Catalogo Artexpo 2011

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Il catalogo della manifestazione Artexpo

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ArtExpò 2011

25 -26 agosto 2011

Il presente catalogo è stato realizzato con il contributo di:

realizzazione editorialeEdizioni Artexpò

testo criticoGiuseppe Varone

copertinaMaurizio Paolozzi

impaginazioneFrancesco Di Traglia

ISBN 978-88-906300-0-2

Città di Pontecorvo

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L’Ass. Culturale L’Ass. CulturaleLakasatasakapata Officine Mizar

con la collaborazione di

Comune di Pontecorvo

e il patrocinio di

Università degli Studi di Cassino - Dipartimento Scienze EconomicheBanca Popolare del Cassinate

presentano

ArtExpò 2011

25 - 26 agostoPontecorvo (Fr)

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La mostra collettiva delle preziose opere contenute nel presente catalogo rappresen-ta una grande occasione per i nostri citta-dini di poter apprezzare diversi linguaggi e tecniche appartenenti a varie forme artisti-che, che spaziano dalla pittura alla scultura passando per la fotografia.

Sforzo di questa amministrazione è cer-tamente la riscoperta della cultura in quan-to per noi costituisce un volano per la ri-nascita sociale ed intellettuale della nostra città. La cultura è la via da percorrere per rendere il nostro territorio luogo di oppor-tunità di crescita materiale ed interiore, per valorizzare la nostre risorse artistiche e stimolare i talenti delle nostre giovani ge-nerazioni.

Ringrazio, quindi, gli artisti che verran-no ad esporre a Pontecorvo perché attra-verso le loro opere d’arte saranno i fautori di questa rinascita e crescita culturale.

Avv. Michele Sirianni Notaro

Sindaco di Pontecorvo

Il progetto Artexpo, nato appena un anno fa, estende la sua portata superando quest’anno anche i confini nazionali. Le ol-tre 40 domande di partecipazione sono sta-te valutate da una giuria che vantava la par-tecipazione anche di affermati esperti del settore. Non posso che esprimere soddisfa-zione per una manifestazione che riesce sin da ora a centrare un duplice obiettivo fon-damentale: dare un’opportunità a numero-si artisti locali e attirare artisti dall’esterno.

Il progetto Artexpo, oltre al valore arti-stico, intende promuovere anche il mercato dell’arte, ovvero tutti gli aspetti economi-ci connessi al mondo artistico. La cultura dunque non percepita come un bene da godere passivamente, ma una vera e pro-pria risorsa sociale ed economica che possa offrire nuove opportunità. L’esposizione, la pubblicazione del catalogo, il coinvolgi-mento dei critici d’arte e dei galleristi sono gli strumenti che Artexpo vuole mettere in campo per raggiungere i propri obiettivi.

È con orgoglio che possiamo affermare che il 25, 26 e 27 Agosto la Città di Ponte-corvo diventerà luogo di un interscambio culturale che ci auguriamo possa avvicinare un vasto pubblico al mondo dell’arte. Christian Proietti Assessore alla Cultura

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ArtExpò 2011Giuseppe Varone

L’edizione 2011 dell’Artexpò di Pon-tecorvo, al suo secondo anno, rappre-senta una conferma della marcata sen-sibilità e del vivace livello progettuale e creativo di quanti a vario titolo si ado-perano per la sua realizzazione. Un ap-puntamento coinvolgente e di grande rilievo, ideato e organizzato dalle asso-ciazioni LAKASATASAKAPATA e OFFI-CINE MIZAR, in grado di registrare, in controluce alla già soddisfacente prima edizione del 2010, una considerevole e variegata adesione da parte di artisti professionisti e accademici, tra altri li-beramente creativi, provenienti da ogni parte d’Italia e variamente inclini e de-diti ai diversi linguaggi dell’arte visiva.

