Carte Fundatii Ec2

357
INTRODUZIONE Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006) 1 INTRODUZIONE La Geotecnica è una disciplina che tratta la meccanica dei terreni e delle rocce, e le sue applicazioni nell’ambito dei problemi di ingegneria civile e ambientale (fondazioni, opere di sostegno, stabilità dei pendii, miglioramento e rinforzo dei terreni, etc..). Poiché ogni opera di ingegneria civile è fondata e/o è realizzata con il terreno, la proget- tazione geotecnica esiste da quando esiste l’ingegneria civile. Tuttavia fino a non molti decenni fa le regole di progettazione geotecnica sono state sostanzialmente empiriche, ba- sate sull’osservazione dei fenomeni naturali e del comportamento delle opere costruite. Oggi non sarebbe più possibile progettare su base empirica, per molti motivi, fra cui: - riduzione dei tempi di esecuzione (il comportamento del terreno è fortemente influenzato dalla velocità di applicazione dei carichi); - necessità di operare in contesti ambientali diversi, spesso residuali e non conosciuti, - minore tolleranza di effetti indesiderati, come i cedimenti assoluti e differenziali. La meccanica dei terreni si differenzia dalla meccanica dei solidi e dalla meccanica dei fluidi poiché studia il comportamenti di mezzi plurifase particellari. Il relativamente tardo sviluppo della meccanica dei terreni moderna (prima metà del XX° secolo) è dovuto alle difficoltà di modellare il comportamento di materiali costituiti da tre fasi (solida – liquida - gassosa) che interagiscono fra loro, ed alla grande variabilità dei materiali compresi sotto il termine “terreno”. Variabilità stratigrafica, poiché il volume di terreno interessato da un problema geotecnico può comprendere materiali differenti, va- riabilità intrinseca ad ogni terreno, dipendenza del comportamento dei terreni dalla storia tensionale, deformativa e dal tempo. Un’altra difficoltà specifica dell’ingegneria geotecnica consiste nell’acquisizione di dati sperimentali quantitativamente significativi e qualitativamente affidabili. Per risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si ricorre spesso ad una tecnica non rigo- rosa ma ingegneristicamente efficace che consiste nel considerare separatamente i diversi aspetti del problema, e nell’affrontare ciascuno di essi con modelli parziali, capaci di dare una risposta affidabile solo limitatamente ad un aspetto. Ad esempio il problema delle fondazioni superficiali viene affrontato modellando il terreno come un continuo elastico per determinare la diffusione delle tensioni, come un mezzo rigido perfettamente plastico per determinare il carico limite di rottura, come un mezzo elasto-plastico-viscoso per il calcolo delle deformazioni e del loro decorso nel tempo, etc.. In termini ingegneristici, i materiali naturali che costituiscono la parte più superficiale della crosta terrestre possono essere suddivisi in due grandi categorie: i terreni e le rocce. I terreni (o rocce sciolte) sono aggregati di particelle, o granuli, di minerali e materiali organici, generalmente sciolti o con deboli legami di cementazione o di adesione che pos- sono essere distrutti con semplice agitazione meccanica o in acqua. Risultano quindi ca- ratterizzati da valori limitati della resistenza meccanica. Le rocce (lapidee) sono aggregati naturali di minerali tra i quali si esercitano forze attrat- tive e di adesione di notevole entità che conferiscono all’insieme valori elevati della resi- stenza meccanica.

description

12

Transcript of Carte Fundatii Ec2

Page 1: Carte Fundatii Ec2

INTRODUZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

1

INTRODUZIONE La Geotecnica è una disciplina che tratta la meccanica dei terreni e delle rocce, e le sue applicazioni nell’ambito dei problemi di ingegneria civile e ambientale (fondazioni, opere di sostegno, stabilità dei pendii, miglioramento e rinforzo dei terreni, etc..). Poiché ogni opera di ingegneria civile è fondata e/o è realizzata con il terreno, la proget-tazione geotecnica esiste da quando esiste l’ingegneria civile. Tuttavia fino a non molti decenni fa le regole di progettazione geotecnica sono state sostanzialmente empiriche, ba-sate sull’osservazione dei fenomeni naturali e del comportamento delle opere costruite. Oggi non sarebbe più possibile progettare su base empirica, per molti motivi, fra cui: - riduzione dei tempi di esecuzione (il comportamento del terreno è fortemente

influenzato dalla velocità di applicazione dei carichi); - necessità di operare in contesti ambientali diversi, spesso residuali e non conosciuti, - minore tolleranza di effetti indesiderati, come i cedimenti assoluti e differenziali. La meccanica dei terreni si differenzia dalla meccanica dei solidi e dalla meccanica dei fluidi poiché studia il comportamenti di mezzi plurifase particellari. Il relativamente tardo sviluppo della meccanica dei terreni moderna (prima metà del XX° secolo) è dovuto alle difficoltà di modellare il comportamento di materiali costituiti da tre fasi (solida – liquida - gassosa) che interagiscono fra loro, ed alla grande variabilità dei materiali compresi sotto il termine “terreno”. Variabilità stratigrafica, poiché il volume di terreno interessato da un problema geotecnico può comprendere materiali differenti, va-riabilità intrinseca ad ogni terreno, dipendenza del comportamento dei terreni dalla storia tensionale, deformativa e dal tempo. Un’altra difficoltà specifica dell’ingegneria geotecnica consiste nell’acquisizione di dati sperimentali quantitativamente significativi e qualitativamente affidabili. Per risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si ricorre spesso ad una tecnica non rigo-rosa ma ingegneristicamente efficace che consiste nel considerare separatamente i diversi aspetti del problema, e nell’affrontare ciascuno di essi con modelli parziali, capaci di dare una risposta affidabile solo limitatamente ad un aspetto. Ad esempio il problema delle fondazioni superficiali viene affrontato modellando il terreno come un continuo elastico per determinare la diffusione delle tensioni, come un mezzo rigido perfettamente plastico per determinare il carico limite di rottura, come un mezzo elasto-plastico-viscoso per il calcolo delle deformazioni e del loro decorso nel tempo, etc.. In termini ingegneristici, i materiali naturali che costituiscono la parte più superficiale della crosta terrestre possono essere suddivisi in due grandi categorie: i terreni e le rocce. I terreni (o rocce sciolte) sono aggregati di particelle, o granuli, di minerali e materiali organici, generalmente sciolti o con deboli legami di cementazione o di adesione che pos-sono essere distrutti con semplice agitazione meccanica o in acqua. Risultano quindi ca-ratterizzati da valori limitati della resistenza meccanica. Le rocce (lapidee) sono aggregati naturali di minerali tra i quali si esercitano forze attrat-tive e di adesione di notevole entità che conferiscono all’insieme valori elevati della resi-stenza meccanica.

Page 2: Carte Fundatii Ec2

INTRODUZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

2

Per queste ultime, la disaggregazione, se si eccettua il caso di alcune rocce solubili, non può essere ottenuta neppure dopo la permanenza in acqua. Questa distinzione è convenzionale: in altre discipline scientifiche i termini terreno e roc-cia assumono significati diversi; inoltre esistono materiali naturali, “di transizione”, con caratteristiche tali da non poter essere facilmente inseriti in nessuna delle due categorie. Nel seguito, ci occuperemo in particolare di terreni o rocce sciolte, cioè di materiali che possono essere schematizzati come mezzi polifase, costituiti da uno scheletro solido, for-mato dall’insieme di tutti i granuli, o meglio, di tutte le particelle1, da una fase liquida (generalmente acqua) e da una fase gassosa (generalmente aria e/o vapor d’acqua). Se ci riferiamo ai terreni naturali, ai nostri climi e alle profondità che in genere interessa-no l’ingegneria civile, non commettiamo un grosso errore se consideriamo in prima ap-prossimazione le terre come mezzi a due fasi, essendo quasi tutti i vuoti tra granulo e gra-nulo riempiti d’acqua.

1 Il termine “granulo” per alcuni tipi di terreno, come ad esempio una ghiaia o una sabbia, non dà problemi di comprensione; per altri, ad esempio per un terreno argilloso, può essere molto meno comprensibile, nel senso che il granulo non è neppure visibile a occhio nudo ed è una struttura molto più complessa di quella di un granulo di sabbia

Page 3: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

3

CAPITOLO 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

1.1 Origine dei terreni I terreni derivano dai processi di alterazione fisica e chimica delle rocce. I processi di alterazione di natura fisica o meccanica producono una disgregazione delle rocce in frammenti di dimensioni ridotte. Questi processi sono legati a fenomeni di ero-sione delle acque, all’azione di agenti atmosferici (gelo, variazioni termiche), all’azione delle piante, degli animali, dell’uomo. I processi di alterazione di natura chimica o organica decompongono invece i minerali che costituiscono le rocce in particelle di natura colloidale, che costituiscono poi la fra-zione prevalente dei materiali fini. Questi processi sono legati a fenomeni di ossidazione, riduzione ed altre reazioni chimiche generate dagli acidi presenti nell’acqua o prodotti dai batteri. I frammenti di roccia (cioè le particelle, i granuli) derivanti da questi processi di altera-zione vengono poi trasportati (più o meno lontano) e successivamente depositati dal ven-to, dall’acqua e dai ghiacciai; durante la fase di trasporto possono subire ulteriori processi di disgregazione meccanica o di alterazione chimica. Nella figura 1.1 è riportata una rappresentazione semplificata del ciclo di formazione del-le rocce e dei terreni. Se durante le fasi di formazione, trasporto e deposizione intervengono solo processi fisici, le particelle di terreno avranno la stessa composizione delle rocce di origine; se si hanno anche trasformazioni chimiche si formano altri materiali. L’esempio più importante in ambito geotecnico sono i minerali argillosi, tra i quali i più noti sono caolinite, illite e montmorillonite. Le dimensioni delle particelle, che costituiscono il risultato finale di tutti questi fenomeni, sono molto varie, comprendendo frammenti di roccia, minerali e frammenti di minerali.

