Cassano corte 2

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138/2012/A REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE DEI CONTI SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE Composta dai seguenti magistrati: dott.ssa Piera MAGGI Presidente dott. Mauro OREFICE Consigliere rel. dott.ssa Rita LORETO Consigliere dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere dott. Massimo DI STEFANO Consigliere ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi d’appello iscritti ai nn. 38598 e 38689 del registro di Segreteria, promossi rispettivamente ad istanza dei sig. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI, Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO, rappresentati e difesi dall’ avv. Vito Aurelio Pappalepore, e Francesco MONTEDORO, rappresentato e difeso dall’avv. Nuri Venturelli, avverso la sentenza della Sezione regionale Puglia della Corte dei conti n. 473/2010, depositata in Segreteria il 22 luglio 2010. Uditi, nel corso dell’udienza pubblica del 10 febbraio 2012, il relatore Cons. Mauro OREFICE, gli avvocati Vito Aurelio Pappalepore e Nuri Venturelli, difensori rispettivamente dei sigg. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI, Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO e del sig. Francesco MONTEDORO, ed il rappresentante del Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. Amedeo FEDERICI. Visti tutti gli atti introduttivi ed i documenti di causa. Considerato in FATTO Il Procuratore regionale, con atto notificato in data 8 luglio 2009 e depositato il 17 settembre 2009, ha citato in giudizio i sigg.ri Giuseppe Antonio LEPORALE, Antonio PETRUZZELLIS, Domenica D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI, Giuseppe GIUSTINO e Francesco MONTEDORO rispettivamente nelle loro qualità il primo - di sindaco e - gli altri - di amministratori del Comune di Cassano delle Murge (Ba), per sentirli condannare al pagamento della somma di € 248.503,60, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio. La vicenda ruota intorno ad una iniziativa che, a partire dalla fine del 1994, ha indotto il sig. Giuseppe LEPORALE, nella qualità di sindaco del comune di Cassano delle Murge, ad intraprendere una serie di attività volte alla costituzione di una società mista intercomunale, a supporto dell’attività amministrativa di accertamento dei tributi, con il dichiarato scopo di realizzare e gestire un servizio di “anagrafe tributaria comunale” che consentisse la gestione di tutti i tributi municipali ed il monitoraggio dell’evasione fiscale, a mezzo di personale specializzato e tecnologie avanzate, in modo da sgravare tutti gli enti aderenti dagli adempimenti connessi a tale attività. Il Giudice di prima istanza, con l’impugnata sentenza, rilevava la responsabilità dei convenuti, ritenendo che la prova della antieconomicità della operazione, oltre che della illegittimità della stessa, è confermata da una serie di considerazioni poste in luce dal consulente tecnico d’ufficio nel processo penale dr. Cosimo Cafagna, il quale nella sua relazione asserisce che la neosocietà

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138/2012/A

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

Composta dai seguenti magistrati:

dott.ssa Piera MAGGI Presidente

dott. Mauro OREFICE Consigliere rel.

dott.ssa Rita LORETO Consigliere

dott. Piergiorgio DELLA VENTURA Consigliere

dott. Massimo DI STEFANO Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi d’appello iscritti ai nn. 38598 e 38689 del registro di Segreteria, promossi

rispettivamente ad istanza dei sig. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica D’AMBROSIO,

Luciano Amedeo GIULIANI, Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO, rappresentati e

difesi dall’ avv. Vito Aurelio Pappalepore, e Francesco MONTEDORO, rappresentato e difeso

dall’avv. Nuri Venturelli, avverso la sentenza della Sezione regionale Puglia della Corte dei conti n.

473/2010, depositata in Segreteria il 22 luglio 2010.

Uditi, nel corso dell’udienza pubblica del 10 febbraio 2012, il relatore Cons. Mauro

OREFICE, gli avvocati Vito Aurelio Pappalepore e Nuri Venturelli, difensori rispettivamente dei

sigg. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI,

Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO e del sig. Francesco MONTEDORO, ed il

rappresentante del Pubblico Ministero nella persona del V.P.G. Amedeo FEDERICI.

Visti tutti gli atti introduttivi ed i documenti di causa.

Considerato in

FATTO

Il Procuratore regionale, con atto notificato in data 8 luglio 2009 e depositato il 17 settembre 2009,

ha citato in giudizio i sigg.ri Giuseppe Antonio LEPORALE, Antonio PETRUZZELLIS, Domenica

D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI, Giuseppe GIUSTINO e Francesco MONTEDORO

rispettivamente nelle loro qualità il primo - di sindaco e - gli altri - di amministratori del Comune

di Cassano delle Murge (Ba), per sentirli condannare al pagamento della somma di € 248.503,60,

oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio.

La vicenda ruota intorno ad una iniziativa che, a partire dalla fine del 1994, ha indotto il sig.

