, riusci-re a correre un terzo di miglio prima di stancarsi. Il miglioramento post studio nel pianoforte è simile. Correre è un compito relativamente semplice rispetto a suonare il pianoforte perciò è difficile correre scor-rettamente in modo da avere problemi a correre il giorno dopo, po-trebbe però accadere: se si spinge troppo, ad esempio, si potrebbe svi-luppare la brutta abitudine di inciampare nelle dita.

Riguardo a questo tipo di difficoltà, il golf offre un’altra eccellente a-nalogia. I giocatori di golf hanno confidenza con il fenomeno per cui possono colpire bene una pallina un giorno, ma malissimo quello dopo perché hanno preso una brutta abitudine che spesso non riescono a diagnosticare. Eseguire un “driver” ogni giorno può rovinare lo “swing”, mentre esercitarsi con la N.9 può ripristinarlo. L’analogia nel pianoforte è che suonare velocemente, a pieno regime, tende a rovinare il miglioramento post studio, laddove esercitarsi su piccole sezioni a mani separate tende a migliorarlo. Questa analogia regge perché en-trambi il pianoforte e il golf sono abbastanza complessi. Chiaramente nel pianoforte la procedura di condizionamento deve essere ben com-presa per poter garantire il miglioramento desiderato – un condiziona-

50 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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mento di tipo errato può portare ad un regresso. Nelle sezioni succes-sive avremo quindi a che fare con metodi che assicurano il migliora-mento post studio.

Alcuni studenti non si rendono conto di questo tipo di miglioramento e sono frustrati dalla mancanza di progressi durante lo studio sbaglian-do nel non approfittare del miglioramento post studio. Il fatto è che la maggior parte delle tecniche fondamentali è acquisita tra le sedute, proprio come la maggior parte della crescita dei muscoli del culturista avviene tra gli allenamenti. Il miglioramento post studio è probabil-mente la parte più importante dell’acquisizione della tecnica.

II.16 - I Pericoli di Suonare Lentamente - Le Trappole del Metodo Intuitivo

Quando si inizia un pezzo nuovo, suonare lentamente in modo ripetuto può essere dannoso. Abbiamo detto nella Sezione II.1 che suonare len-tamente ed aumentare gradualmente la velocità non è un modo effi-ciente di esercitarsi al pianoforte. Esaminiamo questa procedura per vedere il perché. Stiamo assumendo che lo studente inizi il pezzo e non sappia ancora come suonarlo. In questo caso suonarlo lentamente sarà molto diverso da come dovrebbe essere suonato a velocità. Quando si inizia non c’è modo di sapere se i movimenti lenti che si stanno usando siano giusti o sbagliati; nella Sezione IV.3 dimostreremo che la proba-bilità di suonare scorrettamente è praticamente il 100%. Esercitarsi a suonare in questo modo sbagliato non aiuta lo studente a suonare cor-rettamente o più velocemente: quando questi movimenti verranno ac-celerati incontrerà un muro di velocità e il risultato sarà lo stress. As-sumendo che questo studente sia riuscito a cambiare modo di suonare, in maniera tale da evitare il muro di velocità, e sia riuscito ad aumenta-re la velocità per gradi, avrà bisogno di disimparare il vecchio modo, di re-imparare il nuovo e di continuare a ripetere questi cicli finché non raggiungerà la velocità finale. Trovare tutti questi modi intermedi di suonare per prove ed errori può richiedere parecchio tempo.

Diamo un occhiata ad un esempio concreto di come diverse velocità richiedano diversi movimenti. Consideriamo l’andatura di un cavallo. All’aumentare della velocità l’andatura passa attraverso la camminata, il trotto, il piccolo galoppo ed il galoppo. Ognuna di queste quattro andature ha di solito un modo lento ed uno veloce. Inoltre, una svolta a destra è diversa da una a sinistra (lo zoccolo guida è diverso). Un minimo di sedici movimenti. Queste sono le cosiddette andature natu-

II.16 - I PERICOLI DI SUONARE LENTAMENTE - LE TRAPPOLE DEL METODO INTUITIVO 51

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rali, la maggioranza dei cavalli le ha automaticamente, ma i cavalli pos-sono imparare altre tre andature: il passo, il foxtrot e l’arack, che allo stesso modo possono essere lenti, veloci, a sinistra e a destra. Tutto questo con solo quattro zampe, una struttura relativamente semplice e un cervello relativamente limitato. Noi abbiamo dieci dita molto com-plesse, spalle molto più versatili, braccia, mani ed un cervello infinita-mente più capace! Le nostre mani sono quindi capaci di eseguire molte più “andature” di un cavallo. Suonare lentamente e cercare di aumen-tarne la velocità è come far correre un cavallo alla stessa velocità di un galoppo aumentando semplicemente la velocità della camminata: chia-ramente non può farlo. Se la musica quindi richiedesse un galoppo, lo studente finirebbe per dover imparare tutte le andature intermedie. Si può facilmente capire perché indurre un cavallo a camminare alla velo-cità di un galoppo gli farebbe incontrare dei muri di velocità e indur-rebbe uno stress tremendo. Questo però è esattamente quello che molti studenti di pianoforte cercano di fare con i metodi intuitivi. Ciò che accade nello studio è che lo studente finisce per non acquisire nessuna capacità di camminare alla velocità di un galoppo, ma, nell’accelerare la camminata, incappa accidentalmente in un trotto.

Ora, un cavallo da equitazione non pensa “Ehi!, per questa velocità devo andare al piccolo galoppo”, ma risponde automaticamente ai se-gnali del cavallerizzo. Si può, per questo motivo, far eseguire ad un cavallo una svolta a sinistra usando i passi della curva a destra e procu-rargli un infortunio. Ci vuole, di conseguenza, l’intelligenza superiore del cervello umano per trovare la giusta andatura del cavallo sebbene sia quest’ultimo ad eseguirla. Nel pianoforte funziona allo stesso modo e lo studente si può procurare dei problemi da solo. Sebbene lo stu-dente umano sia più intelligente di un cavallo, il numero di possibilità che affronta è impressionante e ci vuole un cervello superiore per tro-vare i migliori movimenti tra la varietà quasi infinita che la mano uma-na può eseguire. La maggior parte degli studenti con un’intelligenza normale non ha idea di quanti movimenti siano possibili finché un in-segnante non glieli fa vedere. Due studenti lasciati a sé stessi, a cui si chieda di suonare lo stesso pezzo, è garantito finiranno per usare mo-vimenti diversi delle mani. Questa è un’altra ragione per cui è impor-tante andare a lezione da un buon insegnante quando si inizia pianofor-te: un tale insegnante può eliminare rapidamente i movimenti errati. Il punto qui è che nel metodo intuitivo lo studente può acquisire un qual-siasi numero di brutte abitudini prima di accelerare. L’intera procedu-ra di studio finisce per essere un’esperienza disastrosa che di fatto lo o-stacola dal fare progressi.

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È chiaro che una persona che aumenta la velocità sta avendo a che fa-re con una sconcertante fila di “andature” intermedie (e movimenti dannosi) prima di arrivare all’unico movimento finale. Inoltre lo stu-dente può aver bisogno di disimparare i lenti metodi precedenti per poter essere in grado di studiare quelli nuovi. Questo è specialmente vero se le due mani sono state bloccate insieme da un lungo studio a mani uni-te. Cercare di disimparare è uno dei compiti più frustranti, stressanti e perditempo che ci siano nello studio del pianoforte.

Un errore comune è l’abitudine a sostenere o alzare la mano. Suo-nando molto lentamente la mano potrebbe venire sollevata nell’inter-vallo di tempo tra le note quando il suo peso non è necessario. Au-mentando la velocità questo “sollevare” coincide con il momento in cui si deve premere il tasto successivo: queste azioni si elidono risultando in una nota mancata. Un altro errore comune è agitare le dita libere: mentre suona con le dita 1 e 2, lo studente potrebbe agitare in aria di-verse volte le dita 4 e 5. Questo non presenta alcuna difficoltà finché il movimento non viene accelerato a tal punto da non esserci più il tempo di farlo. In questa situazione, a velocità più elevate, le dita libere non smettono automaticamente di agitarsi perché i movimenti sono stati ra-dicati da centinaia o anche migliaia di ripetizioni. Il problema è che molti studenti che usano lo studio lento in genere non si rendono conto di queste brutte abitudini. Sapendo come suonare velocemente non si corrono rischi a suonare lentamente, in caso contrario bisogna stare at-tenti a non imparare le brutte abitudini del suonare lentamente o si fi-nirà per sprecare un enorme quantità di tempo. Questo spreco è dovu-to al fatto che per ogni passata ci vuole così tanto. I metodi di questo libro evitano tutti questi svantaggi.

II.17 - L’Importanza di Suonare Lentamente Avendo fatto notare i pericoli di suonare lentamente, analizzeremo ora il perché sia indispensabile farlo. Si concluda sempre una sessione di stu-dio suonando almeno una volta lentamente. Questa è la regola più im-portante per un buon miglioramento post studio. Si dovrebbe anche coltivare l’abitudine di farlo anche quando si cambia mano durante lo studio a mani separate: prima di cambiare, si suoni lentamente almeno una volta. Questa potrebbe essere una delle regole più importanti di questo capitolo perché ha un effetto così straordinariamente enorme sul miglioramento della tecnica; il perché funzioni, però, non è del tutto chiaro. È utile sia al miglioramento istantaneo sia a quello post studio. Una ragione per cui funziona potrebbe essere che ci si può rilassare

II.17 - L’IMPORTANZA DI SUONARE LENTAMENTE 53

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completamente (si veda la Sezione II.14). Un’altra ragione potrebbe essere che suonando velocemente si tende ad acquisire un maggior numero di brutte abitudini, più di quanto ci si renda conto, che si pos-sono “cancellare” suonando lentamente. Contrariamente all’intuito, suonare lentamente senza errori è difficile (finché non si ha la completa padronanza del passaggio) ed è quindi un buon modo di controllare se si sta veramente imparando il pezzo.

Gli insegnanti e gli studenti esperti sanno che la musica suonata velo-cemente non viene imparata molto bene dal cervello. Se inoltre si è presa qualche brutta abitudine, la volta successiva che si suonerà il pez-zo verrà fuori peggio dell’ultima volta che lo si è studiato. Avendo studiato lentamente prima di smettere il miglioramento post studio è molto maggiore. Suonare lentamente è di conseguenza un modo di condizionare la mano a trarne il massimo vantaggio. Quest’effetto è così drammatico che lo si può facilmente dimostrare a se stessi: si provi una sessione di studio in cui si suona solo velocemente e si veda cosa accade il giorno dopo. Oppure si può studiare un passaggio solo velo-cemente e un altro passaggio (di pari difficoltà) lentamente per poi con-frontarli il giorno seguente. L’effetto è cumulativo: se si dovesse ripe-tere questo esperimento con gli stessi due passaggi per un lungo perio-do di tempo si troverebbe, alla fine, una differenza enorme nel modo di trattare quei passaggi.

Quanto lento è “lentamente”? È questione di giudizio. Suonando sempre più piano non si saprà a che velocità si perderà il suo effetto. È importante, quando si suona lentamente, mantenere gli stessi movimen-ti di quando si suona velocemente. Suonando troppo lentamente potrebbe diventare impossibile, farebbe inoltre impiegare troppo tempo, causando uno spreco. La miglior velocità da provare all’inizio è quella alla quale si può suonare con la precisione che si vuole, attorno alla metà o un quarto della velocità. Con il migliorare della tecnica questa bassa velocità potrà diventare più veloce. È interessante, comunque, che alcuni pianisti famosi siano stati visti studiare molto lentamente! Alcune stime documentano studi di una nota al secondo, il che appare praticamente irrazionale.

Una abilità importante su cui esercitarsi quando si suona lentamente è quella di pensare alla musica più avanti. Quando si studia velocemente un nuovo pezzo c’è la tendenza a restare indietro rispetto alla musica e diventa un’abitudine. Questo non va bene perché è così che si perde il control-lo. Si pensi avanti quando si studia lentamente e si provi poi a mante-nere questa distanza quando si torna a velocità. Quando si riesce a

54 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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pensare avanti, rispetto a ciò che si sta suonando, si possono alle volte prevenire imprecisioni e difficoltà in arrivo e si ha il tempo di prendere i dovuti accorgimenti.

II.18 - La Diteggiatura Usando la diteggiatura indicata sulla musica di solito non si sbaglierà. Non seguendo la diteggiatura indicata probabilmente ci si procurerà più facilmente un sacco di problemi. La diteggiatura elementare è di solito ovvia e non viene indicata sugli spartiti, tranne nei libri per prin-cipianti. Alcune diteggiature segnate potranno sembrare scomode all’inizio, ma sono lì per un motivo che spesso non è ovvio finché non si arriva a velocità o non si suona a mani unite. Seguire la diteggiatura indicata è, per i principianti, un’esperienza di apprendimento per impa-rare quelle più comuni. Un altro vantaggio di usare la diteggiatura indicata è che si userà sempre la stessa. Non avere una diteggiatura fissa rallenterà di gran lunga il processo di apprendimento e darà pro-blemi dopo, anche quando si è imparato il pezzo. Se si dovesse cam-biare diteggiatura ci si assicuri di usare sempre quella nuova. È una buona idea segnare la modifica sulla musica, può essere molto frustran-te tornarci mesi dopo e non ricordare quella bella diteggiatura che si era trovata.

Comunque non tutte le diteggiature suggerite sugli spartiti sono ade-guate per tutti: si potrebbero avere mani grandi o piccole, si potrebbe essere abituati a diteggiature diverse per il modo in cui si è imparato, si potrebbe avere un diverso insieme di abilità tecniche, si potrebbe essere uno di quelli che eseguono i trilli meglio usando 1,3 piuttosto che 2,3. La musica dei diversi editori può avere diteggiature diverse.

La diteggiatura può avere, per gli esecutori di livello avanzato, una profonda influenza sull’effetto musicale che si vuole proiettare. Fortu-natamente i metodi qui descritti si adattano bene al rapido cambio della diteggiatura. Si facciano tali modifiche prima di iniziare a studiare a mani unite perché una volta incorporate diventano molto difficili da cambiare. Di converso, alcune diteggiature sono facili a mani separate, ma diventano difficili a mani unite. Si faccia quindi attenzione a con-trollarle a mani unite prima di accettare definitivamente qualsiasi cam-biamento.

II.18 - LA DITEGGIATURA 55

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II.19 - Il Tempo Preciso ed Il Metronomo Si inizino tutti i pezzi contando con attenzione, specialmente i princi-pianti ed i più giovani. Ai bambini dovrebbe essere insegnato a conta-re ad alta voce perché è il solo modo di scoprire qual è la loro idea di contare (potrebbe essere completamente diversa da quella che si inten-de). Si dovrebbe capire l’indicazione di tempo all’inizio di ogni compo-sizione. Appare come una frazione consistente in un numeratore ed un denominatore: il numeratore indica il numero di tempi per misura e il denominatore indica le note per tempo. Ad esempio ! significa che ci sono tre tempi per misura e ogni tempo è una nota da un quarto. Tipi-camente ogni battuta contiene una misura. Conoscere l’indicazione è essenziale quando si accompagna perché il momento in cui l’accompa-gnatore deve partire è determinato dal tempo che il direttore indica con la bacchetta.

Uno dei vantaggi di esercitarsi a mani separate è quello di tendere a contare con più precisione che a mani unite. Gli studenti che iniziano a mani unite finiscono spesso col fare errori di conteggio di cui non si ac-corgono. È interessante come questi errori rendano spesso impossibile portare la musica a velocità. C’è qualcosa nello sbagliare a contare che crea un suo muro di velocità, probabilmente rovina il ritmo. Se perciò si incontrassero problemi nel portare a velocità si controlli il conteggio. Un metronomo è molto utile per farlo.

Si usi il metronomo per controllare la precisione di velocità e tempo. Mi sono ripetutamente stupito degli errori che scoprivo quando con-trollavo in questo modo. Io tendo, ad esempio, a rallentare nelle sezio-ni difficili e ad accelerare in quelle facili sebbene in realtà pensi sia l’opposto quando suono senza il metronomo. La maggior parte degli insegnanti lo usa per controllare il tempo degli studenti. Lo si dovreb-be usare però solo per poco: una volta che lo studente va a tempo biso-gna spegnerlo. Il metronomo è uno degli insegnanti più affidabili – una volta che si inizia ad usarlo si sarà contenti di averlo fatto. Si sviluppi l’abitudine di usarlo e si suonerà senza dubbio meglio. Tutti gli stu-denti seri devono avere un metronomo.

I metronomi non devono essere usati troppo. Le lunghe sedute di studio con il metronomo che accompagna fanno male all’acquisizione della tecnica portando ad esecuzioni meccaniche. Quando viene usato di continuo per più di dieci minuti circa, la mente inizia a fare scherzi e fa perdere la precisione del tempo. Se ad esempio il metronomo fa dei click, dopo un po’ di tempo il cervello crea in testa degli anti-click in modo da poterli annullare per non sentirli più o sentirli al momento

56 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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sbagliato. La maggior parte dei metronomi elettronici moderni ha, per questo motivo, una modalità a luce lampeggiante. L’indizio visivo è meno soggetto a trucchi mentali ed inoltre non interferisce acustica-mente con la musica. L’abuso più frequente del metronomo è usarlo per aumentare la velocità: significa abusare di esso, dello studente, del-la musica e della tecnica. Se lo si deve usare in questo modo lo si usi per dare il tempo, poi lo si spenga e si continui a studiare. Il metrono-mo serve a dare il tempo ed a controllare la precisione, non è un sosti-tuto del proprio senso interiore del tempo.

C’è una ragione molto elementare per cui fa male usare il metronomo per aumentare gradualmente la velocità: velocizzare non è il semplice compito di prendere un movimento lento ed eseguirlo più velocemente. Vengono sempre coinvolti due nuovi elementi: (1) un nuovo tipo di movimento e (2) la transizione dal modo “statico” di applicare la forza ad un modo “di slancio” (si veda la Sezione IV.6). Questi due elementi spesso si aiutano l’un l’altro nel senso che il nuovo movimento usa la modalità “di slancio”. Il processo di accelerazione consiste quindi nel trovare questi nuovi movimenti e nel passare alla modalità di slancio. Quando si trova il nuovo movimento si può fare un salto quantico ad una velocità maggiore in cui la mano suona a suo agio. Di fatto a velo-cità intermedie non sono applicabili né il movimento lento né quello veloce ed è spesso più difficile suonare che ad alta velocità. Se accade di impostare il metronomo a queste velocità intermedie si potrebbe lot-tare con esse per tanto tempo e si costruirebbe un muro di velocità. Una delle ragioni per cui il nuovo movimento funziona è che la mano umana è uno strumento meccanico che ha delle risonanze alle quali al-cune combinazioni di movimenti funzionano bene naturalmente. Ci sono pochi dubbi che sia stata composta della musica per essere suona-ta a certe velocità: il compositore ha trovato questa velocità di risonan-za. D’altra parte ciascun individuo ha una mano diversa ed una diver-sa velocità di risonanza e questo spiega parzialmente perché pianisti di-versi scelgono velocità diverse. Senza il metronomo ci si può rapida-mente adagiare ad una di queste velocità di risonanza perché la mano si sente a suo agio, mentre le probabilità di impostare il metronomo ad esattamente questa velocità sono molto basse. In conseguenza di ciò con il metronomo ci si esercita quasi sempre alla velocità sbagliata, uno dei migliori modi di costruirsi un qualsiasi numero di muri di velocità.

I metronomi elettronici sono superiori a quelli meccanici sotto ogni aspetto. Sebbene alcuni preferiscano l’aspetto dei vecchi modelli, quelli elettronici sono più precisi, possono emettere suoni diversi o lampeggi, hanno volume variabile, costano meno, sono meno ingombranti, hanno

II.19 - IL TEMPO PRECISO ED IL METRONOMO 57

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funzioni di memoria, eccetera; quelli meccanici invece sembra abbiano sempre bisogno di essere ricaricati nei momenti peggiori.

II.20 - La Mano Sinistra Debole; L’Uso di Una Mano per Insegnare all’Altra

Gli studenti che non studiano a mani separate avranno sempre la ma-no destra più forte della sinistra. Ciò accade perché i passaggi della mano destra sono in genere tecnicamente più difficili. La sinistra tende a dover suonare passaggi che richiedono più forza, ma spesso resta in-dietro in velocità e tecnica. Perciò qui “più debole” significa tecnica-mente più debole, non come forza. Il metodo delle mani separate bi-lancerà le mani perché verrà automaticamente dato più lavoro da fare a quella più debole. Nei passaggi che una mano può suonare meglio dell’altra, quella migliore è spesso il miglior insegnante. Per far inse-gnare ad una mano dall’altra, si scelga un segmento breve e lo si suoni rapidamente con la mano migliore, si ripeta poi immediatamente con la mano debole ad un’ottava di distanza per evitare collisioni. Si scoprirà che la mano più debole può spesso “afferrare” o “avere un’idea” di co-me faccia quella migliore. La diteggiatura dovrebbe essere simile, ma non è necessario che sia identica. Una volta che la mano debole “affer-rerà l’idea” la si svezzi suonando due volte con la debole e una con la forte, poi tre e una, eccetera.

Questa capacità di una mano di insegnare all’altra è più importante di quanto la maggior parte delle persone realizzi. L’esempio di prima, di risolvere una specifica difficoltà tecnica, è solo – appunto – un esempio, la cosa più importante è che questo concetto si applica praticamente a tutte le sessioni di studio. La ragione fondamentale di questa vasta ap-plicabilità è che una mano fa sempre qualcosa meglio dell’altra: il rilas-samento, la velocità, la calma nelle mani e gli innumerevoli movimenti di dita/mano (pollice sopra, dita distese, eccetera, si vedano le sezioni seguenti) – qualsiasi cosa nuova si stia cercando di imparare. Quindi una volta imparato questo principio di usare una mano per insegnare all’altra lo si usi sempre, può far risparmiare una tremenda quantità di tempo.

II.21 - Lo Sviluppo della Resistenza, La Respirazione “Resistenza” è un termine controverso nello studio del pianoforte. Questa controversia origina dal fatto che suonare il pianoforte richiede controllo, non potenza muscolare e molti studenti hanno l’impressione

58 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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sbagliata che non acquisiranno la tecnica finché non avranno abbastan-za muscoli. D’altro canto un certo grado di resistenza è necessario. Questa apparente contraddizione può essere risolta comprendendo e-sattamente cosa sia necessario e come acquisirlo. Non si possono ov-viamente suonare passaggi intensi e pomposi senza usare energia. I pianisti grandi e forti possono sicuramente produrre più suono di quelli piccoli e deboli, possono suonare più facilmente pezzi “impegnativi”. Ogni pianista ha abbastanza resistenza fisica da suonare pezzi al suo li-vello semplicemente per via della quantità di studio che è stata necessa-ria per arrivare lì. Nonostante questo sappiamo che la resistenza è un problema. La risposta è nel rilassamento: quando la resistenza diventa un problema ciò è quasi sempre dovuto all’eccessiva tensione.

L’esempio più famoso è il tremolo di ottava della sinistra nel pri-mo movimento della Patetica di Beethoven. La sola cosa che il 90% degli studenti ha bisogno di fare è eliminare lo stress, ma nonostante questo molti studenti lo studiano per mesi facendo pochi progressi. Il primo errore che fanno è suonarlo troppo forte aggiungendo altro stress e stanchezza quando meno ce lo si può permettere. Lo si suoni delicatamente concentrandosi solo sull’eliminazione dello stress. Prima si studi solo l’insieme parallelo 5,1 poi 1,5. Una volta tolto lo stress ed una volta a proprio agio con questi, si provino due 5,1 di fila. Il primo giorno si potrebbe riuscire in meno di dieci minuti a legarne diversi in fila, molto più veloci del necessario. Si smetta e si lasci che il miglio-ramento post studio prenda le redini. Si studi da due a cinque minuti tutti i giorni. Si faccia questo con entrambe le mani in modo da cam-biarle spesso. Si suonino gli insiemi paralleli da praticamente velocità infinita in giù fino a lento, ricordandosi solo di cercare le posizioni della mano che eliminano lo stress. Si facciano esperimenti per trovare le migliori posizioni di braccio/mano/dita. Dopo una settimana o due si suoneranno quanti tremoli si vogliono alla velocità che si vuole. Ora si cominci ad aggiungere volume ed espressività. Fatto! A questo punto la forza fisica e la resistenza non sono affatto diversi da come erano quando si è iniziato giusto qualche settimana prima – la cosa principale che si è fatta è stata di trovare il miglior modo di eliminare lo stress.

Suonare pezzi impegnativi richiede circa la stessa energia di correre una corsettina a circa quattro miglia all’ora, con il cervello che richiede più energia delle mani/corpo. Molti giovani non riescono a corricchia-re di continuo per più di un miglio. Chiedere quindi ad un giovane di studiare un passaggio difficile per venti minuti continuati sforzerebbe veramente la sua resistenza perché sarebbe all’incirca equivalente a cor-ricchiare per un miglio. Gli insegnanti ed i genitori devono stare atten-

II.21 - LO SVILUPPO DELLA RESISTENZA, LA RESPIRAZIONE 59

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ti, quando i giovani iniziano le lezioni di pianoforte, per poter limitare inizialmente i tempi di studio al di sotto dei quindici minuti finché non verrà sviluppata un po’ di resistenza. I maratoneti hanno resistenza, ma non sono muscolosi. È necessario condizionare il corpo per la resi-stenza al pianoforte, ma non c’è bisogno di ulteriori muscoli.

C’è differenza tra suonare il pianoforte e correre una maratona perché è necessario condizionare per la resistenza anche il cervello oltre che i muscoli, proprio per questo motivo lo studio meccanico di scale ed altri esercizi per la resistenza non funziona. I modi più efficaci di sviluppare la resistenza sono suonare pezzi finiti e fare musica o studiare conti-nuamente sezioni difficili a mani separate. Usando di nuovo l’analogia con la corsa, sarebbe molto difficile per la maggior parte degli studenti studiare materiale difficile continuamente per più di qualche ora perché due ore di pratica sarebbero l’equivalente di correre sei miglia, un alle-namento tremendo. Si dovrà pertanto suonare qualche pezzo facile tra le sedute di studio dure. Sessioni di studio concentrato che durano più di qualche ora possono non essere così utili finché non si è ad un livello avanzato, è probabilmente meglio fare una pausa e ricominciare a stu-diare dopo un po’ di riposo. Studiare duramente pianoforte è chiara-mente un lavoro pesante e l’esercizio serio può mettere lo studente in ot-tima forma. Lo studio a mani separate è particolarmente valido ri-guardo a questo perché permette ad una mano di riposare mentre l’altra lavora sodo, consentendo al pianista di lavorare duro quanto vuole il 100% del tempo senza infortuni o stanchezza. Non è sicura-mente difficile, in termini di resistenza, studiare (se si ha tempo) una marea di esercizi meccanici per le dita per sei o otto ore al giorno. È un processo di auto-illusione nel quale lo studente pensa che il solo dedica-re tempo lo farà arrivare al suo obiettivo – non lo farà. Inoltre condi-zionare il cervello è più importante di condizionare i muscoli.

Cos’è la resistenza? È qualcosa che permette di continuare a suonare senza stancarsi. Nelle lunghe sessioni di studio di oltre diverse ore i pianisti riprendono fiato proprio come gli atleti. Possiamo identificare qualche fattore biologico che controlla la resistenza? Conoscerne le ba-si biologiche è il miglior modo per capirla. In assenza di studi bio-fisici specifici possiamo solo speculare. Abbiamo chiaramente bisogno di una sufficiente dose di ossigeno e di un’adeguata circolazione sangui-gna verso i muscoli e verso il cervello. I fattori più importanti che in-fluiscono sull’apporto di ossigeno sono l’efficienza dei polmoni, la re-spirazione e la postura. Questa può essere una ragione per cui la medi-tazione, con l’enfasi sulla giusta respirazione usando il diaframma, è co-sì utile. L’uso dei soli muscoli del petto per respirare sovra-utilizza

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l’apparato respiratorio e sotto-utilizza il diaframma. Il pompaggio ra-pido del petto che ne deriva, o l’esagerata espansione di esso, può inter-ferire con l’atto di suonare il pianoforte. L’uso del diaframma interferi-sce meno con i movimenti del suonare. Inoltre chi non usa il diafram-ma consciamente potrebbe tenderlo mentre suona quando si accumula stress. Usando sia le costole che il diaframma e mantenendo una buo-na postura, i polmoni si possono espandere al loro massimo volume con il minor sforzo e possono quindi prendere la maggior quantità di ossigeno. Una parte integrale del rilassamento consiste nel rilassare i muscoli (del petto e del diaframma) usati nella respirazione. Ci si assi-curi di non smettere di respirare mentre si suonano passaggi difficili.

Il seguente esercizio di respirazione può essere estremamente utile, non solo per il pianoforte, ma anche per il benessere generale. Si e-spanda il petto, si spinga giù il diaframma (farà gonfiare la pancia), si sollevino le spalle in alto verso la schiena e si faccia un respiro profon-do; poi si espiri completamente invertendo la procedura. Se non lo si è fatto per molto tempo dovrebbe provocare iper-ventilazione – girerà la testa – dopo uno o due esercizi. In questo caso ci si fermi. Si ripeta poi più tardi e si dovrebbe scoprire di riuscire a fare più respiri senza iper-ventilare. Si ripeta fin quando non si riusciranno a fare cinque respiri di fila. Se si andrà ora dal dottore a fare un controllo e lui chiedesse di fare un respiro profondo lo si potrà fare! Questo esercizio insegna le basi della respirazione. Studiando pianoforte si tengano a mente questi elementi e ci si assicuri di usarli in modo corretto, specialmente quando si studia qualcosa di difficile. Respirare normalmente mentre si suona qualcosa di difficile è un elemento importante del rilassamento. Si ese-gua questo esercizio almeno una volta ogni diversi mesi.

Tutti i muscoli usati per suonare il pianoforte si collegano alla fine al-le regioni vicine al centro del petto. Di conseguenza respirando solo con il petto e bloccando il diaframma l’atto di suonare diventa inutil-mente complesso. Stabilizzando il petto e respirando con il diaframma suonare diventa più facile da controllare, è quindi meglio, per suonare il pianoforte, coltivare l’abitudine di respirare con il diaframma piutto-sto che con il petto. La respirazione è migliore quando il petto viene espanso e non contratto. Usando il diaframma il petto rimane fermo, ma l’addome si muove in dentro e in fuori.

I metodi precedenti per aumentare la resistenza si possono imparare principalmente durante lo studio, al pianoforte. Altri metodi sono au-mentare la circolazione sanguigna ed aumentare la quantità di sangue nel corpo. Questi processi avvengono durante il miglioramento post

II.21 - LO SVILUPPO DELLA RESISTENZA, LA RESPIRAZIONE 61

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studio. Suonando il pianoforte è necessario un flusso supplementare di sangue al cervello così come al meccanismo che suona; perciò il flusso sanguigno si può aumentare assicurandosi esercitare sia il corpo sia il cervello. Questo farà in modo che il corpo produca più sangue. La ri-petizione meccanica (di scale, ecc.) è dannosa perché toglie la parte di esercitazione del cervello. Esercitarsi dopo un grosso pasto potrebbe far aumentare il rifornimento di sangue, riposare dopo il pasto, al con-trario, ridurrà la resistenza. Questo perché esercitarsi dopo un pasto richiede sangue per digerire, per i muscoli che suonano e per il cervel-lo, ponendo in atto la più grossa richiesta di sangue. Chiaramente la partecipazione ad attività sportive, la giusta salute e l’esercizio sono utili per sviluppare la resistenza per suonare il pianoforte.

Riassumendo, i principianti che non hanno mai toccato un pianoforte avranno bisogno di sviluppare la resistenza gradualmente perché stu-diare pianoforte è un lavoro duro. I genitori devono stare attenti al tempo di studio dei principianti molto giovani e permettere loro di smettere o di riposare quando si stancano. Non si permetta mai ad un bambino malato di studiare pianoforte, neanche pezzi facili, a causa del rischio di aggravare la malattia e di danneggiare il cervello. Abbiamo tutti più muscoli di quelli necessari per suonare i pezzi del nostro livel-lo, qualunque esso sia. Anche i pianisti professionisti che studiano sei ore al giorno non finiscono per sembrare Braccio di Ferro. Franz Liszt era magro, niente affatto muscoloso. Acquisire la tecnica e la resistenza non è quindi una questione di fare muscoli, ma di imparare come rilas-sarsi e come usare correttamente la propria energia.

II.22 - Le Brutte Abitudini: Il Peggior Nemico dei Pianisti Nello studio del pianoforte le brutte abitudini sono ciò che fa perdere più tempo. La maggior parte di esse è dovuta allo stress di suonare pezzi troppo difficili. Si stia quindi attenti a non studiare troppo un passaggio troppo difficile, soprattutto a mani unite. Potrebbe addirit-tura portare ad infortuni. Lo studio a mani unite è la più grossa causa singola delle brutte abitudini e per questo motivo, in questa sezione, i metodi a mani unite vengono descritti alla fine. Molte delle brutte abi-tudini dovute allo studio a mani unite sono difficili da diagnosticare e questo le rende ancora più perverse.

Un’altra brutta abitudine è usare troppo il pedale (di risonanza) o quello del piano, come analizzato più avanti. È il chiaro segno di uno studente dilettante che prende lezioni da un insegnante non qualificato.

62 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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L’abuso di questi pedali può aiutare solo uno studente la cui tecnica sia gravemente carente.

Balbettare è dovuto allo studio a singhiozzo nel quale lo studente si ferma e suona da capo una sezione ogni volta che commette un errore. Se si commettesse un errore si continui sempre a suonare, non ci si fer-mi per correggerlo. Si prenda semplicemente nota mentalmente di dove era e si suoni la sezione successiva per vedere se si ripete. In questo ca-so si scelga un segmento breve che lo contiene e vi si lavori sopra. Una volta presa l’abitudine di suonare attraverso gli errori si può progredire verso il livello successivo in cui vengono anticipati (si sentono arrivare prima che accadano) e si prendono provvedimenti per evitarli come ral-lentare, semplificare la sezione o solo mantenere il ritmo. Se il ritmo non viene spezzato la maggior parte degli ascoltatori non ci fa caso e di solito non li sente neanche.

La cosa peggiore delle brutte abitudini è che richiedono così tanto tempo per essere eliminate, specialmente se sono a mani unite. Pertanto niente accelera il tasso di apprendimento quanto conoscerle tutte e pre-venirle prima che siano radicate. Ad esempio, il momento per preveni-re il balbettio è l’inizio delle lezioni di pianoforte. Se si insegna a que-sto punto a suonare attraverso gli errori, diventa naturale farlo ed è molto facile. Insegnarlo ad uno studente che balbetta è un compito molto difficile.

Un’altra brutta abitudine è quella di sbattere sul pianoforte senza ri-guardo alla musicalità. Accade spesso perché lo studente è talmente assorto nello studio che dimentica di ascoltare i suoni che escono dallo strumento. Questo si può prevenire coltivando l’abitudine di ascoltarsi sempre quando si suona. Ascoltarsi è più difficile di quanto molti rea-lizzino perché molti studenti spendono le loro fatiche nel suonare non lasciando nulla per ascoltare. Ci sono poi quelli con le dita deboli, una cosa più comune tra i principianti e che si corregge più facilmente di chi sbatte troppo forte.

Una brutta abitudine è quella di suonare sempre alla velocità sbaglia-ta: troppo velocemente o troppo lentamente. La velocità giusta è de-terminata da tanti fattori, inclusa la difficoltà del pezzo rispetto all’abili-tà tecnica, le aspettative del pubblico, le condizioni del pianoforte, quale pezzo precedeva o seguirà, eccetera. Alcuni studenti potrebbero tende-re ad eseguire pezzi troppo velocemente per il loro livello di abilità, mentre altri sono timidi e suonano troppo lentamente. Questo non va-le solo per le esecuzioni in pubblico, ma anche per lo studio: suonare

II.22 - LE BRUTTE ABITUDINI: IL PEGGIOR NEMICO DEI PIANISTI 63

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sempre troppo velocemente, ad esempio, non è il modo ottimale di ac-quisire la tecnica.

Un altro problema comune è la scarsa qualità del tono. La maggior parte delle volte, durante lo studio non ascolta nessuno perciò il tono non sembrerebbe contare. Di conseguenza se il tono degrada legger-mente la cosa non preoccupa lo studente ed il risultato è che, dopo un po’, viene del tutto ignorato. Gli studenti devono sempre essere alla ricerca del tono, non importa quanto pensino sia buono. Ascoltare buone registrazioni è il miglior modo per risvegliare lo studente all’esis-tenza di un buon tono. D’altro canto una volta che si presta attenzione al tono e si cominciano ad ottenere dei risultati, ci si farà più attenzione e si potrà facilmente imparare l’arte di produrre suoni che possono at-trarre il pubblico.

Il numero di possibili brutte abitudini è così grande che non possono essere analizzate tutte, qui è sufficiente dire che un atteggiamento rigo-roso, tipo “anti-virus”, verso di esse è un requisito essenziale per un ra-pido miglioramento.

II.23 - Il Pedale (del Forte o di Risonanza) I principianti spesso usano troppo il pedale. La regola ovvia è: se la musica non indica il pedale non lo si usi. Alcuni pezzi sembrano più facili da suonare con il pedale, specialmente se si inizia lentamente a mani unite, ma questa è una delle peggiori trappole in cui un princi-piante possa cascare e ne fermerà veramente lo sviluppo. La meccanica è più leggera con il pedale abbassato perché gli smorzatori vengono sollevati dal piede e non dalle dita. La meccanica è quindi più pesante quando si rilascia il pedale, soprattutto nelle sezioni veloci, e questo crea una trappola che pian piano risucchia il principiante nell’usare di più il pedale nelle parti veloci. Ciò di cui non si rendono conto questi studenti è che se si usa il pedale dove non viene indicato sarà impossi-bile suonare la musica correttamente a velocità.

Chi usa lo studio a mani separate cadrà raramente in questa trappola perché il metodo porta a velocità talmente rapidamente che ci si può immediatamente rendere conto che il pedale non serve. Un’altro tra-bocchetto in cui spesso cadono gli studenti che usano il metodo intuiti-vo è che all’inizio usare il pedale non sembra così male perché suonano lentamente e si abituano a studiare usandolo, solo quando alzano la ve-locità si rendono conto che le note si sovrappongono: si devono allora liberare di una brutta e radicata abitudine. In Per Elisa si usi il pedale solo per i grandi accordi arpeggiati della sinistra e nell’unico arpeggio

64 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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della destra. I due intermezzi (tranne questo arpeggio) dovrebbero es-sere praticamente suonati interamente senza il pedale. Anche le parti che richiedono il pedale dovrebbero essere inizialmente studiate senza di esso finché non si avrà sostanzialmente finito il pezzo: questo inco-raggia la buona abitudine di tenere le dita vicino ai tasti e scoraggia la brutta abitudine di suonare saltando troppo e alzando le mani senza premere con decisione.

Coordinare con precisione pedale e mani non è un compito facile, per questo gli studenti che iniziano a studiare un pezzo a mani unite con il pedale finiranno invariabilmente con delle terribili abitudini. La pro-cedura corretta è esercitarsi a mani separate prima senza il pedale, poi a mani separate con il pedale, poi a mani unite senza il pedale e infine a mani unite con il pedale. In questo modo ci si può concentrare su ogni elemento nuovo quando lo si introduce.

Un altro punto riguardante il pedale è che deve essere “suonato” con attenzione proprio come si suonano i tasti con le dita. Si veda la Sezio-ne Riferimenti per trovare tutti i diversi modi di usare il pedale, quan-do e come esercitarsi. Ci si assicuri di padroneggiare tutti questi mo-vimenti prima di usarlo in pezzo vero. In quella sezione ci sono i rife-rimenti ad alcuni esercizi molto utili su come esercitarsi al corretto uso del pedale. Quando si usa il pedale si sappia esattamente quale movi-mento si sta usando e il perché. Se, ad esempio, si volessero far vibrare in risonanza più corde possibile si abbassi il pedale prima di suonare la nota. Se, invece, si volesse sostenere una sola nota pulita si abbassi il pedale dopo averla suonata; più si ritarda il pedale e meno vibrazioni di risonanza si otterranno (nota più pulita – si veda la sezione seguente per spiegazioni dettagliate). In generale si dovrebbe avere l’abitudine di premere il pedale mezzo secondo dopo aver suonato la nota. Si può ottenere un effetto legato, senza offuscare troppo, alzando ed abbassan-do rapidamente il pedale ogni volta che si cambia accordo. È ugual-mente importante sapere quando alzare il pedale e quando abbassarlo.

La mancanza di attenzione verso il pedale può rallentare lo sviluppo della tecnica molto più di quanto gli studenti realizzino; al contrario prestare attenzione al pedale può aiutarne lo sviluppo aumentando la precisione generale di quello che si fa. Quando si fa una cosa sbagliata diventa difficile fare tutte le altre cose correttamente. Quando si sba-glia con il pedale non si riesce a studiare la giusta tecnica delle dita per-ché la musica viene fuori sbagliata anche quando le dita sono tecnica-mente corrette.

II.23 - IL PEDALE (DEL FORTE O DI RISONANZA) 65

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La maggior parte dello studio a mani separate dovrebbe essere con-dotta senza il pedale anche quando questo è indicato. Quando si studia a mani separate si sta solo cercando di capire come muovere le dita e come gestire il passaggio, non si sta ancora provando a fare musica e il pedale è quindi solo un’inutile interferenza. La ragione più importante per non usare il pedale a questo punto è che la tecnica migliora più ve-locemente senza di esso perché si può ascoltare esattamente ciò che si suona senza l’interferenza delle note suonate prima. Inoltre i tasti sono un po’ più pesanti, come spiegato sopra, e l’allenamento aggiuntivo rende più facile suonare quando il pedale verrà aggiunto dopo.

II.24 - Il Pedale del Piano, Il Timbro e I Modi Normali delle Corde Vibranti

Il pedale del piano si usa per cambiare l’umore del suono: da più per-cussivo (senza il pedale) a più sereno e delicato (pedale abbassato). Nei pianoforti verticali il pedale del piano rende principalmente il suono più morbido. Nei pianoforti a coda non deve essere usato solo per ri-durre l’intensità del suono perché ne cambia anche il timbro, per poter suonare pianissimo si deve semplicemente imparare a suonare delica-tamente. Un’altra proprietà dei pianoforti a coda è che si possono ot-tenere suoni molto forti con il pedale del piano abbassato. In molti pianoforti verticali il pedale del piano ha solo un effetto minimo sul timbro e non si possono produrre suoni forti abbassandolo. I cambia-menti di timbro verranno spiegati in dettaglio più avanti. Una difficol-tà nell’uso del pedale del piano (“una corda”, o più correttamente, due corde nei pianoforti a coda moderni) è che spesso non viene indicato perciò la decisione di usarlo è spesso lasciata al pianista.

Una cosa generalmente trascurata riguardo al pedale del piano è l’intonazione dei martelli. Se si tende ad aver bisogno del pedale del piano per suonare delicatamente o se è chiaramente più facile suonare pianissimo con il coperchio del pianoforte a coda abbassato, allora qua-si certamente è necessaria l’intonazione dei martelli. Si veda la sottose-zione su “L’Intonazione dei Martelli” nella Sezione 7 del Capitolo Due. Se i martelli sono correttamente intonati si dovrebbe poter controllare l’esecuzione delicata a qualsiasi livello senza l’uso del pedale del piano. I martelli usurati rendono impossibile suonare delicatamente ed il peda-le del piano ha molto meno effetto nel cambiare il tono, in questo caso sarà maggiormente d’aiuto suonare delicatamente e nonostante lo si usi il suono avrà una componente percussiva. I martelli usurati fanno quindi perdere sia la capacità di suonare delicatamente sia il vero ma-

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gnifico cambio di tono del pedale del piano. Nella maggior parte dei casi le proprietà originarie del martello si possono facilmente ripristina-re con una semplice intonazione (pettinatura e punzonatura).

Le insicurezze riguardanti le condizioni dei martelli sono in parte re-sponsabili del motivo per cui l’uso del pedale del piano sia così dibattu-to, dato che molti pianisti concertisti lo usano solo per suonare delica-tamente. Come mostrato nella Sezione su “L’Intonazione dei Martelli”, il trasferimento di energia dal martello alla corda è più efficiente quan-do il movimento della corda è ancora piccolo. Un martello compatto trasferisce la maggior parte della sua energia in questo raggio, per que-sto si possono trovare così tanti vecchi grandi pianoforti a coda leggeri come piume. Martelli soffici (sullo stesso pianoforte, senza cambiare nient’altro) renderebbero la meccanica molto più pesante. Il motivo è che, con un punto di impatto più soffice, la corda si alza molto di più, rispetto alla sua posizione originaria, prima che l’energia inizi a trasfe-rirsi. In questa posizione il trasferimento di energia è meno efficiente ed il pianista deve spingere più forte per produrre un qualche suono. Il peso effettivo del tasto è ovviamente controllato solo parzialmente dalla forza richiesta per premerlo in quanto dipende anche da quella richiesta per produrre una certa quantità di suono. In altre parole il tecnico del pianoforte deve trovare un compromesso tra rendere il feltro del mar-tello sufficientemente soffice da produrre un tono piacevole e sufficien-temente duro da produrre un suono adeguato. In tutti i pianoforti, tranne quelli di alta qualità, il feltro del martello deve essere un po’ du-ro in modo da produrre suono a sufficienza e da rendere la meccanica agile, questo rende difficile suonare delicatamente e può, a sua volta, giustificare l’uso del pedale del piano dove altrimenti non andrebbe u-sato.

Nella maggior parte dei pianoforti verticali il pedale del piano provo-ca lo spostamento dei martelli (più vicini alle corde) restringendone co-sì il movimento e diminuendo il volume di suono. Diversamente dai pianoforti a coda, in quelli verticali non si possono produrre suoni forti quando il pedale del piano è abbassato. Un vantaggio di questi piano-forti è la possibilità di una pressione parziale di questo pedale, ci sono pochi verticali in cui funziona in modo analogo a quello dei coda.

Nei pianoforti a coda moderni il pedale del piano fa spostare l’intera meccanica verso destra di metà della distanza tra le corde (della stessa nota nella sezione a tre corde). Questo fa sì che il martello colpisca so-lo due delle tre note provocando una fortuita trasformazione nel carat-tere del suono. Il movimento orizzontale non deve essere della distan-

II.24 - IL PEDALE DEL PIANO, IL TIMBRO E I MODI NORMALI DELLE CORDE VIBRANTI 67

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za tra le corde perché altrimenti si infilerebbero nei solchi delle corde adiacenti. Questo farebbe infilare alcune corde esattamente nei solchi ed altre no provocando un suono non uniforme perché la distanza non può essere controllata con sufficiente precisione. Inoltre colpendo le parti del martello meno usate (tra i solchi delle corde) si ottiene un suono ancora più delicato. Per capire il cambiamento di timbro dato dal pedale del piano dobbiamo studiare la meccanica acustica delle cor-de vibranti accoppiate (si veda il riferimento a Scientific American).

La quasi totalità del suono di pianoforte che sentiamo è prodotto dai cosiddetti modi normali in meccanica. Questa è la ragione per cui il suono del pianoforte consiste principalmente nella fondamentale e nelle sue armoniche. I modi normali possono sempre essere decomposti nel-le loro componenti su due piani ortogonali, diciamo verticale e orizzon-tale. Inoltre queste oscillazioni hanno lunghezze d’onda che sono fra-zioni intere della lunghezza della corda. Perché la corda oscilla nei modi normali invece che produrre un miscuglio di lunghezze d’onda e di onde in movimento? Il martello ne produce un sacco nell’istante in cui colpisce. Se si posa la mano sul pianoforte lo si può sentir “rabbrividi-re” per un attimo: è come il “rumore bianco”, energia diffusa su un ampio spettro di frequenze. Le componenti di questa energia nella gamma udibile non sono sufficienti a produrre una quantità significante di quello che le nostre orecchie interpretano come suono. Ciò che ac-cade è che la maggior parte dell’energia sfugge via rapidamente dalle corde, dopo solo poche vibrazioni, attraverso i suoi estremi. Tutto questo avviene nel giro di pochi millisecondi, un tempo troppo breve per l’orecchio per sentire nulla.

L’unica energia intrappolata nella corda è quella dei modi normali. Perché? Perché nei modi normali i capi della corda sono nodi: punti immobili della corda. Vengono intrappolati solo i modi normali perché non può essere trasmessa energia trasversale attraverso una corda im-mobile, ma non solo: i capi delle corde di pianoforte non sono nodi i-deali (assolutamente fermi). I ponticelli e le caviglie sono progettati con il giusto grado di flessibilità in modo che una quantità controllata di suono venga trasmessa alla tavola armonica: è così che il pianoforte produce la nota fondamentale e le sue armoniche. Vengono intrappo-late solo le armoniche esatte perché queste sono le uniche vibrazioni i cui nodi coincidono con quelli della fondamentale ai capi della corda. Siccome il martello colpisce la corda nel piano verticale, anche tutti i modi normali sono inizialmente in questo piano. Un pianoforte eco-nomico non è costruito così rigidamente e con materiale così pesante come uno costoso ed ha quindi nodi più allentati, che permettono a

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meno energia di essere intrappolata. Un pianoforte economico ha me-no suono sostenuto perché l’energia sfugge rapidamente. Uno più grande può produrre più suono perché le corde più lunghe, con più tensione, possono immagazzinare più energia. Allo stesso tempo i nodi più rigidi, dei pianoforti più rigidi e meglio costruiti, permettono a me-no energia di scappare producendo note sostenute più a lungo.

Quali sono i modi normali di tre corde parallele i cui capi sono ac-coppiati legandoli insieme sul ponticello? Queste corde si possono muovere tutte nella stessa direzione, spingendo quindi il pianoforte, o muoversi in opposizione l’un l’altra, nel qual caso il pianoforte non si muove. I movimenti opposti sono detti modi simmetrici perché le cor-de si muovono simmetricamente in direzione opposta rispetto al bari-centro delle tre. Quest’ultimo è fermo durante questi movimenti. Sic-come è necessaria un sacco di energia per spostare il pianoforte, i modi non simmetrici si dissipano rapidamente lasciando solo i modi simme-trici come possibili modi normali di un sistema a tre corde. C’è un solo modo normale verticale per un sistema a tre corde: la corda di mezzo si sposta in una direzione mentre le altre due si muovono di metà dell’ampiezza nella direzione opposta. In un sistema a due corde non c’è alcun modo normale verticale! L’unico in cui una corda si sposta in alto e l’altra si sposta in basso non è simmetrico: farebbe girare il pia-noforte. L’unico modo orizzontale possibile per due corde è quello in cui si spostano in direzione opposta. La mancanza di modi normali simmetrici è una delle ragioni per cui le fondamentali sono così deboli nelle sezioni a due e ad una corda nei bassi. Il movimento effettivo del-le corde può essere una qualunque combinazione di questi modi nor-mali. Le diverse somme dei modi normali determinano la polarizza-zione delle oscillazioni, questa cambia nel tempo e questo cambiamento controlla la natura del suono del pianoforte.

Possiamo ora spiegare cosa succede quando il martello colpisce un si-stema a tre corde. All’inizio produce principalmente modi normali ver-ticali e, siccome questi si accoppiano efficacemente con la tavola armo-nica (che non è flessibile in questa direzione), viene prodotto un suono forte ed “immediato”. Grazie all’alta efficienza di questo accoppiamen-to la tavola armonica vibra attivamente producendo un suono percus-sivo simile a quello dei tamburi. Ora, siccome il pianoforte non è sim-metrico, dalle vibrazioni verticali ai due capi delle corde si vengono a creare alcuni movimenti laterali che trasferiscono energia dai modi ver-ticali a quelli orizzontali. Questi nuovi modi cedono poca energia alla tavola armonica perché in direzione orizzontale è più “dura” e non può vibrare. Questo eccita un diverso insieme di modi vibratori, cambian-

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do quindi il timbro del suono. Quando vengono colpite tre corde ci sa-rà di conseguenza un suono immediato percussivo accompagnato da un più delicato suono a seguire.

Si noti che il suono immediato ha due componenti: il rumore iniziale associato al rumore bianco del colpo del martello, che produce un gran numero di onde non stazionarie e vibrazioni non armoniche, ed il suc-cessivo suono immediato creato principalmente dai modi normali. Pro-babilmente è questo picco di suono iniziale ad essere il più dannoso alle orecchie perché il volume istantaneo del suono di questo impatto può essere piuttosto alto, specialmente con martelli usurati che rilasciano la maggior parte della propria energia durante l’impatto iniziale. Si veda “L’Intonazione dei Martelli” nella Sezione 7 del Capitolo Due per i dettagli sull’interazione tra martelli usurati e corde. Nei pianoforti con tali martelli può essere saggio chiudere il coperchio (come la maggior parte dei loro proprietari probabilmente già fa a causa degli effetti dolorosi alle orecchie). Certamente niente supera una corretta intona-zione dei martelli.

Le spiegazioni precedenti sono ovviamente di gran lunga semplificate. Anche l’articolo di Scientific American indicato nei Riferimenti è del tutto inadeguato a spiegare il vero funzionamento di un sistema a tre corde. L’articolo tratta principalmente i movimenti di una corda e ana-lizza l’interazione tra due corde nei casi semplificati ideali. Un vero si-stema a tre corde non viene analizzato. La maggior parte delle analisi delle corde vibranti si preoccupa dei movimenti trasversali perché sono i più visibili e spiegano l’esistenza della fondamentale e delle armoni-che. Sebbene i nodi non trasmettano movimenti trasversali, lo fanno le forze di tensione. L’analisi nella Sezione “L’Intonazione dei Martelli” rende chiaro che le forze di tensione non si possono ignorare perché sono molto più grandi di quelle trasversali e possono ben dominare l’acustica del pianoforte. Inoltre la conclusione tratta sopra sui modi normali dipende in gran parte dalla costante di accoppiamento: con co-stanti di accoppiamento piccole il sistema diventa una sovrapposizione di movimenti accoppiati e disaccoppiati che permettono molti più modi. L’analisi di cui sopra fa perciò assaporare solo qualitativamente quello che potrebbe accadere e non dà una descrizione né quantitativa né meccanicamente corretta di un vero pianoforte.

Questo tipo di comprensione dell’acustica del pianoforte ci aiuta a tro-vare il modo corretto di usare il pedale. Abbassandolo prima di suonare una nota il “rumore bianco” iniziale ecciterà tutte le corde cre-ando un soffice roboare di sottofondo. Mettendo il dito su una qual-

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siasi corda la si può sentir vibrare. Le corde in ottava e le armoniche, rispetto a quelle dissonanti, vibreranno tuttavia con ampiezze maggiori. Questo indica che il “rumore bianco” iniziale non è bianco, ma favori-sce i modi normali: c’era da aspettarselo perché le estremità delle corde sono tenute ferme, quando il martello colpisce, scoraggiando così l’eccitazione delle vibrazioni dei modi non normali. Il pianoforte, quindi, non solo intrappola selettivamente i modi normali, ma li genera anche. Abbassando il pedale dopo aver colpito una nota ci saranno vi-brazioni solidali nelle corde in ottava e nelle armoniche, ma le altre corde saranno quasi del tutto silenziose. Questo produce una chiara nota sostenuta. La lezione qui è che, in generale, il pedale dovrebbe venire abbassato immediatamente dopo aver suonato la nota, non pri-ma. È una buona abitudine da coltivare.

Molte delle spiegazioni precedenti si possono dimostrare sperimen-talmente. I movimenti delle corde si possono misurare direttamente con una serie di strumenti prontamente disponibili. Un secondo meto-do consiste nell’usare il fatto che le vibrazioni delle corde sono processi lineari, decadono cioè esponenzialmente nel tempo. Quando il decadi-mento del suono viene diagrammato su scala logaritmica si ottiene quindi una linea retta (si veda il riferimento a Scientific American). Nel disegnarlo in questo modo, comunque, si ottengono due linee rette: una iniziale con pendenza ripida (decadimento più veloce) seguita da un’altra con pendenza minore. Queste due linee coincidono con la no-stra percezione di suono immediato e suono a seguire. Il fatto che que-ste linee siano così rette ci dice che il nostro modello lineare è molto preciso. Nei sistemi lineari l’esistenza di due linee rette dimostra anche che provengono da due meccanismi distinti (in questo caso diversi tipi di vibrazioni). Il tasso di trasferimento dell’energia vibrazionale verti-cale verso le vibrazioni orizzontali è costante perché le vibrazioni delle corde non sono abbastanza violente da distorcere il pianoforte. Questo spiega perché il rapporto tra il suono immediato e quello a seguire è indipendente dall’intensità: non si può cambiare il timbro solo suonan-do piano. Il pedale del piano sui pianoforti verticali non funziona così bene per questo motivo. Tuttavia c’è un ammonimento. Il timbro vie-ne controllato da almeno due fattori: il rapporto tra suono immediato e suono a seguire (appena trattato) ed il contenuto armonico, che dipen-de dall’intensità. Quando il martello colpisce una corda con maggior forza la corda si deforma di più, questo crea nel suono più componenti ad alta frequenza. Questo contenuto armonico più in alto rende il suo-no più squillante o stridulo. In pratica il contenuto armonico viene controllato molto più dalla condizione del martello che dall’intensità.

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Una corretta intonazione è perciò necessaria per poter produrre un pia-cevole tono di pianoforte, specialmente nei suoni forti.

La corda non colpita gioca un ruolo importante nel produrre il suono una corda, questa agisce come riserva nella quale le altre due possono scaricare la loro energia. Siccome la vibrazione della terza corda è in contro-fase (una corda guidata è in contro-fase con chi la guida) prende il fronte dal suono immediato nello stesso istante ed eccita modi vibra-zionali diversi da quelli che risultano quando tutte e tre vengono colpi-te assieme.

Si può usare mezzo pedale del piano su un pianoforte a coda? Questo non dovrebbe creare controversie, ma lo fa. Se si usa un pedale parzia-le si otterrà sicuramente un suono nuovo. Non c’è ragione per cui ad un pianista non dovrebbe essere permesso di fare questo e non c’è niente di male se viene prodotto un nuovo effetto interessante. Questo modo di suonare non è comunque stato inizialmente progettato nel pianoforte e non conosco nessun compositore che abbia composto per mezzo pedale del piano su pianoforti a coda. Si noti che un suo uso e-steso sui coda farà limare via una parte del martello. Inoltre è impossi-bile per il tecnico regolare il pianoforte in modo tale che la terza corda manchi sempre il martello per la stessa depressione del pedale, per tutti i martelli insieme. L’effetto, di conseguenza, non sarebbe uniforme e sarebbe diverso da pianoforte a pianoforte. Usare a metà il pedale del piano sui coda non è quindi consigliabile a meno di non aver sperimen-tato e di non cercare di produrre uno strano nuovo effetto. Nondime-no, racconti aneddotici sembrano indicare che un tal uso avvenga, pro-babilmente per ignoranza sul funzionamento da parte del pianista.

Nelle sezioni a due o una corda le corde hanno diametri molto mag-giori perciò quando la meccanica si sposta di lato le corde urtano la parte laterale dei solchi acquisendo un moto orizzontale e incrementan-do l’effetto della componente di suono a seguire. Questo meccanismo è davvero diabolicamente ingegnoso!

Il bisogno di eccitare ampi modi normali verticali per ottenere suoni forti spiega il motivo per cui tali suoni vengano prodotti sul pianoforte da doppi colpi in rapida successione. È per questo motivo che così tan-ti pezzi di musica con finali intensi finiscono spesso con dei doppi ac-cordi pieni. Il colpo iniziale crea un’onda in movimento lungo la corda perché il martello colpisce le corde vicino ad una estremità. Se il mar-tello viene fatto colpire di nuovo, subito dopo la prima volta, verrà fornita una nuova onda di energia che produce un suono più forte. Questa seconda onda non si dissipa velocemente come la prima perché

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tutti i modi di oscillazione disponibili sono stati eccitati. Il secondo col-po produce il suono più forte che un pianoforte possa produrre. Un terzo colpo diventa imprevedibile perché le corde si stanno ora muo-vendo e sia queste sia i martelli possono essere fuori fase, in questo ca-so un terzo colpo potrebbe attutire il suono.

Riassumendo, il nome “pedale del piano” è un termine improprio per il pianoforte a coda. Il suo effetto principale è di cambiare il timbro del suono. Se si suona un suono forte con il pedale del piano abbassato, sarà praticamente forte quanto senza di esso. Questo perché si è utilizzata la stessa quantità di energia nel produrlo. Per contro, è più facile suonare delicatamente usando il pedale del piano sulla maggior parte dei pianoforti. Posto che i martelli siano in buone condizioni, si dovrebbe riuscire a suonare ugualmente delicatamente anche senza il pedale del piano. Un pedale del piano parziale produrrà tutti i tipi di effetti imprevedibili e non uniformi, quindi non si dovrebbe usare nei pianoforti a coda.

II.25 - Le Mani Unite: Fantaisie Impromptu di Chopin Possiamo ora finalmente iniziare ad unire le mani. La maggior parte degli studenti incontra qui le maggiori difficoltà, specialmente nei pri-mi anni di lezioni di pianoforte. Sebbene i metodi presentati dovreb-bero aiutare immediatamente ad acquisire velocemente la tecnica, ci vorranno circa due anni prima di poter trarre veramente vantaggio da tutto quello che hanno da offrire, specialmente per chi usava quelli in-tuitivi. Si lavori perciò sull’imparare il metodo così come ad usarlo per imparare un particolare pezzo. La domanda principale è: cosa dobbia-mo fare per poter suonare rapidamente a mani unite? Nel rispondere, impareremo il perché abbiamo dedicato così tanto di questa sezione al-lo studio a mani separate. Come presto vedremo, unire le mani non è difficile, se si sa come fare.

Suonare a mani unite è quasi come provare a pensare contemporane-amente a due cose diverse: non c’è nessuna coordinazione pre-programmata tra le due mani come nel caso degli occhi (per giudicare la distanza), delle orecchie (per determinare la direzione di provenienza dei suoni) o delle gambe (per camminare). Sarà di conseguenza neces-sario un po’ di lavoro per imparare a coordinare con precisione le ma-ni. Il precedente studio a mani separate rende questa coordinazione molto più facile da ottenere perché dobbiamo focalizzarci solo su di es-sa e non dobbiamo sviluppare contemporaneamente anche la tecnica dito/mano.

II.25 - LE MANI UNITE: FANTAISIE IMPROMPTU DI CHOPIN 73

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La buona notizia è che c’è solo un “segreto” principale per imparare rapidamente ad unire le mani (ci sono certamente numerosi trucchi mi-nori, come il delineare). Questo segreto è l’aver fatto un adeguato la-voro a mani separate. Tutta l’acquisizione della tecnica deve essere fat-ta a mani separate. In altre parole: non si provi ad acquisire a mani unite la tecnica che si può acquisire a mani separate. Ormai il motivo dovrebbe essere ovvio: provando ad acquisire a mani unite la tecnica che si può acquisire a mani separate si incorrerà in problemi come: (1) sviluppo di stress, (2) mani sbilanciate (la destra tende a diventare più forte), (3) acquisizione di brutte abitudini impossibili da cambiare dopo, (4) creazione di muri di velocità, (5) incorporazione di errori, ec-cetera. Si noti che tutti i muri di velocità vengono creati: sono il risulta-to dello stress o del suonare in modo scorretto. Ognuno ne ha pertan-to un insieme diverso e uno studio prematuro a mani unite ne può cre-are un numero qualsiasi. La diteggiatura sbagliata è un altro grosso problema: alcune diteggiature appaiono più naturali quando vengono suonate lentamente a mani unite, ma diventano impossibili quando vengono velocizzate. Il miglior esempio è suonare con il “pollice sot-to”.

Tutto questo porta al fatto che c’è bisogno di un qualche criterio per decidere quando si abbia studiato a sufficienza a mani separate. Un criterio ovvio è vedere se si hanno ancora difficoltà a mani unite nono-stante un considerevole lavoro a mani separate. Molto spesso significa che è solo necessario altro lavoro a mani separate. Potrebbe però non essere un buon criterio perché non ci dice se le difficoltà sono dovute ad una tecnica di dita inadeguata o ad una mancanza di coordinazione tra le mani. Nel caso di mancanza di coordinazione allora si dovranno studiare segmenti più piccoli.

Un criterio migliore è la velocità a mani separate. Tipicamente la massima velocità a cui si riesce a suonare a mani unite è il 50%-90% della velocità più lenta a mani separate. Questa velocità più lenta è di solito nella sinistra. Si supponga di riuscire a suonare con la destra a velocità 10 e con la sinistra a velocità 9. La massima velocità a mani unite potrebbe allora essere 7. Il modo più rapido di portare questa velocità a mani unite a 9 è di alzare la velocità della destra a 12 e quella della sinistra a 11. Non si provi ad alzarla a mani unite. Aumentare la velocità a mani unite è probabilmente la più grossa causa di problemi del metodo intuitivo. Come regola generale, si porti la velocità a mani separate a circa il 50% oltre la velocità finale. Il criterio che stavamo cercando sopra è di conseguenza questo: se si riesce a suonare a mani separate, rilassati e sotto controllo a circa il 150% della velocità finale

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allora si è pronti per lo studio a mani unite. Non è necessario misurare la velocità a mani separate con il metronomo, ci si assicuri solamente che questa velocità sia molto più alta di quella a mani unite. Se si aves-sero ancora problemi si torni a separare le mani e si aumenti un po’ di più la velocità. Suonare a mani unite verrà rapidamente dopo aver fat-to sufficiente lavoro a mani separate.

C’è un mondo di differenza nel come il cervello si occupa dei compiti di una sola mano rispetto a quelli che richiedono la coordinazione di entrambe. Lo studio a mani separate migliora l’abilità di occuparsi di una mano ed evita la tendenza a creare abitudini non direttamente con-trollate dal cervello perché quest’ultimo ha il controllo diretto di ogni funzione. I movimenti a mani unite, per contro, possono essere educati solo con la ripetizione creando un’abitudine di riflesso. Un’indicazione di questo è il fatto che i movimenti a mani unite impiegano più tempo ad essere imparati. Le brutte abitudini a mani unite sono perciò le peggiori; il miglior modo di acquisire rapidamente la tecnica è di evi-tarle. Per questo motivo è così importante ritardare lo studio a mani unite finché non si è sicuri che la preparazione a mani separate sia ade-guata.

L’abilità di coordinare le mani, controllandole indipendentemente, è una delle abilità più difficili da imparare al pianoforte. L’altra faccia della medaglia è che questo rende le abitudini a mani unite quasi im-possibili da disfare – nessuno ha ancora trovato un modo di cancellarle rapidamente. Questa è la ragione principale per cui così tanti studenti passano così tanto tempo a provare ad imparare a mani unite – unisco-no le mani prima di essere pronti e finiscono per provare ad acquisire la tecnica a mani unite. Si può iniziare il lavoro a mani unite in qual-siasi momento – solamente, nel farlo, non si provi a migliorare la tecni-ca. Lo studio a mani separate è fondamentalmente diverso: si possono modificare relativamente rapidamente diteggiatura e movimenti delle mani e si può aumentare la velocità con molti meno rischi di acquisire brutte abitudini. Non è però sufficiente arrivare solo alla velocità finale a mani separate, si deve poter suonare molto più velocemente prima di essere pronti a suonare a mani unite. Solo arrivando a tali velocità ele-vate ci si può garantire che tutte le posizioni ed i movimenti di di-ta/mano/braccio siano ottimizzati (altrimenti non si riuscirebbe ad arri-varci). Dopo aver fatto abbastanza lavoro di preparazione a mani se-parate si scoprirà che suonare a mani unite alla velocità finale è sor-prendentemente rapido e facile. Tutti i potenziali muri di velocità a mani unite sono stati effettivamente scalati evitando gli errori che li creano. Si può agevolare tutto ciò facendo qualche studio preliminare

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preciso a mani unite a bassa velocità, che può sempre essere fatto – an-che prima che la parte a mani separate sia pronta. La cosa importante qui è che si facciano solo degli esperimenti e non ci si abitui ai movi-menti a mani unite fin quando non si è sicuri di avere tutta la tecnica necessaria a mani separate. Ad esempio, la precisione degli accordi e dei salti si può sviluppare meglio a mani separate. Studiare volate ve-loci, accordi o salti a mani unite è minacciosamente difficile e non c’è bisogno di crearsi tali difficoltà.

Ecco allora un suggerimento di procedura per imparare a mani unite. Si supponga che la velocità finale sia 100. Prima si memorizzi e si im-pari a mani separate ad 80 o anche a 100 (tutto il pezzo, o una sezione grande di almeno diverse pagine; a questo punto non è necessario che sia perfetta), potrà richiedere due o tre giorni. Si inizi poi a mani unite tra 30 e 50. Gli obiettivi a mani unite sono: memorizzare e assicurarsi che diteggiatura, posizioni delle mani, ecc. funzionino. Tutto questo potrà richiedere un altro giorno o due. Sarà in generale necessario fare qualche modifica come quando le mani si scontrano o quando una de-ve passare sopra/sotto l’altra, eccetera. Si lavori successivamente a ma-ni separate sulle sezioni difficili fino a velocità oltre 100. Quando si riuscirà a suonare a proprio agio tra 120 e 150 si sarà pronti per inizia-re studiare seriamente a mani unite. La velocità di studio a mani unite deve essere variata; non appena ci si inizia a confondere, si ripulisca la confusione suonando a mani separate. In generale si alternerà tra mani unite e separate per giorni, se non settimane, con lo studio a mani unite che prende progressivamente il sopravvento. Nel migliorare a mani unite si mantenga sempre lo studio a mani separate ben al di sopra per-ché questo è il miglior modo.

Possiamo ora capire il motivo per cui alcuni studenti hanno problemi quando provano a imparare pezzi troppo difficili studiando principal-mente a mani unite. Il risultato è un pezzo non suonabile, pieno di stress, di muri di velocità e di brutte abitudini che bloccano completa-mente qualsiasi miglioramento perché i movimenti problematici sono radicati. Quando accade questo, nessuna quantità di studio sarà d’aiuto. Per contro, usando i metodi di questo libro non c’è niente di troppo difficile (ragionevolmente). Nonostante ciò, non è ugualmente una buona idea affrontare pezzi troppo al di sopra del proprio livello di abilità, a causa della tremenda quantità di studio a mani separate che sarebbe necessaria prima di poter iniziare lo studio a mani unite. Molte persone sarebbero impazienti e inizierebbero a mani unite o abbando-nerebbero le mani separate prematuramente finendo per procurarsi problemi in ogni caso.

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Ci sono molti vantaggi, oltre al risparmio di tempo e di problemi, nell’acquisire la tecnica a mani separate prima dello studio a mani uni-te: (1) si svilupperà l’indipendenza delle due mani, così necessaria per controllare l’espressività; (2) si scoprirà che il pezzo ha fondamenta molto più solide rispetto a quando si inizia a mani unite troppo presto e si sentirà di aver miglior controllo; (3) si potrà suonare più facilmente attraverso gli errori o nasconderli; (4) si memorizzerà molto meglio con meno vuoti di memoria; (5) la cosa migliore è che si acquisirà la tecnica che non si sarebbe potuta acquisire a mani unite, a mani separate si può acquisire quella tecnica che non si è mai immaginato poter svilup-pare suonando a mani unite perché si può suonare molto più veloce-mente, è questa tecnica in più che sviluppa le solide fondamenta neces-sarie a suonare sotto controllo a mani unite; (6) riuscendo a suonare con precisione a mani separate al 150% della velocità di esecuzione si scoprirà che il nervosismo durante l’esecuzione in pubblico sarà molto ridotto a causa della maggior sicurezza di poter gestire il pezzo. Di fat-to, usando questo metodo, si dovrebbe alla fine essere in grado di suo-nare il pezzo molto al di sopra della velocità di esecuzione, ciò di cui si ha bisogno per avere un controllo adeguato.

La maggior parte delle procedure di studio a mani unite è simile a quella dei metodi a mani separate (accorciare i passaggi difficili, la rego-la di continuità, le regole per suonare velocemente e lentamente, il ri-lassamento, ecc.) Sebbene quindi potrebbe sembrare siano state date poche regole per lo studio a mani unite rispetto alla sezione sullo studio a mani separate, se ne conoscono già molte. Non c’è bisogno di ripe-terle qui perché ne verrebbe subito riconosciuta l’applicabilità (se si è studiata con attenzione la sezione sullo studio a mani separate).

Procediamo ora con un esempio reale di come studiare a mani unite. Ho scelto un esempio non banale per illustrare i metodi dello studio a mani unite perché se il metodo funziona deve funzionare con tutto. L’esempio è la Fantaisie Impromptu di Chopin, Op. 66. È un buon e-sempio perché: (1) questa composizione piace a tutti, (2) può sembrare impossibile da imparare se non si hanno buoni metodi di studio, (3) l’euforia di essere improvvisamente in grado di suonarla è impareg-giabile, (4) le sfide di questo pezzo sono ideali a scopo illustrativo e (5) questo è il tipo di pezzi sui quali si lavorerebbe tutta la vita per po-terci fare “cose incredibili”, quindi si potrebbe benissimo partire ora! In realtà questo è un pezzo abbastanza facile da imparare! La maggior parte degli studenti in difficoltà non riesce a iniziare e questo ostacolo crea un blocco mentale che fa dubitare della propria capacità di suonar-lo. Non c’è miglior dimostrazione dell’efficacia dei metodi di questo

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libro che mostrare come si possa imparare facilmente questa composi-zione. Si veda la Sezione III.6 (Invenzioni di Bach) se si cercano pezzi in qualche modo più facili.

Iniziamo assicurandoci di aver fatto tutti i compiti preliminari a mani separate. Sebbene l’ultima pagina potrebbe essere la più difficile, in-frangeremo la regola di iniziare dalla fine e inizieremo dall’inizio perché questo pezzo è difficile da iniziare correttamente, ma una volta comin-ciato si ottiene una certa sicurezza. È necessario un inizio determinato e sicuro, inizieremo quindi con le prime due pagine, fino alla parte len-ta cantabile. Lo stiramento e l’esercizio continuo della sinistra rende la resistenza un problema primario. Chi non ha esperienza sufficiente e specialmente chi ha mani piccole potrebbe aver bisogno di lavorare alla sinistra per settimane prima che sia soddisfacente. Fortunatamente la parte della mano sinistra non è così veloce per cui la velocità non è un fattore limitante e la maggior parte degli studenti dovrebbe riuscire a suonarla a mani separate più velocemente della velocità finale comple-tamente rilassati, senza stancarsi, in meno di due settimane.

Alla misura 5, dove entra per la prima volta la destra, la diteggiatura suggerita per la sinistra è 532124542123. Si potrebbe iniziare il suo studio ciclandola di continuo finché non la si suona bene. Si veda la Sezione III.7E per come stirare la mano: quando si suona si dovrebbe stirare il palmo e non le dita perché farlo potrebbe portare a stress ed in-fortuni. Tutti noi sappiamo che si possono aprire le dita per allargare la presa, tuttavia, abbiamo un diverso insieme di muscoli nel palmo per poterlo estendere. Si impari ad usare indipendentemente questi due in-siemi di muscoli: i muscoli del palmo solo per allargarlo e le dita solo per suonare.

Si studi senza il pedale. All’inizio qualche misura, poi l’intera sezione (fino al cantabile), tutto a memoria ed a velocità a mani separate.

Si studi per segmenti brevi. Quelli suggeriti sono: misure 1-4, 5-6, prima metà della 7, seconda metà della 7, 8, 10 (si salti la 9 che è ugua-le alla 5), 11, 12, 13-14, 15-16, 19-20, 21-22, 30-32, 33-34, poi i due ac-cordi della 35. Se non si riesce a “prendere” il secondo accordo lo si suoni come un accordo arpeggiato veloce a salire, con l’accento sulla nota più alta. Dopo aver memorizzato ciascun segmento in modo sod-disfacente li si colleghino a coppie. Si suoni poi l’intera sinistra a me-moria iniziando dall’inizio ed aggiungendo i segmenti. La si porti a ve-locità finale.

Una volta riusciti a suonare l’intera sezione due volte di seguito (solo la sinistra) in maniera rilassata e senza sentirsi stanchi, si sarà raggiunta

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la resistenza necessaria. A questo punto è molto divertente andare mol-to più veloce della velocità finale. In preparazione al lavoro a mani unite, si porti a circa una volta e mezzo della velocità finale. Si sollevi leggermente il polso quando si suona con il mignolo e lo si abbassi quando si raggiunge il pollice. Si scoprirà che sollevando il polso si può mettere più forza nel mignolo ed abbassandolo si evita di mancare la nota del pollice. Le note del mignolo e del pollice (ma soprattutto del mignolo) sono le più importanti nella musica di Chopin, si suonino quindi con autorevolezza.

Quando ci si ritiene soddisfatti si inserisca il pedale: fondamentalmen-te deve essere tolto ad ogni cambio di accordo, questo accade di solito una o due volte a misura. Il pedale esegue un rapido movimento su e giù (“affetta il suono”) sul primo tempo, ma lo si può alzare prima per ottenere effetti speciali. Per l’ampio stiramento della sinistra nella se-conda metà della misura 14 (iniziando dal Mi2) la diteggiatura è 532124 se la si raggiunge con comodità, altrimenti si usi 521214. Qui si dovrebbe usare il metodo pollice sotto (si veda la Sezione III.5).

Contemporaneamente si deve aver studiato la destra, avendo cambia-to mano non appena quella con cui si stava lavorando si fosse sentita leggermente stanca. Le procedure sono praticamente identiche a quelle della sinistra, incluso lo studio iniziale senza il pedale. Si inizi suddivi-dendo la misura 5 in due parti e se ne impari ciascuna separatamente fino a velocità, poi si uniscano. Si usi il metodo pollice sopra, non quel-lo pollice sotto, per l’arpeggio ascendente nella misura 7 perché è trop-po veloce. Sebbene ora non lo si riesca a suonare un gran ché veloce-mente, lo si farà in un anno o due. La diteggiatura dovrebbe essere ta-le per cui entrambe le mani suonano assieme il mignolo ed il pollice: questo rende molto più facile suonare a mani unite. Per questo motivo non è una buona idea scherzare con la diteggiatura della sinistra – si usi la diteggiatura segnata sullo spartito.

Si studi ora a mani unite. Si può iniziare sia con la prima sia con la seconda metà della misura 5, dove la destra entra per la prima volta. La seconda metà è probabilmente più facile a causa del più piccolo sti-ramento della sinistra e dell’assenza di problemi di tempismo perché manca la prima nota della destra, iniziamo quindi con questa. Il modo più facile di imparare il tempo 3,4 è di farlo a velocità dall’inizio. Non si provi a rallentare per scoprire dove dovrebbe andare ogni nota, perché fare troppo così introdurrebbe delle discontinuità che potrebbero essere ostiche da eliminare più avanti. Usiamo qui il metodo della ci-clicità – si veda “Ciclicità” nella Sezione III.2 per ulteriori dettagli.

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Prima si ciclino di continuo le sei note della sinistra senza fermarsi (senza pedale), poi si cambi mano e si faccia lo stesso per le otto note della destra alla stessa velocità (finale). Si cicli successivamente diverse volte la sola sinistra e poi si unisca la destra. Inizialmente è solo neces-sario far corrispondere con precisione le note iniziali, non ci si preoccu-pi se le altre non sono così giuste. Dopo qualche tentativo si dovrebbe riuscire a suonare piuttosto bene a mani unite. Diversamente, ci si fermi e si ricominci tutto da capo ciclando a mani separate. Siccome quasi tutta la composizione è fatta di cose come il segmento che si è ap-pena studiato, ripaga studiarlo bene finché non ci si sente molto a pro-prio agio. Ottenuto questo, si cambi velocità. Si vada molto veloce-mente, poi molto lentamente. Nel rallentare si potrà notare dove cado-no tutte le note l’una rispetto all’altra. Si scoprirà che veloce non signi-fica necessariamente difficile e lento non è così facile. Ora si aggiunga il pedale: è il momento di sviluppare l’abitudine di pomparlo con preci-sione.

Si ripeta la stessa procedura per la prima metà della misura 5 una vol-ta soddisfatti della seconda. Si uniscano poi le due metà. Si è ora in possesso di tutti gli strumenti necessari per imparare da soli il resto di questa composizione! Dovrebbe essere chiaro, da questo esempio, che le metodologie generali per studiare a mani unite sono essenzialmente parallele a quelle per lo studio a mani separate. Il miglior modo di imparare lo studio a mani unite è quindi quello di imparare bene le re-gole dello studio a mani separate. Ripagherà considerevolmente riusci-re ad unire le mani a velocità finale piuttosto che lentamente all’inizio. Non è comunque una regola assoluta: in alcuni pezzi potrebbe essere meglio rallentare. Nell’esempio precedente è stato meglio iniziare lo studio a mani unite a velocità a causa del problema del tempo 3,4. Non è dannoso rallentare a mani unite, nella maggioranza dei casi, fin quando si riesce a suonare a mani separate a velocità. Un modo per esercitarsi ad iniziare lo studio a mani unite a velocità è provare com-posizioni semplici e spostarsi gradualmente verso le più complicate.

La sezione cantabile è giusto la stessa cosa ripetuta quattro volte, di conseguenza si impari (a memoria) prima la quarta ripetizione ed il re-sto sarà facile. Il modo più rapido di impararla è analizzare ed impara-re parzialmente prima l’inizio (la prima ripetizione) perché è la più semplice e facile. Come in molti pezzi di Chopin, memorizzare bene la sinistra è il modo più facile e rapido di dare delle solide fondamenta per memorizzare perché la sinistra ha di solito una struttura più sempli-ce, più facile da analizzare, memorizzare e suonare. Chopin infatti crea spesso diverse versioni della destra mentre ripete essenzialmente le

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stesse note nella sinistra. Si memorizzi quindi in dettaglio quest’ultima anche se è talmente facile da poterla leggere a prima vista a velocità.

Il trillo ed il tempo 2,3 della prima misura ne rendono difficile la se-conda metà. Si studi prima senza il trillo. Siccome ci sono quattro ri-petizioni si potrebbe suonare la prima senza il trillo, la seconda con un mordente inverso, la terza con un breve trillo e l’ultima con un trillo più lungo. Questo renderà più facile suonare piuttosto che provare ad eseguire il trillo tutte e quattro le volte.

La terza sezione è simile alla prima ed essere riusciti ad impararla si-gnifica quindi aver quasi finito. Si noti che nelle ultime circa venti mi-sure il mignolo ed il pollice della destra suonano fino alla fine le note di valore tematico principale. Questa sezione può richiedere un sacco di studio della destra a mani separate.

Il tempo 3,4 è un espediente matematico usato in questo pezzo da Chopin per creare l’illusione di iper-velocità. La spiegazione matemati-ca ed ulteriori punti salienti di questa composizione sono trattati sotto “Ciclare” nella Sezione III.2. La si studierà a mani separate probabil-mente per anni, dopo averla inizialmente completata, perché è così di-vertente sperimentare con questa affascinante composizione.

Quando si suona troppo spesso una qualunque composizione a piena velocità (o più velocemente) si può soffrire di quella che io chiamo “de-gradazione dal suonare rapido”. Si potrebbe scoprire, il giorno dopo, di non riuscire più a suonare così bene o di non riuscire ad avanzare durante lo studio. Questo accade principalmente suonando a mani uni-te. Suonare a mani separate è più immune a questo problema e, di fat-to, può essere usato per correggerlo. La degradazione avviene proba-bilmente perché il meccanismo umano che suona (mani, cervello, ecc.) a tali velocità si confonde. Accade perciò solo nelle procedure così complesse come suonare a mani unite pezzi tecnicamente o concettual-mente difficili. I pezzi facili non hanno problemi di degradazione. Questo effetto può procurare enormi problemi nella musica complicata come quella delle composizioni di Bach e di Mozart. Gli studenti che provano a velocizzarle a mani unite possono incontrare ogni sorta di problemi, la soluzione standard è perciò continuare semplicemente a studiare lentamente. C’è tuttavia una soluzione elegante a questo pro-blema: si aumenti la velocità studiando a mani separate!

Uno svantaggio dell’approccio mani separate/unite è che praticamente tutta l’acquisizione della tecnica si ottiene a mani separate portando po-tenzialmente ad una cattiva sincronizzazione quando si suona a mani unite. Si deve perciò essere consapevoli di questa possibilità e studiare

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a mani unite con l’obiettivo di raggiungere una sincronizzazione delle mani molto precisa.

II.26 - Riassunto Con questo si conclude la sezione base. Si ha ora l’essenziale per con-cepire procedure che permettano di imparare praticamente qualsiasi nuovo pezzo. Questo è l’insieme minimo di istruzioni di cui si ha biso-gno per incominciare. Si noti che la semplicità di ciascun argomento nasconde tuttavia le infinite possibilità che essi presentano. È impor-tante capire che ogni procedura può avere miriadi di usi, che è necessa-rio imparare continuamente queste nuove applicazioni quando le si in-contra e che si devono tenere gli occhi aperti alle nuove possibilità. Si prenda come esempio lo studio a mani separate: non è giusto un meto-do per imparare rapidamente, ma è uno strumento utile per esercitarsi duramente quanto si vuole senza rischiare di farsi male; per sostituire la memoria di mano con una memoria più stabile su cui poter dipende-re per recuperare dai vuoti di memoria; per aiutare ad analizzare una composizione ed i concetti sottostanti che la semplificano; per bilancia-re le mani in modo che una non sia più debole dell’altra; eccetera. Nel-la Sezione III esploreremo ulteriori usi dei passi elementari ed introdur-remo altre idee su come risolvere alcuni problemi comuni.

82 II - PROCEDURE ESSENZIALI PER STUDIARE PIANOFORTE

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III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO

DEL PIANOFORTE

III.1 - Il Tono, Il Ritmo e Lo Staccato

A) Cos’è Un Buon Tono? Il tono è la qualità del suono, è un giudizio soggettivo sull’insieme delle sue proprietà: se sia o meno adatto alla musica. C’è polemica sul fatto che un pianista possa controllare il “tono” di ogni nota del pianoforte. Se ci si sedesse al pianoforte e si suonasse una nota sembrerebbe prati-camente impossibile alterarne il tono, eccetto in cose come lo staccato, il legato, il forte, il piano, eccetera. Non ci sono dubbi, d’altra parte, che pianisti diversi producano toni diversi. Due pianisti possono suo-nare la stessa composizione sullo stesso pianoforte e produrre musica con qualità tonali molto diverse. Gran parte di questa apparente con-traddizione si può risolvere definendo attentamente il significato di “to-no”. Una grossa parte delle differenze tonali tra pianisti famosi può es-sere attribuita, ad esempio, al particolare pianoforte che usano ed al modo in cui questo è stato intonato o accordato. Controllare il tono di una singola nota è probabilmente un aspetto minore di una questione complessa e dalle molteplici sfaccettature. La distinzione più importan-

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te che dobbiamo fare all’inizio è tra considerare una singola nota o un gruppo di note. La maggior parte delle volte quando sentiamo toni di-versi stiamo ascoltando gruppi di note. In questo caso il tono è più fa-cile da spiegare: è principalmente prodotto dal controllo delle note l’una relativamente all’altra. Questo ci riporta quasi sempre a precisio-ne, controllo e contenuto musicale. Il tono è quindi fondamentalmente una proprietà di un gruppo di note e dipende dalla sensibilità musicale del pianista.

È anche tuttavia chiaro che possiamo controllare in molti modi il tono di una singola nota. Possiamo controllarlo con l’uso dei pedali del for-te e del piano ed anche cambiare il contenuto armonico (il numero di armoniche) suonando più forte o più piano. Questi metodi controllano il timbro e non c’è ragione per cui il timbro non debba essere parte del tono. Il pedale del piano cambia il timbro riducendo il suono immedia-to rispetto a quello a seguire. Quando una corda viene colpita con maggior forza vengono generate più armoniche. Quando suoniamo piano produciamo quindi un suono che contiene fondamentali più forti. Quando suoniamo forte con il pedale del piano abbassato sentiamo un suono a seguire con un contenuto armonico più alto. Il pedale del forte cambia anche il timbro aggiungendo le vibrazioni delle corde non colpi-te.

Il tono o il timbro possono essere controllati dall’accordatore lavoran-do sui martelli o accordando diversamente. Un martello più duro pro-duce un tono più squillante (contenuto armonico più ampio) e un mar-tello con un feltro piatto produce un suono più stridulo (più armoniche in alto). L’accordatore può cambiare la tensione o controllare la quan-tità di scordatura tra gli unisoni. Fino ad un certo punto, tensioni maggiori tendono a produrre musica più brillante e tensioni insufficien-ti possono far ottenere un pianoforte con suoni poco eccitanti. Quando vengono stonate all’interno della gamma delle frequenze vibrazionali simpatetiche, tutte le corde di una nota saranno perfettamente accorda-te (vibreranno alla stessa frequenza), ma interagiranno diversamente l’una con l’altra. La nota può, ad esempio, essere fatta “cantare” e que-sto potrebbe corrispondere ad un suono a seguire oscillante. Si noti che l’importanza del suono a seguire viene spesso esagerata perché il suono immediato dura fin oltre diversi secondi e la maggior parte delle note non viene tenuta così tanto. Gran parte della qualità “canora” del suono di molti buoni pianoforti deve quindi essere attribuita al suono sostenuto, al tono ed al timbro e non al suono a seguire.

84 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Arriviamo infine a questa difficile domanda: è possibile variare il tono di una singola nota controllando la discesa del tasto? Molti degli ar-gomenti a favore del controllo del tono si incentrano sulle proprietà del volo libero del martello prima di colpire la corda. I contrari (al control-lo del tono di note singole) sostengono che siccome il martello è in volo libero, solo la sua velocità ha importanza e quindi il tono non si può controllare per note suonate con una certa forza. L’assunto di volo li-bero non è però mai stato dimostrato, come ora vedremo. Uno dei fat-tori che influiscono sul tono è la flessione dello stiletto (o manico del martello). Il manico si può flettere in modo significativo, per una nota forte, quando il martello viene lanciato in volo libero; in questo caso quando colpisce la corda può avere una massa effettiva più grande del-la sua massa originaria. Questo perché la forza F del martello sulla corda è data da F = Ma dove M è la massa del martello e a è la sua ac-celerazione all’impatto con la corda. Una flessione positiva aggiunge ulteriore forza perché quando la flessione viene recuperata, dopo che lo spingitore è stato rilasciato, il martello viene spinto in avanti; quando F aumenta non ha importanza se ad aumentare sia M oppure a: l’effetto è lo stesso. Tuttavia a è più difficile da misurare di M (si può, ad esem-pio, simulare facilmente una M più grande usando un martello più pe-sante) quindi di solito, in questi casi, per rendere più facile visualizzare l’effetto di come risponde la corda ad una F più grande diciamo che la “massa efficace” è aumentata. In realtà, tuttavia, una flessione positiva fa aumentare a. In una nota suonata staccato, la flessione potrebbe es-sere negativa nel momento in cui il martello colpisce la corda: a questo punto la differenza di tono tra suonare staccato “profondo” e staccato potrebbe essere notevole. Questi cambiamenti della massa efficace modificano di sicuro la distribuzione delle armoniche e influenzano il tono che sentiamo. Siccome lo stiletto del martello non è rigido al 100% sappiamo che c’è sempre una flessione finita. La sola domanda è se questa sia sufficiente ad influenzare il tono che ascoltiamo. Quasi certamente lo è. Se questo fosse vero allora il tono delle note più basse, con martelli più pesanti, dovrebbe essere più controllabile perché questi provocherebbero una flessone maggiore. Sebbene ci si possa aspettare che la flessione sia trascurabile, perché il martello è talmente leggero, il rullino del martello è molto vicino al foro del perno meccanica e fa una leva enorme. La tesi che il martello sia troppo leggero per flettersi non regge perché esso è sufficientemente massiccio da tenere tutta l’energia cinetica richiesta per produrre i suoni più forti. Si tratta di un sacco di energia!

III.1 - IL TONO, IL RITMO E LO STACCATO 85

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Si noti che lo scappamento del martello è solo di qualche millimetro e questa distanza è estremamente critica per il tono. Uno scappamento così piccolo suggerisce che il martello sia progettato per essere in acce-lerazione quando colpisce la corda. Il martello non è in volo libero do-po il rilascio dello spingitore perché, per i primi millimetri, viene acce-lerato dal recupero della flessione dello stiletto. Lo scappamento è la più piccola distanza controllabile che possa mantenere l’accelerazione senza nessuna possibilità di bloccare il martello sulla corda perché lo spingitore non rilascerebbe. La flessione spiega quattro fatti altrimenti misteriosi: (1) la tremenda energia che un martello così leggero può tra-sferire alle corde, (2) la diminuzione di qualità tonale (o controllo) quando lo scappamento è troppo grande, (3) la dipendenza critica del suono prodotto e del controllo del tono dal peso e dalla dimensione del martello e (4) lo schioccare che il pianoforte produce quando la guarni-zione del foro del manico del martello si deteriora. Lo schiocco è il suono della guarnizione che scatta indietro quando lo spingitore rilascia ed interviene la flessione dello stiletto – senza il rilascio della flessione la guarnizione non scatterebbe indietro; senza flessione, quindi, non ci sarebbe schiocco. Siccome lo schioccare si può sentire anche con suoni moderatamente leggeri lo stiletto si flette per tutti i suoni tranne i più delicati.

Questo scenario ha anche importanti implicazioni per il pianista: si-gnifica poter controllare il tono di una singola nota. Ci dice anche co-me controllarlo. Prima di tutto per suoni ppp c’è una flessione trascu-rabile ed abbiamo a che fare con toni diversi da quelli dei suoni forti. I pianisti sanno che per suonare pp si preme con velocità costante – si noti come questo minimizzi la flessione perché non c’è accelerazione al rilascio. Quando si suona pianissimo lo si deve fare per poter minimiz-zare la massa efficace del martello. Secondo, per ottenere la massima flessione la discesa del tasto deve accelerare verso la fine. Questo ha molto senso: il “tono profondo” viene prodotto inclinandosi verso il pianoforte e premendo con decisione, anche nei suoni delicati. È esat-tamente il modo di massimizzare la flessione, equivalente ad usare mar-telli più grandi (massa efficace più grande, si veda sopra). Questa in-formazione è anche critica per il tecnico del pianoforte, significa che la dimensione ottimale del martello è quella abbastanza piccola da rendere nulla la flessione attorno al pp, ma abbastanza grande da avere una flessione significativa attorno al mf. È una trovata meccanica molto furba che permette di usare martelli relativamente piccoli per ottenere ripetizioni rapide, ma che, nonostante ciò, possano trasmettere la mas-sima quantità di energia alle corde. Significa che usare martelli più

86 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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grandi per produrre più suono è un errore perché si perderebbe in ve-locità di ripetizione ed in controllo del tono. Si può ora spiegare lo schioccare delle guarnizioni usurate: durante la discesa del tasto il per-no viene premuto contro il fondo del buco allargato della guarnizione, al rilascio il recupero della flessione fa schioccare in giù la guarnizione facendo colpire il perno contro la cima del buco e producendo il fami-liare suono.

È possibile, suonando una singola nota, udire al pianoforte una diffe-renza di tono? Di solito no, la maggior parte delle persone non è abba-stanza sensibile da poter sentire questa differenza nella maggior parte dei pianoforti. Su uno Steinway B, o su un pianoforte migliore, si ini-zierà a sentire la differenza (se si prova su diversi pianoforti di qualità progressivamente migliore) nelle note basse. Il tono è più importante nelle note basse perché contengono più armoniche di quelle alte ed i martelli sono più pesanti. Quando viene suonata della vera musica l’o-recchio umano è incredibilmente sensibile a come i martelli colpiscono le corde e queste differenze di tono si possono sentire facilmente anche nei pianoforti di minor qualità rispetto allo Steinway B. In modo ana-logo nell’accordatura: la maggior parte delle persone (inclusi i pianisti) sarà in difficoltà nel sentire la differenza tra una super accordatura ed una accordatura normale suonando note singole o anche provando de-gli intervalli. Tuttavia praticamente qualsiasi pianista può sentire la differenza suonando un pezzo della sua musica preferita. Lo si può dimostrare da sé: si suoni un pezzo facile due volte in modo identico tranne che per il tocco: si suoni prima con il peso del braccio e “pre-mendo in profondità” nel pianoforte ed assicurandosi che la discesa del tasto acceleri sempre fino in fondo; si confronti poi con la musica di quando si preme poco in profondità in modo da premere fino in fondo, ma senza accelerazione alla fine. Potrebbe essere necessario esercitarsi un pochino per essere sicuri che la prima volta non sia più forte della seconda. Si dovrebbe sentire una qualità inferiore di tono nel secondo modo di suonare. Questa differenza può essere piuttosto grande nelle mani dei grandi pianisti. Abbiamo detto prima che il tono è controllato molto di più quando si suonano note consecutive, perciò suonare musi-ca per controllare l’effetto delle note singole non è certamente il modo migliore. È tuttavia la verifica più ragionevole.

Riassumendo, il tono è principalmente il risultato di uniformità e con-trollo nel suonare e dipende dalla sensibilità musicale di chi suona. Il controllo del tono è una questione molto complessa che comprende qua-lunque aspetto modifichi la natura del suono ed abbiamo visto che ci sono molti modi di cambiare il suono del pianoforte. Tutto comincia

III.1 - IL TONO, IL RITMO E LO STACCATO 87

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con come viene intonato il pianoforte. Ciascun pianista può controlla-re il tono in molti modi: suonando forte, piano o variando la velocità. Suonando più forte e più velocemente possiamo, ad esempio, produrre musica che consiste principalmente in suoni immediati. Ci sono poi gli innumerevoli modi di inserire il pedale nell’esecuzione. Abbiamo visto che si può controllare il tono di una singola nota perché lo stiletto si flette. C’è un po’ da meravigliarsi che, per quanto ne sappia, non ci sia stato uno studio definitivo sul controllo del tono essendo l’argomento così complesso.

B) Cos’è Il Ritmo? Il ritmo è l’infrastruttura (ripetitiva) del tempismo della musica. Quando si legge del ritmo (si veda Whiteside) esso sembra un aspetto misterioso della musica che solo i “talenti nati” sono in grado di espri-mere o che forse sia necessario esercitarlo tutta la vita come i batteristi. Più spesso, invece, il ritmo giusto è semplicemente una questione di contare con precisione e di leggere correttamente la musica, specialmen-te le indicazioni di tempo. Non è così facile come sembra: le difficoltà spesso sorgono perché la maggior parte delle indicazioni sul ritmo non vengono scritte esplicitamente in ogni punto dello spartito, ma è una delle cose che appaiono solo una volta all’inizio (ci sono troppe di que-ste “cose” per elencarle qui, come ad esempio le differenze tra walzer e mazurca). In molti casi la musica viene di fatto creata manipolando queste variazioni ritmiche in modo che il ritmo sia uno degli elementi più importanti. In breve, gran parte delle difficoltà ritmiche nasce dal non leggere la musica correttamente. Accade spesso quando si cerca di leggere a mani unite: ci sono semplicemente troppe informazioni da e-laborare ed il cervello non può pensare anche al ritmo, specialmente se la musica richiede abilità tecnica. Quell’errore di lettura iniziale diven-ta poi parte della musica che si studia.

Se il ritmo è così importante, quale guida si deve seguire per poterlo sviluppare? Ovviamente si deve trattare il ritmo come un argomento di studio separato, per iniziare è quindi necessario un programma specia-le. Durante lo studio iniziale di un pezzo, quindi, si riservi un po’ di tempo per lavorare sul ritmo. Un metronomo, specialmente uno con caratteristiche avanzate, può essere d’aiuto nel farlo. Si deve prima controllare due volte che il proprio ritmo sia coerente con l’indicazione di tempo. Questo non può essere fatto mentalmente neanche dopo che si riuscirà a suonare il pezzo – si deve rivedere lo spartito e controllare ogni nota. Troppi studenti suonano un pezzo in un certo modo sem-plicemente “perché suona bene”: non si può fare così. Si deve control-

88 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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lare sullo spartito che ciascuna nota abbia l’accento giusto ed attenersi rigorosamente all’indicazione di tempo. Solo allora si potrà decidere quale interpretazione ritmica è la migliore per suonare e dove il compo-sitore ha inserito violazioni alle regole fondamentali (molto raro); più spesso il ritmo dato dall’indicazione di tempo è strettamente corretto, ma suona contro-intuitivo. Un esempio di questo è il misterioso “ar-peggio” all’inizio della Appassionata di Beethoven, Op. 57. Un arpeg-gio normale (come Do Mi Sol) inizierebbe con la prima nota accentata (Do, in battere). Beethoven, tuttavia, inizia ogni misura con la terza nota dell’arpeggio (la prima misura è incompleta e contiene le prime due note dell’“arpeggio”); questo forza ad accentare la terza nota, non la prima, se si segue l’indicazione di tempo correttamente. Quando viene introdotto il tema principale nella misura 35, scopriamo il motivo di questo strano “arpeggio”: è semplicemente una forma invertita e schematizzata (semplificata) del tema. Beethoven ci ha preparati psico-logicamente al tema dandoci solo il ritmo! È questo il motivo per cui lo ripete dopo averlo alzato di un curioso intervallo – ha semplicemente voluto essere sicuro che riconoscessimo l’insolito ritmo. Un altro e-sempio è nella Fantaisie Impromptu di Chopin: la prima nota della de-stra (misura 5) deve essere più delicata della seconda, si riesce a trovare almeno un perché? Sebbene questo pezzo sia in tempo doppio, potreb-be essere istruttivo studiare la destra come un 4/4 per assicurarsi che non vengano enfatizzate la note sbagliate.

Quando si inizia a mani separate si controlli attentamente il ritmo. Lo si controlli di nuovo quando si inizia a mani unite. Se il ritmo è sbagliato di solito la musica diventa impossibile da suonare a velocità. Quando si hanno difficoltà insolite nell’arrivare a velocità è quindi una buona idea controllare il ritmo. Di fatto l’interpretazione sbaglia-ta del ritmo è una delle ragioni più comuni dei muri di velocità e del perché si hanno problemi a mani unite. Se si commettono errori ritmici nessuna quantità di studio permetterà di arrivare a velocità. Questa è una delle ragioni per cui il delineare funziona: semplifica il compito di leggere correttamente il ritmo, quando si delinea ci si concentri sul rit-mo. Inoltre, quando si comincia a mani unite per la prima volta, si po-trebbe avere più successo esagerando il ritmo. Il ritmo è un’altra ra-gione per cui non si dovrebbero provare pezzi troppo difficili. Se non si ha la tecnica sufficiente non si riuscirà a controllarlo e la mancanza di tecnica imporrà un ritmo sbagliato creando perciò un muro di velocità.

Si vada poi in cerca dei segni speciali per il ritmo come sf o i segni di accento. Infine ci sono situazioni in cui la musica è priva di indicazioni e si deve semplicemente sapere cosa fare o ascoltare una registrazione

III.1 - IL TONO, IL RITMO E LO STACCATO 89

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per cogliere speciali variazioni ritmiche. Si dovrebbe quindi, come par-te della seduta di studio, sperimentare con il ritmo (accentando note impreviste, ecc.) per vedere cosa succede.

Il ritmo è anche intimamente associato alla velocità, per questo è ne-cessario suonare gran parte delle composizioni di Beethoven oltre una certa velocità altrimenti si possono perdere i movimenti associati al rit-mo ed alle linee melodiche. Beethoven era un maestro del ritmo, non lo si può suonare con successo senza prestarci particolare attenzione. Lui di solito fornisce almeno due cose simultaneamente: (1) una melodia facile da seguire che il pubblico ascolta, (2) un congegno ritmi-co che controlla quello che il pubblico sente. Nel primo movimento del-la sua Patetica, Op. 13, il tremolo agitato della sinistra controlla le e-mozioni mentre il pubblico si preoccupa di ascoltare la curiosa destra. La semplice abilità tecnica di gestire il veloce tremolo della sinistra non è quindi sufficiente – è necessario saperne controllare il contenuto emo-tivo. Una volta capito ed imparato ad eseguire il concetto ritmico, di-venta molto più facile tirar fuori il contenuto musicale dell’intero mo-vimento ed il crudo contrasto con la sezione Grave diventa ovvio.

C’è una classe di difficoltà ritmiche risolvibili con un semplice trucco: è quella dei ritmi complessi con note mancanti. Un buon esempio si può trovare nel secondo movimento della Patetica di Beethoven. L’indicazione di tempo 2/4 è facile da suonare nelle misure dalla 17 alla 21 a causa degli accordi ripetuti della sinistra (che mantengono il rit-mo). Tuttavia, nella misura 22 mancano le note più importanti ed ac-centate e questo rende difficile imparare la destra che è in qualche mo-do complicata. La soluzione a questo problema è semplicemente riem-pire le note mancanti della sinistra! In questo modo si potrà studiare facilmente il ritmo giusto della destra.

Riassumendo, il “segreto” di un grande ritmo non è un segreto – co-mincia con il contare correttamente (il che, devo sottolineare di nuovo, non è facile). Per i pianisti di livello avanzato è sicuramente molto di più: è magia, è ciò che distingue i grandi dai dilettanti. Non è il solo contare gli accenti di ogni misura, ma come queste sono collegate per creare l’idea musicale che va sviluppandosi. Ad esempio, nel Chiaro di Luna di Beethoven, Op. 27, l’inizio del terzo movimento è fondamen-talmente il primo movimento suonato a velocità folle. Saperlo ci dice come suonare il primo movimento perché significa che le terzine devo-no essere collegate in modo tale da portare al culmine con le tre note ripetute. Se si suonassero semplicemente le note ripetute indipenden-temente dalle terzine precedenti il loro vero impatto andrebbe perso. Il

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ritmo è anche quell’accento strano ed inaspettato che il nostro cervello riconosce in qualche modo come speciale. Il ritmo è chiaramente un elemento critico della musica al quale dobbiamo prestare un’attenzione speciale.

C) Lo Staccato Lo staccato è definito come il modo di suonare in cui il dito viene rapi-damente fatto rimbalzare via dal tasto in modo da produrre un breve suono senza sostenimento. È in qualche modo sbalorditivo come la maggior parte dei libri sull’imparare il pianoforte parli di staccato senza mai definirlo! Questo paragrafo ne dà una definizione abbastanza completa. Suonando staccato il paramartello non viene coinvolto e gli smorzatori silenziano il suono immediatamente dopo che la nota viene suonata. Ci sono due notazioni per lo staccato: quello normale (punti-no) e quello duro (triangolo). Nello staccato normale lo spingitore vie-ne di solito rilasciato, in quello duro il dito del pianista si sposta giù e su più velocemente e generalmente lascia il tasto prima. Nello staccato normale, quindi, la discesa del tasto può essere a circa metà corsa, ma in quello duro è di solito meno della metà. In questo modo lo smorza-tore ritorna sulla corda più velocemente ottenendo una nota di durata minore. Siccome il paramartello non viene coinvolto il martello può “rimbalzare” rendendo complicate le ripetizioni ad una certa velocità. Se quindi si dovessero avere problemi negli staccato ripetuti rapida-mente non se ne prenda subito la colpa – potrebbe essere proprio la frequenza alla quale il martello rimbalza nel modo sbagliato. Cam-biando velocità, quantità di discesa del tasto, ecc. si potrebbe riuscire ad eliminare il problema. Per poter suonare bene lo staccato è chiara-mente utile sapere come funziona il pianoforte.

Lo staccato si divide generalmente in tre tipi a seconda di come viene suonato: (1) di dito, (2) di polso, (3) di braccio. Il tipo 1 viene suonato principalmente tenendo la mano ed il braccio fermi con il dito che ese-gue un movimento di trazione; il tipo 2 è neutro (né trazione né spinta) e viene suonato principalmente con il polso; il tipo 3 viene di solito suonato meglio con una spinta in cui l’atto di suonare ha origine nel braccio. Nel passare da 1 a 3 si aggiunge più massa alle dita: quindi 1 fornisce lo staccato più leggero ed è utile per note singole e delicate, 3 fornisce la sensazione più pesante ed è utile nei passaggi forte e negli accordi con molte note e 2 è una via di mezzo. In pratica la maggior parte di noi usa una combinazione di tutti i tre. Alcuni insegnanti non approvano l’uso dello staccato di polso preferendo principalmente lo staccato di braccio; è tuttavia probabilmente meglio avere una scelta tra

III.1 - IL TONO, IL RITMO E LO STACCATO 91

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i tre. Si potrebbe ad esempio riuscire a diminuire la stanchezza cam-biando da uno all’altro.

Siccome per lo staccato non si può usare il peso del braccio, il miglior riferimento è proprio il corpo fermo. Il corpo gioca perciò un ruolo importante nel suonare staccato. La velocità delle ripetizioni in stacca-to è controllata dalla quantità di movimento in su e in giù: più breve il movimento più alto il tasso di ripetizione.

III.2 - Ciclare (Fantaisie Impromptu di Chopin) Ciclare è la migliore procedura per sviluppare la tecnica di cose come i passaggi nuovi o veloci che non si riescono a gestire. Ciclare consiste nel prendere un segmento e suonarlo ripetutamente, di solito di conti-nuo e senza interruzioni. Se la congiunzione necessaria per ciclare di continuo coincide con la prima nota del segmento, questo cicla natu-ralmente ed è detto segmento auto-ciclico. Un esempio è la quartina Do Sol Mi Sol. Quando la congiunzione è diversa diventa necessario inventarne una che porti alla prima nota in modo da poter ciclare senza interruzioni.

Ciclare è fondamentalmente ripetizione pura, ma è importante che venga usato come procedura praticamente anti-ripetitiva, un modo di evitare le ripetizioni meccaniche. L’idea dietro al ciclare è che si acqui-sisce la tecnica così velocemente da eliminarle. Per evitare di acquisire brutte abitudini si cambi velocità e si sperimentino diverse posizioni di mano/braccio/dita in modo da suonare in maniera ottimale e di lavora-re sempre in cerca del rilassamento. Non si provi a ciclare la stessa i-dentica cosa troppe volte. Si suoni piano (anche le sezioni forte) finché non si raggiunge la tecnica, si porti poi ad una velocità almeno il 20% più alta di quella finale e, se possibile, anche fino a due volte più velo-ce. Oltre il 90% del tempo dedicato al ciclare dovrebbe essere ad una velocità che si riesce a mantenere con agio e precisione. Si cicli poi ral-lentando gradualmente verso velocità molto basse. Si avrà finito quan-do si saprà suonare a qualsiasi velocità per qualsiasi durata di tempo, senza guardare la mano, completamente rilassati e sotto pieno control-lo. Si scoprirà che certe velocità intermedie danno problemi: si studino queste perché potrebbero servire quando si comincia a mani unite. Ci si assicuri di riuscire a ciclare i segmenti con accordi o salti senza guar-dare la mano. Si studi senza il pedale finché non si acquisisce la tecnica (in parte per evitare la brutta abitudine di non premere fino in fondo). Si scambino spesso le mani per evitare infortuni.

92 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Se una tecnica richiede diecimila ripetizioni (tipico nel materiale molto difficile), ciclare permette di farlo nel minor tempo possibile. Tempi di ripetizione rappresentativi sono di circa un secondo, quindi diecimila cicli equivale a meno di quattro ore. Se si cicla questo segmento per dieci minuti al giorno cinque giorni la settimana, ci vorrà quasi un me-se per effettuare diecimila cicli. Il materiale molto difficile richiederà chiaramente mesi per essere imparato usando i metodi migliori e molto di più se si usano metodi meno efficienti.

