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Casa della Carità Madonna del Poggio 25 anni di vita insieme

1988 ottobre 2013

Cartellone che per lungo tempo è stato esposto all’ ingresso della Casa. L’ Istituzione dell’Eucaristia è il 5° Mistero Eucaristico del Rosario scritto da

Don Mario Prandi ed è anche il Mistero cui è dedicata la nostra Casa.

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Lo spirito che anima la vita della Casa della Carità

è ben rappresentato nel simbolo dei tre pani. Tre pani di cui nutrirsi: Mensa della Parola, Mensa

dell’Eucaristia, Mensa dei Poveri in un unico cestino segno dell’unità e della complementarietà tra di essi.

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Con gioia presento il libro predisposto per il XXV dell' apertura della Casa della Carità "Madonna del Poggio" di San Giovanni in Persiceto. Fin dai primi mesi da Arcivescovo di Bologna ebbi modo di avere contatti con le Case della Carità e gradualmente ho sempre più apprezzato e sostenuto questo segno di fede che si rende operosa per mezzo della carità, secondo l'espressione di Paolo ai Galati.

È giusto ricordare una tappa così significativa cercando tra le pieghe i ricordi di tante persone ed esperienze di volontari e amici stabili o saltuari, che hanno permesso alla Casa della Carità di diventare silenziosamente, simile al lievito nella pasta, un punto di riferimento per il territorio e il Vicariato di Persiceto-Castelfranco. Ripenso alle visite che ho compiuto, particolarmente in prossimità delle festività natalizie quando con gioia ho presieduto la Messa, ho conosciuto la vivacità familiare degli ospiti e ho sentito il calore delle tante persone presenti legate in modi diversi alla Casa.

Inaugurata il 4 ottobre 1988, essa è stata voluta dall'Arcivescovo emerito, il Card. Giacomo Biffi, come segno del Congresso Eucaristico Diocesano del 1987 per richiamare a tutti la potenza che scaturisce dall'incontro con il Signore nella Messa. Ed è fondamentale che il centro della giornata della Casa della Carità sia la celebrazione eucaristica, che si prolunga, poi, nell'adorazione eucaristica settimanale secondo le intenzioni anche dell'Arcivescovo.

Sfogliando le pagine incontriamo volti e testimonianze che parlano del Regno rivelato ai piccoli e annunciato dai piccoli. Qui scorgiamo la forza del Vangelo donato a tutti e oppure riscoperto nel fondo del cuore da parte di tanti che hanno incontrato la Casa della Carità quasi per caso.

Leggendo questo libro vediamo la graduale costruzione di una dimora per quei tanti ospiti, veri tesori della Chiesa, che con la loro presenza, preghiera, sofferenza, sono, però, le vere pietre vive della Casa stessa e permettono ad essa di resistere e indicare alla società che il grande valore da tramandare di generazione in generazione è la vita di ogni persona la quale va sempre accudita e amata.

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Il mio ringraziamento e incoraggiamento giunga, poi, alle Suore Carmelitane Minori della Carità che nell' arco di cinque lustri si sono succedute. Esse con la loro disponibilità e donazione al Signore sono state come il filo d'Arianna che ha permesso e permette alla Casa di mantenersi, di proseguire secondo l'idea fontale di don Mario coadiuvato da Suor Maria, la prima Suora dell'Ospizio di Fontanaluccia.

E, infine, desidero ricordare il concreto impegno profuso da mons. Enrico Sazzini, che allora come Vicario Pastorale tanto si è industriato per favorire la nascita della Casa, e dai tanti sacerdoti del Vicariato che hanno amato e amano la Casa. Ad essi e alle loro comunità ancora una volta raccomando la custodia amorevole della Casa della Carità "Madonna del Poggio" affinché sia sempre più luogo ove si rende visibile che "Dio è amore" (lGv 4,8).

La Beata Vergine della Grazie sostenga e protegga questa Casa ove

è amata e venerata. Bologna, 22 febbraio 2013

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La Casa della Carità

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Don Mario nella canonica di Fontanaluccia

COME NASCE LA CASA = TENTATIVO =

Don Mario scrive queste pagine, durante il suo soggiorno a Peracca (TO) ospite della Sig.ra Polda Bastianini, che lo invitò per offrirgli un posto tranquillo dove poter pregare e scrivere. Don Mario ne approfittò per “rispolverare”, riordinare e consultare alcuni suoi appunti precedenti. Ci sembra che questo scritto esprima molto efficacemente il legame tra l’Eucaristia e la Casa della Carità

25-07-1983 – S. Giacomo M. Ap. Peracca (TO)

- Schema generale –

* La Casa della Carità = cosa è in sunto - * chi accoglie? = Gesù Cristo e un po’ di Ospiti * Dove nasce, si inserisce, opera? dappertutto! peculiarità = “i poveri li avrete sempre con voi” fiuto e sensibilità per scoprirli = io parroco e/o qualche parrocchiano (altri preti, religiosi, religiose, consacrati in Istituti secolari buoni laici – uomini o donne, sposi giovani o ragazze – anche fanciulli) Non è subito necessario e/o conveniente pensare alla Casa della Carità – si può cominciare a frequentarli, ad aiutarli e assisterli in famiglia o in casa loro (se ne hanno una)

MA

Si dà l’allarme in… Chiesa, alla comunità parrocchiale (quella che è…) con accenni vaghi o particolareggiati, tanto che si possa pregare per loro nelle preghiere dei fedeli – si può arrivare a qualche incontro di “animatori” e/o di poveri – si può vedere la loro situazione, fare un modesto censimento, ecc.

Naturalmente

Questo avviene e può anche indurci a farlo se si ha una chiara e completa visione e comprensione della Messa come il centro normale, naturale, obbligato di ogni pratica di vita cristiana. “Signore aiutaci (insegnaci) a capire che nell’Eucaristia sei Via, Verità e Vita” – Primo sintomo cristiano dell’animatore: dar da mangiare… l’Eucaristia a tutti, dar da bere… l’acqua viva che sgorga per la vita

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Don Mario all’Inaugurazione del Monumento ai Caduti a

Pietravolta di Frassinoro (MO)

eterna ecc. – la Parola, la catechesi, la visita, ecc. – sono l’esigenza dell’Eucaristia che “tutti trarrà a me” – Ma chi ne ha bisogno (di Eucaristia ecc.) sono i più poveri, i più vecchi, i più ammalati che non sempre possono essere presenti alla Messa Comunitaria parrocchiale. Non fare gruppi!!! Portarli (almeno spiritualmente) alla unica Messa Comunitaria della parrocchia, all’unica Eucaristia accessibile a loro attraverso il “ministero” dei fratelli animatori. Dopo un po’ forse si arriva ad avere (almeno la domenica o qualche altro giorno) un rifugio, un ostello, un posto, una stanza di accoglienza dove… “qualche povero”, può convenire o essere portato per la prima Misericordia che è quella di dare a loro, che ne hanno diritto, di preferenza, di prelazione… su tutti gli altri = per questi prima degli altri il Signore è venuto per loro è la più urgente evangelizzazione: per ogni Vescovo (per il Papa) per ogni parroco o prete, per ogni religioso o cristiano semplice e… umile per ogni cristiano. “Se mi ami… pasci” – il primo pascolo è la Parola e l’ Eucaristia al povero perché non ha altro: perché è vita per lui; dopo verrà anche il resto: da mangiare, da bere, da vestire, ecc. – per il corpo: Ma prima c’è l’anima!!! Non passa molto tempo che “questi tesori” premono più di ogni altro e che forse è bene metterli in uno scrigno sacro e visibile, alla mano a tutta la comunità, che già si nutre di Parola e di Pane eucaristico, e nasce così la Terza Mensa: la distribuzione di Cristo ai fratelli, ai malati, ai carcerati, agli emarginati, ai soli, ai girovaghi, ai nomadi, ai pellegrini, ecc.

Allora nasce la Casa della Carità

* Ma è già entrata, nel suo spirito, nel cuore di qualcuno della comunità e… piano piano… entrerà in tutta la Comunità non come componente… libera… pia supererogatoria… ma come componente essenziale della propria quotidiana pietà cristiana, come vita di sequela a Cristo, come incarnazione di “fate anche voi come ho fatto io” che cioè mi dedicherò personalmente a Lui in questa nuova sua presenza nei poveri. E essenziale per me cristiano vivere così – Allora la Casa della Carità viene a prendere prima di tutto nella testa e nel cuore di qualche seguace di Cristo la sua fisionomia vera: di espansione della mia Eucaristia cioè del dono più grande che Dio mi ha fatto, ai miei fratelli, a tutti, nessuno escluso, ponendomi un “disturbo”

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interiore continuo, che porterò con me ogni istante della mia esistenza, in ogni luogo, in ogni tempo finché non sarò arrivato a essere una lode perenne di Gloria, un inno continuo di lode e Adorazione: cioè un apostolo! uno che ha visto e creduto perciò evangelizza, non ne può da meno: “la Carità mi urge dentro come un fuoco” – sono venuto a portare il fuoco sulla terra e che cosa voglio se non che si accenda?” – “Senza di me non potrete far nulla” – ma se sarete uniti a me porterete molto frutto e il vostro frutto rimarrà” -

Ma questa

è la più alta unione con Dio e la continua presenza di Lui nella mia vita – Allora non vivo che per inventare modi, scoprire strade, dedicarmi a tutto pur di fare arrivare a tutti Cristo. Per lui tutto sopporto, tutto soffro, tutto mio va bene ecc. ecc. – Dunque è nata in una pur piccolissima parrocchia la Casa della Carità! Allora questa casa che raccoglie i miei tesori non è altro che il Tabernacolo allargato: ho fatto un po’ di posto, vicino al Mio Signore, che si accontenta di così poco spazio (!) e vicino a Lui, Primo Ospite riunisco un piccolissimo gregge di amici suoi e miei. Con tante canoniche vuote e malandate (perché non ci abita nessuno) è facile poter trovare un alloggio, uno spazio in cui possano vivere, vicino a Lui, i suoi e miei amici.

Don Mario Prandi con Gigine, ospite a Tongarivo

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3 maggio 2004 SS Filippo e Giacomo

Carissimo Vescovo Carlo∗,

desideriamo anche noi, dopo alcuni mesi dal suo arrivo, presentarci e mandarle un saluto affettuoso, sicuri che troveremo ascolto benevolo nella sua attenta opera di conoscenza come nuovo Padre della Chiesa Bolognese.

Siamo le tre Case della Carità di Bologna “espressione e strumento della Carità del Vescovo… Tabernacolo di Gesù presente nei poveri…” (dalle nostre Costituzioni). Siamo tre comunità, tre grandi famiglie situate nella cintura periferica cittadina e negli immediati dintorni (rispettivamente a Corticella, Borgo Panigale, San Giovanni in Persiceto): siamo ubicate in modo da stringere in un abbraccio accogliente la città stessa.

La nostra denominazione comune sintetizza bene ciò per cui siamo nate e ciò che desideriamo essere. L’origine delle Case della Carità è reggiana. E’ stato infatti, Don Mario Prandi, parroco di Fontanaluccia (Diocesi di Reggio Emilia) a far sorgere nel 1941 la prima Casa, dove vennero accolti i più “piccoli” della parrocchia. La comunità li accolse poveramente e se ne fece carico a partire dal comandamento dell’amore di Gesù e dal desiderio di vivere pienamente l’Eucaristia. L’intento era ed è quello di vivere l’incontro con il Signore nelle Tre Mense (la Mensa della Parola di Dio, la Mensa dell’Eucaristia e la Mensa dei Poveri), rispondendo così al progetto d’amore che Egli ha per ognuno di noi. Punto di riferimento è la parrocchia, di cui i fratelli ospiti nella casa diventano il vero tesoro.

La Casa della Carità si configura perciò come una famiglia cristiana in cui si realizza un nuovo modo di stare insieme e dove, nel contempo, ognuno cerca di trovare la sua particolare vocazione attraverso lo sviluppo dei germi battesimali. Ecco perché si è sentita la necessità di dare al numeroso gruppo di persone, che fin dall’inizio ruotavano attorno alla prima Casa, una configurazione aperta a tutti: questa associazione di fedeli, laici e consacrati, ha preso il nome di “Congregazione Mariana delle Case della Carità”. Di essa fanno parte gli ausiliari laici, gli sposi, i secolari, i consacrati (Carmelitane Minori della Carità e Fratelli della Carità).

Questo dono che il Signore ha fatto alla sua Chiesa ben presto dal territorio reggiano si è diffuso altrove soprattutto per il desiderio di vescovi, sacerdoti e laici di altre Chiese che lo hanno amato, accolto e coltivato. Il particolare impulso del Vescovo Mons. Gilberto Baroni ha aperto le frontiere della Missione dapprima in Madagascar e India poi in Brasile e Rwanda...

∗ Papa Giovanni Paolo II il 16 dicembre 2003 designò come nuovo Arcivescovo di Bologna S.E. Mons. Carlo Caffarra, il quale fece il suo ingresso in diocesi il 16 febbraio 2004.

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Nel territorio Bolognese è stato il Card. Lercaro, sollecitato dal vento del Concilio, a impiantarlo. Volle infatti che il dono che la Diocesi gli avrebbe offerto per il suo 50° di sacerdozio restasse per i suoi figli come eredità da cullare e da cui trarre insegnamento. Così è nata la Casa di Corticella, da lui inaugurata nel 1966. Nel 1974 Mons. Marco Cè inaugurò la Casa di Borgo Panigale, da lui fortemente voluta. Nel 1988 il Card. Giacomo Biffi in occasione del Congresso Eucaristico inaugurò la Casa di San Giovanni.

Dunque ogni Casa della Carità bolognese è sorta per un preciso desiderio dei Pastori che si sono succeduti nella Diocesi, segno questo della sollecitudine di mettere al centro di ogni opera il mistero di Cristo nei poveri.

Così come ogni altra Casa della Carità le nostre ricordano un mistero del Rosario a cui si affidano: Maria, infatti, protegge, custodisce, ci è modello di vita cristiana, ci mostra la strada per crescere sempre di più nella Carità. Ma soprattutto l’immagine del suo Figlio è in ogni fratello ospite delle Case. La Casa di Corticella è dedicata al mistero dell’Ascensione di Gesù al cielo; la Casa di Borgo Panigale al mistero della Visitazione di Maria; la Casa di San Giovanni al mistero dell’Istituzione dell’Eucaristia.

