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HOME > INTERVENTI D'AUTORE > DONNE E VIOLENZA. INTERVISTA A WANNA DEL BUONO Scienze umane Donne e violenza. Intervista a Wanna Del Buono Redazione 12 novembre 2014 «La diffusione della violenze, sotto le forme più diverse, costituisce purtroppo uno dei tratti salienti della società contemporanea». Comincia così il Rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dal titolo Violenza e salute nel mondo [http://whqlibdoc.who.int/publications /2002/9241545615_ita.pdf] pubblicato nel 2002. Da allora molto è stato fatto, come per esempio la creazione di un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa espressamente delle disuguaglianze di genere (United Nations Entity for Generd Equality and the Empowerment of Women [http://www.unwomen.it/]), ma molto rimane ancora da fare. Lo testimoniano le fredde cifre raccolte sul tema dall’ISTAT attraverso un’indagine che copriva per intero l’Italia [http://www3.istat.it/dati/catalogo/20091012_00/Inf_08_07_violenza_contro_donne_2006.pdf]: Le donne tra i 16 e i 70 anni che dichiarano di essere state vittime di violenza, fisica o sessuale, almeno una volta nella vita sono 6 milioni e 743 mila, cioè il 31,9% della popolazione femminile; considerando il solo stupro, la percentuale è del 4,8% (oltre un milione di donne). Il 14,3% delle donne afferma di essere stata oggetto di violenze da parte del partner: per la precisione, il 12% di violenza fisica e il 6,1% di violenza sessuale. Del rimanente 24,7% (violenze provenienti da conoscenti o estranei), si contano 9,8% di violenze fisiche e 20,4% di violenza sessuale. Per quanto riguarda gli stupri, il 2,4% delle donne afferma di essere stata violentata dal partner e il 2,9% da altre persone. Il 93% delle donne che afferma di aver subito violenze dal coniuge ha dichiarato di non aver denunciato i fatti all’Autorità; la percentuale sale al 96% se l’autore della violenza non è il partner.

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Il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Aula di lettere, la rivista online della casa editrice Zanichelli, dedica il numero di novembre proprio alle Donne: madri, filosofe, artiste ed eroine.

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HOME > INTERVENTI D'AUTORE > DONNE E VIOLENZA. INTERVISTA A WANNA DEL BUONO

Scienze umane

Donne e violenza. Intervista aWanna Del BuonoRedazione12 novembre 2014«La diffusione della violenze, sotto le forme più diverse, costituisce purtroppo uno dei trattisalienti della società contemporanea». Comincia così il Rapporto dell’OrganizzazioneMondiale della Sanità dal titolo Violenza e salute nel mondo[http://whqlibdoc.who.int/publications/2002/9241545615_ita.pdf] pubblicato nel 2002. Da allora molto èstato fatto, come per esempio la creazione di un’agenzia delle Nazioni Unite che si occupaespressamente delle disuguaglianze di genere (United Nations Entity for Generd Equalityand the Empowerment of Women [http://www.unwomen.it/]), ma molto rimane ancora da fare. Lotestimoniano le fredde cifre raccolte sul tema dall’ISTAT attraverso un’indagine che coprivaper intero l’Italia [http://www3.istat.it/dati/catalogo/20091012_00/Inf_08_07_violenza_contro_donne_2006.pdf]:

Le donne tra i 16 e i 70 anni che dichiarano di essere state vittime di violenza, fisica osessuale, almeno una volta nella vita sono 6 milioni e 743 mila, cioè il 31,9% dellapopolazione femminile; considerando il solo stupro, la percentuale è del 4,8% (oltre unmilione di donne).Il 14,3% delle donne afferma di essere stata oggetto di violenze da parte del partner: perla precisione, il 12% di violenza fisica e il 6,1% di violenza sessuale. Del rimanente 24,7%(violenze provenienti da conoscenti o estranei), si contano 9,8% di violenze fisiche e20,4% di violenza sessuale. Per quanto riguarda gli stupri, il 2,4% delle donne afferma diessere stata violentata dal partner e il 2,9% da altre persone.Il 93% delle donne che afferma di aver subito violenze dal coniuge ha dichiarato di nonaver denunciato i fatti all’Autorità; la percentuale sale al 96% se l’autore della violenza nonè il partner.

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Wanna Del Buono è un’avvocata che si occupa da decenni di donne che hanno subitomaltrattamenti in ambito familiare. Venticinque anni fa è stata una delle fondatrici di Artemisia[http://www.artemis iacentroantiviolenza.it/], un’associazione che ha fornito e continua a forniresostegno alle donne vittime di violenza.

Per approfondire:

Il sito di Artemisia [http://www.artemis iacentroantiviolenza.it/]

Il rapporto ISTAT[http://www3.istat.it/dati/catalogo/20091012_00/Inf_08_07_violenza_contro_donne_2006.pdf]

La pagina di UN Women [http://www.unwomen.it/] , l’agenzia delle Nazioni Unite(in italiano)Il rapporto Violenza e salute nel mondo[http://whqlibdoc.who.int/publications/2002/9241545615_ita.pdf] dell’OMS

TAG donna, violenza alle donne, violenza domestica

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HOME > COME TE LO SPIEGO > UNA DONNA CORAGGIOSA NELLA CRISI DI ROMA REPUBBLICANA

Storia e geografia

Una donna coraggiosa nellacrisi di Roma repubblicanaLuciano Marisaldi12 novembre 2014La più lunga delle iscrizioni sepolcrali latine conosciute (132 righe, delle originali 180) ci portanell’intimità di una famiglia romana di elevata condizione sociale durante le guerre civili cheportarono alla fine della repubblica. L’epigrafe – detta Laudatio Turiae (Elogio di Turia) – èframmentaria e la ricostruzione del testo ha richiesto un lungo lavoro.

A questo link si trova la ricostruzione grafica della forma originale dell’epigrafe. Comesi vede mancano la parte iniziale e quella centrale. Dei frammenti della prima colonna(che sono perduti) restano solo vecchie trascrizioni.

La laudatio era il discorso pubblico di elogio che un familiare teneva per illustrare le azioni e levirtù del defunto: una consuetudine delle famiglie eminenti. In origine l’onore era riservato aimaschi, ma dalla fine del II secolo a.C. si ha notizia di donne che furono celebrate così. Anzi, itre soli esempi pervenuti fino a noi di epigrafi piuttosto estese contenenti una laudatioriguardano figure femminili.

Una di queste è appunto la “cosiddetta Turia”. Sì, perché in realtà non si conosce il nomedella persona alla quale la laudatio è dedicata. Si pensò a lungo che la nostra protagonistafosse Turia, la moglie di un console rievocata in un racconto morale di Valerio Massimo eripreso con qualche variante da Appiano (II secolo).

Questa ipotesi è stata da tempo abbandonata, ma il nome è rimasto al personaggio che, in

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ciò che resta dell’intestazione, è designato solo come “moglie”. Non conosciamo neppure ilnome del marito, che fece trascrivere il discorso su marmo per prolungare il ricordo, attestarela propria riconoscenza e celebrare, insieme alla donna, se stesso.