Ciclare è la procedura di studio potenzialmente più lesiva, quindi per favore si stia attenti. Non si esageri il primo giorno e si guardi cosa ac-cade il giorno seguente. Se il giorno dopo non fa male niente si può continuare o aumentare l’allenamento a ciclare. Soprattutto, ogni volta che si cicla si lavori su due passaggi alla volta: uno per la destra e un altro per la sinistra, in modo da poter cambiare mano spesso. Ciclare troppo potrebbe provocare dolore ai più giovani, in questo caso si smetta e la mano dovrebbe recuperare in qualche giorno; nei più vecchi le infiammazioni osteo-artritiche possono impiegare mesi a calmarsi.

Applichiamo il ciclare alla Fantaisie Impromptu di Chopin nell’arpeg-gio della sinistra, misura 5. Le prime sei note ciclano da sole e si po-trebbero quindi provare. Quando le provai per la prima volta lo stira-mento fu eccessivo per la mia piccola mano e perciò mi stancai troppo rapidamente. Quello che feci fu di ciclare le prime dodici note. Le sei note successive permisero alle mani di riposare un po’ e quindi di cicla-re il segmento di dodici note più a lungo e ad una velocità più alta. Certamente se si vuole aumentare veramente la velocità (non necessa-riamente della sinistra, potrebbe essere utile anche per la destra in que-sto pezzo) si cicli solo il primo insieme parallelo (le prime tre o quattro note della sinistra).

Il solo riuscire a suonare il primo segmento non significa che si sap-piano ora suonare tutti gli altri arpeggi. Sarà necessario partire prati-camente da zero, anche per le stesse note un’ottava sotto. Indubbia-mente il secondo arpeggio sarà più facile dopo aver raggiunto la pa-dronanza del primo, ma ci si potrebbe sorprendere di quanto lavoro sia necessario ripetere anche per un piccolo cambiamento. Ciò avviene perché ci sono talmente tanti muscoli nel corpo che il cervello può sce-glierne diversi insiemi per produrre movimenti che sono solo legger-mente diversi (e di solito lo fa). Diversamente da un robot, si ha poca scelta riguardo a quali muscoli il cervello sceglierà. Solo quando sa-ranno stati fatti un gran numero di arpeggi simili quello successivo ver-rà facilmente. Ci si deve pertanto aspettare di doverne ciclare diversi.

III.2 - CICLARE (FANTAISIE IMPROMPTU DI CHOPIN) 93

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Analizzare le basi matematiche della tempistica a 3 su quella a 4 è uti-le per poter capire come suonare questo pezzo di Chopin. La destra suona molto velocemente, diciamo quattro note in mezzo secondo (all’incirca). Simultaneamente la sinistra suona ad un ritmo minore, tre note per mezzo secondo. Quando tutte le note vengono suonate con molta precisione il pubblico sente una frequenza equivalente di dodici note al secondo perché questa corrisponde al più piccolo intervallo di tempo tra le note. Vale a dire, se la destra suona più velocemente pos-sibile allora aggiungendo qualcosa suonato più lentamente Chopin è riuscito ad accelerare il pezzo a tre volte la velocità massima!

Un attimo però: non sono presenti tutte le dodici note, ce ne sono in realtà solo sette, quindi ne mancano cinque. Queste note mancanti creano quello che è detto un “motivo Moiré”: un terzo motivo che e-merge quando vengono sovrapposti due motivi non confrontabili. Questo motivo crea un effetto onda in ciascuna misura e Chopin lo ha rinforzato usando un arpeggio della sinistra che sale e scende come un’onda sincronizzata con il motivo Moiré. L’accelerazione di un fatto-re tre ed il motivo Moiré sono effetti misteriosi che colgono il pubblico di sorpresa perché non ha idea di cosa li produca o che addirittura esi-stano. I meccanismi che toccano il pubblico senza che esso se ne ac-corga producono spesso, rispetto a quelli ovvi (come il forte, il legato o il rubato), effetti più drammatici. Questi grandi compositori hanno in-ventato un numero incredibile di questi meccanismi nascosti e l’analisi matematica è spesso il modo più facile di scoprirli. Chopin probabil-mente non ha mai pensato in termini di insiemi non paragonabili e di motivi Moiré, ha solo capito istintivamente questi concetti grazie al suo genio.

È istruttivo speculare sulla ragione della mancanza della prima nota nella misura 5 della destra perché se riuscissimo a decifrarne la ragione sapremmo esattamente come suonarla. Si noti che questo accade pro-prio all’inizio della melodia. All’inizio di una melodia o di una frase musicale i compositori si trovano davanti a due esigenze in contraddi-zione: una è quella per cui qualsiasi frase dovrebbe (in generale) inizia-re piano e l’altra è quella per cui la prima nota di una misura è in batte-re e dovrebbe essere accentata. Il compositore può soddisfare elegan-temente entrambi i requisiti eliminando la prima nota: preserva il ritmo e inizia piano (in questo caso nessun suono)! Non si avranno problemi a trovare numerosi esempi di questo espediente – si vedano le Inven-zioni di Bach. Un altro stratagemma è iniziare la frase alla fine di una misura parziale in modo che il primo battere della prima misura com-pleta arrivi dopo che sia stata suonata qualche nota (un classico esem-

94 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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pio di questo è l’inizio del primo movimento dell’Appassionata di Bee-thoven). Ciò significa che la prima nota della destra, in questa misura della Fantasie Impromptu di Chopin, deve essere debole e la seconda più forte, in modo da preservare rigorosamente il ritmo (un altro e-sempio dell’importanza del ritmo!) Non siamo abituati a suonare in questo modo: normalmente si suona iniziando con la prima nota in bat-tere. In questo caso è particolarmente difficile per via della velocità e questo inizio potrebbe quindi richiedere dello studio aggiuntivo.

Questa composizione inizia attirando gradualmente gli ascoltatori nel suo ritmo, come un invito irresistibile, dopo aver richiamato l’atten-zione con la forte ottava della prima misura seguita dall’arpeggio ritmi-co del pentagramma inferiore. La nota mancante nella misura 5 viene ripristinata dopo diverse ripetizioni raddoppiando così la frequenza di ripetizione Moiré ed il ritmo effettivo. Nel secondo tema (misura 13) la melodia fluente della destra viene sostituita da due accordi arpeggiati dando quindi l’impressione di quadruplicare il ritmo. Questa “accele-razione ritmica” ha il culmine nel decisivo forte delle misure 19-20. Viene poi dato respiro al pubblico con un “alleggerimento” del ritmo creato dalla nota melodica ritardata della destra (mignolo) e dalla sua graduale dissolvenza ottenuta con il diminuendo fino al pp. L’intero ciclo viene poi ripetuto, questa volta aggiungendo elementi che alzano il climax finché non finisce nei fragorosi accordi arpeggiati discendenti. Per studiare questa parte ciascun accordo arpeggiato deve essere ciclato individualmente. Questi accordi non hanno la struttura 3,4 e ci tirano fuori dal suo misterioso mondo preparandoci alla sezione lenta.

Come nella maggior parte delle composizioni di Chopin, non c’è un tempo “giusto” per questo pezzo. Tuttavia, se si suona più velocemen-te di circa due secondi a misura, l’effetto moltiplicazione 3x4 tende a scomparire e di solito rimane sostanzialmente l’effetto Moiré ed altri. Tutto ciò è dovuto in parte alla diminuzione della precisione all’aumen-tare della velocità, ma in modo molto più rilevante al fatto che la velo-cità 12x diventa troppo alta per l’orecchio. Sopra a circa 18 Hz le ripe-tizioni iniziano ad avere, per l’orecchio umano, le proprietà del suono; a 2 secondi/misura il tasso di ripetizione è di 12 Hz. Il trucco della moltiplicazione funziona solo fino ad una certa velocità e sopra di essa si ottengono effetti diversi che potrebbero essere anche più speciali del-la semplice velocità. È curioso come Chopin ne scelse una vicina al massimo delle possibilità dell’orecchio umano, quasi come se sapesse che accade qualcosa di speciale al di sopra di questa velocità di transi-zione. È piuttosto possibile che Chopin lo abbia suonato a velocità maggiore, poteva essere abbastanza abile da suonare più veloce della

III.2 - CICLARE (FANTAISIE IMPROMPTU DI CHOPIN) 95

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transizione in cui la “velocità” si trasforma in un nuovo magico “suo-no”.

La sezione lenta centrale è stata descritta brevemente nella Sezione II.25. Il modo più veloce di impararla, come molti pezzi di Chopin, è di iniziare a memorizzare la sinistra. Questo perché la progressione de-gli accordi rimane spesso la stessa, anche quando Chopin sostituisce la destra con una melodia completamente nuova, perché la sinistra forni-sce essenzialmente gli accordi di accompagnamento. Si noti che il tem-po 4,3 è ora sostituito da un 2,3 suonato molto più lentamente. Viene usato per un effetto diverso: alleggerisce la musica e permette un tempo rubato più libero.

La terza parte è simile alla prima tranne nel finale (difficile per mani piccole) che può richiedere un lavoro di ciclaggio aggiuntivo per la de-stra. In questa sezione il mignolo della destra porta la melodia, ma la linea melodica è arricchita dalla nota di risposta in ottava del pollice. Il pezzo termina con una riaffermazione nostalgica del tema della sinistra del movimento lento. Si faccia notare chiaramente la nota più alta di questa melodia della sinistra (Sol# – misura 7 dalla fine) dalla stessa nota suonata con la destra tenendola leggermente più a lungo e soste-nendola poi con il pedale.

Il Sol# è la nota più importante di questo pezzo. L’ottava iniziale Sol# sf non è quindi solo un’introduzione fanfaresca al pezzo, ma un modo furbo di Chopin di impiantare il Sol# nella mente dell’ascolta-tore. Non la si affretti quindi: si prenda il proprio tempo e la si faccia penetrare. Sfogliando questo pezzo si vedrà che il Sol# occupa tutte le posizioni importanti. Nella sezione lenta il Sol# è un Lab, la stessa no-ta. Questo Sol# è un altro di quegli stratagemmi con i quali i grandi compositori fanno colpo sul pubblico con poco, ma senza che esso ab-bia idea di cosa lo ha colpito. La conoscenza del Sol# è utile al pianista per interpretare e memorizzare il pezzo. Il climax concettuale arriva quindi alla fine (come dovrebbe) quando entrambe le mani devono suonare lo stesso Sol# (misure 8 e 7 dalla fine); questo Sol# della de-stra e della sinistra deve perciò essere eseguito con la più completa at-tenzione mentre si mantiene l’ottava Sol# della destra in dissolvenza.

La nostra analisi porta a focalizzarci sulla questione di quanto velo-cemente vada suonato questo pezzo. È necessaria un’alta precisione per ottenere l’effetto delle dodici note. Se si sta imparando per la prima volta la frequenza di queste note potrebbe non essere udibile all’inizio a causa della mancanza di precisione. Quando alla fine “la si ha” la mu-sica improvvisamente sembrerà molto attiva. Suonando troppo veloce

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e diminuendo la precisione si può perdere quel fattore tre – semplicemente scompare ed il pubblico sente solo quattro note. I principianti possono far sembrare questo pezzo più veloce rallentando la velocità ed aumentando la precisione. Sebbene la destra porti la melodia, la sinistra si deve sentire chiaramente altrimenti entrambi l’ef-fetto dodici note ed il motivo Moiré scompariranno. Essendo questo un pezzo di Chopin non c’è bisogno che l’effetto delle dodici note si senta: questa composizione è soggetta ad un’infinità di interpretazioni ed alcuni potrebbero voler sopprimere la sinistra e concentrarsi sulla destra per produrre lo stesso qualcosa di ugualmente magico.

Un vantaggio del ciclare è che la mano suona sempre, simulando un suonare continuo, una cosa migliore rispetto a studiare segmenti isolati. Permette anche di sperimentare piccoli cambiamenti (della posizione delle dita, eccetera) per poter trovare le condizioni ottimali. Lo svan-taggio è che, ciclando, i movimenti della mano possono essere diversi da quelli necessari per suonare il pezzo vero: le braccia tendono a stare ferme mentre di solito le mani tendono a muoversi lungo la tastiera. In quei casi in cui il segmento non cicla naturalmente si potrebbe perciò aver bisogno anche dello studio segmentato. Lo studio segmentato permette di usare la congiunzione giusta e lo spostamento della mano è più vicino al vero, si possono poi unire i segmenti per costruire il pezzo.

In questa analisi del ciclare ne abbiamo parlato nella sua definizione più ristretta. La definizione più ampia è che ciclare consiste in un qualsiasi procedimento di studio che viene ripetuto in cicli. Si possono quindi ciclare diverse velocità: si cicli velocemente e poi si rallenti gra-dualmente per aumentare di nuovo e si cicli questo ciclo veloce-lento. È utile sviluppare molti modi diversi di ciclare, ne citerò qui alcuni (ce ne sono troppi da elencare, il limite è l’immaginazione): (1) Ciclare la velocità (appena citato). (2) È utile ciclare tra mani unite e mani separate quando si sta lottando

con passaggi difficili a mani unite. (3) Un altro modo utile di ciclare è lungo un ampio periodo di tempo,

forse diverse settimane. Quando si sta chiaramente entrando nella fase di diminuzione della resa, dopo giorni di duro lavoro, può di solito ripagare ignorare semplicemente il pezzo per diversi giorni o settimane e poi tornarci. Ciclare, ad esempio, tra studio duro e pause. Questo periodo di sospensione può portare vantaggi ina-spettati perché la tecnica richiesta tende a migliorare a causa del miglioramento post studio, ma le brutte abitudini tendono a dissol-

III.2 - CICLARE (FANTAISIE IMPROMPTU DI CHOPIN) 97

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versi perché la maggior parte di esse si sviluppa con l’eccessiva ri-petizione.

(4) Ascoltarsi – studiare per cicli. Si registri la propria esecuzione, la si ascolti, si facciano cambiamenti, si registri di nuovo e si veda se i cambiamenti hanno portato a dei miglioramenti. Si ascoltino con particolare attenzione gli errori ritmici.

(5) Ciclare a memoria – come parte del programma di mantenimento della memoria si ciclino i propri pezzi “finiti”, tornando alle mani separate e memorizzando nuovamente i propri vecchi pezzi dopo averne imparati di nuovi. Si aspetti fino ad averne dimenticato qualcuno e lo si memorizzi da capo.

(6) Ciclare tra pezzi facili e pezzi difficili – non si caschi nella trappola di studiare solo nuovi pezzi difficili. Suonare pezzi facili è estre-mamente importante per sviluppare la tecnica, specialmente per e-liminare lo stress. La cosa più importante è che questi pezzi facili finiti permettono di studiare facendo musica e suonando a piena velocità.

Questi concetti generali sul ciclare sono importanti perché come si studia e come si risolvono certi problemi dipende da quanto si ciclano i propri procedimenti di studio. Se si volesse ad esempio rispondere alla domanda “Quanto tempo dovrei studiare questo particolare segmen-to?”, la risposta dipenderebbe da quale parte e da quale ciclo si tratta: per il tipo 1 potrebbe essere cinque minuti; per il tipo 2 circa qualche giorno e per il tipo 3 forse qualche settimana. È importante che ogni studente si crei numerosi cicli come questi in modo da seguire una pro-cedura di apprendimento strutturata ed efficiente (ottimale) e da sapere quale ciclo usare per risolvere un problema particolare.

III.3 - I Trilli e I Tremoli

A) I Trilli Non c’è miglior dimostrazione dell’efficacia degli esercizi per gli insiemi paralleli (attacco ad accordo) che usarli per imparare il trillo. Ci sono solo due problemi da risolvere per poter eseguire i trilli: (1) la velocità (sotto controllo) e (2) continuare per quanto tempo si desidera. Gli e-sercizi per gli insiemi paralleli sono stati progettati per risolvere esatta-mente questi problemi e quindi funzionano molto bene per esercitarsi nei trilli. La Whiteside descrive un metodo per studiare il trillo che, dopo essere stato analizzato, si scopre essere una specie di attacco ad

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accordo. Questo modo di esercitarsi al trillo non è niente di nuovo. Tuttavia, siccome ora siamo in grado di capire il meccanismo di ap-prendimento in maggior dettaglio, possiamo progettare l’approccio più diretto ed efficace usando gli insiemi paralleli.

Il primo problema da risolvere è quello delle due note iniziali. Se le prime due note non partono in maniera corretta imparare il trillo di-venta un compito molto difficile. L’importanza delle prime due note si applica anche alle volate, agli arpeggi, eccetera. La soluzione è quasi banale: si applichi l’esercizio per l’insieme parallelo di due note. Quin-di per un trillo 2323… si usi prima il 3 come congiunzione e si ottenga-no correttamente le prime due note. Si studi poi il 32, poi 232, eccete-ra. È proprio così semplice! Lo si provi! Funziona a meraviglia!

Il rilassamento è ancora più importante nei trilli che quasi in ogni al-tra tecnica a causa del bisogno di bilanciare rapidamente la quantità di moto. Vale a dire, gli insiemi paralleli, essendo solo di due note, sono troppo brevi per poterci affidare (per acquisire velocità) al solo paralle-lismo. Dobbiamo quindi poter cambiare rapidamente la quantità di moto delle dita. Lo stress le farà bloccare alle parti più grandi (come i palmi e le mani) aumentandone perciò la massa efficace. Una massa maggiore significa un movimento più lento, lo testimonia il fatto che il colibrì riesce a sbattere le ali più velocemente di un condor e che i pic-coli insetti lo fanno più velocemente del colibrì. Questo resta vero an-che ignorando la resistenza dell’aria (che di fatto è effettivamente più viscosa per il colibrì che per il condor e per un piccolo insetto è quasi viscosa come lo è l’acqua per un grosso pesce). È quindi importante includere nel trillo, immediatamente dall’inizio, un completo rilassa-mento che liberi le dita dalla mano. Il trillo è una di quelle abilità tec-niche che richiedono un costante mantenimento. Se si vuole essere bravi nei trilli è necessario esercitarsi ogni giorno. L’attacco ad accordo è la migliore procedura per mantenere il trillo in perfetta forma spe-cialmente se non lo si è usato per un po’ e sembra che lo si stia perden-do o se si vuole continuare a migliorare.

Infine, il trillo non è una serie di staccato. La punta delle dita deve stare il più a lungo possibile a fondo corsa del tasto: i paramartelli si devono innescare ogni volta. Si prenda attentamente nota del minimo sollevamento necessario per far funzionare il meccanismo di ripetizione. Chi studia sui coda dovrebbe essere consapevole che la distanza di sol-levamento può essere circa il doppio rispetto ai verticali. Trilli più ve-loci richiedono sollevamenti più brevi; su un verticale, quindi, si po-trebbe dover rallentare il trillo.

III.3 - I TRILLI E I TREMOLI 99

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B) I Tremoli (Patetica di Beethoven, Primo Movimento) I tremoli si studiano nello stesso esatto modo dei trilli. Applichiamolo ai qualche volta temuti lunghi tremoli in ottava della Sonata Patetica di Beethoven, Op. 13. Per alcuni studenti questi tremoli sembrano im-possibili e molti, studiandoli, si sono infortunati alle mani, alcuni in modo permanente. Altri hanno poche difficoltà. Sono di fatto abba-stanza semplici se si sa come studiarli. L’ultima cosa che si deve fare è esercitarsi ai tremoli per ore nella speranza di sviluppare la resistenza – questo è il modo sicuro di acquisire brutte abitudini e procurarsi de-gli infortuni.

Siccome sono richiesti dei tremoli in ottava in entrambe le mani pos-siamo studiare la sinistra ed alternare con la destra; se la destra riuscis-se prima la si usi per insegnare alla sinistra. Suggerirò una sequenza di metodi di studio, ma con un po’ di immaginazione si dovrebbe riuscire a crearne una propria perché potrebbe essere meglio – il mio è sempli-cemente un suggerimento a scopo illustrativo. L’ho reso eccessivamente dettagliato e lungo per completezza. La sequenza di studio andrebbe accorciata in base ai bisogni ed alle debolezze specifiche.

Per poter esercitare il tremolo Do2-Do3 si studi prima l’ottava (mano sinistra). Si faccia rimbalzare la mano su e giù, comodamente, ripeten-do ed enfatizzando il rilassamento – si riesce a continuare a rimbalzare senza stancarsi o stress specialmente all’aumentare della velocità? Se ci si stancasse si trovi il modo di ripetere le ottave senza affaticarsi (cam-biando la posizione della mano, il movimento, eccetera). Se ancora ci si stancasse si smetta e si cambi mano: si studi l’ottava Lab4-Lab5 con la destra perché servirà più avanti. Una volta riusciti a far rimbalzare l’ottava senza fatica quattro volte per tempo (si includa il ritmo giusto) si provi ad accelerare. Ad una velocità sufficiente arriverà di nuovo la stanchezza, di conseguenza si rallenti o si trovino nuovi modi di ridur-la. Non si suoni forte: uno dei trucchi per ridurre la stanchezza è stu-diare piano. La dinamica può essere aggiunta dopo, una volta ottenu-ta la tecnica. È estremamente importante studiare piano in modo da potersi concentrare sulla tecnica e sul rilassamento. All’inizio sforzan-dosi a suonare velocemente ci si stanca, ma una volta trovati i movi-menti giusti, la posizione delle mani giusta, ecc. si sente davvero la fati-ca andarsene dalla mano e si dovrebbe riuscire a riposare e rinvigorire quest’ultima mentre si suona velocemente: si è imparato il rilassamento.

Si aggiungano ora gli esercizi per gli insiemi paralleli. Si inizi con le ottave ripetute e si sostituiscano poi gradualmente con l’insieme paralle-lo 5,1. Ad esempio, se si stanno suonando gruppi di quattro ottave

100 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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(tempo 4/4) si incominci sostituendo alla quarta ottava l’insieme paral-lelo. Presto si dovrebbero studiare solo insiemi paralleli. Se questi non fossero uniformi e la mano iniziasse a stancarsi, si torni alle ottave per rilassarsi o si cambi mano. Si lavori con gli insiemi paralleli finché non si riescano a suonare le due note praticamente “infinitamente veloce” in modo riproducibile e, alla fine, con un buon controllo ed un comple-to rilassamento. Alle velocità più alte si dovrebbe aver difficoltà a di-stinguere gli insiemi paralleli dalle ottave. Si rallenti allora in modo da poter suonare sotto controllo a tutte le velocità. Si noti che in questo caso le note del 5 dovrebbero essere leggermente più forti di quelle dell’1. Tuttavia si dovrebbe studiare in entrambi i modi: con il battere su 5 e con il battere sull’1, in modo da sviluppare una tecnica equilibra-ta e controllabile. Si ripeta ora l’intero procedimento con l’insieme pa-rallelo 15. Di nuovo, sebbene questo insieme parallelo non sia richiesto per suonare questo tremolo (è necessario solo il precedente) è utile per sviluppare un controllo equilibrato. Una volta che sia 51 sia 15 saran-no soddisfacenti, si passi ai 515 e 5151 (suonati come un breve trillo di ottava). Se si riesce ad eseguire subito il 5151, non c’è bisogno di stu-diare il 515. L’obiettivo qui è sia la velocità sia la resistenza e si do-vrebbe quindi studiare a velocità molto più alte di quella finale, almeno per questi tremoli brevi. Si lavori successivamente sull’ 1515.

Una volta che gli insiemi paralleli saranno soddisfacenti si inizino a suonare gruppi di due tremoli, magari con una momentanea pausa tra i gruppi. Si aumenti poi a gruppi di tre e di quattro. Il miglior modo per accelerare i tremoli è alternare tremoli ed ottave. Si velocizzino le ottave e si provi a cambiarle nei tremoli a questa velocità maggiore. Tutto ciò che si deve fare ora è alternare le mani e sviluppare la resi-stenza. Di nuovo, sviluppare la resistenza non è tanto sviluppare i mu-scoli, ma piuttosto sapere come rilassarsi e come usare i movimenti giu-sti. Si disaccoppino le mani dal corpo: non si leghi il sistema ma-no/braccio/corpo in uno stretto nodo, ma si lasci che le mani e le dita agiscano indipendentemente. Si dovrebbe respirare liberamente a pre-scindere da quello che esse stanno facendo.

Alla fine si suoneranno i tremoli principalmente con la rotazione del-la mano, ciò significa che la mano ruoterà in un senso e nell’altro at-torno al suo asse lungo l’avambraccio. L’asse è una linea retta che pas-sa dalla mano verso la punta delle dita. Il palmo dovrebbe quindi di-stendersi dritto dall’avambraccio e le tre dita libere (2,3,4) dovrebbero distendersi come i raggi di una ruota e quasi toccare i tasti; non le si sollevino tranne quando si muovono per la rotazione della mano. Le persone con mani piccole dovrebbero accompagnare la rotazione della

III.3 - I TRILLI E I TREMOLI 101

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mano con un piccolo movimento laterale in modo da poter raggiungere i tasti senza dover stirare completamente le dita. Questo dovrebbe aiu-tare a ridurre lo stress.

Nella destra il dito 1 dovrebbe essere più forte del 5, ma per entrambe le mani le note più deboli dovrebbero essere chiaramente udibili, il loro scopo ovvio è di raddoppiare la velocità rispetto alle ottave. Si ricordi di suonare piano; più tardi, una volta acquisite la tecnica e la resistenza, si potrà suonare forte quanto si vuole. È importante riuscire a suonare piano alle velocità più elevate sentendo lo stesso ogni nota. Si studi finché, alla velocità finale, non si riuscirà a suonare i tremoli più a lun-go di quanto è richiesto dal pezzo. Il modo migliore di sviluppare que-sta resistenza è esercitarsi a velocità anche maggiori. L’effetto finale è un costante tumulto che si può modulare in su ed in giù in intensità. Le note basse danno il ritmo e quelle alte raddoppiano la velocità. Si suonino poi i diversi tremoli successivi come indicato nella musica. Ec-co fatto! Finito!

III.4 - I Movimenti delle Mani e del Corpo per La Tecnica

A) I Movimenti delle Mani Per acquisire la tecnica sono richiesti determinati movimenti delle ma-ni. Abbiamo parlato prima, ad esempio, degli insiemi paralleli, ma non abbiamo specificato che tipi di movimenti siano necessari per suonarli. È importante sottolineare dall’inizio che i movimenti necessari delle mani possono essere estremamente piccoli, quasi impercettibili. Dopo essere diventati esperti li si potranno esagerare quanto si desidera. Du-rante un concerto di un qualsiasi esecutore famoso la maggior parte di essi non sarà quindi percepibile (i movimenti tendono anche ad accade-re troppo velocemente affinché il pubblico li possa notare), la maggior parte di quelli visibili sono perciò esagerazioni. Due esecutori, pertan-to, uno con le mani apparentemente ferme e l’altro con leggerezza e di-sinvoltura possono di fatto usare gli stessi movimenti di cui stiamo par-lando. I movimenti principali della mano sono: pronazione e supina-zione, spinta (o pressione) e trazione, presa e rilascio, scatto e movimen-ti del polso. Questi sono quasi sempre combinati in movimenti più complessi. Si noti che vanno sempre in coppia (ci sono scatti destri e sinistri, ed in modo simile i movimenti del polso) e che sono anche i principali movimenti naturali delle mani e delle dita.

Tutti i movimenti delle dita devono essere sostenuti dai principali muscoli delle braccia, delle scapole, della schiena e del petto (attaccati

102 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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al suo centro). Il più piccolo contrarsi del dito, perciò, coinvolge tutti questi muscoli. Non esiste il solo movimento del dito – qualsiasi movi-mento delle dita coinvolge l’intero corpo. La riduzione dello stress è importante per rilassare questi muscoli in modo che possano assistere e rispondere al movimento della punta delle dita. I principali movimenti della mano vengono qui descritti solo brevemente, per ulteriori dettagli si vedano i Riferimenti (Fink, Sandor).

Pronazione e Supinazione La mano può essere fatta ruotare attorno all’asse dell’avambraccio. La rotazione verso l’interno (pollice in basso) è detta pronazione e quella verso l’esterno (pollice in alto) è detta supinazione. Questi movimenti vengono eseguiti, ad esempio, quando si suonano i tremoli di ottava. Ci sono due ossa nell’avambraccio: quello interno (il radio, collegato al pollice) e quello esterno (l’ulna, collegata al mignolo). La rotazione del-la mano avviene con la rotazione dell’osso interno su quello esterno (la posizione di riferimento della mano è quella del pianista, con il palmo rivolto in basso). L’osso esterno viene mantenuto in posizione dal braccio. Quando la mano viene ruotata il pollice si muove quindi mol-to di più del mignolo. Una rapida pronazione è un buon modo di suo-nare con il pollice. Per suonare il tremolo d’ottava è facile muovere il pollice, ma il mignolo può essere mosso rapidamente solo usando una combinazione di movimenti. Il problema di suonare velocemente i tremoli di ottava si riduce quindi al risolvere il problema di come muo-vere il mignolo.

Spinta e Trazione La spinta è un movimento di pressione verso il coperchio tastiera, ac-compagnato, di solito, da un polso leggermente sollevato. Curvando le dita il movimento di spinta fa sì che il vettore forza del movimento del-la mano sia diretto lungo le ossa, questo aggiunge controllo e potenza. La spinta è perciò utile per suonare gli accordi. La trazione è un mo-vimento simile in allontanamento dal coperchio tastiera. In questi mo-vimenti, quello totale può essere più grande o più piccolo della compo-nente vettoriale verso il basso (la corsa del tasto) consentendo un con-trollo maggiore. La spinta è una delle principali ragioni per cui la posi-zione standard è quella ricurva. Si provi a suonare un accordo ampio, con tante note, abbassando prima la mano direttamente in giù come nelle cadute e poi usando il movimento di spinta. Si notino i risultati superiori della spinta. La trazione è utile per alcuni passaggi legati e de-licati. Di conseguenza, quando si studiano gli accordi, si sperimenti

III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 103

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sempre aggiungendo un po’ di spinta o di trazione. La spinta è proba-bilmente più utile della trazione.

Presa e Rilascio La presa consiste nel muovere la punta delle dita verso il palmo e il ri-lascio nell’aprirle in fuori verso la loro posizione distesa. Molti studenti non si rendono conto che, quando suonano, oltre a muovere la punta delle dita su e giù possono anche muoverla in dentro e in fuori. Sono movimenti aggiuntivi utili: aggiungono grande controllo specialmente nei passaggi legati e delicati così come nello staccato e permettono un movimento ampio con una corsa del tasto più breve, proprio come nel-la spinta e nella trazione. Invece di provare sempre ad abbassare le dita direttamente verso il basso si provi quindi a sperimentare con alcuni movimenti di presa e rilascio per vedere se aiutano. Si noti che il mo-vimento di presa è molto più naturale e facile rispetto ad andare giù dritti. Il movimento dritto verso il basso della punta delle dita è, di fat-to, una combinazione complessa di presa e rilascio. La spinta del tasto verso il basso si può a volte semplificare distendendo le dita e suonan-do solo con un piccolo movimento di presa. Questo è il motivo per cui a volte si suona meglio con le dita distese piuttosto che ricurve.

Scatto Lo scatto è uno dei movimenti più utili: è una rapida rotazione e con-tro-rotazione della mano, una combinazione veloce di pronazione-supinazione o il contrario. Abbiamo visto che gli insiemi paralleli si possono suonare praticamente a qualsiasi velocità. Quando dobbiamo collegare gli insiemi paralleli, nel suonare passaggi veloci, sorge il pro-blema della velocità. Non c’è una soluzione singola a questo problema di collegamento. L’unico movimento che si avvicina ad una soluzione universale è lo scatto, specialmente quando viene coinvolto il pollice come nelle scale e negli arpeggi. Gli scatti singoli possono essere ese-guiti in modo estremamente rapido e senza alcuno stress, aumentando così la velocità, devono tuttavia essere “ri-caricati”. Scatti veloci e con-tinui sono difficili da eseguire, ma vanno piuttosto bene per collegare gli insiemi paralleli perché si possono usare nelle congiunzioni e ricari-care durante gli insiemi paralleli. Sottolineando di nuovo ciò che è sta-to detto all’inizio della sezione, non è necessario che questi scatti, e gli altri movimenti, siano ampi e di solito sono impercettibilmente piccoli; lo scatto può quindi essere considerato più una reazione che un vero movimento.

104 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Movimento del Polso Abbiamo già visto che il movimento del polso è utile ogni volta che si suona con il pollice o con il mignolo; la regola generale è quella di alza-re il polso per suonare con il mignolo ed abbassarlo per suonare con il pollice. Ovviamente questa non è una regola rigida, ci sono un sacco di eccezioni. Il movimento del polso è utile anche in combinazione con altri movimenti. Combinandolo con la pronazione-supinazione si possono creare movimenti rotatori per suonare passaggi ripetitivi, come negli accompagnamenti della sinistra o il primo movimento della Sona-ta al Chiaro di Luna di Beethoven. Il polso si può muovere in alto ed in basso o di lato. Si deve fare di tutto affinché il dito che suona sia pa-rallelo all’avambraccio: questo si ottiene con un movimento laterale del polso. Una tale configurazione sottopone i tendini al minor stress late-rale possibile e riduce le possibilità di infortuni come la Sindrome del Tunnel Carpale. Se ci si ritrova abitualmente a suonare (o a battere a macchina) con il polso caricato ad angolo potrebbe essere un segnale di aspettarsi dei problemi. Un prerequisito per un totale rilassamento è anche un polso allentato.

Riassunto Questa è stata un breve rassegna dei movimenti della mano. Si po-trebbe scrivere un libro intero su questo argomento (e non abbiamo neanche toccato quello di aggiungere altri movimenti del gomito, del braccio, delle spalle, del corpo, dei piedi, eccetera). Lo studente è inco-raggiato a fare più ricerche possibile perché può solo essere utile. I movimenti appena trattati vengono raramente usati da soli. Gli insiemi paralleli si possono suonare con qualsiasi combinazione della maggior parte dei movimenti di cui sopra senza neanche muovere le dita (relati-vamente alla mano). Questo è ciò che si intendeva, nella sezione sullo studio a mani separate, con la raccomandazione di sperimentare e ri-sparmiare sui movimenti delle mani. Conoscere ciascun tipo di movi-mento permetterà allo studente di provarli separatamente per vedere di quale ha bisogno: è la chiave verso il massimo della tecnica.

B) Suonare con Le Dita Distese Abbiamo notato nella Sezione II.2 che la forma iniziale delle dita per imparare a suonare il pianoforte è leggermente ricurva. Molti inse-gnanti la insegnano come posizione “convenzionale”. Ciò nondimeno V. Horowitz ha dimostrato che anche la posizione distesa, o dritta, è molto utile. Parleremo qui del perché la posizione a dita distese non

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solo è utile, ma è anche una parte essenziale dell’acquisizione della tec-nica.

Definiremo innanzitutto la “posizione a dita distese” come quella in cui le dita sono fondamentalmente stirate in fuori. Generalizzeremo poi questa definizione intendendo specifici tipi di posizioni “non ricur-ve”, un concetto avanzato molto importante nel suonare il pianoforte perché necessario ad acquisire alcune delle abilità tecniche fondamenta-li.

Il vantaggio più importante della posizione a dita distese è che questa ne semplifica il movimento e permette un completo rilassamento, ovvero i muscoli necessari a controllare il movimento del dito sono di meno rispetto a quelli della posizione ricurva. Questo perché tutto ciò che si deve fare è far perno alla nocca. Nella posizione ricurva, per poter mantenere il giusto angolo rispetto alla superficie del tasto, si deve rad-drizzare ciascun dito della giusta quantità ogni volta che si suona una nota. Il movimento del dito nella posizione distesa richiede solo l’uso dei muscoli principali necessari per premere i tasti. Esercitarsi con le dita distese può far migliorare la tecnica perché si esercitano solo i mu-scoli ed i nervi più rilevanti. Si provi il seguente esperimento per poter dimostrare la complessità della posizione ricurva. Prima si distenda in fuori l’indice della destra (posizione a dita distese) e lo si agiti su e giù rapidamente come se si stesse suonano il pianoforte. Si mantenga ora il movimento su e giù e le si incurvi gradualmente all’indentro il più pos-sibile. Si scoprirà che, con l’aumento di curvatura del dito agitarne la punta diventa più difficile fino a diventare impossibile quando è com-pletamente ricurvo. Ho chiamato questo fenomeno “paralisi da curva-tura”. Se si riesce a muovere la punta lo si potrà fare solo molto len-tamente in confronto alla posizione distesa perché bisogna usare un in-tero nuovo insieme di muscoli. Di fatto il modo più facile per agitare la punta delle dita velocemente nella posizione completamente ricurva è muovere l’intera mano.

Nella posizione ricurva è quindi necessario essere più abili per suona-re alla stessa velocità rispetto alla posizione distesa. Contrariamente all’opinione di molti pianisti, si può suonare più velocemente con le di-ta distese, piuttosto che ricurve, perché qualsiasi quantità di curvatura inviterà una certa paralisi. Diventa particolarmente importante quan-do la velocità e/o la mancanza di tecnica producono stress durante lo studio di qualcosa di difficile. La quantità di stress è maggiore nella posizione convenzionale e questa differenza può essere sufficiente a creare un muro di velocità.

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Sebbene la posizione distesa sia più semplice, tutti i principianti do-vrebbero prima imparare la posizione ricurva finché quella distesa non sarà necessaria. Se i principianti iniziassero con la posizione distesa non imparerebbero mai veramente bene quella ricurva. I principianti che provano a suonare velocemente con la posizione distesa è probabile che suonino gli insiemi paralleli a fase bloccata invece di suonarli con dita indipendenti. Questo porta ad una perdita di controllo e ad una velocità non uniforme. Una volta che queste brutte abitudini si sono formate è impossibile imparare l’indipendenza delle dita e per questo motivo molti insegnanti proibiscono ai loro studenti di suonare con le dita distese, un errore terribile. Sandor chiama le posizioni a dita diste-se “posizioni sbagliate”, ma Fink ne consiglia alcune (ne parleremo più avanti).

I bambini molto piccoli (sotto i quattro anni) hanno di solito delle dif-ficoltà a curvare le dita. La maggior parte dei pianisti autodidatti usa principalmente posizioni a dita distese. Per questa ragione i pianisti jazz (molti sono autodidatti) le usano di più rispetto ai pianisti di classi-ca e gli insegnanti di classica evidenziano giustamente che i primi pia-nisti jazz avevano meno tecnica. Di fatto i primi jazz erano molto meno difficili tecnicamente rispetto alla musica classica. Questa carenza di tecnica era tuttavia dovuta ad una mancanza di istruzione, non all’uso delle posizioni a dita distese. Queste ultime non sono quindi niente di nuovo, sono abbastanza intuitive e sono un modo naturale di suonare. La strada verso la buona tecnica è quindi un attento equilibrio tra stu-diare con le dita ricurve e sapere quando distenderle. La novità di questa sezione è il concetto che la posizione ricurva non è intrinseca-mente superiore e che la posizione distesa è una parte necessaria della tecnica di livello avanzato.

Il quarto dito è particolarmente problematico per una maggioranza delle persone, parte di questa difficoltà sorge dal fatto che quello è il più scomodo da sollevare e questo rende difficile suonare velocemente evitando di suonare inavvertitamente note sbagliate. Questi problemi sono peggiori nella posizione ricurva a causa della complessità del mo-vimento e della paralisi da curvatura. Nelle configurazioni a dita diste-se più semplici queste difficoltà vengono ridotte ed il quarto dito è più indipendente e più facile da sollevare. Se si mette la mano in posizione ricurva su una superficie piana e lo si solleva, si alzerà di una certa di-stanza, se ora si ripete la stessa procedura con la posizione distesa si sol-leverà del doppio: è quindi più facile alzare le dita, l’anulare in particola-re, nella posizione distesa. La comodità nel sollevarlo riduce lo stress quando si suona velocemente. Inoltre, quando si provano a suonare

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velocemente passaggi difficili con la posizione ricurva alcune dita (spe-cialmente il 4 e il 5) a volte si curvano troppo creando ancora più stress e la necessità di lanciarle in fuori per poter suonare. Questi problemi si possono eliminare usando la posizione distesa.

Un altro vantaggio della posizione a dita distese è la maggiore esten-sione perché le dita sono stirate più dritte all’infuori. Molti pianisti (specialmente quelli con le mani piccole) la usano di già per questa ra-gione, spesso senza rendersene conto, per suonare accordi ampi, eccete-ra. Queste persone potranno comunque “sentirsi in colpa” per la man-canza di curvatura e proveranno a metterne quanta possibile creando stress.

Un ulteriore vantaggio è che le dita premono i tasti con una parte più carnosa rispetto alla punta. I polpastrelli sono anche più sensibili al tocco specialmente perché c’è meno interferenza delle unghie. Quando le persone toccano qualcosa usano sempre i polpastrelli, non la punta delle dita. Questo cuscinetto e la sensibilità aggiuntiva possono fornire miglior controllo e tocco ed una maggior protezione dagli infortuni. Nella posizione ricurva le dita scendono giù quasi verticalmente sulla superficie del tasto in modo da suonare con la punta delle dita dove il cuscinetto tra l’osso e il tasto è minore. Se ci si è infortunati suonando troppo duro con la posizione ricurva si possono far riposare le punte distendendo le dita. Usando la posizione ricurva possono accadere due tipi di infortuni alla punta delle dita (entrambi si possono evitare usan-do quella distesa). Il primo è il semplice livido dovuto al troppo sbatte-re ed il secondo è il distacco della carne da sotto l’unghia, questo di so-lito avviene quando la si taglia troppo. Il secondo tipo di infortunio è pericoloso perché può provocare dolorose infezioni. Usando la posi-zione a dita distese si può suonare lo stesso anche se si hanno delle un-ghie abbastanza lunghe.

La cosa più importante è che con le dita distese si possono suonare i tasti neri usando la maggior parte della superficie sotto alle dita ed u-sarla permette di evitare di mancarli. Questi tasti sono facili da sbaglia-re quando si suona nella posizione ricurva perché sono così stretti. È per questo una buona idea suonare i tasti neri con le dita piatte e quelli bianchi con le dita più curve.

Quando le dita sono distese in fuori si può arrivare più in fondo verso il coperchio tastiera. In questa posizione ci vuole un po’ più forza per premere i tasti a causa della leva più svantaggiosa dovuta alla minore distanza dal foro del tasto (dal perno centrale). Il risultante maggior peso (efficace) del tasto permetterà di suonare pp più delicati. La pos-

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sibilità quindi di avvicinarsi al foro del tasto permette di aumentarne il peso efficace. Il maggior peso fornisce più controllo e dei pianissimo più delicati. Sebbene il cambiamento di peso sia piccolo, ad alta veloci-tà questo effetto viene enormemente accresciuto.

La posizione a dita distese permette anche dei fortissimo più intensi, specialmente sui tasti neri. Ci sono due motivi: primo, la superficie del dito a disposizione per il contatto è maggiore e c’è un cuscinetto più spesso (come spiegato sopra) e si può quindi trasmettere una forza più grande con minor possibilità di infortuni o dolore; secondo, la maggio-re precisione dovuta ad una superficie di contatto più grande aiuta a produrre un fortissimo autorevole e riproducibile. Nella posizione ri-curva la probabilità di mancare o scivolare sugli stretti tasti neri è a vol-te troppo alta per un pieno fortissimo.

La capacità di suonare fortissimo più facilmente suggerisce che la po-sizione a dita distese possa essere più rilassante di quella a dita ricurve. Questo si scopre essere vero, ma c’è un meccanismo aggiuntivo che aumenta il rilassamento. Si può dipendere, per tenere le dita distese quando si premono i tasti, dai tendini sotto le ossa. Ovvero, diversa-mente dalla posizione ricurva, non si deve praticamente fare niente per tenere le dita distese (quando si premono i tasti) perché i tendini delle dita dal lato del palmo evitano che queste si pieghino all’indietro (a meno di non avere articolazioni multiple!). Quando ci si esercita a dita distese si impari pertanto ad usare questi tendini come aiuto a rilassarsi. Si stia attenti, quando si inizia ad usare questa posizione, a suonare for-tissimo: se ci si rilassa completamente si rischia l’infortunio per iper-estensione, specialmente nel mignolo che ha tendini molto piccoli. Se si inizia a sentire dolore si irrigidisca il dito durante la discesa del tasto o si smetta di suonare a dita distese e lo si incurvi. Quando si suona for-tissimo con le dita ricurve per poterle tenere in posizione si devono controllare sia i muscoli estensori sia quelli flessori di ciascun dito, nella posizione distesa si possono rilassare completamente gli estensori ed usare solo i flessori eliminando così quasi del tutto lo stress (che è cau-sato da due insiemi di muscoli che si oppongono l’un l’altro) e semplifi-cando l’operazione di oltre il 50% (quando si preme il tasto).

Il miglior modo di iniziare ad esercitarsi a dita distese è studiare la scala di Si Maggiore. In questa scala tutte le dita, tranne il pollice e il mignolo, suonano sui tasti neri. Siccome generalmente nelle volate queste due dita non suonano sui tasti neri, questo è esattamente ciò che vogliamo. In questa scala la diteggiatura della destra è quella conven-zionale, ma la sinistra deve iniziare con il quarto dito sul Si. Prima di

III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 109

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andare avanti potrebbe essere necessario leggere la sezione seguente (III.5) sul suonare velocemente le scale perché è necessario sapere come suonare pollice sopra, come usare il movimento glissando, eccetera. Per migliorare più rapidamente, si studi solo una ottava a mani separa-te. Si tengano le dita vicine ai tasti in modo da sentirli prima di suonar-li. Sentire i tasti è facile perché si può usare l’ampia superficie sotto le dita. Sentendo i tasti non si mancherà mai una singola nota perché si saprà in anticipo dove si trova. Suonando le scale, gli avambracci, al Do Centrale, devono essere rivolti verso l’interno e formare un angolo vicino ai 45 gradi. Creare questo angolo ha due effetti. Si consideri la destra: la spalla destra è alla destra del Do Centrale così l’avambraccio è naturalmente rivolto all’interno (la sinistra sarà rivolta verso la destra del Do Centrale) se non si muove il corpo. Inoltre il mignolo è un dito corto perciò quest’angolo gli permette di raggiungere più facilmente i tasti neri quando le dita sono distese in fuori. Questo angolo facilita anche il movimento pollice sopra. Ora però le dita non sono parallele ai tasti: tale mancanza di allineamento parallelo è in realtà un vantaggio perché lo si può usare per aumentare la precisione con cui si premono i tasti neri. Se una mano è più debole dell’altra questa differenza verrà fuori in modo più evidente a dita distese. Questa posizione rivela più chiaramente le carenze/abilità tecniche a causa della differenza di leva (le dita sono effettivamente più lunghe) e della maggior sensibilità. Si usi, in questo caso, la mano più forte per insegnare a quella più debole. Studiare con le dita distese può essere uno dei modi più rapidi di inco-raggiare la mano debole a raggiungere l’altra perché si lavora diretta-mente con i muscoli principali rilevanti alla tecnica.

Se si incontrassero delle difficoltà nel suonare con la posizione a dita distese si provino gli esercizi per gli insiemi paralleli sui tasti neri. Si suonino tutti i cinque tasti neri con le cinque dita: il gruppo di due note con il pollice e l’indice e il gruppo di tre note con le restanti tre dita. Diversamente dalla scala di Si Maggiore questo esercizio svilupperà an-che il pollice ed il mignolo. Con questo esercizio (o con la scala di Si Maggiore) si possono sperimentare tutti i tipi di posizione della mano. Diversamente dalla posizione ricurva, si può suonare con il palmo della mano che tocca la superficie dei tasti bianchi. Si può anche sollevare il polso in modo che le dita si pieghino effettivamente all’indietro (in di-rezione opposta a quella ricurva) come nel movimento a ruota. C’è an-che una posizione intermedia a dita distese nella quale le dita riman-gono dritte, ma vengono piegate in giù solo alle nocche. La chiamo po-sizione “a piramide” perché la mano e le dita formano una piramide con le nocche all’apice. Questa posizione a piramide può essere efficace

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nei passaggi molto veloci perché unisce i vantaggi delle posizioni ricur-va e distesa.

L’utilità di queste varie posizioni rende necessario espandere la defini-zione di “suonare a dita distese”: la posizione distesa dritta è solo un caso estremo, ci sono numerose varianti tra la posizione totalmente piatta che abbiamo definito all’inizio di questa sezione e la posizione ri-curva. Oltre alla posizione a piramide si possono piegare le dita alla prima articolazione dopo la nocca. Questa verrà chiamata la “posizione a ragno”. Il punto importante qui è che l’ultima articolazione (la più vicina all’unghia) deve essere completamente rilassata e deve esserle permesso di raddrizzarsi quando si premono i tasti. La definizione ge-neralizzata di suonare a dita distese è perciò che la terza falange sia completamente rilassata e dritta. “Falangi” è il nome delle piccole ossa dopo la nocca, sono numerate da uno a tre (il pollice solo uno e due) e la terza falange è la “falange dell’unghia”. Chiameremo posizioni “a dita distese” sia quella a piramide sia quella a ragno perché tutte e tre condividono due importanti proprietà: la terza falange non è mai ricur-va (è sempre rilassata) e si può suonare con il polpastrello. Da qui in poi useremo questa definizione più ampia di dita distese. Anche se in molte di queste posizioni le dita siano piegate, le chiameremo così per distinguerle chiaramente dalla posizione ricurva. Gran parte della para-lisi da curvatura deriva dal piegare la terza falange. Questo può essere dimostrato piegando solo quest’ultima (se si riesce) e provando a muo-vere rapidamente il dito. Faccio notare che ora il completo rilassamen-to della terza falange è parte della definizione della posizione a dita di-stese. Questa posizione semplifica i calcoli al cervello perché vengono quasi del tutto ignorati i muscoli flessori. Ciò significa dieci muscoli in meno da controllare e questi sono particolarmente scomodi e lenti; i-gnorarli aumenta quindi la velocità del dito. Siamo arrivati a realizzare che la posizione ricurva è del tutto sbagliata per suonare materiale di livello avanzato. La posizione generalizzata a dita distese è necessaria per poter suonare alle velocità richieste ai pianisti di livello avanzato. Tuttavia, come descritto più avanti, ci sono alcune situazioni nelle quali è necessario curvare rapidamente certe dita singole per raggiungere al-cuni tasti bianchi ed evitare di colpire il coperchio tastiera con le un-ghie. L’importanza della posizione generalizzata a dita distese non può essere enfatizzata troppo perché è uno degli elementi chiave del rilas-samento (che viene spesso completamente ignorato).

La posizione a dita distese fornisce molto più controllo perché il pol-pastrello è la parte più sensibile del dito. Un’altra ragione per cui il controllo aumenta è che una terza falange rilassata fa da ammortizzato-

III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 111

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re. Se si avesse qualche difficoltà nell’estrarre colore da una composi-zione sarà più facile farlo usando la posizione a dita distese. Suonare con la punta delle dita usando la posizione ricurva è come guidare una macchina senza gli ammortizzatori o suonare un pianoforte con martel-li usurati. Il tono tenderà ad essere stridulo o non legato e si sarà co-stretti ad un solo colore. Usando la posizione a dita distese si possono sentire meglio i tasti e controllare più facilmente il tono ed il colore. I movimenti a dita distese sono più semplici e si può suonare più velo-cemente, specialmente materiale difficile come i trilli veloci, perché si può rilassare completamente la terza falange ed ignorare alcuni dei mu-scoli estensori. Siamo quindi arrivati ad uno dei più importanti con-cetti generali: dobbiamo liberarci dalla tirannia della singola posizione fissa ricurva. Dobbiamo imparare ad usare tutte le posizioni disponibi-li perché ognuna ha i suoi vantaggi.

Potrebbe essere necessario abbassare lo sgabello per poter riuscire a suonare con la parte piatta delle dita. Quando si abbassa lo sgabello diventa di solito necessario allontanarlo dal pianoforte in modo da lasciare abbastanza spazio, tra la tastiera ed il corpo, da permettere alle braccia ed ai gomiti di muoversi. In altre parole, molti pianisti siedono troppo alti e troppo vicini al pianoforte e questo non si nota quando si suona con le dita ricurve. Suonare a dita distese fornirà perciò un mo-do più preciso di ottimizzare la posizione e l’altezza dello sgabello. Quando si suona, i polsi, ed anche i gomiti, potrebbero a volte trovarsi più in basso della tastiera e questo è perfettamente accettabile. Sedersi più lontani dal pianoforte lascia anche più spazio per inclinarsi in avanti per poter suonare fortissimo.

Tutte le posizioni a dita distese si possono studiare su un tavolo. Si mettano semplicemente tutte le dita ed il palmo piatti sul tavolo e si fac-cia pratica nel sollevare ciascun dito indipendentemente dagli altri, specialmente il quarto. Si studino le posizioni a piramide ed a ragno semplicemente premendo in basso con i polpastrelli a contatto con il tavolo e rilassando completamente la terza falange in modo che si pie-ghi addirittura all’indietro. La posizione a piramide diventa qualcosa di simile ad un esercizio di stiramento di tutti i tendini flessori e di rilas-samento delle ultime due falangi. Si potrà anche scoprire che la posi-zione a dita distese funziona molto bene quando si digita su una tastiera per computer.

Il quarto dito è di solito fonte di problemi per tutti e si può fare un e-sercizio che usa la posizione a ragno per migliorarne l’indipendenza. Al pianoforte, si mettano le dita 3 e 4 su Do# e Re# e le restanti sui tasti

112 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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bianchi. Si premano tutti i cinque tasti. Il primo esercizio consiste nel suonare il dito 4 alzandolo più in alto possibile. In tutti questi esercizi si devono tenere giù tutte le dita che non stanno suonando. Il secondo esercizio consiste nel suonare le dita 3 e 4 alternativamente, alzando il 4 più in alto possibile, sollevando il 3 solo quanto basta per suonare la nota e tenendolo sempre a contatto con la superficie del tasto (abba-stanza difficile). La maggior parte delle persone riesce a sollevare il quarto dito più in alto nella posizione a ragno e questo indica che po-trebbe essere la posizione migliore per suonare in generale. Durante la discesa del tasto si suoni il dito 3 più forte del 4 (accento sul 3). Si ripe-ta usando le dita 4 e 5 con l’accento sul 5 e tenendolo sul tasto il più possibile. Nel terzo ed ultimo esercizio si suonino gli insiemi paralleli (3,4), (4,3), (5,4) e (4,5). Questi esercizi possono sembrare difficili all’inizio, ma ci si potrebbe sorprendere da quanto rapidamente li si sa-pranno suonare in soli pochi giorni. Non ci si fermi solo perché non si riesce, ci si eserciti finché non si andrà molto velocemente sotto com-pleto controllo e rilassamento. Questi esercizi simulano la difficile si-tuazione in cui si suonano le dita 3 e 5 mentre si solleva il 4.

La maggiore estensione, la più ampia zona di contatto ed il cuscinetto aggiuntivo sotto le dita rendono più facile e piuttosto diverso suonare legato rispetto a quando si usa la posizione ricurva. La posizione a dita distese rende più facile suonare due note con lo stesso dito specialmen-te perché si può suonare con le dita non parallele ai tasti e si può usare una zona molto grande sotto il dito per tenere premuti più di un tasto. Siccome Chopin era famoso per i suoi legato, era bravo a suonare più note con lo stesso dito e raccomandava di suonare la scala di Si Mag-giore, probabilmente suonava a dita distese. Il Mo Combe, che è stata la prima ispirazione di questo libro, insegnava a suonare a dita distese e faceva notare che questo era particolarmente utile per suonare Chopin. Un trucco che insegnava sul legato era di iniziare con le dita distese e poi incurvare il dito fino alla posizione ricurva in modo da poter muo-vere la mano senza sollevarla dal tasto. Si può fare anche il contrario quando ci si sposta in basso dai tasti neri verso quelli bianchi.

Avendo imparato solo la posizione ricurva per una vita, quella distesa potrebbe sembrare scomoda all’inizio, ma è una abilità tecnica necessa-ria. Quando si cambia: (1) Si sentirà un totale rilassamento a causa del rilassamento dell’ultima

falange. Questo dovrebbe far “sentir bene” e potrebbe portare ad una dipendenza. Potrebbe essere più facile iniziare ad esercitarsi su un tavolo usando la posizione a ragno e premendo con tutte le dita

III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 113

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finché tutte le terze falangi delle dita da 2 a 5 non siano allargate in fuori, stirando così i tendini. La conseguenza più importante di questo rilassamento è che si riuscirà a suonare più velocemente.

(2) Si potranno suonare dei pianissimo più delicati a causa della mag-giore sensibilità della punta delle dita e del maggior effetto ammor-tizzante delle terze falangi rilassate.

(3) Si riusciranno a suonare dei fortissimo più intensi ed autorevoli a causa della maggior area a disposizione per premere i tasti. Basta scivolare sui tasti neri!

(4) Si potrà suonare con una maggior area delle dita, o anche con il palmo delle mani che tocca i tasti, per aver maggior controllo e sen-sibilità. “Sentire” troppo può portare a legare troppo anche quando un suonare più agitato sarebbe più appropriato. In questi casi il trucco è di toccare rapidamente il tasto per sapere dove si trova e-sattamente e poi rimbalzare in su abbastanza da produrre il suono agitato e vigoroso. I pianisti di livello avanzato eseguono questa operazione di “toccare” così rapidamente da non essere visibile all’occhio non allenato.

(5) Si riuscirà a produrre una migliore espressività e colore di tono a causa del controllo più sensibile di ciascun dito in ciascuna premuta di tasto.

(6) Si potranno suonare dei legato migliori. Quando si suona Chopin non c’è niente come suonare legato usando le tecniche che quasi si-curamente usava lui.

(7) Si elimineranno un gran numero di errori. Si noti che, facendo tut-to il resto correttamente, il pollice sotto e la paralisi da curvatura sono la causa di praticamente tutti gli errori. Certamente il solo suonare a dita distese non è sufficiente ad eliminare gli errori dovu-ti alla paralisi da curvatura: si deve imparare a toccare sempre i ta-sti, non solo con la punta delle dita, ma con tutto il dito ed il pal-mo. Questa è una delle ragioni per cui la calma nelle mani è così importante. Nella posizione ricurva è difficile sentire i tasti, non so-lo perché la punta delle dita è meno sensibile, ma anche perché non c’è nessun ammortizzatore – il dito è sul tasto o non lo è. In un’automobile la funzione degli ammortizzatori non è solo quella di fornire più comodità, ma anche di tenere le gomme a contatto con la strada.

(8) Quando si usano le dita distese gli accordi ampi e le volate sono molto più simili: vengono suonati entrambi con le dita distese per-

114 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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ciò è più facile suonarli quando sono richiesti. Se si usano le dita ricurve si dovranno distendere le dita per gli accordi ampi (altri-menti non si raggiungono le note) e poi cambiare alle dita ricurve per suonare le volate.

(9) Nella musica con collisioni tra le mani, come le Invenzioni di Bach, si può suonare a dita distese in una mano ed a piramide nell’altra in modo da evitare scontri.

(10) La posizione a dita distese è più compatibile, rispetto alla posizione ricurva, con i metodi del pollice sopra e della ruota.

Si può dimostrare l’utilità della posizione a dita distese applicandola a tutto ciò che dà difficoltà. Io, ad esempio, avevo dei problemi di stress nell’accelerare le Invenzioni di Bach perché richiedono indipendenza delle dita (specialmente 3, 4 e 5). Quando studiavo solo a dita ricurve sentivo di iniziare a creare dei muri di velocità in alcuni punti perché le dita non erano abbastanza indipendenti. Una volta applicata la posi-zione a dita distese sono diventate più facili da suonare. Alla fine que-sto mi ha permesso di suonare a velocità maggiori e con maggior con-trollo. Le Invenzioni di Bach sono dei buoni pezzi da usare per eserci-tarsi a suonare a dita distese.

Un’analisi sulla posizione a dita distese sarebbe incompleta se non in-cludesse alcuni degli svantaggi della posizione ricurva ed il perché sia però necessaria. Questa posizione non è una vera posizione ricurva in-tenzionale, ma una posizione rilassata in cui, per la maggior parte delle persone, c’è una curvatura naturale. Chi ha una posizione rilassata troppo dritta potrebbero aver bisogno di aggiungere una leggera curva-tura per ottenere la posizione ricurva ideale. In questa posizione tutte le dita sono a contatto con i tasti e formano con essi un angolo tra 45 e 90 gradi (il pollice potrebbe formare un angolo in qualche modo mino-re). Ci sono certi movimenti, assolutamente necessari per suonare il pianoforte, che richiedono la posizione ricurva. Alcuni di essi sono: suonare certi tasti bianchi (quando le altre dita stanno suonando i tasti neri), suonare tra i tasti neri ed evitare di colpire il coperchio tastiera con le unghie. Curvare le dita 2, 3 e 4 quando 1 e 5 suonano i tasti ne-ri è necessario per evitare di sbatterli contro il coperchio tastiera, spe-cialmente ai pianisti con mani grandi. La libertà di poter suonare con una quantità di curvatura arbitraria è quindi una libertà necessaria. Uno dei più grossi svantaggi della posizione ricurva è che i muscoli e-stensori non vengono esercitati abbastanza. Questo provoca problemi di controllo dovuti alla maggior potenza dei flessori. Nella posizione a

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dita distese questi muscoli non utilizzati vengono rilassati e non eserci-tati e di fatto i loro tendini si stirano rendendo le dita più flessibili.

La posizione a dita distese è superiore a quella ricurva nella maggio-ranza delle situazioni specialmente per la velocità, il legato, il pianissi-mo, il fortissimo, il rilassamento, la sensibilità e la precisione. La per-cezione errata che questa posizione faccia male alla tecnica nasce dal fatto che potrebbe portare a brutte abitudini legate all’uso sbagliato de-gli insiemi paralleli. Ciò accade perché suonare a dita distese è una semplice questione di tenere le dita dritte e sbatterle giù sul pianoforte suonando insiemi paralleli mascherati da volate veloci ed ottenendo come risultato la mancanza di uniformità. Gli studenti principianti po-trebbero usarla come un modo di suonare velocemente senza sviluppa-re la tecnica. Possiamo evitare questo problema imparando prima la posizione ricurva ed usando correttamente gli insiemi paralleli. Nelle mie numerose comunicazioni con gli insegnanti ho notato che i migliori di essi hanno dimestichezza con l’utilità delle posizioni a dita distese. Questo è specialmente vero nel gruppo di insegnanti la cui linea di in-segnamento riporta a F. Liszt e suggerisce che lui stesso fosse a favore di queste posizioni. La possibilità che Liszt insegnasse la posizione a dita distese è uno dei pochi casi documentati di Liszt che parla di detta-gli tecnici. Di fatto è difficile immaginare l’esistenza di pianisti di livello avanzato che non sappiano usare queste posizioni. Come dimostrazio-ne, la prossima volta che si andrà ad un concerto, o si vedrà un video, si faccia attenzione e si cerchino di individuare queste posizioni a dita distese (completamente piatte, a piramide, a ragno e con la terza falange completamente rilassata) – si scoprirà che ogni pianista formato le usa estensivamente.

È ora abbondantemente chiaro che dobbiamo imparare a trarre van-taggio da più posizioni delle dita possibile. Una domanda naturale da porre è: “Qual è l’ordine di importanza di tutte queste posizioni? Qual è la posizione ‘convenzionale’ da usare più spesso?” La più importante è la posizione a ragno. Il regno degli insetti non ha adottato questa po-sizione senza una buona ragione: ha scoperto, dopo centinaia di milioni di anni di ricerca, che è quella che funziona meglio. Si noti che la diffe-renza tra la posizione a ragno e quella ricurva può essere sottile, molti pianisti che pensano di usare quest’ultima possono di fatto usare qual-cosa che si avvicina ad una posizione a dita distese. La seconda posi-zione più importante è quella piatta perché è necessaria per suonare gli accordi ampi e gli arpeggi. La terza posizione più importante è quella ricurva, quella a piramide è la quarta. Quest’ultima usa un solo musco-

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lo flessore per dito, quella a ragno due e quella ricurva li usa tutti più l’estensore durante la discesa del tasto.

La precedente analisi sulle posizioni a dita ricurve è sostanziale, ma non è per niente completa. In una trattazione più dettagliata dovrem-mo parlare di come applicare la posizione a dita distese ad abilità speci-fiche come il legato o come suonare due note con un dito controllan-done ciascuna individualmente. Il legato di Chopin è stato documen-tato come particolarmente speciale, così come il suo staccato. Que-st’ultimo è collegato alla posizione a dita distese? Si noti che in tutte queste posizioni si può trarre vantaggio dall’effetto elastico di una terza falange rilassata, cosa che potrebbe tornare utile nel suonare staccato. Abbiamo chiaramente bisogno di più ricerca per imparare come usare le posizioni a dita distese. In particolare, c’è controversia sul fatto che si debba suonare principalmente con la posizione ricurva ed aggiunger-le quando necessario, come insegnato da gran parte degli insegnanti, oppure vice versa, come faceva Horowitz e come consigliato qui. La posizione a dita distese è legata anche all’altezza dello sgabello: è più facile suonare con le dita distese se viene abbassato. Ci sono numerosi resoconti di pianisti che scoprivano di poter suonare molto meglio con sgabelli bassi (Horowitz e Glen Gould ne sono esempi). Sostenevano di ottenere miglior controllo specialmente per i pianissimo e la velocità, ma nessuno ha fornito una spiegazione del perché sia così. La mia spiegazione è che una minore altezza dello sgabello ha permesso loro di usare più posizioni a dita distese. Tuttavia non sembra esserci una buona ragione di sedersi troppo in basso, come faceva Glen Gould, perché si può sempre abbassare il polso per ottenere lo stesso effetto.

Riassumendo, Horowitz aveva delle buone ragioni per suonare a dita distese e l’analisi di cui sopra suggerisce che una parte del suo elevato livello tecnico possa essere stata raggiunta usando più posizioni a dita distese rispetto agli altri. Il messaggio singolo più importante di questa sezione è che dobbiamo imparare a rilassare la terza falange del dito ed a suonare con la parte della punta sensibile al tocco. L’avversione, o addirittura la proibizione, di alcuni insegnanti all’uso delle posizioni a dita distese si scopre essere un errore: qualsiasi quantità di curvatura inviterà infatti un qualche grado di paralisi. I principianti devono tut-tavia imparare prima la posizione ricurva perché è necessaria per suo-nare sui tasti bianchi ed è più difficile. Se gli studenti imparassero pri-ma il più facile metodo a dita distese, potrebbero non imparare mai a-deguatamente la posizione ricurva, che è più difficile. La posizione a dita distese è una abilità necessaria per sviluppare la tecnica: è utile per la velocità, per aumentare l’estensione della mano, per suonare più note

III.4 - I MOVIMENTI DELLE MANI E DEL CORPO PER LA TECNICA 117

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con lo stesso dito, per evitare infortuni, per “sentire i tasti”, per il lega-to, per il rilassamento, per suonare pianissimo o fortissimo e per ag-giungere colore. Sebbene la posizione ricurva sia necessaria, l’afferma-zione “per suonare materiale tecnicamente difficile la posizione ricurva è necessaria” è un mito fuorviante. Suonare con le dita distese ci per-mette di usare molte posizioni delle dita utili e versatili. Ora sappiamo come suonare tutti quei tasti neri e non mancare una singola nota! Grazie, Signor Horowitz e Mo Combe.

C) I Movimenti del Corpo Molti insegnanti incoraggiano “l’uso di tutto il corpo nel suonare il pia-noforte” (si veda Whiteside). Cosa significa? La tecnica richiede parti-colari movimenti del corpo? Veramente no: la tecnica è nelle mani e nel rilassamento. Siccome tuttavia le mani sono collegate e sostenute dal corpo, non ci si può semplicemente sedere in una posizione e spera-re di suonare. Quando si suona nei registri alti il corpo dovrebbe se-guire le mani e per avere più equilibrio si potrebbe anche estendere una gamba (se non è necessaria per usare i pedali) nella direzione opposta. Inoltre anche il più piccolo movimento di un dito qualunque richiede l’attivazione di una serie di muscoli che arrivano fino al centro del cor-po (vicino allo sterno) se non fino alle gambe e ad altre parti che lo so-stengono. Il rilassamento è importante tanto nel corpo quanto nelle mani e nelle dita a causa della dimensione dei muscoli coinvolti. Seb-bene quindi la maggior parte dei necessari movimenti del corpo possa-no essere capiti con il semplice buon senso, e non sembrano essere così importanti, sono nondimeno assolutamente essenziali per suonare il pianoforte. Analizziamoli, quindi, perché alcuni di essi potrebbero non essere del tutto ovvi.

L’aspetto più importante è il rilassamento. Lo stesso tipo di rilassa-mento di cui si ha bisogno nelle mani e nelle braccia: si usino solo i muscoli richiesti per suonare e solo per i brevi istanti duranti i quali se ne ha bisogno. Rilassamento significa anche respirazione libera. Se la gola è secca, dopo essersi esercitati rigorosamente, non si sta degluten-do correttamente: un chiaro segno di tensione. Il rilassamento è inti-mamente collegato all’indipendenza di ogni parte del corpo. La prima cosa da fare, prima di considerare qualsiasi movimento utile del corpo, è assicurarsi che le mani e le dita siano totalmente disaccoppiate dal corpo. Se non lo sono, il ritmo andrà a monte e si farà ogni sorta di errori inaspettati. Se, inoltre, non ci si rende conto del disaccoppia-mento del corpo dalle mani ci si chiederà come mai si stanno facendo così tanti strani errori di cui non si riesce a scoprire la causa. Questo

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disaccoppiamento è importante in special modo per suonare a mani u-nite perché l’accoppiamento interferirà con la loro indipendenza. L’accoppiamento è una delle cause degli errori; ad esempio, un movi-mento in una mano crea, attraverso il corpo, un movimento involonta-rio nell’altra. Questo non significa che si possa ignorare il disaccop-piamento del corpo durante lo studio a mani separate, al contrario, du-rante questo lavoro deve essere esercitato il disaccoppiamento consa-pevole. Si noti che disaccoppiare è un concetto semplice e facile da e-seguire una volta imparato, ma è un processo fisicamente complesso. Ogni movimento in una mano produce necessariamente nel corpo una reazione uguale e contraria che si trasmette all’altra mano. Disaccop-piare richiede quindi un impegno attivo: non è semplice rilassamento passivo. Fortunatamente i nostri cervelli sono abbastanza sofisticati al punto da poter carpire facilmente il concetto di disaccoppiamento ed è per questo che deve essere praticato attivamente. Quando si impara una nuova composizione ci sarà sempre un po’ di accoppiamento fin-ché non lo si elimina con la pratica. Il tipo peggiore è quello che si ac-quisisce durante lo studio provando a suonare qualcosa di troppo diffi-cile o studiando sotto stress. Durante gli intensi sforzi richiesti per provare a suonare materiale difficile uno studente può incorporare (specialmente durante lo studio a mani unite) numerosi movimenti non necessari che alla fine, quando la velocità verrà aumentata, interferi-ranno con l’atto di suonare. Alzando la velocità a mani separate la maggior parte di questi errori di accoppiamento a mani unite può esse-re evitata.

Un altro importante uso del corpo è per suonare piano o forte. Si possono generare suoni veramente intensi ed autorevoli solo attraverso l’uso delle spalle. Il corpo dovrebbe inclinarsi in avanti e si dovrebbe usare il peso delle spalle. Il suono viene così prodotto da una massa più grande e questo il pubblico lo riesce a sentire. Tutti noi sappiamo che F = Ma dove “F” è la forza applicata, “M” è la massa del dito, brac-cio, ecc. ed “a” è l’accelerazione della discesa del tasto. Siccome si può umanamente accelerare la punta del dito solo di una certa quantità, è la massa M che determina la forza perché M può essere resa molto gran-de aggiungendo il corpo e le spalle. Si può far andare il martello ad una velocità più alta e con più flessione dello stiletto usando questa maggiore forza in confronto a quella ottenuta utilizzando solo il brac-cio. Un martello che colpisce la corda con più forza e con lo stiletto più flesso sta più tempo su di essa perché deve attendere che la flessione si rilasci prima di poter rimbalzare indietro. La maggior forza comprime di più il feltro e questo contribuisce ad un maggior tempo passato sulla

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corda provocando l’attenuazione delle armoniche più alte (perché han-no più possibilità di sfuggire attraverso il martello) risultando in un to-no più “profondo”. In altre parole, con più massa nella corsa del tasto si trasferisce energia alla corda con maggior efficienza. Una palla da golf che rimbalza ad alta velocità contro un muro di calcestruzzo lasce-rà il muro con praticamente tutta la sua energia cinetica iniziale, questo significa che ne trasferirà poca al muro; verrà anche generato un acuto suono metallico ad alta frequenza. Una pesante palla da demolizione, invece, ha una massa maggiore e sebbene viaggi ad una velocità minore rispetto alla palla da golf, può trasferire energia sufficiente a distruggere il muro; tenderà anche a generare un suono profondo e roboante. An-che se il martello del pianoforte non può cambiare la sua massa, la fles-sione dello stiletto può produrre un effetto simile a quello di una massa maggiore. Proprio per questo motivo gli insegnanti dicono agli studen-ti di “premere a fondo nei tasti” per produrre un suono intenso ed au-torevole. Questo movimento produce la massima massa nella corsa del tasto e la massima flessione dello stiletto del martello. La flessione vie-ne massimizzata fornendo la maggior accelerazione possibile vicino alla fine della corsa del tasto, proprio nel momento in cui lo spingitore vie-ne rilasciato. Se non si “preme a fondo” si tende a fermare l’accelerazione prima di raggiungere fine corsa (questo bisogno di acce-lerare all’impatto è la ragione per cui è importante “continuare il mo-vimento” nel golf). Si noti che la flessione dello stiletto inizia a rila-sciarsi non appena il martello entra in volo libero ancor prima che col-pisca la corda. A causa di questo effetto, i buoni accordatori, quando registrano la meccanica, fanno del loro meglio per minimizzare la di-stanza di scappamento in modo da fornire il massimo controllo del to-no. Se quindi qualche martello si inceppasse nella posizione superiore non ci si arrabbi con l’accordatore, perché ha fatto uno sforzo maggiore (rispetto alla maggior parte dei suoi colleghi) per registrare la meccani-ca “a regola d’arte”, minimizzando la distanza di scappamento. Si con-tinuino a suonare quelle note perché la pelle attaccata al rullino del martello si schiaccerà e le note incominceranno a suonare normalmen-te.

Il corpo viene anche usato per suonare delicatamente perché per poter suonare così è necessaria una struttura ferma e stabile da cui generare quelle piccole forze controllate. La mano ed il braccio da soli hanno troppi movimenti possibili per fare da struttura stabile. La delicata fer-mezza del pianissimo deve emanare dal corpo, non dalla punta delle dita. Inoltre, per poter ridurre il “rumore” meccanico dei movimenti estranei, le dita devono stare il più possibile sui tasti. Toccare i tasti è

120 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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infatti un altro grande riferimento stabile da cui suonare. Una volta che le dita lasciano i tasti si perde questo valido riferimento e possono vagabondare ovunque rendendo difficile controllare con precisione la nota successiva.

III.5 - Suonare (Velocemente) Le Scale e Gli Arpeggi (Fantaisie Impromptu di Chopin; Chiaro di Luna di Beethoven, 3° Mov.)

A) Le Scale Le scale e gli arpeggi sono i passaggi più elementari al pianoforte, no-nostante questo i metodi più importanti per impararli non vengono spesso neanche insegnati! Gli arpeggi sono semplicemente delle scale espanse e possono quindi essere trattati allo stesso modo. Inizieremo quindi prima a parlare in dettaglio delle scale e poi noteremo come re-gole simili si applichino anche agli arpeggi. C’è una differenza fonda-mentale nel come si debba suonare un arpeggio (polso flessibile), rispet-to ad una scala, e una volta imparata gli arpeggi saranno molto più faci-li, anche per le mani piccole.

Ci sono due modi di suonare una scala: il primo è il ben noto metodo del “pollice sotto” ed il secondo è quello del “pollice sopra”. Nel meto-do “pollice sotto” il pollice viene portato sotto la mano in modo da pas-sare il terzo o il quarto dito per suonare la scala. Questa operazione viene facilitata dalla struttura unica del pollice che è situato sotto al palmo. Nel metodo “pollice sopra” la struttura del pollice viene ignorata ed il pollice viene trattato come le altre quattro dita. En-trambi i metodi sono necessari per suonare le scale, ma ognuno in circostanze diverse: il metodo pollice sopra è necessario nei passaggi veloci e tecnicamente difficili ed il metodo pollice sotto è utile nei passaggi lenti, legati o quando alcune note devono essere mantenute mentre ne vengono suonate altre.

Il metodo pollice sotto viene insegnato più spesso probabilmente per: (1) ragioni storiche e (2) perché fino ad un livello intermedio il metodo pollice sopra non è necessario (anche se può essere preferibile). È infat-ti possibile suonare passaggi abbastanza difficili, con uno sforzo ed un lavoro sufficienti, usando il metodo pollice sotto e ci sono eccellenti pianisti professionisti che pensano che questo sia l’unico metodo di cui abbiano bisogno. In realtà, nei passaggi abbastanza veloci, hanno im-parato inconsciamente (attraverso un lavoro molto duro) a modificare il metodo pollice sotto in modo da avvicinarsi al metodo pollice sopra. Queste modifiche sono necessarie perché nelle scale rapide è fisicamen-

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 121

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te impossibile suonare usando il metodo pollice sotto e lo stress diventa inevitabile ad alte velocità. È quindi importante per lo studente iniziare ad imparare il metodo pollice sopra non appena supera la fase di prin-cipiante, prima che l’abitudine pollice sotto si consolidi anche nei pas-saggi che dovrebbero essere suonati pollice sopra.

Molti studenti usano il metodo di suonare lentamente all’inizio per poi aumentare la velocità. Essi si trovano bene usando il pollice sotto a bassa velocità e di conseguenza acquisiscono l’abitudine di usarlo e scoprono, quando arrivano a velocità, di dover cambiare nel metodo pollice sopra. Questo cambiamento può essere molto difficile, frustran-te e può richiedere molto tempo, non solo per le scale, ma anche per qualsiasi passaggio difficile e veloce – un’altra ragione per cui il metodo di alzare la velocità non viene consigliato in questo libro. Il movimento pollice sotto è una delle principali cause dei muri di velocità. Una volta imparato, il metodo pollice sopra dovrebbe venir usato sempre per suonare le scale, tranne quando il metodo pollice sotto non dia risultati migliori. Anche con i metodi insegnati qui si scoprirà che a velocità più basse si può “fare a meno” di alcuni movimenti, ma non lo si può fare a velocità più alte. Mostreremo più avanti come sia facile trovare que-sti movimenti necessari usando gli esercizi per gli insiemi paralleli ed applicandoli alle opportune velocità.

I muscoli principali del pollice, per suonare il pianoforte, sono nell’a-vambraccio, proprio come per le altre quattro dita. Il pollice ha tutta-via altri muscoli nella mano per spostarlo di lato nel metodo pollice sot-to. Il coinvolgimento di questi ulteriori muscoli rende l’operazione bio-logicamente più complessa, rallentando così la massima velocità rag-giungibile. Queste complicazioni e stress ad alte velocità sono anche causa di errori. Alcuni insegnanti sostengono che nelle persone che u-sano esclusivamente il pollice sotto il 90% degli errori origina da esso.

Si possono dimostrare gli svantaggi del metodo pollice sotto osservan-do la perdita di mobilità della posizione ripiegata. Si stirino prima le dita in fuori in modo che siano sullo stesso piano. Si scoprirà che tutte le dita, incluso il pollice, hanno mobilità in su e giù (il movimento ne-cessario per suonare il pianoforte). Si agiti ora il pollice rapidamente su e giù: lo si vedrà muovere verticalmente con facilità di quattro o cinque centimetri (senza ruotare l’avambraccio) e piuttosto rapidamente. Poi, agitandolo sempre alla stessa rapida frequenza, lo si sposti gradualmen-te sotto la mano: nell’andare sotto la mano lo si vedrà perdere mobilità fino ad immobilizzarsi, praticamente paralizzato quando si trova sotto al medio.

122 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Si smetta ora di agitare e si spinga il pollice in giù (senza muovere il polso): si muove! Questo perché ora si sta usando un insieme di muscoli diverso. Si provi poi, usando questi nuovi muscoli, a muovere il pollice su e giù più velocemente possibile – si dovrebbe scoprire che i nuovi muscoli sono molto più goffi e che il movimento in su e giù è più lento di quando lo si agitava tenendolo disteso in fuori. Di conseguen-za, per poter spostare il pollice nella sua posizione ripiegata, non solo si deve usare un nuovo insieme di muscoli, ma questi sono molto più scomodi. L’introduzione di questi goffi muscoli provoca gli errori e ral-lenta la velocità nel metodo pollice sotto. L’obiettivo del metodo polli-ce sopra è eliminare questi problemi. La domanda ovvia è: “Quale prezzo si deve pagare?”

Il metodo pollice sotto funziona bene nelle scale lente e per questo motivo le scale (e gli arpeggi) sono alcuni degli esercizi più abusati nella pedagogia del pianoforte – agli studenti principianti viene insegnato il metodo pollice sotto e spesso mai quello pollice sopra, lasciandoli inca-paci di acquisire la tecnica corretta per volate e arpeggi. Oltre a questo, lo stress inizia misteriosamente a venir fuori quando la scala viene acce-lerata. Ai principianti dovrebbe essere insegnato il metodo pollice sopra non appena sono pronti. Il metodo pollice sopra non è più difficile da imparare del metodo pollice sotto perché non richiede contorsioni late-rali del pollice, della mano, del braccio e del gomito. Non è dannoso insegnare ai principianti prima il metodo pollice sotto e poi quello polli-ce sopra quando ci sarà bisogno di scale più veloci (nei primi due anni di lezioni) perché per un principiante il metodo pollice sotto è più com-plesso e difficile da imparare.

Chiaramente chiunque oltre al livello di principiante deve imparare il metodo pollice sopra per poter evitare il trauma ed il tempo perso nel provare a suonare scale veloci con il pollice sotto. Peggio ancora, lo studente potrebbe finire con un gran numero di pezzi imparati usando brutte abitudini che possono richiedere correzioni laboriose dopo. Il metodo pollice sopra deve essere insegnato agli studenti di talento en-tro sei mesi dalle prime lezioni, non appena padroneggiano il metodo pollice sotto.

Siccome ci sono due modi di suonare le scale, ci sono due scuole di insegnamento su come suonarle. Una è quella del pollice sotto. Oggi-giorno, infatti, viene insegnato solo questo metodo ad una frazione sproporzionatamente grande di studenti perché molti insegnanti privati (che si occupano della maggior parte dei principianti) hanno studenti di livello non avanzato (che non hanno quindi bisogno dell’altro metodo).

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 123

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Molti insegnanti privati non sono neanche a conoscenza del metodo pollice sopra. La scuola del pollice sotto (Czerny, Leschetizky) sostiene che il pollice sotto sia l’unico modo per suonare le scale in legato e che, con sufficiente esercizio, si possa suonare a qualsivoglia velocità. La scuola del pollice sopra (Whiteside, Sandor) sta ora prendendo il so-pravvento ed i seguaci più insistenti proibiscono l’uso del metodo pollice sotto in qualunque circostanza. Si veda la Sezione Riferimenti per al-tro dibattito sull’insegnamento del metodo pollice sopra contro quello pollice sotto. Entrambe le scuole estreme sono sbagliate perché en-trambi i metodi sono necessari.

Gli insegnanti del metodo pollice sopra sostengono che il metodo del pollice sotto sia la ragione della maggior parte delle stecche e che se si fosse studiato ciascun metodo per la stessa quantità di tempo si suone-rebbero scale di gran lunga superiori con il metodo pollice sopra. Sono comprensibilmente irritati dal fatto che gli studenti di livello avanzato, passati loro dagli insegnanti privati, spesso non conoscono il metodo pollice sopra e ci vogliono sei mesi o più solo per correggere ore di re-pertorio imparato nel modo sbagliato. Uno svantaggio di impararli en-trambi è che quando si legge a prima vista il pollice potrebbe confon-dersi e non sapere quale strada scegliere. Questa confusione è una del-le ragioni per cui alcuni insegnanti della scuola del pollice sopra vietano di fatto l’uso del pollice sotto. Consiglio di standardizzarsi al metodo pollice sopra e di usare il pollice sotto come eccezione alla regola. Si noti che Chopin insegnava entrambi i metodi (Eigeldinger, p.37). Im-parare il metodo pollice sopra non è quindi solo una questione di gusti, ma è una necessità.

Cos’è, quindi, esattamente il movimento pollice sopra? Iniziamo ana-lizzando la diteggiatura elementare delle scale. Si consideri la scala di Do Maggiore, mano destra. Iniziamo con la parte più facile, la scala discendente, che viene suonata: 5432132, 1432132, ecc. Siccome il pol-lice è sotto la mano, le dita 3 o 4 vi ruotano facilmente sopra, esso si piega sotto queste dita in modo naturale e questa diteggiatura per la scala discendente funziona bene. Il movimento è simile a quello pollice sotto. Nella scala discendente della mano destra c’è perciò apparente-mente poca differenza tra i metodi pollice sotto e pollice sopra. Do-vremmo fare una leggera, ma critica, modifica a questo per poterlo rendere un vero metodo pollice sopra, tuttavia questa sarà difficile da capire fino a quando non si padroneggerà il metodo pollice sopra. Dobbiamo posporre questa analisi a dopo.

124 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Si consideri ora la scala di Do Maggiore ascendente, mano destra. Viene suonata 1231234, … Nel movimento pollice sopra il pollice vie-ne suonato proprio come le dita 3 e 4: viene cioè sollevato ed abbassato senza movimenti laterali sotto il palmo. Siccome il pollice è più corto delle altre dita lo si può portare in giù quasi parallelamente (e appena dietro) al dito da passare senza sbatterci contro. Nelle scale come il Do Maggiore entrambi il pollice ed il dito che viene passato sono sui tasti bianchi e si accalcheranno necessariamente in qualche modo. Per poter evitare ogni possibile collisione, le dita 3 e 4 devono essere tolte via ra-pidamente non appena il pollice scende. È questa l’operazione da stu-diare per poter suonare una scala fluida pollice sopra. In questo meto-do non è possibile, come nel metodo del pollice sotto, tenere giù le dita 3 o 4 finché il pollice non suona e quest’ultimo non può passare oltre queste dita. Per questa ragione alcuni obiettano il nome pollice sopra perché fuorviante. Quando lo si prova per la prima volta la scala non sarà uniforme e ci saranno “buchi” quando passa il pollice. Il trucco dell’imparare il metodo pollice sopra è ridurre il “buco” tra suonare il dito 3 o 4 ed il pollice in modo che diventi così piccolo da non essere udibile. La transizione deve quindi essere veloce anche se la scala vie-ne suonata lentamente. Migliorando si noterà che può essere utile un rapido colpetto/rotazione del polso/braccio. Potrebbe inizialmente esse-re più facile imparare il movimento pollice sopra suonando staccato. Tratteremo più avanti in modo molto più dettagliato come studiarlo.

La logica dietro al metodo pollice sopra è la seguente: il pollice viene usato come qualsiasi altro dito, non è unico. Il pollice si muove solo su e giù. Questo semplifica i movimenti e, inoltre, la mano, le braccia ed i gomiti non hanno bisogno di contorcersi per accomodarne i movimen-ti. Senza questa semplificazione i passaggi tecnicamente difficili potreb-bero diventare impossibili, specialmente perché sarebbe necessario ag-giungere nuovi movimenti della mano per raggiungere tali velocità e la maggioranza di questi movimenti è incompatibile con il pollice sotto. In questo modo la mano ed il braccio mantengono sempre il loro ango-lo ottimale rispetto alla tastiera e scivolano semplicemente su e giù con la scala. La cosa più importante è che lo spostamento del pollice nella sua posizione corretta è controllato interamente dalla mano laddove nel metodo pollice sotto è lo spostamento composto di mano e pollice che ne determina la posizione. Siccome il movimento della mano è scorre-vole, il pollice viene posizionato con più precisione, rispetto al metodo pollice sotto, riducendo così le note mancate e sbagliate, conferendogli al tempo stesso un miglior controllo del tono. Inoltre la scala ascen-dente diventa simile a quella discendente perché si ruotano le dita sem-

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pre sopra per passare. Questo rende più facile suonare a mani unite perché tutte le dita di entrambe le mani vengono rinnovate. Oltre a questo, il pollice può ora suonare i tasti neri. È grazie al gran numero di semplificazioni, all’eliminazione dello stress causato da un pollice pa-ralizzato e ad altri vantaggi trattati più avanti che vengono ridotti i po-tenziali errori e diventa possibile suonare arbitrariamente veloce. Ci sono certamente delle eccezioni: i passaggi lenti e legati, alcune scale contenenti tasti neri, ecc. vengono eseguiti più comodamente con un movimento simile al pollice sotto. Acquisire la tecnica necessaria al metodo pollice sopra non è automatico: richiederà un certo minimo di studio, altrimenti all’inizio porterà a scale incespicanti. Infatti molti studenti che “sono cresciuti” usando solo il metodo pollice sotto passe-ranno inizialmente un brutto periodo nel provare a capire come qual-cuno possa suonare qualsiasi cosa pollice sopra. Questo è il più chiaro indice del danno fatto dal non impararlo; per questi studenti il pollice non è “libero” nel senso spiegato più avanti. Vedremo che un pollice libero è un dito molto versatile. Non ci si disperi, comunque, perché si scoprirà che tutti gli studenti del metodo pollice sotto sanno già come suonare pollice sopra – è solo che non se ne rendono conto.

Con la sinistra si ha l’opposto della destra: il metodo pollice sopra viene usato nella scala discendente. Se la destra fosse più abile della si-nistra si facciano le esplorazioni necessarie per trovare le maggiori ve-locità pollice sopra usando la destra finché non si decide esattamente cosa fare e si usino poi quei movimenti nella sinistra. In questo modo si potrà risparmiare un sacco di tempo. Prendere l’abitudine di usare la mano migliore per insegnare all’altra è una buona idea. Naturalmente se la sinistra fosse più debole della destra sarà necessario, alla fine, e-sercitarla di più per farla stare al passo. La sinistra deve essere più for-te della destra perché i martelli al basso sono più grandi e le corde sono più massicce: questo rende la meccanica più pesante a velocità maggio-ri.

Analizzeremo ora delle procedure per studiare scale veloci con il me-todo pollice sopra. La scala ascendente di Do Maggiore con la destra consiste negli insiemi paralleli 123 e 1234. Gli insiemi paralleli (si veda la Sezione IV.2) sono gruppi di note che si possono suonare come un “accordo” (tutte insieme). Si usi prima l’attacco ad accordo (si veda la Sezione II.9) o gli esercizi per gli insiemi paralleli (Sezione III.7) per raggiungere un veloce 123, con 1 sul Do4; poi si studi 1231 con il polli-ce che va su e giù dietro al 3 che viene spostato via rapidamente non appena il pollice scende. Gran parte del movimento laterale del pollice si ottiene spostando la mano. L’ultimo 1 in 1231 è la congiunzione ne-

126 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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cessaria della regola di continuità (si veda la Sezione I.8). Si ripeta con 1234, con 1 sul Fa4, e poi 12341 rinnovando l’ultimo 1 appena dietro al 4 e facendolo atterrare sul Do5. Ci si assicuri di suonare queste due combinazioni molto rapidamente e scorrevolmente, completamente ri-lassati. Si suonino le dita 234 vicine ai tasti neri per poter dare al polli-ce più spazio per atterrare. Si colleghino poi i due insiemi paralleli per completare l’ottava. Dopo essere riusciti a farne una, se ne facciano due, eccetera.

Quando si suonano scale molto veloci i movimenti della mano/braccio sono simili (ma non identici) a quelli di un glissando. Si noti che il pollice può essere portato molto vicino al dito da passare (3 o 4) se vie-ne tenuto appena dietro alle altre dita (quasi come nel pollice sotto). Il movimento tipo glissando permette di portare il pollice anche più vici-no al dito appena passato perché tutte le dita da 2 a 5 sono leggermente rivolte all’indietro. Si dovrebbe riuscire a suonare in questo modo un’ottava veloce (circa 1 ottava/secondo, non ci si preoccupi ancora dell’uniformità!) dopo qualche minuto di esercizio. Si pratichi il rilas-samento al punto da sentire il peso del braccio. Una volta abili con il pollice sopra si dovrebbe scoprire che le scale lunghe non sono più dif-ficili di quelle corte e che suonare a mani unite non è così difficile come con il pollice sotto. Questo avviene principalmente perché con il polli-ce sotto le contorsioni (del gomito, ecc.) sono più difficili all’inizio ed alla fine delle scale lunghe (ci sono molte altre ragioni). È importante sottolineare che non c’è mai un vero bisogno di studiare le scale a mani unite e lo studio a mani unite fa più male che bene, finché non si diven-ta piuttosto abili, principalmente perché a questo punto si perde un sac-co di tempo nel farlo. C’è così tanto materiale urgente da studiare im-mediatamente a mani separate che dovrebbe rimanere poco tempo per lo studio a mani unite. Inoltre se ci si chiede: “Cosa ottengo studiando a mani unite?” la risposta è “Quasi nulla”. Gli insegnanti più avanzati (Gieseking) considerano lo studio delle scale a mani unite una perdita di tempo. La capacità di suonare scale grandiose a mani separate è tut-tavia una necessità.

Quando si suonano gli insiemi 123 o 1234 si sollevi il polso (anche leggermente) per poter controllare con precisione l’angolo di fase dell’insieme parallelo. Si passi poi al successivo abbassandolo per suo-nare pollice sopra. Questi movimenti del polso sono estremamente pic-coli, quasi impercettibili all’occhio non allenato, e diventano anche più piccoli all’aumentare della velocità. Si può ottenere la stessa cosa ruo-tando il polso in senso orario quando si suonano gli insiemi paralleli e in senso antiorario quando si abbassa il pollice. Il movimento su e giù

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 127

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del polso è comunque preferibile rispetto alla rotazione perché è più semplice. La rotazione può essere riservata ad altri usi (Sandor). Se si provano ora a suonare diverse ottave potrebbero venir fuori come un’asse per lavare. Si potrebbero impiegare diverse settimane per arri-vare a suonare a mani separate su e giù di continuo delle scale scorre-voli su cinque ottave, forse qualche mese per riuscire a suonare velo-cemente a mani unite, dipende dal proprio livello.

Il modo più veloce di accelerare una scala è suonare una sola ottava. Una volta arrivati a velocità maggiori si ciclino due ottave su e giù di continuo. Ad alta velocità queste brevi ottave sono più utili perché le volate sono più facili da imparare, ma quando la velocità è più alta è più difficile invertirne la direzione all’inizio e alla fine della scala. Nelle volate lunghe non si esercitano spesso le estremità e lo stiramento aggiuntivo del braccio, per raggiungere le ottave più alte/basse, è solo una inutile distrazione dal concentrarsi sul pollice. Il modo per suonare velocemente le inversioni, all’inizio e alla fine, è di farlo con una semplice pressione della mano verso il basso. Per invertire alla fine, ad esempio, si suoni l’ultimo insieme parallelo, la congiunzione ed il primo insieme parallelo tutti in un unico movimento verso il basso. In questo schema la congiunzione viene effettivamente eliminata incorporandola in uno degli insiemi paralleli: uno dei modi più efficaci di suonare una congiunzione veloce – facendola sparire!

Si ricordi il movimento tipo glissando citato prima: le mani, nel glis-sando, sono supine o prone in modo da rivolgere le dita in direzione opposta al movimento della mano. In queste posizioni il movimento di discesa delle dita non è dritto verso il basso, ma ha una componente orizzontale all’indietro che permette alla punta di sostare un po’ di più sui tasti mentre la mano si sposta lungo la tastiera. Questo è partico-larmente utile per suonare legato. In altre parole, se le dita scendessero giù dritte (relativamente alla mano), mentre la mano si sposta, non scenderebbero dritte sui tasti. Ruotando leggermente la mano nella di-rezione del glissando questo errore può essere compensato. Il movi-mento glissando, di conseguenza, permette alla mano di scorrere flui-damente invece di muoversi a scatti. Si può studiare questo movimen-to ciclando una ottava su e giù; la mano dovrebbe ricordare il movi-mento di un pattinatore, con i piedi che calciano di lato ed il corpo che si gira alternativamente mentre avanza. La mano dovrebbe pronare e supinare ad ogni cambio di direzione dell’ottava. La rotazione della mano (l’inverso della posizione tipo glissando) deve precedere il cam-bio di direzione della scala, come nel pattinaggio dove bisogna inclinar-

128 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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si nella direzione opposta prima di poter cambiare direzione di movimento.

Non si prenda troppo alla lettera l’analogia del glissando perché ci so-no delle differenze. Suonando le scale sono le dita a lavorare, è impor-tante quindi tenerle parallele al braccio in modo da non sforzare i ten-dini procurandosi infortuni o stress.

Nella scala discendente della destra pollice sopra si studi l’insieme pa-rallelo 54321 e gli altri insiemi paralleli rilevanti con e senza le loro con-giunzioni. È necessario fare solo piccole modifiche per evitare che il pollice si pieghi completamente sotto la mano mentre l’insieme parallelo successivo ruota sopra al pollice. Si sollevi il pollice prima possibile te-nendo la scala scorrevole alzando e/o ruotando il polso per alzarlo – quasi il contrario di quello che si fa nella scala ascendente. Piegando completamente il pollice sotto il palmo lo si paralizzerebbe e sarebbe difficile da muovere nella posizione successiva. La “leggera modifica” di cui parlavo sopra è proprio questa ed è molto simile al movimento del pollice nella scala ascendente. Per suonare pollice sotto gli deve es-sere permesso di piegarsi completamente sotto il palmo. Siccome que-sto movimento è in qualche modo simile pollice sopra e pollice sotto, ma cambia solo in grado, si può sbagliare facilmente. La differenza assu-me importanza nei passaggi tecnicamente difficili.

Nelle scale ultra veloci (oltre un’ottava al secondo) non si pensi in termini di note singole, ma di unità di insiemi paralleli. Nella destra, dando i nomi A = 123, B = 1234, si suoni AB invece che 1231234, due cose quindi al posto di sette. Per suonare ancora più velocemente si pensi in unità di coppie di insiemi paralleli AB, AB, eccetera. Miglio-rando la velocità ed iniziando a pensare in termini di unità più grandi, la regola di continuità dovrebbe essere cambiata da A1 ad AB1 e poi ad ABA (dove l’ultimo membro è la congiunzione). È una brutta idea so-vra-esercitarsi a velocità che non si riescono a gestire comodamente. Le incursioni alle velocità più alte sono utili solamente per rendere più facile lo studio preciso a velocità leggermente più basse. Si studi quindi per la maggior parte del tempo a velocità leggermente più bassa rispetto a quella massima, in questo modo si guadagnerà velocità molto più ra-pidamente. Non si studi per lunghi periodi alla massima velocità per-ché questo condizionerà le mani a suonare nel modo sbagliato. Non si dimentichi di suonare lentamente almeno una volta prima di cambiare mano o smettere.

Si provi l’esperimento seguente per potere avere un assaggio delle sca-le veramente veloci. Si cicli l’insieme parallelo a 5 dita 54321 per la

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scala discendente della destra secondo lo schema descritto negli esercizi per gli insiemi paralleli. Si noti che con l’aumentare della velocità di ripetizione si avrà bisogno di orientare la mano e di usare una certa quantità di spinta o rotazione per poter raggiungere un suonare paralle-lo più veloce, scorrevole ed uniforme. Si potrebbe aver bisogno di stu-diare la sezione seguente sugli arpeggi per “spinta” e “trazione” prima di riuscire a farlo correttamente. Uno studente di livello intermedio dovrebbe essere in grado di arrivare a più di due cicli al secondo. Una volta riusciti a fare questo rapidamente, a proprio agio e in maniera ri-lassata, si continui semplicemente più in basso di un’ottava alla stessa velocità assicurandosi di suonare pollice sopra. Si è appena scoperto come suonare una volata molto veloce! Quanto veloce la si riesca a suonare dipende dal proprio livello di tecnica e, migliorando, questo metodo permetterà di suonare scale anche più veloci. Non si sovra-esercitino queste veloci volate se iniziano a non essere uniformi perché si potrebbe finire con l’acquisire l’abitudine di suonare non uniforme-mente. Questi esperimenti sono validi principalmente per scoprire i movimenti necessari a tali velocità.

Iniziare a suonare le scale a mani unite se non si è a proprio agio a mani separate non è la cosa migliore. La massima velocità a mani uni-te è sempre più bassa di quella della mano più lenta a mani separate. Si inizi a studiare a mani unite un’ottava, o parte di essa, come insieme parallelo. Studiare per insiemi paralleli la scala di Do Maggiore non è l’ideale perché i pollici non sono sincronizzati – si veda più avanti per una migliore scala da usare (Si Maggiore). Si coltivi l’abitudine di pas-sare ad unire le mani ad una velocità più alta (sebbene potrebbe sem-brare più facile iniziare a bassa velocità e poi aumentare gradualmente). Per far questo si suoni diverse volte un’ottava con la sinistra ad una ve-locità sostenuta e comoda, si ripeta con la destra alla stessa velocità e si uniscano poi alla stessa velocità. Non ci si preoccupi se all’inizio le dita non coincidono con assoluta perfezione. Si facciano prima coincidere le note iniziali, poi quelle iniziali e quelle finali, poi si cicli l’ottava di continuo e infine si lavori per far coincidere ogni nota.

Si supponga di riuscire a suonare a velocità 10 con la destra e 9 con la sinistra. La massima velocità a mani unite potrebbe allora essere 7. Se si vuole aumentare questa velocità a 9 non lo si faccia a mani unite. Lo si faccia aumentando la destra a 12 poi la sinistra a 11. Ora si può au-mentare a 9 la velocità a mani unite. In questo modo si risparmierà un sacco di tempo, si eviterà di acquisire brutte abitudini e di sviluppare stress. In pratica tutta l’acquisizione della tecnica andrebbe condotta a mani separate perché è il modo più veloce e privo di errori. Molti stu-

130 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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denti avranno bisogno di esercitare la sinistra più della destra, un’altra ragione per studiare a mani separate.

Si consideri lo studio della scala di Si Maggiore prima di addentrarsi troppo nella scala di Do Maggiore. Si veda la tabella più avanti per la diteggiatura delle scale. In questa scala solo il pollice ed il mignolo suonano sui tasti bianchi tranne l’ultimo (4) della sinistra. Tutte le al-tre dita suonano sui tasti neri. I vantaggi di questa scala sono i seguen-ti: (1) È più facile da suonare all’inizio, specialmente per chi ha mani

grandi e dita lunghe. Ogni tasto cade sotto ogni dito in modo na-turale, le dita non si affollano mai e c’è un sacco di spazio per cia-scun dito. Per questo motivo Chopin la insegnava ai principianti prima di quella di Do Maggiore.

(2) Permette di esercitarsi a suonare sui tasti neri. I tasti neri sono più difficili da suonare (è più facile mancarli) perché sono più stretti e richiedono grande precisione.

(3) Permette di suonare con le dita distese (meno ricurve) il che po-trebbe essere meglio per suonare legato e per controllare il tono.

(4) In questa scala è molto più facile suonare pollice sopra. Questa è la ragione per cui ho usato la scala di Do Maggiore per illustrare il metodo pollice sopra: con il Si Maggiore è più difficile vedere la dif-ferenza tra i movimenti pollice sotto e pollice sopra. Allo scopo di esercitare i movimenti giusti il Si Maggiore può tuttavia essere su-periore se si capisce già la differenza tra pollice sotto e pollice sopra perché è più facile arrivare a velocità più elevate senza acquisire brutte abitudini.

(5) In questa scala i pollici sono sincronizzati e ciò rende possibile stu-diare a mani unite, insieme parallelo per insieme parallelo. Studia-re a mani unite è quindi più facile rispetto alla scala di Do Maggio-re. Una volta abili in questa scala a mani unite imparare quella di Do Maggiore a mani unite diventa più semplice, facendo così ri-sparmiare un sacco di tempo. Si capirà anche esattamente perché la scala di Do Maggiore è più difficile.

Questo paragrafo è per chi è cresciuto imparando solo il pollice sotto e deve ora imparare il pollice sopra. All’inizio potrebbe sembrare come se le dita si aggrovigliassero e sarà difficile avere una chiara idea di cosa sia il metodo del pollice sopra. La ragione principale di questa dif-ficoltà è l’abitudine a suonare pollice sotto (che deve essere disimpara-ta). La prima cosa ovvia è che non si deve provare ad imparare a mani

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 131

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unite, si studi a mani separate. È una nuova abilità tecnica da imparare e non è più difficile di imparare quella Invenzione di Bach. La migliore notizia di tutte però è che probabilmente si saprà già come suonare pol-lice sopra! Si provi a suonare una scala cromatica molto veloce. Par-tendo dal Do si suoni 13131231313… La posizione a dita distese po-trebbe essere utile qui. Se si riesce a suonare una scala cromatica molto veloce, il movimento del pollice è esattamente lo stesso del pollice so-pra perché è impossibile suonarne una pollice sotto. Si trasferisca ora il movimento alla scala di Si Maggiore, la si pensi come se fosse cromati-ca in cui vengono suonati solo pochi tasti bianchi. Una volta riusciti a suonare Si Maggiore pollice sopra, si trasferisca il movimento alla scala di Do Maggiore. Questa è più difficile perché le dita sono più vicine ed è necessario curvarle di più non potendo usare liberamente la posizione distesa. Potrebbe essere utile girare leggermente all’indentro la mano/il braccio in modo che il pollice sia già in posizione, leggermente più a-vanti rispetto a dove sarebbe se il braccio fosse rigorosamente perpen-dicolare alla tastiera.

L’enfasi in questa sezione è stata sulla velocità perché è qui che risie-dono le difficoltà tecniche e dove il pollice sopra diventa una necessità. Dovrebbe essere sottolineato di nuovo che studiare sempre velocemente e spingere le dita ad andare più veloci è esattamente il modo sbagliato. Si aspetti che le dita vogliano accelerare per conto proprio invece di spingerle. Lo studio ad alta velocità è necessario nel senso che si deve cambiare continuamente velocità. La tendenza è di studiare per troppo tempo con una mano prima di cambiarla. La mano che riposa non si deve raffreddare altrimenti la sua impazienza si dissiperà. Se si studia-no cinque ripetizioni e si cambia mano è di solito meglio suonare più veloce la prima volta e poi rallentare gradualmente o suonare veloce-mente quattro volte e lentamente l’ultima.

Certamente imparare le scale e gli arpeggi pollice sopra è solo l’inizio. Gli stessi principi si applicano a qualunque situazione coinvolga il polli-ce, in qualunque pezzo, ovunque sia ragionevolmente veloce. Una vol-ta padroneggiate scale ed arpeggi queste altre situazioni pollice sopra dovrebbero venire quasi naturali. Affinché questo si sviluppi natural-mente si deve usare, nelle scale, una diteggiatura coerente ed ottimizza-ta, le diteggiature vengono elencate nelle tabelle più avanti.

Chi fosse nuovo al metodo pollice sopra, ed avesse imparato molti pezzi usando il metodo pollice sotto, dovrà tornare indietro a sistemare tutti i vecchi pezzi che contengono volate veloci ed accordi arpeggiati. Idealmente tutti i vecchi pezzi imparati pollice sotto andrebbero ristu-

132 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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diati in modo da allontanarsi da quell’abitudine. È una brutta idea suonare alcuni pezzi (con diteggiature simili) pollice sotto ed altri polli-ce sopra. Un modo di ottenere il cambiamento verso il pollice sopra è di studiare prima le scale e gli arpeggi in modo da essere a proprio agio pollice sopra, poi imparare qualche composizione nuova usando il polli-ce sopra e, dopo circa sei mesi o giù di li, quando si sarà a proprio agio, si potrà iniziare a convertire tutti i propri vecchi pezzi.

È ovvio che abbiamo bisogno di entrambi i metodi pollice sopra e pol-lice sotto, dovrebbero essere considerati gli estremi di due modi diversi di usare il pollice. Ci sono molti altri movimenti intermedi la metà dei quali è più pollice sopra e l’altra metà più pollice sotto. Un vantaggio inaspettato di imparare il metodo pollice sopra è che si diventa molto più bravi a suonare pollice sotto. Questo accade perché il pollice diven-ta tecnicamente più capace: si libera. Si guadagna l’abilità di usare tutti questi movimenti intermedi (tra pollice sotto estremo e pollice sopra e-stremo) che potrebbero essere richiesti a seconda di quali altre note si devono suonare o di che tipo di espressività si vuole creare. Il pollice è ora libero di usare tutti questi movimenti a sua disposizione per con-trollare il tono. Questa libertà, aggiunta alla capacità di suonare ora in modo corretto materiale tecnicamente molto più difficile, è ciò che trasforma il pollice in un dito molto versatile.

Ripetere meccanicamente le scale e gli esercizi è scoraggiato in questo libro. Sviluppare l’abilità di suonare squisite scale ed arpeggi è comun-que di importanza critica per potere ottenere una tecnica molto elemen-tare ed una diteggiatura convenzionale per suonare ordinariamente e per leggere a prima vista. Le scale e gli arpeggi in tutte le tonalità mag-giori e minori dovrebbero essere studiate finché non diventano natura-li, dovrebbero suonare decise ed autorevoli, non intense, ma sicure ed il solo ascoltarle dovrebbe sollevare lo spirito.

Le diteggiature standard delle scale maggiori ascendenti sono: nella destra 12312341 e nella sinistra 54321321 per le scale maggiori di Do, Sol, Re, La, Mi (con rispettivamente 0, 1, 2, 3, 4 diesis); queste diteg-giature saranno abbreviate con S1 e S2, dove S sta per “standard”. I diesis aumentano nell’ordine Fa, Do, Sol, Re, La (il Sol Maggiore ha il Fa#, il Re Maggiore ha il Fa# e Do#, il La Maggiore ha il Fa#, Do# e Sol#, ecc.) e nelle scale maggiori di Fa, Sib, Mib, Lab, Reb, Solb, i be-molli aumentano nell’ordine Si, Mi, La, Re, Sol, Do; ogni intervallo tra note adiacenti è una quinta. Sono quindi facili da ricordare, special-mente per i violinisti. Si guardi la scala maggiore di Si o di Solb in un libro di musica e si vedrà come si allineano i 5 diesis o i 6 bemolli. Due

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 133

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diesis saranno sul Fa e sul Do, tre diesis su Fa, Do, Sol e così via. I bemolli aumentano nell’ordine inverso in confronto ai diesis. Si veda la tabella più avanti per le restanti scale maggiori ascendenti (si inverta la diteggiatura per le scale discendenti).

Scala Diesis/Bemolli Mano Sinistra Mano Destra

Do, Sol, Re, La, Mi

0,1,2,3,4 # S2 = 54321321 S1 = 12312341

Si 5 # 43214321321 S1

Fa 1 b S2 12341231

Sib 2 b 32143213 41231234

Mib 3 b 32143213 31234123

Lab 4 b 32143213 34123123

Reb 5 b 32143213 23123412

Solb 6 b 43213214 23412312 Scale minori (l’ultima colonna indica la nota modificata per la scala mi-nore):

Scala Diesis/Bemolli Sinistra Destra Nota Diversa

La m 0 # S2 S1 Sol#

Mi m 1 # S2 S1 Re#

Si m 2 # 43214321 S1 La#

Fa# m 3 # 43213214 34123123 Mi#

Do# m 4 # 32143213 34123123 Si#

Sol# m 5 # 32143213 34123123 Fa#

Re m 1 b S2 S1 Do#

Sol m 2 b S2 S1 Fa#

Do m 3 b S2 S1 Si

Fa m 4 b S2 12341231 Mi

Sib m 5 b 21321432 21231234 La

Mib m 6 b 21432132 31234123 Re È facile diventare dei fanatici delle scale e degli arpeggi una volta che

si riescono a suonare a qualsiasi velocità (ci vogliono molti anni). La cosa migliore è non usarle come riscaldamento, proprio a causa di que-sta dipendenza. Siamo tutti in qualche modo pigri e, una volta esperti, suonare le scale senza fermarsi richiede relativamente poco impegno mentale – una classica trappola per i cervelli pigri.