Caro Vescovo Carlo, almeno queste cose volevamo sapesse di noi. Nel manifestarle la nostra gratitudine per l’attenzione che ci ha

prestata, desideriamo esprimerle il nostro affetto e insieme farle presente il desiderio di poterle dire di persona, nelle nostre Case, il più sentito “Benvenuto tra noi”.

con affetto

tutti noi delle

Case della Carità

PS: alleghiamo per conoscenza le “Costituzioni della Congregazione

Mariana delle Case della Carità” perché il Padre possa conoscere meglio i suoi figli.

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Il desiderio prende forma

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Dal verbale del Consiglio delle Carmelitane Minori delle Case della Carità (Ottobre 1987)

. . .

Sr.Concetta∗ informa che è andata con d.Daniele dal Cardinale per parlare della C.d.C. di S.Giovanni in P. I lavori della Casa inizieranno alla fine di ottobre 87, ma la C.d.C. non si aprirà prima del 4 ottobre 88 . . . Sr.Concetta, invece, tratta la proposta della C.d.C. a S.Giovanni in Persiceto (BO), voluta dal Card.Biffi come primo frutto concreto del Congresso Euc. Diocesano. Ricorda che la faccenda bolle in pentola da più di 1 anno e che d.Mario l’ha sempre vista come un segno grosso perché nasce da un Congresso Euc. e la si potrebbe dedicare al 1° Mistero eucaristico e Zarri ritiene importante aprirla entro la fine dell’87/primi 88. Dice anche di aver chiesto al Signore una vocazione come indicazione della sua volontà e la Teresa ha detto che viene con noi….. Anche qui è valido il discorso della sensibilizzazione, ma vogliono, intanto, una speranza.

∗ Suor Concetta. Negli anni 1988 e 1989 era aiuto di Suor Maria (Suor Maria, prima delle Carmelitane Minori e Madre Generale), consigliera e responsabile della Casa della Carità di Borgo Panigale. Si prese a cuore la sensibilizzazione per la nascita della nostra Casa.

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Testimonianza di S.E. Mons. Claudio Stagni∗, Vescovo di Faenza-Modigliana

Carissimo Mons. Amilcare, ho saputo con vero piacere del vostro progetto per celebrare il

25.mo anniversario dell’apertura della Casa della Carità “Madonna del Poggio”, e vi ringrazio di avere chiesto un mio contributo, anche se ho paura di non ricordare più tante cose.

L’idea dell’apertura di una nuova Casa della Carità, dopo quelle di

Corticella e di Borgo Panigale, nacque come proposta per uno dei segni del Congresso Eucaristico Diocesano del 1987; la concreta possibilità di poterla aprire fu data dalla disponibilità di “Villa Pia” offerta dall’Opera Diocesana Assistenza e dalla disponibilità delle Suore Carmelitane Minori della Carità, che gestivano già le altre due Case in Diocesi. In questa trattativa Suor Maria Concetta, la superiora del tempo, fu determinante.

Ricordo un incontro (forse nell’estate 1986) a Villa Revedin con il

Card. Biffi e Suor Concetta che illustrava la filosofia che è alla base della Casa, sia per l’accoglienza degli ospiti, che devono essere seguiti dalle parrocchie che li affidano, sia per il significato della stessa Casa come palestra che educa all’esercizio della carità. Si trattava di imparare un modo originale di gestire un’opera, che non doveva essere pensata affidata ad altri, ma assunta responsabilmente dalla comunità cristiana coinvolta.

La Casa fu pensata subito inserita nel Vicariato di S. Giovanni in

Persiceto; in questo fu determinante l’impegno di Mons. Enrico Sazzini per coinvolgere i sacerdoti e le rispettive parrocchie, come pure i diaconi. Preziosissima fu l’opera del diacono Corrado Moretti.

Questa cosa non fu semplice, perché normalmente la Casa della Carità nasce accanto ad una parrocchia, che se ne fa carico da ogni punto di vista. Questo impensieriva un poco il parroco di allora; del resto la struttura del Vicariato non aveva la consistenza giuridica e patrimoniale che può avere una parrocchia. In seguito, pur rimanendo un coinvolgimento reale di tutta la zona, la cosa si è consolidata con l’arrivo di Don Amilcare che prese subito a cuore la preziosa iniziativa.

I lavori di ristrutturazione furono progettati e diretti dall’Ing. Arnaldo

Fiorini e furono sostenuti dall’Arcidiocesi. Successivamente fu aggiunto il salone.

∗ Mons. Stagni dal 1985 al 1988 è stato Vicario Episcopale per la carità. A lui l’Arcivescovo diede l’incarico di seguire le fasi per l’apertura della Casa della Carità.

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L’opera delle Suore fu subito determinante per l’avvio e l’impostazione della vita della Casa e della collaborazione del volontariato. Ma ciò che qualificava tutta la Casa erano gli ospiti, ognuno con caratteristiche, sofferenze e doni propri, ma tutti appartenenti alla stessa famiglia. Andare a visitare la Casa della Carità voleva dire incontrare degli amici che ti conoscevano da sempre, e ognuno ti considerava suo amico personale; in quegli incontri si imparava a vedere anzitutto la persona, il sorriso, il saluto sempre espansivo, prima della sofferenza che poteva segnare il corpo e l’animo. Il linguaggio compreso da tutti rimaneva sempre quello dell’amore: un abbraccio, una carezza, un bacione…

Ricordo con qualche nostalgia le Messe celebrate nella Casa qualche

sabato prima di Pasqua, per la partecipazione che si avvertiva attraverso le preghiere, il canto, la gioia di avere accanto un familiare o un amico; cose grandi in una realtà benedetta dal Signore quando ringraziava il Padre per aver fatto comprendere queste cose ai piccoli. Quelle celebrazioni lasciavano trasparire la verità della croce e della vita risorta, nel mistero celebrato e nell’uomo vivo.

Al di là delle poche cose raccontate, vi ricordo volentieri, vi saluto e vi

benedico. Faenza, 13 febbraio 2013, mercoledì delle ceneri

+ Claudio Stagni, vescovo

Suor Elisabetta mentre offre il caffè ad un muratore durante la costruzione dell’attuale sala di soggiorno e da pranzo

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Testimonianza di S.E. Mons. Ernesto Vecchi∗, Amministratore Apostolico di Terni-Narni-Amelia

Ricordare come si è arrivati ad aprire una terza Casa della Carità nella

Diocesi di Bologna, dopo oltre cinque lustri, non è cosa facile. Comunque, i miei appunti mi riportano agli anni 1986-1987, la fase preparatoria del Congresso Eucaristico Diocesano.

L’Arcivescovo “pro tempore”, il Card. Giacomo Biffi, mi nominò Presidente del Comitato organizzativo di quell’evento eucaristico, in quanto Vicario Episcopale del settore “Culto e Santificazione”. Quasi subito emerse l’esigenza che il Congresso lasciasse dei segni permanenti, che stimolassero la testimonianza cristiana nell’ottica dell’Eucaristia, cioè lungo l’asse della Verità e della Carità. Così furono proposti sei «segni», tutti realizzati. Nel settore della “carità” sorsero – oltre alla terza Casa della Carità a Poggio di Persiceto – il Centro Card. Antonio Poma e il primo Villaggio della Speranza; nel settore della “verità” la chiesa parrocchiale di Usokami, il Consultorio Familiare Diocesano e l’Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna.

L’Arcivescovo fin dai primi mesi del Suo ministero episcopale a Bologna era rimasto fortemente impressionato dallo stile delle due Case della Carità presenti in Diocesi, quella di Corticella e quella di Borgo Panigale, per cui più volte, parlando sia personalmente, sia al Comitato organizzatore del Congresso, sia in seno al Consiglio Episcopale, manifestò il desiderio che si aprisse una nuova Casa della Carità.

Io conoscevo fin dal 1974 la specificità della vita della Casa della Carità in quanto, essendo stato parroco al Cuore Immacolato di Maria presso il Villaggio INA di Borgo Panigale, avevo avuto modo di vedere il sorgere della Casa di Borgo e organizzare giornate di vacanza con gli ospiti e la parrocchia, con grande beneficio per la vita pastorale e spirituale e le relazioni di entrambe. Nei primi anni del mio sacerdozio, poi, la Provvidenza mi aveva chiamato ad essere segretario del Card. Lercaro, il quale aveva fatto scrivere sul frontespizio dell’altare della Sua cappella privata la ben conosciuta affermazione “Se condividiamo il pane celeste come non condivideremo il pane terreno?”. Fin da allora il Cardinale Lercaro auspicava che in ogni Vicariato potesse sorgere una struttura di carità, per dare concretezza alla celebrazione dell’Eucaristia “Sacramentum caritatis”. Tali circostanze mi hanno aiutato a comprendere il profondo legame fra la celebrazione eucaristica e la carità e in qualità di Presidente del Comitato mi sono servite per vedere se e come si potesse perseguire il traguardo dell’apertura della Casa.

Nei mesi a cavallo fra il 1986 e il 1987 Mons. Benazzi, presidente dell’Opera Diocesana Assistenza, fece presente che a San Giovanni in

∗ Mons. Vecchi come Presidente del Comitato organizzativo per il Congresso Eucaristico Diocesano 1987 ebbe l’incarico di coordinare il collegamento fra lo svolgimento del Congresso Eucaristico e l’attuazione delle opere e segni del Congresso.

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Mons. Ernesto Vecchi mentre s’intrattiene con Don Claudio Balboni, ospite della Casa

Persiceto, non tanto distante dal Santuario della Madonna del Poggio, stavano per ritirarsi le Suore dell’Immacolata di Ivrea, che abitavano in un edificio denominato “Villa Pia”, di proprietà dell’ente di cui lui era presidente e che si poteva ipotizzare di scegliere “Villa Pia” come sede di una iniziativa diocesana. Il Card. Biffi, che già da qualche mese aveva avuto dalle Suore Carmelitane Minori di Fontanaluccia la disponibilità ad essere presenti in una terza Casa della Carità, parlò di questa opportunità a Mons. Sazzini, allora Vicario Pastorale di Persiceto-Castelfranco, il quale subito manifestò gioia e grande disponibilità ad accogliere la nuova Casa della Carità e di presentare l’iniziativa ai sacerdoti del Vicariato, perché l’Arcivescovo desiderava affidare la Casa a tutte le Parrocchie del Vicariato. Vedendo come gradualmente si aprissero vari spiragli, il parere positivo sia del Comitato sia del Consiglio Episcopale per l’apertura della Casa della Carità, il Card. Biffi arrivò alla determinazione di portare avanti simile progetto e di presentarlo come uno dei segni del VI Congresso Eucaristico Diocesano. Nella programmazione del Congresso Eucaristico furono previste alcune iniziative per sostenere la realizzazione di vari segni e fra questi anche l’apertura della Casa della Carità “Madonna del Poggio”. Al Vicario Episcopale per la carità, Mons. Claudio Stagni, fu demandato l’impegno di portare avanti i contatti con Mons. Benazzi, Suor Concetta, delegata dai superiori delle Suore Carmeliate Minori, Mons. Sazzini per arrivare all’apertura della Casa non oltre il 4 ottobre 1988, solennità di San Petronio. I tempi furono rispettati e ora ripensando all’ubicazione la Casa della Carità mi è caro vederla non solo come segno dell’inscindibile

legame fra Eucaristia e carità, ma anche come testimonianza del valore della vita di ogni persona davanti a una cultura che sembra privilegiare l’apparire, il possedere, il correre continuamente, bruciando il tempo e la bellezza delle relazioni. Ringraziamo Dio perché in molti modi ci ha fatto capire come la terza Casa facesse parte dei suoi piani e perché ha ispirato al Card. Biffi l’idea di tale segno.

Bologna, 3 marzo 2013, terza domenica di Quaresima.

+ Mons. Ernesto Vecchi

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In preparazione dell’apertura della Casa Andrea Brandolini col supporto di:

Mi stavo avvicinando al matrimonio con Giuliana e ricordo molto bene

quel periodo. Insieme a diversi amici e sotto la spinta del nostro amato Don Paolo, cominciammo l’esperienza di Arcobaleno.

Era Marzo 1987, Anno I n.1 L’inizio di un’altra avventura! E così facendomi aiutare da queste

pubblicazioni vorrei ritornare insieme a voi a quei mesi che prepararono l’apertura della Casa.

Fin dal primo numero di questo Giornale dei Giovani della Sede, avevamo stabilito di tenere una rubrica fissa dedicata alla Casa della Carità. Il primo articolo lo scrisse Piero e, con il suo proverbiale dono della sintesi, in quattro intense pagine ricordava che era ormai certa l’apertura di una Casa della Carità presso Villa Pia in Via Bologna. Usando come fonte il libro di Sandro Chesi “Ed entrò in una casa” (1984) ci raccontò la storia delle origini di questa istituzione, partendo da Fontanaluccia, raccontando di quel prete un po’ “pazzo” che era Don Mario, quindi le prime suore: Maria, Carolina e Almina. Per finire poi con una presentazione delle caratteristiche della Congregazione: i tre pani, la minidimensione familiare in grado di generare rapporti di affetto, di rispetto reciproco e di democrazia, il pluralismo delle tipologie, il rapporto d’amore come forma terapeutica vincente.