Una giovane piena di ardimento

La vita di Turia negli anni giovanili fu assai movimentata. Mentre era promessa sposa (potevaforse avere quindici anni) la giovane ebbe i genitori uccisi, probabilmente da loro schiavi, edovette lottare con grande energia per assicurare i colpevoli alla giustizia e per salvaguardarel’eredità, minacciata da vari pretendenti. Si trasferì nella casa della futura suocera e perquesto atto di fedeltà si merita, nella laudatio , una speciale riconoscenza. Questa sezionedell’epigrafe presenta dettagli rilevanti per il diritto ereditario romano, che qui tralasciamo.

L’uomo che doveva diventare suo marito era allora in Macedonia con i pompeiani inseguiti daCesare nella guerra civile (l’episodio è databile, grazie a un riferimento al violento capobandaMilone, al 48 a.C.). Trovandosi dalla “parte sbagliata”, dovette rimanere in clandestinità alungo. In questo frangente Turia fece di tutto per appoggiarlo, procurandogli denaro, schiavi,provviste e proteggendo con decisione le proprietà di lui. Qualche anno dopo (43-42 a.C.)l’uomo ebbe di nuovo bisogno dell’appoggio di Turia, coinvolto nelle proscrizioni del secondotriumvirato, finché un atto di Ottaviano lo riabilitò. Anche in questa occasione lei gli rimasefedele, lo appoggiò sfidando i pericoli e riuscì a convincerlo a non compiere atti impulsivi.

Probabilmente il matrimonio ebbe luogo nel periodo fra le due proscrizioni.

Il marito non manca di ricordare un episodio nel quale Turia dovette sopportare una cocenteumiliazione. Fu quando, ottenuta ormai la grazia da Ottaviano, che si trovava ancora lontanodall’Italia, la donna si recò dal triumviro Marco Emilio Lepido, presente a Roma, per chiedernela convalida. Lepido la umiliò come una schiava, la gettò a terra malmenandola e l’ingiuriòpesantemente. Scrive il marito: “… subisti ferite crudeli. Le mostrasti a tutti, affinché sisapesse chi era l’autore dei miei pericoli, cosa che non tardò a ricadere a suo danno. Nulla fupiù efficace di quel tuo atteggiamento coraggioso, perché offristi a Cesare l’opportunità dimostrarsi clemente e mentre mi salvavi la vita facevi risaltare quella furibonda ferocia e ancorpiù rifulgeva la tua forza nel sopportarla.” (trad. L. Storoni Mazzolani)

Nella sfera del privato

L’unione matrimoniale durò 41 anni: il documento è databile dunque agli ultimi anni del Isecolo a.C., quando Roma era ormai da tempo pacificata nel principato augusteo. I duevissero questo periodo in affettuosa consuetudine e lontano dalle vicende pubbliche.

L’ultima sezione dell’epigrafe entra nella sfera più intima della coppia. Turia e il maritosperavano di avere figli, ma questa gioia fu loro negata. Nel tempo la donna si dedicò adaccogliere in casa ragazze bisognose e a procurare loro una dote: a parere di Lidia StoroniMazzolani “un’opera di carità di cui non ho trovato riscontro in epoca pagana”.

A una donna così magnanima, che per due volte gli aveva salvato la vita, il marito non chiese ildivorzio per sterilità, anche se lei si diceva disposta a essere ripudiata. In seguito Turia feceuna proposta alquanto ardita: di farsi da parte perché il marito procreasse con un’altradonna, accettando poi di allevare i figli come fossero suoi. Lui rifiutò sdegnosamente,adirato, questa offerta: “… mai avrei potuto assecondarti senza mancare al mio onore”. Allafine lei gli chiese di adottare una delle ragazze cui aveva fatto del bene e il marito scrive,nell’epigrafe, che rispetterà questa sua volontà.

La vita trascorse e alla fine l’uomo mise questa donna straordinaria su un piedistallo persempre. Davvero straordinaria?

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Il testo in latino si trova cliccando qui [http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lsante01/LaudatioTuriae/lau_turi.html]

Spunti per l’interpretazione

Turia è dotata di tutte le virtù che tradizionalmente erano attribuite alle matrone romane: “Ache rievocare le tue virtù domestiche, la castità, il rispetto, l’amabilità, l’arrendevolezza,l’assiduità al telaio, la religione immune da fanatismo, la modestia dei gioielli, la sobrietà delvestire?” (trad. L. Storoni Mazzolani)

E tuttavia l’estensore dell’epigrafe presenta la donna proiettata in attività che nel mondoromano erano riservate ai maschi e usa per lei alcuni termini mutuati dall’uso militare: ellaprocurò al marito rinforzi (subsidia), lo protesse (munibat ), subì ferite crudeli da Lepido(crudelibus exceptis vulneribus ), fu la speculatrix e propugnatrix del marito (cioè vegliò sudi lui e lo difese). Turia si mostrò dotata di virtus , di firmitas animi e di constantia (coraggio,fermezza d’animo, tenacia): virtù considerate tipicamente maschili.

Contro l’immagine tradizionale della donna che realizza le sue virtù nell’ambiente domestico,la figura di Turia è rievocata in una dimensione pubblica. Il marito, per contro, sembra volersiritrarre in condizione di debolezza, incertezza, sconforto, perdita dell’autocontrollo in unasorta di rovesciamento dei ruoli. Rovesciamento che non è un caso isolato: simileatteggiamento si riscontra nelle lettere di Cicerone dall’esilio e nei versi delle Epistulae exPonto che Ovidio, dalla remota Tomi, dedica alla moglie.

La donna romana può essere elogiata con termini maschili proprio perché, comunque, èdotata in sommo grado delle virtù tradizionali femminili e non si trasforma in una sorta divirago. Solo a queste condizioni l’uomo può mostrarsi debole e insicuro. In sostanza, nelcelebrare la moglie, l’uomo mette anche se stesso in buona luce, per il semplice fatto di aversaputo adornarsi di un simile gioiello.

La laudatio Turiae è un documento del periodo della restaurazione augustea dei costumi ene porta il segno. Turia è un perfetto esempio di matrona sia nell’attività benefica, sia nellasua azione volta a porre rimedio all’infertilità del matrimonio (le leges Iuliae emanate daAugusto penalizzavano le famiglie senza figli, ma non incisero realmente sul calo dellanatalità, soprattutto nelle famiglie della classe dirigente). Come molte donne della tardarepubblica e prima età imperiale, Turia ebbe uno spazio nella vita pubblica; il giudizio sul suocomportamento continuava però a basarsi sulle regole della tradizione e sulle virtù privatedella donna.

Riferimenti bibliografici

Lidia Storoni Mazzolani, Una moglie , Sellerio editore, Palermo 1982; contiene latraduzione integrale della laudatio , qui utilizzata, condotta sul testo critico di M. Durry,Parigi 1950.

Emily A. Hemelrijk, “Masculinity and Femininity in the Laudatio Turiae”, in ClassicalQuarterly 54,1 (2004).