D’altra parte non possiamo mai suonarle troppo bene. Quando si studiano si provi sempre a raggiungere qualcosa: una scala più scorre-vole, più delicata, più pulita, più veloce. Si facciano scivolare le mani e

134 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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si facciano cantare la scale, si aggiunga colore, autorevolezza o un aria di eccitamento. Si smetta non appena si inizia a perdere la concentra-zione. Non esiste una velocità massima nel suonare parallelo. Si po-trebbe quindi, in linea di principio, continuare ad aumentare velocità e precisione per tutta la vita – il che può essere anche un po’ divertente e sicuramente creare dipendenza. Se si vuole dimostrare la propria velo-cità ad un pubblico lo si può probabilmente fare con le scale e gli ar-peggi almeno tanto bene quanto con qualsiasi pezzo.

B) Gli Arpeggi Suonare correttamente gli arpeggi è tecnicamente molto complesso. Questo li rende particolarmente adatti ad imparare alcuni importanti movimenti della mano come la spinta, la trazione ed il “movimento a ruota”. Il termine “arpeggio”, come viene usato qui, include gli accordi arpeggiati e le combinazioni di passaggi brevi in arpeggio. Illustreremo questi concetti usando la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven (Terzo Movimento) per spinta e trazione e la Fantaisie Impromptu di Chopin per il movimento a ruota. Si ricordi che la flessibilità delle mani, specialmente al polso, è critica nel suonare gli arpeggi. La complessità tecnica sorge dal fatto che nella maggior parte dei casi questa flessibilità deve essere combinata con tutto il resto: spinta, trazione, movimento a ruota, pollice sotto e pollice sopra. Una nota di attenzione: la Sonata al Chiaro di Luna è difficile a causa della velocità richiesta. Molte composizioni di Beethoven non possono essere rallentate perché sono intimamente legate al ritmo. Questo movimento richiede inoltre di “prendere” comodamente almeno una nona. Chi ha mani più piccole avrà molta più difficoltà ad imparare questo pezzo rispetto a chi ha un’estensione adeguata.

Il Metodo del Movimento a Ruota (Fantaisie Impromptu di Chopin) Per poter capire questo movimento si metta il palmo sinistro sui tasti del pianoforte, con le dita allargate il più possibile (come i raggi di una ruota). Si noti che le punte delle dita dal mignolo al pollice si dispon-gono più o meno a semicerchio. Ora si metta il mignolo sul Do3 paral-lelamente ad esso, si dovrà ruotare la mano in modo che il pollice stia vicino al corpo. Si sposti poi la mano verso il coperchio tastiera in mo-do che il mignolo lo tocchi e ci si assicuri che sia sempre rigidamente aperta. Se l’anulare è troppo lungo e tocca prima si ruoti la mano a sufficienza affinché il mignolo tocchi, ma lo si mantenga più parallelo possibile al Do3. Ora si faccia girare la mano come una ruota in senso

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antiorario (visto da sopra) in modo che ciascun dito tocchi successiva-mente il coperchio tastiera (senza scivolare) finché non si raggiunge il pollice. Questo è il movimento a ruota sul piano orizzontale. Se la propria estensione normale è di un’ottava con le dita distese, si scoprirà che il movimento a ruota ne copre quasi due! Si guadagna dell’esten-sione aggiuntiva perché questo movimento sfrutta il fatto che le tre dita centrali sono più lunghe del mignolo e del pollice. Si ripeta ora lo stes-so movimento con la mano in posizione verticale (dorso parallelo al coperchio tastiera) in modo che le dita siano rivolte in basso. Si inizi con il mignolo verticale e si abbassi la mano per suonare il Do3. Ruo-tandola ora in su verso il Do4 (non ci si preoccupi se è scomodo farlo) ogni dito “suonerà” la nota che tocca. Quando si raggiunge il pollice si scoprirà di nuovo che si è coperta una distanza quasi doppia della pro-pria estensione normale. In questo paragrafo abbiamo imparato tre cose: (1) come “muovere a ruota” la mano, (2) che questo movimento espande l’estensione effettiva senza fare alcun salto e (3) che questo mo-vimento si può usare per “suonare” i tasti senza muovere le dita rispet-to alla mano.

Il movimento a ruota viene usato, nello studio vero, con la mano in una posizione intermedia tra verticale e orizzontale e con le dita leg-germente ricurve. Sebbene questo movimento a ruota aggiunga un po’ di discesa al tasto si dovranno muovere anche le dita per riuscire a suonare. Applichiamo questo metodo agli accordi arpeggiati della sini-stra nella Fantaisie Impromptu di Chopin. Nella Sezione III.2 abbiamo parlato dell’uso del ciclare per studiare la sinistra. Aggiungeremo ora il movimento a ruota: si ciclino le prime 6 (o 12) note della sinistra nella misura 5 (dove la destra si unisce per la prima volta). Invece di sposta-re semplicemente la mano di lato per suonare ciascuna nota si aggiunga il movimento a ruota. Posizionando la mano quasi orizzontalmente praticamente tutta la discesa del tasto deve essere ottenuta con un mo-vimento del dito, se tuttavia si solleva la mano sempre più verso la ver-ticale il movimento a ruota contribuisce alla discesa del tasto e per suo-nare sarà necessario un minore movimento delle dita. Il movimento a ruota è utile specialmente per chi ha mani piccole perché espande au-tomaticamente l’estensione. Questo movimento rende anche più facile rilassarsi perché c’è meno bisogno di tenere molto le dita estese per po-ter raggiungere tutte le note. Questo movimento rilascia anche la ten-sione nel polso perché non si può muovere la mano a ruota con il polso teso. Queste riduzioni di stress rendono la mano più flessibile. Si sco-prirà anche che il controllo aumenta perché i movimenti sono in parte governati dagli ampi spostamenti della mano, questo rende meno di-

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pendenti dal movimento di ciascun dito e dà risultati più omogenei ed uniformi.

Spinta e Trazione I Due Modi Principali di Suonare gli Arpeggi Una delle difficoltà che incontra più comunemente chi impara la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven per la prima volta è nell’arpeg-gio a due mani che conclude il terzo movimento (misure 196-198, questo movimento ha 200 misure). Possiamo dimostrare come dovrebbero essere suonati gli arpeggi illustrando come studiare questo difficile passaggio. Proviamo prima con la destra. Saltiamo, per poter semplificare lo studio, la prima nota della misura 196 e studiamo solo le seguenti quattro note ascendenti (Mi, Sol#, Do#, Mi) che cicleremo. Ciclando, si facciano dei movimenti ellittici della mano in senso orario (visti da sopra). Dividiamo questa ellisse in due parti: la parte superiore è la metà verso il pianoforte e la parte inferiore è la metà verso il proprio corpo. Quando si suona la metà superiore si “spinge” la mano verso il pianoforte e quando si suona la metà inferiore la si “tira” via da esso. Si suonino prima le quattro note durante la metà superiore e si riporti la mano alla sua posizione originale usando la metà inferiore. Questo è il movimento di spinta. Le dita, suonando ciascuna nota, tendono a scivolare verso il pianoforte. Ora facciamo un movimento antiorario della mano e suoniamo le stesse quattro note ascendenti durante la metà inferiore dell’ellisse. Ciascun dito, suonando ogni nota, tende a scivolare via dal pianoforte. Chi non ha studiato entrambi i movimenti potrebbe trovarne uno molto più scomodo dell’altro. I pianisti di livello avanzato dovrebbero trovarli comodi entrambi.

Tutto ciò è valido per l’arpeggio ascendente della destra. Nell’arpeg-gio discendente della stessa mano usiamo le prime quattro note della misura successiva (le stesse note del paragrafo precedente, un’ottava più in alto e nell’ordine inverso). Qui è necessario il movimento di tra-zione per la metà inferiore del movimento in senso orario e la spinta viene usata nella metà superiore del movimento antiorario. Si studino spinta e trazione in entrambi gli arpeggi ascendente e discendente fino a trovarsi a proprio agio. Ora si provino a trovare i corrispondenti eser-cizi per la sinistra. Si noti che questi cicli sono tutti insiemi paralleli e possono quindi essere suonati alla fine estremamente velocemente. Questo è chiaramente il modo più efficiente di arrivare rapidamente a velocità e ne parleremo più in dettaglio più avanti.

III.5 - SUONARE (VELOCEMENTE) LE SCALE E GLI ARPEGGI 137

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Avendo imparato cosa sono i movimenti di spinta e di trazione ci si potrebbe ragionevolmente chiedere: “Perché ne abbiamo bisogno?” Innanzitutto si deve evidenziare che i movimenti di spinta e di trazione usano insiemi di muscoli completamente diversi. Data una specifica applicazione, un movimento deve quindi essere migliore dell’altro. Im-pareremo più avanti che uno è più forte. Gli studenti che non hanno dimestichezza con questi movimenti potranno sceglierne uno a caso o passare da uno all’altro senza neanche sapere di averlo fatto. Questo può portare a stecche inaspettate, stress non necessario o muri di velo-cità. L’esistenza della spinta e della trazione è analoga alla situazione del pollice sopra e pollice sotto. Si ricordi che imparando entrambi pol-lice sotto e pollice sopra si arriva ad utilizzare appieno le capacità del pollice. Ad alta velocità, in particolare, il pollice viene usato in un mo-do che è molto vicino alla via di mezzo tra pollice sotto e pollice sopra; tuttavia, la cosa importante da tenere a mente è che il movimento in-termedio deve essere più verso pollice sopra. Rimanendo anche leg-germente dal lato opposto si incontrerà un muro di velocità. Proprio come spinta e trazione, pollice sotto e pollice sopra usano due insiemi diversi di muscoli.

L’analogia di spinta e trazione con pollice sotto e pollice sopra va an-che oltre perché hanno anch’essi un movimento neutro e proprio come pollice sopra e pollice sotto hanno una gamma di movimenti intermedi. Il movimento neutro si ottiene riducendo a zero l’asse minore dell’ellisse: si trasla cioè semplicemente la mano a destra ed a sinistra senza alcun movimento ellittico. C’è una gran differenza, anche qui, tra arrivare alla posizione neutra dal lato della spinta piuttosto che dal lato della trazione, perché movimenti neutri apparentemente simili (rag-giunti dal lato spinta o da quello trazione) vengono di fatto suonati usando insiemi di muscoli diversi. Mi si lasci spiegare questo con un esempio matematico. I matematici inorridiscono se gli si dice che 0 = 0, anche se a prima vista sembrerebbe corretto. La realtà, tuttavia, ci dice di stare attenti. Questo perché dobbiamo sapere il vero significato di zero; abbiamo cioè bisogno di una definizione matematica. Esso viene definito come il numero 1/N quando ad N è permesso di andare all’infinito. Si ottiene “lo stesso” numero zero sia che N sia positivo sia negativo. 1/0 = +infinito quando N è positivo e 1/0 = -infinito quando N è negativo! Assumendo che i due zero coincidano, l’errore dopo la divisione potrebbe essere grande, in base a quale zero viene usato, quanto due infiniti! In modo simile la “stessa” posizione neutra rag-giunta partendo con il pollice sotto o con il pollice sopra è fondamen-talmente diversa e nella stessa maniera lo sono la spinta e la trazione.

138 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Ovvero, in certe circostanze, è meglio una posizione neutra raggiunta dalla spinta o dalla trazione. Questo è il motivo per cui è necessario impararle entrambe.

Ok, ora abbiamo stabilito che la spinta e la trazione sono entrambe necessarie, ma come facciamo a sapere quando usarle? Nel caso del pollice sotto e del pollice sopra le regole erano chiare: nei passaggi lenti si possono usare entrambi e per certe situazioni particolari di legato è necessario il pollice sotto, in tutte le altre si dovrebbe usare il pollice sopra. Negli arpeggi la regola è di usare i movimenti forti come prima scelta e quelli deboli come seconda. Forte e debole vengono definiti come segue.

Forte: per la destra ascendente si usi la trazione; per la destra discen-dente si usi la spinta; per la sinistra ascendente si usi la spinta; per la sinistra discendente si usi la trazione.

Debole: per la destra ascendente si usi la spinta; per la destra discen-dente si usi la trazione; per la sinistra ascendente si usi la trazione; per la sinistra discendente si usi la spinta.

Alcuni studenti all’inizio potrebbero trovare difficile seguire questa regola a causa del modo in cui hanno studiato precedentemente. Potrebbero, ad esempio, aver imparato un pezzo usando un movimento e cambiarlo in seguito potrebbe non valerne la pena. Ci sono situazioni in cui queste regole dovrebbero essere ignorate. Ad esempio, nella Sonata al Chiaro di Luna, dove entrambe le mani ascendono e discendono insieme, alcuni potrebbero trovare più facile suonare a spinta entrambe le mani o entrambe a trazione invece di suonare una a spinta e l’altra a trazione. La differenza tra i movimenti forti e deboli può essere molto piccola per i pianisti di livello avanzato. Quando si suona molto velocemente i movimenti forti tendono a produrre risultati migliori ed i movimenti deboli sono più soggetti alla sindrome del “mi-gnolo che crolla”.

Qualcuno potrebbe infine porre la domanda: “Perché non suonare sempre neutro – senza spinta né trazione? Oppure impararne solo uno (diciamo solo spinta) e diventare semplicemente bravi in quello?” Dobbiamo ricordarci di nuovo del fatto che ci sono due modi di suona-re neutro in base al fatto di arrivarci dal lato della spinta o dal lato del-la trazione e per applicazioni particolari una è di solito meglio dell’altra. Per quanto riguarda la seconda domanda, si noti che i movimenti forti richiedono entrambi spinta e trazione. Oltre a questo, per poter suona-re bene i movimenti forti si deve sapere come suonare quelli deboli (che si decida di usare spinta o trazione per un particolare passaggio) e

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si dovrebbe quindi sempre studiare anche l’altra. Questo è l’unico mo-do per sapere quale movimento sia il migliore nel proprio caso. Ad e-sempio, studiando questo finale della sonata di Beethoven si dovrebbe scoprire che si progredisce tecnicamente più velocemente nello studiare ciascun ciclo usando entrambi spinta e trazione. La maggior parte de-gli studenti dovrebbe finire per suonare molto vicino al neutro, sebbene alcuni possano decidere di usare movimenti di spinta o di trazione esa-gerati. Si studi questo finale della sonata esercitando prima ciascun ci-clo a mani separate finché non si suona a proprio agio e rilassati alla velocità finale (o più veloce!) Si ricordi che questi sono insiemi paralleli quindi la velocità di solito non è un fattore limitante. Si colleghino poi due cicli, tre, ecc. per costruire gradualmente l’intero finale, prima solo a mani separate poi a mani unite.

C’è molto materiale nuovo in più da studiare in questo terzo movi-mento prima di poterlo suonare a mani unite, quindi, a questo punto, probabilmente non ci sarà bisogno di studiare niente a mani unite ec-cetto come esperimento per vedere cosa si riesce o non si riesce a fare. In particolare, provare a mani unite alle velocità più elevate sarebbe controproducente e non è raccomandabile. Ciclare un singolo ciclo a mani unite può tuttavia essere piuttosto benefico, ma anche questo non dovrebbe essere fatto troppo se non si riesce a suonare in maniera sod-disfacente a mani separate. Le principali difficoltà di questo movimen-to sono concentrate negli arpeggi e negli accompagnamenti albertini (del tipo “Do Sol Mi Sol”) e una volta padroneggiati si è conquistato il 90% del pezzo. Chi avesse capacità tecniche sufficienti dovrebbe rite-nersi soddisfatto di arrivare alla velocità vivace. Una volta riusciti a suonare l’intero movimento a proprio agio a velocità vivace si potrebbe provare a fare uno sforzo verso il presto. Non è probabilmente una coincidenza che nell’armatura di chiave il presto corrisponda al rapido battito cardiaco di una persona molto eccitata. Si noti come l’accompa-gnamento della sinistra della misura 1 suoni proprio come un cuore pulsante.

Dovrebbe essere ormai chiaro che suonare gli arpeggi è tecnicamente molto complesso. Spinta e trazione si applicano anche alle scale e le regole per le scale sono le stesse degli arpeggi (il movimento forte è la prima scelta, ma si dovrebbero studiare entrambi forte e debole). Nelle scale, tuttavia, la differenza tra spinta e trazione è più difficile da illu-strare ai pianisti principianti e per questo motivo li abbiamo mostrati prima usando gli arpeggi. Si noti che entrambi spinta e trazione diven-tano scomodi quando si suona pollice sotto. Questa è un’altra ragione per evitare di farlo. Di fatto, spinta e trazione sono movimenti molto

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elementari e si applicano praticamente a qualunque cosa si suoni, in-clusi gli insiemi paralleli. Studiarli bene e pensare a quale si sta usan-do ogni volta che si suona qualcosa è quindi gratificante. La complessi-tà degli arpeggi sorge dal fatto che si può combinare spinta, trazione, movimento a ruota, pollice sotto, pollice sopra, pronazione e supina-zione in qualunque permutazione. Una incredibile serie di combina-zioni. Senza conoscere le varie componenti e lasciando semplicemente scegliere alla mano il proprio movimento le possibilità di imbroccare la combinazione giusta è praticamente zero. Il risultato è spesso un muro di velocità.

Dobbiamo ora delineare il nostro piano d’attacco per imparare questo movimento. Abbiamo iniziato con la parte più difficile: l’arpeggio a due mani alla fine. Molti studenti avranno più difficoltà con la sinistra che con la destra; perciò, siccome la destra è piuttosto a suo agio, si ini-zi a studiare l’arpeggio di questa mano nelle prime due misure mentre si studia ancora la mano sinistra del finale. Una regola importante per suonare rapidamente gli arpeggi è tenere le dita il più possibile vicine ai tasti, quasi toccandoli. Non si sollevino le dita. Si noti che stiamo cer-cando segmenti brevi da studiare per entrambe le mani, in modo da po-ter alternare rapidamente tra le due. Non si cicli una mano per troppo tempo per il pericolo di farsi male. Si riuscirà a ciclare una mano per tanto tempo dopo un po’ di esercizio; gli effetti degli infortuni, comun-que, a volte non si sentono fino a diversi giorni dopo ed è quindi una buona polizza di assicurazione sviluppare l’abitudine di cambiare spes-so le mani anche se non si sente fatica o dolore.

Il pedale viene usato solo in due situazioni in questo pezzo: (1) alla fi-ne della misura 2 nel doppio accordo staccato ed in tutte le situazioni simili e (2) nelle misure 165-166. Il successivo segmento da studiare è la sezione tipo tremolo della destra che inizia alla misura 9. Ci si assi-curi di aver capito la diteggiatura. Poi viene l’accompagnamento alber-tino della sinistra che inizia alla misura 21 e parti simili per la destra appaiono dopo. L’accompagnamento albertino si può studiare usando gli insiemi paralleli come spiegato a partire dalla Sezione II.8. Il succes-sivo segmento difficile è il trillo della destra alla misura 30. Questo primo trillo viene eseguito meglio usando la diteggiatura 35, il secondo richiede 45. Chi ha mani piccole troverà questi trilli difficili proprio come il finale e dovrebbe quindi studiarli dall’inizio, quando inizia a imparare questo movimento. Queste sono le richieste tecniche essen-ziali di questo pezzo. Una volta riusciti ad imparare queste abilità si potrà suonare l’intero movimento.

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Si inizi a studiare a mani unite dopo aver risolto tutti questi problemi tecnici a mani separate. Non c’è bisogno di studiare usando il pedale finché non si inizia a mani unite. Si noti che le misure 163-164 vanno suonate senza di esso. L’applicazione del pedale alle misure 165-166, darà loro significato. C’è la tendenza a studiare troppo ad alto volume a causa del ritmo veloce. Non solo è musicalmente sbagliato, ma tecni-camente dannoso. Studiare troppo forte può portare a stanchezza ed a muri di velocità: la chiave per la velocità è il rilassamento. Sono le se-zioni p che creano la maggior parte dell’eccitazione. Il ff della misura 33, ad esempio, è solo una preparazione al seguente p e di fatto ci sono molto pochi ff in tutto il movimento. L’intera sezione dalla misura 43 alla 48 viene suonata p portando ad una sola misura, la 50, suonata f. Laddove l’obiettivo durante lo studio a mani separate era di arrivare rapidamente a velocità (o più veloce), studiare lentamente diventa di capitale importanza quando si suona a mani unite. Si studi sempre a mani unite leggermente più lentamente della propria velocità massima, tranne quando si cicla. Si faranno progressi più veloci studiando ad una velocità alla quale le proprie dita vogliono andare più veloci piut-tosto che forzandole a suonare più rapidamente di quanto non riescano. La scelta della velocità di studio a mani separate ed a mani unite è quindi diametralmente opposta: l’obiettivo è la velocità a mani separate e la precisione a mani unite. Non c’è bisogno di spingere per la veloci-tà a mani unite perché (dopo aver studiato correttamente) questa è già stata raggiunta a mani separate. In questo modo la velocità a mani uni-te verrà automaticamente non appena le due mani si coordineranno. Nello studio a mani unite si lavora per la coordinazione, non per la ve-locità.

Infine, dopo aver studiato correttamente, si dovrebbero provare alcu-ne velocità alle quali è più facile suonare velocemente che lentamente. Questo è del tutto naturale all’inizio ed è uno dei migliori segni che la lezione di questo libro è stata imparata bene. Certamente, una volta diventati tecnicamente esperti, si dovrebbe poter suonare a qualunque velocità con ugual facilità.

Il Pollice: Il Dito più Versatile Un Esempio di Procedimento di Studio di Scale/Arpeggi Il pollice è il dito più versatile: ci permette di suonare le scale, gli ar-peggi e gli accordi ampi (se non lo si crede si provi a suonare una scala senza il pollice!) La maggior parte degli studenti non impara ad usare correttamente il pollice fino allo studio delle scale: è quindi importante esercitarsi ad esse prima possibile. Ripetere la scala di Do Maggiore

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più e più volte, o anche includere la scala di Si Maggiore, non è il mo-do corretto di studiare le scale. È importante studiare tutte le scale e gli arpeggi maggiori e minori, esamineremo quindi un esempio di proce-dimento di studio delle scale ed evidenzieremo cosa è necessario fare e quali vantaggi porta.

Qui considereremo solo le scale maggiori, per semplicità, ma si do-vrebbero concepire esercizi simili per quelle minori e per gli arpeggi.

Prima di tutto un ripasso dei fondamentali. Si suoni con la punta del pollice e non con la prima articolazione. Questo lo rende effettivamen-te il più lungo possibile ed è necessario perché è il dito più piccolo dall’articolazione del polso. Tutte le dita devono essere più simili pos-sibile per ottenere una scala scorrevole. Per poter suonare con la punta potrebbe essere necessario alzare leggermente il polso. Si scoprirà che essa è utile ad alta velocità e permette un miglior controllo. Suonare con la punta è assolutamente necessario quando si suonano gli arpeggi e gli accordi. È anche importante coltivare il “movimento glissando” nel quale le dita sono rivolte lontano dalla direzione del movimento della mano. Non si esageri con questo movimento, ne è necessaria solo una piccola quantità. Si suonino tutte le scale pollice sopra, c’è poco bisogno di studiare pollice sotto. Suonare con la punta facilita anche il pollice sopra. Tre ottave è probabilmente un’ottima estensione da stu-diare e la destra dovrebbe essere una o due ottave sopra la sinistra; in altre parole, si scelga un’estensione comoda per ciascuna mano. La po-sizione ottimale del braccio è probabilmente una non perfettamente perpendicolare alla tastiera, ma leggermente rivolta all’indentro per compensare il fatto che il mignolo è corto e per aiutare il movimento pollice sopra. Praticamente tutto il lavoro deve essere fatto a mani se-parate, unire le mani non è necessario, può far perdere un sacco di tempo e dovrebbe essere considerato solo un’opzione interessante da provare ogni tanto. Chi studia le scale sempre a mani unite svilupperà una sindrome da mano forte/mano debole e di solito la destra diventa più forte. L’obiettivo di questi esercizi è di consolidare questi movi-menti e posizioni della mano in modo da farli diventare una parte per-manente di come si suona qualsiasi cosa, è proprio così elementare. Questi sono perciò alcuni dei pochi esercizi che devono essere ripetuti molte volte ogni giorno finché i movimenti e le posizioni saranno tal-mente abituali da non doverci pensare.

Ci sono molti modi di generare tutte le scale, ma il più semplice (ed uno dei più interessanti) è l’uso del ciclo delle quinte. Si inizi con Do Maggiore, la si studi un po’ di volte, poi si salga di una quinta e si studi

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Sol Maggiore, si noterà che ha un diesis. Salendo di un’altra quinta sa-ranno necessari due diesis, eccetera. Ogni volta che si sale di una quin-ta si aggiunge un diesis. Ovviamente se salire di quinta in quinta por-tasse troppo in alto per essere comodi, si scenda di un’ottava. La cosa interessante è che quando si aggiunge un diesis si tengono tutti quelli aggiunti prima, per di più l’ordine in cui compaiono è lo stesso in cui vengono scritti sullo spartito! Il numero massimo di diesis (cinque) porta al Si Maggiore e la successiva scala ha 6 bemolli: Solb Maggiore. Questi bemolli diminuiscono per quinte successive di nuovo nello stes-so modo ordinato fino a tornare a Do Maggiore. In questa maniera il ciclo delle quinte tocca ciascuna scala una e una sola volta in modo or-dinato, proprio ciò che vogliamo.

Si noti che i tasti neri danno alcuni vantaggi speciali. Permettono di suonare con le dita distese. Si può notare una differenza nel grado di controllo in base al fatto che le dita siano incurvate o distese: le dita di-stese possono fornire maggior controllo perché per suonare si abbassa semplicemente il dito; il dito ricurvo deve essere abbassato e disteso leggermente: un movimento più complesso. Siccome il pollice non suona mai sui tasti neri, suonare pollice sopra diventa particolarmente facile quando essi sono di mezzo, sono anche più stretti e richiedono quindi maggior precisione. Si studi tenendo le dita sui tasti, è partico-larmente facile quando ci sono un sacco di tasti neri. Si eserciti il rilas-samento specialmente lasciando le dita sui tasti. Nei pianoforti elettro-nici è difficile tenere le dita sui tasti senza premerli inavvertitamente e questo è uno dei vantaggi dei pianoforti acustici. Inutile dire che una tecnica corretta è sempre essenziale; si presti attenzione, ad esempio, tanto a quando si sollevano le dita quanto a quando le si abbassano sui tasti e si sperimenti con il tono, il colore e qualsiasi altro attributo della musica che si sta suonando. Non si suoni ad alto volume, suonare de-licatamente richiede maggior controllo ed è più vantaggioso. Quando si riuscirà a controllare la propria musicalità in maniera soddisfacente si scoprirà che la velocità c’è già perché la precisione richiesta per la velo-cità è minore del controllo richiesto per la musicalità. Lavorare per la velocità senza musicalità è un buon modo per iniziare ad erigere muri di velocità perché si accumula stress. Può essere comunque molto utile usare gli insiemi paralleli per raddoppiare la velocità (una volta ogni tanto) e vedere quali tipi di movimenti sono necessari. È anche utile usare l’immaginazione per produrre scale musicali: quelle molto lente potrebbero sembrare eserciti in marcia, quelle più veloci il fischio, spo-stato dall’effetto doppler, di un treno che passa.

Si possono ora escogitare procedure di studio simili per gli arpeggi.

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Riassumendo, sebbene non valga la pena usare molti esercizi, le scale e gli arpeggi hanno un posto speciale nell’acquisizione della tecnica pia-nistica: devono far parte del programma di apprendimento di un piani-sta perché servono ad imparare così tante abilità tecniche fondamentali. Questa sezione ha fornito una raccolta piuttosto completa di quelle ne-cessarie.

III.6 - Memorizzare

A) Perché Memorizzare? Le ragioni per imparare a memoria sono così convincenti che sembra stupido provare a giustificare la memorizzazione, ma mi si lasci citare solo qualche esempio. I pianisti di livello avanzato devono suonare a memoria a causa dell’alto livello di abilità tecnica che ci si aspetta da loro. Praticamente tutti gli studenti (incluso chi non si considera un memorizzatore) suonano a memoria i passaggi più difficili. I non-memorizzatori possono aver bisogno dello spartito di fronte come sup-porto psicologico e per avere piccoli indizi qua e là, ma di fatto suona-no i passaggi difficili praticamente completamente dalla “memoria di mano” (se stanno suonando bene, si veda più avanti). A causa di que-sto bisogno di suonare a memoria, memorizzare si è sviluppato in una procedura scientifica che si è intrecciata inseparabilmente con il proces-so di studio del pianoforte. Memorizzare non è solo un ripetere qual-cosa finché non si è in grado di suonarlo senza vedere lo spartito, ma è un processo complesso di creazione, nel cervello, di associazioni con cose che già si conoscono.

Memorizzare è un modo per imparare rapidamente nuovi pezzi. A lungo andare i pezzi tecnicamente significativi si imparano molto più velocemente memorizzando che usando lo spartito. Imparare a memo-ria permette al pianista di iniziare ovunque nel mezzo di un pezzo: è un metodo per recuperare dai blackout e dalle stecche ed aiuta a sviluppa-re una migliore comprensione della composizione. Permette anche di “suonare frammenti” (suonare piccoli estratti da una composizione), una capacità molto utile nelle esecuzioni occasionali, nell’insegnamento e per imparare ad eseguire in pubblico. Una volta memorizzate dieci ore di repertorio, cosa prontamente fattibile, ci si renderà conto dei vantaggi di non doversi portare dietro tutta quella musica e di dover cercare in essa il pezzo o il frammento. Se si volesse saltare da fram-mento a frammento, cercare nella pila di spartiti sarebbe poco pratico. Nei pianoforti a coda il leggio della musica interferirebbe con il suono

III.6 - MEMORIZZARE 145

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impedendo di sentirsi suonare. Questo effetto è specialmente dramma-tico in una sala da concerto o in un auditorium con una buona acustica – il pianoforte non si riesce praticamente a sentire. Memorizzare per-mette soprattutto di concentrarsi al 100% sulla musica. Il pianoforte è un’arte esecutiva e le esecuzioni memorizzate sono più gratificanti per il pubblico perché riconosce come talento aggiuntivo la capacità di memo-rizzare. Memorizzando non è così difficile apparire come quegli artisti geniali invidiati dai non-memorizzatori!

Le gratificazioni di questo libro arrivano perché è un pacchetto com-pleto: il tutto è infatti molto di più della somma delle parti. Memorizza-re è un buon esempio e per poterlo capire diamo un’occhiata agli stu-denti che non memorizzano. Una volta “imparato” un nuovo pezzo, ma non ancora perfezionato, i non-memorizzatori tipicamente lo ab-bandonano e passano al successivo, in parte perché ci vuole così tanto per imparare nuovi pezzi ed in parte perché leggere lo spartito non por-ta ad eseguire pezzi difficili. Gli studenti che non memorizzano, quindi, non imparano mai bene un pezzo. Ora, se fossero in grado di imparare rapidamente, e di memorizzare al tempo stesso, farebbero musica con tutti i loro pezzi finiti per il resto della loro vita! Non stiamo solo par-lando di memorizzare o non memorizzare un pezzo – stiamo parlando di una vita di differenze nel proprio sviluppo artistico e ad ogni occasio-ne che si ha di fare musica. Questa è la differenza tra gli artisti esecu-tori e gli studenti che non hanno mai un pezzo da poter eseguire in pubblico. Solo dopo aver finito un pezzo lo si può iniziare a suonare in modo musicale. È un peccato che gli studenti poco informati si perda-no la parte migliore di ciò che significhi essere un pianista e si perdano l’opportunità di svilupparsi come artisti.

Memorizzare, infine, è un esercizio del cervello e deve sicuramente av-vantaggiarne lo sviluppo in gioventù e svantaggiarne il deterioramento con l’età. Credo che memorizzare musica per pianoforte non solo mi-gliori la memoria nella vita di tutti i giorni, ma ne rallenti la perdita con l’età e migliori anche la capacità di ricordare. Come minimo si impare-ranno alcuni metodi per migliorare la memoria e sviluppare una com-prensione della memoria umana. Si diverrà un “esperto in memoria”, cosa che darà più sicurezza nella propria capacità di ricordarsi le cose.

Ero solito sottoscrivere il “principio di conoscenza minima” secondo il quale meno informazioni si ficcano nel proprio cervello e meglio è. Questa teoria è analoga a quella della memoria di un computer: più co-se confuse si cancellano e più memoria si ha da usare. Ora credo che questo approccio provochi pigrizia ed il complesso di inferiorità di non

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essere buoni memorizzatori. Credo che sia dannoso per il cervello per-ché è come dire che meno muscoli si usano e più forti si diventa perché avanza più energia. Il cervello ha una capacità di memoria maggiore di quanto chiunque possa riempirlo in una vita, ma se non si impara come usarla non si trarranno mai benefici dal suo pieno potenziale. Ho sof-ferto molto per il mio errore precedente: avevo paura di andare a gio-care a bowling perché non riuscivo a tenere i punti a mente come tutti gli altri. Da quando ho cambiato la mia filosofia in quella di provare a memorizzare tutto, la mia vita è migliorata in modo spettacolare. Ora provo a memorizzare anche la pendenza ed il tipo di rimbalzo della pal-la di tutti i campi da golf su cui gioco. Questo può avere un grande ef-fetto sul punteggio. Inutile dire che i corrispondenti vantaggi nella mia carriera al pianoforte sono stati oltre il descrivibile.

La memoria è una funzione associativa del cervello. È quindi prati-camente diametralmente opposta all’analogia con la memoria del com-puter: più si memorizza più diventa facile memorizzare di più. I buoni memorizzatori non sembrano “saturare” mai la loro memoria fino a che i danni dell’età non riscuotono il loro pedaggio. Mettendo più materia-le in memoria, il numero di associazioni aumenta geometricamente e questo dovrebbe migliorare la memoria stessa. Così tutto quello che sappiamo sulla memoria ci dice che memorizzare può solo essere un vantaggio.

B) Chi, Cosa e Quando si può Memorizzare? Chiunque può imparare a memorizzare se gli vengono insegnati i meto-di corretti. Mostrerò qui che combinare la memorizzazione con l’ap-prendimento iniziale di una composizione può ridurre ad una quantità trascurabile il tempo necessario a memorizzare. Di fatto una integra-zione appropriata delle procedure di memorizzazione e di apprendimen-to può ridurre il tempo necessario ad imparare, assegnando in effetti così un tempo negativo al memorizzare. Si scopre che quasi tutti gli e-lementi richiesti per memorizzare sono anche necessari per imparare. Se si separassero questi due processi si finirebbe per dover effettuare la stessa procedura due volte. Ovviamente il miglior momento per memo-rizzare è quando si impara un pezzo per la prima volta.

Tutto ciò significa che si dovrebbe memorizzare proprio qualsiasi pez-zo imparato ne valga la pena. Si guardi alla memorizzazione come ad una conseguenza secondaria del processo di apprendimento di un nuo-vo pezzo, semplicemente perché non c’è modo più veloce di imparare. In linea di principio, quindi, le istruzioni per memorizzare sono banali: si seguano semplicemente le regole per imparare date in questo libro,

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con l’ulteriore requisito che tutto quello che si fa durante queste proce-dure di apprendimento sia fatto a memoria. Ad esempio, mentre si impara un accompagnamento della sinistra misura per misura si memo-rizzi quella misura. Siccome una misura è lunga tipicamente da 6 a 12 note memorizzarla è banale. Sarà poi necessario ripetere questi seg-menti dieci, cento o anche oltre mille volte, in base alla difficoltà, prima di saper suonare il pezzo – molte più ripetizioni di quelle necessarie per memorizzare. Non si può far altro che impararle a memoria!

Abbiamo visto, nelle sezioni I e II, che la chiave per imparare rapida-mente la tecnica è ridurre la musica a sottoinsiemi banalmente semplici; queste stesse procedure rendono banale memorizzare questi sottoinsie-mi. Memorizzare può far risparmiare una tremenda quantità di tempo di studio: non è necessario guardare la musica ogni volta e si può stu-diare un segmento della destra di una sonata di Beethoven e una sezio-ne della sinistra di uno scherzo di Chopin a mani separate e saltare da segmento a segmento come si desidera. Ci si può concentrare sull’im-parare la tecnica senza la distrazione di doversi riferire sempre alla mu-sica. La cosa migliore di tutte è che le numerose ripetizioni necessarie per studiare il pezzo lo fisseranno nella memoria, senza costi aggiuntivi, in un modo che nessuna altra procedura di memorizzazione potrà mai fare. Queste sono alcune delle ragioni per cui memorizzare prima di imparare è l’unico modo. Chiaramente andrebbe memorizzata qualsia-si cosa valga la pena essere suonata.

C) Memorizzare e Mantenere Un repertorio memorizzato richiede due investimenti di tempo: il primo è per memorizzare il pezzo all’inizio ed il secondo è una componente di “mantenimento” per impiantarlo nella memoria in modo permanente e per imparare di nuovo qualunque sezione sia stata dimenticata. La se-conda componente dovrebbe essere di gran lunga la più ampia durante la vita di un pianista. Una qualunque analisi sulla memorizzazione sa-rebbe quindi incompleta senza parlare del mantenimento. Esso, ad e-sempio, limita l’ampiezza del repertorio perché dopo aver memorizzato diciamo da cinque a dieci ora di musica, le esigenze di mantenimento potrebbero precludere, in base alla persona, la memorizzazione di altri pezzi. Ci sono diversi modi di estendere il repertorio oltre il limite di mantenimento. Un modo ovvio è quello di abbandonare i pezzi me-morizzati e di memorizzarli di nuovo dopo se necessario. Si scopre che i pezzi memorizzati sufficientemente bene possono essere richiamati e ri-puliti molto rapidamente anche se non li si è suonati per anni. Quasi come andare in bicicletta: una volta imparato ad andarci ragionevol-

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mente bene non c’è mai bisogno di imparare di nuovo. Parleremo più avanti delle diverse procedure di mantenimento che possono aumenta-re molto il repertorio memorizzato.

Si memorizzino più pezzi possibile prima dei vent’anni. I pezzi impa-rati in questi primi anni non vengono praticamente mai dimenticati e anche se si dimenticassero sarebbero più facili da richiamare. Questo è il motivo per cui si dovrebbero incoraggiare i più giovani a memorizza-re tutto il loro repertorio. I pezzi imparati dopo i quarant’anni richie-dono più impegno di memorizzazione e mantenimento, anche se molte persone non hanno problemi a memorizzare nuovi pezzi dopo i sessan-ta (seppur più lentamente di prima). Si noti la parola “imparare” nelle frasi precedenti: non è necessario che siano stati memorizzati, quei pri-mi pezzi si possono sempre memorizzare dopo con proprietà di riten-zione migliori rispetto a quelli imparati o memorizzati ad un’età più a-vanzata.

Ci sono certamente volte in cui non è necessario memorizzare, come quando si vogliono imparare un gran numero di pezzi facili, special-mente gli accompagnamenti, perché richiederebbero troppo per essere memorizzati e mantenuti. Avendo un repertorio di cinque ore e volen-do studiare solo un’ora al giorno ci vorranno cinque giorni solo per suonarlo tutto una sola volta! Inoltre non si può fare mantenimento suonando una volta sola. I pezzi che si possono leggere a prima vista e suonare bene senza studio sono candidati a non essere memorizzati. Chiaramente i pezzi difficili, che si devono studiare e ristudiare, si pos-sono imparare più velocemente memorizzando; i pezzi facili tuttavia ri-chiederebbero un investimento significativo di tempo per essere memo-rizzati e non sprecando questo tempo si può allargare il proprio reper-torio, specialmente perché si taglia sul tempo di mantenimento. Un’altra classe di musiche che non dovrebbero essere memorizzate è il gruppo di pezzi usati per esercitare la lettura a prima vista. Leggere a prima vista è una capacità distinta e verrà trattata in un’altra sezione. Tutti dovrebbero avere un repertorio memorizzato così come un reperto-rio a prima vista per affinare quest’ultima capacità.

Se si riesce a suonare bene un pezzo, ma non lo si è memorizzato, po-trebbe essere molto frustrante provare a memorizzarlo. A causa di que-sta difficoltà troppi studenti sono convinti di non essere bravi a memo-rizzare. Ciò accade perché una volta in grado di suonare a velocità parte della motivazione dedicata al memorizzare, che deriva dal ri-sparmio di tempo durante l’apprendimento iniziale del pezzo, se n’è andata. L’unica motivazione rimanente è la comodità di eseguire a

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memoria. Un suggerimento che ho da dare a chi pensa di essere un cattivo memorizzatore è di imparare un pezzo completamente nuovo, mai studiato prima, memorizzandolo da subito usando i metodi di que-sto libro. Si potrebbe rimanere piacevolmente sorpresi da quanto si sia bravi a memorizzare. La maggior parte dei casi di “cattiva memoria” deriva dal metodo di apprendimento, non dalla capacità di memoria del cervello. Questo argomento, memorizzatori vs. lettori a prima vi-sta, verrà rivisto alla fine di questa sezione a causa della sua importan-za.

D) Memoria di Mano Una grossa componente della memoria iniziale è la memoria di mano che viene dallo studio ripetuto. La mano va semplicemente avanti a suonare senza che si ricordi veramente ogni nota. Sebbene parleremo nel seguito di tutti i tipi di memoria conosciuti, inizieremo ad analizzare prima la memoria di mano perché chiunque ne fa esperienza ed il pro-cesso di memorizzazione diventa un processo di diversificazione degli altri metodi di memoria. La “memoria di mano” ha due componenti: un movimento di riflesso della mano proveniente dal toccare i tasti e un riflesso nel cervello dovuto al suono del pianoforte. Entrambi ser-vono come indizi alla mano per muoversi in modo pre-programmato. Li uniremo, per semplicità, chiamandoli “memoria di mano”. Mostre-remo più avanti che questa non è la forma di memoria che si vorrà u-sare alla fine, ma è utile perché aiuta a memorizzare quando si studia il pezzo. Non c’è quindi bisogno di evitare consciamente di usarla quan-do si inizia a memorizzare un pezzo nuovo. Una volta acquisita non la si perderà mai e più avanti vedremo come usarla per recuperare dai blackout.

Il meccanismo biologico con il quale le mani acquisiscono la memoria di mano non è del tutto compreso, ma la mia ipotesi è che vengano coinvolte le cellule nervose al di fuori del cervello conscio, come ad e-sempio quelle della colonna vertebrale. Il numero di cellule nervose esterne al cervello è probabilmente confrontabile con il numero di quel-le all’interno. Sebbene i comandi per suonare il pianoforte debbano avere origine nel cervello è piuttosto probabile che i riflessi per suonare rapidamente non percorrano tutta la strada fino a quello conscio. La memoria di mano dovrebbe perciò essere un tipo di riflesso che coinvol-ge molte tipologie diverse di cellule nervose. In risposta al suono della prima nota il riflesso suona la seconda che stimola la terza, eccetera. Questo spiega il perché quando ci si blocca la memoria di mano non aiuta a ripartire a meno di non tornare indietro alla prima nota. Di fat-

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to partire in un qualunque punto è un modo eccellente di controllare se si sta suonano con la memoria di mano o con un metodo di memoriz-zazione di riserva. Siccome la memoria di mano è solo un riflesso con-dizionato, non è vera memoria ed ha parecchi seri svantaggi.

Quando parliamo di memoria di mano solitamente intendiamo la memoria a mani unite. La memoria di mano è una delle memorie più difficili da cancellare o cambiare perché è una memoria dovuta al ri-flesso codificato nelle connessioni tra i nervi. Questa è una delle ragio-ni principali per studiare a mani separate – ossia evitare di acquisire a-bitudini sbagliate a mani unite praticamente impossibili da cambiare. La memoria di mano è quindi chiaramente qualcosa che si vorrà sosti-tuire una volta memorizzato in maniera corretta usando i metodi qui descritti.

La memoria a mani separate è fondamentalmente diversa dalla me-moria a mani unite. Suonare a mani separate è più facile da modificare perché è controllato più direttamente dal cervello. Il segnale deve sem-plicemente passare dal cervello alla mano. Per questo la memoria a mani separate impiega poco tempo a consolidarsi laddove la memoria a mani unite ci mette molto di più ed è quindi dannatamente difficile da cambiare. Nella memoria a mani unite è necessaria una qualche forma di retroazione per poter coordinare le mani (e probabilmente le due metà del cervello) ed ottenere la precisione richiesta dalla musica. La maggior parte di questa retroazione è il suono dal pianoforte, ma il corpo probabilmente usa anche retroazioni tattili e di riflesso. Questo spiegherebbe perché suonare a mani unite è molto più difficile rispetto a suonare a mani separate, specialmente perché non è possibile separa-re la tecnica dalla memoria di mano.

Si noti come non sia possibile fare una netta distinzione tra tecnica e memoria. Un pianista con più tecnica, in generale, può memorizzare più velocemente. Una ragione per cui non si può separare la memoria dalla tecnica è che entrambe sono necessarie per suonare e, a meno che non si sappia suonare, non si può dimostrare né tecnica né memoria. C’è quindi una base biologica più profonda (a parte la semplice conve-nienza di risparmiare tempo) che sottostà al metodo insegnato in questo libro secondo il quale la memoria e la tecnica si devono acquisire con-temporaneamente. Qui stiamo parlando della questione pratica di memorizzare per poter suonare: avere semplicemente una memoria fo-tografica dello spartito non significa che lo si sappia suonare. La me-moria fotografica, proprio per questo motivo, può non essere così utile come potrebbe sembrare come strumento per memorizzare. Quando si

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tratta di suonare materiale tecnicamente difficile anche le persone con memoria fotografica probabilmente finiscono con l’usare la memoria di mano ed il resto.

E) Iniziare Il Processo di Memorizzazione Non ci sono dubbi sul fatto che l’unico metodo veramente efficace per memorizzare sia quello di conoscere la teoria, di fare un’analisi detta-gliata e di avere una profonda comprensione della musica. Con questo tipo di memoria si riuscirà a scrivere l’intero spartito a memoria. La maggior parte degli studenti, tuttavia, non ha questo tipo di formazione musicale avanzata. Descriveremo quindi alcune procedure generali per memorizzare che non dipendono dalla teoria della musica. Ci sono due componenti nel memorizzare: una è la ricetta passo dopo passo e l’altra è il fondamento della memoria, la memoria di mano e la memo-ria fotografica. Parleremo prima della ricetta.

Prima di iniziare a memorizzare si abbia dimestichezza con le sezioni I e II sulla tecnica. Avendo seguito questi metodi si dovrebbe aver me-morizzato la maggior parte del pezzo e si dovrebbe riuscire a suonarlo in maniera soddisfacente. Siccome le procedure di memorizzazione so-no date in spizzichi e bocconi in diverse sezioni del libro sono state qui riunite per chiunque fosse interessato specificatamente alla memorizza-zione, si noterà che la “ricetta” per memorizzare sembra l’insieme, ri-maneggiato, delle procedure per imparare. Si legga la sezione J su co-me instillare memoria permanente prima di studiare questa (in partico-lare i metodi qui descritti si applicano meglio alla “memoria di tastiera” analizzata in quella sezione).

Si inizi a memorizzare dividendo il pezzo in sezioni facili e difficili. “Difficile” significa difficile tecnicamente o difficile da mandare a me-moria. Un sacco di musica di Mozart è, ad esempio, tecnicamente faci-le da suonare, ma spesso diabolicamente difficile da memorizzare bene; si potrebbe quindi riuscire a memorizzarla, durante lo studio, in modo da saperla suonare, ma non si saprà mai quando sfuggirà di mano, spe-cialmente durante le esecuzioni in pubblico. Dei buoni metodi per memorizzare saranno d’aiuto nell’evitare o nel recuperare da tali inci-denti. Si inizino a memorizzare prima i passaggi più difficili. Si me-morizzino dopo le sezioni facili “per divertimento” e secondo i propri gusti. In generale si inizi a memorizzare dalla fine della musica (solo le sezioni difficili) a meno che non ci sia una sezione particolarmente diffi-cile da qualche altra parte. Potrà essere necessario memorizzare misura per misura. Si segua la regola di continuità specialmente quando si memorizzano le frasi. È anche importante seguire la regola riguardo al

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suonare lentamente dopo ogni “sessione” di studio, ci si assicuri perciò di conoscere i dettagli di questa procedura. Si vedano le sezioni H più avanti e II.17 per ulteriori dettagli sul suonare lentamente per migliora-re la memoria. Suonare lentamente prende più tempo quando si me-morizza rispetto a quando si sviluppa la tecnica.

Entrambe le sezioni difficili e facili vengono memorizzate più rapida-mente e più permanentemente a mani separate. Si noti come sia più fa-cile analizzare la struttura e memorizzare a mani separate rispetto a mani unite. “Analizzare” non significa semplicemente scomporre lo spartito in componenti riconoscibili – una tale analisi è adeguata a sco-po di studio e può aiutare a memorizzare a breve termine, ma non sarà utile a ricordare per sempre. Si deve capire la ragione della struttura. Abbiamo ad esempio visto come il Sol# sia una nota chiave nella Fan-taisie Impromptu di Chopin. Questo Sol# diventa un Lab (ancora la stessa nota!) nella sezione lenta a causa del cambio di tonalità. Questa comprensione del ruolo del Sol# rende virtualmente impossibile di-menticarsi come iniziare il pezzo e come iniziare la sezione lenta.

Mi si lasci illustrare l’importanza di capire qualcosa quando la si vuole memorizzare. Supponiamo di voler memorizzare i Dieci Comanda-menti. Sarebbe molto più facile memorizzarne il significato piuttosto che ogni lettera dell’alfabeto con cui sono composti. Allo stesso modo la conoscenza della teoria della musica può fare una gran differenza rispetto a quanto una persona possa memorizzare rapidamente e bene. Inoltre, il modo in cui si ricorda un pezzo dipende dalla velocità. Suo-nando più velocemente si tende a ricordare la musica a livelli di astra-zione più alti. Suonando molto lentamente si deve ricordare nota per nota. Ad alta velocità si penserà in termini di frasi, a velocità ancora più elevate si potrebbe pensare in termini di relazioni tra frasi o di inte-ri concetti musicali. Questi concetti di alto livello sono di solito molto più facili da memorizzare. Durante lo studio lento a mani unite ci si può concentrare su ciascuna nota, pertanto nel cambiare velocità si passerà attraverso modalità di memoria molto diverse.

Durante lo studio a mani separate si può andare a velocità molto alte che forzeranno la mente a vedere la musica sotto una luce diversa. Memorizzare la stessa musica da molte angolature è ciò di cui si ha bi-sogno per memorizzare bene. Studiare a diverse velocità è perciò di grande aiuto alla memoria. Di solito è più facile memorizzare veloce-mente che lentamente perciò quando si incomincia un nuovo pezzo e si riesce a suonarlo solo lentamente non ci si affligga se si hanno delle dif-ficoltà a memorizzarlo, perché all’aumentare della velocità diventa di

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solito più facile. Grazie a questo effetto, alzare la velocità rapidamente usando lo studio a mani separate è il modo più rapido di memorizzare.

Anche riuscendo a suonare facilmente una particolare sezione a mani unite la si dovrebbe memorizzare a mani separate perché ne avremo bisogno dopo. Questa è una delle poche volte in cui le procedure di apprendimento e di memorizzazione differiscono. Se si riesce a suonare facilmente una sezione a mani unite non c’è bisogno di studiarla a mani separate. Se tuttavia si dovesse eseguire il pezzo in pubblico lo si dovrà memorizzare a mani separate perché sarà necessario per recuperare dai blackout, per il mantenimento, eccetera. Questa regola si applica ad esempio a molta della musica di Bach e Mozart, spesso tecnicamente facile, ma difficile da memorizzare. Le composizioni di questi autori sono a volte più difficili da memorizzare a mani separate perché in que-sto modo spesso le note non hanno senso. È esattamente il motivo per cui è necessaria la memoria a mani separate – ci mostra come la musica possa essere traditrice se non la si è allenata prima a mani separate. Se si controlla la memoria, ad esempio provando a suonare da qualche parte nel mezzo, si scoprirà spesso di non riuscire a farlo se non si è memorizzato a mani separate. Descriveremo più avanti come “suona-re” la musica mentalmente (lontano dal pianoforte) faccia parte del processo di memorizzazione, è molto più facile da farsi a mani separate che a mani unite perché la mente non può concentrarsi su due cose allo stesso tempo. Evitare di memorizzare a mani separate, anche le sezioni facili, è quindi quasi impossibile.

La memoria è un processo associativo, non c’è quindi niente di meglio che il proprio ingegno nell’inventare metodi utili di conseguenza più se ne trovano e meglio è. Finora abbiamo visto che unire e separare le mani e suonare a velocità molto diverse sono elementi che si possono combinare in questo processo associativo. Qualsiasi musica si memo-rizzi aiuterà a memorizzare futuri pezzi. La funzione memoria è di gran lunga più complessa di quanto ne sappiamo. La sua complessa natura è la ragione per cui le persone intelligenti sono spesso anche buone memorizzatrici: possono pensare rapidamente ad associazioni utili. Memorizzando a mani separate si aggiungono due processi associativi in più con un’organizzazione molto più semplice. Una volta memoriz-zata una pagina o più la si spezzi in frasi musicali logiche più piccole e si suonino queste a caso; si eserciti, ad esempio, l’arte di iniziare a suo-nare da qualsiasi punto nel mezzo, iniziare a caso dovrebbe essere facile perché si è studiato per segmenti piccoli. È veramente esilarante essere capaci di suonare un pezzo da qualunque punto si voglia e questa ca-pacità non finirà mai di stupire il pubblico.

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Quando si memorizza qualcosa viene prima immagazzinato in una memoria temporanea o a breve termine. Ci vogliono da due a cinque minuti per ottenere un trasferimento alla memoria a lungo termine (quando avviene). Questo è stato verificato innumerevoli volte con dei test sulle vittime di traumi: possono ricordare solo fino a 2÷5 minuti prima dell’incidente traumatico. La memoria inizia a dissolversi, se non c’è rinforzo, dopo il trasferimento alla memoria a lungo termine. Se si ripete un passaggio molte volte in un minuto si acquisisce memo-ria di mano e tecnica, ma la memoria totale non viene rinforzata in modo proporzionale al numero di ripetizioni. Per memorizzare è me-glio aspettare da due a cinque minuti e memorizzare di nuovo. Questa è una delle ragioni per cui si dovrebbero memorizzare diverse cose alla volta durante una sessione. Non ci si concentri quindi su una sola cosa per molto tempo pensando che più ripetizioni possano portare a miglio-re memoria.

Riassumendo, si memorizzi in frasi o gruppi di note e non si provi a memorizzare ogni nota. Più si suona velocemente e più è facile memo-rizzare perché ad alta velocità è possibile vedere molto più facilmente le frasi e la struttura, per questo memorizzare a mani separate è così effi-cace. Molti cattivi memorizzatori, quando incontrano delle difficoltà, rallentano istintivamente e finiscono per provare a memorizzare note singole, esattamente la cosa sbagliata da fare. Essi fanno fatica a me-morizzare non perché hanno cattiva memoria, ma perché non sanno come fare. La vera ragione per cui i cattivi memorizzatori non riescono a memorizzare è che si confondono. Memorizzare a mani unite non è per questo una buona idea: non si può suonare così velocemente come a mani separate e troppo materiale può portare a confondersi. I buoni memorizzatori hanno dei metodi per organizzare il loro materiale in modo che non ci sia confusione. Rallentare e provare a memorizzare note singole provocherà la massima quantità di confusione. Si memo-rizzi in termini di come evolvono i temi musicali o di come la struttura scheletrica venga abbellita per produrre la musica finale.

F) Rinforzare La Memoria Uno degli espedienti più utili per ricordare è il rinforzo. Quando un ricordo dimenticato viene richiamato è sempre ricordato meglio. Molte persone si preoccupano di dimenticare. Il trucco è rigirare questa av-versità in vantaggio. La maggior parte delle persone ha bisogno di di-menticare e memorizzare di nuovo tre o quattro volte prima che qual-cosa venga memorizzato permanentemente. Per riuscire ad eliminare le frustrazioni dovute al dimenticare e per rinforzare la memoria si provi

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a dimenticare apposta, ad esempio evitando di suonare un pezzo per una settimana o più (per poi impararlo da capo) oppure smettendo prima di averlo memorizzato completamente (in modo da dover ripar-tire dall’inizio la volta successiva). Oppure, invece di ripetere sezioni brevi (il metodo usato inizialmente per memorizzare), si suoni l’intero pezzo una sola volta al giorno o diverse volte al giorno a distanza di di-verse ore. Si trovino modi di dimenticare (come memorizzare diverse cose alla volta); si provino a creare dei blackout artificiali: ci si fermi nel mezzo di una frase e si provi a ripartire. Bisogna esercitarsi in cose di questo tipo per poter eseguire in pubblico senza errori e per ridurre il nervosismo.

Memorizzare materiale nuovo tende a far dimenticare qualunque cosa sia stata memorizzata precedentemente. Per questo motivo spendere un sacco di tempo a memorizzare una sezione piccola non è efficace. Sce-gliendo il numero esatto di cose da memorizzare se ne può usare una per controllare “la dimenticanza” delle altre in modo da riuscire a me-morizzare di nuovo ed ottenere una miglior ritenzione. Questo è un esempio di come i memorizzatori esperti riescano ad affinare le loro procedure di memorizzazione.

La frustrazione e la paura di dimenticare possono essere trattate come la paura di affogare. La gente che non sa nuotare ha paura di affogare o di colare a picco. Si può di solito curare questa paura usando la psi-cologia: prima gli si dica di fare un respiro profondo e di trattenerlo, poi li si tenga orizzontalmente sull’acqua a faccia in giù, con entrambi faccia e piedi nell’acqua; si stia loro vicini e li si sostenga con fermezza in modo che si sentano al sicuro (l’uso di un boccaglio sarà d’aiuto per-ché così non dovranno trattenere il respiro); si dica poi loro di nuotare sottacqua e lasciarsi andare. Scopriranno che non possono affondare perché il corpo tende a galleggiare. Sapere di non poter affondare sarà di grande aiuto nell’alleviare la loro paura di affogare. Allo stesso mo-do provando a dimenticare si scoprirà che non è così facile e di fatto si sarà contenti quando si dimenticherà qualcosa perché in questo modo il processo potrà essere ripetuto imparando daccapo più volte per rinfor-zare la memoria. Eliminare la frustrazione causata dal processo natu-rale del dimenticare può mettere la mente a proprio agio e renderla più propensa a memorizzare. Descriviamo ora altri metodi per rinforza-re/reimpiantare la memoria. La cosa certamente più importante è che dimenticare è un processo naturale e dobbiamo sapere che la maggior parte delle persone deve dimenticare e memorizzare da capo diverse volte prima che qualcosa venga memorizzato definitivamente.

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G) Studiare a Freddo Si esercitino “a freddo” (senza scaldare le mani) i pezzi memorizzati; questo è ovviamente più difficile rispetto a studiare con le mani già cal-de, ma esercitarsi sotto condizioni avverse è l’unico modo per rinforza-re la propria capacità di suonare il pezzo. Questa capacità di sedersi semplicemente e suonare a freddo con un pianoforte e in un ambiente non familiari, o solo diverse volte al giorno quando si ha qualche minu-to aggiuntivo, è uno dei vantaggi più utili di aver memorizzato i pezzi. Lo si può fare dovunque lontano da casa quando lo spartito potrebbe non essere disponibile. Si perderebbe un sacco di tempo se si dovesse tutte le volte cercare la musica stampata da suonare a freddo. Eserci-tarsi a freddo prepara a suonare occasionalmente (nei ritrovi, ecc.) sen-za dover suonare l’Hanon per un quarto d’ora prima di poter eseguire in pubblico. Suonare a freddo è un’abilità sorprendentemente facile da coltivare ed è un buon momento per provare quei passaggi troppo dif-ficili da suonare con le mani fredde e per studiare come rallentare o semplificare sezioni difficili. Se si commettesse un errore, o si avesse un blackout, non ci si fermi per tornare indietro, ma si provi a suonare attraverso di esso o almeno a tenere il ritmo o la melodia.

Le prime poche misure, anche dei pezzi più semplici, sono spesso diffi-cili da iniziare a freddo e richiederanno un esercizio aggiuntivo, anche se sono state memorizzate bene. Gli inizi tecnicamente difficili sono spesso i più facili da iniziare a freddo, non ci si faccia perciò trovare impreparati da quella che sembra musica facile. È chiaramente impor-tante studiare a freddo l’inizio di tutti i pezzi. Ovviamente non si parta sempre dall’inizio: un altro vantaggio di memorizzare è che si possono suonare piccoli frammenti ovunque nel pezzo e ci si dovrebbe sempre esercitare a suonarne alcuni (si veda la Sezione III.14 su “Prepararsi Al-le Esecuzioni in Pubblico ed Ai Saggi”).

H) Suonare Lentamente Il modo singolo più importante per rinforzare la memoria è suonare lentamente, molto lentamente, meno di metà della velocità finale. La bassa velocità viene anche usata per ridurre la dipendenza dalla memo-ria di mano e per sostituirla con la “vera memoria” (ne parleremo più avanti). Quando si suona lentamente lo stimolo per richiamare la me-moria di mano viene modificato e ridotto e quello del suono del piano-forte viene anche materialmente alterato. Il più grande svantaggio di suonare lentamente è l’impiego di un sacco del tempo di studio: se si potesse suonare al doppio della velocità si studierebbe il pezzo due vol-te più spesso nello stesso tempo, quindi perché suonare lentamente?

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Per di più può diventare orribilmente noioso. Perché esercitarsi in qualcosa di cui non si ha bisogno quando si suona già a piena velocità? Bisogna veramente avere una buona ragione per giustificare lo studio molto lento. Affinché suonare lentamente ripaghi, si provino ad unire più cose possibile in modo che non sia una perdita di tempo. Solo suo-nare lentamente senza obiettivi ben definiti è una perdita di tempo, si devono consciamente ricercare certi benefici sapendo quali sono. Per-ciò elenchiamone alcuni: (1) Suonare lentamente è sorprendentemente benefico alla buona tec-

nica specialmente per esercitare il rilassamento. (2) Suonare lentamente rinforza la memoria perché dà tempo ai segnali

di viaggiare diverse volte dalle mani al cervello e ritorno prima che vengano suonate le note successive. Se ci si esercitasse a velocità si rinforzerebbe la memoria di mano perdendo la vera memoria.

(3) Suonare lentamente permette di esercitarsi andando avanti men-talmente nella musica che si sta suonando (prossima sezione), que-sto dà più controllo sul pezzo e può anche permettere di anticipare le stecche in arrivo. È questo il momento di lavorare sui salti e su-gli accordi (Sezioni III.7E, III.7F). Si stia sempre una frazione di se-condo avanti e si faccia pratica del sentire i tasti prima di suonarli per garantire il 100% di precisione.

(4) Suonare lentamente è uno dei modi migliori di ripulire le mani dal-le brutte abitudini, specialmente quelle che si potrebbe aver acquisi-to durante lo studio veloce (degenerazione dal suonare veloce).

(5) Si ha ora il tempo, mentre si suona, di analizzare i dettagli della struttura della musica, di prestare attenzione a tutti i segni di e-spressività soprattutto di dedicarsi al fare musica.

Il tempo passato a suonare lentamente sarà veramente proficuo se si riusciranno a combinare tutti i precedenti obiettivi, mantenerli tutti contemporaneamente è veramente così impegnativo che non lascerà spazio alla noia. Associare tutte queste cose alla musica è tutto ciò di cui è fatta una buona memoria.

La raccomandazione di suonare lentamente, almeno una volta, prima di smettere (per acquisire la tecnica) viene ripetuta tante volte in questo libro. Per migliorare la memoria è necessario suonare anche più len-tamente di quando lo si fa per la tecnica.

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I) Tempismo Mentale Quando si suona a memoria è necessario essere sempre mentalmente avanti rispetto a ciò che si sta suonando in modo da poter pianificare prima, avere il completo controllo, anticipare le difficoltà e regolarsi rispetto alle mutevoli condizioni. Ad esempio, si vedrà spesso arrivare una stecca e la si potrà aggirare usando uno dei trucchi trattati in que-sto libro (si veda la Sezione III.9 sul ripulire un pezzo). Se non si pensa avanti non si riuscirà a vedere un errore in arrivo. Un modo di eserci-tarsi a farlo è suonare velocemente e poi rallentare. Suonando veloce-mente si forza il cervello a pensare più rapidamente e, in questo modo, quando si rallenta si è automaticamente avanti nella musica. Non si può pensare avanti finché la musica non è ben memorizzata e quindi provare a farlo migliora e controlla veramente la memoria.

Il modo migliore per suonare molto velocemente, ovviamente, è a mani separate. Questo è un altro suo valido sottoprodotto e si resterà sorpresi all’inizio da quello che suonare veramente veloce può fare al cervello: è una esperienza completamente nuova. Siccome si deve an-dare veramente veloce per poter battere il cervello, queste velocità non si possono raggiungere facilmente a mani unite. In generale si coltivi la capacità di distaccarsi mentalmente dalle note che si stanno suonando e di vagare mentalmente in giro dovunque nella musica mentre si suona una data sezione.

È necessario, infine, disfarsi della dipendenza dalla memoria di mano. Ogni pianista di livello avanzato ha una procedura di memorizzazione specificamente ritagliata su misura per lui. Questa potrebbe coinvol-gere metodi di studio speciali (come trasporre un pezzo o anche scam-biare le parti delle mani). Ci possono essere procedure specifiche per ciascun compositore (si potrebbe suonare Mozart lentamente e Bach delicatamente) e forse anche per ciascun pezzo; queste vengono dette regole particolari. La maggior parte degli studenti di pianoforte non passa abbastanza tempo a studiare e ad esercitarsi in questi metodi per poter conoscere i dettagli delle procedure di memorizzazione avanzate o delle regole particolari. Essi hanno bisogno di iniziare con alcune rego-le generali, che ora esamineremo.

J) Sviluppare La Memoria Permanente Finora abbiamo parlato dei procedimenti per memorizzare, ma non ab-biamo trattato i principi fondamentali sui quali è basata la memoria. Sappiamo che in un calcolatore la memoria è immagazzinata su un di-sco in bit e byte. Cosa fanno gli esseri umani? Memoria di mano a

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parte, la maggior parte della memoria è nel cervello, ma cosa c’è nel nostro cervello conscio che consideriamo memoria? Ci sono almeno cinque approcci fondamentali alla memoria: (1) memoria di mano, (2) memoria musicale, (3) memoria fotografica, (4) memoria di tastiera, (5) memoria teorica. Praticamente tutti usano una combinazione di quasi tutti i tipi di memoria, sceglierne una come principio di memoria più importante è tuttavia una buona idea.

Abbiamo già parlato precedentemente della memoria di mano. Ag-giungiamo ora le altre in modo da avere una memoria più permanente ed affidabile. Sebbene non ci sia bisogno di eliminare la memoria di mano, questa non dovrebbe essere il principio di memoria principale perché è troppo inaffidabile. Il nervosismo e qualunque cambiamento dell’ambiente e della fisiologia del corpo possono modificarla.

La seconda è la memoria musicale nella quale la memoria si basa sulla musica, la melodia, il ritmo, l’espressività, l’emozione, eccetera. Questo approccio funziona al meglio per il tipo di persona musicale ed emotiva che associa forti sensazioni alla musica. Andrà bene anche per chi ha orecchio assoluto perché si potranno trovare le note sul piano-forte dal ricordo della musica. Anche le persone a cui piace comporre tendono ad usare questo tipo di memoria.

Il terzo approccio generale è l’uso della memoria fotografica. Si memorizza l’intero spartito e lo si riproduce e legge mentalmente. An-che chi pensa di non avere memoria fotografica può ottenerla eserci-tandola abitualmente subito dall’inizio quando studia il pezzo. Molte per-sone scopriranno che se sono diligenti in questa procedura dal primo giorno (in cui iniziano con il pezzo) ci sarà solo una media di qualche misura per pagina non memorizzata fotograficamente nel periodo in cui si impara a suonare il pezzo in maniera soddisfacente. Un modo per memorizzare in questa maniera è di seguire esattamente i metodi qui indicati per la tecnica e la memoria, ma allo stesso tempo memorizzare anche fotograficamente lo spartito, mano per mano, sezione per sezione e misura per misura.

Un altro modo per ottenere la memoria fotografica è iniziare a memo-rizzare il profilo generale: ad esempio quante righe ci sono in una pagi-na e quante misure per riga; poi le note per misura, i segni di espressi-vità, eccetera. Si inizi cioè con le caratteristiche grossolane e si aggiun-gano gradualmente i dettagli. Si inizi la memorizzazione fotografica memorizzando una mano alla volta. Si dovrà fare una precisa fotogra-fia della pagine, inclusi i difetti e i segni estranei. Se si facesse fatica a memorizzare certe misure, si disegni qualcosa di insolito (come una

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faccina sorridente o dei propri segni) in modo da scuotere la memoria. La volta successiva che si vorrà richiamare questa sezione si pensi pri-ma alla faccina sorridente.

Un vantaggio della memorizzazione fotografica è che vi si può lavora-re senza pianoforte, sempre e dovunque. Di fatto, una volta acquisita si dovrà leggere mentalmente, lontano dal pianoforte, più spesso possi-bile finché non la si è memorizzata permanentemente. Un altro van-taggio è che se, suonando un pezzo, ci si bloccasse a metà si potrà fa-cilmente ripartire leggendo mentalmente quella sezione. La memoria fotografica permette anche di leggere avanti mentre si suona e questo aiuta a pensare avanti. Un altro vantaggio è che sarà utile per leggere a prima vista.

Il principale svantaggio è che la maggior parte delle persone non rie-sce a ritenere la memoria fotografica per lungo tempo perché il mante-nimento di questo tipo di memoria richiede di solito più lavoro rispetto agli altri metodi. Un altro svantaggio è che immaginare la musica men-talmente e poi leggerla è un processo mentale relativamente lento che può interferire con l’atto di suonare. Così, per la maggior parte delle persone, non è una buona idea usare la memoria fotografica come base principale per la memoria, perché è solo per chi si considera bravo in essa e gli piace coltivarla.

Io non mi alleno consciamente alla memoria fotografica, eccetto per le prime poche misure per aiutarmi a partire. Nonostante ciò finisco con una considerevole memoria fotografica all’inizio, quando sto imparan-do un nuovo pezzo, perché ho bisogno di riferirmi spesso alla musica. Anche per chi non avesse intenzione di acquisire memoria fotografica, è una buona idea ritenere qualsiasi ricordo fotografico si abbia acquisito, vale a dire lo si incoraggi, non lo si butti via. Si potrebbe rimanere sor-presi da quanto e bene rimanga con sé, specialmente continuando a coltivarlo. Io non mi metto pressione per memorizzare fotograficamen-te perché so che finirò principalmente con una memoria di tastiera (a-nalizzata più avanti). È incredibile come si possa spesso fare qualcosa molto meglio se non c’è pressione, io acquisisco naturalmente un bel po’ di memoria fotografica che finisco per tenere a vita. Sicuramente desidererei averlo fatto prima in vita mia perché sarei diventato piutto-sto bravo.

Chi pensa di non avere memoria fotografica potrebbe provare questo trucco: si memorizzi prima un piccolo pezzo con più memoria fotogra-fica che si riesce, ma non ci si preoccupi se è solo parziale, una volta memorizzata ciascuna sezione, la si ritrovi sullo spartito da cui si è im-

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parato il pezzo; si provi cioè ad immaginare la nota corrispondente sul-lo spartito per ciascuna nota che si suona. Siccome si conosce ciascuna parte a mani separate, dovrebbe essere possibile ritrovarla dalla tastiera allo spartito. L’unica cosa necessaria da memorizzare di nuovo in se-guito è dove vadano le note sulla pagina. Si dovrà guardare lo spartito di tanto in tanto per assicurarsi che ciascuna nota sia nella posizione giusta sulla pagina giusta. Si dovrebbero anche ritrovare i segni di e-spressività. Si vada avanti e indietro suonando dalla memoria fotogra-fica e ritrovando dalla tastiera allo spartito finché la fotografia non sarà completa. Si potranno poi stupire i propri amici trascrivendo lo sparti-to dell’intero pezzo, iniziando ovunque! Si noti che si sarà capaci di scrivere l’intera musica, in avanti o all’indietro, o dovunque nel mezzo o anche ciascuna mano separatamente. E pensavano che solo Wolfgang potesse farlo!

Il quarto tipo di memoria è la memoria di tastiera. In questo meto-do, mentre si suona si ricorda la sequenza dei tasti, dei movimenti delle mani e la musica. È come se si avesse un pianoforte mentale e lo si po-tesse suonare. Si dia avvio alla memoria di tastiera memorizzando a mani separate e poi a mani unite. Quando poi si è lontani dal pianofor-te si suoni il pezzo mentalmente di nuovo prima a mani separate. Non è necessario suonare mentalmente a mani unite, specialmente se lo si trova troppo difficile, perché quando si suona dal vero si può vedere una sola mano alla volta. Quando si suona mentalmente, lontano dal pianoforte, si prenda nota di quali sezioni sono state dimenticate e le si memorizzino di nuovo la volta successiva oppure si vada alla musica o al pianoforte per rinfrescare la memoria. Si potrebbe provare la memo-ria fotografica per quelle parti che si tende a dimenticare usando la memoria di tastiera. Si noti che suonare lontano dal pianoforte è diffi-cile non solo perché bisogna aver memorizzato, ma anche perché non si ha la memoria di mano o il suono del pianoforte come aiuto.

La memoria di tastiera ha molti dei vantaggi della memoria fotografi-ca, ma ha il vantaggio aggiuntivo che le note memorizzate sono i tasti del pianoforte invece che girini su un foglio di carta: non si deve perciò tradurre dai girini ai tasti. Questo permette di suonare con meno sfor-zo rispetto alla memoria fotografica perché non c’è bisogno di passare attraverso il maldestro processo di leggere la musica. I segni di espres-sività non sono segni sulla carta, ma concetti musicali mentali (memo-ria musicale). La memoria di tastiera si migliora da sé naturalmente ogni volta che si studia, un altro vantaggio rispetto alla memoria foto-grafica. Si può ripetere senza il pianoforte e si può suonare avanti pro-prio come con la memoria fotografica.

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La cosa più curiosa che ho notato quando ho iniziato ad usare con-sciamente la memoria di tastiera è stata la tendenza a commettere gli stessi errori ed a bloccarmi negli stessi punti di quando ero veramente al pianoforte! Dopo aver riflettuto, tutto ciò ha senso perché tutti gli errori hanno origine nel cervello che ci sia il pianoforte o meno. Il pia-noforte non fa mai errori, sono io a farli. Dico questo perché suggeri-sce che potremmo riuscire ad esercitare ed a migliorare certi aspetti del suonare il pianoforte studiando nelle nostre teste, senza di esso. Que-sto sarebbe il vero ed unico vantaggio della memoria di tastiera! Molti dei suggerimenti per memorizzare dati in questo libro si applicano al meglio alla memoria di tastiera, un altro dei suoi vantaggi.

Chi sta studiando il canto a prima vista e l’orecchio assoluto (Sezioni 11 e 12 più avanti) trarrà grande aiuto all’ulteriore sviluppo di queste abilità suonando mentalmente. Il metodo della tastiera consiste nel vi-sualizzarla e questo aiuta a trovare il tasto giusto nell’orecchio assoluto. Chiunque fosse quindi interessato ad usare questo metodo di memoriz-zazione potrebbe considerare anche lo studio del canto a prima vista e dell’orecchio assoluto. Questo è un eccellente esempio di come impa-rare un’abilità (memorizzare) aiuti ad impararne molte altre ed è senza dubbio uno dei modi in cui i geni sono finiti per essere quello che so-no/sono stati.

Tutti dobbiamo infine cercare di usare più memoria teorica possibi-le. Questa include cose come l’armatura di chiave, il tempo, le caden-ze, l’armonia, eccetera. La vera memoria non si può sviluppare senza una comprensione delle basi teoriche di una particolare composizione. Sfortunatamente, la maggior parte degli studenti di pianoforte non ri-ceve una formazione sufficiente per eseguire una tale analisi. Questa può tuttavia essere rimpiazzata da un’analisi strutturale che può rag-giungere scopi simili. Ogni composizione ha una struttura: di solito un inizio, un corpo ed un finale. Il tema principale è di solito introdotto all’inizio, sviluppato nel corpo e portato al climax nel finale. Questa analisi strutturale rivelerà le varie componenti e come queste si combi-nano per creare la musica.

K) Il Mantenimento Molti dei metodi usati per ripulire un pezzo finito sono applicabili al mantenimento della memoria. Una delle attività noiose del manteni-mento è il recupero delle sezioni dimenticate. Se si dimenticasse una se-zione ci si potrebbe esercitare usando la memoria di mano per recupe-rarla e per vedere se questo metodo (l’uso della memoria di mano) fun-ziona. Si suoni ad alto volume e leggermente più velocemente per in-

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coraggiarla. Personalmente, usare la memoria di mano per recuperare durante un’esecuzione non funziona in modo abbastanza affidabile per valerne la pena e quindi la uso per recuperare solo durante lo studio, quando sono troppo pigro per cercare lo spartito. La miglior prepara-zione per recuperare dalle stecche durante le esecuzioni in pubblico è lo studio a mani separate, come approfondito più avanti. Il momento del mantenimento è un buon momento per rivedere lo spartito e controlla-re la propria precisione sia per le singole note sia per i segni di espres-sività.

Un altro compito noioso di mantenimento è quello di assicurarsi di ri-cordare ancora a mani separate. Questo può diventare un vero impe-gno per i pezzi principali, ma ne vale la pena perché non si vorrà sco-prire di averne bisogno durante un’esecuzione in pubblico. Si noti che queste sessioni di mantenimento a mani separate non sono utili solo al-la memoria. Questo è il momento di provare cose nuove suonando molto più velocemente della velocità finale e generalmente ripulendo la tecnica. Suonare estensivamente a mani unite introduce spesso errori di tempismo ed altri errori inaspettati ed è questo il momento di aggiu-starli. Suonare a mani separate sia per la memoria sia per migliorare la tecnica è quindi un tentativo che vale la pena fare. È uno dei mi-gliori momenti per usare il metronomo e controllare la precisione del ritmo e del tempo sia a mani separate che unite.

Il procedimento di mantenimento della memoria più efficace è quello di suonare il pezzo mentalmente, lontano dal pianoforte. Chi possiede memoria fotografica dovrebbe immaginarsi l’intero spartito. Quelli con memoria di tastiera suoneranno davvero il pianoforte mentalmente. Torna utile quando si sta imparando inizialmente un pezzo: si prenda l’abitudine di suonarlo mentalmente ogni volta che se ne trova il tempo (a letto prima di addormentarsi o quando ci si sveglia al mattino, ecce-tera). Serve anche come vero controllo se lo si è veramente memoriz-zato o se lo si suona semplicemente dalla memoria di mano. Come nel-la memorizzazione, per la maggioranza delle persone è troppo tardi ini-ziare a “suonare mentalmente” se si sa già suonare il pezzo (con l’aiuto dello spartito). Suonare mentalmente dall’inizio diventa un procedi-mento facile, quasi naturale, e non è così difficile come potrebbe sem-brare a prima vista. Con un po’ di pratica si riuscirà a suonare men-talmente a velocità accecante, così da non essere una faticaccia che por-ta via molto tempo. Inoltre, in realtà, suonare veloce mentalmente aiu-ta a suonare più velocemente sul pianoforte.

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La cosa importante per avere una buona memoria è che non si do-vrebbe smettere di “suonare mentalmente” dopo aver memorizzato com-pletamente il pezzo. C’è solo bisogno di farlo ogni tanto per mantener-lo, quindi non dovrebbe essere una gran perdita di tempo.

Una eccellente verifica della vera memoria è provare a suonare il pez-zo iniziando in un punto arbitrario. La maggior parte dei pianisti non sarà in grado di iniziare semplicemente ovunque, come a metà di una frase. Si dovrebbero provare a scoprire più punti di inizio possibile. Questi sono di solito gli inizi dei segmenti brevi usati per imparare il pezzo. Dopo aver spezzato una composizione in queste frasi, si provi a suonarlo al contrario iniziando dall’ultima frase e andando verso l’ini-zio. Spesso nel far questo si scopriranno molte interessanti relazioni strutturali che prima non erano state notate.

Spero che il lettore afferri il messaggio che memorizzare e suonare un repertorio sostanziale (da cinque a dieci ore) è molto più gratificante di perdere tempo negli esercizi per le dita come l’Hanon. Se coloro che studiano un sacco di esercizi usassero lo stesso tempo per mettere su un repertorio, potrebbero alla fine averne uno piuttosto esteso e migliorare anche la tecnica e la capacità di eseguire in pubblico.

Il mantenimento è necessario anche dopo aver memorizzato un nuovo pezzo, perché memorizzare nuovi pezzi fa dimenticare quelli vecchi. Ovvero, dopo aver messo un’altra tacca sulla cintura con un nuovo pezzo, si torni indietro a quelli vecchi per vedere se sono ancora a po-sto. Si possono identificare in questo modo quelle composizioni, come le musiche di Bach o di Mozart, che potrebbero richiedere più mante-nimento di altre. Questa consapevolezza può alleviare un sacco di fru-strazione e senza di essa una persona che notasse di aver dimenticato alcuni vecchi pezzi, dopo averne memorizzati di nuovi, potrebbe chie-dersi se sia accaduto qualcosa alla memoria. Non si preoccupi – questo è un fenomeno comune e naturale.

Si dovrebbe scoprire che le composizioni memorizzate usando i meto-di di questo libro sono memorizzate molto meglio di quelle studiate u-sando i metodi intuitivi, non importa da quanti anni si suonino. Se si vuole migliorare la qualità della memoria di questi vecchi pezzi (studiati usando i metodi intuitivi) si dovrà tornare indietro ed impararli di nuovo a mani separate, eccetera. Questo è piuttosto gratificante dal punto di vista di scoprire gli errori, di migliorare la tecnica e di miglio-rare la memoria. Per le composizioni difficili non c’è altra scelta che imparare di nuovo entrambe le mani separatamente, ma per i pezzi più

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semplici si potrebbe riuscire studiando di nuovo solo una mano, di soli-to la più difficile, di solito la destra. Riassumendo, il mantenimento ha le seguenti componenti: (1) Si controlli con lo spartito la precisione di ogni nota e di ogni segno

di espressione. (2) Ci si assicuri di suonare l’intero pezzo a mani separate. Si potrebbe

suonare a mani separate molto velocemente per ripulire la tecnica. (3) Ci si eserciti ad iniziare da punti arbitrari nel pezzo. Questo è un

eccellente modo di verificare la memoria e la propria comprensione della struttura della composizione.

(4) Si suoni lentamente. Non c’è modo migliore per migliorare la me-moria.

(5) Si suoni “a freddo”. Rafforzerà molto le proprie capacità di esegui-re in pubblico.

(6) Si suoni “mentalmente” almeno a mani separate. Se viene fatto quando si impara inizialmente un pezzo e quando lo si mantiene è sorprendentemente facile. I vantaggi che ne derivano ne valgono veramente la pena.

(7) Per i concerti in arrivo si segua la procedura dettagliata analizzata nella Sezione III.14

L) Lettori a Prima Vista vs. Memorizzatori: Imparare le Invenzioni di Bach

Molti bravi lettori a prima vista e molti bravi memorizzatori sono bra-vi a fare una cosa ma non l’altra. Questo problema sorge perché i buoni lettori a prima vista scoprono inizialmente di aver poco bisogno di memorizzare e si gustano la lettura finendo, in tal modo, per eserci-tarsi a leggere a prima vista a spese del memorizzare. Più suonano a prima vista e di meno memoria hanno bisogno; meno memorizzano e peggiori memorizzatori diventano, con il risultato che un giorno si ri-svegliano e concludono che non sono capaci di memorizzare. Certa-mente ci sono lettori dal talento naturale che hanno veri problemi di memoria, ma questi sono una minoranza trascurabile. La difficoltà a memorizzare sorge quindi principalmente a causa di un blocco mentale psicologico. I buoni memorizzatori possono far esperienza del proble-ma inverso: non riescono a leggere a prima vista. Molti memorizzatori però diventano cattivi lettori perché sono talmente bravi a suonare a memoria o ad orecchio che non si sono mai dati l’opportunità di eserci-tarsi alla lettura. Questo tuttavia non è un problema simmetrico perché

166 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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praticamente tutti i pianisti di livello avanzato sanno come memorizzare e ciò indica che i cattivi memorizzatori hanno anche la sfortuna di non aver mai imparato a memorizzare ed acquisire rapidamente la tecnica difficile; ossia il livello tecnico dei cattivi memorizzatori è generalmente più basso di quello dei buoni memorizzatori.

“Leggere a prima vista” viene usato in questa sezione in maniera lasca con il significato di vero leggere a prima vista, così come di suonare la musica con l’aiuto dello spartito. Non è importante qui la distinzione tra leggere a prima vista uno spartito che non si è mai visto prima e leg-gere un pezzo che è già stato suonato. Per brevità questa distinzione sarà lasciata al contesto in cui si trova il termine.

Memorizzare, come leggere a prima vista o come la tecnica al piano-forte, richiede non solo una conoscenza di come farlo, ma anche un minimo di dedizione e regime di studio. È più importante essere capaci di memorizzare che di leggere a prima vista, perché si può sopravvivere come pianista senza quest’ultima, ma non si può diventare un pianista di livello avanzato senza la capacità di memorizzare.

Memorizzare non è facile per il pianista medio che non è stato allena-to alla memorizzazione. Chi suona a prima vista e non riesce a memo-rizzare è di fronte ad un problema ancora più difficile. Pertanto i catti-vi memorizzatori che desiderano acquisire un repertorio memorizzato devono farlo iniziando con l’atteggiamento mentale che si tratta di un progetto a lungo termine con numerosi ostacoli da superare. La solu-zione, come mostrato precedentemente, in linea di principio è semplice: si renda abituale la memorizzazione di tutto prima di imparare il pezzo. Studiando, la tentazione di imparare rapidamente leggendo lo spartito è spesso troppo irresistibile. La ragione principale del perché chi suona a prima vista diventi un cattivo memorizzatore è questa tendenza a ricor-rere alla lettura e non la mancanza della capacità di memorizzare.

Il problema più difficile incontrato da chi legge a prima vista è il pro-blema psicologico della motivazione. Memorizzare sembra, ai buoni lettori, una perdita di tempo perché leggendo possono imparare rapi-damente a suonare ragionevolmente bene molti pezzi. Potrebbero an-che riuscire a suonare pezzi difficili usando la memoria di mano e se dovessero avere un blackout potrebbero sempre riferirsi alla musica di fronte a loro. Possono quindi cavarsela senza memorizzare. Diventa molto difficile, dopo anni di studio del pianoforte in questo modo, im-parare a memorizzare perché la mente è diventata dipendente dallo spartito. I pezzi difficili sono impossibili con questo sistema e vengono perciò evitati in favore di un gran numero di composizioni più facili.

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Con questa consapevolezza delle potenziali difficoltà, proviamo ad e-saminare un tipico programma per imparare a memorizzare.

Il modo migliore per iniziare è memorizzare un po’ di pezzi brevi. Questi dovrebbero essere nuovi, mai studiati prima. Una volta memo-rizzati con successo alcuni di essi senza troppo sforzo, si potrà iniziare a sviluppare la sicurezza di sé ed a migliorare la capacità di memorizzare. Quando questa abilità sarà abbastanza sviluppata si potrà anche pensa-re di memorizzare vecchi pezzi imparati leggendo.

Un pezzo “breve” significa qualcosa tra le due e le quattro pagine. Un pezzo del genere può essere cominciato dall’inizio progredendo se-zione per sezione fino alla fine. Si inizi analizzando la struttura del pezzo. I buoni lettori hanno qui un vantaggio perché per loro sono consuete frasi e serie di note che appaiono spesso insieme e quindi sono bravi ad analizzare le microstrutture. Si memorizzi frase per frase, co-me descritto precedentemente (mani separate, regola di continuità, ecc.) Man mano che ciascuna frase successiva viene memorizzata la si suoni solo a memoria. Non appena si memorizza una frase non si guardi di nuovo la musica, a meno che non sia necessario. Questo è ovviamente l’intero presupposto del metodo. Non ci si preoccupi se non si riesce a suonare in modo soddisfacente, si pensi prima solo a memorizzare.

Si memorizzi l’intero pezzo a mani separate prima di provare anche a mani unite. Si inizi a mani unite solo dopo essere molto a proprio agio a mani separate con tutto il pezzo. Si lavori per frasi piccole, di due fi-no a dieci misure. Si inizi ogni sessione di studio suonando a mani se-parate e si passi poi a mani unite finché non le si trovano comode. Memorizzare diventa più facile all’aumentare della velocità. Sarà anche necessario studiare a mani unite molto lentamente. La cosa importante è variare la velocità. Se si cominciasse a confondersi, si torni a mani separate e non si continui a lottare a mani unite. Si scoprirà che suona-re a mani separate molto velocemente (nei limiti del controllo e del ri-lassamento) è un sacco divertente, fa bene alla tecnica ed aiuta la me-moria. Se dopo aver memorizzato una lunga sezione (memorizzando sottosezioni brevi) si iniziasse a fare confusione quando la si prova a suonare per intero, non si continui a provare! Si cominci da capo me-morizzandola per sezioni brevi.

Quando decido di memorizzare mi concentro solo su questo compito e passo il tempo su altri esercizi solo quando mi stanco ed ho bisogno di una pausa. Questo perché suonare altro materiale tra le sessioni di memorizzazione mi fa dimenticare quello che ho memorizzato recente-mente. Il materiale appena memorizzato è estremamente fragile. In

168 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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questo modo le mie sessioni al pianoforte sono o di memorizzazione o di studio. Durante le sessioni di studio non ho praticamente mai biso-gno dello spartito ed anche durante le sessioni di memorizzazione lo uso solo all’inizio mettendolo via prima possibile.

Si supponga che il pezzo sia lungo tre pagine: si possono memorizzare il primo giorno a mani separate tutte e tre le pagine dei pezzi più sem-plici. Alla fine di una settimana si dovrebbe riuscire a suonare a mani unite ragionevolmente bene senza guardare lo spartito. Si veda l’esempio più avanti. Entro la seconda settimana si dovrebbe studiare il pezzo a mani unite per la maggior parte del tempo. Questo è quanto, fatto!

Fin qui abbiamo parlato di memorizzare nuovi pezzi. Memorizzare un pezzo che si sa già suonare leggendo non è più facile e può essere piut-tosto frustrante, ma il metodo è lo stesso. Siccome non si dovrà ripetere ciascuna sezione molte volte come quando si studia un nuovo pezzo, un vecchio pezzo memorizzato da poco non verrà mai memorizzato così bene come uno nuovo che viene memorizzato quando lo si impara. Si potrà scoprire che il fatto che sia parzialmente memorizzato non è mol-to d’aiuto. Non si sarà così frustrati avendo la consapevolezza che memorizzare un pezzo che si sa già suonare richiede di solito più moti-vazione ed impegno mentale rispetto ad un nuovo pezzo. Il mio sugge-rimento è quindi di non iniziare a memorizzare tutti i vecchi pezzi u-sando questo metodo, ma di iniziare con quelli nuovi e lavorare su quelli vecchi dopo aver imparato il metodo. In questo modo si posso-no confrontare i risultati con i pezzi memorizzati nella maniera corretta. Si dovrebbe scoprire che si riescono a suonare molto meglio i nuovi pezzi memorizzati correttamente che i vecchi memorizzati dopo aver già imparato a suonarli.

Come esempio di pezzi brevi da memorizzare impariamo tre delle In-venzioni a due parti di Bach. Guiderò nell’affrontare una di essi e si dovrebbero provare da soli le altre due. Tre delle più facili sono la N.1, la N.8 e la N.13. Analizzeremo la N.8. Dopo averla imparata si provi da soli la N.1 e poi si cominci la N.13. L’idea è di impararle tutte contemporaneamente, ma se ciò si rivelasse troppo pesante se ne pro-vino solo due (N.8 e N.1) o anche solo la N.8. È importante provare solo quello che si pensa di riuscire a gestire senza sforzo, per questo of-fro tre scelte. Il programma descritto più avanti è per impararle tutte assieme. Assumiamo che sia stato imparato il materiale delle sezioni da I a III e che il livello tecnico sia tale da essere pronti ad affrontare le Invenzioni di Bach.

III.6 - MEMORIZZARE 169

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Invenzione N.8 di Bach Giorno Uno. Si comincino a memorizzare le misure da 2 a 4 della sini-stra, incluse le prime due note della misura 5 (congiunzione). Dovreb-be essere necessario meno di un minuto per memorizzarle, le si suonino poi a velocità. Si faccia poi lo stesso con la destra, misure da 1 a 4, in-cluse le prime 4 note della misura 5. Si ritorni ora alla sinistra e si veda se si riesce a suonarla senza lo spartito e si faccia la stessa cosa con la destra. Se si riuscisse, non si dovrebbe più dover usare questa parte dello spartito a meno che non si abbiano dei blackout, cosa che ogni tanto accade. Si alterni tra sinistra e destra finché non si è a proprio a-gio, dovrebbe essere necessario solo qualche minuto in più. Diciamo che questa procedura dura cinque minuti, chi impara velocemente ci metterà meno.

Si imparino ora le misure da 5 a 7, incluse le prime 2 note della sini-stra e le prime 4 note della destra nella misura 8. In circa quattro mi-nuti si dovrebbe completare tutto. Questi sono tutti esercizi a mani se-parate, non inizieremo ad unire le mani finché non avremo finito di memorizzare l’intero pezzo a mani separate. Una volta comodi, si col-leghino le misure 1-7 incluse le congiunzioni della misura 8. Ci po-trebbero voler altri tre minuti per studiare entrambe le mani.

Si memorizzino poi le misure 8-11 e le si aggiungano alle sezioni pre-cedenti. Diamo altri otto minuti a questa parte, per un totale di venti minuti per memorizzare le misure 1-11 e per portare a velocità a mani separate. Se si incontrassero difficoltà tecniche in alcune parti non ci si preoccupi, ci lavoreremo dopo, per ora non ci si aspetta di suonare niente alla perfezione.

Successivamente lasciamo perdere le misure 1-11 (non ci dobbiamo neanche preoccupare di provare a ricordarle) e lavoriamo solo sulle mi-sure 12-23. Si divida questa sezione nei seguenti segmenti (le congiun-zioni dovrebbero essere ovvie): 12-15, 16-19 e 19-23. Si noti che la mi-sura 19 è sovrapposta in modo da dedicare più tempo allo studio del più difficile dito 4 della sinistra. Si lavori solo sulle misure 12-23 finché non si riescono a suonare tutte in fila, a mani separate. Questo do-vrebbe richiedere altri venti minuti circa.

Si finiscano poi le misure dalla 24 alla fine (34). Si potrebbero studia-re usando i segmenti seguenti: 24-25, 26-29 e 30-fine (34). Questo può richiedere altri venti minuti per un totale di un’ora per memorizzare tutto. Si può ora smettere e continuare il giorno dopo o rivedere cia-scuno dei tre segmenti. La cosa importante qui è di non preoccuparsi di ricordare tutto il giorno successivo (probabilmente non lo si farà) ma

170 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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di divertirsi, forse anche provando a collegare le tre sezioni o provando le parti iniziali a mani unite per vedere fin dove si riesce. Si lavori sulle parti che danno problemi tecnici quando si prova ad accelerare. Si ese-guano questi allenamenti tecnici in segmenti più piccoli possibile, spes-so significa insiemi paralleli di due note. Si studino cioè solo le due no-te che non si riescono a suonare in modo soddisfacente. Il primo gior-no il totale del tempo passato su questo pezzo è un ora.

Giorno Due. Si riveda ognuna delle tre sezioni per collegarle. In al-cuni punti si potrebbe aver bisogno dello spartito. Lo si metta poi via – non se ne dovrebbe avere mai più bisogno tranne nelle emergenze e per ricontrollare l’accuratezza durante il mantenimento. L’unica richie-sta del secondo giorno è di riuscire a suonare l’intero pezzo a mani se-parate dall’inizio alla fine. Ci si focalizzi sull’alzare la velocità e sull’an-dare più velocemente possibile senza commettere errori. Si pratichi il rilassamento. Se si iniziano a fare errori si rallenti e si cicli la velocità in su e in giù. Si noti che potrebbe essere più facile memorizzare suo-nando veloce e si potrebbero avere vuoti di memoria suonando molto lentamente, si studi quindi a diverse velocità. Non si abbia paura di suonare velocemente, ma ci si assicuri un equilibrio sufficiente a veloci-tà intermedie e suonando lentamente.

Una volta completamente a proprio agio a mani separate, il secondo giorno si potrebbe iniziare a mani unite usando gli stessi segmenti brevi usati per imparare a mani separate. L’unica richiesta del secondo gior-no è, comunque, riuscire a suonare l’intero pezzo a mani separate a memoria. La prima nota della misura 3 è una collisione delle due ma-ni, si usi quindi solo la sinistra e si salti questa nota della destra, la stes-sa cosa alla misura 18. Si suoni delicatamente anche quando è indicata una f, in modo da poter accentare le note in battere per sincronizzare le mani. Non ci si preoccupi di essere leggermente tesi all’inizio, ma si faccia attenzione al rilassamento prima possibile.

È sempre più facile suonare a memoria ad una velocità moderata per-ché si può usare il ritmo per continuare e si riesce a ricordare la musica per frasi invece che per note singole. Si presti quindi attenzione al rit-mo subito dall’inizio. Ora si rallenti e si lavori sulla precisione. Quan-do si suona lentamente, per prevenire accelerazioni, ci si focalizzi su ciascuna nota individualmente. Si ripeta questo ciclo di velocità alta-bassa e si dovrebbe migliorare notevolmente ad ogni giro. Gli obiettivi principali sono: memorizzare completamente a mani separate ed accele-rare il più possibile, sempre a mani separate. Ogniqualvolta si avessero delle difficoltà tecniche si faccia uso degli esercizi per gli insiemi paralle-

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li per sviluppare rapidamente la tecnica. Non dovrebbe essere necessa-ria più di un’ora.

Giorno Tre. Si imparino le tre grandi sezioni a mani unite come si è fatto a mani separate. Non appena si sente arrivare la confusione a mani unite si torni a mani separate per ripulire le cose. Questo è anche un buon momento per aumentare ulteriormente la velocità a mani se-parate, se possibile fino a circa due volte la velocità finale (più avanti vedremo come farlo). Di sicuro chi ha capacità tecnica insufficiente dovrà suonare più lentamente. Si tenga a mente che il rilassamento è più importante della velocità. Si suonerà ovviamente molto più velo-cemente a mani separate che a mani unite e praticamente tutti i tentati-vi di aumentare la velocità dovrebbero essere fatti a mani separate. Siccome le mani non sono ancora completamente coordinate, si po-trebbero avere alcuni vuoti di memoria e potrebbe essere difficile suo-nare a mani unite senza errori, a meno che non si suoni lentamente. Da qui in poi si dovrà dipendere, per ottenere miglioramenti sostanzia-li, dal più lento miglioramento post studio. Comunque in tre ore in tre giorni si è praticamente memorizzato il pezzo e lo si riesce a suonare, magari fermandosi, a mani unite.

Si cominci ora il secondo pezzo, il N.1, mentre si ripulisce il primo. Si studino i due pezzi alternativamente. Si lavori sul N.1 finché non si i-nizia a dimenticare il N.8 e poi si torni a rinfrescare quest’ultimo e si lavori su di esso finché non si inizia a dimenticare il N.1. Si ricordi che si vuole dimenticare un po’, in modo da poter imparare di nuovo, per-ché è necessario per instillare una memoria permanente. È meglio, per ragioni psicologiche, usare questo tipo di programmi sempre vincenti: se si dimentica è esattamente quello che si cercava di ottenere, se non lo si fa è anche meglio! Questo tipo di programma darà anche una mi-sura di quanto si riesca o meno a memorizzare data una quantità di tempo. È sicuramente solo l’inizio. I più giovani dovrebbero scoprire che la quantità che riescono a memorizzare in una volta aumenta rapi-damente con l’esperienza ed aggiungendo altri trucchi per memorizza-re: ciò è dovuto al fenomeno per cui più si memorizza velocemente (più si suona velocemente) e più facile diventa memorizzare. Anche una maggiore sicurezza di sé gioca un ruolo importante. In ultima analisi, il principale fattore limitante sarà il livello di abilità tecnica, non la capaci-tà di memorizzazione. Avendo una tecnica sufficiente si suonerà a ve-locità in pochi giorni. Se non si riuscisse a farlo significa semplicemen-te che è necessaria più tecnica, non che si è dei cattivi memorizzatori.

172 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Giorno Quattro. Non c’è molto che si possa fare per velocizzare tec-nicamente il primo pezzo dopo due o tre giorni. Si inizi, per diversi giorni, studiando il N.8 a mani separate, poi a mani unite, a diverse ve-locità a seconda del capriccio del momento. Non appena ci si sente pronti si suoni a mani unite, ma si ritorni a separarle se si iniziano a fa-re errori, ad avere vuoti di memoria o se si hanno problemi tecnici con l’aumentare della velocità. Ci si eserciti a suonare il pezzo in segmenti a mani unite. Si provi a partire dall’ultimo segmento piccolo ed a pro-cedere all’indietro verso l’inizio.

Alcune parti saranno più facili mentre altre daranno problemi. Si iso-lino i punti problematici e li si studino separatamente. Dovrebbe essere facile perché si è studiato originariamente in segmenti. La maggior par-te delle persone ha la sinistra debole, così portarla a due volte la veloci-tà finale potrebbe presentare dei problemi. Ad esempio, le ultime quat-tro note della sinistra nella misura 4: 4234(5), dove (5) è la congiunzio-ne, potrebbero essere difficili da suonare velocemente. In questo caso si dividano in tre insiemi paralleli (ci sono molti altri modi di farlo): 42, 423 e 2345 e si studino usando gli esercizi per gli insiemi paralleli. Si portino prima a velocità praticamente infinita (quasi un accordo) e poi si impari a rilassarsi a questa velocità suonando in rapide quartine (si veda la Sezione III.7B). 423 non è un insieme parallelo perciò potrebbe essere necessario suonarlo più lentamente degli altri. Si rallenti gra-dualmente per sviluppare l’indipendenza delle dita. Si uniscano succes-sivamente a coppie gli insiemi paralleli e infine si uniscano tutti insie-me. Con questo, di fatto, si migliora la tecnica e perciò non accadrà da un giorno all’altro. Si potrebbero vedere pochi miglioramenti durante l’esercizio, ma si dovrebbe notare un miglioramento riconoscibile il giorno dopo e molto miglioramento dopo qualche settimana. Il primo giorno di miglioramento della tecnica le uniche cose su cui si può ve-ramente lavorare sono il rilassamento e gli esercizi molto veloci per gli insiemi paralleli.

Non appena si riesce a suonare l’intero pezzo a mani separate è im-portante iniziare a suonarlo mentalmente, almeno a mani separate, lon-tano dal pianoforte. Quando si riuscirà, si potrebbe provare a mani u-nite, ma è sufficiente solo essere in grado di suonarlo a mani separate. Non ci si fermi fin quando non si riuscirà a suonare mentalmente l’intero pezzo a mani separate. Questo dovrebbe richiedere un giorno o due. Molte persone se non completano questo compito ora non lo faranno mai. Se si riesce potrebbe però diventare uno strumento molto potente per la memorizzazione. Si dovrebbe riuscire ad imparare in modo molto rapido a suonare molto velocemente mentalmente. Que-

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sto terrà in esercizio il cervello, incoraggerà la vera memoria e farà ri-sparmiare tempo.

Da qualche parte attorno al giorno cinque o sei. Si dovrebbe riuscire ad iniziare il pezzo N.13 in modo da poterli studiare tutti in fila ogni giorno. Se questo fosse tuttavia troppo faticoso, si imparino solo due pezzi. Dopotutto l’obiettivo qui è di raggiungere un facile successo nel memorizzare un pezzo breve in modo da sviluppare la sicurezza di sé. Non si provi perciò niente se lo si trova difficile. Un altro approccio è imparare bene prima solo il pezzo N.8 e poi, dopo aver portato a ter-mine tutta la procedura in modo da averne dimestichezza, iniziare il N.1 e il N.13. La ragione principale di imparare diversi pezzi contem-poraneamente è che questi sono così corti che, studiandone uno solo, si suonerebbero troppe ripetizioni in un giorno. Si ricordi che si deve suonare a velocità dal primo giorno e si dovrebbero suonare alcune se-zioni più velocemente della velocità finale (a mani separate) dal secon-do. Inoltre è più efficiente imparare tre pezzi insieme. Ossia ci si mette di più ad imparare questi tre uno alla volta piuttosto che simultanea-mente.

Dopo il giorno due o tre la velocità dei progressi dipenderà più dal li-vello di abilità che dalla capacità di memoria. Una volta riusciti a suo-nare tutto il pezzo come si vuole, a mani separate, lo si dovrebbe consi-derare memorizzato. Questo perché, se si è sopra al livello intermedio, si sarà capaci di suonarlo a mani unite molto rapidamente, laddove se non si è così avanzati le difficoltà tecniche di ciascuna mano rallente-ranno i progressi. Non è la memoria il fattore limitante. Affinché si riesca a mani unite si dovrà ovviamente lavorare sulla coordinazione: è particolarmente difficile (e necessario) nella musica di Bach e lo si deve fare nonostante le mani suonino indipendentemente.

Infine un punto molto importante riguardo tecnica vs. memoria: co-me fatto notare sopra, quanto si riesca a suonare bene a memoria una volta memorizzato dipende dal livello di tecnica così come da quanto si sia memorizzato bene lo spartito. È di vitale importanza non confonde-re la mancanza di tecnica con l’incapacità a memorizzare. A questo punto sarà perciò necessario un metodo per verificare che la tecnica sia sufficiente e per svilupparla se non lo fosse. La verifica inizia suonando a mani separate: se la tecnica è sufficiente si deve riuscire a suonare perfettamente, molto a proprio agio e rilassati a circa una volta e mezzo la velocità finale, a mani separate. Nel N.8 la velocità è circa 100 sul metronomo perciò si dovrebbe riuscire a suonare ad oltre 150, come minimo, ciascuna mano a mani separate, forse fino a 200. A 150 siamo

174 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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al tempo di Glenn Gould (sebbene a mani separate!) Se non si riuscisse a 150 a mani separate allora si dovrà sviluppare ulteriormente la tecni-ca prima di aspettarsi di poter suonare a mani unite qualcosa vicino a 100.

Assumendo di incontrare problemi tecnici, concentriamoci sullo stu-dio a mani separate. La maggior parte delle persone ha la sinistra de-bole e la difficoltà sarà quindi probabilmente in questa mano. Si porti la tecnica della sinistra il più possibile vicina a quella della destra. Per lavorare sulla tecnica si usino gli esercizi per gli insiemi paralleli come illustrato sopra per la misura 4 della sinistra. Tutto il lavoro di svilup-po della tecnica viene fatto a mani separate perché a mani unite non si può suonare abbastanza velocemente o prestare sufficiente attenzione ai dettagli. Bach è particolarmente utile per bilanciare la tecnica delle mani perché entrambe suonano passaggi simili. Ci si accorge immedia-tamente, di conseguenza, che la sinistra è più debole se in Bach non la si riesce a portare alla stessa velocità della destra. Negli altri composi-tori, come Chopin, la sinistra è qualche volta molto più facile e non permette una buona verifica. Gli studenti con tecnica inadeguata po-trebbero aver bisogno di lavorare a mani separate per settimane prima di poter sperare di suonare queste invenzioni a velocità a mani unite. In questo caso si suoni semplicemente a mani unite ad un tempo lento a proprio agio e, prima di accelerare a mani unite, si aspetti di svilup-pare la propria tecnica a mani separate. Lo studio a mani separate è anche il miglior momento per cambiare la diteggiatura e per farla corri-spondere alla propria abilità. Una volta “bloccata” suonando a mani unite sarà molto più difficile cambiarla.

Tutti i tre pezzi analizzati sopra dovrebbero essere completamente memorizzati in una o due settimane e con almeno il primo pezzo si do-vrebbe iniziare a sentirsi a proprio agio.

Diciamo che per due settimane tutto ciò che si è fatto sia stato concen-trarsi sul memorizzare questi tre pezzi. Si riescono a suonare a mani unite e completamente a memoria sebbene possano non essere perfetti. Tornando ora indietro ai vecchi pezzi memorizzati precedentemente si scoprirà che probabilmente non c’è più bisogno di ricordarli così bene. Questo è un buon momento per ripulirli e per alternare questa faccen-da del mantenimento con un’ulteriore ripulita dei nuovi pezzi di Bach. È stato praticamente fatto tutto. Congratulazioni!

La musica di Bach è notoriamente difficile da suonare ad alta velocità ed è altamente suscettibile al degradamento dal suonare veloce (si veda la Sezione II.25). La soluzione intuitiva a questo problema è di studiare

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lentamente e con pazienza in modo che le mani non si aggroviglino e stressino creando probabilmente problemi permanenti. In molte com-posizioni di Bach non si deve suonare a velocità molto elevata per sof-frire il degradamento dal suonare velocemente. Se la propria velocità massima è 50, laddove la velocità suggerita è 100, allora significa che 50 è veloce e che a questa velocità il degradamento può alzare la sua brutta testa. Questo è il motivo per cui suonare lentamente a mani uni-te e provare ad accelerare crea più confusione e degradamento. Chi usa i metodi di questo libro sa già che la soluzione migliore è usare lo studio a mani separate. Si rimarrà stupiti da quanto si possa accelerare rapidamente usando lo studio a mani separate, specialmente quando si studiano segmenti brevi. Chi non lo ha mai fatto prima suonerà rapi-damente a velocità mai sognate possibili.