Figura 1.1 - Rappresentazione semplificata del ciclo di formazione delle rocce e dei terreni

Page 4: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

4

1.2 Struttura dei terreni Anche il risultato finale dell’aggregazione delle particelle, che costituisce la struttura del terreno, può essere molto vario ed influenzarne marcatamente il comportamento. In particolare, i caratteri strutturali del terreno possono essere evidenziati a diverse scale, ossia in termini di: − microstruttura − macrostruttura − megastruttura Quando si parla di caratteri microstrutturali ci si riferisce alla forma e alle dimensioni dei grani e ai legami esistenti tra le particelle; i caratteri macrostrutturali sono invece quelli osservabili su una porzione di terreno di dimensioni limitate (ad esempio un campione di laboratorio) e sono costituiti da fessure, intercalazioni, inclusioni di materiale organico, ecc..; i caratteri megastrutturali sono infine quelli evidenziabili a grande scala, come ad esempio giunti, discontinuità, faglie. Per ora ci limiteremo ad analizzare l’influenza dei caratteri microstrutturali sul compor-tamento dei terreni. In particolare, se pensiamo al terreno come ad un aggregato di parti-celle solide e acqua interstiziale, possiamo facilmente immaginare che in questa miscela esistano due tipi di interazione: − un’interazione di tipo meccanico, dovuta alle forze di massa o di volume − un’interazione di tipo chimico, dovuta alle forze di superficie Sulla superficie esterna di ogni granulo esistono infatti delle cariche elettriche che lo por-tano ad interagire con gli altri granuli e con l’acqua interstiziale. Quindi, se la superficie esterna è piccola in relazione alla massa, anche le azioni superficiali sono modeste e quindi prevalgono le interazioni di tipo meccanico (in tal caso si parla di granuli “inerti”), se la superficie è grande anche le azioni superficiali, e quindi le interazioni di tipo chimi-co, possono diventare importanti, addirittura più importanti di quelle di volume (in questo caso si parla di granuli “attivi”). Di conseguenza, l’elemento distintivo tra la prevalenza delle forze di volume o delle forze di superficie è legato essenzialmente alla geometria dei granuli, ovvero alla superficie ri-ferita all’unità di massa, che si definisce superficie specifica:

VS

MSSsp ⋅

==ρ

(Eq. 1.1)

dove S è la superficie del granulo, M la massa, V il volume e ρ la densità. Se, ad esempio, prendiamo un grammo di sabbia e sviluppiamo tutte le superfici esterne dei grani in esso contenuti, otteniamo che il valore della superficie specifica è dell’ordine di 10-3÷10-4 m2; se invece prendiamo un grammo di argilla “molto attiva” vediamo che la somma delle aree laterali di tutti gli elementi solidi che questo contiene può essere dell’ordine di 800m2. È da notare che la superficie specifica di un certo materiale dipende dalla forma e dalle dimensioni delle particelle, come è possibile dedurre dalla definizione (1.1) 1.

1In particolare, nell’ipotesi di forma sferica, alla quale si avvicinano ad esempio i grani di una sabbia: S = πD2, V = πD3/6, quindi Ssp = 6/ρD. Nell’ipotesi di parallelepipedo appiattito, forma simile a quella delle particelle di argilla, di dimensioni BxLxh: S = 2LB + 2Bh + 2Lh, V = BLh; quindi ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ++

ρ=

L2

B2

h21Ssp

e se

Page 5: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

5

Valori tipici della dimensione media e della superficie specifica di sabbie e argille sono riportati in tabella 1. La conseguenza di quanto detto sopra è che nei materiali come le sabbie l’interazione tra i granuli è esclusivamente di tipo meccanico, mentre nelle argille le azioni sono quasi e-sclusivamente di tipo chimico-fisico.

Tabella 1. Dimensione media e superficie specifica di sabbie e argille

Dimensione media [mm]

Superficie specifica [m

2/g]

SABBIE (forma sub-sferica) 2 mm 2⋅10-4

MINERALI ARGILLOSI (forma lamellare): MONTMORILLONITE 10-6 fino a 840 ILLITE (0.03 ÷ 0.1)x 10-3 65 ÷ 200 CAOLINITE (0.1 ÷ 4) x 10-3 10 ÷ 20 Dunque, una prima distinzione tra i vari tipi di terreno può essere fatta in base alle dimen-sioni e alla forma delle particelle che li costituiscono, perché questo è un elemento che ne differenzia notevolmente il comportamento. Dimensioni e forma delle particelle dipendo-no dai minerali costituenti. Si distinguono così, in primo luogo, i terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie) e forma sub-sferica, o comunque compatta, dai terreni a grana fine (limi e argille) e forma ap-piattita o lamellare, nei quali i singoli grani non sono visibili a occhio nudo. I terreni naturali consistono generalmente in una miscela di più tipi di terreno appartenenti alle due categorie suddette, a cui può aggiungersi talvolta del materiale organico. Analizzando un poco più in dettaglio le caratteristiche delle due grandi categorie di terreni che abbiamo appena definito, si può affermare che i terreni a grana grossa sono general-mente costituiti da frammenti di roccia o, nel caso delle particelle più piccole, da singoli minerali o da frammenti di minerali (ovviamente minerali sufficientemente resistenti e stabili dal punto di vista chimico, come ad esempio quarzo, feldspati, mica, ecc..). I materiali meno resistenti danno origine a terreni con grani più arrotondati, quelli più re-sistenti a granuli più irregolari. Il comportamento dei terreni a grana grossa di-pende soprattutto: − dalle dimensioni − dalla forma (angolare, sub-angolare, sub-

arrotondata, arrotondata) (figura 1.2) − dalla distribuzione granulometrica (figura

1.3) − dallo stato di addensamento dei granuli (fi-

gura 1.4). Nel caso dei terreni a grana fine, le informa-zioni relative alla distribuzione e alle caratteri-stiche granulometriche sono meno significati-

l’altezza h è molto minore delle altre due dimensioni,

h2Ssp ρ

≅ . In conclusione, la Ssp aumenta al diminui-

re delle dimensioni e dell’appiattimento delle particelle

ANGOLARE

ARROTONDATA SUBARROTONDATA

SUBANGOLARE

Figura 1.2 – Forma delle particelle

Page 6: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

6

ve. I terreni a grana fine sono aggregati di particelle colloidali di forma lamella-re, che risultano dalla combinazione di molecole (o unità elementari). Le unità elementari sono rappresentate da tetra-edri (con atomo di silicio al centro e ossigeno ai vertici) o ottaedri (con ato- mi di alluminio o magnesio al centro e ossidrili ai vertici) (Figura 1.5) che si combinano tra loro per formare reticoli piani (pacchetti elementari). Successive combinazioni diverse di pacchetti ele-mentari danno origine alle particelle di argilla. A seconda della loro composizione i pacchetti possono stabilire legami più o meno forti tra loro e in relazione a que-sto le particelle di argilla possono avere

uno spessore più o meno elevato e i terreni possono presentare un comportamento mecca-nico molto diverso tra loro. Ad esempio la caolinite ha uno spessore tipico di circa 1µm, ha legami piuttosto forti ed è quindi un’argilla stabile, con comportamento meccanico buono; la montmorillonite, invece, che ha uno spessore di pochi nm (1nm = 10 Armstrong = 10-3 µm), ha deboli legami tra i pacchetti elementari ed un comportamento meccanico scadente e sensibile al disturbo perché i legami tendono a spezzarsi (dal punto di vista in-gegneristico avere a che fare con questo tipo di materiali è un problema, perché sono mol-to deformabili e tendono a rigonfiare in presenza di acqua). Il comportamento dei minerali argillosi è fortemente condizionato dalla loro interazione con il fluido interstiziale, che in genere è acqua. Le unità fondamentali, tetraedri e ottaedri

SABBIA BENE ASSORTITA SABBIA POCO ASSORTITA

Figura 1.3 – Tipo di assortimento di una sabbia

SABBIA SCIOLTA SABBIA DENSA Figura 1.4 – Stati di addensamento di una sabbia

e e

a) b)= sil icio

e = ossidrili = alluminio, magnesio Figura 1.5 – Struttura delle particelle colloidali: unità elementari tetraedriche e ottaedriche (a) e loro combinazione in pacchetti elementari (b).

a) b)

= ossigeno

Page 7: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

7

che costituiscono i minerali argillosi, pur essendo complessivamente neutri, hanno carica positiva all’interno e negativa sulla superficie esterna. Questa caratteristica le porta a sta-bilire legami molto forti con le molecole d’acqua che, essendo dipolari (poiché, com’è no-to, i due atomi di idrogeno, che hanno carica positiva, non sono disposti simmetricamente rispetto all’atomo di ossigeno, carico negativamente), sono attratte elettricamente verso la superficie delle particelle di argilla.