A questo link [http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost01/Valerius/val_fac6.html#07] sipuò leggere, in latino, l’aneddoto dai Fatti e detti memorabili di Valerio Massimo (VI,7,2) riferito a Turia

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Immagine di apertura: William Adoplhe Bouguereau, “Elegy” (via Wikimedia Commons[http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/fa/William-Adolphe_Bouguereau_%281825-1905%29_-_Elegy_%281899%29.jpg/1024px-William-Adolphe_Bouguereau_%281825-1905%29_-_Elegy_%281899%29.jpg?uselang=it] )

Immagine per il box: frammento della Laudatio Turiae (via Wikimedia Commons )

TAG antica roma, Augusto, giulio cesare, impero romano, marco emiliolepido, virtus

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HOME > COME TE LO SPIEGO > CHRISTINE DE PIZAN, UNA FILOSOFA NEL MEDIOEVO

Filosofia

Christine de Pizan, una filosofanel MedioevoClaudio Fiocchi12 novembre 2014A diversi intellettuali del Medioevo piaceva immaginare l’universo come una grande scalagerarchica, nella quale ciascuno trovava il proprio posto e i propri obblighi. In questo quadrola collocazione della donna era di subordinazione all’uomo. A sostegno di questa tesi i dottidell’epoca potevano attingere a piene mani in primo luogo dalla tradizione esegetica biblica,a partire dalla colpevolezza di Eva che si era lasciata sedurre dal serpente, e in secondoluogo dalle opere di Aristotele, che vedeva nella donna un “maschio mancato” (quindi unerrore) e per di più con una capacità di discernimento inferiore a quella maschile.

La realtà storica era però più variegata di questa visione semplificata e astratta e spessocapitava che una castellana o la moglie di un mercante facessero le veci del marito assente omorto.

Che una donna potesse fare l’intellettuale era però un’eccezione nell’eccezione e vi furonoben pochi casi nel Medioevo. Uno di questi fu quello di Christine de Pizan.

La ruota della fortuna

Christine amava definirsi una “donna italiana” e anche “semplice e ignorante”.

Italiana lo era d’origine, ma il padre, Tommaso da Pizzano (località non lontana da Bologna),medico e astrologo di una certa fama, l’aveva portata con sé alla corte del re di Francia CarloV quando aveva quattro anni. Perciò in Francia non era poi tanto straniera.

“Semplice e ignorante” è un’espressione che va intesa con prudenza. In genere, tutte ledonne che nel Medioevo assurgono a ruoli di potere o di responsabilità definiscono se

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stesse in termini di grande umiltà: è una sorta di trucco per denunciare la stranezza dellaloro situazione, ossia essere donne ma in una posizione di rilievo sociale.

Eppure, e sorprendentemente, Christine definisce se stessa anche “un vero uomo”, perchédovette diventare forte come un uomo di fronte ai rivolgimenti della sorte che, ancoragiovane, la colpirono negli affetti e nelle finanze.

Il padre le aveva combinato un buon matrimonio, con uomo di legge al servizio del re. Maall’improvviso la ruota della fortuna, immagine che Christine riprende spesso, muta il suocorso e sulla povera italiana si abbattono le disgrazie: nel volgere di qualche anno muoiono ilre Carlo V, poi il padre e infine il marito. E così Christine si trova vedova e con tre figli.

Qui[http://www.academia.edu/1128011/Christine_de_Pizan._Biografia_di_una_donna_di_lettere_del_XV_secolo]puoi leggere un articolo biografico su Christine de Pizan

Scrivere per mestiere

Christine però possiede una «arma segreta»: la cultura. Per ragioni che non sapremo mai, ilpadre le ha trasmesso una parte consistente del proprio sapere. Christine sa leggere escrivere, ha letto opere di filosofia, medicina e di letteratura antica, in netto contrasto con leusanze dell’epoca. Di fronte alle difficoltà Christine imbraccia la penna e inizia a scrivere. Macosa? Innanzitutto opere in versi, poesie e ballate. Poi prende parte alla querelle defemmes , un dibattito in corso da tempo negli ambienti intellettuali e di corte sul valore delledonne. La posizione di Christine, decisamente avversa alla diffusa misoginia, attiral’attenzione. Il duca di Borgogna Filippo l’Ardito, le commissiona la biografia del fratello, ildefunto Carlo V.

È un momento di svolta nella sua vita. Christine mette in piede una piccola officina del libro(secondo la ricostruzione di Maria Giuseppina Muzzarelli, autrice di Un’italiana alla corte diFrancia: Christine de Pizan, intellettuale e donna, Il Mulino, Bologna 2007): scrive, faillustrare e copiare le opere. Si reca alla biblioteca del Louvre a consultare le fonti. Non èescluso che la bizzarria di far comporre le opere a una donna abbia sedotto i grandi di Franciadell’epoca.

Qui [http://www.pizan.lib.ed.ac.uk/gallery/pages/003r.htm] trovi una esempio di manoscrittominiato di Christine de Pizan

La difesa delle donne

La battaglia intellettuale nella quale Christine sfodera il meglio di sé è la difesa del generefemminile. Lo scopo di questa battaglia è la rivalutazione morale e intellettuale delle donneche, secondo Christine, non sono inferiori agli uomini per natura. Le differenze che si notanosono solo la conseguenza di una diversa educazione.

Questa tesi è esposta nella sua opera più celebre, La città delle dame . Come accade in tantialtri libri del Medioevo, anche in questo l’autrice riceve la visita di un’entità superiore che letrasmette una verità e le impone un compito. A Christine fa visita dama Ragione, seguita daRettitudine e Giustizia, che la inducono a realizzare un’opera in difesa delle donne (ossia ilsuo scritto), edificata con esempi e ragionamenti che provano il valore delle donne.

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Contro chi argomenta che la donna è inferiore per origine, Christine (per bocca di Ragione)ribatte: «La donna fu fatta dal Sovrano Creatore. E dove venne creata? Nel Paradiso Terrestre.Con che cosa? Con una materia vile? No, con la più nobile creatura che fosse mai statacreata: era con il corpo dell’uomo che Dio la fece» (Christine de Pizan, La città delle dame , acura di P. Caraffi, Luni editore, Trento, p. 79).

A tutti gli esempi negativi di donne che vengono loro proposti, le tre Dame ribattono oproponendo un’altra versione dell’esempio o con un contro esempio: per esempio, leAmazzoni smentiscono la supposta mancanza di coraggio e di forza fisica delle donne e aproposito di Santippe, passata alla storia come la dispotica moglie di Socrate, si racconta lostraordinario amore per un marito tanto più vecchio di lei.

Di fatto, La città delle dame stessa smentisce i molti pregiudizi contro le donne. Christine,consapevole dell’eccezionalità della sua educazione, mette proprio questo in rilievo: offrite auna donna un’educazione di alta cultura e tutti i luoghi comuni verranno smentiti.

Christine però non intende sovvertire l’ordine della società e, infatti, alle donne sposate dice:«non sdegnatevi di essere sottomesse ai vostri mariti, poiché non è sempre meglio per unapersona essere libera» (ivi, p. 499)

In convento

Intorno ai 55 anni, dopo aver scritto opere storiche, politiche e di morale, Christine si ritira inconvento, senza farsi monaca, e lì rimane per un’altra decina d’anni. Poco prima della suamorte la Francia è scossa dall’impresa di una donna guerriera, Giovanna d’Arco, la cuiimpresa spinge alla riscossa nella Guerra dei Cent’anni. Christine fa in tempo a dedicarle unpoema nel quale sottolinea, verosimilmente con una certa soddisfazione, che «per mano diuna donna il regno fu liberato».