Giuseppe LEPORALE, nella qualità di sindaco del comune di Cassano delle Murge, ad

intraprendere una serie di attività volte alla costituzione di una società mista intercomunale, a

supporto dell’attività amministrativa di accertamento dei tributi, con il dichiarato scopo di realizzare

e gestire un servizio di “anagrafe tributaria comunale” che consentisse la gestione di tutti i tributi

municipali ed il monitoraggio dell’evasione fiscale, a mezzo di personale specializzato e tecnologie

avanzate, in modo da sgravare tutti gli enti aderenti dagli adempimenti connessi a tale attività.

Il Giudice di prima istanza, con l’impugnata sentenza, rilevava la responsabilità dei convenuti,

ritenendo che la prova della antieconomicità della operazione, oltre che della illegittimità della

stessa, è confermata da una serie di considerazioni poste in luce dal consulente tecnico d’ufficio nel

processo penale dr. Cosimo Cafagna, il quale nella sua relazione asserisce che la neosocietà

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costituita da giovani diplomati era inattiva, non aveva esperienza nel settore tributario, non aveva

dipendenti, non offriva garanzie patrimoniali e non aveva una sede attrezzata.

L’illegittimità, l’antieconomicità e l’inutilità della operazione è inoltre ulteriormente attestata –

sostiene ancora il Giudice di prima istanza - dal dettato normativo all’epoca vigente ( d.p.r. 533 del

1996 e d.lgs. n. 446 del 1997 ) e dalle risultanze dell’Amministrazione finanziaria, la quale (cfr.

nota n. 7/158604-99) ribadiva che l’Ente locale era obbligato, non soltanto ad individuare il socio

privato a mezzo di gara ad evidenza pubblica, ma che questi avrebbe dovuto essere scelto tra

soggetti giuridici iscritti all’albo nazionale di cui all’art.53 del d.lgs. n.446/97 e, comunque, fra

quelli aventi il capitale sociale non inferiore ad un miliardo di lire: risultava quindi evidente che la

società mista in questione fosse stata costituita in modo del tutto illegittimo e che la conseguente

attività fosse stata svolta, fin dall’inizio, senza titolo. Continua ancora la sentenza “effettivamente,

l’esame delle norme in materia, consente di affermare che il Sindaco e la Giunta che individuarono

nella “Il Pellicano s.r.l.” il socio privato di maggioranza della società mista, agirono in modo del

tutto illegittimo ed arbitrario. L’art. 22, 3° co. della legge n.142/’90, vigente all’epoca della

emanazione della delibera C.C. n.8 del 9.03.1995, stabiliva che i comuni potessero gestire i servizi

pubblici oltre che in economia, in concessione a terzi, mediante azienda speciale e mediante

istituzione, anche a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale. Il vincolo

della proprietà pubblica maggioritaria venne soppresso dall’art.12, 1°co. della legge n.498/’92, la

quale disponeva fra l’altro che “…Gli enti interessati provvedono alla scelta dei soci privati e

all’eventuale collocazione dei titoli azionari sul mercato con procedure di evidenza pubblica” e che

“.…Nel caso di servizi pubblici locali una quota delle azioni può essere destinata all’azionariato

diffuso e resta comunque sul mercato”. Nel caso in questione, trattandosi di società a prevalente

partecipazione di capitale privato (70%) non vi è alcun dubbio che dovessero trovare applicazione

gli obblighi contenuti nel predetto articolo 12”.

Concludeva il Giudice di primo grado affermando che “Tale voce di danno corrisponde all’importo

in Euro 98.437,00 - come correttamente indicato nell’atto di citazione - che va posto a carico degli

odierni convenuti, in solido tra di loro, ravvisandosi nella condotta serbata dagli stessi l’esistenza di

un “ dolo intenzionale”, da individuarsi nella sciente volontà di procurare un ingiusto patrimoniale

agli amministratori, soci e dipendenti della società “ Il Pellicano s.r.l.”, nonostante le scadenti

qualità strutturali e le carenti capacità professionali della predetta società, bene evidenziate nella

perizia del consulente tecnico del P.M. penale, da cui si evidenziano le carenze che hanno causato

forti ritardi nell’espletamento dell’incarico”.[…] Diversamente, a giudizio di non colpevolezza

giunge il Collegio, per quanto concerne la posta di danno rappresentata dalle somme spese dal

Comune in relazione ai numerosi contenziosi promossi dai contribuenti e quantificate dal P.M in

Euro 51.629,16. Ed invero, la non riconducibilità del danno in ipotesi contestato agli odierni

convenuti non sembra che possa contestarsi seriamente anche sul piano soggettivo, non essendo

prevedibile il risultato conseguibile in sede giudiziaria, che si appalesa come aleatorio, non

potendosi trarre elementi di prova di segno contrario dall’esito dei giudizi in cui l’ente comunale è

risultato soccombente.