Un corpus cospicuo di opere pittori-che, vibrate dalle più disparate tendenze espressive interpretate in modo sempre originale e avvenente, è stato valutato da una selezionata giuria, attraverso procedura concorsuale, con lo scopo di

individuarne otto tra esse capaci, per quanto possibile, di rappresentare em-blematicamente la complessità intellet-tuale ed espressiva degli artisti parteci-panti alla seconda edizione dell’Artexpò di Pontecorvo. Un affabile e consapevo-le setaccio della bellezza vezzosa, irre-golare o ironica e della coscienza spiri-tuale che in quei segni e codici alberga, emanandosi, da esperienza in principio individuale, come energia universale e collettiva; non, dunque, la predilezione di un canone, piuttosto l’interesse verso il senso precipuo di ciascun messaggio e atto creativo, con tutta la carica di dis-sacrazione e d’incanto, in virtù della sua mormorante risonanza poetica.

Poesia che dalla tavolozza scivola in direzione della pellicola, per ciascuna istantanea dei cinque artisti della se-zione Fotografia, volte perlopiù, in una non causale casualità, a una elegiaca e sognante rappresentazione del reale, così come può essere colto se osserva-to con l’occhio dolente, lucente e pene-trante dell’anima, oltre la macchina e l’incaglio dell’ambiguo afflato generato dalla incalzante e suasiva digitalizzazione.

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Una suggestione che si arricchisce, inoltre, di due opere scultoree, costi-tuenti nel contempo sia una novità del-la presente edizione dell’Artexpò, sia un importante contributo al progetto di coinvolgimento di soggetti, linguaggi ed esperienze di vario livello e dalle molte-plici forme e potenzialità, in controluce a una serie, anch’essa assai nutrita e tra-scinante, di iniziative costellanti l’espo-sizione, dalle performance musicali a quelle drammaturgiche, a foggiare uno spazio a sé: un luogo in cui individui pensanti e prolifici possono convergere e ogni manifestazione dell’anima inge-gnosa e creativa può compiersi, trasfe-rendo segni e imprimendo sensazioni, che in una prospettiva di lunga durata saranno idee inalienabili un domani, laddove oggi rappresentano imprescin-dibili sperimentazioni ed intelligibili, pure, per quanto velate e talvolta miste-riche, emozioni.

La presente edizione, dunque, ha accolto opere differentemente intense che rappresentano insieme il pieno di maturazione del progetto e l’identico sviluppo ulteriore di una qualità nuo-

va, verso la quale virare guidati dalle sollecitazioni degli artisti: Marialuisa Angeletti, Raphael Bianchini, Vanessa Blanchi, Diego De Camillis, Carlo Fe-derico, Paolo Gaetani, Manuel Grillo e Valentina Mattei, per quel che concerne la pittura; Benedetto Ciacciarelli, Bruno Damata, Alessia De Magistris, Stefano Gerardi e Manfredo Longo, per quel che riguarda, invece, la fotografia; Donato Pellegrini e Carmen Romano, infine, per la scultura.

Pittura

Marialuisa Angeletti (Roma, 1982), diplomata presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, città nella quale vive e lavora, con la sua opera Cloud crea uno spazio in cui l’oggetto viene percepito di fronte, anziché dal basso, come lo si farebbe intendendo la di-scendenza da una tradizione naturale. Lo spazio di relazione con l’elemento rappresentato fornisce un senso lette-rario, narrativo e non descrittivo, di ciò che accade tra l’osservatore e l’oggetto

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osservato. Quanto accade tra i due poli altera i singoli dettagli di quanto viene rappresentato, senza alterarlo del tutto, ma semplicemente sottraendolo a una visione preconcetta e naturale di ap-partenenza; riorganizzandolo, di con-seguenza, in un’associazione nuova e inattesa, valida di per sé piuttosto che per un riferimento a un ordine esterno, preesistente. Elaborazione, perciò, che si presenta come prova individuale di raffigurazione plastica di un modo sog-gettivo di sviluppo di un pensiero; una prova essenziale fatta al cospetto di un frammento del vasto universo mondo, che non si fissa sul quadro come luogo aneddotico o sentimentale, ma vi as-sume piuttosto la funzione di luogo di trasformazione, di luogo che acquista la grazia e la significante precisione della metafora.