Qui [http://portale.festivaldellamente.it/it/eventi-festival/come-pensava-una-donna-nel-medioevo-christine-de-pizan] puoi ascoltare lo storico Alessandro Barbero che parla di Christine dePizan

Immagine di apertura: Christine de Pizan (via Wikimedia Commons )

Immagine per il box: la città delle dame (via Wikimedia Commons )

TAG donne, Francia, gerarchie, Giovanna d'Arco, medioevo, misoginia

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HOME > COME TE LO SPIEGO > DONNE ARTISTE NELLA PARIGI DEGLI IMPRESSIONISTI: GLI AMBIENTI,GLI INCONTRI E I TEMI

Storia dell'arte

Donne artiste nella Parigi degliImpressionisti: gli ambienti, gliincontri e i temiValentina Casarotto12 novembre 2014Parigi, seconda metà dell’Ottocento. Nella ville lumière dei café -chantant e degliImpressionisti, città elettiva del cosmopolitismo, fioriscono le aspirazioni di un nutrito gruppodi donne che incarnano l’anima della modernità. Vivendo con nuovo spirito d’indipendenza laloro condizione, passano disinvolte da un ruolo all’altro: da modelle ad amanti, da compagnea collezioniste e, infine, artiste. Concentreremo la nostra attenzione su tre figure femminili, lepittrici Berthe Morisot (1841-1895) e Mary Cassatt (1844-1926) e la scultrice CamilleClaudel (1864-1943), artiste che a vario titolo raggiunsero una certa notorietà già in vita eche oggi si collocano come comprimarie nel complesso scenario del tempo.

La formazione artistica

Ancora nella seconda metà dell’Ottocento la formazione artistica delle donne si realizzava incontesti protetti, domestici o privati, raramente accademici, dato che, ad esempio, l’Écoledes Beaux-Arts era preclusa alle donne. L’accesso alla pratica artistica era quindi decisoquasi a priori dai mezzi economici della famiglia d’origine. L’estrazione borghese permisequindi a Berthe Morisot e alla sorella Edma di ricevere lezioni private di disegno sin dallagiovinezza. Ma il primo maestro, Émile Guichard, scriveva alla madre: “le sue figlie hannotanto talento che i miei insegnamenti daranno loro niente di più del piacere di dipingere –diventeranno pittrici, ma si rende conto di cosa significa? Nel suo ambiente alto borgheseprovocherà una rivoluzione, se non una vera catastrofe”. Nel bel giardino della grande casa di

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Rue Franklin le ragazze riescono però a farsi costruire un atelier, un luogo riparato e tutelatodove esercitarsi. Assecondando l’estro di dipingere a contatto con la natura, Berthe divienepoi allieva di Camille Corot, e finalmente i suoi lavori vengono ammessi al Salon del 1865.

Clicca qui [https://www.youtube.com/watch?v=FsUdXpqE8Zg ] per vedere un video che offreuna panoramica sulla produzione di Berthe Morisot [https://www.youtube.com/watch?v=FsUdXpqE8Zg]

Al contrario Mary Cassatt, americana figlia di un banchiere di Pittsburgh, vede ostacolato ilsuo talento artistico proprio dalla famiglia, preoccupata del rispetto della rigida etichettad’oltreoceano. Ciononostante Mary riesce a frequentare l’Academy of Fine Arts di Filadelfia,anche se, in quanto donna, non le è permesso lo studio del nudo. Un ruolo fondamentalenella sua formazione hanno quindi i viaggi in Europa, che le permettono di dedicarsi allostudio dei grandi maestri: Rubens, Velázquez, Correggio. Trasferitasi a Parigi, prende lezioniprivate e si reca al Louvre a riprodurre i capolavori del passato, e il museo diventa la suaseconda casa.

Una panoramica sulla produzione di Mary Cassatt è reperibile a questo link[https://www.youtube.com/watch?v=iLXm8hif8Zs]

Nativa della Champagne, anche Camille Claudel apparteneva alla borghesia benestante e lasua educazione, a traino del fratello Paul che diventerà un famoso intellettuale, fu affidata aun precettore. Diversamente dall’America, in Europa applicarsi alla scultura era un vero eproprio tabù per le donne. È quindi sorprendente che Camille sia stata assecondata nella suavocazione, e che le sia stato consentito di formarsi presso Alfred Boucher, scultorepregevole e scopritore di quei talenti che poi formarono l’École de Paris: Chagall, Soutine,Modigliani, Zadkine e Lipchitz. Il provvidenziale trasferimento del padre a Parigi nel 1881 lepermette finalmente l’accesso all’Accademia Colarossi, dove predilige la modellazioneispirata all’arte del quattrocento fiorentino.

Per una panoramica sulla produzione di Camille Claudel clicca qui[https://www.youtube.com/watch?v=mLtz1hTTNy0 ]

Gli incontri

Mentre i caffè sono il luogo di ritrovo per eccellenza degli artisti impressionisti, è nei museiche avvengono gli incontri fondamentali delle artiste, come testimonia l’epistolario di BertheMorisot. Mentre è al Louvre, intenta a copiare i quadri del ciclo di Rubens, Berthe vieneavvicinata da Édouard Manet, attratto sia dai suoi dipinti sia dall’avvenenza che le è da tuttiriconosciuta. Per un certo periodo Berthe diviene sua modella ed entra così a far parte dellacerchia di artisti e letterati che frequentano il salotto del giovedì di casa Manet: Degas, Puvisde Chavannes, Baudelaire e Astruc. Una volta sposata, nel suo salotto riceverà a sua voltaDegas, Renoir, Monet, Caillebotte, Whistler.

Anche per Mary Cassatt il Louvre è teatro di un incontro fondamentale. Durante una dellesue giornate di studio viene ritratta da Degas nel quadro Al Louvre (Miss Cassatt) .

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Edgar Degas, “Au Musée du Louvre”

Mary, a sua volta, rimane incantata davanti alle opere di Degas, anche senza conoscerlo dipersona, e scrive: “la vista dei dipinti di Degas ha provocato il giro di boa della mia vitaartistica”. Nel 1874, durante l’esposizione al Salon parigino, Degas nota l’opera di Mary etuttavia attende ancora tre anni prima di incontrarla de visu .

È grazie al suo maestro Boucher che Camille Claudel nel 1883 conosce Auguste Rodin,quarantenne all’inizio della sua carriera mentre lei è una sedicenne dal carattere indomito edorgoglioso. Lavora con abnegazione l’argilla, impasta il gesso, e scolpisce il marmoacquisendo sempre maggior maestria, tanto che Rodin le affida la realizzazione di piccoleparti delle Portes de l’Enfer .