La sentenza di primo grado riteneva infine sussistente anche il danno all’immagine, quantificato in

euro 98.437,00: “Pertanto, proprio la posizione funzionale ed organizzativa rivestita all’interno

dell’Amministrazione comunale avrebbero dovuto indurre il Sindaco e i componenti della Giunta a

tenere un comportamento pienamente osservante dei canoni di imparzialità, correttezza e buon

andamento della gestione amministrativa canonizzati dall’art.97 della Costituzione, nonché alla

rigorosa osservanza di tutti gli obblighi scaturenti dal mandato, compreso quello della osservanza

della legge e della efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa. Principi che nel

caso di specie sono stati gravemente vulnerati atteso che oltre, alle illegittimità sopra rilevate,

rappresentanti il presupposto storico e giuridico delle condotte illecite contestate al Sindaco ed ai

componenti della Giunta, i giudici penali hanno anche acclarato l’esistenza, all’epoca della

costituzione della società mista, di un fitto intreccio di rapporti di coniugio, affinità e parentela, fra

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coloro che rivestivano cariche nell’ambito della società “Il Pellicano s.r.l.” ed alcuni dei pubblici

amministratori in carica.

La decisione di primo grado non condivideva invece l’assunto accusatorio per quanto riguarda la

posta di danno rappresentata dalle spese relative al contenzioso, pure contestate dalla Procura

attrice. Poiché tale statuizione non ha formato oggetto di appello da parte della Procura generale, vi

è da ritenere che sul punto si sia formato il giudicato.

La sentenza de qua è stata impugnata con atto depositato il 28 settembre 2010 per i sigg. Giuseppe

Antonio Leporale, Domenica D’Ambrosio, Luciano Amedeo Giuliani, Antonio Petruzzellis,

Giuseppe Giustino e 11 ottobre 2010 per il sig. Francesco Montedoro. Entrambi gli appelli

ponevano come prioritaria la richiesta di definizione agevolata dei rispettivi giudizi.

Peraltro, riscontrata l’ipotesi dolosa, l’istanza veniva respinta con i decreti di questa Sezione nn. 13

e 14 del 31 maggio 2011.

Nel merito, l’atto di appello presentato per i sigg. Giuseppe Antonio Leporale, Domenica

D’Ambrosio, Luciano Amedeo Giuliani, Antonio Petruzzellis, Giuseppe Giustino chiede di

dichiarare prescritta l’azione di responsabilità e di mandare assolti gli appellanti poiché non sussiste

danno erariale o comunque perché il fatto non è loro imputabile per mancanza del nesso di

causalità; in subordine, chiede di tenere conto nella definizione del quantum del danno dei vantaggi

comunque conseguiti dall’Amministrazione e dalla comunità amministrata e, in ultima analisi, di

fare uso del potere riduttivo dell’addebito.

Con l’atto di appello presentato nell’interesse del sig. Francesco Montedoro, la difesa del medesimo

chiede una declaratoria di assenza di responsabilità per assenza dei presupposti di fatto e di diritto e

per assenza di qualsivoglia prova a suo esclusivo carico e comunque per assenza di responsabilità

poiché le delibere del Consiglio comunale n. 8/95 e n. 20/96 sono state vistate e registrate dalla

S.P.C. della Regione Puglia. Chiede, in subordine, l’applicazione del potere riduttivo dell’addebito.

La Procura Generale ha depositato in data 1° dicembre 2011 le proprie conclusioni con le quali

chiede il rigetto degli appelli proposti.

In occasione dell’odierna udienza

Ritenuto in

DIRITTO

Relativamente al corretto e tempestivo esercizio dell’azione di responsabilità di cui all’eccezione di

prescrizione di parte appellante, questo Giudice non può che ribadire quanto già affermato dalla

sentenza di prima istanza.

Sfugge, forse, agli odierni appellanti, infatti, che costante giurisprudenza di questa Corte (inter alia,

sez. III, 12 luglio 2004, n. 318/A; SS.RR. 25 novembre 2004, n. 8/QM; sez. I, 31 maggio 2005, n.

184/A; nonché Cassazione civ. 15 novembre 1995, n. 11835) ritiene che la costituzione di parte

civile dell’Amministrazione determini effetto interruttivo sul decorso dei termini prescrizionali,

tanto che è stato affermato da altra giurisprudenza (v. Cassazione civ., 12 marzo 1998, n. 2712) che

la eventuale revoca della costituzione di parte civile può avere, al più, conseguenze sulla durata

dell’interruzione (ex art. 2945, II comma, c.c.) ma non incide affatto sull’effetto interruttivo, che

rimane fermo, giusta il disposto del successivo III comma del medesimo articolo, con inizio di un

nuovo periodo prescrizionale decorrente dalla data di costituzione di parte civile.

Nel confermare quindi quanto affermato dal Giudice di primo grado, questo Collegio ritiene

infondata la sollevata eccezione di prescrizione dell’azione.