Raphael Bianchini (Liegi [Bel-gio], 1971), con Porn sfuoca la linea tra disegno e pittura, ad evocazione di prodotti fabbricati, a simulazione di ac-cumuli cementizi di un anonimo e ano-dino immaginario dipinto a partire da una visione dal vero; un luogo autre,

dotato di una leggera grevità, ricercata e ottenuta con la levità del non figurativo e con la letterarietà astratta e premedi-tata che acquista autonoma consistenza rispetto all’atto o blocco gestuale e pit-torico stesso. Bianchini è artista che ab-bandona la pittura come rappresenta-zione, giacché ne allarga le prospettive nella citazione della linea e nel richiamo del colore, catapultando l’osservatore in un atro cosmo silente e irriconoscibile, entro il quale il divario tra contenuto e forma, condannando all’afasia, comu-nica ininterrottamente silenziose e per-dute amenità.

Vanessa Blanchi (Roma, 1977), con la briosa 100% pura donna lascia intendere una convergenza di influen-ze esterne, tanto nel linguaggio quanto negli affetti, incitando in un senso che rilegge l’urlante sogno di libertà e ugua-glianza. Premono rimarchevoli doti popolari, di descrittività, narratività e drammaticità; doti che variano dal se-gno mimetico al gesto oratorio, in una puntualizzazione naturalistica che vira in direzione della concitazione teatrale, nonché della propaganda sociale. Un

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impegno estetico che si presenta sotto specie oratoria e che infiamma a-priori tutto quanto lo impedirebbe se fosse posto sul terreno suo proprio, in un tempo di ineluttabile degenerazione dei costumi e della dignità umana.

Diego De Camillis (Casoli [CH], 1989), nella composizione astratta dal titolo Vento positivo, adotta un lin-guaggio in cui esprime l’interesse per ogni elemento segnico e tonale in gra-do di offrire l’idea di ciò che è avvenu-to, avviene o sta per avvenire. Si assi-ste, in sintesi, al desiderio di traduzione sul piano visivo del fermento del tem-po cui ogni cosa è soggetta. Sinuose movenze intagliate con consapevole e stupita freschezza, traducono l’ardi-mentoso desiderio di una composizione ulteriore, per convogliare l’immediatez-za del tratto in una maggiore riflessione sull’astrazione stessa, guardata e tra-dotta con evidente riferimento allo stile fumettistico-illustrativo. I segni rapidi ed essenziali, infatti, diventano i fonda-menti di un cosmo dinamico, costituito da colori netti e semplici, a nascondere, oltre che un lontano senso di inquietu-

dine, una complessità sistemica e con-cettuale, sul piano specifico dell’icono-grafia: ossia che ogni cosa terrestre vive e si trasforma, all’interno e all’esterno e così dall’interno verso l’esterno e vice-versa; e i suoi colori, i suoi movimenti, come quello venato dell’uomo, vivaci e in moto costante, appaiono sì comples-si che descriverli obbliga a una scelta d’astrazione: guardare e riprodurre il tutto con la magica leggerezza del fan-ciullino.

Carlo Federico (Chieti, 1975), in Dazebào I, si avvale di un procedimen-to creativo segnato da un proliferare di frames che codificano oggetti, eventi o situazioni identificandoli in unità lessi-cali atti a denotare i ruoli semantici che partecipano al discorso. L’azione crea-tiva offre un risultato caleidoscopico e attuale, ove il saccheggio critico della storia sviluppa all’interno dell’opera un processo di conoscenza, sorta di ul-teriore e risoluta appropriazione di un territorio noto, quello del contempora-neo, dei cui colpi l’artista è in ascolto, e delle cui schegge si fa custode, in un processo che interpone a ogni singolo

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lacerto-documento, costrutti in misure variabili su fondi mutevoli, da intender-si come presenze e fenomeni che avven-gono in simultanea. La superficie pitto-rica viene perciò dilazionata e deputata a farsi metonimia del caos del nostro tempo, ossia luogo allegorico di ciò che è antropico, quindi territorio plurimo in cui si consuma il sacrificio e il consumo dell’opera d’arte stessa. Una pittura fi-gurale quella di Federico, sbrogliata nel displuvio del murale e del fumettistico, che nel suo taglio eteroclito cede al lin-guaggio mediatico, quello che invia sen-za tregua schegge irregolari e mordaci di verità sulla Storia infausta e l’umani-tà mascherata.