“A Don Prandi balenò allora l’idea di creare un luogo in cui questi “poveri” potessero trovare assistenza continuata e una famiglia in cui inserirsi pienamente. Il luogo fu trovato: la vecchia osteria del paese che la padrona, madre di due figlie handicappate donò volentieri. Ora bisognava arredarlo, ogni famiglia del paese portò qualcosa: chi una sedia, chi un tegame, chi un lenzuolo e grazie anche al contributo di lavoro volontario l’Ospizio di Santa Lucia poté essere aperto. Il volontariato e le offerte di tutti i parrocchiani furono la base per il mantenimento dell’Ospizio: quel volontariato che è la concretizzazione materiale della Provvidenza divina, che ognuno responsabilmente era chiamato ad incarnare personalmente. E questo è molto importante: alla base di tutto non c’era una concezione fatalista della Provvidenza, ma ognuno all’interno della comunità era chiamato personalmente a concretizzare. Don Prandi, che nel cominciare questa sua impresa si era sentito dire del “pazzo” dagli stessi sacerdoti della sua diocesi (ma non dal Vescovo), si trovava ora davanti al bisogno di personale che garantisse l’assistenza a questi bisognosi in modo continuativo. Andò,

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per questo, dal Vescovo per chiedergli delle suore per il suo Ospizio. Il Vescovo, non disponendo di queste gli disse di farsele con una nuova Congregazione. La prima fu Maria poi Carolina e Cecilia. La vocazione di queste giovani ragazze fu tanto chiara quanto dolorosa. Infatti le povere famiglie avevano bisogno di queste ragazze ed il distacco fu traumatico, ma l’8 settembre 1948 l’ultima ragazza veste l’abito della Congregazione Mariana del Carmine.”

(da ARCOBALENO n.1 del marzo 1987) Nel secondo numero scrissi un articolo riportando alcuni stralci di

omelie fatte in occasione delle Veglie quaresimali svoltesi nel 1987 nel nostro Vicariato Tutte le omelie erano state tenute dai fratelli e dalle sorelle che gestivano le Case, ed erano ricche di spunti importanti.

“Per poter fare una Casa della Carità bisogna avere questa fede: E’ Gesù Cristo che ci nutre”.

“La scoperta di Don Mario è che nei più poveri dei poveri c’è Gesù Cristo.”

“E’ l’amore che evangelizza ed è ponendo dei gesti di amore che noi evangelizziamo”.

Per ultime le parole di una coppia di sposi che mi colpirono particolarmente, anche in preparazione del mio imminente matrimonio: “Quando diamo la nostra vita a Dio permettiamo a lui di operare, come nelle nozze di Cana, dove la coppia ha invitato Gesù, e Maria ha indicato l’atteggiamento da tenere, dicendo: Fate quello che vi dirà”. E un invito a vivere maggiormente nella propria comunità: “Se la nostra comunità non fosse sufficientemente attiva, bisognerebbe impegnarsi a ravvivarla, non fuggire.”

In maggio insieme a tanti giovani del Vicariato ci recammo nei luoghi che hanno visto nascere le prime Case della Carità: una bellissima esperienza! Fu Maria Angela, nel terzo numero, che scrivendo di questa tre giorni, cercò di cogliere non solo i temi trattati dai fratelli e dal Vescovo di Reggio Emilia Mons. Baroni, ma anche l’intensità delle esperienze di condivisione vissute da noi giovani provenienti da diverse parrocchie. Già si intuiva come questa Casa, che stava per sorgere, sarebbe stata luogo di incontro, di amicizia e di condivisione. Subito dopo la tre giorni ci ritrovammo alla Casa di Borgo Panigale, alla Messa presieduta da Mons. Zarri.

Nel numero 4 di novembre, Sandra ci raccontò dell’esperienza vissuta a Labante insieme a molti giovani e anziani della Parrocchia del Villaggio INA e della Casa della Carità di Borgo Panigale: la definì una settimana di Grazia!

Nel numero successivo, febbraio 1988, scrissero sia Don Enrico che il diacono Corrado descrivendo i lavori appena iniziati e che si sarebbero portati avanti fino all’estate. Don Enrico ci parlò della bella iniziativa pensata in occasione dell’anno mariano: un’icona della Vergine, dipinta da Mauro secondo il modello custodito nel Santuario del Poggio, avrebbe visitato tutte le Parrocchie del Vicariato, trattenendosi in ciascuna una

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settimana per la preghiera della comunità. Al termine quell’immagine è stata messa nella Cappella della Casa della Carità.

Il diacono Corrado invitava con vigore ad accogliere questo grande dono, occasione per farci fare un salto di qualità nella Liturgia e nella Carità. Ci richiamava a farci carico delle necessità quotidiane della Casa e sottolineava l’importanza di mantenere un collegamento tra le diverse parrocchie. Un progetto da costruire insieme!

Dal numero di maggio: “La Casa della Carità del Poggio va facendosi realtà” di Corrado

Moretti. Con l’inizio dell’estate, compiendosi le opere in muratura presso la

nuova Casa della Carità del Poggio, occorrerà organizzarsi per eseguire i restanti lavori: rifiniture ed alcune verniciature, pulizie generali, elenco degli arredi, loro reperimento, trasporto e collocazione, risistemazione di alcuni mobili, raccolta di biancheria ancora in buono stato, lavori di giardinaggio e orto. Occorreranno uomini, donne e ragazzi che diano una loro disponibilità per eseguire questi lavori ed anche per organizzarli, in collaborazione con la suora che sarà preposta alla Casa.

Le assemblee che si terranno in maggio e in giugno potrebbero essere una prima occasione per manifestare la propria disponibilità.

Anche se questi problemi organizzativi saranno quelli dominanti nell’immediato futuro, ritengo utile informare su alcune esperienze fatte nelle ultime settimane, che possono dare a tutti utili occasioni di riflessione, anche per meglio accogliere il dono delle Case della Carità. Innanzitutto desidero ricordare i tre giorni trascorsi dai giovani del Vicariato a Borgo Capanne insieme ad alcuni coetanei handicappati; abbiamo cercato insieme di vivere i tre pani: della Parola, della Carità, dell’Eucarestia, aiutati da Don Franco Govoni, parroco di Porretta, che ci ha parlato del rapporto tra Parola e Carità, da Don Paolo e Don Graziano. Invece di ascoltare realizzazioni fatte da altri, abbiamo provato in prima persona a fare esperienza del Signore trovandolo nei segni privilegiati della Sua presenza, che insieme abbiamo cercato di raccogliere e custodire. Mi sembra che il dono più importante ricevuto e che dovremmo ritrasmettere sia stato sperimentare che la carità, l’amore, è un dono che si riceve dal Signore nella preghiera e nella liturgia.

Ho avuto inoltre l’occasione di occuparmi dei problemi dell’affido dei minori a famiglie in grado di assicurarne l’accoglienza nel caso di difficoltà; è un tema di grande interesse perché si tratta di un istituto giuridico che ha molta rilevanza nel nostro ordinamento, sia a livello di codice civile, sia a livello di leggi regionali. La comunità anche a San Giovanni è chiamata a farsi carico di questi problemi e già ora buona parte dei minori in difficoltà non finisce in un istituto ma viene affidata a famiglie; rimangono comunque molte difficoltà da superare per vincere le varie barriere che si oppongono ad una maggiore diffusione di questo istituto, e sono convinto che la Casa della Carità può essere

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un’occasione per aiutarci a vicenda e imparare a rispondere con generosità a questa esigenza di ospitalità.

Da ultimo desidero accennare all’esperienza fatta in questi mesi visitando il lunedì e mercoledì pomeriggio la Casa della Carità di Borgo Panigale insieme ad alcuni amici. Ricordo particolarmente la gioia che ci ha dato l’incontro con i malati, soprattutto i più bimbi, e la consolazione ricevuta dal colloquio con molte persone veramente in ogni gesto, anche nei più piccoli, sanno comunicare pace e speranza.

Vorrei invitare tutti quelli che possono accompagnarci in questi due giorni o ad andarvi personalmente per ripetere la nostra stessa esperienza.

(da ARCOBALENO n.6 del maggio 1988) Siamo così arrivati al numero 7 di ottobre 1988, uscito con un

supplemento interamente dedicato alla Casa della Carità, dove abbiamo raccolto una parte dell’abbondante materiale messoci a disposizione da Corrado.

Nell’introduzione del supplemento si legge: “Finalmente si apre la Casa! Era da diversi mesi che aspettavamo

questa data e finalmente è arrivata. L’abbiamo attesa e desiderata, preparata anche con articoli pubblicati nei precedenti numeri di “ARCOBALENO”, e finalmente si apre! E’ un finalmente che non significa l’arrivo ad una meta, ma è rivolto essenzialmente alla grazia che ci viene donata. Da ora in poi una “palestra” per vivere l’Eucaristia concretamente, è qui vicino a noi. Desideriamo accogliere questa Casa nelle nostre case!”

Nel numero 8 di dicembre pubblicammo l’intera omelia del Card. Biffi e nei numeri successivi continuammo a raccontare della vita della Casa.

Dall’apertura della Casa ricordo che con i nostri ragazzi del catechismo abbiamo trascorso diversi momenti presso di essa: anche veglie notturne di preghiera molto partecipate.

Al termine di questa carrellata, con grande emozione ringrazio Suor Paola Benedetta che mi ha permesso di ricordare e condividere un periodo molto importante della mia vita, vissuto con diversi intrecci insieme a questa importante realtà. Ripenso agli incontri con i Fratelli, a Suor Cristina, ai primi ospiti della Casa: la signora Olga, la nostra “mitica” Maggie e alle tante persone incontrate successivamente. Ho un ricordo indelebile del gran lavoro fatto insieme a Suor Maria Paola con la Caritas Parrocchiale: l’organizzazione di incontri pubblici al Cineteatro Fanin con Rita Borsellino, Mons. Bettazzi e altre personalità, preparati insieme trovandoci sempre alla Casa, e da lì partire per arrivare al cuore delle nostre comunità.

Andrea Brandolini

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L’apertura

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Chiesa di Bologna Congresso Eucaristico Diocesano 1987 Sei opere: una casa, un centro, una chiesa, un villaggio, un consultorio, un istituto Sei segni: la carità, la missione, la speranza, la famiglia, la vita, la memoria ecclesiale

› Terza Casa della Carità › Centro Card. Antonio Poma › Chiesa parrocchiale di Usokami › Villaggio della Speranza › Consultorio Familiare Diocesano › Istituto per la Storia della

Chiesa di Bologna

Pieghevole predisposto dalla Diocesi di Bologna, in occasione del Congresso

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Cartellone con cui la Diocesi annunciava l’apertura della Casa

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Pieghevole con cui il Vicariato annunciava l’apertura della Casa

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30 Articolo di Don Giovanni Nicolini comparso sul settimanale diocesano

Settimanale diocesano BOLOGNA sette del 25 settembre 1988

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Omelia del Card. Giacomo Biffi in occasione dell’inaugurazione della Casa della Carità il 4 ottobre 1988

“Sia lodato Gesù Cristo. Sempre sia lodato. Veramente questa predica si potrebbe anche non fare, perché questa

nuova Casa che noi oggi inauguriamo è essa stessa il più grande e il più bell’annuncio evangelico. Le parole migliori sono quelle che divengono fatti, la parola di Dio più efficace è quella che si fa “carità”. E questo è per me un bellissimo “San Petronio”; credo sia stupendo! Più bello anche di quello dello scorso anno che pure abbiamo celebrato con una trionfale manifestazione in onore del Signore che vive in mezzo a noi.

La parola di Gesù che abbiamo ascoltato è quella su cui mi capita più spesso di riflettere. Gesù dice: “non fatevi chiamare padre perché uno solo è il vostro padre, quello che è nei cieli. Non fatevi chiamare maestro perché uno solo è il vostro maestro: Cristo”. Con queste parole Gesù ci preserva dal culto della personalità, che è uno dei mali che ogni tanto ritornano nella storia umana. Certo però che quando il popolo cristiano riesce a vedere l’uomo riflesso chiaro nella paternità divina, il riflesso chiaro della presenza salvifica di Dio, allora liberamente lo può chiamare Padre e Maestro.

Ed è quello che per la Chiesa di Bologna è avvenuto per San Petronio: il popolo bolognese ha visto così chiaramente in lui la presenza dell’amore di Dio e della salvezza di Cristo che lo ha chiamato “Patrono”, cioè nostro padre e nostro maestro. E allora nello spirito di questo insegnamento, di questa pagina evangelica, a me sembra sempre giusto pensare che il vero Vescovo di Bologna sia San Petronio, ancora adesso! È lui che continua a governare la nostra Chiesa dall’alto, ed è lui che dirige le nostre azioni. Allora qualcuno di voi potrebbe dire: ma tu chi sei? Io sono il vicario, vicario di San Petronio per i pochi giorni nei quali la Chiesa petroniana è affidata a me. E proprio perché mi sento il suo vicario, specialmente nel giorno di San Petronio, mi sento come chiamato a rapporto. Tutti gli anni io ho questa giornata in cui devo avere questo colloquio con il “Vescovo”, in cui gli devo dire com’è lo stato della nostra Chiesa ed è un colloquio nel quale devo sentire da lui quali sono le direttive per la nostra Chiesa.

Ebbene quest’anno il mio colloquio con San Petronio è facile perché gli presento questa casa: questa casa dice a San Petronio che la vigna piantata da lui è una vigna che produce ancora, che non si è inaridita; è una vigna che è vitale, che è ricca ancora di frutti. Questa casa dice a San Petronio che davvero noi possiamo anche non vergognarci di essere chiamati petroniani, possiamo anche avere questo vanto di cui qualche volta parlava San Paolo, nella seconda lettura di oggi, dal quale ci metteva in guardia, ma che in qualche misura ci autorizzava. Sì, noi possiamo vantarci di essere petroniani, perché sentiamo con questa opera, di essere davvero somiglianti al nostro padre e discepoli fedeli del nostro maestro.

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Il Cardinale Arcivescovo Mons. Giacomo Biffi con il suo segretario.

A sinistra Mons. Enrico Sazzini

Io sono particolarmente gioioso quest’oggi perché ho visto che tutti hanno rispettato la parola data. Perché voi non lo sapete, ma io l’anno scorso ad un certo momento non capivo bene come andavano le cose, avevo paura un po’ che… allora li ho chiamati tutti: Mons. Enrico Sazzini Vicario pastorale, Suor Concetta, insomma tutti quelli che erano interessati e ho detto: sentite, noi di qui non usciamo se non quando abbiamo fissato una data. È la data terminale e in base a quella fissiamo tutti gli altri traguardi. E tutti hanno detto: lo facciamo per San Petronio! E io

dentro di me ho detto voglio proprio vedere se ce la fanno perché, io facevo un po’ il duro, ma dentro di me dicevo: ma poveretti, certo che le cose da fare sono proprio tante, credo che non sia una cosa molto facile mettere in opera una casa come la Casa della Carità. Io devo dare atto ai miei interlocutori dello scorso anno che hanno mantenuto la parola. E io non so quanto a loro sia costata questa parola mantenuta, però San Petronio lo sa e lo sa il Signore, e lo sa il Padre che oggi davvero ci guarda con grande compiacenza.

