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Centro Militare di Studi Strategici - Roma

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Rubbettino

Presentazione

La Questione della Sicurezzanell’Evoluzione della Politica Esteradella Repubblica Popolare Cinesesfide esterne e di sicurezza per la UE

Valdo Ferretti

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Indice

Abbreviazioni p. 7

Introduzione 9

Capitolo I Il Quadro di riferimento 13Parte Prima – Precedenti Storici 15Parte Seconda – Radici Interne e Premesse della Politica Estera

Cinese dopo il Periodo Maoista 33

Capitolo II La Sicurezza nella Politica Estera Cinesedopo la Guerra Fredda 45Il Riallineamento Internazionale dopo la Finedel Periodo Maoista 47

Capitolo III Sicurezza e Strategia. La funzione dell’APL 77Pensiero strategico e Istituzioni Militari:il Lascito del Passato 79

Capitolo IV Un bilancio: Incertezze Presenti e Prospettive Future 95

Bibliografia generale 117

Elementi di bibliografia in cinese 133

Appendice 139a) Fonti: due testi particolari 139b) Dati numerici 150

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ACTFA Asean-China Free Trade AreaAPL Armata Popolare di LiberazioneAPEC Asia Pacific Economic CooperationARF Asia Regional ForumAPT ARF Plus ThreeASEAN Association of Southeast Asia NationsCMC Central Military CommissionECAFE [United Nations] Economic Commission for Asia ano The

Far EastJSDF Japan Self Defense ForcesPKO Peace Keeping OperationsRMA Revolution in Military ArmamentsROC Repubblica di CinaRPC Repubblica Popolare CineseSCO Shanghai Cooperation OrganizationSEATO South East Asia Treaty OrganizationSOE State Owned EnterpriseZES Zone Economiche Speciali

Abbreviazioni*

* Avvertenza. Le legenda sopra riportate sono quelle maggiormente usate nella letteratu-ra corrente. Ciò ha portato alcune inevitabili incongruenze, perché si è preferito evitare di usa-re il riferimento per esteso a tutti i termini soltanto in italiano o soltanto in inglese, scegliendoinvece le sigle che ci sembrano generalmente più utilizzate o più chiare. Inoltre, potendo sce-gliere fra diversi acronimi, si sono comunque scelti quelli più vicini alle formule usate su scalainternazionale (ad esempio APL invece che Epl, per le forze armate cinesi).

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Introduzione

Come minimo a partire dalla fine degli anni ’80 non solo la stampa spe-cializzata, ma anche i mezzi di comunicazione di massa hanno diffuso, con to-ni talvolta ammirati o sorpresi e talvolta allarmati, la sensazione o l’idea per laquale la Repubblica Popolare Cinese si stesse trasformando sia a livello globa-le che nell’area regionale asiatica, in una grande potenza nel senso pieno deltermine. Ne è derivato un quesito, che si è posto tanto agli operatori politici eagli uomini di stato quanto agli studiosi, ovvero se questo sviluppo sia desti-nato a continuare in futuro e, in caso di risposta positiva, in che modo possacontribuire a modificare gli equilibri internazionali di potenza.

Naturalmente il problema si è posto in gran parte in seguito al rapido edelevato tasso di sviluppo economico di questo paese, ma presenta un retroter-ra storico, che non deve essere trascurato. La Cina della fine del XIX° e dellaprima parte del XX° ha infatti vissuto un’esperienza del tutto particolare, chealcuni grandi sinologi hanno analizzato e che lascia tracce ancora presenti nel-la psicologia collettiva del suo popolo. All’inizio dell ’800, essa non era soltan-to il maggiore stato dell’Asia Orientale, ma per secoli aveva coltivato la certez-za della sua superiorità culturale rispetto al resto del mondo e comunque ave-va raggiunto la civiltà più progredita al di fuori dell’Europa. A questo orgo-glio intellettuale e psicologico era collegata anche la convinzione diffusa di es-sere il solo stato al mondo, investito dall’Ordine Cosmico (il Cielo o T‘ien) diuna forma di primato di natura morale, con sfumature metafisiche, rispettoagli altri paesi. Con le vicende storiche del XIX° secolo, che la coinvolseroquando tale visione era ancora vitale, le istituzioni imperiali entrarono in cri-si sotto l’urto dell’espansione europea in Asia e la società subì gravi sconvol-gimenti. Tutto ciò fece sorgere un diffuso senso di umiliazione e di frustrazio-ne che strideva in modo doloroso con la visione del mondo ereditata dal pas-sato, inducendo molti intellettuali a rimettere in discussione i valori e il con-tenuto della civiltà tradizionale, così da avviare trasformazioni radicali, le qua-

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li sul piano politico andarono dalla fine dell’impero all’ascesa del regime co-munista durante la prima metà del ’900. Non è un caso che il principale lea-der “rivoluzionario” dello scorso secolo, Mao Zedong, fosse stato un uomoeducato in gioventù nella cultura classica, il quale si avvicinò al MaterialismoStorico in gran parte sotto l’influenza delle teorie leniniste, perché queste ve-devano nel Comunismo lo strumento di redenzione delle popolazioni delmondo extraeuropeo dalla dominazione coloniale.

Ora bisognerebbe insistere che l’eredità intellettuale di questo traumanon si è ancora del tutto cancellata oggi, producendo inaspettate conseguen-ze nella particolare situazione verificatasi da quando, a partire dal 1977, il si-stema politico ed economico hanno cominciato ad allontanarsi, senza rico-noscerlo formalmente, dal Socialismo Reale. Sebbene l’ideologia marxistanon sia mai stata rinnegata ufficialmente come tale, infatti, è lecito afferma-re che oggi la legittimità del Partito Comunista si appoggia soprattutto, co-me del resto avvenne già all’epoca della nascita della Repubblica Popolare,sul nazionalismo, o forse sarebbe meglio dire sull’orgoglio o sul sentimentonazionale dei cinesi. In altre parole la statura internazionale che la RPC staacquistando per ragioni economiche si associa nella mentalità collettiva al ri-sveglio, più o meno generalmente condiviso a livello cosciente, del senso digrandezza proprio della tradizione cinese e reca spesso il segno dei sensi dirivalsa o delle umiliazioni sopravvissuti nella memoria collettiva in riferimen-to alla storia degli ultimi due secoli. In questo modo due fattori, il nuovo si-stema sociale che si sta formando sulle ceneri del regime maoista e i condi-zionamenti del passato, fanno da cornice agli attuali atteggiamenti in mate-ria internazionale.

Perciò il discorso sviluppato in questo lavoro, che si propone essenzial-mente di esaminare il problema della sicurezza della RPC ai giorni nostri nonpoteva prescindere dall’esame di numerosi fattori, storici e culturali, ma an-che istituzionali, che condizionano la politica estera della Cina. Da qui discen-de la struttura complessiva del lavoro. Un primo capitolo, che ha funzione in-troduttiva, inquadra la materia dal punto di vista storico, tracciando una rapi-da traiettoria che giunge alla fine della cosiddetta era maoista nel 1976, men-tre in una seconda parte delinea una traccia delle “forze profonde” di caratte-re sociale ed economico messe in movimento dalle riforme introdotte negli an-ni successivi, facendo da cornice ai temi della sicurezza.

Il secondo capitolo, invece, entra nel vivo dell’argomento presentando,ancora sul piano storico, un riesame della politica estera dopo la morte di Mao,attraverso lo spartiacque della fine della Guerra Fredda, che convenzional-

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mente abbiamo identificato con quella dell’Unione Sovietica nel 1992, ma piùampiamente fatto risalire anche ad alcuni anni più indietro. In questo modoabbiamo raggiunto il momento che inizia appunto dalla fine dell’Urss, con-centrandoci sui cambiamenti di scenario che hanno interessato la Cina e av-viando la discussione sulla risposta cinese alla fine del bipolarismo e sulle pre-visioni relative al futuro.

Il terzo capitolo affronta un soggetto più particolare e specifico. Per co-modità esso è stato diviso in tre parti che trattano rispettivamente i lasciti del-l’antica tradizione cinese e del pensiero maoista sulle concezioni della difesanazionale e della guerra; le istituzioni militari della RPC e il modo in cui essesi collocano nel quadro della struttura politica, ancora essenzialmente artico-lata secondo il modello leninista, ma in corso di sensibile cambiamento negliultimi decenni; l’impatto sulla cultura e l’organizzazione militare cinese, e suisuoi riflessi di politica estera, della cosiddetta “Rivoluzione negli Affari Mili-tari” la quale ha radicalmente modificato il pensiero bellico e verosimilmenteil modo di condurre le guerre alla fine del XX° secolo.

L’ultimo capitolo discute i principali problemi posti dagli studiosi circal’entità della potenza cinese al momento attuale e i temi relativi alla sicurezzanei rapporti tra la RPC e gli altri stati, anche sul piano geostrategico e multila-terale, insieme alle proiezioni che si possono abbozzare intorno a queste tema-tiche per i prossimi decenni. Esso cerca di discutere inoltre almeno alcune ten-denze della politica estera cinese rispetto alla dinamica delle alleanze interna-zionali in questo prima parte del XXI° secolo. Sul piano del metodo, come giàsi è detto tutta l’indagine si è basata su un’ampia recensione della produzionescientifica internazionale, anche se è doveroso ammettere che la letteraturaspecializzata ha raggiunto tali dimensioni, che è stato possibile richiamarla sol-tanto selettivamente e non si è neanche ritenuto necessario riportare in biblio-grafia tutti i saggi dei quali è stato fatto uso. È parso utile inoltre tenere pre-sente un metodo utilizzato da vari studi anglo-sassoni, quello cioè di conside-rare le tendenze interpretative offerte dalle riviste cinesi di relazioni interna-zionali come un indicatore delle idee che supponiamo presenti e dibattute al-l’interno dell’élite dirigente. In questo modo infatti è verosimilmente possibi-le riparare alla limitata utilità nell’uso delle fonti giornalistiche e ufficiali in unpaese nel quale la libertà di espressione è ancora incompleta. Questo tipo dimateriale è stato preso in esame, considerando la sua estensione, sia attraver-so sondaggi diretti che tesaurizzando, nei limiti del possibile, gli studi dei ri-cercatori occidentali. A corredo dell’intero lavoro, infine, un’appendice offreuna scelta di documenti e dati numerici utili. L’auspicio insomma, è di aver

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contribuito a colmare un vuoto tendenziale nella cultura italiana, offrendo unprimo sintetico bilancio sul tema della posizione internazionale, con partico-lare riferimento al tema della sicurezza, della Cina di oggi, considerandone an-che le premesse interne e collocandola nel suo percorso storico.

Desidero a questo punto ringraziare alcune collaboratrici, che hanno al-leggerito l’impegno di questo lavoro. In primo luogo la dottoressa Anita Are-na, che ha curato l’appendice di questo libro, poi le dott.sse Manuela Menchie Patrizia de Biasi, e infine la professoressa Bai Hua, lettrice di Lingua e Lette-ratura Cinese presso le Università di Roma Tre e “La Sapienza” di Roma, il cuiaiuto è stato davvero insostituibile per utilizzare con rapidità le fonti cinesi.

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Capitolo IIl quadro di riferimento

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La seconda metà del XIX° secolo segnò per l’impero cinese una fase dipassaggio “epocale”1. Il paese era governato dalla dinastia Qing, originariadella Manciuria, che lo aveva conquistato nel XVII° secolo. La tradizione però,per la quale la Cina, era non solo la principale potenza territoriale nell’areadell’Estremo Oriente, ma anche la portatrice di una cultura, diffusa nei paesivicini e superiore rispetto ad essi, continuava a far parte dell’ideologia ufficia-le. Le unità politiche confinanti dell’Asia Orientale antica in effetti, oltre adessere politicamente o militarmente più deboli, nella seconda metà del Sette-cento, erano organizzate fra loro in un sistema di relazioni, le quali, diretta-mente o indirettamente, erano basate su concetti, o come talvolta si dice su un“codice”, appartenenti alla cultura cinese. Le popolazioni dell’Asia centrale esettentrionale erano state sottomesse definitivamente nel XVIII° secolo; ilGiappone praticava la cosiddetta “politica di chiusura” (sakoku), rigettandorapporti regolari e costanti con altri paesi, salvo minime eccezioni, le quali ri-guardavano in prevalenza la materia commerciale; gli stati confinanti, comel’Annam (attuale Vietnam), il Siam o la Corea, sia pure con interruzioni tem-poranee i primi due, praticarono il vassallaggio verso Pechino.

L’imperatore Qing, come quelli delle precedenti dinastie, si consideravatitolare della sua carica in virtù di un “mandato celeste”, che faceva di lui il“Figlio del Cielo”, unico sovrano della terra ad aver ricevuto l’investitura dalT‘ien, un’entità vagamente impersonale, che nel pensiero ufficiale corrispon-deva al supremo principio regolatore dell’universo. Gli altri sovrani si ritene-va che avessero un rango inferiore rispetto a lui e, malgrado eccezioni a que-sta regola fossero state fatte nei primi decenni della dinastia2, la corte Qing

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Parte prima

Precedenti Storici

1 Nell’ampia produzione disponibile sulla storia della Cina nel tardo periodo Qing, segna-liamo J. Chesnaux, M. Bastid e M-C. Bergère, La Cina, voll. 1° e 2°, Torino, Einaudi, 1974.

2 Cfr. A. Albanese, “Il retaggio del passato e le anticipazioni del futuro nell’era kangxi”,

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consentiva ad aver rapporti con i re stranieri (wang) a condizione che tale rap-porto verticale fosse accettato da loro. Tutto ciò si rifletteva in particolari ce-rimoniali, nel corso dei quali le ambascerie presentavano doni e recavanoomaggio periodicamente al Figlio del Cielo. I monarchi stranieri erano esclu-si dai rapporti formali con l’impero a meno che non accettassero questo tipodi “sistema”.

Sul piano pratico tale rapporto aveva un contenuto concreto molto varia-bile, il quale non andava in genere oltre una sottomissione nominale e porta-va come unica conseguenza che se uno dei re vassalli fosse stato minacciato daribellioni, la Cina si riservava di intervenire per proteggerlo. Di fatto, in unmodo mai formalizzato, la cintura dei paesi tributari rappresentava una blan-da fascia di stati-cuscinetto attraverso i quali l’impero aveva una possibilità diagire sul piano politico per proteggere i suoi confini. Questa funzione in lar-ga misura ricavava la sua efficacia dalle scelte degli altri paesi stessi, i quali tal-volta per decenni non rinnovavano il vassallaggio, sicché aveva efficacia mol-to diversa a seconda dei casi. Per fare un esempio, il vassallaggio con la Coreaera particolarmente stretto e, data la vicinanza di questo paese alla Cina set-tentrionale e alla Manciuria, rivestiva importanza strategica. Alla fine dell’Ot-tocento, nel tentativo di arginare le pressioni del Giappone e delle potenze eu-ropee, l’Impero Celeste prima cercò di trasformare il vassallaggio in una for-ma di protettorato di tipo Occidentale e poi restò coinvolto nella sfortunataguerra col Giappone del 1894-95. Al contrario, il vassallaggio, per esempio,col Siam non aveva nella prima metà dell’800, pur sopravvivendo ancora, pra-ticamente significato concreto.

D’altra parte bisogna considerare che nel XIX° secolo nei paesi asiatici aSud della Cina abitavano spesso comunità di lingua cinese, le quali spesso ri-vestivano un ruolo significativo sul piano delle attività commerciali e, sebbe-ne svincolate dall’impero, partecipavano tuttavia della cultura di quest’ultimoe conservavano contatti con i suoi abitanti. La loro presenza contribuiva a da-re concretezza all’immagine di un “ordine del mondo confuciano”, caratteriz-zato sul piano dei rapporti fra gli stati dal sistema del vassallaggio e nello stes-so tempo permeato dalla civiltà sinica.

Gli avvenimenti alla metà del XIX° secolo, segnati dalla sconfitta militarenella guerra con la Gran Bretagna del 1839-42 (la cosiddetta Guerra dell’Op-pio) e, più tardi, da una nuova sconfitta subita ad opera della Francia e del-

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in C. Bulfoni (a cura di), Tradizione e Innovazione nella Civiltà Cinese, Milano, Franco Angeli,2002, pp. 171-196, specialmente pp. 192-93.

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l’Inghilterra fra il 1856 e il 1858, si accompagnarono ad una serie di trattati in-ternazionali, i quali via via trasformarono completamente il quadro sopra ac-cennato. La Cina dovette accettare il rapporto paritario con le due potenze eu-ropee, secondo i principi del diritto internazionale occidentale, e aprire un nu-mero crescente di porti, ove le merci straniere godevano di privilegi doganalie i loro cittadini erano sottratti alla giurisdizione dei tribunali cinesi, secondoun criterio originariamente pensato in analogia ai regimi “capitolari” in usonel Mediterraneo. Le due sconfitte militari mostrarono inoltre l’inferiorità de-gli armamenti e delle strutture militari cinesi rispetto a quelle occidentali. Pre-sto la monarchia Qing dovette misurarsi con tre grandi ondate di ribellioni(dei Taiping, dei Nian e delle popolazioni islamiche della provincia dello Yun-nan nel Sud e delle regioni del Nord e del Nord-Ovest), nel corso delle qualiricevette alcuni aiuti dalle potenze straniere, ma finì per rinunciare ulterior-mente ad elementi di sovranità sul suo territorio. È in questo periodo che siforma il cosiddetto settlement di Shanghai, un’area cioè all’interno della città,nata dalla fusione di alcune “concessioni”, dove l’amministrazione era delega-ta ai residenti e ai consoli stranieri in regime di extraterritorialità.

Nella seconda metà dell’’800, un’ulteriore serie di sconfitte militari e diconseguenti trattati internazionali determinava il crollo del Sistema del Tribu-to. La penetrazione francese in Indocina portò alla guerra col governo di Pa-rigi e, col trattao di Tianjin del 1885 alla perdita del vassallaggio sull’Annam.Già nel 1869 e poi dopo una lunga controversia diplomatica durata fino al1882 col Giappone, Pechino finì per rinunciare anche al rapporto tributariocon le isole Ryukyu. Dopo la conclusione dei primi trattati che aprivano la Co-rea ai rapporti internazionali, i tentativi di penetrazione giapponese in Coreae gli interessi strategici inglesi e russi intorno a questa penisola interagironocon i contrasti fra correnti riformatrici e tradizionaliste al suo interno. Tuttoquesto portò la Cina a cercare di rendere più diretto il suo controllo sul go-verno di Seul, ma alla fine condusse alla guerra sino-giapponese del 1894-95.Il trattato di Shimonoseki, che la concluse, non solo obbligò Pechino a rinun-ciare al vassallaggio, ma, tra l’altro, anche a cedere al Giappone l’isola diTaiwan. Nel 1898 l’impero fu costretto dalla pressione di quattro potenze stra-niere, la Germania, la Francia e la Russia, a cui si aggiunse la Gran Bretagna,alla perdita di una serie di diritti sulla Manciuria Meridionale, a favore di S.Pietroburgo, e in altre regioni costiere a beneficio delle altre tre. Tutto questosi aggiunse a pesanti indennità finanziarie che la Cina fu costretta a versare, ol-tre a varie umiliazioni subite in una serie di incidenti secondari. In un confu-so tentativo di rivincita, i circoli più conservatori della corte finirono per in-

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coraggiare allora la ribellione cosiddetta, dagli occidentali, dei Boxers, che frail 1897 e il 1900, condusse ad una serie di gravi incidenti a sfondo xenofobo,culminati nel celebre “assedio delle legazioni”. Essa finì per accompagnarsi aduna dichiarazione di guerra da parte della corte Qing all’Inghilterra e allaFrancia, seguita da una spedizione internazionale, che, dopo aver conquista-to Pechino, impose all’imperatrice reggente l’umiliante protocollo del 16 gen-naio 1901. In seguito a quest’ultimo, ulteriori “concessioni” dovettero essereassegnate a potenze straniere, mentre il pagamento di una pesante indennitàfinanziaria veniva imposto, per giunta dopo che anche in questo caso gravi ec-cessi erano stati compiuti dall’armata internazionale in territorio cinese.

In sostanza la guerra sino-giapponese e il trattato di Shimonoseki segna-no una spartiacque fondamentale, poiché determinarono il crollo definitivodell’“ordine mondiale confuciano” e aprirono la strada al completo infeuda-mento alle potenze straniere.

Dai brevissimi cenni che abbiamo fatto, si capisce come intorno alla finedella seconda metà dell’Ottocento, la Cina avesse vissuto un dramma storicopraticamente unico: da paese dominante, che per tradizione si collocava alcentro del mondo, si era trasformata in meno di tre decenni in una specie digigantesca “vittima”, esposta a mortificazioni del sentimento nazionale adopera di altri paesi più potenti, fino a poco tempo prima praticamente scono-sciuti o considerati inferiori e barbari, ma dotati di conoscenze tecniche escientifiche più avanzate delle sue3.

Nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento si svi-lupparono anche diversi movimenti riformatori, alcuni all’interno dell’élite di-rigente ed altri rivoluzionari, i quali proponevano programmi di riforme volti asvecchiare, con progetti diversi a seconda dei casi, la struttura amministrativa ead introdurre o diffondere la cultura occidentale allo scopo di gettare le pre-messe per restituire al paese la sua piena indipendenza e sovranità. Fra questi sinotava anche una certa diversità nel modo di apprezzare, di ripensare o respin-gere del tutto la tradizione. Le critiche contro l’incapacità dei Qing di fronte al-la pressione straniera spesso incorporavano anche i motivi dell’opposizione edell’insofferenza, che risaliva ai secoli precedenti, contro la dinastia “barbara”.In questo modo dalla crisi dell’impero, che era multietnico4, vediamo sorgere

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3 Cfr. per questa prospettiva, in particolare L. Bianco, Les origines de la révolution chinoi-se, 1915-1949, Gallimard, Paris 1967.

4 È interessante a questo proposito la recente ricerca di P. K. Crossley, Translucent Mirror:History and Identity in Qing Imperial Ideology, Univ. Of California Press, Berkeley, 2000.

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un movimento politico, il quale identificava la Cina e il suo patrimonio storicoe culturale con l’etnia propriamente han, distinguendola dalle minoranze di al-tra origine (mongole, mancesi, tibetane, etc.) e propugnando un nazionalismodi tipo moderno, sul quale anche il concetto di razza aveva impresso una trac-cia5. Nel primo decennio del ’900 il governo introdusse riforme amministrativee in parte costituzionali, che diedero al paese per la prima volta istituzioni bu-rocratiche e forze militari, per quanto limitate, al passo coi tempi. Dopo la guer-ra russo-giapponese assistiamo al tentativo di inserire la Cina nel gioco diplo-matico fra le grandi potenze, sviluppando con maturità iniziative già accennatenel secolo precedente, ma ciò non bastò a fermare la decadenza dell’impero, lacui storia si conclude con la rivoluzione repubblicana del 1911-12.

Dopo un periodo disordinato, in cui dietro l’apparente unità politica,l’autorità statale si frammenta e il paese affonda sempre più nel disordine, ilpartito del Guomindang (GMD)6 riesce a insediare un proprio governo nellaCina del Sud a Canton e poi dopo una fortunata campagna militare, la cosid-detta Spedizione Settentrionale, fonda la Repubblica di Cina (ROC) nel 1927,con capitale Nanchino. Pechino è conquistata nel 1928. Il programma delGMD è nello stesso tempo radicale, nel senso che propone un modello politi-co e costituzionale basato sul pensiero del fondatore Song Zhongshan (SunYat-sen), di ispirazione occidentale e repubblicana, con alcuni imprestiti an-che dal leninismo per quel che riguarda il ruolo del partito egemone, ma an-che eclettico e nazionalista, nel senso che sviluppa almeno fino all’inizio deglianni Trenta una strategia volta a recuperare i diritti e le prerogative di sovra-nità perduti nel passato. Tra il 1927 e il 1930, la ROC riconquista la sovranitàgiudiziaria e doganale, ottiene la rinuncia della potenze a una parte delle “con-cessioni” e attua importanti riforme. Dopo gravi momenti di tensione, riescea stabilire anche relazioni cordiali con le potenze europee e con gli Stati Uni-ti. Dal punto di vista internazionale è importante ricordare alcuni punti. La re-pubblica che nasce nel 1912 è strettamente han (cinese), mentre il Tibet e laMongolia proclamano la loro indipendenza subito dopo la rivoluzione repub-blicana, aprendo due specifiche controversie, una delle quali verrà chiusa nel1952 e l’altra sotto un certo profilo ancora esiste. Inoltre, a partire dall’enun-ciato della dottrina della “Porta Aperta”, fra il 1899 e il 1901, fino al cosiddet-

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5 Cfr. l’Introduzione di E. Collotti Pischel a, Sun Yat-Sen, I Tre Pricipi del Popolo, Einau-di, Torino, 1976, pp. VII-XLVIII.

6 Su questa fase resta fondamentale, L. E. Eastman, The Abortive Revolution. China un-der nationalist Rule, 1927-31, Harvard Univ. Press, Cambridge Mass., 1974.

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to Trattato delle Nove Potenze, stipulato all’interno della Conferenza di Wa-shington del 1921-1922, le potenze straniere interessate riconoscono pratica-mente tutte il principio del rispetto dell’indipendenza e dell’integrità territo-riale della Cina, che, dopo aver dichiarato guerra agli Imperi Centrali nel 1917,entra nella Società delle Nazioni. Infine la Cina subisce l’influenza della Rivo-luzione d’Ottobre in Russia e molti fautori della modernizzazione e dell’occi-dentalizzazione del paese finiscono per accettare il marxismo nella versionebolscevica, finché nel 1921 viene fondato il Partito Comunista Cinese (PCC).Quest’ultimo, in armonia con le teorie leniniste, stringe con il GMD un’inte-sa, la quale dura fino al 1927, quando inizia una guerra civile destinata a du-rare fino al momento dell’invasione giapponese del 1937. Attraverso questavicenda il PCC finirà per presentarsi come antagonista storico del GMD. Glianni trenta sono dominati da due cicli di eventi, in vario modo collegati fra lo-ro. Dopo la nascita della ROC, si crea un complesso attrito fra il regime di Nan-chino e il Giappone, che ha ereditato dopo la vittoria del 1905 i diritti russi inManciuria e attraversa una sofferta crisi nel regime politico a partire dalla fi-ne degli anni Venti. Il controllo della Manciuria per una parte delle sue élitesdirigenti non ha valore soltanto economico, ma anche strategico e serve a ga-rantire la sicurezza della Corea, che dal 1909 è colonia giapponese, e della stes-sa madrepatria. In particolare l’esercito giapponese attribuisce importanza aquesta regione come riserva di materie prime, principalmente nell’ipotesi diun conflitto con l’Unione Sovietica, che alla fine degli anni Venti si è riaffac-ciata come grande potenza in Estremo Oriente. In queste condizioni si verifi-ca il “colpo” architettato dai comandi militari giapponesi in Manciuria, i qua-li, scavalcando il governo di Tokyo, favoriscono prima la creazione dello statofantoccio del Machukuò nel 1931 e poi finiscono per causare una crisi costi-tuzionale all’interno del Giappone stesso, dove il regime liberale degli anniVenti è gradualmente sostituito, fra il 1932 e il 1936, da uno via via maggior-mente autoritario. In questo contesto l’armata del Sol Levante attua una pe-netrazione strisciante nella Cina del Nord fra il 1935 e il 1936, imponendosialla svogliata resistenza del GMD. Quest’ultimo, infatti, indebolito anche dal-la rivalità fra gruppi rivali al suo interno, preferisce concentrare le sue energiesulla lotta contro i comunisti, finché le reazioni dell’opinione pubblica inter-na e l’influenza delle correnti “filo-occidentali”, non inducono il “Generalis-simo” Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek), che dalla morte di Sun Yat-sen è la figu-ra principale del regime, anche indipendentemente dal suo ruolo formalmen-te istituzionale, a piegarsi ed accettare la strategia del cosiddetto “SecondoFronte Unito”. Esso raggiunge una tregua con i comunisti e si coalizza con lo-

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ro per respingere la penetrazione nipponica. Questa situazione matura defini-tivamente dopo il cosidetto “Incidente di Xi’an” del dicembre 1936 e condu-ce nell’estate del 1937 alla guerra non dichiarata e all’invasione lanciata dalGiappone contro la Cina7. Negli anni dal 1941 al 1945, il conflitto in Cina di-venta un capitolo secondario della seconda Guerra Mondiale, durante la qua-le al governo del Guomindang resta solo il controllo di tre regioni della CinaOccidentale, dopo le vittorie giapponesi degli anni fra il 1937 e il 1939, men-tre i comunisti combattono il comune nemico, acquartierati nella provinciasettentrionale dello Shaanxi, attraverso una tattica di guerriglia che si allargaverso le regioni centrali del paese, le quali, insieme a quelle del Nord, sonoquelle a soffrire di più per le vicende della guerra8. Contrariamente a quantoper un lungo periodo si è affermato, noi oggi sappiamo9 che nel frattempo ilPCC resta ideologicamente fedele al Komintern fino alla seconda guerra mon-diale, anche se la leadership di Mao Zedong, che si afferma definitivamente so-lo dopo il 1935, sul piano della tattica rivoluzionaria e bellica, presenta spun-ti originali rispetto ai modelli sovietici. Il PCC e il GMD si combattono aspra-mente fino al 1936, si riconciliano e collaborano contro il nemico comune do-po l’aggressione del Giappone e di nuovo prendono le distanze durante laGuerra del Pacifico. Alla fine di quest’ultima la Guerra Civile riprende e siconclude con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC), il 1ottobre 194910. È importante a questo punto soffermarsi su alcuni punti. Ilsuccesso del PCC nella guerra civile è dovuto in gran parte al discredito delgoverno nazionalista anche fra le classi medie occidentalizzate e benestantidella Cina meridionale, deluse dalla diffusa corruzione al suo interno e dalletendenze autoritarie e sempre più conservatrici affiorate negli anni della guer-ra. A queste si accompagnava l’immagine di intransigenza morale che il parti-to di Mao presentava e la sua irriducibile ostilità, che secondava il senso na-zionale dei cinesi, di fronte ai residui di imperialismo straniero.

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7 Per una sintesi di questo processo, arricchita da una vasta bibliografia, P. M. Coble, Fa-cing Japan. Chinese Politics and Japanese Imperialism, Harvard Univ. Press, Cambridge Mass.,1991.

8 Su questa fase, cfr. la sintesi di J. Osterhammel, Storia della Cina Moderna, secoli XVIII-XX, Einaudi, Torino, 1989, capp. XIV e XV.

9 Cfr. soprattutto, M. M. Sheng, Battling Western Imperialism. Mao, Stalin, and the Uni-ted States, Princeton Univ. Press, Princeton, 1997.

10 Per la storia generale della repubblica popolare cinese, segnaliamo, anche qui in unaproduzione oramai vastissima, M-C. Bergère, la Cina dal 1949 ai giorni nostri, Il Mulino, Bolo-gna, 2000, che comprende un’utile bibliografia più specializzata.

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Inoltre, sebbene la nascita ufficiale della RPC sia avvenuta quando in Eu-ropa era già iniziata la Guerra Fredda, a un anno dal blocco di Berlino del1948, la Guerra Civile si sviluppa abbastanza indipendentemente da quest’ul-tima. Nel 1948 la decisione di Mao di continuare la sua offensiva verso il Suddella Cina, attraversando il fiume Yangzi, viene presa contro i consigli di Sta-lin. L’apertura recente degli archivi sovietici conferma la vicinanza fra i comu-nisti cinesi e l’Urss anche in quel momento, ma lascia comprendere che la ten-denza all’autonomia dei cinesi era comunque di dimensioni maggiori che frai partiti comunisti dell’Europa Orientale.

In particolare affiora qui un problema, sul quale gli studiosi hanno spes-so discusso, ovvero se la fedeltà a Mosca arrivasse al punto di prevalere o me-no anche sull’ideale di portare a compimento l’unità nazionale, restaurandouna compagine statale in prospettiva territorialmente corrispondente a quelladell’impero Qing. E qui nasce un’altra controversia, tuttora aperta fra gli sto-rici. È molto difficile dire come i leaders del PCC si ponessero di fronte allepotenze occidentali, soprattutto Gran Bretagna e Stati Uniti, al momento del-la nascita della RPC. La questione è ancora oggetto di contrastanti vedute, ma,fra molte incertezze, alcuni punti sembrano fermi. Da un lato è impensabileche il nuovo stato comunista potesse staccarsi dall’Urss al punto di schierarsifra i suoi avversari nella cornice della Guerra Fredda. Dall’altro è molto pro-babile che all’interno del PCC esistesse una corrente, o almeno un gruppo didirigenti, i quali tendevano ad accelerare l’avvio di relazioni positive con le po-tenze occidentali sia per ragioni economiche, sia per evitare che crescessetroppo l’influenza dell’Urss. Non si può escludere, e a mio avviso anche è pro-babile, che il regime comunista avrebbe potuto nel 1949 arrivare al punto diallacciare relazioni diplomatiche con gli Usa, se questi avessero preso le distan-ze dal regime di Taiwan, senza con questo rinnegare l’allineamento ideologi-co con Mosca, anche se in concreto è difficile stabilire quali scelte strategichene sarebbero derivate. Almeno in potenza, il fatto che l’armata sovietica nonavesse preso parte alla guerra civile in Cina lasciava al partito di Mao un’auto-nomia molto maggiore che ai regimi comunisti dell’Europa Orientale, ma al-l’inizio degli anni ’50 non maturarono frutti da queste premesse.

La RPC compie probabilmente una definitiva scelta di campo nel corsodel 1950. Ci troviamo qui di fronte ad uno spartiacque storico fondamentale,rappresentato dall’alleanza cino-sovietica del 1950 e, più tardi, in seguito adun’esplicita richiesta di Stalin, all’intervento, per quanto formalmente ma-scherato, nella Guerra di Corea nell’autunno. Ambedue questi eventi, chespostano definitivamente la RPC nel campo sovietico, trovano ancora una vol-

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ta la loro origine nella questione di Taiwan. L’itinerario diplomatico dell’al-leanza con Mosca, stipulata durante il primo viaggio del capo comunista fuo-ri della Cina, è particolarmente complesso e va oltre i fini di questo studio, maè evidente che Mao la volle fondamentalmente per due ragioni, tra le quali ètuttora impossibile dire quale fosse la principale. Da un lato egli probabilmen-te temeva un possibile intervento americano, che rovesciasse il verdetto delleguerra civile contro il GMD, dall’altro l’alleanza con la Russia rappresentaval’unica via d’uscita dall’isolamento in cui si trovava. Poiché, tuttavia il fineprincipale di Mao sul piano internazionale rimaneva quello di “completare l’u-nificazione”, portando nella RPC Taiwan appunto e il Tibet (l’indipendenzadella Repubblica Popolare Mongola viene riconosciuta nel 1952 subito dopol’alleanza con l’Urss), questo fine sarebbe restato del tutto irraggiungibile, inmancanza di un alleato, tale da neutralizzare il senso di pericolo o la minacciache il leader cinese sentiva da parte dell’America. Inoltre, anche se l’interven-to cinese in Corea venne deciso dopo molte incertezze, in gran parte oggi co-nosciute, nell’ottobre, non c’è dubbio che Mao inclinasse in questa direzioneda quando, all’indomani dell’invasione della Corea del Sud in giugno, la flot-ta americana si era posizionata nello stretto di Taiwan. I due problemi (la Co-rea e Taiwan), in realtà erano diversi, ma per Mao fu l’iniziativa americana alegarli fra loro. Al di là di ogni altra considerazione, il problema di Taiwanspinse la RPC verso l’Urss in termini strategici, colmando tutte le divergenzeche rimanevano malgrado la fedeltà dei comunisti cinesi a Stalin e al modellobolscevico. Perciò la guerra di Corea contribuì a fissare la Cina accanto all’U-nione Sovietica, probabilmente facendo cadere le esitazioni di quella parte delPCC, che avrebbe voluto mantenere aperto uno spiraglio alla riconciliazionecon gli Stati Uniti e le potenze europee. Più in profondità però, anche in que-sto caso appare evidente la motivazione “nazionale”, che probabilmente val-se in modo decisivo a persuadere Mao ad allearsi con l’Urss e a lasciarsi con-vincere ad entrare nel conflitto scatenato dal regime di Pyongyang. Anche avoler ammettere, come alcuni autori ancora fanno, che la preoccupazione perla sicurezza del confine concorresse con la stessa intensità ad orientare la scel-ta di Pechino, non sembra dubbio a nostro avviso il prevalere di motivazioniin cui l’elemento ideologico non pesava meno di quelli tradizionali11. Il perio-

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11 Sui temi internazionali degli anni 1949-50, rimandiamo alle note di V. Ferretti, “Auto-nomia Diplomatica e Proiezioni Verso Il futuro Nella Politica Estera Cinese Alla Nascita Del-la RPC”, in A. Cadonna e F. Gatti (a cura di), Cina. Miti e Realtà, Cafoscarina, Venezia, 2001,pp. 233-350 e, dello stesso autore, Alcuni particolari sull’ingresso della Cina nella guerra di Co-rea, «Mondo Cinese», vol. 97, 1998, pp. 39-53.

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do di appiattimento della politica estera cinese rispetto all’Unione Sovieticapuò essere fatto verosimilmente cessare, quando la Cina venne invitata a par-tecipare alla Conferenza di Ginevra sull’Indocina nel 1954, dove, grazie alledifferenze di vedute fra la Francia e l’Inghilterra, da un lato, e gli Stati Unitidall’altro, Zhou Enlai riuscì a far valere la linea di Pechino. L’atto finale dellaconferenza come noto stabilì un confine armistiziale fra i due Vietnam e, la-sciando un certo spazio alla Francia, approvò una formula che si avvicinava aneutralizzare il Laos e la Cambogia. In questo modo Zhou riuscì ad evitare chela Cina andasse incontro a un’altra guerra come quella di Corea e nello stessotempo probabilmente ottenne che non si formasse uno stato indipendenteesteso a tutto il Vietnam lungo il confine meridionale. Inoltre riuscì a gettareun ponte con l’Inghilterra e la Francia, isolando gli Usa12. In questo modo laCina riassumeva di fatto il volto e le responsabilità di una grande potenza inAsia e gettava le premesse per normalizzare i suoi rapporti con i paesi occi-dentali. Poco prima della Conferenza di Ginevra, in un trattato con l’India cheriguardava i reciproci confini e il problema della sovranità sul Tibet, vennerodefinitivamente fissati e proclamati i cosiddetti 5 Principi sulla CoesistenzaPacifica, che, teoricamente mai rinnegati più tardi, ancor oggi costituiscono labase della dottrina ufficiale sul comportamento della RPC verso gli altri paesi,ovvero, “1° Mutuo Rispetto dell’Integrità Territoriale e dalla Sovranità; 2°Mutua Non-Aggressione; 3° Mutua Non-Ingerenza negli Affari Interni; 4°Eguaglianza e Mutui Vantaggi; 5° Coesistenza Pacifica”.

Su questi principi c’è da osservare in primo luogo che essi implicano unadottrina nuova in materia di politica estera, la quale accettava di mettere sulpiano della non aggressione e del rispetto delle frontiere, anche i rapporti coni paesi capitalisti, mentre rinunciava esplicitamente al principio di “esportarela rivoluzione”. Essa non coincideva con la teoria maoista, che invece avevaenfatizzato la lotta contro “l’imperialismo”, ma non rinnegava la solidarietàcon i popoli che lottavano contro la dominazione coloniale e una certa aper-tura verso le potenze europee diverse dagli Stati Uniti. In secondo luogo que-sta dottrina non si applicava già da allora ai territori, che la RPC rivendicavaalla sua sovranità e che quindi per essa risultavano “interni”, come Taiwan eil Tibet. Per di più è probabilmente lecito vedere qui una contrapposizione diindirizzi, sebbene ancor oggi sia molto difficile indicarne con certezza scienti-

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12 Su tutta questa materia, Zhai Qiang, China and the Geneva Conference of 1954, «TheChina Quarterly», n. 129, 1992, pp. 103-121. Oltre all’insuperabile F. Joyaux, La Chine et le Rè-glement du Premier Conflit d’Indochine (Genève 1954), Publications de Sorbonne, Paris, 1979.

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fica gli esatti contorni, all’interno della dirigenza cinese fra una corrente o ten-denza, che ne accentuava gli aspetti ideologici e il sostegno alle rivoluzioni an-ticoloniali in Asia e Africa, e un’altra che di fatto accettava i principi classicidell’inserimento nella società internazionale attraverso le regole della diplo-mazia, includendo il reciproco rispetto della sovranità e la non-ingerenza. Nona caso l’occasione della Conferenza di Ginevra permette di completare il rico-noscimento diplomatico fra la RPC e la Gran Bretagna, un processo avviato daLondra nel 1949, ma che ancora si trascinava fra svariate difficoltà. Un esitoamplificato dalla Conferenza di Bandong del 1955, alla quale l’Unione Sovie-tica non venne invitata e dove la Cina propose se stessa come portavoce deipaesi asiatici di nuova indipendenza13.

Negli anni seguenti le due anime della politica estera cinese continuanoad intrecciarsi. Nel 1954 i cinesi bombardano gli isolotti di Jinmen (Quemoy)e Mazu, occupati dai nazionalisti di Taiwan, ma non protetti dal trattato difen-sivo in essere fra Taipei e gli Stati Uniti14. Nel 1958, traendo spunto dalla cri-si irakena dello stesso anno, Pechino ripete i cannoneggiamenti e si profila unascontro militare anche con gli Stati Uniti15. Intanto le questioni internaziona-li si mescolano a problemi interni e tensioni ideologiche, che cominciano a in-crinare i rapporti con Mosca. Dopo la morte di Stalin nel 1953 e dopo la de-nuncia dei crimini di quest’ultimo all’ottavo Congresso del PCUS nel 1956, lafedeltà di Mao verso la Russia comincia ad appannarsi, mentre il leader cine-se inizia a studiare una strategia economica, che seguisse un modello diversoe più radicale rispetto a quello sovietico, fino a dare attuazione alle sue ideecol cosiddetto “Grande Balzo in Avanti” del 1958. In questo modo però, simette in contrasto con una parte dei dirigenti del Partito ed è portato, di con-seguenza, ad usare la politica estera come strumento di mobilitazione interna,rilanciando la linea della missione rivoluzionaria della Cina, sbandierando ilpericolo che la purezza ideologica del PCC venga contaminata dal burocrati-smo e dalla moderazione dei quadri e allontanandosi, nello stesso tempo dalprogramma seguito alle Conferenze di Ginevra e di Bandong. Sul piano pro-

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13 Sulla politica estera cinese del periodo maoista, v. un’opera che aggiorna le conoscen-ze secondo la più recente storiografia e i nuovi dati emersi dalle fonti cinesi, Chen Jian, Mao’sChina & the Cold War, The University of North Carolina Press, Chapel Hill & London, 2001.