L’acqua che si trova immedia-tamente a contatto con le par-ticelle diventa perciò parte in-tegrante della loro struttura ed è definita “acqua adsorbita” (Figura 1.6). Allontanandosi dalla superficie delle particelle i legami diventano via via più deboli, finché l’acqua assume le caratteristiche di “acqua li-bera” o “acqua interstiziale” (Figura 1.7). È da notare che

lo spessore di acqua adsorbita è approssimativamente lo stesso per tutti i minerali argillo-si, ma a causa delle differenti dimensioni delle particelle, il comportamento meccanico dell’insieme risulta molto diverso.

Anche tenendo conto della presenza dell’acqua adsorbita, le particelle di argilla risultano cariche negativamente in superficie e tendono a manifestare forze di repulsione, alle quali si sommano forze di tipo attrattivo (Van der Walls), legate alla struttura atomica del mate-

Figura 1.6 – Spessore dell’acqua adsorbita per differenti mi-nerali argillosi

0 5 10 15 20 25 30 35 Distanza dalla superficie della particella (in micron)

PARTICELLA

molecole d’acqua

acqua adsorbita

acqua pellicolare

acqua gravifica

acqua di ritenzione

ANDAMENTO DELLA FORZA DI ATTRAZIONE

TRA PARTICELLA E MOLECOLE D’ACQUA

Figura 1.7 – Schema dell’interazione tra particelle d’argilla e molecole d’acqua

H + H+Acqua adsorb ita

Cristallo di m ontmorillonite (100x1nm)Cristallo di caolinite (1000x100nm)

O-

TRA PARTICELLA E MOLECOLE D’ACQUA

Page 8: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

8

riale. Questo fa sì che l’ambiente circostante riesca a condizionare la forma e la geometria strutturale delle argille: in particolare, se le particelle sono circondate da un fluido con e-levata concentrazione di ioni positivi (p. es. in ambiente marino), le cariche negative su-perficiali esterne tenderanno a neutralizzarsi e quindi l’effetto di repulsione sarà minore e le particelle tenderanno ad aggregarsi in strutture più chiuse; al contrario, in un ambiente povero di ioni positivi (p. es. in acqua dolce) tenderanno a prevalere le forze di repulsione e si avranno strutture più aperte (o disperse). A conclusione di quanto sopra detto, va anche evidenziato che, mentre nei terreni a grana grossa i grani sono necessariamente a contatto tra loro e formano un vero e proprio “sche-letro solido”, nei terreni a grana fine le particelle possono anche essere non in diretto con-tatto tra loro, pur conservando il materiale caratteristiche di continuità.

1.3 Relazioni tra le fasi e proprietà indici Un terreno è, come già detto, un sistema multifase, costituito da uno scheletro formato da particelle solide e da una serie di vuoti, che possono essere a loro volta riempiti di liquido (generalmente acqua) e/o gas (generalmente aria e vapor d’acqua) (Figura 1.8a). Facendo riferimento ad un certo volume di terreno e immaginando per comodità di esposizione di separare le tre fasi (Figura 1.8b), e indicati con:

Vs = volume del solido (inclusa l’H2O adsorbita) VW = volume dell’acqua (libera) VG = volume del gas VV = volume dei vuoti (VW+VG) V = volume totale (VS+VW+VG) PW = peso dell’acqua PS = peso del solido P = peso totale (PW +PS)

si possono stabilire delle relazioni quantitative tra pesi e volumi.

Figura 1.8 – Rappresentazione del terreno come materiale multifase (a) e relazione tra le fasi (b)

In particolare si definiscono:

1. porosità: 100VvV

(%) n ⋅= (Eq. 1.2)

(n=0% solido continuo, n =100% non vi è materia solida)

P

Gas

Acqua

Particelle solide

PW

PS

VG

VW

VS

VV

V

a) b)

Page 9: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

9

2. indice dei vuoti: s

v

VVe = (Eq. 1.3)

3. volume specifico: sV

Vv = (Eq. 1.4)

Tra le tre grandezze sopra definite, è più comodo utilizzare v ed e rispetto ad n perché, per i primi due, al variare del volume dei vuoti, varia solo il numeratore del rapporto. Co-munque n, e e v esprimono lo stesso concetto e sono biunivocamente legate tra loro:

v = 1+ e; )100/n(1

)100/n(e−

=

4. grado di saturazione: 100VVw(%) S

vr ⋅= (Eq. 1.5)

(Sr=0% terreno asciutto, Sr=100% terreno saturo)

5. contenuto d’acqua: 100PP

(%) ws

w ⋅= (Eq. 1.6)

6. peso specifico dei costituenti solidi: s

ss V

P=γ (Eq. 1.7)

7. peso di volume: VP

=γ (Eq. 1.8)

8. peso di volume del terreno secco:

VPs

d =γ

)0S per VP ovvero( r =

(Eq. 1.9)

9. peso di volume saturo:

VP

sat =γ %) 100S per( r =

(Eq. 1.10)

10. peso di volume immerso: wsat' γ−γ=γ (Eq. 1.11)dove γw è il peso specifico dell’acqua (9.81 kN/m3). Il peso di volume γ può assumere va-lori compresi tra γd, peso di volume secco (per Sr = 0%) e γsat, peso di volume saturo (per Sr =100%). Spesso si utilizza la grandezza adimensionale Gs = γs/γw (gravità specifica), che rappre-senta il peso specifico dei costituenti solidi normalizzato rispetto al peso specifico dell’acqua. Si osservi che mentre le grandezze n (porosità) ed Sr (grado di saturazione) hanno, espres-se in %, un campo di esistenza compreso tra 0 e 100, il contenuto d’acqua, w, può assu-mere valori anche superiori a 100%.

11. densità relativa: 100ee

ee(%) Dminmax

maxr ⋅

−−

= (Eq. 1.12)

dove e è l’indice dei vuoti allo stato naturale, emax ed emin sono rispettivamente gli indici dei vuoti corrispondenti al minimo e al massimo stato di addensamento convenzionali, de-terminati sperimentalmente mediante una procedura standard.

Page 10: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

10

La densità relativa rappresenta un parametro importante per i terreni a grana grossa in quanto permette di definirne lo stato di addensamento; può variare tra 0 e 100%, e la dif-ferenza che compare al denominatore è una caratteristica del terreno, mentre il numerato-re dipende dallo stato in cui il terreno si trova. Con un mezzo ideale costituito da particel-le sferiche di ugual diametro si ha un assetto che corrisponde al massimo indice dei vuoti

(reticolo cubico, Figura 1.9a) e un as-setto che corrisponde al minimo (retico-lo tetraedrico, Figura 1.9b). Nel caso di reticolo cubico si ha n ≅ 46%, nel caso di reticolo tetraedrico si ha n ≅ 26%. Ovviamente per un terreno reale, in cui le particelle hanno forma irregolare e dimensioni variabili, la porosità massi-ma può essere maggiore del 46%, e la

porosità minima può essere inferiore al 26%. I valori tipici di alcune delle proprietà sopra definite sono riportati nelle tabelle 1.2 e 1.3.

Tabella 1.2. Valori tipici di alcuni parametri del terreno n (%) e γd (kN/m3) γ (kN/m3) GHIAIA 25-40 0.3-0.7 14-21 18-23 SABBIA 25-50 0.3-1.0 13-18 16-21 LIMO 35-50 0.5-1.0 13-19 16-21 ARGILLA 30-70 0.4-2.3 7-18 14-21 TORBA 75-95 3.0-19.0 1-5 10-13

Tabella 1.3. Valori tipici del peso specifico dei costituenti solidi di alcuni materiali γs (kN/m3) SABBIA QUARZOSA 26 LIMI 26.3-26.7 ARGILLE 23.9-28.6 BENTONITE 23

1.3.1 Determinazione del contenuto d’acqua

La determinazione sperimentale di w è piuttosto semplice ed è basata su misure di peso. Operativamente, si mette una certa quantità di terreno, di cui si vuole determinare il con-tenuto in acqua, w, in un recipiente di peso noto (pari a T) e si pesa il tutto (P1). Per otte-nere l’evaporazione di tutta l’acqua libera, si pone poi il contenitore con il terreno in for-no a essiccare (a 105° per 1÷2 giorni a seconda della quantità e del tipo di materiale) e si ripesa nuovamente (P2). A questo punto si può ricavare w. La differenza tra le due pesate (P1-P2) rappresenta il peso dell’acqua, PW, mentre il peso del solido è dato dalla differen-za tra P2 e T, ossia:

100TPPP100

PPw

2

21

s

w ⋅−−

=⋅=

Figura 1.9 – Reticolo cubico (a) e tetraedrico (b)

a) b)

Page 11: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

11

Valori tipici di w variano tra il 20% al 30% (massimo) per un terreno sabbioso, tra il 10% e il 15% per argille molto dure, tra il 70% e l’80% per argille molli, anche se, teoricamen-te, come già osservato, può assumere valori superiori al 100%. Tra le proprietà sopra definite, quelle che risultano indipendenti dalla storia tensionale e dalle condizioni ambientali che caratterizzano il terreno allo stato naturale, vengono dette proprietà indici. Tra le proprietà indici possono essere annoverate anche la granulometria e i limiti di At-terberg, che verranno definite nei paragrafi seguenti.