Le esposizioni

Le due pittrici sono assidue frequentatrici delle mostre degli impressionisti: Berthe Morisotmanca solo all’esposizione che coincide con la nascita della figlia Julie. Sempre apprezzate,le sue opere raggiungono quotazioni maggiori rispetto a quelle degli altri impressionisti.

Nel 1893, grazie ai suoi studi sugli affreschi della cupola di Parma, Mary Cassatt è incaricatada Bertha Palmer, presidentessa delle donne manager, di dipingere l’affresco La donnamoderna e la donna primitiva, nel padiglione della World’s Columbian Exposition di Chicago,opera purtroppo perduta.

Sin dal 1883 Camille Claudel partecipa ai Salon, dapprima come allieva di Rodin e poi comeartista indipendente membro della giuria. Il suo successo personale si misura dall’attenzione

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che progressivamente le riserva la critica. Nel 1905, Gustave Kahn, allora principe della critica,la pone affianco a Berthe Morisot come “autentica rappresentante del genio femminile”.

I temi

Le due pittrici, amiche e solidali, interpretano l’impressionismo con una decisa indipendenzastilistica e tematica. Condividono i soggetti tratti dalla quotidianità – i bambini, gli internidomestici, le scene all’aperto, iritratti di famiglia – che se per un verso sono lo specchio dellaristrettezza del loro ruolo femminile, dall’altro riflettono un approccio lirico, un occhio attentoe sensibile nei confronti della vita in tutte le sue forme.

Berthe Morisot, “Nascondino”

L’ambizione di Berthe si focalizzava sul “desiderio di fissare qualcosa di fuggevole”,incarnando l’estetica dell’impressionismo con levità di tocco mediato da un certo classicismoin sottofondo.

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Mary Cassatt, Il tè delle cinque, Museum of Fine Arts di Boston

Come le aveva consigliato Degas, Mary evita le pose convenzionali e offre inquadraturetrasversali che sembrano suggerire una presa dal vero veloce. Al contrario i suoi modellierano costretti a lunghe ore di posa.

Più ardita e rivoluzionaria, Camille Claudel infrange molti limiti sociali e morali, rappresentandonudi maschili e femminili in opere come La Valse . Oltre alla rappresentazione del nudo,Camille esalta un legame paritario tra i sessi e non rispetta i rapporti di forza e di potere,indiscutibili per la società del tempo. Pur non condividendo le scelte stilistichedell’impressionismo, di fatto Camille ne condivide le scelte tematiche, l’ansia dirinnovamento, il rifiuto dell’accademismo sterile e l’adesione alla modernità che nel suo casosfocia anche nel simbolismo.

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Camille Claudel, “La valse”, scultura in bronzo, 1893-95, Museo Rodin, Parigi

La fortuna

Parimenti talentuose e risolute nell’affermare la loro dignità di artiste, Morisot, Cassatt eClaudel ebbero tre destini molto diversi: nel necrologio di Berthe Morisot “Le Figaro” scrisseche “la pittrice fu, insieme a Renoir e Manet, uno dei primi Impressionisti”. Mary Cassatt nel1904 ricevette la Legion d’onore per meriti artistici mentre Camille Claudel, dopo averdistrutto molte delle proprie opere durante ripetute crisi psicotiche, nel 1913 fu internata nelmanicomio di Ville-Évrard dove rimase per 30 anni.

Per saperne di più

G. ARDOLINO, Le impressioniste. Pittrici, modelle, ispiratrici e galleriste a Montmartre ,Viterbo 2005

J. P. CRESPELLE, La vita quotidiana a Parigi al tempo degli impressionisti , Milano 1981

B. DI LEO, Berthe Morisot. Professione pittrice , Milano 2005

R. M. PARIS, Camille Claudel. Frammenti di un destino d’artista, Venezia 1989

M. A. TRASFORNI, Nel segno delle artiste. Donne, professioni d’arte e modernità, Bologna2007

Immagine di apertura: Mary Cassatt, “Little girl in a blue armchair”, olio su tela, collezioneMellon. (via Wikimedia Commons )

Immagine del box: Mary Cassatt, Il tè delle cinque, Museum of Fine Arts di Boston.(via Wikimedia Commons )

TAG auguste rodin, berthe morisot, camille claudel, edgardegas, impressionismo, mary cassatt, parigi

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HOME > COME TE LO SPIEGO > FUORI DALLA STORIA, OVVERO DELLE DONNE E DEL MITO

Latino e greco

Fuori dalla storia, ovvero delledonne e del mitoAndrea Ercolani12 novembre 2014Una premessa storica

Le antiche società classiche, quella greca e quella romana, hanno riconosciuto e assegnatoruoli sociali marginali alle donne. L’ipotesi di un originario matriacato è tramontata da tempo,perché (parrebbe) poco fondata. Ed è ancora una volta un dato di fatto che figure femminili dirilievo spicchino, nelle culture classiche, nel racconto del mito più che nelle vicende dellastoria.

Sulla condizione della donna nelle società classiche è ormai un punto di riferimento illibro di Eva Cantarella “L’ambiguo malanno. Condizione e immagine della donnanell’antichità greca e romana”. Roma 1981

“Confinamento” nel mito

L’epica greca non concede troppo spazio a figure femminili, salvo pochi casi, e soprattuttonell’Odissea (Elena, Nausicaa, Circe, Penelope; nell’Iliade è certamente Andromaca la figuradi spicco). Né l’epica romana sembra fare di meglio (la tragica Didone è l’unica figura di rilievonell’universo, in fondo tutto maschile, dell’Eneide ).

Un primo momento di stupore è tuttavia offerto dal teatro ateniese. La tragedia attica è pienadi eroine, fin quasi alla saturazione, alcune di statura notevole (e non casualmente con unacapacità di persistenza nella letteratura posteriore assolutamente eccezionale): Antigone e

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Medea, al centro nelle omonime tragedie rispettivamente di Sofocle e di Euripide, sonofigure che oramai appartengono a quella che usa definire World-literature , “letteraturamondiale”, appannaggio non più di una singola cultura, ma patrimonio comune di tutti. Piùsignificativo il fatto che, con una buona frequenza, sono cori di donne a dare il titolo alletragedie: Fenicie, Supplici , Trachinie , Troiane eccetera.

Per le sopravvivenza del mito di Medea, si veda B. Gentili, F. Perusino (a curadi), Medea nella letteratura e nell’arte, Venezia 2000

Divinità femminili

Eppure nell’immaginario antico la donna doveva avere una centralità ben superiore a quantoriusciamo a intravedere. Risulta dalle figure divine di sesso femminile, incarnazione o ipostasidi potenze allo stesso tempo creatrici e distruttrici, positive e negative. Alcuni mitemi paionoindicare piuttosto chiaramente il ruolo primario del sesso femminile nella creazione e nellaconfigurazione dell’ordine cosmico e sociale: il destino umano è consegnato alle Moire; lagiustizia è nelle mani di Dike; le persecutrici dei delitti di sangue sono le Erinni. Tutte divinitàfemminili, che sono a guardia di un ordine che evidentemente la razionalizzazione di unpantheon al maschile, con Zeus assiso nel centro, non bastava a garantire.