14 R. Accinelli, Crisis And Committment. United States policy toward Taiwan, Universityof North Carolina Press, Chapel Hill, 1996.

15 Anche su questo punto, è da vedere almeno un saggio recente, T. J. Christensen, Use-ful Adversaries: Grand Strategy, Domestic Mobilisation, and Sino-American Conflict, 1947-1958,Princeton University Press, Princeton N. J., 1996.

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priamente militare questo discorso si sviluppa contemporaneamente ad un ac-ceso dibattito sul problema di dotare il paese di armamenti nucleari. Il Presi-dente ritiene che ciò sia positivo e permetta di garantire la sicurezza naziona-le, senza trasformare l’Armata Popolare di Liberazione in un esercito di tipotradizionale e riducendo la dipendenza dall’Urss. Una consistente ala di altiufficiali e funzionari del partito, invece, confidano ancora nell’alleanza con laRussia per la sicurezza del paese, ritengono poco utile lo sviluppo dell’arma-mento nucleare, tendono a professionalizzare le forze armate e ad alleggerirela funzione dei Commissari Politici al loro interno, spesso giudicano negativa-mente le tendenze di Mao in materia economica. Negli stessi anni inoltre, losviluppo dell’armamento nucleare in Unione Sovietica, modifica probabil-mente la funzione dell’alleanza con la Cina agli occhi dei Sovietici, posto cherisulta meno importante per la sicurezza di Mosca la garanzia che l’alleanzacon Pechino offriva alla loro lunga frontiera orientale, e che ora poteva esserecomunque garantita con i missili intercontinentali a testata nucleare16. Inoltrel’Urss mira in questo periodo ad avvicinarsi all’India.

Gli esiti di tutta questa situazione si vedono fra il 1958 e il 1962. Nel 1959,con la purga seguita al plenum di Lushan, la corrente contraria alla strategiadel “Balzo” e allo stesso tempo più legata all’alleanza con la Russia viene de-capitata dei suoi leader e, in una serie di conferenze successive, la strategia ri-voluzionaria di Mao viene ribadita rispetto a quella di Ginevra e di Bandong.Al Congresso dei Partiti Comunisti di Mosca del 1957, Mao prende posizio-ne contro la dottrina della “coesistenza pacifica” con gli Stati Uniti e gli altripaesi occidentali. Fra il 1958 e il 1962, in relazione a questi eventi e alle dispu-te confinarie con l’India, con l’aggiunta di altri problemi particolari, matura lacosiddetta “rottura cino-sovietica”, segnata dalla parte di Mosca dal ritiro deitecnici inviati in Cina e dalla denuncia del trattato del 1958 in materia di ap-provvigionamento nucleare17. Si delinea a questo punto uno scenario, che permancanza di fonti, solo approssimativamente è stato finora ricostruito daglistorici e da alcuni politologi. Alla Conferenza di Ginevra sul Laos del 1960-62,la Cina ottiene un successo che conferma quello della conferenza di Ginevradel 1954, perché la guerra in atto fra i principi laotiani viene risolta senza in-

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16 Sendoka Junko, Furuschofu uno Senryaku Shiso- sono Kakuritsu Katei to Chugoku (Ilpensiero strategico di Khrushev- il suo processo di completamento e la Cina), «Kokusai Seiji»,vol. 95, 1990, pp. 63-78, pp. 79-94, specialmente pp. 86-90.

17 Sullo sviluppo delle relazioni cino-sovietiche dall’alleanza del 1950 alla rottura del 1960,cfr. i diversi saggi in O. A Westad (ed.), Brothers in Arma, The Rise and Fall of the Sino-SovietAlliance, 1945-1963, Stanford, California, Stanford Univ. Press, 1998.

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tervento straniero e il Laos consegue uno status internazionale particolarmen-te vicino a quello voluto dalla Cina. Questo risultato è in larga misura il frut-to dell’atteggiamento di potenze come la Francia, la Gran Bretagna e l’India,mentre svuota certe clausole del Trattato di Manila del 1954, che aveva datoorigine alla Seato (South East Asia Treaty Organization), contro cui la RPC ave-va protestato dichiarandole in Contrasto con l’Atto Finale della Conferenza diGinevra sull’Indocina del 1954. Nello stesso tempo però, il fatto che gli StatiUniti rinuncino ad intervenire militarmente nel Laos e accettino questa solu-zione, crea una situazione nella quale, la RPC si profila come un fattore, checontribuisce a determinare, insieme all’Urss e all’America, l’assetto del Sud-Est asiatico. Per la prima volta l’equilibrio di potenza in Asia Orientale assu-me una configurazione triangolare18. Quest’ultima, per quanto riguarda laRPC, trova il suo fondamento in due elementi, il cui intreccio dal punto di vi-sta del decision making risulta ancora notevolmente oscuro. Pechino infatti te-saurizza la sua autonomia dall’Urss, rispetto alla quale ha posizioni più radi-cali nel quadro della Guerra Fredda, ma nello stesso tempo, come già si è det-to, approfitta delle fessure esistenti all’interno dell’alleanza occidentale. Èproprio da questa vicenda che scaturirà qualche anno dopo nel 1964, il rico-noscimento diplomatico che Mao scambia con la Francia di De Gaulle, utiliz-zando una formula giuridica e un modello di azione, che in seguito sarà più omeno seguito da tutte la altre potenze occidentali sulla questione di Taiwan19.

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18 Cfr. la geniale opera di G. Segal, The Great Power Triangle, Macmillan, London, 1982.19 Col comunicato ufficiale del 27 gennaio 1964 i due governi di Parigi e di Pechino sem-

plicemente ufficializzarono la decisione di allacciare relazioni diplomatiche e di procedere en-tro tre mesi alla designazione di ambasciatori. Una dichiarazione unilaterale del governo di Pe-chino del giorno seguente affermava che esso era il solo “rappresentante legale” del popolo ci-nese, mentre sarebbe stato “assolutamente inaccettabile” qualsiasi tentativo di “separare For-mosa dalla Cina” ovvero di “creare due Cine”. De Gaulle comunicando al governo di Taipei inanticipo la decisione di provvedere al riconoscimento e allo scambio di ambasciatori, provocòla rottura delle relazioni diplomatiche da parte di Taiwan, anche se formalmente un impegnoin questo senso non era stato preso durante le trattative precedenti. Zhou Enlai aveva chiestoun “accordo tacito” all’inviato del Presidente francese, Edgar Faure, nel senso che la Franciaavrebbe dovuto riconoscere l’unità della Cina, votare per l’ammissione della RPC all’ONU (com-presa l’ammissione al Consiglio di Sicurezza) e rompere le relazioni diplomatiche con Formo-sa. Faure aveva firmato un memorandum, ma solo ad referendum, lasciando la decisione a fina-le a de Gaulle. La linea del governo di Parigi era che la Cina era una sola nel senso legale deltermine e che su di essa esercitava la sovranità il governo di Pechino. Tutto questo non impli-cava prendere posizione sull’appartenenza territoriale di Taiwan visto che il trattato di SanFrancisco del 1951 semplicemente aveva stabilito la rinuncia all’isola da parte del Giappone,mentre nessuna fonte di diritto internazionale (non essendo tale la dichiarazione del Cairo del

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Nella seconda metà degli anni Cinquanta anche i rapporti col Giappone, ri-masti sospesi dopo che Tokyo aveva accettato di riconoscere il regime diTaiwan, migliorano grazie a intese particolari sul piano economico. Il ricono-scimento francese inoltre facilita quello proveniente da vari paesi africani fran-cofoni e incoraggia altri paesi occidentali, come l’Italia e il Canada, che conti-nuavano a considerare legittimo governo cinese la ROC soltanto per rispettoverso la posizione degli Stati Uniti, a riesaminare gradualmente la loro posi-zione. Negli anni dal 1965 in poi, con l’inizio della cosiddetta Seconda Guer-ra d’Indocina, nel corso della quale Pechino offre aiuti e sostegno materiale alVietnam del Nord, viene però a prendere forma una situazione nella quale dueipotesi di conflitto lentamente si rafforzano, una sul confine meridionale del-la Cina e una su quello settentrionale, dove nel quadro della controversia conl’Urss si aprono varie dispute confinarie e vengono rimessi in discussione, piùche altro con finalità propagandistiche, i trattati conclusi nella seconda metàdell’800 con l’impero zarista. Negli anni della Rivoluzione Culturale dal 1966al 1969, l’attenzione degli uomini politici e dell’esercito cinesi è completamen-te assorbito dalle convulsioni interne ed è soltanto nel 1969 che il partito vie-ne ricostituito. Ciò crea lo scenario del rovesciamento che si attua nei tre an-ni seguenti e porta alla svolta “rivoluzionaria” della normalizzazione con gliStati Uniti. Senza neanche cercare di descrivere i particolari di questo passag-gio, basterà ricordarne alcune traiettorie fondamentali, anche considerandoche non tutti retroscena dalla politica estera cinese di allora sono a noi ogginoti nei particolari. Con il IX° Congresso del Partito Comunista Cinese, Maoribadisce la sua approvazione dei principi della Rivoluzione Culturale, ma ilPartito riprende il suo normale funzionamento. Al suo interno, tre correnti,che corrispondono all’APL (Armata popolare di Liberazione), ai radicali in-transigenti e alla correnti moderate attaccate nel corso della Rivoluzione Cul-turale (il cui leader più autorevole è il primo Ministro Zhou Enlai), si fronteg-giano. In questa condizione Mao Zedong, che riveste dal 1956 unicamente lacarica di Presidente del Partito, è portato ancora una volta a giocare la cartadella politica estera e delle minacce alla sicurezza nazionale per raccogliere in-torno a sé la pubblica opinione e riaffermare il suo ruolo carismatico. Nello

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1943) aveva ancora sancito lo status dell’isola. Si trattava, come affermò il Ministro degli esteriCouve de Murville, di due questioni in attesa del loro regolamento sul piano delle norme inter-nazionali. Solo nel 1994 la Francia riconobbe che Taiwan è parte integrante del territorio cine-se. Per maggiori dettagli cfr. Thi Migh-Hoang Ngo, De Gaulle Et L’Unité De La Chine, «Revued’histoire diplomatique», 1998, n. 4, pp. 391-412.

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stesso tempo tuttavia, a partire dal mese di marzo, in modo molto riservato ungruppo di quattro Marescialli, diretto dall’ex-ministro degli esteri Chen Yi vie-ne incaricato di studiare, senza lasciarsi condizionare dalle dichiarazioni uffi-ciali, la situazione internazionale, dove la minaccia americana e quella sovieti-ca si sommano. Mentre il lavoro dei quattro prosegue, si verificano fra il mar-zo e l’agosto del 1969, gravi incidenti che assumono la forma di scontri fraeserciti lungo la frontiera cino-sovietica sul corso del fiume Ussurri e al confi-ne fra la Repubblica Popolare Mongola e la regione del Xinjiang. La stampainternazionale e i circoli della diplomazia intravedono la possibilità che taliepisodi portino ad una rappresaglia nucleare da parte sovietica, che nella se-conda metà dell’anno spinge la maggior parte del governo cinese ad evacuarePechino. La questione viene sdrammatizzata con strumenti diplomatici entrola fine dell’anno, ma nel frattempo si notano alcune iniziative americane voltea instaurare un contatto col governo cinese, mentre all’interno del gruppo deiQuattro Marescialli viene elaborata l’idea di sviluppare ad un livello impor-tante la ripresa dei rapporti con gli Stati Uniti e di giocare le due superpoten-ze l’una contro l’altra20.

Nel corso dell’anno successivo avviene lo sbalorditivo rovesciamento del-la “diplomazia del ping-pong”, segnata dall’invito in Cina della squadra spor-tiva americana e poi dal viaggio segreto del Segretario di Stato Kissinger nel-la capitale cinese, a cui segue il riconoscimento da parte della Nazioni Uniteche il seggio cinese presso l’Organizzazione e nel Consiglio di Sicurezza spet-tava alla RPC. La questione si era evoluta negli anni precedenti, quando, usan-do una formula forse ispirata a quella del riannodo delle relazioni diplomati-che con la Francia, nel 1970 il Canada e nel 1971 l’Italia avevano riconosciu-to la RPC come unico governo legittimo della Cina interrompendo le relazio-ni formali con Taiwan. Nel 1971 gli Stati Uniti, rinunciando a fare uso del co-siddetto diritto di veto, lasciano che Pechino venga anche ammessa all’Onu eche Taiwan ne esca. Nei mesi successivi nell’ottobre un secondo viaggio di Kis-singer permise di trattare problemi di interesse strategico comune relativi aiproblemi del Vietnam, di Taiwan e della rivalità fra Cina e India, in merito al-le quali il Segretario di Stato americano mostrò un atteggiamento favorevole

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20 Cfr. due saggi recenti, Chen Jian & D. L. Wilson (a cura di), “New Evidence on Sino-So-viet Rapprochement. “All Under the Heaven Is Great Chaos”. Beijing, the Sino-Soviet Border Cla-shes, and the Turn Toward Sino-American Rapprochement, 1968-69”, «Cold War InternationalHistory Project Bulletin», n. 11, 1998, pp. 155-75 e, L. J. Goldstein, Return to Zhenbao island:Who Started Shooting and Why it Matters, «The China Quarterly», December, n. 168, 2001, pp.985-97.

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alla Cina. Nel febbraio il Presidente degli Stati Uniti Richard Nixon venne invisita ufficiale a Pechino. In quest’occasione, il cui significato fu largamentesimbolico e non furono conclusi accordi formali, fu emesso un comunicato il28 febbraio 1972, con il quale le due potenze dichiaravano di non cercare l’e-gemonia nell’area del Pacifico e si opponevano a qualunque altra potenzaavesse aspirazioni di tal genere. Washington riconosceva l’unità della Cina, maesprimeva il desiderio che il problema della riunificazione venisse risolto pa-cificamente. Questa dichiarazione fu seguita dall’apertura di uffici nelle duecapitali che si occupassero dei rapporti reciproci, ma per giungere allo stabi-limento di normali relazioni diplomatiche, si dovette giungere al Comunicatodi Shanghai del 15 febbraio 1978, che tecnicamente rappresenta uno svilup-po del primo, ma si colloca in un quadro completamente diverso21. Il primocomunicato in nessun modo era stato sentito da Mao come una sconfitta o unacapitolazione, ma piuttosto come un successo dato che era stato il Capo dellamaggior potenza capitalista del mondo ad essere venuto a Pechino, ammet-tendo implicitamente l’importanza della Cina, un valore al centro dell’atten-zione del vecchio leader rivoluzionario dai tempi lontani della giovinezza. Inteoria perciò i principi ispiratori della politica estera cinese non erano cambia-ti. Nello stesso tempo però, la normalizzazione con gli Stati Uniti seguiva dipochi mesi il misterioso episodio della morte di Lin Biao, erede designato diMao e uno dei capofila delle tendenze più resistenti nel PCC verso una lineadi compromesso verso gli avversari storici del comunismo cinese. Negli annia partire dal 1973, le tendenze “neomaoiste” subiscono una graduale perditadi influenza, che culmina, dopo la morte del Grande Timoniere, con l’arrestodella “Banda dei Quattro” nell’autunno del 1976. Intanto nel 1972 stesso, su-bito dopo il viaggio di Nixon a Pechino, si reca nella capitale della RPC il nuo-vo Primo Ministro giapponese Tanaka Kakuei, con la visita del quale vengo-no ristabilite le relazioni diplomatiche fra Tokyo e Pechino e rotte quelle conTaipei, superando il livello stesso della “normalizzazione” con gli Usa. Anche

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21 Sulla normalizzazione cino-americana e i suoi precedenti, per la parte cinese, l’operamigliore resta quella di Chen Jian citata passim. Per la parte americana esistono molte validemonografie. Cfr. per esempio, B. Tucker, China Confidential. American diplomats and Sino-American Relations, Columbia Univ. Press, 2001; R. Foot, The Practice of Power: US relationswith China since 1949, Clarendon Press, Oxford, 1995; R. Ross and Jiang Changbin, (eds), Re-examining the Cold War. U.S.-China Diplomacy, 1954-1973, Harvard Univ. Press, CambrigeMass., 2001. A questa va aggiunta la memorialistica e la documentazione originale pubblicatanella collezione dei Foreign Relations of the United States, Government Printing Office, Wa-shington D.C., per la quale rimandiamo appunto alla letteratura sopra ricordata.

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dopo questa visita inizia l’itinerario che porterà al trattato di amicizia del 1978fra i due paesi, il quale conferma la dichiarazione congiunta effettuata già almomento della visita di Tanaka nel 1972, contro l’egemonia di terze potenze,le quali tuttavia non vengono menzionate. Nella politica estera cinese l’allinea-mento diplomatico con gli Stati Uniti e il Giappone, entrambi paesi capitali-sti, ha oramai preso il posto dell’alleanza fra paesi socialisti, quando ancora laGuerra Fredda non si è conclusa. In sostanza un itinerario pare essersi com-pletato. Dopo la Conferenza di Ginevra sul Laos, Pechino si era posta, nelquadro della prima spaccatura rispetto all’Urss, in una posizione neutra rispet-to alle due superpotenze, sottraendosi così al rapporto di protezione con Mo-sca degli anni precedenti. Tra il 1972 e il 1978 essa stabilisce un asse con Tokyoe Washington, che, senza essere un’alleanza vera e propria, completa l’auto-nomia della sua posizione internazionale in funzione anti-sovietica e gioca suldesiderio di alleati da parte occidentale. La RPC però non rinuncia alla suaideologia. Nel 1974 nell’ambito delle Nazioni Unite, aderisce ad un documen-to, che richiede un miglior trattamento per i paesi produttori di materie pri-me e regole più favorevoli per questi ultimi in materia di commercio interna-zionale.

Un importante fattore di continuità va comunque preso in considerazio-ne. In ultima analisi la “normalizzazione” con gli Stati Uniti sviluppa essen-zialmente le potenzialità dell’equilibrio triangolare che si era formato all’epo-ca della crisi laotiana nel 1962. Come allora è basandosi su fattori essenzial-mente diplomatici, non sul peso delle sue esigue risorse economiche o milita-ri22, che la Cina conduce la sua strategia, anche se diventa più disinvolta ed at-tiva la tendenza a giocare sui meccanismi internazionali della politica di po-tenza.

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22 Vedi le osservazioni di Wu Baiyi, The Chinese Security Concept and its Historical Evolution,«Journal of Contemporary China», vol. 27, n. 10, 2001, pp. 275-283, specialmente pp. 276-77.

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Più di un sondaggio d’opinione effettuato nella RPC recentemente ha indi-cato che in Cina è diffuso il punto di vista per il quale, oltre che dai rapporti coni paesi vicini o con potenze straniere quali gli Stati Uniti oppure il Giappone, lasicurezza dipenda dalle condizioni interne. In effetti una vasta letteratura ha os-servato che, con la fine del periodo maoista, il progressivo passaggio dalle istitu-zioni socialiste al mercato, se da un lato ha determinato una crescita molto pro-nunciata dei tassi del Prodotto Nazionale Lordo, dall’altro ha anche causato mu-tamenti profondi, accentuati dalla progressiva integrazione nell’economia inter-nazionale, producendo gravi instabilità nel sistema sociale e sotto certi punti divista riducendo anche la legittimità del Partito Comunista. I cambiamenti dell’e-conomia cinese hanno anche modificato la struttura della bilancia dei pagamen-ti e reso lo sviluppo economico del paese bisognoso di importazioni dall’esteroe approvvigionamenti energetici, ponendo fine alla virtuale autosufficienza pre-cedente. In questo modo le relazioni economiche internazionali hanno comin-ciato a diventare un fattore molto più condizionante anche rispetto alle scelte po-litiche e alle decisioni strategiche. Le riforme introdotte a partire dal 1978 intro-ducono una crescente liberalizzazione sia nel campo dell’agricoltura che nell’in-dustria. Nell’ambito della prima la terra viene affidata alle famiglie contadine,inizialmente per un periodo massimo di quindici anni; nel 1982 le Comuni delperiodo maoista sono abolite, il surplus diventa vendibile a prezzi non pianifica-ti, le imprese rurali ricevono via via una crescente autonomia gestionale, le tassediminuiscono. Nell’ambito industriale viene aumentata l’autonomia operativadelle aziende di Stato (SOE), che acquistano autonomia e libertà, le quali si esten-dono alla gestione dei profitti, agli investimenti e, in parte, ai salari. Negli anniseguenti vengono create le cosiddette zone economiche speciali1, inizialmente

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Parte seconda

Radici Interne e Premesse della PoliticaEstera Cinese dopo il Periodo Maoista

1 B. Yang, Deng A Political Biography. With a Foreword by Ross Terrill, M. E. Sharpe, NewYork, 1998, pp. 223-224.

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quattro, che godono di una legislazione particolare, la quale agevola le impre-se sotto il profilo fiscale e per quel che riguarda gli investimenti esteri. Gra-dualmente il regime di controllo sulle imprese da parte dello stato, per quelche riguarda tariffe e autorizzazioni, viene anche alleggerito. Col progressivoampliarsi della liberalizzazione economica, che culmina con l’adesione alWTO, l’11 dicembre del 2001, vengono ottenuti almeno tre risultati positivi:fra il 1980 e il 2000 l’economia cresce cinque volte, il PIL consolida un tassodi crescita medio al di sopra del 8% annuo, circa duecento milioni di perso-ne escono dalla cosiddetta soglia della povertà. Viene inoltre evitata una crisidel tipo che colpisce l’Unione Sovietica negli anni ’90 dopo la fine del regimecomunista. È proprio però il risvolto negativo di questi eventi a condizionare,e in prospettiva a mettere in pericolo, la struttura interna del paese. Per quelche riguarda le SOE, queste rappresentavano la spina dorsale del sistema eco-nomico del periodo precedente. Strettamente legate al regime, poiché spessoi dirigenti sono anche figure di spicco del partito, si giovavano di sussidi sta-tali e lavoravano in un sistema privo di concorrenza. I lavoratori dipendentigodevano di un impiego a vita arricchito da alloggio, assistenza sanitaria e al-tri servizi sociali. Con le riforme sopra indicate2, esse hanno dovuto affronta-re una concorrenza interna e internazionale, che col tempo diventa sempre piùaspra, con la conseguenza che i passivi di bilancio e di indebitamento sono cre-sciuti gravemente fino al 700%, circa dieci volte quello medio di un’impresamanifatturiera privata. Il sistema di finanziamento di queste imprese è statomodificato da una riforma introdotta nel 1998, la quale lo ha demandato allebanche. Poiché, malgrado le difficoltà in cui incorrono, esse possono falliresolo per un provvedimento pubblico, le SOE tuttavia continuano ad assorbi-re una percentuale di credito molto alta, sottraendo risorse al settore privato.Un ulteriore conseguenza è che le sofferenze bancarie raggiungono un livellofra i più alti del mondo (tra il 27 e il 37% del credito complessivo). Qui si an-nidano altri due gravissimi rischi, ovvero che le banche cinesi non siano in gra-do di reggere la concorrenza dopo che le banche straniere saranno entrate inCina nel quadro del WTO e che possano trovarsi esposte a massicce richiestedi rimborsi da parte di correntisti se il sistema entrasse in difficoltà. Qualchescrittore occidentale ha ironicamente considerato l’ipotesi che prima o poi l’e-sercito potrebbe essere chiamato a intervenire contro manifestanti o ribelli, i

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2 Cfr. L. J. Brahm, Zhu Ronji and the Transformation of Modern China, Wiley Eastern, Sin-gapore, 2000, che si concentra sul Primo Ministro che probabilmente è stato il più attento allequestioni economiche dopo la morte di Deng Xiaoping.

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quali semplicemente sarebbero comuni cittadini che richiedono di ritirare i lo-ro depositi da banche incapaci di restituirli. Con l’andar del tempo, come èprevedibile, questa situazione inoltre potrebbe anche gradualmente assotti-gliare l’offerta di moneta creditizia ed esporre il mercato cinese ad un rialzogeneralizzato dei tassi d’interesse, con effetti immaginabili3. Inoltre il proget-to più volte enunciato dal governo, di restringere lo spazio occupato dalle SOEnell’economia, si è urtato contro la necessità di ridurre personale, che a suavolta suona inaccettabile in un paese dove in teoria i principi del socialismonon sono stati rinnegati. Anche sul piano tecnologico queste imprese sono ingenere arretrate, ma i tentativi di aggiornarle si sono rivelati insufficienti o so-no falliti. Il problema in esame si ripercuote sulla stabilità sociale in vari mo-di. In Cina il sistema dei sussidi di disoccupazione funziona male. Nel perio-do maoista si riteneva che la disoccupazione in un paese socialista non esistes-se. In seguito con una riforma generale introdotta nel 19984 esso è stato rifor-mato radicalmente attribuendone la gestione allo stato e sottraendola alleSOE, dopo vari altri tentativi di legiferare, ma i fondi disponibili sono scarsi.Il problema dei disoccupati interessa, a seconda delle stime circa il 20% del-la popolazione. Alla graduale, per quanto controllata, chiusura di SOE, vienespesso cercato rimedio assegnando chi ha perso il lavoro ad attività inutili opletoriche. Talvolta, come avvenne in un caso particolarmente grave nel 2000nel Liaoning, dopo la chiusura di certe attività minerarie, si verificano vere eproprie sommosse che richiedono l’intervento della forza pubblica. Ciò con-tribuisce ad alimentare una distanza preoccupante fra le regioni più innerva-te dal sistema di mercato e quelle tradizionali. Il problema della disoccupazio-ne è più grave nella Cina del Nord e in quella centrale, rispetto a quella delSud5. Le SOE contribuiscono inoltre ad asciugare le finanze pubbliche, anchese gli effetti perversi sul cambio sono attenuati dalla non convertibilità delloYuan. Intanto tutto questo discorso rende acuto il problema della previdenza

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3 Cfr. Lou Jianbo, China’s Troubled Bank Loans: Workout and Preventiom, Kluwer LawInternational, Cambridge 2001; Guo Yong, Banking reforms and monetary politicy in the Peo-ple Republic of China. Is the Chinese central banking system ready for joining the WTO?, Pal-grave, London, 2002; J. Laurenceson, C. H. Chai, Financial reform and economic developmentin China, Edward Elgar Publisher, Northampton, 2003.

4 Sui problemi del mondo contadino, cfr., per esempio, Chen Xiwen, Problems of Agrical-ture. Peasants and Village in the New Stage of Development, Research Report of the State Coun-cil Research Center, Beijing 2001.

5 Sul problema occupazionale cfr., anche ad esempio, Lee Ming-kwan, Chinese Occupa-tional Welfare in Market Transition, Macmillan, London, 2000.

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sociale6. Nel periodo propriamente comunista, il sistema garantiva a circa il15% della popolazione i servizi sociali della scolarità, dell’assistenza medica edal trattamento pensionistico gratuito. In linea di principio si trattava dei di-pendenti dell’amministrazione statale e di una parte dei quadri e dei lavorato-ri dell’industria. Anche a parte i principi del socialismo, questo sistema assi-curava ad un paese ancora in via di sviluppo come la Cina, la necessaria effi-cienza di categorie di lavoratori indispensabili all’ordinato andamento dellavita collettiva. Il resto della popolazione, in prevalenza rurale, si dava per ac-quisito che provvedesse ai suoi bisogni con strumenti tradizionali, quali la so-lidarietà familiare o il risparmio, salvo il fatto di rivolgersi all’unità ammini-strativa cui apparteneva, la quale nei limiti delle sue possibilità, non raramen-te infime specialmente nelle zone più arretrate, si supponeva che intervenisse.Con la trasformazione sopra indicata, la tendenza a smobilitare l’industria distato portò come conseguenza la tendenza a ridurre lo spessore delle fasce so-ciali protette, la quali, nel quadro dell’ideologia socialista, considerano un di-ritto i benefici che stanno rischiando di perdere. Inoltre la diffusione di unitàproduttive private porta come conseguenza che i nuovi tipi di lavoratori man-cano di copertura, mentre la diminuzione del gettito fiscale e le minori entra-te dell’amministrazione pubblica fanno sì che anche le unità amministrativealle quali i lavoratori appartengono spesso non hanno i mezzi per provvedereai loro bisogni. In Cina d’altra parte, manca un sistema assicurativo privatoevoluto e questo porta come conseguenza da un lato un senso crescente di di-stanza fra le categorie sociali, dall’altro un’inquietudine differenziata a secon-da delle diverse regioni. Con il nuovo sistema la vecchia struttura si è decom-posta, mentre si è accentuato il senso di disuguaglianza e di disagio dei più po-veri. Inoltre all’interno della famiglia contadina, la funzione imprenditorialericade oramai totalmente sul capo-famiglia, che, con sistemi tradizionali, prov-vede a compensare gli altri lavoratori. Questi ultimi percepiscono di non di-sporre di un criterio di remunerazione fondato sull’accertamento dei loro di-ritti. Particolarmente penalizzata risulta la condizione della donna, la quale èvenuta a ricadere in alcune delle tipiche forme di inferiorità che apparteneva-no all’antica famiglia cinese e ha perso la tutela dei meccanismi egualizzanti,come il calcolo dei punti-lavoro, che esistevano nella Cina di Mao. Inoltre l’av-

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6 Sull’argomento cominciano ad esserci vari buoni saggi, come H. Thelle, Better To RelyOn Ourselves. Changing Social Rights in Urban China since 1979, Nias Press, Copenhagen,2004, oppure, n. W. S. Chow, Socialist Welfare with Chinese Characteristics: the Reform of theSocial security System in China, University of Homg Kong Press, Hong Kong, 2000.

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vento dell’economia di mercato, di una concorrenza interna ed estera più ac-centuata e, infine, l’introduzione delle regole del WTO, hanno condizionato lecampagne cinesi. Le migrazioni dei contadini verso le città, anche contro le di-sposizioni dell’autorità pubblica, sono state una tendenza che più o meno in-termittentemente ha accompagnato tutto il secondo dopoguerra, ma il feno-meno è ripreso in modo preoccupante dopo l’inizio del nuovo corso econo-mico, accentuando il fatto che i migranti in ogni caso continuano ad apparte-nere alla fascia più precaria della popolazione nel senso salariale e previden-ziale sopra riassunto. Inoltre la Cina stessa ha scoperto che in certi casi l’im-portazione di derrate agricole da altri paesi, tipicamente nel caso del riso au-straliano, può essere conveniente perché a costi meno alti di quelli nazionali,introducendo un altro motivo a cui si deve se milioni di contadini hanno per-duto il loro lavoro e si sono riversati sulle città. Dal 1993 a oggi si sono verifi-cati numerosi disordini nelle campagne, ai quali si sono sommate una grandequantità di proteste legali, dove sfocia il malcontento contro le amministrazio-ni locali, che conservano una certa discrezionalità anche in materia di imposi-zione fiscale, mentre vengono spesso accusate di inefficienza e di corruzione.Temi di lotta politica a livello locale, come le ripetute confische di terre, rite-nute arbitrarie dalla popolazione, oppure l’eccessivo numero dei burocrati,imputati di insensibilità verso i bisogni popolari, diventano una ragione am-plificata di malcontento nella situazione che l’economia e la società stanno at-traversando in questo momento.Va ricordato che l’indebolimento dei sistemidi protezione sociale tipici dei paesi socialisti inoltre ha toccato anche ceti ti-picamente urbani, come studenti universitari e intellettuali, i quali, a parte ilproblema della libertà di stampa e di espressione, hanno talvolta visto peggio-rare la loro condizione materiale dopo le riforme di Deng Xiaoping, un fatto-re che ha inciso in qualche misura sullo sfondo dei disordini studenteschi del1986 e del 1989. Infine la trasformazione economica ha modificato l’uso e ladisponibilità di risorse naturali e materie prime, sicché ad esempio il regimedelle acque comincia a presentare nuovi e gravi problemi di scarsità.

L’insieme degli sviluppi sopra tratteggiati può naturalmente essere vistocome il punto debole della modernizzazione della società cinese, reso più pro-blematico da difficoltà squisitamente moderne come la diffusione di malattiequali la SARS e l’AIDS, che ha mostrato, o per meglio dire confermato, l’ina-deguatezza del sistema sanitario e delle sue risorse in questo tornante storico.Tuttavia, ai fini della nostra ricerca, che si occupa soprattutto della sicurezza,va considerato che ad essere crescentemente messe in discussione sono stati apartire dagli ultimi due decenni del XX° secolo, la funzione e la legittimità del

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Partito Comunista. L’ideologia pragmatica, che si può attribuire a Deng Xiao-ping, il leader storico che ha legato il suo nome all’epoca seguita alla morte diMao, può essere probabilmente riassunta in tre formule, le quali indicavanocome obiettivi finali del regime l’Unificazione Nazionale e il procurare ai ci-nesi una “vita decente”, oltre al fatto che il pensiero di Mao Zedong non fuformalmente rinnegato, ma dichiarato, in una percentuale del “70%”, pursempre valido7. In pratica il secondo obiettivo è stato alla base delle riformeeconomiche che sopra abbiamo trattato e di cui sono stati menzionati i pro ei contro. La fedeltà al pensiero di Mao, quando fu confermata, aveva soprat-tutto la funzione di tranquillizzare gli ideologi del partito e in effetti, a più ri-prese liberali e conservatori si sono fronteggiati intorno al modo di interpre-tare questo principio, il quale allo stato attuale delle cose, deve essere vistosempre di più come un omaggio esteriore. Il PCC, che secondo lo statuto ori-ginario rappresentava l’“avanguardia della classe operaia” nel senso marxista-leninista del termine, al XVI° Congresso del 2002 ha visto esprimere la sua fun-zione da parte del presidente Jiang Zemin, attraverso la nota formula delle “trerappresentanze”, la quale vuole che esso mantenga come ideale primario larealizzazione del Comunismo, rappresentando però non soltanto il proletaria-to, ma anche la cultura avanzata, gli ampi interessi del paese e le forze produt-tive moderne. Alla lettera ciò non è in assoluto contrasto col pensiero di Mao,il quale diceva che il popolo cinese comprende tutti coloro i quali sono dispo-sti a collaborare col Partito, anche se non sono proletari o comunisti, e quin-di includeva in esso la “borghesia nazionale” per esempio. Nel contesto delletrasformazioni portate dalle riforme di Deng e dei suoi successori, tuttavia, sista perdendo oramai completamente il senso della funzione rivoluzionaria delPCC. Esso rimane il partito tecnicamente dominante nel senso leninista deltermine e per l’autorità che si arroga nel reggimento dello stato. Di fatto mol-te delle sue funzioni sono in decadenza, prima fra tutte nella sfera economica,dove le stesse riforme introdotte hanno eliminato la cultura politica come re-quisito per la preparazione dei funzionari e si sta rigogliosamente sviluppan-do un’imprenditoria privata che rappresenta il settore trainante dell’economiacinese, ma non obbedisce alla pianificazione socialista. Anche il controllo sul-l’informazione si è andato attenuando, dopo svariate ondate di interventi dinatura opposta, l’ultimo riflusso delle quali fu indotto dalla Crisi di Tien An-men del 1989. Materialmente c’è da notare che, a parte tutto, la stessa adesio-ne al WTO da parte della Cina porta come conseguenza un insieme di contat-

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7 B. Yang, Deng. A Political, cit., pp. 213, 216.

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ti con il resto del mondo, che facilitano e completano l’introduzione di inter-net in Cina, i quali anche in termini strettamente materiali renderebbero dif-ficile applicare un controllo dell’informazione del tipo del periodo maoista.Sebbene le misure di oscuramento dei siti in Cina abbiano avuto un’estensio-ne molto maggiore che nei paesi occidentali, esse stanno diventando anacro-nistiche e si sommano al fatto che il regime stesso vada adattandosi molto gra-dualmente alle aspettative di una parte della società, la quale più o meno espli-citamente si aspetta una libertà di espressione modellata sui paesi sviluppatidell’Europa e sugli Stati Uniti. In queste condizioni, delle tre formule care aDeng, quella che oggi mantiene invece tutta la sua importanza risulta la pri-ma. Nel 1949 gran parte della classe media e della borghesia cinese accettaro-no il regime di Mao, perché, oltre a riconoscere ai comunisti una dirittura mo-rale superiore ai loro avversari, li accreditava di un grande successo storico,quello di aver per la prima volta eliminato tutti i lasciti dell’ingerenza delle po-tenze straniere e di aver ricostituito la sovrana unità del paese. “Completarel’Unificazione”, ovvero riportare alla Cina il Tibet, (rioccupato fra il 1950 e il1959), Taiwan, ove ancora c’è un governo indipendentista, Hong Kong (resti-tuita dalla Gran Bretagna nel 1997) etc., significava concludere la realizzazio-ne di tal fine, che si associa all’idea, molto forte tra i media, di restituire allaCina il ruolo che le spetta, per l’importanza del suo passato storico, ottenen-do il giusto rispetto da parte degli altri stati. Negli ultimi anni si assiste ad unaforte rinascita di sentimento “nazionale”, accompagnato dalla ripresa di valo-ri della non più rinnegata tradizione confuciana, i quali pongono questo retro-terra intellettuale e psicologico fra i fattori più motivanti nella pubblica opi-nione, mentre talvolta si arriva al punto di rimettere in discussione persino ilmarxismo8. Difendere l’unità nazionale contro le pretese delle minoranze et-niche ad esempio, fra le quali si cominciano ad annidare i germi del fondamen-talismo e del terrorismo islamico, è uno dei punti su cui il Partito stesso ap-poggia la sua autorità oggi, così come la tutela, difesa dalla Cina con un rigo-re particolare, della sovranità nazionale in tutti i suoi aspetti secondo i princi-pi del diritto internazionale classico. Uno dei pericoli che molti osservatori ve-dono nella situazione economica che abbiamo descritto è quello del separati-smo e delle tendenze all’autonomia regionale, che vengono alimentate dalladiversità nelle condizioni fra le varie regioni e negli impulsi opposti che com-paiono, accelerando la transizione al mercato soprattutto nel Sud e conservan-

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8 Cfr. l’ampia analisi di Guo Yingjie, Cultural Nationalism in Contemporary China. TheSearch for National Identiy under Reform, Routledge Curzon Press, London, 2004.

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do le formule centraliste ereditate dal comunismo nelle aree meno progredi-te. Ebbene la tutela contro queste tendenze e la funzione mediatrice risultanoalla fine come un’altra delle ragioni di legittimità che il PCC ancora conserva.In questo modo però esso da un lato rischia di attirare critiche e dissensi perle cause di disagio sociale e di inefficienza gestionale ed economica che abbia-mo visto, ma che non possono essere eliminate drasticamente, anche perché,oltre a colpire vari interessi particolari, rispondono al desiderio di tutela e al-le aspettative di una parte della popolazione. Dall’altra il PCC, ponendosi co-me tutore di valori nazionalistici, in una società che li sta riscoprendo, e difen-dendo spesso metodi che sembrano antidemocratici in materia di controllo delpensiero, ha dato l’impressione ad alcuni scienziati politici occidentali di evol-versi non verso una forma di liberalismo, ma piuttosto verso una di fascismo9.Tuttavia dopo il 1992, quando la stagione di ritorno all’autoritarismo segnatadalla strage di Tien Anmen si arrestò, si sono lentamente diffusi una certa li-bertà di espressione e una proliferazione di organi di informazione, i quali, inparallelo con la crescita di istituzioni private nell’economia, tendono a svilup-parsi in modo autonomo. Tutto questo lascia comprendere che in prospettivaesistano sviluppi possibili, i quali per il momento sono solo accennati, ma con-tengono sfumature inquietanti e potenzialmente in conflitto. Da un lato ci so-no un certo irrigidimento su temi come la nazione e la sovranità, da un altrosi affacciano maggiori aspirazioni democratiche a cui si aggiunge l’insofferen-za di alcune categorie sociali, compresi certi gruppi di intellettuali, in nome diprincipi ispirati al liberalismo occidentale, ma anche come reazione all’inter-nazionalizzazione dell’economia. La società sembra esprimere germi contra-stanti. Nel quadro del Dot Communism, avviato dalle riforme di Deng Xiao-ping, come ironicamente lo ha chiamato Min Xinpei10, e dell’introduzione diun crescente pluralismo, che ha interessato, i campi dell’economia e della cul-tura, riflettendosi anche sulle istituzioni sociali e, per certi aspetti, sulle con-dizioni di vita dei cittadini, anche le relazioni economiche con gli altri paesi sisono modificate nel senso di ridurre l’autosufficienza nazionale. Il paese è og-gi importatore di ferro e acciaio, cereali, fibre e energia. Bisogna tuttavia in-trodurre un’importante distinzione. I primi di questi articoli circolano su unmercato aperto, dove l’approvvigionamento è ulteriormente garantito dalleregole del WTO, al quale la RPC oggi partecipa in modo virtualmente pieno.

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9 M. Ledeen, A Scandalous Policy, «Wall Street Journal», 26 March 1997.10 Cfr. Min Xinpei, China Governance Crisis, «Foreign Affairs», vol. 8, n. 5, 2002, pp. 96-109.

Il termine si riferisce all’indispensabile uso dei computers nella gestione dell’economia.