Nel merito, emerge dalla sentenza impugnata che la responsabilità degli odierni appellanti viene

fatta risalire all’adozione ed all’implementazione di alcune delibere consiliari e di giunta del

Comune di Cassano delle Murge.

In particolare, il Consiglio comunale, con delibera n. 8 del 9 marzo 1995, ha approvato la proposta

del sindaco di costituzione della società mista a prevalente capitale privato denominata “Tributaria

Intercomunale S.p.A.” con un capitale sociale di lire 200.000.000, di cui il 70% a carico del socio

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privato pari a lire 140.000.000, ed il 30% pari a lire 60.000.000 del socio pubblico (Comune di

Cassano delle Murge).

Con la medesima delibera si approvava l’atto costitutivo – che, tra le altre cose, fissava la durata

della società fino al 31.12.2050 -, lo Statuto e lo schema di convenzione, nonché si decideva di

procedere alla scelta del socio privato mediante procedura ad evidenza pubblica.

Il Consiglio comunale con deliberazione n. 20 dell’1.03.1996 apportava alcune modifiche allo

Statuto della società mista, delegando il Sindaco (Giuseppe Leporale) e la Giunta (composta da

Antonio Petruzzellis, Domenica D’Ambrosio, Giuseppe Giustino, Francesco Montedoro e Luciano

Amedeo Giuliani) all’esecuzione del deliberato.

In esecuzione della delega la Giunta, nella composizione sopra riportata, preso atto che i comuni

aderenti all’iniziativa non avevano adottato i necessari provvedimenti, venendo meno, di fatto, al

progetto comune, e con provvedimento n. 210 del 29.07.1997 deliberava di procedere comunque

alla selezione del socio privato mediante asta pubblica, seguendo il metodo di cui all’art.73 lett. c)

del R.D. n. 827/24 e secondo le modalità di cui al successivo art. 76 e fissava l’ammontare del

capitale sociale in lire 200 milioni di cui del 30% era detentore il Comune e del 70% il partner

privato.

Con delibera n. 321 del 14.11.1997 la Giunta approvava l’aggiudicazione della gara in favore della

“Il Pellicano s.r.l.”, unica concorrente, a cui si riconosceva l’aggio nella misura del 28,5%. In

sostanza, la società aggiudicataria aveva offerto un ribasso percentuale dell’1,5% sulla base d’asta

fissata nella misura del 30%, mentre con deliberazione C.C. n.6 del 5.03.1998 l’importo del capitale

sociale della costituenda società mista veniva elevato sino alla somma di lire 1.000.000.000 (un

miliardo).

Peraltro, la concessione-convenzione regolante il servizio pubblico di elaborazione e gestione

dell’anagrafe tributaria comunale, stipulata fra il Comune di Cassano delle Murge e la società

“Tributaria intercomunale S.p.A.” in data 31 ottobre 1998, veniva dichiarata nulla con sentenza n.

1659/2002 del TAR Puglia, sede di Bari. In proposito il Tribunale affermava che “è indubitabile che

la convenzione, avendo affidato la gestione del servizio a società a prevalente partecipazione privata

(peraltro nemmeno iscritta all’albo di cui all’art. 53), in chiara ed evidente violazione dell’art. 52

del d.lgs. n. 466/1997 (che consentiva l’affidamento del servizio previa adozione di apposito

regolamento comunale, nella specie carente, esclusivamente a società a partecipazione pubblica

maggioritaria), si ponga in contrasto con norma indubitabilmente imperativa, siccome diretta a

restringere l’ambito dell’autonomia negoziale dei comuni e dei privati attraverso l’imposizione di

forma societaria tipica ed ineludibile, in funzione di uno specifico interesse pubblico alla migliore,

più efficace, trasparente ed efficiente organizzazione dei servizi afferenti alla gestione dei tributi”.

La pronuncia trovava la sua definitività con la sentenza n. 3672/2005 della V Sezione del Consiglio

di Stato, che respingeva gli appelli contro la predetta decisione del TAR Puglia.

In tale occasione il Consiglio di Stato aveva modo di affermare che “l’annullamento in discorso ben

resiste alle critiche dell’appellante (la Intercomunale Tributaria S.p.A. – N.d.R.) anche a prescindere

dall’effettuazione di una verifica comparativa tra i costi del servizio gestito alla Tributaria

Intercomunale w quelli di altre società operanti sul mercato. Per scrutinare la legittimità

dell’operato del Comune di Cassano delle Murge, non vi è infatti alcuna necessità di svolgere una

indagine preliminare sugli aggi correnti nel mercato od in altre realtà territoriali, dal momento che

l’onerosità della gestione può risultare anche dal confronto tra i “costi”, non solo finanziari, della

scelta di esternalizzare il servizio e l’alternativa, giuridicamente praticabile, di una gestione diretta

dello stesso da parte dell’amministrazione. In aggiunta, vale osservare come, nel caso di specie,

l’onerosità della gestione, per l’ente civico appellato, fosse obbiettivamente sussistente, consistendo

nell’immobilizzazione di un capitale, corrispondente alla partecipazione azionaria detenuta, in una

società unicamente costituita per lo svolgimento di un servizio affidato contra legem. Non occorre,

pertanto, dilungarsi sulla patente diseconomia che sarebbe derivata dall’ipotetica protrazione di un

investimento finanziario irrecuperabilmente in perdita”.