Che casa è questa? Non facciamo mica fatica a rispondere a questa domanda: questa è la

casa di Dio, poiché sta scritto che Dio è carità, così sta scritto! E allora quando si dice la Casa della Carità si dice la casa dove Dio è presente in modo particolarmente intenso. Questo da adesso è il Suo migliore indirizzo che ha all’interno di questo Vicariato.

Quando qualcuno vi domanda: ma dove posso incontrare Dio? Voi dite vai là che lo trovi! Perché là c’è la Casa della Carità, cioè la casa di Dio che è la carità.

Casa della Carità significa che è la casa della Chiesa perché la Chiesa nei testi antichi è chiamata carità e il Vescovo di Roma si diceva che presiedeva alla carità proprio perché presiedeva a tutta la Chiesa. Quindi qui si trova tutta la Chiesa, non è quindi solo la casa di coloro che qui saranno ospitati in modo permanente o di quelli che lavoreranno a tempo pieno, ma è la casa di tutta la Chiesa, cioè di tutta la comunità ecclesiale. Tutta la comunità ecclesiale qui si riconosce come della sua editazione più intensa.

Ma io sono tranquillo perché non è una novità in assoluto: questa è la terza Casa della Carità quindi la Chiesa di Bologna ha già riflettuto a lungo, ha già meditato su queste verità, le ha già verificate nella sua vita.

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Adesso direi che questa bellissima e grandissima verità diventa più accessibile qui in questo territorio, questa è la casa che è di tutta la Diocesi. Non dovete voi del Vicariato portarcela via, è della Diocesi, di tutta la Diocesi, però chiaramente è una presenza particolare per questo territorio perché il mio sogno è che a poco a poco tutta la nostra Diocesi sia costellata di queste “palestre” della vita cristiana, perché così davvero si possono definire.

E allora vedete che ho ragione di dire che questo è un bel San Petronio perché quest’anno il mio rapporto con il Vescovo è diverso, mi trovo tutto sommato meno impaurito, meno intimorito. Ed è molto bello che questa casa sia nata dall’Eucaristia, come ci ricordava Mons. Enrico Sazzini. È molto bello che il nostro Congresso Eucaristico non sia ancora terminato perché dà ancora i suoi frutti, e non ha nessuna voglia di terminare, perché qui si continuerà ancora a dare i suoi frutti perché qui davvero quella carità che nasce dall’altare, che è alimentata dal sacrificio di Cristo nutrita del Suo Corpo e del Suo Sangue, qui questa carità diventa azione, diventa vita, diventa presenza, diventa comunione fraterna, diventa fraternità non ridotta solo a parole, ma fraternità come verità assoluta della vita cristiana. E allora ecco che noi in qualche modo cominciamo a capire meglio il Congresso Eucaristico. Cioè adesso che a poco a poco il disegno si completa e si completa anche nelle sue parti più rilevanti, allora possiamo anche capire quale grazia sia stata la celebrazione del nostro VI Congresso Eucaristico Diocesano.

Allora io credo che questa Eucaristia giustamente debba essere una Eucaristia cioè un ringraziamento, un ringraziamento per tutti questi doni dei quali il Signore ci ha colmati un ringraziamento perché ci ha fatto capire queste cose che sono le cose più belle e più valide ma che alla mentalità mondana riescono di difficile comprensione. Badate che la mentalità mondana ciascuno se la porta dentro, ciascuno di noi, non è che siamo esenti da questa mentalità, ma il Signore ha cominciato a farci capire un po’ meglio queste cose bellissime.

E un ringraziamento in questa casa il Signore manifesterà. Quando siete tristi venite qui, ripartirete più sereni. Quando avete

l’impressione che il Signore vi ha visitato un po’ troppo perché avete qualche guaio, venite qui e vedrete che il Signore resta il Padre di tutti, il quale non ci vizia, non vizia nessuno e quindi presto o tardi i guai li manda a tutti, ma sempre un progetto di amore, un progetto di benevolenza.

Se siete scoraggiati, venite qui e qui tutti quando verremo, riprenderemo il coraggio di vivere: la vita è spesso faticosa, spesso difficile, ma il Signore ci darà anche il coraggio di vivere. Se noi andiamo a cercare questo coraggio c’è. E qui voi trovate Dio, qui voi trovate la Chiesa, qui voi trovate il coraggio di vivere!”.

(Registrazione trascritta senza revisione dell’autore,

pubblicata su ARCOBALENO n.8 dicembre 1988)

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Testimonianza di Corrado Moretti∗ La terza Casa della Carità della Diocesi di Bologna, la Casa della Carità

del Poggio di S. Giovanni in Persiceto, è uno dei segni di cui il Congresso Eucaristico Diocesano, terminato nel 1987, aveva chiesto la realizzazione come frutto tangibile e duraturo del Congresso. Questo nuovo segno della carità ecclesiale è fiorito sul tronco prezioso di quanto la Chiesa di Bologna aveva negli anni precedenti già raccolto dalla presenza nella nostra Diocesi delle Case della Carità di Corticella e di Borgo Panigale. Per questo, da tempo, la Chiesa di Bologna desiderava avere una nuova Casa della Carità e ne aveva fatto richiesta a Don Mario Prandi, il fondatore e padre delle Case, che aveva approvato questo progetto. Perciò la Casa della Carità del Poggio, anche se sorta dopo la sua morte, può essere considerata come una delle ultime volute direttamente da Don Mario. Del resto le tre mense della Parola di Dio, dell’Eucaristia e dei Poveri, emblema delle Case della Carità, bene esprimono i doni fondamentali che la celebrazione del Concilio aveva deposto nel cuore della nostra Chiesa di Bologna. Per questo, in occasione dell’ordinazione dei primi diaconi permanenti della Diocesi, nel febbraio del 1984, non stupisce che un manifesto pubblicato a cura della diocesi potesse contenere questa affermazione molto forte: “il diaconato sorge dal fuoco eucaristico delle Case della Carità, perché i tre elementi distintivi della nostra Chiesa: la Parola di Dio, l’Eucaristia e gli Ultimi siano sempre più amati e celebrati nella vita di ogni giorno”.

Questi tre pani, che riassumono la vita delle Case della Carità, venivano

dunque riconosciuti come il nutrimento che alimenta la vita di una Chiesa tutta eucaristica, quale la nostra Chiesa, a motivo della ricezione della spiritualità conciliare, si sentiva sempre più chiamata ad essere.

L’allora Arcivescovo di Bologna, Card. Giacomo Biffi, aveva espresso il

desiderio che la nuova Casa della Carità potesse essere inaugurata in occasione della festa di San Petronio, patrono della Diocesi di Bologna, il 4 ottobre 1988. Essendo la Casa “espressione e strumento della carità del Vescovo”, era importante che la Diocesi accogliesse questa richiesta. Per questo era necessario che un Vicariato, in possesso di una struttura adatta, si dichiarasse disponibile, vincendo il timore che poteva suscitare un dono tanto rilevante. Fu decisivo per questo l’impegno assunto da Don Enrico Sazzini, allora Vicario pastorale, di accogliere l’erigenda Casa nel vicariato di Persiceto-Castelfranco, a San Giovanni in Persiceto, dove questa struttura esisteva vicino al santuario della Madonna del Poggio. Tale prossimità è stata certamente un grande dono, che ha sottolineato ulteriormente il carattere mariano che la nostra Casa condivide con tutte le altre Case della Carità. Questa soluzione, anche per la relativa vicinanza con la Casa di Borgo Panigale, diede modo a Suor Concetta, che era in quel tempo la superiora di quella Casa, di dare un contributo di grande rilievo al sorgere della Casa della Madonna del Poggio. Fu Suor Concetta ad indicare le

∗ Il diacono Corrado Moretti fu incaricato dalla Diocesi di seguire la Casa fin dall’inizio.

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necessità cui occorreva far fronte per avviare la Casa, anche dal punto di vista degli adattamenti da operare nella struttura scelta, in modo da imprimerle quel volto di famiglia, che Don Mario aveva sempre fortemente voluto e perseguito in tutte le Case; ma non meno importante fu l’aiuto dato da Suor Concetta per la formazione del primo gruppo di amici della nuova Casa, che proprio a Borgo Panigale mosse i primi passi. Questo primo gruppo ebbe anche la fortuna di incontrare Suor Gemma e Suor Maria, due delle colonne della Congregazione Mariana delle Case della Carità, e di essere sostenuto dalla loro preghiera e dal loro incoraggiamento. Accanto a Suor Concetta va ricordata Suor Cristina, la prima superiora della Casa e l’accento da lei posto sulla Casa della Carità quale tabernacolo di Gesù presente nei poveri, affidato alle Parrocchie del Vicariato e dunque alla cura di tutti i battezzati, icona della terza mensa, quella dei poveri, capace di attirare anche persone che si pongono fuori dei confini visibili della Chiesa. In effetti la nascita della Casa fu accompagnata da un sostegno ed una simpatia universali, a dimostrazione della verità dell’affermazione contenuta nelle “Costituzioni”, secondo la quale la Casa è un “fermento di ricostruzione comunitaria della carità di Cristo”.

Tutte le suore che si sono succedute quali madri della Casa hanno

lasciato un’impronta profonda creando rapporti preziosissimi fra le persone, che solo i moltissimi ausiliari che in questi anni hanno frequentato la Casa, potrebbero raccontare come i suoi “fioretti”. Fra queste presenze mi ritorna alla mente Suor Elisabetta, una delle prime suore della famiglia di Don Mario, che con la sua semplicità, frutto di una sapienza “antica” presente nel popolo cristiano, ha potuto per vari anni edificare il volto di famiglia della Casa con grande spirito materno. Ma soprattutto sarebbe necessario parlare dei figli della Casa, dei poveri, che della Casa sono stati la forza segreta, in quanto la vita di famiglia, nutrita dall’Eucaristia quotidiana, li ha fatti crescere spiritualmente permettendo loro di divenire potentissimi nel generare relazioni forti fra le persone ed eventi di grazia di grande rilievo, pur nella loro apparente piccolezza. Occorrerebbe parlare di ognuno di loro, di ogni volto, e del bene che questi poveri hanno deposto nel cuore di quanti li hanno serviti. Ogni persona che ha anche semplicemente visitato la Casa, ha ricevuto attraverso di loro una grande varietà di doni per cui, di volta in volta, certe caratteristiche della Casa gli si sono impresse nel cuore, come succedeva all’antica manna, che si adattava al gusto di colui che la riceveva. Per quel che mi riguarda vorrei qui sottolineare l’esperienza della potenza del Vangelo che nella Casa è dato di sperimentare con particolare forza e dunque, attraverso il Vangelo, l’esperienza viva dell’incontro con la stessa persona del Signore Gesù. È sicuramente per questo che la Casa della Carità ha raggiunto tanti cuori ed è stata così preziosa per la vita e l’unione delle nostre Parrocchie.

Corrado Moretti

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Olga, prima ospite della Casa, e sullo sfondo Entela

Suor Sara di Sammartini insieme a Vittorino e a Valter nella vecchia sala da pranzo,

di fronte all’attuale Cappella

Ricordi di Suor Cristina∗ Quando sono arrivata alla Casa c’era ancora qualche particolare da

curare nella struttura, ma io e la Simona non dovevamo preoccuparcene perché i lavori erano stati seguiti da Suor Sara di Sammartini che era presente ed è rimasta impegnata nella Casa come una di noi.

Un salone usato per riunioni era unito alla Casa da un comodo corridoio esterno a vetri. E la capienza calcolata per diciassette Ospiti. Se fosse stata preparata la Casa, e come, e da chi, e presso chi, non mi è stato detto. Mi sono sembrati, i visitatori, piuttosto ignari del fenomeno che stavano accogliendo, comunque in cordiale attesa. Per noi due Suore era un po’

strano allora il coinvolgimento di Don Enrico, parroco di San Giovanni, e Don Vittorio, parroco del Poggio. La responsabilità più evidente spettava alla Parrocchia di San Giovanni, per la qualità di presenza di Don Enrico e l’interessamento alla formazione della comunità di Don Paolo, che ha cominciato a venire con un amico povero qualche volta, a pranzare con noi e Olga, la prima Ospite.

E la Maggie veniva a visitarci e a

portarci qualcosa di quello che trovava smistando in piazza a San Giovanni sacchi di indumenti, e varie.

Il quattro di Ottobre il Card. Biffi, venuto a inaugurare la Casa, mi ha detto di non avere fretta a riempirla, di

∗ Suor Cristina aprì la Casa della Carità e fu la prima superiora per 6 mesi.

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procedere secondo il numero di volontari che avremmo avuto, e considerando la richiesta, cercare di accogliere “quelli che il Signore ha pensato per formare la Sua famiglia”. Ecco, uno aveva capito di che si trattava, e così anche Don Enrico, Don Paolo e Don Vittorio.

Non ricordo da chi siano stati indirizzati da noi gli altri Ospiti che in

sei mesi precisi sono diventati sette in tutto. La Casa, Vicariale, aveva alcuni parroci che venivano per la Messa nel giorno della settimana che avevano scelto. Uno di loro veniva con alcune signore che tornava poi a prendere all’ora di pranzo, dopo che avevano riordinato il primo piano, cambiando anche le lenzuola. Le lasciavo libere perché oltre alla mia fiducia, avessero anche una prova che la Casa non era di suore reggiane, ma di fedeli locali. Era questa la premessa a ogni altra spiegazione. Il diacono Corrado aveva la sua missione nella Casa, e specialmente a lui descrivevo la Casa come una proposta fatta dalla Chiesa di Reggio alla Chiesa di Bologna.