1.4 Composizione granulometrica Il comportamento dei terreni a grana grossa è, come già osservato, marcatamente influen-zato dalle dimensioni dei grani e dalla distribuzione percentuale di tali dimensioni, ovvero dalla granulometria. Per ottenere queste informazioni si ricorre alla cosiddetta analisi granulometrica, che consiste nella determinazione della distribuzione percentuale del diametro dei granuli presenti nel terreno. L’analisi granulometrica viene eseguita median-te due tecniche: 1. setacciatura per la frazione grossolana (diametro dei grani maggiore di 0.074 mm) 2. sedimentazione per la frazione fine (diametro dei grani minore di 0.074 mm) La setacciatura viene eseguita utilizzando una serie di setacci (a maglia quadrata) e/o cri-velli (con fori circolari) con aperture di diverse dimensioni (la scelta delle dimensioni del-le maglie va fatta in relazione al tipo di terreno da analizzare). I setacci vengono disposti uno sull’altro, con apertura delle maglie decrescente verso il basso. Una buona curva gra-nulometrica può essere ottenuta scegliendo opportunamente la successione dei setacci: ad esempio ogni setaccio potrebbe avere apertura delle maglie pari a circa la metà di quello sovrastante (esistono anche indicazioni di varie associazioni tecnico-scientifiche, ad es. dell’Associazione Geotecnica Italiana).

Nella Tabella 1.4 sono riportate le sigle ASTM (American Society Standard Ma-terial) e l’apertura delle maglie corri-spondente (diametri equivalenti) per i se-tacci che vengono normalmente impiega-ti nella setacciatura. Il setaccio più fine che viene generalmente usato nell’analisi granulometrica ha un’apertura delle ma-glie di 0.074 mm (setaccio n. 200 ASTM); al di sotto dell’ultimo setaccio viene generalmente posto un raccoglito-re. Il materiale viene prima essiccato, pe-stato in un mortaio, pesato e disposto sul setaccio superiore. Tutta la pila viene poi fatta vibrare (con agitazione manuale o meccanica), in modo da favorire il pas-saggio del materiale dalle maglie dei vari setacci. Per i terreni più fini si ricorre an-che all’uso di acqua (in tal caso si parla di setacciatura per via umida).

Tabella 1.4 – Sigla ASTM e diametri equivalenti dei setacci impiegati per l’analisi granulometrica

N. ASTM Apertura delle maglie, D [mm]

4 4.76 6 3.36 8 2.38 10 2.00 12 1.68 16 1.19 20 0.840 30 0.590 40 0.420 50 0.297 60 0.250 70 0.210 100 0.149 140 0.105 200 0.074

Page 12: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

12

Alla fine dell’agitazione, da ciascun setaccio sarà passato il materiale con diametro infe-riore a quello dell’apertura delle relative maglie. La percentuale di passante al setaccio i-esimo, Pdi , può essere determinata pesando la quantità di materiale depositata su ciascun setaccio al di sopra di quello considerato, Pk (con k = 1,...i), mediante la formula che se-gue:

100P

PPP

T

i

1kkT

di ⋅−

=∑=

dove PT è il peso totale del campione di materiale esaminato. I risultati dell’analisi granulometrica vengono riportati in un diagramma semilogaritmico (per permettere una buona rappresentazione anche quando l’intervallo di variazione dei diametri è molto esteso), con il diametro (equivalente), D, dei setacci in ascissa e la per-centuale di passante in ordinata (curva granulometrica) (Figura 1.10).

Figura 1.10 – Curve granulometriche tipiche per i terreni

Per i diametri minori di 0.074 mm, cioè per il materiale raccolto sul fondo, si ricorre all’analisi per sedimentazione. Si tratta di una procedura basata sulla misura della densità di una sospensione, ottenuta miscelando il materiale all’acqua con l’aggiunta di sostanze disperdenti per favorire la separazione delle particelle, la cui interpretazione viene fatta impiegando la legge di Stokes, che lega la velocità di sedimentazione di una particella in sospensione al diametro della particella e alla densità della miscela. Eseguendo misure di densità a diversi intervalli di tempo e conoscendo il peso specifico dei grani è possibile ricavare il diametro e la percentuale in peso delle particelle rimaste in sospensione e quindi aventi diametro inferiore a quelle sedimentate. Utilizzando questi dati è così possi-bile completare la curva granulometrica. In pratica quella che si ottiene è una curva cumulativa. La forma della curva è indicativa della distribuzione granulometrica: più la curva è diste-sa, più la granulometria è assortita. L’andamento della curva viene descritto sinteticamen-te mediante due parametri (che, come vedremo più avanti, vengono impiegati per classifi-care i terreni). Indicando con Dx il diametro corrispondente all’x % di materiale passante (Figura 1.10), si definiscono:

Page 13: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

13

coefficiente di uniformità: 10

60

DDU = (Eq. 1.13)

(U ≥ 1, più è basso più il terreno è uniforme, Figura 1.10)

coefficiente di curvatura: 1060

230

DDDC⋅

= (Eq. 1.14)

(C esterno all’intervallo 1÷3 indica mancanza di diametri di certe dimensioni ovvero bru-schi cambiamenti di pendenza della curva granulometrica, Figura 1.10)

1.5 Limiti di Atterberg (o limiti di consistenza) Come già osservato, il comportamento dei terreni a grana fine è marcatamente influenzato dall’interazione delle particelle di argilla con il fluido interstiziale (acqua), strettamente legata alla loro composizione mineralogica. Così, per questo tipo di terreni, è importante non solo conoscere la quantità di acqua contenuta allo stato naturale, ma anche confronta-re questo valore con quelli corrispondenti ai limiti di separazione tra stati fisici particolari (in modo analogo a quanto si fa confrontando l’indice dei vuoti naturale con emax ed emin per i terreni a grana grossa). Nei terreni argillosi si osserva infatti una variazione dello stato fisico, al variare del con-tenuto d’acqua. In particolare, se il contenuto d’acqua di una sospensione argillosa densa è ridotto gradualmente, la miscela acqua-argilla passa dallo stato liquido, ad uno stato plastico (dove il materiale acquisisce sufficiente rigidezza da deformarsi in maniera con-tinua), ad uno stato semisolido (in cui il materiale comincia a presentare fessurazioni) e infine ad uno stato solido (in cui il terreno non subisce ulteriori diminuzioni di volume al diminuire del contenuto d’acqua). Poiché il contenuto d’acqua corrispondente al passag-gio da uno stato all’altro varia da un tipo di argilla da un altro, la conoscenza di questi va-lori può essere utile nella classificazione ed identificazione dei terreni a grana fine. Tutta-via il passaggio da uno stato all’altro non è istantaneo, ma avviene gradualmente all’interno di un range di valori del contenuto d’acqua. Sono stati perciò stabiliti dei crite-ri convenzionali (Atterberg, 1911) per individuare le condizioni di passaggio tra i vari sta-ti di consistenza. I contenuti d’acqua corrispondenti alle condizioni di passaggio, “con-venzionali”, tra i vari stati, sono definiti limiti di Atterberg e variano, in generale, da un tipo di argilla ad un altro. Lo schema relativo ai 4 possibili stati fisici e i corrispondenti limiti di Atterberg sono ri-portati in Figura 1.11 Si individuano, in particolare, il limite liquido (o di liquidità), wL, nel passaggio tra lo stato liqui-do e lo stato plastico, il limite plastico (o di plasticità), wp, tra lo stato plastico e lo stato se-misolido (o solido con ritiro), il limite di ritiro, tra lo stato semisolido e lo stato solido (o solido senza ritiro), ws. Ciascuno dei 3 limiti può esse-re determinato in laboratorio mediante un’opportuna proce-dura standardizzata.

Figura 1.11 – Stati fisici del terreno e limiti di Atterberg

LIQUIDO

PLASTICO

SEMISOLIDO

SOLIDO DIM

INU

ZIO

NE

DEL

CO

NTE

NU

TO D

’AC

QU

A

miscela fluida terra-acqua

terreno secco

LIMITE LIQUIDO, wL

LIMITE PLASTICO, wP

LIMITE DI RITIRO, wS

w

Page 14: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

14

1.5.1 Determinazione del limite liquido

Il limite liquido, wL, si determina in laboratorio con il cucchiaio di Casagrande (Figura 1.12a). Un prefissato volume di terreno, prelevato dal passante al setaccio n. 40 (0.42 mm), viene mescolato con acqua distillata fino ad ottenere una pastella omogenea.

L’impasto viene successivamente di-sposto nel cucchiaio, spianandone la superficie e praticando poi nella zona centrale, con un’apposita spatola, un solco di 2 mm di larghezza e 8 mm di altezza. Con un dispositivo a mano-vella, il cucchiaio viene quindi la-sciato cadere ripetutamente, a inter-valli di tempo regolari, da un’altezza prefissata su una base di materiale standardizzato e vengono contati i colpi necessari a far richiudere il sol-co per una lunghezza di 13 mm. Vie-ne poi prelevato un po’ di materiale dal cucchiaio e determinato su questo il valore del contenuto d’acqua. La procedura viene ripetuta più volte variando la quantità di acqua nell’impasto, in modo da ottenere una serie di coppie (4 o 5) di valori, numero di colpi-contenuto d’acqua. I valori del contenuto d'acqua in fun-zione del numero di colpi vengono

poi riportati in un diagramma semilogaritmico, figura 1.12b, e interpolati linearmente: il contenuto d’acqua corrispondente a 25 colpi rappresenta convenzionalmente il limite li-quido, wL.