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Il Giudice amministrativo è quindi di una chiarezza lampante sotto il profilo della irragionevolezza

della iniziativa che, seppur concepita con un fine astrattamente condivisibile, si era manifestata ab

initio fallimentare, con evidente danno finanziario – e non solo – per l’Ente territoriale.

D’altra parte non va sottovalutato che la vicenda nasce con il fine dichiarato e precipuo di

coinvolgere il territorio nella comune ed efficace gestione dei tributi locali, cosa che non si verifica

fin dall’inizio, poiché come già evidenziato, i comuni aderenti all’iniziativa non avevano adottato i

necessari provvedimenti, venendo meno, di fatto, al progetto comune. Ciò nonostante gli

Amministratori di Cassano delle Murge proseguono nell’attuazione del progetto.

I successivi passi dall’Amministrazione comunale (individuazione del socio privato,

aggiudicazione, stipula della concessione-convenzione) appaiono tutti comunque caratterizzati da

elementi che dimostrano la fallacità dell’iniziativa.

Infatti, oltre quanto già esposto con estrema efficacia nelle pronunce del Giudice amministrativo,

anche il Giudice penale (si rammenta che gli appellanti sono stati tutti condannati dal Tribunale di

Bari in data 29 maggio 2002 per abuso di ufficio in concorso, aggravato per la rilevanza del danno;

sentenza confermata dalla Corte di appello di Bari con decisione del 6 dicembre 2004 e dalla Corte

di Cassazione con sentenza del 2 dicembre 2005) sottolinea “siamo in presenza di una società in cui

il capitale prevalente era quello privato sicché non pare in alcun modo dubbia l’operatività di tutti

gli obblighi posti dell’art. 12 della legge 498/1992 […] Riguardata per tali versi, dovrà convenirsi

che l’attività di riscossione dei tributi è sicuramente espressione di servizio pubblico, con

l’automatica conseguenza della piena applicabilità alle società miste a tal fine costituite, delle

disposizioni normative su esaminate ed alla cui stregua è agevole constatare la patente violazione

del criterio della scelta del partner mediante appalto concorso (essendosi invece proceduto per asta

pubblica); la mancata costituzione di una commissione tecnica-amministrativa per la verifica della

offerte e dei requisiti dei partecipanti; la mancata previsione di una quota di capitale sociale da

riservare all’azionariato diffuso; la mancata pubblicazione del bando di gara sulla Gazzetta Ufficiale

e sulla Gazzetta della Unione Europea e sui quotidiani a larga diffusione nazionale; il contenimento

del capitale sociale a soli 200 milioni di lire anziché’ ad un miliardo di lire. Si tratta di violazioni di

non poco momento tutt’altro che riconducibili alla nozione di mera “irregolarità” perché, come

ognuno vede, svolgono un ruolo fondamentale di visibilità, assicurano un ampio confronto di mezzi

e professionalità fra enti privati aspiranti a divenire organo dell’ente pubblico, assicurano una

partecipazione collettiva alla proprietà dell’istituendo organismo societario (Corte di appello di Bari

– sent. 6.12.2004)”.

Tutto ciò considerato e tenuto conto della definitività delle pronunce riportate, non sembrano

sussistere dubbi su una condotta, quella degli amministratori del Comune di Cassano delle Murge,

posta in essere in totale dispregio delle norme che sarebbero stati chiamati ad applicare.

Contesta inoltre la difesa degli appellanti il concetto, affermato dalla sentenza di primo grado, oltre

che di anti economicità – sul quale ci si è già soffermati – di “inutilità” della società.

Superando, in tale ottica, ed in quanto accertamenti di parte, l’istruttoria penale e la contestata

“perizia Cafagna” del 7 agosto 1998, nonché la confutazione della stessa da parte della CTP a firma

del rag. Gaetano Carnicella (il quale peraltro era il responsabile del Servizio di Ragioneria del

Comune, controfirmatario, in quella veste, di tutte le delibere oggetto di esame e quindi in posizione

di evidente conflitto di interesse), appare di particolare interesse esaminare quanto fornito dallo

stesso Comune di Cassano delle Murge.

In data 10 agosto 2006 il predetto Comune, a mezzo ordinanza sindacale n. 49, conferiva l’incarico

al dott. Michele Danza perché lo stesso “accerti, descriva e quantifichi tutti i danni cagionati al

Comune di Cassano delle Murge dalle condotte penalmente rilevanti poste in essere dagli imputati

[…omissis…], atteso che i suddetti imputati, nelle predette sentenze, sono stati altresì condannati al

risarcimento dei danni subiti dal Comune di Cassano delle Murge, costituitosi parte civile, a causa

delle suddette condotte penalmente rilevanti”.