Calma nelle mani Molti insegnanti insistono, a ragione, sulla “calma nelle mani” come o-biettivo desiderabile. In questa modalità le dita partecipano per la maggior parte all’atto di suonare mentre le mani si muovono molto po-co. La calma nelle mani è la cartina al tornasole per dimostrare che si è acquisita la tecnica necessaria a suonare un dato passaggio. L’eliminazione dei movimenti non necessari non solo permette di suo-nare più velocemente, ma aumenta anche il controllo. Molte delle mu-siche di Bach sono particolarmente adatte ad esercitare la calma nelle mani, quasi sicuramente di proposito. Alcune delle diteggiature ina-spettate indicate sullo spartito furono scelte in modo da essere compa-tibili o facilitare la calma nelle mani. Alcuni insegnanti impongono a tutti gli studenti, anche ai principianti, di suonare sempre con la calma nelle mani, ma penso che un tale approccio sia controproducente. Quando si suona lentamente, o se lo studente non possiede tecnica suf-ficiente, alcuni movimenti aggiuntivi possono essere permessi e posso-no anche essere appropriati. Chi possiede già la tecnica con la calma nelle mani potrà aggiungere senza danni un sacco di movimenti quan-do suona lentamente (o velocemente). La calma nelle mani non si può sentire quando si suona lentamente, perciò insegnarla in questo modo ad uno studente non serve a nulla e questi si potrebbe confondere completamente. Solo suonando oltre una certa velocità la calma nelle mani diventa ovvia e di fatto necessaria al pianista. Quando si acquisi-sce la calma delle mani per la prima volta è assolutamente facile da ri-conoscere, non ci si preoccupi quindi di non accorgersene. Il miglior momento per insegnare allo studente cosa voglia dire è quando suona abbastanza velocemente da sentirla, non quando suona lentamente o

176 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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quando non ha ancora la tecnica necessaria, perché senza farne espe-rienza non avrebbe idea di cosa fare. Una volta acquisita, questa tecni-ca si può applicare anche quando si suona lentamente; si dovrebbe ora sentire di avere molto più controllo ed un sacco di tempo libero in più tra le note. La calma nelle mani non è quindi uno specifico movimen-to, ma una sensazione di controllo e praticamente la totale assenza di muri di velocità.

Nel caso dei pezzi di Bach, di cui parliamo qui, la calma nelle mani diventa necessaria a velocità vicine a quella finale. Senza di essa si ini-zierebbero ad incontrare muri alle velocità indicate. Lo studio a mani separate è importante per ottenere la calma nelle mani perché è molto più facile acquisirla e sentirla quando si suona e perché permette di ar-rivare più rapidamente alla giusta velocità rispetto alle mani unite. Di fatto è meglio non incominciare a mani unite finché non si riesce a suonare con la calma nelle mani perché questo riduce la possibilità di sviluppare brutte abitudini. Suonare a mani unite con o senza calma nelle mani è talmente diverso da dover prendere l’abitudine di non suonare a mani unite senza di essa. Chi ha tecnica insufficiente può impiegare tanto tempo a raggiungere la calma nelle mani; si può acqui-sire gradualmente, in un successivo momento, studiando di più a mani separate. Questo spiega il motivo per cui chi ha tecnica sufficiente rie-sce ad imparare queste invenzioni molto più velocemente degli altri. Tali difficoltà sono alcune delle ragioni per non provare ad imparare pezzi troppo difficili e forniscono degli utili mezzi per verificare se la composizione è troppo difficile o se invece è adatta al proprio livello di abilità. Chi ha tecnica insufficiente rischierà di sicuro di erigere muri di velocità. Sebbene alcune persone sostengano che le Invenzioni di Bach possano essere suonate “a qualsiasi velocità” questo è vero solo per il contenuto musicale; per poter trarre pieno vantaggio dalle lezioni di pianoforte che Bach aveva in mente, queste composizioni richiedono di essere suonate alla velocità indicata.

La calma nelle mani arriverà prima alla destra, a chi la ha più forte, e una volta provato come ci si sente la si potrà trasferire più rapidamente alla sinistra. Dopo averla raggiunta si scoprirà improvvisamente di riu-scire a suonare veloce molto più facilmente. Gli esercizi per gli insiemi paralleli possono essere utili nell’ottenerla rapidamente, ma si deve sta-re attenti a non usare gli insiemi paralleli a fase bloccata – perché que-sta è una falsa forma di calma nelle mani e queste ultime si muoveran-no molto. Suonando veramente con la calma nelle mani si ha il con-trollo indipendente di ciascun dito mentre le mani restano praticamente immobili.

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Ovviamente Bach scrisse queste invenzioni (e molte altre) con lo svi-luppo della tecnica in mente. Diede perciò materiale ugualmente diffi-cile alle due mani e questo presenta di fatto più sfide alla sinistra perché i martelli e le corde al basso sono più pesanti. Bach si sarebbe mortifi-cato nel vedere esercizi come la serie Hanon perché sapeva che gli eser-cizi senza musicalità, come dimostrato dal suo impegno per includerla in queste composizioni, sarebbero stati una perdita di tempo. Studiare pianoforte senza musicalità sarebbe come esercitarsi al golf senza la pal-lina. La quantità di materiale tecnico con cui riempì queste composi-zioni è incredibile: indipendenza delle dita (calma nelle mani, controllo, velocità), coordinazione, indipendenza delle mani (voci multiple, stacca-to vs. legato, collisioni, abbellimenti), armonia, fare musica, rinforzare la sinistra così come le dita deboli (4 e 5), tutti i principali insiemi paral-leli, uso del pollice, diteggiature convenzionali, eccetera si noti che gli abbellimenti sono degli eccellenti esercizi per gli insiemi paralleli e non sono solo ornamenti musicali, ma una parte integrante dello sviluppo della tecnica. Usando gli abbellimenti Bach chiede di studiare gli in-siemi paralleli con una mano mentre contemporaneamente si suona un’altra parte con l’altra e con questa combinazione di produrre musi-ca!

Si stia attenti a non suonare Bach troppo forte anche se è indicata la f. Gli strumenti del suo tempo producevano molto meno suono dei pia-noforti moderni, egli dovette perciò scrivere musica piena di suono e con poche pause. Uno degli scopi dei numerosi abbellimenti usati al tempo di Bach era riempire il suono. La sua musica tende perciò ad averne troppo se suonata ad alto volume su pianoforti moderni. Spe-cialmente le Invenzioni e le Sinfonie, nelle quali lo studente prova a ti-rar fuori tutte le melodie in competizione tra loro, c’è una tendenza a suonare più forte ciascuna melodia successiva, finendo in musica suo-nata forte. Le diverse melodie devono competere sulla base di un con-cetto musicale, non sul volume di suono. Suonare più delicatamente aiuterà anche a raggiungere il totale rilassamento e la vera indipenden-za delle dita.

Se si volesse imparare una delle Sinfonie (Invenzioni a tre voci) si po-trebbe provare la N.15 che è più facile della maggior parte delle altre, è molto interessante ed ha una sezione nel mezzo dove le due mani si scontrano e suonano molte delle stesse note. Come in tutte le compo-sizioni di Bach questa contiene un sacco di cose in più rispetto a ciò che si potrebbe notare a prima vista, la si affronti quindi con cura. Prima di tutto è un allegro vivace! Il tempo indicato è uno strano 9/16 a si-gnificare che i gruppi di sei note da 1/32 nella terza misura devono es-

178 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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sere suonati come tre tempi e non due (tre duine invece che due terzi-ne). Questa indicazione di tempo scaturisce dalle tre note ripetute (ce ne sono due nella misura 3) con valore tematico che marciano lungo la tastiera nella caratteristica maniera di Bach. Quando le due mani si scontrano alla misura 28, si sollevi la destra e si faccia scorrere la sini-stra sotto di essa, entrambe suonino tutte le note. Se la collisione del pollice dovesse dare problemi si potrebbe eliminare quello della destra e suonare solo con quello della sinistra. Alla misura 36 ci si assicuri di usare la diteggiatura corretta della mano destra: (5), (2,3), (1,4), (3,5), (1,4), (2,3).

Parliamo infine dell’ultimo passo necessario per memorizzare: analiz-zare la struttura o la “storia” che c’è dietro alla musica. Il processo di memorizzazione sarebbe incompleto senza capire la storia che sta dietro al pezzo. Useremo l’invenzione N.8. Le prime 11 misure contengono l’“esposizione”. Qui la destra e la sinistra suonano fondamentalmente la stessa cosa (con la sinistra ritardata di una misura) e viene introdotto il tema principale. Il “corpo” consiste nelle misure da 12 a 28 dove i ruoli delle due mani vengono inizialmente invertiti e la sinistra guida la destra, il tutto seguito da alcuni intriganti sviluppi. Il finale inizia alla misura 29 e porta il pezzo ad una fine ordinata con la destra che ri-prende il suo ruolo originario. Si noti come il finale sia lo stesso della fine dell’esposizione. Questo stratagemma è stato sviluppato ulterior-mente da Beethoven che finisce diverse volte un pezzo e lo eleva a livel-li incredibili.

Una volta completata questa struttura fondamentale si può iniziare ad aggiungere delle rifiniture. Ad esempio, la maggior parte delle misure richiede lo staccato in una mano e il legato nell’altra. Una volta analiz-zate queste strutture ci si eserciti a suonarne ciascuna componente se-paratamente. Se ne studi poi mentalmente ognuna inserendo più rifini-ture e procedendo a memorizzare più dettagli.

Presentiamo ora alcune spiegazioni del perché sviluppare una tale “storia” sia il migliore, e forse unico, modo affidabile di memorizzare in modo permanente una composizione. Credo che questo sia il modo in cui praticamente ogni grande musicista memorizzi la musica.

M) La Funzione Memoria nell’Uomo La funzione memoria del cervello è stata compresa solo parzialmente. Tutta la ricerca indica che non esiste alcuna “memoria fotografica” nel senso stretto del termine sebbene nel libro abbia usato questa termino-logia. Tutta la memoria è apparentemente associativa. Quando “me-morizziamo” visivamente un quadro di Monet stiamo in realtà asso-

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ciando, nella nostra memoria, i soggetti del quadro a qualcosa di più profondo non solo un’immagine a due dimensioni composta da così tanti pixel. I grandi quadri o le fotografie insolite sono, per questo mo-tivo, più facili da ricordare di immagini simili di minor significato. E riguardo alla memoria fotografica dello spartito musicale? È facile di-mostrare come anche questa sia del tutto associativa – in questo caso associata alla musica. Se si chiede ad un musicista che ha memoria “fo-tografica” di memorizzare una pagina piena di note musicali a caso non ci riuscirà, sebbene possa non aver problemi nel memorizzare rapida-mente un’intera sonata. Per questo motivo non c’è miglior modo di memorizzare la musica che dal punto di vista della teoria musicale. Tutto quello che si deve fare è associare la musica alla teoria. In altri termini, quando gli uomini memorizzano qualcosa non immagazzinano nel cervello bit di dati come fa un computer, ma associano i dati ad una infrastruttura elementare o “algoritmo” che consiste in cose familiari al cervello. In questo esempio l’infrastruttura è la teoria musicale. Cer-tamente un buon memorizzatore (che può non essere un musicista) può sviluppare metodi per memorizzare anche una sequenza casuale di note sfruttando un algoritmo appropriato, come ora spiegheremo.

La miglior evidenza della natura associativa della memoria umana viene dai test su quei buoni memorizzatori che riescono ad eseguire imprese incredibili (come memorizzare centinaia di numeri di telefono da un elenco telefonico e cose simili). Ci sono numerose gare di me-morizzazione nelle quali essi competono. Ne deriva che nessuno di lo-ro memorizza fotograficamente, sebbene il risultato finale sia pratica-mente indistinguibile dalla memoria fotografica. Quando viene loro chiesto come facciano a memorizzare, si scopre che tutti usano algorit-mi associativi. L’algoritmo è diverso per ciascun individuo, ma sono tutti stratagemmi per associare gli oggetti che devono essere memoriz-zati a qualcosa che ha un senso e che riescono a ricordare.

La cosa stupefacente è la velocità con cui riescono a mappare l’ogget-to da memorizzare, anche numeri casuali, sul loro algoritmo. Si scopre anche che questi buoni memorizzatori non sono nati così, anche se possano essere nati con capacità mentali che possono portare a una buona memoria. I buoni memorizzatori si sviluppano dopo un duro lavoro di esercizio quotidiano e di perfezionamento dei loro algoritmi, proprio come i pianisti. Questo “duro lavoro” è senza sforzo perché per loro piacevole.

Ad esempio, se si vuole ricordare la sequenza di 14 numeri: 53031791389634 si potrebbe usare il seguente algoritmo: “Mi sono

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svegliato alla 5.30 con i miei 3 fratelli e 1 nonna, l’età dei miei fratelli sono 7, 9 e 13, e mia nonna ha 89 anni e siamo andati tutti a letto alle 6.34” Questo è un algoritmo che si basa su un’esperienza di vita e su numeri casuali “significativi”. La cosa intrigante è che l’algoritmo con-tiene 38 parole molto più facili da ricordare dei 14 numeri. Di fatto si sono appena memorizzate 132 lettere e numeri con più facilità rispetto a 14 numeri! Lo si può facilmente verificare da sé. Si memorizzino prima entrambi i 14 numeri (se si riesce, non è facile per me) e poi l’algoritmo di cui sopra. Dopo ventiquattro ore si provino a scrivere i numeri dalla memoria e dall’algoritmo, si scoprirà che l’algoritmo è molto più facile e preciso. I buoni memorizzatori hanno tutti escogitato algoritmi incredibilmente efficienti ed hanno coltivato l’abitudine di tra-sferire rapidamente su di essi qualsiasi cosa da memorizzare. Si può fa-re una cosa simile con la musica per pianoforte analizzando la storia strutturale della composizione.

Si potrà ora capire come i memorizzatori possano memorizzare tante pagine di numeri telefonici. Finiscono semplicemente per avere una storia invece che una singola frase. Si noti che un vecchio di no-vant’anni potrebbe non essere in grado di memorizzare un numero di dieci cifre, ma si può sedere a raccontare storie per ore o anche giorni. Non deve essere uno specialista di qualche tipo per farlo.

Allora, cosa c’è quindi nelle associazioni che ci permette di fatto di fa-re qualcosa che altrimenti non potremmo fare? Forse il modo più sem-plice di descrivere questa cosa è dire che le associazioni ci permettono di capire la materia che si memorizza. Questa è una definizione molto u-tile perché può aiutare chiunque ad andare meglio a scuola o riuscire meglio in qualsiasi tentativo di imparare. Se si capisce veramente la fi-sica, la matematica o la chimica non è necessario memorizzarla perché non la si dimenticherà. Questo potrebbe sembrare non aver senso per-ché abbiamo solo spostato la domanda da “Cos’è la memoria?” a “Cos’è l’associazione?” e poi a “Cos’è la comprensione?” Se riuscissi-mo a definire la comprensione non sarebbe privo di senso. La compren-sione è un processo mentale di associazione di un oggetto nuovo ad al-tri oggetti già familiari (più sono e meglio è). Ossia, il nuovo oggetto è ora “significativo”. Questo spiega il perché la conoscenza della teoria musicale è il miglior modo di memorizzare. La teoria musicale è l’algo-ritmo perfetto a questo scopo perché aiuta a capire la musica.

Riusciamo anche a spiegare perché funziona la memoria di tastiera: associa la musica ai particolari movimenti ed ai tasti che devono essere suonati per creare la musica. Tutto ciò ci dice anche come ottimizzarla.

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Chiaramente è un errore provare a ricordare ciascuna pressione di ta-sto, dovremmo pensare in termini di cose del tipo “arpeggio della mano destra a partire dal Do, ripetuto con la sinistra un’ottava sotto, staccato, con una sensazione di felicità, eccetera” ed associare questi movimenti alla musica che ne deriva e alla sua struttura. Si dovrebbero fare più associazioni possibile. La musica di Bach può avere certe caratteristi-che come abbellimenti speciali e mani che collidono. Quello che si farà sarà rendere l’azione del suonare “significativa” in termini di come vie-ne prodotta la musica e come si inserisce nel proprio universo mentale. Studiare le scale e gli arpeggi è così importante per questo motivo. Quando si incontra una volata di trenta note la si può ricordare sem-plicemente come sezione di una scala invece che come trenta note da memorizzare.

Tutto ciò ci dice anche che imparare l’orecchio assoluto o almeno quello relativo aiuterà molto la memoria perché potrebbe fornire molte più associazioni. Questi argomenti ci suggeriscono che la memoria do-vrebbe migliorare memorizzando di più e tolgono molto del mistero sul perché i buoni memorizzatori siano così bravi.

N) Un Semplice Metodo per Diventare Buoni Memorizzatori È chiaro, da quanto sopra, che non si diventa buoni memorizzatori sen-za esercitarsi. La buona notizia è che praticamente chiunque lo può diventare. La maggior parte degli studenti desidera a sufficienza farlo ed è perciò disposta ad esercitarsi, ma nonostante ciò molti falliscono. Sappiamo perché e c’è una soluzione semplice al problema? Fortuna-tamente la risposta è un echeggiante si!

Il motivo principale del fallimento nella memorizzazione è la paura di dimenticare. La maggior parte di noi prova istintivamente a trattenere nel cervello ciò che proviamo a memorizzare – questo sembra una cosa logica da fare, ma di fatto è la cosa peggiore perché crea una persistente paura di dimenticare che impedisce di rilassarci mentalmente. La co-stante presenza di questa paura e la pressione di dover ritenere tutto in memoria rende spiacevole e difficile il processo di memorizzazione. Dobbiamo renderci conto che la memoria è un processo naturale e che accade che lo si voglia o meno. Creare un atteggiamento mentale di dover ritenere quello che mandiamo a memoria non ci fa memorizzare meglio e di fatto ci ostacola. È facile da dimostrare osservando che i buoni memorizzatori lo fanno senza sforzo e l’unica differenza è che non hanno paura di farlo. Questa è una situazione analoga a quella di chi sa nuotare e chi non lo sa fare. Chi non sa nuotare ha paura dell’acqua, contrae forte tutti i muscoli spingendo tutta l’aria fuori dai

182 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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polmoni. Questo li fa diventare più pesanti dell’acqua e quindi affonda-re. I giovani ragazzini che non hanno paura dell’acqua, invece, ci sal-tano dentro e dopo qualche prova si divertono a nuotare.

Descriverò qui una formula a due passi per imparare a memorizzare. Il primo passo è convincersi che per poter memorizzare bene dobbiamo dimenticare. Come regola generale diciamo che non memorizziamo veramente nulla finché non l’abbiamo dimenticato almeno tre volte. Ad esempio, nel memorizzare l’Invenzione di Bach di prima abbiamo suddiviso la composizione in piccoli pezzi “memorizzabili” e abbiamo lavorato su ciascuno di essi prima di passare al successivo. La regola che abbiamo provato a seguire è stata che una volta che un pezzo veni-va memorizzato dovevamo suonarlo a memoria senza mai guardare di nuovo la musica. La regola crea, in chi si considera un cattivo memo-rizzatore, la paura di dimenticare e c’è la possibilità che a questo punto si lasci perdere. Questo porta al secondo passo nel quale ci rendiamo conto che non è reato dimenticare, che si tratta di un processo naturale (proprio come lo è memorizzare qualcosa) e che possiamo procedere al successivo pezzo senza preoccuparci di essere sicuri di aver memorizza-to completamente. Il processo a due stadi consiste perciò in: (1) imparare che dimenticare va bene (proveremo a dimenticare tre vol-te prima di assicurare la memoria) e (2) esercitarsi a memorizzare sotto un totale rilassamento mentale e senza paura di dimenticare (di fatto vorremo dimenticare tre volte).

La regola originaria di memorizzare un pezzo completamente e non guardare mai più di nuovo la musica ed il processo di memorizzazione a due stadi sono contradditori. Non si può permettere al processo a due stadi di memorizzare troppi pezzi in un’unica volta e dimenticarli troppe volte. Prima di tutto c’è un numero ottimale, tra due e quattro, da usarsi in questo processo, secondariamente l’obiettivo è un metodo per imparare come memorizzare, come rilassarsi mentalmente e come eliminare la pressione della paura di dimenticare, in modo da riuscire, alla fine, a seguire la regola originaria di imparare un pezzo completa-mente la prima volta. Tuttavia non c’è niente di sbagliato se si trova più comodo il processo a due stadi e lo si applica a tutto il lavoro di memorizzazione. Tipicamente chi non è un buon memorizzatore non riesce a memorizzare niente il primo giorno – ciascun pezzo può richie-dere diversi giorni per essere memorizzato in modo appropriato. Il processo a due stadi fornisce l’opzione di lavorare su diversi pezzi allo stesso tempo. La crisi viene superata quando si perde la paura di di-menticare e si inizia a rilassarsi mentalmente ed a gustarsi il processo di memorizzazione: è qui che inizia il viaggio nel diventare un buon me-

III.6 - MEMORIZZARE 183

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morizzatore. Ovviamente, affinché questo funzioni, si deve adottare la politica di memorizzare ogni composizione significativa che si studia.

O) Riassunto Per memorizzare si usino semplicemente le regole dell’apprendimento, con l’ulteriore condizione di memorizzare tutto prima di iniziare a stu-diare il pezzo. In questo modo si viene forzati a studiare dalla memo-ria. È questo ripetere durante lo studio ad imprimere automaticamente la memoria con poco impegno aggiuntivo rispetto a quello necessario per imparare il pezzo. L’elemento più importante è la memorizzazione a mani separate. Quando si memorizza qualcosa al di là di un certo punto non lo si dimenticherà praticamente quasi mai più. Di converso se non si arriva a quel punto non ha alcun senso memorizzare perché alla fine lo si dimenticherà. L’unico modo di ritenere un pezzo memo-rizzato è di non tornare mai indietro a suonarlo a vista. Anche suonare a mani separate è un elemento cardinale nel mantenimento della me-moria. Si dovrebbero avere due repertori: uno memorizzato e un altro da leggere. La memorizzazione corretta porta con se un intero nuovo mondo di abilità musicali (come suonare un pezzo partendo dovunque nel mezzo o suonarlo mentalmente). Memorizzare è necessario per im-parare rapidamente e bene, per suonare con espressività, per acquisire tecnica difficile, per eseguire in pubblico, eccetera. Un repertorio me-morizzato darà la sicurezza di essere un “vero” pianista. Molte di quel-le imprese miracolose che Mozart si favoleggia abbia eseguito in pub-blico sono in realtà alla portata della maggior parte di noi.

III.7 - Esercizi

A) Introduzione La maggior parte degli esercizi pubblicati in letteratura non è utile a causa di un opprimente numero di svantaggi (si veda la Sezione H). Un’obiezione è che fanno perdere un sacco di tempo. Se ci si esercita per poter suonare i pezzi difficili, perché non usare quel tempo per e-sercitarsi sui pezzi stessi invece che sugli esercizi? Un’altra obiezione è che la maggior parte degli esercizi è troppo ripetitiva e non richiede musicalità, in questo modo si può spegnere il cervello musicale e que-sto, secondo qualunque insegnante competente, è il modo peggiore di studiare pianoforte. Studiare senza prestare attenzione è dannoso per-ché si suppone che gli esercizi aumentino la resistenza, tuttavia, siccome la maggior parte di noi ha un sacco di resistenza fisica per suonare, ma

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insufficiente resistenza cerebrale, studiare esercizi ripetitivi senza pre-stare attenzione può di fatto far diminuire la resistenza musicale totale. Se gli studenti non vengono guidati attentamente studieranno meccani-camente queste ripetizioni e daranno allo studio del pianoforte la repu-tazione di una punizione a chiunque sia abbastanza sfortunato da ascol-tarli. Questo è uno dei modi di creare i pianisti “da armadio”, che rie-scono a studiare solo quando non c’è nessuno che ascolta. Alcuni mu-sicisti formati usano tali esercizi ripetitivi per scaldarsi, ma questa abi-tudine sorge come il risultato di insegnamenti precedenti e la maggior parte dei pianisti concertisti non ne ha bisogno nelle sedute di studio.

Al posto di quei dannosi esercizi ne analizzerò qui una classe comple-tamente diversa che sarà d’aiuto nel diagnosticare le proprie deficienze tecniche e nell’acquisire la tecnica necessaria a correggerle per suonare in modo musicale. Nella sezione B esporrò gli esercizi di acquisizione della tecnica, specialmente la velocità. La sezione C esamina quando e come usarli. Nelle sezioni da D a G analizzo altri esercizi utili. Ho messo insieme la maggioranza delle obiezioni contro gli esercizi tipo Hanon nella sezione H. Storicamente questi esercizi ripetitivi sono di-ventati largamente accettati a causa di alcune idee sbagliate: (1) che si possa acquisire la tecnica imparando un numero limitato di esercizi, (2) che tecnica e musicalità si possano imparare separatamente e (3) che la tecnica richieda principalmente lo sviluppo muscolare senza sviluppo cerebrale. Esercizi del genere divennero popolari presso molti inse-gnanti perché, se avessero funzionato, gli studenti avrebbero potuto imparare la tecnica con poco impegno da parte degli insegnanti stessi! Non è colpa di quest’ultimi perché queste idee sbagliate vennero tra-mandate attraverso le generazioni, coinvolgendo insegnanti famosi co-me Czerny, Hanon e molti altri. La verità è che la pedagogia del pia-noforte è una professione impegnativa che richiede tempo e che è basa-ta sulla conoscenza.

B) Esercizi per Gli Insiemi Paralleli L’obiettivo principale di tutti gli esercizi è l’acquisizione della tecnica che, per tutti gli scopi e gli intenti, si riduce a: velocità, controllo e to-no. Affinché gli esercizi siano utili si devono poter identificare le debo-lezze e riparare ad esse. Per poterlo fare dobbiamo avere un insieme completo di esercizi sistemati in un qualche ordine logico, in modo tale da poter facilmente individuare l’esercizio che indirizza un particolare bisogno. Un tale esercizio deve quindi basarsi su qualche principio e-lementare, del suonare il pianoforte, che ne copra tutti gli aspetti. Inol-

III.7 - ESERCIZI 185

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tre come identifichiamo una debolezza specifica? Il semplice fatto di non riuscire a suonare qualcosa non dice il perché non si riesca a farlo.

Il mio suggerimento è che il concetto di suonare parallelo fornisce l’infrastruttura per concepire un tale insieme di esercizi. Questo per-ché un qualsiasi passaggio musicale arbitrario può essere costruito co-me combinazione di insiemi paralleli (gruppi di note suonabili infinita-mente veloce). Descriverò più avanti un insieme di esercizi (da me svi-luppati) basati sugli insiemi paralleli che soddisfa tutti questi requisiti. Si veda la Sezione II.11 per un’analisi degli insiemi paralleli. Certa-mente questi esercizi da soli non sono un insieme completo, sono ne-cessarie anche le congiunzioni, le ripetizioni, i salti, lo stiramento, ecce-tera. Vengono anch’essi affrontati qui. Apparentemente Louis Plaidy ha insegnato esercizi simili a quelli per gli insiemi paralleli nel tardo ‘800.

Tutti gli esercizi sono a mani separate, si scambino quindi spesso. Si possono comunque studiare a mani unite quanto si vuole e in una com-binazione compatibile, anche 2 note contro 3, eccetera. Di fatto questi esercizi possono essere il miglior modo di studiare tali sconvenienti combinazioni destra-sinistra. All’inizio si provi solo un po’ di ciascun esercizio e poi si legga la Sezione C su come usarli. Questo perché quando vengono espansi ce ne sono un numero infinito (come deve es-sere, se l’insieme è completo) e non si potrebbero mai studiare tutti. Non si avrà neanche mai bisogno di farlo (saranno sempre necessari!) A questo punto, quindi, l’unico requisito è che se ne abbia sufficiente di-mestichezza, in modo da poter far riferimento ad essi quando ne nasce il bisogno, così non si perde mai tempo a fare esercizi non necessari

Questi esercizi sviluppano la tecnica così come diagnosticano le debo-lezze. Ciò significa che se li si usa prima per verificare la tecnica e se si è un principiante senza tecnica si sbaglieranno tutti. Saranno tutti fondamentalmente impossibili da suonare alla velocità richiesta e la maggior parte degli studenti non avrà idea, all’inizio, di come suonarli correttamente. Se non sono mai stati eseguiti sarebbe molto utile riu-scire a trovare qualche persona che ne dimostri qualcuno. Gli studenti di livello intermedio con 2÷5 anni di lezioni dovrebbero essere in gra-do di suonarne circa la metà in modo soddisfacente. Questi esercizi forniscono perciò un mezzo per misurare i propri progressi. Si tratta di sviluppo totale della tecnica e quindi comporta il controllo del tono ed il suonare musicalmente, come verrà brevemente spiegato. Gli studenti di livello avanzato, a differenza di quelli che si stanno sviluppando, ne

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avranno ancora bisogno, ma solo brevemente, spesso solo per qualche secondo.

Esercizio N.1 Questo esercizio stabilisce il movimento fondamentale necessario negli esercizi successivi. Si suoni una sola nota, ad esempio con il dito 1 (il pollice della destra) in quattro ripetizioni: 1111. Si possono suonare come quartina di ugual forza o come unità di una misura da 4/4 o 2/4. L’idea è di suonarle più velocemente possibile fino alla velocità di una quartina al secondo. Una volta riusciti a suonare la quartina con sod-disfazione, se ne provino due: 1111, 1111. La virgola rappresenta una pausa di lunghezza arbitraria e dovrebbe essere accorciata facendo pro-gressi. Quando se ne riescono a suonare due se ne leghino quattro in successione: 1111, 1111, 1111, 1111. Si “passa” questo esercizio a circa una quartina al secondo, quattro in successione, senza riposo tra esse. Si suonino delicatamente, completamente rilassati e non staccato, come spiegato meglio più avanti. Questo movimento apparentemente banale è molto più importante di quanto sembri a prima vista perché è la base di tutti i movimenti in velocità, come sarà evidente quando arriveremo agli insiemi paralleli che coinvolgono molte dita (come quelli nei veloci accompagnamenti albertini). Questo è il motivo per cui dedichiamo così tanti paragrafi a questo esercizio.

Se nell’unire le quartine dovesse sorgere dello stress, si lavori su di es-se finché non si riesce a suonarle senza. Si noti che deve essere coin-volta ciascuna parte del corpo: dita, mano, braccio, spalla, eccetera. Non vuol dire che ogni parte del corpo deve muoversi di una quantità visibile – può apparire ferma, ma deve partecipare. Una grossa parte del “coinvolgimento” sarà il rilassamento consapevole perché il cervello tende ad usare troppi muscoli anche per i compiti più semplici. Si pro-vino ad isolare solo i muscoli necessari al movimento e rilassare tutti gli altri. Il movimento finale può dare l’impressione che si stia movendo solo il dito. Poche persone noteranno un movimento di un millimetro da più di diversi metri di distanza. Se ciascuna parte del corpo si muo-ve di meno di un millimetro, la somma può facilmente arrivare ai diversi millimetri necessari a far scendere il tasto. Si facciano quindi, per suonare al meglio, degli esperimenti con le diverse posizioni di ma-no, polso, eccetera.

Facendo progressi le dita/mani/braccia assumeranno automaticamente le posizioni ideali, altrimenti non si riuscirà a suonare alla velocità ri-chiesta. Queste posizioni ricorderanno quelle viste ai concerti dei fa-mosi pianisti – dopo tutto è l’unico modo di suonare correttamente.

III.7 - ESERCIZI 187

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Per questo è importante, quando si va ai concerti, osservare i dettagli dei movimenti delle mani dei pianisti professionisti. Queste osserva-zioni sulle posizioni/movimenti delle mani saranno particolarmente va-lide negli esercizi più avanzati dati più avanti, si incominci quindi ora ad allenarsi ad identificare questi miglioramenti. Ci possono essere diver-se posizioni che funzionano, le si provino tutte, più se ne provano e meglio è.

I principianti, al loro primo anno di lezioni di pianoforte, non saranno in grado di suonare ad una quartina al secondo e dovrebbero ritenersi soddisfatti a velocità minori. Non ci si eserciti forzatamente a velocità che non si riescono a gestire. Brevi e periodiche escursioni nel suonare più velocemente sono tuttavia necessarie a scopo esplorativo. Anche gli studenti con oltre cinque anni di lezioni troveranno difficile parte di questi esercizi se non li hanno mai fatti prima. Si potrebbe, per rispar-miare tempo, studiare l’esercizio N.1 per un po’ e poi studiare contem-poraneamente il N.1 e il N.2 (più avanti). Questo perché il N.2 usa gli stessi movimenti che si esercitano nel N.1 ed è talmente semplice che si può combinare senza danni con esso.

Si eseguano gli esercizi finché non scomparirà tutto lo stress e non si riuscirà a sentire la forza di gravità tirare il braccio verso il basso. Il senso di trazione verso il basso da parte della forza di gravità scompare non appena arriva lo stress. Non si provino troppe quartina tutte in una volta se non si sente di avere il completo controllo. Non ci si forzi a continuare a studiare nonostante lo stress perché potrebbe diventare una abitudine prima di accorgersene. Se si continua a studiare sotto stress si inizierà veramente a rallentare, un chiaro segno di dover ral-lentare o cambiare mano. Si rischia, altrimenti, di acquisire brutte abi-tudini. Il materiale nelle sezioni I e II dovrebbe aver fornito un’abbon-danza di armi per combattere questo problema dello stress/velocità. Si ottenga una quartina molto bene prima di aggiungerne un’altra – si progredirà più velocemente in questo modo che affrettando tante quar-tina in una volta sola. La ragione per fermarsi a quattro è che una vol-ta riusciti a farne quattro se ne possono di solito suonare un numero qualsiasi in successione.

Se si eseguono sistematicamente questi esercizi per gli insiemi paralle-li, il miglioramento post studio farà il necessario, perciò, invece di spin-gere per la velocità durante gli esercizi, si aspetti che la mano sviluppi automaticamente la rapidità in modo da suonare più velocemente la vol-ta successiva. Dopo la prima settimana o due, la maggior parte della rapidità si svilupperà tra le sedute di studio, non durante. Se quindi

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sembrasse di non migliorare molto, anche dopo un duro lavoro, non ci si scoraggi – è normale. Sovra-esercitarsi, tentando di ottenere qualche miglioramento visibile durante lo studio, è una delle principali cause di infortuni. Il proprio compito durante le sedute di studio è di condizio-nare la mano per il massimo miglioramento post studio. Il condizio-namento richiede solo un certo numero di ripetizioni (di solito vicino ad un centinaio), oltre queste il guadagno per ripetizione inizia a calare.

Questa è acquisizione della tecnica, non sviluppo dei muscoli. La tec-nica significa fare musica e questi sono esercizi validi per sviluppare la musicalità nel suonare. Non si sbatta come un martello pneumatico. Se non si riesce a controllare il tono di quella nota, come lo si può fare con tante? Un trucco chiave nel controllare il tono è studiare delicata-mente. Suonando delicatamente ci si toglie da quel modo di studiare nel quale si ignora completamente la natura del suono e si sbattono i tasti nel solo tentativo di raggiungere le ripetizioni. Si prema sui tasti completamente e li si tengano giù momentaneamente (molto poco, una frazione di secondo), questo assicura che il paramartello fermi il martel-lo e le sue oscillazioni dopo aver rimbalzato contro la corda. Se queste oscillazioni non venissero eliminate non si potrebbe controllare il colpo successivo. Si legga la Sezione III.4B sul suonare a dita distese, è una lettura obbligata prima di fare qualsiasi esercizio per gli insiemi paral-leli.

Si tenga il dito che sta suonando il più possibile vicino al tasto per poter aumentare velocità e precisione e per controllare il tono. Se il di-to non toccasse il tasto ogni tanto si perderebbe il controllo. Non si tengano le dita sempre sui tasti, ma li si tocchino il più leggermente possibile in modo da sapere dove si trovano. Questo darà una ulterio-re sensibilità di dove siano gli altri tasti e, quando sarà ora di suonarli, le dita non prenderanno quelli sbagliati perché sono già nella posizione giusta. Si determini il minimo sollevamento possibile del tasto (che permette di ripetere) e ci si eserciti a suonare con esso. Il sollevamento del tasto è di solito maggiore nei verticali che nei coda. Si possono raggiungere velocità più elevate con sollevamenti più piccoli. Quando tutte le parti dell’intero corpo (dita, palmo, polso, braccio, spalla, schie-na, addome, ecc.) sono coordinate, ciascuna parte deve muoversi di un solo millimetro o meno affinché ci sia movimento sufficiente per suona-re, perché tutto ciò che è necessario fare è sollevare il tasto di 3 o 4 mil-limetri.

Il polso è importante nel movimento di ripetizione. Il polso governa tutti i tre obiettivi che stiamo ricercando: velocità, controllo e tono. Si

III.7 - ESERCIZI 189

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ricordi che “coinvolgere il polso” non significa un movimento esagera-to, ma un movimento che potrebbe essere impercettibile.

Invece di lavorare sempre sulla velocità si lavori sul controllo e sul tono. Le ripetizioni studiate per il controllo e per il tono contribuiscono in ugual modo al condizionamento per la velocità perché entrambi ri-chiedono la stessa abilità tecnica: la precisione. Di fatto, studiare velocemente sotto stress condizionerà a suonare stressati e questo in realtà rallenta i movimenti.

Il tono è diverso se si tiene la punta del dito in un punto o se la si sposta leggermente sul tasto? Ci si eserciti a far scorrere il dito in avan-ti (verso il pianoforte) e indietro (verso il corpo). Il pollice potrebbe essere il dito più facile da far scorrere. Si suoni con la punta del pollice, non con l’articolazione; questo permetterà di farlo scorrere e di sollevare la mano, riducendo così la possibilità che altre dita colpiscano accidentalmente dei tasti. Suonare con la punta aumenta anche l’esten-sione e la velocità del movimento del pollice. Sapere come far scorrere le dita permetterà di suonare liberamente con sicurezza anche se i tasti scivolano o sono bagnati di sudore. Non si sviluppi, per poter suonare, una dipendenza dalla frizione della superficie del tasto. Suonare con il polso sollevato farà scivolare le dita verso di sé. Se si abbassa il polso le dita tenderanno a scivolare via. Ci si eserciti in ciascuno di questi movimenti di scivolamento: tutte le cinque dita con il polso in su per un po’ e poi si ripeta con il polso in giù. Ad un’altezza intermedia le dita non scivoleranno anche se i tasti sono scivolosi.

Si facciano esperimenti nel controllare il tono usando alcuni scivola-menti intenzionali. Scivolare aumenta il controllo perché si crea una piccola discesa del tasto usando un movimento più grande. Il risultato è che qualsiasi errore di movimento verrà diminuito del rapporto, sem-pre minore di uno, tra la discesa del tasto e il movimento totale. Si possono quindi suonare quartine più uniformi facendo scivolare piutto-sto che andando giù dritti. Si può anche suonare più delicatamente.

Si ripeta con tutte le altre dita. Gli studenti che fanno questo esercizio per la prima volta dovrebbero scoprire che alcune dita (tipicamente 4 e 5) sono più difficili di altre. Questo è un esempio di come usare questi esercizi come strumento diagnostico per trovare le dita deboli.

L’idea qui, ovviamente, è di acquisire l’abilità di suonare più ripeti-zioni per quanto tempo si vuole alla velocità che si vuole. Viene eserci-tato un solo dito perché si tratta di acquisizione della tecnica; suonando normalmente le ripetizioni vengono di solito fatte cambiando dito. Le ripetizioni sono il movimento base per studiare qualsiasi insieme paral-

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lelo e sono essenziali per acquisire rapidamente l’abilità tecnica con gli insiemi paralleli, come spiegato ulteriormente nella Sezione C più avan-ti. Le ripetizioni veloci sono ciò che permette di studiare rapidamente gli insiemi paralleli perdendo meno tempo possibile. L’esercizio N.1 non è perciò solo un esercizio in sé, ma è qualcosa di cui si avrà bi-sogno in quelli che seguono.

Se si incontrassero delle difficoltà negli esercizi dal N.1 al N.4 queste dovrebbero essere facili da risolvere con i metodi delle sezioni da I a III. Si dovrebbe riuscire a “passarli” in poche settimane di studio. Sic-come si può lavorare su un certo numero di essi alla volta, l’intero in-sieme degli esercizi dal N.1 al N.4 non dovrebbe richiedere più di qual-che mese per essere portato a velocità, sebbene questo dipenda natu-ralmente dal proprio livello di abilità tecnica. Come detto prima, non si provi a studiarli tutti prima di averli “passati” perché ce ne sono troppi e si avranno parecchie opportunità di studiarli nell’imparare nuove composizioni. Il rilassamento, il controllo ed il tono sono più importanti della velocità. Si provi a produrre il miglior suono di piano-forte che si riesce – un suono che farà dire a qualcuno che passa: “Que-sto è il suono di un pianoforte!”

Ovviamente il pianoforte deve essere capace di produrre un tale suo-no e deve essere adeguatamente intonato, come spiegato nella Sezione III.14 (Prepararsi alle Esecuzioni in Pubblico ed Ai Saggi) e nella Sezio-ne 7 del Capitolo Due. L’intonazione del pianoforte è decisiva per una corretta esecuzione di questi esercizi: sia per acquisire più rapidamente nuove abilità tecniche sia per evitare di suonare in modo non musicale. Questo perché è impossibile produrre toni musicali delicati (o potenti o profondi) con martelli usurati che hanno bisogno di essere intonati.

Esercizio N.2 Insiemi paralleli di due dita. Si suoni 12 (pollice e indice della destra su Do e Re) più veloce possibile, come note di passaggio. L’idea è di suonarle rapidamente, ma sotto completo controllo. Ovviamente qui saranno necessari i metodi delle Sezioni I e II. Ad esempio, se la destra riesce ad eseguire facilmente un esercizio, ma uno correlato è difficile per la sinistra si usi la destra per insegnare alla sinistra. Si studi con il battere sull’1 così come sul 2. Quando questo sarà soddisfacente, si suoni una quartina come nell’esercizio N.1: 12, 12, 12, 12. Anche qui si porti la quartina a velocità, circa una al secondo. Si leghino poi quat-tro quartine in successione. Si ripeta l’intero esercizio per ognuno degli insiemi: 23, 34 e 45. Poi a scendere: 54, 43, eccetera. Sono valide tutte le osservazioni su come studiare l’esercizio N.1. Se, ad esempio, si in-

III.7 - ESERCIZI 191

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contrassero delle difficoltà nell’accelerare una quartina dell’insieme pa-rallelo 12, si suonino le due note assieme come un “accordo” e si studi la quartina di accordi proprio come si è fatto per quella di una nota singola nell’esercizio N.1.

Tutte le note di un insieme parallelo vanno suonate il più rapida-mente possibile perché gli insiemi paralleli vengono usati principal-mente per sviluppare la velocità. Il loro scopo è quello di insegnare al cervello il concetto di velocità estrema quasi fino ad infinito. Si sco-prirà che quando il cervello si abitua ad una velocità massima tutte le velocità più basse diventano facili da eseguire.

In questo e nei seguenti esercizi le osservazioni precedenti sono quasi sempre applicabili e non saranno quindi ripetute. Elencherò inoltre so-lo i membri rappresentativi di ciascuna famiglia di esercizi e lascerò al lettore capire i rimanenti. Il numero totale degli esercizi è molto più grande di quello che si potrebbe inizialmente pensare. Inoltre se si provasse a combinare a mani unite diversi esercizi per gli insiemi paral-leli il numero di possibilità diventerebbe rapidamente impressionante. Questi esercizi possono fornire ai principianti, che hanno delle difficoltà a farlo, il miglior modo di studiare come suonare a mani unite.

All’inizio si eseguano tutti gli esercizi usando i tasti bianchi e una vol-ta fatto questo si lavori su esercizi simili sui tasti neri.

L’obiettivo qui non è di fare tutti gli esercizi, ma di farsi un idea di tutti quelli possibili per identificare quelli che creano difficoltà e lavo-rare su di essi. Questi non sono esercizi da suonare per riscaldare i muscoli, ma sono esercizi per acquisire la tecnica quando ne sorge il bi-sogno. Una volta che si riesce ad eseguirli in modo soddisfacente non è necessario tornare a suonarli di nuovo, a meno che non si incontri una situazione nuova che richiede maggior miglioramento.

All’inizio si potrebbero riuscire a suonare molto velocemente solo due note consecutive, ma senza molto controllo indipendente. Si può ini-zialmente “imbrogliare” aumentando la velocità “bloccando la fase” delle due dita, tenendo cioè le due dita in una posizione fissa (a fase bloccata) ed abbassando semplicemente la mano per suonare le due no-te. Si ricordi che l’angolo di fase è il ritardo tra due dita successive nel suonare parallelo. Alla fine si dovrà suonare con dita indipendenti. Il blocco iniziale della fase viene usato solo per aumentare rapidamente la velocità. Questa è una delle ragioni per cui alcuni insegnanti non ap-provano il suonare parallelo, perché pensano che suonare parallelo si-gnifichi bloccare la fase, cosa che distrugge la musica. Dopo aver stu-diato per un po’ a fase bloccata le dita dovrebbero diventare sempre

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più indipendenti rendendo liberi di creare la musica. La semplice ca-pacità di suonare gli insiemi paralleli velocemente non è sufficiente. Dopo essere arrivati a velocità si continui a studiare finché non si sente di riuscire a controllare indipendentemente ciascun dito. Il modo mi-gliore per ottenerlo è rallentare gradualmente come spiegato nel pros-simo paragrafo.

Una volta riusciti a suonare quattro quartine di due dita molto rapi-damente si verifichi l’indipendenza delle dita rallentando costantemente per vedere se si hanno delle difficoltà a qualche velocità intermedia. Se si incontrassero delle difficoltà a velocità più basse allora c’è qualcosa che non va. All’inizio di solito la ragione è il blocco della fase: non si è ancora ottenuta l’indipendenza delle dita. Potrebbe anche essere un’indicazione della presenza di stress residuo. Si studi quindi a diver-se velocità.

Esercizio N.3 Insiemi paralleli più grandi. Ad esempio 123 e la sua famiglia: 234, ecc. Si ripetano tutte le procedure come nell’esercizio N.2. Si lavori poi con il gruppo 1234 ed infine con gli insiemi 12345. Con questi in-siemi più grandi, si potrebbe dover rallentare leggermente la velocità di ripetizione delle quartine. Il numero di esercizi possibili con questi in-siemi più grandi è molto alto. Il battere può essere su qualsiasi nota e si può iniziare con qualsiasi nota. Si potrebbe, ad esempio, studiare 123 come 231 e come 321. Quando si rallenta, il 321 può essere suona-to 213 o 132 – sono tutti distinti perché si scoprirà che alcuni sono faci-li, ma altri molto difficili. Se si includono le variazioni del battere ci sono 18 esercizi per sole tre dita sui tasti bianchi.

Esercizio N.4 Insiemi paralleli espansi. Si cominci con gli insiemi di due note 13, 24, eccetera (il gruppo delle terze) inclusi quelli del tipo 14 (quarte) e 15 (quinte e ottave). Poi c’è il gruppo degli insiemi paralleli espansi di tre note: 125, 135, 145 (quinta e ottava). Qui si hanno diverse scelte per la nota di mezzo.

Esercizio N.5 Insiemi paralleli composti. (1.3, 2.4) dove 1.3 indica un accordo, ad esempio, Do-Mi, due note suonate contemporaneamente. Si facciano poi i gruppi (1.4, 2.5). Ho scoperto spesso insiemi facili aumentando la velocità, difficili rallentando e viceversa. Ad esempio (1.3, 2.4) è più facile per me di (2.4, 1.3). Questi insiemi composti richiederanno un bel po’ di abilità tecnica. Finché non si saranno presi almeno diversi anni

III.7 - ESERCIZI 193

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di lezioni non ci si aspetti di essere in grado di suonarli con competen-za.

Qui finiscono gli esercizi a quartine ripetute basati sull’esercizio N.1.

Esercizio N.6 Insiemi paralleli complessi. Questi si studiano meglio individualmente piuttosto che come quartine rapide. Nella maggior parte dei casi do-vrebbero essere suddivisi in insiemi paralleli più semplici studiabili co-me quartine, almeno all’inizio. Gli “insiemi alternanti” sono del tipo 1324 e gli “insiemi misti” sono del tipo 1342, 13452, ecc., ossia miscugli di insiemi alternanti e normali. Ce ne sono chiaramente in gran nume-ro. Gli insiemi paralleli complessi più importanti tecnicamente si tro-vano nei pezzi da lezione di Bach, specialmente le sue Invenzioni a Due Voci. È questo il motivo per cui questi pezzi (in confronto all’Hanon) sono tra i migliori per acquisire la tecnica.

Esercizio N.7 Insiemi paralleli collegati. Ad esempio 1212, che contengono una o più congiunzioni. Possono essere un trillo (Do Re Do Re) oppure una volata (Do Re Mi Fa, dove si deve usare il metodo pollice sopra). Il tril-lo 1212 è diverso dall’esercizio N.2 perché in quell’esercizio l’intervallo 12 deve essere suonato più velocemente possibile, ma quello seguente 21 può essere più lento. Qui l’intervallo tra le note deve essere sempre lo stesso. Gli insiemi paralleli adesso non possono essere suonati infini-tamente veloci perché la velocità è limitata dalla capacità di collegarli. L’obiettivo qui è ancora la velocità: quanto li si riesca a suonare velo-cemente con precisione e rilassamento e quanti se ne riescano a collega-re insieme. Questo è un esercizio per imparare a suonare le congiun-zioni. Si suonino più note possibile in un unico movimento della ma-no. Se ne studino poi due in un movimento verso il basso, ecc. finché non se ne riescono a fare quattro in fila.

Per suonare velocemente, le prime due note sono le più importanti e devono iniziare alla velocità giusta. Potrebbe essere utile bloccarne la fase per essere sicuri che inizino nel modo corretto. Una volta iniziato ad alta velocità il resto tende a seguire più facilmente.

Per collegare gli insiemi contenenti il pollice si usi il metodo pollice sopra, tranne nelle situazioni speciali (molto poche) in cui è ovvia la necessità di usare il pollice sotto. Si esplorino i vari movimenti di col-legamento per vedere quali funzionano meglio. Un piccolo scatto del polso è uno dei movimenti più utili. Si deve quasi sempre incrociare sopra per collegare gli insiemi che non coinvolgono il pollice, non sot-

194 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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to. Molti di questi incroci senza il pollice sono tuttavia di valore discu-tibile perché sono raramente necessari.

Gli insiemi paralleli collegati sono i principali elementi di studio delle Invenzioni a Due Voci di Bach. Si cerchi quindi in queste per trovarne alcuni dei più inventivi e tecnicamente importanti. Spesso, come spie-gato nella Sezione III.19C, per molti studenti è impossibile memorizzare alcune composizioni di Bach e suonarle oltre una certa velocità. Que-sto ha limitato la popolarità di suonare Bach e l’uso di questa risorsa di grande valore per acquisire la tecnica. Quando vengono tuttavia tratta-te in termini di insiemi paralleli e studiate seguendo i metodi di questo libro, tali composizioni diventano di solito abbastanza semplici da im-parare. Questo libro dovrebbe perciò aumentare enormemente la po-polarità di suonare Bach. Si veda la Sezione III.19C per altre spiegazio-ni su come studiarlo.

Il numero praticamente infinito di esercizi necessari dimostra come quelli vecchi (come l’Hanon, che userò qui come rappresentativo di quello che viene considerato il tipo “sbagliato” di esercizi) siano disa-strosamente inadeguati. C’è un vantaggio, comunque, negli esercizi Hanon consistente nel fatto che iniziano con le diteggiature e gli esercizi più facili che si incontrano più spesso; sono, cioè, ben ordinati. Le pos-sibilità che siano di poco aiuto quando si incontra un passaggio difficile in un pezzo arbitrario sono comunque quasi il 100%. Il concetto di in-sieme parallelo ci permette di identificare la serie di esercizi più sempli-ce possibile tale da formare un insieme completo da applicare pratica-mente a tutto quello che si potrebbe incontrare. Non appena questi e-sercizi divengono leggermente complessi il loro numero diventa grande in maniera inimmaginabile. Quando si raggiunge la complessità anche del più semplice degli esercizi Hanon, il numero di possibili esercizi per gli insiemi paralleli diventa intrattabile. Anche Hanon ha riconosciuto questa inadeguatezza ed ha suggerito variazioni (come studiare gli eser-cizi in tutte le possibili trasposizioni). Questo è sicuramente utile, ma è carente di categorie intere come gli Esercizi N.1 e N.2 (i più elementari ed utili) o le velocità incredibili che si possono raggiungere prontamen-te con gli altri. Si noti che gli esercizi dal N.1 al N.4 formano un in-sieme completo di esercizi puramente paralleli (senza congiunzioni). Non manca nulla. Intervalli più grandi di quanto uno possa raggiun-gere con un accordo mancano nell’elenco degli insiemi paralleli descritti qui perché non si possono suonare infinitamente veloce e devono esse-re classificati come salti. I metodi per studiare i salti sono trattati nella Sezione F, più avanti.

III.7 - ESERCIZI 195

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È facile, usando i metodi di questo libro, portare gli Hanon a velocità ridicole. Lo si potrebbe provare solo per divertimento, ma ci si troverà presto a chiedersi “Perché lo sto facendo?” Anche quelle ridicole velo-cità non possono neanche avvicinarsi a ciò che si può prontamente ot-tenere con gli esercizi per gli insiemi paralleli, perché ciascun esercizio Hanon contiene almeno una congiunzione e non può quindi essere suonato infinitamente veloce. Questo è chiaramente il più grande van-taggio degli esercizi per gli incisimi paralleli: non c’è, in teoria come in pratica, alcun limite alla velocità e quindi permettono di esplorarla nella sua intera gamma, senza limiti. Come fatto notare prima, la se-rie Hanon è sistemata genericamente in ordine di difficoltà e questo aumento viene creato aggiungendo congiunzioni ed insiemi paralleli più difficili. Negli esercizi per gli insiemi paralleli gli “elementi di difficoltà” individuali sono esplicitamente isolati in modo da poterli studiare uno alla volta.

Per illustrare l’utilità di questi esercizi si supponga di voler studiare un trillo composto a quattro dita basato sull’esercizio N.5 (Ad esempio Do.Mi, Re.Fa, Do.Mi, Re.Fa, ecc.). Seguendo in ordine gli esercizi dal N.1 al N.7 si ha ora una ricetta passo per passo per diagnosticare le proprie difficoltà ed acquisire questa abilità tecnica. Ci si assicuri pri-ma che gli accordi a due note siano uniformi applicando gli esercizi N.1 e N.2. Si provi poi (1.3, 2) e (1.3, 4). Quando questi saranno soddisfa-centi, si provi (1.3, 2.4). Si lavori dopo sull’inverso (2.4, 1) e (2.4, 3) e infine (2.4, 1.3). Il resto dovrebbe essere ovvio dopo aver letto fin qui. Questi potrebbero essere degli allenamenti grezzi, si ricordi quindi di cambiare spesso mano prima che arrivi la stanchezza.

È da sottolineare nuovamente il fatto che nei metodi di questo libro non c’è spazio per la ripetizione meccanica degli esercizi. Esercizi del genere hanno un altro insidioso svantaggio: molti pianisti li usano per scaldarsi ed essere in gran forma per suonare e questo può dare l’errata impressione che tale condizione sia una conseguenza degli esercizi mec-canici. Non lo è. La condizione di forma è la stessa, indipendentemen-te da come ci si arriva. Si possono perciò evitare i trabocchetti degli e-sercizi meccanici usando modi più vantaggiosi di scaldarsi. Questo ar-gomento verrà trattato più approfonditamente nella Sezione F più a-vanti.

C) Come Usare Gli Esercizi per Gli Insiemi Paralleli Gli esercizi per gli insiemi paralleli non si devono intendere come sosti-tutivi di quelli tipo Hanon, Czerny, eccetera. La filosofia di questo li-bro è che si può usare meglio il proprio tempo esercitandosi su “musica

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vera” piuttosto che su “esercizi di musica”. Gli esercizi per gli insiemi paralleli sono stati introdotti perché non è noto alcun metodo più velo-ce per acquisire la tecnica. I pezzi tecnici come gli studi di Liszt, Cho-pin o le Invenzioni di Bach non sono “esercizi di musica” in questo senso. Gli esercizi per gli insiemi paralleli si devono usare nel seguente modo: (1) A scopo diagnostico: facendoli tutti sistematicamente si possono

scoprire le proprie forze e debolezze. Con il senno di poi sembra ovvio che se si intende migliorare qualche aspetto tecnico è neces-sario un buon strumento diagnostico, altrimenti sarebbe come an-dare all’ospedale per un’operazione senza sapere che malattia si ha. Secondo questa analogia medica esercitarsi con l’Hanon è come andare all’ospedale e sottoporsi a tutte le operazioni più comuni a prescindere dall’averne bisogno o meno. La capacità diagnostica è più utile quando si studia un passaggio difficile: aiuta ad indivi-duare quale dito è debole, lento, scoordinato, eccetera.

(2) Per acquisire la tecnica: le debolezze trovate in (1) possono ora es-sere corrette usando precisamente gli stessi esercizi che le hanno diagnosticate. Si lavora semplicemente sugli esercizi che hanno ri-velato i problemi. In linea di principio questi esercizi non finiscono mai perché il limite superiore della velocità e aperto. In pratica, tuttavia, finiscono alla velocità di circa una quartina al secondo perché poca musica, se alcuna, richiede velocità maggiori. Nella maggior parte dei casi una volta aggiunta anche una sola congiun-zione non si possono usare queste elevate velocità. Questo dimo-stra la bellezza di questi esercizi, che permettono di esercitarsi a ve-locità più alta di quella che sarà necessaria, dando così un margine aggiuntivo di sicurezza e di controllo. Questi esercizi si dovrebbero usare maggiormente nello studio a mani separate nel portare a ve-locità oltre quella finale.

Le procedure (1) e (2) sono tutto ciò di cui si ha bisogno per risolvere i problemi nel suonare materiale difficile. Una volta applicati a diverse situazioni, prima “impossibili”, si otterrà la sicurezza che, ragionevol-mente, niente è irraggiungibile.

A titolo di esempio si consideri uno dei passaggi più difficili del terzo movimento della Appassionata di Beethoven, misura 63: l’accompa-gnamento della sinistra alla volata culminante della destra ed i passaggi simili che seguono. Ascoltando attentamente le registrazioni si scopre che anche i pianisti più famosi hanno delle difficoltà con la sinistra e tendono a partire lentamente per poi accelerare. Questo accompagna-

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mento consiste negli insiemi paralleli composti (2.3, 1.5) e (1.5, 2.3) do-ve 1.5 è un’ottava. Acquisire la tecnica necessaria si riduce semplice-mente al perfezionare questi insiemi paralleli ed a collegarli. Provare ad impararlo semplicemente suonandolo lentamente per poi accelerare richiederebbe molto più tempo. Di fatto la semplice ripetizione non ga-rantisce che alla fine si riesca perché provando ad accelerare diventa una gara tra riuscirci e sviluppare un muro di velocità. Questo perché, in questo esempio è difficile imparare anche un singolo insieme paralle-lo ed unirli lo è anche di più. Quando perciò ne vengono uniti diversi, lo studio della loro combinazione può impiegare una quantità di tempo indefinita. Senza insiemi paralleli c’è una elevata probabilità di svilup-pare abitudini stressanti e di creare muri di velocità ed una volta eretti si può studiare una vita senza migliorare.

Riassumendo, gli esercizi per gli insiemi paralleli sono uno dei pila-stri principali dei metodi di questo libro. Sono una delle ragioni della rivendicazione secondo la quale non c’è niente di troppo difficile da suonare, se si sa come studiarlo. Servono sia come strumento diagno-stico sia come strumento di sviluppo della tecnica. Praticamente tutta la tecnica dovrebbe essere acquisita durante lo studio a mani separate usando gli insiemi paralleli per alzare la velocità e per guadagnare con-trollo. Essi formano un insieme completo ed in questo modo si sa di avere gli strumenti necessari. Si possono applicare immediatamente, diversamente dall’Hanon, per aiutare quando si incontra un qualsiasi passaggio difficile e permettono di esercitarsi a qualunque velocità, in-cluse quelle molto più alte di cui si avrà mai bisogno. Sono ideali per esercitarsi a suonare senza stress controllando il tono. In particolare è importante prendere l’abitudine di far scivolare le dita sui tasti senten-doli prima di suonarli, farle scivolare permette di controllare il tono e sentire i tasti migliora la precisione. Passiamo ora a diversi altri esercizi utili.

D) Le Scale, Gli Arpeggi, L’Indipendenza delle Dita e Gli Esercizi di Sollevamento

Le scale e gli arpeggi devono essere studiati con diligenza. Non sono nella classe degli esercizi meccanici a causa delle numerose tecniche ne-cessarie acquisite più rapidamente con il loro uso (come il pollice sopra, le posizioni a dita distese, il sentire i tasti, la velocità, gli insiemi paralle-li, il movimento glissando, il tono/colore, l’inversione della direzione, il polso flessibile, ecc.) Le scale e gli arpeggi si devono studiare a mani separate, studiarle sempre a mani unite le metterebbe nella stessa cate-goria dell’Hanon. Imparare a suonarle bene è molto difficile e si avrà

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sicuramente bisogno degli insiemi paralleli, si vedano le Sezioni III.4B e III.5 per ulteriori dettagli.

Gli esercizi per l’indipendenza delle dita e quelli di sollevamento si eseguono premendo giù all’inizio tutte le cinque dita, ad esempio dal Do al Sol con la destra. Si suoni poi ciascun dito da tre a cinque volte: Do Do Do Do Re Re Re Re Mi Mi Mi Mi Fa Fa Fa Fa Sol Sol Sol Sol. Mentre ciascun dito suona, gli altri quattro devono essere tenuti giù. Non si prema forte perché è una forma di stress e provocherà rapida-mente stanchezza. Tutti i tasti premuti sono completamente giù, ma le dita stanno semplicemente su di essi con la sola forza verso il basso ne-cessaria per tenerli giù. Il peso della mano dovrebbe bastare. I princi-pianti, all’inizio, potranno trovare questi esercizi difficili perché le dita che non suonano tendono a collassare dalla loro posizione ottimale, specialmente quando iniziano a stancarsi. Ci si assicuri che le dita sia-no sempre nella loro corretta posizione ricurva. Se tendessero a collas-sare, si provi un po’ di volte e si cambi mano o si smetta. Si riprovi dopo aver riposato. Una variante è distribuire le note su un’ottava.

Si suonino le note a velocità moderata, non troppo veloce da causare stress, per esercitare l’indipendenza delle dita. Si noti la somiglianza con l’esercizio N.1, Sezione B. L’esercizio N.1 è migliore di questo per quanto riguarda l’indipendenza delle dita. L’obiettivo dell’esercizio N.1 era la velocità, l’accento qui è diverso: è sulla completa indipendenza delle dita. Alcuni insegnanti di pianoforte raccomandano di fare questo esercizio una volta ogni seduta di studio, funziona al meglio se lo si e-segue un po’ di volte. Farlo molte volte in una seduta e poi trascurarlo in quelle successive non funziona così bene.

Tutti i metodi di studio e gli esercizi di questo libro hanno a che fare principalmente con i muscoli usati per premere tasti (flessori). È possi-bile che essi divengano molto più forti di quelli usati per sollevare (e-stensori) causando così problemi di controllo. I flessori possono finire per diventare più forti degli estensori, specialmente invecchiando. Fare esercizi di sollevamento per esercitare gli estensori rilevanti è quindi una buona idea. Le posizioni a dita distese sono valide per esercitare gli estensori che sollevano le dita e contemporaneamente rilassare gli estensori della punta.

Si ripetano gli esercizi precedenti, ma, per esercitarsi, si sollevi ciascun dito più in alto possibile, per due secondi ciascuno, una sola volta per ogni dito. Anche qui si tengano giù le altre dita con minima pressione. Questo è un tipo di esercizi isometrici per rafforzare dei muscoli speci-fici. Si deve quindi mettere in ciascun sollevamento il massimo impe-

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gno, ma senza provocare dolore. Come al solito, è importante ridurre lo stress nelle dita che non vengono sollevate. Questo esercizio va ese-guito un massimo di tre volte al giorno. Non è necessario un gran nu-mero di ripetizioni quotidiane perché sono esercizi isometrici.

Tutti abbiamo problemi a sollevare il quarto dito (l’anulare). Tra molti c’è un’errata convinzione che lo si debba riuscire ad alzare in alto quanto le altre dita ed alcuni si sforzano in maniera spropositata nel cercare di riuscirci. Sforzi del genere si sono dimostrati inutili e con-troproducenti. Questo perché l’anatomia del quarto dito non gli per-mette di essere sollevato più di tanto. L’unica cosa che non deve fare è premere inavvertitamente qualche tasto e questo richiede molto meno sollevamento. Si può quindi sempre suonare con il quarto dito a poca distanza o addirittura che tocca i tasti. Studiare passaggi difficili sfor-zandosi sproporzionatamente di tenerlo sollevato può essere causa di stress nelle dita 3 e 5. È più produttivo imparare a suonare con meno stress a patto di non farlo interferire in alcun modo, è perciò estrema-mente necessario imparare a sollevarlo indipendentemente dagli altri. L’esercizio per farlo si esegue nel modo seguente. Si premano giù, co-me prima, tutte le dita: Do Re Mi Fa Sol. Si suoni poi 141414… con l’accento su 1 e sollevando il 4 più rapidamente e in alto possibile. Poi si ripeta con 242424 ecc. Poi con le dita 3 e 5. Questo non è un eser-cizio isometrico, si può ripetere un qualsiasi numero di volte e non è necessario il massimo impegno perché si sta esercitando il controllo. Si può anche fare con il 4 su un tasto nero.

Entrambi gli esercizi di indipendenza delle dita e di sollevamento si possono eseguire senza il pianoforte su qualsiasi superficie piana. Que-sto è il momento migliore di praticare il rilassamento dei muscoli esten-sori delle ultime due falangi (quella dell’unghia e quella media) delle dita da 2 a 5; si veda la Sezione III.4B per ulteriori dettagli. Durante l’intero esercizio queste due falangi, di tutte le dita anche quelle solleva-te, dovrebbero essere completamente rilassate.

E) Suonare Gli Accordi (Ampi), Esercizi di Stiramento del Palmo Tratteremo prima il problema di suonare con precisione accordi in cui tutte le note devono essere suonate il più possibile contemporaneamen-te. Affronteremo poi il problema di suonare gli accordi ampi.

Nella Sezione II.10 abbiamo visto che per migliorare la precisione dei propri accordi si possono usare le cadute. Se dopo averle usate ci fos-sero tuttavia ancora delle disomogeneità, si tratta di un problema di ba-se da diagnosticare e correggere con gli esercizi per gli insiemi paralleli. Gli accordi non sono più uniformi di quanto lo è il controllo su ciascun

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dito individualmente. Quali dita siano lente, deboli, eccetera lo si può diagnosticare usando gli esercizi per gli insiemi paralleli. Vediamo un esempio. Supponiamo che si stia suonando un accordo Do-Mi contro un Sol (tutti nella sinistra) nell’ottava 3. Allora Do3, Mi3 e Sol3 ven-gono suonate con le dita 5, 3 e 1. Si sta suonando come un tremolo la serie (5.3,1), (5.3,1), ecc. Assumiamo anche che ci sia un problema di accordo nel 5.3. Queste due dita non atterrano contemporaneamente, rovinando il tremolo. Il modo di diagnosticare questo problema è pro-vare l’insieme parallelo 5,3 per vedere se lo si riesce a suonare. Si pro-vi ora l’insieme inverso 3,5. Se si avessero problemi con l’accordo ci sono buone probabilità di avere più che un problema con uno di questi due insiemi paralleli più dell’altro o con entrambi. Tipicamente 3,5 è più difficile di 5,3. Si lavori su quelli problematici. Una volta riusciti a suonarli bene entrambi l’accordo dovrebbe venire molto meglio. C’è una remota possibilità che il problema sia negli insiemi paralleli 5,1 o 3,1 si provino quindi questi se il 5,3 non ha funzionato.

La mano ha due gruppi di muscoli che stirano il palmo per raggiun-gere accordi ampi. Uno principalmente apre la mano, l’altro princi-palmente allarga le dita. Quando si estende la mano per suonare ac-cordi ampi si usino i muscoli che aprono il palmo. La sensazione è quella di stirare il palmo lasciando libere le dita; si allarghino cioè le nocche e non le punte delle dita. Il secondo gruppo di muscoli sempli-cemente allarga le dita: questo allargamento è utile per estendere il palmo, ma interferisce con il movimento delle dita stesse perché tende a bloccarle ad esso. Si coltivi l’abitudine di usare i muscoli del palmo se-paratamente da quelli delle dita. Questo ridurrà sia lo stress sia la stanchezza e fornirà più controllo quando si suonano gli accordi.

Per poter verificare che il palmo sia completamente stirato, lo si apra e si distendano le dita in modo che abbiano massimo raggio d’azione: se il pollice ed il mignolo stanno su una linea praticamente retta allora non le si potrà stirare molto di più. Se formano una “V” allora si può riuscire ad estenderle di più facendo esercizi di stiramento. Un altro modo per verificare questo allineamento è quello di mettere il palmo sopra ad un tavolo vicino al bordo (dritto) con mignolo e pollice sul bordo in modo che solo le dita 2, 3 e 4 stiano sulla superficie. Se quelle sul bordo formano un triangolo con il tavolo allora si potrà stirare di più. Si può fare un esercizio di stiramento spingendo la mano verso il tavolo e appiattendo così il triangolo. Sebbene l’allineamento pollice-mignolo sia un buon indicatore della massima estensione, l’obiettivo principale dello stiramento è quello di aumentare la separazione tra le ossa del palmo. La maggior parte delle persone ha la sinistra legger-

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mente più grande della destra ed alcuni raggiungono di più usando 1.4 al posto di 1.5.

Un altro modo di stirare il palmo è mettere il destro sul dorso della sinistra, con il braccio destro verso sinistra e il sinistro verso destra, con i palmi rivolti al petto. In questa posizione si ha pollice contro pol-lice e mignolo contro mignolo. Si spingano poi le mani una verso l’altra in modo che il pollice ed il mignolo si spingano indietro a vicen-da, stirando quindi il palmo. Per poter stirare i palmi senza piegare le dita si blocchino queste ultime alla prima falange dalla nocca (falange prossimale), non alla punta. Si ripeta poi la stessa procedura con la si-nistra sulla destra. Uno stiramento regolare da giovani può fare una notevole differenza quando si invecchia.

Si può risparmiare un sacco di tempo se si stira la mano usando il bordo del pianoforte mentre si studia a mani separate con l’altra mano.

Quando si suonano degli accordi ampi il pollice dovrebbe essere in-curvato leggermente all’indentro e non completamente stirato in fuori; come tenere il pollice all’indentro possa far estendere di più la mano è contro-intuitivo, ma accade a causa della particolare curvatura della sua punta. Alcune delle difficoltà, nel suonare con precisione gli accordi, hanno origine nel posizionamento della mano piuttosto che nell’esten-sione o nel controllo delle dita. L’orientamento del palmo è critico spe-cialmente per le mani piccole. Quando si suonano gli accordi si deve di solito spostare la mano e questo spostamento deve essere molto preciso; è questo il movimento di “salto” di cui parleremo più avanti. Sarà ne-cessario sviluppare i movimenti di salto corretti così come l’abitudine di sentire i tasti. Non si può semplicemente alzare la mano in alto sopra i tasti, posizionare correttamente tutte le dita, sbatterle giù ed aspettarsi di prendere tutte le note giuste nello stesso istante. I grandi pianisti sembra facciano spesso così, ma come vedremo più avanti non lo fan-no. Finché quindi non si sarà perfezionato il movimento di salto e non si sarà capaci di sentire i tasti, qualunque problema nel suonare gli ac-cordi (note mancanti o sbagliate) potrebbe non essere dovuto ad una carenza di estensione o di controllo delle dita. Incontrare delle difficol-tà nel suonare gli accordi e l’insicurezza nei salti sono un sicuro segno che si devono imparare questi ultimi prima di pensare di riuscirci.

F) Esercitarsi ai Salti Molti studenti vedono i pianisti famosi fare quei grandi e rapidi salti e si domandano come mai non riescano a farli, indipendentemente da quanto si esercitino. Questi grandi pianisti sembra saltino senza sforzo e suonino note o accordi in modo fluido da posizione a posizione non

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importa dove esse siano. In realtà stanno facendo diversi movimenti troppo veloci e sottili per essere riconosciuti dall’occhio, a meno che non si sappia cosa guardare. I salti sono costituiti da due movimenti principali: (1) uno spostamento orizzontale della mano nella posizione giusta e (2) il vero movimento verso il basso per suonare. Inoltre ci so-no due movimenti facoltativi che verranno spiegati più avanti: sentire i tasti ed il movimento di distacco. Il movimento composto dovrebbe apparire più come una “U” rovesciata piuttosto che come una “V” ro-vesciata.

Gli studenti non addestrati ai salti tendono a spostare la mano se-guendo un movimento a “V” rovesciata. Con questo tipo di movimen-to (nessuna accelerazione orizzontale) è terribilmente difficile prendere una nota con precisione perché si arriva con un qualche angolo arbitra-rio. Si noti come questo angolo non sia mai lo stesso (anche nello stes-so passaggio suonato più volte) perché dipende dalla distanza del salto, dal tempo, da quanto si solleva la mano, eccetera. Esercitarsi a preme-re giù dritti è abbastanza difficile, non c’è da meravigliarsi che alcuni studenti considerino i salti impossibili se devono studiare tutti questi angoli. È perciò importante arrivare giù dritti alla fine del salto (o sen-tire i tasti appena prima di suonarli).

Questi studenti in genere non si rendono neanche conto che il movi-mento orizzontale può essere enormemente accelerato, perciò la prima abilità tecnica da studiare è rendere il movimento orizzontale il più ra-pido possibile, in modo da lasciare abbastanza tempo per individuare i tasti dopo esserci arrivati. Si trovino i tasti prima di suonarli veramen-te. Sentire i tasti è la terza componente di un salto. Questa componen-te è facoltativa perché non è sempre necessaria e qualche volta non c’è abbastanza tempo. Quando questa combinazione di movimenti viene perfezionata sembra venga fatta in un movimento unico. Questo per-ché è necessaria solo una frazione di secondo per arrivare prima di suonare la nota. Se non ci si esercita ad accelerare il movimento oriz-zontale si tenderà ad arrivare una frazione di secondo in ritardo rispet-to a quanto necessario. Questa differenza quasi impercettibile fa tutta la differenza tra una precisione del 100% ed una cattiva accuratezza. Ci si assicuri di esercitarsi a fare movimenti orizzontali rapidi anche nei salti lenti.

Sebbene sentire i tasti prima di suonare sia facoltativo, si resterà sor-presi da quanto lo si possa fare rapidamente. La maggior parte delle volte si avrà il tempo di farlo. È una buona politica, quindi, sentire sempre i tasti quando si studiano i salti lentamente. Una volta impara-

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te tutte le abilità tecniche qui elencate ci sarà un sacco di tempo per far-lo anche alla velocità finale. Ci sono alcuni casi in cui non c’è tempo e queste poche volte i salti si possono suonare con precisione se nella maggior parte degli altri i tasti sono stati accuratamente trovati toccan-doli.

La quarta componente dei salti è il distacco. Si prenda l’abitudine di effettuare distacchi rapidi indipendentemente dalla velocità del salto. Non c’è nulla di sbagliato nell’arrivare in anticipo. Anche quando si studia lentamente ci si dovrebbe esercitare nei distacchi molto rapidi in modo che questa capacità ci sia quando si accelera. Si inizi il distacco con un piccolo scatto del polso in basso e di lato. Sebbene sia necessa-rio arrivare giù dritti per suonare le note, non c’è bisogno di andare dritti nel distacco. Ovviamente l’intera procedura di salto è progettata per far arrivare rapidamente la mano a destinazione, con precisione ed in modo riproducibile affinché ci sia un sacco di tempo per suonare giù dritti e sentire i tasti.

L’elemento più importante su cui esercitarsi, una volta note le compo-nenti di un salto, è accelerare il movimento orizzontale. Si resterà sor-presi da quanto velocemente si possa spostare la mano in orizzontale se ci si concentra solo su questo movimento. Si resterà anche meravigliati da quanto la si riuscirà a muovere velocemente in soli pochi giorni di esercizio – qualcosa che alcuni studenti non riescono mai ad ottenere in una vita perché nessuno glielo ha mai insegnato. Questa velocità è ciò che fornisce il tempo aggiuntivo necessario per assicurare una precisio-ne del 100% e per includere senza sforzo le altre componenti del salto – specialmente il sentire i tasti. Si eserciti questa abilità quando possibile in modo che diventi naturale e che non sia necessario guardare le mani. Una volta fluidamente incorporata nel proprio modo di suonare, gran parte delle persone che guarderanno non noterà nemmeno che lo si sta facendo perché lo si farà in una piccola frazione di secondo. Le mani si muoveranno più velocemente di quanto l’occhio possa vedere, come fa un mago esperto. Le posizioni a dita distese sono importanti nel far questo perché con esse si può usare (per sentire i tasti) la parte più sen-sibile delle dita e perché aumentano la precisione nel premerli, special-mente quelli neri.

Ora che si conoscono le componenti di un salto le si ricerchino guar-dando le esecuzioni dei pianisti concertisti. Si dovrebbe riuscire ad i-dentificare ciascuna componente e si potrebbe restare sorpresi da quan-to spesso sentano i tasti prima di suonarli e da come possano eseguire queste componenti in un batter d’occhio. Queste abilità tecniche per-

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metteranno di suonare facendo anche grandi salti senza guardare le mani.

Il modo migliore di esercitarsi al movimento orizzontale è farlo lonta-no dal pianoforte. Ci si sieda con il gomito dritto in giù. Si sposti ra-pidamente la mano di lato facendo roteare l’avambraccio attorno al gomito e tenendo fermo quest’ultimo. Ora si rivolga l’avambraccio dritto di fronte e lo si faccia scorrere orizzontalmente di lato (non in un arco verso l’alto) facendo ruotare il braccio attorno alla spalla e spo-stando quest’ultima verso il basso. In un vero salto al pianoforte questi movimenti sono combinati in maniera complessa. Si studino i rapidi spostamenti a destra e a sinistra più velocemente possibile per ciascun tipo e per una combinazione dei due. Non si provi ad impararli in un giorno: è possibile farsi male ed i miglioramenti più significativi do-vranno aspettare il miglioramento post studio.

I salti diverranno immediatamente più facili imparando ad accelerare il movimento orizzontale. Si rilassino tutti i muscoli, per ridurre lo stress, non appena termina il movimento orizzontale. Lo stesso vale per il successivo movimento verso il basso e, non appena vengono suonate le note, si rilassino tutti i muscoli e si lasci il peso della mano sul piano-forte (non si sollevino le mani/dita dai tasti). Un buon pezzo per stu-diare i salti della sinistra è la quarta variazione nella famosa Sonata in La di Mozart, N.16 (K300). Questa variazione ha dei grandi salti in cui la sinistra incrocia la destra. Un pezzo famoso da usare per studiare i salti della destra è il Primo Movimento della Sonata Patetica di Beetho-ven, Op. 13, subito dopo i tremoli in ottava della sinistra, dove la de-stra fa salti che incrociano la sinistra.

Ci si eserciti ad accelerare il movimento orizzontale suonando ad un tempo lento, ma spostandosi orizzontalmente il più rapidamente possi-bile, fermandosi poi sulla posizione giusta e aspettando prima di suona-re. Si avrà ora il tempo di esercitarsi a toccare le note prima di suonar-le, in modo da garantire una precisione del 100%. L’idea qui è di for-mare l’abitudine di arrivare sempre in anticipo in posizione. Si acceleri il tempo una volta soddisfatti di avere un movimento orizzontale rapi-do. Tutto ciò che si deve fare per accelerare, all’aumentare del ritmo, è ridurre il tempo di attesa prima di suonare le note. Diventando bravi si arriverà sempre “una frazione di secondo prima”. Si combinino poi tutti i quattro movimenti in un unico movimento fluido: adesso sembra quello dei grandi pianisti che si invidiavano! Meglio ancora, i salti non sono così difficili o spaventosi, dopotutto.

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G) Altri Esercizi Sono utili molti esercizi di stiramento dei grandi muscoli del corpo (si veda Bruser). Un esercizio di stiramento dei muscoli che muovono le dita può essere eseguito come segue. Si spingano le dita di una mano, con il palmo dell’altra, verso l’avambraccio. Le persone hanno gradi di flessibilità molto diversi ed alcuni saranno in grado di spingere le dita completamente all’indietro fino a toccare l’avambraccio con le unghie (180 gradi dalla posizione dritta normale!), altri riusciranno a spingere solo circa 90 gradi (le dita indicano verso l’alto con il braccio orizzonta-le). Questo esercizio stira i muscoli flessori. La loro capacità di stirarsi diminuisce con l’età: è quindi una buona idea stirarli spesso durante la propria vita per preservarne la flessibilità. Si pieghino le dita verso l’avambraccio per stirare i muscoli estensori. Si possono eseguire que-sti esercizi prima di suonare “a freddo”.

Nel Sandor e nel Fink (si veda la Sezione Riferimenti) ci sono molti esercizi interessanti perché ognuno è scelto per dimostrare un particola-re movimento della mano. Inoltre i movimenti vengono spesso illustra-ti usando passaggi tratti da composizioni classiche di famosi composito-ri.

H) I Problemi degli Esercizi Hanon Da circa il 1900 gli esercizi di Charles Louis Hanon (1820-1900) sono stati usati da molti pianisti nella speranza di migliorare la tecnica. Ci sono ora due scuole di pensiero: chi pensa che gli esercizi Hanon siano utili e chi non lo pensa. Molti insegnanti raccomandano l’Hanon men-tre altri pensano sia controproducente. C’è un “motivo” che molte persone adducono per usare l’Hanon: serve a tenere le dita quotidia-namente in condizione di suonare. Questa giustificazione viene citata molto spesso da quelle persone che vogliono riscaldare le dita spegnen-do il cervello. Ho il sospetto che quest’abitudine nasca dall’aver usato l’Hanon presto nella vita pianistica di queste persone e che non lo use-rebbero se non fossero così abituati.

Io in gioventù ho usato gli esercizi Hanon in modo estensivo, ma so-no ora fermamente della scuola anti-Hanon. Darò qui più avanti un elenco di alcuni dei motivi. Il Czerny, il Cramer-Bullow ed i pezzi da lezione simili condividono molti degli stessi svantaggi. L’Hanon è pro-babilmente il migliore esempio di come i metodi intuitivi possano risuc-chiare intere popolazioni di pianisti nell’usare metodi essenzialmente inutili o addirittura dannosi.

206 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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(1) Hanon, nella sua introduzione, sostiene alcune sorprendenti riven-dicazioni prive di giustificazioni, spiegazioni o evidenza sperimenta-le; come esemplificato dal suo titolo “Il pianista virtuoso in 60 eser-cizi”. Ad un’attenta lettura ci si rende conto che ha semplicemente sentito che questi esercizi erano utili e li ha scritti: un altro eccellen-te esempio dell’“approccio intuitivo”. Non c’è alcuna evidenza spe-rimentale e neanche qualche spiegazione razionale sul perché questi esercizi dovrebbero funzionare come pubblicizzato. Di fatto, la maggior parte degli insegnanti di livello avanzato che leggesse l’introduzione concluderebbe che quest’approccio all’acquisizione della tecnica è dilettantistico e non funziona. Hanon implica che la capacità di suonare questi esercizi assicurerà di saper suonare qual-siasi cosa – questo non solo è completamente falso, ma rivela anche una sorprendente mancanza di comprensione di cosa sia la tecnica. La tecnica si può acquisire solo imparando tanti pezzi di tanti compositori. Non vi è dubbio che ci siano molti pianisti formati che usano gli esercizi Hanon. Tuttavia, tutti i pianisti di livello avan-zato sono d’accordo sul fatto che l’Hanon non serve ad acquisire la tecnica, ma potrebbe essere utile per scaldarsi o per mantenere le mani in buona condizione per suonare. Penso ci siano molti pezzi migliori dell’Hanon per scaldarsi, come gli studi, molte composi-zioni di Bach ed altri pezzi facili. Le abilità tecniche necessarie a suonare qualunque pezzo significativo sono incredibilmente varie e numerose – in numero quasi infinito. Pensare che la tecnica si pos-sa ridurre a 60 esercizi rivela l’ingenuità di Hanon e qualsiasi stu-dente che ci creda viene fuorviato.

(2) Tutti i 60 esercizi sono quasi interamente a due mani (in cui queste suonano le stesse note ad un’ottava di distanza) più alcuni per moto contrario (nei quali si muovono in verso opposto). Questo movi-mento bloccato a mani unite è uno dei più grossi limiti perché così la mano migliore non può esercitarsi in cose più avanzate di quella più debole. A bassa velocità nessuna delle due mani si allena mol-to, alla massima velocità quella lenta viene stressata mentre l’altra suona rilassata. Siccome la tecnica viene acquisita principalmente quando si suona rilassati, la mano debole si indebolisce e quella forte si rinforza. Il miglior modo di rinforzare la mano debole è quello di esercitare solo lei, non di suonare a mani unite. Di fatto, il modo migliore per imparare l’Hanon è quello di separare le mani come consigliato in questo libro, ma sembra che Hanon non l’abbia mai considerato. Pensare che suonando a mani unite la mano de-bole raggiunga quella forte rivela una sorprendente ignoranza per

III.7 - ESERCIZI 207

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qualcuno con così tanta esperienza nell’insegnamento. Questo è in parte ciò che intendevo prima con “dilettantistico”; altri esempi più avanti. Bloccare le due mani è utile per imparare a coordinarle, ma non fa nulla per insegnare il controllo indipendente di ciascuna. Le due mani suonano due diverse parti in praticamente tutta la musica. Hanon non ci dà nessuna possibilità di esercitarsi in questo. Le in-venzioni di Bach sono molto meglio, insegnano anche l’indi-pendenza delle mani e (se si studia a mani separate) rinforzano ve-ramente la mano debole. Certamente le due mani diverranno ben coordinate. Il punto qui è che Hanon è molto limitato: insegna so-lo una piccola frazione di tutta la tecnica necessaria.

(3) Non è previsto di far riposare la mano quando si stanca. Questo di solito porta a stress ed infortuni. Uno studente diligente che com-batta il dolore e la stanchezza, in uno sforzo di portare a termine le istruzioni di Hanon, svilupperà quasi certamente stress, brutte abi-tudini e rischierà l’infortunio. Il concetto di rilassamento non viene mai neanche accennato. Il pianoforte è un’arte per produrre bellez-za, non è una maschia dimostrazione di quanta punizione riescano a sorbirsi mani, orecchie e cervello. Gli studenti diligenti finiscono spesso per usare l’Hanon come un modo di eseguire intensi esercizi, nella errata convinzione che il pianoforte sia come il sollevamento pesi e che si possa applicare il detto “nessun dolore, nessun guadagno”. Esercizi del genere pos-sono essere eseguiti fino al limite della sopportazione umana, anche fino alla soglia del dolore. Questo rivela la carenza di una corretta educazione riguardo a ciò che è necessario fare per acquisire la tec-nica. Il numero effettivo degli studenti che hanno infortuni irrever-sibili alle mani suonando l’Hanon è probabilmente piccolo. Questi studenti useranno probabilmente altri pezzi anche più pericolosi ol-tre ad esso. Le risorse sprecate a causa di questa errata concezione possono fare la differenza tra il successo e il fallimento per un gran numero di studenti, anche senza infortuni. Sicuramente molti stu-denti che si esercitano abitualmente con l’Hanon hanno successo; in questo caso lavorano talmente duro da riuscire nonostante l’Hanon.

(4) La struttura semplice e schematica di questi esercizi ne toglie tutta la musicalità in modo che gli studenti rischiano di finire (e spesso lo fanno) a studiare escludendo completamente l’arte. Non ci vuole un genio musicale: per compilare una serie di esercizi come l’Ha-

208 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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non. La gioia del pianoforte viene dall’avere una conversazione faccia a faccia (nel suonare le loro composizioni) con i più grandi geni mai vissuti. Non ha senso suonare qualcosa privo di contenu-to musicale; si ricordi che tecnica e musica non si possono mai se-parare. Io consiglio le scale, gli arpeggi e le volate cromatiche ad una mano, seguiti da un po’ di suonare a due mani. Le scale e gli arpeggi dovrebbero fornire più che sufficienti “esercizi abituali” per tutti. Per troppi anni Hanon ha insegnato il messaggio sbagliato che tecnica e musica si possano imparare separatamente. Bach ec-celle riguardo a questo: la sua musica esercita sia le mani sia la mente. Gli esercizi Hanon non sono che un piccolo sottoinsieme delle Invenzioni a Due Voci di Bach. Hanon ha probabilmente e-stratto la maggior parte del suo materiale dalla famosa Toccata e Fuga di Bach, modificandola in modo che fosse auto-ciclica. Anche il resto è stato probabilmente preso dal suo lavoro, specialmente dalle Invenzioni e dalle Sinfonie. Uno dei più grandi danni inflitti da Hanon è la rapina del tempo necessario a fare musica suonando le composizioni già studiate ed esercitandosi nell’arte dell’esecuzione o anche solo imparando nuo-vi pezzi. Gli studenti finiscono spesso senza abbastanza tempo per sviluppare il proprio repertorio. L’Hanon può essere dannoso alla tecnica ed all’esecuzione!

(5) Molti pianisti usano l’Hanon come procedura abituale di riscal-damento. Questo condiziona le mani a tal punto da non riuscire più a sedersi e suonare “a freddo”, cosa che qualsiasi pianista for-mato dovrebbe essere in grado di fare entro limiti ragionevoli. Sic-come le mani restano fredde al massimo da dieci a venti minuti, “scaldarle” priva lo studente di questa piccola preziosa finestra di opportunità per esercitarsi a suonare a freddo. Questa abitudine di usare l’Hanon per riscaldarsi è più insidiosa di quanto molti realiz-zino. Chi lo usa in questo modo può essere fuorviato nel pensare che sia merito suo se le dita volano, mentre, in realtà, dopo una qualsiasi buona seduta di studio le dita voleranno con o senza di esso. Questa abitudine è insidiosa perché la principale conseguenza di questa incomprensione è la minor capacità della persona di ese-guire in pubblico, che le dita siano calde o meno. È veramente una sfortuna che il modo di pensare in stile Hanon abbia insegnato (ad una grossa fetta della popolazione di studenti) a pensare che si deb-ba essere un Mozart per potersi semplicemente sedere e suonare e che non ci si aspetta che i comuni mortali possano fare tali prodez-

III.7 - ESERCIZI 209

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ze. Se si vuole diventare capaci di “suonare a richiesta” il modo migliore per iniziare è smettere di esercitarsi con l’Hanon.

(6) Ci sono pochi dubbi che sia necessario un certo grado di tecnica per suonare questi esercizi, specialmente gli ultimi dieci o giù di lì. Il problema è che Hanon non fornisce istruzioni sul come acquisire questa tecnica. È esattamente analogo a dire ad uno squattrinato di andare a guadagnarsi dei soldi se vuole diventare ricco. Non serve. Se uno studente avesse usato il suo “tempo dedicato all’Hanon” per studiare una sonata di Beethoven i risultati sarebbero migliori per quanto riguarda l’acquisizione della tecnica. Chi non preferirebbe suonare Mozart, Bach, Chopin, piuttosto che gli esercizi Hanon, ot-tenendo risultati simili o quasi certamente migliori e finire per ave-re un repertorio da poter eseguire in pubblico? Anche se si riuscisse a suonare bene tutti gli esercizi Hanon, se ci si bloccasse in un pas-saggio difficile di un’altra composizione, esso non servirebbe: non fornisce alcuno strumento diagnostico che dica perché non si riesce a suonare un dato passaggio. Gli esercizi per gli insiemi paralleli sono diversi: forniscono sia la diagnosi che la soluzione a pratica-mente qualsiasi situazione, abbellimenti inclusi, che Hanon nem-meno considera.

(7) I pochi consigli che ci da si sono dimostrati essere tutti sbagliati. Vediamoli quindi: a) Consiglia di “sollevare le dita in alto”: un ovvio no-no per suo-

nare velocemente perché sarebbe la più grande fonte di stress. Non ho mai visto alcun pianista famoso in concerto alzare le dita in alto per suonare una volata veloce, di fatto non ho mai visto nessuno farlo! Questo consiglio di Hanon ha sviato un enorme numero di studenti nel pensare che il pianoforte vada suonato alzando le dita e facendole affondare nei tasti. Questo è uno dei modi di suonare tecnicamente più sbagliato e non musicale. È vero che i muscoli estensori vengono spesso trascurati, ma ci so-no esercizi per affrontare questo problema direttamente.

b) Consiglia l’esercizio continuo delle due mani come se la tecnica pianistica fosse una qualche specie di sollevamento pesi. Gli stu-denti non devono mai esercitarsi con mani stanche. Questo è il motivo per cui il metodo a mani separate di questo libro funzio-na così bene: permette di esercitarsi duramente il 100% del tem-po senza stancarsi perché una mano si riposa mentre l’altra lavo-ra. La resistenza non si sviluppa esercitandosi con stanchezza e stress, ma con un condizionamento appropriato. Per di più,

210 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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quello di cui la maggior parte di noi ha bisogno è la resistenza mentale, non la resistenza nelle dita. Essa è, inoltre, un proble-ma minore; quello di cui abbiamo veramente bisogno è tecnica e rilassamento.

c) Consiglia di suonare ogni giorno, indipendentemente dal livello di abilità, fondamentalmente per tutta la vita. Una volta acquisi-ta un’abilità tecnica non è necessario acquisirla di nuovo, ma è necessario lavorare sulla tecnica che ancora non si possiede. Una volta riusciti a suonare bene i sessanta esercizi, non c’è quindi bisogno di suonarli ancora – cosa ci guadagneremmo? Hanon pensa che le nostre mani si deteriorino misteriosamente una volta che smettiamo i suoi esercizi in favore degli altri pezzi da lezione?

d) È apparentemente consapevole del solo metodo del pollice sotto, laddove il pollice sopra è più importante.

e) Nella maggior parte degli esercizi consiglia polso fisso, il che è so-lo parzialmente corretto. La sua raccomandazione rivela la man-canza di comprensione di cosa sia la “calma nelle mani”.

f) Non c’è modo di esercitare la maggior parte dei movimenti im-portanti della mano, sebbene ci sia qualche esercizio del polso nelle ripetute.

(8) Gli esercizi Hanon non permettono di esercitarsi a quelle velocità possibili con gli esercizi per gli insiemi paralleli descritti preceden-temente. Senza l’uso di certe alte velocità non si può studiare “so-vra-tecnica” (avere più tecnica del necessario per suonare un dato passaggio – un margine di sicurezza necessario per le esecuzioni in pubblico) e ci vuole un sacco di tempo non necessario per acquisire della tecnica.

(9) L’intero esercizio è un esercizio allo spreco. Tutte le edizioni che ho visto stampano le intere volate laddove basterebbero al massimo due misure a salire, due a scendere e quella finale. Sebbene il nu-mero di alberi abbattuti per stampare l’Hanon sia trascurabile nel quadro generale, questo rivela la mentalità che sta dietro a questi esercizi: ripetere semplicemente e intuitivamente l’“ovvio” senza re-almente capire cosa si stia facendo o indicare gli elementi importan-ti di ciascun esercizio. “La ripetizione è più importante del concetto tecnico sottostante” - questa è probabilmente la peggior mentalità che ha ostacolato maggiormente gli studenti nella storia del piano-forte. Una persona che ha due ore al giorno per studiare spreche-

III.7 - ESERCIZI 211

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rebbe, suonando l’Hanon per un’ora come consigliato, la metà del-la sua vita pianistica! D’altra parte, una persona che avesse otto ore per studiare non avrebbe bisogno dell’Hanon.

(10) Ho notato che gli insegnanti si possono classificare in due scuole a seconda che insegnino l’Hanon o meno. Chi non lo insegna tende ad essere meglio informato perché conosce i veri metodi per acqui-sire la tecnica ed è occupato ad insegnarli – non resta tempo per l’Hanon. Quindi, nel cercare un insegnante di pianoforte, si scelga solo tra chi non insegna l’Hanon: si aumenteranno le probabilità di trovarne uno di qualità.

I) La Tecnica, Gli Esercizi ed Il Condizionamento Definendo la tecnica semplicemente come la capacità di suonare essa ha almeno tre componenti. Una è quella intrinseca corrispondente sempli-cemente al proprio livello di abilità: avere l’abilità tecnica non significa riuscire a suonare. Ad esempio, dopo non aver suonato per diversi giorni e con le dita fredde gelide probabilmente non si riuscirà a suona-re niente in modo soddisfacente. La seconda componente è quindi il grado di “riscaldamento” delle dita. C’è anche una terza componente che chiameremo “condizionamento della mano”. Ad esempio, dopo aver tagliato e abbattuto grossi alberi per una settimana o dopo non aver fatto altro che lavorare a maglia per giorni, le mani potrebbero non essere in buone condizioni per suonare il pianoforte. Si sono adat-tate fisicamente ad un compito diverso. D’altro canto se si avesse stu-diato per almeno tre ore al giorno ogni giorno per mesi, le mani fareb-bero cose che stupirebbero anche se stessi.

Siccome gli esercizi contribuiscono a tutte e tre le componenti (intrin-seca, riscaldamento e condizionamento) molti studenti spesso li con-fondono con l’acquisizione della tecnica intrinseca. Questa confusione nasce perché gli esercizi contribuiscono più direttamente al riscalda-mento ed al condizionamento, ma lo studente, se non è consapevole di queste tre componenti, si può sbagliare e scambiarli per miglioramento intrinseco. Tutto ciò può essere dannoso, come risultato di aver speso troppi sforzi negli esercizi, se lo studente non impara tutti gli altri modi più importanti di sviluppare la tecnica intrinseca. Questa conoscenza delle tre componenti della tecnica è importante anche quando si prepa-rano i concerti: qual è il modo migliore di condizionare le mani?

Il livello di abilità intrinseco ed il riscaldamento delle mani sono facili da capire. I fattori più importanti del controllo del “condizionamento della mano” sono la durata e la frequenza dello studio e lo stato del si-

212 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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stema neuro-cerebrale. Per poter mantenere le mani nella loro condi-zione migliore per suonare, la maggior parte delle persone avrà bisogno di suonare ogni giorno. Se si salta qualche giorno di studio il condizio-namento deteriorerà marcatamente. Perciò, sebbene sia stato fatto no-tare prima che studiare un minimo di tre giorni alla settimana può portare a progressi significativi, questo non porterà chiaramente al mi-glior condizionamento possibile della mano. Il condizionamento ha un effetto molto più grande di quanto alcune persone si rendano conto. I pianisti di livello avanzato sono sempre acutamente consapevoli del condizionamento. Esso è probabilmente associato a cambiamenti fisio-logici come la dilatazione dei vasi sanguigni e l’accumulo di certe so-stanze chimiche in punti specifici del sistema neuro-muscolare. Questo fattore di condizionamento della mano diventa importante con l’alzarsi del livello di abilità e quando si inizia ad aver a che fare in modo abi-tuale con i concetti più elevati della musica (come il colore o l’eviden-ziazione delle caratteristiche dei diversi compositori). Inutile dire che diventa determinante quando si deve suonare materiale tecnicamente impegnativo. Ogni pianista deve perciò essere consapevole del condi-zionamento della mano per poter sapere cosa può studiare o meno in un dato momento.

Un fattore ancora più elusivo, che influisce sul condizionamento della mano, è lo stato del sistema neuro-cerebrale. Si potranno pertanto a-vere giorni “belli” e giorni “brutti” per ragioni non note. Questo è probabilmente analogo alle “crisi” nelle quali cadono gli atleti. Di fatto si possono avere “brutti periodi” per molto tempo. Grazie alla consa-pevolezza di questo fenomeno, e facendo degli esperimenti, si può con-trollare fino ad un certo grado questo fattore. La sola consapevolezza della sua esistenza può aiutare lo studente a trattare quei “brutti gior-ni”. Gli atleti professionisti (come i giocatori di golf e quelli che prati-cano la meditazione) conoscono da tempo l’importanza dell’allena-mento mentale. Conoscere le cause comuni di questi “brutti giorni” potrebbe essere ancora più utile. La causa più comune è la degenera-zione dal suonare veloce di cui abbiamo parlato verso la fine della Se-zione I.25. Un’altra causa comune è la deviazione dai fondamentali: precisione, tempismo, ritmo, corretta esecuzione dell’espressione, ecce-tera. Suonare troppo velocemente o con troppa espressività può porta-re a risultati meno soddisfacenti. In questi casi può essere d’aiuto il so-lo ascoltare un buon disco, aiutarsi con il metronomo o rivedere lo spartito. Suonare lentamente una volta una composizione prima di smettere è una delle misure di prevenzione più efficaci contro l’inspie-gabile successivo “suonar male” la composizione stessa. Il condiziona-

III.7 - ESERCIZI 213

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mento non dipende quindi solo da quanto spesso si studia, ma anche da cosa e come lo si fa.

III.8 - Delineare (Sonata N.1 di Beethoven) Delineare è un metodo per accelerare il processo di apprendimento semplificando la musica. È un processo di semplificazione proprio co-me lo studio a mani separate o lo studio in segmenti brevi. La sua ca-ratteristica principale è che permette di mantenere il flusso musicale o il ritmo e di fare questo alla velocità finale con il minimo di studio. Fare ciò permette di studiare il contenuto musicale del pezzo molto prima di riuscire a suonare quel segmento in modo soddisfacente o a velocità. Aiuta anche ad acquisire rapidamente la tecnica difficile insegnando alle parti più grandi (braccia, spalle) come muoversi correttamente; una volta riusciti in questo le parti più piccole calzano spesso più facilmente. Questo metodo elimina anche molti tranelli della temporizzazione e gli errori di interpretazione musicale. Le semplificazioni vengono fatte u-sando vari mezzi: cancellando le “note meno importanti“ o combinan-do una serie di note in accordi. Si torna poi dopo gradualmente alla musica originaria ripristinando progressivamente le note semplificate. La Whiteside fornisce una buona descrizione di come delineare a pagi-na 141 del primo libro ed alle pagine 54-61, 105-107 e 191-196 del se-condo dove vengono trattati diversi esempi (si veda la Sezione Riferi-menti).

Per un dato passaggio ci sono di solito molti modi di semplificare lo spartito o di ripristinare le note. Una persona che usi il delineare per la prima volta avrà bisogno di un po’ di pratica prima che possa trarre giovamento dal metodo. Impararlo sotto la guida di un’insegnante è ovviamente più facile e qui è sufficiente dire che il modo in cui si can-cellano le note (o le si ripristinano) dipende dalla specifica composizio-ne e da quello che si sta cercando di fare: se si sta cioè cercando di ac-quisire la tecnica o ci si sta assicurando che il contenuto musicale sia corretto. Si noti che lottare con la tecnica può rapidamente distogliere dal proprio senso della musica. L’idea dietro al delineare è che pen-sando prima alla musica, la tecnica seguirà più rapidamente perché mu-sica e tecnica sono inseparabili. In pratica ci vuole un sacco di lavoro prima che il delineare diventi utile. Diversamente dallo studio a mani separate non si può imparare così facilmente. Il mio suggerimento è di usarlo inizialmente solo quando assolutamente necessario (quando altri metodi hanno fallito) e di aumentarne gradualmente l’uso migliorando. Può tornare particolarmente utile quando si trova difficile suonare a

214 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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mani unite dopo aver completato il lavoro a mani separate. Il delineare può essere usato anche per aumentare la precisione e migliorare la memorizzazione dopo aver parzialmente imparato un pezzo.

Mostrerò due esempi molto semplici per illustrare come delineare. I metodi comuni di semplificazione servono a: (1) cancellare delle note, (2) convertire le volate, ecc. in accordi e (3) convertire passaggi com-plessi in passaggi più semplici. Una regola importante è che, sebbene la musica sia semplificata, si dovrebbe generalmente mantenere la diteg-giatura richiesta prima delle semplificazioni.

La musica di Chopin usa spesso un tempo rubato ed altri meccanismi che richiedono un controllo e una coordinazione delle mani squisiti. Nella sua Fantaisie Impromptu, Op. 66, le sei note di ciascun arpeggio della sinistra (es. Do#3 Sol#3 Do#4 Mi4 Do#4 Sol#3) si possono sem-plificare a due note (Do#3 Mi4, suonate con 5 e 1). Non dovrebbe quindi essere necessario semplificare la mano destra. Questo è un buon modo per assicurarsi che tutte le note delle due mani sullo stesso battere vengano suonate insieme con precisione. Inoltre per gli studen-ti che hanno difficoltà con il tempo 3,4, la semplificazione permetterà di suonare a qualsiasi velocità senza questo problema. Aumentando la ve-locità prima in questo modo può essere più facile ottenere il tempo 3,4, specialmente se si ricicla ogni mezza misura.

La seconda applicazione è alla Sonata N.1 di Beethoven, Op. 21. Ho fatto notare nei Riferimenti che Gieseking è stato negligente nel liqui-dare il quarto movimento come “senza nuove problematiche” nono-stante il difficile arpeggio della mano sinistra sia molto veloce. Provia-mo a completare il suo meraviglioso lavoro di introduzione a questa sonata assicurandoci di riuscire a suonare l’eccitante movimento finale.

Le quattro terzine iniziali della sinistra si possono imparare usando gli esercizi per gli insiemi paralleli applicandoli ad ognuna e poi ciclando. La prima terzina della terza misura si può studiare nello stesso modo, con diteggiatura 524524. Ho inserito una falsa congiunzione per per-mettere di ciclare facilmente e continuamente per lavorare sul debole quarto dito. Quando quest’ultimo diverrà forte e sotto controllo si po-trà aggiungere la vera congiunzione 5241. Qui è assolutamente neces-sario il pollice sopra. Si può poi studiare l’arpeggio discendente 5241235. Si può studiare quello seguente usando gli stessi metodi, ma si stia attenti a non usare il pollice sotto perché è molto facile farlo. Si ricordi la necessità di un polso flessibile in tutti gli arpeggi. Per la de-stra si possono usare le regole dello studio degli accordi e dei salti (Se-zione 7E e 7F precedenti). Finora è tutto lavoro a mani separate.

III.8 - DELINEARE (SONATA N.1 DI BEETHOVEN) 215

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Per poter suonare a mani unite si usi il delineare. Si semplifichi la mano sinistra in modo da suonare solo le note in battere (iniziando dal-la seconda misura) Fa3 Fa3 Fa3 Fa3 Fa2 Mi2 Fa2 Fa3, con diteggiatura 55515551, che può essere ciclata di continuo. Queste sono solo le pri-me note delle terzine. Una volta ottenuta la padronanza a mani separa-te si può iniziare a mani unite. Il risultato dovrebbe essere molto più facile rispetto a dover suonare le intere terzine. Una volta a proprio agio con questo, aggiungere le terzine sarà più facile di prima e lo si po-trà fare con molta meno probabilità di introdurre errori. Delineando questi arpeggi si può studiare l’intero movimento a qualsiasi velocità perché sono la parte più impegnativa.

I primi tre accordi della destra sono piano ed i secondi tre sono forte. All’inizio si studi più la precisione e la velocità, ci si eserciti quindi a suonarli tutti piano finché non si padroneggia questa sezione. Si ag-giunga il forte successivamente. Si prenda l’abitudine, per evitare di suonare note sbagliate, di toccare le note degli accordi prima di suonar-li. Ci si assicuri di suonare la melodia in ottave della destra, alle misu-re 33-35, senza crescendo, specialmente l’ultimo Sol. L’intera sonata va certamente suonata senza pedale. Ci si assicuri di suonare le ultime quattro note di questo movimento portando la sinistra in posizione ben prima di quando richiesto in modo da eliminare qualsiasi possibilità di finali disastrosi.

Gli altri metodi di questo libro sono in genere più efficienti per acqui-sire la tecnica, rispetto al delineare, perché anche quando funziona può portar via molto tempo. Tuttavia, come nell’esempio sopra della sona-ta, un semplice delineare può permettere di studiare un intero movi-mento a velocità includendo la maggior parte delle considerazioni mu-sicali. Nel frattempo si possono usare gli altri metodi di questo libro per acquisire la tecnica necessaria a “riempire“ ciò che è stato delineato.

III.9 - Ripulire Un Pezzo - Eliminare Le Imprecisioni Esiste un principio generale che permetta di suonare senza errori udibi-li? Sì! È il principio del migliorare la precisione, il quale dice che per poter evitare un certo errore si deve poter controllare il precedente livel-lo di errore meno grave. Si classifichino prima tutti gli errori secondo il loro livello di gravità o di abilità tecnica richiesta. Questa gerarchia può essere diversa da persona a persona. Tipicamente il peggior errore potrebbe essere un completo blackout. Il successivo potrebbe essere balbettare e sbagliare le note. Poi le pause e le note mancate. Poi un intera girandola di errori relativi a precisione, tempismo, uniformità,

216 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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espressività, dinamica, eccetera. Infine le questioni di colore, le caratte-ristiche di ciascun compositore, le caratteristiche di una particolari composizione, eccetera. Ovviamente quando si hanno dei blackout le delicate questioni di espressività sono fuori discussione. Funziona però anche al contrario: se si conosce il pezzo così bene da potersi concen-trare sui livelli più alti della musica allora i blackout sono l’ultima delle preoccupazioni.

Concentrarsi sulla corretta espressività, cioè conoscere tutti i sottili dettagli di una composizione, provando ad esprimere colore ed altri at-tributi musicali, è la componente più importante dei livelli di abilità più elevati. Il modo migliore per ottenere una corretta espressività è torna-re alla musica e rivedere ciascun segno di espressione, ogni staccato ed ogni pausa. Le note da tenere, il sollevamento delle dita o del pedale, ecc. sono importanti quanto la discesa dei tasti. Ascoltare le registra-zioni, da questo punto di vista, aiuterà enormemente l’esecuzione se viene seguito da uno studio appropriato.

Non solo la gerarchia, ma anche le debolezze di ciascun individuo so-no diverse e non sono di solito a lui note. Una persona che sbaglia tempismo di solito non se ne accorge. È qui che l’insegnante gioca un ruolo chiave nell’individuare le debolezze ed è questo il motivo per cui senza un’insegnante uno studente può sforzarsi molto per anni senza successo nel diventare un buon esecutore. Nessuna quantità di studio eliminerà gli svarioni da esecuzione se non vengono risolti i problemi fondamentali. Tutti gli errori hanno origine nel cervello, potrebbe sem-brare possibile esercitarsi con il tempismo sbagliato così tanto da suonare senza fermarsi o senza sbagliare note, ma non è così. Il tempi-smo sbagliato (o altri errori elementari) rendono il pezzo così difficile da suonare da portare a stecche (oltre alla perdita della musica).

Sicuramente l’esperienza è l’ultima insegnante — senza di essa non si scopriranno le proprie debolezze specifiche. Questa è la giustificazione dell’affermazione che non si può veramente eseguire in pubblico se non lo si è già fatto almeno tre volte. Suonare frammenti (parti della com-posizione) è il modo più facile di cominciare per chi non avesse suffi-ciente esperienza o nel caso di nuovi pezzi mai eseguiti prima. Ese-guendo frammenti ci si può fermare ad un errore, si può saltare una se-zione nella quale non si è sicuri, ecc. e nessuno saprà se è stato un blackout oppure ci si è semplicemente fermati. Si abbiano pronte da raccontare, in queste pause, storie di tutti tipi e si potrà fare una soddi-sfacente esecuzione di frammenti. Ogni studente dovrebbe adottare la politica di fare esecuzioni di questo tipo ad ogni opportunità. Ogni vol-

III.9 - RIPULIRE UN PEZZO - ELIMINARE LE IMPRECISIONI 217

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ta che c’è un ritrovo, o che c’è un pianoforte, ci si sieda semplicemente e si suoni per gli altri. Il mondo reale è irrazionale e la gente agisce spesso in modo diametralmente opposto a quello che dovrebbe – la maggior parte degli studenti di pianoforte si rifiuterà di suonare infor-malmente anche dopo essere stati un po’ forzati. Che occasione si stanno lasciando sfuggire!

Quando si esaminano le circostanze del pianista dilettante medio, si conclude rapidamente che le esecuzioni senza errori sono virtualmente impossibili. Quest’esercizio ci insegna a superare i problemi identifi-candoli esplicitamente. La maggior parte dei problemi dei dilettanti ha origine nella mancanza del tempo di eseguire correttamente tutta la preparazione necessaria. Esaminiamo i principali problemi e la loro so-luzione.