Estate 2005 a Suviana: Luigi Bordini, accolito e ausiliare, Suor Maria Giovanna, Angelina e le “donne di Crevalcore”,

che ogni venerdì rifanno con cura e amore tutti i letti della Casa da 25 anni!

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Qualche sconfinamento forse l’ho fatto anch’io, per esempio non acconsentendo alla richiesta di un sacerdote e di una suora, di accogliere un ragazzone affidato di giorno a una struttura grande e semivuota non molto lontana dalla Casa, che di notte tornava con la mamma ingessata da poco per un male dorsale serio. Da una parte aveva un fratello o due che già l’aiutavano, dall’altra diventava violento aggredendo chi avesse gridato… e noi avevamo la Licia che gridava anche per due giorni. Perché non le facesse del male ci voleva una stanza per isolarlo, e questa non c’era. I ragazzi che venivano da Decima volevano accoglierlo alla Casa, ma io ho messo una condizione: la custodia continua da parte loro, giorno e notte. Hanno cercato di farsi un calendario, ci volevano dieci ragazzi, e non ce l’hanno fatta; e io non ho ceduto. Erano contrariati il sacerdote e la suora che proponevano una modifica al nostro regolamento, che consentisse personale stipendiato. Pazienza.

Da parte del Comune, la segretaria di un assessore proponeva per telefono la collaborazione, con i vantaggi che avremmo avuto chiedendo per tutti gli Ospiti l’assistenza infermieristica che Licia aveva già, richiesta dal medico. Ho risposto che avrei consultato i superiori, cosa che non ho fatto. Alla sua terza telefonata mi è venuto da ridere, e se n’è accorta. Grigia.

Corrado mi ha consigliato, se volevo pace, di andare a chiedere scusa alla segretaria; controvoglia ho dovuto andarci, con lui. L’assessore si è informato da noi sull’identità e la gestione della Casa, direi senza pregiudizi. E la segretaria, vedendo me così poco temibile, ha deposto le armi, senza scuse.

C’è stato segnalato il caso di una giovane delle Budrie che due genitori anziani non riuscivano più ad aiutare, Maria Pia. Io e Simona siamo andate a conoscerla, e l’abbiamo subito accolta nella Casa dove è stata una cara presenza. Venivano a trovarla Paola e Beppe allargando così la cerchia degli amici. Don Paolo celebrava la Messa il martedì sera, portando anche un bel gruppo di ragazzi, forse una trentina, prima di andare nella missione in Tanzania. E dalla parte del Poggio, Domenico, fedelissimo, qualcuno dei suoi figli, e altri ragazzi che venivano facendo amicizia.

Suor Giacinta, delle Minime, veniva spesso e sentiva il legame della Casa con la Parrocchia, e un’altra consorella con lei, fino a dormire una notte alla Casa. Insieme a Domenico, Enrico.

È stata per me pesante la presenza di un ragazzino down particolare. Figlio di un ufficiale che aveva nascosto alla moglie e alla figlia l’esistenza in vita del bambino e l’aveva affidato a un Istituto in Toscana. La figlia è venuta a saperlo, e ha voluto avvicinare il fratellino per avere una giusta relazione con lui; il papà per accontentarla ha portato il bambino alla Casa, forse consigliato da un sacerdote. Ma il bambino, senza le persone e l’ambiente e i ritmi a cui era abituato, forse indispettito o forse eccitato da tanta libertà, aveva reazioni quasi mirate, fino a denudarsi completamente nel corridoio a vetri, mentre magari

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c’era una riunione di sacerdoti nel salone. E io, con le pentole sul fornello, seduta in vista con lui a cercare di rivestirlo. Anche la mamma è venuta a conoscerlo, mentre faceva colazione. Che momento! Comunque, fallita la prova, il papà e Domenica lo hanno riportato al suo Istituto, dove appena entrato, è andato al suo posto a tavola, tranquillo come era prima.

Spiegavo le Case della Carità alla gente che mi chiedeva per un

parente, con chiarezza: e c’è stato chi ha ritirato la richiesta, sorpreso, anzi facendoci un’offerta.

Con i sacerdoti parlavo più volentieri di Tre Mense che di Congregazione, di volontariato che di ausiliariato. Non avevo ancora le idee chiarite in parole opportune e convincenti. Tanto che quando Suor Sara all’inizio mi aveva detto che sentiva la Casa più sua che nostra, una reazione interiore l’avevo avuta, e mi ero detta che avendo seguito la ristrutturazione, il legame le veniva da lì affettivamente. Invece no, aveva ragione. L’aspetto giuridico non era emerso, e noi nemmeno pensavamo che ci si dovesse pensare.

Foto di gruppo a Roma in occasione della Canonizzazione di Clelia Barbieri di Giovanni Paolo II il 9 aprile 1989.

La prima a destra è Suor Cristina; a seguire Suor Maria Laura che parla con Maria Pia. Dietro Piero ospite di Borgo; poi Suor Maria Enrica, Maria Risi, Suor Eleonora, Olga, Germano, Paola Vaccari ed Aurelia. In ginocchio Egizia, ospite di Corticella

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Adesso direi che la nostra Famiglia, una “Associazione Pubblica di fedeli clericali di Diritto Diocesano” si muoveva come un “Ordine Religioso di Diritto Pontificio”. E questo per chi ne sa, fa problema.

I cinque punti della Casa della Carità sono comodi da presentare come “scopi”, ma in ogni caso di serie B; perché LO SCOPO è uno solo: GLORIA ALL’EUCARISTIA; mentre se presentati come “frutti” salgono a serie A perché i frutti li protegge, li matura, li coglie il Signore.

Mi sembra che si possano vedere nella vicenda della Licia che ho tenuta per ultima. Prima la accudiva la mamma; morta lei, la nonna; morta anche la nonna, aiutata da Eleonora, il papà. Abitavano a un piano alto, ed erano troppe le difficoltà per portarla un po’ fuori. Era stata ricoverata per broncopolmonite credo al Sant’Orsola; e se ben ricordo nel manovrarla il papà si è accorto che il femore sinistro era spezzato. Non so chi abbia suggerito la Casa: ingessata la gamba, il papà da solo ce l’ha portata. Per prima urgenza l’ha portata al Pronto Soccorso per togliere due grandi “ulcere” nere che aveva nei glutei. E la seconda urgenza è stata un medico, che suggerito da Don Enrico era la Dott. ssa Valeria Lanzarini. Quindi l’infermiere dell’USL ogni giorno per la medicazione. Mi sembrava corto il gesso per quella frattura, così scomposta che le due parti non si toccavano, e anzi quella inferiore nei movimenti inevitabili puntava contro il gesso come una grossa scheggia. E Licia gridava. Ma poteva anche sorridere alle persone che conosceva, e allora era una gioia.

Un momento di gioia più intensa è stato quando con tutti attorno ha fatto la sua Prima Comunione, quella di un agnellino che aiutava Gesù Salvatore.

I cinque punti della Casa erano palpabili. Suor Cristina

Mentre Adriana sorride, Don Amilcare partecipa alla vita di Casa lavando i piatti

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Mons. Enrico Sazzini, parroco della Collegiata di S. Giovanni in Persiceto, Vicario di Persiceto-Castelfranco negli anni in cui ci

si preparò all’apertura della Casa

Testimonianza di Suor Giacinta∗ Carissima Suor Paola,

ricordo ancora oggi di aver vissuto dei momenti molto belli con l’apertura della “Casa della Carità”.

E’ stato un regalo e un dono del Signore alla nostra Comunità. Con essa abbiamo avuto l’occasione

per fare tante esperienze di crescita nella fede e nell’amicizia con gli Ospiti, ed abbiamo ricevuto una ricchezza spirituale nel modo di pregare.

Gli Ospiti bisognosi di tutto ci davano una gioia donando tutto se stessi e rispondendo con un sorriso e una carezza alle nostre sollecitudini.

Con un gruppo di adolescenti e giovani andavamo il martedì alla “Casa” per la Messa e il vespro ed ad aiutare gli Ospiti per la cena e il riordino. Con un gruppo siamo anche andati a Rimini per imparare ad assistere nel modo migliore le persone con difficoltà fisiche.

Monsignore Enrico Sazzini si è molto

prodigato per aiutare la “Casa” alle esigenze di queste persone.

Facevamo a gara con gioia e

disponibilità per mettere a loro agio gli Ospiti della Casa.

Non mancarono le difficoltà e le fatiche nel preparare a questa missione, qui fu di prezioso aiuto Suor Cristina, una religiosa sempre disponibile e pronta ad agire con “Carità e Amore”.

È sempre vivo in me il suo ricordo, a lei devo molto per i consigli e le testimonianze che mi diede. Molte volte l’ho vista in ginocchio in preghiera davanti all’Eucaristia nel tempo dell’Adorazione. Anche al sopraggiungere delle difficoltà, così

∗ Suor Giacinta Masetti della Congregazione delle Minime dell’Addolorata per molti anni ha collaborato nella vita pastorale della Collegiata di San Giovanni Battista

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unita al Signore, sapeva diffondere serenità e pazienza. Con i giovani portavamo a volte alcuni Ospiti a fare l’esperienza del

campo scuola. Grande era la loro gioia nel condividere quei momenti di vita e di ospitalità con noi.

Ricambiavano sempre con tanto affetto e riconoscenza. Ricordo in particolare le espressioni spontanee di Maria Pia: “Che bello, che bello! Grazie, grazie Suor Giacinta”. Queste esclamazioni le ritornavano spesso sulle labbra.

L’esperienza della Casa della Carità era stata preceduta e in qualche modo preparata, dal contatto avuto qualche tempo prima con “la famiglia” di Don Benzi.

Spero e mi auguro di avere, in piccola parte, collaborato con queste memorie, ad indicare e illustrare qualcosa della grande “Luce” che continua ad emanare la Casa della Carità.

Vi abbraccio e vi porto tutti nel

cuore nella preghiera.

Suor Giacinta Masetti

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La vita della Casa: testimonianze

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A che punto siamo con la Casa della Carità

La nostra Casa della Carità ha quattro mesi di vita, è quindi allora prematuro volerne delineare un volto completo; però una nota caratteristica è già possibile coglierla e cioè quella della piccolezza. La Casa è “piccola” non solo perché è giovane o perché come tutte le Case della Carità, è caratterizzata da segni poco appariscenti (quelli della vita di tutti i giorni); è “piccola” perché appare particolarmente affidata alla protezione del Signore e alla carità di tutti, piuttosto che alle nostre energie o alla nostra abilità od esperienza. È importante, anche per questo, non sentirsi un semplice aiuto per le suore della Casa ma comunità che accoglie i malati tramite il loro appoggio. Altrimenti la Casa potrebbe diventare un ospizio cui le parrocchie affidano i malati e alla fine non riuscirebbe a reggersi. E’ motivo di speranza al riguardo il fatto che alcuni malati siano stati accompagnati nella casa dall’appoggio delle loro comunità.

Gli Ospiti sono arrivati gradatamente: sono stati accolti secondo la misura dell’aiuto da parte del volontariato e nella ricerca di quei piccoli che il Signore ci vuole affidare. Gli ospiti sono ora sette, bisognosi di molteplici cure di cui sono prodighe Suor Cristina e Suor Simona che reggono la Casa, la animano con la loro preghiera e insegnano a noi come esercitarci in questa palestra della carità nella ricerca del Signore.

Entela, Suor Maria Cristiana, Maria Pia Calzolari tra Agostina Risi e Corrado Moretti, diacono, tra i primi ausiliari della Casa

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La Casa incontra ora alcune difficoltà che esigeranno da parte nostra un maggiore impegno: l’allargarsi del cerchio delle parrocchie coinvolte, un numero maggiore di volontari, una loro migliore distribuzione (ad esempio per l’alzata degli Ospiti), un maggiore coinvolgimento che dovrebbe portare un numero più elevato di amici a vincolarsi in modo preciso, facendosi sostituire in caso di impossibilità a frequentare la Casa, convocando anche altre persone. Inoltre sarà importante che cresciamo anche su altri piani, come ad esempio nella partecipazione alla preghiera della Casa che insieme all’Eucarestia è la sorgente della sua vita. I sacerdoti del Vicariato assicurano la Messa ogni giorno alle 18.30, inoltre viene celebrata quotidianamente la liturgia delle ore e viene recitato il Rosario; il giovedì pomeriggio vi è l’Adorazione Eucaristica.

È poi motivo di conforto il fatto che la Casa sia diventata il centro di varie attività, luogo di incontro di molteplici gruppi parrocchiali, gruppi di lettura biblica, di giovani e meta di numerosi visitatori, anche i sacerdoti del Vicariato l’hanno eletta come sede delle loro riunioni mensili. Per questo la Casa non vive chiusa in se stessa ma è aperta alle nostre comunità.

Da ultimo vorrei sottolineare una nota emersa negli incontri che mensilmente riuniscono collaboratori ed amici della Casa e cioè il desiderio che la nostra Casa della Carità diventi non tanto il luogo dove si va a curare i malati, ma piuttosto il luogo dove andiamo per essere curati nella malattia del nostro cuore. Vorremmo che accanto alla piccolezza questa diventasse la caratteristica della nostra casa e che da questo dipendesse la sua capacità di attirare e convocare.

(Articolo di Corrado Moretti

a 4 mesi dall’apertura della Casa della Carità su ARCOBALENO n.9 febbraio 1989)

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Maggie con Maurice e Mariagrazia presso il Santuario del Poggio

Arrivai come parroco al Santuario di Madonna del Poggio nel lontano 1984 e stetti tra quella gente per ben 9 anni.

Vidi nascere la Casa della Carità e ciò mi rese molto felice. Prima della sua fondazione, la struttura era riservata alle Suore di

Ivrea che si occupavano di ammalati e di anziani. Quando questa Congregazione decise di trasferirsi, Mons. Sazzini, a

nome della proprietà, chiese alla Diocesi di inserire la terza Casa della Carità del territorio bolognese.

Inizialmente, le Suore venivano con i fedeli alla chiesa, per partecipare alla Santa Messa.

Poi, quando, la Casa si iniziò a riempire di ospiti, tutti i giorni i sacerdoti della zona facevano a turno per celebrare l’Eucaristia nella loro struttura.