La capacità unica ed esclusiva della donna di procreare e generare resta, a ogni modo, la piùdivinizzata, nelle sue varie ipostasi e declinazioni, da Gaia a Demetra, da Afrodite a Era. Ed èesattamente questa specificità biologica femminile che ha prodotto una specie di complessodi inferiorità nell’orizzonte mentale dell’uomo: questo pare doversi leggere dietro i miti dipartenogenesi maschile (e forse anche dell’ermafroditismo), tentativi più o meno goffi dieliminare completamente la donna dallo scenario culturale umano, privandola (o cercando diprivarla) anche di quella capacità che l’uomo non ha e di cui vuole appunto appropriarsi. Maquesto non poteva essere: e dalla partenogenesi di Zeus nasce Atena, una dea.

Un caso non limite: l’accettazione del punto di vista maschile

Nella storia di Roma, dove a tratti qualche nome femminile emerge, è particolarmenteinteressante una figura di donna, Cornelia “madre dei Gracchi” (definizione, questa,diventata quasi un epiteto fisso), di cui intraprese moraleggianti e tentativi di edificazione ‘alfemminile’ antichi e moderni si sono variamente appropriati, tanto da farne un modello (più omeno fasullo) di madre ideale.

Cornelia aveva un’ascendenza genealogica dal peso specifico notevole: tra i sui maiores sicontano il padre, P. Cornelio Scipione l’Africano; il nonno paterno e quello materno, due exconsoli, entrambi caduti nella seconda guerra punica (l’uno in Spagna, l’altro al comandodell’esercito romano a Canne); Scipione l’Asiatico (suo zio paterno), vincitore di Antioco ilGrande; lo zio materno Emilio Paolo, vincitore del re di Macedonia. A fronte di questolignaggio, le fonti ci rappresentano l’immagine di una donna ossessionata dal prestigiofamiliare e dall’ansia che i propri figli riuscissero a emularlo e incrementarlo; Cornelia eratanto condizionata da questa ‘pressione’ familiare da non potersi sottrarre all’accettazione diquella tendenza a far coincidere il proprio comportamento con le aspettative sociali legate alcognomen , conformandosi in toto (consapevolmente o inconsapevolmente) alla logica dellegentes romane e segnatamente dell’ambiente scipionico. Un aneddoto su di lei, riferito daPlutarco nella Vita di Caio Gracco (8. 7), illustra emblematicamente la percezione di sé e laproiezione del proprio ruolo: la matrona si lamenta perché «i Romani continuavano achiamarla figlia di Scipione e non ancora madre dei Gracchi». Da queste sue parole emergeda un lato il peso schiacciante dell’ascendenza familiare, dall’altro l’aspettativa ansiosa

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coltivata sui figli; da un lato la negazione della sua individualità da parte della società (nonesiste Cornelia: lei è la figlia di Scipione), dall’altro il tentativo di sottrarsi a questa specie dilimbo esistenziale attraverso l’affermazione di un ruolo sociale altro, per quanto sempre nonautonomo: Cornelia vuol essere ricordata appunto come mater Gracchorum , di fattoperpetrando e ribadendo il modello avito e virile di nobilitas .

La donna, diluita in questa logica tutta maschile, agli occhi propri (e della storia)semplicemente non esiste.

Sulla donna nella società romana, una prima sintetica informazione è rintracciabile aquesto link [http://www.romanoimpero.com/2009/07/la-donna-romana.html][http://www.romanoimpero.com/2009/07/la-donna-romana.html]

Sulle donne romane famose (di fatto eccezioni), con informazione non sempreaccurata, ma con presentazione d’effetto c’è questo articolo[http://cultura.nanopress.it/articolo/le-15-donne-piu-potenti-dell-antica-roma/4359/] sul blogNanoPress

Un video sulle matrone lo puoi trovare cliccando qui[http://www.gruppostoricoromano.it/documentari/historia-vetusta-le-matrone-romane/]

Immagine di apertura: Dioniso e le Ore, Museo del Louvre (via Wikipedia)

Immagine del box: John Strudwick, “Un filo prezioso”. Olio su tela, 1885. (via Wikipedia)

TAG dei greci, leggende, mito

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HOME > COME TE LO SPIEGO > LA FECONDA IDEA DI MATRIARCATO

Scienze umane

La feconda idea di matriarcatoClaudio Fiocchi12 novembre 2014Nel corso dell’Ottocento, quando l’antropologia iniziava a prendere forma, in alcuni studiosiemerse l’idea che, in altri continenti e in altre epoche, la famiglia e il potere potessero esserestati organizzati in modo completamente diverso da come era avvenuto in Europa.

Tra i primi a proporre questa tesi vi è stato un singolare intellettuale svizzero, Johann JakobBachofen (1815-1887), un professore di diritto appassionato del mondo antico e autore diun’opera intitolata Il matriarcato. Secondo Bachofen è esistito un tempo in cui erano ledonne a comandare e gli uomini a obbedire. La tesi di Bachofen è spesso citata nei dizionarie nei manuali di scienze umane come un “nobile errore”: errore, perché quell’epoca non èmai esistita, ma Bachofen scambia alcune usanze e norme per una vera e propria istituzionee, inoltre, perché nei miti vede il riflesso di eventi storici in realtà mai accaduti; nobile, perchéfrutto di un lavoro minuzioso su un numero enorme di fonti.

Per una chiara sintesi delle diverse dottrine sul matriarcato e la loro confutazione, siveda l’articolo di Eva Cantarella Matriarcato in “Enciclopedia delle scienze sociali” –Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/matriarcato_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/] .

In effetti, il testo di Bachofen, che passa in rassegna decine di società antiche, è assaicorposo. L’edizione originale era viziata da una scarsa leggibilità, perché il tipografo avevaaccorpato le note al testo (con il risultato di creare, secondo lo studioso Furio Jesi, un libroche è stato “per decenni uno dei più illeggibili della letteratura scientifica”).

Nonostante questi limiti, il testo di Bachofen si è dimostrato assai fecondo e ha attratto

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l’attenzione, tra gli altri, di Friedrich Engels (1820-1895), il compagno di strada di Karl Marx, edello psicanalista Erich Fromm (1900-1980).

La tesi centrale di Bachofen

Il ragionamento di Bachofen è il seguente: nelle testimonianze di alcuni popoli antichi, come iLidi, si trovano chiare tracce di un diritto materno; presso altri popoli antichi si trovano normeanaloghe o complementari. Perciò deve essere esistito uno “stadio della civiltà” segnato daldiritto materno. Bachofen applica a questo punto il principio dell’identità della natura umana econclude che se alcuni popoli sono stati soggetti al diritto materno, devono esserlo statitutti.

Bachofen si lancia in una descrizione poetica del principio materno e dei suoi effetti. Su diesso, infatti, «si basa il principio di universale libertà ed eguaglianza, che spessoriconosceremo quale tratto fondamentale della vita dei popoli ginecocratici; […] Gli statiginecocratici andarono famosi per essere stati immuni da lotte intestine e per la loroavversione contro ogni perturbazione della pace » (Il matriarcato , Preambolo eintroduzione , a cura di G. Schiavoni, Einaudi, Torino 1988, pp. 14-15).