L’errore più comune dei dilettanti è provare ad eseguire alla velocità di studio. Ci dovrebbe essere una velocità di studio (in realtà una gamma di velocità di studio) e una velocità di esecuzione. Chiaramente la velocità di esecuzione sarà più bassa di quella tipica finale di studio. Il dilettante deve quindi avere una chiara idea di quali siano queste ve-locità prima di effettuare un’esecuzione in pubblico. Se non considera una velocità di esecuzione più bassa avrà naturalmente studiato poco a questa velocità e sarà nell’illogica situazione in cui la velocità di esecu-zione sarà quella meno studiata! Un altro modo semplice di dir questo e che non è una buona politica studiare sempre troppo velocemente, perché si potrebbe finire per non essere in grado di eseguire. Questo è il motivo per cui è così importante suonare lentamente in modo da e-sercitarsi a rallentare dalle velocità di studio più alte. Si ricordi che il pubblico non ha ascoltato il pezzo centinaia di volte come si è fatto du-rante lo studio e la velocità finale è di solito troppo alta per loro.

La maggior parte dei pianisti ha una velocità di studio che usa per preparare un’esecuzione in pubblico. Questa è una velocità moderata leggermente più bassa di quella di esecuzione. Tale velocità permette uno studio preciso senza acquisire brutte abitudini inaspettate e per far-si una chiara immagine mentale della musica; condiziona anche la ma-no per suonare sotto controllo alla più alta velocità di esecuzione e mi-gliora la tecnica.

Un altro problema comune è che lo studente impara sempre nuovi pezzi dedicando poco tempo ai pezzi “finiti”. È risaputo che imparare nuovi pezzi è il modo migliore per dimenticare o confondere quelli fini-ti. Ciò accade perché imparare un nuovo pezzo comporta la formazio-ne di nuove connessioni nervose e questo può modificare quelle forma-

218 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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te precedentemente. Provare quindi a suonare senza errori un pezzo finito precedentemente subito dopo averne imparato uno nuovo è un gioco rischioso. Molti studenti imparano pezzi di continuo e non sono mai in forma per eseguire in pubblico. Di conseguenza dopo aver lavo-rato duro per imparare nuovi pezzi non ci si aspetti di eseguirne bene uno finito precedentemente, a meno che non lo si abbia già fatto molte volte prima. Questo è il motivo per cui è così importante, all’inizio di ogni seduta di studio, suonare pezzi vecchi finiti “a freddo”. È anche un buon momento per fare una esecuzione di frammenti.

Dobbiamo anche tenere a mente tutti i fondamenti della tecnica: sono progettati in modo da dare un margine di sicurezza per eliminare le imprecisioni. Alcuni fondamentali importanti sono: (1) sentire i tasti prima di suonarli, (2) arrivare in posizione in anticipo (salti, accordi, ecc.), (3) studiare piano e sotto controllo e (4) rilassarsi e sentire il peso del braccio.

Infine, non ci si può aspettare da nessun pianista dilettante di eseguire bene senza una procedura abituale di preparazione all’esecuzione (di-scussa nella Sezione 14 più avanti). Gli elementi chiave sono: (1) suo-nare il pezzo lentamente (almeno a velocità media) dopo averlo studia-to a velocità, (2) assicurarsi di saperlo suonare ancora a mani separate, (3) suonare molto lentamente (metà velocità o meno), se si vuol essere sicuri che sia ben memorizzato, (4) si dovrebbe riuscire a suonare men-talmente, lontano dal pianoforte, (5) si dovrebbe riuscire ad iniziare dovunque nel pezzo e (6) non si suoni più di una volta a velocità il giorno dell’esecuzione in pubblico.

Dalla precedente analisi è chiaro che l’incapacità di eseguire in pub-blico non è da attribuire allo studente. La colpa è del modo in cui gli è stato insegnato. Se quindi gli viene insegnato o si concentra sull’ese-guire senza errori udibili dal primo anno di lezioni, diverrà giusto un’altra cosa abituale. Si noti che abbiamo iniziato questa sezione par-lando di suonare senza errori e l’abbiamo terminata parlando dell’ese-cuzione in pubblico: non c’è proprio modo di separare le due cose.

III.10 - Le Mani Fredde, Le Malattie, Gli Infortuni, I Danni all’Orecchio

A) Le Mani Fredde Mani fredde e indolenzite in un giorno freddo sono un’afflizione co-mune provocata principalmente dalla naturale reazione del corpo al

III.10 - LE MANI FREDDE, LE MALATTIE, GLI INFORTUNI, I DANNI ALL’ORECCHIO 219

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freddo. Poche persone hanno problemi patologici tali da poter aver bi-sogno di assistenza medica, nella maggior parte dei casi è la naturale reazione del corpo all’ipotermia. In questo caso il corpo ritira il sangue principalmente dalle estremità verso il centro per mantenersi caldo. Le dita sono le più soggette al raffreddamento, seguite dalle mani e dei piedi.

In questi casi la soluzione è, in linea di principio, semplice: c’è solo bi-sogno di alzare la temperatura corporea. In pratica, però, non è sempre così facile: in una stanza fredda anche alzare la temperatura corporea molto in alto (con vestiti aggiuntivi), in modo da avere caldo, non sem-pre elimina il problema. Chiaramente qualunque metodo per conser-vare il calore può essere d’aiuto, sebbene potrebbe non risolvere com-pletamente il problema. Sicuramente la cosa migliore da fare è alzare la temperatura della stanza, altrimenti degli ausili comuni possono essere: (1) immergere le mani in acqua tiepida, (2) usare un calorifero come quelli portatili (da circa 1kW) che si possono puntare direttamente sul corpo, (3) usare calze spesse, maglioncini, intimo termico e (4) usare guanti senza dita (così da poter suonare il pianoforte indossandoli). Le manopole sono probabilmente meglio dei guanti se si vogliono solo mantenere le mani calde prima di suonare. Molti asciugacapelli non hanno abbastanza potenza, non sono stati progettati per essere usati per più di dieci minuti (senza pericolosi surriscaldamenti) e sono troppo rumorosi per i nostri scopi.

Non è chiaro se sia meglio rimanere caldi sempre o solo quando si studia pianoforte. Se si resta caldi tutto il tempo (ad esempio indos-sando abbigliamento termico) il corpo potrebbe non rilevare l’ipotermia e quindi mantenere il flusso di sangue. D’altra parte il corpo potrebbe diventare più sensibile al freddo ed alla fine iniziare a reagire anche da caldo, se la stanza è fredda. Ad esempio, indossando sempre guanti senza dita le mani si potrebbero abituare a questo caldo e sentire molto il freddo quando vengono tolti. L’effetto riscaldante di questi guanti potrebbe scomparire quando le mani si abituano, quindi è probabil-mente meglio indossarli solo quando si studia o appena prima di stu-diare. Un argomento contrario è che indossarli sempre consenta di suonare sempre il pianoforte senza riscaldamento o senza dover im-mergere le mani nell’acqua calda. Ovviamente sarà necessario fare de-gli esperimenti per vedere cosa funziona meglio nelle circostanze speci-fiche.

Dita fredde di questo tipo sono chiaramente la reazione del corpo alle basse temperature. Molte persone hanno scoperto che è utile immerge-

220 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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re le mani nell’acqua tiepida. Potrebbe essere interessante provare l’es-perimento di immergere le mani nell’acqua fredda diverse volte al giorno per acclimatarle alle basse temperature: potrebbero poi non rea-gire affatto al freddo e potrebbe fornire una soluzione definitiva. Le si potrebbero ad esempio raffreddare in questa maniera appena prima di esercitarsi in modo da non interferire con lo studio. L’obiettivo del raf-freddamento è quello di acclimatare la pelle alle basse temperature: an-drebbero perciò immerse in acqua fredda per non più di 5÷10 secondi e non si dovrebbe raffreddare l’intera mano fino all’osso. Di fatto quel-lo che si potrebbe fare è riscaldarle prima in acqua calda e poi raffred-dare sono la pelle in acqua ghiacciata. Un trattamento del genere do-vrebbe far bene, senza shock da freddo o dolore. Questo è infatti esat-tamente il principio della pratica nordica di tuffarsi in un buco di un la-go ghiacciato dopo una sauna bollente. Questa pratica apparentemente masochista è di fatto completamente indolore ed ha delle conseguenze pratiche come acclimatare la pelle alle basse temperature e fermare la sudorazione che inzupperebbe i vestiti.

B) Le Malattie Alcune persone potrebbero pensare che un’innocua malattia, come un raffreddore, possa permettere di studiare lo stesso al pianoforte. Di so-lito non è così. È particolarmente importante per i genitori capire che studiare pianoforte comporta un notevole impegno, specialmente per il cervello, e, quando si è ammalati, di non trattare lo studio come un passatempo rilassante. I più giovani non dovrebbero perciò studiare pianoforte neanche con leggeri raffreddori, a meno che non lo vogliano fare di spontanea volontà. Studiare pianoforte con la febbre potrebbe far rischiare danni cerebrali. Fortunatamente la maggior parte delle persone perde la voglia di farlo quando è anche leggermente malata.

Se si possa suonare il pianoforte da malati è anche una questione in-dividuale. Suonare o meno è abbastanza chiaro al pianista; la maggior parte delle persone sente lo stress di suonare anche prima che i sintomi della malattia si palesino. Lasciare al pianista la decisione di suonare o meno è quindi probabilmente più sicuro. Torna utile sapere che sentire un’improvvisa stanchezza, o altri sintomi che rendono difficile suonare, potrebbe essere un’indicazione che si sta incubando qualche malattia.

Il problema di non suonare durante una malattia è che se questa dura più di una settimana le mani perdono una quantità considerevole di tecnica. Forse gli esercizi che non sforzano il cervello (come le scale, gli arpeggi e quelli tipo Hanon potrebbero essere opportuni in tali situa-zioni).

III.10 - LE MANI FREDDE, LE MALATTIE, GLI INFORTUNI, I DANNI ALL’ORECCHIO 221

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C) Gli Infortuni alle Mani Gli infortuni alle mani non sono in genere un grosso problema per gli studenti fino al livello intermedio. Quelli di livello avanzato lo hanno perché la mano umana non è fatta per sopportare un uso così estremo. I problemi di infortunio dei pianisti professionisti sono simili a quelli degli sportivi professionisti (come giocatori di tennis, golf o calcio). Le limitazioni dovute ai possibili infortuni possono essere seconde in im-portanza alla disponibilità di tempo per studiare. Potrebbe sembrare che siccome il rilassamento è una componente essenziale della tecnica pianistica, gli infortuni non dovrebbero accadere. Sfortunatamente i requisiti fisici per suonare a livelli avanzati sono tali per cui (come nello sport) essi probabilmente accadranno nonostante le ben note precau-zioni e gli altri provvedimenti presi dai professionisti. Gli infortuni tendono ad accadere mentre si studia per acquisire la tecnica difficile. Gli studenti che usano i metodi di questo libro devono essere partico-larmente consapevoli della possibilità di infortunarsi perché inizieranno rapidamente a studiare materiale che richiede abilità tecniche di livello avanzato. È perciò importante conoscere i tipi di infortuni più comuni e come evitarli.

La maggior parte degli infortuni alle mani è del tipo “sindrome da stress ripetuto”. Sindrome del tunnel carpale e tendiniti sono malanni comuni. Resoconti aneddotici ci suggeriscono che le operazioni chirur-giche possono fare più male che bene e spesso non risolvono il proble-ma. Inoltre la chirurgia è generalmente irreversibile. I metodi di ridu-zione dello stress come Taubman, Alexander e Feldenkrais possono es-sere efficaci nello studio del pianoforte per prevenire e per recuperare dagli infortuni. In generale per evitarli è meglio tenere le dita che suo-nano (tranne il pollice) il più possibile in linea con l’avambraccio. Cer-tamente la migliore misura preventiva è di non sovra-esercitarsi sotto stress. Il metodo a mani separate è particolarmente benefico perché minimizza lo stress e ciascuna mano si riposa prima che possa danneg-giarsi. L’approccio “nessun dolore, nessun guadagno” è estremamente dannoso. Suonare il pianoforte può richiedere impegno ed energia tremendi, ma non deve mai essere doloroso. Si veda la Sezione Riferi-menti per alcuni siti informativi sugli infortuni alle mani dei pianisti.

Ogni infortunio ha una causa. Sebbene ci siano numerosi resoconti che documentano gli infortuni e il successo/fallimento della loro cura, le informazioni definitive sulla loro causa e cura sono elusive. Le sole cure citate sono il riposo ed un ritorno graduale a suonare usando me-todi privi di stress. Il mio caso è un infortunio ai tendini del palmo si-

222 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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nistro provocato dall’uso di mazze da golf con impugnature dure e lo-gore. La pressione dell’impugnatura aveva formato delle intaccature sui tendini e queste si muovevano su e giù mentre suonavo il pianofor-te. Il dottore mi mostrò come sentirle premendo i tendini e muovendo il dito. La frizione risultante provocava infiammazione e dolore dopo lunghe sedute di studio al pianoforte. Ora cambio spesso l’impugna-tura alle mazze ed ho aggiunto delle imbottiture ai guanti da golf (rica-vate dai plantari del tipo adesivo del Dr. Scholl) ed il mio problema è stato eliminato.

Suonando troppo forte si può infortunare la punta delle dita. Questa condizione può essere in qualche modo alleviata con un appropriato bendaggio. Si possono accidentalmente distorcere certi muscoli o ten-dini ed in questi casi il miglior approccio è l’attenzione – i pianisti de-vono prestare un’attenzione aggiuntiva ed evitare infortuni del genere perché potrebbero impiegare anni a guarire. Si smetta di studiare se si sente un qualsiasi dolore. Qualche giorno di riposo non farà male alla tecnica e potrà prevenire infortuni seri. È certamente meglio andare da un ortopedico, molti di essi però non hanno dimestichezza con gli in-fortuni da pianoforte.

La posizione a dita ricurve può causare lividi alla punta delle dita per-ché c’è una imbottitura minima tra l’osso e la pelle. Usando questa po-sizione l’unghia si potrebbe anche staccare se la si taglia troppo corta. Si possono evitare entrambi questi tipi di infortunio usando la posizio-ne a dita distese (Sezione III.4B).

D) I Danni All’Orecchio I danni all’orecchio di solito avvengono in funzione dell’età: possono esordire presto come a quarant’anni ed entro i settanta gran parte delle persone ha perso un po’ di udito. La perdita dell’udito può accadere per sovraesposizione a suoni intensi e può anche essere provocata da infezioni o altre patologie. La persona può diventare sorda alle basse o alle alte frequenze. Questo è spesso accompagnato da acufeni (fischi risuonanti nell’orecchio). Le persone sorde alle basse frequenze tendo-no a sentire un acufene basso, roboante, pulsante e quelle sorde alle al-te frequenze tendono a sentire un gemito acuto. L’acufene può essere causato da uno scatto incontrollato dei nervi di ascolto nella parte dan-neggiata dell’orecchio; tuttavia ci possono essere molte altre cause. Si veda nei Riferimenti per informazioni su internet riguardo alla perdita dell’udito.

Sebbene la perdita dell’udito sia facilmente diagnosticata da un audio-logo, le sue cause e la prevenzione dei danni non sono ben compresi.

III.10 - LE MANI FREDDE, LE MALATTIE, GLI INFORTUNI, I DANNI ALL’ORECCHIO 223

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Per controlli e cure è necessario andare da un otorinolaringoiatra. Il danno è di solito attribuito all’esposizione a suoni forti nei casi non pa-tologici. Nonostante ciò molte persone esposte a suoni molto forti (come i pianisti che suonano ogni giorno su pianoforti a coda da con-certo, gli accordatori che “battono” abitualmente durante l’accordatura o i membri dei gruppi rock) potrebbero non soffrire della perdita dell’udito. D’altro canto alcune persone esposte a meno suono possono perdere l’udito, specialmente con l’età. C’è perciò una ampia differenza nella predisposizione a perdere l’udito. Esiste quindi sicuramente una tendenza da parte di chi è esposto ai suoni forti di soffrirne di più. Chiaramente uno studio definitivo sulla perdita dell’udito sarebbe utile per identificare i meccanismi dei danni all’orecchio, della predisposi-zione delle persone e per trovare modi di prevenirlo. È piuttosto pro-babile che la perdita dell’udito di pianisti ed accordatori (così come di membri di gruppi rock e di persone che ascoltano abitualmente musica molto alta) sia molto più diffusa di quanto si creda, generalmente per-ché molti casi non vengono segnalati. Una delle ragioni di questo è che sono note poche cure e la documentazione non ha perciò uno scopo u-tile.

L’acufene è presente essenzialmente nel 100% delle persone il 100% del tempo, ma è così leggero nelle persone normali che non si sente se non in camera anecoica. È spesso provocato da uno scattare spontaneo dei nervi dell’udito in assenza di stimoli sufficienti. Il meccanismo u-mano dell’udito “aumenta automaticamente l’amplificazione” quando non c’è suono. Le zone completamente danneggiate non producono suono perché il danno è così grave da non farle funzionare. Quelle danneggiate parzialmente sembrerebbero produrre acufeni perché lo sono abbastanza da non riconoscere alcun suono ambientale facendo aumentare l’amplificazione e scattare i recettori. Questi sono in mate-riale piezo-elettrico e sono situati alla base dei peli interni alla coclea. L’acufene potrebbe perciò in qualche modo essere analogo al fruscio dell’altoparlante quando si alza troppo l’amplificazione del microfono. Ovviamente ci sono molte altre cause. Un acufene eccessivo è quasi sempre l’indicazione di una incipiente perdita dell’udito.

III.11 - La Lettura a Prima Vista È utile classificare la lettura a prima vista in modo da sapere di che cosa stiamo parlando. Al livello di novizio della lettura a prima vista intendiamo suonare composizioni che non abbiamo memorizzato e che suoniamo guardando lo spartito. Potremmo avere dimestichezza con la

224 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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melodia ed averla suonata precedentemente. A livello intermedio pos-siamo suonare a prima vista della musica che non abbiamo mai visto o sentito prima e riusciamo a cantarla a prima vista sebbene non educati alla teoria della musica. Generalmente è questo il livello considerato leggere a prima vista ed è questo l’argomento di questa sezione. Al li-vello avanzato siamo in grado di applicare la teoria musicale di base al-la lettura a prima vista leggendo la musica ad un livello di comprensio-ne molto più alto. L’approccio dei pianisti ad ognuno di questi livelli è ovviamente diverso. Analizziamo ora le regole, generalmente ben ap-plicabili, della lettura a prima vista. (1) Si tengano gli occhi sulla musica, non si guardino tastiera o dita.

Si può dare un’occhiata alle mani quando strettamente necessario per i salti grandi. Si può anche sviluppare una visione periferica verso la tastiera in modo da avere una qualche idea di dove siano le mani mentre si guarda sempre lo spartito. La visione periferica ha il vantaggio di far tenere traccia di entrambe le mani contempo-raneamente. È particolarmente vantaggioso sviluppare l’abitudine di sentire i tasti prima di suonarli. Sebbene questa regola valga leggendo o meno a prima vista, diventa critica nel farlo. È anche utile “arrivare lì in anticipo” nei salti, si vedano le Sezioni 7E e 7F precedenti; si dovrebbero quindi studiare le manovre di salto as-sieme alla lettura a prima vista.

(2) Si suoni attraverso gli errori e li si renda il più possibile non udibi-li. Il modo migliore per farlo è farli sembrare come se si stesse modificando la musica – così il pubblico non capirà se si tratta di un errore o di una modifica. Questo è il motivo per cui gli studenti con una formazione musicale di base sono così avvantaggiati nel leggere a prima vista. I modi di far sentire meno gli errori sono: (1) tenere intatto il ritmo, (2) mantenere una melodia continua (se non si riesce a leggere tutto si continui con la melodia e si ometta l’accompagnamento) e (3) ci si eserciti a semplificare le parti troppo difficili da leggere a prima vista. La prima cosa da fare è eliminare l’abitudine, se la si ha, di fermarsi e tornare indietro o di balbettare ad ogni errore. Il momento migliore per sviluppare la capacità di non fermarsi ad ogni errore è la prima lezione di pianoforte. Una volta che l’abitudine a balbettare si sarà radicata ci vorrà un sacco di lavoro per eliminarla. Se la si avesse già, la cosa migliore da fare è decidere che non si tornerà mai più indietro e fare del proprio meglio ad ogni errore – inizierà lentamente ad andarsene. Impara-re ad anticipare le stecche è di grande aiuto e ne parleremo più a-

III.11 - LA LETTURA A PRIMA VISTA 225

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vanti. Lo strumento più potente, comunque, è la capacità di sem-plificare la musica: eliminare gli abbellimenti, estrarre la melodia nelle volate veloci, eccetera.

(3) Si imparino tutti i costrutti musicali più comuni: le scale maggiori e minori e le loro diteggiature, così come i corrispondenti arpeggi, gli accordi e le transizioni tra accordi, i trilli, gli abbellimenti, ecce-tera. Quando si legge a prima vista si dovrebbero riconoscere i co-strutti e non leggere le singole note. Si memorizzi la posizione delle note più alte e più basse come appaiono sullo spartito in modo da poterle trovare istantaneamente. Si inizi memorizzando i Do in ot-tave e poi si riempia con le altre note.

(4) Si guardi avanti rispetto a dove si sta suonando, di almeno una misura, ma anche più in là, nello sviluppare l’abilità di leggere la struttura della musica. Si provi a leggere una struttura più avanti. Guardando avanti non solo ci si prepara prima, ma si anticipano anche le stecche prima che avvengano. Si possono anche anticipare i problemi di diteggiatura evitando di infilarsi in situazioni impossi-bili. Sebbene i suggerimenti sulla diteggiatura scritti sulla musica siano in genere utili, spesso sono di poco aiuto perché, nonostante possano essere la diteggiatura migliore, si potrebbe non riuscire ad usarla senza un po’ di esercizio. Si dovrebbe quindi sviluppare una propria diteggiatura.

(5) “Esercitarsi, esercitarsi, esercitarsi”. Sebbene leggere a prima vista sia relativamente facile da imparare, per poter migliorare ci si deve esercitatare ogni giorno. La maggior parte degli studenti impie-gherà uno o due anni di studio diligente prima di diventare bravi. Leggere a prima vista è strettamente legato alla memoria perché di-pende così pesantemente dal riconoscimento delle strutture. Que-sto significa che si può perdere la capacità di leggere a prima vista se si smette di esercitarsi. Tuttavia, proprio come la memoria, se si diventa bravi lettori a prima vista da giovani quest’abilità rimarrà tutta la vita.

Certamente migliorando si dovrebbero continuare ad aggiungere “trucchi del mestiere”. Si può acquisire l’arte di scorrere una composi-zione, prima di leggerla a prima vista, per avere un’idea di quanto sia difficile. Si potrà poi capire in anticipo come aggirare i segmenti “im-possibili”. La si potrà anche studiare rapidamente, usando una versio-ne condensata dei trucchi per imparare (mani separate, accorciare seg-menti difficili, ecc.) giusto quanto basta per renderla passabile. Ho co-nosciuto lettori a prima vista che mi parlavano per un po’ di alcune se-

226 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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zioni di un nuovo pezzo e poi lo suonavano senza problemi. Ho capito dopo che stavano studiando quelle sezioni nei pochi secondi che ave-vano a disposizione mentre mi distraevano con la loro “analisi”.

Per potersi esercitare a leggere a prima vista è necessario raccogliere diversi libri con tanti pezzi facili e suonarli. Siccome all’inizio è più faci-le esercitarsi a “leggere a prima vista” pezzi conosciuti, si possono usare le stesse composizioni diverse volte ad una settimana di distanza o più. Ci si deve tuttavia anche esercitare con pezzi mai visti prima per poter sviluppare la vera capacità di leggere a prima vista. L’abilità più utile alla lettura a prima vista è il canto a prima vista, di cui ora parleremo.

III.12 - Imparare L’Orecchio Assoluto e L’Orecchio Relativo (Il Canto a Prima Vista)

L’orecchio relativo è la capacità di identificare una nota dato un rife-rimento. L’orecchio assoluto (chiamato anche orecchio perfetto) è la capacità di identificare una nota senza averne una di riferimento. Le persone con un buon orecchio assoluto identificheranno istantanea-mente dieci note suonate contemporaneamente in un accordo. Il grado di bravura è determinato da quanta precisione si ha nel riprodurre un suono, quanto rapidamente si identifica una nota e quante note si rie-scono ad identificare quando vengono suonate contemporaneamente. Nessuno nasce con l’orecchio assoluto o relativo, sono abilità acquisite. Questo perché la scala cromatica è un’invenzione umana – non c’è al-cuna relazione fisica tra le altezze della scala cromatica e la natura. L’unica è che funzionano entrambi in scala logaritmica per poter ab-bracciare una gamma di frequenze più estesa. L’effetto dell’ascolto lo-garitmico è che l’orecchio sente una grande differenza di altezza tra 40 Hz e 42,4 Hz (un semitono o 100 cent), ma non ne sente praticamente alcuna tra 2000 Hz e 2002,4 Hz (circa 2 cent) per la stessa differenza di 2,4 Hz. L’orecchio umano reagisce a tutte le frequenze nella gamma e alla nascita non è calibrato su una scala assoluta. Questo è diverso dall’occhio che reagisce ai colori in valore assoluto (tutti vedono rosso il rosso) e questo riconoscimento viene ottenuto usando reazioni chimi-che che agiscono a specifiche lunghezze d’onda della luce. Alcune per-sone che riescono ad ascoltare alcune altezze ed associarle ai diversi co-lori possono acquisire l’orecchio assoluto usando il colore che un suono evoca: calibrano efficacemente l’orecchio ad un riferimento assoluto.

Orecchio relativo e orecchio assoluto si imparano meglio in età molto giovane. I neonati, che non capiscono una singola parola, reagiranno correttamente ad una voce dolce o ad una ninna nanna piuttosto che

III.12 - IMPARARE L’ORECCHIO ASSOLUTO E L’ORECCHIO RELATIVO 227

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ad un tono arrabbiato: questo dimostra che sono pronti per l’appren-dimento della musica. Il modo migliore per acquisire l’orecchio assolu-to è quello di essere esposti dalla nascita, praticamente ogni giorno, a pianoforti ben accordati.

Tutti i genitori che hanno un pianoforte dovrebbero quindi tenerlo accordato e suonarlo per il bambino dalla nascita. Dovrebbero poi ve-rificare ogni tanto il suo orecchio assoluto. Questa verifica può essere fatta suonando una nota (mentre il bimbo non vede) e chiedendogli di trovarla sul pianoforte. Se riesce a trovarla dopo diversi tentativi allora ha orecchio relativo, se la trova subito tutte le volte ha orecchio assolu-to. Il particolare temperamento con cui è accordato il pianoforte (E-quabile, Ben Temperato, Pitagorico, ecc.) non è importante; di fatto la maggior parte di chi ha orecchio assoluto non sa nulla di temperamen-to e quando vengono suonate note su pianoforti accordati diversamen-te non ha problemi ad identificarle. Orecchio assoluto e relativo si pos-sono imparare più avanti nella vita, ma diventa difficile dopo i 20-30 anni. Di fatto anche chi ha orecchio assoluto lo perderà lentamente at-torno ai vent’anni se non lo mantiene. Molte scuole di pianoforte inse-gnano l’orecchio assoluto a tutti i loro studenti. Sebbene la percentuale di successo non sia del 100%, un’ampia maggioranza generalmente ci riesce. Il problema di insegnare ad un gruppo di studenti più grandi è che c’è sempre una certa percentuale di essi “senza altezze” che non so-no mai stati allenati e che avranno difficoltà ad imparare anche l’orec-chio relativo.

I neonati ci sentono appena dopo la nascita. Molti ospedali selezio-nano i bambini subito dopo la nascita per poter individuare quelli con problemi all’udito in modo da trattarli immediatamente in maniera spe-ciale. Se questi bambini non ricevono gli stimoli sonori lo sviluppo del loro cervello rallenterà: questa è altra evidenza che la musica può aiu-tare lo sviluppo del cervello. Nei neonati la memoria di suoni esterni è praticamente vuota. Qualunque suono iniziale, a questo punto, è per-ciò speciale ed ogni suono successivo sarà riferito ad esso. I neonati, inoltre (nella maggior parte delle specie, non solo negli esseri umani), usano i suoni per identificare e legarsi ai genitori (di solito alla madre). Di tutte le caratteristiche del suono che il bambino usa per questa iden-tificazione l’orecchio assoluto è una delle principali. Queste considera-zioni spiegano perché lo apprendono così prontamente e perché prati-camente tutti i bambini dovrebbero essere in grado di farlo. Alcuni ge-nitori li espongono alla musica prima della nascita per accelerarne lo sviluppo, ma mi chiedo se questo sia utile all’orecchio assoluto perché la velocità del suono nel fluido amniotico è diversa da quella nell’aria

228 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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causando una diversa frequenza apparente. Questa pratica potrebbe perciò confondere l’orecchio assoluto.

Avere orecchio assoluto è chiaramente un vantaggio: è di grande aiuto nel memorizzare, nel leggere a prima vista, nel recuperare dai blackout e nel comporre musica. Si può essere il fischietto accordatore del pro-prio coro ed accordare facilmente un violino o uno strumento a fiato. È parecchio divertente perché si può dire quanto stia andando veloce un’automobile ascoltandone il solo fischio delle ruote, si può dire la dif-ferenza tra i clacson di diverse auto o tra i fischi di due locomotive (no-tando specialmente se usano terze o quinte) e si possono facilmente ri-cordare numeri di telefono dai loro toni. Ci sono tuttavia degli svan-taggi: la musica intonata diversamente non suona bene e siccome ce ne è così tanta, questo può essere piuttosto un problema. La persona può a volte reagire in modo molto forte, possono avvenire reazioni fisiche come lacrimazione o pelle d’oca. La musica trasposta va bene perché ogni nota è ancora giusta. I pianoforti scordati diventano difficili da suonate. L’orecchio assoluto è una fortuna mista.

Si cominci ad imparare ad identificare le altezze imparando prima quelle relative perché è più facile ed è necessario per imparare l’orec-chio assoluto. Si inizi imparando le scale e gli accordi. Si cominci con la scala di Do Maggiore. Dato il Do, si riescono a cantare di seguito tutte le altre note dell’ottava? Data una qualunque nota, si riesce a can-tare un’altra nota un tono o un semitono più in alto o più in basso? Successivamente si impari la scala cromatica e poi gli accordi. Dato il Do, si riesce a cantare una terza, quarta, quinta o ottava? Imparare l’orecchio relativo è abbastanza facile per gli studenti di pianoforte per-ché hanno sentito le scale e gli accordi così tante volte.

Si può ora progredire e cantare a prima vista della vera musica. Per facilitare la partenza si potrebbe incominciare con della musica che già si conosce. Ci si eserciti gradualmente con musica mai suonata prima. Congratulazioni (dopo circa un anno di pratica)! Si è appena acquisita un’abilità non solo utile in sé stessa, ma utile a leggere a prima vista.

Se non si ha orecchio assoluto si dovrebbe considerare di impararlo come progetto a lungo termine di un anno o più. Un modo per iniziare è memorizzare una nota. Si potrebbe scegliere il La440 perché lo si sente ogni volta che si va ad un concerto e può forse essere richiamato più facilmente. Il La non è tuttavia una nota utile per ottenere i vari accordi della scala di Do Maggiore, che è quella più utile da memoriz-zare. Si scelga perciò Do, Mi o Sol, quello che si tende a ricordare me-glio. La precisione potrebbe essere atroce all’inizio: si potrà sbagliare

III.12 - IMPARARE L’ORECCHIO ASSOLUTO E L’ORECCHIO RELATIVO 229

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facilmente di tre o quattro semitoni, ma con il tempo dovrebbe miglio-rare. Si escogitino modi di verificare come quello di identificare la nota più bassa e più alta che si riescano a canticchiare, le mie sono Fa3 e Fa5. In questo caso Fa4 potrebbe essere la nota migliore da memoriz-zare. Provando a cantare un’ottava sopra o sotto si può scoprire se il proprio Fa4 è troppo alto o troppo basso.

Un altro modo è quello di ricordare una composizione preferita che si sappia suonare, come un’Invenzione di Bach. È memorizzata e quindi la si dovrebbe suonare mentalmente di tanto in tanto (memoria di ta-stiera). Si provi a cantarla con orecchio assoluto e si controlli sul pia-noforte. Memorizzare un breve pezzo con orecchio assoluto ha il van-taggio di far memorizzare molte note in una sola volta e non richiede molto lavoro aggiuntivo. Come nella lettura a prima vista, ci si deve esercitare ogni giorno, altrimenti si faranno pochi progressi. Per impa-rare le altezze assolute di Do, Re, Mi, Fa e Sol si potrebbe usare l’inizio dell’Invenzione N.1 di Bach e la N.8 fornirà Fa, La, Si, Do per comple-tare l’ottava.

Io ad esempio ho imparato l’orecchio assoluto usando l’Invenzione N.1 di Bach. Ho memorizzato prima il Do4. Potevo verificarlo cantic-chiando giù fino al Fa3 che è la nota più bassa che riesco a canticchiare. Poi ho verificato il Do4 usando il Do5 (ottenuto dal Do4 usando l’orecchio relativo) canticchiando in alto verso il Fa5 che è la nota più alta che riesco a canticchiare. Quando ho iniziato ad esercitare l’orec-chio assoluto sbagliavo spesso, per diversi mesi, di tre semitoni (non mi esercitavo seriamente e nemmeno ogni giorno). Dopo qualche mese stavo in genere entro un semitono. Poi controllavo tutte le altre note a caso sul pianoforte. Ho studiato diligentemente per un po’ e ciascuna nota aveva una caratteristica individuale tale da poterla identificare senza usare l’orecchio relativo dal Do4. Questo arrivò come una sor-presa piuttosto piacevole. Io identifico le note nell’ottava con il sistema “Do Re Mi” invece di “C D E” e quando premo qualunque Do mi sembra dica proprio “Do”. Tuttavia se smetto di esercitarmi per un po’ questa abilità scompare e devo ricominciare da capo, anche quando il mio Do4 è piuttosto accurato.

III.13 - Videoregistrarsi e Registrarsi Uno dei modi migliori per migliorare la propria musicalità nel suonare e per prepararsi ai concerti è videoregistrarsi/registrarsi e poi riveder-si/riascoltarsi. Si rimarrà sorpresi da quanto buone o cattive siano le proprie abilità tecniche nel suonare. Sono spesso molto diverse da

230 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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quello che si immagina si faccia. Si ha un buon tocco? Si ha ritmo? Cosa si fa che spezza il ritmo? Il tempo è preciso e costante? Quali sono le proprie forze e debolezze? Si evidenzia chiaramente la linea melodica? Una delle mani è troppo forte o troppo debole? Le ma-ni/braccia/dita sono nelle loro posizione ottimale? Si usa l’intero cor-po? È cioè sincronizzato con le mani o queste stanno lottando l’una con l’altra? Tutte queste cose, ed altre ancora, diventano immediata-mente ovvie. La musica stessa è piuttosto diversa quando la si suona e quando la si ascolta registrata. Si sente molto di più ascoltando la regi-strazione che suonando. Videoregistrarsi è il modo migliore di prepa-rarsi ai concerti e può a volte eliminare quasi completamente il nervosi-smo.

Fino a poco tempo fa la maggior parte dei pianisti provava a fare delle registrazioni audio pensando che il risultato musicale fosse più impor-tante, inoltre le vecchie videocamere non potevano registrare bene la musica. Le registrazioni audio hanno lo svantaggio dovuto al fatto che una registrazione appropriata del suono del pianoforte è più difficile di quanto gran parte della gente pensi e tentativi del genere di solito fini-scono in fallimenti ed abbandoni. Le videocamere sono diventate tal-mente economiche e versatili che adesso videoregistrare è senza dubbio il metodo migliore. Sebbene la qualità del suono risultante non sia al livello dei CD (non si creda alle case costruttrici), non è necessaria una tale qualità per raggiungere tutti gli obiettivi pedagogici. È necessario un equipaggiamento per una ripresa audio soddisfacente solo quando si ha un pianoforte a coda di alta qualità propriamente intonato (Steinway B o migliore) e si è un pianista di livello avanzato. Anche allora si ot-terranno risultati migliori a minor costo rivolgendosi ad uno studio di registrazione.

All’inizio si cominci facendo una corrispondenza uno ad uno tra quel-lo che si pensa si stia suonando ed il risultato effettivo. In questo modo si possono modificare le proprie tendenze generali nel suonare facendo sì che il risultato sia corretto. Se ad esempio si suonasse più veloce-mente di quanto si pensi nelle sezioni facili, e lentamente in quelle diffi-cili, si potrebbero fare le opportune correzioni. Le pause durano abbas-tanza? I finali sono convincenti? La registrazione aiuta anche a deci-dere se si vuole o se si ha bisogno di un pianoforte migliore: l’incapa-cità a suonare in maniera soddisfacente potrebbe infatti essere dovuta al pianoforte e non al pianista. Non si può suonare pianissimo con martelli vecchi ed usurati. Una volta divenuti abbastanza bravi i fattori come la qualità del pianoforte e la giusta intonazione dei martelli si no-teranno di più nelle registrazioni.

III.13 - VIDEOREGISTRARSI E REGISTRARSI 231

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Non ci sono dubbi che ci si debba registrare se si vuole andare oltre al livello di suonare solo per se stessi. La sessione di registrazione verifi-cherà come si reagisce ad una vera esecuzione in pubblico se, ad esem-pio, si fanno errori o si ha un blackout. Vedersi reagire agli errori darà un’occasione di vedere quali reazioni sono “opportune” e quali non lo sono. Inoltre, durante un’esecuzione, si tende ad avere problemi nei punti in cui generalmente non se ne avevano durante lo studio. Le ses-sioni di registrazione tireranno fuori la maggior parte di questi punti problematici.

In generale i pezzi non sono “finiti” fin quando non li si riesca a regi-strare in modo soddisfacente, ossia al grado di perfezione desiderato. Videoregistrarsi si scopre essere una eccellente simulazione del suonare ai concerti. Se si riesce perciò a suonare in modo soddisfacente mentre si viene videoregistrati si avranno pochi problemi a suonare quel pezzo ad un concerto. Si scoprirà anche che non si è nervosi nell’eseguire in pubblico i pezzi che si possono registrare con risultati accettabili; parle-remo di questo in modo più approfondito nella sezione sul nervosismo (paura del palcoscenico). Videoregistrarsi è dunque uno dei migliori strumenti per ripulire un pezzo e prepararlo all’esecuzione in pubblico.

Quali sono gli svantaggi? Il principale svantaggio è che ci vorrà un sacco di tempo perché bisognerà rivedere e riascoltare la registrazione. Si potrebbe risparmiare del tempo ascoltando mentre si fa qualcos’altro. La sessione di registrazione stessa richiederà del tempo aggiuntivo per-ché fa parte del tempo dedicato allo studio. Ogni volta che si corregge una sessione la si deve registrare ed ascoltare di nuovo. Non si scappa, quindi, dal fatto che guardarsi/ascoltarsi sarà un’operazione che porta via del tempo. Nonostante questo si tratta di una cosa che ogni studen-te di pianoforte deve fare. Un altro svantaggio è che in assenza di un sistema di registrazione veramente superiore potrebbe essere necessario usare più pedale di quanto desiderato perché la componente percussiva del suono del pianoforte viene ripresa in modo più efficiente dal siste-ma audio che dall’orecchio umano.

Descriverò qui sotto alcuni metodi di registrazione audio e video.

A) La Registrazione Audio La registrazione audio della musica del pianoforte è uno dei compiti più impegnativi. Cose come i registratori a cassette per la voce non funzioneranno perché il volume e la gamma di frequenze del pianoforte va oltre la capacità della maggior parte dei sistemi di registrazione eco-nomici sotto i mille dollari. Le attrezzature moderne sono sufficienti a riprendere la maggior parte della gamma delle frequenze e qualunque

232 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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piccola distorsione venga prodotta di solito non crea problemi. La ri-sposta in frequenza non è tuttavia sufficientemente piatta, mancano le frequenze più alte e quelle più basse e la gamma dinamica è insufficien-te. C’è una quantità sorprendente di potenza audio nel rumore am-biente, che i microfoni riprenderanno e che l’orecchio/cervello umano esclude (ad esempio le orecchie hanno una forma tale da fungere da fil-tro per il rumore). Si dovranno quindi fare i conti con alcuni fischi quando si suona piano, con alcune distorsioni quando si suona forte e tutti i rumori di fondo (come qualcuno che cammina lì vicino o che la-va i piatti) dovranno essere minimizzati. Il suono del pianoforte non verrà riprodotto fedelmente a meno che non si comprino microfoni molto buoni e/o si metta un sacco di impegno nel loro posizionamento, eccetera. Il seguente è un sistema di registrazione audio che ho messo insieme: (1) Sony Mini Disc ($150) (2) Mixer piccolo ($150÷$250) (3) Microfono Boundary o PZM (Pressure Zone Microphone) ($50 ÷

$300 ciascuno); uno per registrazioni mono, due per stereo. (4) Cavi di collegamento. Assumo qui che si possieda un sistema audio hi-fi nel quale inserire l’uscita, altrimenti si usi la tivù (attraverso il mixer). Il Sony MD è di-sponibile nei negozi di elettronica di consumo.

Il MD è comodo perché è facile modificare, etichettare, cancellare e individuare rapidamente diverse registrazioni, è portatile (sta in un ta-schino), funziona con le sue batterie ricaricabili ed è fornito di cuffie. Si possono registrare 74 minuti su un disco che può essere riscritto quante volte si vuole. Ha anche tante caratteristiche come ingressi/uscita sia analogiche sia ottiche e la maggior parte delle funzioni importanti (vo-lume sia di registrazione sia di riproduzione, modalità di registrazione mono/stereo) sono programmabili. Il più grosso svantaggio del MD (non so se sia stato corretto nei modelli più recenti) è che nonostante sia un’attrezzatura digitale non possiede un’uscita digitale. Nella sua gamma dinamica la qualità è buona quanto quella dei CD quindi la qualità del suono sarà limitata dal microfono. Ci si assicuri di portare con sé tutti i componenti quando si vanno a comprare i cavetti.

Il mixer potrebbe non essere necessario se si possiede un sistema hi-fi versatile. Siccome tuttavia permette di provare molte più opzioni e di ottimizzare il sistema, lo consiglio vivamente. Si potrebbe all’inizio fare senza e comprarlo dopo se necessario. Il mixer ha tante funzioni in-

III.13 - VIDEOREGISTRARSI E REGISTRARSI 233

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corporate e si possono usare praticamente tutti i tipi di connettori, permettendo così di collegare praticamente qualunque periferica a qua-lunque altra ed effettuare un po’ di elaborazioni del segnale. Contiene pre-amplificatori, attenuatori, equalizzatori, eccetera. Ha ingressi mono e stereo così da poter mettere un segnale mono in ingresso e distribuir-lo su entrambi gli ingressi del proprio sistema stereo. Questo è utile se si usa un solo microfono. Le registrazioni stereo danno comunque ri-sultati udibilmente migliori. Ad esempio, un microfono messo verso gli alti non riprenderà a sufficienza i bassi, anche se questo si può correg-gere usando il mixer. La maggior parte dei mixer fornirà la potenza al microfono. Siccome il MD ha ingressi sia di linea che per microfono, si può registrare con o senza mixer, anche se di solito verrà sacrificata un po’ di gamma dinamica e questo causa distorsioni ed eccessivo rumore. Per riprodurre, lo stesso mixer permetterà di connettere l’uscita ad un qualsiasi sistema hi-fi. Per molti di questi l’uscita del MD potrebbe non avere sufficiente potenza.

B) Le Videocamere Le videocamere digitali sono migliori delle vecchie analogiche perché si possono effettuare copie senza degradazione, forniscono più opzioni per la modifica e si possono copiare direttamente su CD o DVD. Una vol-ta iniziato a registrare si potrebbe voler mandare la registrazione ad al-tre persone! Le videocamere analogiche sono comunque più a buon mercato e vanno abbastanza bene. Il problema più grosso delle video-camere è che hanno tutte dei motorini che fanno un rumore che viene ripreso dal microfono interno. Si cerchi un modello che abbia un mi-crofono esterno di buona qualità oppure un ingresso per microfono e se ne compri uno di qualità a parte, produrrà risultati migliori rispetto a quello interno. Ci si assicuri inoltre che l’AGC (controllo automatico del guadagno) si possa disattivare. Si vuole registrare l’intera gamma dinamica di ciò che si suona, specialmente della musica classica. Alcuni AGC delle videocamere di fascia alta fanno un così buon lavoro che lo si nota a malapena, ma si dovrebbe fare di tutto per disattivarlo perché la gamma dinamica è una caratteristica così importante del pianoforte. La maggior parte delle videocamere ha spinotti per collegarla alla tivù, questo rende semplice la riproduzione. Sarà anche necessario un trep-piede piuttosto stabile, uno leggero potrebbe scuotersi se si pesta vera-mente al pianoforte.

234 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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III.14 - Prepararsi alle Esecuzioni in Pubblico ed Ai Saggi

A) Perché Alcuni Pianisti non Eseguono Mai in Pubblico? Molti pianisti dilettanti non eseguono mai in pubblico. Molti insegnan-ti di pianoforte, ancor più sorprendentemente, non tengono mai saggi dei loro studenti. Perché accade così spesso se il pianoforte è un’arte esecutiva? Quando non viene raggiunto l’obiettivo principale di un’ar-te c’è chiaramente qualcosa di sbagliato nelle procedure di apprendi-mento/insegnamento. La ragione ovvia del non eseguire in pubblico è che l’esecuzione tende ad essere un disastro. Se si suonasse in modo formidabile si suonerebbe per il pubblico ad ogni occasione. Prima di tutto non ci dovrebbe essere motivo per cui le esecuzioni in pubblico si debbano rivelare disastrose: ci sono sempre pezzi facili da suonare a prescindere dal proprio livello di abilità. Secondo, molti studenti non si rendono conto che i disastri semplicemente non accadono, ma vengono provocati. Si deve fare qualcosa di sbagliato per provocare un disastro, quando accade qualcosa c’è sempre una ragione. Mi si lasci spiegare. Studiare per suonare un pezzo e studiare per eseguirlo in pubblico pos-sono essere due cose completamente diverse. Molti studenti fanno l’errore di pensare che essere in grado di suonare li qualifichi automati-camente ad eseguire in pubblico. Molti insegnanti sanno insegnare a suonare, ma non ad eseguire in pubblico. Inoltre, proprio come i me-todi intuitivi di studio del pianoforte sono i peggiori che si possano usa-re, così i metodi intuitivi per preparare i concerti sono il motivo per cui le esecuzioni in pubblico finiscono per essere un disastro. Dedichere-mo il resto di questa sezione all’imparare come eseguire in pubblico e come evitare le trappole più comuni.

Ci sono certamente un sacco di scuse valide per non riuscire ad ese-guire in pubblico. Conoscerle è uno dei requisiti per imparare a farlo. Forse la scusa più importante è che si stanno sempre imparando nuovi pezzi e non c’è mai tempo sufficiente per finirne veramente uno o man-tenere quelli finiti in condizioni suonabili. Abbiamo visto che imparare nuovi pezzi è il modo migliore per dimenticare quelli vecchi. La se-conda scusa più importante, di chi non ha mai eseguito in pubblico, è che probabilmente non ha mai veramente finito niente. In ogni pezzo “interessante”, che valga la pena di essere eseguito in pubblico, c’è sempre quella sezione difficile che non si riesce a gestire. Se non si è eseguito un pezzo in pubblico non si avrà idea se lo si è finito o meno. Un’altra scusa è che i pezzi facili (per il proprio livello) sono in qualche modo sempre poco interessanti. Si noti che i metodi di apprendimento

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 235

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di questo libro sono stati progettati per controbattere ciascuna di queste scuse principalmente accelerando il processo di apprendimento ed inco-raggiando la memorizzazione. La sottosezione sul “mantenimento” nel-la sezione sulla memoria è ovviamente importante. Se ci si impunta di studiare sempre in maniera musicale nessun pezzo è poco interessante, che venga suonato lentamente o velocemente. Ci sono molti altri a-spetti dell’esecuzione in pubblico che ora andremo ad imparare.

B) I Vantaggi ed I Tranelli delle Esecuzioni in Pubblico e dei Saggi La conoscenza dei vantaggi e dei tranelli è importante perché determi-na come elaborare il programma quotidiano di apprendimento del pianoforte. I vantaggi di un’esecuzione in pubblico, anche occasionale, per il pianista dilettante sono immensi. Il vantaggio più importante è che la tecnica non viene mai veramente dimostrata se non durante un concerto. Ovvero, musica e tecnica sono inseparabili e perciò saper e-seguire con successo significa aver studiato correttamente. Questo fun-ziona in entrambi i versi: se si studia correttamente eseguire in pubblico non dovrebbe essere un problema. Questo pone una linea netta tra studiare musicalmente e rilassati da una parte e dall’altra ripetere mec-canicamente solo per riuscire a suonare un passaggio difficile, lavoran-do come un cane, scambiando il pianoforte per un qualche tipo di gin-nastica.

I vantaggi sono anche più significativi per gli studenti più giovani: imparano cosa significhi portare a termine un vero compito e cosa si-gnifichi “fare musica”. Molti dei più giovani che vivono in ambienti protettivi non imparano queste capacità finché non vanno al college; gli studenti di pianoforte dovrebbero impararle al primo saggio indipenden-temente dall’età. Gli studenti non sono mai così auto-motivati come quando studiano per un saggio. Gli insegnanti che tengono saggi ne conoscono gli enormi vantaggi: i loro studenti si focalizzano, si auto-motivano, si orientano al risultato, ascoltano attentamente l’insegnante e provano veramente a capire il significato delle sue istruzioni. Gli stu-denti diventano terribilmente seri rispetto all’eliminazione di tutti gli errori e rispetto all’imparare tutto correttamente – è il capitalismo al suo meglio, perché è il loro saggio. Gli insegnanti che non tengono sag-gi finiscono spesso per avere studenti che studiano forse qualche volta appena prima del giorno della lezione – la differenza è come tra il gior-no e la notte.

Siccome la psicologia e la sociologia del suonare il pianoforte non so-no del tutto sviluppate, ci sono trabocchetti che dobbiamo considerare seriamente. Il più importante è il nervosismo ed il suo impatto sulla

236 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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mente, specialmente nei giovani. Il nervosismo può rendere una esecu-zione in pubblico un’esperienza spaventosa e richiede particolare atten-zione per evitare non solo esperienze spiacevoli, ma anche danni psico-logici di lunga durata. Al suo minimo, ridurre il nervosismo allevierà lo stress e la paura. Non viene prestata attenzione sufficiente al rendere il concerto un’esperienza piacevole ed al ridurre la tensione e lo stress, specialmente nelle competizioni di pianoforte. Questo intero argomen-to sarà trattato in modo completo nella sezione sul nervosismo. Il pun-to qui è che qualsiasi trattazione sull’esecuzione in pubblico deve inclu-dere un’analisi della paura del palcoscenico. Anche i grandi artisti hanno smesso, per una ragione o per l’altra, di eseguire in pubblico per lunghi periodi di tempo. Sebbene quindi i bravi insegnanti di pianofor-te tengano saggi dei loro studenti e li introducano alle competizioni è compito dei genitori stare attenti alla salute sociale e psicologica dei lo-ro figli perché gli insegnanti di pianoforte non sono necessariamente bravi sociologi o psicologi. È importante che qualsiasi persona alla guida dei giovani ai concerti ed alle competizioni impari i fondamenti e le cause del nervosismo, come trattarlo e le sue conseguenze psicologi-che. La sezione seguente (Sezione 15) sul nervosismo è una compagna necessaria di questa sulle esecuzioni in pubblico.

Ci sono molte altre implicazioni sociologiche e psicologiche nei con-certi e nelle competizioni. Il sistema giudicante delle competizioni mu-sicali è notoriamente ingiusto e giudicare è un compito difficile e senza riconoscimenti. Gli studenti che vengono iniziati alle competizioni de-vono perciò essere informati di questi inconvenienti del “sistema” in modo che non soffrano danni mentali per la percepita ingiustizia e de-lusione. È difficile, ma possibile, per gli studenti capire che l’elemento più importante di una competizione è partecipare, non vincere. C’è troppa enfasi sulle difficoltà tecniche e non abbastanza sulla musicalità. Il sistema non incoraggia la comunicazione tra gli insegnanti per mi-gliorare i metodi di insegnamento. Non c’è da meravigliarsi dell’esis-tenza di una scuola di pensiero che è a favore dell’eliminazione delle competizioni. Non c’è dubbio che i saggi e le competizioni siano neces-sari, ma la situazione attuale potrebbe sicuramente essere migliorata.

C) Preparare I Concerti Anche le esecuzioni occasionali richiedono preparazione e studio. I concerti richiedono di solito una rigorosa procedura abituale di prepa-razione. Inizieremo a parlare delle esecuzioni informali e descriveremo poi le procedure per i concerti perché il modo di affrontare le une o gli altri può essere piuttosto diverso. Ci sono almeno due stadi nel pro-

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 237

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cesso di imparare ad eseguire in pubblico. Il primo è quello iniziale in cui si superano le prime difficoltà ad eseguire il pezzo per la prima vol-ta. Nel secondo si ha confidenza con ciò che sarà coinvolto nella pre-parazione e ci si può concentrare sui dettagli del procedimento.

In generale non ci si aspetti di eseguire niente bene in pubblico, in-formalmente o altrimenti, a meno che non lo si abbia già eseguito al-meno diverse volte, alcuni sostengono almeno cinque. Sezioni che si pensava fossero facili da eseguire in pubblico si rivelano essere difficili e viceversa. La prima cosa da fare è abbassare le proprie aspettative e iniziare a pianificare come si ha intenzione di suonare il pezzo, special-mente quando accadono cose impreviste. Sicuramente non sarà come una delle migliori esecuzioni fatte durante lo studio.

Durante lo studio qualche errore o nota in meno non vengono notati ed il proprio giudizio di come suonano è probabilmente molto più ot-timistico di quello che si sarebbe dato se si fosse suonato nello stesso identico modo per il pubblico. Dopo essersi esercitati si tende a ricor-dare sono le parti migliori e dopo un’esecuzione solo gli errori. Di soli-to si è i propri peggiori critici dell’esecuzioni in pubblico: ogni sbaglio sembra molto peggio a sé stessi che al pubblico. Molti ascoltatori non si accorgeranno di metà degli errori e si dimenticheranno in breve tem-po della maggior parte di quelli di cui si accorgono.

La maggioranza degli studenti non si ascolta abbastanza mentre stu-dia: di solito studia come se avesse l’autopilota. Questo non significa che non ci si possa mettere in modalità autopilota durante un’esecu-zione sperando di eseguire come si è fatto durante lo studio. Non si può semplicemente correre con un pezzo ed aspettarsi che il pubblico segua, facendo così lo si perderà perché esso sentirà che la musica non comunica. Il modo giusto è ascoltare la propria musica (sempre) e la-sciare che guidi lei – è l’unico modo per ottenere la loro attenzione. Durante un’esecuzione in pubblico la propria musica sarà sempre alla guida, che glielo si permetta o meno. Questo è il motivo per cui gli stu-denti che fanno errori si deprimono così tanto rendendo al contempo così difficile suonar bene. D’altra parte se si comincia bene il pubblico verrà coinvolto, la musica si alimenterà da sola e l’esecuzione sarà mol-to più facile.

Questa differenza tra ascoltarsi superficialmente durante lo studio e criticamente durante l’esecuzione in pubblico può far cambiare a suffi-cienza l’atmosfera in cui si suona a tal punto da interferire con la me-moria e con il modo di suonare. Per questo bisogna sempre ascoltarsi criticamente durante lo studio. È il tipo di esperienza per la quale si

238 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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deve passare le prime volte che si esegue in pubblico in modo da sapere come cambiare i metodi di studio e fino a che punto questi fattori mo-dificano il proprio modo di suonare. Abbassare le proprie aspettative in genere significa suonare leggermente più lentamente di quando si studia e prestare attenzione ad ogni nota. Come abbiamo visto prima suonare lentamente non è necessariamente più facile e questo illustra l’importanza dello studio lento. Si ricordi che il pubblico non ha ascol-tato questo pezzo centinaia di volte come si è fatto studiandolo e perciò non è così abituato ad ogni dettaglio, è probabile che a loro sembri molto più veloce. Dovranno essere imboccati con ogni nota altrimenti non la sentiranno. Durante lo studio si sentiranno probabilmente delle note anche senza averle suonate, come se lo fossero state, perché si sa che devono esserci. Chiaramente la scienza dell’esecuzione è comples-sa e gli esecutori esperti possono dare un sacco di consigli. Non an-diamo però troppo avanti e cominciamo l’analisi dall’inizio: come ci si prepara, durante lo studio, alle esecuzioni in pubblico?

D) Studiare per Le Esecuzioni in Pubblico e Suonare in Modo Musicale Sebbene le idee di questo paragrafo si applichino a tutte le sedute di studio, questo è il momento migliore per parlare di questo argomento. L’argomento è quanto si studi in modo musicale ed a quale intensità, soprattutto i passaggi più eccitanti ed intensi. Molti studenti odiano studiare quando ci sono altri in giro ad ascoltare, altri pensano che studiare pianoforte sia necessariamente spiacevole ed una punizione per le orecchie. Questi sono i sintomi di una comune idea sbagliata. U-sando i metodi di studio corretti e facendo progressi eccezionali si passa rapidamente a fare musica e non c’è niente di spiacevole riguardo a queste sedute di studio.

È un errore comune studiare i passaggi sempre forte quando si sta imparando una nuova composizione. Non c’è alcun bisogno di suonare forte i passaggi forte finché non li si suona in modo soddisfacente, l’in-tensità va aggiunta dopo. Separando l’intensità dalla tecnica si acquisi-sce quest’ultima con meno fatica e si impara più velocemente a ridurre lo stress. Una volta ottenuta la tecnica con totale rilassamento si può aggiungere molta più potenza di quanto si potesse fare prima, senza contrarre brutte abitudini. Gli studenti che non hanno eliminato com-pletamente lo stress studiano tutto troppo forte. Esercitarsi in questo modo è perciò spesso l’indicazione di un qualche problema latente. Ci sono sicuramente studenti che non suonano con sufficiente fermezza da produrre un tono solido e chiaro, questi hanno il problema opposto di dover rinforzare il loro modo di suonare. Entrambi i problemi (suona-

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 239

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re troppo forte o troppo piano) si possono migliorare esercitandosi nel-le cadute. Il miglior criterio per verificare la correttezza del modo di studiare è la reazione degli altri: se a loro lo studio sembra buono, o almeno non li infastidisce, allora probabilmente si sta facendo bene.

Siccome la tecnica è inseparabile dalla musica (anche le scale e gli ar-peggi andrebbero studiati in maniera musicale, non meccanica) tutto ciò che si suona e studia deve essere musicale. Questo tipo di studio sarà di grande aiuto quando verrà il momento dell’esecuzione in pub-blico. Da un altro punto di vista, studiare senza badare alla musicalità renderà certamente il passaggio alla “modalità di esecuzione” un compi-to impossibile. È senza altro una questione molto più fondamentale: è questione di quale sia il modo giusto e quale quello sbagliato di acquisi-re la tecnica dei passaggi difficili.

Cosa significa suonare in modo musicale? Rispondere alla domanda in maniera definitiva è possibile solo applicando la miriade di micro-regole che si applicano ad un passaggio specifico di una composizione specifica. Una volta incorporate nella propria musica tutte le notazioni ed i segni musicali, la musicalità dovrebbe seguire automaticamente. Ci sono tuttavia un po’ di micro-regole molto utili senza le quali la maggior parte delle esecuzioni risulterebbe piatta. Fondamentalmente, durante un’esecuzione in pubblico si deve riuscire a suonare con sicu-rezza ed autorevolezza. Per poterlo fare è utile tenere a mente le se-guenti regole: (1) Si colleghi attentamente e consapevolmente ciascuna misura (o bat-

tuta o frase) a quella precedente. Queste misure/frasi non stanno da sole: ciascuna fluisce logicamente nell’altra e si sostengono a vi-cenda. Sono connesse sia ritmicamente sia concettualmente. Si po-trebbe pensare che questo punto sia banalmente ovvio, ma quando lo si farà consapevolmente ci si potrebbe sorprendere del significa-tivo miglioramento della propria musica.

(2) Ci deve sempre essere una conversazione tra le mani. Non suona-no indipendentemente. Non parleranno l’una all’altra automatica-mente solo perché le si fa andare a tempo. Si deve consciamente creare una conversazione tra esse, o tra le voci, nella musica.

(3) “cresc.” significa che la maggior parte del passaggio deve essere suo-nata delicatamente e solo le ultime poche note vengono suonate forte. Ciò significa che è importante iniziare delicatamente. In modo analogo, nel caso delle altre indicazioni di questo tipo (“rit.”, “accel.”, “dim.”, ecc.) ci si assicuri di aver riservato spazio per far ac-

240 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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cadere l’azione e non la si inizi immediatamente, si aspetti l’ultimo momento.

(4) Nel rubato si ricerchi più la precisione che l’espressività: il rubato è spesso troppo disinvolto, sbagliato e non in sintonia con il pubbli-co. È questo il momento di usare il metronomo per controllare tempo e ritmo.

(5) Quando si hanno dei dubbi si cominci e si termini ciascuna frase musicale delicatamente, tenendo le note più forti vicino al mezzo. È di solito sbagliato avere note forti alle estremità.

Suonare in modo musicale si alimenta da sé: una buona esecuzione in pubblico porta quindi a farne di migliori e questo è valido anche per lo studio. Anche la musicalità non ha limiti: si può migliorare indipen-dentemente da dove si è nella “scala della musicalità”. La cosa incredi-bile di tutto ciò è l’altra faccia della medaglia: se non si presta attenzio-ne si potrebbe sviluppare l’abitudine a suonare non musicalmente e questa continuerà a distruggere la propria musicalità. Per questo moti-vo è così importante focalizzarsi sulla musicalità e non solo sulla tecni-ca: può fare la differenza tra saper eseguire in pubblico e non saperlo fare. I punti precedenti, da 1 a 5, non sono banali. Se ci si focalizza su di essi accadranno diverse cose automaticamente: innanzitutto nel pro-vare a rispettarli correttamente ci si preoccuperà a tal punto che si a-vranno meno occasioni di fare errori musicali, porranno poi delle soli-de basi da cui migliorare il proprio modo di suonare e sentendo venir fuori la musica correttamente diverrà più facile arricchirla ulteriormen-te rispetto a farlo partendo in modo sbagliato.

E) Le Esecuzioni Occasionali Parliamo ora delle esecuzioni occasionali: sono tipiche quelle nei negozi di musica per provare i pianoforti, alle feste di amici, eccetera. Sono diverse dai più formali concerti per via della maggiore libertà. Di solito non c’è un programma fisso, si sceglie semplicemente ciò che sembra appropriato al momento e di fatto potrebbe anche essere un’esecuzione piena di cambiamenti ed interruzioni a metà strada. Il nervosismo non è neanche un problema, ma all’inizio non è facile, nonostante questi fat-tori allevianti. Una cosa che si può fare per cominciare facilmente è suonare piccoli frammenti (segmenti brevi) dai vari pezzi che si cono-scono. Si potrebbe iniziare con quelli facili e scegliere solo le sezioni che suonano meglio. Se il frammento scelto non viene bene se ne co-minci un altro, si faccia lo stesso se ci si blocca. Si può iniziare e smet-tere in qualunque momento. Questo è un bel modo di fare esperimenti

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 241

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e di scoprire come si esegue e quali frammenti funzionano. Si tende a suonare troppo velocemente? È meglio iniziare troppo lentamente ed accelerare che viceversa. Ci si riesce ad adattare ad un pianoforte di-verso? Si riesce a tenere traccia della reazione degli ascoltatori? Suo-nando, si riesce a reggere il pubblico? Si riescono a scegliere i fram-menti giusti per l’occasione? Ci si riesce a porre nella giusta forma mentis per suonare? Qual è il proprio livello di nervosismo e si riesce a controllarlo? Si riesce a suonare e parlare contemporaneamente? Si riesce a sorvolare sugli errori senza esserne preoccupati?

Suonare dei frammenti ha un vantaggio interessante: la maggior parte degli spettatori resta molto impressionata dall’abilità di fermarsi e ripar-tire nel mezzo di un pezzo. La maggior parte delle persone assume che tutti i pianisti dilettanti imparino i propri pezzi dall’inizio alla fine usan-do la memoria di dita e che in qualche modo la capacità di suonare frammenti richieda un talento speciale. Siccome i metodi di questo li-bro si basano sullo studio per segmenti, dovrebbe essere una cosa facile da fare: si cominci con un segmento breve e se ne provino poi gra-dualmente altri più lunghi. Una volta fatta questo tipo di esecuzione occasionale frammentata in quattro o cinque occasioni diverse, si do-vrebbe essere pronti per eseguire sezioni più lunghe.

Ci sono alcune regole speciali per preparare le esecuzioni frammenta-te. Non si esegua un pezzo appena imparato, ma lo si lasci cuocere per almeno sei mesi, meglio un anno. Dopo aver passato le ultime due set-timane ad imparare un nuovo pezzo difficile non ci si aspetti di essere in grado di suonarne frammenti che non siano stati suonati affatto in queste due settimane – ci si prepari ad ogni tipo di sorpresa, come i blackout. In questo caso si provino i frammenti a casa prima di prova-re ad eseguirli. D’altro canto, dopo aver passato le ultime due settima-ne a ripulire vecchi pezzi si possono suonare tutti i frammenti che si vogliono: anche quelli non suonati affatto per mesi tenderanno a venire bene. Non si studino i frammenti velocemente il giorno in cui potreb-bero essere eseguiti in pubblico. Studiare molto lentamente sarà utile. È una buona idea controllare due volte se si riesce a suonare anche a mani separate. Nel caso di frammenti molto brevi si possono violare molte di queste regole e si dovrebbero fare degli esperimenti per vedere quali seguire per le esecuzioni frammentate.

Siccome sono molto più rilassate, le esecuzioni occasionali forniscono un modo per facilitarsi gradualmente la strada verso le esecuzioni in pubblico. Questo perché i concerti sono spesso faccende ad alta pres-sione in cui è presente il nervosismo. Gli studenti spinti improvvisa-

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mente ai concerti formali finiscono spesso per essere nervosi ad ogni esecuzioni in pubblico. Il nervosismo è una cosa puramente mentale ed è un meccanismo di retroazione che si autoalimenta. È quindi piuttosto possibile, in base alla storia personale, che possa essere in gran parte evitato. Facendo, ad esempio, un numero sufficiente di esecuzioni oc-casionali senza sviluppare alcun nervosismo, una persona può arrivare ad eseguire i concerti molto meno nervosa rispetto ad una situazione in cui vi fosse stata spinta all’improvviso. Una cosa su cui si dovrebbe perciò lavorare è imparare ad eliminare il nervosismo durante le esecu-zioni occasionali. Imparare a gustarsi il momento, ad usarlo come un modo di mostrare come esprimere se stessi ridurrà il nervosismo lad-dove la paura di eseguire in pubblico, di fare errori, eccetera lo aumen-terebbe.

È chiaramente un errore, per un’insegnante, avviare uno studente ai concerti senza alcuna preparazione. Gli studenti devono essere intro-dotti gradualmente all’esecuzione in pubblico attraverso un programma ben pianificato. Si dovrebbe insegnar loro l’arte di suonare frammenti nelle occasioni informali e dovrebbero esercitarsi ad eseguire videoregi-strandosi. Gli studenti hanno bisogno di fare un corso sul nervosismo. Ai primi saggi dovrebbero suonare pezzi molto semplici. Gli studenti ed i loro genitori devono conoscere i dettagli della procedura abituale di preparazione ai concerti (si veda più avanti). Riassumendo, anche se conosciamo l’arte di fare musica non possiamo eseguire in pubblico senza allenamento nell’arte di eseguire.

F) Prepararsi ai Saggi ed ai Concerti Come fatto notare prima, ci sono buone ragioni per cui tutti i bravi in-segnanti di pianoforte tengono saggi per i loro studenti. Frequentare questi saggi è perciò un buon modo per trovare buoni insegnanti e per imparare qualcosa sul loro modo di insegnare. C’è un legame diretto tra la bravura dell’insegnante ed il numero di saggi che organizza. Ov-viamente i migliori insegnanti tengono più di un saggio, qualcosa come sei o più all’anno. Si veda la sezione su “Insegnare” per vedere come si possano programmare così tanti saggi in un anno. Si ha mai notato come i saggi degli studenti tendono ad essere o formidabili o terribili? Questo accade perché alcuni insegnanti sanno come preparare gli stu-denti mentre altri no. Questa affermazione è supportata dall’osserva-zione che quando il saggio va bene tutti gli studenti suonano bene e vi-ceversa.

Anche se lo studente riuscisse a suonare perfettamente durante lo studio, se la preparazione fosse sbagliata potrebbe fare ogni tipo di er-

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 243

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rore durante il saggio. La maggior parte degli studenti si esercita du-ramente ed a piena velocità nella settimana che precede il saggio e spe-cialmente il giorno stesso. Questi, per poter simulare il concerto, si immaginano un pubblico che ascolta lì vicino e suonano con tutto il cuore, tutto il prezzo dall’inizio alla fine, molte volte. Questo metodo di studio è la più grossa causa singola di errori e di cattive esecuzioni in pubblico. Il commento esplicativo che sento più spesso è: “Strano, ho suonato così bene tutta la mattina, ma durante il saggio ho fatto degli errori che non avevo mai fatto neanche durante lo studio!” Per un’insegnante esperto questo è uno studente che si esercita fuori con-trollo, senza alcuna guida sui metodi giusti o sbagliati per preparare un concerto.

Gli insegnanti che organizzano saggi in cui gli studenti suonano ma-gnificamente, tengono sotto stretta osservazione i loro allievi e control-lano da vicino le loro procedure di studio. Perché tutte queste atten-zioni? Perché durante un saggio l’elemento più stressato è il cervello, non il meccanismo che suona. Questo stress non può essere riprodotto con nessun tipo di esecuzione simulata. Il cervello deve perciò essere riposato e del tutto carico per una singola esecuzione, non può essere prosciugato suonando a non finire. Tutti gli errori hanno origine nel cervello. Tutte le informazioni necessarie devono essere immagazzina-te in maniera ordinata, senza confusione. Questo è il motivo per cui gli studenti non meglio preparati suonano sempre peggio ai saggi che du-rante lo studio. Quando si studia a piena velocità viene introdotta nel-la memoria una gran quantità di confusione. È analogo ad un compu-ter che sia stato usato per molto tempo senza deframmentare il disco principale e senza che siano stati cancellati i file duplicati ed inutili. I-noltre l’ambiente del saggio è diverso da quello di studio. Si deve quindi avere una semplice memoria del pezzo, senza errori, in modo che possa essere richiamato nonostante le distrazioni aggiuntive. È e-stremamente difficile, per questo motivo, eseguire due volte lo stesso pezzo lo stesso giorno o anche nei giorni seguenti. La seconda esecu-zione è inevitabilmente peggiore della prima sebbene intuitivamente ci si possa aspettare sia migliore (perché si ha più esperienza nell’ese-guirla). Come in altre parti di questa sezione questo tipo di commenti è valido solo per gli studenti. I musicisti professionisti dovrebbero essere in grado di eseguire qualsiasi cosa, qualsiasi numero di volte, in qual-siasi momento; questa capacità deriva dalla continua esposizione alle esecuzioni in pubblico e dal rispetto delle corrette regole di preparazio-ne.

244 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Gli insegnanti esperti hanno trovato, attraverso prove ed errori, pro-cedure di studio che funzionano. La regola importante è tenere la men-te fresca, il giorno del saggio, limitando la quantità di studio. Quel giorno il cervello è del tutto non ricettivo e può solo confondersi. Solo una piccola minoranza di studenti di talento ha un cervello musicale sufficientemente “forte” da poter assimilare qualcosa di nuovo il giorno del saggio. A proposito, questo è valido anche per gli esami e le verifi-che: il più delle volte si andrà meglio ad un esame andando al cinema la sera prima piuttosto che passandola sgobbando. Una tipica procedu-ra di studio raccomandata consiste nel suonare una volta quasi a piena velocità, poi una volta a media velocità ed infine una volta lentamente. Fatto! Nessun altro studio! Non si suoni mai più velocemente della velocità del saggio. Si noti quanto questo sia contro-intuitivo. Siccome genitori e amici useranno sempre metodi intuitivi, è importante per l’in-segnante assicurarsi che chiunque sia associato con lo studente conosca queste regole specialmente per i più giovani. In caso contrario, nono-stante qualsiasi cosa dica l’insegnante, lo studente arriverà al saggio a-vendo studiato tutto il giorno a piena velocità perché i genitori glielo hanno fatto fare.

Questo procedimento, che è certamente solo un inizio e potrà essere modificato per adattarsi alle circostanze, va bene per il tipico studente e non per gli esecutori professionisti che avranno procedure molto più dettagliate che dipendono non solo dal tipo di musica da suonare, ma anche dal particolare compositore o pezzo. Chiaramente, affinché que-sta procedura funzioni, il pezzo dovrà essere pronto per l’esecuzione molto prima. Questa resta la migliore procedura per il giorno del sag-gio anche se il pezzo non è stato perfezionato e può essere migliorato con altro studio. Se si commettesse un errore che si sa essere ostinato e che si è sicuri si sbaglierà anche al saggio, si estraggano le poche misure che lo contengono e le si studino a velocità appropriata (finendo sem-pre suonandole lentamente), stando il più possibile lontani dal suonare velocemente. Se non si è sicuri che il pezzo sia completamente memo-rizzato lo si può suonare molto lentamente diverse volte.

Siccome è permessa una sola volta a piena velocità (o vicino ad essa), cosa fare quando si commette un errore? Si vada avanti! Non ci si fermi a correggerlo o ad esitare. Sfortunatamente qualsiasi errore si commetta a questo punto ha un’alta probabilità di essere ripetuto du-rante il saggio. Per questa ragione dopo aver finito il pezzo si torni in-dietro a pescare la frase contenente l’errore e la si suoni lentamente di-verse volte. È tutto ciò che può essere fatto, il resto della procedura

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 245

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per evitare l’errore deve essere eseguita durante saggio, si veda più a-vanti.

Vanno inoltre evitati affaticamenti estremi come giocare una partita di football oppure alzare o spingere qualcosa di pesante. Questo potrebbe cambiare improvvisamente la risposta dei muscoli ai segnali del cervel-lo e si potrebbe finire per commettere errori del tutto inaspettati quan-do si suona al saggio. Sicuramente possono essere molto benefici l’esercizio leggero, lo stretching, la ginnastica, il Tai Chi, lo yoga, ecce-tera.

Nella settimana precedente il concerto si suoni sempre a media veloci-tà, poi a bassa velocità prima di smettere. Se si è a corto di tempo, il pezzo è particolarmente semplice o si è un esecutore esperto, si può so-stituire alla bassa velocità quella media. In realtà questa regola è valida per qualsiasi seduta di studio, ma è particolarmente critica prima di un concerto. Suonare lentamente cancella qualunque brutta abitudine che si possa aver acquisito e ristabilisce il rilassamento nel suonare. Quindi quando si suona a media/bassa velocità ci si focalizzi sul rilassamento. A volte diventa difficile rilassarsi suonando lentamente, un’altra valida ragione per studiare a media velocità. Per definire medio o lento non c’è un numero fisso (che indichi mezza velocità, bassa velocità, ecc.) sebbene medio sia generalmente tre quarti e lento circa metà velocità finale. In generale la velocità media è quella alla quale si riesce a suo-nare a proprio agio, rilassati e con un sacco di tempo a disposizione. La velocità lenta è quella per cui si deve prestare attenzione a ciascuna nota separatamente. Se, esercitandosi, si commettesse qualche errore si suoni sempre attraverso di esso, non ci si fermi per ricominciare. Lo si deve sicuramente sempre fare, ma è specialmente importante prima dei saggi. Si torni indietro a vedere se è stato un errore abituale solo dopo aver suonato l’intero pezzo. Se così fosse, si studi solo il segmento che lo contiene. Il momento migliore per imparare a suonare attraverso gli errori è il primo giorno, quando si inizia la prima lezione di pianoforte. Farlo diventa poi naturale e non è affatto difficile. Una volta presa l’abitudine di “balbettare” ad ogni errore diventa quasi impossibile cor-reggerla e ci si domanda come si possa suonare attraverso di essi.

I blackout sono diversi dagli errori e vanno trattati diversamente. Non si provi mai a ripartire da dove è arrivato il blackout, a meno di non sapere esattamente come farlo. Si riparta sempre da una sezione precedente o successiva che si conosce bene (preferibilmente una suc-cessiva perché non si possono correggere gli errori tornando indietro durante un concerto).

246 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Si può lavorare a migliorare il pezzo fino all’ultimo giorno prima del concerto, ma nell’ultima settimana aggiungere nuovo materiale o fare cambiamenti (come la diteggiatura) non è consigliabile, sebbene si pos-sa provare come esperimento di allenamento per vedere fin dove ci si riesce a spingere. Riuscire ad aggiungere qualcosa di nuovo nell’ultima settimana è segno che si potrebbe essere dei forti esecutori. Si eviti di suonare l’intera composizione molte volte quando si lavora al pezzo. La cosa migliore è spezzarla in segmenti brevi e studiarli. Anche eserci-tarsi a mani separate è un’idea eccellente: si può studiare a qualsiasi ve-locità, sebbene non sia consigliabile suonare troppo velocemente nell’ultima settimana. In questo periodo si eviti anche di imparare nuovi pezzi. Questo non vuol dire limitarsi ai pezzi del concerto: si può sempre ripassare qualunque pezzo imparato precedentemente. I nuovi pezzi sono imprevedibili e causano l’apprendimento di nuove a-bilità tecniche modificando o incidendo sul modo in cui si suonano quelli del concerto. In generale non si sarà consapevoli di questo fin-ché non si suona il pezzo al concerto e ci si chiede come mai siano arri-vati errori nuovi.

Si prenda l’abitudine di suonare i propri pezzi da concerto “a freddo” (senza riscaldamento) quando si inizia la seduta di studio. Le mani si scalderanno dopo uno o due. Suonandone tanti potrà essere necessario ruotarli ad ogni seduta. Sicuramente “suonare a freddo” va fatto con ragionevolezza: se le dita sono del tutto fiacche per essere state ferme, non si può e non si dovrebbe provare a suonare materiale difficile a tut-ta velocità: porterebbe a stress ed anche ad infortuni. Alcuni pezzi si possono suonare solo dopo che le mani sono completamente calde. Suonare a freddo e scoprire quali pezzi si possono suonare a piena ve-locità e quali no è una parte dei propri compiti.

Gli studenti dovrebbero registrarsi o videoregistrarsi, mentre suona-no, ed ascoltare queste registrazioni (si veda la Sezione 13). Rimarran-no sorpresi da come esse suonino diverse rispetto a ciò che intendeva-no suonare: scopriranno spesso una serie di errori di cui non erano consapevoli. Registrarsi è anche un buon modo di esercitarsi davanti ad un pubblico. Videoregistrarsi è molto meglio di registrare solo l’audio e può avere effetti quasi magici, è di gran lunga il miglior modo di simulare un’esecuzione in pubblico; l’unico modo migliore è recluta-re un gruppo di persone che ascolti. Videoregistrarsi ha il vantaggio di poter alternare lo studio alla registrazione in modo da correggere im-mediatamente qualunque errore si scopra. La magia delle videoregi-strazioni funziona in due modi: primo, è talmente una buona simula-zione del vero concerto che se si riesce a suonare in modo soddisfacen-

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te durante la videoregistrazione non ci saranno problemi al concerto – si acquisirà la sicurezza di eseguire in pubblico; la seconda magia è che, se si acquisisce sufficiente sicurezza, il nervosismo può essere eliminato quasi del tutto. Certamente per poterlo eliminare si devono seguire anche gli altri punti trattati nel libro, iniziando dall’atteggiamento di es-sere un pianista esecutore e che quindi ci si aspetta di eseguire in pubbli-co. Si veda la sezione seguente (Sezione 15) per ulteriori informazioni sul controllo del nervosismo usando le videoregistrazioni.

G) Durante Il Concerto Il nervosismo è di solito peggiore appena prima di cominciare a suona-re, una volta partiti si sarà talmente presi dall’esecuzione che verrà di solito dimenticato e da lì in poi le cose miglioreranno. La consapevo-lezza di questo può essere piuttosto rassicurante. Non c’è quindi nulla di sbagliato nel cominciare a suonare appena ci si siede al pianoforte per il concerto. Alcune persone ritardano la partenza aggiustando lo sgabello o i vestiti in modo da avere il tempo di controllare il tempo i-niziale, eccetera; anche questa procedura è accettabile perché rassicura il pubblico che non si è troppo nervosi e non si ha nessuna fretta di ini-ziare. Esercitarsi alle partenze diversi giorni prima del concerto è una buona idea: si finga di essere al momento del concerto e si suonino le prime misure ogniqualvolta se ne ha il tempo. Ci si eserciti in partico-lare nelle prime linee più di ogni altra cosa. La maggior parte delle persone si innervosisce più di quanto dovrebbe perché il livello di ner-vosismo appena prima di suonare può essere così alto da aver paura che un suo aumento impedirebbe di eseguire. Sapere che il nervosismo diminuisce non appena si comincia a suonare eviterà che ciò accada.

Non si può assumere che non si faranno errori perché una tale assun-zione provocherebbe più problemi. Si stia pronti a reagire correttamen-te ad ogni errore, oppure, più importante, ad evitare gli errori immi-nenti. È sbalorditivo quanto spesso si possa sentire un errore prima che arrivi. Questo accade perché è probabile che sia già stato commes-so molte volte prima. La cosa peggiore che fa la maggior parte degli studenti quando commette errori, e quando ne sente arrivare uno, è spaventarsi ed iniziare a suonare più lentamente e più delicatamente. Una cosa del genere può portare al disastro. A questo punto del concer-to si può ricevere aiuto da ovunque esso possa arrivare: sebbene la memoria di dita non sia una cosa da cui si vuole dipendere, è questo il momento di trarne vantaggio. La memoria di dita dipende da abitudi-ne e stimolo – abitudine ad essersi esercitati molte volte e stimolo delle note precedenti che portano alle successive. Per poter migliorare l’uso

248 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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della memoria di dita si deve perciò suonare leggermente più veloce-mente e più forte: esattamente l’opposto di ciò che farebbe una persona ansiosa durante un concerto (un’altra situazione contro-intuitiva!) Suonare più velocemente fa usare meglio l’abitudine e lascia meno tempo di muovere qualunque muscolo sbagliato che potrebbe far dera-gliare dall’abitudine stessa. Suonare con più fermezza aumenta lo sti-molo della memoria di dita. Ora, suonare più velocemente e più inten-samente sono cose che fanno paura da fare ad un concerto perciò ci si dovrebbe esercitare a casa, proprio come quando si studia qualunque altra cosa. Si impari ad anticipare gli errori e ad evitarli usando questi metodi. La lezione importante qui è che un trucco per “suonare attra-verso gli errori” è suonare leggermente più velocemente e più forte. Un altro metodo è quello di assicurarsi di non spezzare la linea melodi-ca anche a costo di omettere qualche nota di “accompagnamento”. Con la pratica, si scoprirà che questo è più facile di quanto sembri. Il momento migliore per esercitarsi è quando si legge a prima vista. Un altro metodo è tenere almeno il ritmo. Il trucco di suonare più veloce-mente funziona particolarmente bene con i blackout. Rallentare po-trebbe essere un approccio migliore per gli errori che avvengono per-ché il passaggio è difficile.

H) I Pianoforti Non Familiari Alcuni studenti si agitano se il pianoforte del concerto è un’enorme pianoforte a coda laddove loro studiano su un piccolo verticale. For-tunatamente, più è grande il pianoforte e più è facile da suonare. Que-sta perciò non è una cosa di cui preoccuparsi per il tipico saggio di stu-denti. I pianoforti più grandi hanno in genere una meccanica migliore e sia i suoni forti che quelli deboli sono più facili da produrre. I coda in particolare sono più facili da suonare dei verticali, specialmente nei passaggi veloci e difficili. Ci si deve perciò preoccupare solo quando il pianoforte del saggio è decisamente inferiore a quello di studio. La si-tuazione peggiore è quando il pianoforte da studio è un coda di qualità e si deve suonare su un verticale di bassa qualità. In questo caso i pas-saggi tecnicamente difficili saranno difficili da suonare su quello infe-riore e potrebbe essere necessario considerare questo fatto suonando ad esempio ad un tempo più lento, accorciando o rallentando i trilli, ecce-tera. La meccanica dei coda potrebbe essere leggermente più pesante di quella dei verticali e potrebbe dare qualche problema ai principianti. È quindi consigliabile esercitarsi sul coda prima del concerto. Il peso dei tasti dei verticali e dei coda è mediamente circa lo stesso, sebbene la maggior parte dei coda abbia una meccanica più pesante e produca più

III.14 - PREPARARSI ALLE ESECUZIONI IN PUBBLICO ED AI SAGGI 249

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suono, ma i due effetti tendono ad annullarsi l’un l’altro. È certamente impossibile generalizzare sui pianoforti perché c’è così tanta differenza tra pianoforte e pianoforte, anche per lo stesso modello dello stesso co-struttore. Si dovrebbe quindi sempre provare ad esercitarsi sul piano-forte del concerto. Il particolare pianoforte è di capitale importanza per gli studenti di livello avanzato.

Un altro fattore importante è l’accordatura: i pianoforti ben accordati sono più facili da suonare di quelli scordati ed è quindi una buona idea accordare il pianoforte del saggio appena prima di esso. Di converso non è una buona idea accordare il pianoforte da studio appena prima del concerto. In questo caso si potrebbe finire nella situazione in cui quest’ultimo è accordato meglio e si finirebbe col suonare su un piano-forte inferiore – una impresa difficile. Un pianoforte scordato tende a provocare imprecisioni e blackout. Quindi se il pianoforte del concerto fosse scordato sarebbe meglio suonare leggermente più velocemente e forte di quello che si intende. A causa della tendenza del pianoforte scordato a provocare stecche e blackout quello da studio dovrebbe sempre essere ragionevolmente accordato. Gli studenti potrebbero al-trimenti sviluppare l’abitudine a balbettare o perdere sicurezza nella lo-ro capacità di memorizzare.

Una giusta intonazione dei martelli (si veda la Sezione 7, Capitolo Due) è più importante di quanto i più realizzino. L’importanza di suo-nare in modo musicale, e specialmente di riuscire a suonare delicata-mente, viene richiamata più volte in questo libro. Non si può fare nulla di tutto ciò senza dei martelli ben intonati. L’intonazione dei martelli viene trascurata troppo spesso nel pianoforte da studio con il risultato che suonare in modo musicale diventa quasi impossibile. Come ci si può esercitare ad eseguire in pubblico su di un pianoforte su cui è im-possibile farlo? Ci sono tanti studenti che pensano di non sapere ese-guire in pubblico semplicemente perché i loro pianoforti non sono stati sottoposti alla giusta manutenzione. Il folclore secondo cui un grande pianista debba saper produrre gran musica su qualsiasi pianoforte è fal-so. Si legga per favore la sezione sull’intonazione dei martelli.

I) Dopo Il Concerto Si rivedano i risultati e si valutino i propri punti di forza e di debolezza in modo da poter migliorare la procedura di preparazione. In aggiunta alla propria valutazione è necessario il riscontro dell’insegnante, del pubblico, eccetera. Tutti devono sviluppare una “procedura di prepa-razione ai concerti” perché è questo il segreto delle buone esecuzioni in pubblico. Pochi studenti saranno in grado di suonare in maniera consi-

250 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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stente senza errori udibili, la maggior parte degli altri farà diversi errori ogni volta che suona. Alcuni tenderanno a sbattere sul pianoforte, mentre altri saranno troppo timidi. C’è una cura ad ogni problema: chi commette errori probabilmente non ha ancora imparato a suonare ab-bastanza musicalmente, gli si diano dei pezzi facili da eseguire, non per-ché più facili tecnicamente, ma perché permetteranno di lavorare sulla musicalità nel suonare e di uscire dalla tendenza alle stecche. Dovran-no certamente imparare pezzi difficili, oltre a quelli facili, per sviluppare la tecnica.

Come fatto notare altrove, suonare diversi concerti in fila è la cosa più difficile da fare, ma se si dovesse proprio allora sarà necessario condizionare i pezzi del concerto immediatamente dopo di esso. Si suonino con poca o senza espressività, a velocità media e poi lentamen-te. Se, durante il concerto, certi pezzi o sezioni non fossero venuti fuori in modo soddisfacente, si potrebbe lavorare su di essi, ma solo per segmenti brevi. Volendo lavorare sull’espressività a piena velocità lo si faccia per segmenti brevi. Gli insegnanti esperti conoscono la difficoltà di suonare di seguito e lo faranno fare di proposito organizzando saggi in giorni consecutivi per rinforzare la capacità degli studenti di eseguire in pubblico. Io sono tuttavia del parere che sia più importante allenare lo studente a gustarsi l’esecuzione in pubblico piuttosto che dargli trop-pi compiti difficili. La gioia di eseguire in pubblico non dovrebbe enfa-tizzare il “mettere in mostra” le abilità tecniche suonando pezzi difficili, ma si dovrebbe concentrare sul fare musica.

III.15 - L’Origine ed Il Controllo del Nervosismo Il nervosismo è un’emozione umana naturale proprio come la felicità, la paura, la tristezza, eccetera. La felicità sorge come reazione fisica ad una percezione mentale di qualcosa di buono, la paura sorge dalla per-cezione di un pericolo, ecc. Il nervosismo sorgerà dalla percezione mentale di una situazione in cui l’esecuzione è critica. Il nervosismo, come tutte le emozioni, è quindi una reazione amplificata della perce-zione di una situazione critica. La felicità fa sentire bene e per questo proviamo a creare situazioni felici che ci aiutino; la paura ci aiuta a sfuggire il pericolo; la tristezza ci fa evitare situazioni tristi e questo tende ad aumentare la nostra probabilità di sopravvivenza. Il nervosi-smo ci fa concentrare tutte le energie verso il compito critico del mo-mento ed è quindi un altro strumento utile all’evoluzione.

Le emozioni sono reazioni rudimentali, primitive, in qualche modo animalesche (come l’istinto) e non sono del tutto razionali. In circo-

III.15 - L’ORIGINE ED IL CONTROLLO DEL NERVOSISMO 251

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stanze normali le emozioni fanno da guida alle nostre azioni quotidiane. Tuttavia, in circostanze estreme, le emozioni possono andare fuori con-trollo e possono diventare un peso. Le emozioni sono state chiaramente progettate per funzionare solo in condizioni normali. La paura, ad e-sempio, fa scappare la rana molto prima che il serpente la possa ac-chiappare. Quando però si trova con le spalle al muro, si congela e questo la rende un pranzo più facile per il serpente rispetto a quando la paura spropositata non c’era. Allo stesso modo il nervosismo è nor-malmente leggero e ci aiuta, rispetto ad essere apatici, ad eseguire me-glio i compiti critici. In condizioni estreme, tuttavia, può sfuggire al controllo ed ostacolare l’esecuzione del compito. L’esigenza di un’esecuzione al pianoforte, difficile, senza errori, da solista davanti ad una grande platea si qualifica in maniera egregia come condizione e-strema. Non c’è da sorprendersi che il nervosismo cresca fino ad uscire dal controllo, a meno che il nostro nome non sia Wolfie o Franz (Freddy apparentemente non si qualifica perché aveva i nervi a pezzi e non amava le esecuzioni in pubblico). Perciò, sebbene i violinisti siano nervosi, il loro nervosismo non va fuori controllo quando suonano in un’orchestra perché le condizioni non sono così estreme come in un’esecuzione solista. I più giovani, troppo spaventati da quest’ultima, quasi sempre invece si divertono suonando in gruppo. Questo dimo-stra la preponderante importanza della percezione mentale della situa-zione.

Chiaramente il modo di controllare il nervosismo è innanzitutto quel-lo di studiarne le cause e la natura per poi sviluppare metodi per con-trollarlo basati su questa conoscenza. Siccome si tratta di un’emozione, qualunque metodo per controllare le emozioni funzionerà. Qualcuno ha rivendicato che medicine come Inderal, Atenolol o anche Zantac, sotto la supervisione di un medico, funzionino per calmare i nervi. Al contrario, bevendo caffè, te, non dormendo abbastanza e prendendo certe medicine per il raffreddore li si possono peggiorare. Le emozioni si possono anche controllare usando la psicologia, l’allenamento o il condizionamento. La conoscenza è il mezzo di controllo più efficace. Gli esperti manipolatori di serpenti, ad esempio, a causa della loro co-noscenza, non soffrono alcuna delle emozioni che la maggior parte di noi soffrirebbe nell’avvicinarsi ad un serpente velenoso.

Quando il nervosismo diventa un problema è di solito un’emozione composta che sfugge al controllo. Al nervosismo si uniscono altre emo-zioni come la paura e la preoccupazione. Anche la mancanza di com-prensione del nervosismo crea paura a causa della paura dell’ignoto. Al peggiorare dei sintomi ci si preoccupa che l’estremo nervosismo pos-

252 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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sa interferire con l’esecuzione. La sola comprensione di cosa sia la paura del palcoscenico può quindi essere un fattore calmante che ridu-ce la paura dell’ignoto. Ci si potrebbe chiedere se la paura del palco-scenico sia paura pura o un’emozione composta. Proprio come la pre-occupazione è un’emozione separata (associata ad un potenziale, ma non immediato, brutto evento), il nervosismo (associato a nervi sovra-eccitati) dovrebbe essere considerato un’emozione separata. Nonostan-te questo esso è (come la preoccupazione) strettamente legato alla paura associata ad un pericolo immediato.

Come fa il nervosismo a crescere fino ad uscire dal controllo? Ci so-no modi per prevenirlo? Un modo di affrontare la questione è di rive-dere alcuni principi scientifici fondamentali. Praticamente qualsiasi co-sa nel nostro universo cresce seguendo un processo noto come meccani-smo nucleazione-crescita (NC). La teoria NC dice che un oggetto si forma in due stadi: nucleazione e crescita. Questa teoria è diventata popolare ed utile perché, di fatto, è il modo in cui si formano la mag-gior parte degli oggetti nel nostro universo: dalle gocce di pioggia, alle città, alle stelle. È affascinante come questa teoria, che ha molte parti intricate, descriva la formazione di così tante cose con così tanta preci-sione. Alcuni elementi chiave della teoria NC sono: (1) I nuclei si for-mano e scompaiono in continuazione, c’è tuttavia una cosa detta nucleo critico che una volta formato diventa stabile (non scompare) ed in ge-nerale non si forma finché non c’è una supersaturazione del materiale che si aggrega per formarlo; (2) Affinché un oggetto cresca alla sua dimensione finale è necessario che il nucleo critico cresca con un mecca-nismo che lo faccia aumentare di dimensioni.

Esaminiamo un esempio: la pioggia. Piove quando le goccioline d’ac-qua dei nuclei critici nell’aria si super-saturano di vapore acqueo (umi-dità relativa maggiore del 100%). La spesso citata “verità scientifica” che l’umidità relativa non superi mai il 100% viene abitualmente violata dalla Natura perché quella “verità” e valida solo in condizioni di equili-brio, (quando viene permesso a tutte le forze di stabilizzarsi). La Natu-ra è quasi sempre dinamica e può essere lontana dall’equilibrio. Que-sto avviene ad esempio quando l’aria si raffredda rapidamente e si su-per-satura di vapore acqueo. Anche senza supersaturazione il vapore acqueo forma continuamente goccioline d’acqua, ma queste evaporano prima di formare un nucleo critico. Con la super-saturazione il nucleo critico si può improvvisamente formare specialmente se ci sono delle particelle idrofile di polvere. L’aria piena di nuclei critici si chiama fo-schia o nebbia. Si crea una nuvola stabile se la sua formazione riduce la super-saturazione quasi a zero, altrimenti il nucleo crescerà con di-

III.15 - L’ORIGINE ED IL CONTROLLO DEL NERVOSISMO 253

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versi nuovi meccanismi. I nuclei critici possono collidere l’un l’altro e legarsi o iniziare a cadere e colpire altri nuclei fino al formarsi delle gocce di pioggia.

Applichiamo la teoria NC al nervosismo. Nella vita di tutti i giorni il senso di nervosismo va e viene senza diventare nulla di serio. In una situazione insolita (come prima di un’esecuzione in pubblico) c’è non-dimeno una super-saturazione di fattori che provoca il nervosismo: si deve eseguire senza errori, non si ha avuto abbastanza tempo per eser-citarsi, c’è un grosso pubblico là fuori, eccetera. Questo, comunque, potrebbe non creare ancora problemi finché un compagno non dice: “Ehi, ho una stretta alla pancia!” ed all’improvviso si sente un nodo al-la gola e ci si rende conto di essere nervosi – si è formato un nucleo cri-tico! Potrebbe non essere così grave finché non ci si inizia a preoccu-pare che forse il pezzo non è ancora pronto per essere eseguito o che il nervosismo potrebbe cominciare ad interferire – queste preoccupazioni ne provocano la crescita. Sono esattamente i processi descritti dalla te-oria NC. La cosa bella di qualsiasi teoria scientifica è che non solo de-scrive in dettaglio l’oggetto, ma fornisce anche delle soluzioni comuni ai problemi ad esso associati. Come possiamo quindi trarre aiuto dalla teoria NC?

Prima di tutto possiamo attaccare il nervosismo nella fase di nuclea-zione: se potessimo evitarla non si formerebbero mai dei nuclei critici. Anche il solo rallentare la nucleazione potrebbe essere utile perché ri-durrebbe il tempo disponibile alla crescita. Suonare pezzi facili ridurrà la super-saturazione della preoccupazione ed i saggi di classe daranno più esperienza e sicurezza, riducendo così la paura dell’ignoto. Gene-ralmente si deve eseguire un pezzo tre o più volte prima di sapere se lo si saprà eseguire in pubblico o meno, perciò sarà utile suonare in pub-blico pezzi già eseguiti diverse volte. Il nervosismo è in genere peggiore prima dell’esecuzione: una volta iniziato a suonare si è così impegnati nel compito che non c’è tempo di indugiare sul nervosismo, si riduce co-sì la fase di crescita. Sapere questo ci è utile perché allevia la paura che le cose potrebbero peggiorare durante l’esecuzione. Non indugiare sul nervosismo è un altro modo di ritardare la nucleazione, così come di rallentare la fase di crescita. Di conseguenza è una buona idea tener-si occupati mentre si aspetta che il concerto inizi. La memoria di tastie-ra è utile perché suonando il pezzo mentalmente si può simultaneamen-te verificare la memoria e tenersi occupati. Si veda la sezione seguente sull’insegnamento per alcuni suggerimenti su come gli insegnanti pos-sono fornire un addestramento all’esecuzione in pubblico.

254 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Evitare la nucleazione nei concerti importanti è probabilmente impos-sibile e dovremo quindi considerare dei modi per scoraggiarne la cre-scita. Siccome in genere dopo l’inizio dell’esecuzione il nervosismo scende, saperlo può essere usato per ridurre la preoccupazione e quindi il nervosismo. Tutto ciò si autoalimenta e, nel sentirsi rassicurati, lo si può spesso dissipare del tutto se si riesce a ridurlo al di sotto del nucleo critico. Un altro fattore importante è l’atteggiamento mentale e la pre-parazione. Un’esecuzione è sempre un processo interattivo con sé stes-si e con il pubblico. Quando la musica viene fuori bene è più facile e-seguire bene; al contrario se si commette un errore questo può retro-agire psicologicamente e far degradare l’esecuzione. È quindi impor-tante essere mentalmente preparati in modo da non essere influenzati negativamente dagli errori o dalla percezione di una cattiva esecuzione. Si ricordi che si è il proprio peggior critico ed suonare anche occasio-nalmente al pubblico sembra fenomenale: sente in genere meno della metà degli errori e se ne ricorda ancora meno laddove l’esecutore se li ricorda tutti. Gli esecutori inesperti suonano spesso troppo velocemen-te e questo è praticamente sempre controproducente. Queste sono tut-te misure per rallentare la crescita del nervosismo.

Non è una buona idea far finta che il nervosismo non esista, special-mente per i più giovani che possono soffrire più facilmente di danni psicologici a lungo termine. I ragazzini sono svegli e riescono a vedere facilmente la pretesa, la necessità di assecondarla può far solo aumenta-re lo stress. Questo è il motivo per cui l’allenamento all’esecuzione in pubblico, in cui si discute apertamente del nervosismo, è così importan-te.

Non c’è sostituto al corretto atteggiamento mentale per controllare la paura del palcoscenico. Se si riesce ad entrare nella mentalità che le e-secuzioni in pubblico sono una esperienza magnifica di fare musica per gli altri ed a sviluppare le reazioni corrette quando si commettono erro-ri, il nervosismo non sarà un problema. C’è questa enorme differenza tra, ad esempio, recuperare bene da un errore scherzandoci sopra e la-sciarlo sembrare un disastro che intacca l’intera esecuzione. Per questo motivo è così importante suonare pezzi molto facili, che possano essere eseguiti in pubblico senza nervosismo, presto nella carriera dello stu-dente; anche solo una di queste esperienze può fornire la prova esisten-te che è possibile farlo senza essere nervosi. Questa singola esperienza può influenzare l’atteggiamento verso l’esecuzione in pubblico per il re-sto della propria vita.

III.15 - L’ORIGINE ED IL CONTROLLO DEL NERVOSISMO 255

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Riassumendo, la paura del palcoscenico è una forma di nervosismo sfuggito a spirale al controllo. Una certa quantità di nervosismo è na-turale e benefica, non ha quindi senso chiedere: “Sei nervoso quando esegui in pubblico?” Chiunque lo è e lo dovrebbe essere, abbiamo solo bisogno di contenere il nervosismo in modo che non sfugga al control-lo. Preoccuparsi di essere nervosi non ha perciò neanche senso. Ren-dersi conto che una certa quantità di nervosismo è normale è quindi il miglior inizio nell’imparare a controllarlo. Si veda la sezione prece-dente sulla preparazione dei concerti e su come esercitarsi ad eseguire in pubblico. Guadagnare sicurezza nelle proprie capacità di eseguire può a volte eliminare del tutto il nervosismo. Esso è certamente un comportamento molto individuale e ci sono un’ampia gamma di rea-zioni: da quelli che non sono affatto nervosi a quelli che soffrono terri-bilmente la paura del palcoscenico.

III.16 - Insegnare Insegnare pianoforte è una professione difficile perché praticamente tut-to ciò che si prova a fare contraddice qualcos’altro che dovrebbe essere fatto. Se si insegna soltanto a leggere, lo studente finirà per non riusci-re a memorizzare. Se si insegna a suonare lentamente e con precisione, lo studente potrebbe non acquisire tecnica sufficiente in nessuna ragio-nevole quantità di tempo. Se li si spinge troppo potrebbero dimenticare tutto sul rilassamento. Se ci si concentra sulla tecnica lo studente po-trebbe perdere la capacità di suonare in modo musicale. Si deve escogi-tare un sistema che navighi tra tutti questi tipi di esigenze contradditto-rie e che soddisfi lo stesso i desideri ed i bisogni individuali di ogni stu-dente. Insegnare pianoforte è un compito erculeo non adatto a chi è debole di cuore.

Gli insegnanti appartengono di solito ad almeno tre categorie in base al tipo di studenti: ci sono insegnanti per principianti, per studenti di livello intermedio e per quelli di livello avanzato. Questo rende diffici-le per ciascuno di loro insegnare con successo indipendentemente dagli altri. L’approccio che ha più successo coinvolge un gruppo di inse-gnanti composto da tutte e tre le categorie: gli insegnanti sono coordi-nati in modo tale che i loro insegnamenti siano mutuamente compatibili e gli studenti vengano mandati dagli insegnanti appropriati. Oggigior-no raggruppare insegnanti diversi è necessario perché i metodi di inse-gnamento non sono convenzionali. Molti insegnanti per il livello avan-zato si rifiutano di prendere studenti provenienti da certi altri perché

256 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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questi “non insegnano i fondamentali giusti”. Questo non dovrebbe accadere se i fondamentali fossero standardizzati.

Le tre categorie sono necessarie perché per gli insegnanti in grado di insegnare a livello intermedio insegnare ai principianti è uno spreco di risorse. Inoltre gli insegnanti del livello avanzato non sono di solito buoni insegnanti per i principianti. Tuttavia tutti gli insegnanti do-vrebbero essere coordinati (nel senso che dovrebbero tutti insegnare gli stessi metodi, filosofie, ecc.) in modo che quando lo studente principian-te si qualifica e passa all’insegnante del livello successivo la transizione sia scorrevole. L’ultima cosa voluta da un insegnante di livello avanza-to è uno studente a cui sono stati inizialmente insegnati i metodi “sba-gliati”. Un’altra ragione della necessità dei tre livelli è la differenza di talento e di obiettivi degli studenti a tal punto che alcuni avanzeranno rapidamente ed altri resteranno a bassa velocità. Alcuni studenti che hanno preso lezioni per anni possono perciò non essere ancora pronti per un insegnante di livello superiore.

La prima lezione ai principianti, specialmente ai bambini piccoli di 4 o 5 anni, dovrebbe essere breve: dieci o quindici minuti al massimo. Si aumenti la durata della lezione solo all’aumentare della durata della lo-ro attenzione e resistenza. Se fosse necessario più tempo si divida la le-zione in sessioni con intervalli (“momento della merenda”, ecc.). La stessa regola è valida per il tempo di studio a casa. Commento genera-le: sebbene qui vengano citati spesso metodi specifici per i più giovani, i metodi sono validi anche per gli adulti, tranne quando fatto notare.

È importante per i più giovani ascoltare le registrazioni, possono farlo ad ogni età. Anche se non potranno veramente suonare Chopin finché non avranno un po’ di maturità, possono sempre ascoltarlo. Dovreb-bero anche ascoltare registrazioni di loro stessi che suonano, altrimenti potrebbero non capire perché i loro errori vengono criticati. Non gli si dia della musica solo perché è musica classica o perché è stata scritta da Bach. Si faccia suonare solo ciò che si trova, e che i giovani trovano, piacevole.

I più giovani dovrebbero imparare a contare a voce alta – se non li sente contare l’insegnante non può avere idea se abbiano capito il con-cetto. I più giovani si sviluppano a scatti e possono imparare solo ciò per cui sono abbastanza maturi mentalmente. In altre parole, non si può insegnar loro qualcosa finché non sono pronti e parte dell’insegna-mento deve quindi consistere in una continua verifica del loro livello di maturità. D’altro canto, la maggior parte dei giovani è pronta a molte più cose di quanto gli adulti si rendano conto e una volta pronti il limi-

III.16 - INSEGNARE 257

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te è il cielo. Per questo motivo è anche un errore assumere che tutti i ragazzini siano ragazzini: potrebbero essere sorprendentemente svilup-pati in molti aspetti e trattarli come ragazzini (ad esempio facendo a-scoltare loro solo “musica per bambini”) non farebbe altro che limitarli e privarli dell’opportunità di sviluppare il loro pieno potenziale.

Per almeno i primi cinque anni di lezioni, specialmente con i più gio-vani, gli insegnanti devono insistere affinché i genitori partecipino al processo di insegnamento/apprendimento. Il primo compito dei genitori è capire il metodo che sta adottando l’insegnante. Considerato che così tanti metodi di studio e procedure di preparazione dei concerti sono contro-intuitivi, i genitori devono averne dimestichezza in modo non so-lo da poter aiutare nella guida degli studenti, ma anche da evitare che siano disattese le istruzioni dell’insegnante. I genitori devono parteci-pare alla decisione su quanto gli studenti debbano studiare ogni giorno perché sono più a conoscenza della loro disponibilità di tempo. I geni-tori conoscono meglio anche gli obiettivi finali: le lezioni sono per suo-nare occasionalmente o per avanzare a livelli molto più alti? Che tipo di musica vogliono alla fine suonare gli studenti? All’inizio i princi-pianti hanno sempre bisogno di aiuto a casa nel trovare le procedure ottimali per lo studio quotidiano, così come per star dietro ai compiti settimanali. Una volta cominciata la lezione è sorprendente quanto spesso l’insegnante abbia bisogno dell’aiuto del genitore – dove e come comprare gli spartiti, quanto spesso accordare il pianoforte o quando passare ad uno migliore, eccetera. Gli insegnanti ed i genitori devono essere d’accordo su quanto velocemente ci si aspetta imparino gli stu-denti e lavorare verso il raggiungimento di quel tasso d’apprendimento. I genitori devono essere informati sui punti di forza e di debolezza degli studenti in modo da poter far coincidere le loro aspettative e piani con quanto o meno sia raggiungibile. La cosa più importante è il compito del genitore di valutare l’insegnante e prendere le decisioni giuste sul cambiarlo al momento giusto.

Gli studenti hanno bisogno di un sacco di aiuto da parte dei loro geni-tori ed il tipo di aiuto cambia con l’età. Quando lo studente è giovane ha bisogno di aiuto costante nella procedura di studio quotidiana (se sta studiando correttamente seguendo le istruzioni dell’insegnante) e in questa fase è più importante stabilire le corrette abitudini di studio. I genitori devono assicurarsi che durante lo studio gli studenti si abituino a suonare attraverso gli errori invece di tornare indietro, cosa che crea l’abitudine a balbettare e rende lo studente prono agli errori durante le esecuzioni in pubblico. La maggior parte dei più giovani non capirà le istruzioni date frettolosamente dell’insegnante durante la lezione, il ge-

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nitore le potrà capire più prontamente. Gli studenti hanno bisogno, con l’avanzare del livello, di un riscontro riguardo al suonare in modo musicale, all’accuratezza del tempo e del ritmo, all’uso del metronomo ed a quando devono smettere di studiare per ascoltare delle registra-zioni.

Il coinvolgimento dei genitori dovrebbe andare molto più in là dell’aiuto all’insegnante. La formazione musicale, o al pianoforte, può iniziare a casa non appena il bimbo nasce. Ascoltare il tipo di musica “giusto” ed il suono di un pianoforte ben accordato può avere gli effetti più profondi sul cervello del bambino e sul suo sviluppo. Oltre a forni-re gli stimoli, è anche compito del genitore verificare di continuo quan-do il bimbo diviene ricettivo ai diversi stadi dello sviluppo musicale. È pronto a premere i tasti del pianoforte? Riesce a cantare o canticchiare una melodia? È pronto a cominciare le lezioni di lettura (della musi-ca)? Si noti che la notazione musicale è molto più semplice dell’alfabeto. Ha senso del ritmo? Ha orecchio assoluto? Quali tipi di musica o strumenti preferisce? Non si saprà mai finché non si control-la. È in generale controproducente tentare di spingere il bambino in qualcosa per cui non è ancora pronto o non mostra interesse. Non si può semplicemente forzare i bambini in una direzione, l’unica cosa che si può fare è preparare l’ambiente in modo che essi sviluppino un inte-resse in quella direzione. La familiarità, le buone e piacevoli esperienze ed il successo sono fattori che possono guidare il bambino in certe dire-zioni. L’unica cosa che si può fare prima che sia pronto è fornire que-sto ambiente e verificare, ma se fosse pronto: attenzione! Perché il li-mite è il cielo.