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Un discorso completamente diverso è invece quello energetico, a propositodel quale fattori geopolitici intervengono nel meccanismo. Le riforme hannostimolato il bisogno. Nel 1990 la RPC era un’importatrice di greggio, ma le im-portazioni dal Medio Oriente che già raggiungevano il 40% del fabbisogno nel1994, hanno superato il 90% nel 2004, mentre un residuo 10% consiste inquelle via mare. Ciò ha portato a modificare la politica petrolifera ed ha asse-gnato un valore completamente nuovo alla regione del Xinjang, confinante conle quattro repubbliche centroasiatiche sorte dalla decomposizione dell’URSS eabitate da popolazioni musulmane. La RPC ha sviluppato una politica che va-lorizza il Xinjang dal punto di vista del raffinamento dei prodotti energetici, ol-tre che per la produzione di petrolio e gas naturale, mentre, in competizionecon la Federazione Russa e gli Stati Uniti, ha programmato dal 1993 un oleo-dotto per trasportare petrolio del Kazakistan dal bacino del fiume Tarim aShanghai e la cui costruzione è iniziata nel 2000, dopo una lunga elaborazionedelle implicazioni internazionali di questo progetto11. Tutta questa situazioneha determinato una amplissima evoluzione delle premesse della politica estera.Il governo cinese è venuto a trovarsi tra i grandi stati asiatici, come l’India e ilGiappone, per le necessità della cui economia il greggio è necessario e la pro-duzione nazionale largamente insufficiente, sebbene in questo senso le condi-zioni della Cina risultino migliori degli altri due. Pechino deve rispondere allasfida combinando due policies, una di mercato e una essenzialmente strategica,e tenendo nello stesso tempo presente che la seconda è, con le riserve che fare-mo in un successivo capitolo, adatta al greggio importato via mare, mentre laprima sino a questo momento è stata presa in considerazione soprattutto per ilmateriale proveniente dai paesi dell’ex-Unione Sovietica. Più in generale la Ci-na in questo modo è stimolata da un interesse molto vitale di fronte alle minac-ce del fondamentalismo e del terrorismo islamico, inclusi i richiami che questoesercita sulle rivendicazioni delle minoranze del Xinjang. Dall’altro si trova alcentro di una vastissima area geografica, ove diventano cointeressati paesi ric-chi di materie prime, come la Russia e le repubbliche ex-sovietiche dell’AsiaCentrale, i quali sono però particolarmente poveri di capitali, dei quali anchela RPC non abbonda, paesi bisognosi di approvvigionamento energetico e inforte sviluppo come l’India, e paesi ricchi di capitali come il Giappone. Una

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11 Sui problemi dell’energia, P. Andrews-Speed, Liao Xuanli and R. Dannreuther, TheStrategic Implications of China’ s Energy Need, Oxford University Press, Oxford, 2002; A. MyersJaffe and L. Steven W., Beijing’s Oil Diplomacy, «Survival», vol. 44, n. 1, Spring, 2002, pp. 115-134; R. Dannreuther, op. cit., pp. 212-215.

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fondamentale implicazione strategica di questo discorso, che riprenderemo an-ch’essa in un successivo capitolo, è l’interesse per i giacimenti petroliferi delMar Cinese e, più ampiamente, la necessità di tenere libere o di garantire le viedi comunicazione marittime, creando un poderoso motivo per sviluppare lamarina militare, oltre a rafforzare l’attenzione per le vicissitudini del MedioOriente. In questo modo si delineano vari e contraddittori sviluppi. L’adesio-ne della Cina al WTO chiaramente contribuisce a risolvere eventuali controver-sie per via diplomatica, ma la questione delle vie marittime crea una ragione dicompetizione negli armamenti con il Giappone e l’India, che devono fronteg-giare la stessa situazione e hanno recentemente potenziato le loro flotte da guer-ra, almeno la prima delle quali certamente oggi più consistente e moderna diquella cinese. L’India manifesta il fine di garantire la navigazione negli stretti diMalacca e di combattere l’annoso problema della pirateria nei mari della regio-ne, ma crea il sospetto di avere propositi espansivi verso Sud-Est e di essere invirtuale contrasto con Pechino. Si tratta inoltre di un punto che accresce l’im-portanza degli stretti di Taiwan, indispensabili per gli approvvigionamenti viamare del Giappone, aprendo ulteriori interrogativi sull’atteggiamento che que-sta potenza prenderebbe in caso di guerra fra la Cina e il governo di Taipei op-pure gli Usa, qualora il problema della “riunificazione” fra l’sola e la madrepa-tria sfociasse in un confronto armato12. In prospettiva si è osservato che il pro-blema della sicurezza energetica nell’Asia Sudorientale e Orientale potrebbeessere risolto in maniera conveniente per tutti gli interessati, attraverso formedi cooperazione internazionale da svilupparsi nel quadro di un’organizzazionespecializzata delle Nazioni Unite o ancor più dell’APEC (Asia Pacific EconomicCooperation), malgrado la decadenza di quest’ultima dopo la crisi delle borseasiatiche del 1997, e soprattutto dell’ASEAN (Association of Southeast AsianNations). La Cina di oggi del resto, attrae capitali e sviluppa investimenti stra-nieri in misura tale da favorire la crescita dei paesi vicini e questo incoraggiaprogetti di integrazione economica. Un primo passo che sviluppa tali premes-se è probabilmente stato la creazione al III° vertice dell’ASEAN nel 2002, del-l’ACTFA (Asean-China Free Trade Area), con il proposito di abbassare le tarif-fe doganali e, entro il 2006, realizzare un’area di libero scambio13, che potreb-

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12 È ricco di informazioni su tutta questa problematica, R. Dannreuther, Asian Security andChina Energy Needs, «International Relations of the Asia-Pacific», vol. 3, n. 2, 2003, pp. 197-219.

13 Cfr. C. Breslin, ‘China in the Asian Economy’, in, B. Buzan and R. Foot, Does ChinaMatter? A Reassessment. Essays In Memory Of Gerald Segal, Routledge, London and New York,2004, pp. 116-123, specialmente pp. 121-122; P. Andrews-Speed, Liao Xuanli and R. Dann-reuther, cit., pp. 78-80, 88-89; R. Dannreuther, op. cit., pp. 212-215.

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be indebolire a vantaggio di Pechino il primato finaziario e commerciale delGiappone. D’altra parte è logico in linea di principio almeno, che un atteggia-mento fondato sulla logica di mercato apparirebbe più adatto per trattare coni paesi interessati al Mar Cinese, dove le organizzazioni internazionali ci sonogià e si sentirebbe maggiormente l’influenza del WTO, mentre uno più “strate-gico”, basato su intese bilaterali lo sarebbe maggiormente per quelli dell’AsiaCentrale, dove sono più sentite le esigenze di sicurezza in senso tradizionale.

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Capitolo IILa Sicurezza nella Politica Estera Cinese

dopo la Guerra Fredda

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Gli anni dal 1977 al 1982 segnano, come già si è anticipato, l’ascesa di DengXiaoping a successore di Mao e l’inizio del nuovo corso basato sull’obiettivoprimario di modernizzare e liberalizzare il sistema economico, senza rinuncia-re nel lungo periodo a completare la “riunificazione” nazionale. Attraversotrattative diplomatiche svoltesi dal 1983 al 1985 viene ottenuto l’impegno bri-tannico a restituire la colonia di Hong Kong, compresa l’isola ceduta in base altrattato di Nanchino del 1842, che verrà materialmente resa alla sovranità ci-nese nel 1997, secondo la formula del “Un paese due sistemi”1. Su un piano di-verso, gli anni ’70 sono segnati dagli ultimi bagliori del contrasto accesosi nel1958-60 con l’Unione Sovietica e giunti al loro livello di massima intensità nel1969. La RPC vede con preoccupazione il rafforzamento della flotta sovieticanell’Oceano Pacifico e il trattato di amicizia e cooperazione fra l’Urss e l’Indianel 1971. Non riesce però a stabilire una collaborazione stabile col Pakistan,nel corso di vicende che vanno dalla creazione del Bangla Desh all’invasionesovietica dell’Afghanistan nel 1979. Alla sua scadenza trentennale, l’alleanzadel 1950 con l’Urss, senza troppi schiamazzi, non viene rinnovata.

Nel 1973, la Cina accoglie con favore la conclusione degli accordi di Pa-rigi, i quali sanciscono l’esistenza di due stati nel Nord e nel Sud del Vietnam,in sostanza adottando definitivamente una formula che coincideva con la stra-tegia seguita da Pechino a partire dalle due conferenze di Ginevra sull’Indoci-na del 1954 e del 1960-62, le quali mentre miravano a frenare l’espansionismodel Vietnam del Nord, implicavano anche il sostegno alla lotta dei comunistivietnamiti contro la presenza americana. Proprio su questa base, e nel quadrodella distensione con gli Usa confermata da un viaggio di Deng Xiaoping nel1979, Pechino si sente provocata dalla strategia internazionale sviluppata dal

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Il Riallineamento Internazionale dopo la Fine del Periodo Maoista

1 B. Yang, Deng. …, cit., pp. 224-25; R. Buckley, Hong Kong: the Road to 1997, Cambrid-ge University Press, Cambridge, 1997.

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governo di Hanoi. Nel 1975 quest’ultimo conquista anche il Sud del paese estabilisce il suo controllo sul Laos. La RPC accorda il suo appoggio al regimedei Khmer Rossi in Cambogia e tenta di stabilire un ponte con i paesi dell’A-SEAN, preoccupati dalla potenza militare vietnamita, che però non hanno sim-patia per il sanguinario governo di Pol Pot. Nel 1978 il Vietnam invade la Cam-bogia e abbatte il governo dei Khmer Rossi, mentre firma un trattato di coo-perazione e amicizia con Mosca. A questo punto la RPC decide un interventomilitare contro il Vietnam, che fallisce miseramente in capo a due mesi e vie-ne seguito nel 1980 dal riconoscimento diplomatico prestato dall’India, già le-gata da un trattato di amicizia all’Urss, al nuovo governo sorto in Cambogiadopo l’invasione vietnamita. In queste condizioni, che confermano la sostan-ziale debolezza militare del paese, la politica di avvicinamento al mondo occi-dentale di Deng Xiaoping prosegue. Al momento del suo viaggio nel 1979, l’A-merica ha concesso al nuovo amico la Clausola Della Nazione Più Favorita enel 1981 il Segretario di Stato americano Alexander Haig visita la Cina e di-chiara che gli Usa sono pronti a venderle armi. Negli stessi anni la RPC aderi-sce alla Banca Asiatica di Sviluppo e alla Banca Mondiale. Anche i rapporticommerciali con gli Stati Uniti aumentano vertiginosamente e questo spingeWashington a non sopravvalutare le negative reazioni dell’opinione pubblicaamericana alla repressione di moti nel Tibet da parte dei cinesi nel 1987 e aldissenso di certi intellettuali, come il fisico Fang Lizhi, oppure le decisioni con-trastanti assunte in varie riprese in materia di approvvigionamento militare siaa Pechino che a Taipei. Poiché questi sono anni di distensione fra gli Usa el’Urss, segnati da accordi per la limitazione degli armamenti (in particolare iltrattato del 1987 sull’eliminazione dei missili a media gittata), l’atmosfera sem-pre più pacifica coinvolge anche la Cina. Dopo alcune timide aperture allametà degli anni ’80, l’avvento di Gorbacev in Urss imprime un spinta conside-revole alla normalizzazione fra i due paesi con una serie di iniziative concilian-ti sui confini dell’Amur e dell’Ussurri e sulla Cambogia. Con un trattato del1988 Mosca accetta di ritirarsi completamente dall’Afghanistan, e dopo unoscambio di visite dei due ministri degli esteri fra la fine del 1988 e l’inizio del1989, viene fissata una visita ufficiale del leader sovietico a Pechino per il mag-gio del 1989, la quale paradossalmente verrà oscurata dalla protesta degli stu-denti al momento della crisi di Tien Anmen. Sul piano diplomatico essa fu pe-raltro importantissima, in sostanza inaugurando l’abolizione del contenziosofra i due paesi. La visita sancisce la rimozione dei missili SS 20 dalla frontieracomune, il ritiro di imponenti forze militari russe dal confine e la riduzione diquelle che Mosca schierava nella Repubblica Popolare Mongola. Contempo-

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raneamente altre intese incoraggiano gli scambi commerciali. L’importanza diquesto passaggio potrà essere compresa soltanto quando prenderemo in esa-me il rovesciamento delle relazioni fra Cina e Russia che si verificherà nel de-cennio seguente, ma la fine degli attriti politici con Mosca porta con sé un net-ta diminuzione degli impegni militari lungo il confine settentrionale ed è la pre-messa implicita di quasi tutte le nuove coordinate della politica estera cinesenella prima metà degli anni ’80. A ben vedere oggi, alcune di esse si potevanocogliere bene già in quel momento. La “strage” di Tien Anmen determina unmomento di isolamento internazionale, che tocca specialmente i rapporti congli Stati Uniti, i quali cancellano la vendita di armi alla Cina e sostengono la de-cisione della Banca Mondiale di congelarle i crediti, in un clima di svariate al-tre forme di sanzioni a vari livelli prese da più paesi. Al di là dell’influenza del-le correnti democratiche dell’opinione pubblica internazionale, non è difficilevedere in questa severità di misure, la conseguenza, questa volta effettiva, chela svolta di Gorbacev aveva portato nella Guerra Fredda. I paesi occidentali insostanza non hanno più bisogno della RPC, all’interno del triangolo segnatodai trattati con gli Usa e il Giappone nel 1978 e dalla visita di Haig, in parteconfermata da certe decisioni di Reagan in seguito. Da questo momento siesaurisce la strategia di valorizzare il peso internazionale della Cina, giocandosull’interesse occidentale a contrapporla all’Unione Sovietica abbozzata forsenel 1960-62 nel corso della crisi laotiana, confermata dalla svolta del 1971-72e ripresa da Deng Xiaoping più tardi. Con la fine dell’Urss i dirigenti di Pechi-no dovranno pensare a nuovi criteri interamente diversi per rispondere agli ag-giustamenti dell’equilibrio internazionale di potenza. D’altra parte da primaancora di questo passaggio si erano aperte altre premesse nello scenario chedefinitivamente vediamo schiudersi con gli anni ’90. Se infatti la fine del con-flitto cino-sovietico inaugura una nuova epoca, un altro fattore fondamentalesi era già delineato. Con le riforme di Deng Xiaping e l’apertura delle ZoneEconomiche Speciali nella Cina meridionale, alle quali presto si aggiunge an-che l’isola di Hainan, occupata definitivamente nel 1987, assistiamo a un mag-gior interessamento per le regioni costiere e ad un più manifesto interesse perle relazioni con i paesi che si affacciano sugli stessi mari della RPC. Almeno ini-zialmente, questo interesse si collega agli attriti degli anni ’80 con il Vietnam2,al timore che la marina sovietica acquistasse punti di appoggio nel Mar Cine-se e alla preoccupazione di collegamenti fra Hanoi e Mosca. È innegabile una

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2 Cfr. J. W. Garver, China’s Push Through the South China Sea: The Interaction of Bureau-cratic and National Interests, «The China Quarterly», n. 132, 1992, pp. 999-1028.

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approssimativa contemporaneità cronologica fra l’affermarsi della nuova stra-tegia economica di Deng e il fatto che le rivendicazioni della Cina verso le iso-le Spratley e Paracel (rispettivamente in Cinese Nasha e Xisha) si intensificas-sero. Questo sviluppo era iniziato negli anni ’70. Entro il 1971 operazioni dimonitoraggio geografico e di studio sulle isole Anfitrite, che appartengono al-le Paracel, erano state completate insieme alla costruzione di un porto nell’i-sola di Woody. Nel gennaio 1974 un’azione militare sottrasse al Vietnam delSud tre isole nel gruppo delle Crescent, sempre all’interno delle Paracel. Que-ste iniziative si spiegano col timore che il Vietnam del Nord potesse impadro-nirsi di tali arcipelaghi nell’imminenza del collasso del regime del Vietnam delSud, offrendo preoccupanti opportunità all’Urss, e in effetti poco più di duesettimane prima dalla caduta di Saigon, sei isole appartenenti alle Spratley fu-rono occupate dalla marina di Hanoi. Ne seguì una disputa diplomatica fra laCina e il Vietnam, che rivendicarono entrambi la sovranità con argomenti didiritto internazionale, sia sulle Paracel che sulle Spratley, estendendo il discor-so a tutto il Mar Cinese Meridionale. Più tardi numerose iniziative di studio,costruzioni di porti e altre installazioni, missioni militari e provvedimenti am-ministrativi completarono l’acquisizione delle Paracel da parte della RPC. Im-barcazioni ed aerei militari cinesi entrarono anche ripetutamente nell’area del-le Spratley all’inizio degli anni ’80, aggiungendosi a numerose missioni scien-tifiche. Nel 1983 una missione navale cinese raggiunse le isole Natuna e la bar-riera sommersa di James Shoal suggerendo, secondo una testimonianza, il li-mite meridionale della sovranità cinese. Fra il 1984 e il 1987, probabilmente inconcorrenza con i primi segni di distensione con l’Urss, le missioni e le inizia-tive nell’area delle Spratley si interruppero per riprendere subito dopo. Men-tre anche il Vietnam provvedeva a installarsi in alcune isole e la polemica a li-vello diplomatico continuava, si verificavano alcuni incidenti, il più grave fra iquali fu una scontro a fuoco fra unità navali dei due paesi a Johnson Reef il 14marzo 1988. Sembrò che si andasse verso un conflitto di più ampie proporzio-ni nel corso del 1989, finché nel 1990 la Cina ispirò il suggerimento indonesia-no a trattare questi problemi in un Seminario, da tenersi a Bandong. SebbenePechino non rinunciasse alle sue pretese, e le confermasse con pronunce uffi-ciali e atti legali, mentre iniziative di valorizzazione e sfruttamento di questeisole continuarono negli anni seguenti, si può immaginare che l’isolamento in-ternazionale seguito alla crisi di Tien Anmen e la fine dell’Urss incoraggiasse-ro un corso più moderato. È interessante che nel 1992 l’apposita compagnianazionale cinese affittasse una concessione alla Cranston Energy Corporationdi Denver nel Colorado per lo sfruttamento dei banchi petroliferi dell’area di

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Vanguard Bank nelle Spratley3 e che la Cina cercasse di evitare in quel perio-do contrasti con altri paesi che avessero pretese nella medesima regione. Alcu-ni commentatori pensano che Pechino, proprio mentre cessava di aver valoreil “triangolo strategico” con Usa e Giappone, intendesse con questi accorgi-menti evitare di inimicarsi i paesi dell’ASEAN e di prevenire interventi non de-siderati dell’America. La politica “oceanica” però, aveva un significato piùprofondo, legato, come abbiamo detto, alle esigenze economiche create dallasvolta “denghista”. La stampa periodica dalla fine degli anni ’70 e Deng stes-so, parlando all ‘11° Plenum del Comitato Centrale nel 1978 insistettero sullenecessità di reperire sul mare le risorse adeguate all’aumento della popolazio-ne. Anche l’organo delle forze armate il Jiefanjun Bao, scrisse nel 1988 e nel1989 sulla necessità di sfruttare il mar Cinese Meridionale, ricco di petrolio,pesce e manganese, per venire incontro ai bisogni del paese e della sua popo-lazione in aumento, insistendo che le sue risorse andavano assicurate in vistadel fatto che entro il prossimo secolo la Cina avrebbe avuto i mezzi necessariper coglierne tutti i vantaggi. Nell’agosto del 1984 l’ammiraglio Liu Huaching,il Comandante in capo della Marina Cinese, affermò in un’intervista che la Ci-na aveva bisogno di modernizzare la sua flotta per garantirsi il godimento ditutte quelle potenzialità che rientravano nella sua sovranità territoriale e in unmomento in cui la rivoluzione tecnologica stava riscoprendo l’importanza delmare4. Insomma la traiettoria che spostava sulla fascia oceanica l’aspetto piùdinamico della diplomazia era già impostata dagli anni ’80.

La Prima Metà degli Anni ’90.

Gli anni seguiti alla fine dell’Unione Sovietica se favoriscono la crescitadei germi che sopra abbiamo analizzato, d’altro canto segnano un periodo par-ticolare, il quale viene probabilmente a concludersi verso la metà dell’ultimodecennio del XX° secolo. I tassi di sviluppo economico lanciano la Cina ver-so una fase di espansione e rendono più acuta l’esigenza di reimpostare la po-litica estera. La RPC è spinta così ad affermare in modo intransigente le suepretese su aree e territori, dove in passato aveva rivendicato i suoi diritti di so-

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3 S. Tønnesson, “The Economic Dimension. Natural Resources and Sea Lanes”, in T. Ki-vimäki, War Or Peace In the South China Sea?, Nias Press, Copenhagen, 2002, pp. 54-61, spe-cialmente p. 56.

4 J. W. Garver, op. cit., p. 1018-1022.

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vranità in termini astratti di diritto internazionale, ma che ora acquistano unsignificato maggiormente concreto.

D’altra parte tutto questo si colloca in un quadro storico più generale.Forse seguendo i suggerimenti di alcuni suoi consiglieri militari, Deng Xiao-ping è convinto che gli Stati Uniti stiano attraversando una fase di decadenza,mentre ascendono in Europa la potenza della Germania, al centro di una vir-tuale Unione Europea, alla quale in parallelo corrisponde il Giappone, i cuiattriti economici con gli Usa negli anni ’80 hanno toccato la massima inten-sità5. L’Unione Sovietica sparisce, ma è sostituita dalla Russia, che resta in ognicaso un fattore importante non fosse altro che per ragioni militari. Tutto que-sto fa pensare al vecchio leader che la struttura della società internazionale dabipolare stia diventando multipolare e che la Cina stessa sia destinata ad esse-re uno dei protagonisti della trasformazione6. Cosciente del fatto che i rappor-ti con l’America sono fondamentali per i suoi progetti di sviluppo economico,preferisce evitare che si aggravino le ragioni politiche di attrito, anche perchépensa che il corso dei tempi lavori a favore della RPC, un’illusione con la qua-le i dirigenti di Pechino ed egli stesso dovranno fare i conti qualche anno do-po, ma che ancora non si manifesta come tale all’inizio degli anni ’90. Si veri-fica invece, in quel momento la più importante rivoluzione strategica nella re-cente storia cinese. La Russia, il principale nemico dei tempi di Mao, rapida-mente si trasforma nel partner più stretto. Le ragioni sono essenzialmente tre.In primo luogo la distensione conseguita con Gorbacev, permette alla Cina dispostare il centro della sua attenzione sui bisogni della sicurezza lungo i con-fini meridionali. In secondo luogo, malgrado i successi di Deng, il paese man-ca ancora di una base industriale per dotarsi di armamenti adeguati a quellidelle grandi potenze occidentali. Lo smantellamento di una parte delle forzearmate sovietiche le consente di supplire alle proprie carenze attraverso mas-sicci acquisti di armamenti e materiale bellico, che i suoi quadri sono anchepiù preparati ad adottare di quelli fabbricati in Occidente, visto che durantela Guerra Fredda gran parte degli armamenti cinesi venivano dall’Urss. Si cal-cola che negli anni fra il 1991 e il 1992, 6.8 bilioni di dollari venissero spesi dalgoverno cinese, il quale in questo modo cerca anche, come meglio vedremopiù avanti, di fronteggiare la Rivoluzione negli Armamenti Militari, di cui ci si

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5 M. Pillsbury, China Debates the Future Security Environment, National Defense Univer-sity, Wasington, DC, 2000, pp. 9-12.

6 Vedi ad esempio, Yong Deng, Hegemon on the Offensive: Chinese Perspectives on U. S.Global Strategy, «Political Science Quarterly», vol. 116, n. 3, 2001, pp. 343-65.

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comincia a rendere conto dopo la prima Guerra del Golfo, tanto più che, inseguito al “massacro di Tien Anmen”, diventa proprio allora particolarmentedifficile procacciarsi la collaborazione militare di altre nazioni sviluppate7.

Infine valgono le ragioni di carattere diplomatico ed economico collega-te con i contatti diretti attraverso il confine settentrionale, dove la nascita del-le cinque repubbliche della CSI (Kazakistan, Kirghizistan, Tajikistan, Uzbeki-stan e Turkmenistan), tre delle quali confinanti con la RPC, pone il problemache, per le lingue turche parlate al loro interno e la dominante religione isla-mica, esse possano lasciarsi attrarre politicamente dall’Iran o dalla Turchia ediventare, con modalità variamente descritte dalla stampa internazionale, unpolo d’attrazione per le popolazioni autoctone del Xinjiang e quindi una mi-naccia per la RPC. Sia a causa del problema del greggio che per i ripetuti inci-denti causati dall’autonomismo della minoranza islamica degli Uiguri, sensi-bile al richiamo dell’ideologia dei talebani dell’Afghanistan, la Cina non puòtrascurare che anche paesi come l’Arabia Saudita o Israele mostrino interesseper la trasformazione dell’Asia Centrale. Più documenti dell’epoca mostranola determinazione del governo di Pechino a difendersi dai tentativi di separa-tismo provenienti dalla regione. Da questa premessa negli anni fino al 1996,sono sviluppate da un lato una serie di iniziative diplomatiche, spesso comple-tate da trattati internazionali, attraverso cui la Cina stabilisce forme di colla-borazione con le repubbliche centro-asiatiche, ottiene che esse non incoraggi-no la minoranza autonomista del Xinjiang, legata alle loro popolazioni dallacomune religione, e promuove scambi e intese di natura economica. Dall’al-tra la RPC costruisce una rete di relazioni con la Russia, fino al punto di farne,come si è detto, il suo principale partner internazionale.

Boris Yeltsin visita ufficialmente Pechino nel 1992, e di nuovo nel 1996.Il Primo Ministro Chernomidin vi si reca nel 1994. Il Presidente della Repub-blica Cinese, Jiang Zemin si reca in Russia nel 1994, nel 1995 e nel 1997; il Pri-mo Ministro Li Peng lo segue nel 1995 e nel 1996. Una serie di altri contatti alivello meno alto si somma a questi e tutto l’articolato delle relazioni fra i duegoverni si trasforma. Sebbene non si riesca a risolvere completamente il pro-blema dell’emigrazione illegale di cinesi verso la Russia, entro il 1994 pratica-mente tutta la disputa confinaria fra i due paesi è risolta e numerose intese,

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7 Nella vasta bibliografia esistente, ricordiamo, Blank Stephen J., The Strategic Context ofRusso-Chinese Relations, «Issues & Studies», vol. 36, n. 4, July-August 2000, pp. 66-94; R. Me-non, The Strategic Convergence Between Russia and China, «Survival», vol. 39, n. 2, Summer1997, pp. 101-25.

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volte a incrementare gli scambi commerciali, sono concluse. Si ritiene che frail 1996 e il 1997, a compimento di altri più particolari contatti, la Cina e la Rus-sia abbiano concluso un accordo che comprende una clausola reciproca dinon aggressione e sancisce ulteriori massicce riduzioni di truppe sul confine,l’impegno a dare preavviso a movimenti militari effettuati entro 100 chilome-tri dal confine e la partecipazione di osservatori di ciascuna delle due parti al-le manovre od esercitazioni militari tenute nel territorio dei due stati. La col-laborazione russa permette alla Cina, sebbene non vi sia piena certezza di da-ti su questo punto, di arricchire la sua flotta da guerra. La visita di Jiang Ze-min nel 1994 si conclude con una dichiarazione congiunta, per la quale i duepaesi hanno avviato una “constructive partnership”, ridefinita al momento del-la nuova visita di Yeltsin nel 1996 “strategic co-operative partnership”.

Con l’occasione della visita di Yeltsin nel 1996, le precedenti intese con laRussia e le repubbliche dell’Asia Centrale vengono completate con la creazio-ne del cosiddetto gruppo dei “Cinque di Shanghai”, nel quale entrano il Ka-zakistan, il Kirghizistan e il Tajikistan, oltre ai governi di Pechino e Mosca. Adesso nel 2001 si aggiungerà l’Uzbekistan, facendone mutare il nome in “Orga-nizzazione di Cooperazione di Shanghai”, (Shanghai Hezuo Zuzhi) normal-mente abbreviato in OCS (oppure CSO). Inizialmente l’impegno dei paesimembri riguardava essenzialmente la sicurezza militare, ma in seguito la col-laborazione contro le attività eversive e il separatismo si è aggiunta, insieme adaltri impegni volti al settore economico, al buon vicinato e al generico raffor-zamento della fiducia reciproca.

Molti osservatori ebbero l’impressione a quell’epoca che il blocco che sistava costituendo nell’Asia Centrale fosse diretto contro gli Stati Uniti, comealcuni analisti ancora pensano8. Tuttavia quest’interpretazione, sebbene com-prenda certamente elementi di verità, non dovrebbe essere esagerata, non fos-se altro che perché gli scambi economici con l’America sono di vitale impor-tanza per entrambi. Il significato politico dell’intesa con la Russia in fondo èstato poco percettibile fino alla crisi dell’ex-Jugoslavia alla fine degli anni ’90.Per la Cina inoltre la distensione e l’approvvigionamento militare che questeintese portavano, ha indubbiamente significato un poderoso alleggerimentosul confine settentrionale che le ha permesso di concentrare le sue pretese lun-go quello marittimo. Più in profondità l’allineamento con Mosca, insieme alpotenziamento delle Nazioni Unite, viene spesso presentato come un utile

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8 D. Shambaugh, Modernizing China’s Militay. Progresses, Problems, and Prospects, Uni-versity of California Press, Berkeley, Los Angeles and London, 2004, p. 287.

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contrappeso alla potenza “unipolare” degli Stati Uniti, ma non esclude di in-coraggiare la cooperazione con questi ultimi9.

La Cina rivendicava in quell’epoca il diritto ad esercitare il controllo suun’area di dodici miglia nautiche di mare territoriale e su una “Zona Econo-mica Speciale” estesa di altre 200 miglia, alle quali si aggiungeva una piattafor-ma continentale valutata a due milioni di kmq. Secondo una legge approvatadall’Assemblea nazionale nel 1992, tutto questo significava la “sovranità” sucomplessivi tre milioni di kmq di superficie marittima. Dal punto di vista del-la sicurezza, l’inizio degli anni ’90 vede perfezionare le teorie della cosiddetta“difesa attiva”, che qui ci interessano perché contenevano l’idea che la tuteladello spazio nazionale implica la definizione di un’area oltre i suoi limiti, nel-la quale, per ragioni strategiche, bisogna essere preparati ad agire. Insieme al-la necessità di proteggere le vie di approvvigionamento marittime ai fini eco-nomici, questo spiega una serie di enunciazioni già dalla fine degli anni’80, lequali, sia pur vagamente, indicavano un pronunciato interesse e la tendenzaad accrescere la capacita di intervento anche militare sulle aree oceaniche. Inquesta fase venne utilizzato un concetto di “confine strategico”, diverso daquello usuale di limite del mare territoriale. In una serie di articoli su rivistespecializzate furono inclusi al di qua del primo gli stretti di Malacca e le acquea Sud-Est del paese. Nel 1988 la marina militare Cinese ricevette istruzioni,che non è dato sapere quanto rientrino ancor oggi nella sua programmazione,per le le quali entro il 2010 avrebbe dovuto essere in condizioni di agire finoalle blue waters oltre Taiwan e le Filippine, entro il 2025 fino alla linea imma-ginaria che corre da Sakhalin fino alle isole del Pacifico del Sud, e entro il 2050fino a quella dalle Aleutine all’Antartico. In un articolo del Jiefanjun bao del1987, firmato da un autorevole esponente delle forze armate, era utilizzato iltermine “spazio vitale” (konjian) per affermare la necessità, dovuta alla cresci-ta del popolo cinese, di aver accesso alle risorse del fondo del mare e dello spa-zio, implicando l’allargamento dell’area interna alla “frontiera strategica” a tremilioni di kmq e l’esigenza di raggiungere l’area oceanica attraverso tre vied’accesso principali. Venivano menzionati anche il miglioramento e il raffor-zamento degli armamenti navali, per garantire in ogni caso la possibilità diproteggere gli interessi nazionali10. Tutto ciò pare aver sottinteso un altro pas-saggio nell’evoluzione del concetto di sicurezza. Nella tradizione cinese il con-

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9 Vedi per esempio, Yu Sui, Lun Zhong E xinxing guanxi (Commenti sui nuovi rapportifra Cina e Russia), «Xiandai guoji guanxi», n. 6, 2003, pp. 1-6.

10 D. Shambaugh, Modernizing China’s…, cit., pp. 66-69.

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fine11 rappresenta un’idea con sfumature diverse da quella che se ne ha in Oc-cidente. Sul piano formale esso è rigoroso e irrinunciabile, coinvolgendo ilprestigio del paese, ma in concreto le questioni ad esso relative, anche data l’e-stensione della Cina, possono essere trascurate per periodi anche lunghi, sal-vo ad essere sollevate di nuovo, in relazione a specifici problemi che eventual-mente si affaccino, quando ciò appaia opportuno. Inoltre nella tradizione ci-nese premoderna non esisteva una forte idea del confine marittimo ed era in-vece fondamentale l’importanza e il ruolo assegnato ai cosiddetti stati tributa-ri, dei quali abbiamo parlato. Nel senso del diritto internazionale moderno,essi non facevano parte dell’impero, il quale però si riservava di intervenire an-che militarmente nel loro territorio in certi casi, non nettamente definiti, con-siderandosi interessato alla loro stabilità. Tutta questa concezione pare sottin-tesa ad alcuni nella politica navale della RPC dall’inizio degli anni ’90. Eviden-temente tuttavia, i progetti strategici sopra ricordati, rivelano una certa elasti-cità. In quegli anni il Comandante in Capo della Flotta Cinese, l’ammiraglioZhang Liangzhong, insistette che la funzione della marina era di respingere unattacco dall’esterno contro il territorio della repubblica, ma la legge navale del1992 contiene la clausola per la quale la Cina si riserva il diritto di ricorrere al-la forza per rimuovere intrusioni non solo nel suo mare territoriale, ma anchenelle acque adiacenti. Se da un lato quindi, l’intento principale parrebbe esse-re stato di perfezionare le difese della RPC, dall’altro le implicazioni del con-cetto di “difesa attiva” hanno gettato dubbi sul senso potenzialmente espan-sionistico di questa politica navale. Insomma un fondamentale cambiamentosi stava verificando. Per importante che sia l’Asia Centrale sul piano generaledella politica estera, il Confine Oceanico, per ragioni militari ed economiche,e per le implicazioni che porta nei rapporti relativi alla sicurezza con le altregrandi potenze, ha assunto dall’inizio dell’ultimo decennio del ’900 un valoreprobabilmente superiore, includendo in certi casi ipotesi di guerra o di con-flitto armato. Tutto questo ha portato un elenco di implicazioni e di conse-guenze, che riguardano innanzi tutto, a conferma di quanto si diceva sul signi-ficato del confine per i cinesi, la questione delle isole Dyao-yu e di conseguen-za il rapporto in fase di trasformazione con il Giappone; poi il valore nuovoche assumono i temi di Taiwan e della Corea; infine verosimilmente una nuo-va pianificazione strategica sul mare, la quale inevitabilmente si estende anchealla questione delle Spratley. Cominciando da quest’ultima non c’è dubbio che

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11 Cfr. E. A. Hyer, The Politics of China Boundary Disputes and Settlements, Phd disserta-tion, Columbia University, New York, 1990.

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la prima Guerra del Golfo, con lo spettacolo che ha offerto intorno all’uso del-le portaeree e dei missili Tomahawk e Cruise, abbia consolidato non solo l’i-dea della necessità di garantire il territorio metropolitano contro attacchi pro-venienti dal mare ad opera di potenze dotate di strumenti bellici più modernidella RPC, ma anche la convinzione per la quale equilibrare le pretese egemo-niche di altre potenze richiede di per sé una consistente modernizzazione del-la flotta. È probabile in questo contesto che il Giappone sia stato riconsidera-to fra i nemici ipotetici, nel senso tecnico del termine, della marina cinese eche questa sia stata un’altra delle novità fondamentali introdotte nella sua stra-tegia. All’epoca della Guerra Fredda essa disponeva di tre flotte: quella delMare Settentrionale (Beihai Jiandui), acquartierata nel porto di Qingdao nel-lo Shandong, incaricata dell’area del Mar Giallo e del Confine Coreano, la cuifunzione era di respingere un’ipotetica avanzata verso Sud della flotta sovieti-ca del Pacifico, che fu potentemente rafforzata negli anni ’80; quella del Ma-re Orientale (Donghai Jiandui), acquartierata nel porto di Ninbo, nella provin-cia del Jiangsu, da usare nell’ipotesi di un attacco contro Taiwan, e quella delmare meridionale (Nanhai Jiandui), la cui base principale era a Zhanjiang nel-la provincia del Guandong, e la cui sfera di azione comprendeva il confine colVietnam e le isole Paracel e Spratley. Nella nuova impostazione invece, le flot-te del Nord e dell’Est evidentemente guardano verso quelle americana e giap-ponese, mentre sempre la flotta dell’Est più quella del Sud devono occuparsinon soltanto del Mar Cinese meridionale, dove sono le Spratley, ma, in unaprospettiva peraltro non troppo definita o conosciuta, anche dell’Oceano In-diano, dove il “confine stretegico” copre gli stretti di Malacca.

Limitandoci per ora alla materia della sicurezza navale, questo tema ècollegato ai problemi relativi alle isole Dyao-yu, alla Corea, a Taiwan e allacollaborazione militare fra gli Stati Uniti e il Giappone, la quale ha assuntoun significato naturalmente diverso dopo la fine del Triangolo Strategico. Laquestione delle Dyao-yu12 più direttamente ha rilevanza rispetto al problemain esame. Come quella delle Spratley, è sostanzialmente legata alle nuove esi-genze dell’economia cinese. Fino agli anni ’60 questo piccolo arcipelago, si-tuato tra Taiwan e Okinawa, disabitato e vicino alle isole Ryu Kyu (Liuqiu incinese), era stato occasionalmente al centro di una disputa largamente teori-ca di diritto internazionale. Nel 1967 però, una commissione mista nomina-

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12 Su questo problema è esauriente, Suganuma Unryu, Sovereign Rights and TerritorialSpace in Sino-Japanese Relations. Irredentism and the Dyaoyu/Senkaku Islands, Association forAsian Studies and University of Hawa’i Press, Honolulu, 2000.

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ta dalle repubbliche della Corea e delle Filippine, con la collaborazione del-l’Ufficio Oceanografico Navale degli Stati Uniti per conto dell’ECAFE, ese-guì uno studio, completato nel 1968, per il quale le riserve di petrolio e gasnaturale nel loro circondario erano comparabili a quelle del Golfo Persico.Abbiamo prova che l’arcipelago era stato difeso dai funzionari cinesi all’epo-ca della dinastia Ming durante il secolo XVI° e documenti cinesi testimonia-no che esso era considerato parte dell’impero Qing fino all’inizio della secon-da metà del XVIII° secolo. Nel 1879 il Giappone annesse formalmente il re-gno delle Ryu Kyu, di fatto sotto il suo controllo dal 1864, e nel 1884 un uo-mo d’affari giapponese interessato nel commercio del guano e delle penne dialbatross affermò di aver “scoperto” queste isole. Il governo di Tokyo però,sebbene sollecitato dal governatore di Okinawa, non prese in considerazio-ne la proposta di porlo entro i confini del paese, sebbene non affermasse chenon rientrava nella sua sovranità. Nel gennaio del 1895, mentre era in corsola guerra sino-giapponese, ma due mesi circa prima del trattato di pace di Shi-monoseki, che annesse Taiwan al Giappone, ma non menziona le Dyao-yu,una decisone del governo nipponico pose le isole sotto la giurisdizione diOkinawa e all’interno dei suoi confini. Poco prima, nel 1893 un editto del-l’Imperatrice Vedova, reggente cinese in quel momento, aveva concesso inproprietà privata le Dyao-yu (Senkaku in giapponese) al Ministro dei Sacri-fici Sheng Xuanghuai. I due documenti del 1895 e del 1893 sono la base prin-cipale della disputa giuridica che da tempo si trascina, ma a causa del discus-so valore di queste testimonianze e dei criteri e modalità di valutare le fontigiapponesi e cinesi per il periodo premoderno, finora non si è raggiunta unasoluzione tecnica universalmente accettata, malgrado le pretese contrastantidei governi interessati.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, queste isole furono poste sottol’amministrazione americana di Okinawa e, dal momento di restituire que-st’ultima al Giappone nel 1971-73, il governo di Washington ha più volte pre-so la posizione per la quale lo stato giuridico delle Dyao-yu tornava ad esserequello del momento in cui l’occupazione era cominciata e stava agli stati inte-ressati definirlo e risolverlo13. Fra il 1968 e il 1970, il Giappone, la RPC e laROC (Taiwan), riaffermarono tutti la loro sovranità, ma nel clima di riconci-liazione del momento, il governo giapponese sospese i rilevamenti petroliferinel territorio delle isole. Dopo l’ingresso della RPC all’Onu, la questione del-

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13 J-M. F. Blanchard, The U.S. Role in the Sino-Japanese Dispute over the Diaoyu (Senkaku)Islands, 1945-1971, «The China Quarterly», n. 161, 2000, pp. 95-123.

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la sovranità fu portata anche in quella sede e la posizione strettamente neutra-le degli Usa nella controversia fu causa di contrasto tra i governi di Tokyo e diWashington negli anni ’70. Al momento delle intese diplomatiche e dei tratta-ti del 1972 e del 1978, comunque, la Cina e il Giappone decisero di non tira-re la spina e di rimandare la soluzione al futuro. Nel 1983 Deng Xiaoping di-chiarò che “[….] quanto alla questione delle isole Dyao-yu, ho detto che le fu-ture generazioni possono risolverla; le future generazioni saranno più intelli-genti di noi”. Negli anni fino al 1989 il governo cinese occasionalmente di-chiarò comunque che la disputa non era stata conclusa, riaffermando il prin-cipio della sua sovranità. La controversia tuttavia, all’inizio degli anni ’90 rie-splose con un vigore che testimonia l’importanza tutta nuova che il Mar Cine-se stava riacquistando. Nel 1990 l’Agenzia per la Sicurezza Marittima delGiappone autorizzò la costruzione di un faro sulla principale delle isole, pro-vocando una formale protesta del Ministero degli Esteri Cinese e massicce di-mostrazioni a Taiwan e Hong Kong. Forze di polizia giapponesi impedironoai manifestanti di raggiungere le isole: il governo di Tokyo riaffermò la sua so-vranità, ma sia questo che quello di Pechino si sforzarono di lasciare la que-stione nei termini concordati nel 1972. Il sentimento nazionalista tuttavia con-tinuava a gonfiare l’atmosfera e si accese anche nell’opinione pubblica giap-ponese, quando in occasione della visita dell’imperatore Akihito nella RPC, lepolemiche da tutte e due le parti rinfrescarono con opposti intenti il ricordodel “massacro di Nanchino” compiuto dall’esercito giapponese nel 1937. Inquesto quadro, sebbene la posizione del Giappone dopo la crisi di Tien An-men sia stata fra le meno rigide verso il governo cinese, Pechino raffermò lasovranità sulle Dyao-yu, che nel 1992 furono incluse nel mare territoriale dal-la già ricordata legge marittima. Benché esse siano pattugliate da unità dellaguardia costiera giapponese, la legge cinese affermava il diritto di interdire ilpassaggio con qualsiasi strumento a “vascelli” che disturbassero le isole14.Mentre nelle due opinioni pubbliche le manifestazioni di nazionalismo conti-nuavano, il Giappone, che desiderava non suscitare proteste da parte della Ci-na dopo aver autorizzato con una legge del 1990 la partecipazione delle suetruppe alle Peace Keeping Operations delle Nazioni Unite, cercò di non riscal-dare il clima. Pechino anche cercava di gettare acqua sul fuoco, dato che l’am-ministrazione Bush quell’anno vendette 150 aerei F16 a Taiwan. La Cina, ti-morosa dei primi segni di “neoegemonismo” Usa, come più spesso i suoi ana-

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14 T. J. Dreyer, Sino-Japanese Relations, «Journal of Contemporary China», vol. 10, n. 28,2001, pp. 375-385, specialmente pp. 375-76.