Il dott. Danza depositava la relativa perizia, nell’interesse del Comune, in data 19 ottobre 2006,

concludendo quanto segue.

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Relativamente alla Tabella D – Riscossioni: “Si può affermare senza ombra di dubbio che le

differenze riscontrate nell’arco temporale considerato (1999-2000) tra l’aggio da convenzione (7%)

e l’aggio applicabile sulle riscossioni dirette (minimo 0,31% e massimo 3,53%) hanno prodotto,

rispettivamente, un maggior danno per il Comune quantificabile in € 489.196,64 (nel caso in cui si

fosse applicata la percentuale minima) ed € 253.738,77 (nel caso in cui si fosse applicata la

percentuale massima).

Stessa cosa dicasi per le differenze riscontrate tra l‘aggio da convenzione (7%) e l’aggio applicabile

sui ruoli esattoriali (minimo 0,60% e massimo 6,72%). Infatti queste hanno prodotto

rispettivamente un maggior danno per il Comune quantificabile in € 467.990,81 (nel caso in cui si

fosse applicata la percentuale minima) ed € 20.474,60 (nel caso in cui si fosse applicata la

percentuale massima). Da ciò ne consegue, ancora, che la differenza in termini assoluti, tra la

misura determinata con aggio da convenzione e la misura determinata con gli aggi minimi

applicabili sulle riscossioni dirette ed esattoriali rispetto al totale delle riscossioni risulta pari ad €

957.187,45 […].

Relativamente alla Tabella E – Accertamenti – anni 1999-2000 “l’aggio sulle somme accertate,

disciplinato dagli artt. 13 e 14 della Convenzione tra il Comune e la Tributaria Intercomunale spa,

non avrebbe dovuto aver luogo in considerazione che gli aggi stabiliti dalla legge disciplinano il

corrispettivo per le somme riscosse e non già per quelle accertate. Ragion per cui, lo scrivente ha

provveduto a considerare, sempre nell’ottica della quantificazione del maggior danno procurato

all’Amministrazione, come non dovuta la sommatoria derivante dall’applicazione degli aggi di cui

agli articoli della convenzione citati, pari complessivamente ad € 1.619.095,71. In conclusione,

quindi, sulla base delle risultanze ottenute nel presente paragrafo, è risultato esserci un ingiusto

vantaggio patrimoniale attribuibile alla Tributaria Intercomunale spa quantificabile in €

2.576.283,17 […].

In ultimo, ma non meno importante, residua il discorso relativo all’effettivo costo sostenuto dal

Comune di Cassano delle Murge per le spese relative alla costituzione della società concessionaria

“Tributaria intercomunale S.p.A.”. Come si è detto nel corpo della presente relazione nonché nelle

sentenze dei vari tribunali aditi, la citata società si è rivelata assolutamente inadeguata allo

svolgimento del servizio sia sotto il profilo organizzativo sia sotto quello economico, atteso

l’elevatissimo aggio convenuto nonché il periodo oggetto di convenzione che, si ricorda, era stato

previsto addirittura in anni cinquanta”.

Conclude il consulente “sulla base dell’analisi effettuata attraverso la comparazione degli aggi

applicati alle varie voci di bilancio per gli anni 1999-2000 nonché dei costi quantificati per la

costituzione della società concessionaria e delle spese legali sostenute da parte del Comune nei vari

gradi di giudizio, si può affermare che il danno complessivo attribuibile ala gestione “Tributaria

Intercomunale S.p.A.” è stimato complessivamente in euro 2.758.960,14”. E ciò senza considerare

l’ulteriore danno subito per la riorganizzazione posta in essere a seguito della sospensione della

concessione a suo tempo affidata alla predetta società.

Parte appellante fa notare tuttavia che lo stesso Comune di Cassano delle Murge, con nota del 14

dicembre 2009, n. 21175, a seguito di una richiesta di accesso agli atti del sig. Leporale, ha

certificato i dati relativi alle riscossioni a titolo di recupero evasione ICI, recupero evasione TSSRU

destinata ad investimenti e recupero evasione TRSU destinate a spese correnti, sostanzialmente

confermando quanto affermato nella CTP del rag. Carnicella, e ciò a dimostrazione della utilità

dell’attività svolta dalla Tributaria Intercomunale S.p.A.