1.5.2 Determinazione del limite plastico

Il limite plastico, wp, è il contenuto d’acqua in corrispondenza del quale il terreno inizia a perdere il suo comportamento plastico. Si determina in laboratorio impastando una certa quantità di terreno passante al setaccio n. 40 (0.42 mm) con acqua distillata e formando manualmente dei bastoncini di 3.2 mm (1/8 in.) di diametro. Quando questi cilindretti, che vengono fatti rotolare continuamente su una lastra di materiale poroso (in modo da perdere progressivamente acqua), iniziano a fessurarsi (Figura 1.13), si determina il contenuto d’acqua e questo rappresenta il limite plastico, wP. Generalmente si fanno 3 determinazioni e si assume come wP il valor medio.

2 mm

Numero di colpi1

wL

8 mm

All’inizioCucchiaio

Utensile

Al termine

105 50

46

47

48

49

10 mm

Base

20

25

30 40

Figura 1.12 – Cucchiaio di Casagrande (a) e proce-dura sperimentale per la determinazione del limite li-quido (b).

Figura 1.13 – Determinazione sperimentale del limite plastico

b)

a)

≅ 3.2 mm

Page 15: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

15

1.5.3 Determinazione del limite di ritiro

Il limite di ritiro, wS, che ha un interesse molto limitato per le applicazioni in ingegneria civile e non viene di norma determinato, è il conte-nuto d’acqua al di sotto del quale una ulteriore perdita di acqua da parte del terreno non com-porta nessuna variazione di volume; pertanto, a differenza degli altri due limiti, non è un va-lore convenzionale, legato alla procedura di determinazione, ma ha un preciso significato fisico. Si determina in laboratorio su un provi-no indisturbato che viene essiccato per passi successivi, misurando ad ogni passaggio il vo-

lume e il contenuto d’acqua. I valori del volume vengono riportati in un grafico in funzio-ne del contenuto d’acqua (Figura 1.14) e wS è definito come il contenuto d’acqua corri-spondente al punto di intersezione tra le tangenti alla parte iniziale e finale della curva ot-tenuta interpolando i punti sperimentali.

1.6 Indici di consistenza Si definisce indice di plasticità, IP, l’ampiezza dell’intervallo di contenuto d’acqua in cui il terreno rimane allo stato plastico, ovvero:

IP (%) = wL -wP (Eq. 1.15) Tale indice dipende dalla percentuale e dal tipo di argilla e dalla natura dei cationi adsor-biti. Per ogni materiale, l’indice di plasticità cresce linearmente in funzione della percen-tuale di argilla presente, con pendenza diversa in relazione al tipo di minerali argillosi presenti (Figura 1.15). La pendenza di questa retta è definita indice di attività:

CFII P

a = (Eq. 1.16)

dove CF = % in peso con diametro d < 0.002 mm. Sulla base dei valori assunti da questo indice i terreni possono essere clas-sificati inattivi, normalmente attivi, attivi. Considerando oltre ai limiti di consistenza, anche il contenuto naturale d’acqua, si pos-sono definire l’ indice di liquidità:

P

PL I

wwI

−= (Eq. 1.17)

e l’indice di consistenza

LP

LC I1

Iww

I −=−

= (Eq. 1.18)

L’indice di consistenza, oltre ad indicare lo stato fisico in cui si trova il terreno, fornisce informazioni qualitative sulle sue caratteristiche meccaniche; all’aumentare di IC aumenta la resistenza al taglio del terreno e si riduce la sua compressibilità (da notare anche

Figura 1.14 – Determinazione sperimentale del limite di ritiro

Figura 1.15 – Indice di attività delle argille

volu

me

contenuto d’acqua wS

CF

IP

Ia= 0.75

Ia= 1.25

Inattivi

Normalmente attivi Attivi

Page 16: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

16

l’analogia tra IC per terreni a grana fine e Dr per i terreni a grana grossa). Una suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità e dell’indice di con-sistenza è riportata nelle Tabelle 1.5 e 1.6 rispettivamente, mentre nella Tabella 1.7 sono riportati i valori tipici di wL, wP e IP dei principali minerali argillosi.

Tabella 1.5 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di plasticità TERRENO IP NON PLASTICO 0 - 5 POCO PLASTICO 5 - 15 PLASTICO 15 - 40 MOLTO PLASTICO > 40

Tabella 1.6 - Suddivisione dei terreni basata sui valori dell’indice di consistenza

CONSISTENZA IC FLUIDA < 0 FLUIDO-PLASTICA 0 – 0.25 MOLLE-PLASTICA 0.25 – 0.50 PLASTICA 0.50 – 0.75 SOLIDO-PLASTICA 0.75 - 1 SEMISOLIDA (W > WS) O SOLIDA (W < WS) > 1

Tabella 1.7 - Valori tipici di WL, WP e IP dei principali minerali argillosi MINERALE ARGILLOSO wL (%) wP (%) IP (%) MONTMORILLONITE 300-700 55-100 200-650 ILLITE 95-120 45-60 50-65 CAOLINITE 40-60 30-40 10-25

1.7 Sistemi di classificazione I sistemi di classificazione sono una sorta di linguaggio di comunicazione convenzionale per identificare attraverso un nome (o una sigla) il tipo di materiale, in modo da fornirne indirettamente, almeno a livello qualitativo, delle indicazioni sul comportamento. In pra-tica, individuano alcuni parametri significativi e distintivi dei vari tipi di terreno in modo da poterli raggruppare in classi e stabilire così dei criteri universali, convenzionali, di ri-conoscimento. Data l’estrema variabilità dei terreni naturali e le diverse possibili finalità ingegneristiche, non è pensabile di poter creare un unico sistema di classificazione. Per questo motivo, si sono sviluppati nel tempo diversi sistemi di classificazione, che possono essere utilizzati per scopi e finalità diversi. Tuttavia, alcuni aspetti fondamentali accomunano i diversi sistemi di classificazione nella scelta delle proprietà di riferimento. In particolare tali proprietà: - devono essere significative e facilmente misurabili mediante procedure standardizzate; - non devono essere riferite ad uno stato particolare, ossia devono essere indipendenti

dalla storia del materiale, dalle condizioni di sollecitazione o da altre condizioni al contorno.

Per quanto visto fino ad ora, i parametri che possiedono queste caratteristiche sono quelli precedentemente definiti proprietà indici, e riguardano la composizione granulometrica e

Page 17: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

17

la composizione mineralogica. I sistemi di classificazione più vecchi sono basati unica-mente sulla granulometria e perciò sono significativi solo per i materiali a grana grossa (ghiaie e sabbie). Tra questi, i più comunemente usati sono riportati in Tabella 1.8.

Tabella 1.8. Alcuni sistemi di classificazione basati sulla granulometria SISTEMA Ghiaia Sabbia Limo Argilla

MIT

2

0.06

0.002

AASHO 2 0.075 0.002 AGI 2 0.02 0.002

mm mm mm Essendo i terreni una miscela di grani di diverse dimensioni, una volta determinate le fra-zioni in peso relative a ciascuna classe, il materiale può essere identificato utilizzando i termini delle varie classi come sostantivi o aggettivi, nel modo seguente: I termine: nome della frazione granulometrica prevalente II termine: nomi delle eventuali frazioni maggiori del 25%, precedute dal prefisso con III termine: nomi delle eventuali frazioni comprese tra il 15% e il 25%, con il suffisso oso IV termine: nomi delle eventuali frazioni minori del 15%, con il suffisso oso, precedute dal prefisso debolmente. Se ad esempio da un’analisi granulometrica risulta che un terreno è costituito dal 60% di limo, dal 30% di sabbia e dal 10% di argilla, esso verrà denominato limo con sabbia de-bolmente argilloso. Una classificazione che tiene conto solo della granulometria non è tuttavia sufficiente nel caso di limi e argille, il cui comportamento è legato soprattutto alla composizione minera-logica. Per questo tipo di terreni si può ricorrere ad esempio al sistema di classificazione propo-sto da Casagrande (1948). Tale sistema è basato sui limiti di Atterberg ed è riassunto in un diagramma (noto come “carta di plasticità di Casagrande”) (Figura 1.16) nel quale si individuano sei zone, e quindi sei classi di terreno, in funzione del limite liquido (riporta-to in ascissa) e dell’indice di plasticità (riportato in ordinata). La suddivisione è rappre-sentata dalla retta A di equazione: IP = 0.73 (wL-20) (Eq. 1.19) e da due linee verticali in corrispondenza di wL = 30 e wL = 50. Le classi che si trovano sopra la retta A includono le argille inorganiche, quelle sotto la retta A i limi e i terreni organici (a titolo informativo va detto che la presenza di materiale organico in un terreno può essere rilevata attraverso la determinazione del limite liquido prima e dopo l’essiccamento. L’essiccamento provoca infatti nei materiali organici dei processi irreversibili con riduzione di wL; se tale riduzione è maggiore del 75%, il mate-riale viene ritenuto organico). Esistono poi sistemi che, facendo riferimento sia alla caratteristiche granulometriche sia a quelle mineralogiche, possono essere utilizzati per la classificazione di qualunque tipo di terreno. In particolare, i due sistemi più comunemente utilizzati e che verranno brevemente de-scritti nel seguito sono il sistema USCS e il sistema HRB (AASHTO, CNR_UNI 10006).