Questa è la ragione principale per far ascoltare i classici ai più giova-ni: l’“Effetto Mozart”. Il ragionamento è qualcosa di questo tipo: si as-suma che il genitore medio abbia intelligenza media, c’è allora il 50% di possibilità che il bambino sia più intelligente del genitore. Ossia, i geni-tori non possono competere allo stesso livello intellettuale del loro fi-glio. Mozart (ed ogni altro compositore geniale) è diverso dai genitori: pochi bambini saranno in grado di sfidare tali livelli. Inoltre la musica è un linguaggio universale. Diversamente dal pazzesco linguaggio degli adulti che parliamo, la musica è innata, i bambini possono di conse-guenza comunicare in musica prima di saper dire “papà”. La musica classica può quindi stimolare il cervello del bimbo molto prima che i genitori possano comunicare con lui – anche ai livelli più bassi. Queste comunicazioni sono condotte al livello dei compositori geniali, qualcosa che pochi genitori possono sperare di fare!

III.16 - INSEGNARE 259

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L’insegnante deve scegliere, in una fase iniziale, se lo studente debba imparare a suonare a memoria o a leggere la musica. Il metodo Suzuki per violino enfatizza il suonare a memoria rispetto al suonare leggendo, specialmente per i più giovani; questo è il migliore approccio anche nel pianoforte. È più facile esercitarsi a leggere dopo che si sappia suonare ragionevolmente bene. La ragione di questo ordine nell’apprendimen-to è semplice, ed è anche il modo in cui i bambini imparano il linguag-gio: iniziano prima a parlare, poi a leggere. Leggere non dovrebbe tut-tavia essere del tutto trascurato all’inizio, è solo una questione di priori-tà. Siccome la notazione musicale è più facile di qualunque alfabeto, i bambini piccoli dovrebbero essere in grado di imparare a leggere la musica anche prima di imparare a leggere i libri. Questa lettura rudi-mentale deve essere insegnata dall’inizio, ma solo in modo sufficiente da riuscire a studiare un pezzo e memorizzarlo. Tutto il rimanente tempo a disposizione dovrebbe essere dedicato allo studio ed all’apprendimento di nuovi pezzi. La lettura va incoraggiata fintanto che non ostacoli il suonare a memoria. Il miglior risultato è perciò uno studente che sia un buon lettore ed un buon memorizzatore. Un inse-gnante, controllando costantemente e con attenzione, può evitare che l’allievo diventi un cattivo lettore o un cattivo memorizzatore perché questo accade in un lungo lasso di tempo (di solito molti anni). C’è quindi molto tempo per individuare la tendenza e correggerla, ma ac-corgersi presto di questo richiede tuttavia un monitoraggio costante. Un numero trascurabile di persone nasce buon o cattivo memorizzatore o lettore, la grande maggioranza lo diventa grazie al modo in cui ha imparato nella vita. È molto importante per gli insegnanti monitorare costantemente i loro studenti per assicurarsi che non diventino deboli nel leggere o memorizzare perché, se presa abbastanza presto, questa tendenza può facilmente essere invertita.

Con il progredire dello studente andrebbe fatta una distinzione tra le composizioni che vengono “lette a prima vista” e quelle che vengono memorizzate. “Leggere a prima vista” viene qui usato come terminolo-gia lasca che indica suonare la musica guardando lo spartito, senza memorizzarla. Tutti i pezzi significativi da lezione andrebbero memo-rizzati. Questi sono i pezzi che lo studente deve aspettarsi di dover e-seguire davanti ad un pubblico. Con il salire del livello dello studente verranno quindi acquisiti due tipi di repertorio: pezzi memorizzati e pezzi da leggere a prima vista, così come pezzi facili e pezzi da accom-pagnamento. Nelle fasi più avanzate lo studente può decidere di impa-rare il vero “leggere a prima vista” che consiste nella capacità di suona-

260 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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re musica che non si è mai ascoltata prima leggendola da uno spartito che non si è mai visto prima.

Non si può mai insegnare troppa teoria musicale (solfeggio), notazio-ne, dizione, eccetera. Per quanto possano venire insegnati, questi ar-gomenti saranno di beneficio agli studenti nell’acquisire la tecnica, nel memorizzare, nel capire la struttura della composizione e nell’eseguirla correttamente in pubblico. Li aiuterà anche ad improvvisare ed a com-porre la loro musica. Dovrebbe essere fatto notare che, statisticamente, la maggior parte degli studenti di successo finisce per comporre musica. La musica moderna (pop, jazz) oggigiorno usa concetti musicali avanza-ti e la sottostante teoria è utile per capirne le progressioni di accordi, la struttura e l’improvvisazione. Perciò ci sono vantaggi nell’imparare sia la musica classica sia quella moderna (jazz, pop, ecc.). La musica mo-derna fornisce teoria contemporanea ed aiuta a sviluppare il ritmo, ga-rantisce anche un pubblico più ampio.

La lezione di pianoforte non dovrebbe essere una prassi nella quale lo studente suona il pezzo della lezione e l’insegnante ne assegna uno nuovo. È compito dell’insegnante, quando si inizia un nuovo pezzo, af-frontarlo in segmenti, esaminarne la diteggiatura, analizzarne la musi-ca e portare fondamentalmente lo studente a velocità durante la lezio-ne, almeno a mani separate o per segmenti. Dopo qualche lezione di questo tipo il compito si sposta sul suonare in modo musicale – esami-nando il contenuto, tirando fuori l’espressività e gli attributi dei compo-sitori (Mozart è diverso da Chopin, ecc.), il colore, eccetera. Un buon insegnante può far risparmiare allo studente una tremenda quantità di tempo dimostrandogli tutti gli elementi tecnici necessari. Non dovreb-be essere lasciato allo studente cercare di trovarli per prove ed errori. A causa di questa necessità, le lezioni al di là del livello di principiante possono diventare piuttosto intense ed impiegare molto tempo. Le sca-le dovrebbero essere insegnate pollice sotto ai principianti, ma entro un anno anche pollice sopra. Sebbene la maggior parte degli esercizi come l’Hanon sia ora considerata poco utile, è molto importante essere in grado di suonare bene le scale e gli arpeggi (in tutte le trasposizioni) e questo richiede molti anni di duro lavoro.

Studiare trenta minuti ogni due o tre giorni è in assoluto il minimo necessario per fare qualche progresso. Mezz’ora al giorno va bene per i più giovani per fare progressi significativi e crescendo avranno bisogno progressivamente di più tempo per ottenere la stessa cosa. Questi sono tempi di studio minimi, sarà necessario più tempo per ottenere progres-si più rapidi.

III.16 - INSEGNARE 261

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Il miglior modo per motivare gli studenti a studiare e per insegnare l’arte di fare musica è quello di tenere dei saggi. Quando devono ese-guire in pubblico, tutte le istruzioni dell’insegnante, i tempi di studio necessari, eccetera, assumono un significato e un’urgenza del tutto nuovi. Gli studenti sono auto-motivati. Questi punti sono stati trattati in dettaglio nella precedente Sezione 14. È un errore insegnare piano-forte senza programmare nessuna esecuzione in pubblico. Ci sono numerose possibilità di fare programmi del genere e gli insegnanti e-sperti saranno in grado di prepararne uno appropriato per ciascuno studente di ogni livello. I saggi formali e le competizioni musicali sono pieni di tranelli e devono essere affrontati con cura e con un sacco di pianificazione. Gli insegnanti possono tuttavia organizzare saggi in-formali, con tremendi benefici per gli studenti, usando forme molto meno stressanti.

Nonostante i saggi e le competizioni siano importanti, è ancora più importante evitare i loro trabocchetti. Il tranello principale è che i saggi possono essere futili perché lo stress, il nervosismo, l’impegno, il tempo aggiuntivo e il senso di fallimento anche dopo piccoli errori può fare più male che bene nel forgiare la psicologia e la capacità dello studente, di ogni età, ad eseguire in pubblico. Quindi l’insegnante deve avere un programma o approccio chiaramente definito all’arte di eseguire in pubblico oltre che all’arte di suonare. I metodi di preparazione ai con-certi, trattati nella precedente Sezione 14, dovrebbero essere parte del programma di apprendimento. La musica popolare o “divertente” è specialmente adatta all’allenamento all’esecuzione in pubblico. Al di là di tutto, il programma deve essere progettato per produrre una soddi-sfacente atmosfera di compimento e non un’atmosfera di competizione dove qualsiasi cosa diverso dalla perfezione miracolosa, con i pezzi più difficili alla portata dello studente, sia considerata un fallimento. Agli studenti deve essere insegnato che nelle competizioni il giudizio non è mai perfetto o giusto e che non è la vittoria, ma il processo di prepara-zione ad essere più importante per il suo valore pedagogico. Dato lo stesso pezzo di musica da suonare, uno studente più rilassato e meno nervoso eseguirà meglio e svilupperà un miglior atteggiamento verso l’esecuzione in pubblico. Gli studenti devono capire che è il processo, non la vittoria, l’obiettivo finale delle competizioni. Una delle più im-portanti componenti di questo è la capacità di gustarsi l’esperienza in-vece di innervosirsi. Uno dei peggiori tranelli della maggior parte delle competizioni è l’enfasi sul materiale più difficile che lo studente possa suonare, quella corretta dovrebbe essere sulla musica, non sulla tecnica.

262 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Dobbiamo certamente mirare a vincere le competizioni ed a suonare concerti senza errori, ci sono però approcci più o meno stressanti a questi obiettivi. È compito dell’insegnante insegnare il controllo dello stress da esecuzione. Sfortunatamente la maggior parte degli insegnanti oggi lo ignora completamente o, peggio, i genitori e gli insegnanti fanno spesso finta che non esista qualcosa come il nervosismo anche quando essi stessi sono nervosi. Questo può avere l’effetto di creare problemi permanenti con esso. Si veda la precedente Sezione 15 per un’analisi del controllo del nervosismo.

È importante prima insegnare ad uno studente tutto sul nervosismo e sullo stress e non sbatterlo sul palco ad eseguire in pubblico, senza pre-parazione, nella vana speranza che imparerà in qualche modo da solo. Fare così è piuttosto analogo a buttare una persona nel mezzo di un la-go profondo per insegnarle a nuotare: può finire per acquisire una pau-ra dell’acqua a vita. Suonare per l’insegnante ad ogni lezione è un buon inizio, ma è una preparazione del tutto insufficiente. L’insegnante dovrebbe perciò progettare una procedura di “allenamento ad eseguire in pubblico” nella quale lo studente viene introdotto gradualmente alle esecuzioni. Dovrebbero essere insegnate diverse capacità: come recu-perare dai blackout, prevenirli, camuffare gli errori, sentire gli errori prima che arrivino, suonare in frammenti, iniziare da un punto arbitra-rio nel pezzo, scegliere tra i pezzi da eseguire, comunicare con il pubbli-co, eccetera. Riguardo a ciò abbiamo visto che studiare a mani separa-te, suonare lentamente e “suonare a freddo” sono le componenti più importanti della preparazione. La maggior parte degli studenti non sa quali pezzi “finiti” può eseguire in pubblico in maniera soddisfacente finché non li suona ad un concerto diverse volte; quindi, anche tra i pezzi finiti, ogni studente avrà un repertorio “eseguibile” ed uno “discu-tibile”.

Chiaramente l’esecuzione in pubblico è un campo complesso e deve essere insegnato sistematicamente prima di poter chiedere ad uno stu-dente di calcare un palcoscenico e suonare. Senza tale allenamento an-che i buoni esecutori non suoneranno con la loro migliore abilità e la maggior parte degli studenti finirà col pensare che le esecuzioni in pub-blico siano una specie di puro inferno da sopportare. Una volta radica-to in gioventù questo atteggiamento verrà portato nell’età adulta. La vera verità dovrebbe essere l’esatto opposto: l’esecuzione in pubblico dovrebbe essere l’obiettivo finale, la ricompensa finale per tutto il duro lavoro, la dimostrazione della capacità di suonare, di smuovere il pub-blico, di comunicare i supremi disegni dei più grandi geni musicali che siano mai vissuti. A causa del bisogno di controllare il nervosismo e

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l’atteggiamento dello studente, un insegnante deve diventare psicologo per poter insegnare l’abilità di eseguire in pubblico. Molti insegnanti, altrimenti bravi, sono mal preparati ad un tale compito e devono lavo-rare alla correzione di questa carenza. Alcuni insegnanti ignorano com-pletamente l’addestramento all’esecuzione in pubblico, mentre altri tengono semplicemente più saggi possibile nel tentativo di insegnare l’arte di eseguire. L’unica vera soluzione è insegnare un curriculum e-secutivo.

Un modo di introdurre gli studenti all’esecuzione in pubblico è tene-re saggi di classe tra gli studenti stessi e farli discutere delle loro paure, difficoltà, forze e debolezze per abituarli ai problemi principali. Li capi-ranno molto meglio quando li potranno provare e discutere apertamen-te con i loro compagni. Qualsiasi stress o nervosismo possano provare diventa meno spaventoso quando si rendono conto che tutti provano le stesse cose, che il nervosismo è perfettamente naturale e che ci sono va-ri modi di combatterlo. In particolare, una volta passati attraverso l’intero processo di un finto concerto dall’inizio alla fine, l’intera proce-dura diventa molto meno misteriosa e spaventosa. Deve essere inse-gnato agli studenti che imparare a gustarsi le esecuzioni in pubblico fa parte dell’arte del pianoforte e questa arte richiede studio e pratica. In un gruppo di studenti ce n’è sempre uno bravo ad eseguire in pubblico, gli altri possono imparare da lui osservandolo ed analizzando come fa.

Un altro modo di introdurre gli studenti alle esecuzioni in pubblico, ed allo stesso tempo farli divertire, è programmare un saggio informale in cui gli studenti giocano a “chi suona più veloce”. In questo gioco ogni studente suona lo stesso pezzo, ma il tempo per studiarlo è limita-to, diciamo tre settimane. Si noti che con questo stratagemma l’obiettivo nascosto è insegnare agli studenti come gustarsi la partecipa-zione ai saggi, non come suonare velocemente. Gli studenti stessi vo-tano il vincitore. All’inizio l’insegnante non dà istruzioni: gli studenti devono scegliere i loro metodi di studio, ma dopo il primo saggio l’insegnante tiene una lezione di gruppo nella quale il vincitore descrive il suo metodo e l’insegnante aggiunge ogni ulteriore informazione utile. Si noti che lo studio a mani separate e gli insieme paralleli sono i con-cetti principali che aiutano a suonare velocemente. Chiaramente, nello scegliere il vincitore, devono essere considerati chiarezza, precisione e musicalità. Ci saranno ampie differenze tra i metodi di studio ed il suc-cesso dei vari studenti ed in questo modo, imparando l’uno dall’altro, capiranno meglio gli insegnamenti di base. Quando gli studenti parte-cipano ad una “competizione” è compito dell’insegnante assicurarsi che sia un evento divertente, un modo di fare esperienza della gioia di ese-

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guire in pubblico e un modo di dimenticare completamente il nervosi-smo. Gli errori devono evocare risate, non devono essere biasimati. Si può poi servire un rinfresco.

Come andrebbero organizzati i saggi una volta insegnate agli studenti le basi delle esecuzioni in pubblico? Dovrebbero essere progettati per rinforzare la capacità di esecuzione. Eseguire la stessa composizione di-verse volte lo stesso giorno o in giorni successivi è una delle cose più difficili da fare. Tali esecuzioni ripetute forniscono quindi il miglior allenamento per rinforzare la capacità di eseguire. Nel caso di inse-gnanti (o di scuole) con un numero sufficiente di alunni, il seguente è un buon schema da adottare. Si raggruppino gli studenti in principian-ti, intermedi ed avanzati. Al venerdì si tenga un saggio per i principian-ti con il pubblico composto dai loro genitori ed amici. I principianti dovrebbero partecipare ai saggi dal loro primo anno di lezioni, anche presto a 4 o 5 anni di età. Alla fine di questo saggio suoneranno anche gli studenti del livello avanzato, in modo che per il pubblico sia valsa la pena essere presente. Al sabato suonano gli studenti di livello interme-dio, con i loro genitori e amici come pubblico, ancora, alla fine suonano gli studenti di livello avanzato. Alla domenica questi ultimi tengono il loro saggio con i loro genitori e amici come pubblico e potrebbe essere invitato qualche ospite speciale. In questo modo gli studenti avanzati eseguono lo stesso pezzo tre giorni di fila. Il saggio della domenica (degli studenti avanzati) dovrebbe essere registrato e messo su CD per-ché è un bel ricordo. Se questo tipo di saggio viene tenuto due volte l’anno, ciascuno studente di livello avanzato mette ogni anno sei tacche sulla propria cintura dei concerti. Se questi studenti vengono anche in-trodotti alle competizioni faranno un’esperienza adeguata delle esecu-zioni in pubblico. Siccome la maggior parte dei pezzi non è “sicura” finché non viene eseguita in pubblico almeno tre o quattro volte, que-sto schema di saggi servirà anche a rendere alcuni pezzi “sicuri”, dopo un solo fine settimana di saggi, in modo da poterli inserire nel reperto-rio delle esecuzioni.

Gli insegnanti dovrebbero essere disposti a comunicare con i loro col-leghi per scambiare idee e imparare l’un l’altro. Non c’è niente di più dannoso, per uno studente, che un insegnante i cui metodi siano infles-sibili e congelati nel tempo. In questa era dell’informazione non può esistere un metodo segreto di insegnare pianoforte ed il successo di un insegnante dipende dalla comunicazione aperta. Un’occasione impor-tante per la comunicazione è lo scambio di studenti: la maggior parte di essi potrà trarre gran beneficio dall’aver appreso da più di un insegnan-te. Gli insegnanti dei principianti dovrebbero passare i loro studenti a

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quelli dei livelli più alti non appena pronti. Certamente la maggior par-te degli insegnanti proverà a tenersi i migliori e ad insegnare a più stu-denti possibile. Un modo di risolvere questo problema è unirsi in gruppi costituiti da insegnanti di diverse specialità in modo da formare una scuola abbastanza completa. Questo aiuta anche l’insegnante per-ché rende molto più facile trovare gli studenti. Chi cercasse un inse-gnante dovrebbe aver chiaro, da queste considerazioni, che è meglio cercare gruppi di insegnanti piuttosto che insegnanti che operano indi-vidualmente.

Gli insegnanti agli inizi hanno spesso difficoltà a trovare i loro primi studenti. Unirsi ad un gruppo è un buon modo di incominciare. Inol-tre molti insegnanti consolidati devono spesso rifiutare degli studenti per mancanza di tempo, specialmente se hanno una buona reputazione nella loro zona. Questi insegnanti sono una buona fonte di studenti. Un modo di aumentare il bacino di potenziali studenti è offrirsi di an-dare a casa loro ad insegnare. Quando un nuovo insegnante inizia, questo potrebbe essere un buon approccio, almeno per i primi anni.

III.17 - I Vantaggi e Gli Svantaggi dei Verticali e dei Coda (Acquisto e Cura del Pianoforte)

I pianoforti a coda hanno alcuni vantaggi rispetto a quelli verticali, essi sono tuttavia minori rispetto al livello di abilità di chi suona. Ci sono grandi pianisti che sono arrivati al livello avanzato esercitandosi in gran parte sui verticali. Non c’è evidenza della necessità di un coda per un corretto sviluppo della tecnica. Un argomento può essere porta-to avanti in favore dei verticali, almeno per i principianti, perché ri-chiedono di essere suonati con più fermezza e questo può essere meglio per lo sviluppo iniziale delle dita. Potrebbero essere meglio anche per gli studenti di livello intermedio perché i verticali perdonano meno e richiedono un maggiore sviluppo tecnico. Questi argomenti sono con-troversi, ma illustrano il punto che per lo sviluppo della tecnica qua-lunque differenza tra verticali e coda è trascurabile in confronto ad altri fattori come la motivazione dello studente, il talento, la qualità dell’insegnante, i metodi di studio e la corretta manutenzione del piano-forte. Un altro fattore è la qualità: i verticali di alta qualità sono superiori ai coda di bassa qualità.

I pianoforti elettronici di oggi sono decisamente inferiori rispetto agli acustici riguardo allo sviluppo della tecnica, ma stanno migliorando ra-pidamente. Questo svantaggio diventa secondario nel caso in cui i van-taggi degli elettronici siano necessari per la situazione individuale (co-

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me la possibilità di esercitarsi usando le cuffie per non disturbare i vici-ni o la capacità di cambiare strumento, accordatura, eccetera). Inoltre, solo gli elettronici possono fornire caratteristiche speciali come la regi-strazione, la trasposizione automatica e gli accompagnamenti pre-impostati. Un buon acustico può essere di gran lunga superiore agli elettronici e un buon coda supererà chiaramente la maggioranza dei verticali per comporre musica. Neanche il migliore degli elettronici è adeguato per i pianisti classici di livello avanzato: la risposta meccanica non è appropriata ed il materiale difficile e veloce diventa impossibile da eseguire.

I verticali hanno i loro vantaggi: costano meno, occupano meno spa-zio e nelle stanze piccole i coda possono produrre troppo suono da non poter essere suonati al massimo con il coperchio alzato senza far male o anche danneggiare le orecchie. I coda con il coperchio sollevato sono molto sensibili al tocco e richiedono quindi una intonazione dei martelli più frequente rispetto ai verticali, altrimenti diventano troppo “brillan-ti” o “striduli”. Molti proprietari casalinghi ignorano completamente l’intonazione dei martelli. Il risultato è che i loro pianoforti producono troppo suono troppo stridulo e vengono quindi suonati con il coper-chio abbassato. Non sto condonando la pratica di chiudere il coper-chio, sto solo descrivendo la realtà, non c’è nulla di tecnicamente sba-gliato nel suonare i coda con il coperchio chiuso. Ciò nonostante alcu-ni pianisti esprimeranno una grande costernazione ad una tale pratica e certamente si butta via qualcosa di meraviglioso per cui si è fatto un importante investimento. Le esecuzioni dei concerti richiedono quasi sempre di sollevare il coperchio. Prima di un’esecuzione in pubblico ci si dovrebbe perciò sempre esercitare con il coperchio sollevato, anche se lo si tiene chiuso di solito. Tuttavia, in una stanza più grande o in una sala da concerti, c’è molta meno riflessione multipla del suono e non si sente l’assordante rumore roboante che viene fuori in una stanza piccola. Dato che i verticali sono essenzialmente strumenti chiusi, que-sto trascurare l’intonazione dei martelli si nota meno. I verticali tendo-no anche ad avere una manutenzione meno costosa principalmente perché non vale la pena fare riparazioni costose e non vengono quindi fatte. Ci sono certamente verticali di qualità che competono con i coda nella produzione del suono e nel costo, ma sono in numero esiguo.

Alcune persone con stanze piccole si angosciano sulla questione se un gran coda sarebbe troppo forte in tale spazio. L’intensità non è di soli-to la cosa più importante e si ha sempre l’opzione di chiudere il coper-chio di differenti gradi. L’intensità massima dei coda medi e grandi non è così diversa e si può suonare più piano con i coda grandi. Sono

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le riflessioni multiple ad essere più preoccupanti e si possono eliminare facilmente con un tappeto in terra ed isolando acusticamente una o due pareti. Perciò se il pianoforte entra in una stanza senza troppe difficoltà può essere accettabile da un punto di vista sonoro.

Tra i verticali molte spinette non producono un suono soddisfacente, neanche per gli studenti. La piccola altezza limita la lunghezza delle corde e questa è la maggior limitazione teorica sul suono prodotto. In teoria gli alti dovrebbero produrre un suono soddisfacente (le corde non sono limitate neanche nelle spinette), ma molte spinette sono le più deboli negli alti a causa della bassa qualità di costruzione; le spinette sono di solito i pianoforti meno costosi. I verticali più grandi delle di-mensioni di un armadietto possono essere pianoforti molto buoni per gli studenti. I vecchi verticali con suono scadente non sono in genere recuperabili indipendentemente dalla loro dimensione. Ad una certa età il valore di un pianoforte è minore del costo per ripararlo: è meno costoso comprarne uno nuovo che abbia un suono soddisfacente.

I vantaggi della maggior parte dei coda sono: una migliore gamma dinamica (piano/forte), una struttura aperta che permette al suono di uscire liberamente (questo garantisce più controllo ed espressività), un suono più ricco, delle ripetizioni più veloci, una meccanica più scorre-vole (usano la forza di gravità invece delle molle di ripetizione), un “ve-ro” pedale del piano (si veda la Sezione II.24), un suono più pulito (più facile da accordare con precisione) ed un aspetto più appariscente. La classe dei “mezza coda” (meno di 1,5 metri) è un’eccezione il cui suono non è di solito soddisfacente e questi pianoforti dovrebbero essere con-siderati principalmente come mobili decorativi. Qualche ditta (Yama-ha, Kawai) sta iniziando a produrre dei mezza coda dal suono accettabi-le, questi pianoforti molto nuovi non vanno perciò scartati a priori sen-za averli provati. I coda più grandi si possono classificare in due cate-gorie principali: “per studenti” (meno di 2 metri circa) ed i più grandi. I gran coda forniscono più gamma dinamica, migliore qualità del suono e miglior controllo del tono.

Come esempio della questione “qualità vs. dimensioni” si considerino i pianoforti Steinway. Il modello Baby S (5’-2” [1,57 m]) è essenzial-mente un mobile decorativo e molto pochi di questi pianoforti produ-cono un suono di qualità sufficiente da essere considerati suonabili. Il successivo gruppo in dimensioni consiste nei modelli M, O, L (da 5’-7” a 5’-11” [da 1,70 m a 1,80 m]). Questi modelli sono abbastanza simili e sono eccellenti pianoforti per studenti. I pianisti di livello avanzato tut-tavia non li considererebbero dei veri coda. Il modello successivo A

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(6’-2” [1,88 m]) è ai limiti ed il B (6’-10” [2,08 m]), il C (7’-5” [2,26 m]) ed il D (9’ [2,74 m]) sono veri gran coda. Un problema nel valutare gli Steinway è che la qualità all’interno di ciascun modello è molto variabi-le, tuttavia c’è in media un significativo miglioramento nella qualità del suono all’aumentare delle dimensioni.

Uno dei maggiori vantaggi dei pianoforti a coda è l’uso della gravità come forza di ritorno dei martelli, nei verticali la forza di recupero vie-ne fornita dalle molle di ripetizione. La forza di gravità è sempre co-stante ed uniforme sull’intera tastiera laddove disomogeneità nelle mol-le di ripetizione e l’attrito possono provocare una non uniformità nel tocco dei tasti dei verticali. Questa è una delle proprietà più importanti dei pianoforti di qualità ben intonati. Molti studenti sono intimoriti, ai concerti ed alle competizioni, dall’aspetto degli enormi gran coda, ma questi sono in verità più facili da suonare dei verticali. Una delle paure che hanno è che la loro meccanica possa essere più pesante. Il peso del tasto è però qualcosa che viene regolato dal tecnico che registra il pia-noforte e può essere fissato a qualunque valore, indipendentemente dal fatto che il pianoforte sia verticale o a coda. Gli studenti di livello a-vanzato troveranno di certo più facile suonare pezzi impegnativi sui coda, piuttosto che sui verticali, principalmente per la meccanica più veloce e la maggior uniformità. Di conseguenza i coda possono far ri-sparmiare un sacco di tempo quando si cerca di acquisire abilità di li-vello avanzato. La ragione principale di ciò è la maggior facilità nello sviluppo di brutte abitudini quando sui verticali si lotta con materiale difficile. Questo materiale impegnativo è ancora più difficile sui piano-forti elettronici (impossibile sui modelli privi di tasti pesati) perché non hanno la robustezza e la reattività al tocco necessarie alle alte velocità.

Solo pochi pianoforti di marca mantengono il loro valore anche dopo tanti anni. “Mantenere il valore” significa che il valore di rivendita sta-rà dietro all’inflazione, non significa che non si possano vendere per guadagnarci. Se perciò un pianoforte è stato comprato per mille dollari e lo si è venduto per diecimila trent’anni dopo non si è tratto profitto se l’inflazione durante questi anni è stata di dieci volte. Inoltre ci saranno i costi di accordatura e manutenzione. Costa molto meno, ad esempio, comprare uno Yamaha a coda da sette piedi nuovo di zecca ogni cin-quant’anni che comprare uno Steinway e ripristinarlo completamente sempre ogni cinquant’anni. A parte pochissime eccezioni, i pianoforti non sono dei buoni investimenti, bisogna essere dei tecnici di pianofor-te esperti per poter trovare degli affari nel mercato dei pianoforti usati e per poterli rivendere guadagnandoci. Anche se si trovasse un affare del genere, vendere pianoforti è un compito impegnativo che richiede tem-

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po. Si consulti il libro di Larry Fine per ulteriori dettagli su come com-prare un pianoforte. Anche per le marche più famose un pianoforte appena comperato perde con la consegna il 20÷30% del suo prezzo d’acquisto e nel giro di cinque anni si dimezza a metà del prezzo di uno equivalente. Tutti i pianoforti si possono classificare, per quanto ri-guarda il prezzo, in base al fatto se valga la pena o meno ricostruirli. Quelli che vale la pena ricostruire costano circa il doppio. Praticamen-te tutti i verticali e tutti i coda prodotti in massa (Yamaha, Kawai, ecc.) non vengano mai ricostruiti perché costerebbe tanto quanto acquistarne uno nuovo dello stesso modello. Ricostruire pianoforti del genere è spesso impossibile perché il mercato ed i pezzi di ricambio non esisto-no. I pianoforti che vale la pena ricostruire sono: Steinway, Bosendor-fer, Bechstein, Mason e Hamlin, qualche Knabe e pochi altri. Parlando grossolanamente, ricostruire un pianoforte costa circa un quarto di comprarne uno nuovo ed il valore di vendita è circa la metà; per que-sto motivo ricostruire questi pianoforti può essere conveniente sia per chi ricostruisce che per chi acquista.

Comprare un pianoforte può essere un’esperienza provante per i non iniziati, che comprino nuovo o usato. Se si riesce a trovare un vendito-re dalla buona reputazione è certamente più sicuro comprare nuovo, ma anche allora il deprezzamento iniziale sarà grande. Molti negozi af-fittano pianoforti con un accordo secondo cui le rate verranno stornate dal prezzo se si decide di tenerlo. In questo caso ci si assicuri di nego-ziare il miglior prezzo prima di discutere i canoni d’affitto, si avrà poco potere contrattuale. Si finirà con un prezzo iniziale maggiore e quindi, anche dopo aver sottratto le rate, il prezzo finale non sarà un affare. Molti venditori trovano costoso mantenere pronti ed intonati anche i pianoforti più costosi, da questi è difficile provare il pianoforte suonan-dolo. Comprare un pianoforte è quindi spesso una cosa “o la và o la spacca”. Nel caso di pianoforti prodotti in massa, come Yamaha o Kawai, la qualità di quelli nuovi tende ad essere uniforme, perciò si co-nosce abbastanza ciò che si otterrà. La qualità del suono dei pianoforti più costosi “fatti a mano” può variare notevolmente, è perciò più diffi-cile comprarne uno buono.

Tutti i pianoforti nuovi hanno bisogno, dopo l’acquisto, di un anno di attenzioni particolari e di una accordatura speciale per far sì che le cor-de smettano di stirarsi e la meccanica ed i martelli si bilancino. La maggior parte dei rivenditori proverà a minimizzare questi costi di ser-vizio dei pianoforti nuovi dopo la consegna. Questo assumendo che il pianoforte sia stato preparato in modo appropriato prima di essa. Mol-ti rivenditori posticipano a dopo la consegna molta della preparazione

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e, se il cliente non lo sa, omettono del tutto alcuni passi. A questo ri-guardo i modelli meno costosi come Yamaha, Kawai, Petroff e pochi altri possono essere più facili da comprare perché gran parte della pre-parazione viene fatta in fabbrica. Un pianoforte nuovo avrà bisogno di almeno quattro accordature il primo anno per poter stabilizzare lo sti-ramento delle corde.

I buoni pianoforti usati sono difficili da trovare nei negozi perché quelli suonabili vengono venduti per primi ed i magazzini rimangono con un eccesso di quelli non suonabili. Ovviamente i migliori affari si trovano tra le vendite private e i non iniziati avranno bisogno di assu-mere un tecnico/accordatore che li aiuti nel mercato privato. Sarà an-che necessaria un sacco di pazienza perché le buone occasioni private non sono sempre presenti quando se ne ha bisogno. C’è una continua domanda di buoni pianoforti ad un prezzo ragionevole, questo significa che non è facile trovare affari nei posti ampiamente accessibili, come i mercati di pianoforti su internet, perché quelli buoni vengono venduti in fretta. Questi posti, al contrario, sono eccellenti per vendere. Il mi-glior luogo per trovare buoni affari è la sezione apposita sui giornali, specialmente nelle grandi zone metropolitane. La maggioranza degli annunci esce il venerdì, il sabato e la domenica.

Tutti i pianoforti richiedono la manutenzione oltre alle regolari ac-cordature. In generale, più è alta la qualità del pianoforte più è facile notare il normale deterioramento da logorio e strappo ed è quindi più richiesta la manutenzione. I pianoforti più costosi sono quindi più co-stosi da mantenere. Le tipiche incombenze della manutenzione sono: il livellamento dei tasti, la riduzione dell’attrito (ad esempio ripulendo i piloti), l’eliminazione dei suoni estranei, l’intonazione e la pettinatura dei martelli, il controllo degli innumerevoli fori, eccetera. Intonare i martelli è probabilmente la procedura di manutenzione più trascurata. Martelli consumati e duri possono provocare la rottura delle corde, la perdita del controllo musicale (non fa bene allo sviluppo della tecnica) e difficoltà nel suonare delicatamente. Rovinano anche la qualità com-plessiva del pianoforte rendendolo stridulo e spiacevole da ascoltare. Se la meccanica è sufficientemente logora potrebbe essere necessario un lavoro generale di regolazione, il che vuol dire ripristinare tutti i pezzi secondo le specifiche originali.

Nei vecchi pianoforti con corde visibilmente arrugginite il suono può essere a volte migliorato in modo significativo sostituendole. Nel caso le corde basse fasciate fossero molto arrugginite potrebbero svigorire le relative note. Se queste note basse fossero deboli e senza suono soste-

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nuto, sostituire queste corde potrebbe essere piuttosto vantaggioso. Le corde alte non rivestite non richiedono sostituzione. Queste corde, comunque, potrebbero essere, nei pianoforti estremamente vecchi, tal-mente tirate da aver perso tutta la loro elasticità longitudinale. Tali corde sono soggette a rompersi, non possono vibrare correttamente e dovrebbero essere sostituite.

I pianisti dovrebbero avere dimestichezza con alcuni fondamentali dell’accordatura (come le parti del pianoforte, i temperamenti, la stabili-tà e gli effetti dei cambiamenti di temperatura e umidità) per poter co-municare con l’accordatore e capire quello che è necessario egli faccia. Troppi proprietari di pianoforti sono ignoranti in materia e di conse-guenza frustrano l’accordatore e lavorano di fatto contro di lui con il risultato che il pianoforte non viene sottoposto alla manutenzione cor-retta. Alcuni proprietari si abituano talmente al loro pianoforte dete-riorato che quando l’accordatore fa un buon lavoro di recupero del co-lore originale sono molto infelici riguardo allo strano nuovo suono e tocco. Martelli logori tendono a produrre suoni troppo brillanti e in-tensi e questo ha l’inaspettato effetto di far sembrare la meccanica più leggera. Martelli correttamente intonati possono perciò dare all’inizio l’impressione che la meccanica sia più pesante e meno reattiva, ma l’accordatore non ha certamente cambiato la forza necessaria per pre-mere i tasti. Una volta che il proprietario si abitua ai nuovi martelli in-tonati scopre di avere un controllo molto migliore di espressività e tono e che può ora suonare molto delicatamente. Suonare uniformemente e delicatamente con martelli consumati è molto difficile.

I pianoforti devono essere accordati almeno una volta l’anno e prefe-ribilmente due: in autunno ed in primavera quando temperatura ed umidità sono a metà strada tra gli estremi annuali. Molti pianisti di li-vello avanzato li fanno accordare anche più spesso. Oltre agli ovvi vantaggi di essere in grado di creare musica migliore e di affinare la propria musicalità, ci sono molte ragioni ovvie per tenere il pianoforte accordato. Una delle più importanti è che ciò può influire sullo svilup-po della tecnica: in confronto ad un pianoforte scordato uno accordato si suona praticamente da solo – lo si troverà sorprendentemente più fa-cile da suonare. Un pianoforte accordato può quindi veramente acce-lerare lo sviluppo della tecnica ed uno scordato può portare ad impreci-sioni ed all’abitudine di balbettare fermandosi ad ogni errore. Molti aspetti importanti dell’espressività possono venir fuori solo su pianofor-ti ben accordati. Siccome dobbiamo sempre prestare attenzione ad e-sercitarci in modo musicale non ha senso farlo su un pianoforte che non produca la musica correttamente. Questa è una delle ragioni per

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cui preferisco i temperamenti Ben Temperati (con i loro accordi cristal-lini) al Temperamento Equabile in cui solo le ottave sono pulite. Si veda il Capitolo Due per altre analisi sui meriti dei vari temperamenti. I pianoforti di alta qualità hanno una netto vantaggio perché non solo tengono meglio l’accordatura, ma si possono anche accordare con maggior precisione. I pianoforti di qualità inferiore hanno battimenti estranei e suoni strani che rendono impossibile un’accordatura precisa. A questo riguardo i buoni coda sono di gran lunga superiori ai verticali ordinari.

Chi ha orecchio assoluto è molto infastidito dai pianoforti scordati. Se si avesse l’orecchio assoluto i pianoforti gravemente scordati potreb-bero accelerarne la graduale perdita con l’età. I bambini molto piccoli possono acquisirlo automaticamente, anche non avendo idea di cosa esso sia, se ascoltano abbastanza spesso il suono del pianoforte. Per far sì che acquisiscano il corretto orecchio assoluto il pianoforte dovrebbe essere accordato.

Studiando sempre su un pianoforte accordato si farà fatica a suonare su uno che non lo è: la musica non viene fuori, si commettono errori inaspettati e si hanno blackout di memoria. Questo resta vero anche senza sapere niente riguardo all’accordatura e senza neanche riuscire a dire se una particolare nota è stonata. Al contrario, il modo migliore per verificare l’accordatura è suonare un pezzo di musica. Una buona accordatura è come magia per qualsiasi pianista. La maggior parte dei pianisti può sentire prontamente la differenza tra una cattiva accordatu-ra ed una eccellente suonando un pezzo di musica, anche se non riesce a dire la differenza suonando una nota singola o un accordo di prova (assumendo che non siano anche accordatori). Quindi, insieme allo sviluppo tecnico, ogni pianista deve imparare ad ascoltare i vantaggi di una buona accordatura. Può essere una buona idea suonare di tanto in tanto su un pianoforte scordato per poter sapere cosa aspettarsi in caso venga richiesto di suonare su uno dall’accordatura dubbia. Ai concerti è una buona idea accordare il pianoforte appena prima in modo che sia accordato meglio di quello da studio. Si cerchi di evitare il caso inverso in cui il pianoforte da studio è accordato meglio di quello del concerto. Questa è un’altra ragione per cui gli studenti che si esercitano sui pia-noforti verticali economici hanno pochi problemi a suonare sui grandi e poco familiari coda, a patto che questi siano accordati.

Riassumendo, i pianoforti a coda non sono necessari per sviluppare la tecnica, almeno fino circa al livello intermedio, sebbene facciano bene a qualsiasi livello. Oltre a questo livello l’argomento dei coda meglio dei

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verticali diventa più allettante. I coda sono migliori perché hanno una meccanica più veloce, si possono accordare con più precisione, hanno una gamma dinamica più ampia, hanno un vero pedale del piano, per-mettono un maggiore controllo di espressività e tono (si può aprire il coperchio) e si possono regolare in modo da dare più uniformità nota per nota (usando la forza di gravità al posto delle molle di ripetizione). Questi vantaggi sono tuttavia ancora minimi rispetto al talento, alla di-ligenza dello studente ed ai corretti metodi di studio. I coda diventano più desiderabili agli studenti di livello avanzato perché il materiale tec-nicamente esigente è più facile da eseguire e per questi studenti la giu-sta accordatura, intonazione e regolazione dei martelli deve essere una componente essenziale dell’esperienza pianistica.

III.18 - I Principianti: Come Iniziare a Studiare Pianoforte A molti principianti piacerebbe iniziare a studiare pianoforte per conto proprio e ci sono molte valide ragioni per farlo. Non c’è assolutamente dubbio, tuttavia, che per i primi sei mesi (e probabilmente per molto di più) non c’è modo più veloce che prendere lezioni da un insegnante, anche uno che insegna il metodo intuitivo. Gli unici da evitare completamente sono quelli che non sanno insegnare ciò che si vuole (si può volere musica pop, jazz, blues mentre l’insegnante conosce solo la classica) o quelli che insegnano con metodi rigidi e inflessibili non appropriati allo studente (un metodo potrebbe essere progettato per i bambini piccoli e si potrebbe essere un principiante più vecchio). Per-ché gli insegnanti sono così d’aiuto all’inizio? Primo, perché le cose più elementari che si fanno ogni volta che si suona (come la posizione della mano, come sedersi, i movimenti delle mani, ecc.) sono difficili da spie-gare in un libro di testo, laddove un insegnante può mostrare istanta-neamente cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non si vorrà imparare male una di queste cose e doverci convivere per tutta la vita. In secondo luogo, un principiante che si siede al pianoforte e suona per la prima volta potrebbe commettere da cinque a venti errori tutti contempora-neamente (coordinazione sinistra-destra, controllo del volume, movi-menti del braccio e del corpo, velocità, tempismo, diteggiatura, provare ad imparare prima le cose sbagliate, completa trascuratezza della musi-calità, ecc.) È compito dell’insegnante identificare tutti gli errori e farsi una lista mentale di priorità di quelli che devono essere corretti per primi in modo da eliminare rapidamente i peggiori.

Quando si inizia, la prima cosa da fare è decidere quale libro da le-zione usare. Chi vuole iniziare imparando la tecnica generica (non cose

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specializzate come il jazz o il gospel) può usare un qualunque libro per principianti come Michael Aaron, Alfred, Bastien, Faber e Faber, Schaum o Thompson. Molte persone preferiscono tra questi il Faber e Faber. Molti di questi metodi includono libri per principianti progettati per bambini o per adulti. C’è un eccellente sito per pianoforte all’in-dirizzo: http://www.amsinternational.org/piano_pedagogy.htm che elenca la maggior parte di questi libri di testo e li recensisce. Si possono saltare parti di questi libri in base alla propria età e formazione musicale passa-ta ottimizzando così il tasso di apprendimento.

Questi libri per incominciare insegneranno i fondamentali: leggere la musica, varie diteggiature comuni (come scale, arpeggi ed accompa-gnamenti, eccetera). Non appena si avrà dimestichezza con la maggior parte dei fondamentali si potranno iniziare ad imparare i pezzi che si vogliono suonare. Anche qui gli insegnanti sono preziosi perché cono-scono la maggior parte dei pezzi che si potrebbe voler suonare e posso-no dire se sono gestibili al proprio livello. Possono indicare le sezioni difficili e mostrare come superare quelle difficoltà. Possono suonare i pezzi da lezione e dimostrare ciò che si sta cercando di ottenere. Dopo qualche mese di studio del genere (fino ad un anno) si sarà pronti a continuare seguendo il materiale di questo libro. È una buona idea leggerlo tutto prima della prima lezione (almeno rapidamente) per po-ter evitare i numerosi trabocchetti che attendono in agguato.

All’inizio, forse fino ad un anno, è possibile iniziare ad imparare u-sando le tastiere, anche quelle piccole con meno degli 88 tasti del pia-noforte standard. Se si pensa di suonare le tastiere elettroniche per tut-ta la vita ci si può sicuramente permettere di studiare solo su di esse. Ciò nondimeno praticamente tutte le tastiere hanno una meccanica troppo leggera per simulare veramente un pianoforte acustico. Una ra-gione è che le tastiere devono favorire i tastieristi abituati a queste mec-caniche leggere. Praticamente tutti i pianoforti elettronici hanno quindi un peso della meccanica che è un compromesso tra la tastiera originaria (economica) ed un vero acustico. I requisiti tecnici delle tipiche tastiere non sono gli stessi dei pianoforti acustici. Complessivamente è richie-sta più abilità per suonare un acustico; una persona abituata a suonare su un acustico avrà tuttavia delle difficoltà terribili nel suonare una ta-stiera a causa della diversa risposta meccanica. Alcuna musica impe-gnativa sarà impossibile da suonare su un elettronico perché esso non ha la necessaria robustezza e precisione meccanica. La cosa migliore è quindi studiare su un acustico per acquisire tecnica di livello avanzato. Quando si dovrà scegliere tra gli acustici, si legga la sezione precedente su verticali vs. coda.

III.18 - I PRINCIPIANTI: COME INIZIARE A STUDIARE PIANOFORTE 275

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III.19 - La Procedura di Studio “Ideale” (Insegnamenti di Bach ed Invenzione N.4)

Esiste una procedura abituale di studio ideale ed universale? No, per-ché ogni persona deve progettarsi le proprie procedure ad ogni seduta. In altre parole, questo libro è tutto sul mettere a punto le proprie proce-dure di studio. Nell’ultimo paragrafo di questa sezione vengono tratta-te alcune differenze tra una procedura ben organizzata e quella intuitiva della Sezione II.1. Un buon insegnante di pianoforte esaminerà, duran-te la lezione, le procedure di studio appropriate ai pezzi da lezione. Chi sa già come crearsi le proprie potrebbe trovare questa sezione interes-sante lo stesso, perché oltre ad esse approfondiremo molti argomenti utili (come gli insegnamenti di Bach ed i dettagli su come studiare la sua Invenzione N.4).

Molti studenti che imparano per la prima volta le numerose ed utili idee di questo libro si sentono persi e si domandano se esistano delle procedure di studio magiche simili ai metodi di studio magici qui de-scritti e gradirebbero una qualche assistenza sulle tipiche procedure di studio che usano questi metodi: ne descriverò quindi alcune più avanti. Le procedure di studio dipendono dal livello di abilità, da cosa la per-sona vuole ottenere, dalla composizione che si sta studiando, da cosa si stava studiando il giorno prima, eccetera. Una seduta di studio in pre-parazione ad una esecuzione in pubblico è diversa da quella per impa-rare un nuovo pezzo, che è diversa da quella per ripulire un pezzo che si sta studiando da qualche tempo.

Una procedura universale come “Esercitarsi con l’Hanon per mezz’o-ra, poi scale e arpeggi per venti minuti, poi il Cramer-Bullow (o Czerny, ecc.), seguito dai pezzi da lezione” non ha alcun senso pratico: è il tipico esempio di metodo intuitivo e rivela una generale ignoranza di come studiare. Alla domanda: “Com’è una buona procedura abi-tuale di studio?”, si risponde: “Come si mette a punto una procedura di studio?” Invece di chiedere: “Cosa devo fare?” si dovrebbe domandare: “Cosa voglio ottenere?” Una procedura di studio viene progettata (1) definendo il proprio obiettivo e (2) mettendo insieme le risorse per ottenerlo. Per poter far questo si deve innanzitutto avere dimestichezza con i metodi di studio. Siccome in questo libro c’è così tanto materiale non si dovrebbe aspettare di aver capito l’ultima pagina prima di appli-care i metodi. Questo libro è scritto come una procedura di studio: si può scegliere una composizione che si vuole suonare ed iniziare a stu-diarla leggendo dall’inizio del Capitolo Uno e applicando ciascun prin-cipio nell’ordine in cui vengono presentati.

276 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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A) Imparare Le Regole La prima “procedura” che si dovrebbe usare è quindi quella di seguire il Capitolo Uno cominciando dall’inizio ed applicando i concetti ad una composizione che si vuole suonare. L’obiettivo è di avere dimestichez-za con tutti i metodi di studio disponibili. Si può scegliere un pezzo mai suonato prima, ma la scelta migliore è probabilmente una composizione già studiata un po’, in modo da focalizzarsi di più sull’imparare i meto-di di studio piuttosto che la composizione. Si scelga un pezzo non troppo lungo e non troppo difficile. Si legga rapidamente una volta l’intero Capitolo Uno (o l’intero libro) prima di cominciare al pianofor-te. Non si provi nemmeno ad imparare qualcosa la prima volta perché questo libro contiene così tante idee e vengono descritte così concisa-mente che la maggior parte delle persone ha bisogno di leggerlo diverse volte. Si rimarrà sorpresi da come le idee chiave resteranno ben im-presse nel cervello quando si legge qualcosa senza provare a memoriz-zarne tutto il contenuto. Lo si legga la prima volta come se si stesse leggendo un romanzo o qualche storia divertente e si saltino le sezioni che si pensa abbiano troppi dettagli; dopo aver fatto passare una volta per il cervello le idee principali sarà molto più facile capire l’inizio an-che se non si ricorda la gran parte di quello che si è letto prima. Si a-vrà anche una buona idea della struttura del libro e di come è organiz-zato: tutti i fondamentali vengono presentati nella Sezione II del Capi-tolo Uno ed i concetti più avanzati vengono trattati nella Sezione III.

Non c’è bisogno di studiare ciascun metodo fin quando non si diventa bravi prima di passare al successivo. L’idea è di provarne ognuno di-verse volte, capirne lo scopo ed avere un’idea grossolana di come ven-gono raggiunti gli obiettivi. Ci si potrà sicuramente divertire nell’ap-plicarli e finire per passare un sacco di tempo su qualche metodo parti-colarmente gratificante. Non c’è niente di male nel farlo!

Una volta ottenuta un po’ di dimestichezza con la maggior parte dei metodi saremo pronti a mettere a punto le procedure di studio. Per po-terne progettare di generalmente utili assumiamo che sia passato un anno di studio serio del pianoforte. Il nostro obiettivo è imparare l’Invenzione N.4 di Bach.

B) La Procedura per Imparare un Nuovo Pezzo (Invenzione N.4) In questo libro “imparare un nuovo pezzo” è sinonimo di memorizzar-lo. Quindi si inizi immediatamente, senza alcun riscaldamento, a me-morizzare l’Invenzione N.4 di Bach: prima la destra iniziando con i segmenti di 1÷3 misure che formano una frase distinta, poi la sinistra.

III.19 - LA PROCEDURA DI STUDIO “IDEALE” 277

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Si continui questo processo finché non si sarà memorizzato l’intero pez-zo solo a mani separate. Si veda le Sezione III.6 per ulteriori dettagli sulla memorizzazione. Quelli già bravi ad usare i metodi di questo li-bro dovrebbero essere in grado di memorizzare (non perfettamen-te)l’intera Invenzione a mani separate il primo giorno dopo una o due ore di studio (per una persona media con un QI attorno a 100). Ci si concentri solo sulla memorizzazione e non ci si preoccupi di nulla che “non si riesce a suonare in modo soddisfacente” (come il trillo 1,3 della sinistra) e si suoni a qualsiasi velocità con la quale ci si trovi a proprio agio. Se si vuole memorizzare questo pezzo il più rapidamente possibile la cosa migliore è di concentrarsi solo su di esso e non suonarne altri. Invece di una lunga seduta da due ore si potrebbe studiare un’ora due volte durante il giorno.

È più facile memorizzare a velocità più alte per segmenti quindi si ac-celeri il più possibile anche se si suona un po’ trascuratamente. Si suo-ni comunque una volta lentamente prima di cambiare mano. Si provi a suonare a mani separate mentalmente lontano dal pianoforte dal primo giorno e non ci si preoccupi se ci si bloccasse o si avessero dei completi blackout, perché è normale. Si memorizzerà di nuovo questa parte alla successiva seduta di studio. Si studi fin quando non si riuscirà a suona-re l’intera composizione con ciascuna mano separatamente.

Si suoni pollice sopra dovunque tranne nel 21 di 212345 della misura 1 e in altri punti simili dove pollice sotto è molto più facile. È incredi-bile come Bach scoprì un modo di far studiare pollice sotto in un pas-saggio veloce; praticamente in tutti i passaggi veloci è necessario suona-re pollice sopra. La scelta pollice sotto o sopra diverrà molto importan-te dopo, quando aumenteremo la velocità.

Il secondo giorno si cominci lentamente a mani unite, sempre per segmenti di qualche misura per poi collegarli. Di nuovo, non si studi nient’altro; anche suonare esercizi per le dita come riscaldamento farà dimenticare un po’ di quello che è stato appena memorizzato. Si noti che dal primo giorno si è iniziata anche l’acquisizione della tecnica, in-separabile dalla memoria. L’acquisizione della tecnica/memoria è un processo quasi puramente mentale (sebbene molte persone lo chiamino “memoria di mano”) ed è composto dalla memoria a breve termine, che viene immagazzinata in una parte specifica del cervello, e da diver-se forme di memoria permanente, che consiste in modifiche durevoli del cervello. La memoria a breve termine è praticamente istantanea, ma la prima forma di memoria permanente impiega circa cinque minuti (anche in chi memorizza molte cose “istantaneamente”) poi è nel cervel-

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lo essenzialmente per sempre. Non ci sono garanzie, tuttavia, che la si possa richiamare più tardi. Questo processo di scrivere dalla “memoria volatile” a quella “non volatile” è automatico e non se ne ha il control-lo. La differenza tra i buoni e i cattivi memorizzatori è che questi ultimi non riescono a richiamare ciò che è già nel cervello. Quando si studia memorizzando ci si deve quindi esercitare a richiamare le informazioni piuttosto che a immetterle nel cervello. La seconda forma di memoria permanente è associata al miglioramento post studio e cambia effetti-vamente l’abilità di suonare il segmento oltre ad immagazzinarlo in memoria – questa è la parte di acquisizione della tecnica. La maggior parte del miglioramento tecnico permanente accade durante il sonno e questo è uno dei motivi per cui abbiamo bisogno di dormire – in modo che il cervello possa fare le necessarie riparazioni e miglioramenti per adattarsi al nostro mutevole ambiente. Il nostro cervello è più compli-cato di una automobile e non c’è quindi da sorprendersi che non si possano fare riparazioni o modifiche finché non lo si è portato in un garage e si sia spento il motore (sonno). Una buona notte di sonno, in-cluso quello REM (Rapid Eye Movement), è necessaria per fare i mag-giori progressi nell’imparare pianoforte. Il sonno REM è una fase im-portante in cui gli occhi si muovono rapidamente sebbene si stia dor-mendo. Questo è il motivo per cui dormire è così importante per i ne-onati – c’è così tanto in costruzione nei loro cervelli.

C) Le Procedure di Studio “Normali” e Gli Insegnamenti di Bach Dopo tre o quattro giorni si potrà tornare alla propria procedura di stu-dio “normale”. Nella procedura “di memorizzazione” non abbiamo fondamentalmente fatto altro perché mescolare la memorizzazione con altro studio ne rallenterebbe il processo. Nella procedura “normale” possiamo trarre vantaggio dall’inizio quando le mani sono ancora “fredde”. Se non lo si è mai fatto prima ci si deve esercitare a suonare i propri pezzi finiti “a freddo”. Non si possono certamente suonare a freddo pezzi difficili e veloci, si suonino pezzi facili o quelli difficili len-tamente. Una buona procedura è iniziare con quelli più facili e suonare gradualmente quelli più difficili. Una volta diventati esecutori abba-stanza robusti da non avere problemi a suonare a freddo (ci può volere un anno) questo passo diventa facoltativo, specialmente suonando il pianoforte tutti i giorni. In caso contrario smettendo di esercitarsi si potrebbe perdere l’abilità di suonare a freddo. Un’altra cosa che può essere praticata durante questo periodo di riscaldamento sono le scale e gli arpeggi, si vedano le Sezioni III.4B e III.5 per i dettagli su come stu-diarle. Si potrebbe anche provare l’indipendenza delle dita e gli esercizi

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di sollevamento di III.7D. Si inizino a studiare altre composizioni oltre a questa di Bach.

A questo punto si dovrebbe poter suonare mentalmente l’intera In-venzione di Bach a mani separate senza problemi. È un buon momen-to per fare mantenimento dei pezzi memorizzati precedentemente per-ché imparare un nuovo pezzo farà spesso dimenticare parte di quelli imparati prima. Si alterni lo studio dell’Invenzione di Bach e dei vecchi pezzi. Si dovrebbe studiare l’invenzione a mani separate per la maggior parte del tempo finché non si acquisisce tutta la tecnica necessaria. Si aumenti la velocità più rapidamente possibile fino a velocità più alte di quella finale. Si studino di più quelle sezioni che presentano delle diffi-coltà, non è necessario esercitarsi nelle sezioni facili. Una volta arrivati ad una certa velocità a mani separate si inizi lo studio a mani unite ad una velocità più bassa. Non appena ci si sente a proprio agio a mani unite a velocità più bassa si porti ad una più alta. Per aumentare la ve-locità (a mani separate o unite) non si usi il metronomo e non si forzino le dita a suonare più velocemente. Si attenda di sentire che le dita vo-gliono suonare più velocemente e si aumenti poi di una quantità suffi-ciente. Questo permetterà di studiare rilassati e di evitare muri di velo-cità.

La funzione più importante dello studio a mani separate è l’acquisi-zione della tecnica pertanto non si provi ad acquisire la tecnica a mani unite perché si potrebbe sprecare un sacco di tempo nel cercare di farlo. Per poter passare con successo da mani separate a mani unite, si coltivi la sensazione che le mani abbiano bisogno l’una dell’altra per suonare. Questo aiuterà a trovare quei movimenti che permettono di suonare a mani unite. Suonare a mani unite non è perciò una sovrapposizione delle due mani separate, ma è una nuova modalità in cui suonare. Suonare a mani separate è utile anche mentre si suona a mani unite, ad esempio, se si commette un errore lo si può correggere senza interrom-pere la musica e continuando a suonare a mani separate con l’altra ma-no. Senza uno studio estensivo a mani separate un’impresa del genere sarebbe impossibile.

Dobbiamo analizzare questa Invenzione in qualche dettaglio per poter acquisire le tecniche specifiche che aveva in mente Bach. Le Invenzioni furono composte principalmente come pezzi da studio per la tecnica e ciascuna di esse ne insegna un nuovo insieme specifico. Dobbiamo quindi conoscere quali tipi di abilità tecnica intende insegnarci questa. Bach non ci insegna solo abilità specifiche, ma anche come studiarle!

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Ovvero, analizzando le invenzioni possiamo imparare molti dei metodi di studio di questo libro!!!

Il tema principale di questa invenzione viene esposto nelle prime quat-tro misure della destra. Viene poi ripetuto nella sinistra. La struttura di queste invenzioni, fatte di due voci, ha un duplice scopo. Il primo è di insegnarci l’indipendenza delle mani. Il secondo, meno ovvio, è di dirci di studiare a mani separate! Entrambe le mani suonano fonda-mentalmente le stesse cose dandoci l’opportunità di pareggiare il livello tecnico di entrambe e questo si può ottenere solo studiando a mani se-parate e dando più lavoro alla mano debole. Non c’è modo migliore di esercitare l’indipendenza delle mani che esercitandole separatamente – la lezione principale delle Invenzioni. La sezione dove una mano ese-gue il trillo sarebbe diabolicamente difficile da studiare a mani unite dall’inizio, laddove è piuttosto semplice a mani separate. Alcuni stu-denti che non conoscono lo studio a mani separate proveranno a “far corrispondere” le due mani cercando di capire le note del trillo in anti-cipo e rallentando per studiare a mani unite. Questo potrebbe andare bene per i principianti o per i più giovani che non hanno ancora impa-rato ad eseguire i trilli. La maggior parte degli studenti dovrebbe ese-guire i trilli dall’inizio (a mani separate) e lavorare per accelerarli prima possibile. Non c’è bisogno di combinare matematicamente le due mani, questa è arte non meccanica! Bach vuole che si esegua un trillo in una mano indipendentemente dall’altra. La ragione per cui non si devono far corrispondere le note è che questi trilli sono solo stratagemmi per tenere le note per lunghi periodi di tempo e le singole note non hanno valore ritmico. Cosa si deve fare allora se si finisce con la nota sbaglia-ta alla fine del trillo? Si dovrebbe riuscire a compensare aspettando brevemente o cambiando la velocità verso la fine: è questo il tipo di a-bilità insegnata da questa Invenzione. Studiare per far corrispondere il trillo con l’altra mano annulla perciò la lezione di questo pezzo. Lo staccato nelle misure 3 e 4 della destra è un altro stratagemma per studiare l’indipendenza delle mani, staccato in una mano e legato nell’altra richiede più controllo di entrambi legato. Lo staccato dovrebbe essere usato durante tutto il pezzo sebbene in molte edizioni venga indicato solo all’inizio.

La maggior parte dei pezzi da lezione di Bach insegna non solo l’in-dipendenza tra le mani, ma anche l’indipendenza delle dita di una ma-no ed in modo speciale del quarto dito. Alle misure 11 e 13 ci sono perciò sei note della destra che si possono suonare come due terzine, ma che sono in realtà duine a causa dell’indicazione di tempo 3/8. Queste misure possono essere difficili per i principianti perché richie-

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dono la coordinazione di tre movimenti difficili: (1) la simmetria della diteggiatura della destra è quella di due terzine (ritmo 345345), ma vanno suonate come due duine (345345), (2) simultaneamente la sini-stra deve suonare qualcosa completamente differente e (3) tutto questo deve essere ottenuto usando le tre dita più deboli: 3, 4 e 5. Bach usava spesso questo espediente per obbligare a suonare un ritmo diverso dalla simmetria della diteggiatura per poter educare l’indipendenza delle dita. Il compositore prova anche a dare al quarto dito più lavoro possibile da fare, come nell’ultimo 45.

Le terzine sono più facili da suonare usando la diteggiatura 234 inve-ce di 345, specialmente per le mani grandi, e molte edizioni la suggeriscono. La conoscenza degli esercizi per gli insiemi paralleli indica che l’intenzione originaria di Bach era 345 (per il massimo valore di sviluppo della tecnica) e che è una “licenza musicale” cambiarlo in 234 per poter facilitare la musicalità. Ovvero, in qualsiasi composizione, che non sia una di queste Invenzioni, la diteggiatura corretta sarebbe 234. L’uso di quest’ultima si può qui giustificare ulteriormente perché insegna allo studente il principio di scegliere la diteggiatura che dà il massimo controllo. Lo studente può quindi legittimamente scegliere tra le due. Una situazione simile sorge nella misura 38 dove l’intenzione originaria di Bach per la sinistra era proba-bilmente 154321 (un insieme parallelo più completo) laddove la licenza musicale indicherebbe 143212 che è tecnicamente meno impegnativa. Senza l’aiuto degli esercizi per gli insiemi paralleli la scelta ovvia è quella della licenza musicale. Lo studente può imparare entrambe le diteggiature con ugual facilità usando gli esercizi per gli insiemi pa-ralleli. Le “terzine in tempo 3/8” sono un buon esempio di come leggere ma-le la musica renda difficile portare a velocità e di come si creino i muri di velocità. Quando si suonerà a mani unite si incontreranno dei pro-blemi suonando le terzine della destra in due tempi (modo sbagliato) e la sinistra in tre (giusto). Anche se si fa un secondo errore suonando la sinistra in due tempi, per poterla far corrispondere con la destra, ci sarà un problema nel cambio ritmico delle misure adiacenti. Si potrebbe riuscire a suonare attraverso questi errori a bassa velocità, ma quando si accelera diventano impossibili e si inizia ad erigere un muro di velo-cità. Questo è un esempio dell’importanza del ritmo. È incredibile quante lezioni Bach riesca ad infilare in qualcosa che sembra così sem-plice. Queste complessità ne spiegano in parte il perché: senza i metodi di studio corretti, o la guida di insegnanti ben informati, molti studenti trovano difficile memorizzare Bach o suonarne le composizioni oltre una certa velocità. La carenza di metodi di studio appropriati è la ra-

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gione principale per cui molti studenti finiscono per suonare così pochi pezzi di Bach.

Le Invenzioni sono degli eccellenti pezzi tecnici da lezione. Hanon, Czerny, ecc. hanno provato ad ottenere lo stesso fine usando quello che pensavano fosse un approccio più semplice e sistematico, ma hanno fallito perché hanno provato a semplificare qualcosa di infinitamente complesso. Bach, al contrario, ha ficcato più lezioni possibile in ogni misura, come dimostrato sopra. Hanon, Czerny, ecc. devono essersi resi conto della difficoltà di imparare Bach, ma non erano a conoscenza di buoni metodi di studio ed hanno provato a trovare metodi più sem-plici per acquisire la tecnica seguendo il loro istinto intuitivo. Questo è uno dei migliori esempi storici dei tranelli dell’approccio intuitivo.

Le Invenzioni possono sembrare innaturali perché furono composte per insegnare abilità specifiche. Nonostante questi vincoli i pezzi da le-zione di Bach contengono più musica di praticamente qualsiasi altra co-sa mai composta e ce ne sono a sufficienza per soddisfare le necessità degli studenti di ogni livello, inclusi i principianti. Se le Invenzioni fos-sero troppo difficili, si consideri lo studio di un gran numero di delizio-si (e considerevolmente eseguibili) pezzi da lezione più semplici compo-sti da Bach. La maggior parte di essi si può trovare nel “Libro per ta-stiera di Anna Magdalena Bach” (la sua seconda moglie). La maggior parte dei libri ne conterrà solo una piccola selezione perché ce ne sono talmente tanti. Siccome le Invenzioni sono pezzi da lezione, quasi tutte le edizioni indicano la diteggiatura nei punti critici. Scoprire la diteg-giatura, cosa estremamente importante, non dovrebbe quindi essere un problema.

Le invenzioni furono composte assemblando segmenti ben definiti lunghi di solito qualche misura. Questo li rende ideali per l’uso dello studio segmentato a mani separate, un altro elemento chiave dei metodi di questo libro. Questa e molte altre proprietà delle composizioni di Bach le rende la musica ideale da imparare usando questi metodi ed è piuttosto probabile che furono composte con essi in mente. Bach po-trebbe essere stato consapevole della maggior parte del materiale di questo libro!

Un’altra lezione importante delle Invenzioni di Bach sono gli insiemi paralleli. La lezione tecnica principale di questa Invenzione N.4 è l’insieme parallelo 12345, l’insieme elementare necessario per suonare le scale e le volate. Bach, tuttavia, sapeva che un insieme parallelo sin-golo è pericoloso, da un punto di vista tecnico, perché si può imbro-gliare bloccando la fase senza acquisire alcuna tecnica. Per poter preve-

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nire questo ha aggiunto una o due note. Se si provasse ad imbrogliare ora si verrebbe subito sorpresi perché la musica verrebbe fuori in modo non uniforme: Bach non dà scelta che acquisire la tecnica necessaria se lo si vuole suonare con musicalità! Ecco un altro esempio di Bach che ci insegna perché musica e tecnica sono inseparabili (usa la musica co-me criterio per l’acquisizione della tecnica). Il modo più rapido di im-parare a suonare questa Invenzione è quindi esercitarsi negli insiemi paralleli 12345 e 54321. Non appena si controlleranno le dita usando questi insiemi paralleli si capirà perché Bach compose questa invenzio-ne. Riuscendo ad eseguire questi esercizi per gli insiemi paralleli in modo soddisfacente questo pezzo sarà piuttosto facile, ma si scoprirà che gli insiemi paralleli non sono per niente facili e probabilmente ri-chiederanno un sacco di lavoro anche se si è al livello intermedio. Si lavori prima su questi insiemi usando solo i tasti bianchi; poi si lavori sugli altri che includono i tasti neri, come suggerito da Bach. Un buon esempio è l’insieme parallelo della sinistra 12345 nelle misure 39-40, con il difficile quarto dito su un tasto bianco che segue un 3 su uno ne-ro. Il compositore estrae la parte più difficile di questo insieme paralle-lo, 2345, e la ripete nella misura 49.

Bach vide chiaramente il valore di suonare un piccolo numero di no-te molto rapidamente, come gli abbellimenti ed i trilli, per sviluppare la tecnica (velocità). I suoi abbellimenti sono quindi un altro stratagemma chiave per acquisire la tecnica e sono essenzialmente un piccolo rag-gruppamento di insiemi paralleli. Ci sono numerose discussioni su come suonare gli abbellimenti di Bach, questi sono una parte importan-te dal punto di vista della corretta espressività musicale, ma non dob-biamo mancare il punto che gli abbellimenti nei pezzi da lezione sono essenzialmente espedienti per acquisire velocità e non sono semplici ab-bellimenti musicali. Si suonino i trilli di entrambe le mani con le dita 1 e 3 perché li rendono più facili per la sinistra. La maggior parte degli studenti riuscirà, all’inizio, a suonare il trillo della destra meglio di quel-lo della sinistra: in questo caso si usi la destra per insegnare alla sini-stra. Questo “trasferimento di tecnica” da una mano all’altra è più faci-le se entrambe le mani usano diteggiature simili. Siccome lo scopo di un trillo è semplicemente sostenere le note non è richiesta una velocità specifica; si provi comunque ad effettuare i trilli delle due mani alla stessa velocità. Se si volesse andare molto veloci si usino gli insiemi paralleli per esercitarsi come descritto nella Sezione III.3A. Se si voles-sero eseguire dei trilli veloci è estremamente importante che si inizino le prime due note rapidamente. Il modo più facile di farlo è bloccan-done la fase. Il “suonare in modo non musicale” a fase bloccata non si

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noterà perché accade così rapidamente all’inizio del trillo. Di fatto se le prime due note sono più veloci del resto del trillo il pubblico penserà che l’intero trillo sia più veloce di quanto non sia realmente. Si osser-vino le posizioni delle dita 2, 4 e 5 mentre si esegue il trillo: dovrebbero essere ferme, vicine ai tasti e leggermente ricurve.

La maggior parte degli studenti trova difficile suonare queste Inven-zioni oltre una certa velocità, vediamo quindi una procedura di studio per aumentarla. Usando questo tipo di procedura abituale si dovrebbe, alla fine, riuscire a suonare a praticamente qualsiasi velocità ragionevo-le, incluse quelle di Glen Gould ed altri pianisti famosi. Impareremo a suonare velocemente le misure 1 e 2 e dopo si dovrebbe riuscire a capi-re come accelerare il resto. Si noti che queste due misure sono auto-ciclanti (si veda la Sezione III.2). Si provi a ciclarle rapidamente, è pro-babile che si fallirà perché lo stress si sviluppa rapidamente con la velo-cità. Si studi allora solo 212345 della misura 1 finché non sarà scorrevole e veloce. Poi si studi 154 poi 543321 della seconda misura. Li si congiungano ed infine si ciclino le due misure. Si potrebbe non riuscire a finire tutto il primo giorno, ma il miglioramento post studio renderà le cose più facili il secondo. Si risolvano tutte le difficoltà tec-niche dell’intero pezzo usando metodi simili. La difficoltà chiave della mano sinistra è il 521 della misura 4: ci si eserciti con l’insieme paralle-lo 521 finché non lo si riesca a suonare a qualsiasi velocità, completa-mente rilassati. Si noti che 212345 della destra e 543212 della sinistra sono esercizi di passaggio del pollice. Chiaramente Bach riconobbe che pollice sopra e pollice sotto sono elementi tecnici critici ad alta velocità e creò numerose ed ingegnose opportunità per farli studiare. Prima di riuscire a suonare velocemente a mani unite si devono raggiungere ve-locità a mani separate molto più alte di quella che si vuole ottenere a mani unite. “Raggiungere la velocità” non significa riuscire semplice-mente ad arrivare a velocità, ma riuscire a sentire la calma nelle mani ed avere il completo controllo individuale di ciascun dito. I principianti potrebbero avere bisogno di mesi di studio a mani separate per ottene-re le velocità più alte. Molti studenti tendono ad estrarre più velocità dalle loro dita suonando più forte; anche questa non è vera velocità, perciò in queste sessioni di studio si suoni tutto delicatamente. Quando si inizia a suonare velocemente a mani unite si esageri il ritmo – questo lo potrebbe rendere più facile. Non si può veramente accelerare finché non si riesce a suonare in modo musicale; ne parleremo più avanti. Sebbene la maggior parte delle composizioni di Bach si possano suona-re a diverse velocità, quella minima per le Invenzioni è quella alla quale si riesce a sentire la calma nelle mani quando si acquisisce la tecnica ne-

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cessaria, perché se non si arriva a quella velocità si perde una della sue lezioni più importanti.

Un pianista di livello intermedio dovrebbe essere in grado di conqui-stare le difficoltà tecniche di questa Invenzione in una settimana circa. Ora siamo pronti ad esercitarci a suonarlo come pezzo di musica! Si ascoltino diverse registrazioni per poter avere un’idea di cosa può esse-re fatto e di cosa si vuole fare. Si provino diverse velocità e si decida la propria velocità finale. Ci si videoregistri mentre si suona e si veda se il risultato è visivamente e musicalmente soddisfacente: di solito non lo è e si scoprirà di voler apportare molti miglioramenti. Si potrebbe non essere mai completamente soddisfatti anche dopo aver studiato questo pezzo tutta la vita.

Per poter suonare in modo musicale si deve toccare ciascuna nota prima di suonarla, anche se solo per una frazione di secondo. Far que-sto non solo darà più controllo ed eliminerà gli errori, ma permetterà anche di accelerare di continuo durante la discesa del tasto in modo che lo stiletto del martello si fletta, quando viene colpita la nota, giusto del-la quantità esatta. Si faccia finta che il tasto non abbia fondo e si lasci che sia lui a fermare il movimento. Lo si può fare continuando a suo-nare delicatamente. Questo viene chiamato “suonare in profondità nel pianoforte”. Non si può “alzare alto il dito e sbatterlo giù”, come con-sigliato da Hanon, ed aspettarsi di fare musica. Un tale movimento fa-rà oscillare lo stiletto invece che farlo flettere e produrrà un suono im-prevedibile e sgradevole. Quando si studia a mani separate si studi quindi anche la musicalità. Si usi la “posizione a dita distese” della se-zione III.4B. Si unisca a questo un polso flessibile. Si suoni il più pos-sibile con i polpastrelli (parte opposta alle unghie), non con la punta os-suta delle dita. Se ci si video-registra, la posizione a dita distese sem-brerà da bambini e da dilettanti. Non si può suonare in modo rilassato finché non si rilassano completamente i muscoli estensori delle prime due o tre falangi delle dita da 2 a 5. Questo rilassamento è l’essenza delle posizioni a dita distese. All’inizio si riuscirà ad includere tutte queste considerazioni solo a bassa velocità, ma non appena si sviluppe-rà la calma nelle mani si guadagnerà l’abilità di includerla a velocità più alte. Di fatto, siccome queste posizioni delle dita permettono un com-pleto rilassamento e controllo, si riuscirà a suonare a velocità molto più elevate. Questa è una delle (molte) ragioni per cui la calma nelle mani è così importante. Se non si è prestata attenzione al suonare con musi-calità si dovrebbe sentire un cambiamento immediato della tonalità del-la propria musica quando si adottano questi principi, anche a basse ve-locità.

286 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Tono e colore: il tono migliore è più chiaramente evidente quando si suona delicatamente, suonare in questo modo è utile al rilassamento ed al controllo. La posizione a dita distese è ciò che permette di suonare più delicatamente sotto controllo, ma quanto delicato è “delicato”? Di-pende dalla musica, dalla velocità, ecc., ma a scopo di studio un criterio utile è suonare sempre più delicatamente finché si iniziano a non sentire alcune note; questo livello (o leggermente più forte) è di solito il miglio-re per studiare. Una volta acquisito il controllo del tono (del suono di ciascuna nota individualmente), si provi ad aggiungere colore alla pro-pria musica (effetto di gruppi di note). Il colore di ciascun compositore è differente. Chopin richiede il legato, uno staccato speciale, il rubato, ecc., Mozart richiede la massima attenzione ai segni di espressività; Be-ethoven richiede ritmi ininterrotti che corrono di continuo per molte molte misure, è quindi necessario sviluppare l’abilità di “collegare” mi-sure consecutive. Le Invenzioni di Bach sono in qualche modo fatte apposta e “bloccate” perché sono principalmente limitate a semplici in-siemi paralleli. Si può facilmente superare questo handicap sottoline-ando la moltitudine di concetti musicali che danno alla sua musica una profondità quasi infinita. La musicalità più ovvia deriva dalla armo-nia/conversazione delle mani. La fine di ogni pezzo deve essere specia-le ed i finali di Bach sono sempre convincenti. Non si lasci quindi che il finale arrivi, ci si assicuri che abbia uno scopo. In questa Invenzione si presti un’attenzione particolare alla misura 50 nella quale le mani si spostano in direzioni opposte nell’entrare nell’autorevole finale. Quan-do si porta la musica a velocità e si sviluppa la calma nelle mani le vola-te da sei note (ad esempio 212345, ecc.) dovrebbero suonare come on-de crescenti e calanti. Il trillo della destra è come una campanella per-ché è una semibreve, mentre il trillo della sinistra è più sinistro perché è una minima. Quando si studia a mani separate si noti che il trillo del-la destra non è giusto un trillo, ma arriva a schiantarsi alla fine. In modo analogo il trillo della sinistra è una introduzione al successivo contrappunto della destra. Non si può tirar fuori il colore a meno di sollevare ciascun dito precisamente al momento giusto. Molti dei pezzi da lezione di Bach contengono lezioni sul sollevamento preciso delle dita. Sicuramente il colore dovrebbe essere investigato inizialmente a mani separate. Anche la calma nelle mani si acquisisce più facilmente a mani separate; una preparazione adeguata a mani separate, prima dello studio a mani unite, è quindi di importanza capitale per il tono ed il co-lore. Una volta che il lavoro di preparazione è stato fatto si può inizia-re a mani unite e tirar fuori l’incredibile ricchezza della musica di Bach!

III.19 - LA PROCEDURA DI STUDIO “IDEALE” 287

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Il tono ed il colore non hanno limiti, nel senso che una volta riusciti diventa facile aggiungerne altro e la musica diventa veramente più faci-le da suonare. D’improvviso si potrebbe scoprire di riuscire a suonare l’intera composizione senza neanche un errore udibile. Questa è pro-babilmente la più chiara dimostrazione dell’affermazione che non si può separare la musica dalla tecnica. L’atto di produrre buona musica rende veramente migliori pianisti e questo fornisce una delle spiegazio-ni del perché si hanno giorni belli e giorni brutti – quando l’umore mentale ed il condizionamento delle dita sono proprio giusti da poter controllare tono e colore, si avrà un giorno bello. Tutto ciò ci insegna che nei giorni brutti si potrebbe riuscire a “recuperare” provando a ri-cordare i fondamentali di come si controllano tono e colore.

Qui finisce l’analisi dell’Invenzione N.4, torniamo ora alla procedura di studio.

Si sta studiando da oltre un’ora e le dita volano: è il momento in cui si può veramente fare musica! Si deve fare ogni sforzo per esercitarsi a fare musica durante l’ultima mezz’ora del tempo dedicato allo studio. Una volta messo su un repertorio abbastanza ampio si dovrebbe pro-vare ad aumentare il “momento della musica” dal 50% al 90% del tem-po. Si deve quindi consciamente dedicare alla musica questa porzione della seduta di studio. Si suoni con tutto il cuore, il sentimento e l’espressività che si riesce a mettere insieme. Trovare l’espressività mu-sicale è molto difficile ed estenuante; inizialmente, quindi, richiederà molto più condizionamento ed impegno di qualsiasi cosa si possa fare con gli esercizi Hanon. Senza un insegnante gli unici modi conosciuti per imparare la musicalità sono ascoltare le registrazioni ed assistere ai concerti. Se è stato programmato di eseguire una particolare compo-sizione nel prossimo futuro, la si suoni una volta lentamente o almeno ad una velocità a cui ci si senta a proprio agio e si abbia il pieno con-trollo, prima di passare a qualcosa di diverso. L’espressività non è im-portante quando si suona lentamente prima di passare a qualcos’altro.

Imparare Bach è molto enfatizzato in questo libro. Perché? Perché la musica di Bach scritta per lo sviluppo della tecnica è unica, nella pe-dagogia del pianoforte, nel suo sano, completo, efficiente e corretto ap-proccio all’acquisizione della tecnica – non c’è niente come lei. Ogni insegnante esperto assegnerà qualche pezzo di Bach da studiare. Come accennato prima l’unica ragione per cui gli studenti non imparano più i pezzi di Bach è che senza i metodi di studio giusti sembrano così diffici-li. Si possono dimostrare a se stessi i benefici delle lezioni di Bach im-parando cinque delle sue composizioni tecniche ed esercitandosi ad esse

288 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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per metà di un anno o più. Si torni poi indietro e si suonino i pezzi più difficili che si erano studiati prima e si resterà sorpresi dalla grande faci-lità e controllo acquisiti. Le composizioni di Bach furono progettate per creare pianisti concertisti con una solida tecnica di base. Gli studi di Chopin non furono progettati con in mente uno sviluppo tecnico completo e graduale e molte delle composizioni di Beethoven possono portare ad infortuni alle mani ed alle orecchie se non si viene corretta-mente guidati (sembra abbiano danneggiato l’udito di Beethoven stes-so). Nessuno di questi insegna come studiare. Le composizioni di Bach emergono quindi sopra tutte le altre per lo sviluppo della tecnica. Possiamo ora trarre pieno vantaggio, con i metodi di studio di questo libro, dalle risorse di Bach, tristemente sotto-utilizzate nel passato.

Riassumendo, non c’è alcuna procedura di studio magica per impara-re più velocemente. Solo i praticanti del metodo intuitivo, che non sanno come insegnare i metodi di studio, hanno bisogno del concetto di “procedura di studio abituale”: un misero sostituto dei metodi di studio mancanti. Il concetto di procedura di studio abituale diventa un’idea in qualche modo bizzarra per chi conosce i metodi di studio corretti. Ad esempio, una tipica procedura di studio abituale potrebbe comincia-re con esercizi Hanon che si possono comunque accelerare fino a velo-cità ridicole applicando i metodi di questo libro. Una volta ottenuto questo ci si comincia a domandare perché lo si sta facendo. Ora, cosa si guadagna nel suonare questi pezzi Hanon ogni giorno ad una veloci-tà ridicolamente alta? Invece di una procedura di studio convenzionale si deve definire quali sono gli obiettivi della sessione di studio e sceglie-re i metodi di studio necessari a raggiungerli. Di fatto, la procedura di studio evolverà continuamente durante ciascuna seduta. La chiave nel mettere a punto una buona procedura di studio è cioè una intima cono-scenza di tutti i metodi. Quanto è diverso questo dalla procedura intui-tiva descritta nella Sezione II.1! Basta! esercizi estensivi per le dita o Czerny ed altri pezzi per il solo lavoro tecnico privo di musica. Basta! sedute di studio strutturate piene di interminabili ripetizioni con il cer-vello staccato. Basta! limiti di velocità, muri di velocità o il noioso stu-dio lento con il metronomo. Il nostro metodo è puro conferimento di poteri che ci permette di padroneggiare rapidamente il materiale tecnico in modo da poterci focalizzare sulla musica ed anche imparare quanti pezzi di Bach desideriamo.

III.19 - LA PROCEDURA DI STUDIO “IDEALE” 289

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III.20 - Bach: Il più Grande Compositore ed Insegnante (15 Invenzioni a Due Voci)

In questa sezione analizzeremo brevemente (da un semplice punto di vista strutturale) le quindici Invenzioni a Due Voci di Bach per esplora-re il come ed il perché le compose. L’obiettivo è capire meglio come studiare e trarre beneficio dalle sue composizioni. Come sottoprodotto possiamo usare questi risultati per speculare su cosa sia la musica e come Bach ne produsse di così incredibile da quello che (dimostrere-mo) risulta essere “materiale da insegnamento” di base (che non do-vrebbe essere diverso dal Czerny o Cramer-Bulow). Chiaramente Bach usò i concetti musicali avanzati dell’armonia, del contrappunto, ecc. che i teorici della musica stanno ancora oggi discutendo, mentre gli altri scrissero “musica da lezione” principalmente per il suo valore di allenamento delle dita. Esaminiamo qui le Invenzioni solo al più sem-plice livello strutturale. Ci sono alcune intricanti idee educative da e-splorare, anche a questo livello elementare, per arrivare a renderci con-to come musica e tecnica siano inseparabili.

C’è un bel saggio sulle Invenzioni di Bach, e la loro storia, del Dr. Yo Tomita della Queen’s University di Belfast, Irlanda, all’indirizzo inter-net: http://www.music.qub.ac.uk/~tomita/essay/inventions.html una delle mi-gliori analisi delle Invenzioni e cosa esse contengano. Il nome “Inven-zioni” non sembra avere alcun significato specifico rispetto al loro con-tenuto. Ciascuna di esse usa una scala diversa (in ordine ascendente di tonalità), queste erano importanti nei Ben Temperamenti preferiti all’epoca di Bach. Inizialmente scritte per il primogenito Wilhelm Frie-demann quando aveva nove anni, attorno al 1720, furono successiva-mente aggiornate ed insegnate agli altri studenti.

La caratteristica singola più impressionante, comune a tutte le Inven-zioni, è che ciascuna si concentra su un piccolo numero di insiemi pa-ralleli, di solito meno di tre. Ora si potrebbe dire: “Non è corretto – siccome praticamente qualsiasi composizione può essere decomposta in insiemi paralleli, le Invenzioni devono certamente esserne piene, quindi cosa c’è di nuovo?” L’elemento nuovo è che ciascuna Invenzione è ba-sata solo su 1÷3 insiemi paralleli specifici che Bach scelse da far studia-re. Lo dimostreremo più avanti elencandoli tutti per ogni Invenzione. Bach evita completamente l’uso delle terze e degli accordi più complessi (in una mano) che Hanon usa nei suoi ultimi esercizi. Bach voleva quindi che i suoi studenti avessero la padronanza degli insiemi paralleli prima degli accordi.

290 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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Gli insiemi paralleli singoli sono quasi banali da un punto di vista tecnico. Per questo sono utili – sono facili da imparare. Chiunque ab-bia una qualche esperienza al pianoforte può imparare a suonarli piut-tosto velocemente. Le vere sfide tecniche sorgono quando si devono unire con una congiunzione. Bach ovviamente lo sapeva ed usò per questo solo combinazioni di insiemi paralleli come mattoni da costru-zione. Le Invenzioni insegnano quindi a suonare gli insiemi paralleli e le congiunzioni – senza di esse sarebbero inutili. Più avanti userò il termine insiemi paralleli “lineari” per indicare quelli in cui le dita suo-nano in sequenza (ad esempio 12345) ed “alternanti” per quelli in cui le dita si alternano (ad esempio 132435). L’unione di questi insiemi paral-leli forma, in queste Invenzioni, quelli che normalmente vengono chiamati “motivi”. Il fatto che vengano creati usando gli insiemi paral-leli più elementari suggerisce tuttavia che i “motivi” non vennero scelti per il loro contenuto musicale, ma per il loro valore pedagogico e la musica venne aggiunta dal genio di Bach. Egli solo, quindi, avrebbe potuto compiere una tale impresa e questo spiega perché Hanon fallì. Vengono elencate più avanti solo le combinazioni di insiemi paralleli più significative per ogni Invenzione. Bach le usò in tante varianti: ro-vesciate, invertite, eccetera. Si noti che Hanon basò i suoi esercizi es-senzialmente sugli stessi insiemi paralleli. Elenco degli insiemi paralleli per ogni Invenzione (mano destra): 1: 1234 e 4231 (lineare seguito da alternante). In una modifica se-

guente di questa Invenzione, l’insieme alternante 4231 fu sostituito da due insiemi lineari 432, 321. Questo cambiamento è logico per-ché converte questa Invenzione da una che insegna due tipi diversi di insiemi paralleli ad una che si concentra su di uno solo, perché sembra che queste Invenzioni siano sistemate in ordine di comples-sità crescente. Quest’ordine potrebbe tuttavia non essere lo stesso per gran parte delle persone.

2: Insiemi lineari come nella N.1, ma con una varietà più ampia di congiunzioni. Una complessità aggiuntiva è che lo stesso motivo, che compare in punti diversi, richiede una diteggiatura diversa. Le prime due invenzioni trattano quindi principalmente insiemi lineari, ma la seconda è più complessa.

3: 324 e 321 (alternante seguito da lineare). Viene introdotto un breve insieme alternante.

4: 12345 e 54321 con una congiunzione insolita. Questi insiemi linea-ri più lunghi con la congiunzione insolita aumentano la difficoltà.

III.20 - BACH: IL PIÙ GRANDE COMPOSITORE ED INSEGNANTE 291

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5: 4534231; insiemi alternanti completi. 6: 545, 434, 323, ecc. il più semplice esempio dei più elementari in-

siemi paralleli di due note uniti da una congiunzione; questi sono difficili quando vengono coinvolte le dita più deboli. Sebbene sem-plici, sono elementi tecnici elementari estremamente importanti ed alternarli tra le due mani è un ottimo modo per imparare a control-larli (usando una mano per insegnare all’altra, Sezione II.20). In-troduce anche insiemi arpeggianti.

7: 543231; questo è come una combinazione del N.3 e N.4 ed è quin-di più complesso di entrambi.

8: 14321 e la prima introduzione della combinazione “albertina” 2434. Qui la progressione di difficoltà viene creata dal fatto che l’insieme iniziale 14 è di uno o due semitoni, il che lo rende difficile nelle combinazioni che coinvolgono le dita più deboli. È incredibile co-me Bach non solo conoscesse tutte le combinazioni di dita deboli, ma fu anche in grado di infilarle nella vera musica.

9: Le lezioni sono qui simili a quelle della N.2 (insiemi lineari), ma più difficili.

10: Questo pezzo consiste quasi completamente in insiemi arpeggianti. Siccome questi coinvolgono grandi distanze da percorrere tra le no-te, rappresentano una altro passo in avanti in difficoltà.

11: Simili a quelli dal N.2 al N.9; di nuovo, la difficoltà viene aumenta-ta allungando il motivo rispetto ai pezzi precedenti. Si noti che in tutti gli altri pezzi ce n’è solo uno breve seguito da una semplice sezione in contrappunto che facilita la concentrazione sugli insiemi paralleli.

12: Questa combina gli insiemi lineari con quelli arpeggianti e viene suonata più velocemente degli altri pezzi.

13: Insiemi arpeggianti suonati più velocemente di quelli della N.10. 14: 12321, 43234; una versione più difficile della N.3 (5 note al posto

di 3 e più veloci). 15: 3431, 4541, combinazioni difficili che coinvolgono il dito 4. Queste

combinazioni di dita diventano particolarmente difficili da suonare quando se ne mettono molte in fila.

Questo elenco mostra che: (1) C’è una introduzione sistematica di insiemi paralleli di complessità

crescente.

292 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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(2) Tende ad esserci un aumento progressivo di difficoltà, con enfasi sullo sviluppo delle dita più deboli.

(3) I “motivi” sono in realtà insiemi paralleli e congiunzioni scelti con cura per il loro valore tecnico, proprio come nella serie Hanon. Bach tuttavia riuscì dove Hanon fallì perché aveva capito la diffe-renza tra musica e rumore, e che musica e tecnica non si possono imparare separatamente.

È intrigante il fatto che i motivi, scelti semplicemente per la loro utili-tà tecnica, si possano usare per creare alcuna della più bella musica mai composta. Questo non è nuovo ai compositori. Per l’amante medio della musica, innamorato di quella di Bach, questi motivi sembrano a-vere un significato speciale con un apparente valore musicale profondo a causa della familiarità creata dall’ascolto ripetuto. In realtà non sono i motivi in se stessi a produrre la magia, ma il come vengono usati nella composizione. Se si osservano semplicemente quelli più elementari e semplici, difficilmente si noteranno differenze tra Bach e Hanon, ma nonostante ciò nessuno considererebbe musica gli esercizi di quest’ul-timo. Il motivo completo in realtà consiste negli insiemi paralleli e la relativa sezione in contrappunto suonata dall’altra mano. Lo scaltro uso del contrappunto da parte di Bach serve ovviamente a molti scopi, uno dei quali è creare musica. Il contrappunto (che manca negli eserci-zi Hanon) potrebbe sembrare non aggiunga lezioni tecniche (la ragione per cui Hanon lo ha ignorato), ma Bach lo usa per esercitare abilità tecniche come i trilli, gli abbellimenti, lo staccato, ecc. e rende molto più facile comporre musica e regolare il livello di difficoltà.

La musica viene perciò creata da qualche sequenza “logica” di note o insiemi di note riconosciuti dal cervello, proprio come i balletti, i bei fiori o un magnifico panorama riconosciuto visivamente. Cosa è que-sta “logica”? Una grossa parte di essa è automatica, come nel caso vi-sivo: inizia con una componente innata (i neonati si addormentano quando ascoltano una ninna-nanna), ma una grossa componente può essere coltivata (ad esempio Bach vs. Rock&Roll). Anche la compo-nente coltivata è però in gran parte automatica. In altre parole quando un qualsiasi suono entra nell’orecchio il cervello inizia istantaneamente a processare ed interpretare le informazioni, che lo si voglia provare a fare consapevolmente o meno. La maggior parte di questo processo è innata e/o coltivata, ma è fondamentalmente fuori dal nostro controllo cosciente. L’esito di questa elaborazione mentale è ciò che chiamiamo apprezzamento della musica. Le progressioni di accordi, ed altri ele-menti della teoria della musica, ci forniscono una qualche idea di cosa

III.20 - BACH: IL PIÙ GRANDE COMPOSITORE ED INSEGNANTE 293

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sia questa logica. La maggior parte della “teoria” oggi è una semplice raccolta di varie proprietà di vera musica originale esistente. Non for-nisce una teoria elementare sufficiente da permetterci di crearne, seb-bene ci permetta di evitare trabocchetti e di estendere/completare una composizione una volta che venga creato un motivo passabile. Sembra quindi che la teoria musicale di oggi sia ancora molto incompleta. Spe-riamo che analizzando ulteriormente la musica dei grandi maestri si possa, lentamente, passo dopo passo, raggiungere l’obiettivo di svilup-parne una migliore comprensione.

Infine è chiaro che le Invenzioni furono realizzate per sviluppare la tecnica. La musica di Bach, tuttavia, non è stata usata in passato quan-to avrebbe dovuto esserlo a causa della difficoltà di imparare a suonar-la da parte degli studenti con poca dimestichezza con metodi di studio efficienti. I metodi di questo libro dovrebbero eliminare queste difficol-tà e permetterne un uso più diffuso, per una sana acquisizione della tec-nica, di questa risorsa di grande valore. Spero che questa sezione abbia illustrato la sinergia tra gli insegnamenti di Bach ed i metodi di questo libro; essa permetterà a più studenti di trarre beneficio dalla musica più grandiosa al mondo composta dal più grande insegnante al mondo.

294 III. ARGOMENTI SCELTI SULLO STUDIO DEL PIANOFORTE

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IV. TEORIA MATEMATICA

SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

IV.1 - Perché Abbiamo Bisogno di Una Teoria Matematica? Qualsiasi disciplina può trarre beneficio da una teoria matematica di base, a patto di riuscire a formularne una valida. Tutti i campi mate-matizzati con successo sono inevitabilmente avanzati molto rapidamen-te. Questo perché, una volta formulata correttamente la teoria, le po-tenti conclusioni e gli strumenti matematici possono essere applicati con grande sicurezza. Più avanti c’è il mio primo tentativo ad una tale for-mulazione per il pianoforte; per quanto ne sappia è il primo del genere nella storia dell’uomo. Un territorio così vergine ha storicamente por-tato enormi benefici molto rapidamente. Mi sono io stesso sorpreso da quante, e qualche volta fin’ora sconosciute, conclusioni utili possiamo trarre, come vedremo, da alcune teorie molto rudimentali. Qualunque matematica userò più avanti sarà sempre veramente semplice: in questo stadio iniziale possiamo fare un sacco con i concetti più semplici. Sono ovviamente possibili ulteriori progressi con l’applicazione di matemati-ca di livello più alto, parlerò anche di alcune di queste possibilità.

Ci sono pochi dubbi che l’arte di suonare il pianoforte soffra di una totale mancanza di analisi matematica. Inoltre nessuno dubita che ve-

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locità, accelerazione, quantità di moto, forza, ecc. giochino un ruolo chiave nel suonare il pianoforte. Non importa quale genio stia dietro l’artista, la musica deve essere trasmessa attraverso carne, ossa ed un marchingegno meccanico consistente in legno, feltro e metallo. Abbia-mo perciò a che fare non solo con un approccio matematico, ma con approccio del tutto scientifico che coinvolge la fisiologia, la psicologia, la meccanica e la fisica, che si uniscono per rappresentare ciò che fac-ciamo al pianoforte.

Il bisogno di un tale approccio è dimostrato dal fatto che ci sono mol-te domande alle quali non abbiamo ancora risposto. Cosa è un muro di velocità? Qual è la sua causa? C’è una formula per superarlo? Co-sa fanno i pianisti quando suonano in modo stridulo e non dolce o su-perficiale e non profondo? È possibile insegnare a due diversi pianisti a suonare lo stesso passaggio in esattamente lo stesso modo? C’è un qualche modo di classificare i diversi movimenti delle dita come quello per l’andatura dei cavalli? Risponderemo più avanti a tutte queste do-mande.

I vantaggi di una teoria matematica sono ovvi: se riuscissimo, ad e-sempio, a rispondere matematicamente alla domanda riguardo a cosa sia un muro di velocità (o cosa siano, se la teoria ne prevede più d’uno) allora la teoria dovrebbe immediatamente fornirci una possibile solu-zione su come abbatterlo (o abbatterli). Oggi nessuno sa quanti muri di velocità ci siano. Il solo conoscerne il numero sarebbe un progresso eccezionale. Può essere importante dimostrare matematicamente che due pianisti (o un pianista) non possono (o non può) suonare lo stesso pezzo esattamente nello stesso modo. Questo perché in questo caso a-scoltare qualcun altro suonare potrebbe non essere dannoso, perché non lo si potrebbe imitare (assumendo che un’imitazione esatta non sia desiderabile). Provare ad insegnare ad uno studente ad imitare esatta-mente un artista famoso si scoprirebbe essere impossibile. Questo chia-ramente influenzerebbe il modo in cui gli insegnanti usano le registra-zioni di artisti famosi come esempi.

Fino a poco tempo fa i chimici sbeffeggiavano i fisici perché questi e-rano in grado di applicare equazioni ad un sacco di cose, ma non riu-scivano neanche ad avvicinarsi allo spiegare delle semplici reazioni chimiche. Anche la medicina e la biologia si svilupparono inizialmente nei loro modi con poca matematica ed usando metodi da molto tempo rimossi dalla scienza di base. La medicina, la biologia e la chimica ini-ziarono tutte come arti pure, ora tutte le tre discipline sono intensamen-te matematiche e si basano sui principi scientifici più avanzati. I risulta-

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ti rassicuranti in questi campi sono troppo numerosi per parlarne qui. Un esempio: in chimica la cosa più fondamentale per il chimico, la ta-vola degli elementi, fu spiegata dai fisici usando la meccanica quantisti-ca. Come risultato di essere diventate più scientifiche tutte le tre disci-pline hanno avuto enorme successo e stanno progredendo molto rapi-damente. La “scientifizzazione” di qualsiasi disciplina è inevitabile a causa degli enormi vantaggi che ne possono derivare, è solo questione di tempo. I benefici della scientifizzazione si applicheranno anche alla musica.

Come applichiamo, quindi, la scienza esatta della matematica a qual-cosa percepito come un’arte? Certamente all’inizio sarà grezza, ma gli affinamenti seguiranno di sicuro. I tecnici del pianoforte sanno già che il pianoforte stesso è una meraviglia dell’uso della fisica elementare e della progettazione. Essi devono avere dimestichezza con un’enorme quantità di scienza, matematica e fisica per poter esercitare la loro arte. Una teoria matematica sul suonare il pianoforte deve iniziare con un approccio scientifico in cui ciascun elemento di analisi viene chiaramen-te definito e classificato (si veda “Il Metodo Scientifico” nel Capitolo Tre). Una volta ottenuto tutto questo, cercheremo tutte le relazioni ri-levanti tra questi oggetti. Queste procedure includono l’essenza della Teoria dei Gruppi. È elementare! Cominciamo.

IV.2 - La Teoria del Movimento del Dito nel Pianoforte

A) Suonare Serie e Suonare Parallelo I movimenti delle dita per suonare il pianoforte si possono classificare, al livello più elementare, come serie e parallelo. Nel suonare serie cia-scun dito viene abbassato in successione. Una scala è un esempio di qualcosa che può essere suonato serie. Nel suonare parallelo le dita si muovono tutte insieme. Un accordo è un esempio di suonare parallelo. Come vedremo più avanti, anche una scala può essere suonata paralle-lo.

Suonare serie si può descrivere con una qualsiasi funzione oscillatoria, come quelle trigonometriche o iperboliche: è fondamentalmente carat-terizzato da un’ampiezza (la distanza di movimento del dito in su e in giù) ed una frequenza (quanto velocemente si muove il dito). Tranne gli accordi ed i rapidi rullii, la maggior parte dei pezzi lenti si può suo-nare serie ed i principianti tendono ad iniziare suonando in questo mo-do. Nel suonare parallelo c’è una relazione di fase ben definita tra le varie dita. Parleremo quindi ora in dettaglio della fase.

IV.2 - LA TEORIA DEL MOVIMENTO DEL DITO NEL PIANOFORTE 297

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La fase è la misura di dove si trova il dito rispetto alle altre dita. Sup-poniamo di usare una funzione trigonometrica (seno, coseno, ecc.) per descrivere il movimento del dito. Allora nella sua posizione di riposo il dito è, diciamo, a zero gradi nello spazio di fase. Siccome sappiamo come si suona il pianoforte, metteremo un po’ della nostra conoscenza nella definizione di fase. Sollevare le dita dai tasti non è in generale il modo giusto di suonare perciò definiamo lo zero della fase come la posizione di riposo superiore. La posizione di fase zero dei tasti neri sarà perciò più alta, della loro altezza, rispetto a quella di quelli bianchi. Assumiamo inoltre che sollevando le dita dai tasti il movimento in più non conti rispetto alla fase. Queste convenzioni si accordano con la buona tecnica e semplificano anche la matematica. La fase di questi movimenti si può quindi definire come: dito che preme a metà verso il basso = 90 gradi; fino in fondo = 180 gradi; a metà risalendo = 270 gradi; e tornando in su alla posizione originaria = 360 gradi che è anche di nuovo zero gradi. Ora, nel suonare parallelo se il secondo di-to inizia a muoversi quando il primo è a 90 gradi ed il terzo quando il primo è a 180 gradi allora si suoneranno le note quattro volte più velo-cemente rispetto al suonarle serie alla stessa velocità delle dita. In que-sto caso la differenza di fase tra le dita è di 90 gradi. Se questa venisse ridotta a 9 gradi le note verrebbero suonate quaranta volte più veloce-mente. Quest’esempio illustra la potenza del suonare parallelo per au-mentare la velocità. In un accordo la differenza di fase è zero.

Suonare serie si può definire come un suonare parallelo in cui la diffe-renza di fase tra dita successive è circa 360 gradi o in cui le fasi non so-no in relazione tra loro. Il movimento della mano aiuta entrambi il suonare serie e parallelo, ma in modo diverso. Aiuta a suonare serie aggiungendo ampiezza, ma aiuta a suonare parallelo in maniera più ap-prezzabile aiutando a controllare la fase. Possiamo cominciare a gene-rare risultati utili usando queste semplici definizioni.

B) I Muri di Velocità Assumiamo che una persona cominci a studiare un pezzo di musica suonando all’inizio lentamente e principalmente serie perché è il modo più facile (per ora ignoriamo gli accordi). Al graduale aumentare della velocità delle dita incontrerà naturalmente un muro di velocità perché le dita umane si possono muovere solo fino ad una certa velocità. Ab-biamo così scoperto matematicamente un muro di velocità, ovvero quello del suonare serie. Come abbattiamo questo muro? Abbiamo bisogno di trovare un modo di suonare che non abbia limiti di velocità e questo è il suonare parallelo: aumentiamo la velocità diminuendo la

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differenza di fase. Vale a dire, la velocità è numericamente proporzio-nale all’inverso della differenza di fase. Siccome sappiamo che la diffe-renza di fase può arrivare fino a zero (farlo ci dà un accordo), sappiamo che suonare parallelo ha la potenzialità di darci velocità infinita e quin-di non c’è un limite teorico. Siamo arrivati all’essenza matematica dell’attacco ad accordo!

La distinzione tra suonare serie e suonare parallelo è in qualche modo artificiosa e sovra-semplificata. In realtà viene praticamente suonato tutto parallelo. La precedente analisi è servita solo ad illustrare come definire o identificare un muro di velocità. La situazione reale di cia-scun individuo è troppo complessa da descrivere (perché i muri di ve-locità sono dovuti alle brutte abitudini, allo stress ed al suonare a mani unite), ma è chiaro che i metodi sbagliati sono ciò che crea i muri di ve-locità e che ogni persona commette i propri errori che portano ad essi. Si dimostra questo con l’uso degli esercizi per gli insiemi paralleli, che permettono di superarli. Questo vuol dire che i muri di velocità non sono sempre lì da soli, ma vengono creati da ciascun individuo. Ci pos-sono essere un numero qualsiasi di muri di velocità in base all’individualità di ciascuno ed ognuno ne ha un insieme diverso. Ci sono certamente classi comuni di muri di velocità come quelli creati dallo stress, dalla diteggiatura sbagliata, dalla carenza di tecnica a mani separate, dalla mancanza di coordinazione a mani unite, eccetera. Se-condo me sarebbe molto controproducente dire che concetti così com-plessi non saranno mai trattati scientificamente o matematicamente. Dobbiamo farlo. Nel suonare parallelo, ad esempio, la fase gioca un ruolo molto importante: in linea di principio diminuendo la fase a zero potremmo suonare infinitamente veloce.

Possiamo veramente suonare infinitamente veloce? Certamente no. Qual è allora il limite ultimo di velocità nel suonare parallelo e quali meccanismi lo creano? Sappiamo che individui diversi hanno limiti di velocità diversi perciò la risposta deve includere un parametro che di-pende dall’individuo. La conoscenza di questo parametro ci dirà come suonare più velocemente! Chiaramente la velocità più alta è determi-nata dalla più bassa differenza di fase che l’individuo riesce a controlla-re. Se questa di fase fosse così piccola da non poter essere controllata allora “la velocità del suonare parallelo” perde significato. Come misu-riamo questa piccolissima differenza di fase di ognuno? Si può ricavare ascoltando i suoi accordi: la precisione nel suonare un accordo (con quale precisione vengono suonate contemporaneamente le note) è una buona misura della capacità individuale di controllare le più piccole dif-ferenze di fase. Per poter suonare parallelo velocemente si deve quindi

IV.2 - LA TEORIA DEL MOVIMENTO DEL DITO NEL PIANOFORTE 299

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riuscire a suonare con precisione gli accordi. Questo significa che ap-plicando l’attacco ad accordo si deve riuscire a suonare l’accordo con precisione prima di fare il passo successivo.

È chiaro che ci sono molti altri muri di velocità e ciascuno di essi, ed il metodo per scalarlo, dipenderà dal tipo di movimento del dito o della mano. Si potrebbe, ad esempio, ottenere una velocità infinita suonan-do parallelo solo avendo un numero infinito di dita (diciamo per una lunga volata). Sfortunatamente abbiamo solo dieci dita e spesso solo cinque sono disponibili per un particolare passaggio perché le altre so-no richieste per suonare altre parti della musica. Con una grossolana approssimazione, se suonare serie permette di suonare ad una velocità massima M allora si può suonare serie a 2M usando due dita, 3M con tre, eccetera. La velocità massima è limitata da quanto si riescano a ri-ciclare rapidamente queste dita. In realtà non è del tutto vero a causa della conservazione della quantità di moto (permette di suonare più ve-locemente) che sarà trattata separatamente più avanti. Ciascuno nume-ro di dita disponibili darà perciò un diverso nuovo muro di velocità. Siamo quindi arrivati a due nuovi risultati utili: (1) ci può essere un qualsiasi numero di muri di velocità e (2) si può cambiare muro di ve-locità cambiando diteggiatura. In generale più dita si possono usare in parallelo prima di doverle riciclare e più veloce si può suonare. Met-tendola diversamente: la maggior parte delle congiunzioni porta con sé i suoi muri di velocità.

C) Aumentare La Velocità Questi risultati ci forniscono anche la base matematica per spiegare il ben noto trucco di alternare le dita quando si suona più volte la stessa nota. Uno potrebbe a prima vista pensare che usare un solo dito sia più facile e offra più controllo, ma quella nota si può suonare ripetuta-mente più velocemente suonando parallelo e usando più dita possibile in quella situazione, piuttosto che suonando serie.

La necessità di suonare parallelo fa distinguere i trilli come partico-larmente difficili da suonare velocemente perché in generale devono es-sere eseguiti con sole due dita. Se si provasse un trillo con un solo dito si incontrerebbe un muro di velocità diciamo alla velocità M; se lo si eseguisse con due dita il muro di velocità sarebbe a 2M (di nuovo igno-rando la conservazione della quantità di moto). La matematica ci sug-gerisce qualche altro modo di raggiungere velocità ancora più alte? Sì: mediante il troncamento di fase.

Ciò che si può fare è abbassare il dito per suonare la nota e sollevarlo, prima di suonare la nota successiva, solo quanto basta a ripristinare il

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meccanismo di ripetizione. Potrebbe essere necessario alzarlo solo di 90 gradi invece che dei normali 180. È questo ciò che intendo con troncamento di fase: viene eliminata la parte non necessaria della fase totale. Se l’ampiezza originaria del percorso del dito nel movimento di 360 gradi è di due centimetri, con un troncamento di 180 gradi il dito si muove di un solo centimetro. Questo centimetro si può ulteriormente ridurre fino al limite in cui il meccanismo di ripetizione smette di fun-zionare, a circa 5 mm. Il troncamento di fase è la base matematica per la ripetizione veloce nei coda e spiega perché i meccanismi di ripetizio-ne rapida sono stati progettati per funzionare con una breve distanza di ritorno.

Una buona analogia al guadagnare velocità in questo modo è l’atto di palleggiare nella pallacanestro rispetto all’atto di dondolio di un pendo-lo. Un pendolo ha una frequenza di oscillazione fissa indipendente dall’ampiezza dell’oscillazione stessa. Una palla da basket, tuttavia, pal-leggerà più rapidamente all’avvicinarsi al terreno (al diminuire dell’ampiezza). Un giocatore di basket ha in genere difficoltà a palleg-giare finché non impara questo cambiamento della frequenza di palleg-gio con l’altezza. Un pianoforte funziona (fortunatamente!) più come una palla da basket che come un pendolo. La frequenza del trillo au-menta col diminuire dell’ampiezza finché non si raggiunge il limite del meccanismo di ripetizione. Si noti che anche nei trilli più veloci il pa-ramartello viene coinvolto perché in un trillo corretto i tasti devono sempre essere premuti fino in fondo. Il trillo è possibile perché la rea-zione meccanica del paramartello è più veloce della più alta velocità che il dito possa raggiungere.

La velocità del trillo non è limitata dal meccanismo del pianoforte ec-cetto che dall’altezza alla quale la ripetizione smette di funzionare. È quindi più difficile eseguire trilli rapidi nella maggior parte dei verticali perché il troncamento di fase non è così efficace. Queste conclusioni matematiche sono coerenti con il fatto che per eseguire velocemente i trilli abbiamo bisogno di tener le dita sui tasti e di ridurre i movimenti al minimo necessario affinché il meccanismo di ripetizione si attivi. Le dita devono premere “in profondità” nel pianoforte e devono essere sollevate quanto basta per attivare il meccanismo di ripetizione. Inoltre è utile usare le corde per far rimbalzare indietro il martello proprio co-me si fa rimbalzare la palla da basket sul pavimento. Si noti che una palla da basket palleggia più velocemente, per una data ampiezza, se si spinge più forte su di essa. Al pianoforte questo si ottiene premendo con decisione verso il basso le dita sui tasti e non lasciandoli “venire a galla” mentre si esegue il trillo.