Peraltro, di tale utilità non vi è prova determinante. Specifica il Comune nella stessa nota, infatti,

che i dati riportati “si riferiscono all’attività nel complesso considerata non potendosi attribuire gli

stessi all’attività di recupero evasione tributi svolta dalla società “Il Pellicano srl” in virtù del

“contratto di affidamento appalto di servizio di rilevazione del territorio per verifica e controllo

tributi locali” stipulato il 13 novembre 1995, piuttosto che all’attività di recupero evasione tributi

svolta dalla Intercomunale Tributaria spa in virtù della concessione-convenzione regolante il

servizio pubblico di elaborazione e gestione dell’anagrafe tributaria comunale stipulato il 31 ottobre

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1998 (e successivamente annullata dal Tribunale amministrativo, N.d.R.). Lo stesso dicasi per le

riscossioni registrate nei consuntivi a partire dall’anno 2000 e successivi, quando è intervenuta

anche l’attività di accertamento direttamente svolta dall’Ente”.

Appare pertanto evidente che è del tutto impossibile quantificare l’attività svolta dalla società mista

in un contesto, tuttavia, caratterizzato da illiceità manifeste e danni erariali di ingentissima rilevanza

sicuramente riconducibili alla costituzione della Intercomunale Tributaria S.p.A., riconosciuta

manifestamente da tutti i soggetti intervenuti nell’analisi della vicenda illegittimamente costituita e

totalmente inadeguata per la funzione di destinazione.

Un ultimo approfondimento meritano le posizioni dei singoli appellanti.

Nella considerazione che la vicenda dannosa trae origine dalla delibera n. 8 del 9 marzo 1995 con la

quale il Comune di Cassano delle Murge approvava la proposta di costituzione della Tributaria

Intercomunale spa, a prevalente capitale privato, e dimostrata l’ampia fattispecie dannosa

riconducibile a tale costituzione, è chiara l’imputabilità del danno a coloro i quali quella delibera

hanno voluto e cioè tutti gli attuali appellanti, ad eccezione del Montedoro, non presente in quella

seduta, tanto è vero che la difesa di quest’ultimo ne reclama l’estraneità ai fatti.

Ora, se è vero che la delibera n. 8/1995 non è stata votata dal Montedoro, è altrettanto vero che vi è

prova che il medesimo abbia partecipato, con tutti gli altri, a tutta la fase implementativa della

struttura societaria. Il Montedoro vota favorevolmente la delibera n. 20/1996 con la quale il

Consiglio comunale approva modifiche allo Statuto societario; vota favorevolmente la delibera di

Giunta n. 210/1997 con la quale la Giunta stessa “approva e fa propria” la relazione e le conclusioni

del Sindaco sulla costituzione della Società e delibera di indire l’asta pubblica per selezionare il

partner privato; vota favorevolmente la delibera di Giunta n. 321/1997 relativa all’aggiudicazione

della predetta gara; vota favorevolmente la delibera consiliare n. 3025/1998 di aumento del capitale

della Società. E, tutto ciò senza che sia riportata in atti alcuna osservazione, dissenso, opposizione

che il Montedoro avrebbe potuto avanzare in una delle numerose occasioni in cui appunto si è

trovato a discutere ed approvare documenti relativi alla vicenda in questione.

Pertanto il Collegio è dell’avviso di non poter considerare la posizione del Montedoro in maniera

diversa da quella dei restanti appellanti.

Conclusivamente, quindi, il Collegio ritiene di poter confermare, relativamente al danno

patrimoniale, la condanna di primo grado secondo la quantificazione e le modalità in essa espresse.

Infine, il danno all’immagine.

Gli appellanti hanno ripetutamente affermato che lo stesso non può essere considerato perché ne

mancano i presupposti ontologici ed anche perché la sua quantificazione appare arbitraria.

In proposito, correttamente, il Giudice di prima istanza ha ricordato che non tutti i comportamenti

illeciti determinano danno all’immagine. Secondo la giurisprudenza, infatti “la potenzialità dannosa

nei termini delineati del comportamento illecito dei pubblici poteri va saggiata in concreto nei

singoli casi. Infatti, ove si tratti di episodi sporadici e di cui non si è avuta diffusione può mancare

un evento di danno (e comunque questo va dimostrato attraverso specifici indici). Laddove invece

la pluralità degli episodi criminosi o la gravità in sé dei fatti ed il conseguente impatto sull’opinione

pubblica o sulle categorie interessate sia sicuro indice della diffusione della conoscenza da parte dei

cittadini dell’esistenza di una distorta organizzazione dei pubblici poteri è conseguenza ineludibile

il danno per la P.A. sia in termini di danno emergente sia in termini di lucro cessante. Detti episodi

vengono infatti ad incidere sia sull’organizzazione dell’attività amministrativa, con conseguenti

maggiori costi, sia sulla necessità di ripristinare l’immagine, sia sulla posizione della P.A. la quale,

ove eserciti correttamente ed imparzialmente il proprio potere, può ottenere l’adesione convinta dei

cittadini, il loro apprezzamento o quantomeno non subire azioni di contrasto. In questi termini,

esiste per la P.A. un danno certo, che può essere quantificato equitativamente” ( Sez. I Centrale,

20.9.2004, n.334/A).

Peraltro, nel caso di specie, si sono realizzati alcuni dei presupposti tipici del danno all’immagine,

oltretutto suffragato dall’accertamento di un concorrente reato contro la Pubblica Amministrazione.