Page 18: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

18

1.7.1 Sistema USCS

Il sistema USCS (Unified Soil Classification System), sviluppato originariamente da Casa-grande e successivamente modificato negli USA, è il sistema più utilizzato per classificare i terreni di fondazione. Secondo tale sistema, i terreni vengono suddivisi in cinque gruppi principali, due a grana grossa (con percentuale passante al setaccio 200 minore del 50%), ghiaie (simbolo G) e sabbie (simbolo S), tre a grana fine (con percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 50%), limi (simbolo M), argille (simbolo C) e terreni organici (sim-bolo O). Ciascun gruppo è a sua volta suddiviso in sottogruppi, in relazione ad alcune proprietà indici, secondo quanto indicato nello schema di Figura 1.17. In particolare i terreni a grana grossa vengono classificati sulla base dei risultati dell’analisi

granulometrica in ghiaie (G) e sabbie (S) a seconda che la percentuale passante al setaccio N.4 sia rispettivamente minore o maggiore del 50%. Quindi viene analizzata la compo-nente fine del materiale (passante al setaccio N.200): 1) se essa risulta minore

del 5% allora si con-sidera solo l’assorti-mento del materiale sulla base dei valori del coefficiente di u-niformità, U, e di curvatura, C (se U>4 e 1<C<3, per le ghiaie o U>6 e 1<C<3, per le sabbie, allora il materiale si considera ben gradato e come secondo sim-bolo si adotta W, altrimenti si considera poco gradato e si adotta il simbolo P);

2) se essa risulta maggiore del 12% allora viene classificata, dopo averne misurato i limi-ti di Atterberg (sul passante al setaccio N. 40), con riferimento ad una carta di plastici-tà derivata da quella di Casagrande con alcune modifiche (Figura 1.18), come limo (M) o argilla (C), che verrà utilizzato come secondo simbolo;

3) se essa è compresa tra il 5 e il 12% allora verrà classificata sia la granulometria della frazione grossolana (ben assortita, W, o poco assortita, P) secondo il criterio mostrato al punto 1) sia la componente fine (M o C) secondo il criterio indicato al punto 2), ot-tenendo così un doppio simbolo (ad es. SW-SM).

Indi

ce d

i pla

stic

ità, P

I (%

)

w =

30

%L

w =

50

%L

Limite di liquidità, w (%)L

PI = 0.73 (w

- 20)

L

LINEA A

02020

20

401

23

6

5440

60

60

80 100

1

2

3

4

5

6

Limi inorganici di media compressibilitàe limi organiciLimi inorganici di alta compressibilitàe argille organicheArgille inorganiche di bassa plasticità

Argille inorganiche di media plasticità

Argille inorganiche di alta plasticità

Limi inorganici di bassa compressibilità

Figura 1.16 – Carta di plasticità di Casa-grande

Figura 1.17 – Sistema di classificazione USCS

Page 19: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

19

I terreni a grana fine vengono classificati per mezzo della carta di plasticità di Casa-grande modificata di Figura 1.18.

1.7.2 Sistema HRB

Proposto dalla Highway Research Board (1942) e successivamente revisionato dalla American Association of State Highway and Trasportation Office (e riportato con qual-che modifica anche nelle norme CNR-UNI) è un sistema di classificazione che viene uti-lizzato principalmente nel campo delle co-struzioni stradali, o comunque per terreni utilizzati come materiali da costruzione. In base alla granulometria e alle caratteristiche di plasticità, i terreni vengono suddivisi in otto gruppi, indicati con le sigle da A-1 ad A-8, alcuni dei quali (A-1, A-2 e A-7) suddivi-si a loro volta in sottogruppi secondo lo schema riportato in Figura 1.19. I materiali gra-nulari sono inclusi nelle classi da A-1 ad A-3 (con percentuale passante al setaccio 200 minore o uguale al 35%), i limi e le argille nelle classi da A-4 ad A-7 (con percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 35%), mentre la classe A-8 comprende i terreni al-tamente organici. Per i terreni granulari si considera nell’ordine: − la percentuale passante al setaccio N.10 − la percentuale passante al setaccio N.40 − la percentuale passante al setaccio N.200 e quando disponibili si considerano anche i valori del limite liquido e dell’indice di plasti-cità determinati sul passante al setaccio N.40. Per i limi e le argille la classificazione viene fatta solo sulla base dei valori misurati del limite liquido e dell’indice di plasticità. Il sistema prevede che, per i terreni che contengono un’alta percentuale di materiale fine, venga anche valutato un indice sintetico, detto indice di gruppo, definito come: I = 0.2 a + 0.005 ac + 0.01 bd , dove: a = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 35% e minore del 75%, espressa

come numero intero compreso tra 0 e 40 b = percentuale passante al setaccio 200 maggiore del 15% e minore del 55%, espressa

come numero intero compreso tra 0 e 40 c = valore del limite liquido maggiore di 40 e minore di 60, espresso come numero intero

compreso tra 0 e 20 d = valore dell’indice di plasticità maggiore di 10 e minore di 30, espresso come numero

intero compreso tra 0 e 20 Valori minori dei limiti inferiori significano a, b, c, o d uguali a zero; valori maggiori dei limiti superiori significano a o b uguali a 40, c o d uguali a 20. Quando un terreno rientra in più categorie viene attribuito a quella corrispondente ai limiti più restrittivi.

Figura 1.18 – Carta di plasticità (Casagrande modificata)

Page 20: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 1 ORIGINE E STRUTTURA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

20

Materiali granulari

(passante al setaccio N.200 ≤ 35%)Limi-Argille

(passante al setaccio N.200 ≥ 35%)Classificazione generale:

Classificazione di gruppo:

Analisi granulometrica:% passante al setaccio:- N.10 (2mm)- N.40 (0.12 mm)- N.200 (0.074 mm)

Limiti di Atterbergdeterminati sul passante al setaccio N.40 (0.42 mm):- wL (%)- Ip (%)

Indice di gruppo (I):Materiale costituente:

Materiale come sottofondo:*Note: Se IP ≤ wL – 30 A-7-5; Se IP ≥ wL – 30 A-7-6

A-1A-1-a A-1-b

A-3A-2-4 A-2-5 A-2-6 A-2-7

A-2 A-4 A-5 A-6 A-7A-7-5*A-7-6

≤ 50≤ 30≤ 15

≤ 50≤ 25

≥ 51≤ 10 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36

≤ 6Non

plastico ≤ 10≤ 40

≤ 10≥ 41

≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11≤ 40≤ 10 ≤ 10

≥ 41≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11

0

Ghiaia (pietrame)con sabbia

0 0 ≤ 4 ≤ 8 ≤ 12 ≤ 16 ≤ 20

SabbiaGhiaia e sabbia

limosa o argillosa Limi Argille

Da eccellente a buono Da buono a scarso

Materiali granulari(passante al setaccio N.200 ≤ 35%)

Limi-Argille(passante al setaccio N.200 ≥ 35%)Classificazione generale:

Classificazione di gruppo:

Analisi granulometrica:% passante al setaccio:- N.10 (2mm)- N.40 (0.12 mm)- N.200 (0.074 mm)

Limiti di Atterbergdeterminati sul passante al setaccio N.40 (0.42 mm):- wL (%)- Ip (%)

Indice di gruppo (I):Materiale costituente:

Materiale come sottofondo:*Note: Se IP ≤ wL – 30 A-7-5; Se IP ≥ wL – 30 A-7-6

A-1A-1-a A-1-b

A-3A-2-4 A-2-5 A-2-6 A-2-7

A-2 A-4 A-5 A-6 A-7A-7-5*A-7-6

≤ 50≤ 30≤ 15

≤ 50≤ 25

≥ 51≤ 10 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≤ 35 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36 ≥ 36

≤ 6Non

plastico ≤ 10≤ 40

≤ 10≥ 41

≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11≤ 40≤ 10 ≤ 10

≥ 41≥ 11≤ 40 ≥ 41

≥ 11

0

Ghiaia (pietrame)con sabbia

0 0 ≤ 4 ≤ 8 ≤ 12 ≤ 16 ≤ 20

SabbiaGhiaia e sabbia

limosa o argillosa Limi Argille

Da eccellente a buono Da buono a scarso

Figura 1.19 – Sistema di classificazione HRB

Page 21: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

21

CAPITOLO 2 COSTIPAMENTO

In alcune applicazioni ingegneristiche, può manifestarsi talvolta la necessità di migliorare le caratteristiche del terreno, sia nelle sue condizioni naturali in sito, sia quando esso è impiegato come materiale da costruzione (p. esempio per dighe, rilevati, terrapieni, ecc..). Le tecniche di miglioramento del terreno possono essere di vario tipo, in particolare esi-stono: - tecniche di tipo meccanico; - tecniche di tipo chimico; - tecniche basate sull’induzione di fenomeni di natura termica o elettrica (che vengono

utilizzate soprattutto in maniera provvisoria). Altri metodi consistono nell’eliminare o ridurre la presenza dell’acqua (drenaggi); altri ancora nel sovraccaricare temporaneamente il terreno prima della realizzazione dell’opera in modo da esaurire preliminarmente un’aliquota dei cedimenti (precarico). Tra i metodi di tipo meccanico riveste particolare importanza il costipamento che consiste nell’aumentare artificialmente la densità del terreno, impiegato come materiale per la co-struzione di rilevati stradali e ferroviari, argini, dighe in terra, ecc.., attraverso l’applicazione di energia meccanica. L’obiettivo del costipamento è il miglioramento delle caratteristiche meccaniche del ter-reno, che comporta, in generale, i seguenti vantaggi: 1. riduzione della compressibilità (e quindi dei cedimenti) 2. incremento della resistenza (e quindi della stabilità e della capacità portante) 3. riduzione degli effetti che possono essere prodotti dal gelo, da fenomeni di imbibizio-

ne o di ritiro (legati alla quantità di vuoti presenti). Il primo ad occuparsi di questo fenomeno è stato l’ingegnere americano Proctor (1930), il quale ha evidenziato che il valore della densità secca alla fine del costipamento, ρd = γd/g, è funzione di tre variabili: − il contenuto d’acqua, w − l’energia di costipamento − il tipo di terreno (granulometria, composizione mineralogica, ecc.). In sito possono essere usate diverse tecniche di costipamento, in relazione alla natura del terreno da porre in opera ed eventualmente alla tipologia dei mezzi di cantiere disponibili; in laboratorio queste possono essere riprodotte attraverso differenti tipi di prova nelle quali il terreno viene disposto in un recipiente metallico di forma cilindrica, a strati suc-cessivi, che vengono via via compattati. In particolare, esistono quattro differenti tecniche di costipamento e quindi di tipi di prova: 1. prove statiche, in cui il terreno è sottoposto ad una pressione costante per un certo pe-

riodo di tempo mediante un pistone con area uguale a quella del recipiente; 2. prove kneading (to knead = massaggiare), nelle quali il terreno è sottoposto a inter-

valli regolari ad una compressione mediante un pistone che trasmette una pressione nota;

3. prove per vibrazione, in cui il recipiente in cui è contenuto il terreno viene fatto vibra-re con appositi macchinari.