Gradualmente i parrocchiani del Poggio, si abituarono alla presenza di questa Comunità silenziosa, mite e dolce… e si inserirono in questa realtà come ausiliari, volontari ed accompagnatori.

I parrocchiani si avvicinarono alla Casa dando testimonianza di una esemplare solidarietà… molte persone donarono tempo e amicizia ad ogni persona che vi abitava creando occasioni di incontro e di affetto.

Ancora adesso, molti frequentano abitualmente la Casa e sono profondamente legati alle persone che ci vivono: le sorelle Risi, Agostina, la Signora Proni, Roberto “Lo Svanzo”….

Ricordo in particolare una delle

prime ospiti, la Maggie, che curata da Don Paolo, entrò a far parte di questa bella famiglia.

In quegli anni ero impegnato

nella ristrutturazione della chiesa e delle opere parrocchiali… così non ho vissuto in modo pieno i contatti con le Suore e gli ospiti, ma ho comunque un buonissimo ricordo di loro.

I lavori che dirigevo erano a carico di contadini volontari, che con attenzione si dedicavano a sistemare l’asilo, la casa del contadino e la canonica… il tempo trascorso alla Casa della Carità era per me, un momento di pace, di serenità e di ascolto reciproco.

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Una volta alla settimana, mi recavo alla Casa della Carità… la presenza degli ammalati e dei fedeli edificava il mio sacerdozio.

Tuttora, frequento alcuni parrocchiani andandoli a trovare nelle loro famiglie e il 15 agosto, andando alla festa della Madonna del Poggio.

Della Casa della Carità, ricordo con particolare affetto la ricchezza di fedeltà e di accoglienza delle Suore presenti… erano donne di poche parole, con una grande carità.

Ho avuto la fortuna di vedere sorgere una realtà calda ed entusiasmante, che ha rafforzato, guidato e illuminato la mia vocazione.

Don Vittorio Zanata

Roberto Vanzini, parrocchiano del Poggio che da sempre accompagna gli ospiti alla Messa domenicale, spinge la Maggie. Oltremare di Riccione, Pasquetta 2009

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Ricordo l’apertura della Casa come una cosa molto bella e attesa da tutti.

Cominciai a venire quando andai in pensione, su consiglio del mio confessore.

Suor Cristina ci spronava ad avere fiducia nella Provvidenza: “Se il Signore vuole che i suoi poveri si spostino, ci penserà lui!” diceva, e non voleva comprare la macchina.

Poi arrivò Suor Elisabetta che pensava anche alle cose materiali, comprò la macchina e la tavola si arricchì molto. Era molto affiatata con Suor Laura.

Ricordo i primi Ospiti: Olga, Ivonne e tutti gli altri; c’era un clima di serenità ed allegria e veniva tanta gente.

Regolarmente facevamo degli incontri con i Vicari, prima con Don Enrico e poi con Don Giorgio, parroco di Sant’Agata. Il diacono Corrado leggeva il Vangelo, Suor Laura tirava fuori i problemi e si parlava insieme. Cercavamo di essere attenti ai bisogni della Casa. Facevamo l’Adorazione notturna. Ricordo una signora di Decima che veniva a pregare tutta la notte.

Spesso ero convocato come autista. Partecipavamo alle feste delle altre Case, più volte all’anno andavamo a Pietravolta o a Fontanaluccia.

Per me la Casa della Carità è stata un grande aiuto, una vera e propria palestra, per imparare ad accogliere con rinnovato amore anche gli anziani della mia famiglia.

Mario Begatti

Mario Begatti con Ivonne e Maggie

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Maria Pia e Vittorino portano insieme un cestino di uova

pasquali decorate

Annarosa ed io facciamo parte di quel gruppetto di allora giovani famiglie che iniziarono il percorso proposto dalle “Casa della Carità” con l’insediamento del Poggio.

Negli ultimi tempi, per vari motivi, ci siamo presi un momento di sosta rispetto all’attività di sostegno che abbiamo dato in passato all’alzata degli ospiti ma tanti sono sempre e comunque i ricordi che conserviamo piacevolmente nel nostro cuore.

Ricordo quando cominciammo con Francesco Mariani a trovarci la domenica mattina fuori della porta della Casa della Carità alle 6.00 per partecipare alla preghiera mattutina prima di accedere al “rito della colazione col caffè” per poi continuare con “l’alzata degli ospiti”. Quell’ora di preghiera insieme fu per entrambi una cosa estremamente formativa. Se ben ricordo c’era allora una suorina (dico così per via della statura) che si chiama Laura e che ben impersonificava il detto che “l’aceto forte sta nelle botti piccole”. Ad un certo punto della preghiera scattava il “capitolo” al quale dal suo punto di vista tutti i presenti dovevano partecipare mettendo in comune gioie e sofferenze. Non c’era verso di scavalcare od aggirare l’ostacolo; se non parlavi non si procedeva; non importava quanto lunghe ed imbarazzanti potessero sembrare le pause. Se per caso incrociavi il suo sguardo, l’esortazione partiva istantanea o con una parola sussurrata o con uno sguardo implorante. Per me che ero tendenzialmente timido è stato all’inizio un esercizio decisamente faticoso. Mettere in comune anche con persone non proprio conosciute i propri pensieri.

Un po’ per volta però mi ci sono abituato ed ho provato soddisfazione e gioia; non so quanto fosse dovuto al fatto di aver superato questa mia possibile insicurezza e quanto fosse dovuto al fatto che mettere in comune mi faceva quasi automaticamente sentire più vicino alle altre persone e comprendere che poi i miei pensieri e problemi non erano tanto diversi e lontani da quelli degli altri ausiliari.

Mi manca quel momento di condivisione.

Nel periodo in cui i nostri primi due figli cominciavano ad avere qualche anno ed Annarosa ed io ci alternavamo la domenica mattina alla Casa, fui preso da un colpo di genio e decisi di fare una sorpresa al resto della famiglia. Dopo aver alzato gli ospiti mi presentai alla porta di casa con Vittorino. Ve lo ricordate?

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Un ragazzone grande e grosso che, per le sue dimensioni, andava gestito a volte con una certa decisione; aveva una forza notevole che, anche inconsapevolmente, mal controllava. I bimbi nel trovarselo di fronte rimasero impietriti e come entrai in casa si attaccarono ai miei pantaloni. Vittorino che era solito approcciare gli sconosciuti allungando la mano e chiedendo “Come stai?” voleva fare lo stesso con i miei bimbi. Vittorino rimase a casa nostra circa un’ora ed i miei due bimbi per tutto il tempo posero grande attenzione a far sì che io rimanessi stabilmente tra loro e Vittorino. Concordai con Annarosa di fare ancora un paio di tentativi per vedere se la situazione si poteva sbloccare ma non ebbi successo. Annarosa mi fece capire che le azioni per essere buone non è sufficiente che siano ispirate da una buona intenzione. In ogni caso io imparai una cosa nuova e Vittorino, nonostante il poco che avevo cercato di dargli, mi accolse sempre con un incredibile entusiasmo e non si rattristò mai anche se poi non ho più potuto soddisfare il suo desiderio di venire a casa nostra.

Un abbraccio a tutti Fabrizio Nicoli e Annarosa Govoni

Aprile 1992: Suor Maria Laura e Suor Elisabetta e sullo sfondo la futura suor Rita

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Il tutto cominciò con una voce che circolava nelle parrocchie e cioè che l’Arcivescovo voleva aprire una Casa della Carità a Persiceto in occasione del Congresso Eucaristico che si sarebbe celebrato nel 1987. Era il 1988 e la nostra famiglia si era stabilita qui da pochi anni e anche noi come molti non sapevamo cosa fosse una Casa della Carità. Il primo pensiero fu che un’altra struttura stava per aggiungersi alle tante che Persiceto si vantava di possedere; ma questa impressione fu subito corretta da alcune belle riflessioni aperte a tutti, condotte da sacerdoti illuminati, in cui si delineava il notevole dono che la bontà del Signore stava per farci e furono proprio le Scritture pazientemente spiegate che ci aprirono un poco al mistero grande della presenza del Signore nei poveri e nei piccoli che sempre abbiamo tra noi.

Come tanti, con cuore aperto e pieno di gioiosa attesa, siamo venuti alla inaugurazione.

In verità non ricordiamo più nulla di quella festa, mentre abbiamo ancora presente in mezzo a tanta gente la figura esile di Suor Cristina, la prima suora mandata a “reggere” la casa. Era piccola e curva per una vistosa scogliosi che le piegava la schiena, dalla cuffia spuntavano capelli bianchi, ma gli occhi chiari si illuminavano spesso con un bel sorriso accogliente. Già alcuni ospiti erano presenti, altri ne sarebbero arrivati, ma questa suora era l’immagine della fragilità e noi ci chiedevamo come avrebbe potuto mandar avanti questa casa; certo essa contava anche sul volontariato degli ausiliari, ma un po’ di perplessità rimaneva. Dopo qualche tempo arrivò un’altra suora; era giovane e volonterosa e così, giorno dopo giorno, vedemmo che questa famiglia strana e originale prendeva consistenza, tanto che ci sembrava sempre più bello venire qui, perché qui si poteva gustare la fragranza dei tre pani di cui parlava Don Mario Prandi: il nutrimento della Parola non mancava, l’Eucaristia c’era ogni giorno e il servizio ai piccoli era il necessario condimento del tutto. Personalmente non abbiamo avuto la fortuna di incontrare Don Mario, perché lui era morto due anni prima, ma le belle testimonianze di chi l’aveva incontrato e i suoi scritti che cominciarono a circolare, ci hanno consentito di sentirlo presto come un padre e maestro. Iniziammo il nostro modestissimo volontariato col “turno dei papà e delle mamme” assieme alle altre famiglie persicetane che ci impegnava alla alzata della domenica mattina. Ci piacque l’idea che nel giorno della Domenica potevamo incontrare il Signore non solo nella Messa, ma anche qui negli ospiti della Casa che ci accoglievano in genere con ampi sorrisi. Eravamo consapevoli che questa era una cosa davvero piccola, ma per noi era comunque significativa, anzi in quel momento ci aiutava a restare uniti e a fare un po’ di strada insieme. Quella iniziale presenza in questa casa poi per alcuni è cresciuta, per altri si è semplicemente mantenuta, ma per tutti ha segnato un cammino interiore prezioso.

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Un anno dopo l’altro, lentamente è passata la stagione dei bimbi piccoli, delle famigliole che si cercavano per stare insieme e degli entusiasmi per le belle iniziative comunitarie.

Ora ci sembra di poter riconoscere che l’esperienza ecclesiale più autentica tra le tante vissute in questo periodo, sia stata proprio l’umile servizio ai piccoli di questa Casa (poco o tanto a secondo delle situazioni) e oggi potremmo dire che proprio lì ci ha raggiunto l’Amore di Colui che ha scelto la piccolezza e l’umiltà per venirci incontro!

Così, dopo 25 anni, un po’ acciaccati nel fisico, ma sempre più desiderosi di cose vere ed essenziali, in cuor nostro gioiamo ogni volta che siamo accolti in questa Casa e speriamo di poter continuare questo rapporto semplice, vitale, che rigenera il cuore… davvero ne abbiamo bisogno!

Gabriele Cosmi e Paola

Nella accoglie e sorride ad una bimba che le si avvicina

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Mi chiamo Agostina, ho sposato il Sig. Dante Risi, ho due figli e cinque nipoti.

Il mio amore per gli ammalati ha radici molto lontane. Ho sempre pensato che siccome il Signore mi ha donato una famiglia

sana, io, come cristiana, avevo il dovere di prendermi cura di chi era nella sofferenza.

Anche chi mi era vicino si accorgeva di questa predilezione. Nel 1979 andai a Lourdes. La ditta presso cui lavoravo diede i soldi

per accendere un lume davanti alla Madonna e Mons. Sazzini mi affidò due vecchietti del ricovero da accudire.

Fui contenta di assolvere questo compito e di affidare tutti gli ammalati a Maria.

Come 25 anni fa, quando è stata aperta la Casa, ero e sono una

parrocchiana della Madonna del Poggio. Allora il parroco era Don Vittorio Zanata.

Don Vittorio ci disse che la Casa apparteneva a 19 parrocchie e che toccava un po’ a tutti andarci per dare una mano.

Ma io cominciai ad andarci subito e molto spesso. Prima dell’apertura

mi ritrovavo tutte le mattine con il diacono Corrado e con Mario Begatti per pulire e preparare la Casa e poi dopo l’apertura cominciò la mia avventura che dura da 25 anni.

Ero in bicicletta e un giorno incontrai Suor Cristina mentre andava a

Messa con Olga. Era stanca perché… aveva sbagliato direzione! Ormai era a san Giovanni! Le accompagnai in Parrocchia, al Poggio.

Con Suor Elisabetta gli Ospiti aumentarono e aumentò anche il lavoro!

Mi è sempre piaciuto tanto lavorare! Con Suor Elisabetta cominciai a fare la lavanderia e la cucina. Ricordo

che mi faceva mettere su il brodo perché lo facevo buono, poi andavo ad alzare… Quando scendevo lo controllavo e poi correvo in lavanderia.

Ma la cosa più bella era curare gli ammalati: per chi ha fede è come pregare, è come incontrare il Signore.

La domenica accompagnavo gli ospiti alla Messa parrocchiale. Ho sempre cercato di rispettare anche gli orari per rientrare a casa presto e non venire meno ai miei impegni familiari.

Nel tempo mi sono anche ammalata ma non ho smesso di venire e ho

sempre mantenuto la mia serenità, ho sempre trovato forza e consolazione nella Messa.

Per me la Messa è tutto. Credo che sia grazie alla Messa che alla sera, qualsiasi cosa succeda, vado a letto e ringrazio di tutto il Signore.

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Termino raccontando un episodio simpatico. Quando ero ammalata, mia figlia mi accompagnò dal dottore a Crevalcore e io gli dissi che volevo andare alla Casa della Carità. Lui mi disse: “Ma lei è troppo giovane per andare alla Casa della Carità!”.

Io risposi: “Ma dottore io voglio andare là per lavorare!”. Allora lui mi promise che presto sarei tornata.