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listi diranno in seguito, diede prova di voler evitare per il momento un attritocon Tokyo. La prima Guerra del Golfo però, e le vicende relative a Taiwan ealla Corea, su cui torneremo, dal 1992-93 non migliorarono il clima anche colGiappone. Nel 1993 per la prima volta un articolo sul New York Times15 af-fermò che era allo studio la partecipazione del Governo di Tokyo al progettodi TMD (Theater Missile Defense). I cinesi ebbero la percezione che Tokyo eWashington stessero rafforzando la loro alleanza contro di loro. Un segnosembrò mostrare che la politica di espansione sul mare promossa da Pechinoe le pretese giapponesi fossero in rotta di pericolosa collisione. Nell’agosto del1995, alcuni caccia SU 27 (un modello simile al F15 occidentale) cinesi, da po-co acquistati dalla Russia, entrarono nello spazio aereo delle Dyao-yu, provo-cando per risposta l’innalzamento di aerei da combattimento delle Forze diAutodifesa (JSDF) giapponesi che li fronteggiarono16. Le JSDF annunciaronocon l’occasione l’intenzione di migliorare il sistema di allarme radio nella zo-na e di inviarvi caccia di tipo più moderno per prevenire non meglio identifi-cate violazioni nello spazio territoriale nipponico.

La questione marittima rivelava la sua nuova dimensione, confluendo conquelle della Corea e di Taiwan, ma anche con la tendenza della Cina di queglianni a flettere i muscoli di fronte ai paesi vicini e agli Usa, probabilmente in-coraggiata dai suoi successi economici e spinta dal risveglio di nazionalismo dicui si notavano i primi segni, oltre che forse stimolata dal senso di isolamentoe di minaccia scaturiti dalla fine del Triangolo Strategico.

Nel 1993, sviluppando alcune premesse della sua campagna elettorale, ilPresidente americano Clinton minacciò di cancellare la Clausola della Nazio-ne Più Favorita verso la RPC o di ridurre altri privilegi doganali, se Pechino nonavesse “significativamente”migliorato la sua legislazione in materia di dirittiumani, liberato i prigionieri politici, permesso alla Croce Rossa di entrare neicampi di lavoro, assunto un atteggiamento liberale nella questione tibetana etc.Fra il novembre del 1993 e il marzo del 1994 diversi tentativi di soluzione di-plomatica ebbero luogo, concludendosi con la visita senza successo del Segre-tario di Stato americano Christopher a Pechino. Nel frattempo però la Coreadel Nord diede inizio ad esperimenti nucleari che preoccuparono il governoamericano, il quale minacciò sanzioni economiche contro Pyongyang e chieseche ispezioni venissero effettuate nel piccolo paese comunista attraverso le Na-

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15 T. J. Christensen, China, the Us-Japan Alliance, and the Security Dilemma in East Asia,«International Security», vol. 23, n. 4, 1999, pp. 49-80, specialmente p. 64.

16 Ivi, p. 376.

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zioni Unite, mettendosi così nella condizione di aver bisogno che la Cina nonesercitasse il suo diritto di veto al Consiglio di Sicurezza. La Corea del Nordperò non mostrò di voler collaborare fino al mese di aprile, ma nel giugno se-guente gli Usa, dopo alcuni gesti concilianti da parte del governo cinese, che li-berò alcuni dissidenti, rinunciò alle sue minacce di sanzioni economiche. È ve-rosimile che Deng usasse l’influenza che ancora aveva sul regime nord-corea-no e che il baratto finale con Washington sia stato la risultante conclusiva17. An-cora più significativo fu l’incidente che si verificò dal luglio del 1995 al marzodel 1996 prendendo spunto dalla tendenza di una parte delle forze politichetaiwanesi a sostenere non più che la ROC è il legittimo governo cinese, ma l’in-dipendenza dal continente. Questo episodio fu la conseguenza della visita delPrimo Ministro taiwanese Lee Teng-hui negli Stati Uniti, per prendere parte auna cerimonia alla Cornell University dove si era laureato. La concessione delvisto da parte americana fu interpretata come un’infrazione degli impegni pre-si dagli Usa nel 1978 e l’APL intraprese esercitazioni militari e tests missilistici,i quali diedero l’impressione a parte della stampa straniera che un’invasionefosse imminente. L’episodio comunque raggiunse il massimo della tensione,quando, confermando la posizione di Washington contro l’uso della forza perrisolvere il problema dell’appartenenza dell’isola alla Cina, due portaeree Usafurono inviate nello stretto di Taiwan, che Pechino fa rientrare nelle sue acqueterritoriali. Insomma il 1995 da alcuni autori viene considerato uno spartiac-que per il nostro tema lungo tutta la “frontiera oceanica”. Anche nelle Spratleyla marina cinese aprì il fuoco al Mischief Reef18 contro imbarcazioni filippine epescatori che vennero espulsi da quella località. Il governo indonesiano lo stes-so anno strinse un accordo con l’Australia volto a contrastare le pretese dellaCina sulle isole Natuna, sebbene queste non riguardino la sovranità sulle me-desime, ma unicamente le EEZ della RPC e dell’Indonesia19. Mai nello scorsosecolo era sembrato che la Cina prendesse una posizione così assertiva. Indi-pendentemente dalle interpretazioni dei singoli eventi, comunque, negli Usa,in Giappone e nei paesi dell’ASEAN, i cui Ministri degli Esteri produssero unadichiarazione comune, reiterandone una precedente del 199220, l’impressione

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17 B. Yang, Deng… cit., pp. 269-71.18 B. M¢ller, “The Military aspects of the Disputes”, in T. Kivimäki, War Or Peace…, cit.,

p. 63.19 Cfr. R. Amer, “Claims and conflicy Situations”, in T. Tivimäki (ed.), War and Peace….

cit., pp. 24-40, specialmente p. 31.20 T. Tivimäki, L. Odgaard e S. Tønnesson, “What Could Be Done”, in T. Tivimäki (ed.),

War and Peace….cit., p. 137.

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che la RPC fosse una potenza in ascesa e almeno in parte una minaccia, acqui-stò spazio, sebbene sia impossibile per noi avere una certezza documentariasugli eventuali collegamenti fra tutti gli episodi sopra menzionati nei disegnidel governo cinese.

Dal 1995 al nuovo Secolo

La situazione complessiva che abbiamo esaminato ha contribuito a deter-minare un particolare scenario, il quale ha segnato le relazioni esterne della Ci-na sotto il profilo della sicurezza nel periodo che va dalla metà degli anni ’90fino all’attentato terroristico compiuto contro le Torri Gemelle di New Yorkl’11 settembre 2001 e agli ultimi anni. L’elemento nuovo che si nota ora riguar-da una serie di problemi, i quali da un lato toccano il modo di vedere certi te-mi, ad esempio il rapporto col Giappone, dall’altro l’interpretazione comples-siva della politica mondiale e più in generale un certo ripiegamento della RPC,sicuramente sotto l’impressione, rafforzata prima dell’11 settembre 2001 dacerte posizioni dell’amministrazione Bush, di essere in una condizione di de-bolezza di fronte ad avversari che stavano diventando più aggressivi o comun-que meno concilianti. Naturalmente esiste qui un serio problema di letturadelle fonti, che spesso non permette di andare oltre ipotesi interpretative, main questo periodo si assesta definitivamente il quadro, nel quale nascono le do-mande relative a ciò che possiamo aspettarci circa le intenzioni future dellaRPC. Le prenderemo in esame nell’ultimo capitolo, sempre con la riserva, pergiunta, che è molto difficile seguire a questo proposito il delicato meccanismodel decision making nella Cina, anche a causa dell’evoluzione nel ruolo e nel-l’influenza della classe militare. In altre parole è facile seguire le posizioni chesono state prese caso per caso, ma è difficile ricostruire l’origine di ciascunaattraverso l’elaborazione che le precedette. Ad esempio, come si vedrà, è le-gittimo pensare che nell’élite dirigente convivano posizioni diverse intorno alproblema se il Giappone debba essere considerato una minaccia o meno e sela diplomazia verso i paesi dell’ASEAN sia stata uno strumento per affrontarequesto problema; o fino a che punto la questione di Taiwan sia da considera-re il nocciolo di tutta la politica estera almeno per ciò che riguarda la “fasciaoceanica”. Ci è impossibile risalire con certezza scientifica però, alla dinami-ca dei contributi che l’APL o il Ministero degli Esteri hanno dato alla discus-sione dei singoli problemi, vari dei quali presentano anche riflessi di politicainterna.

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Il 1996 si apre con la dichiarazione congiunta emessa nell’aprile al mo-mento della visita del Presidente Clinton in Giappone, da quest’ultimo e dalPrimo Ministro giapponese Hashimoto. Essa avrebbe dovuto essere rilasciatail precedente novembre, in occasione del vertice di Osaka dell’APEC ed erastata rimandata a causa dell’annullamento della visita di Clinton21. In altre pa-role, sebbene la dichiarazione fosse sicuramente influenzata dal senso di squi-librio creato negli americani e nei giapponesi dalla crescita della potenza del-la Cina rispetto alla situazione dell’Asia Sudorientale, verosimilmente non eb-be a che fare con la crisi di Taiwan del 1996. La dichiarazione fu perfezionatada un elenco di guidelines relative alla collaborazione fra i due paesi, pubbli-cate nel 1997 e definitivamente approvate con una legge del parlamento nip-ponico del 1999.

Strettamente parlando essa trovò origine nella preoccupazione per gliesperimenti nucleari della Corea del Nord e nel fatto che il trattato di Amici-zia e Sicurezza fra il Giappone e gli Stati Uniti, rinnovato nel 1970, non con-siderava alcuna ipotesi di collaborazione al di fuori di un attacco contro il ter-ritorio giapponese, non comprendendo alcun obbligo a carico del Giapponenel caso di episodi bellici in cui gli Stati Uniti fossero coinvolti al di fuori diquello sopra esaminato. In tale quadro rientrava anche la questione coreana,dalla quale nasceva l’interesse del Giappone per il TMD, allo studio del qualeil governo di Tokyo si impegnò ora esplicitamente a collaborare. Una serie ditestimonianze memorialistiche e di interviste permette però di capire che il go-verno americano e l’amministrazione giapponese avevano deciso di renderepiù impegnativa l’alleanza in corso fra loro proprio perché preoccupati dallacrescita della potenza cinese. Facendo una parentesi, non sembra un caso chenel 1996, anche Tokyo estendesse a 200 miglia nautiche la propria Zona Eco-nomica Speciale, comprendendovi le Dyao-yu, mentre il Giappone ha noto-riamente bisogno di lasciare libere le vie marittime che passano per lo strettodi Taiwan e che, in base alla legge del 1992, la Cina fa rientrare nella sua areadi sovranità riservandosi formalmente il diritto di espellere con la forza chieventualmente la violasse. L’accrescimento della potenza cinese si accompa-gnava nelle idee dell’amministrazione Usa al convincimento che fra i militaricinesi esistesse la tendenza a riempire il vuoto di potenza lasciato in EstremoOriente dalla fine dell’Unione Sovietica e che anche per questa ragione gli Sta-ti Uniti non potessero rinunciare al ruolo stabilizzatore che avevano svolto dal-

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21 Soeya Yoshihide, Taiwan in Japan’s Security Considerations, «The China Quarterly», n.165, 2001, pp. 130-146, specialmente p. 144.

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la Seconda Guerra Mondiale in poi. Sembrava perciò loro necessario raffor-zare la collaborazione col Giappone. Essi non desideravano però isolare la Ci-na o applicare nei suoi riguardi una forma di containment oppure favorire larinascita di una vera potenza militare giapponese, la quale avrebbe certamen-te trovato numerosi ostacoli e opposizioni fra i paesi asiatici. Rivedere il lega-me esistente con Tokyo in termini moderatamente più impegnativi, avrebbedato stabilità alla regione e consacrato normali relazioni con Pechino, da in-quadrare in una strategia di engagement più che di constrainment22. Il conte-nuto delle nuove guidelines, che presenta alcune complessità giuridico-inter-pretative, nelle quali non scendiamo, portava con sé un modesto aumento de-gli obblighi delle due parti rispetto ai trattati precedenti23. Esse prevedevanola collaborazione nella difesa non solo nel respingere attacchi diretti contro ilGiappone, ma anche nel caso di “crisi”, nelle aree circostanti quest’ultimo. Iltesto aggiungeva che “the concept, situations in areas surrounding Japan, isnot geographical but situational”. L’impegno militare da parte del governo diTokyo avrebbe dovuto essere soltanto di tipo logistico ed escludere le aree do-ve si combatteva, comprendendo il trasporto di persone e materiale (compre-se armi, ma solo americane), evacuazione di personale non combattente, sor-veglianza, sminamento di acque, ricerca e salvataggio in mare, gestione dellospazio aereo e del mare. L’uso della forza da parte del Giappone era previstosolo nel caso che una nave si fosse rifiutata di essere ispezionata in mare aper-to nel quadro di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU. La col-laborazione fra le forze armate dei due paesi era prevista. In particolare l’al-leanza si riferiva a operazioni di peace keeping o di soccorso internazionale edemergenza, ovvero al caso di sanzioni economiche applicate dalle NazioniUnite, che comprendessero ispezioni di navi in alto mare. Era prevista anchela partecipazione del Giappone alle ricerche nel quadro del TMD. Il Giappo-ne riaffermava di essere vincolato alle clausole che escludevano il ricorso allaguerra nella sua carta costituzionale e ai cosiddetti “tre principi”, enunciati nel1969, che escludevano la produzione, l’uso e la presenza sul suo territorio diarmi nucleari. È opinione diffusa che la reazione della RPC a quest’alleanza siastata eccessiva rispetto al suo contenuto, ma proprio per questa ragione val la

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22 J. S. Nye, The “Nye Report”. Six years later, «International Relations of the Asia-Paci-fic», vol. 1, n. 1, 2001, pp. 95-103.

23 Per un esame approfondito di questa “alleanza”, P. Midford, China views the revisedUS-Japan Defense Guidelines: popping the cork?, «International Relations of the Asia-Pacific»,vol. 4. n. 1., 2004, pp. 113-145.

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pena di analizzare il problema in dettaglio24. Il periodo dopo il 1972 era statosegnato da una cordialità senza precedenti verso Tokyo e a partire dal 1980anche regolari incontri a livello ministeriale avevano cominciato a tenersi, seb-bene rimanesse una generalizzata ostilità diffusa contro il vicino paese fra lagente, che continuava ad essere legata al ricordo degli abusi e delle gravi vio-lazioni di diritti umani commesse dall’esercito giapponese durante la Guerradurata dal 1937 al 1945. In particolare tuttavia anche il governo non aveva maismesso di sbandierare il pericolo di un ritorno al militarismo da parte di Tokyoe all’interno dell’APL questa posizione era particolarmente rigida. Uno studio-so americano raccolse in un’intervista l’opinione che se un ufficiale cineseavesse affermato che il pericolo giapponese non esisteva più, questo avrebbepotuto nuocere alla sua carriera. Nel corso degli anni ’80, si verificarono attri-ti diplomatici e proteste o dimostrazioni a livello popolare per diverse ragio-ni. Una parte della pubblica opinione cinese reagì negativamente al massiccioingresso di prodotti giapponesi dopo la normalizzazione del 1972 e a causa delmodo in cui i testi scolastici giapponesi presentavano l’invasione della Cina nel1937, oppure per le visite di membri del governo di Tokyo al santuario di Ya-sukuni, dedicato ai soldati morti in guerra, fra i quali sono compresi 14 perso-naggi condannati come criminali di tipo A dal processo di Tokyo del 1946-47;o anche per il modo di presentare da parte della stampa nipponica il “massa-cro di Nanchino” del 1937 e perché nel 1987 il bilancio militare giapponesesfondò il tetto dell’1% del GNP, fissato da una decisione governativa prece-dente. In una serie di occasioni che sono andate da dichiarazioni pubbliche diuomini di stato a editoriali sulla stampa ufficiale, comprese le affermazioni delPresidente della repubblica Jiang Zemin durante la sua visita negli Stati Unitinel 1997, fino ad altri articoli più sofisticati comparsi sulle riviste di politolo-gia e di studi strategici, una serie di critiche molto pesanti sono state rivoltecontro la nuova alleanza. I cinesi furono preoccupati dal fatto che durante inegoziati alcuni esponenti giapponesi avessero proposto di includere Taiwanall’interno del perimetro dell’alleanza e fu ventilato che quest’ultima implica-va che il Giappone si fosse accordato con gli Usa per dominare l’intera areaasiatica del Pacifico, trasformandosi in uno strumento puro e semplice dellastrategia americana. Il primo Ministro Li Peng affermò che la Cina doveva ve-

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24 Vedi diversi saggi sull’argomento, T. J. Christensen, China, the Us-Japan Alliance, cit.;B. Garrett and B. Glaser, Chinese Apprehensions About Revitalization of the U.S.-Japan Allian-ce, «Asian Survey», vol. XXXVII, n. 4, 1997, pp. 383-402; J. T. Dreyer, Sino-Japanese Rela-tions..., cit., pp. 377-78.

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gliare contro gli “elementi militaristici” in Giappone e in più occasioni fu ri-petuto che la lezione di Pearl Harbor non andava dimenticata. Fu affermatoche la nuova alleanza apriva la strada alla rimilitarizzazione del Giappone.L’inclusione, sebbene non esplicita di Taiwan nell’area coperta dal nuovo pat-to, fu collegata da Jiang Zemin alla domanda se il Giappone avesse imparatoqualcosa dalla guerra di aggressione che aveva condotto. Il capo di Stato mag-giore dell’esercito cinese lasciò cadere l’ammonimento al Giappone di “adot-tare un atteggiamento prudente”. Il Quotidiano del Popolo scrisse che in que-sto modo si coltivavano i “semi del militarismo giapponese”. A un livello piùspecialistico, fu osservato che il nuovo trattato aveva rinnovato un patto, ilquale dopo la fine della Guerra Fredda aveva perso il suo valore, mentre crea-va instabilità in Asia, in quanto svuotava le clausole pacifiste della costituzio-ne nipponica del 1947. I contatti a livello ministeriale fra le due Difese furo-no sospesi. L’inclusione del TMD nelle guidelines ha particolarmente irritato icinesi. Essi hanno sentito che lo scudo era diretto contro di loro e un periodi-co di grande diffusione è ricorso all’immagine della “danza della spada”, cheil Giappone avrebbe fatto mostrando di allestire uno strumento contro la Co-rea del Nord, ma pensando invece alla RPC. Un’osservazione del resto forseesatta visto che alcune interviste effettuate in Giappone hanno confermato cheil timore della “minaccia” proveniente dalla Cina è stata fra le motivazioni delnuovo patto, probabilmente in relazione allo sviluppo dell’arma missilisticasulla costa cinese dello stretto di Taiwan e agli episodi sopra indicati durantei quali nel 1995/6 la Cina aveva mostrato i muscoli ai paesi vicini25. E d’altraparte i dirigenti della RPC sanno che comunque esiste un settore della pubbli-ca opinione in Giappone che è apertamente favorevole all’indipendenza diTaiwan ed è rappresentato da un’attiva lobby parlamentare. Il Sol Levante vie-ne talvolta rimproverato di non aver dimenticato il passato coloniale dell’iso-la, rimasta territorio giapponese dal 1895 al 1945, e di aspirare più o meno na-scostamente a ristabilire una sorta di mainmise su Formosa o almeno a tener-la vicina all’orbita del Giappone, impedendo la riunione con Pechino. Più cri-tici si sono chiesti cosa ci fosse dietro l’“alto allarme riguardo al trattato giap-ponese-americano”26 gettato da Jiang Zemin, anche al di là dell’esteriore viva-cità delle polemiche. La risposta più frequente riguardava il timore di una ri-nascita del militarismo nipponico. Inoltre sebbene ci si rendesse conto dei li-

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25 L’articolo comparve sul numero 7, del 1/4/1999, della rivista «Shijie Zhishi», cfr. J. T.Dreyer, cit., p. 380.

26 T. J. Christensen, China, the Us-Japan Alliance, cit., p. 63.

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miti imposti dalla costituzione e del fatto che per ragioni di convenienza eco-nomica, legata al bisogno di non preoccupare i suoi partners commerciali asia-tici, il governo di Tokyo fosse rimasto sempre fedele alle sue posizioni pacifi-ste, era opinione diffusa fra i dirigenti cinesi che questi condizionamenti po-trebbero venire agevolmente a cadere. Le alleanze, sia pur usando questo ter-mine in modo generico, fra il Giappone e gli Stati Uniti del 1951, ’60 e ’70, ve-nivano in quel momento viste con favore perché avrebbero avuto la funzionedi “bottle cab”, finendo per agire di fatto come limite e freno di fronte alla con-naturata tendenza imperialistica attribuita al Giappone. Esse erano state pre-sentate da diplomatici americani come la miglior garanzia di fronte al perico-lo della rimilitarizzazione di Tokyo e in questo senso erano anche apprezzatedagli altri paesi asiatici, come vari Primi Ministri giapponesi, da Nakasone Ya-sujiro a Murayama Tomiichi, avevano riconosciuto.

Nella sua nuova forma però, venne obiettato, l’alleanza del 1996-99 sem-bra svolgere una funzione diversa, non più di “bottle cab”, ma di “eggshell”27, tale cioè da fare esplodere e non da contenere la presunta vocazioneaggressiva del Giappone. Un altro giornale cinese affermò che essa prefigu-rava una mobilitazione generale e rappresentava una “copia” della Nato. Pro-babilmente però, esiste anche una ragione più reale e meno ossessiva, se pos-siamo permetterci questo termine, dietro le preoccupazioni di analisti e uo-mini politici cinesi, vale a dire il timore che l’alleanza possa funzionare in ca-so di confronto militare fra la RPC e gli Stati Uniti a causa di Taiwan. È opi-nione generale, confermata da numerose dichiarazioni di responsabili e orga-ni delle forze armate, che se Taiwan proclamasse la sua indipendenza, comesuggerito dalla parte preponderante del Partito Progressista del Popolo(Minjindang), più favorevole a questa linea rispetto al Guomindang degli ere-di di Jiang Jieshi (Chiang Kaishek), che tradizionalmente vede la ROC comelegittimo governo di tutta la Cina, la RPC farebbe ricorso alla forza per “com-pletare l’unificazione”. In questo caso è probabile, sebbene certi specialistiparlino di “dilemma” americano, che gli Usa interverrebbero. Trattandosi diun ipotetico scenario futuro, lo discuteremo nell’ultimo capitolo, ma giovaqui considerare che le clausole dell’alleanza creano il concreto pericolo cheil Giappone venga coinvolto in una guerra fra i due paesi. Non solo infatti,esso potrebbe essere esposto ad azioni di rappresaglia se aerei o missili ame-ricani partissero dalle basi sul territorio giapponese, compresa Okinawa, mail modello di TMD sinora studiato prevede che lo scudo missilistico dovreb-

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27 Ivi, p. 62.

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be essere basato sul mare, il che ha fatto probabilmente sì che nell’accordovenisse compreso l’obbligo del Giappone a partecipare ad operazioni di smi-namento, per le quali la Settima Flotta Americana, di stanza in EstremoOriente, è particolarmente carente. In caso di attacco cinese contro Taiwan èpossibile che le acque intorno all’isola verrebbero minate della RPC, il che po-trebbe obbligare il Giappone a usare i suoi dragamine, su richiesta america-na, esponendosi ad azioni di retaliation da parte cinese con tutte le conse-guenze del caso28. La stessa situazione si potrebbe verificare, meno probabil-mente, se le NU decidessero sanzioni economiche o una PKO contro la Cina,e la marina di Tokyo usasse la forza per costringere una nave cinese ad unaispezione, sebbene quest’ipotesi sia resa improbabile dal fatto che Pechino èmembro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. D’altraparte la questione va vista anche in connessione ai rapporti fra la RPC e i pae-si dell’ASEAN, il che ha probabilmente causato secondo alcuni osservatori unsottile contrasto all’interno della RPC stessa fra i militari e la diplomazia pro-fessionale, a suo tempo sostenuta dal Primo Ministro Zhu Ronji. È chiaro in-fatti che se la questione di Taiwan resta un prioritario problema di sicurezzanazionale, per una parte del gruppo dirigente cinese, è anche fondamentalenon guastare i rapporti commerciali né con gli Stati Uniti né con il Giappo-ne che sono entrambi indispensabili a mantenere il fine ultimo di conservareun alto tasso di sviluppo economico, vale a dire l’obiettivo già indicato daDeng Xiaoping e confermato dai suoi successori come primario. Inoltre unastrategia che puntasse tutto sul deterrente militare non potrebbe che accre-scere la diffidenza di almeno la maggior parte dei paesi dell’ASEAN. Sebbe-ne tutte le questioni relative al Mar Cinese siano in genere considerate stret-tamente interne dalla RPC, da quando nel 1994 quest’ultima è entrata nel co-siddetto ARF ossia nei forums tenuti dai paesi dell’ASEAN [anche nella ver-sione APT, cioè ARF più 3, allargato a Cina, Corea e Giappone], tale parte-cipazione, a dispetto di incidenti isolati che hanno continuano a verificarsi,ha ampiamente contribuito a sdrammatizzare il clima principalmente sulproblema della Spratley. Nel 1995, per fare un simbolico esempio, la RPC haaccettato di trattare la questione in armonia con la Convenzione delle Na-zioni Unite sul Diritto del Mare. Ora per ovvie ragioni geografiche la que-stione di Taiwan non è indifferente da questo punto di vista. Nel 1997 fu te-nuto un forum dell’ASEAN a Pechino nel corso del quale il rappresentantecinese attaccò vigorosamente l’alleanza fra il Giappone e gli Stati Uniti, ac-

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28 Ivi, pp. 65-68.

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cusandola di essere uno strumento che corrispondeva a quelli usati all’epo-ca della Guerra Fredda, in contrasto con i valori dei nuovi tempi. Vari ana-listi interpretarono questo discorso nel senso di una linea alternativa che ilMinistero degli Esteri cinese ostentava, malgrado i toni accesi, per contra-stare l’influenza dell’APL e rassicurare implicitamente i paesi asiatici vicini,se non, aggiungerei, il Giappone stesso, mostrando di voler mantenere lacollaborazione con i primi e di essere fedele ai principi dell’ONU, ma senzaabdicare alle pretese verso Taipei29. In effetti i rapporti con il Giappone so-no diventati sempre più importanti negli ultimi anni e hanno cominciato apresentare angolazioni contrapposte da cui evidentemente dipenderannoanche le vicende del futuro. Tra il 1996 e il 1999 la disputa sulle Dyao-yu hatrascinato ancora una volta l’opinione pubblica, mentre altri riverberi han-no avuto dichiarazioni di esponenti politici giapponesi intorno al pericoloche gli armamenti missilistici cinesi hanno per il Giappone, oppure sullaquestione dello Yasukuni Jinja. Nello stesso tempo però c’è stato un sostan-ziale sviluppo nelle relazioni economiche, accompagnate da progetti di coo-perazione in campi che vanno dall’ambiente alla medicina, il quale ha giova-to a migliorare l’atmosfera. In un campo delicato come quello delle zone dipesca un accordo soddisfacente è stato raggiunto nel 2000. La decisione ci-nese di non svalutare lo yuan durante la crisi delle borse asiatiche nel 1997ha potentemente giovato al cambio dello yen, indebolito dalla recessionedall’inizio del decennio, mentre negli ultimi anni la crescente domanda diprodotti stranieri, conseguita all’espansione dell’economia cinese, ha contri-buito a frenare la recessione di quella nipponica. C’è però da osservare an-che che il clima in Giappone si è modificato per molti aspetti. Dal punto divista della sicurezza la questione fondamentale resta in larga parte la sceltadella classe politica nipponica dall’inizio del dopoguerra, di non modificarela costituzione del 1947 per evitare di essere accusata dai paesi asiatici di pre-parare un ritorno al militarismo, un atteggiamento che è risultato vincenteperché condiviso, sia pur per motivi diversi, dalla maggior parte dell’opinio-ne pubblica interna fino agli anni ’80. In seguito, tuttavia si è verificato uncambio anche generazionale, che spinge sempre più giapponesi a non con-siderarsi più responsabili delle vicende della Seconda Guerra Mondiale, purmolto spesso disapprovando il comportamento dell’esercito nipponico di al-lora, e a non accettare più una sorta di minorità in campo internazionale a

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29 R. Foot, China in the ASEAN Regional Forum: Organisational Processes and DomesticModels of Thought, «Asian Survey», vol. XXXV, n. 5, 1998, pp. 425-440, specialmente p. 435.

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causa delle colpe di quel momento30. In questo contesto una legge nel 1990approvò la partecipazione delle SDF alle PKO delle Nazioni Unite e nel 2001per la prima volta una campagna della stampa conservatrice ha contrattacca-to direttamente di fronte ai continui richiami e alle interpretazioni storichedi quella cinese sulle tragicità degli anni ’30 e il Massacro di Nanchino. Nel1998 la visita di Jiang Zemin a Tokyo, che si accompagnò ad un’ulteriore se-rie di richieste di scuse sul tema delle colpe di guerra, considerato chiuso dalGiappone dal 1972, si concludeva con un sostanziale insuccesso. In questocontesto, esacerbato da episodiche polemiche e prudenza ufficiale su altriproblemi come l’ingresso di navi non identificate, verosimilmente cinesi, inacque nipponiche, vediamo cominciarsi a delineare in Cina però due atteg-giamenti diversi. Da un lato nell’opinione pubblica continuano le critiche,che si richiamano al passato storico e alla questione di Taiwan, ove talvolta ilGiappone è stato anche indicato come un nemico più pericoloso degli StatiUniti, mentre poche variazioni si notano sulle riviste e nelle dichiarazioni del-l’APL; dall’altro però diversi analisti riconoscono il progresso che il Sol Le-vante ha fatto dopo lo Seconda Guerra Mondiale e il pacifismo della sua Po-litica Estera. Nell’anno 2000 un articolo sull’importante periodico Shijie Zhi-shi sostenne che lo sviluppo di amichevoli rapporti e la cooperazione avreb-be giovato a entrambi i paesi, che i cinesi avevano un atteggiamento inutil-mente emotivo, che la maggior parte dei giapponesi non negavano che laguerra del 1937 fosse stata di aggressione, che non bisognava continuare a so-pravalutare l’importanza dei nazionalisti estremi in Giappone. Nello stessoanno il Primo Ministro Zhu Ronji compì un viaggio nel vicino arcipelago, ri-conoscendo il progresso che questo aveva compiuto nel dopoguerra e affer-mando che non era più necessario che i giapponesi si sentissero responsabilidei crimini della Seconda Guerra Mondiale. Ambedue tali prese di posizio-ne sono andate incontro a repliche molto dure sia sulla stampa popolare chesulla rete internet, dove Zhu fu addirittura indicato come traditore, mentrealtri periodici continuavano a tener distinto il discorso della convenienza eco-nomica da quello sulle ambizioni politiche nascoste, anche di dominare ilmondo, o alle intenzioni di tenere la Cina in una condizione di inferiorità, chevenivano attribuite a Tokyo. In sostanza apparve chiaro che un ostacolo adun clima più disteso nei reciproci rapporti veniva più dalla pubblica opinione,

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30 Molte informazioni in, G. Rozman, China’s changing images of Japan, 1989-2001: thestruggle to balance partnership and rivalry, «International Relations of the Asia-Pacific», vol. 2,n. 1, 2002, pp. 95-129.

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che indubbiamente risentiva anche di decenni di pressione della propaganda uf-ficiale, che dal governo stesso. A livelli più sofisticati, si può in genere dire che daallora, insieme al riconoscimento dei positivi rapporti economici, viene spesso af-fermato che il Giappone tenda a ricavare via via una crescente area di potere a li-vello mondiale, giocando sulla decadenza dell’Urss, sul declino in prospettiva de-gli Stati Uniti e sul loro crescente bisogno di alleati, sicché è necessario stare inguardia di fronte all’ampliarsi della sua influenza politica. Ma sono comparse an-che considerazioni come quella per la quale la collaborazione a livello diploma-tico fra i due paesi può rivelarsi utile, considerando ad esempio che il Giapponeaspira ad un seggio permanente al Consiglio d Sicurezza delle Nazioni Unite, delquale la Cina fa già parte, mentre la Cina aspirava entrare nel G8 del quale ilGiappone è già membro31.

La palese contraddizione fra le due correnti di opinione ha continuato asvilupparsi fino ai giorni nostri con grande ricchezza di argomenti da entram-be le parti, ma va osservato che i commentatori più preparati nella RPC tendo-no spesso a staccarsi dagli stereotipi. È sui loro articoli che si trova il discorso,divenuto più pressante a cavallo della fine del secolo scorso, per il quale nonc’è da illudersi di frenare il potere unipolare degli USA consolidando i legamicon la Russia. L’alleanza fra Giappone e gli USA presenterebbe secondo certeanalisi ancora elementi di fragilità e se la Cina si avvicinasse al Giappone, que-st’ultimo potrebbe assumere un atteggiamento maggiormente autonomo, cosìda rendere più sicura ed equilibrata anche la posizione della RPC.

Questo discorso risente chiaramente della percezione di maggior isola-mento e debolezza avvertito dal governo di Pechino alla fine del ’900 ed è ba-sato sulla fine dell’illusione, nutrita negli anni ’80, che la società internaziona-le si stesse trasformando in senso multipolare. In special modo le vicende del-la guerra del Kosovo, a distanza di 8 anni dalla prima Guerra del Golfo, oltrea stimolare la riflessione sull’arretratezza delle forze armate cinesi, hanno ali-mentato un’esplosione di sentimenti ostili verso la Nato e il governo di Wa-shington, accusati di cercare un’egemonia nel mondo e di utilizzare come pre-testo il tema dei diritti umani per violare la sovranità di altri paesi, come espli-

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31 Sui rapporti fra Cina e Giappone sono interessanti, Wang Yizhou, Zhong Ri guanxi deshi ge wenti (Dieci questioni nelle relazioni tra Cina e Giappone), «Shijie jingji yu zhengzhi»,n. 9, 2003, pp. 8-9; Wu Sheng, “guoji tixi bianqian yu riben waijiao de xuanze” (Il cambiamen-to nel sistema internazionale e le scelte della diplomazia giapponese), «Shijie jingji yu zhengzhi»,n. 4, 2003, pp. 34-40; Shi Yinhong, Guanyu Zhong Ri guanxi de zhanluexing sikao (Riflessionistrategiche sui rapporti tra Cina e Giappone), «Shijie jingji yu zhengzhi», n. 9, 2003, pp. 10-13.

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citamente recitava un articolo sul Renmin Ribao del maggio del 199832. La Ci-na, oggetto di continue critiche a causa del trattamento delle minoranze, del-la questione tibetana, del dissenso religioso e ideologico, delle accuse ameri-cane di pirateria informatica e industriale, o anche militare come affermato dalnoto rapporto Cox del 199933, si è sentita fra i possibili oggetti di una PKO au-torizzata dall’Onu e il noto incidente del bombardamento dell’ambasciata ci-nese a Belgrado fu causa di forti proteste di piazza e di un’aspra reazione uf-ficiale34. Non c’è dubbio che questi stati d’animo si riflettessero, dopo che idue governi di Mosca e Pechino si erano trovati vicini nelle vicende diploma-tiche che precedettero l’intervento della Nato contro la Serbia, nel rafforza-mento dei legami con la Russia, testimoniato dal Trattato di Buon Vicinato,Amicizia e Cooperazione del 200135. Esso all’art. 9 stabilisce cha le due partisi consulteranno ogniqualvolta una minaccia di aggressione o di perturbazio-ne della pace, comunque rivolta agli interessi di sicurezza di entrambi si pre-sentasse ad opera di terzi. Le ragioni umanitarie portate per giustificare l’in-tervento in Yugoslavia hanno coperto secondo gli analisti cinesi la volontà ege-monica del governo americano e coincidono con una fase nella quale la Cinacomplessivamente ha visto declinare la sua influenza generale, per esempioverso la Corea nel Nord, che tuttavia è vitale per la sua sicurezza, dopo la mor-te di Deng Xiaoping nel 1997 e la fine del suo rapporto privilegiato con i ca-pi politici di Pyongyang36. In queste condizioni è logico che un atteggiamen-to più studiato verso il Giappone cominciasse a farsi notare all’interno dellaclasse dirigente, come è diventato ancora più chiaro dopo l’Incidente delleTorri Gemelle dell’11 settembre 2001 e i successivi episodi bellici dell’Afgha-nistan e dell’Iraq. Giova qui ricordare che la Cina ha sempre manifestato lasua opposizione a qualsiasi anche minimo aumento delle capacità militari delGiappone, compresa la legge del 1990 sull’uso delle SDF nell’ambito dellePKO delle Nazioni Unite, viste come un primo passo verso il ritorno alla co-stituzione di un’armata vera e propria. Analogo discorso è valso per l’invio del-

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32 Riportato nell’“Appendice” passim.33 D. Shambaugh, Modernizing China’s Military. Progresses…, cit., p. 347.34 Cfr. R. Chen, China Perceives America: Perspectives of International Relations Experts,

«Journal of Contemporary China», vol. 12, n. 35, 2003, pp. 285-297, che offre un utilissimo pro-filo di studi cinesi, e, R. Foot, Chinese Power and the Idea of a Responsible State, «The ChinaJournal», vol. 45, 2001, pp. 1-20.

35 Riportato in “Appendice”, passim.36 Cfr. V. D. Cha, Hawk Engagement and Preventive Defense on the Korean Peninsula, «In-

ternational Security», 2002, vol. 27, n. 1, pp. 40-78, specialmente p. 54.

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le JSDF in Cambogia nel 1992 e per quello di una squadra di dragamine inKuwait dopo la guerra del 1991. Tuttavia la risposta dell’America alla sfida delterrorismo islamico ha messo il governo di Pechino di fronte ad una serie dibivi. Le polemiche partite all’epoca della Guerra del Kosovo contro il “neoe-gemonismo” degli Usa sono continuate insieme alle prese di posizione in fa-vore del multilateralismo nelle relazioni internazionali e alla difesa del ruolo edel valore dell’ONU. Vari analisti cinesi hanno giudicato la campagna in Af-ghanistan come un pretesto per stabilire il controllo degli Usa sull’Asia Cen-trale e portare una minaccia strategica verso la Cina. Il contributo del Giap-pone a quest’ultima tuttavia ha trovato una moderata risposta da parte dei lea-ders della RPC durante la visita del Primo Ministro Koizumi a Pechino nel no-vembre del 200137, quando invece i toni molto decisi dell’uomo di stato giap-ponese nel presentare scuse per l’invasione del 1937 e la seguente guerra sem-brano essere stati particolarmente apprezzati. Ora non c’è dubbio che la cam-pagna contro il terrorismo lanciata dall’amministrazione Bush, se ha offertoulteriori argomenti a tutti quei critici, in Cina e fuori, che vi hanno vista unamascheratura per affermare l’egemonia unilaterale degli Stati Uniti sul mon-do, paradossalmente ha contribuito a migliorare il clima dei rapporti propriocon la RPC. Nel corso della campagna elettorale del 2000 diverse figure desti-nate ad assumere incarichi di governo nella successiva amministrazione, comeCondoleezza Rice38 e Paul Wolfowitz39 svilupparono la tesi che la Cina inten-deva “alterare la balance of power in Asia in suo favore” e che presentava unasfida storica l’idea di convincerla a cambiare lo status quo “solo pacificamen-te”, essendo una nazione emergente, ma non ancora una grande potenza. Inaltre parole essi la dipingevano come un paese insoddisfatto, guidato da un re-gime presentato come pericolante, che esprimeva una minaccia per la stabilitàinternazionale, non rispettava i “diritti umani” e andava tenuto sotto control-lo. Nel corso della campagna elettorale, Bush usò il termine “strategic compe-titor” a proposito della Cina e, dopo l’elezione, il clima nei rapporti fra i duepaesi peggiorò drasticamente sia dal punto di vista dei contatti fra le due am-ministrazioni, che nelle relazioni commerciali, mentre iniziative che mostrava-no simpatia per Taiwan, compresa la vendita di sottomarini, vennero prese.Nell’aprile del 2001 l’atmosfera che accompagnò l’incidente dell’aereo spia E-P3, malgrado gli sforzi poi dotati di successo di trovare una soluzione diplo-

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37 G. Rozman, op. cit., p. 123; P. Midford, op. cit., p. 139.38 C. Rice, Promoting the National Interest, «Foreign Affairs», vol. 79, n. 1, 2000, pp. 45-6239 P. Wolfowitz, Remembering the Future, «The National Interest», Spring 2000, pp. 35-45.