Page 22: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

22

4. prove dinamiche o di urto, nelle quali il terreno è compattato con un pestello mecca-nico a caduta libera;

Le prime due tecniche vengono impiegate per terreni prevalentemente fini, le altre due per terreni prevalentemente a grana grossa. Tra le quattro sopra menzionate, le più usate sono quelle dell’ultimo tipo, di cui fanno parte le prove Proctor.

2.1 Prove Proctor L’attrezzatura per le prove Proctor è costitui-ta da un cilindro metallico di dimensioni standard dotato di un collare rimovibile e da un pestello di diametro pari alla metà di quel-lo del cilindro e di peso prefissato (Figura 2.1). In relazione alle caratteristiche dell’apparecchiatura e alle modalità di esecu-zione, le prove Proctor si distinguono in “standard” e “modificata” (Tabella 2.1). L’energia di costipamento della prova modi-ficata, che viene eseguita soprattutto per ter-reni di sottofondo e materiali per pavimenta-zioni stradali e aeroportuali, è superiore a quella della standard. La prova Proctor viene eseguita disponendo a strati una certa quanti-tà di terreno, preventivamente essiccata o ba-gnata, nel cilindro e compattandola con il pe-stello per un numero prefissato di colpi (25), assestati in una posizione prestabilita.

Guida Pestello Collare rimovibile

Cilindro metallico

2

Figura 2.1 – Attrezzatura utilizzata per le prove Proctor

Page 23: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

23

L’operazione viene ripetuta per un certo numero di strati (3 per la standard e 5 per la mo-dificata) fino a riempire il cilindro poco al di sopra dell’attaccatura col collare (Figura 2.1). Successivamente viene rimosso il collare, livellato il terreno in sommità, pesato il tutto e determinato il contenuto d’acqua, prelevando una porzione di terreno dal cilindro. Mediante il peso, P, e il volume, V, (noti) si ricava il peso di volume, γ, e, avendo deter-minato w, si può ricavare il peso di volume del secco, γd, ovvero la densità secca (ρd = γd/g, essendo g l’accelerazione di gravità) Si ha infatti:

)1( wwPP

VP

VP

VPP

VP

dddS

SWSWS +=⋅+=⋅+=+

== γγγγ (Eq. 2.1)

Quindi:

wd +=

1γγ (Eq. 2.2)

Tabella 2.1 – Caratteristiche dell’apparecchiatura e modalità di esecuzione della prova Proctor standard e modificata

Dimensioni del ci-lindro

Dimensioni del pestello Tipo di

prova Ø [cm]

H [cm]

V [cm3]

Ø [mm]

Peso[kg]

Numero degli strati

Numero colpi per

strato

Altezza caduta

pestello [cm]

Energia di costipamento[kg cm/cm3]

Standard AASHO 10.16 11.7 945 50.8 2.5 3 25 30.5 6.05

Modificata AASHO 10.16 11.7 945 50.8 4.54 5 25 45.7 27.5

2.2 Teoria del costipamento Analizzando i risultati ottenuti in laboratorio mediante l’esecuzione di prove Proctor è possibile descrivere il comportamento del terreno sottoposto a costipamento.

Supponiamo di eseguire la prova Proctor (quindi di impiegare la stessa tecnica di compattazione e la stessa quantità di energia) su alcuni campio-ni dello stesso terreno (5 o 6) aventi diversi contenuti d’acqua. Se, per cia-scun campione, riportiamo in un gra-fico (Figura 2.2) il valore del peso di volume del secco (o, indifferentemen-te, della densità secca) ottenuto al termine della prova in funzione del contenuto d’acqua corrispondente, e uniamo i vari punti, otteniamo una curva, detta “curva di costipamento” che presenta un tipico andamento a campana. Il valore del contenuto d’acqua corrispondente al valore mas-simo del peso di volume del secco

Maximum

w [%]

3γd

[kN/m ]

Saturazione 100%

90%

Optimum

Figura 2.2 – Curva di costipamento

Page 24: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

24

(detto “maximum”) è indicato come “contenuto d’acqua optimum” o “optimum Proc-tor”. Va sottolineato che il valore massimo del peso di volume del secco è relativo ad un valore di energia prefissato e ad una particolare tecnica di compattazione. Quindi, per un dato terreno, l’optimum, il maximum e l’andamento della curva dipendono dall’energia spesa e dal metodo di costipamento. I valori tipici del maximum variano intorno a 16 ÷ 20 kN/m3, mentre il massimo range di variazione è compreso tra 13 e 23 kN/m3; valori tipici dell’optimum variano intorno al 10% ÷ 20%, mentre il massimo range di variazione per l’optimum è compreso tra il 5% e il 40%. Per valori bassi del contenuto d’acqua, la resistenza del terreno è alta così che, a parità di energia di compattazione impiegata, risulterà più difficile ridurre i vuoti e quindi raggiun-gere elevati valori della densità secca; incrementando il contenuto d’acqua, la resistenza del terreno tende a diminuire, facilitando la rimozione dei vuoti, ed aumenta così il valore di densità secca raggiungibile fino al maximum ottenuto in corrispondenza del valore di optimum del contenuto d’acqua; per valori superiori all’optimum, avendo raggiunto un elevato grado di saturazione, le deformazioni avvengono pressoché a volume costante (l’acqua non riesce a filtrare verso l’esterno) e non consentono ulteriori riduzioni dell’indice dei vuoti, per cui si riduce anche il valore della densità secca ottenuto. Se per uno stesso tipo di terreno si uti-lizza la stessa tecnica di costipamento (p. es. quella della prova Proctor) va-riando l’energia (il numero di colpi), si ottiene una famiglia di curve con anda-mento simile. Al crescere dell’energia aumenta la densità secca massima e di-minuisce il contenuto d’acqua optimum. Con contenuti d’acqua superiori all’optimum le diverse curve tendono a confondersi in un’unica linea (Figura 2.3). Questo significa che per contenuti d’acqua inferiori all’optimum un au-mento dell’energia di costipamento ri-sulta più efficace in quanto riesce ad in-crementare la densità secca (cosa che può non accadere per contenuti d’acqua superiori all’optimum). La linea in cui si confondono i tratti terminali di tutte le curve risulta approssimativamen-te parallela alla curva di saturazione, che può essere determinata calcolando il valore del peso di volume del secco corrispondente al contenuto d’acqua in condizioni di saturazio-ne. Tale valore dipende solo dal peso di volume del solido γs. Infatti:

eVV

VVVV

VPVP S

S

V

S

S

S

S

SSSd +

=+

===1/

/ γγγ (Eq. 2.3)

w [%]

Saturazione 100%

90%

Linea dei puntidi optimum

Energiacrescente

d[kN/m ]

Figura 2.3 – Andamento della curva di costipa-mento al variare dell’energia di costipamento

Page 25: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

25

se il terreno è saturo:

WS

W

W

S

S

S

W

S

V wPP

PP

VV

VVe

γγ 1

⋅⋅=⋅⋅== (Eq. 2.4)

quindi:

W

S

Sd

wγγ

γγ

⋅+=

1

(Eq. 2.5)

per Sr < 100% invece:

WS

rW

W

S

S

Sr

W

S

V wSP

PPP

VSV

VVe

γγ 11

⋅⋅⋅=⋅⋅== (Eq. 2.6)

quindi:

W

Sr

rSd

wS

S

γγ

γγ

⋅+

⋅=

(Eq. 2.7)

Anche la linea congiungente i vari punti corrispondenti all’optimum per un dato terreno risulta all’incirca pa-rallela alla curva di saturazione; cioè per un dato terreno il massimo effetto di costipamento si ha per un certo grado di saturazione. A parità di energia di costipamento, le curve che si ottengono per differenti tipi di terreno sono molto diverse tra loro. In particolare si può osservare che (Figura 2.4): - la variazione del contenuto

d’acqua influenza la densità secca più per certi tipi di terreno e meno per altri;

- terreni in cui prevale la frazione fine raggiungono valori di densità secca più bassi;

- le sabbie ben assortite presentano valori della densità secca più ele-vati di quelle più uniformi e gli effetti del costipamento sono mol-to più marcati;

- per i terreni argillosi il maximum decresce all’aumentare della pla-sticità.