La successione dal diritto materno a quello paterno (che vige nelle società attuali), secondoBachofen, è rappresentata dalla contrapposizione tra divinità diverse, Demetra e Apollo.Inoltre, è descritto dallo studioso svizzero come il passaggio da un principio materiale, comequello materno, a uno spirituale, come quello paterno, e finisce con il saldarsi con unacontrapposizione più profonda tra materia, natura, fratellanza fisica da un lato e spirito efratellanza spirituale dall’altro.

Il lettore moderno rimane colpito dalle molte suggestioni proposte da Bachofen: la visioneromantica della natura, la lotta degli opposti che fa trionfare lo spirito umano (eredità diHegel), le connessioni tra religioni e modi di vivere e di pensare. Da ciò è facile capire perchéBachofen abbia potuto essere di stimolo per tanti autori o correnti di pensiero, dal socialismoalla destra tradizionale.

Perché Bachofen piacque a Engels

Per i socialisti l’opera di Bachofen prova che le strutture della società borghese non sononaturali, ma storiche: la famiglia borghese, la proprietà borghese ecc. non sono esistite dasempre, ma sono comparse a un certo punto della storia e possono quindi (anzi, devono ,dal punto di vista dei socialisti) scomparire.

Engels è un lettore entusiasta di Bachofen. Dello studioso svizzero apprezza l’aver scopertouna fase della storia dell’umanità in cui i rapporti familiari erano profondamente diversi daquelli attuali. Gli rimprovera però una certa confusione fra gli stadi dello sviluppo e dellasocietà e soprattutto il ruolo assegnato alla religione come leva decisiva della storiauniversale: per questa strada si finisce nel misticismo, chiarisce Engels nella secondaprefazione all’Origine della famiglia, della società e dello Stato (Editori riuniti, Roma 1970, p.40). Per un marxista, invece, è la dimensione materiale ed economica a causare i mutamentisociali e religiosi.

Bachofen (ma più ancora un altro antropologo del diritto materno, Lewis H. Morgan) serviva aisocialisti proprio per provare le tesi del materialismo storico e legittimare con la storia passatail sogno futuro di una società più giusta di quella borghese.

Perché Bachofen piacque a Erich Fromm

Erich Fromm ha scritto vari articoli su Bachofen, alcuni dei quali rimasti inediti fin dopo la suamorte (si possono leggere gli scritti di Fromm su Bachofen in E. Fromm, Amore, sessualità e

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matriarcato , Oscar Mondadori, Milano1997). Fromm apprezza il parallelismo che Bachofentraccia tra strutture psichiche e religioni (anche se fa dipendere le prime dalle seconde e nonviceversa) e vede in Bachofen una sorta di anti Freud. Mentre Freud evidenzia un legame dinatura sessuale tra figlio e madre, Bachofen tratteggia caratteri non sessuali della maternità:l’affetto senza limiti, la generatività, la fusionalità.

Questa descrizione è particolarmente interessante per Fromm, che cerca modelli alternativialle relazioni gerarchiche (paterne) e conflittuali. Pensare non tanto al matriarcato, che paresmentito dalla ricerca, quanto a società matricentriche aiuta a riflettere sulla storicità deimodelli sociali e dei loro corrispondenti psichici.

Fromm contrappone il patricentrismo, con i suoi principi del dovere e della competizione (cuiconseguono, nella società, un’organizzazione gerarchica e, nella psiche, un lacerante sensodi colpa), al matricentrismo, dominato dall’amore materno, dalla pietà, dalla libertà,dall’uguaglianza e dalla fraternità (e Fromm si arrischia ad accostare il patricentrismo allesocietà protestanti centro europee e il matricentrismo a quelle cattoliche dell’Europameridionale).

Il richiamo a Bachofen da parte di studiosi tanto diversi rivela quanto sia intellettualmentestimolante l’idea di una società matriarcale, fondata su principi e dinamiche affettive ecomportamentali lontane da quelle occidentali.

Sull’esistenza di società dove i rapporti familiari sono profondamente diversi da quellioccidentali puoi leggere questo articolo [http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/02/cina-a-loshui-lultimo-matriarcato-dove-sesso-femminile-non-e-mai-debole/724545/] .

Immagine di apertura: Amazzone ferita, particolare. Roma, Musei Capitolini (via WikimediaCommons )

Immagine del box: Johann Jakob Bachofen (via Wikipedia[http://it.wikipedia.org/wiki/Johann_Jakob_Bachofen] )

TAG Bachofen, Engels, Fromm, matriarcato

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HOME > LE FIGURE RETORICHE > L’IRONIA DI SHAKESPEARE E LA SUA FIDANZATA BRUTTA

Italiano

L’ironia di Shakespeare e la suafidanzata bruttaAndrea Tarabbia12 novembre 2014W. Shakespeare, sonetto 130, My mistress’ eyes are nothing like the sun…

Gli occhi della mia donna non sono come il sole;

il corallo è più rosso del rosso delle sue labbra:

se la neve è bianca, allora il suo petto è grigio;

se i capelli sono filamenti, sulla sua testa crescono fili neri.

Ho visto rose damascate, e rosse, e bianche,

ma non ne vedo sulle sue guance;

e in certe fragranze c’è più delizia

che nel suo fiato.

Amo sentirla parlare, eppure so

che la musica ha un suono più lieto:

non ho mai visto camminare una dea –

la mia donna, quando cammina, calpesta il suolo:

ma, giuro, il mio amore è così raro

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come raro è ciò che da falsi paragoni è sminuito.

A lungo, in poesia, si è finto di parlar della donna. La si trattava come una creaturaultraterrena, direttamente discesa dalle sfere celesti a portar l’amore. I poeti dello Stilnovo,ma anche Petrarca, usavano parlare delle loro amate come di creature eteree che facevanoda tramite con l’Assoluto. L’amore era qualcosa di perfetto, ideale: si amava per contemplarela bellezza, per arrivare a toccare Dio, ma non c’era carne, non c’erano imperfezioni né litigi,e tutte le donne cantate, a ben guardare, si assomigliavano tra loro.

La fine della distanza

È stato Shakespeare uno dei primi a riportar le donne sulla terra. Lo ha fatto in un sonettoche prende le distanze dalla vecchia tradizione ed è una parodia delle poesie che cantavanole donne-angelo: Shakespeare riusa tutti i topoi di quel tipo di lirica e li ribalta, raccontandoche la sua donna non è bionda e forse nemmeno bella; che non fa da tramite con Dio macammina sulla terra. Eppure, scrive, proprio per questo lei è unica ed è sua. La donna diShakespeare non è lontana dagli uomini, ma è qui, con le sue imperfezioni e la sua verità. Ilpoeta l’ha resa di nuovo umana, viva, sgonfiando una volta per tutte quell’enfasi celestialeche per secoli aveva guidato la mano degli altri poeti: ecco, in questo c’è dell’ironia, hanotato qualcuno. L’ironia non sta nel prendere in giro gli altri, ma nel raccontare le cose inmodo sghembo: si dice l’opposto di quello che si vuol dire (in questo caso si dice che si faun’antifrasi ). Ma, soprattutto, la si usa quando ci si vuole prendere poco sul serio e sfrondareil discorso da ogni saccenteria. È, o può essere, un modo come un altro per dire di qualcuno«non è perfetto, ma lo amo».