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matica, sembrò mostrare il livello di tensione oramai raggiunto. Per usare leparole di un sinologo francese, una nuova “Guerra Fredda” era cominciata40.L’incidente delle Torri Gemelle e la campagna contro il terrorismo tuttavia de-terminarono un rovesciamento nelle priorità degli Stati Uniti, disposti a consi-derare loro alleati tutti quei paesi che fossero disposti a collaborare con loro.Anche se all’interno dell’amministrazione continua ad esistere un partito chevede nel governo di Pechino una minaccia per la stabilità internazionale e at-tribuisce alla Cina un elenco di illeciti e di difetti, Washington mostra di consi-derare in ogni caso questo un problema che almeno per il momento deve esse-re considerato secondario di fronte alle minacce più gravi del fondamentalismoislamico. Dal canto suo la Cina ha offerto la sua collaborazione, senza neanchecercare di averne in cambio concessioni o vantaggi di carattere diplomatico co-me alcuni osservatori avevano pensato che avrebbe fatto. La minaccia terrori-stica esiste anche per Pechino e può essere collegata a quella dei separatisti delXinjiang, il che ha reso possibile un utile ponte con l’America. Le critiche de-gli Stati Uniti verso la Cina sul tema dei diritti umani sono fortemente scema-te, andando incontro ai desideri del governo cinese, e nell’agosto del 2002 l’am-ministrazione americana ha posto sulla lista delle organizzazioni terroristiche ilMovimento Islamico del Turchestan Orientale, già considerato un’organizza-zione criminale dalla RPC. Sul piano militare, la Cina ha disapprovato in termi-ni molto leggeri la denuncia da parte degli USA di ritirarsi dal trattato ABM (An-ti-balistic-missile) del 1972. Sintomi di cordialità si manifestarono al momentodel Summit dell’APEC tenuto a Shanghai nel 2002, con la partecipazione delpresidente e del Segretario di Stato americano. Non solo esso ha rappresenta-to un’altra tribuna dalla quale confermare la lotta al terrorismo, con l’evidenteapprovazione della Cina, ma sembra che abbia costituito un’occasione in cui ifunzionari cinesi hanno rassicurato le loro controparti americane che Pechinonon è contraria alla presenza degli Usa in Asia, purché non sia nociva per i suoiinteressi. Il Presidente e gli altri delegati americani dichiararono che la Cinanon era un loro nemico, la ringraziarono per il suo appoggio e usarono un lin-guaggio incoraggiante sui reciproci rapporti. L’anno seguente l’invito di JiangZemin al ranch di Crawford parve simboleggiare il cambiamento intervenuto41.

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40 Per i relativi riferimenti Lanxin Xiang. Washington’s Misguided China Policy, «Survi-val», vol. 43, n. 3, autunno 2001, pp. 7-24.

41 Per una sintesi di questi recenti eventi, cfr., ad esempio, J. D. Pollock, China and theUnited States Post-9/11, «Orbis», vol. 47, n. 4, 2003, pp. 617-627; D. Roy, China and the Waron Terrorism, «Orbis», vol. 46, n. 6, Summer 2002, pp. 511-521.

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In sostanza, riassumendo i dati e gli avvenimenti di questo paragrafo, sembralecito intravedere una traiettoria. La Cina ha dovuto riconoscere che l’evolu-zione dell’equilibrio internazionale di potenza in senso multilaterale, cheDeng si aspettava all’inizio degli anni ’90, non si è verificato e, invece, soprat-tutto sul piano militare, Pechino ha preso atto che la modernità tecnologica dialtri paesi, in primo luogo gli Usa, ma anche il Giappone, resta superiore allasua. Questo l’ha fatta sentire esposta ad un attacco in condizioni di inferiorità,mentre la partnership con la Russia non sembra sufficiente a compensare il re-lativo svantaggio. Mentre le relazioni economiche con i grandi paesi sviluppa-ti conservano la loro importanza, tutto ciò ha verosimilmente portato a irrigi-dire la posizione della RPC nella difesa dei principi della sovranità nazionale,un aspetto nel quale evidentemente rifluiscono sensi di frustrazione legati alpassato storico e alla condizione ancora arretrata di una gran parte del paesecon i sensi di debolezza che ne nascono. Tali due aspetti, il vantaggio econo-mico e il sospetto o la vigilanza dal punto di vista strategico, valgono ancheverso il Giappone. Nelle varie situazioni legate a dispute territoriali lungo la“fascia oceanica” si è tuttavia notata nell’ultimo decennio una crescente incli-nazione a rinunciare all’uso o alla minaccia della forza e a ricorrere a strumen-ti diplomatici42. Fra tutti i problemi legati ai rapporti con le grandi potenze, sinotano anche, principalmente sulle riviste dell’APL, segnalazioni sull’asseritopericolo costituito dall’India, con la sua flotta e la sua attenzione agli Stretti diMalacca, oppure le sue presunte pretese egemoniche, la sua inclinazione allacompetizione negli armamenti e nelle dispute confinarie43, alla tendenza a ve-dere il Tibet come un territorio “cuscinetto”. Viene anche sottolineata la que-stione nucleare in relazione alla Corea del Nord. Invece le dispute sulle Spra-tley sembrano oramai passate su un piano pressoché esclusivamente diploma-tico o giornalistico e soltanto la questione di Taiwan, con l’eventuale aggiuntadel problema delle Dyao-yu, ma a un livello assai più leggero, pare ancora pre-sentare densità dal punto di vista della sicurezza.

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42 A. Carlson, Constructing the Dragon’s Scales. China’s approach to territorial sovereignityand border relations in the 1980’s and 1990s, «Journal of Contemporary China», vol. 12, n. 37,November 2003, pp. 677-698.

43 D. Shambaugh, op. cit., pp. 305-7.

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Capitolo IIISicurezza e Strategia. La funzione dell’APL

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Pensiero strategico e Istituzioni Militari:il Lascito del Passato

Il pensiero strategico, inteso come “il modo in cui la forza militare è uti-lizzata per ottenere il desiderato risultato di un conflitto militare attuale o po-tenziale” costituisce un settore antico e rilevante della cultura cinese, il qualenon ha mancato di lasciare tracce nel pensiero di Mao Zedong e nella civiltàdella Cina moderna. Non sono pochi gli autori, i quali hanno sostenuto chequesta tradizione ha continuato a condizionare anche nel XX° secolo la men-talità e le scelte politiche, oltre che naturalmente il comportamento dei cinesiin guerra. Non si tratta tuttavia di una tradizione omogenea. Al suo interno sipossono infatti ricavare almeno due filoni importanti, l’integrazione dei qualiha dato luogo a scuole e dottrine diverse1. La tradizione principale è costitui-ta essenzialmente di regole e criteri sapienziali o filosofici, esposti nei cosid-detti classici, i quali nel periodo imperiale rappresentavano la sede ultima del-la cultura ufficiale e raccoglievano l’insegnamento attribuito a Confucio(Kongfuzi) e Mencio (Mengzi). A questo filone, ma non in senso stretto, ap-partenevano anche le opere delle scuole cosiddette legista e daoista, i cui testisi occupano anche di scienza militare e rappresentano due tradizioni antago-niste a quella dominante, anche se il contrasto non è particolarmente pronun-ciato nel campo che ci interessa. Specificamente alla materia della guerra neisuoi diversi aspetti (strategia operativa, grande strategia, tattica, organizzazio-ne militare, logistica, spionaggio etc.) erano invece dedicati i cosiddetti SetteClasssici Militari, un gruppo di opere appartenenti a più autori e scritte in mo-menti diversi, approssimativamente fra il V° secolo a.C e il X° d.C, le quali co-privano anche la materia del buon governo e degli ammaestramenti per i prin-cipi. Ciascuno di questi presenta problemi diversi di datazione e attribuzione,nonché specificità di contenuto. Essi si collegavano variamente alla cultura uf-

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1 I. J. Johnston, Cultural Realism. Strategic Culture and Grand Strategy in Chinese History,Princeton University Press, Princeton N. J., 1996.

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ficiale, ma sembravano in molti casi, almeno secondo una parte dei critici, svi-luppare una riflessione alternativa rispetto ad essa. Nel complesso mostranola consapevolezza di appartenere ad un’unica tradizione continuativa nel tem-po, a partire dal periodo dei cosiddetti Stati Combattenti (453-222 a.C.) perarrivare al periodo Song (960-1279 d.C.), durante il quale i testi furono defi-nitivamente fissati. È importante che rientrasse nel contenuto di alcune di que-ste opere anche come tutelare l’unità dell’impero contro i pericoli di fraziona-mento, secondo una tematica più volte attuale nella storia della Cina antica.

Come si è detto, è una questione aperta se le elaborazioni dei Sette Clas-sici Militari non abbiano in realtà finito per costruire una dottrina diversa ri-spetto ai principi filosofici della cultura ufficiale. La questione peraltro è mol-to complessa e squisitamente sinologica. Ci limiteremo perciò a esporre i prin-cipi generali riscontrabili nelle due tradizioni, suggerendo solo in generalepossibili elementi di accordo o di disaccordo e mostrando alla fine la soprav-vivenza di questa eredità nel moderno pensiero cinese, che secondo alcunigiunge al punto di influenzare il modo in cui certi autori hanno visto l’uso de-gli armamenti nucleari.

È comunque da tener presente preliminarmente lo scenario geograficocon riferimento al quale l’insieme di tali dottrine prese forma. L’antica Cinaera infatti cosciente di possedere una civiltà superiore rispetto ai popoli con-finanti e di differenziarsi da loro per il carattere stanziale della sua società, fon-data sull’agricoltura. Si tratta di un elemento che contribuì molto probabil-mente a dare un indirizzo difensivo al pensiero militare. In entrambi i filoniche abbiamo accennato comparivano una serie di concetti molto generali, al-la base dei quali era la dottrina per la quale la rettitudine del principe, la suabenevolenza verso i sudditi e il buon governo determinano la sicurezza e laprosperità dello stato. Tutto questo avrebbe dovuto indurre gli avversari e inemici esterni di un sovrano virtuoso a sottomettersi alla sua autorità, sicchéanche le minacce provenienti dall’esterno sarebbero cessate. Solo in casi estre-mi, e in mancanza di altre soluzioni, i confuciani e i daosti ammettevano il ri-corso alla forza militare. In questa concezione il nemico è essenzialmente unessere barbaro e incivile, il quale smette di essere tale nel momento in cui, conla sinizzazione, viene purgato dei suoi difetti. Analogamente essa contieneun’ovvia preferenza per la guerra limitata e una preventiva avversione alle esca-lations nei conflitti. Troviamo generalmente presente e dominante il concettodi “guerra giusta”, intesa come punizione verso qualcuno, tipologicamente ilsovrano di un altro stato, che si sia comportato in modo “improprio” o “in-giusto”, creando disordine rispetto al modo in cui le cose dovrebbero andare.

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Se un intervento benevolo non è sufficiente a riportare un principe alla mora-lità, allora diventa legittimo l’uso della guerra, che non deve determinare co-munque violenze o abusi non necessari contro i sudditi del vinto, una voltache questo sia stato debellato. È caratteristico di questa tradizione, tuttavia,che una volta deciso il ricorso alla guerra, diventi legittimo continuarla fino al-l’eliminazione del nemico, eventualmente anche oltre i propri confini, e nonesclusivamente fino al momento di far cessare il disturbo o la minaccia per ilregno che è stato aggredito. La tradizione confuciana contiene un chiaro prin-cipio per il quale di fronte ad una minaccia esterna sia in primo luogo prefe-ribile far ricorso a soluzioni pacifiche e ad aggiustamenti di natura diplomati-ca; solo in seconda istanza è giusto far ricorso alla forza con finalità difensivee, in caso di estrema necessità, si può ricorrere alla guerra offensiva. Sebbeneperò queste regole, ad un livello idealizzato e generale, non vengano contesta-te nei Sette Classici, una attenta lettura fa comprendere che, con sfumaturedifferenti, i loro autori accettavano l’uso della violenza, a seconda delle situa-zioni concrete, introducendo una sorta di logica da adottare caso per caso, ac-compagnata da una vasta gamma di insegnamenti di carattere più pratico. L’i-dea che si possa ricorrere ad invadere un paese nemico e a distruggerne le for-ze militari è ampiamente presente in questi testi. Non a caso la loro filosofia èin gran parte raccolta intorno al principio del cosiddetto quan bian ovverodella “flessibilità estrema”, in base al quale decidere quando il ricorso allaguerra diventi necessario non può essere stabilito altrimenti che caso per ca-so. Certi critici hanno ritrovato qui il criterio finale attraverso cui armonizza-re i concetti generali della filosofia con gli insegnamenti più pratici impartitidai Sette Classici. Mentre la tradizione confuciana avrebbe avuto un significa-to a livello astratto e avrebbe essenzialmente contenuto dei principi morali, iSette Classici, con l’aggiunta di una vasta letteratura sussidiaria, più che altroavrebbero presentato insegnamenti operativi. In sostanza perciò nessuno deidue tipi di fonti avrebbe offerto indicazioni sul livello al quale era ammesso ilricorso alla violenza. I primi essenzialmente si preoccupano di definire quan-do questa sia legittima, i secondi tendenzialmente presumono situazioni nellequali il comportamento del nemico sia già tale da giustificarla.

In tempi moderni, vari studiosi di strategia hanno insistito sulla validitàdella tradizione per il pensiero di Mao. Un elemento sicuramente presente nel-la sua filosofia era appunto la fedeltà al principio del quan bian, mascheratagià nelle sue opere degli anni ’30. Negli scritti del Grande Timoniere comun-que, l’influenza dei Sette Libri e principalmente del Sun Zi appare più chiara-mente di quella confuciana. Mao infatti rifiuta in toto la regola del “non com-

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battere e sottomettere il nemico”, nella quale si riassume l’idea per la quale lavirtù del principe determinerà la sottomissione dei nemici. Per lui la guerra èun “bagno di sangue”, che può e idealmente deve essere evitato o fatto cessa-re, ma ciò può essere in ogni caso ottenuto soltanto attraverso la guerra stes-sa e implica la necessità di avere adeguate forze militari. Una serie di cenni spe-cifici mostra in ogni caso il suo debito verso il pensiero più antico, naturalmen-te compreso il contenuto essenzialmente difensivo della sua dottrina strategi-ca. Notoriamente Mao poneva il centro dell’attenzione sulla cosiddetta “guer-ra del popolo”, a sua volta basata sull’ipotesi fondamentale di un attacco con-tro la Cina dall’esterno e sulle esperienze che avevano nutrito le sue riflessio-ni negli anni ’20 e ’30. L’invasore avrebbe dovuto essere fronteggiato attiran-do l’avversario nel territorio cinese, logorandolo attraverso la guerriglia e esau-rendolo, fino al punto di indurlo a ritirarsi. Caratteristicamente tuttavia, il suocomportamento durante la guerra di Corea pare aver mostrato che, una voltapresa la decisione di combattere oltre i confini nazionali, il fine diventava lasconfitta dell’avversario in sé, più che la finalità pura e semplice di respingerel’invasione2.

Classe Militare e Istituzioni Costituzionali.

Dal punto di vista organizzativo l’Armata Popolare di Liberazione (APL)era concepita dall’epoca della sua nascita come una forza di popolo, dotata diuna funzione di educazione politica dei contadini o delle “masse”, pensata al-l’epoca della Guerra Civile contro il Guomindang e della resistenza contro ilGiappone. L’APL risentiva notevolmente del modello sovietico, una caratteri-stica perfezionata dopo la nascita della RPC nel 1949. Essa originariamenteprese forma come strumento del Partito, nel quale l’attività dei CommissariPolitici si affiancava e si sovrapponeva a quella degli ufficiali nel senso profes-sionale del termine. Come conseguenza di questo discorso si assiste nella pri-ma fase della storia della RPC ad una duplice prospettiva. Da un lato ad unasostanziale subordinazione dei secondi ai primi, dall’altro in alcuni momenti,il più noto dei quali copre la seconda parte degli anni ’50, a tentativi di riven-dicare autonomia negli aspetti più tecnici da parte della gerarchia militare insenso stretto. Tali eventi, peraltro, come accadde nel 1959 al momento della

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2 T. C. Christensen, Threats, Assurances and the Last Chance for Peace: The Lessons ofMao’s Korean War Telegrams, «International Security», vol. 17, n. 1, 1994, pp. 122-154.

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destituzione del Ministro della Difesa Peng Dehuai, non furono indipenden-ti da diversità di impostazione in materia di sicurezza e di Politica Estera, da-to che in quell’epoca i circoli militari vicini a questo personaggio erano favo-revoli, al contrario di Mao, a conservare un rapporto preferenziale con l’Unio-ne Sovietica e avevano vedute opposte al Grande Timoniere sul problema del-l’adozione di un armamento nucleare. Dopo una fase preparatoria, all’epocadella costituzione del 1954 venne regolata definitivamente la posizione istitu-zionale delle forze armate cinesi. La costituzione3 introdusse una “Commis-sione Militare Nazionale” (Guofang Weiyuanhui) come organo consultivo,mentre il Comitato Centrale del PCC decise di creare una Commissione Mili-tare Centrale (Zhongyang Junshi Weiyuanhui, usualmente abbreviato in CMC),sottoordinata al partito stesso, con il compito di “guidare completamente”(quanlingdao) le forze armate. La prima delle due smise di funzionare durante la Ri-voluzione Culturale e fu abolita nel 1975 dal Congresso Nazionale del Popo-lo. La seconda fu in gran parte disattivata anch’essa durante la RivoluzioneCulturale e fu interamente riformata al momento dell’ascesa di Deng Xiao-ping. Nel 1982 fu ristabilita una Commissione Militare Centrale dello Stato.Ciò ha portato all’esistenza di due corpi identici nella composizione e nellefunzioni, distinti fra loro solo formalmente nel senso che la CMC di Stato ri-sponde al Presidente della Repubblica e al Comitato Permanente del Congres-so del Popolo. Anche se la nomina dei membri segue procedure diverse, laprassi vuole che in concreto anche la composizione delle due commissioni noncambi. L’apparente incongruità di questo sistema, si spiega, secondo la dottri-na cinese, con la complementarità tra lo stato e il partito. La Commissione èsottoordinata all’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCC e un rappor-to verticale sussiste perciò fra le forze armate e il Partito. L’effettivo pinnaco-lo delle forze armate cinesi è quindi questo organo, ed è al suo interno che siproietta il rapporto fra militari e civili, con tutte le sue conseguenze anche sul-la politica estera e la sicurezza nazionale, mentre il Ministero della Difesa inCina ha in pratica una funzione prevalentemente di rappresentanza nell’am-bito dei rapporti con altri stati, con la chiosa che anche l’attività degli Addet-ti Militari e Navali all’estero fa prevalentemente riferimento alla CMC. Lacomposizione della CMC non è rigidamente prefissata. La costituzione oggi invigore prevede che il Congresso Permanente del Popolo elegga il Presidentedella CMC di stato e che quest’ultimo nomini gli altri membri. In pratica nel

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3 Sulla CMC, è esauriente D. Shambaugh, cit., pp. 108-124, che offre informazioni anchesui precedenti di questa figura nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale.

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periodo maoista a Mao stesso e a un piccolo gruppo di circa sei membri si ag-giungeva un numero variabile di altre figure. A partire da Deng Xiaoping, edefinitivamente dopo l’abolizione della carica di Segretario Generale nel1992, la prassi ha fissato un certo numero di membri di diritto, che sono i Ca-pi dei Tre Dipartimenti delle forze armate, più il Capo di Stato Maggiore e ilMinistro della Difesa, ai quali si sommano alcuni Vice-Presidenti e un Presi-dente, e inoltre altri personaggi nominati senza un organigramma prefigurato.Attualmente tutti i membri, salvo il Presidente, sono alti ufficiali delle forsearmate. La carica di Presidente della Repubblica e di Presidente della CMChanno smesso del tutto di coincidere dopo la rinuncia di Jiang Zemin, il 19settembre 2004, a quest’ultimo rango, che egli, come Deng Xiaoping, avevacontinuato a occupare anche dopo esser cessato da quella di Presidente dellaRepubblica. La CMC, che al suo interno comprende svariati uffici, controlladirettamente lo Stato Maggiore e i tre Dipartimenti delle forze armate (Politi-co, Logistico e degli Armamenti). Inoltre, attraverso lo Stato Maggiore, eser-cita il comando diretto sulle sette regioni militari in cui è divisa la Cina e so-vrintende amministrativamente all’Accademia delle Scienze Militari e all’Uni-versità Nazionale della Difesa, oltre che ai corpi responsabili della protezionedelle alte cariche politiche. L’organizzazione interna, sebbene descritta da va-rie opere di studiosi occidentali, è ufficialmente segreta, ma comprende certa-mente il comando diretto, sempre filtrato attraverso lo Stato Maggiore, dellacosiddetta “Seconda Artiglieria” (DI ER PAO BING), una struttura creata ori-ginariamente da Zhou Enlai nel 1966, che oggi si occupa delle testate e del-l’arsenale missilistico, sia convenzionali che nucleari, e gode di un particolareprestigio e di una speciale posizione, indipendente rispetto agli altri servizidell’esercito e della marina, rappresentando probabilmente il settore più avan-zato delle forze armate cinesi.

Da quando la presidenza della CMC fu assunta da Jiang Zemin nel 1989,si è assistito a importanti cambiamenti, perché il numero dei membri civili siè andato riducendo notevolmente, mentre le attività dell’organo sono andateconcentrandosi sempre di più sulla gestione professionale delle forze armate.Sembra che la confusione di ruoli civili e politici tipici del periodo maoista sisia attenuata. Si è ridotto il numero delle occasioni nei quali il parere delle for-ze armate è richiesto su temi di altra natura e sembra che sia diminuito il va-lore del ruolo di Commissario Politico, anche se il Dipartimento Politico Ge-nerale, che controlla e registra il comportamento appunto politico degli uffi-ciali, pare continui ad avere una certa influenza sulle carriere di questi ultimi.Sono aumentate le funzioni della Polizia Armata del Popolo, responsabile del-

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l’ordine interno, che ha parzialmente scaricato l’APL di alcuni suoi compiti,sebbene le resti attribuita la responsabilità fondamentale in materia di sicurez-za interna dello stato, che secondo la legge fa capo alla CMC. La professiona-lizzazione delle forze armate, che è stata rallentata nel periodo fra la strage diTien Anmen e il 1992 da una fase di rinnovato controllo ideologico sui qua-dri, ha inoltre preso la forma di un elenco di norme e di regolamenti, forma-lizzando tutta la materia in un modo nuovo per la tradizione cinese. La leggeper la Difesa Nazionale del 1997 inoltre, secondo alcuni sfiorando la contrad-dizione o almeno una certa ambiguità rispetto al ruolo del PCC, ha posto l’in-tera struttura militare sotto lo Stato4. Probabilmnte i fatti di Tien Anmen del1989 hanno favorito, contro ogni previsione, il distacco fra la classe politica equella militare. Dopo la repressione, molti ufficiali furono puniti per essersiopposti all’intervento dell’esercito, oppure per essersi sottratti a prenderviparte e, negli anni dal 1989 al 1992, sotto la guida dei generali Yang Baibing,all’epoca Segretario Generale della CMC e Capo del Dipartimento PoliticoGenerale, e di suo fratello Yang Shangkun, all’epoca Presidente della Repub-blica, venne sviluppata una campagna che tendeva a riaffermare il controllodel partito sulle forze armate e a promuoverne e proteggerne la purezza ideo-logica. Si trattava di un processo, già iniziato precedentemente in evidentecontrapposizione alle tendenze più liberali della classe politica, più o menocontemporaneamente allo scontro politico che portò alla caduta del Segreta-rio Generale del PCC Hu Yaobang nel 1987. Di fatto però il clima creato sot-to l’influenza dei “due Yang” provocò forti reazioni e favorì il sospetto che es-si mirassero ad aumentare soprattutto il loro potere personale. Alla fine il 14°Congresso del 1992 privò il primo di entrambe le cariche, che rivestiva, e ri-dimensionò la posizione del secondo. Questo fatto aprì la strada all’era diJiang Zemin, il primo non militare ad aver presieduto la CMC. Una serie diriforme che hanno drasticamente ridotto l’autonomia economica e finanziariadelle forze armate hanno in seguito ulteriormente contribuito a dare loro unafisionomia decisamente più “tecnica” rispetto ai decenni precedenti5. Può es-sere interessante ricordare che il problema della professionalizzazione delleforze armate con i suoi riflessi sulla lotta politica non è stato probabilmenteindipendente dalla crescita dell’importanza della marina fra gli anni ’80 e ’90.Abbiamo visto che in quegli anni per una serie di ragioni diverse, la RPC svi-luppò una politica navale più attiva che in passato. Dal punto di vista econo-

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4 D. Shambuagh, op. cit., pp. 20 ss.5 D. Shambaugh, op. cit., capp. 5 e 6.

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mico era cresciuto l’interesse per le risorse del mare territoriale e della EEZ;dal punto di vista strategico i concetti di “difesa attiva” e “deterrenza limita-ta”, su cui torneremo nel prossimo paragrafo, incoraggiavano la visione per laquale c’era da essere pronti ad agire militarmente oltre il mare territoriale e bi-sognava modernizzare tecnologicamente la flotta; dal punto di vista di politi-ca interna questo andava incontro ai desideri delle regioni della Cina meridio-nale, come l’isola di Hainan, dove sorgevano le prime Zes e, nello stesso tem-po, secondava un certo rinascente nazionalismo della pubblica opinione; dalpunto di vista internazionale era parallelo alla rivendicazione di diritti di so-vranità da parte della RPC sulla “fascia oceanica”. Ora sembrerebbe che DengXiaoping favorisse la modernizzazione navale anche perché i fautori di que-st’ultima, essendo in linea di massima vicini all’ala più “liberale” del PCC, con-trobilanciavano l’influenza dei conservatori, assai più forti nell’esercito, comei fratelli Yang, la cui linea non coincideva anch’essa col riformismo di Deng.In questo contesto si verificò l’ascesa politica del principale leader navale cine-se del dopoguerra. Dopo una militanza che risaliva ai tempi della Lunga Mar-cia e un successivo elenco di cariche minori, nel 1979 Liu Huaqing fu nomina-to Vice-capo di Stato Maggiore e membro della CMC, e nel 1982 Comandantedella Flotta. Nel 1984 prese pubblicamente posizione in favore dei tre princi-pi di “eliminare i …perniciosi effetti del sinistrismo”, creare le condizioni peravere una marina potente, rafforzando l’economia e migliorare la preparazio-ne del personale navale. Liu fu un attivo sostenitore del rafforzamento sul ma-re e delle tendenze espansive di quegli anni, ma all’interno della CMC sembraessersi schierato con Deng contro i conservatori. Nel 1987 prese pubblicamen-te posizione a favore del riformismo del Segretario Generale del PCC ZhaoZhiyang e nel 1989 la marina con vari pretesti cercò di sottrarsi alla repressio-ne di Tien Anmen, mentre vari ufficiali si disse che avessero simpatia per i di-mostranti. Nel 1989 Liu fu nominato Vice-Presidente della CMC, dove contri-buì a frenare il l’influenza del gruppo dei “due Yang” fino al 1992. È stato so-stenuto che lo sviluppo degli armamenti e l’importanza delle politica navale de-gli anni ’80 e ’90 siano stati una conseguenza dell’alleanza fra Deng e Liu e del-la delicata funzione esercitata in quel momento dall’ammiraglio nel quadro deirapporti fra Deng ed altri esponenti delle forze armate, i quali dal 1977 cerca-vano di frenare il corso riformatore del successore di Mao6 e approfittavano

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6 Oltre al citato articolo di J. W. Garver, vedi soprattutto E. Heginbotham, The Fall andRise of Navies in East Asia, Military Organizations, Domestic Politics and Grand Strategy, «In-ternational Security», vol. 27, n. 2, 2002, pp. 86-125, specialmente pp. 113-114.

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della formale parità fra i membri della CMC. Il rallentamento nel tasso di cre-scita nelle costruzioni navali e nella dinamica della politica navale durante l’ul-tima decade del ’900 potrebbero esser dipesi dal fatto che, dopo il 1992, la ma-rina perse la posizione politicamente privilegiata del decennio precedente.

È possibile tuttavia che nel sistema politico cinese più che altro si sia mo-dificata la cintura di trasmissione dei suggerimenti che vengono dalle forze ar-mate alla classe politica, in gran parte grazie alle personali qualità di Jiang Ze-min. Tipicamente egli riuscì a rivestire il ruolo di portavoce all’interno del go-verno delle istanze dell’APL, evitando espliciti confronti fra militari e civili eproblemi costituzionali all’epoca della crisi di Taiwan nel 1995-96 e durante lacrisi del Kosovo. È interessante che vari critici e osservatori abbiano attribui-to a questo personaggio una funzione arbitrale essenzialmente spoglia delletendenze autoritarie dei suoi predecessori, tra i diversi segmenti dell’élite di-rigente. Sotto di lui si è assistito ad un avvicendamento senza precedenti, dal-la morte di Lin Biao nel 1971 in poi, nella composizione della CMC e nelle al-tre cariche militari, ma questo si è accompagnato ad un rapporto di fiducia edi sostegno tutto sommato continuativo di cui Jiang ha goduto da parte dellagerarchia militare. In sostanza, anche per un fenomeno di ricambio generazio-nale, probabilmente si sta modificando in Cina il modo in cui le forze armateinfluiscono sui meccanismi di formazione delle decisioni politiche.

La “Rivoluzione negli Armamenti” e le sue conseguenze sulla Sicurezza

Come si vedrà nell’ultimo capitolo e in parte abbiamo anticipato, al cen-tro dei problemi legati alla sicurezza internazionale per la RPC, con le sue im-plicazioni di politica estera, si trovano oggi, fra le altre, alcune questioni, co-me il problema di Taiwan e le altre relative al “Confine Oceanico”, le qualiportano con sé problemi di confronto in termini di equilibrio negli armamen-ti con paesi vicini e ipotesi almeno teoriche di guerra in certe circostanze. Èevidente che questo tipo di quadro è collegato alle scelte politiche e alla vocein capitolo complessiva esercitata dall’APL, non fosse altro che per i condizio-namenti di tipo tecnico che ne derivano rispetto alle scelte strategiche.

Consegue da questa premessa che le questioni relative alla sicurezza, ancheper ragioni economiche come vedremo, sono state fortemente influenzate dalnuovo volto della dottrina militare che si è affermato dall’ultimo decennio del’900, attraverso le esperienze pratiche della Prima Guerra del Golfo nel 1991 edella Guerra del Kosovo nel 1998. Ambedue gli episodi hanno contribuito a

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mettere in evidenza il potente scarto in termini di capacità bellica che esiste og-gi fra gli Stati Uniti e tutte la altre potenze del mondo, compresa la Cina, ren-dendo più intensa la preoccupazione per il cosiddetto “unilateralismo america-no”, che è uno dei targets più presenti nei contributi degli analisti e nelle preoc-cupazioni del governo cinese. Inoltre questa cosiddetta “Rivoluzione negli Ar-mamenti” (RMA), ha determinato un ripensamento profondo nella dottrina mi-litare cinese, che a sua volta contribuisce a influenzare l’atteggiamento della RPCin tutte le questioni a proposito delle quali si possa parlare di competizione stra-tegica. Per fare un esempio, se la Cina avviasse oggi una gara col Giappone, cheha armamenti tecnologicamente più avanzati in media dei suoi, ciò porterebbeun onere economico molto notevole per la RPC, la quale dal 1989 ha sostenutoun incremento annuo della spesa militare sopra l’11%, raggiungendo il 17% nel2001, ma ancora adesso ha standards di spesa per le esercitazioni militari che ri-sultano estremamente ridotti, e in qualche caso ridicoli a detta di alcuni esper-ti, rispetto a quelli americani, e in ogni caso un GNP calcolabile tra il 20 e il30/35% di quello giapponese. Le necessità tecnologiche mettono la Cina in unaspecifica difficoltà, perché la sua base industriale, a dispetto degli alti ritmi dicrescita economica, risulta inadeguata rispetto ai nuovi tipi di armamenti, larga-mente basati sull’informatica e l’elettronica. Inoltre la RMA rende indispensabi-le una innovazione radicale della dottrina strategica, a cui i vertici delle forze ar-mate sembrano non essere preparati. Una conseguenza di questo discorso, cheha evocato un dibattito volto a paragonare la situazione attuale a quella della fi-ne dell’Ottocento, quando si pose il problema di modernizzare le forze militaridell’impero Qing, è che l’adeguamento della Cina alla nuova situazione passa ingran parte attraverso l’acquisto di armamenti moderni principalmente dall’ex-Unione Sovietica, contribuendo notevolmente a consolidare la partnership fra idue paesi, specialmente dopo che l’approvvigionamento dai paesi occidentali fuinterrotto all’indomani della strage di Tien Anmen nel 1989. La complessiva de-bolezza che da questo consegue, però, indubbiamente contribuisce ad alimen-tare l’atteggiamento difensivo della RPC e il suo geloso attaccamento al princi-pio classico della sovranità nazionale. Anche le polemiche contro gli Usa dall’in-vasione dell’Afghanistan in poi, hanno probabilmente un retroterra nella con-sapevolezza dell’inferiorità militare nella quale la Cina si trova. Venendo allospecifico discorso della trasformazione nelle dottrina militare, ricorderemo chenel periodo maoista essa conservava un carattere essenzialmente difensivo e fon-dato sull’ipotesi di una guerra terrestre, nella quale l’elemento umano avrebbegiocato la parte principale. L’adozione di un armamento nucleare, con la primaesplosione nel 1964, modificò solo marginalmente questo quadro di riferimen-

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to, poiché, anche dopo che nel 1980 l’arsenale cinese venne a comprendere mis-sili balistici capaci di colpire il continente americano, l’ipotesi di utilizzo di que-ste armi rimase quella della “deterrenza minima”7, la quale prevedeva il loro usoesclusivamente nel caso che, nel corso di una guerra di aggressione portata dal-l’Urss oppure dagli Usa, gli invasori avessero utilizzato armamenti nucleari perprimi. Per questa ragione è legittimo vedere qui la traccia del pensiero cinesetradizionale.

L’esigenza di ammodernare la macchina militare fu fatta rientrare nelle“Quattro Modernizzazioni” di Zhou Enlai e poi riaffermata da Deng Xiao-ping, il quale tornò sull’argomento con maggior vigore dopo la povera provadi sé che l’esercito cinese aveva dato nella guerra contro il Vietnam del 1979.Nel corso degli anni ’80, anche nel quadro dell’attenzione per le questioni ma-rittime, venne modificato uno dei cardini della dottrina tradizionale, poiché siaffermò l’idea che la Cina, per proteggere i suoi diritti ed interessi territoriali,doveva essere pronta ad intervenire anche oltre i suoi confini, seppure in ri-sposta ad un colpo vibrato dall’esterno. Ciò implicava la necessità di esserepronti ad agire in episodi limitati, allontanandosi così dal principio maoistaper il quale la guerra era vista come totale. La difesa cioè, avrebbe dovuto es-sere considerata non più come passiva, ma come “attiva”. Gli avvenimenti del-la Prima Guerra del Golfo nel 1991 tuttavia8, colsero fortemente di sorpresagli esperti cinesi, i quali avevano previsto che le forze della coalizione occiden-tale sarebbero affondate in una lunga guerra di esaurimento sul tipo del con-flitto fra Iran e Iraq ovvero dello stallo in cui erano cadute le forze sovietichenel corso dell’invasione dell’Afghanistan. Al contrario, la rapida disfatta irake-na, dovuta agli armamenti e alle tecniche moderne, fondate sull’uso di tecno-logie avanzate da parte degli Usa, offrì un quadro del tutto diverso. La coali-zione che combatteva sotto la bandiera delle Nazioni Unite vinse grazie all’u-so intensivo di una serie di strumenti che le forze armate cinesi ancora nonpossedevano, quali la tecnologia stealth, le “armi intelligenti” e i bombarda-menti di precisione, il numero calcolato di sortite aeree, il coordinamento del-le operazioni attraverso il comando aereotrasportato e i sistemi di controlloinformatizzato, il fatto di far partire gli aerei da migliaia di chilometri lontano

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7 D. Shambaugh, op. cit., pp. 91-92.8 Per l’evoluzione della dottrina strategica cinese vedi J. T. Dreyer, The PLA and Kosovo:

A Strategy Debate, «Issues & Studies», vol. 36, n. 1, January-February 2000, pp. 100-119. Inparticolare per l’impatto della Prima Guerra del Golfo, Chong Pin-lin, Chinese-Military Moder-nization. Perceptions, Progress and Prospects, «Security Studies», vol. 3, n. 4, 1994, pp. 718-753;D. Shambaugh, op. cit., cap. 3.

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facendo uso del rifornimento in volo, la capacita di “accecare” gli strumentiinformatici irakeni, la logistica avanzata e capace di agire nel deserto, l’uso de-gli Awacs, dei satelliti e dei computers per individuare gli obiettivi, la capacitàdi agire in qualsiasi tipo di spazio, l’importanza dei missili patriot, i sensori spa-ce based, l’uso aereo dei raggi laser e dei virus informatici, che disattivavano icomputers avversari. Sul piano tattico l’importanza di un comando integratoche facesse uso di computers e satelliti, dirigendo nello stesso tempo forze ae-ree, terrestri e navali ha probabilmente mostrato agli strateghi cinesi l’elemen-to che era maggiormente carente nel loro bagaglio. Nello stesso tempo il co-sto economico di un dispositivo di questo tipo li ha posti di fronte ad una al-ternativa, la quale ha dato origine a diverse scuole di pensiero, così da stimo-lare una intensissima attività di ricerca e di dibattito. Da un lato alcuni osser-vatori hanno ribadito che le tradizionali dottrine maoiste mantenevano il lorovalore, anche considerando che le difese irakene nel corso della guerra aveva-no raggiunto risultati positivi nell’occultare non solo mezzi e unità militari, maanche la strumentazione relativa all’intelligence, al comando e ai computers, esfruttando opportunità naturali probabilmente inferiori rispetto a quelle chela Cina poteva offrire. Certi osservatori sostennero la validità dell’uso di armichimiche o batteriologiche, o persino di tipo terroristico, tali da colpire inprofondità un paese avversario, dotato di una struttura profondamente inte-grata come gli Stati Uniti e vulnerabile ad esempio ad un attacco contro le sueistituzioni finanziarie. Al di là delle ricadute nel romanzesco, un po’ tutte que-ste impostazioni tendevano a sostenere che esistevano rimedi o compensazio-ni per la condizione di arretratezza delle forze armate cinesi rispetto ai paesipiù sviluppati, anche perché alcuni prevedevano di poter integrare questi mez-zi anche con certe forme di armamento molto moderno. Ad esempio, furonosviluppate teorie sulla tecnica cosiddetta dell’“agopuntura” ovvero dell’usodei cannoni laser per accecare i satelliti avversari9. La corrente di pensiero co-munque, che ha insistito sul fatto che per la Cina gli strumenti tradizionali con-servano il loro valore, evidentemente continua ad avere un valore soltanto nel-l’ipotesi di una guerra puramente difensiva, seguita all’invasione del territorionazionale. Sul versante opposto, altri studiosi presero in esame la possibilitàche la Cina si dotasse di armamenti tecnologicamente avanzati, tali da moder-nizzare interamente tutto il suo dispositivo militare. Questa seconda ipotesiportava con sé il corollario di essere pronti ad affrontare una guerra generaleoppure a costruire un deterrente valido per l’ipotesi di guerra totale utilizzan-

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9 J. T. Dreyer, The PLA and Kosovo….., cit., p. 115.

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do gli strumenti di alta tecnologia sopra riassunti. Tale visione però, implica-va un livello di spesa per gli armamenti di gran lunga al di sopra delle possibi-lità della Repubblica Popolare e deve essere considerata puramente teorica.La guerra nell’ex-Yugoslavia sollecitò ancor di più l’attenzione degli esperti ci-nesi, che si resero conto della necessità di rivedere alla radice la loro dottrinastrategica. L’applicazione di potenza aerea proveniente da migliaia di chilome-tri lontano, di satelliti, di impulsi elettromagnetici inviati dal cielo e di ondatedi virus informatici tali da confondere o accecare la strumentazione elettroni-ca serba, fecero capire ai cinesi che al centro della guerra moderna non è piùla terraferma, ma piuttosto il “ciberspazio”10 dove agiscono i diversi tipi distrumenti ad alta tecnologia in modo combinato, rinunciando alla terrafermacome riferimento principale. La particolare debolezza della Serbia, dovuta al-la scarsità di strumenti difensivi, in special modo aerei, fu anche notata in que-sto contesto. Come conclusione l’APL ha elaborato il concetto di “Guerra Li-mitata in Condizioni di Alta Tecnologia”11. In pratica si è continuato a svilup-pare l’impostazione decisa da Deng Xiaoping nel 1985 per la quale la Cina po-trebbe essere coinvolta in guerre limitate, arricchendo questo punto di parten-za con lo studio delle necessarie innovazioni tecniche, e di conseguenza stra-tegiche e tattiche, che le varie situazioni particolari potrebbero richiedere. An-che per il campo delle armi nucleari, gli specialisti dalla RPC hanno elaboratouna nuova dottrina, diversa da quella sopra accennata della “deterrenza mini-ma” e invece chiamata della “deterrenza limitata”12.

La prima mancava in sostanza di qualsiasi operatività, dietro l’assuntoteorico che la possibilità di colpire comunque un avversario, anche il più po-tente, scoraggia quest’ultimo dall’usare per primo le armi nucleari. La “deter-renza limitata” invece sta ad indicare che in particolari conflitti, appunto limi-tati, e sempre nell’ipotesi di second strike, le forze armate cinesi dovrebberoessere pronte ad utilizzare armamenti nucleari anche tattici, eventualmenteesplosi da terra oltre che dal cielo. Durante la Guerra del Kosovo, venne at-tribuita al Vice-Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Xiong Guankai13 la bat-tuta che se gli Usa avessero colpito la Cina, questa avrebbe risposto con le ar-mi nucleari. I critici si sono domandati però, fino a che punto tale nuova im-

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10 D. Shambaugh, op. cit., pp. 75-76.11 Ivi, pp. 81-94.12 Sulle questioni relative alla deterrenza, cfr. I. J. Johston, China’s New “Old Thinking”. The

Concept of Limited Deterrence, «International Security», vol. 20, n. 3, Winter 1995/96, pp. 5-42.13J. T. Dreyer, The PLA and Kosovo, cit., p. 105.