Page 8: Cassano corte 2

Vi è stata la diffusione della notizia a mezzo stampa che certamente non ha aiutato il livello di

credibilità dell’Amministrazione nei confronti della cittadinanza, ma soprattutto, in relazione alla

tipologia di danno in esame, vi è stato il comportamento particolarmente offensivo degli appellanti.

Infatti, ciò che è stato offeso è il rapporto tra Amministrazione e cittadinanza, intesa non nella sua

accezione comune, ma nel significato specifico di “contribuenti”. Non vi è notoriamente materia più

sensibile presso la Comunità amministrata di quella tributaria. Un’ Amministrazione che si macchia

di illecito, provato in tutte le sedi, dalla penale alla amministrativa, in relazione alla gestione del

denaro versato dai contribuenti, crea un disfavore nei confronti di se stessa che va ben al di là dei

fatti concreti, creando nella platea dei contribuenti medesimi la aspettativa negativa di vedere

gestito il proprio denaro in maniera del tutto arbitraria ed al di fuori delle norme, tanto da creare, al

limite, i presupposti anche per fenomeni di evasione.

Non vi è chi non veda, a questo punto, come non si possa non parlare, nella fattispecie all’esame, di

danno all’immagine dell’Amministrazione, ancora più evidente ove si pensi che è stata la stessa

Amministrazione, in una fase successiva, a dover evidenziare, per porvi rimedio, il danno subito ad

opera dei propri vertici.

Certo è che resta relativamente definita la questione relativa alla quantificazione del medesimo.

La quantificazione del danno all’immagine, infatti, una volta accertato il danno lesivo, può avvenire

equitativamente e mai con automatico ragguaglio all’importo dell’illecito, che tuttavia può

costituire sufficiente base presuntiva; secondo altro orientamento occorrerebbe provare l’effettiva

erogazione della spesa di ripristino, da intendersi come costo effettivamente sofferto.

Tale rigore probatorio, tuttavia, non tiene affatto in considerazione il fatto che, trattandosi di danno-

conseguenza, dovrebbe tenersi conto della c.d. “causalità materiale” interna al fatto dannoso che

serve a determinare l’intero danno cagionato e risarcibile in base ad un criterio di probabilità.

Il Collegio ritiene pertanto sufficiente che siano forniti idonei indizi dell’ an, indicando adeguati

elementi circa l’offensività dei fatti, senza che debba essere necessariamente provata la spesa di

ripristino, che potrebbe essere anche futura o comunque riferibile ai maggiori costi che in

prospettiva l’Amministrazione è chiamata a sopportare secondo il criterio dell’ id quod plerumque

accidit, tanto da poter essere qualificato come danno presunto, potendosi configurare come danno in

sé indipendente dagli effettivi costi di ripristino.

Pertanto, il Collegio ritiene conclusivamente e tenuto conto anche della particolare azione svolta

dall’Amministrazione stessa, in epoca successiva ai fatti di causa, per porre rimedio alla censurata

iniziativa, di confermare le previsioni del primo Giudice in ordine alla sussistenza del danno

all’immagine, identificando tuttavia, in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., il quantum nella

minore somma di € 70.000,00=.

Le spese seguono la soccombenza

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale,

definitivamente pronunciando, accoglie parzialmente gli appelli promossi rispettivamente ad

istanza dei sig. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica D’AMBROSIO, Luciano Amedeo

GIULIANI, Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO, rappresentati e difesi dall’ avv. Vito

Aurelio Pappalepore, e Francesco MONTEDORO, rappresentato e difeso dall’avv. Nuri Venturelli,

avverso la sentenza della Sezione regionale Puglia della Corte dei conti n. 473/2010, depositata in

Segreteria il 22 luglio 2010.

Condanna pertanto in via solidale i sigg. Giuseppe Antonio LEPORALE, Domenica

D’AMBROSIO, Luciano Amedeo GIULIANI, Antonio PETRUZZELLIS, Giuseppe GIUSTINO e

Francesco MONTEDORO al pagamento in favore del Comune di Cassano delle Murge della

somma di € 168.437,00 (€ 98.437,00 + € 70.000,00) oltre rivalutazione monetaria, da computarsi

secondo gli indici ISTAT di andamento del costo della vita dalla commissione del fatto al deposito

della presente sentenza ed interessi legali al saggio corrente da tale ultimo momento e fino al

pagamento effettivo.

Conferma la condanna alle spese di I grado.

Page 9: Cassano corte 2

Le spese di giustizia del presente grado che si liquidano in euro……………………..seguono la

soccombenza.

Nulla per le spese legali.

Manda alla segreteria per gli adempimenti di rito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 febbraio 2012.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Cons. Mauro OREFICE F.to Pres. Piera MAGGI

Depositato il 16/3/2012

Il Dirigente

F.to Massimo BIAGI