Immagine per il box: ritratto di Laura de Noves, da alcuni ritenuta la Laura amata dalpoeta Francesco Petrarca (via Wikimedia Commons [http://it.wikipedia.org/wiki/Laura_de_Noves] )

Immagine di apertura: frontespizio del “First Folio” di William Shakespeare (via Wikipedia)

TAG francesco petrarca, ironia, stil novo, william shakespeare

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HOME > COME SI PARLA > UOMINI, LA PARITÀ DI GENERE È ANCHE UN VOSTRO PROBLEMA

Uomini, la parità di genere èanche un vostro problemaElisabetta Tola12 novembre 2014«Le mie recenti ricerche mi hanno fatto scoprire che femminismo è diventata una parolaimpopolare» così Emma Watson, alias Hermione Granger, protagonista femminile della sagacinematografica di Harry Potter. L’attrice, la cui carriera cinematografica è in grande ascesa, èstata nominata lo scorso luglio Goodwill Ambassador , ambasciatrice di buona volontà, per lasezione delle Nazioni Unite che si occupa della parità di genere nel mondo. Il 20settembre scorso Watson ha tenuto un discorso[http://www.unwomen.org/en/news/stories/2014/9/emma-watson-gender-equality-is -your-issue-too]all’Assemblea delle Nazioni Unite per promuovere la campagna HeForShe[http://www.heforshe.org/] che punta sull’inclusione e sul lavoro condiviso di donne euomini, in particolare giovani uomini e donne, per l’affermazione dei diritti di uguaglianza tra igeneri. Il video completo dell’intervento di Watson è in inglese ma esiste una traduzione[http://www.linkiesta.it/discorso-parita-genere-emma-watson-nazioni-unite-traduzione-italiano] del testo initaliano pubblicata dal magazine online Linkiesta.

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«Vogliamo provare a convincere il maggior numero possibile di ragazzi e uomini a diventaresostenitori della parità di genere. E non vogliamo semplicemente parlarne, vogliamo esseresicuri di fare qualcosa di tangibile». Questo l’intento dichiarato da Watson nei suoi 11 minutidi discorso, che è stato ampiamente condiviso, discusso e commentato in rete, visto da oltre3 milioni di persone su Youtube, ripreso da molti media. Purtroppo, a dimostrazione del fattoche i temi proposti sono ben lontani dall’essere patrimonio comune, il video ha anchegenerato reazioni violente e aggressive su molti siti e social media.

Al di là del contenuto e delle reazioni, cosa funziona nel discorso di Emma Watson?

Giovanna Cosenza, semiologa dell’Università di Bologna, sostiene nel suo blogDis.amb.iguando [https://giovannacosenza.wordpress.com/2014/09/30/la-semplicita-di-emma-watson-per-la-parita-di-genere-nel-mondo/] che Watson è «Molto più efficace e potente, nella sua semplicità,di mille distinzioni e discussioni fra femminismi, veterofemminismi, postfemminismi».

La scelta di partire da sé, dalla propria esperienza è ancora una volta vincente. Watson non sifa schiacciare dalla necessità di stare dentro i formalismi e le definizioni accademiche.Sceglie di parlare liberamente della sua visione di femminismo e della necessità di liberare igeneri dalle gabbie di stereotipi, aspettative, ruoli in cui sono imprigionati. E riesce acapovolgere la prospettiva, a comunicare il percorso di riflessione che porta lei, unaventiquattrenne di oggi, dalla scoperta che la parola «femminismo» è diventata impopolare aproporre un’azione, un movimento che è più in linea con la propria esperienza culturale,storica, personale e sociale. E risulta così immediatamente accessibile ed empatica,fresca, non retorica (anche se di retorica fa ampio uso e non sempre in modo originale) enon respingente.

Giulia Siviero, in un articolo [http://www.ilpost.it/2014/09/24/emma-watson-femminismo/] su Il Postcommenta positivamente il discorso di Emma Watson ma al tempo stesso approfitta delleparole dell’attrice britannica per fare alcune precisazioni sulla natura e definizione dellaparola femminismo, prendendo a prestito la definizione[http://www.treccani.it/enciclopedia/femminismo_(Dizionario-di-filosofia)/] offerta dall’EnciclopediaTreccani. Siviero poi specifica che l’interpretazione adottata da Watson è una tra le moltepliciche animano i diversi movimenti e le correnti in cui si è sviluppato il pensiero femministanelle scorse decadi. Quello di Siviero è un articolo utile a completare il discorso di Watson maal tempo stesso ne snatura l’immediatezza e freschezza riconducendolo a un contestomolto più articolato e complesso.

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Una scelta analoga, quella di usare un linguaggio nuovo, semplice, immediato e che fariferimento a una esperienza concreta, era già stata fatta da Lorella Zanardo quando haraccontato la scomparsa delle donne reali dalla televisione italiana. Lo ha fatto con ildocumentario Il corpo delle donne [http://www.ilcorpodelledonne.net/] e poi con un libro che ha lostesso titolo edito da Feltrinelli. Nella video presentazione del libro, un monologo di 8 minuti,Zanardo sceglie un tono pacato, semplice, un registro immediato per dare conto delle sceltefatte nella realizzazione del suo lavoro.

Anche qui Zanardo sceglie l’esperienza personale come punto di partenza: dopo anniall’estero lei torna in Italia, accende la TV e scopre che il corpo delle donne, quelle reali che sivedono tutti i giorni a scuola, in giro, negli ambienti di lavoro e in famiglia, è scomparso. Al suoposto c’è una rappresentazione completamente diversa e del tutto artificiale del corpofemminile. Anche in questo caso Zanardo sceglie di non rifarsi a un linguaggio tecnico-specifico. Sceglie invece di privilegiare la fruibilità dei contenuti del suo lavoro per unpubblico nuovo, quello delle scuole, degli studenti e delle studentesse di oggi, che nonhanno familiarità con le riflessioni, le evoluzioni, le molteplici interpretazioni del pensierofemminista ma che sentono comunque il desiderio e la volontà di ragionare sull’uguaglianzadei generi.

Scopriamo, da questo breve discorso di Zanardo come dalla presentazione di Watson, chec’è bisogno di lavorare molto sui linguaggi, sulla narrazione e sul discorso pubblico perrendere condivisa una prospettiva e una comunicazione di genere. È innegabile,infatti, che sia necessaria e utile una continua ricerca teorica, lo sviluppo di un linguaggiospecialistico e l’analisi dei motivi e dei contesti che stanno dietro alle disuguaglianze digenere, un ambito che ha conosciuto una fortissima crescita negli ultimi 40 anni. Ma èaltrettanto vero che è urgente e necessario trovare, sperimentare, mettere in campo unlinguaggio corrente e una comunicazione efficace a sostegno di politiche concrete epratiche di inclusione, di parità, di uguaglianza di opportunità e diritti tra tutti i generi.

TAG corpo, donne, genere, heforshe, inclusione, televisione, watson, zanardo