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postazione abbia realmente portato qualcosa di nuovo, considerando che ilnumero delle testate nucleari cinesi resta considerevolmente al di sotto, pro-babilmente nella proporzione di uno a sette, rispetto agli Stati Uniti e che lacomplessiva strumentazione è più arretrata. I missili balistici cinesi, di regola,devono essere montati e alimentati di carburante prima del lancio, il che ri-chiede una quantità di tempo che li espone ad essere distrutti, non hanno piat-taforme di strategic reconnaissance, sfruttando invece spesso opportunità na-turali come caverne o foreste, e non sono tenuti in silos tali da proteggerli ade-guatamente in caso di attacco anche convenzionale. Non abbiamo notizie par-ticolarmente attendibili, ma è lecito affermare che oggi la RPC stia cercandodi ovviare a tutti questi inconvenienti e che disponga di una piena gamma dimissili balistici a medio e lungo raggio, anche a combustibile solido, che pos-sono essere lanciati sia da terra che dal mare14. Il combinato di strumenti co-me i missili balistici a medio raggio e il dispositivo nucleare sopra accennatoha fatto parlare di “deterrenza credibile”. Si è così sviluppata una produzioneamplissima di studi e contributi su pubblicazioni di carattere specializzato, neiquali i tecnici cinesi hanno mostrato il loro profondo interesse verso i variaspetti della guerra condotta secondo l’high tech e la loro conoscenza delle ri-viste scientifiche straniere, ulteriormente sollecitato dalla campagna in Afgha-nistan, condotta per iniziativa degli Usa contro i Talebani.

Questo fatto non manca di portare con sé un elenco di sfaccettature al-meno in parte contraddittorie. Non esiste al momento attuale prova che l’at-tenzione dei centri di ricerca e di studio abbia generato una revisione effetti-va e generalizzata nei programmi, nelle dotazioni e nell’operatività delle forzearmate, sebbene alcuni settori di queste ultime siano stati indubbiamente mo-dernizzati. In certi aspetti importanti, come l’integrazione dei servizi militari(forze di terra, navali ed aeree) ad esempio i progressi, sebbene iniziati, sem-bra che siano ancora molto limitati. Per fare un esempio concreto, i cacciaSukhoi 27 e 30, dotati di strumenti elettronici e acquistati dalla Russia, sem-bra che siano stati usati con un certo disagio dall’aeronautica cinese, mentre illivello medio dei piloti resta probabilmente al di sotto di quelli giapponesi15.

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14 D. Shambaugh, op. cit., p. 280. 15 Ivi, pp. 262-265. La recente visita del Primo Ministro Hu Jintao in Europa, ha genera-

to l’impressione a livello giornalistico che la RPC intenda riparare a questa difficoltà avviandoforme di collaborazione con paesi europei, principalmente la Germania e ancor più la Francia,che potrebbero succedere al riavvio delle esportazioni di materiale bellico sospese in seguitoalla crisi di Tien Ammen, cfr. R. Ferretti, Cina, fine dell’embargo? Panorama Difesa, 2004, pp.42-47.

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Ancor peggio, sebbene le istruzioni di studiare la nuova scienza militare sianostate formalmente impartite dalla CMC, diversi osservatori ritengono che la ca-pacità di afferrare tutti gli aspetti e la implicazioni della RMA al livello più al-to delle autorità militari resti insufficiente. Da un altro punto di vista l’APL sitrova di fronte a un problema insidioso. Come si è detto, il problema di adat-tarsi alle nuove condizioni deriva in gran parte dall’inadeguatezza della baseindustriale della Cina rispetto alle esigenze dell’informatica e della tecnologiamoderna, applicate alle esigenze militari. Ora a questo punto da un lato l’APLsi sente spinta a potenziare i suoi strumenti, chiedendo adeguati fondi al go-verno, dall’altra la rapidità dei progressi scientifici sul piano globale permetteai concorrenti strategici della Cina, i quali già si trovano su posizioni avvan-taggiate, di aggiornarsi con una rapidità che per le forze armate della RPC ri-mane poco raggiungibile. Di conseguenza l’impegno crescente, che rispondeanche a certi impulsi della pubblica opinione sollecitata dal nazionalismo insviluppo, non riesce probabilmente a impedire che il divario in termini di po-tenza fra la Cina e i suoi ipotetici avversari, anziché ridursi, come molti pen-sano, proporzionalmente alla crescita dell’economia cinese, si vada invece al-largando, malgrado il tasso di aumento della spesa militare resti alto.

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Capitolo IVUn bilancio: Incertezze Presenti e Prospettive Future

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Come si è visto nel Secondo Capitolo, l’episodio delle “Torri Gemelle”dell’11 Settembre 2001 ha segnato una svolta nelle relazioni fra la RPC e gliStati Uniti, la quale paradossalmente ha contribuito a migliorare i rapporti frala Repubblica Popolare e gli Usa. Da un lato, Pechino ha infatti collaboratoalla lotta contro il terrorismo, richiedendo un apposito documento anche insede APEC; dall’altro al vertice di Shanghai del 2002 il Presidente americanoBush ha rinunciato a usare il termine “concorrente strategico” (strategic com-petitor) nei riguardi della Cina. Malgrado siano continuate le polemiche sullavendita di armi a Taiwan, al momento della visita del Primo Ministro Wen Jia-bao a Washington nel dicembre del 2003, l’amministrazione Usa ha ribaditola posizione per la quale l’America si oppone sia ad una dichiarazione di indi-pendenza da parte di Taiwan che ad una soluzione militare della questioneoperata da Pechino. Non solo ma Bush ha precisato, ricevendo nella Sala Ova-le della Casa Bianca il Premier cinese, che Taipei non dispone di un “blankcheque to be filled out in American blood”1. In sostanza l’impressione è che gliStati Uniti potrebbero intervenire in difesa di Taipei se la Cina tentasse unasoluzione militare, ma si riservino di evitare impegni esteriori tali da incorag-giare uno qualsiasi dei due governi cinesi a forzare la situazione precipitandouna guerra. Il clima di “guerra fredda” segnalato da alcuni sinologi primadell’11 settembre, perciò, parrebbe essersi dileguato, anche se la situazione at-tuale presenta per Pechino una serie di aspetti probabilmente sgradevoli: con-tinua la polemica contro l’“unilateralismo americano”, la presenza di forze ar-mate statunitensi in Asia Centrale suscita sospetti2, la collaborazione offerta

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1 Fang Hsu-hsiang, The Transformation of U.S.-Taiwan Military Relations, «Orbis», vol.58, n. 3, 2004, pp. 551-561.

2 Questo punto compare spesso nelle riviste politologiche cinesi, cfr. ad esempio, Sun Jian-she, Dangqian Zhongguo zhoubian anquan huanjing yu Zhong Mei guanxi (L’ambiente della si-

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contro il radicalismo islamico rischia di alienare alla RPC la simpatia dei pae-si islamici e in parte di quelli in via di sviluppo. Inoltre, in particolare la Se-conda Guerra del Golfo ha visto la RPC prendere un atteggiamento molto tol-lerante di fronte ad un invio di soldati giapponesi in Iraq, rompendo di fattola tradizione di costante condanna di fronte alla partecipazione del Giapponealle PKO e più in generale ad ogni scostamento da parte del governo di Tokyodall’interpretazione più rigidamente pacifista della Costituzione del 1947. Insostanza in questo modo si è stabilito un altro precedente in contrasto con ladiplomazia già consolidata. È interessante in queste condizioni osservare chepiù di una pubblicazione politologica cinese ha presentato un quadro della si-tuazione attuale secondo cui esisterebbe al mondo una sola superpotenza mi-litare (gli Usa), la quale chiaramente presenterebbe tendenze egemoniche (conun’allusione al primato in termini di forza implicito nel termine baquan = ege-monia), mentre invece sul piano economico essa risulta inferiore all’UnioneEuropea da sola e, a maggior ragione, all’insieme di quest’ultima e degli altri“grandi” paesi, come Giappone, Russia, India e Cina. Anche la situazione cheha portato alla guerra in Iraq è stata spiegata col conflitto, latente nel mondodi oggi, fra l’“estremismo religioso”, termine che implicitamente richiama ilproblema del terrorismo islamico nel Xinjiang, e la superpotenza americana.La soluzione a queste carenze di equilibrio viene in genere vista in un maggiormultilateralismo, da coltivare potenziando il ruolo delle Nazioni Unite3. Le ri-viste degli internazionalisti cinesi in più occasioni hanno polemizzato control’incremento della spesa militare da parte dell’India, talvolta accusata di volermantenere il Tibet come zona cuscinetto fra i due paesi e di inseguire, soprat-tutto sotto il passato governo Vajpayee, la parità negli armamenti con la Cinaspecialmente in campo navale4. A New Delhi si attribuisce il progetto di co-struire portaerei e una tendenza espansionistica se non egemonica verso l’O-ceano Indiano e gli stretti di Malacca. Verso la Russia, particolarmente nelleriviste dell’APL si nota spesso un atteggiamento apparentemente in contrastocon la partnership fra i due paesi, dato che esse sottolineano la residua poten-za delle forze armate di Mosca, ancora dotate di un deterrente nucleare e di

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curezza attuale circostante la Cina e i rapporti tra la Cina e l’America), «Shijie jingji yu zhengzhiluntan», n. 3, 2003, pp. 64-68.

3 Lu Zhongwei et alii, 2004nian shijie da shi qian zhan (Le previsioni su scala mondialemondiale del 2004), «Xiandai guoji guanxi», n. 1, 2004, pp. 1-20.

4 Liu Wanwen, Yin Zhong guanxi yu wo guo Xibu anquan (I rapporti fra India e Cina e lasicurezza ad Est del nostro paese), «Shijie jingji yu zhengzhi luntan», n. 1, 2004, pp. 65-99.

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consistenti effettivi di terra, il che tradirebbe la tendenza a restaurare l’influen-za russa in Asia. In pratica l’immagine della sicurezza, che da questo rapidoquadro deriva, mostra che se è vero che una certa distensione di toni si è pro-dotta dopo l’11 settembre, la giustapposizione sul piano strategico fra la RPCe varie fra le maggiori potenze del mondo obbedisce ancora, almeno per unaparte dei suoi esperti, a quella dei primi mesi del 2001 e richiama certi toni delpassato.

Si tratta di una situazione che aveva cominciato a delinearsi verso la metàdegli anni ’90 e che trova la sua origine da un lato nella crescita economica del-la Cina di Deng Xiaoping e nella maggior assertività della sua politica estera;dall’altra nell’isolamento in cui essa si è trovata rispetto alle tendenze della so-cietà internazionale, sempre meno legata ai valori della sovranità nazionale, eal vigore mostrato dalla potenza americana anche al di fuori del sistema delleNazioni Unite (sebbene non necessariamente in contrasto con quest’ultimo) especialmente in parallelo alla RMA.

È proprio sulla base di queste premesse che si può valutare il dibattitoscientifico in corso, che cerca di inquadrare la posizione della RPC sul pianodella sicurezza mondiale e regionale, tentando nello stesso tempo previsioniper il futuro. Prendendo in considerazione un po’ tutti gli elementi già esami-nati, si può dire che fra gli osservatori contemporanei si siano posti alcuni pro-blemi e siano emerse certe prese di posizione, secondo una linea divisoria laquale, a nostro avviso, ha visto coagularsi fondamentalmente due scuole dipensiero, sebbene un netta distinzione, nella variegata galassia di contributiscientifici comparsi, sia difficile da tracciare e forse non abbia senso, dato cheessa non nasce da una consapevole contrapposizione dottrinale, ma piuttostodalla somiglianza di fatto nelle conclusioni di singoli autori.

Da un lato un gruppo di analisti fra i quali si segnalano Kishore Mahbu-bani5, uno studioso dell’università di Singapore, Samuel P. Huntington6 e, conle forti riserve e precisazioni che vedremo più avanti, Gerald Segal7, ha insisti-to sulla tendenza per così dire automatica verso l’egemonia da parte della Ci-na almeno in Asia. Quest’argomento parte dai considerevoli tassi di crescita

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5 K. Mahbubani, The Pacific Impulse, «Survival», vol. 37, n. 1, 1995, pp. 105-120.6 S. P. Huntington, Lo Scontro Delle Civiltà, e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, 2003 (tr.

Italiana dell’originale The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, New York,Simon and Shuster, 1996), pp. 243 ss.

7 Nell’articolo G. Segal, East Asia and the “Constrainment” of China, «International Se-curity», vol. 20, n. 4, 1996, specialmente pp. 116 ss.

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economica realizzati da questo paese e dall’estensione della sua superficie ri-spetto a quella complessiva del continente, che può essere paragonata esclu-sivamente agli Stati Uniti per l’America del Nord. Questi autori hanno nota-to che, in base ad una regolarità usuale nelle relazioni internazionali, tale fe-nomeno dovrebbe aver portato già ad una forma di coalizione fra i paesi vici-ni alla Cina e principalmente tra quelli relativamente più potenti, come l’In-dia, la Russia e il Giappone, in modo di controbilanciarne l’aumento della po-tenza. Il fatto però che la suddetta tendenza non si sia manifestata, andrebbespiegato con l’argomento che nelle società asiatiche varrebbero precondizio-ni culturali, diverse da quelle della società “westphaliana” dei paesi occiden-tali, governata dal principio della parità orizzontale fra gli stati e dalle regoledell’equilibrio e dell’aggiustamento di potenza. Nelle culture asiatiche, e sa-rebbe meglio dire dell’Estremo Oriente, si è osservato, esiste la disponibilitàad accettare il primato, esercitato normalmente in epoca premoderna in mo-do più blando rispetto alla storia europea, da uno stato, secondo il modellodel cosiddetto “sistema del tributo”, il cui ricordo va storicamente ai rappor-ti fra l’Impero Celeste e i suoi vicini. In pratica l’immagine dell’“ordine mon-diale confuciano” non si sarebbe ancora del tutto estinta nella mentalità degliasiatici, compreso il Giappone, e, con la rinascita della potenza cinese, ci sa-rebbe la tendenza ad accettare di vederlo restaurato.

A questa teoria si contrappone specularmente un’altra impostazione,che paradossalmente ha avuto uno dei suoi più noti sostenitori in uno deglistudiosi che sopra abbiamo citato. In particolare Gerald Segal, principal-mente scrivendo in un saggio pubblicato nel 19998, osservò che l’insistenzasull’importanza della Cina e sul suo essere diventata una grande potenza do-veva essere considerata un’esagerazione, la quale non teneva conto delle gra-vi difficoltà dell’economia cinese attuale, dell’inferiorità della RPC in termi-ni di armamenti di fronte ai paesi occidentali, del fatto che, anche sul pianoeconomico, il suo GNP restava allora inferiore a quello dell’Italia e comun-que il reddito pro-capite dei cinesi era inferiore a quello della Nuova Gui-nea. Il GNP cinese era allora solo il 3.5 di quello mondiale, contro il 25.6 de-gli Stati Uniti. Analogamente l’autore mostrava che le vendite di armi e lecapacità belliche cinesi non erano tali da rappresentare un effettivo perico-lo per il mondo occidentale o per gli Stati Uniti ed erano prese in conside-razione solo perché la Cina non si inquadra nel sistema delle alleanze occi-

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8 G. Segal, Does China matter?, «Foreign Affairs», vol. 75, n. 5, 1999, pp. 24-36, ristam-pato in B. Buzan and R. Foot, Does China Matter? A Reassessment, cit., pp. 11-20.

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dentali. Segal concludeva che dare enfasi all’idea di una superpotenza cine-se poteva servire a giustificare la necessità di prevenirla come pericolo, peresempio da parte del Pentagono, giustificando i progetti del NMD (nationalmissile defense) oppure del TMD (theater missile defense), ma nello stessotempo spingeva i cinesi a far cattivo uso della falsa immagine del loro paeseche si stava diffondendo nel mondo. Invece, egli consigliava, sarebbe statogiusto riconoscere che la Cina è soltanto una media potenza, la quale, unavolta preso atto di questo, potrebbe serenamente concentrarsi sul tema del-la propria crescita interna, rinunciando a pericolose iniziative o propositi sulterreno internazionale, da dove un’accorta pressione proveniente dalle mag-giori potenze secondo lui sarebbe stato auspicabile che la spingesse verso lademocrazia. Il dibattito degli ultimi anni ha rielaborato la maggior parte del-le vedute contenute in questi due punti di vista. Per quanto riguarda il pri-mo, c’è da osservare che l’idea di un ritorno all’“ordine mondiale confucia-no”, a parte la vaghezza dei concetti che usa, urta contro una serie di realtàassai tangibili. Molti paesi asiatici, come l’India, ma anche la Russia, di que-st’ultimo non hanno mai fatto parte. Inoltre le caratteristiche degli arma-menti e dei mezzi di comunicazione odierni darebbero ad un primato cine-se una concretezza del tutto diversa dalla platonica autorità degli imperato-ri Ming e Qing. Infine alcuni paesi che accettarono quell’ordine, come ilGiappone nel XV° secolo, per ragioni attinenti alla storia successiva, hannocostruito un’immagine negativa di sé fra i cinesi e proprio per questo è assaidifficile che sarebbero disposti a entrare in un nuovo sistema sinocentrico,osservazioni che ci sembrano tanto più calzanti visto che l’economia nippo-nica è oggi in ripresa rispetto allo slump degli anni ’90 e gli armamenti giap-ponesi sono probabilmente superiori a quelli cinesi. Infine, entrando in undiscorso specificamente strategico, bisogna considerare che il Giappone sa-rebbe quasi certamente contrario se la Cina si riunificasse con Taiwan, qua-lora quest’ultima isola si trasformasse in un avamposto militare della RPC9.Infine c’è da considerare che non necessariamente il fatto che non si sia for-mata una coalizione di paesi confinanti volta a equilibrare la crescita dellapotenza cinese, sta a significare che la regola della bilancia dell’equilibrionella sicurezza in questo caso non ha funzionato. Bisogna infatti considera-re un elenco di fattori diversi. Anzitutto la teoria non dice nulla sugli scarti

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9 Gli archivi storico-diplomatici giapponesi sono oggi aperti fino agli anni ’60, come quel-li della maggior parte dei paesi europei. La ricerca storica ha ritrovato la posizione esposta neltesto nella documentazione risalente a quel periodo. Cfr. Soeya Yoshihide, cit., p. 137.

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temporali di questo tipo di aggiustamenti, che potrebbero già aver comin-ciato ad innestarsi, ma in modo reso poco percepibile, oppure scattare piùo meno gradualmente nel prossimo futuro10.

Inoltre un protagonista strategico dell’Asia Orientale sono ancora gliStati Uniti, i quali hanno consolidato nel 1996-97 la loro alleanza col Giap-pone. Ora Tokyo sembra oggi incerta fra ricorrere a quest’ultima, per neutra-lizzare la potenza cinese, e una politica che è stata definita di “circumscribedbalance”, basata sul fatto che essa è comunque in grado di provvedere da so-la alla propria sicurezza, ma non vuole sviluppare oltre certi limiti i propri ar-mamenti, pur essendo consapevole che i propri interessi non coincidonocompletamente con quelli degli Usa, specialmente perché le relazioni econo-miche della Cina sono molto più rilevanti per il Giappone che per gli StatiUniti e le reazioni dei paesi del Sudest asiatico sarebbero probabilmente ne-gative e tali da danneggiare gli scambi economici. In altre parole il Giappo-ne sarebbe nella condizione di sottrarsi all’effetto “di sistema” per il quale,di fronte alla crescita di una potenza vicina, dovrebbe allearsi con un’altra opiù di un’altra per garantire la propria sicurezza11. Un ulteriore tema di rifles-sione a questo punto finisce per diventare un’esercitazione intellettuale sututto il tema che stiamo discutendo. Esso riguarda quali potrebbero essere laconseguenze per il Giappone se uno scontro militare avvenisse tra gli StatiUniti e la Cina, in seguito ad un attacco di quest’ultima contro Taiwan. Co-me vedremo, l’unica ipotesi di successo ritenuta verosimile riguarda proba-bilmente la riuscita di un blocco navale posto intorno all’isola dalle forze mi-litari della RPC, tentando di minarne il mare. In base alle guidelines dell’al-leanza del 1997, gli Usa potrebbero in tal caso chiedere l’intervento dei dra-gamine giapponesi e questo potrebbe precipitare il casus belli fra i due paesiasiatici, come nell’ipotesi che aerei americani provenienti dalle basi sul terri-torio giapponese, attaccassero quello della Cina. Alcuni politologi hanno fat-to l’ipotesi però, che in questo caso il Giappone potrebbe dissociarsi dall’al-leanza con gli Stati Uniti, pensando soprattutto ai danni economici di una cri-si di ampie dimensioni con Pechino. Ciò, secondo loro potrebbe indurre gliUsa a ritirarsi del tutto dall’Asia Orientale, e segnare l’avvento di un “ordinedel mondo confuciano” in Asia, il quale necessariamente obbligherebbe a ri-

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10 Seguiamo qui in sostanza K. N. Waltz, Structural Realism after the Cold War, «Interna-tional Security», vol. 25, n. 1, 2000, pp. 5-41.

11 C. P. Twomey C. P., Japan, A Circumscribed Balancer, «Security Studies», vol. 9, n. 4,2000, pp. 167-205.

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considerare il ruolo degli Usa anche su scala mondiale12. In realtà è del tuttoastratta, e considerata fantasiosa da parecchi diplomatici e studiosi, l’ipotesiche il Giappone possa staccarsi oggi dagli Usa. Qualsiasi episodio di guerranelle acque fra il Mar Cinese Orientale e il Mar del Giappone, visto che sia laCina che il Giappone hanno una capacità molto ridotta di trasporto di forzemilitari di terra per via aerea o navale, non potrebbe inoltre che avere dimen-sioni locali e non c’è ragione per pensare che comunque andassero le cose que-sto livello verrebbe superato13. Se anche si volesse ammettere che in futuro gliUsa si ritirerebbero dall’Asia Orientale, mancando un’organizzazione regio-nale della sicurezza in quell’area, viene da concludere piuttosto che si arrive-rebbe a una forma di equilibrio internazionale di tipo tardo-ottocentesco o po-st-bismarckiano, che non a uno di tipo “confuciano”14. Inoltre l’equilibrio del-la sicurezza nell’Asia Orientale non può essere concepito indipendentementeda quello globale, ma l’interazione fra i due sistemi in futuro resta difficile daprevedere. La presunta coalizione di potenze confinanti che dovrebbe formar-si per equilibrare secondo le teorie realiste o neo-realiste la potenza della Ci-na è logico che dovrebbe comprendere la Russia, ma è giocoforza anche pen-sare, sul piano globale, ai precedenti della crisi yugoslava del 1998 o della cri-si irakena, quando è stata la Cina ad adeguarsi più o meno esplicitamente, masempre con prudenza, alla linea della Russia o della Francia, di fronte all’“uni-lateralismo” americano. In altre parole l’aggiustamento degli equilibri di po-tenza in Asia tende a non prodursi quando si scontri con impulsi contrastan-ti provenienti dal sistema globale su scala mondiale. È difficile vedere la Rus-sia come partner della Cina in una coalizione volta a frenare (come nel tratta-to del 2001 o fra i “cinque di Shanghai”) il potere dell’America e nello stessotempo come parte di una coalizione, anche soltanto in fieri fra paesi asiaticivolti a imbrigliare la Cina stessa. Quest’argomento d’altra parte non fa checonfermare un’altra considerazione innestata dalle riflessioni di Gerald Segal.Le valutazioni sul peso della potenza cinese hanno senso più che altro se ven-gono sviluppate con riferimento alla percezione della medesima da parte di al-

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12 B. Buzan, ‘Conclusions: how and to whom does China matter’, in, B. Buzan and R. Foot,Does China Matter? A Reassessment… cit., pp. 143-164, specialmente pp. 162-163.

13 Ho ricavato queste impressioni da interviste avute con alcuni diplomatici europei e conspecialisti del National College for Defense Studies giapponese, che non mi hanno autorizzato ariferire il loro nome, durante un viaggio di studio effettuato a Tokyo nel settembre 2004.

14 L. A. Friedberg, Will Europe’s Past be Asia’s Future, «Survival», vol. 42, n. 3, 2000, pp.147-159, specialmente pp. 151-153.

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tri stati15. Rispetto alla maggior parte dei paesi vicini, indubbiamente la Cina hadimensioni e mezzi superiori, anche se per ora essa resta molto al di sotto delGiappone. La divisione fra i paesi dell’ASEAN probabilmente anche per que-sta ragione favorisce il mantenimento della funzione equilibratrice degli StatiUniti, dato che una ripugnanza storica li porta a diffidare del Giappone, il qua-le a sua volta non da segno di volersi sostituire all’America, mentre in tempi re-centi Myanmar e Singapore si sono avvicinati alla RPC. Nello stesso tempo i pae-si dell’ASEAN mancano di mezzi adatti al pattugliamento delle loro acque ter-ritoriali e diffidano della RPC. Recentemente la collaborazione fra diversi di lo-ro e gli Usa è stata rilanciata. In queste condizioni è fondata l’ipotesi che unaforma di competizione strategica fra la Cina e gli Stati Uniti stia emergendo nelMar Cinese Meridionale16. Su scala globale però, il problema di Washingtonnon è tanto quello della presente portata della potenza cinese, quanto quellodelle dimensioni che essa potrà assumere in futuro, sempre che le difficoltà in-terne non ne fermino l’espansione economica. In questo senso va giudicata an-che la tendenza ad arginarla. Di questa possibilità, manifestata dall’interventodegli Usa nella crisi di Taiwan del 1996, dal rafforzamento dell’alleanza conTokyo e dal progetto di TMD, Pechino si rende perfettamente conto. Essa nel-le acque dell’Estremo Oriente si estende inevitabilmente agli spazi marittimi in-torno al Giappone, posta la determinazione dell’America, anche per ragioni fi-nanziarie, ad ottenere la collaborazione di Tokyo nel TMD (si calcola che in que-sto modo gli Usa potrebbero risparmiare circa il 20% della spesa17), che potreb-be riguardare anche la Corea. Inoltre non si può escludere che se la coalizionedi cui parlano i teorici “realisti” prendesse forma in futuro per abbracciare l’In-dia, il Giappone e almeno alcuni paesi dell’Asia Sudorientale, è abbastanza lo-gico che tale scenario potrebbe articolarsi intorno al problema, che però è im-plicitamente risolto dalle regole del WTO, accettate dalla Cina, di lasciare libe-re le vie marittime dell’Asia Sudorientale, compresi gli stretti di Taiwan e di Ma-lacca. Insomma sul piano della sicurezza, mentre risulta piuttosto astratto far ri-corso alle regolarità politologiche dell’equilibrio, bisogna invece notare che c’èun’attenzione concentrica da parte della Cina, del Giappone e dell’India per glistessi bracci di mare e che tutti e tre questi paesi di recente hanno potenziato leloro forze navali. Tutto lascia pensare che questa sarà in futuro l’area più deli-

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15 Cfr. soprattutto, L. Freedman, “China as a global strategic actor”, in B. Buzan and R.Foot, Does China Matter? A Reassessment… cit, pp. 20-36.

16 T. Tivimäki, I. Odgaard and S. T¢nnesson, op. cit., pp. 139 ss.17 T. J. Christensen, China, the Us-Japan Alliance…, cit., p. 78.

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cata, anche se gli Usa dovessero lasciarla e giustifica l’attenzione degli analisticinesi per la politica navale dei grandi paesi vicini18. Naturalmente alcuni sinto-mi fanno presagire rivalità in campo strategico, come avvenne nel 2000, quan-do la Cina si oppose alla proposta avanzata dal Giappone a vari paesi asiatici diesercitare congiuntamente il controllo navale contro la pirateria19. È anche daosservare però che l’effettiva forza della marina cinese, le cui navi più potentisono due cacciatorpedinieri Sovremennyi acquistati dalla Russia nel 200020, fapensare più che altro alla volontà di prepararsi ad affrontare le portaeree ame-ricane se dovessero entrare nello stretto di Taiwan come nel 1996, ma in ognicaso rimane troppo limitata per suggerire una forma di effettivo imperialismoespansivo verso i mari dell’Asia del Sud-Est. Bisognerebbe considerare altresìche la disposizione dell’apparato missilistico cinese sembra concepito prevalen-temente in vista di una crisi per Taiwan, mentre gli armamenti dell’India e delGiappone guardano alle stesse acque, ma con l’occhio prevalentemente rivoltoalla tutela delle vie marittime. Perciò, ovviamente avendo presente che si entraqui in una materia avvolta nel segreto e per noi largamente induttiva, forse nonbisognerebbe pensare ad una contrapposizione speculare in termini di “ostilitàipotetica” nel senso della teoria strategica tradizionale. Invece si apre la portasu un altro problema, che è stato dibattuto, in particolare prima dell’“Inciden-te delle Torri Gemelle” del 2001, ovvero se la Cina sia oggi un paese che da unlato rappresenta un pericolo per lo Status Quo internazionale ovvero alternati-vamente, proprio perché orientato a conservare la condizione attuale, non pro-duca spinte od effetti con il suo comportamento, i quali, benché conservatori,potrebbero rischiare di mettere in pericolo la stabilità globale. In altre parolealcuni studiosi hanno osservato che non necessariamente un paese che tenda a

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18 Cfr. Liu Yijian, Zhongguo weilai de haijun jianshe yu haijun zhanlue (Strategia e arma-menti navali nel futuro della Cina), «Zhanlue yu guanli», n. 5, 1999, pp. 96-100. Sebbene siatroppo presto per darne una valutazione di tipo storico definitiva, sembra naturale vedere ne-gli accordi del 11 aprile 1905, firmati in occasione della visita del Primo Ministro Wen Jiabaoa New Delhi (sui quali cfr. ad esempio, L. Muscarà, Gli sconfinati confini tra Tibet e Himalaya,«liMes Rivista Italiana di Geopolitica», 4, 2005, pp. 83-94, specialmente p. 93), qualcosa di piùdel disegno di risolvere i residui contenziosi territoriali e di valorizzare le opportunità di rap-porti economici fra i due paesi. È lecito immaginare che Pechino abbia anche inteso neutraliz-zare in prospettiva la possibilità che l’India si lasci attrarre verso qualche genere di combina-zione con gli Stati Uniti, e potenzialmente col Giappone, alcuni paesi dell’ASEAN e forse l’Au-stralia, la quale potrebbe frenare la carica espansiva della RPC verso l’Oceano Indiano e il MarCinese Meridionale.

19 J. T. Dreyer, op. cit., p. 383.20 D. Shambaugh, op. cit., pp. 266-268.

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difendere lo Status Quo è anche uno orientato a proteggere la stabilità globale,perché in un momento storico caratterizzato da rapidi cambiamenti, accettati eriflessi anche nelle regole di comportamento internazionali, come nella nostraepoca segnata dalla “globalizzazione”, un paese troppo tenacemente legato auna prassi più antica, finisce esso stesso per creare situazioni di attrito e di cri-si. A questo proposito sono da osservare una serie di punti che fanno da qua-dro al discorso. In larga misura gioca qui il fatto che, dopo la fine della GuerraFredda, la Cina sia rimasta il solo paese di grandi dimensioni al mondo ad ave-re un sistema politico modellato sull’ideologia marxista-leninista, il quale tutto-ra manca di istituti democratici, fondati sulla libertà d’espressione, mentre vie-ne accusato di non tutelare abbastanza i diritti umani e le libertà politiche, a cuituttora alcuni aggiungono certe regole del libero mercato. La sua pericolositàderiverebbe dal fatto che in ultima analisi le strutture dello stato cinese hannouna base culturalmente allogena rispetto a quella oggi maggiormente afferma-ta nella società internazionale. Questo dibattito è stato ispirato dalla tensioneche si era prodotta nei rapporti fra la Cina e gli Stati Uniti durante la prima fa-se dell’amministrazione Bush, dopo le elezioni del 2000, sicché certi autori han-no identificato la presunta minaccia della Cina allo Status Quo con l’aspirazio-ne del governo di Pechino a costruire un sistema internazionale in Asia nel qua-le gli Usa non avessero la posizione di primato che hanno oggi21. Si è partiti dal-la considerazione che la Cina attuale presenta una contraddizione perché, afianco del rapido sviluppo economico, esprime un elenco di difficili e potenzial-mente esplosivi problemi interni, i quali inevitabilmente potrebbero influenza-re il suo comportamento internazionale. Per non tornare che su due esempi, ladifferenziazione regionale fa pensare che l’unità nazionale potrebbe spaccarsise certe difficoltà diventassero più acute in futuro e il governo centrale indebo-lirsi; mentre il fatto che la legittimazione del PCC si fondi sempre di più sul ri-fiorire del sentimento nazionale potrebbe spingere il governo di Pechino ad unanon necessaria rigidità sulla questione di Taiwan, ma anche su altri temi, facili-tando gravi complicazioni internazionali e scelte intransigenti. Ora per espe-rienza storica, da paesi “ascendenti” come è la Cina di oggi, i quali però abbia-no problemi di questo genere, ci si possono aspettare anche comportamenti av-ventati o pericolosi, soprattutto quando rimangono nella loro cultura politicafattori di insoddisfazione e di frustrazione, connessi con la memoria storica e leumiliazioni subite in passato, che a loro volta alimentino il nazionalismo. Sem-

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21 Per un’ampia discussione di questo punto, I. J. Alastair, Is China a Status Quo Power?,«International Security», vol. 27, n. 4, 2003, pp. 5-56.

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pre con riferimento alla storia, ma a questo punto dando per acquisito che laCina di oggi sia una “grande potenza”, alcuni studiosi, sollecitati da uno degliarticoli ricordati di un importante esponente politico dell’attuale amministra-zione di Washington, hanno discusso il parallelo tra la relazione che sarebbe esi-stita all’inizio del 2001 fra gli Usa e la Cina e il contrasto maturato all’inizio del’900 tra l’impero britannico e la Germania, il quale finì per portare alla PrimaGuerra Mondiale. Gli autori che hanno sviluppato questo punto, sono partitidall’interpretazione storiografica per la quale all’inizio del ’900 il Regno Uni-to, all’epoca massima potenza mondiale, stava cominciando ad entrare in un‘epoca di relativo declino e si sarebbe sentito sfidato da un elenco di malde-stre provocazioni sul piano diplomatico, oltre che dall’aggressiva competizio-ne commerciale e industriale dell’impero guglielmino, sebbene sia discutibileche fra i due esistessero effettive ragioni di attrito proporzionali ai contrastipolitici che presero forma. Di qui sarebbero germinati la gara negli armamen-ti navali fra il 1906 e il 1907 e alla fine lo scontro in guerra. A parte il fatto, tut-tavia, che non tutti gli storici della diplomazia accettano questa linea interpre-tativa sulle origini della Prima Guerra Mondiale, il dibattito si è anche rove-sciato nel senso che è stato domandato quale dei due “concorrenti strategici”,per usare l’espressione di Bush, potrebbe oggi recitare la parte della Germa-nia e quale dell’Inghilterra. Lanxin Xiang ha osservato che, sebbene la conce-zione “westphaliana” per ironia sia estranea alla civiltà cinese, dopo decennidi penoso adeguamento, la RPC ne ha completato la sua definitiva accettazio-ne al momento dell’ingresso nel WTO. Proprio per questa ragione, la Cina, chein sostanza pone come proprio principio fondamentale la tutela della sovra-nità nazionale, si viene oggi a trovare essa nella posizione di tutrice della sta-bilità internazionale, che invece sarebbe stata messa in discussione da nume-rose iniziative americane, sia di carattere generale (come il ripudio, ad esem-pio, del trattato ABM del 1972 oppure le minacce e i bombardamenti effettua-ti nel periodo fra la Prima e la seconda Guerra del Golfo nei riguardi della Ser-bia, della Corea del Nord, dell’Iran, di Cuba), sia rivolte direttamente controla RPC stessa (quali le vendite di armi a Taiwan, la visita dl Dalai Lama alla Ca-sa Bianca il 23 maggio 2003, l’accoglienza riservata al presidente di TaiwanChen Shuibian a New York nel 2001, l’interruzione di tutti i contatti a livellimilitare fra i due paesi, alcune pubbliche dichiarazioni che sembravano favo-revoli all’indipendenza di Taipei, la possibilità che il TMD venga esteso a For-mosa). L’autore è tornato sulla tesi per la quale l’“intervento umanitario” colquale fu giustificata l’azione della Nato all’epoca della questione del Kosovomascherava l’infrazione dei principi del rispetto della sovranità nazionale e

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che, mentre le dispute territoriali sul mare nelle quali la Cina è coinvolta, ri-guardano la sua periferia e sono accompagnate da un riarmo navale obiettiva-mente modesto, i programmi NMD e TMD degli Stati Uniti mirano a neutra-lizzare in profondità il potenziale difensivo cinese.

A questi, che sono soltanto alcuni fra glia argomenti utilizzati, è stato rispo-sto che il sistema internazionale dopo la fine della Guerra Fredda continua adessere fondato su alcune alleanze, che ne sono l’ossatura, come la Nato e quellafra gli Usa e il Giappone22, sicché la polemica contro queste ultime da parte diPechino inevitabilmente lo colpisce; che il multilateralismo invocato dalla RPCmaschera l’intento di indebolire la posizione dell’America, oppure che il siste-ma internazionale ai giorni nostri non è più basato sul rispetto assoluto del con-cetto di sovranità nazionale e ammette, in una serie di circostanze, il diritto al-l’intervento negli affari interni di un stato. Sarebbe perciò la Cina a mettersi incontrasto con l’evoluzione stessa delle norme e dei principi internazionali, spe-cialmente con riferimento all’ultimo dei tre punti appena elencati, legato alla po-lemica sui “diritti umani”, come quando criticò l’arresto e il processo di Slobo-dan Milosevic per crimini contro l’umanità, assumendo quindi proprio essa l’a-spetto di paese in collisione aperta o potenziale con lo Status Quo. In alcuni ca-si la polemica si è fatta, a noi sembra, sottile e sfuggente. A chi obiettava che do-po la fine della Guerra Fredda, Pechino è uscita dall’isolamento del periodomaoista e ha aderito a circa un 80% delle organizzazioni internazionali, osser-vandone gli statuti e le regole, è stato replicato che in realtà tale osservanza ri-mane superficiale, passiva nel comportamento e sostanzialmente indifferente aiprincipi generali sottintesi dalle norme formali delle diverse organizzazioni.Analogamente la polemica sui diritti umani, che largamente è fondata sul prin-cipio per il quale il rispetto di questi ultimi riposa sul diritto internazionale ge-nerale, si può ridimensionare, secondo i cinesi e varie Organizzazioni Non Go-vernative, a causa dei diversi modi di concepire questa figura giuridica nelle di-verse realtà sociali e nei paesi in via di sviluppo. Ai fini del nostro discorso co-munque, ci sembra che concetti come quello di Status Quo risultino oggettiva-mente difficili da utilizzare, quando li si intenda con riferimento non all’ogget-tiva distribuzione di potenza in un determinato scenario, e alle sue basi giuridi-che, ma invece in rapporto all’evoluzione generale del sistema internazionale, in

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22 D. Shambaugh, China or America: Which is the Revisionist Power?, «Survival», vol. 43,n. 3, Autumn 2001, pp. 35-30. Per le posizioni di Lanxin Xiang, vedi l’articolo citato passim.Cfr. anche A. Goldstein, The Diplomatic Face of China’s Grand Strategy: A Rising Power’s Emer-ging Choice, «The China Quarterly», n. 168, 2001, pp. 835-864.

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quanto regolato da una serie di principi non soltanto formali, ma addirittura mo-rali. Gran parte degli autori che sono intervenuti in questa disputa ci sembranoprendere per spinte aggressive della politica estera cinese la pressione che la RPCesercita sui paesi confinanti semplicemente per le sue dimensioni e le sue pro-spettive di sviluppo e con obiettivi magari di potenza, ma che restano legittimifinché essa faccia uso di strumenti conformi al diritto internazionale, come pa-re il caso per gli ultimi anni, comprese naturalmente le norme che vietano il ri-corso all’uso della forza.

Per fare un esempio, nella seconda metà degli anni ’90, l’APL propose al-l’interno dell’ARF che i paesi membri invitassero reciprocamente rappresen-tanze delle rispettive forze armate ad assistere alle manovre militari23. Non c’èdubbio che un’iniziativa del genere si situasse nel quadro del “Nuovo Concet-to di Sicurezza”24 sostenuto dalla RPC, che rifiutando il sistema delle alleanzedi tipo tradizionale, dovrebbe essere fondato sui “Cinque Principi sulla Coe-sistenza Pacifica”, sulla stabilità dei rapporti e sulla partnership strategica, maè anche evidente che essa mirava in ultima analisi a staccare diplomaticamen-te dagli Stati Uniti i paesi dell’ASEAN e a favorire forme di intesa con questiultimi. Tale strategia restava confinata ad un metodo, tuttavia, che non si ve-de in quale modo mancasse di correttezza sul piano internazionale.

Proseguendo nel nostro discorso, il dibattito sopra accennato risulta moltointeressante dal punto di vista teorico, e apre la porta a penetranti considerazio-ni storiografiche, ma tutto sommato sembra perdere almeno in parte di vista lesituazioni concrete, le quali danno la misura reale del contributo della Cina allastabilità globale, addirittura perdendosi nell’analisi di aspetti obiettivamente dif-ficili da analizzare nelle motivazioni del suo comportamento. Bisognerebbe sta-re attenti a non confondere, anche senza perdere di vista che le due questioni so-no collegate, il problema se si vada in futuro verso uno scontro tra la RPC e gliStati Uniti a causa del problema di Taiwan, o invece, per le tensioni fra i due pae-si, che nascono dall’impressione per la quale la crescita della potenza cinese siaproiettata in futuro a scalzare, sul piano della deterrenza e dell’equilibrio com-plessivo, l’influenza degli Usa in Asia Orientale. Materialmente non va dimenti-cato che il problema della sicurezza della RPC è sentito dagli stessi cinesi preva-lentemente in rapporto alla questione di Formosa nella sua dimensione storica.A un sondaggio statistico effettuato nell’area di Pechino nel 2001, la maggior par-te degli intervistati rispose che le preoccupazioni più gravi per la sicurezza della

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23 R. Foot, China And The Asean…, cit., p. 430.24 R. Foot. China in the Asean, cit., pp. 434-5; D. Shambaugh, op. cit., pp. 292-293.