Paolo Gaetani (Veroli, 1961), nella sua grande tela Spazio urbano, intaglia frantumi d’esistenza entro porzioni del vissuto ottenuti con leggera e impalpa-bile adesione al dato osservato, colto ad occhi chiusi, entro le pieghe nascoste della rammemorazione in uno stato di suadente dormiveglia. Con il suo pen-nello lambisce la superficie della tela e nelle dinamiche movenze dello scena-rio urbano esprime, con sconcertante

vitalità, l’intima immobilità di ogni ele-mento naturale e umano, scosso da la-cerazioni aliene alla quintessenza degli oggetti e soggetti contemplati, tessuti e disposti entro una partitura fissa ep-pur cangiante, come l’alfiere e la regina su di una scacchiera in pietra. Gaetani, forte dei suoi studi di Architettura, ot-tiene piani-sequenza dotati ciascuno della medesima profondità, nell’opzio-ne dell’appercezione bidimensionale, per mezzo della quale ciascun lacerto del micro-cosmo, avanza verso l’ester-no, conservando quell’armonica ritmia del tutto. Un tutto realistico ma non vero, perciò fantastico come può esser-lo un paesaggio recuperato nel proprio magazzino di memoria. L’artista, allora, non dà l’oggetto, ma lo cesella nella sua valenza allegorica, afferrabile oltre la sua solidità di oggetto, nell’universalità remota di un assoluto divenire, ampli-ficato dalle tracce indistinte che lo at-traversano, amplificandone la distonia, lacerandone l’armonia compositiva, suggerendo, di contro, la parvenza di ciò che nella rappresentazione si cela e cresce. S’addensa un gioco di prospetti-

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ve irregolari che mostrano un orizzonte oltre il quale muoversi; un confine oltre cielo e terra, la cui raffigurazione pre-supporrebbe il controllo sul vero, lad-dove invece viene narrato velandolo nei suoi tratti più caduchi e anguillari: sono gli odori, le voci e i suoni che ti attraver-sano passando senza più ritornare.

Manuel Grillo (Tivoli, 1987), con il suo Nonsense N°1, mostra uno spirito intensamente umanistico e una squisi-ta capacità visionaria. In un creato in cui sagome occupano la via della terra e del cielo, un segno morbido eppur folto rende i volumi di una densità di impalpabile sfumato, a creare un’atmo-sfera di polverosa oscurità. Un notturno magico, una visione che ha preso corpo in associazioni apparentemente senza senso, ma che invero traspongono sul piano della fabula una realtà mentale. L’equilibrio tra gli spettri terrestri e il ciclista dell’aria è rattenuto dalla sugge-stiva e fluente modulazione mono-tona-le, agente con forza affatto decorativa, piuttosto con mirabile efficacia d’evo-cazione. E nel suo nonsense troviamo il sentimento del nostro perderci a un di

presso del cammino del viandante soli-tario e nuvolare.

Valentina Mattei (Tivoli, 1983) presenta un’opera, Mélodie, in cui sgor-ga pura l’elegia, che naviga senza indu-gio su toni alti, ulteriormente compli-candosi, senza perdere la sua verginale efficacia romanzesca, in efficaci giochi di rifrazioni, travestendosi a volta a vol-ta di favolistiche e accoranti propagazio-ni ondulate, fenomeniche incidenze che illustrano una pagina di vita del genio creatore, per tutto ciò che sente e che è vivo e spontaneo in lei, di vero in lei, di riuscito a infondere, ma che tuttavia resta velato nei suoi racconti in quanto segreto in potenza. Potenza di tenero urlo e di tardo fragore, movimento si-nuoso d’infante innocente, passo len-to di serale poeta deluso, per scarne e sciolte sillabe sottratte all’inutile giorno e consacrate alla cadenza imperitura e impetuosa della notte dei tempi con i suoi funambolici abitanti.