Intervista ad Agostina Risi

Agostina e Nella in primo piano

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Aurelia e Adriana pellegrine a Lourdes

Quando Suor Paola Benedetta da Poggio di Persiceto mi ha chiesto di scrivere qualche pensiero, per ricordare la mia esperienza in questi primi 25 anni di vita della Casa, sono rimasta un po’ sorpresa ed anche incerta.

Poi, parlandone con mio marito, si è dissolta l’incertezza. Stranamente docile e mansueto, si è detto pronto a collaborare per mettere ordinatamente in fila i ricordi, che, come immagini su di uno schermo virtuale, sono presenti nella mia memoria.

Sono una bracciante agricola in pensione, madre di tre figli e nonna di cinque meravigliosi nipoti.

Per le vicende della mia storia personale ho più esperienza di pentole di cucina, di ago e di attrezzi di campagna, che non dimestichezza con penne da scrivere, comunque ci provo.

Eucaristia, principio e culmine di ogni cosa buona. Anche la Casa di Madonna del Poggio è uno dei frutti del Congresso

Eucaristico Diocesano 1987, voluto dall’allora Arcivescovo di Bologna, Cardinale Giacomo Biffi. Uno dei tanti frutti dell’albero rigoglioso piantato negli anni dolorosi della seconda guerra mondiale. Albero che coltivato da Don Mario assieme alle sue collaboratrici e ai suoi collaboratori ha allungato i suoi rami benefici fino agli estremi confini della terra.

Io conoscevo un po’ questa benefica Istituzione fin dall’apertura della Casa di Borgo Panigale, benedetta da Monsignor Marco Cè, allora Vescovo ausiliare di Bologna e successivamente Patriarca di Venezia.

Poi, sollecitata da mio figlio Gabriele, l’ho frequentata saltuariamente, anche in compagnia di mio marito, per partecipare a qualche Messa e a qualche incontro di preghiera.

Ricordo che all’apertura della Casa del Poggio, con la responsabile Suor Cristina, concordai di dare la mia disponibilità per i giorni di martedì e sabato dato che stavo per andare in pensione.

Quando cominciarono ad arrivare i primi Ospiti, il nostro parroco, Mons. Enrico Sazzini, in quel tempo era anche Vicario di zona, ci andava

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ripetendo quello che un po’ si sapeva, cioè che le Suore avrebbero dovuto supportare l’aiuto dei parrocchiani. Rapidamente, negli anni, gli Ospiti aumentavano di numero, di conseguenza era auspicabile che crescesse anche l’aiuto.

Poi arrivò Suor Elisabetta a dare il cambio a Suor Cristina nella guida della Casa.

Suor Elisabetta! Ha lasciato una grande impronta nel periodo in cui è vissuta al Poggio; molte realizzazioni in Villa Pia ci parlano ancora di lei.

Venticinque anni sono tanti e sono pochi, dipende da quale angolatura si considerano.

Quanti Ospiti sono passati! Non elenco nomi per non rischiare di tralasciarne qualcuno.

Quanta ricchezza nella loro presenza! Ricchezza di semplicità e simpatia, che ha edificato tutti noi, che a nostra volta ci siamo affezionati a tutti loro.

Quando Suor Paola Benedetta ci dice che la Casa della Carità è la nostra seconda casa, a me che voglio tanto bene a tutti i famigliari di casa mia, fa molto piacere, perché mi sento di amare anche quelli della seconda casa: gli Ospiti e le Suore Carmelitane.

Aurelia Tassinari Brandolini

24 aprile 2013. Papa Francesco saluta Milco. Dietro di lui la sua accompagnatrice Aurelia

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C’ero anch’io… quando insieme a Mons. Enrico Sazzini facevamo le prime riunioni per poter aprire la Casa. Quanta emozione, quante cose da trovare. La prima suora non la potrò mai dimenticare: era Suor Cristina; mi è subito venuto alla mente il senso del suo nome, come mi diceva (povera Crista) vedendola così gracile ma piena di vigore senz’altro non esteriore. Ci demmo da fare per trovare le prime cose necessarie, un tavolo da pranzo, alcune sedie per il tavolo, che ancora oggi resistono quasi bene.

“Bussate vi sarà aperto”, e così abbiamo fatto, domandando a qualche mobilificio abbiamo avuto tavolo e sedie. Poi il nostro falegname del quartiere Romita, Armando Cesari, li ha rimessi a nuovo, e il tutto è stato fatto gratuitamente.

Poi in un secondo tempo è arrivata la gigantografia di Don Mario che è ancora lì dove era stata messa. Un altro arrivo importante è stato quando a Natale hanno portato la statuetta del Bambino Gesù con le braccia aperte come per dire “Ecco venite io accolgo i piccoli”.

Non parlo delle prime accoglienze degli Ospiti perché lo farà qualcun altro, ma nei miei 25 anni di frequenza alla Casa, posso dire di avere avuto tanti regali. Il più importante è quello di aver ricevuto un paio di occhiali speciali. Gli occhiali che quando li metto mi permettono di vedere Gesù nei poveri e ogni andata alla Casa è stato come andare dall’oculista, ogni giorno ci vedevo meglio.

Oggi posso dire che la frequenza alla Casa mi ha dato anche la possibilità di vedere la Sposa, la Chiesa, adorna di gioielli dei più belli, erano tutti diversi uno dall’altro. Potrei farvi i nomi di questi Gioielli, ma dovrei farvi i nomi di tutti gli Ospiti della Casa della Carità.

Un ringraziamento a Don Mario perché ha saputo mettere in pratica gli insegnamenti di San Paolo dove si legge nella lettera ai Corinzi: “Ora dunque rimangono queste tre cose, la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la CARITA’.”

Grazie Casa perché esisti! Come mi chiama la Morbida fra Domenico

Febbraio 2003, Carnevale: Domenico Sanci con Don Claudio

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All’inizio dell’anno 2008 nella nostra Casa risuona la notizia: si va al Santuario di Lourdes.

Grande gioia e grande fermento per gli ospiti e per gli ausiliari disponibili ad andare al pellegrinaggio a cui aspirano tutti i fedeli.

Man mano che si avvicinava la partenza vedevamo aumentare la gioia di chi andava e la grande organizzazione delle suore.

La partenza era da Bologna con il treno dell’Unitalsi, le tante fermate successive hanno riempito il treno creando un ambiente gioioso.

Un viaggio lungo ma molto ben assistito in particolare per i malati che venivano sistemati nei vagoni letto e aiutati da dame e volontari Unitalsi.

All’arrivo all’Hotel Salus tutto era pronto per l’accoglienza delle persone più in difficoltà e chi è andato scopre subito che a Lourdes i malati sono sempre in prima fila.

Si partiva insieme processionalmente per andare alla grotta della Vergine, pregando e gustando anche con gli occhi quello che ci circondava.

Il fiume così impetuoso che costeggia il Santuario, i Pirenei che da lontano sembra vogliano dare protezione al Santuario, fanno da cornice alla grotta.

Io e Suor Agostina, parlando, amavamo immaginare Bernardette che attratta dalle apparizioni attraversava questo fiume; quanta forza in questa ragazzina !!

Pellegrinaggio a Lourdes dal 2 all’8 aprile 2008. Come accompagnatrici di Milco, Maggie, Maurizio e Maria Pia si possono vedere

Suor Agostina insieme ad Anna, Bianca e Paola, ausiliarie della nostra Casa. Sullo sfondo Lucia e Chiara

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Il tratto di strada e il passaggio del ponte ci preparavano alla gioia

emozionante della grotta. Ai piedi della Madonna i fedeli si sentono avvolti dal manto della Vergine e da un alone di speranza e misericordia.

Le persone che nella vita quotidiana provano difficoltà, a Lourdes invertono i ruoli, sono loro i privilegiati dalla Madonna che li attrae con tanto amore e dona loro la gioia e la speranza.

Ricordo con gioia i momenti di preghiera, la bella Chiesa del Rosario, la Via Crucis, la grande Chiesa dove ci siamo raccolti tutti in preghiera, la processione serale; emozioni che restano per sempre dentro i nostri cuori.

Io e Maggie avevamo un foglio con tanti nomi, persone che avevano chiesto di accendere un cero alla Madonna. Io spingevo la sedia e Maggie teneva i ceri sulle ginocchia, siamo andati ad accenderli facendo attenzione a non dimenticare nessuno, poi ai piede della Vergine Maria abbiamo deposto pregando le intenzioni di ognuno di loro.

Siamo tornati con impresso nella mente quello che avevamo vissuto, portando a casa la gioia che provano i fedeli che si recano al Santuario della Madonna di Lourdes.

Anna Pulga

___________________ Ho cominciato a frequentare la Casa proprio 25 anni fa, quando è stata aperta.

Lavoravo a casa tutta la settimana ma al sabato pomeriggio mi sentivo spinta a venire qui, in questa Casa, che considero come anche mia.

Ho un ricordo speciale di Suor Cristina. Alla Casa mi aspettavano per pregare. Se per un contrattempo

arrivavo tardi, mi aspettavano per dire l’Ora Media. Io pulivo la cappella e trovavo lo straccio pronto per me. Suor Cristina aveva una finezza e un modo di trattare gli ammalati

che sono stati per me un grande insegnamento. Li accudiva personalmente nel cibo (poco, in verità forse perché era così piccolina), nei vestiti e in tutto ciò che necessitavano.

La sua finezza di tratto le veniva dal fatto di essere pittrice !! Con Suor Elisabetta ho cominciato a prendermi cura degli ammalati,

ma con Suor Cristina avevo imparato una strada che veramente, se ancora ci penso, ho appreso da tutte le suore.

Ringraziamo il Signore per queste nostre sorelle che danno la vita per Lui e per i fratelli.

Bianca Pizzi

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Castelfranco Emilia, Parrocchia di confine della Diocesi di Bologna, fu informata dell’apertura della Casa della Carità di San Giovanni, dal diacono Moretti Corrado, incaricato dalla Diocesi di rendere noto alle Parrocchie del Vicariato che LA CASA, segno tangibile del Congresso Eucaristico Diocesano, sarebbe stata a carico del Vicariato San Giovanni in Persiceto-Castelfranco Emilia.

Un buon numero di signore si mise subito a disposizione per le necessità impellenti, tanto che nei primi tempi un gruppo era presente al mattino del giovedì per le pulizie delle camere e uno al pomeriggio del martedì per la stiratura della roba personale degli ospiti.

Il gruppo del mattino partiva con una macchina guidata dall’Ivonne, ora deceduta. Il secondo gruppo con la macchina del sottoscritto che faceva il giro per il paese a caricare le volontarie che telefonando dicevano di aver qualche ora libera da dedicare alla Casa della Carità.

Qualche amico buontempone, scherzando mi domandava: che mestiere ti sei messo a fare ora che sei in pensione; carichi donne in macchina, le porti chissà dove e le riporti alla sera.

Io stando al gioco rispondevo che “la messe era molta ma le operaie erano poche”.

Durante il viaggio d’andata si recitava il Rosario, al ritorno… un secondo Rosario.

La prima superiora fu Suor Cristina, la seconda Suor Elisabetta. Inizialmente il diacono Corrado soprintendeva ai lavori tanto che una

delle prime volte sentii Suor Elisabetta che lo sollecitava a mandarmi in soffitta per vedere che cosa c’era da sistemare. Capimmo che era necessario fare di tutto a cominciare dalle piccole cose: salutare, parlare, ascoltare, sorridere, stringere la mano, accarezzare, dare da bere, accompagnare nel bagno; alle più grandi: pregare insieme…

Ma qualsiasi cosa uno facesse, quando partivamo Suor Elisabetta ci ringraziava dicendo: Il Signore ve ne rimeriti!

E fu sera e fu mattina. Testamento: primo punto. Durante gli incontri degli ausiliari, venivamo a conoscenza sempre più

dello spirito di Don Mario e ogni volta gli ospiti, ogni ospite era sempre più “prossimo”: l’Olga, la Lucia, l’Adele, la Nuncia, l’Emanuela, Valter , Mario, Ugo, Vittorino. Vittorino, …. chi l’ha conosciuto personalmente e saputo la sua storia, sa che nella scala dei “prossimi” se una scala può esserci è quello che maggiormente si avvicinava al Cristo crocifisso.

Il mercoledì pomeriggio era dedicato all’adorazione del Santissimo. Suor Elisabetta chiamava quegli alcuni, sempre quelli, pensionati, i veri adoratori e diceva che anche noi, con il nostro lavoro, eravamo “veri adoratori” perché avevamo riconosciuto nei poveri e nei sofferenti il volto di Gesù.

E fu sera e fu mattina. Testamento: secondo punto.

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Nei primi anni Suor Elisabetta era affiancata da Suor Laura (Don Mario la chiamava Laurina perché piccola di statura). Suor Laura riportava in bella le entrate e le uscite dalla Casa e mi colpì la sua scrittura, arrotondata, ordinata, pulita. Venni a sapere che prima di entrare nelle suore aveva frequentato ragioneria. Quando Suor Laura fu trasferita, la superiora mi chiese di sostituirla. Mi spiegò come funzionava la contabilità della Casa dicendomi di ricordare che Don Mario era talmente scrupoloso nel fare quadrare i conti che una notte la passò in bianco perché gli mancava una lira.

E fu sera e fu mattina. Testamento: terzo punto. Suor Elisabetta dovette assentarsi per qualche anno per ragioni di

salute cedendo il testimone ad altre consorelle che di volta in volta davano un tono personale alla gestione della Casa: Suor Cristiana, Suor Maria Paola, Suor Giovanna, fino all’attuale responsabile Suor Paola Benedetta. Ci riconoscemmo, perché era stata già aiutante di Suor Elisabetta all’epoca di Vittorino, e meravigliandosi mi disse: siete ancora qui!

Nel corso della malattia Suor Elisabetta aveva bisogno di cure presso l’Ospedale di Bentivoglio e Suor Paola Benedetta l’ospitò nella Casa del Poggio, quella più vicina all’ospedale, dedicandole l’assistenza necessaria accompagnata dall’amore filiale verso la superiora che le era stata compagna nella prima esperienza proprio presso questa Casa della Carità.