IV.2 - LA TEORIA DEL MOVIMENTO DEL DITO NEL PIANOFORTE 301

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Un altro fattore importante è la dipendenza funzionale del moto del dito (puramente trigonometrica o iperbolica, ecc.) per controllare il to-no, lo staccato ed altre proprietà del suono relative all’espressività. È un compito facile, con semplici strumenti elettronici, misurare il movi-mento esatto del dito, comprese velocità, accelerazione, eccetera. Que-ste caratteristiche del modo di suonare di ciascun pianista potrebbero essere trattate matematicamente per ottenere firme elettroniche caratte-ristiche identificabili con quello che sentiamo all’orecchio: arrabbiato, piacevole, chiassoso, profondo, poco profondo, eccetera. Il movimento del percorso del tasto si può ad esempio analizzare con la FFT (Fast Fourier Transform) e dovrebbe essere possibile identificare, dai risulta-ti, quegli elementi di movimento che producono le corrispondenti ca-ratteristiche acustiche. Procedendo poi all’indietro dovrebbe essere possibile decifrare, da queste caratteristiche, come si debba suonare per produrre questi effetti. È un’area del tutto nuova, del suonare il piano-forte, che non è stata ancora sfruttata. Questo tipo di analisi non è possibile semplicemente ascoltando una registrazione di un famoso arti-sta e potrebbe essere l’argomento più importante di ricerca futura.

IV.3 - Termodinamica dell’Esecuzione al Pianoforte Lo studio dei grandi numeri è un campo importante della matematica. Anche quando eventi singoli di un particolare tipo non sono prevedibi-li, grandi numeri di tali eventi si comportano spesso secondo rigide re-gole. Sebbene l’energia delle singole molecole dell’acqua in un bicchie-re possano differire notevolmente, la temperatura dell’acqua può resta-re molto costante e può essere misurata con grande precisione. Suona-re il pianoforte presenta una situazione analoga che ci permetta di ap-plicare le leggi dei grandi numeri e tramite esse trarre conclusioni utili?

Suonare il pianoforte è un processo complesso a causa del gran nu-mero di variabili che entrano in gioco nella produzione della musica. Lo studio dei grandi numeri si realizza contando il “numero di stati” di un sistema. Il totale degli stati significativi contati in questo modo è il cosiddetto “complesso canonico”: un aggregato significativo che canta una melodia che possiamo decifrare. Lo si creda o no, ma “complesso canonico” è una terminologia termodinamica legittima! (Si veda Stati-stical Mechanics di Kerson Huang, Wily, 1963, p. 75) Tutto ciò che dobbiamo fare è quindi calcolare il complesso canonico ed applicare in-fine le già note leggi matematiche dei grandi sistemi (cioè la termodi-namica) e voilà! Fatto!

302 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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Qui le variabili in questione sono chiaramente i diversi movimenti del corpo umano, soprattutto le sue parti rilevanti all’atto di suonare il pia-noforte. Il nostro compito consiste nel contare tutti i modi in cui si può muovere il corpo per suonare; questi sono ovviamente in gran numero e la domanda è: si tratta di un numero abbastanza grande da costituire un complesso canonico?

Siccome nessuno ha mai provato a calcolare questo complesso cano-nico, stiamo qui esplorando un nuovo territorio e tenterò solo una sti-ma molto approssimata. La bellezza dei complessi canonici è che alla fine, se i calcoli sono giusti (una preoccupazione legittima per qualcosa di così nuovo), il metodo usato per arrivarci è di solito irrilevante – si deve ottenere sempre la stessa risposta. Calcoliamo l’insieme elencan-do tutte le variabili rilevanti e contando il loro spazio totale dei parame-tri. Iniziamo, quindi.

Cominciamo con le dita: le dita si possono muovere su, giù, di lato e possono essere ricurve o dritte (tre variabili). Diciamo che ci sono dieci diverse posizioni misurabili per ogni variabile (spazio dei parametri = 10). Contando solo il numero dei 10, finora ne abbiamo 4, se inclu-diamo il fatto di avere dieci dita. Ci sono in realtà molte più variabili, ma stiamo contando solo quegli stati che possono essere ragionevol-mente usati per suonare il pianoforte, per un dato pezzo di musica. La ragione di questa restrizione è che useremo i risultati di questi calcoli per confrontare come due persone suonino lo stesso pezzo o come lo suonerebbe due volte di fila una stessa persona. Questo sarà chiaro più avanti.

Ora, i palmi possono essere sollevati o abbassati, flessi di lato o ruota-ti attorno all’asse dell’avambraccio. Abbiamo altri tre 10 per un totale di 7. L’avambraccio può essere alzato o abbassato e spostato di lato, il nuovo totale è 9. Il braccio può essere fatto oscillare avanti e indietro o di lato, nuovo totale 11. Il corpo si può muovere avanti, indietro o di lato, nuovo totale 13. Poi ci sono le variabili di forza, velocità e accele-razione per un totale di almeno 16. Lo spazio complessivo dei parame-tri di un pianista ha molto più di 1016 stati (un uno seguito da 16 zeri!) Il vero numero per un dato pezzo di musica è di molti ordini di gran-dezza più grande perché questo calcolo riguarda solo una nota ed un tipico pezzo ne contiene migliaia o decine di migliaia. Lo spazio dei pa-rametri finale sarà quindi circa 1020. Questo si avvicina allo spazio di insieme delle molecole: 1 cc di acqua ha, ad esempio, 1023 molecole, ognuna delle quali con diversi gradi di libertà di movimento e molti stati energetici possibili. Siccome la termodinamica si applica a volumi

IV.3 - TERMODINAMICA DELL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE 303

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d’acqua molto più piccoli di 0,0001 cc, il complesso canonico del piani-sta è piuttosto vicino alla condizione termodinamica.

Se il complesso canonico del pianista ha natura quasi termodinamica quale conclusione possiamo trarre? Il risultato importante è che qual-siasi punto singolo nello spazio dei parametri è del tutto irrilevante per-ché la possibilità di riprodurre questo punto particolare è essenzialmen-te zero. Da questo risultato possiamo trarre qualche conclusione im-mediata:

Prima legge della pianodinamica: due persone non possono suonare lo stesso pezzo di musica nello stesso identico modo. Un corollario di questa prima legge è che la stessa persona, suonando due volte lo stesso pezzo, non lo suonerà mai nello stesso identico modo.

E allora? Beh, questo significa che l’idea secondo cui ascoltare qual-cuno suonare possa diminuire la creatività, a causa dell’imitazione dell’artista, non è una idea percorribile perché non è mai possibile imi-tare esattamente. Questo è veramente a sostegno della scuola di pen-siero che rivendica che ascoltare un buon artista suonare non può far male. Ciascun pianista è un artista unico, nessuno riprodurrà mai la sua musica. Il corollario fornisce la spiegazione scientifica della diffe-renza tra ascoltare una registrazione (che riproduce esattamente un’esecuzione) e ascoltare l’esecuzione dal vivo che non potrà mai esse-re riprodotta (se non registrando).

Seconda legge della pianodinamica: non potremo mai controllare completamente ogni aspetto di come suoniamo un dato pezzo.

Questa legge è utile per capire come possiamo acquisire inconscia-mente delle brutte abitudini e come, quando eseguiamo, la musica viva di vita propria e sfugga, in qualche modo, al nostro controllo. Le po-tenti leggi della pianodinamica prendono, in questi casi, il sopravvento ed è utile conoscere i nostri limiti e le origini delle nostre difficoltà per poterle controllare il più possibile. È veramente un pensiero che rende umili rendersi conto che dopo un lungo e duro studio potremmo aver acquisito un numero qualsiasi di brutte abitudini senza neanche sospet-tarlo. Questo può di fatto fornirci la spiegazione del perché faccia così bene suonare lentamente l’ultima volta alla fine della seduta di studio. Suonando lentamente e con precisione si restringe enormemente lo spazio di insieme e si escludono i movimenti “cattivi” lontani dallo spa-zio dei movimenti “corretti”. Se questa procedura eliminasse davvero le brutte abitudini e fosse cumulativa di seduta di studio in seduta, allo-ra potrebbe fare un’enorme differenza, a lungo termine, nel tasso con cui si acquisisce la tecnica.

304 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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IV.4 - La Formula di Mozart, Beethoven e La Teoria dei Gruppi C’è una relazione intima, se non assolutamente essenziale, tra la mate-matica e la musica. Condividono, come minimo, un gran numero delle proprietà più elementari iniziando dal fatto che la scala cromatica è una semplice equazione logaritmica (si veda il Capitolo Due, Sezione 2) e che gli accordi fondamentali sono rapporti tra gli interi più piccoli. O-ra, pochi musicisti sono interessati alla matematica in sé, ma pratica-mente tutti, comunque, sono curiosi e si sono domandati una volta o l’altra se la matematica fosse in qualche modo coinvolta nella produ-zione della musica. C’è un qualche profondo principio sottostante che governa sia la matematica sia la musica? Inoltre c’è il fatto certo che ogni volta che siamo riusciti ad applicare la matematica ad un campo abbiamo fatto enormi passi nel farlo avanzare. Un modo di iniziare ad investigare questa relazione è studiare, da un punto di vista matemati-co, i lavori dei più grandi compositori.

La seguente analisi non contiene contributi dalla teoria della musica. Quando seppi per la prima volta della formula di Mozart provai una grande eccitazione perché pensavo potesse gettar luce sulla teoria della musica e sulla musica stessa. All’inizio si potrà rimanere delusi, come lo fui io, quando si scoprirà che la formula di Mozart sembra essere strettamente strutturale. Le analisi strutturali non hanno finora ancora fornito molte informazioni su come ottenere le famose melodie, ma non lo fa neanche la teoria della musica. La teoria musicale di oggi aiuta soltanto a comporre musica “corretta” o ad espanderla una volta trova-ta l’idea musicale. Essa è una classificazione di famiglie di note e del loro accostamento secondo certi modelli. Non possiamo ancora esclu-dere la possibilità che la musica sia essenzialmente basata su certi tipi di modelli strutturali identificabili. Ho sentito per la prima volta della formula di Mozart ad una lezione di un professore di musica, da allora ho perso il riferimento – se qualcuno che sta leggendo questo libro ne conoscesse qualcuno me lo faccia sapere.

È ora risaputo che Mozart compose praticamente tutta la sua musica, fin da quando era molto giovane, seguendo una semplice formula che la espandeva di un fattore dieci. Ovvero, una volta inventata una nuo-va melodia che durava un minuto, egli sapeva che la composizione fina-le sarebbe durata dieci o più, qualche volta era molto più lunga. La prima parte della formula era di ripetere ciascun tema. I temi erano generalmente molto corti, solo da 4 a 10 note, molto più corti di quanto si possa pensare quando si pensa ad un tema musicale. Questi temi, ben più corti della melodia completa, spariscono semplicemente in essa

IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 305

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perché troppo brevi per essere riconosciuti. Per questo motivo nor-malmente non li notiamo, ma sono quasi certamente una costruzione consapevole da parte del compositore. Il tema veniva poi modificato due o tre volte e ripetuto di nuovo per produrre quello che il pubblico avrebbe percepito come una melodia continua. Le modifiche consiste-vano nell’uso di varie simmetrie matematiche e musicali come inver-sioni, capovolgimenti, modifiche armoniche, furbo posizionamento de-gli abbellimenti, eccetera. Le ripetizioni venivano aggregate a formare una sezione e l’intera sezione veniva ripetuta. La prima ripetizione for-nisce un fattore due, le altre modifiche un altro fattore da due a sei (o più) e la ripetizione finale dell’intera sezione un altro fattore due, ovve-ro 2x2x2 = 8, come minimo. In questo modo Mozart era in grado di scrivere enormi composizioni con un minimo di materiale tematico. Inoltre le sue modifiche al tema originario seguivano un ordine partico-lare in modo da sistemare, in ogni composizione, certi umori o colori della musica nella stessa sequenza.

A causa di questa struttura preordinata egli era in grado di trascrivere le sue composizioni da dovunque nel mezzo o una voce alla volta per-ché sapeva già dove sarebbe andata ogni parte. Non doveva scrivere l’intera cosa fino a quando l’ultimo pezzo del puzzle non fosse stato composto. Poteva anche comporre diversi pezzi contemporaneamente perché avevano tutti la stessa struttura. Questa formula lo faceva sem-brare molto più un genio di quanto in realtà fosse. Tutto ciò porta na-turalmente alla domanda: quanto del suo presunto “genio” era sempli-cemente un’illusione dovuta a queste macchinazioni? Non per dubitare del suo genio – a questo ci pensa la musica! Tuttavia, molte delle ma-gnifiche cose che fecero questi geni furono il risultato di stratagemmi relativamente semplici e possiamo trarne vantaggio scoprendone i det-tagli. Conoscere la formula di Mozart, ad esempio, rende più facile se-zionare e memorizzare le sue composizioni. Il primo passo verso la comprensione della sua formula è quello di riuscire ad analizzare le sue ripetizioni, che non sono semplici repliche. Mozart usò il suo genio per modificarle e camuffarle in modo che producessero musica e, cosa più importante, in modo che non venissero riconosciute come tali.

Esaminiamo, come esempio di ripetizione, la famosa melodia dell’Al-legro del suo Eine Kleine Nachtmusik. La melodia è quella che suo-nava Salieri e che il pastore riconobbe all’inizio del film “Amadeus”. Questa melodia è una ripetizione posta come domanda e risposta. La domanda è una voce maschile che chiede: “Ehi, stai venendo?” La ri-sposta è una voce femminile: “Ok, ok, sto venendo!” L’affermazione maschile viene fatta usando solo due note a distanza di una quarta do-

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minante, ripetuta tre volte (sei note) e la domanda viene creata aggiun-gendo alla fine tre note a salire (questo sembra essere universale nella maggior parte dei linguaggi: le domande vengono poste sollevando il tono della voce alla fine). La prima parte è perciò costituita da nove note. La ripetizione è una risposta in voce femminile perché l’altezza è maggiore, viene realizzata di nuovo con due note e questa volta ad una più dolce terza minore di distanza, ripetuta (indovinato!) tre volte (sei note); è una risposta perché le ultime tre note si muovono dall’alto ver-so il basso. Il totale è di nuovo nove note. L’efficienza con cui creò questo costrutto è sorprendente. La cosa ancora più incredibile è come dissimuli le ripetizioni in modo da non far pensare di che si tratta quando si ascolta l’intera cosa. Praticamente tutta la sua musica può essere analizzata in questo modo, essenzialmente per ripetizioni. Se non si è ancora convinti, si prenda una sua qualsiasi musica, la si ana-lizzi e si scoprirà questo modello.

Vediamo un altro esempio: la Sonata N.16 in La, K300 (o K331, quel-la con il finale Alla Turca). L’unità base del tema iniziale è una nota da un quarto seguita da una da un ottavo. La prima introduzione di que-sta unità è camuffata dall’aggiunta della nota da un sedicesimo, seguita dall’unità base. Viene quindi ripetuta due volte nella prima misura. Dopo, nella seconda misura, viene traslata (in altezza) tutta la doppia unità della prima. La terza misura è giusto l’unità base ripetuta due volte. Nella quarta la prima unità viene nascosta di nuovo usando i sedicesimi. Le misure 1-4 vengono poi ripetute nelle misure 5-8 con modifiche minori. Da un punto di vista strutturale queste 8 misure producono due lunghe melodie con lo stesso inizio, ma con finali diver-si. Siccome vengono ripetute tutte le otto misure, Mozart ha fonda-mentalmente moltiplicato per 16 la sua idea iniziale della prima misura! Pensando in termini di unità base l’ha moltiplicata per 32. Va poi a-vanti creando incredibili variazioni di questa unità base per produrre l’intera sonata: il fattore moltiplicativo è quindi anche più grande. Questo è ciò che si intende col dire che usa ripetizioni di ripetizioni: al-lineando le ripetizioni delle unità modificate crea una musica finale che suona come una lunga melodia a meno che non la si spezzi nelle sue componenti.

Nella seconda metà di questa esposizione introduce poi delle modifi-che all’unità base. Alla misura 10 aggiunge prima un abbellimento con valore melodico, per camuffare la ripetizione, e poi introduce un’altra modifica suonando l’unità base come terzina. Una volta introdotta viene ripetuta due volte nella misura 11. La 12 è simile alla 4, una ri-petizione dell’unità base, ma strutturata in modo tale da fare da con-

IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 307

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giunzione tra le precedenti tre misure e le tre successive. Le misure 9-16 sono simili a quelle 1-8, ma con una idea musicale diversa. Le ulti-me due misure (17 e 18) forniscono la fine dell’esposizione. Con que-sta analisi come esempio, si dovrebbe ora riuscire a sezionare il resto di questo pezzo e si scoprirà che lo stesso modello di ripetizione si trova dappertutto. Nell’analizzare ulteriormente la sua musica sarà necessa-rio includere altre complessità: potrebbe ripetere tre o anche quattro volte e miscelare altre modifiche per nasconderlo. La cosa chiara è che si tratta di un maestro nel mascherare le cose in modo che le ripetizioni e le altre strutture non siano di solito ovvie quando si ascolta sempli-cemente la musica senza alcuna intenzione di analizzarla.

La formula di Mozart fu probabilmente escogitata principalmente per aumentare la produttività. Nonostante ciò potrebbe aver trovato certi poteri magici (ipnotici? assuefanti?) nelle ripetizioni delle ripetizioni ed aveva probabilmente le sue ragioni musicali per disporre gli umori dei suoi temi nella sequenza che usò. Se cioè si classificano ulteriormente i suoi temi secondo l’umore che evocano si scopre che li mette sempre nello stesso ordine. La domanda qui è: scavando sempre più in pro-fondità troveremo semplicemente altri di questi stratagemmi struttura-li/matematici impiegati giusto uno sopra l’altro o c’è altra carne al fuo-co? Quasi certamente ci deve essere dell’altro, ma nessuno ci ha anco-ra messo mano, neanche gli stessi grandi compositori – almeno per quanto ci abbiano detto. Sembrerebbe quindi che l’unica cosa che noi comuni mortali possiamo fare sia continuare a scavare.

Ci sono pochi dubbi che ci sia una forte correlazione tra musica e ge-nio. Non sappiamo neanche se Mozart fosse un compositore perché era un genio o se fu la sua estesa esposizione alla musica dalla nascita a creare il genio. La musica ha sicuramente contribuito allo sviluppo del suo cervello, potrebbe benissimo essere che il migliore esempio dell’“Effetto Mozart” sia Wolfgang Amadeus stesso, anche se non ave-va i vantaggi dei suoi stessi capolavori. In questi primi anni del nuovo millennio stiamo solo iniziano a capire alcuni dei segreti di come fun-ziona il cervello. Ad esempio, fino a poco tempo fa eravamo parzial-mente in errore nel pensare che certe popolazioni di handicappati men-tali avessero un insolito talento musicale. Si scopre che la musica ha un potente effetto sul funzionamento effettivo del cervello e sul controllo motorio. Questa è una delle ragioni per cui usiamo sempre la musica per ballare o fare esercizi. La miglior evidenza di questo viene dai pa-zienti con l’Alzheimer che hanno perso l’abilità di vestirsi perché non riescono a riconoscere i diversi capi d’abbigliamento. Si è scoperto che quando questa procedura viene eseguita con la musica giusta questi pa-

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zienti riescono spesso a vestirsi! “La musica giusta” è di solito quella che hanno sentito nella prima infanzia o la loro musica preferita. Le persone mentalmente handicappate, estremamente maldestre nelle fac-cende quotidiane, se la musica è del tipo giusto (tale cioè da stimolarne il cervello) possono improvvisamente sedersi e suonare il pianoforte. Potrebbero perciò non avere talento musicale, al contrario, è la musica che dà loro nuove capacità. Certamente, su scala più ampia, non è solo la musica ad avere questi effetti magici sul cervello, come evidenziato dagli idiot savants che riescono a memorizzare incredibili quantità di informazioni o eseguire imprese matematiche incredibili che la gente normale non riesce a fare. Nel cervello c’è un ritmo interno fondamen-tale che la musica sembra eccitare. Non so quale sia questo meccani-smo, ma deve essere qualcosa in qualche modo analogo al ciclo di clock di un chip per computer: senza il ciclo di clock questi chip non funzio-nerebbero e misuriamo la loro potenza con la velocità del ciclo – i chip da 3GHz sono migliori di quelli da 1GHz.

Se la musica può produrre effetti così profondi sugli handicappati, si immagini cosa possa fare sul cervello di un genio in fiore, specialmente durante il suo sviluppo nella prima infanzia. Questi effetti si applicano a chiunque suoni il pianoforte, non solo agli handicappati o ai geni. Si hanno mai avuti giorni belli e giorni brutti? Si ha mai notato che quan-do si impara un pezzo nuovo per la prima volta lo si può suonare incre-dibilmente bene all’improvviso per poi perderlo nel continuare ad eser-citarsi o che si suona molto meglio quando lo si fa con dei bravi musicisti, come nella musica da camera? Si è mai trovato difficile ese-guire quando il pubblico consiste in persone che sanno suonare meglio il pezzo? E che si suona meglio quando la musica viene fuori bene e peggio non appena si commettono errori? Molto probabilmente si. Le risposte a queste domande stanno nella relazione tra musica e cervello e quindi capire questa relazione dovrebbe aiutarci enormemente a supe-rare alcune di queste difficoltà.

L’uso di stratagemmi matematici è profondamente incastonato nella musica di Beethoven; per questo è uno dei migliori posti dove scavare le informazioni sulla relazione tra musica e matematica. Non sto di-cendo che altri compositori non usino trucchi matematici, praticamente tutte le composizioni musicali hanno delle basi matematiche, Beethoven tuttavia fu in grado di estenderli agli estremi. Analizzando questi casi estremi possiamo trovare l’evidenza più convincente su quale tipo di stratagemmi vengano usati.

IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 309

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Sappiamo tutti che Beethoven non aveva mai veramente studiato ma-tematica avanzata, ma nonostante ciò ne incorpora nella sua musica una sorprendente quantità a livelli molto alti. L’inizio della Quinta Sin-fonia è un caso esemplare, ma di esempi come questo ce ne sono una marea. Compose questa famosa sinfonia “usando” concetti come la Teoria dei Gruppi e di fatto ha usato quello che i cristallografi chiama-no Gruppo Spaziale delle trasformazioni simmetriche! Questo gruppo regge molte tecnologie avanzate (come la meccanica quantistica, la fisi-ca nucleare e la cristallografia) che sono alla base della rivoluzione tec-nologica dei giorni nostri. A questo livello di astrazione un cristallo di diamante e la Quinta Sinfonia di Beethoven sono la stessa cosa! Spiegherò nel seguito questa notevole osservazione.

Il Gruppo Spaziale che usò Beethoven (lo chiamava sicuramente in modo diverso) è stato applicato per caratterizzare cristalli come il silicio ed il diamante. Sono le proprietà del gruppo stesso a permettere loro di crescere senza difetti e per questo è alla base della loro esistenza. Siccome i cristalli sono caratterizzati da questo gruppo, una sua com-prensione fornisce una comprensione elementare dei cristalli stessi. Questo fu perfetto per gli scienziati dei materiali che lavoravano a ri-solvere problemi di comunicazione perché il Gruppo Spaziale fornì l’infrastruttura dalla quale partire con i loro studi. Come quando i fisi-ci dovevano guidare da New York a San Francisco ed i matematici die-dero loro la cartina! È così che perfezionammo il transistor al silicio e questo portò ai circuiti integrati ed alla rivoluzione dei computer. Cos’è quindi il Gruppo Spaziale? Perché fu così utile nel comporre questa sinfonia?

I gruppi vengono definiti da un insieme di proprietà. I matematici scoprirono che i gruppi definiti in questo modo possono essere manipo-lati matematicamente ed i fisici li trovarono utili: questi gruppi partico-lari che interessarono i matematici e gli scienziati forniscono un percor-so verso la realtà. Una delle proprietà dei gruppi è quella di consistere in Membri ed Operazioni. Un’altra proprietà è che effettuando una Operazione su un Membro si ottiene un altro Membro dello stesso gruppo. Un noto gruppo è quello degli interi: -1, 0, 1, 2, ecc. Una Operazione per questo gruppo è l’addizione: 2 + 3 = 5. Si noti che l’applicazione dell’Operazione + ai numeri 2 e 3 porta ad un altro Membro del gruppo: 5. Siccome le Operazioni trasformano un Mem-bro nell’altro sono anche dette Trasformazioni. Un Membro del Gruppo Spaziale può essere qualsiasi cosa in qualsiasi spazio: un ato-mo, una rana, una nota in una dimensione spaziale musicale come al-tezza, velocità o intensità. Le Operazioni del Gruppo Spaziale relative

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alla cristallografia sono: Traslazione, Rotazione, Specchio, Inversione e l’operazione Unitaria. Si spiegano praticamente da sé (Traslazione significa che si muove un membro di qualche distanza in quello spazio), tranne l’operazione Unitaria che fondamentalmente lascia il Membro inalterato, è tuttavia in qualche modo sottile perché non è la stessa cosa della trasformazione di uguaglianza ed è quindi sempre elencata per ul-tima nei libri di testo. Le operazioni unitarie vengono generalmente as-sociate al membro più speciale del gruppo, che possiamo chiamare Membro Unitario; nel gruppo degli interi citato prima è il membro 0 per l’addizione e 1 per la moltiplicazione (5 + 0 = 5 x 1 = 5).

Mi si lasci dimostrare come si potrebbe usare questo Gruppo Spaziale nella vita di tutti i giorni. Si riesce a spiegare perché quando si guarda in uno specchio la mano destra diventa la sinistra (e viceversa), ma la testa non ruota sui piedi? Il Gruppo Spaziale ci dice che non si posso-no ruotare le mani perché destra-sinistra è un’operazione di specchio, non di rotazione. Si noti che questa è una trasformazione strana: seb-bene la destra sia la sinistra nello specchio, il neo della mano destra è ora sulla immagine nello specchio della sinistra. L’operazione di spec-chio è il motivo per cui quando si guarda in uno specchio piano la ma-no destra diventa la sinistra; uno specchio non può tuttavia effettuare una rotazione perciò la testa sta sopra ed i piedi sotto. Gli specchi ri-curvi che fanno trucchi ottici (come scambiare la posizione di testa e piedi) sono più complessi ed eseguono operazioni del Gruppo Spaziale aggiuntive, la teoria dei gruppi sarebbe ugualmente utile per analizzare le immagini di uno specchio curvo. La soluzione al problema dell’im-magine nello specchio piano è sembrata piuttosto facile perché aveva-mo uno specchio che ci aiutava e siamo abituati ad esso. Lo stesso problema può essere posto in un altro modo e diventa immediatamente molto più difficile a tal punto che la necessità della teoria dei gruppi per risolverlo diventa più ovvia. Se si rivolta un guanto destro rimane de-stro o diventa sinistro? Lascio al lettore la soluzione (suggerimento: si usi uno specchio).

Vediamo come Beethoven ha usato la sua comprensione intuitiva del-la simmetria spaziale per comporre la Quinta Sinfonia. Quel famoso primo movimento è costruito principalmente usando un singolo breve tema musicale consistente in quattro note delle quali le prime tre sono ripetizioni della stessa nota e la quarta è diversa: viene chiamata nota di sorpresa e porta il battere. Il tema musicale si può rappresentare sche-maticamente con la sequenza 5553, dove 3 è la nota di sorpresa. Que-sto è un gruppo spaziale basato sull’altezza, Beethoven usò uno spazio a tre dimensioni: altezza, tempo e volume. Nella seguente analisi prende-

IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 311

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rò in considerazione solo le dimensioni altezza e tempo. Beethoven comincia la sua Quinta Sinfonia introducendo prima un Membro del suo Gruppo: tre note ripetute e una nota di sorpresa, 5553. Dopo una pausa momentanea, che ci dà il tempo di riconoscere il Membro, ese-gue un’Operazione di Traslazione: 4442. Ciascuna nota viene traslata in basso. Il risultato è un altro Membro dello stesso Gruppo. Dopo un’altra pausa per farci riconoscere il suo operatore di Traslazione, ci dice: “Non è interessante? Divertiamoci!” e ci mostra la potenzialità di questo Operatore con una serie di traslazioni che creano la musica. Per essere sicuro della nostra comprensione del suo costrutto, per ora non mischia altri operatori più complicati. Nella serie di misure in arrivo incorpora poi successivamente l’operatore Rotazione, creando 3555 e poi l’operatore Specchio creando 7555. Introduce infine, da qualche parte a metà del primo movimento, quello che può essere considerato il membro unitario: 5555. Si noti che queste sono semplicemente note ripetute, ovvero l’operazione Unitaria.

Nei veloci movimenti finali ritorna allo stesso gruppo, ma usa solo il Membro Unitario ed in un modo più complesso di un livello. Viene sempre ripetuto tre volte e la cosa curiosa è che viene seguito da una quarta sequenza – una sequenza di sorpresa 7654 che non è un Mem-bro. Insieme al Membro Unitario, ripetuto tre volte, la sequenza di sorpresa forma un SuperGruppo del Gruppo originario. Ha generaliz-zato il concetto di Gruppo! Il SuperGruppo consiste ora di tre membri e un non membro del gruppo iniziale, il che soddisfa le condizioni del gruppo iniziale (tre ripetizioni e una sorpresa).

Così l’inizio della Quinta Sinfonia di Beethoven, quando viene tradot-to in linguaggio matematico, si legge proprio come il primo capitolo di un libro di testo sulla teoria dei gruppi, quasi frase per fase! Si ricordi che la teoria dei gruppi è una delle più alte forme di matematica. Il ma-teriale viene anche presentato nell’ordine corretto come nei libri di te-sto: dall’introduzione dei Membri, all’uso degli Operatori, iniziando dal più semplice, la Traslazione, e finendo con il più sottile, l’operatore U-nitario. Dimostra anche la generalità del concetto creando un supergruppo del gruppo originale.

Beethoven era particolarmente fiero di questo tema di quattro note e lo usò in molte delle sue composizioni, come il primo movimento della sua sonata per pianoforte Appassionata, si veda la misura 10, mano si-nistra. Essendo il maestro che era, ha attentamente evitato il gruppo spaziale basato sull’altezza ed ha usato spazi diversi – trasforma negli spazi tempo e volume (misure da 234 a 238). Questo sostiene ulte-

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riormente l’idea che doveva avere una comprensione intuitiva della te-oria dei gruppi e distingueva consapevolmente tra gli spazi. Sembra matematicamente impossibile che tutte queste concordanze dei suoi co-strutti con la teoria dei gruppi siano capitate per caso ed è una dimo-strazione virtuale che, in qualche modo, stesse giocando con questi con-cetti.

Perché questo costrutto era così utile in questa introduzione? Forni-sce certamente una piattaforma uniforme su cui mettere la sua musica. Semplicità ed uniformità permettono al pubblico di concentrarsi solo sulla musica senza distrarsi ed ha anche un effetto assuefante. Queste ripetizioni subliminali (non si suppone che il pubblico sia a conoscenza di questi trucchi) possono produrre un grande effetto emotivo. È come nei trucchi magici – hanno un effetto molto più grande se non sappia-mo come il mago li esegue, è un modo di controllare il pubblico senza che lo sappia. Proprio come Beethoven aveva una comprensione intui-tiva di questo concetto di gruppo possiamo tutti sentire che esiste un qualche tipo di modello senza riconoscerlo esplicitamente. Mozart ot-tenne un effetto simile usando le ripetizioni.

La conoscenza di trucchi come i gruppi è molto utile per suonare la sua musica perché ci dice esattamente cosa si dovrebbe o non dovrebbe fare. Un altro esempio lo si può trovare nel terzo movimento della sua sonata Waldstein, dove l’intero movimento si basa su un tema di tre note rappresentato da 155 (i primi Do Sol Sol, all’inizio). Fa la stessa cosa con l’arpeggio iniziale del primo movimento dell’Appassionata con un tema rappresentato da 531 (i primi Do Lab Fa). In entrambi i casi se non si mantiene il battere sull’ultima nota la musica perde struttura, profondità ed incitamento. Questo è particolarmente interessante nel-l’Appassionata perché in un arpeggio di solito si mette il battere sulla prima nota e molti studenti fanno davvero questo errore. Come nella Waldstein, questo tema iniziale viene ripetuto in tutto il movimento e viene reso sempre più ovvio con il suo progredire, ma per allora il pub-blico ne è assuefatto e non si accorge neanche che sta dominando la musica. Chi fosse interessato potrebbe guardare verso la fine del primo movimento dell’Appassionata dove Beethoven trasforma il tema in 315 e lo eleva ad un livello estremo, e quasi ridicolo, alla misura 240. No-nostante ciò, la maggior parte del pubblico non avrà idea di quale truc-co egli stia usando, tranne il gustarsi il clima selvaggio che è ovviamen-te estremo in maniera irragionevole, ma ormai porta con sé una miste-riosa familiarità perché il costrutto è lo stesso e lo si è sentito centinaia di volte. Si noti che questo clima perde molto del suo effetto se il pia-

IV.4 - LA FORMULA DI MOZART, BEETHOVEN E LA TEORIA DEI GRUPPI 313

Page 316: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

nista non tira fuori il tema (introdotto nella prima misura!) e non enfa-tizza le note in battere.

Beethoven ci dice il motivo dell’inspiegabile arpeggio 531 all’inizio dell’Appassionata quando questo si trasforma nel tema principale del movimento alla misura 35, quando cioè scopriamo che l’arpeggio all’inizio è una forma invertita e schematica del tema principale ed il motivo per cui il battere è dove si trova. L’inizio di questo pezzo, fino alla misura 35, è quindi una preparazione psicologica ad uno dei temi più belli che compose. Ha voluto impiantare nel nostro cervello l’idea del tema prima che lo ascoltassimo! Questa potrebbe essere una spie-gazione del perché questo strano arpeggio viene ripetuto due volte all’inizio usando una progressione illogica di accordi. Mediante un’a-nalisi di questo tipo la struttura dell’intero primo movimento risulta chiara e questo ci aiuta a memorizzare, interpretare e suonare corretta-mente il pezzo.

L’uso di concetti tipici della teoria dei gruppi potrebbe essere giusto un’altra dimensione che Beethoven intrecciò nella sua musica, forse per farci sapere quanto fosse intelligente, nel caso non avessimo ancora col-to il messaggio. Potrebbe, come non potrebbe, essere il meccanismo con cui generò la sua musica. L’analisi di cui sopra ci dà perciò solo un piccolo barlume dei processi mentali che la ispirarono. Il semplice uso di questi trucchi scaturisce in musica oppure ci stiamo avvicinando a qualcosa che Beethoven sapeva, ma non disse a nessuno?

IV.5 - Il Calcolo del Tasso di Apprendimento (Mille Volte più Veloce!)

Ecco il mio rozzo tentativo di calcolare matematicamente il tasso di ap-prendimento del pianoforte usando i metodi di questo libro. Il risultato indica che è circa mille volte più veloce dei metodi intuitivi. Il grande fattore mille rende inutile calcolare un numero preciso per poter dimo-strare che c’è una grande differenza. Questo risultato appare plausibile in vista del fatto che molti studenti che hanno lavorato duro per una vita usando i metodi intuitivi non sono in grado di eseguire nulla di si-gnificativo, laddove uno studente fortunato che ha usato i metodi giusti può diventare un pianista da concerto in meno di dieci anni. È chiaro che i diversi metodi di studio possono fare la differenza tra una vita di frustrazione e una carriera gratificante al pianoforte. Ora, “mille volte più veloce” non vuol dire che si può diventare pianisti in un millise-condo: tutto ciò che vuol dire è che i metodi intuitivi sono mille volte più lenti dei metodi buoni. La conclusione che dobbiamo qui trarre è

314 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

Page 317: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

che con i metodi corretti il nostro tasso di apprendimento dovrebbe es-sere piuttosto vicino a quello dei compositori famosi come Mozart, Bee-thoven, Liszt e Chopin. Si ricordi che abbiamo certi vantaggi di cui i geni del passato non potevano giovarsi: loro non avevano quelle bellis-sime sonate di Beethoven, gli studi di Liszt e Chopin, ecc. con i quali acquisire la tecnica, o quelle composizioni di Mozart da cui trarre bene-ficio per “Effetto Mozart”, o libri come questo con un elenco organizza-to di metodi di studio. Inoltre ci sono centinaia di metodi, verificati nel tempo, per usare queste composizioni per acquisire la tecnica (Beetho-ven era spesso in difficoltà nel suonare le sue stesse composizioni per-ché nessuno conosceva il modo giusto o sbagliato di studiarle). Un in-trigante digressione storica in proposito è che il solo materiale comu-nemente disponibile a tutti questi grandi pianisti erano le composizioni di Bach. Siamo quindi portati all’idea che studiare Bach sia sufficiente ad acquisire le abilità fondamentali alla tastiera.

Proverò a fare un calcolo dettagliato a partire dai precetti più elemen-tari e progredirò verso il risultato finale senza saltare parti sconosciute. In questo modo se ci fossero errori nei calcoli potranno essere rifiniti al migliorare della nostra comprensione di come si acquisisce la tecnica. Questo è, ovviamente, l’approccio scientifico. Non c’è niente di nuovo in questi calcoli eccetto la loro applicazione all’apprendimento musicale. Il materiale matematico è semplicemente un ripasso di algebra e calcolo differenziale.

La matematica può essere usata, per risolvere i problemi, nel seguente modo: prima si definiscono le condizioni che determinano la natura del problema e queste, se sono state definite correttamente, permettono di impostare quelle che vengono chiamate equazioni differenziali, ovvero precise affermazioni matematiche delle condizioni. Una volta imposta-te le equazioni differenziali la matematica fornisce i metodi per risolver-le ed ottenere una funzione che descrive la risposta al problema nei termini dei parametri che determinano queste risposte; le soluzioni ai problemi si possono poi calcolare inserendo i valori appropriati nei pa-rametri delle funzioni.

Il principio fisico che usiamo per derivare la nostra equazione di ap-prendimento è la linearità con il tempo. Un tale concetto astratto po-trebbe sembrare non avere niente a che fare con il pianoforte e sicura-mente non è biologico, ma si scopre che questo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno. Mi si lasci quindi spiegare il concetto della “linearità con il tempo”: significa semplicemente “proporzionale al tempo”. Ad esempio, se impariamo una quantità di tecnica A (A sta per Apprendi-

IV.5 - IL CALCOLO DEL TASSO DI APPRENDIMENTO 315

Page 318: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

mento) nel tempo T, allora ripetendo il processo qualche giorno dopo dovremmo apprendere un altro incremento A nello stesso tempo T. Perciò diciamo che A è lineare rispetto a T nello stesso senso in cui so-no proporzionali: in 2T dovremmo imparare 2A. Certamente sappia-mo che l’apprendimento è altamente non lineare. Se studiassimo lo stesso segmento breve per quattro ore è molto probabile che impare-remmo molto di più nei primi trenta minuti che negli ultimi. Tuttavia, stiamo parlando di sedute di studio ottimizzate e mediate su molte di esse, condotte in intervalli di tempo di anni (nelle sessioni di studio ot-timizzate non studieremo le stesse quattro note per quattro ore!) Se mediamo tutti questi processi di apprendimento essi tendono ad essere piuttosto lineari. Certamente entro un fattore 2 o 3 la linearità è una buona approssimazione ed è la quantità di precisione di cui abbiamo bisogno. Si noti che la linearità non dipende, in prima approssimazio-ne, dal fatto di essere veloci o lenti ad imparare, questo cambia solo la costante di proporzionalità. Arriviamo quindi alla prima equazione:

kTA = (Eq. 1.1)

dove A è l’incremento di apprendimento nell’intervallo T e k la costan-te di proporzionalità. Quello che cerchiamo di scoprire è la dipendenza di A, o A(t), dove t è il tempo (contrariamente a T che è l’intervallo di tempo). Similmente, A è l’incremento di apprendimento, ma A(t) è una funzione.

Ora arriva il primo concetto interessante: abbiamo il controllo di A e se vogliamo 2A dobbiamo semplicemente studiare due volte, ma questo non è A che manterremo perché dopo aver studiato ne perderemo un po’ con il passare del tempo. Sfortunatamente più sappiamo e più possia-mo dimenticare: ovvero la quantità che dimentichiamo è proporzionale alla quantità originale di conoscenza, A(0). Quindi assumendo di aver acquisito A(0), la quantità di A che perdiamo in T è:

)0(kTAA != (Eq. 1.2)

dove le k nelle equazioni 1.1 e 1.2 sono diverse, ma non le chiamiamo diversamente per semplicità. Si noti che k ha il segno meno perché stiamo perdendo dell’A. L’equazione 1.2 porta all’equazione differen-ziale:

)()(

tkAdt

tdA!= (Eq. 1.3)

316 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

Page 319: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

dove “d” sta per differenziale (questo è tutto calcolo differenziale con-venzionale) e la soluzione dell’equazione differenziale è:

ktKetA

!=)( (Eq. 1.4)

dove “e” è un numero detto il logaritmo naturale che soddisfa l’equazione 1.3 e K è una nuova costante legata a k (per semplicità ab-biamo ignorato un altro termine dell’equazione, non importante a que-sto punto). L’equazione 1.4 ci dice che una volta imparato A iniziamo immediatamente a dimenticarlo esponenzialmente con il tempo se il processo di dimenticanza fosse lineare con il tempo.

Siccome l’esponente è un numero puro, nell’equazione 1.4 k ha l’unità di misura 1/tempo. Imposteremo k = 1/Tk dove Tk è detto tempo ca-ratteristico. Qui k si riferisce ad un processo di apprendimento/dimen-ticanza specifico. Quando impariamo il pianoforte lo facciamo con una miriade di processi, la maggior parte dei quali non è ben compresa. Non è quindi possibile, in generale, determinare un valore preciso di Tk di ciascun processo, perciò nei calcoli numerici dovremo fare dei “tentativi intelligenti”. Nello studio del pianoforte dobbiamo ripetere molte volte il materiale difficile prima di saperlo suonare bene. Dob-biamo quindi assegnare un numero (diciamo “i”) ad ogni ripetizione di studio. L’equazione 1.4 diventa allora:

k

i

T

t

ieKktiA

!

"=),,( (Eq. 1.5)

per ciascuna ripetizione i e processo di apprendimento/dimenticanza k. Esaminiamo alcuni esempi rilevanti. Supponiamo che si stiano stu-diando per dieci minuti in successione quattro note di un insieme paral-lelo, rapidamente e scambiando mani, ecc. Poniamo i = 0 all’esecu-zione di un insieme parallelo, potrà durare solo mezzo secondo. La si può ripetere 10 o 100 volte durante i dieci minuti di studio. Si impare-rà A(0) dopo il primo insieme parallelo. Ciò che è necessario calcolare è quanto A(0) riterremo dopo una sessione da dieci minuti. Siccome ripetiamo molte volte, dobbiamo di fatto calcolare l’apprendimento cumulato di tutte le volte. Secondo l’equazione 1.5 l’effetto cumulato si ottiene sommando le A su tutte le ripetizioni:

#!

=i

T

t

iTOT

k

i

eKA (Eq. 1.6)

IV.5 - IL CALCOLO DEL TASSO DI APPRENDIMENTO 317

Page 320: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

Ora mettiamo un po’ di numeri nell’equazione 1.6 per avere qualche risposta. Prendiamo un passaggio che si riesce a suonare lentamente, a mani unite, in circa 100 secondi (metodo intuitivo). Questo passaggio potrebbe contenere due o tre insiemi paralleli difficili che si possono suonare rapidamente in meno di un secondo, in modo da poterli ripete-re oltre 100 volte in 100 secondi (metodo di questo libro). Tipicamente questi due o tre punti difficili sono gli unici che frenano, perciò se li si riesce a suonare bene si può suonare l’intero passaggio a velocità. Cer-tamente anche con il metodo intuitivo si ripeteranno molte volte, ma confrontiamo la differenza nell’apprendimento per ogni ripetizione da 100 secondi. In questo processo di apprendimento rapido anche la no-stra tendenza a “perderlo” è veloce, possiamo per questo scegliere una “costante di tempo di dimenticanza” di circa 30 secondi; ovvero, ogni 30 secondi si finisce per dimenticare quasi il 30% di ciò che si è impara-to da una ripetizione. Si noti che non si dimentica mai tutto, neanche dopo molto tempo, perché il processo di dimenticanza è esponenziale (le decrescite esponenziali non raggiungono mai lo zero). Inoltre si possono fare in breve tempo molte ripetizioni per insieme parallelo per-ché questi eventi di apprendimento si impilano rapidamente. Questa costante di tempo di dimenticanza di 30 secondi dipende dal meccani-smo di apprendimento/dimenticanza e ne ho scelta una relativamente breve per le ripetizioni rapide, ne esamineremo una molto più grande più avanti.

Assumendo una ripetizione di un insieme parallelo al secondo, l’ap-prendimento della prima ripetizione è e-(100/30) = 0.04 (si hanno 100 se-condi per dimenticare la prima ripetizione), mentre l’ultima ripetizione dà e-(1/30) = 0.97 e l’apprendimento medio si trova da qualche parte a metà, circa 0.4 (non dobbiamo essere esatti, come vedremo) e con oltre cento ripetizioni abbiamo oltre 40 unità di apprendimento con l’uso de-gli insiemi paralleli. Con il metodo intuitivo abbiamo una sola ripeti-zione o e-(100/30) = 0.04. La differenza è un fattore 40/0.04 = 1000, mille! Con una tale differenza di fattori non abbiamo bisogno di molta preci-sione per dimostrare che c’è una grossa differenza. La vera differenza nell’apprendimento può essere anche più grande perché la ripetizione nel metodo intuitivo è a bassa velocità laddove il tasso di ripetizione dell’insieme parallelo è a velocità finale o anche più veloce.

La costante di tempo di 30 secondi usata sopra era valida per un pro-cesso di apprendimento “veloce”, come quello associato all’appren-dimento durante una singola seduta di studio. Ce ne sono molti altri, come quello dell’acquisizione della tecnica nel miglioramento post stu-dio: dopo ogni condizionamento rigoroso la tecnica migliorerà per una

318 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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settimana o più grazie al miglioramento post studio. Il tasso di dimen-ticanza, o perdita della tecnica, nei processi così lenti non è trenta se-condi, ma molto più alto, probabilmente diverse settimane. Per poter quindi calcolare la differenza totale tra i tassi di apprendimento dob-biamo calcolare la differenza tra tutti i metodi di acquisizione della tec-nica noti usando le corrispondenti costanti di tempo (che possono va-riare notevolmente da metodo a metodo). Il miglioramento post studio è di gran lunga determinato dal condizionamento e questo è simile alla ripetizione dell’insieme parallelo calcolato sopra, anche qui la differenza dovrebbe perciò essere di circa mille volte.

Una volta calcolati i tassi più importanti, come descritto sopra, pos-siamo affinare i risultati considerando altri fattori che influiscono sui risultati finali. Ci sono fattori che rendono i metodi di questo libro più lenti (memorizzare può richiedere all’inizio più tempo di leggere, oppu-re separare le mani richiede più tempo rispetto ad unirle perché è ne-cessario ripetere un passaggio tre volte invece che una sola, ecc.) e fat-tori che li rendono più veloci (imparare per segmenti brevi, arrivare ra-pidamente a velocità, evitare i muri di velocità, ecc.). Ci sono molti al-tri fattori che rendono il metodo intuitivo più lento, il risultato di “mille volte più veloce” potrebbe quindi essere una stima per difetto. Non è comunque probabilmente possibile sfruttare appieno il fattore mille perché la maggior parte degli studenti starà già usando alcune delle i-dee di questo libro.

Gli effetti dei muri di velocità sono difficili da calcolare perché i muri di velocità sono creazioni artificiali di ciascun pianista e non so come scriverne un’equazione. L’esperienza ci dice che il metodo intuitivo è suscettibile ai muri di velocità ed i metodi di questo libro forniscono molti modi di evitarli. Inoltre, essi sono qui chiaramente definiti in modo da rendere possibile evitarli pro-attivamente durante lo studio. Gli insiemi paralleli sono gli strumenti più potenti per evitarli perché i muri di velocità in genere non si creano rallentando. Essi ritardano quindi enormemente l tasso di apprendimento nei metodi intuitivi. Al-cuni insegnanti che non comprendono adeguatamente i muri di velocità proibiranno ai loro studenti di studiare qualsiasi cosa rischiosa e veloce, rallentando così ancora di più i loro progressi anche quando questo suonare lentamente riesce ad evitare completamente i muri di velocità. Quando tutti questi fattori vengono messi in conto arriviamo alla con-clusione che il risultato “mille volte più veloce” è fondamentalmente corretto. Vediamo anche che usare gli insiemi paralleli, studiare prima le sezioni difficili, studiare in segmenti brevi ed arrivare a velocità rapi-damente sono i fattori principali di questo apprendimento accelerato.

IV.5 - IL CALCOLO DEL TASSO DI APPRENDIMENTO 319

Page 322: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

Lo studio a mani separate, il rilassamento e la memorizzazione anticipa-ta sono alcuni degli strumenti che ci permettono di ottimizzare l’uso di questi metodi acceleranti.

IV.6 - Argomenti di Ricerca Futura Questo libro si basa sull’approccio scientifico in modo da essere sicuri che tutti gli errori vengano corretti prima possibile, che tutti i fatti co-nosciuti vengano spiegati, documentati e organizzati in modo utile e che si facciano solo progressi in avanti. La situazione del passato, in cui un insegnante di pianoforte usava un metodo molto utile ed un al-tro non ne sapeva nulla o che due insegnanti insegnassero metodi com-pletamente opposti, non dovrebbe più accadere. Una parte importante dell’approccio scientifico è la trattazione e l’analisi di cosa sia ancora ignoto e cosa richieda ulteriore ricerca. La seguente è una raccolta di argomenti del genere. Ciascuna sottosezione è incompleta, ho solo but-tato giù qualche idea.

A) La Teoria della Quantità di Moto nel Suonare Il Pianoforte Suonare lentamente è detto “suonare al limite statico” e questo significa che quando si preme un tasto la forza del dito che scende è quella usata principalmente per suonare. All’aumentare della velocità passiamo dal limite statico a quello della quantità di moto. Questo significa che la quantità di moto di mano, braccia, dita, ecc. gioca un ruolo molto più importante della forza. Sicuramente questa è necessaria per premere i tasti, ma quando siamo a questo limite la forza ed il movimento sono di solito sfasati di 180 gradi. Ovvero il dito si sta movendo verso l’alto quando i muscoli cercano di spingerlo in basso! Accade ad alta velocità perché si è sollevato il dito così rapidamente che si deve iniziare ad ab-bassarlo mentre sale, in modo da invertire il suo moto per il colpo suc-cessivo. I movimenti reali sono complessi perché si usa la mano, il braccio ed il corpo per impartire ed assorbire la quantità di moto. Que-sta è una delle ragioni per cui viene coinvolto tutto il corpo quando si suona, specialmente quando lo si fa velocemente. Si noti che l’oscillazione del pendolo ed il palleggio della palla da basket sono al limite della quantità di moto. Nel suonare il pianoforte si è in genere da qualche parte tra i due limiti, con una tendenza crescente verso la quantità di moto all’aumentare della velocità.

Nel suonare statico il vettore forza e quello spostamento del dito sono in fase. Passando al limite della quantità di moto si sviluppa una diffe-

320 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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renza di fase finché in regime di pura quantità di moto essa è di 180 gradi, come nel pendolo.

L’importanza di suonare con la quantità di moto è ovvia: comporta molti nuovi movimenti di dita/mano, impossibili suonando staticamen-te. Conoscere quali movimenti siano di tipo statico e quali di tipo di-namico sarà di grande aiuto nella comprensione di quando usarli e di come eseguire. Siccome suonare con la quantità di moto non è mai sta-to finora trattato in letteratura, c’è una vasta area del suonare il piano-forte della quale si ha una comprensione molto limitata.

B) La Fisiologia della Tecnica Siamo ancora carenti di anche una rudimentale comprensione dei pro-cessi bio-meccanici alla base della tecnica. Ha certamente origine nel cervello ed è associata probabilmente al modo in cui i nervi comunica-no con i muscoli, specialmente quelli rapidi. Quali sono i cambiamenti biologici che accompagnano la tecnica? Quando sono “cade” le dita ?

C) La Ricerca sul Cervello (Mani Unite vs. Mani Separate, ecc.) La ricerca sul cervello sarà, nell’immediato futuro, uno dei più impor-tanti campi di ricerca medica. Questa si concentrerà inizialmente sulla prevenzione del deterioramento mentale con l’età (come curare il mor-bo di Alzheimer). Si svilupperanno poi sicuramente sforzi simultanei per controllare la crescita delle capacità mentali. La musica dovrebbe giocare un ruolo importante in questo perché possiamo comunicare con gli infanti tramite l’udito molto prima che con altri mezzi ed è già chia-ro che prima si inizia il processo di controllo e migliori saranno i risul-tati.

Abbiamo tutti dimestichezza con il fatto che anche se riuscissimo a suonare a mani separate abbastanza bene, le mani unite possono ancora essere un problema. Perché a mani unite è così difficile? Una delle ra-gioni potrebbe essere che le mani sono controllate dalle due metà del cervello. Se così fosse, imparare a mani unite richiederebbe al cervello di sviluppare modi di coordinare i due emisferi cerebrali. Significhe-rebbe che studiare a mani separate ed unite richieda due tipi di funzioni cerebrali completamente diverse e sosterrebbe la tesi secondo la quale queste abilità vadano sviluppate separatamente in modo da lavorare su di una sola di esse alla volta. Una possibilità intrigante è che potrem-mo essere in grado di sviluppare insiemi paralleli a mani unite che ri-solverebbero questo problema.

IV.6 - ARGOMENTI DI RICERCA FUTURA 321

Page 324: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

D) Qual è La Causa del Nervosismo? Nella pedagogia del pianoforte il nervosismo è stato “spazzato sotto il tappeto” (ignorato) per troppo tempo. Andrebbe studiato da un punto di vista medico e fisiologico. Dobbiamo sapere se certi individui pos-sono trarre beneficio dalle giuste medicine. C’è, inoltre, qualche regi-me medico o psicologico che permetta alla fine di eliminarlo? Infine dobbiamo sviluppare, da un punto di vista psicologico formale, una procedura di insegnamento che lo riduca. Il nervosismo è chiaramente il risultato di un atteggiamento/reazione/percezione ed è quindi molto soggetto al controllo attivo. I pianisti che suonano musica di tipo pop/jazz, ad esempio, sembrano essere in generale molto meno nervosi di quelli che suonano la classica. Non c’è ragione per cui non do-vremmo investigarne il perché e trarre vantaggio da questo fenomeno.

E) Le Cause ed I Rimedi dell’Acufene Struttura della coclea, acufeni ad alta e bassa frequenza.

C’è evidenza che un uso moderato di aspirina possa rallentare la per-dita dell’udito con l’età. C’è anche evidenza, tuttavia, che l’aspirina, sotto certe condizioni, possa peggiorarli. Non appare esserci alcuna e-videnza che l’acufene sia causato puramente dall’età; invece c’è ampia evidenza che sia causato da infezioni, malattia, incidenti e abuso dell’orecchio. In molti casi come questi le cause ed il tipo di danno possono quindi essere studiati direttamente.

F) Cosa è La Musica? La struttura della coclea vs. le scale e gli accordi musicali. Parametri: tempismo (ritmo), altezza, modelli (linguaggio, emozioni), volume, ve-locità. Elaborazione dell’informazione musicale nel cervello.

G) A Quale Età Iniziare Pianoforte? Abbiamo bisogno di studi medici, psicologici e sociologici sul come e quando far iniziare i più giovani. Questo tipo di ricerca sta già inizian-do ad essere condotta nello sport, almeno informalmente nelle organiz-zazioni sportive che hanno sviluppato metodi di insegnamento ai più giovani (anche dall’età di circa due anni). Nella musica possiamo co-minciare con i neonati lasciando che ascoltino il tipo di musica giusto. Siamo probabilmente interessati più allo sviluppo cerebrale che all’acquisizione di abilità motorie. Siccome ci aspettiamo, nel prossimo futuro, un’esplosione della ricerca sul cervello, questo è il momento opportuno di sfruttarla ed usarne i risultati per imparare pianoforte.

322 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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H) Il Futuro del Pianoforte Infine guardiamo al futuro: la Sezione “Testimonianze” dà ampia evi-denza che il nostro nuovo approccio allo studio del pianoforte permet-terà praticamente a chiunque di imparare a sua soddisfazione. Il nume-ro di pianisti aumenterà di sicuro. Le seguenti domande diventeranno quindi molto importanti: (1) possiamo calcolare l’aumento di pianisti che ci aspetta? (2) cosa farà questo aumento all’economia del pianofor-te (esecutori, insegnanti, tecnici, costruttori)? (3) se la popolarità del pianoforte esplodesse, quale sarebbe la principale motivazione ad impa-rare di un tal numero di persone ?

Gli insegnanti di pianoforte saranno d’accordo che il 90% degli stu-denti non impara mai veramente, nel senso che non riuscirà mai a suo-nare con soddisfazione e fondamentalmente abbandonerà i tentativi di diventare pianisti formati. Siccome questo fenomeno è ben noto, sco-raggia i più giovani ed i genitori a decidere di iniziare delle lezioni di pianoforte. Anche il fattore economico li scoraggia perché un coinvol-gimento serio con il pianoforte interferisce materialmente con quell’af-fare di guadagnarsi da vivere. Ci sono molti fattori negativi in più che limitano la popolarità del pianoforte (carenza di buoni insegnanti, alti costi dei buoni pianoforti e della loro manutenzione, ecc.). Quasi tutti vengono alla fine collegati al fatto che il pianoforte è stato così difficile da imparare: probabilmente solo il 10% di quelli che possono aver pro-vato decidono mai di dargli una possibilità. Se le promesse di questo libro riescono ad essere mantenute possiamo quindi ragionevolmente aspettarci un aumento della popolarità del pianoforte di cento volte.

Un tale incremento significherebbe che una grossa fetta della popola-zione dei paesi sviluppati imparerebbe a suonare. Siccome è una fra-zione significativa, non abbiamo bisogno di un numero preciso: pren-diamone quindi uno ragionevole, diciamo il 30%. Questo richiedereb-be un aumento di almeno dieci volte del numero di insegnanti. Sareb-be grandioso per gli studenti perché uno dei grossi problemi di oggi è trovare un buon insegnante. In qualunque area ci sono al momento solo pochi insegnanti e gli studenti hanno poca scelta. Anche il numero di pianoforti venduti dovrà aumentare probabilmente di qualche cosa attorno al 300%. Sebbene molte case abbiano già un pianoforte, molti di questi non sono suonabili. Siccome la maggior parte dei nuovi pia-nisti sarà di livello avanzato, il numero richiesto di buoni pianoforti a coda aumenterà di una percentuale anche più alta.

Usando questo libro come punto di partenza fondamentale per il me-todo di studio, gli insegnanti di pianoforte si potranno concentrare su

IV.6 - ARGOMENTI DI RICERCA FUTURA 323

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ciò che fanno meglio: insegnare a fare musica. Siccome questo è ciò che hanno fatto finora, ci saranno solo piccole modifiche a come inse-gnano. L’unico elemento nuovo è l’aggiunta di metodi di studio molto veloci da imparare. Il cambiamento più grosso sarà, certamente, che l’insegnante verrà liberato dal vecchio e lento processo di insegnare la tecnica. Sarà molto più facile per loro decidere cosa insegnare perché le difficoltà tecniche saranno molto meno d’impiccio. La qualità degli insegnanti migliorerà drasticamente nel giro di poche generazioni di in-segnanti/studenti e questo accelererà ulteriormente il tasso di appren-dimento degli studenti futuri.

È ragionevole un aumento di cento volte della popolazione di piani-sti ? Cosa farebbero? Non potrebbero certo essere tutti pianisti con-certisti o insegnanti: cambierà la natura stessa di come vediamo il suo-nare il pianoforte. Prima di tutto il pianoforte sarà diventato, per allo-ra, il secondo strumento convenzionale per tutti i musicisti perché sarà così facile da imparare che ci saranno pianoforti ovunque. La gioia di suonare il pianoforte sarà per molti una ricompensa sufficiente. Il fan-tastiliardo di amanti della musica, che poteva solo ascoltare le registra-zioni, potrà ora suonare la propria musica – un’esperienza molto più soddisfacente e gratificante. Come dirà chiunque sia diventato un pia-nista formato, una volta arrivati a quel livello non si può che comporre musica. Così una rivoluzione del pianoforte innescherebbe anche una rivoluzione nella composizione e ce ne sarà una gran richiesta perché molti pianisti non saranno soddisfatti di suonare “le stesse vecchie co-se”. I pianisti comporranno musica per tutti gli strumenti grazie allo sviluppo di tastiere con potenti software ed ogni pianista avrà sia un pianoforte acustico sia una tastiera elettronica o uno strumento duale (si veda più avanti). La grande offerta di tastieristi significherebbe inte-re orchestre di tastiere. Un’altra ragione per cui il pianoforte divente-rebbe universalmente popolare è che verrebbe usato come un metodo per aumentare il QI dei neonati in crescita. La ricerca sul cervello rive-lerà sicuramente che l’intelligenza può essere migliorata con la giusta stimolazione cerebrale durante le prime fasi dello sviluppo. Siccome ci sono solo due ingressi al cervello dell’infante, uditivo e visuale, ed il primo è all’inizio molto più avanzato del secondo, la musica è lo stru-mento più logico per influenzare il cervello durante il primo sviluppo.

Con tali enormi forze al lavoro il pianoforte stesso evolverà rapida-mente. Primo, la tastiera elettronica si introdurrà sempre di più nel set-tore del pianoforte. Le carenze dei pianoforti elettronici continueranno a diminuire finché saranno indistinguibili dagli acustici. I requisiti tec-nici saranno gli stessi a prescindere da quale strumento si usi. Per allo-

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ra i pianoforti acustici avranno molte delle caratteristiche degli elettro-nici e saranno sempre accordati (invece di essere scordati il 99% del tempo, come adesso), si potrà cambiare temperamento usando un tasto e le capacità MIDI saranno facilmente interfacciate con l’acustica. Que-sta non scomparirà mai del tutto perché l’arte di fare musica usando strumenti meccanici è così affascinante. I costruttori di pianoforti do-vranno essere molto più flessibili ed innovativi per poter prosperare in questo nuovo ambiente.

Gli accordatori dovranno adattarsi a questi cambiamenti. Tutti i pia-noforti saranno auto-accordanti e perciò diminuiranno i guadagni dall’accordatura. Tuttavia, i martelli dei pianoforti accordarti il 100% del tempo dovranno essere intonati più spesso e dovrà cambiare anche come sono fatti e intonati. Non che i pianoforti di oggi non debbano essere ugualmente intonati, ma quando le corde sono perfettamente ac-cordate qualsiasi deterioramento del martello diventa il fattore limitante la qualità del suono. Gli accordatori di pianoforte saranno infine in grado di regolarli ed intonarne i martelli invece di accordarle solamente e si potranno concentrare sulla qualità del suono invece che unicamen-te sul disfarsi delle stonature. Siccome le nuove generazioni di pianisti più esperti saranno più sofisticate dal punto di vista uditivo, richiede-ranno un suono migliore. Il numero di pianoforti notevolmente mag-giore ed il loro costante uso richiederà un esercito di nuovi tecnici per regolarli e ripararli. Gli accordatori saranno anche molto più coinvolti nell’aggiungere e mantenere le capacità elettroniche agli acustici (MIDI, eccetera). L’attività degli accordatori si estenderà perciò alla manuten-zione e all’aggiornamento dei pianoforti elettronici. La maggior parte della gente avrà così un ibrido o entrambi un pianoforte acustico ed uno elettronico.

I) Il Futuro dell’Istruzione Internet sta ovviamente cambiando la natura dell’istruzione. Uno dei miei obiettivi nello scrivere questo libro sul Web è di esplorare la pos-sibilità di rendere l’istruzione molto più a basso costo di quanto non sia stata finora. Guardando indietro ai giorni dell’istruzione primaria e del college, mi meraviglio dell’efficienza dei processi educativi che ho at-traversato. Nonostante ciò, la promessa di un’efficienza di gran lunga maggiore, attraverso internet, è sbalorditiva in confronto. La mia espe-rienza fin qui è stata molto educativa. Ecco alcuni dei vantaggi dell’educazione basata su internet: 1) Nessuna più attesa per gli scuolabus o corse da lezione a lezione, di

fatto nessun altro costo per edifici scolastici e strutture correlate.

IV.6 - ARGOMENTI DI RICERCA FUTURA 325

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2) Nessun libro di testo costoso: tutti i libri sono aggiornati, in con-fronto a molti libri di testo usati nelle università (vecchi di dieci an-ni). Riferimenti incrociati, indicizzazione, ricerche per argomento, ecc. possono essere fatte elettronicamente. Qualunque libro è di-sponibile ovunque, a patto di avere un computer ed una connes-sione ad internet.

3) Molte persone possono collaborare ad un singolo libro ed il lavoro di traduzione in altre lingue diventerà molto efficiente, specialmente usando un buon software di traduzione.

4) Domande e suggerimenti possono essere spedite via e-mail, l’insegnante ha tanto tempo per dare una risposta dettagliata e que-ste interazioni possono essere mandate a chiunque fosse interessa-to; possono anche essere archiviate per uso futuro.

5) La professione dell’insegnante cambierà drasticamente. Da un lato ci saranno più interazioni uno a uno via e-mail, videoconferenza o con scambio di dati (come l’audio di uno studente di pianoforte all’insegnante), ma dall’altro ci saranno meno interazioni di gruppo, dove il gruppo di studenti si raccoglie fisicamente in un’aula. Qua-lunque insegnante potrà interagire con il “Centro del libro di testo principale” per proporre miglioramenti che possono essere incorpo-rati nel sistema. Gli studenti avranno accesso a molti insegnanti diversi, anche sullo stesso argomento.

6) Un tale sistema implicherebbe che un esperto di un campo non possa arricchirsi scrivendo il miglior libro al mondo. Così, comun-que, è come dovrebbe essere – l’educazione dovrebbe essere dispo-nibile a tutti al costo più basso. Quando i costi dell’educazione scendono, le istituzioni che hanno fatto soldi nel vecchio modo de-vono cambiare ed adottare nuova efficienza. Non scoraggerebbe gli esperti dallo scrivere libri di testo? Sì, ma è necessario uno solo di questi volontari nel mondo intero; inoltre internet ha già prodot-to abbastanza di questi sistemi gratuiti/liberi come linux, i browser, acrobat, ecc. e questa tendenza non solo è irreversibile, ma ben sta-bilita. In altre parole, il desiderio di contribuire alla società diventa un grosso fattore nel contribuire all’educazione. I progetti che for-niscono sostanziali vantaggi alla società faranno evolvere sicura-mente meccanismi di finanziamento (dal governo, filantropi , spon-sor).

7) Il nuovo paradigma di contribuire alla società può portare con sé cambiamenti anche più profondi. Un modo di vedere gli affari come vengono condotti oggi è che si tratta di una vera e propria

326 IV. TEORIA MATEMATICA SULL’ESECUZIONE AL PIANOFORTE

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rapina. Si ricarica il più possibile indipendentemente da quanto o quanto poco buono sia il prodotto per l’acquirente. In un para-digma più preciso l’acquirente dovrebbe ottenere il valore dei suoi soldi. Questa è l’unica situazione in cui l’affare è percorribile a lungo termine e funziona nelle due direzioni: imprese portate avan-ti bene non dovrebbero poter fallire semplicemente a causa dell’eccessiva competizione. In una società aperta, nella quale tutte le informazioni rilevanti sono immediatamente disponibili, si do-vrebbe avere una contabilità finanziaria che possa dare il giusto prezzo al servizio. La filosofia qui è che una società composta da membri impegnati ad aiutarsi l’un l’altro ad avere successo funzio-nerebbe molto meglio di una costituita da rapinatori che si rubano l’un l’altro. In particolare, nel futuro, praticamente tutta l’istruzione di base dovrebbe essere essenzialmente gratuita. Que-sto non significa che gli insegnanti perderebbero il lavoro, perché potrebbero accelerare il tasso di apprendimento e dovrebbero esse-re pagati di conseguenza.

È chiaro, dalle considerazioni precedenti, che uno scambio gratuito di informazioni trasformerà il campo dell’istruzione (così come pratica-mente tutti gli altri). Questo libro è uno dei tentativi di trarre vantag-gio da queste nuove possibilità.

IV.6 - ARGOMENTI DI RICERCA FUTURA 327

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Capitolo Due

ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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1 - Introduzione Questo capitolo è per chi non ha mai accordato un pianoforte e vorreb-be vedere se è all’altezza del compito. Il libro “Piano Servicing, Tuning and Rebuilding” di Arthur Reblitz sarà un riferimento di grande aiuto. La parte più difficile di imparare ad accordare è l’inizio. Chi fosse ab-bastanza fortunato da avere qualcuno che gli insegni la strada migliore è ovviamente quella. Sfortunatamente gli insegnanti di accordatura non sono prontamente disponibili. Si provino i suggerimenti di questo capitolo per vedere fino a che punto si riesce ad arrivare. Dopo aver raggiunto un po’ di dimestichezza con ciò che dà problemi si potrebbe-ro contrattare trenta minuti di lezione con l’accordatore, ad un prezzo convenuto, in modo da chiedergli di spiegare quello che fa. Si stia at-tenti a non imporre troppo al proprio accordatore: accordare ed inse-gnare può richiedere più di quattro volte più tempo rispetto al semplice accordare. Si sappia inoltre prima che gli accordatori non sono inse-gnanti addestrati ed alcuni potrebbero nutrire paure infondate di poter perdere un cliente. Sono infondate perché il numero reale di persone che riescono a sostituirsi agli accordatori professionisti è trascurabil-mente piccolo. Quello che molto più probabilmente si finirà per fare

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sarà avere una migliore comprensione di cosa occorre per accordare un pianoforte.

Avere dimestichezza con l’arte di accordare garantisce ai pianisti un’e-ducazione direttamente rilevante rispetto alla loro capacità di produrre musica e di mantenere il proprio strumento. Li porrà in grado di co-municare in modo intelligente con i loro accordatori. La maggior parte degli insegnanti di pianoforte ai quali ho posto la domanda, ad esem-pio, non conosceva nemmeno la differenza tra Temperamento Equabile e Temperamenti Storici. La ragione principale per cui la maggior parte della gente impara l’accordatura è la curiosità – per i più accordare un pianoforte è un mistero sconcertante. Una volta educati ai vantaggi dei pianoforti accordati (ben mantenuti) sono più inclini a chiamare rego-larmente gli accordatori. Questi ultimi riescono a sentire arrivare dal pianoforte certi suoni che la maggior parte delle persone, anche piani-sti, non notano. Chi pratica l’accordatura diventa sensibile al suono dei pianoforte scordati. Ci vorrà probabilmente un anno per iniziare a sentirsi a proprio agio con l’accordare, posto che si abbia il tempo di esercitarsi per diverse ore almeno una volta al mese o ogni due.

Mi si lasci fare una piccola digressione sull’importanza di capire la piaga degli accordatori, e della corretta comunicazione con loro, dal punto di vista di ottenere da essi il valore per quanto si è pagato e la giusta manutenzione del pianoforte. Queste considerazioni hanno un impatto diretto con l’abilità di acquisire la tecnica pianistica così come con la decisione su come eseguire dato un particolare pianoforte da suonare. Una delle difficoltà più comuni che ho notato tra gli studenti, ad esempio, è la loro incapacità di suonare pianissimo. Per quanto ne sappia sull’accordatura c’è sempre una risposta semplice a questo – la maggior parte dei pianoforti di questi studenti non è ben intonata. I martelli sono troppo usurati/compressi e la meccanica è così fuori regi-strazione che suonare pianissimo è impossibile. Questi studenti non sa-ranno mai nemmeno in grado di studiare pianissimo! La stessa cosa è valida per l’espressività musicale ed il controllo del tono. I pianoforti mantenuti male sono una delle ragioni per cui si pensa che lo studio del pianoforte sia una tortura per l’orecchio, ma non dovrebbe esserlo.

Un altro fattore è che, in generale, non si può scegliere il pianoforte su cui viene chiesta l’esecuzione. Si potrebbe incontrare di tutto: da un magnifico gran coda da concerto, alle spinette, ad un (orrore!) mezza-coda che è stato del tutto trascurato dal momento dell’acquisto qua-rant’anni prima. La comprensione di cosa si possa o non si possa fare

332 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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con ciascuno di questi pianoforti dovrebbe essere la prima informazio-ne per decidere cosa e come suonare.

Una volta iniziato ad esercitarsi ad accordare si capirà rapidamente perché la moglie con l’aspirapolvere, i bimbi che corrono in giro, la ti-vù, lo stereo a tutto volume o il fracasso delle stoviglie in cucina non portano ad un’accordatura precisa e di qualità; perché una rapida ac-cordatura da 70 dollari non è un affare rispetto ad una da 150 nella quale l’accordatore pettina e punzona i martelli. Nonostante ciò quan-do si chiede ai proprietari che cosa ha fatto l’accordatore al loro piano-forte di solito non ne hanno idea. Una lamentela che sento spesso è che dopo l’accordatura il pianoforte suona morto e terribile. Accade spesso quando il proprietario non ha un riferimento fisso dal quale giudicare il suono del pianoforte – il giudizio si basa sui gusti. Queste percezioni sono troppo spesso influenzate scorrettamente dalla storia passata. Il proprietario può in realtà abituarsi a tal punto al suono del pianoforte scordato e con martelli compatti che quando vengono ripri-stinati il suono non gli piace perché ora è troppo diverso da quello a cui si era abituato. L’accordatore potrebbe certamente avere sbagliato, tut-tavia il proprietario avrà bisogno di conoscere un minimo di tecnicismi dell’accordatura per far si che un tale giudizio regga. I vantaggi di comprendere l’accordatura e la giusta manutenzione del pianoforte so-no ovviamente poco apprezzati dal pubblico generale. Forse l’obiettivo più importante di questo capitolo è quello di aumentare questa consa-pevolezza.

Accordare un pianoforte non richiede ottime orecchie come l’orecchio assoluto, tutta l’accordatura viene effettuata per confronto con un rife-rimento usando i battimenti ed iniziando con la frequenza di un diapa-son. L’orecchio assoluto in alcune persone può infatti interferire. La “sola” capacità d’ascolto di cui si ha bisogno è perciò la capacità di sen-tire e distinguere le varie frequenze quando vengono colpite due corde. Questa abilità si sviluppa con l’esercizio e non è collegata alla cono-scenza della teoria musicale o della musicalità. I gran coda sono più fa-cili da accordare dei verticali; la maggior parte dei mezza coda è tutta-via più difficile da accordare dei buoni verticali. Quindi, sebbene si debba logicamente iniziare a fare pratica su un pianoforte di qualità in-feriore, questo sarà più difficile da accordare.

2 - La Scala Cromatica ed Il Temperamento La maggior parte di noi ha un po’ di dimestichezza con la scala croma-tica e sa che deve essere temperata, ma quali sono le definizioni preci-

2 - LA SCALA CROMATICA ED IL TEMPERAMENTO 333

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se? Perché la scala cromatica è così speciale e perché è necessario il temperamento? Esploriamone prima le basi matematiche perché è l’ap-proccio più conciso, pulito e preciso. Analizziamo poi le considerazioni storico/musicali per comprendere meglio i relativi meriti dei diversi temperamenti. Un fondamento matematico di base per questi concetti è essenziale per una buona comprensione di come vengono accordati i pianoforti. Per informazioni sull’accordatura si veda White, Howell, Fischer, Jorgensen o Reblitz nella Sezione Riferimenti alla fine del libro.

A) Trattazione Matematica Nella tabella 2.2a vengono mostrate tre ottave della scala cromatica. I tasti neri sul pianoforte sono mostrati come diesis, ad esempio il diesis dopo il Do rappresenta il Do#, ecc. e vengono mostrati solo nell’ottava più alta. Ogni cambiamento di frequenza nella scala cromatica è detto semitono ed una ottava ha 12 semitoni. Gli accordi maggiori e gli interi che rappresentano i loro rapporti di frequenza vengono mostrati rispet-tivamente sopra e sotto la scala cromatica. La parola accordo viene qui usata per rappresentare due note il cui rapporto delle frequenze è un intero piccolo. Gli interi più grandi di dieci, tranne i multipli di quelli fondamentali, producono accordi che non sono prontamente riconosci-bili dall’orecchio. In riferimento alla Tabella 2.2a l’accordo più ele-mentare è l’ottava, nel quale la frequenza della nota più alta è doppia di quella più bassa. L’intervallo tra Do e Sol è detto una quinta e le fre-quenze di Do e Sol sono in rapporto di 2/3. La terza maggiore ha quat-tro semitoni e la terza minore ne ha tre. Il numero associato ad ogni accordo, ad esempio quattro nella quarta, è il numero dei tasti bianchi, compresi i due agli estremi, nella scala di Do Maggiore e non ha altri significati matematici. Si noti che la parola “scala” in “scala cromati-ca”, “scala maggiore” e in “scala logaritmica o di frequenze” (si veda più avanti) ha un significato completamente diverso, la seconda è un sottoinsieme della prima.

Ottava Quinta Quarta Terza M Terza m

Do Re Mi Fa Sol La Si Do Re Mi Fa Sol La Si Do# Re# Mi Fa# Sol# La# Si Do

1 2 3 4 5 6 8

Tabella 2.2a: Rapporti di Frequenza degli Accordi nella Scala Cromatica Si può vedere che una quarta ed una quinta si “sommano” dando

un’ottava ed una terza maggiore e una minore si “sommano” dando una quinta. Si noti che questa è un’addizione in spazio logaritmico,

334 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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come spiegato più avanti. Anche l’intero mancante 7 verrà spiegato più avanti.

Il “Temperamento Equabile” della scala cromatica consiste in un “e-quo” innalzamento di mezzo tono, o semitono, per ogni nota successiva. Sono uguali nel senso che il rapporto tra le frequenze di due note adia-centi è sempre lo stesso. Questa proprietà assicura che ogni nota sia equivalente ad ogni altra (tranne per l’altezza). L’uniformità delle note permette al compositore, o all’esecutore, di usare, come ulteriormente spiegato più avanti, qualsiasi tasto senza incontrare brutte dissonanze. In un ottava di una scala a Temperamento Equabile ci sono 12 semito-ni uguali. Una ottava è un fattore due esatto in frequenza. Il cambio di frequenza per un semitono è perciò dato da: semitono12 = 2 oppure:

05946,122 12)

12

1(

===semitono (Eq. 2.1)

L’equazione 2.1 definisce la scala cromatica Equamente Temperata e permette il calcolo dei rapporti di frequenza degli “accordi” in questa scala. Qual è il confronto tra gli “accordi” del Temperamento Equabile ed i rapporti di frequenza degli accordi ideali? I confronti sono mostra-ti in Tabella 2.2b e dimostrano che gli accordi della scala Equamente Temperata sono estremamente vicini agli accordi ideali.

Accordo Rapporto Temperamento Equabile Errore

Terza minore 6/5 = 1.2000 Semitono3 = 1.1892 -0.90 %

Terza Maggiore 5/4 = 1.2500 Semitono4 = 1.2599 +0.79 %

Quarta 4/3 = 1.3300 Semitono5 = 1.3348 +0.36 %

Quinta 3/2 = 1.5000 Semitono7 = 1.4983 -0.11 %

Ottava 2/1 = 2.0000 Semitono12 = 2.0000 0.00 %

Tabella 2.2b: Accordi Ideali vs. Scala a Temperamento Equabile Gli errori nelle terze sono i peggiori, oltre cinque volte l’errore degli

altri accordi, ma sempre solo circa l’1%. Nonostante questo sono prontamente udibili ed alcuni aficionados del pianoforte le hanno gene-rosamente battezzate “le terze rotolanti”, mentre in realtà sono disso-nanze inaccettabili. Se vogliamo adottare la scala Equamente Tempera-ta è un difetto con cui dobbiamo imparare a convivere. Gli errori nelle quarte e nelle quinte producono battimenti di circa 1 Hz al Do Centra-le, cosa scarsamente udibile nella maggior parte dei pezzi; la frequenza dei battimenti tuttavia raddoppia ad ogni ottava superiore.

2 - LA SCALA CROMATICA ED IL TEMPERAMENTO 335

Page 336: Chang Fondamenti Dello Studio Del Pianoforte

L’intero 7, se fosse stato incluso nella Tabella 2.2a, avrebbe rappre-sentato un accordo con rapporto 7/6 corrispondente ad un semitono quadrato. L’errore tra 7/6 e un semitono quadro è oltre il 4% ed è troppo grande per renderlo un accordo musicalmente accettabile, è sta-to quindi escluso dalla tabella. Il fatto che la scala cromatica a 12 semi-toni produca così tanti rapporti vicini agli accordi ideali è solo un inci-dente matematico. Solo il numero 7, tra gli otto interi più piccoli, ri-sulta in un accordo del tutto inaccettabile. La scala cromatica si basa su una fortunato caso matematico della natura! È costruita usando il più piccolo numero di note che dà il massimo numero di accordi. Non c’è da meravigliarsi che le civiltà primitive credessero ci fosse qualcosa di mistico in questa scala. Aumentare il numero di tasti in un’ottava non dà un gran miglioramento degli accordi, almeno finché il numero non diventa piuttosto grande, rendendo questo approccio poco pratico per gran parte degli strumenti musicali.

Si noti che i rapporti di frequenza delle quarte e delle quinte non si sommano a quelli dell’ottava (1,50 + 1,33 = 2,83 vs. 2,00). Invece si sommano nello spazio logaritmico perché 3/2 x 4/3 = 2. In questo spa-zio la moltiplicazione diventa un’addizione. Perché questo potrebbe es-sere significativo? La risposta è che la geometria della coclea dell’orecchio sembra avere una componente logaritmica. Riconoscere frequenze acustiche in scala logaritmica permette due cose: per una da-ta dimensione della coclea si può sentire una gamma più ampia di fre-quenze e analizzare rapporti di frequenza diventa semplice perché inve-ce di dividere e moltiplicare basta soltanto sommare e sottrarre i loga-ritmi. Ad esempio, se il Do3 venisse riconosciuto nella coclea in una posizione ed il Do4 in un’altra due millimetri più in su, allora Do5 sarà riconosciuto ad una distanza di quattro millimetri, esattamente come nel regolo calcolatore. Per mostrare quanto questo sia utile, dato Fa5 il cervello sa che Fa4 si troverà due millimetri più in giù! Gli accordi (si ricordi che gli accordi sono rapporti di frequenze) sono quindi partico-larmente semplici da analizzare in una coclea costruita logaritmicamen-te. Quando suoniamo gli accordi facciamo operazioni matematiche nel-lo spazio logaritmico su un calcolatore meccanico chiamato pianoforte, come si faceva negli anni ‘50 con il regolo calcolatore. La natura loga-ritmica della scala cromatica ha molte più conseguenze del solo fornire una più ampia gamma di frequenze. La scala logaritmica ci assicura che due note di ogni accordo siano separate dalla stessa distanza indi-pendentemente da dove si è sul pianoforte. Adottando la scala croma-tica logaritmica la tastiera del pianoforte viene fatta corrispondere mec-canicamente all’orecchio umano! Questa è probabilmente una delle ra-

336 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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gioni per cui le armonie sono piacevoli all’orecchio – le armonie ven-gono decifrate e ricordate più facilmente dal meccanismo uditivo uma-no.

Supponiamo di non conoscere l’equazione 2.1, possiamo generare la scala cromatica Equamente Temperata dalla relazione tra gli accordi? Se la risposta fosse sì un accordatore potrebbe accordare un pianoforte senza fare alcun calcolo. Queste relazioni tra gli accordi si rivelano de-terminare completamente le frequenze di tutte le note della scala cro-matica a 12 note. Un temperamento è un insieme di relazioni tra ac-cordi che fornisce questa determinazione. Da un punto di vista musica-le non c’è un’unica “scala cromatica” migliore di tutte le altre, sebbene il Temperamento Equabile abbia la proprietà unica di permettere libere trasposizioni. Inutile dirlo, il Temperamento Equabile non è l’unico musicalmente utile e più avanti parleremo degli altri. Il temperamento non è un’opzione, ma una necessità: dobbiamo sceglierne uno per poter alloggiare queste difficoltà matematiche. Nessuno strumento basato sul-la scala cromatica è completamente libero dal temperamento. Ad e-sempio, i buchi degli strumenti a fiato ed i capotasti della chitarra de-vono essere spaziati per una specifica scala temperata. Il violino è uno strumento diabolicamente furbo perché evita tutti i problemi di tempe-ramento distanziando le corde libere in quinte. Se si accorda corretta-mente la corda La (440) e tutte le altre in quinte, queste saranno vicine, ma non temperate. Si possono ancora evitare problemi di temperamen-to diteggiando tutte le note tranne il La (440). Inoltre il vibrato è più grande delle correzioni del temperamento e ne rende le differenze non udibili.

La necessità del temperamento sorge perché una scala cromatica ac-cordata su una scala (ad esempio Do Maggiore con accordi perfetti) non fornisce accordi accettabili nelle altre scale. Se si scrivesse una composizione in Do Maggiore con molti accordi perfetti e poi la si tra-sponesse risulterebbero terribili dissonanze. C’è un problema anche più fondamentale: gli accordi perfetti in una scala producono dissonan-ze anche in scale necessarie allo stesso pezzo. Sono stati perciò escogi-tati schemi di temperamento per minimizzare questi dissonanze mini-mizzando la scordatura degli accordi perfetti più importanti spostando-la in quelli meno usati. La dissonanza associata al peggior accordo ha finito per chiamarsi “nota del lupo”.

Il principale problema è, certamente, la purezza degli accordi e la pre-cedente analisi rende chiaro che indipendentemente da quello che si fa ci sarà sempre una dissonanza da qualche parte. Potrebbe scioccare

2 - LA SCALA CROMATICA ED IL TEMPERAMENTO 337

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qualcuno il fatto che il pianoforte sia fondamentalmente uno strumento imperfetto! Dovremo sempre avere a che fare con qualche accordo di compromesso in quasi tutte le scale.

Il nome “scala cromatica” si applica generalmente ad una qualsiasi scala di 12 note in qualsiasi temperamento. Naturalmente la scala cro-matica del pianoforte non permette l’uso delle frequenze tra le note (come si può fare con il violino): c’è così un numero infinito di note mancanti. In questo senso la scala cromatica è incompleta, ma a parte questo la scala di 12 note è abbastanza completa per la maggior parte delle applicazioni musicali. La situazione è analoga alla fotografia digi-tale: quando la risoluzione è sufficiente non si riesce a dire la differenza tra una foto digitale ed una analogica che ha molta più densità di in-formazione. In modo simile la scala di 12 note sembra avere sufficien-te risoluzione in altezza per un gran numero di applicazioni musicali. La scala di 12 note è un buon compromesso tra avere più note per ot-tava (per maggior completezza) ed avere abbastanza gamma di frequen-ze (per abbracciare la gamma dell’orecchio umano) per un dato stru-mento o sistema di notazione musicale con un numero limitato di note disponibili.

C’è un sano dibattito riguardo a quale sia musicalmente il miglior temperamento. Quello equabile era noto fin dalla prima storia dell’accordatura. Ci sono indubbi vantaggi nell’avere un temperamen-to convenzionale, ma questo è probabilmente impossibile e nemmeno desiderabile alla luce della diversità di opinioni sulla musica e del fatto che ora ne esiste molta scritta senza avere in mente un temperamento particolare. Esploreremo perciò ora i vari temperamenti.

B) Temperamento e Musica L’approccio matematico di prima non è il modo in cui fu sviluppata la scala cromatica. I musicisti iniziarono con gli accordi e provarono a trovare una scala musicale con un numero minimo di note che li pro-ducessero. La richiesta di un numero di note minimo è ovviamente de-siderabile perché determina il numero di tasti, corde, buchi, ecc. neces-sari a costruire lo strumento musicale. Gli accordi sono necessari per-ché se si vuole suonare più di una nota alla volta le note creerebbero delle dissonanze spiacevoli all’orecchio a meno di non formare accordi armoniosi. La ragione per cui le dissonanze sono così spiacevoli all’orecchio può avere qualcosa a che fare con la difficoltà del cervello ad elaborare informazioni dissonanti. È certamente più facile, in ter-mini di memoria e comprensione, avere a che fare con accordi armo-niosi piuttosto che con dissonanze. Alcune di esse sono quasi impossi-

338 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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bili da risolvere per molti cervelli se le due note vengono suonate con-temporaneamente.

Se il cervello è sovraccaricato dal compito di cercare di risolvere dis-sonanze complesse, diventa impossibile rilassarsi e gustarsi la musica o seguire l’idea musicale. Chiaramente qualsiasi scala deve produrre buoni accordi se dobbiamo comporre musica complessa ed avanzata che richiede più di una nota alla volta.

Abbiamo visto prima che il numero ottimale di note in una scala è ri-sultato essere 12. Sfortunatamente non c’è nessuna scala di 12 note che riesca a produrre accordi esatti ovunque. La musica suonerebbe meglio se si potesse trovare una scala con accordi perfetti ovunque. Sono stati fatti molti tentativi del genere, principalmente aumentando il numero di note per ottava, specialmente usando chitarre ed organi, ma nessuna di queste scale è stata accettata. Aumentare il numero di note per otta-va con uno strumento come la chitarra è relativamente facile perché tutto ciò che si deve fare è aggiungere corde e capotasti. Gli ultimi schemi oggi concepiti comportano scale generate al computer nelle qua-li ad ogni trasposizione vengono corrette le frequenze: questo schema è detto accordatura adattiva (Sethares).

Il concetto più elementare necessario a capire i temperamenti è il ciclo delle quinte. Per percorrere un ciclo di quinte si prenda una qualunque ottava, si parta dalla nota più bassa e si salga in quinte. Dopo due quinte si uscirà dall’ottava, quando ciò accade si scenda di un ottava e si continui a salire in quinte stando sempre nella stessa ottava. Si faccia questo per dodici quinte e si finirà sulla nota più alta del ottava! Ovve-ro, se si parte dal Do4 si finirà sul Do5 ed è questo il motivo per cui viene chiamato ciclo. Non solo, ma ogni nota che si tocca quando si suona una quinta è una nota diversa, ciò significa che il ciclo delle quinte tocca ogni nota una e una sola volta, una proprietà chiaramente utile per accordare la scala e per studiarla matematicamente.

Gli sviluppi storici sono un argomento centrale nelle discussioni sul temperamento perché la musica di un periodo è legata al temperamento di quel periodo. Si dà credito a Pitagora di aver inventato, nel 550 AD, il “Temperamento Pitagorico” nel quale la scala cromatica viene generata dall’accordatura in quinte perfette usando il ciclo delle quinte. Le dodici quinte perfette del ciclo delle quinte non portano ad un fatto-re due esatto: la nota finale che si ottiene non è perciò esattamente l’ottava, ma è troppo alta in frequenza di una quantità detta “Comma Pitagorica” che è di circa 23 cent (un cent è un centesimo di semitono). Siccome una quarta più una quinta fa un’ottava, il temperamento Pita-

2 - LA SCALA CROMATICA ED IL TEMPERAMENTO 339

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gorico risulta in una scala con quinte e quarte perfette tranne alla fine dove si ottiene una dissonanza molto brutta. Viene fuori che accordare per quinte perfette lascia le terze in brutto stato, un altro svantaggio del temperamento di Pitagora. Se ora dovessimo accordare contraendo le quinte di 23/12 di cent, finiremo con l’avere un’ottava. Questo è uno dei modi di accordare una scala Equamente Temperata. Useremo in-fatti proprio un tale metodo nella sezione sull’accordatura. La scala Equamente Temperata era già nota circa cento anni dopo l’invenzione del temperamento Pitagorico, non è quindi un temperamento moderno.

Dopo l’introduzione del Temperamento Pitagorico tutti quelli nuovi sono stati tentativi di migliorarlo. Il primo metodo fu di distribuire la Comma Pitagora tra le ultime due quinte. Un grosso sviluppo fu il Temperamento Mesotonico in cui erano le terze ad essere giuste invece delle quinte. Musicalmente le terze giocano un ruolo più importante rispetto alle quinte perciò il Mesotonico aveva senso specialmente du-rante l’era in cui la musica faceva un maggior uso di terze. Sfortuna-tamente il Mesotonico ha una nota del lupo peggiore del Pitagorico.

La successiva pietra miliare è rappresentata dal Clavicembalo Ben Temperato di Bach in cui fu scritta musica per vari Ben Temperamen-ti: si trattava di temperamenti di compromesso tra Mesotonico e Pita-gorico. Questo concetto funzionò perché l’accordatura Pitagorica fini-va con note troppo crescenti e la Mesotonica troppo calanti. Inoltre il Ben Temperato presentava la possibilità non solo di buona terze, ma anche di buone quinte. Il più semplice Ben Temperato fu escogitato da Kirnberger, uno studente di Bach. Il suo più grande vantaggio è la semplicità. Tra i Ben Temperati i migliori furono inventati da Wer-kmeister e Young. Se classificassimo grossolanamente le accordature come Mesotoniche, Ben Temperate e Pitagoriche, allora il Tempera-mento Equabile è un Ben Temperato perché non è ne crescente ne ca-lante. Non c’è registrazione di quale temperamento usasse Bach, pos-siamo solo indovinare i temperamenti dalle armonie delle sue composi-zioni, specialmente il suo “Clavicembalo Ben Temperato”. Questi stu-di indicano che essenzialmente tutti i dettagli sul temperamento erano già stati risolti ai tempi di Bach (prima del 1700) e che lui usava tempe-ramenti non molto diversi da quelli di Werkmeister.

Il violino pare abbia sfruttato il suo progetto unico per aggirare effica-cemente i problemi di temperamento. Le corde libere sono ad interval-li di quinta l’una dall’altra, così il violino si accorda naturalmente Pita-gorico. Siccome le terze possono sempre essere suonate giuste, ha tutti

340 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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i vantaggi del Pitagorico, del Mesotonico e del Ben Temperato senza nessun lupo in vista!

Negli ultimi cento anni circa il Temperamento Equabile è stato uni-versalmente accettato e tutti gli altri temperamenti sono generalmente stati classificati come “Temperamenti Storici” che è chiaramente un termine improprio. L’uso storico del Ben Temperato diede origine al concetto di colore della tonalità nel quale ciascuna tonalità, in base al temperamento, dava un particolare colore alla musica, principalmente mediante piccole stonature che creavano “tensione” ed altri effetti. Questo complicò enormemente i problemi perché in questo modo i musicisti non solo avevano a che fare con accordi puri o nota del lupo, ma anche con colori non meglio definiti. Fino a che punto possa essere tirato fuori colore dipende dal pianoforte, dal pianista e dall’ascoltatore così come dall’accordatore. Si noti che l’accordatore può stirare il temperamento per controllare il colore (si veda “Cos’è Lo Stiramen-to?”, verso la fine della Sezione 5). Dopo aver ascoltato musica su pia-noforti accordati con il Ben Temperato, il Temperamento Equabile tende a sembrare più melmoso e scialbo. Il colore della tonalità quindi conta. I magnifici suoni degli intervalli puri (stirati) del Ben Temperato sono più importanti, tuttavia c’è sempre qualche tipo di nota del lupo che nel Temperamento Equabile viene ridotta.

Il Ben Temperato funziona meglio per suonare la maggior parte della musica composta attorno ai tempi di Bach, Chopin e Beethoven. Quest’ultimo, ad esempio, nel primo movimento della sua Sonata al Chiaro di Luna, scelse delle none dissonanti che risultano meno disso-nanti nel Ben Temperato e molto peggio nel Temperamento Equabile. Questi grandi compositori erano consapevoli del temperamento. La maggior parte dei lavori dei tempi di Chopin e Liszt fu composta con il Temperamento Equabile in mente ed il colore della tonalità non è un problema. Sebbene queste composizioni suonino diverse, all’orecchio allenato, nei due temperamenti, non è chiaro se il Ben Temperato sia obiettabile perché gli intervalli puri sono sempre meglio di quelli stona-ti.

La mia visione del pianoforte è che dovremmo allontanarci dal Tem-peramento Equabile perché ci priva di uno degli aspetti più gustosi del-la musica: gli intervalli puri. Se ne vedrà una drammatica dimostrazio-ne se si riuscirà ad ascoltare l’ultimo movimento della Waldstein di Be-ethoven suonata in Temperamento Equabile e in un Ben Temperato. Il Mesotonico potrebbe essere in qualche modo estremo, a meno di non suonare musica di quel periodo (prima di Bach). Rimangono perciò i

2 - LA SCALA CROMATICA ED IL TEMPERAMENTO 341

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Ben Temperati. Il Kirnberger è imbattibile quanto a semplicità e facili-tà di accordatura.

Credo che il Temperamento Equabile non suonerà così bene una vol-ta abituati al Ben Temperato. Il mondo si dovrebbe quindi standardiz-zare sui Ben Temperati. Quale venga scelto non fa molta differenza per la maggior parte delle persone perché quelle non educate al tempe-ramento non noteranno grandi differenze neanche tra quelli maggiori, figuriamoci tra i diversi Ben Temperati. Non voglio con ciò dire che dovremmo tutti usare il Kirnberger, ma di imparare i temperamenti e poter scegliere invece di essere costretti al Temperamento Equabile. Non è solo questione di gusti, o che la musica suoni meglio, parliamo di sviluppare la propria sensibilità musicale e sapere come usare inter-valli veramente puri. Uno svantaggio del Ben Temperato è che se il pianoforte è stonato, anche di una piccola quantità, si sente subito. Sa-rei molto contento comunque se tutti gli studenti di pianoforte svilup-passero la loro sensibilità al punto da notare che un pianoforte è leg-germente scordato.

3 - Gli Strumenti Per Accordare Sarà necessaria una chiave da accordatore, diversi cunei di gomma, una striscia di feltro, uno o due diapason e dei tappi o cuffie per le o-recchie. Gli accordatori professionisti di oggi usano anche gli accorda-tori elettronici, ma qui non li consideriamo perché non sono a basso costo per i dilettanti ed il loro uso corretto richiede una conoscenza a-vanzata delle sottigliezze dell’accordatura. Il metodo di accordatura che trattiamo è detto accordatura acustica – accordare ad orecchio. Tutti i buoni professionisti devono essere dei bravi accordatori ad o-recchio anche quando usano pesantemente gli accordatori elettronici.

Nei coda si usano i cunei silenzianti di gomma più grandi, i verticali richiedono quelli più piccoli con i manici di ferro. Quattro di ogni tipo saranno sufficienti. Si possono comprare per corrispondenza o si può chiedere al proprio accordatore di comprare tutto insieme.

Le strisce silenzianti più popolari sono in feltro, lunghe circa un metro e larghe circa un centimetro e mezzo. Vengono usate per silenziare due delle tre corde nell’ottava usata per “creare lo scomparto” (si veda più avanti). Ci sono anche in batteria, ma non funzionano altrettanto bene. Sono anche disponibili strisce di gomma, ma non silenziano bene come il feltro (si possono spostare o saltare via durante l’accordatura). Lo svantaggio delle strisce di feltro è che lasciano sulla tavola armonica uno strato di fibre che dovrà essere aspirato via una volta finito.

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Una chiave da accordatore di alta qualità consiste in un manico al-lungabile, una testa che si attacca in cima ed una bussola intercambiabi-le che si avvita su di essa. È una buona idea avere una caviglia da po-ter inserire nella boccola con una buona presa in modo da poter avvita-re saldamente la bussola alla testa, altrimenti, se si prende la bussola con la pinza, la si potrebbe spanare. Se la bussola non è saldamente nella testa salta via durante l’accordatura. La maggior parte dei piano-forti richiederà una bussola N.2 a meno che non siano state sostituite le corde e usate caviglie più grandi. La testa convenzionale è quella a cinque gradi, questi “cinque gradi” sono l’angolo tra l’asse della bocco-la ed il manico. Sia le teste che le boccole ci sono di varie lunghezze, ma quella standard o media andrà bene.

Si comprino due diapason di buona qualità: La 440 e Do 523,3. Si prenda la buona abitudine di tenerli per il collo stretto del manico in modo che le dita non interferiscano con le vibrazioni. Si dia con fer-mezza un colpetto alla punta del diapason contro una parte muscolare del ginocchio e si controlli il suono sostenuto. Se portato vicino all’orecchio dovrebbe essere chiaramente udibile per 10÷20 secondi. Il modo migliore di ascoltare il diapason è mettere la punta del manico contro la cartilagine triangolare (lobo dell’orecchio) che viene in fuori verso il centro del canale uditivo. Si può cambiare intensità spingendo in dentro e in fuori il lobo usando l’estremità del diapason. Non si usi-no i fischietti perché sono troppo imprecisi.

Le cuffie sono una protezione necessaria perché i danni all’orecchio sono gli infortuni sul lavoro degli accordatori. Sarà necessario colpire forte i tasti (pestare i tasti – nel gergo degli accordatori) per poter ac-cordare correttamente, come spiegato più avanti, e l’intensità del suono di un simile pestare può facilmente danneggiare l’orecchio provocando acufeni e perdita dell’udito.

4 - La Preparazione Ci si prepari ad accordare togliendo il leggio in modo che le caviglie siano accessibili (pianoforte a coda). La prossima sezione non richiede ulteriore preparazione. È necessario silenziare tutte le corde laterali delle corde triple dello “scomparto”, per poterlo “creare”, usando la striscia silenziante in modo tale che quando si suona una qualsiasi nota di questa ottava vibri solo la corda centrale. Si dovranno probabilmen-te silenziare quasi due ottave in base all’algoritmo di accordatura. Si provi prima l’intero algoritmo per determinare la nota più bassa e quel-la più alta da silenziare. Si silenzino poi tutte le note in mezzo. Si usi la

4 - LA PREPARAZIONE 343

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parte finale arrotondata del manico della sordina, nei verticali, per premere il feltro negli spazi tra le corde esterne delle note adiacenti.

5 - Cominciare Senza un’insegnante non ci si può tuffare ad accordare. Si perderà ra-pidamente lo scomparto e non si avrà idea di come tornare indietro. Perciò si devono prima imparare/studiare alcune procedure di accorda-tura in modo da non finire con un pianoforte non suonabile che non si riesce a ripristinare. Questa sezione è un tentativo di arrivare al livello in cui si potrebbe tentare una vera accordatura senza incappare in diffi-coltà di questo tipo.

La prima cosa da imparare è cosa non fare per evitare di danneggia-re il pianoforte, cosa non difficile. Se si tira troppo una corda questa si spezza. Le istruzioni iniziali sono pensate per minimizzare la rottura delle corde dovuta a mosse da dilettanti, per cui si legga attentamente. Si pianifichi per tempo in modo da sapere cosa fare in caso una corda si rompesse. Una corda spezzata di per sé non è un disastro in un piano-forte, anche per lunghi periodi di tempo. È probabilmente saggio, co-munque, condurre le prime prove appena prima di chiamare il proprio accordatore. Una volta a conoscenza di come si accordano, la rottura delle corde è un problema raro tranne nei pianoforti molto vecchi e u-surati. Le caviglie vengono girate di quantità talmente piccole che le corde non si rompono quasi mai. Un errore comune, fatto dai princi-pianti, è di mettere la chiave nella caviglia sbagliata. Siccome girandola non sentono alcun cambiamento, continuano a girarla finché la corda si spezza. Un modo per evitarlo è iniziare sempre ad accordare calante, come suggerito più avanti, e di non girare mai la caviglia senza ascolta-re il suono.

La considerazione più importante per un accordatore alle prime armi è di preservare la condizione del somiere. La pressione di quest’ultimo sulle caviglie è enorme. Ora, non si deve mai fare, ma se ipoteticamen-te si girasse la caviglia rapidamente di 180 gradi il calore generato nell’interfaccia tra la caviglia e il somiere sarebbe sufficiente a cuocere il legno ed alterarne la struttura molecolare. Chiaramente tutte le rota-zioni delle caviglie devono essere condotte per incrementi piccoli e len-ti. Se fosse necessario togliere una caviglia svitandola, la si ruoti solo di un quarto di giro (antiorario) e si aspetti un momento per far dissipare il calore dall’interfaccia; si ripeta poi la procedura in modo da evitare di danneggiare il somiere.

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Descriverò tutto assumendo un pianoforte a coda, ma i corrispondenti movimenti sui verticali dovrebbero essere ovvi. Ci sono due movimenti base nell’accordare: il primo è girare la caviglia in modo da tirare od allentare la corda, il secondo è scuotere la caviglia verso se stessi (per tirare la corda) o in avanti verso di essa (per rilasciarla). Se fatto all’estremo il movimento di scuotimento allargherà il foro danneggian-do il somiere. Si noti che il foro è in qualche modo ellittico in cima alla superficie del somiere perché la corda tira la caviglia nella direzione dell’asse maggiore dell’ellisse. Una piccola quantità di scuotimento all’indietro non allarga l’ellisse perché la caviglia viene sempre tirata nella direzione dell’asse maggiore. Inoltre la caviglia non è dritta, ma è piegata elasticamente verso la corda dalla trazione della stessa. Il mo-vimento di scuotimento può quindi essere abbastanza efficace nello spo-stare la corda. Anche una piccola quantità di scuotimento in avanti, entro l’elasticità del legno, è innocua. Da queste considerazioni è chia-ro che si deve usare la rotazione quando possibile ed usare il movimen-to di scuotimento solo quando assolutamente necessario. Si dovrebbero usare solo movimenti di scuotimento molto piccoli. Le note molto alte (le due ottave superiori) richiedono un movimento così piccolo che si potrebbe non riuscire a controllarlo adeguatamente ruotando la cavi-glia. Lo scuotimento fornisce un controllo molto più fine e può essere usato in quel minuscolo movimento finale per ottenere l’accordatura perfetta.

Qual è il modo più facile di iniziare a far pratica? Innanzitutto sce-gliamo le note più facili da accordare. Queste sono nell’ottava Do3-Do4. Le note più basse sono più difficili da accordare a causa del loro più alto contenuto armonico e quelle più alte a causa della quantità di rotazione necessaria per accordarle, che diventa più piccola all’aumentare dell’altezza. Si noti che il Do Centrale è il Do4, il Si sotto di esso è il Si3 ed il Re subito dopo è il Re4. Ovvero, il numero delle ottave 123... cambia dal Do [“C”, ndt] e non dal La [“A”, ndt]. Sce-gliamo Sol3 come nota su cui esercitarci ed iniziamo a numerare le cor-de. Ogni nota in questa zona ha tre corde. Iniziando da sinistra nume-reremo le corde 123 (Sol3), 456 (Sol#3), 789 (La3), ecc. Si metta un cuneo tra le corde 3 e 4 per silenziare la corda 3 in modo che quando si suona Sol3 possano vibrare solo 1 e 2, lo si metta a circa metà strada tra il ponticello e un’agraffe.

Ci sono due tipi fondamentali di accordatura: unisono e armonica. All’unisono le due corde vengono accordate in modo identico, nell’armonica una corda viene accordata ad un’armonica dall’altra, co-me una terza, una quarta, una quinta o un’ottava. Accordare

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all’unisono le tre corde di ciascuna nota è più facile, proviamo quindi prima così.

A) Inserire e Muovere la Chiave da Accordatore Se si possiede una buona chiave a lunghezza regolabile la si tiri fuori di circa dieci centimetri e la si blocchi. Si tenga il manico con la destra, la bussola con la sinistra e la si innesti nella caviglia. Si orienti il manico in modo che sia approssimativamente perpendicolare alle corde e rivol-to a destra. Lo si scuota leggermente con la destra attorno alla caviglia e si infili con la sinistra in modo che sia saldamente innestato, più a fondo possibile. Dal primo giorno, si prenda l’abitudine di scuotere la bussola in modo che si innesti saldamente. A questo punto il manico non sarà perfettamente perpendicolare alla corda, si scelga solo una po-sizione che sia più perpendicolare possibile per quanto permesso dalla posizione della bussola. Si trovi ora un modo di appoggiare la mano destra così da riuscire ad applicare una pressione costante sulla chiave. Si può, ad esempio, stringere la punta del manico con il pollice ed una o due dita ed appoggiare il braccio sulla struttura di legno, con il mi-gnolo sulle caviglie direttamente sotto il manico. Se il manico fosse vi-cino al telaio sopra le corde (infrastruttura di ghisa) si può appoggiare la mano su di esso. Non si deve impugnare il manico come si tiene una racchetta da tennis e tirare e mollare per girare la caviglia – non si a-vrebbe abbastanza controllo. Si potrà riuscire a farlo dopo anni di pra-tica, ma all’inizio impugnare il manico e spingere senza appoggiarsi a qualcosa è troppo difficile da controllare con precisione. Quindi, si svi-luppi l’abitudine di trovare dei buoni punti d’appoggio per la mano a seconda di dove si trova il manico. Ci si eserciti in queste posizioni as-sicurandosi di applicare una pressione controllata, costante e robusta sul manico, ma non si giri ancora nessuna caviglia.

Il manico della chiave deve essere rivolto a destra in modo che quan-do lo si gira verso di sé (la corda si alza) si controbilanci la forza della corda e si liberi la caviglia dalla parte anteriore del foro (verso la cor-da). Questo gli permette di girare più liberamente a causa dell’attrito ridotto. Quando si accorda calante si sta provando a girare la caviglia assieme alla corda nello stesso verso, girerebbe perciò troppo facilmen-te tranne per il fatto che la propria spinta e la trazione della corda la spingono contro la parte anteriore del foro aumentando la pressione (l’attrito) ed evitando che giri troppo facilmente. Se si fosse messo il manico a sinistra si avrebbero avuti problemi per entrambi i movimenti a calare ed a crescere. Nel movimento a crescere si spinge la caviglia contro la parte anteriore del foro assieme alla corda, rendendo dop-

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piamente difficile girarla e danneggiando il foro stesso. Nel movimento a calare la chiave tende a sollevare la caviglia dal bordo anteriore del foro ed a diminuire l’attrito. Inoltre, entrambi la chiave e la corda la girano nello stesso verso. La caviglia gira ora troppo facilmente. Il manico della chiave deve essere rivolto a sinistra nei verticali. Guar-dando verso la caviglia la chiave deve essere rivolta alle tre nei piano-forti a coda ed alle nove nei pianoforti verticali. In entrambi i casi la chiave è dal lato dell’ultimo giro della corda.

Gli accordatori professionisti non usano queste posizioni. La maggior parte usa l’una o le due per i coda e le undici o le dodici per i verticali e Reblitz consiglia le sei per i coda e le dodici per i verticali. Per poterne capire il perché consideriamo prima il posizionamento della chiave alle dodici su un coda (simile alle sei). Ora l’attrito della caviglia contro il somiere è lo stesso nei movimenti a crescere ed a calare. Nel movimen-to a crescere, tuttavia, si va contro la tensione della corda ed in quello a calare la corda aiuta. La differenza di forza necessaria tra i movimenti a crescere ed a calare è quindi molto maggiore rispetto a quando la chiave è alle tre, il che è uno svantaggio. Diversamente dalla posizione alle tre, comunque, la caviglia non va avanti e indietro durante l’accordatura così quando si lascia la pressione sulla chiave essa non torna indietro – è più stabile – e si ottiene maggior precisione.