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Fotografia

Benedetto Ciacciarelli (San Gior-gio a Liri, 1962), con Shark Bay 2011, Western Australia innesca un processo di costruzione dell’immagine oggettivo e uniforme, applicato in una direzione nuova e seducente. Il colore letteral-mente deflagra e compare come ele-mento che con immediatezza si distin-gue dal bianco e nero della tradizione fotografica tout court. Il Nostro riesce a cogliere ogni segreto della superficie di ciò che ritrae, con l’attesa di riflettere sulla possibilità di raccontare attraver-so la riproduzione fotografica la mera-vigliosa e policroma complessità del re-ale e quindi, nello specifico, del mondo animale, con esattezza. Viene a deline-arsi, dunque, una esplorazione del con-fine tra autentico e simulato, ossia della rappresentazione della bellezza natura-le nella ricerca di una naturale bellezza.

Bruno D’Amata (Pontecorvo, 1982), presenta Sopra le nuvole c’è il sereno: osservando lo scatto ci si sente parte della visione sulla quale l’iride del genio creatore gravita. Un’impressione

di rattenuta immensità, a metà tra le superbe altezze delle nuvole e le ripo-sate bassezze ove poggiano i piedi dei rilievi bagnati dal mare. Uno scatto in cui si partecipa al sublime, in una indo-mita tensione verso di esso. Una fosca rappresentazione di ciò che del creato è più anonimo e inafferrabile, come il dono di una transitoria luminescenza dal puro e illimitato fascino. Una rap-presentazione ‘stürmeriana’ del mondo fenomenico, che fa del cielo il deserto in cui provare a recuperare la solitudine e il pentimento di averla perduta.

Alessia De Magistris (Marino [RM], 1985), con Istanbul presenta un’opera che appare come una sorta di trappola, atta a creare un senso di smar-rimento in chi la osserva, ben costretto a muoversi con lo sguardo sull’intera superficie senza un punto fisso, consa-pevole dello scarto tra ciò che può in-dovinare nel complesso e ciò che crede di contemplare nello specifico, ora vi-rando verso la tela d’acciaio del ponte, ora inseguendo l’andamento sfocato dell’automobile, ora attratto dalla stre-gante bandiera, ora intrigato dal varco

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under-air, il tutto brigato dal vuoto su cui tutto poggia. La dimensione realisti-ca dell’immagine fa sì che l’osservatore entri nella tramatura orizzontale della composizione, rendendolo capace di co-glierne ogni dettaglio, nonché nel con-tempo di farsi consapevole di un viaggio ulteriore: quello compiuto in una terra straniera, in una lontana frazione di mondo, un luogo non propriamente o semplicemente da conoscere, bensì, un luogo in cui conoscere, per, in definiti-va, in esso riconoscersi.

Stefano Gerardi (Pontecorvo, 1958), con Terracina litorale, fissa nell’abbagliante e lieto sfolgorio di na-turale e vivida lucentezza, i colori can-didi di una calda e vicendevole presenza umana, focalizzando un momento che, con spirito voyeuristico e ammanta-to da uno spleen vellutato, sottrae alla fugacità di una pellegrina stagione. E il ciclo mutevole e fragile delle stagioni, romanticamente trova nelle tre figure ritratte il suo figurato compimento.