Suor Elena, nella testimonianza alla veglia funebre di Suor Elisabetta disse che era rimasta edificata dall’amore che Suor Paola Benedetta aveva dimostrato per la sua superiora.

E fu sera e fu mattina. Testamento: quarto punto. Grazie Suor Elisabetta per i doni che ci hai lasciato. Nel cruscotto

della nostra macchina conserviamo il ricordino della tua morte. All’inizio di ogni viaggio invochiamo l’assistenza degli Angeli Custodi come tu stessa ci sollecitavi di fare quando ti accompagnavamo a Fontanaluccia o una volta anche a Vicenza.

Grazie ancora da Amato e Maria Grazia Silvestri

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Mi ricordo le convivenze dei gruppi Famiglia di San Giovanni al Villaggio Senza Barriere dove con l'assistenza a turno di bravi sacerdoti quali Don Paolo Dall’Olio, Don Stefano Scanabissi e Don Luciano Luppi, sono nate tante iniziative di volontariato quali appunto la Casa della Carità per l'alzata degli ospiti alla domenica mattina e il Centro Famiglia.

Inizialmente il gruppo dei volontari di San Giovanni per l'alzata alla

domenica mattina era formato dal sottoscritto, da Fabrizio Nicoli, da Lorenzo Pellegatti e da Gabriele Cosmi. A turno si andava uno alla volta poichè allora gli ospiti uomini erano pochi.

Mi ricordo che si arrivava alla Casa alle 06,00 dove insieme alle Suore

(Suor Elisabetta e Suor Maria Paola) si diceva l'Ufficio delle Letture e si facevano anche delle risonanze in merito alle letture proclamate.

Poi si andava a prendere il caffè insieme nella cucina e dopo si

cominciava il servizio. Sono presenti nella mia mente e nei miei ricordi i volti di tanti ospiti

che ora sono nella Casa del Padre (Maria Pia, Lucia, Ugo, Mario, Olga, Don Primo), e di cui non ricordo però tutti i nomi: l'età comincia a fare brutti scherzi!

Un ospite che mi ha colpito molto per la sua mitezza e la sua

eleganza è stato Ugo!! Quando andavo ad alzarlo ricordo che mi indicava tutto il suo vestiario e non dovevo dimenticare nulla, altrimenti si bloccava. Quante risate abbiamo fatto insieme perchè lo prendevo bonariamente in giro e che passione aveva per le carte: tentava di fare sempre dei castelli.

Anche Milco mi è rimasto nel cuore, come tutti gli altri del resto, e

come rideva quando appunto bonariamente io e Ugo scherzavamo, e la sua risata mi emozionava perchè sentivo la sua gioia in quei momenti.

Sono stati momenti di grande arricchimento umano e spirituale che

mi hanno aiutato a crescere nel mio ministero di accolito. Come è sempre emozionante celebrare i Vespri in Casa e portare la

Comunione a chi non può presenziare. Ora sono sempre vicino alla Casa nella preghiera e chiedo a Gesù e

Maria che la protegga.

Francesco Mariani

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A maggior gloria di Dio

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E’ questo il fine delle Case della Carità e per poterlo mettere in pratica anche nella Casa Madonna del Poggio il Signore si

è servito delle suore che si sono succedute. Ricordandole benediciamo Dio per la loro presenza.

Suor Cristina dall’ottobre 1988 al marzo 1989 Suor Elisabetta dal 1989 al 1994 Suor Maria Cristiana dal 1994 al 1997 Suor Maria Paola Dal 1997 al 2003 Suor Maria Giovanna dal 2003 al 2005 Suor Paola Benedetta dal 2005 al …

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Periodo Suor Cristina - Suor Elisabetta (1988-1994)

Olga e Virginia in attesa di mangiare la torta! Sullo sfondo Vittorino

Suor Elisabetta al centro. Alla sua sinistra Maria Risi ed il fratello di Suor

Elisabetta, Don Mario Predieri. A destra Maria Rosa, parrocchiana del Poggio

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Gruppo “storico” di ospiti e ausiliari: a sinistra della Maggie, Annunziata, poi di

seguito Maggie, Laura, Rita “gemella”, Lucia “gemella”, Maria Pia, Adriana, Morbida e Mirco.Tutti in sala S.Clelia

Aprile 1989.Maria Pia Calzolari e Paola Vaccari

in viaggio per la Canonizzazione di Clelia Barbieri

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Suor Elisabetta, Lucia e Suor Maria Laura in giardino

Serse Faccioli innaffia l’aiuola della Madonna.

Condivideva con Suor Elisabetta la passione per il giardino (tra simpatiche discussioni) che seguiva con amore ed impegno

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Periodo Suor Maria Cristiana (1994-1997)

Ugo intento nel suo lavoro quotidiano e preferito:……… le costruzioni!

Don Amilcare serve gli ospiti seduti a tavola per il pranzo

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Il Card Giacomo Biffi celebra con ospiti, suore e amici, la Messa nei giorni che

precedono il Natale per porgere a tutti gli auguri. La Maggie porge un regalo e una busta che contiene l'offerta dell’azzeramento. Questa tradizione continua anche con il Card. Carlo Caffarra ed è un momento sempre molto atteso e partecipato

Suor Maria Cristiana e Vittorino

impegnati nella Rappresentazione Natalizia del 1996

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Maria Pia Cesari, Morbidona, con Chiara Vezzani

Maggio 1997: Emanuela Ziroldi,

nel giorno della Cresima e della Prima Comunione, tra la mamma Francesca e Suor Maria Cristiana con Suor Paola Francesca

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I tradizionali viaggi della Madonna che passa dalla Casa della Carità,

addobbata a festa (vedi sotto)

Serse Faccioli… aspetta la Madonna

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Periodo Suor Maria Paola (1997-2003)

Il Card Giacomo Biffi, per il decennale dell'apertura della Casa, celebra la S. Messa al

Santuario del Poggio. Concelebrano, tra gli altri, Don Amilcare Zuffi, parroco, Don Arturo Testi, Vicario Pastorale, Don Luciano Luppi, Don Giovanni Nicolini e Don Lino Civerra

Foto di gruppo con Suor Maria Paola e Suor Marianna.

Da sinistra in carrozzina: Maria Pia, Daniela, Milco, Pape, Maggie, Emanuela (Bimba); in piedi da sinistra Adriana, Manuela (Ciccia), Ilario, Eleonora, Morbida,

Sergio, Ugo, Annunziata (Nuncia), Maurizio, Anna Quaqua, Don Claudio, Suor Maria Paola, un amico della Casa e Suor Marianna

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Pape(rino) insieme al suo compagno di scuola Davide

Armida di Lorenzatico davanti alle sue famose e buonissime pizze

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Morbida e Cami, "l'attrice protagonista e la sua spalla", in Piazza del Popolo il 13

maggio a San Giovanni durante lo spettacolo "La grande festa" proposto dalle tre Case di Bologna in occasione del Giubileo del 2000

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Aprile 2001, Pellegrinaggio a Fatima: da sinistra Rosina,

Maria Pia e Serena seduta in terra; Adriana, Padre Felix e Suor Maria Paola

Primavera 2001, Pellegrinaggio a Montesole (BO) presso la tomba di Don

Giuseppe Dossetti: Maurizio, Rita e Milco; Adriana che si guarda la camicia, Ugo tra Agostina e Serena, Daniela davanti; Irene e Maria Pia

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Suor Marianna e Suor Maria Paola tra gli sposi Luigi e Rossella che celebrarono il loro matrimonio alla Casa il 10 dicembre 2001

Due vocazioni cresciute alla Casa: Suor Pamela da ragazza e Don Sebastiano. La foto è stata scattata nella canonica di Zenerigolo, dove la Casa soggiornò nel

2002 mentre al Poggio si eseguivano alcuni lavori di ristrutturazione

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Febbraio 2003, Carnevale: Milco si diverte col naso da clown di fra Domenico!

Sullo sfondo la Morbida

Suor Maria Paola e Suor Eleonora baciano Maria Pia

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Nella, Lucia, Maurice e Cinzia a Merlano, sull’ Appennino bolognese,

dove le suore e gli ausiliari hanno portato gli ospiti per un po’ di vacanze estive

Adriana e Milco al mare

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Morbida e Suor Giovanna al “tavolo dei giochi”

Vita di casa: Virginia, Nuncia, Adele puliscono i fagioli, sotto gli occhi vigili di Milco

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L' "intramontabile" Rosina aiuta Suor Maria Paola

Annita e la sua bambola Luna

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Nuncia alla Comunione di Marta Brandolini

Venerdì di Quaresima, Via Crucis.

Molto bella la sentita partecipazione degli ospiti: Milco, Morbida e dietro Anna Quaqua; Daniela porta la croce grande; Uber, Ugo e davanti Virginia

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Periodo Suor Maria Giovanna (2003-2005)

Anna di Sala e Nuncia tra le pentole!

Rocca di Roffeno di Castel d’Aiano (BO), 12 aprile 2004. Gita di Pasquetta.

Suor Maria Elena allieta la compagnia con la chitarra. Vicino a lei Gian Paolo, Stefania ed il loro bimbo Remilson

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Agosto 2005: settimana al mare a Marina di Massa. Nella fila di sinistra

riconosciamo: Irene, Maurizio, Maggie, Manuela e Lucia; nella fila di destra Sergio, Paolo Toschi seminascosto, Morbida ed altri amici

20 novembre 2005, Solennità di Cristo Re. Cresima di Antonietta qui ripresa tra

Suor Maria Giovanna e la madrina Simona Monfredini ausiliare della Casa

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Periodo Suor Paola Benedetta (2005-)

Ubaldo e Luisa insieme a Pape presso la casa della famiglia Biagi per una grigliata

estiva. Si può notare l’acconciatura sportiva di Pape, inaugurata da Suor Paola Benedetta

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Maria Pia accarezzata da uno dei tanti bimbi che sono passati e che hanno trovato

un sostegno dalla famiglia della Casa arricchendola con la loro presenza

Che dolci!!!!! Tutto alla Casa è occasione di FESTA!!!

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Maggio 2008: la "Signora e Madre" nel consueto viaggio verso San Giovanni saluta

e benedice. La Casa ripropone quell' antico portico dove, presso il Santuario, venivano accolti poveri e pellegrini

Don Claudio fotografato con Don Amilcare e Don Luca Camara, della Costa

D’Avorio. Don Luca quando è in aiuto alla Parrocchia del Poggio, viene spesso a far parte della famiglia della Casa

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3 giugno 2012. Matrimonio in Casa di Matteo Vezzani e Valentina: il Santuario del

Poggio, infatti, era stato reso inagibile dal terremoto del 29 maggio 2012 e per questo la Casa ha reso disponibili i suoi ambienti per le celebrazioni della

Parrocchia. Vicino agli sposi: Suor Paola Benedetta, Antonietta e Suor Maria Teresa. In seconda fila da sinistra Adriana, Manuela, Anna, Maurizio, Morbida,

Maggie, Laura e Giovanna Ferrari. In prima fila da sinistra: Matteo, Pape, Albertino e Daniela

Agosto 2012, Settimana al mare a Marina di Massa. Ultima fila da sinistra: Stefano, Maurizio, Ubaldo, Anna, Gabriele (l’amico più giovane), Giovanna, Manuela, Elena,

Salvo, Adriana, Ivo, Laura, Lina, Alberto e Matteo. In seconda fila: Maria seminascosta (“regalo” del terremoto), Pape, Morbida, Daniela, Milco, Maggie ed Ulisse. In prima fila da sinistra: Mirco, Thomas, Anna, Antonietta, Serena, Rosalia,

Patrizia ed Aura (appena in tempo per l’autoscatto!)

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Pellegrinaggio della Congregazione Mariana delle Case della Carità

a Le Budrie da S.Clelia: A sx. Maggie,riconoscibile dall'ossigeno, Maria Pia Calzolari delle Budrie e Daniela

24 settembre 2012. Battesimo di Andy. Nella foto Don Amilcare battezza Andy, in

braccio alla “Tata” Rosalia. Rivolto verso di lui il padrino Giuseppe Cesari

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Andy con la veste bianca del Battesimo sorride felice a Rosalia

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Una tappa importante per festeggiare il 25° della Casa: Pellegrinaggio a Roma dal 21 al 25 aprile 2013. Un grande dono del Signore: Udienza con Papa Francesco il 24 aprile!!

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Arrivo della “Signora” del Poggio al Santuario,

prima sul pulmino della Casa e poi tra gli ospiti e i parrocchiani, dopo 14 mesi di permanenza alla Casa (a seguito del terremoto).

Dal “Saluto alla Casa della Carità”, 4 agosto 2013:

“In questo tempo si è rinvigorito quel patto che con te fu stipulato quando venticinque anni fa questa Casa si è aperta e a Te è stata offerta.

La tua amabile Immagine lascia l’edificio, ma il tuo cuore immacolato qui continua a effondere le delizie materne”.

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La Casa della Carità Madonna del Poggio è stata luogo di cui Cristo Gesù si è servito per chiamare a donarsi totalmente a Lui nella vita consacrata. Nel ricordarle desideriamo lodare il

Signore che opera meraviglie.

15 ottobre 2008. Professione Perpetua di Suor Pamela della Parrocchia di San

Matteo della Decima (a sinistra) insieme a Suor Claudia

15 ottobre 2011. Prima Professione di Elena della Parrocchia di San Matteo della Decima

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15 ottobre 2012. Prima Professione di Stefania della Parrocchia di San Donnino dove attualmente è Parroco Don Vittorio Zanata.

Insieme a lei l'allora Vescovo di Reggio Emilia Mons. Adriano Caprioli

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Sommario

La Casa della Carità ...................................................8

Il desiderio prende forma.......................................... 13

L’apertura............................................................... 23

La vita della Casa: testimonianze ............................... 43

A maggior gloria di Dio ............................................. 63

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Copertina:

Casa della Carità Foto LAMBERTINI San Giovanni in Persiceto (2013)

Icona retro libro: Opera dell’iconografo Mauro Felicani, esposta

nell'atrio della Casa della Carità

Finito di stampare da Li.Pe. Litografia Persicetana San Giovanni in Persiceto (BO)

Settembre 2013

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