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Cina derivava secondo loro dal problema di Taiwan, con i connessi rapporti congli Stati Uniti, o dai problemi interni del paese, mentre solo l’8% rispose di te-mere la rinascita dell’imperialismo giapponese25. Val la pena di considerare cheè sicuramente nell’area prospiciente Taiwan che è schierata la maggior parte delsistema missilistico cinese, compresi circa 300/350 SRBM (short range balistic mis-siles) di tipo prevalentemente DF-15 (secondo un calcolo effettuato nel 2002 eche oggi potrebbero ammontare a molte più unità), del tipo utilizzato all’epocadella crisi del 1995-96, i quali rappresentano un’arma molto pregevole (difficileda individuare, adatto a portare bombe al neutrone e alimentato con combusti-bile solido, che richiede poco tempo per il lancio, dotato di strumentazione checonsente di modificare la traiettoria in volo etc.)26. Questo sembra stare a dimo-strare che l’ipotesi di scontro armato riguarda essenzialmente l’isola e che solocome corollario di questo problema l’apparato militare cinese è rivolto contro gliUsa. Insomma, indipendentemente dalla discussione teorica sopra sviluppata, l’i-potesi cruciale non sembra dipendere da calcoli strategici di natura generale,eventualmente estesi a tutto l’Estremo Oriente, ma dalla concreta eventualità cheun conflitto si sviluppi forse unicamente per la querelle sull’indipendenza di For-mosa. Non è un caso che la disposizione delle forze militari cinesi non faccia per-venire messaggi altrettanto sicuri a causa dei problemi delle isole Dyao-yu oppu-re delle Spratley. In special modo a proposito delle prime, mentre Pechino haproposto di risolvere il problema attraverso lo sfruttamento economico congiun-to delle risorse dell’arcipelago, si ritiene che Tokyo sarebbe anche disposta a sot-tomettere la questione alla Corte Internazionale di Giustizia e attualmente non cisono segni chiari di tensione vera e propria in proposito, anche se la questione ètornata alla ribalta durante le dimostrazioni antigiapponesi, che si sono verifica-te a Pechino e in altre città nella primavera del 2005.

Ora sembra evidente che la Cina potrebbe ricorrere all’uso della forza con-tro il regime di Taipei in due circostanze ben distinte, le quali tuttavia fanno ri-ferimento alla stessa tematica. Se Taiwan proclamasse la sua indipendenza, l’A-PL ha più volte dichiarato che potrebbe essere costretta a “forzare l’unificazio-ne”, ma è anche possibile una seconda eventualità, ovvero che un’azione mili-tare di tipo dissuasivo sarebbe intrapresa allo scopo di trattenere il governo diTaipei, se esso facesse credere di essere avviato a prendere la fatale decisione27.È bensì opinione comune che la Cina per ragioni politiche ed economiche, e

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25 I. J. Alastair, op. cit., p. 45.26 Sull’apparato missilistico cinese, D. Shambaugh, op. cit., pp. 274-282.27 D. Shambaugh, Modernizing China’s Militay. Progresses, Problems…, cit., pp. 307 ss.

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con essa gli Usa e il Giappone, desiderino comunque che a esiti del genere nonsi giunga e in effetti recentemente la RPC ha preso svariate misure volte a favo-rire iniziative economiche taiwanesi sul suo territorio, così da attenuare il sen-so della distanza fra i due paesi nei circoli di affari di Taipei e in prospettive ren-dere più facile in questo modo la riunificazione o almeno indebolire l’ala ol-tranzista del Minjindang28. Tuttavia, ragionando in termini di sicurezza, rima-ne fondamentale rispondere al quesito relativo all’esito che un eventuale con-fronto militare avrebbe. La letteratura in cinese sull’argomento è praticamen-te inesistente e la posizione ufficiale dell’accademia, come del governo dellaRPC, è che la questione di Taiwan sia un problema interno, del quale sotto ilprofilo strategico anche le riviste, per quanto con eccezioni, non si occupano.L’opinione degli studiosi stranieri in genere tuttavia è che oggi la RPC, anche aprescindere dall’ipotesi di un intervento americano, non avrebbe le forze perconquistare Formosa e potrebbe esclusivamente cercare di indurla alla resa at-traverso un blocco navale, sempre che riuscisse ad effettuarlo.

In genere29 si pensa che un attacco contro l’isola potrebbe essere precedutoda un intenso bombardamento di virus informatici tali da accecare i computersdella ROC e da disattivarne le strutture difensive di comando e di controllo. Aquesto potrebbe seguire un intenso bombardamento missilistico e aereo, il qua-le dovrebbe colpire in primo luogo il sistema delle comunicazioni e sarebbe allafine completato da un attacco anfibio di proporzioni adeguate. Preventivamen-te la RPC potrebbe far precedere l’attacco dalla conquista delle isole di Jinmen(Quemoy) e Mazu, che furono già bombardate negli anni ’50. Un attacco solocontro queste ultime, potrebbe eventualmente essere portato anche soltanto co-me misura dissuasiva o come ammonimento per il governo di Taipei. Sebbene ininterviste rilasciate a studiosi occidentali, alcuni ufficiali dell’APL abbiano affer-mato che questa è abituata a vincere anche in condizioni di inferiorità, mostran-do fiducia di superare l’insufficienza di risorse e ricordando che il divario con ipossibili avversari è oggi in ogni caso minore rispetto all’epoca della Guerra diCorea (a proposito della quale l’APL orgogliosamente ha sempre insistito di es-sere riuscita a impegnare le forze occidentali), si può legittimamente pensare chela Cina non sia in condizioni di sviluppare fino in fondo la strategia di conquista

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28 In generale su questo problema, D. Roy, Tensions in the Taiwan Strait, «Survival», vol.42, n. 1, Spring 2000, pp. 76-96, ma la letteratura è vastissima.

29 Cfr. M.O’Hanloon, Why china Cannot Conquer Taiwan, «International Security», vol.25, n. 2, 2000, pp. 51-86; D. Shambaugh, Modernizing China’s Militay, Progresses, Problems, ...cit., pp., 307-327.

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militare dell’isola. La fase informatica dell’attacco, infatti potrebbe essere mici-diale, ma non si dispone di informazioni adeguate sull’effettiva dotazione dell’e-sercito cinese da questo punto di vista, mentre le difese taiwanesi, sebbene in-complete, per esempio nella protezione dei siti missilistici, sicuramente sono ag-guerrite. Dal punto di vista convenzionale, bisogna tener inoltre presente cha laCina comunque non sarebbe in condizioni di usare che una parte delle sue for-ze terrestri per conquistare l’isola e che un attacco diretto la esporrebbe all’isola-mento e alla disapprovazione internazionale, a parte il fatto che la tradizione ci-nese suggerisce sempre di ricorrere ad un uso minimo della forza, mentre è daescludere che l’obiettivo di Pechino sarebbe di provocare distruzioni troppo este-se o di usare armi nucleari. Le forze aeree cinesi inoltre non sembrano di entitàtale da superare le difese taiwanesi. L’isola dispone di missili SAM antiaerei e laPRC difetta di bombe di precisione e di capacità di bombardamento ad alta quo-ta, sicché gli aerei sarebbero esposti ad essere colpiti e certamente subirebberoingenti danni. In pratica i precedenti dell’attacco inglese contro le Falkland o diquello della Nato contro la Serbia non varrebbero in questo caso. Discorso di-verso vale per l’arma missilistica. L’isola dispone di difese apposite, alcune dellequali fornite dagli Stati Uniti, che potrebbero essere insufficienti a fronteggiare imissili balistici cinesi, ma si pensa che l’APL dovrebbe fare uso anche di missiliconvenzionali M-9, i quali mancano di precisione e presumibilmente non avreb-bero che scarsi effetti sugli obiettivi propriamente militari. Ancora meno incorag-gianti sono le prospettive sul piano geografico. Lo stretto di Taiwan è caratteriz-zato da forti venti, in particolare nella stagione dei monsoni e da onde alte anchedecine di metri, mentre l’APL ha scarsa capacità operativa in scenari ventosi e ma-le illuminati. In media lo stretto ha una profondità di cento metri, il che ha per-messo agli specialisti di arguire che è nello stesso tempo favorevole all’uso dell’ar-ma sottomarina, ma anche che quest’ultima diventa più vulnerabile. Inoltre la co-sta dell’isola prospiciente la Cina è rettilinea per un lungo tratto, ma presenta unlitorale fangoso profondo circa due miglia, lungo il quale le operazioni di sbarcosarebbero comunque rese difficili da un intenso fenomeno di maree. L’isola inol-tre è ben fornita di radar e satelliti, il che renderebbe verosimilmente facile ren-dersi conto della necessaria concentrazione precedente di forze militari e mezzinavali necessari per lo sbarco, che in ogni caso dovrebbe utilizzare un anomalonumero di imbarcazioni, molte delle quali di natura civile. Inoltre la flotta cine-se ha soprattutto funzioni di difesa costiera ed è per vari aspetti inferiore a quel-la di Taiwan, che le è superiore sul piano dei mezzi informatici ed elettronici,mentre indubbiamente entrambe le parti sarebbero in condizioni di infliggeregravi perdite l’una all’altra in caso di guerra sottomarina. Il piano fondamentale

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dovrebbe consistere in una rapida invasione, dopo la quale le armate cinesi do-vrebbero presumibilmente prepararsi a respingere un contrattacco americano,anche giocando sulla capacità del territorio cinese di assorbire bombardamenti eazioni aeree americane di ritorsione, ma tale scenario risulta poco credibile.

Un’invasione dell’isola, ammesso che si riuscisse a passare lo stretto, sa-rebbe possibile a condizione di utilizzare un numero di soldati, pari si calcolaa cinque volte approssimativamente l’esercito taiwanese, che molto improba-bilmente la RPC sarebbe comunque in grado di utilizzare tutti in questa ope-razione. Soprattutto però, la marina e l’aviazione cinesi mancano delle capa-cità di trasporto necessarie. L’invasione perciò dovrebbe avvenire a ondatesuccessive, e passare attraverso lo stabilimento di almeno una o più teste diponte, da alimentare successivamente. A causa dello scenario naturale e delledifese taiwanesi è ragionevole pensare che una strategia del genere diventereb-be irrealizzabile o comunque richiederebbe tempi non istantanei. Sarebbeinoltre molto difficile se non impossibile giocare su un effetto sorpresa e nonsembra verosimile che la RPC abbia attualmente strumenti, come i cannoni la-ser, il cui uso è stato teorizzato per accecare i satelliti avversari.

Questo darebbe tempo agli Usa, ed eventualmente (anche se non proba-bilmente) al Giappone, di intervenire oppure di sviluppare azioni diplomati-che dirette contro le iniziative cinesi. In particolare si tratta di un aspetto cheva a tutto vantaggio dell’eventuale reazione degli Stati Uniti. Washingtonavrebbe infatti la possibilità di decidere senza fretta se intervenire e farebbeprobabilmente in tempo a soccorrere le difese di Taipei, anche se gli speciali-sti ritengono che le porterei americane potrebbero essere trattenute ad entra-re nello stretto, dove sarebbero esposte al tiro delle batterie missilistiche cine-si e contemporaneamente all’azione dei sottomarini della RPC e dei cacciator-pedinieri del tipo sovremennyi.

Un discorso completamente diverso vale invece se si prende in esame l’i-potesi del blocco che potrebbe essere posto dalla RPC intorno all’isola, sia ascopo dissuasivo che per indurla alla resa.

A proposito del blocco, c’è da osservare che esso potrebbe prendere treforme, eventualmente completate da parallele iniziative di carattere aereo: re-spingere le navi, o la maggior parte dei tipi di nave che volessero raggiungerel’isola, completare forse questa misura con azioni contro i sommergibili o lenavi da guerra taiwanesi, eventualmente aprendo il fuoco contro alcuni tipi divascelli, operare una chiusura assoluta contro tutti i tipi di imbarcazioni chesi avvicinassero. È stato osservato che la flotta cinese non ha mezzi sufficientiper provvedere ad un blocco completo di Taiwan, ma molto probabilmente lo

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ha per i suoi due principali porti, Kaohsiung e Jeelung. Tale misura avrebbeeffetti disastrosi sull’economia dell’isola, che è dipendente dal commercio ma-rittimo per i suoi approvvigionamenti di materie prime e di petrolio, e sareb-be esposta ad aumenti esponenziali nei costi dei noli e delle assicurazioni ma-rittime, con la conseguenza in caso di blocco che probabilmente anche il mer-cato finanziario e la borsa sarebbero esposti a gravi perturbazioni. Ovviamen-te tentativi di mitigare il blocco con strumenti militari sarebbero possibili, co-me anche di romperlo da parte delle forze aeree o navali della ROC. A parteperò il giudizio di carattere strettamente tecnico, c’è da osservare che il bloc-co è considerato un atto di guerra dal diritto internazionale e potrebbe inne-scare una reazione a catena, la quale potrebbe evolversi in una guerra totale,facendo ricadere questo discorso in quello trattato nei paragrafi precedenti edeliminando l’ipotesi di un suo uso in funzione esclusivamente dissuasiva. Sepoi la marina cinese dovesse ricorrere allo strumento di minare il mare intor-no a Taiwan, questo potrebbe far scattare l’alleanza nippo-americana del 1997,come abbiamo visto, e mettere in movimento una crisi internazionale dalle di-mensioni imprevedibili e che eventualmente potrebbe allargarsi, secondo al-cune delle speculazioni teoriche già analizzate, ad una dimensione globale.

Insomma sono numerose le incertezze che accompagnerebbero i tentati-vi di risolvere con la forza la questione taiwanese, mentre indubbiamente po-trebbero determinare considerevoli difficoltà per il governo di Pechino, il qua-le sarebbe esposto a gravi fallimenti di fronte all’opinione interna, sia in casodi insuccesso che di sviluppi negativi sul piano internazionale. Inoltre, le sueforze armate sarebbero esposte a ingenti sacrifici di uomini e mezzi, peraltronei settori maggiormente avanzati, persino nella limitata ipotesi di un succes-so, a cui dovrebbero aggiungersi i danni di carattere economico che sicura-mente seguirebbero il peggioramento dei rapporti, anche se non si arrivassead una guerra generale, con gli Stati Uniti.

In sostanza si può accedere all’opinione che tanto la RPC che la ROC ab-biano la possibilità, ciascuna per suo conto, di precipitare una crisi militare eche in tutte e due la pressione psicologica o le ragioni di politica interna po-trebbero decidere il corso in questa direzione, essenzialmente nel caso che ilgoverno di Taipei proclamasse l’indipendenza. È anche vero però, che le op-portunità dell’economia scoraggiano questa tendenza, andando in sostanza in-contro alla politica americana di mantenere la situazione attuale.

Per concludere si può notare che i fattori di stabilità nell’attuale politicaestera cinese siano prevalenti, dato che la percezione di minacce provenientidall’esterno risulta nell’insieme scarsa e comunque non tale da spingere la RPC

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a ricorrere all’uso della forza, turbando la stabilità internazionale. Nel lungoperiodo il discorso risulta inevitabilmente diverso, dato che verso il 2010 l’at-tuale condizione di inferiorità militare della Cina potrebbe venire meno, manello stesso tempo sono molti i fattori che potrebbero non necessariamentemutare rispetto ad oggi, a cominciare dai livelli stessi dello sviluppo economi-co della RPC, i quali potrebbero ridursi. Sono inoltre incerte altre variabili in-ternazionali, che vanno dal mantenimento delle posizioni americane in Asia,alla politica della sicurezza seguita, eventualmente controbilanciando l’au-mento della potenza cinese, dall’India, dalla Russia e dal Giappone.

Sull’altro piatto della bilancia si può mettere l’ipotesi di ritorno all’“ordi-ne mondiale confuciano”. Come si è anche visto però, per il numero di fatto-ri che entrerebbero in gioco, questo è un discorso prevalentemente teorico, al-meno secondo noi, ed è difficile intravedere quale sistema di rapporti davve-ro nascerebbe se gli Stati Uniti decidessero di non apporsi all’avvento di un’i-potetica supremazia cinese nell’Asia Orientale e nel Pacifico Occidentale.

In concreto invece, l’intreccio fra il problema della libertà delle vie marit-time e degli approvvigionamenti energetici con le questioni di Formosa, delleDyao-yu/Senkaku, delle Spratley, e più in generale della fascia di mare fra l’A-sia Sudorientale e l’Oceano Indiano, fa pensare che nel vicino futuro sarà suquest’area, collegata anche alle prospettive del destino della penisola coreana,che si concentreranno l’attenzione strategica e la deterrenza militare dei pae-si interessati, sicché continuerà anche la tendenza a svilupparsi delle forze ar-mate cinesi, nei settori ad alta tecnologia, nell’ambito aereo e in quello nava-le, che la geopolitica suggerisce come più funzionali al nostro discorso.

Volendo azzardare una previsione finale, ci sembra che due andamenticollegati fra loro potrebbero prendere forma. Da un lato la crescita dell’eco-nomia e conseguentemente del peso internazionale della Cina dovrebbe con-tinuare ancora per vari decenni, sia pure a ritmi decrescenti man mano che es-sa si allontanerà dalla tipologia dei paesi in via di sviluppo. Ciò presumibil-mente solleciterà il consolidamento di un qualche genere di alleanza o intesain funzione di più o meno blando contenimento ad opera di altri stati, lungola fascia marittimo-oceanica della RPC. È difficile che essa assuma le formeclassiche alla quale ci ha abituato la storia generale degli ultimi secoli, date leparticolari caratteristiche dei paesi dell’ASEAN, ma è verosimile che vi parte-cipino in un modo per ora poco prevedibile gli Stati Uniti, mentre restano in-certe le scelte future del Giappone e l’evoluzione dell’alleanza fra quest’ultimoe gli Usa del 1996-99, che svolge un ruolo comunque centrale per l’area geogra-fica a Nord di Taiwan.

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Dall’altro lato la RPC cercherà di prevenire o arrestare questo sviluppo, at-traverso la gestione delle opportunità offerte al mondo sviluppato dalla propriaeconomia in espansione, oltre che rafforzando la presenza nelle organizzazioniinternazionali e migliorando l’immagine della Cina sul piano globale. Inoltre isuccessori di Mao presumibilmente si sforzeranno di conseguire lo stesso sco-po per via diplomatica. Gli importanti passi in avanti nella soluzione del pro-blema della Corea del Nord nell’autunno del 2005, gli accordi con l’India del-l’aprile precedente, l’andamento delle relazioni con paesi asiatici come Myan-mar e Singapore, i sintomi di collaborazione in materia di armamenti con laFrancia e altri paesi europei, sembrano tutti indicatori di percorso nella stessadirezione.

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Ding Shichuan e Wei Hongzhou, “Lengzhan hou Meiguo ganshe Taiwan wen-ti zhanlue celue pingxi” (Commenti e analisi della strategia e della tattica Ame-ricana di ingerirsi nella questione di Taiwan dopo la Guerra Fredda), Shijiejingji yu zhengzhi, n. 7, 2000

Hong Jie, “Cong 2002 niandu ‘guofang baogaoshu’ kan Taijun zhengjun-beizhan xin dongxiang” (Dalla “Relazione sulla difesa nazionale del 2002”uno sguardo alle nuove tendenze nell’organizzazione strategica e nelle rifor-me militari di Taiwan), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 5, 2002

2003 3

200

, “ 2002 ʻ ʼ

2002 5

200

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Liu Wanwen, “Yin Zhong guanxi yu wo guo Xibu anquan” (I rapporti fra In-dia e Cina e la sicurezza ad Est del nostro paese), Shijie jingji yu zhengzhi lun-tan, n. 1, 2004

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200

1999

2002

Liu Yijian, “Zhongguo weilai de haijun jianshe yu haijun zhanlue” (Strategiae armamenti navali nel futuro della Cina), Zhanlue yu guanli, n. 5, 1999

Liu Endong, “Lengzhan hou Taiwan dui Mei youshui huodong pingxi” (Com-menti e analisi dell’attività di propaganda di Taiwan verso gli stati Uniti dopola Guerra Fredda), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 2, 2002

Liu Dongfeng, “Taiwan wenti de dongtai boyi fenxi” (Le analisi del MovingGame nella questione di Taiwan), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 3, 2002

Lu Zhongwei e Wang Zaibang et alii, “2004nian shijie da shi qian zhan” (Leprevisioni su scala mondiale mondiale del 2004), Xiandai guoji guanxi, n. 1,2004

MORI Kazuko, “Dongya diqu de anquan bazhang yu fei Dongya yaosu” (I fat-tori extra-asiatici e la tutela della sicurezza nell’area dell’Asia Orientale), Shijiejingji yu zhengzhi, n. 8, 2003

, 20041

,

, 200

2004

2004 1

3

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2004 1

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2003

2002

2003

2003

Shen Yi, “Meiguo guojia anquan zhanlue yu Zhong Mei guanxi” (La strategiadella sicurezza nazionale Americana e il rapporto tra Cina e America), Shijiejingji yu zhengzhi, n. 6, 2003

Shi Yinhong, “Guanyu Zhong Ri guanxi de zhanluexing sikao” (Riflessionistrategiche sui rapporti tra Cina e Giappone”, Shijie jingji yu zhengzhi, n. 9,2003

Sun Jianshe, “Dangqian Zhongguo zhoubian anquan huanjing yu Zhong Meiguanxi” (L’ambiente della sicurezza attuale circostante la Cina e i rapporti trala Cina e l’America), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 3, 2003

Tang Shiping, “2010-2015nian de Zhongguo zhoubian anquan huanjing”(L’ambiente della sicurezza intorno alla Cina negli anni 2010-2015), Zhanlueyu guanli, maggio 2002

Wan Xuefen, “Zhong Mei Yin hudong guanxi ji qi tedian” (I rapporti tra Ci-na, USA e India e le loro caratteristiche), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 4,2003

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Yu xiaobo, “Guomindang dangqian mianlin de tiaozhan yu jiyu” (Le sfide ele opportunità attuali da affrontare da parte del Guomindang), Shijie jingji yuzhengzhi luntan, n. 4, 2003

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200

200

2004 2

200

Wang Jianguo, “Yilake zhanzheng dui wo guo junshi lilun yanjiu de qishi”(Accenni dalla Guerra in Iraq nelle ricerche di teoria militare nel nostro pae-se), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 1, 2004

Wang Yizhou, “Zhong Ri guanxi de shi ge wenti” (Dieci questioni nelle rela-zioni tra Cina e Giappone), Shijie jingji yu zhengzhi, n. 9, 2003

Wu Sheng, “Guoji tixi bianqian yu riben waijiao de xuanze” (Il cambiamen-to nel sistema internazionale e le scelte della diplomazia giapponese), Shijiejingji yu zhengzhi , n. 4, 2003

Yan Jing e WangJun, “Lenzhan hou Zhong Ri guanxi zhong Taiwan wenti detuxian ji qi yuanyou” (Cause e modi di manifestarsi della questione di Taiwannella relazioni tra la Cina e il Giappone dopo la Guerra Fredda), Shijie jingjiyu zhengzhi luntan, n. 6, 2002

Yang Fan, “Xing shiqi Zhongguo guojia anquan de jiben yuanze” (I principifondamentali della sicurezza della Cina nei nuovi tempi), Zhanlue yu guanli,febbraio 2004

200

, ,

2003 4

Yu Sui, “Lun Zhong E xinxing guanxi” (Commenti sui nuovi rapporti fra Ci-na e Russia), Xiandai guoji guanxi, n. 6, 2003

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2004 2

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3 5

3Yu xintian, “Zhongguo ying zhuanbian dui fazhangzhong guojia de zhanlue”(La Cina dovrebbe cambiare strategia verso i paesi in via di sviluppo), Zhan-lue yu guanli, marzo 2003

2003

2003

Zhang Liangui, “Chaoxian de he wuqi yu Meiguo de jingcha juese” (Le arminucleari in Corea Nord e la funzione di polizia dell’ America), Zhanlue yuguanli, maggio 2003

Zhang Tuosheng, “Dui Zhong Ri guanxi de ji dian sikao” (Alcune riflessioniintorno al rapporto tra Cina e Giappone), Shijie jingji yu zhengzhi, n. 9, 2003

Zhang Zhan e Li Haijun, “heping jiejue tai hai chongtu de qianjing fenxi”(Un’analisi delle prospettive per la soluzione pacifica nei conflitti dello Stret-to di Taiwan), Shijie jingji yu zhengzhi luntan, n. 1, 2003

Zhao Huasheng, “Zhong E Mei zai Zhongya nengfou hezuo?” (La collabora-zione fra Cina, Russia e America è possible in Asia Centrale?) Zhanlue yu guan-li, febraio, 2004

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Documento n. 1

Renmin Ribao – People’s Daily

Sul nuovo sviluppo dell’egemonia americanawww.english.peopledaily.com.cn(traduzione italiana)

Il bombardamento sulla Repubblica federale di Yugoslavia da parte del-la NATO guidata dagli Stati Uniti e il suo oltraggioso attacco missilistico al-l’ambasciata cinese in Yugoslavia hanno suscitato grande indignazione nel go-verno e nel popolo cinesi e sono stati severamente condannati dai paesi e daipopoli amanti della pace nel mondo. Questa barbarica atrocità commessa da-gli Stati Uniti ha messo a nudo pienamente gli scopi feroci ed egemoni e la na-tura imperialista dell’aggressione. Un osservatorio mondiale mostra chiara-mente come l’intervento armato statunitense contro la Repubblica federale diYugoslavia non sia un fenomeno isolato ed accidentale. È un’importante mi-sura presa dagli Stati Uniti per costruire la propria strategia globale di ricercadell’egemonia alla fine del secolo e un’importante indicazione sui nuovi svi-luppi dell’egemonia statunitense. Questo rappresenta un nuovo corso nella si-tuazione internazionale attuale che merita seria attenzione.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la fine della Guerra Fredda, gli Sta-ti Uniti, essendo l’unica superpotenza nel mondo e contando sulla propria po-tente forza economica, tecnologica e militare, hanno cominciato a darsi dellearie, a pavoneggiarsi e a considerarsi insuperabili nel mondo. La loro ambizio-ne di ricerca del dominio mondiale è rapidamente aumentata.

Allo scopo di raggiungere il loro obiettivo strategico di dominio mondia-le, gli Stati Uniti hanno affondato il naso ovunque negli affari degli altri pae-

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Appendice

A) FONTI: DUE TESTI PARTICOLARI

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si, per esempio nei Balcani, nel Medio e Vicino Oriente e in altre parti delmondo, senza riguardo alla Carta delle Nazioni Unite o al diritto e alle con-venzioni internazionali.

Gli Stati Uniti hanno stabilito, sui due fronti dell’Oriente e dell’Occiden-te, alleanze e gruppi militari a servizio dell’egemonia americana, e hanno co-struito un sistema di sicurezza globale guidato da loro stessi. In Europa, gliStati Uniti usano la NATO come un importante strumento per esercitare lapropria strategia globale di ricerca dell’egemonia. L’attuale guerra d’aggres-sione lanciata dalla NATO guidata dagli Usa contro la Repubblica Federale diYugoslavia rappresenta l’inizio della costruzione della loro nuova strategia. Èla prima volta che la NATO usa la forza per interferire negli affari interni di unaltro paese al di fuori della sua tradizionale area di difesa, così tutto ciò diven-ta un pericoloso precedente di intervento armato della NATO negli affari in-terni di uno stato sovrano. Nella regione asiatica del Pacifico, gli Stati Unitihanno continuato a tenere i loro 10.000 soldati, hanno rafforzato l’alleanza mi-litare Usa-Giappone, e firmato con il Giappone le linee guida per una nuovacooperazione nella difesa. La Camera dei rappresentanti e il Senato giappone-se hanno approvato il progetto di legge relativo a queste nuove linee guida,che estendono lo scopo della cooperazione militare Usa-Giappone all’interaregione asiatica del Pacifico includendo Taiwan, e ponendo una seria minac-cia alla pace e alla sicurezza dell’area. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti e ilGiappone hanno deciso di impegnarsi nella ricerca e nello sviluppo del siste-ma di difesa missilistico delle zone di guerra (TMD), costruendo un sistema didifesa missilistico volto a guadagnare un vantaggio militare. Queste attivitàstanno ad indicare un maggiore sviluppo nella costruzione della strategia sta-tunitense di alleanze militari a livello globale. Si incrementano gli investimen-ti militari e si sviluppano vigorosamente le armi ad alta tecnologia. Nel 1999,il budget per la difesa americano è cresciuto a 276.2 bln di dollari, equivalen-te a 1.67 volte il totale delle spese militari di Francia, Russia, Gran Bretagna,Germania, Giappone e Cina. Gli Stati Uniti hanno anche deciso di incremen-tare il loro budget della difesa di 112 bln di dollari nei prossimi sei anni. Pergarantire la loro assoluta superiorità in campo militare, gli Stati Uniti hannopubblicato il programma di sistema di difesa missilistico nazionale (NMD).

Gli Stati Uniti tentano di guidare il nuovo ordine economico internazio-nale e stabilire il loro status come potenza globale in campo economico, com-merciale, scientifico, tecnologico e finanziario.

Si lancia una nuova Guerra Fredda contro i paesi socialisti e del terzomondo. Agli Stati Uniti non piace la partecipazione della Cina al sistema so-

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cialista e sono contrari a vedere che la Cina si sta affermando come grande po-tenza. Si fa pressione per imbrigliare la Cina sul piano economico e politiconel tentativo di soffocarla con un’unica azione. Comunque, invece di collassa-re sotto la pressione americana, la Cina si è sviluppata ed è cresciuta regolar-mente e, nella nuova fiammante posizione di paese socialista in sviluppo, la Ci-na si afferma nella galassia delle nazioni mondiali. Gli Stati Uniti esercitanouna pressione e operano il cosiddetto contenimento anche di altri paesi socia-listi. Comunque, i paesi socialisti non sono scomparsi dalla faccia della terracome vorrebbe e desidererebbe l’Occidente guidato dagli Stati Uniti. Attra-verso le esperienze e le lezioni riassunte e adottando un automiglioramento eun autosviluppo, i paesi socialisti stanno dimostrando fresca vitalità e vigore.Ostentando gli stendardi della libertà, della democrazia e dei diritti umani, gliStati Uniti interferiscono negli affari interni dei paesi in via di sviluppo. GliStati Uniti hanno proposto, anno dopo anno, mozioni riguardanti i dirittiumani di altre nazioni e incontri sui diritti umani alle Nazioni Unite, tentan-do di interpretare il ruolo di giudice dei diritti umani e conducendo processiai paesi in via di sviluppo. Gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentali pongonosfide alle norme universalmente riconosciute del diritto internazionale e avan-zano argomenti assurdi, creando nuove teorie per sostenere la loro egemoniae le loro politiche di potenza. Hanno provato duramente a legalizzare le loroazioni egemoniche. La sostanza di questi discorsi è, sotto la bandiera dei dirit-ti umani e dell’umanitarismo, estendere la loro sfera politica ed economica diinfluenza e portare avanti il proprio neo-colonialismo.

Grazie al potere che deriva della loro assoluta superiorità nel campo del-l’informazione e dei media, gli Stati Uniti provano a sviare l’opinione pubbli-ca mondiale e ad ingannare i popoli dei vari paesi, così da esercitare la loro ar-roganza egemonica. Il nuovo sviluppo dell’egemonia statunitense è determi-nato dalla sua natura imperialista ed è profondamente legato a fattori econo-mici, politici sia di natura internazionale che interna.

È nella mentalità degli Stati Uniti che il modo per mantenere il propriostatus di signori incontrastati sia il più importante obiettivo della loro strate-gia globale del 21° secolo.

Comunque, è impossibile che il piano di creare un’egemonia Usa abbiasuccesso. La salvaguardia della pace mondiale e la promozione di un comunesviluppo sono il forte desiderio e la generale richiesta dei popoli del mondo.Che il mondo si muova verso una multipolarizzazione è l’inevitabile corso del-la storia. La sostanza e la chiave della pratica statunitense di una nuova ege-monia sono rivolte a stabilire un ordine internazionale sotto la guida degli Usa.

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Riguardo a ciò, i paesi in via di sviluppo non saranno d’accordo, come non losaranno anche gli alleati degli Stati Uniti. Gli imperialisti e gli egemoni sovra-stimano la propria forza e sottostimano quella delle popolazioni del mondo.Questo porta con sé che lo sviluppo degli eventi inevitabilmente produca unsentimento contrario ai desideri di queste potenze e che la roccia che solleva-no cadrà sui propri piedi. Un esempio lampante è la loro aggressione controla Repubblica federale di Yugoslavia. La costruzione statunitense dell’egemo-nia e della politica di potenza è la principale causa della minaccia alla pace ealla stabilità mondiale, è una mossa ingiusta che va contro la tendenza storicae per questo motivo è completamente impopolare nel mondo.

È certo che come l’egemonia non ha potuto raggiungere il suo scopo didominio del mondo nel periodo della Guerra Fredda, così fallirà a raggiunge-re tale obiettivo nel periodo post- Guerra Fredda.

Il mondo appartiene ai popoli dei diversi paesi. Nel nuovo secolo, tutte lenazioni amanti della pace e le loro genti non permetteranno mai ai neocolo-nialisti e ai nuovi egemoni di rinnovare il loro dominio sul mondo.

Documento n. 2

Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole tra la Repubblica popolare cinese e la Federazione russa

16/07/2001

Ministero degli Affari Esteri cinesewww.fmprc.gov.cn(Traduzione italiana)

Il 16 luglio 2001, a Mosca, il Presidente Jiang Zemin della Repubblica Po-polare Cinese e il Presidente Vladimir Putin della Federazione Russa hannofirmato il Trattato di buon vicinato e di cooperazione amichevole tra la Repub-blica Popolare Cinese e la Federazione Russa.

La Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa (da ora in poi in-dicati come parti contraenti), vista la tradizione storica di buon vicinato e diamicizia tra i popoli della Cina e della Russia, tenuto conto che le Dichiarazio-ni comuni cino-russe firmate e adottate dai capi di stato dei due paesi dal 1992al 2000 sono di grande significato per lo sviluppo dei rapporti bilaterali, cre-dendo fermamente che consolidare i legami d’amicizia e di buon vicinato e lareciproca cooperazione in tutti i settori tra i due paesi sia conforme con gli in-

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teressi fondamentali dei popoli dei due paesi e di contributo al mantenimen-to della pace, della sicurezza e della stabilità in Asia e nel mondo, reiterandogli obblighi presi in conformità alla Carta delle Nazioni Unite e ad altri tratta-ti internazionali dei quali sono firmatari, con la speranza di promuovere e sta-bilizzare un nuovo e pacifico ordine mondiale basato sui principi universal-mente riconosciuti e sulle norme del diritto internazionale, sforzandosi di ac-crescere le relazioni tra i due paesi su di un livello completamente nuovo, de-terminato a sviluppare l’amicizia tra i popoli dei due paesi di generazione ingenerazione, hanno ricercato l’accordo che segue:

ARTICOLO 1

In accordo con i principi universalmente riconosciuti e con le norme didiritto internazionale e sulla base dei Cinque Principi di reciproco rispettodella sovranità di uno stato e della sua integrità territoriale, della reciprocanon-aggressione, della reciproca non-interferenza negli affari interni dell’al-tro, dei reciproci ed equi benefici e della coesistenza pacifica, le parti con-traenti svilupperanno una partnership strategica di cooperazione, buon vici-nato, amicizia, uguaglianza e fiducia tra i due paesi a lungo termine e in mo-do comprensivo.

ARTICOLO 2

Occupandosi delle loro reciproche relazioni, le parti contraenti non ricorre-ranno mai all’uso della forza; o alla minaccia della forza né ricorreranno a mezzieconomici o di altro tipo per fare pressione l’una sull’altra. Le parti contraenti ri-solveranno le loro differenze solo attraverso strumenti pacifici che corrispondo-no ai provvedimenti della Carta delle Nazioni Unite e ai principi e alle norme uni-versalmente riconosciute dal diritto internazionale. Le parti contraenti riafferma-no il proprio impegno a non essere i primi a utilizzare armi nucleari l’una control’altra né missili balistici ad obiettivo strategico l’una contro l’altra.

ARTICOLO 3

Le parti contraenti rispettano la scelta l’una dell’altra del corso di svilup-po politico, economico, sociale e culturale in linea con le condizioni attualidella loro nazione in modo da assicurare uno sviluppo stabile e a lungo termi-ne delle relazioni tra i due paesi.

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ARTICOLO 4

La parte cinese sostiene quella russa nelle sue politiche sulla questione didifesa dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale della Federazione Russa.

ARTICOLO 5

La parte russa riafferma che la posizione iniziale sulla questione di Taiwancome esposta nei documenti politici firmati e adottati dai capi di stato dei duepaesi dal 1992 al 2000 rimane invariata. La parte russa riconosce che c’è soloun’unica Cina nel mondo, che la Repubblica popolare cinese è il solo gover-no legale rappresentante l’intera Cina e che Taiwan è una parte inalienabiledella Cina. La parte russa si oppone ad ogni forma di indipendenza di Taiwan.

ARTICOLO 6

Le parti contraenti puntualizzano con soddisfazione che ognuna non harivendicazioni territoriali sull’altra ed entrambe sono risolute a fare deglisforzi attivi per costruire il confine tra i due paesi in un modo che prevalgauna amicizia e una pace definitiva. Le parti contraenti aderiranno ai princi-pi di non-usurpazione dei territori e dei confini nazionali come stipulato dal-le leggi internazionali e guarderanno strettamente i confini nazionali tra i duepaesi. Le parti contraenti continueranno a tenere dei colloqui sugli allinea-menti di confine rimasti in sospeso tra Cina e Russia in quanto non si è an-cora arrivati ad un accordo attraverso delle consultazioni. Prima di sistema-re questa situazione, le due parti manterranno lo status quo nei settori di con-fine.

ARTICOLO 7

In linea con gli accordi correnti, le parti contraenti adotteranno misureper incrementare la fiducia tra i loro militari e ridurranno le forze militari nel-le zone di confine. Le parti contraenti estenderanno e approfondiranno l’av-vio di misure nel settore militare in modo da consolidare la sicurezza di en-trambi e rafforzare la stabilità regionale ed internazionale. Le parti contraen-ti faranno gli sforzi necessari per assicurare la propria sicurezza nazionale inaccordo col principio di mantenere ragionevoli e adeguati armamenti e forzearmate.

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La cooperazione militare e nella tecnologia militare delle parti contraen-ti avverrà in accordo con gli importanti accordi internazionali che non sonodiretti verso paesi terzi.

ARTICOLO 8

Le parti contraenti non entreranno in alcuna alleanza o blocco né pren-deranno alcuna iniziativa, compresa la conclusione di trattati con un paese ter-zo che possa compromettere la sovranità, la sicurezza e l’integrità territorialedell’altra parte contraente. Nessuna delle parti permetterà che il proprio ter-ritorio possa essere utilizzato da un paese terzo per mettere in pericolo la so-vranità nazionale, la sicurezza e l’integrità territoriale dell’altra parte contraen-te. Nessuna delle due parti contraenti permetterà la fondazione di organizza-zioni o bande sul proprio suolo che mettano a rischio la sovranità, la sicurez-za e l’integrità territoriale dell’altra parte contraente e proibiranno le loro at-tività.

ARTICOLO 9

Quando dovesse nascere una situazione nella quale una delle parti con-traenti ritenesse che la pace sia minacciata e minata o che i suoi interessi di si-curezza siano coinvolti o quando ci si dovesse confrontare con una minacciadi aggressione, le parti contraenti avvieranno immediatamente contatti e con-sultazioni allo scopo di eliminare tali minacce.

ARTICOLO 10

Le parti contraenti impiegheranno e perfezioneranno il meccanismo deiregolari incontri a tutti i livelli, soprattutto summit e incontri ad alto livello,per condurre scambi di punti di vista periodici e coordinare le loro posizionisui legami bilaterali e su importanti ed urgenti questioni internazionali di co-mune interesse in modo da rafforzare la partnership strategica di cooperazio-ne, fiducia e uguaglianza.

ARTICOLO 11

Le parti contraenti riaffermano la stretta osservanza dei principi univer-salmente riconosciuti e delle norme di diritto internazionale e si oppongono a

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qualsiasi azione di ricorso all’uso della forza per fare pressione sugli altri o in-terferire negli affari interni di uno stato sovrano ed entrambe sono pronte afare degli sforzi per rafforzare la pace, la stabilità, lo sviluppo e la cooperazio-ne nel mondo.

Le parti contraenti sono contrarie ad ogni azione che possa costituire unaminaccia alla stabilità internazionale, alla sicurezza e alla pace e attuerannoun reciproco coordinamento riguardo alla prevenzione di conflitti interna-zionali.

ARTICOLO 12

Le parti contraenti lavoreranno insieme per il mantenimento della stabi-lità e dell’equilibrio strategico globale e compiranno grandi sforzi nel promuo-vere l’osservanza degli accordi di base riguardanti la salvaguardia e il mante-nimento della stabilità strategica. Le parti contraenti promuoveranno attiva-mente il processo di disarmo nucleare e la riduzione di armi chimiche, pro-muoveranno e rafforzeranno i regimi sulla proibizione delle armi biologiche eprenderanno misure per prevenire la proliferazione di armi di distruzione dimassa, i loro mezzi di distribuzione e la loro relativa tecnologia.

ARTICOLO 13

Le parti contraenti rafforzeranno la loro cooperazione nelle Nazioni Uni-te e nel Consiglio di Sicurezza così come nelle altre Agenzie dell’ONU. Le par-ti contraenti lavoreranno per rinforzare il ruolo centrale delle Nazioni Unitecome la più autorevole e universale organizzazione di stati sovrani che si oc-cupi degli affari internazionali, particolarmente di pace e sviluppo e garanti-ranno la massima responsabilità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel set-tore di mantenimento internazionale della pace e della sicurezza.

ARTICOLO 14

Le parti contraenti promuoveranno energicamente il consolidamento del-la stabilità delle zone circostanti ai due paesi, creeranno un’atmosfera di reci-proca comprensione, fiducia e cooperazione, e promuoveranno gli sforzi ne-cessari a fondare un meccanismo di coordinamento multilaterale che siconformi con la situazione attuale delle zone sopramenzionate sui temi dellasicurezza e della cooperazione.

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ARTICOLO 15

In armonia con gli accordi intergovernativi tra i due paesi e altri docu-menti relativi alle responsabilità e ai diritti dei creditori, ogni parte riconosceil diritto legale di proprietà dei beni e di altre proprietà che appartengono al-l’altra parte e che sono localizzate all’interno del territorio dell’altra parte con-traente.