Manfredo Longo (Pontecorvo, 1982), con Carpe Diem ritrae un luogo deputato all’incontro e al diletto, scru-

tato da un angolo visuale appartato, silenziosamente distante dal fermento del gioco dinamico. L’intesa con questa realtà appare casuale eppur sorpren-dente, come per Renzo, giungente a Milano, fu l’inatteso profilarsi in lonta-nanza, nell’aperta e desolata campagna, della magnificenza del Duomo. Nel-lo scatto del Nostro la straordinarietà deriva dall’eccitata presenza umana. Non prevale alcun intento documen-taristico: dalla realizzazione distacca-ta e anonima, piuttosto, si evince una capacità rievocativa di una situazione immediatamente riconoscibile. Colui che osserva può rinvenire un’atmosfera e fare con essa un carico di emozioni; inoltre, affrancandosi di tanto in tanto dall’estasi sensoriale, godere dell’im-pronta dell’autore, senza dubbio pre-sente come sul vaso la mano del vasaio.

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Scultura

Donato Pellegrini (San Dona-to Val di Comino, 1954), in Evasione sprigiona dalla superficie in terracotta una figura femminile che si impossessa dello spazio con animata efficacia nar-rativa, come a stilare il racconto di un obbligato e inatteso allontanamento in una pagina occidentale. L’artista lo fa ripensando i canoni di armonia preci-pui della concezione classica, caricando l’impianto di una tormentata monu-mentalità. L’opera appare come il ri-sultato del vivo interesse del Nostro per la plasticità e la consistenza materica, modulate col fine di esplicare in tutta la loro forza la taratura narrativa della scena. Una teatro fugato che incide una posizione innaturale, dall’espressione non inconfutabilmente sofferta. L’ese-cuzione di quest’opera, dall’umanità sorpresa e sospesa, oltre l’innegabile urgenza del creare, non cela le solleci-tazioni di un premuroso ancoraggio alla tradizione, rinforzato dal desiderio di riconoscere nella propria arte una liber-tà di espressione che appare innanzi-

tutto come semplice e spontanea scelta esistenziale.

Carmen Romano (Napoli, 1973), ne L’abbraccio realizza un’aitante e innocente unione di corpi dalla super-ficie liscia e dalla consistenza surreale. Una composizione che sembra trovare la sorgente della sua spiritualità in un quid che riverbera dall’esterno, aleg-giando intorno alla sua natura bronzea, alitando fin dentro la sua essenza. La cesellata, non immediata consistenza umana non è in solitudine, sebbene in emarginazione i due corpi vi appaiono per amorevole correità, giacché la loro scaturigine è posta consapevolmente fuori dalla realtà. Figure dalla storia propria, foggiate come simulazioni di corpi salvati, recuperati nella loro mi-steriosa distanza dal vero. Vivono a tut-to tondo in terra, in un abbraccio che costituisce un universo a sé, come a vo-ler fissare in loro il senso e la continuità dell’esistente, il regno in cui, probabil-mente grazie a loro, si sopravvive.

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Marialuisa Angeletti Cloud

Tecnica mista su carta, 21 x 29 cm., 2009

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Raphael BianchiniPorn

Carboncino e acrilico su tela, 70 x 50 cm., 2011

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Vanessa Blanchi100% pura donna

Tecnica mista, acrilico su tavola, 80 x 120 cm., 2011

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Diego De CamillisVento positivo (12 - 13 giugno)

Idropittura e marker su tela, 50 x 130 cm., 2011

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Carlo FedericoDazebào I

Tecnica mista su tavola, 35 x 50 cm., 2011

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Paolo GaetaniSpazio urbano

Olio su tela, 80 x 120 cm., 2011

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Manuel Grillo Nonsense N° 1

Tecnica mista, olio e bitume su legno, 108 x 98 cm., 2010

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Valentina MatteiMélodie

Collografia su carta, 70 x 50 cm., 2008

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Benedetto CiacciarelliShark Bay 2011, Western Australia

Fotografia, 2011

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Bruno D’AmataSopra le nuvole c’è il sereno

Fotografia, 2011

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Alessia De MagistrisIstanbul

Fotografia, 2009

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Stefano Gerardi Terracina litorale 2009

Fotografia, 2009

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Manfredo longoCarpe diem

Fotografia, 2010

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Donato PellegriniEvasione

Terracotta tuttotondo, 36 x 36 x 22 cm., 2008

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Carmen Romano L’abbraccio

bronzo, 20 x 44 x 18 cm., 1992

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