La posizione all’una o alle due è un buon compromesso che sfrutta i vantaggi di entrambe le posizioni alle tre ed alle dodici. I principianti non hanno la precisione per trarre pieno vantaggio dalla posizione all’una o alle due perciò il mio suggerimento è di iniziare con la posi-zione alle tre, che all’inizio dovrebbe essere più facile, e passare a quella all’una o alle due con l’aumentare della precisione. Quando si diventa bravi la maggior precisione può velocizzare l’accordatura al punto da riuscire ad accordare ogni corda in soli pochi secondi. Nella posizione alle tre si dovrà indovinare quanto tornerà indietro la caviglia e sovra-accordare di quella quantità e per far questo ci vuole più tempo. Chia-ramente dove si mette esattamente la chiave diverrà più importante mi-gliorando.

B) Impostare La Caviglia Affinché l’accordatura regga è importante “impostare la caviglia” cor-rettamente. Guardando la caviglia dall’alto, la corda arriva da destra (nei coda – da sinistra nei verticali) e si arrotola intorno. Se quindi la si ruota in senso orario si accorderà a crescere e viceversa. La tensione della corda cerca sempre di farla ruotare in senso antiorario (calante). Un pianoforte normalmente si scorda calante nel suonarlo. Siccome

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tuttavia la presa del somiere sulla caviglia è forte, quest’ultima non è mai diritta, ma è sempre piegata.

Girando la caviglia in senso orario e fermandosi la punta sarà inclina-ta in senso orario rispetto al fondo. In questa posizione vuole ruotare in senso antiorario (si vuole raddrizzare), ma non può perché è tratte-nuta dal somiere. Si ricordi che anche la corda prova a girarla in quel senso. Le due forze assieme possono essere sufficienti a scordare rapi-damente il pianoforte in calare quando si suona qualcosa forte.

Quando la caviglia viene girata in senso antiorario accade l’opposto: vorrà raddrizzarsi in senso orario, in opposizione alla forza della corda. Questo riduce la torsione netta rendendo l’accordatura più stabile. Si può infatti piegare la caviglia così tanto in senso antiorario che la forza raddrizzante è molto più grande della forza della corda ed il pianoforte si scorda in crescendo suonandolo. Chiaramente si deve “impostare la caviglia” correttamente per produrre un’accordatura stabile. Questo requisito verrà preso in considerazione nelle seguenti istruzioni di ac-cordatura.

C) Accordare Gli Unisoni Si innesti ora la chiave da accordatore nella caviglia della corda 1, ac-corderemo la 1 alla 2. Il movimento su cui esercitarsi è: (1) calante, (2) crescente, (3) calante, (4) crescente, (5) calante (accordato). Tranne (1), ciascun movimento deve essere più piccolo del precedente. Miglio-rando si aggiungeranno o toglieranno passi a seconda del caso. Stiamo assumendo che le due corde siano quasi accordate. Accordando, si de-vono seguire due regole: (a) non girare mai le caviglie se non si sta contemporaneamente ascoltando il suono e (b) non lasciare la pressione del manico della chiave finché il movimento non è completo.

Iniziamo ad esempio con il movimento 1 calante: mentre si spinge la fine della chiave lontano da se con il pollice e l’indice, si continui a suonare la nota con la mano sinistra ogni secondo o due in modo da mantenere una suono continuo. Non si sollevi il tasto per nessun lasso di tempo perché fermerebbe il suono, si tenga giù e si suoni con un ra-pido movimento su e giù così da non provocare alcuna interruzione. Il mignolo ed il resto della mano destra dovrebbero essere appoggiati contro il pianoforte. Il movimento necessario della chiave è di soli po-chi millimetri. Si sentirà prima una resistenza crescente e poi la caviglia inizierà a ruotare. Prima che inizi a girare si dovrebbe sentire un cam-biamento del suono. Girando la caviglia si ascolti la corda 1 calare e creare un battimento con quella centrale, la sua frequenza aumenterà continuando a girare. Ci si fermi alla frequenza di due o tre battimenti

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al secondo. L’estremità della chiave da accordatore dovrebbe spostarsi di un centimetro. Si ricordi di non girare mai la caviglia quando non c’è suono perché si perderebbe subito traccia di dove si è rispetto a co-me stanno cambiando i battimenti. Si tenga sempre una pressione co-stante sulla chiave, per la stessa ragione, finché il movimento non è completo.

Qual è la logica dietro ai cinque movimenti? Assumendo che le due corde siano ragionevolmente accordate, si accorda la prima corda ca-lante nel passo 1 per assicurarsi che al passo 2 si passerà per il punto di accordatura. Questo protegge anche dalla possibilità di aver messo la chiave nella caviglia sbagliata: finché si accorda in calare la corda non si romperà mai.

Dopo il passo 1 si sarà sicuramente calanti perciò al passo 2 si ascolti il punto di accordatura mentre lo si supera. Si vada oltre finché non si sente il battimento, alla frequenza di due o tre al secondo, dal lato cre-scente e ci si fermi. Ora si sa dove è il punto di accordatura e come suona. La ragione per andare così oltre è che si vuole impostare la ca-viglia, come spiegato prima.

Ora si torni di nuovo calante, passo 3, ma questa volta ci si tenga ap-pena oltre il punto di accordatura, non appena si sentono arrivare i bat-timenti. La ragione per cui non si vuole andare troppo in là è che non si vuole disfare l’“impostazione della caviglia” del passo 2. Si faccia di nuovo caso a come suona il punto di accordatura: dovrebbe essere per-fettamente pulito e puro. Questo passo assicura di non aver impostato la caviglia troppo lontano.

Ora si esegua l’accordatura finale, passo 4, crescendo il meno possibi-le oltre l’accordatura perfetta e poi si accordi girando a calare, passo 5. Si noti che l’ultimo movimento deve essere sempre a calare per poter impostare la caviglia. Una volta diventati bravi si potrebbe riuscire a fare tutto in due movimenti (crescente, calante) o tre (calante, crescen-te, calante).

Idealmente dal passo 1 all’accordatura finale si dovrebbe mantenere il suono ininterrotto e si dovrebbe sempre esercitare pressione sul manico senza mai lasciar andare la chiave. Inizialmente si dovrà probabilmente fare tutto movimento per movimento. Quando si diventerà bravi l’in-tera operazione durerà pochi secondi, all’inizio però ci vorrà molto di più. Finché non si svilupperanno i propri “muscoli da accordatura” ci si stancherà rapidamente e potrà essere necessario fermarsi ogni tanto per recuperare. Non solo i muscoli della mano e del braccio, ma anche la concentrazione richiesta per focalizzarsi sui battimenti può essere

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piuttosto uno sforzo e può stancare rapidamente. Sarà necessario svi-luppare gradualmente la “resistenza da accordatura”. La maggior parte delle persone fa meglio ascoltando da un solo orecchio piuttosto che da due, si giri perciò la testa per vedere qual è l’orecchio migliore.

L’errore più comune commesso dai principianti in questa fase è cerca-re di sentire i battimenti sospendendo il movimento di accordatura. I battimenti sono difficili da sentire quando nulla sta cambiando. Se non si sta girando la caviglia è difficile decidere quale delle tante cose che si sentono sia il battimento su cui concentrarsi. Ciò che gli accordatori fanno è continuare a muovere la chiave ed ascoltare il cambiamento dei battimenti. Quando questi cambiano è più facile identificare quello che si sta usando per accordare la corda. Rallentare il movimento di ac-cordatura non rende quindi più facili le cose. Il principiante si trova così tra incudine e martello: girare la caviglia troppo rapidamente pro-vocherà un macello e si perderà traccia di dove si era; per contro, gira-re troppo lentamente renderà difficile identificare i battimenti. Si lavori perciò a determinare la gamma di movimenti necessari ad ottenere i battimenti alla giusta velocità con cui si può girare la caviglia di conti-nuo per farli andare e venire. Nel caso ci si smarrisse del tutto, si silen-zino le corde 2 e 3 mettendo un cuneo tra di esse e si suoni la nota per vedere se si riesce a trovarne un’altra simile sul pianoforte. Se la nota è più bassa del Sol3 sarà necessario accordare in crescendo per riportarla indietro e viceversa.

Ora che si è accordata la corda 1 alla 2, si rimetta il cuneo in modo da silenziare la corda 1 lasciando la 2 e la 3 libere di vibrare. Si accordi la 3 alla 2. Una volta soddisfatti si tolga il cuneo per vedere se il Sol è ora privo di battimenti. Una nota accordata! Se il Sol era ragionevolmente accordato prima di iniziare, non si è fatto molto si cerchi perciò una no-ta vicina che sia scordata per vedere se si riesce a “ripulirla”. Si noti che in questo schema si accorda sempre una corda singola ad un’altra corda singola. In linea di principio, se si fosse veramente bravi, le cor-de 1 e 2 sono perfettamente accordate dopo aver finito con la 1 perciò il cuneo non sarebbe più necessario. Si dovrebbe riuscire ad accordare la 3 alla 1 e 2 che vibrano assieme. In pratica questo non funziona, fin-ché non si è veramente bravi, a causa di un fenomeno detto vibrazione simpatica.

D) Vibrazioni per Simpatia La precisione necessaria per portare due corde in perfetta accordatura è così alta che è praticamente un compito impossibile. Si scopre che in pratica risulta più facile perché quando le frequenze si avvicinano ad

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un certo intervallo detto “gamma di vibrazioni per simpatia” le due corde modificano la loro frequenza l’una verso l’altra in modo da vi-brare alla stessa frequenza. Ciò accade perché le due corde non sono indipendenti, ma sono accoppiate l’una all’altra al ponticello. Quando sono accoppiate, la corda che vibra alla frequenza più alta farà vibrare l’altra ad una frequenza leggermente maggiore e viceversa. L’effetto netto è di portare entrambe le frequenze verso la frequenza media tra le due. Così quando si accorda la 1 alla 2 all’unisono non si ha idea (a meno di non essere un accordatore esperto) se siano state accordate perfettamente o siano semplicemente nella gamma di vibrazione simpa-tica. Le prime volte molto più probabilmente sarà questo il caso.

Ora, se si dovesse provare ad accordare una terza corda alle due in vibrazione simpatica, questa porterebbe quella più vicina alla sua fre-quenza nella vibrazione simpatica. L’altra corda potrebbe però essere troppo lontana in frequenza. In questo caso uscirà dalla vibrazione simpatica e sarà dissonante. Il risultato è che, non importa dove si è, si sentiranno sempre i battimenti – il punto di accordatura scompare! Po-trebbe sembrare che se la terza corda fosse accordata alla frequenza media delle due in vibrazione simpatica tutte e tre andrebbero in vibra-zione simpatica, questo non sembra essere il caso a meno che tutte e tre non siano accordate perfettamente. Se le prime due corde sono abba-stanza scordate ha luogo un complesso trasferimento di energia tra le tre. Anche quando le prime due sono vicine ci saranno armoniche in alto che eviteranno ai battimenti di scomparire quando si introduce una terza corda. Inoltre, ci sono casi frequenti nei quali non si possono e-liminare completamente tutti i battimenti perché le due corde non sono identiche. Un principiante quindi si perderebbe del tutto se provasse ad accordare una terza corda ad un paio di corde. Finché non si sarà diventati bravi nell’individuare la gamma di vibrazione simpatica, si accordi sempre una corda ad una corda, mai una a due. Inoltre l’aver accordato la 1 alla 2 e la 3 alla 2 non significa che le tre corde suone-ranno “pulite” insieme. Si controlli sempre, se la nota non è comple-tamente “pulita” sarà necessario trovare la corda colpevole e riprovare.

Si noti l’uso del termine “pulita”. Con sufficiente esercizio si lasce-ranno presto perdere i battimenti e si cercherà invece un suono puro che risulta da qualche parte nella gamma di vibrazione simpatica. Que-sto punto dipenderà da quali armoniche produce ciascuna corda. In linea di principio, quando si accordano gli unisoni, si cerca di far com-baciare le fondamentali. In pratica, un leggero errore nelle fondamen-tali non è udibile in confronto allo stesso errore nelle armoniche più in alto. Sfortunatamente queste armoniche in alto non sono in genere e-

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satte, ma cambiano da corda a corda. Così, quando le fondamentali coincidono, queste armoniche alte creano battimenti ad alta frequenza che rendono la nota “melmosa” o “metallica”. Quando le fondamentali sono scordate anche così leggermente da non creare battimenti nelle armoniche in alto la nota “si pulisce”. La realtà è anche più complica-ta perché alcune corde, specialmente nei pianoforti di qualità più bas-sa, avranno per conto proprio risonanze estranee che rendono impossi-bile eliminare del tutto certi battimenti. Questi diventano molto pro-blematici quando si deve usare una tale nota per accordarne un’altra.

E) Fare Quel Movimento Infinitesimo Finale Avanziamo ora al successivo livello di difficoltà. Si trovi una nota leg-germente stonata vicino al Sol3 e si ripeta la procedura precedente. I movimenti di accordatura sono ora molto più piccoli in queste note più alte, rendendole più difficili. Di fatto si potrebbe non riuscire a rag-giungere una precisione sufficiente girando la caviglia. Dobbiamo im-parare una cosa nuova. Questa richiede di pestare sulle note, si metta-no quindi le cuffie o i tappi per le orecchie.

Tipicamente si passa per il movimento (4) con successo, ma nel mo-vimento (5) la caviglia resta ferma o salta oltre il punto di accordatura. Per poter far avanzare la corda di incrementi più piccoli si spinga sul-la chiave con una pressione leggermente inferiore a quella che farebbe saltare la caviglia. Ora si colpisca forte la nota mantenendo al con-tempo la stessa pressione sulla chiave. La tensione aggiuntiva dovuta al forte corpo del martello farà avanzare la corda di una piccola quanti-tà. Si ripeta finché non sarà perfettamente accordata. Durante questi piccoli avanzamenti ripetuti è importante non rilasciare mai la pressio-ne sulla chiave e tenerla costante, altrimenti si perderà rapidamente traccia di dove si è arrivati. Quando la corda sarà perfettamente ac-cordata si lasci la chiave, la caviglia potrebbe tornare indietro lasciando la corda leggermente calante. Si dovrà imparare dall’esperienza di quanto torna indietro e compensare durante l’accordatura.

Il bisogno di pestare sulla corda per farla avanzare è uno dei motivi per cui si sentono spesso gli accordatori picchiare sul pianoforte. Pren-dere l’abitudine di pestare sulla maggior parte delle note è una buona idea perché stabilizza l’accordatura. Il suono risultante potrà essere co-sì forte da danneggiare l’orecchio: uno degli infortuni sul lavoro degli accordatori è il danneggiamento del orecchio dovuto al pestare. La so-luzione è l’uso di tappi, si sentiranno ancora facilmente i battimenti an-che con essi. Il sintomo più comune dei danni all’orecchio è l’acufene (fischio all’orecchio). Si può minimizzare la forza con cui pestare au-

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mentando la pressione sulla chiave. Inoltre è necessario picchiare me-no se la chiave è parallela alla corda, invece che perpendicolare, ed an-cora meno se la si rivolge a sinistra. Questa è un’altra ragione per cui gli accordatori usano le loro chiavi più parallele che perpendicolari alle corde. Si noti che ci sono due modi di rivolgerla parallelamente: verso le corde (ore dodici) e lontano dalle corte (ore sei). Nel fare esperienza si facciano esperimenti con le differenti posizioni perché forniranno di-verse opzioni per risolvere vari problemi. Ad esempio, con la più po-polare testa da 5 gradi sulla chiave, si potrebbe non riuscire a rivolgerla a destra nell’ottava più alta perché potrebbe sbattere contro la struttura in legno del pianoforte.

F) Equalizzare La Tensione della Corda Pestare aiuta anche a distribuire meglio la tensione della corda su tutte le parti “mute”, come la scala duplex, ma specialmente nella sezione tra il capotasto e l’agraffe. C’è controversia sul fatto che equalizzare la tensione migliori il suono. Ci sono pochi dubbi che una tensione uni-forme renda l’accordatura più stabile. Il fatto che ci sia tuttavia una differenza materiale di stabilità è discutibile, specialmente se le caviglie sono state impostate correttamente. In molti pianoforti le sezioni duplex sono quasi del tutto silenziate usando il feltro perché possono causare oscillazioni indesiderate. La parte duplex, sottoposta a maggior tensione, viene silenziata in praticamente tutti i pianoforti. I principian-ti non si devono preoccupare della tensione in queste parti “mute” delle corde, per loro il pesante pestare non è perciò necessario, seppure sia una utile abilità da imparare.

La mia opinione personale è che il suono delle corde della scala duplex non si aggiunga al suono del pianoforte. Questo suono non è infatti udibile e viene silenziato nei bassi quando lo diventa. Perciò “l’arte di accordare la scala duplex” è un mito, sebbene questo sia stato fatto credere dai costruttori alla maggior parte degli accordatori (inclu-so Reblitz!) perché è un buon modo di vendere. L’unica ragione per cui si vuole accordare la scala duplex è che il ponticello sia situato su un nodo di entrambe le sezioni della corda, muta e non; altrimenti ac-cordare diventa difficile: il suono sostenuto potrebbe accorciarsi e si perderebbe l’uniformità. Usando la terminologia dell’ingegneria mec-canica possiamo dire che accordare la scala duplex ottimizza l’impedenza vibrazionale del ponticello. In altre parole il mito non ri-duce l’abilità degli accordatori di fare il loro lavoro. Nonostante questo una corretta comprensione è certamente preferibile. La scala duplex è sicuramente necessaria per permettere al ponticello di spostarsi più li-

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beramente, non per produrre suono. Ovviamente la qualità del suono (delle sezioni di corda non mute) migliorerà perché l’impedenza del ponticello viene ottimizzata, ma non perché produca un qualche suono. Il fatto che la scala duplex venga silenziata nei bassi e sia completamen-te non udibile negli alti dimostra che il suo suono non è necessario. Anche negli alti viene “accordata”, nel senso che l’aliquot viene siste-mata in un punto tale che la sezione duplex della corda sia armonica rispetto alla sezione non muta, per poter ottimizzare l’impedenza (“ali-quot” significa frazionaria o armonica). Se il suono della scala duplex fosse udibile, questa andrebbe accordata con la stessa attenzione della sezione non muta. Tuttavia per adattare l’impedenza l’accordatura de-ve solo essere approssimata ed è ciò che si fa in pratica. Alcuni costrut-tori hanno esagerato questo mito a livelli ridicoli rivendicando una se-conda scala duplex dal lato della caviglia. Siccome il martello può tra-smettere a questa parte di corda solo sforzo in tensione (a causa del ca-potasto rigido) essa non può vibrare per produrre suono. Di conseguenza praticamente nessun costruttore specifica che le parti mute dal lato della caviglia debbano essere accordate.

G) Lo Scuotimento negli Alti Le note più difficili da accordare sono quelle più alte. Qui ci vuole una precisione incredibile nel muovere le corde ed i battimenti sono difficili da sentire. I principianti possono perdere facilmente i loro rife-rimenti ed essere in difficoltà nel tornare indietro. Un vantaggio della necessità di movimenti così piccoli è che ora si può usare, per accorda-re, il movimento dello scuotimento della caviglia e siccome è talmente piccolo non si può danneggiare il somiere. Per scuotere la caviglia si metta la chiave parallela alla corda, in direzione di essa (lontano da se stessi). Si tiri in su per accordare a crescere, si spinga in giù per ac-cordare a calare.

Ci si assicuri prima che il punto di accordatura sia vicino al centro del movimento di scuotimento, se non lo fosse si giri la caviglia finché non lo diventa. Non è difficile perché questa rotazione è molto più ampia di quella necessaria all’accordatura finale, ma ci si ricordi di impostare correttamente la caviglia. Sarebbe meglio se il punto di accordatura fosse davanti al centro (verso la corda), ma portandolo troppo avanti si rischierebbe di danneggiare il somiere nel provare ad accordare in cala-re. Si noti che accordare in crescere non danneggia il somiere quanto in calare perché la caviglia è già schiacciata contro la parte anteriore del foro.

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H) Il Brontolio nei Bassi Le corde più basse sono le seconde in difficoltà (dopo quelle più alte) da accordare. Queste corde producono un suono composto principal-mente dalle armoniche più alte. Vicino al punto di accordatura i bat-timenti sono così lenti e leggeri da essere difficili da sentire. Alle volte li si possono “sentire” meglio con un ginocchio contro il pianoforte sen-tendo le vibrazioni piuttosto che udendoli con l’orecchio, specialmente nella sezione a corda singola. Ci si può esercitare all’unisono solo giù fino all’ultima nota della sezione a corda doppia. Si provino a ricono-scere i battimenti metallici e squillanti di altezza elevata prevalenti in questa zona. Si provi ad eliminarli o vedere se è necessario stonare leggermente per poterli eliminare. Se si sentono questi battimenti alti, metallici e squillanti significa che si è sulla buona strada. All’inizio non ci si preoccupi di non riconoscerli neanche, non ci si aspetta questo dai principianti.

I) L’Accordatura Armonica Una volta soddisfatti della propria abilità di accordare gli unisoni si ini-zi ad esercitarsi ad accordare in ottava. Se ne prenda una qualunque vicino al Do Centrale e si silenzino le due note laterali superiori di cia-scuna nota inserendo un cuneo tra di esse. Si accordi la superiore a quella un’ottava sotto e viceversa. Come con gli unisoni si cominci vi-cino al Do Centrale e si prosegua verso gli alti e poi verso i bassi. Si ripeta lo stesso esercizio con le quinte, le quarte e le terze maggiori.

Dopo essere riusciti ad accordare armoniche perfette si provi a scor-dare per vedere se si riesce a sentire la frequenza crescente dei batti-menti nel deviare leggermente dall’accordatura perfetta. Si provino ad identificare le varie frequenze di battimento specialmente di una e dieci pulsazioni al secondo. Essere in grado di farlo tornerà utile dopo.

L) Cos’è Lo Stiramento? L’accordatura armonica è sempre associata ad un fenomeno detto sti-ramento. Le armoniche nelle corde del pianoforte non sono esatte per-ché le corde reali attaccate ad estremità reali non si comportano mai come le corde ideali matematiche. La proprietà di avere armoniche i-nesatte è detta inarmonicità. La differenza tra la frequenza armonica reale e quella teorica è detta stiramento. Sperimentalmente si scopre che la maggioranza delle armoniche è crescente rispetto al valore teori-co ideale, sebbene ce ne possano essere alcune calanti.

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Secondo un risultato di ricerca (Young, 1952) lo stiramento è dovuto all’inarmonicità causata dalla rigidità delle corde. Le corde matemati-che ideali hanno rigidità zero. Questa è una di quelle proprietà dette estensive – dipende dalla dimensione del cavo. Se questa spiegazione fosse giusta allora anche lo stiramento dovrebbe essere estensivo. Dato lo stesso tipo di acciaio, il cavo è più rigido se più largo o più corto. Una conseguenza di questa dipendenza dalla rigidità è un aumento del-la frequenza con il numero di modo armonico, cioè il cavo appare più rigido con armoniche a lunghezza d’onda più corta. Cavi più rigidi vi-brano più velocemente perché hanno più forza di richiamo, oltre alla tensione della corda. Questa inarmonicità è stata calcolata con diverse percentuali di precisione perciò la teoria sembra valida ed il singolo meccanismo sembra giustificare la maggior parte degli stiramenti osser-vati.

Questi calcoli mostrano che lo stiramento è di circa 1.2 cent per il se-condo modo vibrazionale del Do4 e raddoppia ogni circa otto semitoni a frequenze più alte (Do4 = Do Centrale, il primo modo è il più basso, o frequenza fondamentale, un cent è un centesimo di semitono e ci so-no dodici semitoni in un’ottava). Lo stiramento diventa più piccolo nelle note più basse, specialmente sotto al Do3, perché le corde fasciate sono piuttosto flessibili. Lo stiramento aumenta con il numero di mo-do e diminuisce anche più rapidamente con la lunghezza della corda. In linea di principio lo stiramento è più piccolo per pianoforti più gran-di e più grande nei pianoforti con meno tensione se vengono usate cor-de dello stesso diametro. Lo stiramento presenta problemi nel progetto delle scale perché bruschi cambiamenti del tipo di corda, del diametro, della lunghezza, ecc. producono cambiamenti discontinui dello stira-mento. Le armoniche dei modi molto alti, se capitano essere insolita-mente intense, presentano problemi di accordatura a causa del grande stiramento – accordare i loro battimenti potrebbe stonare udibilmente le armoniche basse più importanti. Siccome i pianoforti più grandi tendono ad avere stiramento più piccolo, ma tendono anche a suonare meglio, si potrebbe concludere che minore stiramento sia meglio. La differenza di stiramento è tuttavia generalmente piccola e la qualità del tono di un pianoforte è ampiamente controllata da altre proprietà.

Nell’accordatura armonica, ad esempio, si accorda la fondamentale o una armonica della nota più alta ad un armonica più alta della nota più bassa. La nuova nota risultante non è un multiplo esatto della nota più bassa, ma è crescente della quantità di stiramento. La cosa interessante dello stiramento è che una scala che ne tiene conto produce musica “più viva” rispetto ad una senza! Questo è la causa del fatto che alcuni

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accordatori accordano in ottave doppie invece che in ottava, per au-mentare lo stiramento.

La quantità di stiramento è unica per ogni pianoforte e, di fatto, è u-nica per ogni nota di ogni pianoforte. I moderni accordatori elettronici sono abbastanza potenti da registrare lo stiramento di tutte le note che si desiderano sullo specifico pianoforte. Gli accordatori che usano l’accordatore elettronico possono anche calcolare uno stiramento me-dio, o una funzione di stiramento, per ciascun pianoforte e accordare di conseguenza. Ci sono aneddoti di pianisti che richiedevano stiramento maggiore di quello naturale del pianoforte. Nell’accordatura ad orec-chio lo stiramento viene tenuto in considerazione naturalmente e con precisione. Quindi, sebbene questo sia un aspetto importante dell’ac-cordare, l’accordatore non deve far nulla di speciale per includerlo se tutto ciò che vuole è lo stiramento naturale del pianoforte.

M) Precisione, Precisione, Precisione La parola d’ordine nell’accordare è: precisione. Tutti i procedimenti di accordatura sono preparati in modo tale da accordare la prima nota al diapason, la seconda alla prima e via di seguito. Qualunque errore si sommerà quindi rapidamente. Di fatto un errore da qualche parte ren-derà spesso impossibile fare alcuni passi successivi. Ciò accade perché si ascoltano i più piccoli indizi di battimenti e se non vengono del tutto eliminati in una nota, questa non può essere usata per accordarne un’altra perché si sentiranno chiaramente. Ai principianti accadrà spes-so, prima di imparare quanto si debba essere precisi. Quando ciò ac-cade si sentiranno battimenti che non si riescono ad eliminare. In que-sto caso si torni indietro alla nota di riferimento e si provi a sentire lo stesso battimento: se non si riesce allora è questa la fonte dei problemi – la si aggiusti.

Il modo migliore per garantire la precisione è controllare l’accordatu-ra. Gli errori avvengono perché ogni corda è diversa e non si è mai sicuri, specialmente i principianti, che il battimento che si sente sia quel-lo che si sta cercando. Un altro fattore è la necessità di contare il numero di battimenti al secondo e la propria idea di due battimenti al secondo sarà diversa in giorni diversi ed a volte diversa lo stesso gior-no finché non si saranno ben memorizzate le “velocità di battimento”. A causa dell’importanza fondamentale della precisione, controllare ogni nota accordata ripaga. Questo è specialmente vero quando si “crea lo scomparto”, come spiegato più avanti. Sfortunatamente è tanto difficile controllare quanto lo è accordare correttamente; ovvero una persona che non sappia accordare con sufficiente precisione di solito non sarà in

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grado di eseguire un controllo significativo. Inoltre se l’accordatura fosse abbastanza stonata il controllo non funzionerebbe. Perciò ho for-nito più avanti dei metodi di accordatura che usano un numero minimo di controlli. L’accordatura risultante non sarà molto buona, all’inizio, per il Temperamento Equabile. Il Temperamento Kirnberger (si veda più avanti) è più facile da accordare con precisione. D’altro canto i principianti non riescono lo stesso a produrre una buona accordatura, indipendentemente dal metodo che usano. Le procedure presentate nel seguito forniranno almeno un’accordatura che non dovrebbe essere un disastro e che migliorerà con il migliorare della propria abilità. Di fat-to, la procedura qui descritta è probabilmente il modo più veloce per imparare. Dopo essere migliorati abbastanza si potranno investigare le procedure di verifica come quelle date da Reblitz o in “Tuning” di Jor-gensen.

6 - Le Procedure di Accordatura e di Temperamento Accordare consiste nel “creare lo scomparto” in un’ottava vicino al Do Centrale e poi “copiare” approssimativamente l’ottava in tutti gli altri tasti. Saranno necessarie diverse accordature armoniche per creare lo scomparto e solo la corda di mezzo di ogni nota dello “scomparto” vie-ne accordata inizialmente. La “copia” viene fatta accordando in ottava. Una volta che una corda di ogni nota viene accordata in questo modo le rimanenti vengono accordate all’unisono.

Creando lo scomparto dobbiamo scegliere quale temperamento usare. La maggior parte dei pianoforti di oggi viene accordata al Tempera-mento Equabile, come spiegato nella Sezione 2 precedente, ma i Tem-peramenti Storici possono dar segno di guadagnare popolarità, spe-cialmente i Ben Temperati. Ho scelto quindi, per questo capitolo, il Temperamento Equabile ed un Ben Temperato, il Kirnberger II. Quest’ultimo è uno dei temperamenti più facili da accordare e quindi lo vedremo per primo. La maggior parte delle persone che hanno poca dimestichezza con i diversi temperamenti potrebbero all’inizio non no-tare alcuna differenza tra l’Equabile e il Kirnberger II: suoneranno en-trambi formidabili rispetto ad un pianoforte scordato. La maggior par-te dei pianisti, d’altra parte, dovrebbe sentire una netta differenza ed essere in grado di farsi un’opinione o una preferenza se vengono suo-nati certi pezzi di musica e vengono fatte notare loro le differenze. Il modo più facile di ascoltare le differenze, per i non iniziati, è usare un pianoforte elettronico moderno che ha tutti questi temperamenti incor-porati e suonare lo stesso pezzo usando ciascun temperamento. Come

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pezzo di prova facile si provi la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven, primo movimento; come pezzo più difficile si provi il terzo movimento della sonata Waldstein. Si provino anche alcuni dei propri pezzi di Chopin preferiti. Il mio suggerimento ai principianti è di imparare prima il Kirnberger II in modo da poter cominciare senza troppe diffi-coltà e poi imparare l’Equabile dove si può affrontare roba più difficile. Uno svantaggio di questo schema è che il Kirnberger II potrebbe piace-re così tanto, rispetto all’Equabile, da decidere di non imparare mai quest’ultimo. Una volta abituati al Kirnberger II, l’Equabile suonerà un po’ carente o “melmoso”. Non si può tuttavia essere considerati ve-ramente degli accordatori se non si sa accordare al Temperamento E-quabile. Inoltre ci sono molti Ben Temperati, superiori sotto diversi aspetti al Kirnberger II, che si potrebbero voler provare.

Le accordature Ben Temperate sono desiderabili perché hanno armo-nie perfette che sono il cuore della musica, tuttavia hanno un grande svantaggio: siccome le armonie perfette sono così belle, le dissonanze nelle scale con la “nota del lupo” si notano e sono molto spiacevoli. Non solo questo, ma qualsiasi corda che sia anche leggermente stonata si noterà immediatamente. Le accordature Ben Temperate richiede-ranno quindi di esser accordate molto più spesso di quella Equabile. Si potrebbe pensare che una leggera scordatura degli unisoni nel Tempe-ramento Equabile sia ugualmente obiettabile, ma apparentemente quando gli accordi sono così stonati come nell’Equabile, le piccole sto-nature degli unisoni si notano meno. Di conseguenza, per i pianisti che hanno orecchie sensibili all’accordatura, i Ben Temperati potrebbero essere obiettabili a meno che non si possa accordare il proprio piano-forte. Questo è un punto importante perché la maggior parte dei piani-sti che riescono a sentire i vantaggi dei Ben Temperati ha orecchie sen-sibili all’accordatura. L’invenzione del pianoforte auto-accordante po-trebbe salvare la vita ai Ben Temperati perché sarà sempre accordato. I Ben Temperati possono così trovare ampio consenso solo nei piano-forti elettronici ed in quelli auto-accordanti (quando saranno disponibili – si veda la Sezione IV.6, “Il Futuro del Pianoforte”).

Si può iniziare l’accordatura al Temperamento Equabile ovunque, ma la maggior parte degli accordatori usa, per iniziare, il diapason La 440 perché in genere le orchestre si accordano a quello. L’obiettivo del Kir-nberger II è di avere la scala di Do Maggiore, ed il più possibile di quelle “vicine”, giusta (con accordi perfetti) perciò l’accordatura si co-mincia dal Do Centrale (Do4 = 261.6, ma la maggior parte degli accor-datori usa il diapason Do 523.3 per accordare il Do Centrale). Ora, il La che viene fuori dal Kirnberger II accordato dal Do giusto non risul-

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ta essere il La440. Saranno perciò necessari due diapason (La e Do) per riuscire ad accordare sia con Temperamento Equabile sia con Kir-nberger II. In alternativa si può semplicemente iniziare con il diapason Do ed accordare con il Temperamento Equabile dal Do. Avere due diapason è un vantaggio perché sia che si parta dal Do che dal La si può controllare se si passa da uno all’altro nel Temperamento Equabi-le.

A) Accordare Il Pianoforte al Diapason Uno dei passi più difficili del processo di accordatura consiste nell’ac-cordare il pianoforte al diapason. La difficoltà sorge per due ragioni: (1) il diapason ha un diverso suono sostenuto (di solito più breve) ri-spetto al pianoforte, perciò il suo suono muore prima di riuscire a fare un confronto preciso; (2) il diapason crea un’onda sinusoidale perfetta priva delle intense armoniche che ha il pianoforte e non si possono quindi usare i battimenti delle armoniche più alte per aumentare la pre-cisione dell’accordatura (come si può fare con le corde). Un vantaggio degli accordatori elettronici è che possono essere programmati per for-nire un’onda quadra di riferimento contenente un gran numero di ar-moniche. Queste armoniche alte (necessarie a creare gli spigoli delle onde quadre) sono utili per aumentare la precisione dell’accordatura. Dobbiamo quindi risolvere questi due problemi per poter accordare con precisione il pianoforte al diapason.

Entrambe le difficoltà si possono superare usando il pianoforte come diapason e fare questo trasferimento dal diapason al pianoforte usando qualche armonica più alta. Si trovi una nota, tra quelle silenziate, che produce intesi battimenti con il diapason. Se non la si riesce a trovare si usi una nota un semitono sopra o sotto; ad esempio per il diapason in La si usino Lab o La#. Se queste frequenze di battimento dovessero essere un po’ troppo alte si provi con le stesse note un’ottava sotto. Si accordi ora il La sul pianoforte in modo che abbia la stessa frequenza di battimento con queste note di riferimento (Lab, La# o qualunque altra nota sia stata scelta). Il modo migliore di ascoltare il diapason è tenen-dolo contro il lobo dell’orecchio come descritto precedentemente o premendolo contro un’ampia superficie piana e rigida.

B) Kirnberger II Si silenzino tutte le corde laterali dal Fa3 al Fa4. Si accordi il Do4 (Do Centrale) al diapason.

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Si usi… Per accordare…

Do4 Sol3 (quarta), Mi4 (terza), Fa3(quinta), Fa4 (quarta)

Sol3 Re4 (quinta), Si3(terza)

Si3 Fa#3 (quarta)

Fa#3 Reb3 (quinta)

Fa3 Sib3 (quarta)

Sib3 Mib4 (quarta)

Mib4 Lab3 (quinta)

Tutte le accordature fin qui sono giuste. Si accordi ora il La3 in mo-do che Fa3-La3 e La3-Re4 abbiano le stesse frequenze di battimento.

Si accordi in ottave giuste fino alle note più alte e poi giù verso le note basse iniziando dallo scomparto. In tutte queste accordature si accordi solo una corda all’ottava, silenziando le altre, e poi si accordino queste all’unisono con quella appena accordata.

Questo è un caso in cui violare la regola “si accordi una sola nota solo ad un’altra”. Se la nota di riferimento è ad esempio una corda da tre (accordata) la si usi così com’è senza silenziare nulla. Questo servirà come verifica della qualità della propria accordatura. Se si dovessero avere delle difficoltà nell’usarla per accordare una nuova corda singola, allora l’accordatura all’unisono della nota di riferimento potrebbe non essere abbastanza precisa e si deve tornare indietro a ripulirla. Certa-mente se, dopo sforzi considerevoli, non si riescono ad accordare tre contro una, non si avrà scelta che silenziarne due delle tre per poter avanzare. Si starà tuttavia compromettendo grossolanamente la qualità dell’accordatura. Quando tutte le note alte e basse saranno state ac-cordate, le uniche corde stonate rimanenti saranno quelle silenziate per creare lo scomparto. Si accordino queste all’unisono con le loro corde centrali iniziando dalle note più basse e tirando via il feltro un’asola alla volta.

C) Il Temperamento Equabile Presento qui lo schema più facile e approssimativo per il Temperamen-to Equabile. Degli algoritmi più precisi si possono trovare in letteratu-ra (Reblitz, Jorgensen). Nessun accordatore che si rispetti userebbe questo schema, tuttavia quando si diventa bravi con esso si possono produrre dei temperamenti equabili decenti. Uno schema più completo e preciso non darebbe necessariamente risultati migliori ai principianti. Con i metodi più complessi un principiante potrebbe confondersi rapi-

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damente senza avere idea di cosa abbia sbagliato, con il metodo qui il-lustrato si può sviluppare rapidamente l’abilità di scoprirlo.

Si silenzino le corde laterali dal Sol3 al Do#5. Si accordi il La4 al diapason La 440. Si accordi il La3 al La4. Si accordi in quinte contrat-te dal La3 fino alle note non silenziate, si accordi poi un’ottava sotto e si ripeta questo “su in quinte, giù di un’ottava” fino ad arrivare al La4. Si partirà, ad esempio, con la quinta La3-Mi4 contratta, poi Mi4-Si4 contratta. La quinta successiva porterebbe oltre la nota silenziata più alta, Do#4, perciò si accordi un’ottava sotto Si4-Si3. Tutte le ottave sono ovviamente giuste. Le quinte contratte devono avere dei batti-menti un po’ sotto 1 Hz all’inizio (in basso) delle corde silenziate e circa 1.5 Hz alla fine (in alto). Le frequenze di battimento delle quinte tra queste note più basse e più alte dovrebbe aumentare dolcemente all’aumentare dell’altezza.

Una quinta contratta si crea accordando calante dal giusto quando si sale per quinte. Si può perciò iniziare dal giusto e poi accordare in ca-lare per poter aumentare la frequenza dei battimenti fino al valore de-siderato e simultaneamente creare lo scomparto correttamente. Facen-do tutto perfettamente l’ultima quinta Re4-La4 dovrebbe essere una quinta contratta con la frequenza di battimenti di 1 Hz senza alcuna ac-cordatura. Allora si avrà finito. Si è appena fatto un “ciclo di quinte”. Il miracolo del ciclo delle quinte è che accorda ciascuna nota una volta, senza saltarne nessuna nell’ottava La3-La4!

Se la quinta finale Re4-La4 non fosse corretta si è commesso qualche errore da qualche parte. In questo caso si inverta la procedura inizian-do dal La4 scendendo per quinte contratte e salendo per ottave. Finché non si raggiunge il La3, dove La3-Mi4 finale dovrebbe essere una quin-ta contratta con una frequenza di battimento leggermente sotto 1 Hz. Per scendere in quinte si crei una quinta contratta accordando in cre-scendo dalla giusta. Questa manovra tuttavia non imposta la caviglia, per poterlo fare correttamente si deve quindi stare troppo crescenti all’inizio e poi diminuire la frequenza di battimento al valore desidera-to. Scendere in quinte è perciò un’operazione più difficile rispetto a sa-lire in quinte.

Un metodo alternativo è iniziare dal La ed accordare fino al Do sa-lendo in quinte e controllando questo Do con un diapason. Se il Do è crescente le quinte non erano abbastanza contratte e viceversa. Un’altra variante è accordare in su dal La3 per quinte fino a poco oltre metà e poi accordare in giù dal La4 sino all’ultima nota accordata sa-

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lendo. Una volta creato lo scomparto si continui come descritto nella precedente sezione sul Kirnberger.

7 - Fare Piccole Riparazioni Una volta cominciato ad accordare non si può fare a meno di essere coinvolti in piccole riparazioni e nel fare un po’ di manutenzione.

A) L’Intonazione dei Martelli (La Pettinatura e La Punzonatura) Un problema comune a molti pianoforti è la compattazione dei martel-li. Sollevo la questione perché la condizione dei martelli è molto più importante, per il corretto sviluppo della tecnica pianistica e per colti-vare la capacità di eseguire in pubblico, di quanto molte persone rea-lizzino. In numerosi punti del libro ci si riferisce all’importanza di stu-diare musicalmente per poter acquisire la tecnica. Non lo si riuscirà però a fare se il martello non può fare il suo lavoro, un punto impor-tante sottovalutato anche da molti accordatori (spesso perché hanno paura che il costo aggiuntivo allontani i clienti). La necessità di chiude-re, almeno parzialmente, il coperchio dei pianoforti a coda per poter suonare passaggi delicati è un chiaro sintomo di martelli compatti. Un altro sintomo sicuro è la tendenza ad usare il pedale del piano come aiuto per suonare delicatamente. I martelli compatti danno un suono forte o non ne danno affatto. Ogni nota tende ad iniziare con un fasti-dioso colpo percussivo troppo forte ed il suono è eccessivamente squil-lante. Sono questi colpi percussivi che fanno così male alle orecchie dell’accordatore. Un pianoforte intonato adeguatamente permette di controllare tutta la gamma dinamica e di produrre un suono più grade-vole.

Vediamo prima come fanno i martelli compatti a produrre risultati così estremi. Come fanno dei martelli piccoli e leggeri a produrre suoni forti colpendo con una forza relativamente bassa delle corde sotto una tale tensione? Se si provasse a spingere la corda o a pizzicarla sarebbe necessaria una forza piuttosto grande per produrre solo un debole suo-no. La risposta sta in un’incredibile fenomeno che ha luogo quando delle corde fortemente tirate vengono colpite con l’angolo giusto. Si scopre che la forza prodotta dal martello nel momento dell’impatto è teoricamente infinita! Questa forza quasi infinita è ciò che permette ad un martello leggero di superare praticamente qualsiasi tensione otteni-bile e provocare la vibrazione della corda.

Ecco il calcolo di questa forza. Si immagini che il martello sia nel suo punto più alto dopo aver colpito la corda (pianoforte a coda). Quest’ul-

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tima, in questo istante di tempo, formerà un triangolo con la sua posi-zione orizzontale originaria (questa è solo un’approssimazione ideale, si veda più avanti). Il lato più corto di questo triangolo è la distanza tra l’agraffe ed il punto di impatto. Il successivo lato più corto è dal mar-tello al ponticello. Il più lungo è la configurazione orizzontale origina-ria della corda, una linea retta dal ponticello all’agraffe. Ora, se tiriamo una linea verticale dal punto di impatto del martello giù fino alla posi-zione originale della corda, otteniamo due triangoli rettangoli uno con-tro l’altro. Questi sono triangoli rettangoli molto sottili con angoli mol-to piccoli all’agraffe ed al ponticello, chiamiamoli ! (teta).

L’unica cosa che conosciamo è la forza del martello, ma questa non è la forza che sposta la corda perché il martello ne deve prima superare la tensione affinché ceda. Ovvero, la corda non si può muovere in alto a meno che non si allunghi. Lo si può capire considerando i due triango-li rettangoli di prima: la corda, prima che il martello colpisse, aveva la lunghezza dei due cateti lunghi dei triangoli, ma dopo il colpo la corda è l’ipotenusa, che è più lunga. Se la corda fosse stata assolutamente a-nelastica e le estremità fossero state rigidamente fissate nessuna quanti-tà di forza avrebbe provocato il suo spostamento.

Usando i diagrammi vettoriali è una cosa semplice mostrare che la forza di tensione aggiuntiva F (sommata alla originaria tensione della corda) prodotta dal colpo del martello è data da f = F sen(!), dove f è la forza del martello. Non ha importanza quale triangolo rettangolo u-siamo per questo calcolo (dal lato del ponticello o dell’agraffe). La ten-sione della corda F è quindi uguale a F = f / sen(!). Nell’istante iniziale ! = 0 quindi F è infinita! Questo accade perché sen(0) = 0. Certamen-te F può arrivare ad infinito solo se la corda non si potesse stirare e nient’altro si potesse muovere. Ciò che accade in realtà è che all’au-mentare di F verso infinito qualcosa cede (la corda si allunga, il ponti-cello si muove, ecc.) in modo che il martello cominci a spostare la cor-da e ! aumenti, rendendo F finita.

Questa moltiplicazione di forza spiega perché un bambino piccolo può produrre un sono piuttosto forte sul pianoforte nonostante le centinaia di libbre di tensione delle corde. Spiega anche perché una persona co-mune può rompere una corda semplicemente suonando, specialmente se la corda è vecchia ed ha perso la sua elasticità. La carenza di elastici-tà fa aumentare F molto di più rispetto ad una corda più elastica: la corda non può stirarsi e ! resta vicino a zero. Questa situazione viene enormemente aggravata se il martello è anche compresso in modo che un grosso, piatto e duro solco venga a contatto con la corda. In questo

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caso la superficie del martello non cede e la f istantanea dell’equazione precedente diventa molto grande. Siccome tutto questo accade vicino a ! = 0, nel caso di un martello compatto anche il fattore di moltiplica-zione della forza aumenta. Il risultato è una corda spezzata.

Il calcolo precedente è una grezza semplificazione ed è corretto solo qualitativamente. In realtà un colpo di martello lancia verso il ponticel-lo un’onda in movimento in modo simile a quando si impugna l’estremità di una fune e la si agita. Il modo di calcolare una forma d’onda del genere è risolvere certe ben note equazioni differenziali. Il computer ha reso la soluzione di tali equazioni una cosa semplice e pos-sono essere fatti ordinariamente dei calcoli realistici di queste forme d’onda. Sebbene quindi i risultati di cui sopra non siano precisi, danno una comprensione qualitativa di ciò che accade, di quali siano i mecca-nismi importanti e dei fattori che li controllano.

Il calcolo di prima mostra, ad esempio, che non è l’energia vibraziona-le traversa della corda, ma la forza della tensione ad essere responsabile del suono del pianoforte. L’energia fornita dal martello viene imma-gazzinata nell’intero pianoforte, non solo nelle corde, e tutta l’energia viene trasferita attraverso la loro tensione. In questo esempio il van-taggio meccanico e la moltiplicazione della forza calcolata prima (vicino a ! = 0) è facile da vedere; è lo stesso principio su cui si basa l’arpa.

Il modo più facile per capire perché martelli compatti producono ar-moniche più alte è rendersi conto che l’impatto impiega un tempo più breve. Quando le cose accadono più velocemente la corda genera componenti più alte in frequenza in risposta all’evento più veloce.

I paragrafi precedenti rendono chiaro che un martello compatto pro-durrà anche un più ampio impatto iniziale sulla corda laddove un mar-tello adeguatamente intonato sarà molto più delicato su di essa, impar-tendo più della sua energia alle frequenze più basse piuttosto che alle armoniche in alto. Il livello sonoro istantaneo potrà essere molto più alto, specialmente alle frequenze più alte, nel caso di un martello com-patto, perché viene dissipata la stessa quantità di energia in un minor intervallo di tempo. Tali brevi picchi sonori possono danneggiare l’orecchio senza provocare alcun dolore. Sintomi comuni di tali danni sono gli acufeni (fischi alle orecchie) e la perdita dell’udito alle alte fre-quenze. Gli accordatori sarebbero saggi se usassero dei tappi per le o-recchie quando devono accordare pianoforti con tali martelli usurati. È chiaro che intonare i martelli è tanto importante almeno quanto accor-dare il pianoforte, specialmente perché si parla di potenziali danni all’orecchio. Un pianoforte scordato, ma con buoni martelli, non dan-

7 - FARE PICCOLE RIPARAZIONI 365

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neggia l’orecchio. Nonostante ciò molti possessori di pianoforte fanno accordare il pianoforte trascurando l’intonazione.

Le due procedure più importanti per l’intonazione dei martelli sono la pettinatura e la punzonatura.

Quando il punto di contatto appiattito del martello eccede di circa un centimetro è ora di pettinare il martello. Si noti che va distinta la lun-ghezza del solco della corda dall’area appiattita: anche nei martelli pro-priamente intonati i solchi possono essere lunghi oltre cinque millime-tri. In ultima analisi si deve giudicare sulla base del suono. La pettina-tura viene realizzata radendo le “spalle” del martello in modo che ri-prenda la sua precedente forma arrotondata nel punto di contatto. Di solito viene eseguita usando strisce di carta vetrata, larghe qualche cen-timetro, attaccate a pezzi di legno o metallo con colla o nastro adesivo. Si potrebbe iniziare con carta da 80 e finire con quella da 150. Il mo-vimento deve essere nel piano del martello: non si gratti mai di traver-so. Non c’è quasi mai bisogno di grattare il punto di contatto, si lasci-no pertanto intoccati circa due millimetri dal centro di esso.

La punzonatura non è facile perché il punto giusto e la sua profondità dipendono dallo specifico martello (dal costruttore) e da come è stato intonato originariamente. I martelli, specialmente negli alti, vengono spesso intonati in fabbrica usando induritori come la lacca. Gli errori di punzonatura sono di solito irreversibili. Normalmente è necessaria una punzonatura profonda sulle spalle appena fuori dal punto di con-tatto, ne potrebbe anche essere necessaria una molto attenta e leggera in quell’area. Il tono del pianoforte è estremamente sensibile ad una leggera punzonatura del punto di contatto, si deve perciò sapere esat-tamente quello che si sta facendo. Quando il martello viene corretta-mente punzonato dovrebbe permettere di controllare suoni molto deli-cati così come produrre suoni forti privi di asprezza. Si avrà la sensa-zione di un completo controllo tonale. Si potrà allora aprire completa-mente il pianoforte a coda e suonare molto delicatamente senza il peda-le del piano! Si possono anche produrre quei toni intensi, ricchi ed au-torevoli.

B) Pulire I Piloti Pulire i piloti può essere una procedura di manutenzione gratificante. Possono avere bisogno di essere puliti se non lo si è fatto da dieci anni, alle volte anche prima. Si premano lentamente i tasti per vedere se si sente dell’attrito nella meccanica. Una meccanica senza attrito sembre-rà come far scorrere un dito unto su un vetro liscio. Quando c’è attrito sembrerà il movimento di un dito pulito su un vetro pulitissimo. Per

366 ACCORDARE IL PROPRIO PIANOFORTE

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poter raggiungere i piloti nei coda sarà necessario togliere la meccanica dai tasti svitando le viti che la tengono giù, nei verticali è in genere ne-cessario svitare le manopole che la tengono in posizione; ci si assicuri che le asticelle del pedale siano staccate.

Quando viene rimossa la meccanica dai tasti questi si possono solle-vare dopo aver rimosso la sbarra che li ferma. Ci si assicuri prima che siano tutti numerati in modo da rimetterli al loro posto nell’ordine giu-sto. Questo è un buon momento per rimuovere tutti i tasti e pulire le zone prima inaccessibili come il bordo laterale. La pulizia dei bordi dei tasti può essere fatta usando un panno imbevuto di un detergente leg-gero come il Windex.

Si guardi la parte di contatto sferica superiore dei piloti: se non ha una lucentezza brillante allora sono ossidati. Si usi un buon pulitore per ottone/bronzo/rame (come il Noxon) per lucidare la zona di contat-to. Si rimonti la meccanica che ora dovrebbe essere più scorrevole.

7 - FARE PICCOLE RIPARAZIONI 367

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Capitolo Tre

IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA

DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO

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1 - Introduzione La prima parte di questo capitolo descrive la mia idea di cosa sia il me-todo scientifico e di come lo abbia usato per scrivere questo libro. Questo approccio scientifico è la ragione principale per cui è diverso da tutti gli altri sull’argomento di imparare a suonare il pianoforte.

Le altre sezioni trattano argomenti sull’apprendimento in generale e viene derivata l’equazione per il calcolo del tasso di apprendimento. Questa è l’equazione che è stata usata per calcolare il tasso di appren-dimento del pianoforte nel Capitolo Uno, Sezione IV.5. Tratterò an-che argomenti riguardanti il cervello perché è, ovviamente, parte inte-grante del meccanismo che suona il pianoforte. Tranne la parte iniziale su come si sviluppa il cervello con l’età e come questo sviluppo influi-sca sull’apprendimento del pianoforte, gli altri argomenti hanno co-munque poca rilevanza diretta con lo strumento. Abbiamo chiaramen-te bisogno di molta più ricerca sul ruolo giocato dal cervello quando impariamo a suonare il pianoforte. Ho inserito anche un’analisi, ri-guardo l’interpretazione dei sogni, che getta più luce su come funziona il cervello. Infine descriverò le mie esperienze con il cervello subcon-scio che mi è stato utile in numerose occasioni.

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2 - L’Approccio Scientifico Questo libro è stato scritto con il miglior approccio scientifico che sono riuscito a mettere insieme usando ciò che ho imparato durante i miei trentuno anni di carriera da scienziato. Sono stato coinvolto non sono nella ricerca di base (ho ottenuto sei brevetti), ma anche nelle scienze materiali (matematica, fisica, chimica, biologia, ingegneria meccanica, elettronica, ottica, acustica, metalli, semiconduttori, isolatori), nella so-luzione di problemi industriali (meccanismi di fallimento, affidabilità, produzione) e nelle pubblicazioni scientifiche (ho pubblicato oltre cento articoli nella maggior parte delle maggiori riviste scientifiche). Anche dopo aver ottenuto il mio Dottorato in Fisica dalla Cornell University, i miei datori di lavoro hanno dovuto spendere oltre un milione di dol-lari per far avanzare la mia cultura durante la mia carriera. Riguar-dando indietro tutta questa formazione scientifica è stata indispensabile per scrivere questo libro. Questo bisogno di capire il metodo scientifi-co suggerisce che la maggior parte dei pianisti avrebbe avuto delle diffi-coltà se avesse provato a replicare i miei sforzi. Spiegherò ulteriormen-te più avanti che i risultati degli sforzi scientifici sono utili a tutti, non solo agli scienziati. Quindi il fatto che questo libro sia stato scritto da uno scienziato significa che tutti dovrebbero essere in grado di capirlo più facilmente rispetto ad un libro simile scritto da un non-scienziato. Un obiettivo di questa sezione è spiegare questo messaggio

Imparare il pianoforte, l’algebra, la scultura, il golf, la fisica, la biolo-gia, la meccanica quantistica, la muratura, la cosmologia, la medicina, la politica, l’economia, ecc. – che cosa hanno in comune tutte queste cose? Sono tutte discipline scientifiche e perciò condividono un gran numero di principi fondamentali. Nella sezione seguente spiegherò molti degli importanti principi del metodo scientifico e mostrerò come siano necessari per poter produrre qualcosa di utile, come un manuale per imparare il pianoforte. Questi requisiti per un tale manuale non sono diversi da quelli necessari per scrivere un libro di testo avanzato sulla meccanica quantistica: sono simili, sebbene i contenuti siano due mondi a parte. Inizierò con la definizione di metodo scientifico perché è così spesso mal compresa dalla gente. Descriverò poi i suoi contributi nello scrivere questo libro. In questo processo indicherò dove storica-mente l’insegnamento del pianoforte è stato scientifico o meno. Nelle ultime centinaia di anni abbiamo avuto enorme successo nell’applicare il metodo scientifico a praticamente tutte le discipline, non è il momen-to di fare lo stesso con l’apprendimento/insegnamento del pianoforte?

372 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO

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Questa sezione è stata scritta principalmente per delineare il metodo scientifico nella speranza di aiutare altri ad applicarlo all’insegnamento del pianoforte. Un altro obiettivo è spiegare perché c’è voluto uno scienziato come me per scrivere un libro del genere. Perché i musicisti senza formazione scientifica non avrebbero potuto scriverne uno mi-gliore sull’imparare il pianoforte? Dopotutto sono loro gli esperti più all’avanguardia nel campo! Darò sotto alcune delle risposte.

Ho il sospetto che nel leggere il seguito si troveranno concetti diversi dalla propria idea di scienza. Fondamentalmente la scienza non è ma-tematica, fisica ed equazioni, ma riguarda l’interazione tra uomini che conferiscono potere ad altri uomini. Ho visto tanti “scienziati” non ca-pire cosa fosse la scienza e fallire nella loro vocazione (essere licenziati). Il semplice studiare otto ore al giorno non rende necessariamente piani-sti esperti, passare tutti gli esami di fisica e di chimica non rende scien-ziati: si deve ottenere qualcosa da quella conoscenza. Sono stato parti-colarmente impressionato da tanti tecnici di pianoforte che hanno una compressione pratica della fisica pur non avendo diplomi scientifici. Questi tecnici devono essere scientifici perché il pianoforte ha profonde radici nella fisica. Così la matematica, la fisica, ecc. non definiscono la scienza (una incomprensione comune): questi campi si sono rivelati uti-li agli scienziati perché conferiscono loro potere in modo assolutamente prevedibile. Quello che spero di mostrare più avanti è una vista dall’interno di come viene condotta la scienza.

Può qualcuno del tutto a digiuno di scienza leggere quanto segue ed iniziare ad usare istantaneamente l’approccio scientifico? Molto proba-bilmente no, non c’è una ricetta facile tranne studiare la scienza. Si ve-drà che i requisiti e la complessità del metodo scientifico presentano o-stacoli insuperabili per la maggior parte delle persone. Questa è chia-ramente una spiegazione del perché questo libro è così unico. Si avrà però almeno qualche idea su quali siano alcuni dei suggerimenti utili se si vuole seguire l’approccio scientifico.

Prima di imbarcarci nella definizione, esaminiamo un comune esem-pio di come la gente fraintende la scienza perché questo ci aiuterà a stabilire il motivo del bisogno di una definizione. Si può sentire un in-segnante di pianoforte o di danza dire di aver descritto un’emozione, una sensazione, il volo di un uccello o il movimento di un gatto e lo studente ha subito afferrato l’idea su come suonare o danzare in un modo che l’insegnante non avrebbe potuto indicare descrivendo il mo-vimento della ossa, dei muscoli, delle braccia, eccetera. L’insegnante afferma poi che l’approccio artistico è migliore di quello scientifico.

2 - L’APPROCCIO SCIENTIFICO 373

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Quello di cui non si rende conto è che ha probabilmente usato un me-todo scientifico molto buono. Facendo un’analogia o descrivendo il prodotto finale della musica si possono spesso trasmettere molte più in-formazioni che descrivendo in dettaglio ciascuna componente del mo-vimento: è come passare da banda stretta a banda larga nelle trasmis-sioni ed è un approccio scientifico valido, ha poco a che fare con la di-stinzione tra scienza ed arte. Questo tipo di incomprensione sorge spesso perché la gente pensa che la scienza sia bianco o nero – che qualcosa è scientifico o non lo è. La maggior parte delle cose della vita sono più o meno scientifiche, una questione di grado. Ciò che rende questi metodi di insegnamento più o meno scientifici è quanto essi sia-no buoni nel trasmettere le necessarie informazioni. A questo riguardo molti artisti famosi, che sono anche buoni insegnanti, sono maestri in questo tipo di scienza. Un’altra incomprensione frequente è che la scienza sia troppo difficile per gli artisti. Questo fa veramente allibire. I processi mentali attraverso i quali passano gli artisti nel produrre i più alti livelli di musica, o di altre arti, sono tanto complessi almeno quanto quelli degli scienziati che contemplano l’origine dell’universo. Ci può essere qualche validità nella questione se le persone nascano con talen-to diverso nell’arte e nella scienza, tuttavia io non sottoscrivo questa visione – per la vasta maggioranza della gente si può essere artisti o scienziati in base alla esposizione a ciascun campo, specialmente nella prima infanzia. La maggior parte delle persone che ora sono buoni musicisti ha la capacità di essere scienziati. Infine, dopo aver studiato arte tutta la vita non si avrà molto tempo di studiare la scienza, come si possono quindi combinare le due? La mia interpretazione è che arte e scienza siano complementari: l’arte aiuta la scienza e viceversa. Gli ar-tisti che evitano la scienza si stanno solo facendo del male e gli scienzia-ti che evitano l’arte tendono ad avere meno successo. La cosa che mi ha più colpito nei giorni del college è stato il gran numero di miei com-pagni studenti di scienza che erano anche musicisti.

3 - Cos’è Il Metodo Scientifico? Una frequente idea sbagliata è che siccome suonare il pianoforte è un’arte, l’approccio scientifico non sia possibile e non sia applicabile. Questa idea sorge dall’incomprensione di cosa sia la scienza. Potrebbe sorprendere molti che la scienza è, di fatto, un’arte; la scienza e l’arte non si possono separare, proprio come la tecnica pianistica e la musica-lità nel suonare. Se non lo si crede si provi ad andare in qualsiasi grande università: ci sarà sempre un Dipartimento di Arti e Scienze.

374 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO

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Entrambi richiedono immaginazione, originalità e la capacità di esegui-re. Dire che una persona non conosce la scienza e quindi non può usa-re l’approccio scientifico è come dire che sapendo meno si dovrebbe imparare meno. Non ha senso perché praticamente la persona che sa meno è quella che ha bisogno di imparare di più. Ovviamente abbia-mo bisogno di definire chiaramente cosa sia la scienza.

Definizione: la definizione più semplice di metodo scientifico è che si tratta di qualsiasi metodo che funziona. Il metodo scientifico è quello in più stretta armonia con la realtà o la verità. La scienza è conferi-mento di potere. Dire: “La scienza e solo per gli scienziati.” è quindi come dire che i jumbo-jet sono solo per gli ingegneri aeronautici: è vero che gli aeroplani possono essere costruiti solo da loro, ma questo non impedisce a nessuno di noi di usare l’aereo per i nostri viaggi – di fatto gli aeroplani sono stati costruiti per noi. In maniera simile, lo scopo della scienza è di rendere la vita più facile a tutti, non solo agli scienzia-ti.

Sebbene siano necessari scienziati intelligenti per far avanzare la scienza, chiunque può trarne vantaggio. Perciò un altro modo di defi-nire la scienza è dire che rende possibili i compiti che prima non lo e-rano e rende più semplici quelli difficili. Da questo punto di vista la scienza è a vantaggio di quelli meno colti rispetto ai meglio informati che possono risolvere le cose per contro proprio. Se ad esempio venis-se chiesto ad una persona ignorante di sommare un numero di sei cifre, da solo non avrebbe modo di farlo. Un qualunque scolaro di terza e-lementare, che abbia imparato l’aritmetica, potrebbe tuttavia eseguire il compito data carta e penna. Oggi si può insegnare a quella persona i-gnorante a sommare in due minuti quei due numeri con una calcolatri-ce. Si è dimostrato che la scienza ha reso facile a tutti un compito pri-ma impossibile per alcuni.

La definizione di metodo scientifico data sopra non fornisce nessuna informazione diretta su come eseguire un progetto scientifico. Una de-finizione pratica di approccio scientifico è dire che si tratta di un in-sieme di oggetti definiti univocamente e delle relazioni tra essi. Una delle relazioni più utili è lo schema di classificazione che mette gli og-getti in classi e sottoclassi. Si noti che la parola “definire” assume un significato molto speciale. Gli oggetti devono essere definiti in modo tale che siano utili e che le relazioni tra essi possano essere descritte con precisione. Tutte queste definizioni e relazioni devono essere corrette scientificamente (è qui che i non-scienziati hanno dei problemi).

3 - COS’È IL METODO SCIENTIFICO? 375

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Vediamo alcuni esempi. I musicisti hanno definito tali oggetti di base con scale, accordi, armonie, abbellimenti, eccetera. In questo libro so-no stati definiti con precisione concetti importanti come lo studio a ma-ni separate, gli attacchi ad accordo, gli insiemi paralleli, lo studio seg-mentato, il miglioramento post studio, eccetera. Affinché il metodo scientifico, nello scrivere questo libro, funzioni (cioè ci faccia ottenere un manuale d’apprendimento utile) è necessario associare tutte le rela-zioni utili tra questi oggetti. In particolare è importante essere in grado di anticipare quello di cui il lettore ha bisogno. L’attacco ad accordo è stato definito come risposta al bisogno di risolvere un problema di ve-locità. Si può vedere qui il perché la fisica non è così importante quan-to il conferimento di poteri umani: ho letto diversi libri che parlano del-lo staccato senza neanche definirlo. La scienza interviene ai livelli più bassi di definizione, spiegazione ed applicazione. Lo scrittore deve ave-re un’intima dimestichezza con la materia in oggetto analizzata in modo da non fare affermazioni errate. Questo è il cuore della scienza, non la matematica o la fisica.

Uno dei problemi del libro della Whiteside è la carenza di definizioni precise. Lei usa molte parole e concetti senza definirli, come ritmo e delineamento. Questo rende difficile al lettore capire cosa dice e come usare le sue istruzioni. Definire concetti complessi come quelli incon-trati spesso nella musica potrebbe certamente sembrare impossibile all’inizio, specialmente se si vogliono tutta la complessità e le sfumature che accompagnano un concetto difficile. Usare i qualificatori per limi-tare le definizioni quando si usano esempi specifici ed altri qualificatori per espandere le definizioni ad altre possibilità è tuttavia una procedura scientifica convenzionale: è solo questione di comprendere la materia così come i bisogni del lettore. I libri di Fink e Sandor forniscono eccel-lenti esempi di definizioni, ciò in cui sono carenti sono le relazioni: manca un approccio sistematico ed organizzato su come usare queste definizioni per acquisire la tecnica passo dopo passo. Si sono anche la-sciati sfuggire alcune importanti definizioni date in questo libro.

L’ingrediente principale del metodo scientifico è la conoscenza, ma il solo sapere non basta. Questa conoscenza deve essere assemblata in una struttura tale da poter vedere, capire e sfruttare le relazioni tra gli oggetti. Senza queste relazioni non si può sapere se si possiedono tutte le parti necessarie e nemmeno come usarle. Gli insiemi paralleli, ad e-sempio, sono piuttosto inutili se non si conosce lo studio a mani separa-te. Il modo più comune di costruire questa super-struttura è lo schema di classificazione. In questo libro i vari procedimenti sono stati classifi-cati in metodi iniziali, stadio intermedio dell’apprendimento, metodi di

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memoria, metodi per aumentare la velocità, brutte abitudini, eccetera. Una volta note le definizioni e lo schema di classificazione, si devono riempire i dettagli di come sta tutto insieme e se ci sono elementi man-canti. Parleremo ora di alcune componenti specifiche del metodo scien-tifico.

A) La Ricerca Un manuale sul suonare il pianoforte è essenzialmente un elenco di scoperte fatte da qualcuno per risolvere alcuni problemi tecnici: è un prodotto della ricerca. Nella ricerca scientifica si eseguono esperimenti, si raccolgono dati e si scrivono i risultati in modo tale che altri possano capire cosa è stato fatto e riprodurlo. Insegnare pianoforte non è diver-so: si devono prima ricercare i vari metodi di studio, raccoglierne i ri-sultati e scriverli in modo che altri possano trarne vantaggio. Sembra banalmente semplice, ma se ci si guarda intorno questo non è ciò che è accaduto nell’insegnamento del pianoforte. Liszt non ha mai scritto i suoi metodi di studio. Il “metodo intuitivo” (come descritto in questo libro) non richiede ricerca, è il metodo di studio meno informato. Questo è il motivo per cui il libro della Whiteside ebbe così successo – condusse della ricerca e ne registrò i risultati. Sfortunatamente non a-veva formazione scientifica e fece un pasticcio con aspetti importanti come una scrittura chiara coincisa (specialmente le definizioni) e l’orga-nizzazione (classificazioni e relazioni). Chiaramente se potessimo cor-reggere questa mancanza avremmo allora qualche speranza di applicare metodi scientifici all’insegnamento del pianoforte. Ovviamente è stata condotta una tremenda quantità di ricerca da parte di tutti i grandi pia-nisti, sfortunatamente ne è stata documentata molto poca, cadendo vit-time dell’approccio non scientifico alla pedagogia del pianoforte.

B) La Documentazione e La Comunicazione L’obiettivo di primo piano della documentazione è la registrazione di tutta la conoscenza nel campo – è una perdita incalcolabile che Bach, Chopin, Liszt, ecc. non abbiano scritto i loro metodi di studio. Un’altra funzione della documentazione scientifica è l’eliminazione de-gli errori. Chiaramente un’idea corretta, anche enunciata da un grande maestro, che venga tramandata oralmente dall’insegnante agli studenti è suscettibile agli errori e del tutto non scientifica. Una volta scritta, ne possiamo controllare l’accuratezza, togliere gli errori e aggiungere nuo-ve scoperte. Ovvero la documentazione crea una via a senso unico nel-la quale l’idea può solo migliorare in precisione col passare del tempo.

3 - COS’È IL METODO SCIENTIFICO? 377

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Una scoperta che ha sorpreso anche gli scienziati è che circa la metà delle nuove scoperte non viene fatta durante la ricerca, ma quando se ne scrivono i risultati. Per questa ragione la scrittura scientifica si è e-voluta in un campo con requisiti specifici progettati non solo per mini-mizzare gli errori, ma anche per massimizzare il processo di scoperta. È stato durante la scrittura di questo libro che ho scoperto la spiegazio-ne dei muri di velocità: dovevo affrontare il fatto di scrivere qualcosa su di essi ed ho iniziato in modo naturale a chiedermi cosa fossero e co-sa li provocasse. È ben noto che una volta poste le domande giuste si è sulla strada di trovare le risposte. In modo simile il concetto di insieme parallelo è stato sviluppato per lo più durante la scrittura che durante la ricerca (lettura di libri, conversazioni con insegnanti, uso di internet) e la sperimentazione personale al pianoforte. Questo concetto era neces-sario ogni volta che qualche procedura di studio dava problemi, diven-ne perciò indispensabile verificarlo con precisione per poterlo usare ri-petutamente in così tanti punti.

È importante comunicare con tutti gli altri scienziati che stanno af-frontando un lavoro simile, per discutere apertamente qualsiasi nuovo risultato. Il mondo del pianoforte è stato, a questo riguardo, comple-tamente non scientifico. La maggior parte dei libri sul suonare il piano-forte non ha neanche i riferimenti (compresa la prima edizione del mio libro, perché scritto in un lasso di tempo limitato – questa lacuna è stata colmata in questa seconda edizione) e raramente si basa sul lavoro pre-cedente di altri. Gli insegnanti delle maggiori istituzioni musicali fanno un lavoro migliore nel comunicare, rispetto agli insegnanti privati, per-ché sono confinati in una situazione per cui non possono evitare di in-contrarsi. La pedagogia del pianoforte in queste istituzioni è di conse-guenza superiore a quella della maggior parte degli insegnanti privati. Troppi insegnanti di pianoforte sono inflessibili riguardo all’adottare o ricercare metodi di insegnamento migliori e sono spesso critici di qua-lunque cosa si allontani dai loro metodi. Questa è una situazione molto non scientifica.

Esempi di comunicazione aperta nel mio libro sono l’intrecciarsi di concetti da: metodi del peso del braccio e del rilassamento (approccio tipo Taubman), idee dai libri della Whiteside (critica degli esercizi tipo Hanon e del metodo del pollice sotto), inclusione di vari movimenti della mano descritti da Sandor, eccetera. Siccome internet è la forma ultima di comunicazione aperta, il suo avvento può essere l’elemento singolo più importante che permetterà alla pedagogia del pianoforte di essere condotta scientificamente e di questo non c’è miglior esempio che questo libro.

378 IL METODO SCIENTIFICO, LA TEORIA DELL’APPRENDIMENTO ED IL CERVELLO

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La mancanza di comunicazione è ovviamente la ragione principale del perché così tanti insegnanti di pianoforte usano ancora i metodi intuiti-vi, nonostante la maggior parte dei metodi descritti in questo libro sia stata insegnata dall’uno o dall’altro insegnante negli ultimi duecento anni. Se l’approccio scientifico della comunicazione totalmente aperta e della documentazione appropriata fosse stato adottato prima, dalla co-munità dell’insegnamento del pianoforte, la situazione attuale sarebbe molto diversa ed un gran numero di studenti starebbe imparando a ve-locità considerata incredibile rispetto agli standard di oggi.

Nello scrivere la prima edizione del libro l’importanza della corretta documentazione ed organizzazione è stata dimostrata dal fatto che, seb-bene conoscessi la maggior parte delle idee da circa dieci anni, non ne avevo tratto pienamente beneficio finché non lo terminai. In altre paro-le quello che mi successe fu, dopo aver finito il libro, di rileggerlo e provarlo sistematicamente. Fu allora che feci la scoperta di quanto fos-se efficace il metodo! Apparentemente, sebbene conoscessi la maggior parte degli ingredienti, c’erano alcune lacune che non furono riempite se non quando dovetti mettere insieme tutte le idee in una struttura uti-le ed organizzata; come se avessi avuto tutti pezzi di un’automobile: i-nutili a trasportare alcunché finché un meccanico non li avesse assem-blati e regolati.

Non avevo ad esempio del tutto capito perché il nuovo metodo fosse così veloce (mille volte più veloce del metodo intuitivo) finché non feci i calcoli del tasso di apprendimento (si veda il Capitolo Uno, Sezione IV.5). Inizialmente li avevo fatti per curiosità: speravo di scrivere un capitolo sulla teoria dell’apprendimento. Di fatto mi ci è voluto quasi un anno per convincermi che i calcoli avevano una qualche validità – un tasso di apprendimento di mille volte più veloce sembrava all’inizio un risultato ridicolamente improbabile finché non mi resi conto che gli studenti che usano il metodo intuitivo spesso non vanno oltre il livello intermedio durante tutta la loro vita, mentre altri possono diventare pianisti concertisti in meno di dieci anni. La maggior parte della gente tende a spiegare un’alta differenza nel tasso di apprendimento attri-buendola al talento, ma questo non si accorda con le mie osservazioni. Un sottoprodotto di questi calcoli è stata una migliore comprensione del motivo per cui è più veloce, non si può scrivere una equazione senza conoscere i processi fisici coinvolti. Una volta che le formule matema-tiche mi hanno detto quali parti acceleravano maggiormente l’ap-prendimento sono riuscito a progettare metodi di studio più efficaci.

3 - COS’È IL METODO SCIENTIFICO? 379

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Un esempio principe di una scoperta fatta scrivendo questo libro è il concetto di insieme parallelo. Senza di esso ho trovato impossibile met-tere insieme in modo coerente tutte queste idee. Una volta introdotto, ha portato in modo naturale agli esercizi. Non sarebbe accaduto nulla di tutto ciò se non avessi scritto il libro, sebbene li usassi sempre senza rendermene conto. Questo perché l’attacco d’accordo è una forma primitiva di esercizio per insieme parallelo; anche la Whiteside descrive metodi per studiare i trilli che sono fondamentalmente esercizi per gli insiemi paralleli.

C) Le Verifiche di Auto-Coerenza Molte scoperte scientifiche vengono fatte come risultato della verifica di auto-coerenza. Questi controlli funzionano come segue. Si supponga di conoscere dieci fatti riguardo al proprio esperimento e di scoprire un undicesimo fatto. Si ha ora la possibilità di verificare questo nuovo ri-sultato con i vecchi e spesso questo controllo porterà ad una nuova scoperta. In effetti una singola scoperta può potenzialmente portare a dieci altri risultati senza ulteriore sperimentazione. I nuovi metodi di questo libro, ad esempio, hanno portato ad un apprendimento molto più veloce e questo ha suggerito che il metodo intuitivo debba contene-re procedimenti di studio che in realtà lo frenano. Sapendo questo è stato semplicemente una questione di trovare gli aspetti che rallentano i progressi. Questa rivelazione delle debolezze del metodo intuitivo sa-rebbe stata quasi impossibile se fosse stato l’unico noto. Si tratta di una verifica di auto-coerenza perché se entrambi i metodi fossero stati cor-retti sarebbero dovuti essere ugualmente efficaci. Un tale processo mentale di verifica automatica dell’auto-coerenza di tutto ciò che si in-contra può non essere naturale a tutti; come scienziato, tuttavia, l’ho fatto consapevolmente per pura necessità durante tutta la mia carriera.

Le verifiche di auto-coerenza sono il modo più economico e rapido di trovare gli errori e di fare nuove scoperte perché si ottengono risultati senza fare altri esperimenti. Costa poco di più, tranne il tempo. Si può ora vedere perché il processo di documentazione può essere così pro-duttivo: tutte le volte che viene introdotto un nuovo concetto può esse-re verificato rispetto a tutti gli altri conosciuti per ottenere potenzial-mente nuovi risultati. Il metodo è potente grazie al gran numero di fat-ti già noti. Assumiamo di poter contare queste verità note e che siano, diciamo, mille. Una nuova scoperta significa allora che si possono veri-ficare in modo incrociato mille nuove possibilità per altre scoperte!

Le verifiche di auto-coerenza sono importanti per eliminare gli errori e sono state usate in questo libro per minimizzarli. Studiare lentamente

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è, ad esempio, sia benefico che dannoso. Questa inconsistenza deve es-sere eliminata in qualche modo e questo viene fatto definendo con at-tenzione le condizioni che richiedono lo studio lento (memoria, studio a mani separate) e quelle in cui è dannoso (metodo intuitivo senza studio a mani separate). Chiaramente qualsiasi affermazione generica che dice “studiare lentamente fa bene perché studiare veloce tutto il tempo porta problemi” non è auto-coerente con tutti i fatti noti. Ogni volta che uno scrittore fa un’affermazione sbagliata, una verifica di auto-coerenza è spesso il modo migliore per trovare l’errore.

D) La Teoria di Base I risultati scientifici devono sempre basarsi su qualche teoria o principio verificabile da altri. Molti pochi concetti stanno da soli indipendente-mente da qualsiasi altra cosa. In altre parole qualsiasi cosa qualcuno rivendichi funzionare è meglio abbia una buona spiegazione del perché, altrimenti è sospetta. Spiegazioni come “con me ha funzionato” oppure “la ho insegnata per trent’anni” o anche “questo è come faceva Liszt”, semplicemente non sono abbastanza buone. Se un insegnante ha inse-gnato un procedimento per trent’anni dovrebbe aver avuto un sacco di tempo per scoprire il perché funziona. Le spiegazioni sono spesso più importanti dei procedimenti che spiegano. Ad esempio lo studio a ma-ni separate funziona perché semplifica un compito difficile. Una volta stabilito questo principio di semplificazione si possono iniziare a cercare più cose simili come accorciare i passaggi difficili o delineare. Un e-sempio di spiegazione elementare è la correlazione tra la forza di gravi-tà, il metodo del peso del braccio e la sua relazione col peso del tasto. Entrambi la pesante mano del lottatore di sumo e quella leggera del ra-gazzetto (si veda Capitolo Uno, Sezione II.10) devono ad esempio pro-durre un suono di uguale intensità quando le mani vengono lasciate cadere dalla stessa altezza in una caduta corretta. Questo è ovviamente più difficile per il lottatore di sumo a causa della sua tendenza ad incli-narsi sul pianoforte per poter fermare la pesante mano. La caduta cor-retta è quindi per lui più difficile da eseguire. Capire questi sottili det-tagli basati sulla teoria è ciò che porta alla corretta esecuzione di una vera caduta. In altre parole, in una caduta corretta non ci si può incli-nare sul pianoforte per fermare la mano se non dopo aver completato la discesa del tasto; per realizzare questo gesto è necessario un polso molto flessibile.

Ci sono sempre sicuramente alcuni concetti che resistono ad una spiegazione ed è estremamente importante classificarli chiaramente co-me “principi validi senza spiegazione”. In questi casi chi siamo noi per

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dire che sono validi? Possono essere considerati validi dopo aver stabi-lito una registrazione inconfutabile di verifica sperimentale. Etichettarli chiaramente è importante perché le procedure senza spiegazione sono più difficili da applicare e sono soggette a modifiche se apprendiamo di più e le capiamo meglio. La cosa più bella dei metodi che hanno buone spiegazioni è che non è necessario farsi dire ogni dettaglio di come ese-guire la procedura – possiamo spesso ricavarla da soli dalla compren-sione del metodo.

Sfortunatamente la storia della pedagogia del pianoforte è piena di procedure per acquisire la tecnica che non hanno supporto teorico di base e che, nonostante ciò, hanno ottenuto ampia accettazione. Gli e-sercizi Hanon ne sono un esempio illustre. Gran parte delle istruzioni senza spiegazione del perché funzionano hanno poco valore in un ap-proccio scientifico. Questo non solo per l’alta probabilità che queste procedure possano essere sbagliate, ma anche perché è la spiegazione che aiuta ad usare correttamente la procedura. Siccome non ci sono basi teoriche dietro gli esercizi Hanon, quando ci esorta ad “alzare in alto le dita” ed a “studiare un’ora al giorno” non abbiamo nessun modo di sapere se questi procedimenti possono davvero aiutarci. In qualsiasi procedura della vita reale è quasi impossibile a chiunque scrivere tutti i passi necessari in tutte le circostanze, è la comprensione del perché fun-ziona a permettere a ciascuno di modificarla per soddisfare i bisogni specifici di situazioni individuali e mutevoli.

Gli insegnanti che usano il metodo intuitivo raccomanderanno ad e-sempio di iniziare con precisione lentamente e di aumentare gradual-mente la velocità, altri scoraggeranno il più possibile lo studio lento perché è un tale spreco di tempo. Nessuno degli estremi è ottimizzato: suonare lentamente nell’approccio intuitivo non è desiderabile perché si potrebbero congelare movimenti che interferiscono con il suonare più veloce; d’altro canto suonare lentamente, una volta in grado di farlo velocemente, è molto utile per memorizzare e per praticare il rilassa-mento e la precisione. L’unico modo di scegliere la velocità di studio giusta è quindi capire in dettaglio il perché si sta scegliendo quella velo-cità. In questa era di tecnologie dell’informazione e di internet non do-vrebbe praticamente esserci più spazio per la fede cieca.

Questo non significa che non esistano regole senza spiegazione, dopo-tutto ci sono ancora molte cose a questo mondo che non comprendia-mo. Nel pianoforte la regola di suonare lentamente prima di smettere ne è un esempio: ci deve essere una buona spiegazione, ma non ne ho ancora sentita alcuna che considero soddisfacente. Il principio di esclu-

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sione di Pauli (due fermioni non possono occupare lo stesso stato quan-tico) e il principio di indeterminazione di Heisemberg sono, nella scien-za, esempi di regole che non si possono derivare da principi più pro-fondi. Così è ugualmente importante capire qualcosa proprio come sa-pere cosa non capiamo. I professori di fisica più colti sono quelli che sanno citare tutte le cose che ancora non comprendiamo.

E) I Dogmi e L’Insegnamento Tutti noi sappiamo che non si possono violare le regole che ci pare e suonare ancora con musicalità, a meno di non avere le iniziali LVB. I metodi di insegnamento dogmatici, così prevalenti nella pedagogia del pianoforte, si sono evoluti in questo ambiente ristretto dalle difficoltà di guidare gli studenti a produrre musica. L’approccio dogmatico è, per metterla cinicamente, un modo conveniente di nascondere l’ignoranza dell’insegnante spazzando tutto sotto il tappeto del dogma. Tutte le grandi lezioni che ho sentito da artisti famosi sono piene di spiegazioni scientifiche sul perché si dovrebbe o meno eseguire in un certo modo. Non tutti i grandi esecutori sono tuttavia dei buoni insegnanti e non tutti sono in grado di spiegare ciò che fanno. La lezione per lo studente è che in generale non dovrebbe accettare nulla che non capisce e questo tenderà ad alzare il livello di istruzione che riceve. Sono convinto che anche l’interpretazione della musica, con il tempo, diverrà più scientifi-ca proprio come l’alchimia alla fine si è evoluta nella chimica.

Sfortunatamente un approccio dogmatico all’insegnamento non è sem-pre segno di un insegnante peggiore. Di fatto la tendenza sembra esser opposta, probabilmente per ragioni storiche. Fortunatamente molti bravi giovani insegnanti, specialmente quelli nelle grandi istituzioni, so-no meno dogmatici – sanno spiegare. Col divenire più colti gli inse-gnanti dovrebbero essere in grado di sostituire più dogmi con una com-prensione più profonda dei principi sottostanti. Questo dovrebbe migliorare significativamente l’efficienza e la facilità di apprendimento degli studenti.

La maggior parte delle persone si rende conto che gli scienziati devo-no studiare tutta la vita e non solo quando sono al college per prendere la laurea. I più, tuttavia, non si rendono conto fino a che punto essi dedicano il loro tempo all’istruzione, non solo imparando, ma anche insegnando a tutti gli altri, specialmente ai loro compagni scienziati. Di fatto, per poter massimizzare le scoperte, l’istruzione deve diventare una passione quotidiana, travolgente. Uno scienziato diventa quindi spesso più, diciamo, di un insegnante di pianoforte o di scuola a causa del più ampio spettro di “studenti” che incontra, così come del più am-

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pio respiro delle materie che deve coprire. Quanto si debba sapere per fare anche solo una piccola nuova scoperta è veramente sbalorditivo. Una parte necessaria della documentazione scientifica deve perciò in-cludere le più alte capacità di insegnamento. Un rapporto di ricerca scientifica non è tanto la documentazione di ciò che è stato fatto, quan-to un manuale di insegnamento su come riprodurre l’esperimento e su come capire i principi sottostanti. Il metodo scientifico è quindi ideal-mente progettato per insegnare ed è un metodo di insegnamento dia-metralmente opposto a quello dogmatico.

F) Conclusioni L’approccio scientifico è più di un modo preciso di documentare i risul-tati di un esperimento: è un processo progettato per eliminare gli errori e generare scoperte ed è, soprattutto, fondamentalmente un mezzo per conferite potere all’uomo. Se fosse stato adottato prima, la pedagogia del pianoforte sarebbe oggi certamente diversa. Internet accelererà si-curamente l’adozione di approcci più scientifici all’apprendimento del pianoforte.

4 - La Teoria Dell’Apprendimento Non è strano che quando andiamo al college scopriamo che “Fonda-menti dell’Apprendimento” non sia un corso obbligatorio (se esiste)? I college e le università si suppone siano i centri dell’apprendimento. I dipartimenti di psicologia hanno spesso corsi ad-hoc sulle abitudini di studio, ecc., ma si penserebbe che la scienza dell’apprendimento sia una delle cose primarie in ogni centro di apprendimento. Ho scoperto, nel-lo scrivere questo libro, la necessità di pensare ad un processo di ap-prendimento per derivare un’equazione, per quanto approssimata, del tasso di apprendimento.

[…sezione incompleta…]

5 - La Causa Dei Sogni ed I Metodi Per Controllarli Questa sezione non ha niente a che fare con il pianoforte, viene inclusa qui per gettare un po’ di luce su come funziona il cervello. Non cono-sco nessuna ricerca riguardo alla causa dei sogni ed i metodi per con-trollarli come descritto più avanti. Se qualcuno avesse un tale riferi-mento mi spedisca una e-mail.

Si è mai fatto un sogno ricorrente e ci si è mai chiesti quale ne fosse la causa? Oppure sogni tipo incubi di cui ci si vuole disfare? Sembra che

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abbia trovato le risposte ad entrambe le domande e nel farlo ho scoper-to alcune intuizioni su come funziona il cervello mentre dormiamo.

La maggior parte di chi oggi interpreta i sogni è come chi legge la mano: si sforza di predire il futuro e assegna poteri magici o messaggi ai sogni, sarebbe bello se fosse vero, ma sfortunatamente sono realistici come le sedute spritiche o la lettura delle foglie di te. Ho scoperto che un’interpretazione dei sogni basata sull’evidenza fisica ci può dire molto su come funziona il cervello. Analizzo qui quattro tipi di sogni che ho fatto e di cui ho scoperto le spiegazioni fisiche. Parlandone con amici ho scoperto che molti altri hanno sogni simili e, quasi certamente, simili cause. Nella sezione finale analizzo cosa ci dicono questi sogni sul fun-zionamento del cervello. Sono giunto alla conclusione che questo ap-proccio ai sogni è molto più gratificante di quello degli indovini e di simili interpretatori di sogni. I quattro sogni sono: (1) cadere, (2) incapacità a correre, (3) essere in ritardo agli appuntamenti o agli esami e (4) un mio sogno specifico lungo e complesso. Credo che i primi tre siano piuttosto generali e che li abbiano molte persone.

A) Il Sogno di Cadere In questo sogno sto cadendo, non da un posto specifico verso un punto particolare, ma decisamente cadendo in modo spaventoso. Sono del tutto impotente nel fermare la caduta. Invariabilmente quando atterro non mi faccio male. Non c’è dolore. Infatti, sebbene abbia colpito il fondo, sembra come un atterraggio morbido. Il sogno termina non ap-pena atterro. L’atterraggio morbido è particolarmente curioso perché in qualsiasi caduta su quasi tutte le superfici in genere si finisce con qualche tipo di disastro. Cosa potrebbe spiegare tutti i dettagli di que-sto sogno? Ne ho scoperto la causa fisica quando un giorno mi sono svegliato immediatamente dopo e mi sono reso conto che le ginocchia erano cadute. Stavo dormendo sulla schiena con le ginocchia sollevate e nel raddrizzare le gambe il peso delle coperte e delle gambe stesse ha provocato lo slittamento dei piedi e la caduta delle ginocchia. La cadu-ta delle ginocchia ha fatto creare al cervello il sogno di cadere! All’inizio questa era solo una spiegazione ipotetica ed anche una pale-semente stupida: perché il cervello non sarebbe riuscito a capire che le ginocchia stavano cadendo? Una volta formulata l’ipotesi sono però riuscito a verificarla tutte le volte che avevo il sogno (nell’arco di diver-si anni) e l’ho fatto con successo diverse volte. Al risveglio potevo di-stintamente ricordare che le ginocchia erano appena cadute. Il fatto che cadano su un soffice letto spiega l’atterraggio morbido e, siccome dopo non accadde nulla, il sogno termina. Perché sono impotente nel

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fermare la caduta delle ginocchia? Come mostrato ripetutamente più avanti, quando si dorme si ha, a volte, molto poco controllo dei musco-li. Non solo questo, ma il cervello dormiente non sa capire neanche il semplice fatto che le ginocchia stanno cadendo, inoltre escogita quello che normalmente sarebbe uno scenario incredibile per la caduta ed alla fine ci credo. L’ultima è la parte più assurda, perché mi sto di fatto prendendo gioco di me stesso!

B) Impossibilità a Correre Questo è un sogno molto frustrante. Voglio correre, ma non ci riesco. Non ha importanza se qualcuno mi stia inseguendo o se voglio sempli-cemente andare da qualche parte velocemente, non riesco a correre. Quando si corre è necessario inclinarsi in avanti e quindi nel sogno cer-co di farlo, ma senza riuscirci. Qualcosa quasi mi spinge all’indietro. In sogno ho anche fatto il ragionamento che se non riesco a correre in-clinandomi in avanti allora perché non inclinarmi e correre all’indietro? In questo modo almeno potrei muovermi. Ciò che accade è che non riesco neanche ad inclinarmi all’indietro, i piedi sono immobilizzati e non faccio molti progressi né in avanti né all’indietro. Quando si corre è necessario anche portare le ginocchia in avanti e in alto, in modo da spingere indietro, ma non riesco a fare neanche questo. Cosa potrebbe provocare una tale situazione mentre dormo? Ho scoperto la causa di questo sogno dopo aver risolto quello della caduta perciò la spiegazione è stata più facile da scoprire. La spiegazione è arrivata di nuovo appe-na mi sono svegliato immediatamente dopo il sogno e mi sono ritrova-to a pancia in giù, sullo stomaco. Eureka! Quando si sta a pancia in giù non si può cambiare l’angolo del corpo rispetto al letto, non ci si può inclinare in avanti. Non si possono neanche sollevare le ginocchia perché c’è il letto di mezzo. Non ci si può inclinare all’indietro perché la forza di gravità spinge in giù. Questo dimostra di nuovo che quando si dorme non si ha molto controllo dei muscoli perché se si fosse svegli sollevare le ginocchia non sarebbe così difficile, anche a pancia in giù. Dopo aver trovato la spiegazione fui di nuovo in grado di verificarla diverse volte: quando mi svegliavo ero a pancia in giù. A questo punto ho iniziato a rendermi conto che forse la maggior parte dei miei sogni aveva una spiegazione fisica. Tutta la cosa non ha tuttavia molto senso – perché il cervello non avrebbe saputo che le ginocchia stavano ca-dendo o che dormivo a pancia in giù? Come poteva fare un sogno così complesso e ciononostante non essere in grado di capire cose così sem-plici? Ed ancora, il cervello aveva escogitato una situazione falsa ed era riuscito a farmela credere mentre dormivo.

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C) Arrivare in Ritardo agli Esami o Perdersi Questo è un altro sogno frustrante. Si riesce a veder emergere uno schema? Ipotizzerò più avanti sul perché i sogni tendono ad essere ne-gativi o incubi. Questo non è un sogno specifico, ma una classe di so-gni nei quali sto provando ad andare ad un esame o da qualche parte, ma sono in ritardo e non riesco ad arrivarci o a trovarlo. Devo sceglie-re tra una salita ripida o un giro intorno all’edificio. Oppure, se sono in un palazzo, attraverso un labirinto di rampe, scale, porte, ascensori, ecc., ma non riesco neanche a tornare dove sono partito. Diventa in-fatti sempre peggio e sempre più complicato e dopo un po’ mi ritrovo ad essere piuttosto stanco. Questo sogno può capitare quando dormo in una posizione stramba o scomoda dalla quale non riesco ad uscire facilmente, come dormire sulla mano o rimanere ingarbugliato in len-zuola e coperte: qualsiasi tipo di posizione scomoda dalla quale vorrei uscire, ma che non riesco a cambiare facilmente mentre dormo. Se so-no ingarbugliato nelle lenzuola non riesco a districarmi facilmente nel sonno e più mi ingarbuglio e più diventa faticoso. Non sono riuscito, come negli altri tre sogni, a collegare univocamente e direttamente que-sta famiglia di sogni, o qualcuno dei suoi membri, ad una causa specifi-ca. Tuttavia soffro un leggero caso di apnea nel sonno ed i primi inizi di questo tipo di sogni coincide con ciò che stimo essere l’esordio della mia apnea. Il sogno potrebbe perciò essere legato all’incapacità di re-spirare.

Qualunque sia la causa precisa, una posizione scomoda o l’apnea, è chiaro che se fossi stato sveglio avrei trovato facilmente una soluzione. Lo schema che sta emergendo è quindi che la mia capacità di ragionare e di risolvere i problemi viene enormemente impedita: quando dormo problemi molto semplici mi possono frustrare.

D) Soluzione del Mio Sogno Lungo e Complesso Dopo aver risolto i tre sogni precedenti ero convinto che un altro so-gno ricorrente avesse una causa fisica. Questo sogno è lungo e com-plesso, ma sempre lo stesso. Inizia piacevolmente: sto andando a fare una passeggiata e di fronte a me c’è una dolce collina o un prato ondu-lato che porta ad una montagna in lontananza. La prima indicazione che qualcosa non va bene arriva da lì: sale con ripidi pendii verticali e la cima è così alta che riesco a scorgerla a malapena. Nonostante ciò mi imbarco nella mia camminata, ma sorge immediatamente una situa-zione spaventosa: sono sul bordo di un burrone e non riesco neanche a vederne il fondo! Spaventato, mi giro immediatamente per tornare in-dietro, ma il ciglio su cui sto passando diventa più stretto, come se

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camminassi su una trave da ginnastica. Alla fine sento di essere vicino alla fine, ma devo superare un ultimo ostacolo: un fiume! Prima di sa-lire sulle rocce per attraversarlo lo tocco con la mano per controllare e l’acqua è fredda e profonda. Più o meno questo punto il sogno termi-na. Come avrei potuto spiegare un sogno così complesso? L’ho risolto di nuovo al risveglio subito dopo di esso. Stavo dormendo sul bordo del letto, con una mano penzolante fuori dalle coperte. Ora potevo spiegare ogni dettaglio del sogno! Il mio sogno comincia apparente-mente con me che dormo a pancia in giù, il mento sul letto guardando il cuscino di fronte a me (il prato ondulato), oltre il cuscino c’è la spal-liera verticale fatta di blocchi di legno di noce canadese che sembra un ripido pendio: è la montagna. Con il mento sul letto riesco a malapena a vedere la cima della spalliera. Sin qui è interessante come apparen-temente stiamo guardando le cose nel sonno. Siccome sto dormendo sul bordo del letto, una mano cade da esso e quello è il bordo del bur-rone su cui mi trovo. A circa sette pollici dal letto c’è il comodino con il bordo stretto e a gradini, simile alla parte superiore di una trave da equilibrio (difficile da descrivere). Perciò la mano sembrerebbe tastare tutto intorno. Siccome ora è fuori dalle coperte, sente freddo (il fiume freddo). Ecco fatto! Queste spiegazioni descrivono ogni dettaglio del mio sogno! Mi hanno convinto che i sogni si possono interpretare e che gran parte di essi possono avere cause fisiche. Se tutto questo fosse vero allora dovremmo essere in grado di usare le cause e le spiegazioni per dedurre cosa fa il cervello durante il sonno. Una prospettiva ecci-tante che neanche gli indovini e gli interpretatori di sogni potrebbero mai sognare di ottenere.

E) Controllare I Sogni La cosa sbalorditiva dello spiegare questi sogni è stato lo sviluppo di un qualche controllo su di essi. Dopo essermi pienamente convinto che ogni spiegazione era corretta questi sogni sono scomparsi! Non potevo più prendermi gioco di me stesso. Pensare che le ginocchia che cadono equivalga a cadere da un tetto o da un burrone è chiaramente un pren-dersi in giro. Una volta capito il meccanismo, il cervello non si lascia ingannare, sebbene sia abbastanza spento da farlo durante il sonno, ha ancora abbastanza capacità di riconoscere la verità una volta risolto il meccanismo.

Ingannare me stesso mi sembrava ancora in qualche modo inverosi-mile. Dovevo trovare un esempio nella vita reale per potermi convin-cere che questo tipo di inganno fosse possibile. Fortunatamente ne ho trovato uno: è quello che fanno i maghi quando si guarda un trucco

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magico. Si sa che non è magia, ma ci si casca sempre, nel senso che è del tutto mistificatorio e molto eccitante. Ora, le cose cambierebbero completamente se qualcuno spiegasse il trucco. Allora, d’improvviso, il mistero e l’eccitamento scomparirebbero e si finirebbe per concentrarsi su come il mago lo esegue, non si può continuare ad essere ingannati a pensare che si tratti di magia. In un sogno il cervello può perciò essere ingannato finché non sa di esserlo. Siccome la maggior parte delle per-sone non conosce la spiegazione del sogno, non si rende ovviamente conto di venire ingannata ed il sogno continua. Una volta a conoscen-za della causa, si sa che il cervello veniva ingannato e perciò è ora mol-to più facile per esso capire la verità ed il sogno scompare. Prima di capire la verità il cervello non sapeva neanche di essere ingannato, non aveva perciò neanche motivo di provare a cercare la verità. Ora sem-bra tutto avere senso.

F) Cosa I Sogni ci Insegnano sul Cervello Questi quattro esempi ci suggeriscono che la maggior parte dei sogni ha una qualche origine fisica concreta. Non ho mai visto una spiega-zione del genere prima e nonostante questo sembra ragionevole. Il so-gno di cadere è, per quanto ne sappia, abbastanza universale – lo han-no in molti. Per me era il ginocchio che cadeva, per qualcun altro po-trebbe essere un braccio o una gamba che scivola dal bordo del letto.

I risultati precedenti forniscono una pletora di possibilità per fare ipo-tesi su come funziona il cervello. Ecco alcune idee. Durante il sonno gran parte del cervello è spento, non c’è quindi da sorprendersi che venga ingannato facilmente. Sembra che le funzioni più elevate venga-no spente più appieno in modo che la capacità di ragionare sia la più impedita. Potrebbe essere che la paura sia l’emozione spenta per ultima quando ci si addormenta e accesa per prima quando ci si sveglia, forse per motivi di sopravvivenza. Se un nemico attaccasse durante il sonno la paura sarebbe la prima emozione da risvegliare e questo suggerisce che la maggior parte dei sogni tenda ad essere da incubo. Di certo, pe-rò, potrebbe essere diverso da persona a persona ed alcuni potrebbero avere sogni principalmente piacevoli, in base alla loro disposizione per-sonale. Nel mio caso l’evidenza suggerisce che i sogni che ho già risol-to avvengono appena prima di svegliarmi, ciò suggerisce che la mag-gior parte di essi accade nel breve periodo tra il sonno profondo ed il risveglio. Nonostante ci siano sonnambuli che riescono a controllare i muscoli forti durante il sonno, quanto detto indica che lo sforzo di muovere i muscoli durante un sogno non sì trasforma bene nei movi-menti concreti. L’esempio 4 di prima indica che c’è abbondanza di

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movimento durante il sonno oltre a quello normale necessario a cam-biare posizione periodicamente per prevenire la perdita di sangue a causa dei punti di pressione. Il movimento del corpo durante il sonno è perciò un processo perfettamente normale in risposta al dolore che si sviluppa dopo essere stati in una posizione per troppo tempo. Una mi-noranza di persone sembra essere in grado di dormire tutta la notte in essenzialmente la stessa posizione: queste persone devono avere qual-che metodo per fornire ossigeno, ecc. ai punti di pressione in modo da non far venire lividi (forse si spostano impercettibilmente da un lato all’altro per alleviare temporaneamente la pressione).

Credo di aver qui dato alcuni convincenti esempi di come si possano concretamente interpretare i sogni basandosi sulla realtà piuttosto che sui poteri sovrannaturali storicamente associati all’interpretazione dei sogni. Questo approccio sembra fornire una comprensione profonda su come funziona il cervello durante il sonno. Un possibile uso dei so-gni, collegabile alla realtà, è che potrebbero diventare strumenti di dia-gnosi utili per malattie come l’apnea durante il sonno. Ci possono dire molto riguardo ai movimenti durante di esso e come cambiare le cose in modo da averne uno migliore.

6 - Usare Il Cervello Subconscio Il cervello ha una parte conscia e una subconscia. La maggior parte delle persone non è capace di usare il subconscio, ma il suo uso è im-portante perché: (1) controlla le emozioni, (2) funziona ventiquattro ore al giorno sia da svegli sia che si dorma e (3) può fare delle cose che la parte conscia non può fare semplicemente perché è un tipo diverso di cervello. Sebbene sia difficile confrontare il cervello conscio con il su-bconscio, perché eseguono funzioni diverse, possiamo indovinare stati-sticamente che, per metà della popolazione umana, il subconscio sia più intelligente del conscio. Così oltre al fatto di avere a disposizione delle ulteriori capacità cerebrali, non ha senso non utilizzare questa parte del cervello che potrebbe essere più intelligente. In questa sezione presento le mie idee riguardo a come potrebbe funzionare il subconscio e dimo-stro come, usandolo, potremmo realizzare alcune meravigliose imprese.

A) Le Emozioni Il subconscio controlla le emozioni in almeno due modi. Il primo è una reazione rapida “combatti o fuggi” – una generazione istantanea di rab-bia o paura. Quando sorge una situazione del genere si deve reagire più velocemente di quanto si possa pensare, così la mente conscia deve

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essere scavalcata, per ottenere una reazione immediata, da qualcosa di automatico e pre-programmato. La seconda è una realizzazione molto lenta e graduale di una situazione profonda o fondamentale. Se il pri-mo o il secondo tipo di cervello subconscio siano parte dello stesso sub-conscio è una questione accademica, perché quasi sicuramente abbiamo molti tipi di comportamenti subconsci. I sentimenti di depressione du-rante una crisi di mezza età potrebbero essere il risultato del lavoro del secondo tipo di subconscio: ha avuto il tempo di capire tutte le situa-zioni negative che si sviluppano invecchiando ed il futuro comincia a sembrare meno speranzoso. Un processo del genere richiede la valuta-zione di una miriade di buone o cattive possibilità di ciò che il futuro potrebbe portare. Se provasse a valutare una tale situazione futura il cervello conscio dovrebbe elencare tutte le possibilità, valutarne ciascu-na e provare a ricordarle. Il subconscio funziona diversamente: valuta varie situazioni in un modo non sistematico, come ne scelga una in par-ticolare non è sotto il proprio controllo ed è controllato più dagli eventi quotidiani. Il subconscio immagazzina le sue conclusioni in quelli che possiamo chiamare “secchielli emotivi”. Per ogni emozione c’è un sec-chiello ed ogni volta che il subconscio arriva ad una conclusione, di-ciamo una felice, la deposita in un “secchiello felice”. Il riempimento di ciascun secchiello determina lo stato emotivo. Questo spiega perché le persone hanno la sensazione che qualcosa sia giusto/sbagliato o se una situazione sia buona/cattiva senza saperne esattamente la ragione. Il subconscio quindi influenza la nostra vita molto più di quanto la mag-gior parte di noi se ne renda conto.

B) Usare Il Cervello Subconscio Il subconscio di solito va per la sua strada: normalmente non control-liamo quali idee conserverà perché gran parte di noi non ha imparato a comunicare con esso. Gli eventi che si incontrano nella vita di tutti i giorni, tuttavia, rendono di solito abbastanza chiaro quali fattori sono importanti e quali no ed il subconscio gravita naturalmente verso le i-dee più importanti. Si interessa di più quando queste portano a conclu-sioni importanti. Si metterà in contatto con noi non appena ne verran-no accumulate un numero sufficiente. Questo spiega il motivo per cui un’intuizione inaspettata qualche volta lampeggia all’improvviso nel cervello conscio. La domanda importante qui è quindi: come si può comunicare al meglio con il subconscio?

Qualsiasi idea con la quale si riesca a convincere se stessi è importan-te e qualsiasi rompicapo o problema che si è cercato di risolvere con grande impegno sarà ovviamente un candidato alla considerazione da

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parte del subconscio. Questo è di conseguenza un modo nel quale pre-sentare un problema al subconscio. Inoltre, per poter riuscire a risolve-re un problema, il subconscio deve avere tutte le informazioni necessa-rie. Fare tutte le ricerche e raccogliere più informazioni possibile ri-guardo al problema è perciò importante. È così che al college ho risol-to molti problemi ed esercizi che i miei compagni più intelligenti non riuscivano a risolvere. Loro provavano semplicemente a sedersi, a fare i loro compiti ed a sperare di risolverli. I problemi in un ambiente sco-lastico sono tali da poter essere sempre risolti con le informazioni date a lezione o nel libro di testo. Si devono solo assemblare le varie parti per ottenere una risposta. Quello che facevo, quindi, era di assicurarmi di aver studiato tutto il materiale del corso. Se non riuscivo a risolvere il problema immediatamente, sapevo che il subconscio ci avrebbe lavo-rato sopra e perciò potevo semplicemente dimenticarmene e tornarci su dopo. L’unico requisito era perciò di non aspettare l’ultimo momento per provare a risolvere problemi del genere, perché qualche tempo do-po la risposta mi sarebbe spuntata in testa, spesso in momenti strani ed inaspettati. Venivano più spesso a galla al mattino presto quando la mente è fresca e riposata. Con l’esperienza si può quindi imparare a presentare materiale al subconscio così come riceverne delle conclusio-ni. In generale la risposta non arrivava chiedendola direttamente, ma arrivava mentre facevo qualcosa che non aveva niente a che fare con il problema. Si può usare il subconscio anche per richiamare qualcosa che si è dimenticato. Si provi prima a richiamarlo meglio possibile e si lasci poi completamente perdere lo sforzo per un attimo, dopo un po’ di tempo spesso il cervello lo ricorderà.

Certamente ancora non sappiamo di nessun modo diretto di parlare al subconscio. Questi canali di comunicazione sono molto diversi da persona a persona, per cui ciascuno deve sperimentare per vedere cosa funziona meglio. Si può chiaramente migliorare la comunicazione così come bloccarla. Molti dei miei amici più intelligenti al college erano frustrati quando scoprivano che avevo trovato la risposta senza sforzo, mentre loro non ci erano riusciti e sapevano di essere più brillanti. Questo tipo di frustrazione può portare allo stallo in qualsiasi comuni-cazione tra le varie parti del cervello, è quindi meglio mantenere un at-teggiamento positivo e rilassato e lasciare fare al cervello le sue cose. Questo è probabilmente il motivo per cui le cose come la meditazione ed il Chi-Gong funzionano così bene. Sono metodi efficaci, verificati nel tempo, per comunicare con le varie parti del cervello e del corpo. Si noti che parti diverse del cervello controllano direttamente molte funzioni corporee come il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la

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sudorazione, la digestione, la salivazione, il funzionamento degli organi interni, la risposta sensoriale, eccetera. Queste sono potenti funzioni che possono generare o sprecare enormi quantità di energia perciò quando funzionano fluidamente assieme o una contro l’altra hanno un notevole effetto sulla salute generale e sulle funzioni mentali. Un altro metodo importante per fare massimo uso del subconscio è, una volta presentatogli il problema, lasciarlo stare senza interferenze da parte del cervello conscio.

In altre parole ci si dovrebbe dimenticare del problema e dedicarsi ad uno sport, andare a vedere un film o fare altre delle cose preferite ed il subconscio farà un lavoro migliore perché è una parte del cervello com-pletamente diversa. Se si pensa sempre consciamente al problema si polarizza il subconscio e non gli si permette di fare liberamente le sue esplorazioni.

Il cervello ha tante parti ed è a nostro vantaggio conoscerle ed impa-rare ad usarle. La mente subconscia è probabilmente una delle parti più sotto-utilizzate perché troppi di noi non sono consapevoli della sua esistenza. Ci devono sicuramente essere molti altri argomenti utili sul cervello. Ci sono, ad esempio, numerosi processi automatici che con-dizionano la nostra vita quotidiana. Quando vediamo un’immagine con gli occhi accadono immediatamente e automaticamente molte cose. Quando si riceve un’immagine, il cervello diventa temporaneamente sovraccarico, a causa dell’elaborazione delle informazioni, a tal punto da non poter svolgere bene altri compiti. Questo è il motivo per cui si sente meno dolore ad occhi aperti che ad occhi chiusi. Un effetto simi-le avviene con il suono: urlare riduce realmente il dolore. Il suono pia-cevole della musica è un’altra reazione automatica come lo sono quelle visuali tipo un bel fiore, delle calmanti viste panoramiche di monti e di fiumi o l’effetto degli odori piacevoli o spiacevoli. Quando ascoltiamo la musica invochiamo una di queste reazioni automatiche; inoltre, pro-prio come non sappiamo ben spiegare perché un bel fiore appare bello, non sappiamo ancora spiegare perché la musica suona così bene. Forse è una di quelle reazioni subconscie pre-programmate.

L’identificazione delle diverse parti del cervello sarà sicuramente una delle future rivoluzioni in arrivo. La scienza medica sta avanzando più rapidamente che mai e capire il cervello sarà uno dei più grandi passi in avanti, a partire da come si sviluppa nell’infanzia e come possiamo faci-litarne lo sviluppo. È del tutto possibile quindi che Mozart non fosse un genio musicale, ma un genio creato dalla musica.

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