ARTICOLO 16

Sulla base del reciproco beneficio, le parti contraenti svilupperanno lacooperazione in alcuni settori come l’economia e il commercio, l’abilità mili-tare, la scienza e la tecnologia, le risorse energetiche, i trasporti, l’energia nu-cleare, la finanza, l’aviazione e l’aerospazio, l’informazione tecnologica e altricampi di comune interesse. Esse promuoveranno la cooperazione commercia-le ed economica nelle aree di confine e nelle regioni locali tra i due paesi e cree-ranno le condizioni necessarie e favorevoli a questo riguardo in accordo conle leggi di ciascun paese. Le parti contraenti aumenteranno energicamente esvilupperanno scambi e cooperazione nella cultura, nell’educazione, nella sa-lute, nell’informazione, nel turismo, nello sport e nei settori legali. In accordocon le proprie leggi nazionali e con i trattati internazionali dei quali hanno pre-so parte, le parti contraenti proteggeranno e manterranno i diritti di proprietàintellettuale, inclusi il copyright e altri rilevanti diritti.

ARTICOLO 17

Le parti contraenti svilupperanno la cooperazione all’interno di istituzio-ni finanziarie mondiali, organizzazioni economiche e forum, e in linea con iruoli e i regolamenti delle istituzioni, delle organizzazioni e forum sopramen-zionati faranno gli sforzi necessari per promuovere la partecipazione di ogniparte contraente nelle istituzioni sopramenzionate di cui l’altra parte con-traente fosse già membro (o stato membro).

ARTICOLO 18

La parte contraente coopererà nel promuovere la realizzazione dei dirittiumani e delle libertà fondamentali in accordo con gli obblighi internazionaliin cui ciascuna si è impegnata e con le leggi nazionali di ciascun paese.

147

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In linea con gli obblighi internazionali nei quali ognuna delle parti con-traenti si è impegnata e in linea con le leggi e i regolamenti di entrambi i pae-si, ciascuna parte contraente prenderà le giuste misure per garantire i dirittilegali e gli interessi delle persone legali e delle persone naturali di entrambe leparti contraenti che risiedano all’interno del territorio, e provvederà alla ne-cessaria assistenza legale su questioni di tipo civile e penale.

I relativi ministeri delle parti contraenti, in accordo con le relative leggi,condurranno ricerche e cercheranno una soluzione ai problemi e alle disputenati dal processo di cooperazione e di attività di affari tra persone legali e per-sone fisiche all’interno del territorio dell’altro contraente.

ARTICOLO 19

Le parti contraenti porteranno avanti la cooperazione nell’ambito dellaprotezione e del miglioramento dell’ambiente, della prevenzione dell’inquina-mento di confine, dell’uso razionale delle risorse idriche lungo le aree di con-fine e dell’uso di risorse biologiche nel Pacifico settentrionale e nelle aree deifiumi di confine; faranno sforzi in comune per proteggere la flora in estinzio-ne, la fauna e l’ecosistema naturale, e attueranno una cooperazione per preve-nire il causarsi di incidenti nati da disastri naturali o ragioni tecniche e per eli-minare gli eventuali loro effetti.

ARTICOLO 20

Le parti contraenti, in accordo con le leggi di ogni paese e con gli ob-blighi internazionali che ognuno si è assunto, coopereranno attivamente neldebellare terroristi, estremisti, separatisti, e nel prendere misure rigide con-tro le attività criminali di crimini organizzati, di traffico illegale di droga,sostanze stupefacenti e armi. Le parti contraenti svilupperanno la coopera-zione per trattare severamente l’immigrazione illegale, incluso il trattamen-to più severo sul trasporto illegale di persone attraverso il proprio territo-rio.

ARTICOLO 21

Le parti contraenti riservano grande importanza agli scambi e alla coope-razione tra gli organi centrali legislativi e le autorità deputate a far osservare lalegge nei due paesi.

148

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Le parti contraenti promuoveranno con grandi sforzi gli scambi e la coo-perazione tra gli organi giudiziari dei due paesi.

ARTICOLO 22

Questo Trattato non pregiudica i diritti e gli obblighi delle parti contraen-ti in altri trattati internazionali dei quali sono firmatari, né è diretto verso unpaese terzo.

ARTICOLO 23

Per mettere in atto il presente Trattato, le parti contraenti promuoveran-no attivamente la firma di accordi in specifici settori che sono di comune in-teresse.

ARTICOLO 24

Il Trattato ha bisogno di essere ratificato ed entrerà in vigore dalla data discambio degli strumenti di ratifica. Lo scambio degli strumenti di ratifica avràluogo a Pechino.

ARTICOLO 25

Il termine di validità del presente Trattato è di venti anni. Se nessuna del-le parti contraenti notifica all’altra in forma scritta il desiderio di porre termi-ne al Trattato un anno prima della scadenza dello stesso, esso sarà automati-camente rinnovato per altri cinque anni e continuerà in accordo con questastatuizione.

Stipulato a Mosca il 16 luglio 2001 in due copie, ognuna nelle lingue ci-nese e russa, entrambi i testi sono ugualmente autentici.Il Rappresentante della Repubblica popolare cinese Jiang ZeminIl Rappresentante della Federazione russa Vladimir Putin

149

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B) DATI NUMERICI

CONFRONTO DELLE CAPACITÀ MILITARI

150

STATIUNITI

CINAPOPOLARE TAIWAN GIAPPONE

Organico totale attivo 1.427.500 2.360.000 305.000 238.200

Forze strategiche

Missili balistici intercontinen-tali a testata nucleare ICBM 550 110 0 0

Missili balistici intermedi a te-stata nucleare IRBM 0 598 0 0

Missili balistici a corto raggioa testata nucleare SRBM 0 142 0 0

Missili balistici a testata nu-cleare lanciabili da sottomarini 432 12 0 0

Esercito

Organico 485.500 1.700.000 200.000 148.200

Carri armati pesanti 7.620 7.180 926 1.020

Autocarri pesanti 14.300 4.500 950 830

Pezzi di artiglieria 1.547 15.200 1.465 650

Unità anfibie 51 0 0 0

Elicotteri d’attacco 1.133 327 0 90

Elicotteri non armati 3.464 – 220 363

Marina

Organico 400.000 250.000 45.000 44.400

Sottomarini lanciamissili bali-stici SSBN 18 1 0 0

Sottomarini lanciamissili dacrociera SSGN 35 1 0 0

Sottomarini nucleari d’attacco 21 0 0 0

Sottomarini convenzionali 0 61 4 16

Unità Portaerei12 (di cui 9

a propulsionenucleare)

0 0 0

Incrociatori 27 0 0 0

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151

STATIUNITI

CINAPOPOLARE TAIWAN GIAPPONE

Caccia 49 21 11 45

Fregate 30 42 21 9

Cacciamine 26 39 12 31

Unità anfibie 40 56 18 8

Unità logistiche e di riforni-mento 35 36 5 4

Aerei da combattimento del-l’aviazione navale 1.705 248 32 80

Elicotteri dell’aviazione navale 1.887 51 20 133

Corpo dei Marines

Organico 174.400 10.000 15.000 0

Carri armati 403 0 0 0

Pezzi di artiglieria 926 – – 0

Aerei da combattimento delUS Marine Corp 667 0 0 0

Elicotteri del US Marine Corp 730 0 0 0

Aeronautica

Organico 367.600 400.000 45.000 45.600

Bombardieri strategici 203 20 0 0

Aerei da combattimento 3.513 1.826 479 270

Aerei da trasporto 1.069 513 19 40

Elicotteri 208 90-100 35 –

Fonte: International Institute for Strategic Studies, The Military Balance 2003/04.

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152

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2001 2002 2003

PIL (US $) 1.2 tr 1.3 tr

Reddito pro-capite (US $) 920 970

Tasso di crescita del PIL (%) 7.3 8.0

Inflazione (%) 0.7 1.0

Debito pubblico (US $) 170 bln

Spese per la Difesa (US $) 43.5 bln 51 bln

Budget per la Difesa (US $) 17 bln 20 bln 22.4 bln

Popolazione 1.299.278.000

Popolazione maschile 13-17 anni 52.707.000

Popolazione femminile 13-17 anni 50.049.000

Popolazione maschile18-22 anni 46.251.000

Popolazione femminile 18-22 anni 43.196.000

Popolazione maschile 23-32 anni 119.898.000

Popolazione femminile 23-32 anni 112.665.000

Fonte: International Institute for Strategic Studie, The Military Balance 2003/04.

DATI RELATIVI AL PRODOTTO INTERNO LORDO DELLA CINA POPOLARE

DATI RELATIVI ALLA POPOLAZIONE DELLA CINA POPOLARE

1990 2000

Popolazione 1.133.700.000 1.265.800.000

Tasso di nascita (% per 1.000 abitanti) 21.1 14.4

Tasso di crescita naturale (% per 1.000 abitanti) 14.4 7.6

Popolazione cinese Han 1.042.500.000 1.159.400.000

Popolazione minoranze etniche 91.200.000 106.400.000

Popolazione urbana 299.700.000 458.400.000

Popolazione urbana (%) 26.4 36.2

Popolazione 0-14 anni (%) 27.7 22.9

Popolazione 15-64 anni (%) 66.7 70.2

Popolazione oltre i 65 anni (%) 5.6 7.0

154

Fonte: The Economist Intelligence Unit, Country Profile 2004 – China.

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Finito di stampare nel mese di marzo 2006da Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali

per conto di Rubbettino Editore Srl88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)

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Collana Ce.Mi.S.S. – Serie Blu

11 Il reclutamento in Italia (1989) (Autori Vari)(*)12 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1506 al 1870, Vol. I (1989) V. Ilari (*)13 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1871 al 1918, Vol. II (1990) V. Ilari (*)14 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1919 al 1943, Vol. III (1990) V. Ilari (*)15 Storia del Servizio Militare in Italia dal 1943 al 1945, Vol. IV (1991) V. Ilari (*)15/bis Storia del Servizio Militare in Italia – La difesa della Patria (1945-1991) Vol. V

– “Pianificazione operativa e sistema di reclutamento” (1992) V. Ilari (*)15/ter Storia del Servizio Militare in Italia – La difesa della Patria (1945-1991) Vol. V

- “Servizio militare e servizio civile – Legislazione statistiche” (1992) V. Ilari (*) 16 Soppressione della leva e costituzione di Forze Armate volontarie (1990) P.

Bellucci, A. Gori (*)16/a Servizio di leva e volontariato: riflessioni sociologiche (1990) M. Marotta, L.

Labonia (*)17 L’importanza Militare dello spazio (1990) C. Buongiorno, S. Abbà, G. Maoli,

A. Mei, M. Nones, S. Orlandi, F. Pacione, F. Stefani (*)18 Le idee di “difesa alternativa” ed il ruolo dell’Italia (1990) F. Calogero, M. De

Andreis, G. Devoto, P. Farinella (*)19 La “policy science” nel controllo degli armamenti (1990) P. Isernia, P. Belluc-

ci, L. Bozzo, M. Carnovale, M. Coccia, P. Crescenzi, C. Pelanda (*)10 Il futuro della dissuasione nucleare in Europa (1990) S. Silvestri (*)11 I movimenti pacifisti ed anti-nucleari in Italia 1980-88 (1990) F. Battistelli, P.

Isernia, P. Crescenzi, A. Graziani, A. Montebovi, G. Ombuen, S. Scaparra, C.Presciuttini (*)

12 L’organizzazione della ricerca e sviluppo nell’ambito Difesa, Vol. I (1990) P. Bi-sogno, C. Pelanda, M. Nones, S. Rossi, V. Oderda (*)

12/bis L’organizzazione della ricerca e sviluppo nell’ambito Difesa, Vol. II (1990) P.Bisogno, C. Pelanda, M. Nones, S. Rossi, V. Oderda (*)

13 Sistema di programmazione generale finanziaria ed ottimizzazione delle risor-se in ambito Difesa (1990) G. Mayer, C. Bellinzona, N. Gallippi, P. Mearini, P.Menna (*)

14 L’industria italiana degli armamenti (1990) F. Gobbo, P. Bianchi, N. Bellini, G.Utili (*)

15 La strategia sovietica nella regione meridionale (1990) L. Caligaris, K.S.Brower, G. Cornacchia, C.N. Donnelly, J. Sherr, A. Tani, P. Pozzi (*)

16 Profili di carriera e remunerazioni del personale militare e civile dell’Ammini-strazione dello Stato delle qualifiche direttive e dirigenziali (1990) D. Tria, T.Longhi, A. Cerilli, A. Gagnoni, P. Menna (*)

17 La riconversione dell’industria per la Difesa (1990) S. Rossi, S. Rolfo, N. Bel-lini (*)

18 Il trasferimento di tecnologie strategicamente critiche (1990) S. Rossi, F. Bru-ni Roccia, A. Politi, S. Gallucci (*)

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19 Nuove concezioni del modello difensivo italiano (1990) S. Silvestri, V. Ilari, D.Gallino, A. Politi, M. Cremasco (*)

20 Warfare simulation nel teatro mediterraneo (1990) M. Coccia (*)21 La formazione degli Ufficiali dei Corpi Tecnici (1990) A. Paoletti, A. D’Ami-

co, A. Tucciarone (*)22 Islam: problemi e prospettive e le politiche dell’Occidente (1990) R. Aliboni,

F. Bacchetti, L. Guazzone, V. Fiorani Piacentini, B.M. Scarcia Amoretti, P.G.Donini, F. Bacchetti (*)

23 Effetti economici della spesa della Difesa in Italia (1990) A. Pedone, M. Gras-sini (*)

24 Atto unico europeo e industria italiana per la Difesa (1990) F. Onida, M. No-nes, G. Graziola, G.L. Grimaldi, W. Hager, A. Forti, G. Viesti (*)

25 Disarmo, sviluppo e debito (1990) C. Pelanda (*)26 Yugoslavia: Realtà e prospettive (1990) C. Pelanda, G. Meyer, R. Lizzi, A. Truz-

zi, D. Ungaro, T. Moro (*)27 Integrazione militare europea (1990) S. Silvestri (*)28 La Rappresentanza Militare in Italia (1990) G. Caforio, M. Nuciari (*)29 Studi strategici e militari nelle università italiane (1990) P. Ungari, M. Nones,

R. Luraghi, V. Ilari (*)30 Il pensiero militare nel mondo musulmano – Credenti e non credenti: il pen-

siero militare e la dottrina di Jaid, Vol. I (1991) V. Fiorani Piacentini (*)31 Costituzione della difesa e stati di crisi per la difesa nazionale (1991) G. de Ver-

gottini (*)32 Sviluppo, armamenti, conflittualità (1991) L. Bonante, F. Armao, M. Cesa, W.

Coralluzzo (*)33 Il pensiero militare nel mondo musulmano – Teoria e prassi la dottrina classi-

ca della Jihad e una fra le sue molteplici esperienze geocrafico-culturali: l’AsiaCentrale, Vol. II (1991) G. Ligios, R. Radaelli (*)

34 La “condizione militare” in Italia – I militari di leva, Vol. I (1991) M. Marotta,M.L. Maniscalco, G. Marotta, S. Labonia, V. Di Nicola, G. Grossi (*)

35 Valutazione comparata dei piani di riordinamento delle FF.AA. dei Paesi del-l’Alleanza Atlantica (1991) D. Gallino (*)

36 La formazione del Dirigente Militare (1991) F. Fontana, F. Stefani, G. Cacca-mo (*)

37 L’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia (1991) P. Bellucci, C.M.Redaelli (*)

38 La “Condizione Militare” in Italia - Fenomenologia e problemi di devianza(1991), Vol. III G. M. Marotta (*)

39 La Dirigenza Militare (1992) S. Cassese, C. D’Orta (*)40 Diritto Internazionale per Ufficiali della Marina Militare (1993) N. Ronzitti, M.

Gestri (*)41 I volontari a ferma prolungata: un ritratto sociologico. Tomo I (I volontari a

ferma prolungata ed i Sottufficiali) (1993) F. Battistelli (*)

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41/bis Sottufficiali delle Forze Armate. Idee propositive per migliorarne il recluta-mento, lo statuto e la carriera. Tomo II (I volontari a ferma prolungata e i Sot-tufficiali) (1993) M. Marotta (*)

42 Strategia della ricerca internazionalistica (1993) L. Bonanate (*)43 Rapporto di ricerca sui movimenti migratori e sicurezza nazionale (1993) G.

Sacco (*)44 Rapporto di ricerca su nuove strutture di sicurezza in Europa (1993) S. Silve-

stri (*)45 I sistemi di comando e controllo ed il loro influsso sulla sicurezza italiana

(1993) P. Policastro (*)46 Le minacce da fuori area contro il fianco Sud della Nato (1993) R. Aliboni (*)47 Approvvigionamento delle materie prime, crisi e conflitti nel Mediterraneo

(1993) G. Mureddu (*)48 Lo sviluppo dell’aeromobilità (1993) A. Politi (*)49 L’impatto economico delle spese militari in Emilia Romagna (1993) A. Bolo-

gnini, M. Spinedi, NOMISMA S.p.A. (*)50 I paesi della sponda Sud del Mediterraneo e la politica europea (1994) R. Ali-

boni, B. Scarcia Amoretti, G. Pennisi, G. Lancioni (*)51 I problemi della sicurezza nell’Est Europeo e nell’ex-Unione Sovietica (1994)

C. Pelanda, E. Letta, D. Gallino, A. Corti (*)52 Il pensiero militare nel mondo musulmano - Ragion militare e ragion di Stato,

Vol. III (1994) V. Fiorani Piacentini (*)53 Presupposti concettuali e dottrinali per la configurazione di una futura forza

d’intervento (1994) G. Caccamo (*)54 Lo status delle navi da guerra italiane in tempo di pace ed in situazioni di crisi

(1994) A. de Guttry (*)55 La “Condizione Militare” in Italia, “Ufficiali e Sottufficiali”, Vol. II (1994) M.

Marotta (*)56 Crisi del bipolarismo: vuoti di potere e possibili conseguenze (1994) S. Roma-

no, J.L. Harper, E. Mezzetti, C.M. Santoro, V. Dan Segre (*)57 Il problema della quantificazione di dati attendibili sull’interscambio militare-

industriale fra i vari Paesi (1994) S. Sandri, A. Politi (*)58 Ottimizzazione della selezione del personale - Metodi e modelli di selezione e

organizzazione nelle Forze Armate italiane (1994) A. De Carlo (*)59 Gestione della crisi: metodologie e strumenti (1994) P. Isernia (*)60 Politica militare e sistema politico: i partiti ed il nuovo Modello di Difesa

(1994) P. Bellocci (*)61 Sicurezza ed insicurezza nell’Europa post-comunista (1994) A. Rossi, P. Visa-

ni (*)62 Indagine sulla propensione delle donne italiane a svolgere il servizio militare

(1994) R. Savarese (*)63 L’impatto della presenza militare in Emilia Romagna: case study su Bologna

(1994) NOMISMA S.p.A. (*)

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64 L’impatto della presenza militare in Emilia Romagna “il caso Budrio”, il ca-so del “triangolo aeronautico”: Forlì, Cervia, Rimini, (1994) NOMISMAS.p.A. (*)

65 Sistema di sicurezza dei Paesi del Golfo. Riflessi per l’Occidente (1995) S. Sil-vestri, R. Aliboni, L. Guazzone (*)

66 Sistema di controllo dell’esportazione degli armamenti e della tecnologia avan-zata. Ammaestramenti delle crisi del Golfo (1995) A. Politi, A. de Guttry, S.Gallucci, M. Bilbesi, M. Lastella (*)

67 Emergenza marittima e Forze Armate – Piani di emergenza e coinvolgimentodella Marina Militare in caso di gravi incidenti navali con versamenti di petro-lio (1995) U. Bilardo, G. Mureddu (*)

68 Il ruolo del pilastro europeo della NATO nella definizione di un sistema di si-curezza integrato: rapporti istituzionali e industriali (1995) L. Caligaris, W.Wessels, G. Treverton, J. Chipman, Laporta, G. Dottori, D. Ruiz-Palmer (*)

69 L’organizzazione e l’architettura C3I per il vertice decisionale nazionale (1995)M. Nones, R. Romano, S. Silvestri, A. de Guttry (*)

70 La disintegrazione dell’impero sovietico. Problemi di sicurezza nazionale e col-lettiva in Asia Centrale (1995) V. Fiorani Piacentini, B. Nicolini, G. Pasini, G.Pastori, R. Redaelli (*)

71 Evoluzione del rischio da Sud in connessione con il prevedibile progresso tec-nologico e misure di difesa (1995) C.M. Santoro (*)

72 Presente e futuro della professione militare in Europa. L’Ufficiale italiano(1995) G. Caforio, M. Nuciari (*)

73 Possibili effetti della legge sull’obiezione di coscienza sull’assolvimento deicompiti istituzionali delle FF.AA. (1996) U. Pescatori, G. Muzzarelli

74 Lo Status delle Forze Armate italiane impegnate in operazione “fuori area”condotte sotto l’egida di organizzazioni internazionali (1996) N. Ronzitti

75 Il potere aereo post-CFE (1996) A. Politi76 La gestione disciplinare e normativa del personale volontario (1996) G. Gaspe-

rini, M. Negri (*)77 Il soldato della complessità: tra specializzazione e flessibilità (1996) M. Negri,

G.B. Colucci78 Il futuro della CFE. Il passaggio alla seconda fase di riduzione dopo la conclu-

sione della prima (1996) M. Cremasco79 La componente sicurezza/rischio negli scacchieri geopolitici Sud ed Est. Le

opzioni del Modello di Difesa italiano (1996) A. Colombo80 La geopolitica del Mediterraneo: problemi e prospettive dell’Italia negli scena-

ri futuri (1996) C. Giglio, P. Soave81 La conoscenza come risorsa produttiva: le Forze Armate di fronte alla società

postmoderna (1996) F. Battistelli, T. Ammendola, M. Negri82 Geoeconomia dei principali stati occidentali. Riflessi sull’Italia (1996) R. De

Santis, G. Vulpes83 Le operazioni militari all’estero gestite al di fuori del sistema delle organizza-

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zioni internazionali o nel suo ambito: problemi giuridici o organizzativi per leForze Armate italiane (1996) A. de Guttry

84 La difficile scommessa. L’allargamento della NATO ad Est (1997) M. Cremasco85 L’embargo e le altre misure economiche come mezzo di gestione e soluzione

delle crisi (1998) G. Pastori86 La questione sindacale nell’evoluzione delle politiche strategiche della sicurez-

za in Italia - Osservazioni storico metodologiche (1998) A. Ciampani87 Cooperazione dell’Italia con l’Austria, La Repubblica Ceka, la Slovenia, la

Croazia e l’Ungheria (1998) S. Mazzaroli88 Elementi di diritto umanitario dei conflitti armati (Diritto italiano di bandiera)

(1998) A. Marcheggiano (*)89 Italia e nucleare francese: attualità e prospettiva (1998) C. Paoletti (*)90 Analisi delle spese per l’investimento dell’Esercito. Esame delle note aggiunti-

ve: previsioni e scostamenti. Valutazioni sulle principali cause degli scostamen-ti (1998) M.T. Fiocca

91 Applicazioni spaziali civili di possibile interesse della Difesa (1998) M. Nones,A. Traballesi

92 Lo Stratega mediatico (1998) P. Visani93 Le prospettive di integrazione tra Unione Europea e Unione Europea Occi-

dentale (1999) E. Letta94 Prospettive di applicazione del D.D.L. di iniziativa governativa riguardante l’i-

stituzione del servizio civile nazionale e della nuova legge sull’obiezione di co-scienza (1999) C. Politi

95 Aspetti politici ed economici della European Security and Defence Identity nelquadro di una integrazione degli eserciti europei (1999) A. Ferranti

96 Le zone di pesca nel Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani, (1999) N.Ronzitti

97 Il processo di approvvigionamento degli idrocarburi in situazione di crisi in-ternazionale (1999) N. Pedde e V. Porfiri

98 Albania – (Manuali-Paese) (1999) a cura del Centro per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica (*)

99 Bosnia-Erzegovina – (Manuali-Paese) (1999) a cura del Centro per l’EuropaCentro-Orientale e Balcanica (*)

100 Proliferazione missilistica: stato ed evoluzione della minaccia e prospettive perun sistema di difesa antimissile (1999) A. Nativi

101 Il controllo degli armamenti nella ex-Jugoslavia con particolare riferimento al-la Bosnia-Erzegovina (1999) M. Cremasco

102 Peace Dividend. Aspetti teorici ed applicazioni al caso italiano (1999) G. Streppi103 Evoluzione dei rapporti transatlantici nel settore della produzione industriale

della difesa, a fronte della costituzione dell’Europa degli armamenti (2000) A.Traballesi

104 La geoeconomia delle imprese italiane: riflessi sulla gravitazione degli interes-si geostrategici nazionali (2000) A. Cattaneo

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105 Strategic sealift: sviluppo e caratteristiche nazionali di un importante stru-mento di proiezione e di forza nel mediterraneo allargato (2000) G. Mured-du

106 Repubblica di Jugoslavia (Manuali-Paese) (2001) a cura del Centro per l’Euro-pa Centro-Orientale e Balcanica

107 Fyrom: La Repubblica di Macedonia (Manuali-Paese) (2001) a cura del Cen-tro per l’Europa Centro-Orientale e Balcanica

108 La corte penale internazionale, i crimini di guerra e le truppe italiane all’este-ro in missione di pace (2001) N. Ronzitti

109 Gli effetti delle sanzioni economiche: il caso della Serbia (2001) M. Zucconi110 Il coordinamento interministeriale per la politica industriale della difesa: valu-

tazione comparata tra la soluzione italiana e quella dei principali paesi europei(2002) M. Nones

111 La difesa europea in ambito alleanza: una sfida per l’industria degli armamen-ti (2002) A. Traballesi

112 I diritti delle donne: le presenti strutture normative nel diritto internazionaleed i loro effetti nei casi di conflitti etnici (2002) P. Brusadin

113 Il legame nazione-esercito: l’abolizione della leva basterà a rendere le forze ar-mate meno impopolari tra i giovani? (2002) T. M. Blasi

114 La logistica degli anni 2000: ricorso a risorse esterne (outsourcing), contratti diservizi, logistica integrata, contratti chiavi in mano. Evoluzione o rivoluzione?(2003) F. Franceschini, M. Galletto, M. Borgarello

115 Cambiamenti organizzativi dell’industria statale della difesa: confronto con lealtre realtà europee, con particolare riferimento agli stabilimenti di manuten-zione navale (2003) R. Stanglini

116 La bonifica umanitaria nel quadro della cooperazione civile e militare (2003)F. Termentini

117 La questione di Cipro (2003) G. Sardellone118 The international role of the European Union (2003) R. Balfour, E. Greco (edi-

zione in lingua inglese)119 Storia del Servizio Militare in Italia – il terzo dopoguerra (1921-2001), Vol. VI

(2003) V. Ilari, P.P. Battistelli120 Cooperazione tra Forze Armate e Organizzazioni Non Governative nelle ope-

razioni militari di risposta alle crisi (2003) M. Panizzi121 Gli interventi in aree di crisi a favore della tutela del patrimonio culturale, in

applicazione ai dettati della convenzione dell’Aja: esperienze e prospettive(2003) F. Parrulli

122 Ethnic conflict in the former Soviet Unioni (2004) V.V. Naumkin, L.S. Pe-repyolkin

123 Diritto Internazionale Umanitario Violazioni e crimini nelle nuove tipologie diconflitto (2004) C.M. Polidori

124 I ritorni industriali negli approvvigionamenti internazionali: la negoziazione, ilconcordamento ed il controllo dell’esecuzione (2004) R. Rufo

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125 Il ruolo della Telemedicina nel nuovo modello di Difesa (2004) M. Anaclerio126 La certificazione dei prodotti aeronautici alla luce del D.P.R. 25 ottobre 1999

N. 556 (2004) B. Morelli, V. De Blasi127 Sviluppo tecnologico ed evoluzione della dottrina d’impiego del potere aero-

spaziale (2004) A. Traballesi, N. Cardinali128 La funzione dell’Intelligence nel contesto del processo decisionale (2004) A.

Politi129 Le minacce “globali” alla sicurezza e all’ordine internazionale (2005) P. Soave130 Norme sull’esercizio della giurisdizione delle Forze Armate inviate all’estero.

Tutela giuridica del personale (2005) D. Libertini131 Le problematiche giuridiche relative alle Forze Armate impiegate all’estero

(2005) G. Bartolini132 Bioterrorismo: il ruolo dei media nella gestione dell’emergenza (2005) E. Bor-

ghi

Collana Ce.Mi.S.S. – Serie Blu – Atti di convegni

• South-Eastern Europe, bridge or border between civilizations (Atti del conve-gno tenutosi a Sofia nei giorni 17 e 18 ottobre 1997)

• The Future of NATO’s Mediterranean Iniziative (1997) (Atti della conferenzaCeMiSS – RAND Corporation – Roma, 10 e 11 novembre 1997) (edizione di-sponibile anche in lingua araba)

• NATO enlargement: situation and perspectives (Atti del convegno tenutosi aBudapest dal 11 al 15 luglio 1998)

• I reparti multinazionali come strumento della sicurezza regionale (Atti del 1°seminario italo/polacco – Roma, 24 marzo 1999)

• Centralità dell’Italia nello sviluppo delle relazioni Nord-Sud nel bacino delMediterraneo. Quale ruolo per la Sicilia? - Atti del Seminario di studio fra stu-denti dell’Ateneo palermitano ed Istituti di Formazione della Difesa (Palermo,23-25 novembre 1999)

Altre pubblicazioni

• Diritto Internazionale per Ufficiali della Marina Militare (1996) N. Ronzitti(Ristampa della ricerca n. 40 sul supplemento della “Rivista Marittima” del lu-glio 1996)(*)

• Un’intelligence per il XXI secolo (1999) G. Dottori• Il Neo-Terrorismo: suoi connotati e conseguenti strategie di prevenzione e con-

tenimento (2001) V. Pisano• La dimensione marittima delle operazioni interforze in ambito europeo (2005)

G. Giorgerini

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• After the Iraq war: strategic and political changes in the Middle East (2005)Ce.Mi.S.S.-Gloria

Collana Ce.Mi.S.S. – edizioni Franco Angeli

1520.269 Giovani e Forze Armate (1996) F. Battistelli365.59 L’industria della Difesa. L’Italia nel quadro internazionale (1996) F. Oni-

da, G. Viesti1136.11 Scenari di sicurezza per l’Europa e l’Italia (1996) M. Cremasco1136.13 Società civile e processo di pace in Medio Oriente (1996) D.V. Segre1136.14 Interesse nazionale e interesse globale (1996) P. Portinaro (*)1136.15 La crisi del bipolarismo (1996) S. Romano (*)1136.16 Il pensiero militare nel mondo musulmano (1996) V.F. Piacentini1136.17 Rischio da Sud (1996) C.M. Santoro (*)1136.18 Evoluzione della Guerra (1996) C. Pelanda1136.19 L’invasione scalza (1996) G. Sacco1136.21 Pax Pacifica (1996) M. Dassù (*)365.66 Il Sistema Italia (1996) CeMiSS; (Atti del convegno “Gli interessi nazio-

nali italiani nel nuovo scenario internazionale” Roma, 25-26 giugno 1996)365.66 Integrazione e sicurezza nel Mediterraneo – le opzioni dell’Occidente

(1997) P.C. Padoan1136.23 Russia e sistema di sicurezza Occidentale (1997) M. Cremasco 1550.6 Difesa della Patria e interesse nazionale nella scuola (1997) R. Cartocci, A.

M. L. Parisi1136.24 La logica del disordine (1997) E. Zanoni1136.25 Alla ricerca dell’interesse nazionale (1997) A. L. Pirocchi, M. Brunelli1136.26 La politica di sicurezza tedesca verso il duemila (1997) G. Dottori, S. Marino1136.27 Medio Oriente e Forze di Pace (1997) G. Tappero Merlo1136.28 Armi e Disarmo (1997) F. Calogero, P. Miggiano, G. Tenaglia1136.29 Le missioni delle Forze Armate italiane fuori area (1997) A. de Guttry1136.30 La guerra civile in Rwanda (1997) Umwantisi1136.31 La “questione illirica” (1997) L. Bozzo, C. Simon Belli1550.9 Difesa, Politica e Società (1997) P. Bellucci1136.32 Partenariato nel Mediterraneo (1997) R. Aliboni1136.34 Combattere con le informazioni (1997) F. Pierantoni 1136.35 Il conflitto Etnico (1997) R. Arbitrio1136.36 Geopolitica della salute (1997) B. Arrabito1136.37 Interessi nazionali e identità italiana (1997) F. Corsico1550.10 Missione in Bosnia (1999) T. Ammendola1136.42 Le armi inabilitanti non letali (1999) J. Alhadeff1136.43 L’Italia e l’Islam non Arabo (1999) G. Pastori, R. Redaelli (*)1136.44 Geopolitica della Turchia (1999) R. Aliboni

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1136.45 Antropologia e Peacekeeping (1999) A. Antoniotto (*)1136.49 Regionalismi economici e sicurezza (1999) L. Troiani (*)1136.50 Asia Centrale: verso un sistema cooperativo di sicurezza (1999) V.F. Pia-

centini1136.51 Macedonia: la nazione che non c’è (1999) L. Bozzo, C. Simon Belli (*)1136.52 Scenari strategici per il futuro (1999) M. Coccia1136.53 The Kosovo Quagmire. Conflict scenarios and method for resolution

(1999) L. Bozzo, C. Simon Belli (*)1136.1.1 Transizioni democratiche (2000) L. Bonanate1136.1.2 La Difesa Civile e il progetto Caschi Bianchi (2000) F. Tullio1136.1.3 La difficile sfida (2001) M. Cremasco (*)1136.1.4 L’Egitto tra Maghreb e Machrek (2001) C. Simon Belli1136.1.5 Le organizzazioni criminali internazionali (2001) M. Giaconi1136.1.6 La questione Kurda (2001) S. Mazzocchi, R. Ragionieri, C. Simon Belli1136.1.7 L’Europa centro-orientale e la NATO dopo il 1999 (2001) F. Argentieri 1136.1.8 Europa – Stati Uniti: un Atlantico più largo? (2001) M. de Leonardis1136.1.9 The Effects of Economic Sanctions: the Case of Serbia (2001) M. Zucconi

Collana Ce.Mi.S.S. – edizioni A & P

1.09 Security Threat perception in South – Eastern Europe (2001) CeSPI and EWI 1.10 La guerra incruenta (2001) F. Pierantoni 1.11 La politica di sicurezza e difesa dell’Unione Europea (2001) F. Attinà, F. Lon-

go, C. Monteleone, S. Panebianco, P. Rosa 1.12 The flexible officer (2001) G. Caforio 1.13 Il documento di Washington: problemi politici e giuridici (2001) N. Ronzitti 1.14 UMA: Les difficultés d’une reconstruction régionale (1989-1999) (2001) K.

Chater1.15 Peacekeeping: Polizia internazionale e nuovi ruoli militari tra conflitti etnici,

terrorismo, criminalità organizzata (2001) R. Bettini1.16 Il XXI Secolo: Ipotesi e tendenze dei modelli di difesa negli scenari mondiali

(2001) C. M. Santoro1.17 Sociological aspects concerning the relations within contingents of multinatio-

nal units: The case of the Italian-Slovenian Hungarian Brigade (2001) G. Ga-sperini, B. Arnejcic e A.Ujj

1.18 Il ruolo della forza europea di reazione rapida: un quadro strategico degli an-ni duemila (2001) M. Cremasco

1.19 Il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali nei processi di peace building(2002) M. Fiocca

1.20 La sicurezza in Europa dopo il Kosovo (2001) R. Menotti e R. Balfour1.21 Il processo di integrazione del procurement militare in Europa (2001) L. Bertini2.22 Towards a European security and defence policy (2002) Ce.Mi.S.S. – C.D.S.

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2.23 Il ruolo internazionale dell’Unione Europea (2002) R. Balfour – E. Greco2.24 Rapporto dal futuro. 2004: lo Stato dell’Europa e l’Europa come Stato (2002)

L. Bonanate2.25 Changing U.S. defense policy and the war on terrorism: implications for Italy

and for U.S.-Italian relation (2002) Ce.Mi.S.S. – RAND2.26 Il diritto dei trattati nelle attività di interesse delle FF.AA. (2003) N. Ronzitti2.27 Le dinamiche palestinesi nella politica giordana, prospettive per la stabilità di

un pivotal state (2003) R. Storaci2.28 Le cooperazioni rafforzate per la ristrutturazione dell’industria europea degli

armamenti (2003) G. Bonvicini – G. Gasperini

Collana Ce.Mi.S.S. - edizioni Rubbettino

04/1 The Errf and the Nrf – The European Rapid Reaction Force and the NATO-Reaction Force: Compatibilities and Choises (2004) – Ce.Mi.S.S. – C.D.S.

04/2 Transforming Italy’s Military for a New Era: Options and Challenges – (2004)– Ce.Mi.S.S. – RAND

04/3 Globalization, Armed Conflicts and Security (2004) – A. Gobbicchi04/4 Verso un concetto di Politica Estera Europea. Le sfide esterne e di sicurezza

per la UE (2004) – R. Balfour e R. Menotti04/5 Comunicazione e politica internazionale. Mutamenti strutturali e nuove strate-

gie (2004) – E. Diodato04/6 La Nato dopo l’11 settembre. Stati Uniti ed Europa nell’epoca del terrorismo

globale (2004) – G. Dottori e M. Amorosi04/7 La dimensione finanziaria del terrorismo e del contro-terrorismo transnazio-

nale (2004) – M. Fiocca e S. Cosci04/8 Islamist and Middle Eastern Terrorism: a Threat to Europe (2004) – M. do Céu

Pinto04/9 Tra due culture. Le problematiche della famiglia del militare (2004) – M. A.

Toscano04/10 Russia’s Western Orientation after 11th September (2004) – D. Sagramoso04/11 Opinione pubblica, sicurezza e difesa europea (2004) – M.L. Maniscalco04/12 Guidare il cambiamento: la leadership nelle Forze Armate Italiane (2004) – T.

Ammendola05/1 Le forze di pace dell’Unione Europea (2005) – N. Ronzitti05/2 Gli atteggiamenti dei giovani italiani verso il mondo militare (2005) – R. Stras-

soldo05/3 Flussi migratori illegali e ruolo dei paesi di origine e di transito – A. Corneli05/4 Mediterranean security after EU and Nato enlargement (2005) – CeMiSS – ZTBw05/5 Nuove prospettive per l’Aeronave (2005) – N. Bonora05/6 Modelli organizzativi “a rete” per gestire la ricerca militare in Italia (2005) – P.

Mari e A. Giovanetti

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05/7 L’Europa allargata: come cambia la politica estera europea? (2005) – R. Balfour06/1 La componente spaziale nella difesa (2006) – F. Borrini06/2 La Questione della Sicurezza nell’Evoluzione della Politica Estera della Re-

pubblica Popolare Cinese (2006) – V. Ferretti

Paper Ce.Mi.S.S.

• L’evoluzione della politica di controllo delle esportazioni di materiali d’arma-mento e di alta tecnologia dual use alla luce della nuova intesa “The WassenarArrangement” (1998) A. Politi, S. Ruggeri

• L’Ucraina nuovo architrave della sicurezza europea (1999) F. Argentieri• L’impatto dell’evoluzione sul futuro campo di battaglia (1999) ISTRID• Disordine, Sicurezza, Stabilità. Il sistema internazionale ed il ruolo per l’Italia

(1999) P. Soave• Research-Papers on Balcans and Caucasus. A Russian Point of View (1999) N.

Arbatova – V. Naumkin• Resources and economic cooperation in the Caspian and Black sea region and

security in south-eastern Europe (1999) N. Behar• Western European Union: operational capabilities and future perspectives

from the national point of view (1999) S. Giusti (*)• Conflict management in Europe on the return of the century (1999) I. Gyar-

mati• Risks for Russia’s security in the next decade: repercussion on the country’s do-

mestic, foreign and defence policies (2000) I.B. Lada• Central-Eastern Europe and the process of approaching western institutions

(2000) B. Klich, B. Bednarczyk, A. Nowosad, M. Chorosnicki - .Institute forStrategic Studies “Studies and Analyses” – Krakòw (*)

• Institutions and civil society: crucial aspects of a peace process (2000) A. Co-razza Bildt

• Projects of exploitation of the Caspian Sea Central Asia energy resources: im-pact on relations between the states involved and the stability in the region(2000) V. Naumkin

• The CIS Security cooperation: problems and prospects (2000) – A.G. Arbatov,A.A. Pikayev; S. K. Oznobischev; V.E. Yarynich - ISS Mosca;

• Is the establishment of a national security policy for a Bosnia – Herzegovinapossible? (2000) S. Turkovic (*)

• The regional co-operation initiatives in the black sea area and their influenceon security in the Romania-Moldova-Ukraine region (2000) A. Pop

• The regional and circum-regional co-operation initiatives in South-East Euro-pe and their influence on security (2000) Center for National Security Studies– Sofia

• Possible developments in the Balkans in the medium term (2000) E. Kojokine

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• Catalogo ragionato delle pubblicazioni CeMiSS (1987-1999) (2000) V. Ghiot-to

• Il controllo della qualità degli approvigionamenti della Amministrazione dellaDifesa, con particolare riferimento ai servizi. (2000) Politecnico di Torino

• Il futuro delle forze armate nell’era dell’information technology (2000) A. Fer-ranti

• L’evoluzione della minaccia e l’alea di rischio delle nazioni moderne (2000) V.Porfiri – N. Pedde

• The post – Yeltsin Russia: the main trends in domestic and foreign policy evo-lution (2001) N. Arbatova

• European transport corridors and security in south eastern Europe (2001) In-stitute for Social and Political Studies – Sofia

• Società e Forze Armate in Albania (2001) R. Devole• La politica estera e di sicurezza italiana nell’Europa Sud – Orientale e l’inizia-

tiva quadrilaterale (2001) R. Umana • Tendenze dello sviluppo della dottrina militare della Russia (2001) M. Gareev • Maghreb Alaqsa. L’estremo Occidente (2001) M. Giaconi• Le politiche della ricerca militare e duale nei principali paesi industrializzati

(2001) M. Nones, G. Perani, S. Rolfo• La cultura del peacekeeping (2002) T. Bergantini • Ottimizzazione della contrattualistica di Forza Armata (2003) R. Pardolesi• Possibili forme di coinvolgimento degli Stati facenti parte del dialogo mediter-

raneo della NATO in PSOs (2004) L.P. Zema, M.E. Gattamorta

(*) pubblicazione esaurita

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