contenuto d’acqua, w [%]

linea disaturazione

1

2

3

4

5

01.4

dens

ità se

cca,

[M

g/m

]ρ d

3

1.6

1.8

2.0

2.2

10 20 30

1. Sabbia ben assortita con ghiaia e limo2. Miscela di ghiaia, sabbia, limo e argilla3. Argilla sabbiosa4. Sabbia fine uniforme5. Argilla molto plastica

Figura 2.4 – Curva ottenute per differenti tipi di ter-reno a parità di energia di costipamento

Page 26: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

26

2.3 Costipamento in sito Per il costipamento dei terreni in sito possono essere impiegate attrezzature diverse in re-lazione alle caratteristiche e al tipo di terreno e all’energia richiesta per il costipamento. Le tecniche impiegate possono trasmettere al terreno azioni meccaniche di tipo statico, di compressione e di taglio, o di tipo dinamico, di urto o vibrazione. In base al prevalere di uno dei due tipi di azioni le attrezzature per il costipamento si suddividono in due classi costituite rispettivamen-te dai mezzi prevalen-temente statici e preva-lentemente dinamici. In particolare, per il co-stipamento dei terreni a grana fine risultano ef-ficaci solo le attrezzatu-re della prima classe, mentre per il costipa-mento dei terreni granu-lari sono efficaci so-prattutto quelle del se-condo tipo. Nei mezzi prevalente-mente statici sono com-presi i rulli lisci, i rulli o carrelli gommati e i rulli a punte (Figura 2.5). I rulli lisci statici compattano per com-pressione e la loro azione è limitata alla parte più superficiale di terreno; hanno un peso generalmente compreso tra le 2 e le 20t e trasmettono pressioni dell’ordine di 30÷100 kg/cm su una striscia di un centimetro di generatrice. I rulli gommati sono costituiti da un cassone trasportato da un certo numero di ruote gommate; compattano sia con azione di compressione che di taglio per mezzo dei pneumatici. Rispetto ai rulli lisci agiscono più in profondità. I rulli a punte sono dotate di protrusioni di varia forma (es. rulli “a piè di pecora”) o di segmenti mobili che esercitano nel terreno un’azione di punzonamento e di taglio. La loro azione è limitata alla parte più superficiale di terreno.

Nella classe dei mezzi prevalentemente dinami-ci sono compresi i rulli lisci vibranti (Figura 2.6), le piastre vibranti e le piastre battenti. I rulli vibranti sono analoghi a quelli lisci, ma sono do-tati di pesi eccentrici che generano forze verticali di tipo sinusoidale che mettono in vibrazione il terreno; in genere sono

Figura 2.5 – Rullo compressore usato per terreni a grana fine

Figura 2.6 – Rullo compressore (vibratore) usato per terreni granu-lari

Page 27: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

27

poco efficaci in superficie, per cui nella fase finale vengono utilizzati senza vibrazione per costipare lo strato più superficiale di terreno. Le piastre vibranti sono formate da una piastra di acciaio sulla quale è posto un motore e una serie di masse eccentriche che gene-rano un moto sinusoidale verticale in grado di sollevare, spostare e far ricadere la piastra. Le piastre battenti consistono in una massa che viene ritmicamente sollevata e lasciata ri-cadere sul terreno; vengono usate soprattutto per costipare aree di dimensioni ridotte quando non possono essere utilizzati altre tecniche di costipamento. In sito il costipamento viene eseguito disponendo il terreno a strati successivi di qualche decina di centimetri; la scelta dello spessore e della quantità di energia (numero di pas-saggi con i rulli o di battute con le piastre) dipende dalle caratteristiche del materiale da compattare. Per i materiali a grana fine (A-4, A-5, A-6, A-7 della classificazione HRB) e per i materiali a grana grossa con percentuale elevata di fine (A-2) tale scelta è molto le-gata al valore del contenuto d’acqua; per i materiali a grana grossa (A-1, A-3) la compat-tazione è generalmente poco condizionata dal contenuto d’acqua. In genere i risultati ottenuti dal costipamento in sito vengono controllati e confrontati con quelli delle prove Proctor (standard o modificata) eseguite in laboratorio. La densità secca (o il peso di volume del secco) ottenuta dal costipamento in sito deve essere generalmente una percentuale prefissata (almeno l’85% ÷ 90%) di quella ottenuta in laboratorio. Per de-terminare la densità secca (o il peso di volume del secco) in sito, il procedimento è artico-lato nelle seguenti fasi: 1. viene scavata una porzione di

terreno e determinato il peso P e il contenuto d’acqua w;

2. viene misurato il volume di terreno scavato, V;

3. viene determinato il peso di volume totale (γ = P/V). Il pe-so di volume del secco può essere ricavato mediante la re-lazione (2.2) e confrontato con il valore di γdmax ottenuto con la prova Proctor.

Il punto 2 è quello che presenta le maggiori difficoltà. A questo sco-po i metodi più usati (Figura 2.7) sono: - il metodo della sabbia tarata

(figura 2.7a), in cui lo scavo viene riempito con una sabbia di caratteristiche note, il cui volume viene determinato per lettura sul recipiente che con-tiene la sabbia e per pesata;

cono

a)

valvolapiastra con fo ro

sabbia di carat teristiche note

Foglio di polietilene per terren i granulari

b)

Figura 2.7 – Metodi per la determinazione della densità in sito

Page 28: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 2 COSTIPAMENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

28

- il metodo dell’olio o dell’acqua (figura 2.7b) in cui il foro viene accuratamente rive-stito con una membrana di polietilene e successivamente riempito con acqua o olio.

In alternativa a questi metodi può essere utilizzato anche quello del nucleodensimetro, che consente una misura della densità e del contenuto d’acqua con procedimento non distrut-tivo ed è basato sulla misura dell’assorbimento di radiazioni nucleari.

Page 29: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

29

CAPITOLO 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Essendo il terreno un materiale multifase, il suo comportamento meccanico (compressibi-lità, resistenza), in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni esterne o, più in generale, ad una variazione delle condizioni esistenti, dipende dall’interazione tra le di-verse fasi. Lo studio di questa interazione, che rappresenta un problema estremamente complesso, può essere affrontato, in linea teorica, seguendo due tipi di approccio: − il primo consiste nell’analizzare il comportamento della singola particella, in relazio-

ne alle particelle circostanti e al fluido interstiziale, e nel determinare la risposta di un elemento di terreno a partire dalla modellazione del comportamento di un insieme di particelle;

− il secondo è basato su una trattazione di tipo più integrale, che prescinde dalle vicen-de dei singoli grani e analizza il comportamento globale del mezzo.

Il primo modo di procedere è talmente complesso da risultare di fatto inutilizzabile per le applicazioni ingegneristiche, cosicché nella pratica, con una pesante semplificazione dal punto di vista concettuale, un terreno saturo (salvo diversa indicazione ci riferiremo nel seguito a terreni totalmente saturi d’acqua) viene assimilato a due mezzi continui sovrap-posti, ovvero che occupano lo stesso volume, l’uno solido, l’altro fluido. Tale semplifica-zione implica che le proprietà di un elemento di terreno, infinitesimo o finito, siano le stesse, e che si possano estendere anche ai terreni i concetti di tensione e deformazione propri dei mezzi continui con le relative notazioni. Naturalmente è necessario stabilire una legge di interazione tra le fasi, ovvero tra i due continui solido e fluido che occupano lo stesso volume di terreno. Tale legge è il princi-pio delle tensioni efficaci, enunciato da Karl Terzaghi nel 1923.

3.1 Principio delle tensioni efficaci Le esatte parole con cui Terzaghi enuncia il principio delle tensioni efficaci alla 1a Confe-renza Internazionale di Meccanica delle Terre (Londra, 1936) sono le seguenti:

“The stress in any point of a section through a mass of soil can be computed from the total principal stresses σ1, σ2 and σ3 which act at this point. If the voids of the soil are filled with water under a stress u the total principal stresses consist of two parts. One part u acts in the water and in the solid in every direction with equal in-tensity. It is called the neutral stress (or the pore pressure). The balance σ1’ = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, and σ’3 = σ3 – u represents an excess over the neutral stress u and it has its seat exclu-sively in the solid phase of the soil. This fraction of the total principal stress will be called the effective principal stress”.

“Le tensioni in ogni punto di una sezione attraverso una massa di terreno possono es-sere calcolate dalle tensioni principali totali σ1, σ2 e σ3 che agiscono in quel punto. Se i pori del terreno sono pieni d’acqua ad una pressione u, le tensioni principali totali pos-sono scomporsi in due parti. Una parte, u, agisce nell’acqua e nella fase solida in tutte le direzioni con eguale intensità, ed è chia-mata pressione neutra (o pressione di pori). Le differenze σ1’ = σ1 – u, σ’2 = σ2 – u, e σ’3 = σ3 – u rappresentano un incremento rispetto alla pressione neutra ed hanno sede esclusivamente nella fase solida del terreno. Questa frazione della tensione totale princi-pale sarà chiamata tensione principale effi-cace”.

Page 30: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

30

“All measurable effects of a change of stress, such compression, distortion and a change of shearing resistance, are exclu-sively due to changes in the effective stresses”.

“Ogni effetto misurabile di una variazione dello stato di tensione, come la compressio-ne, la distorsione e la variazione di resisten-za al taglio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”.

Si osservi che: − Terzaghi non attribuisce alcun significato fisico alle tensioni principali efficaci, ma le

definisce semplicemente come differenza tra tensioni principali totali e pressione in-terstiziale;

− le tensioni principali efficaci non sono dunque direttamente misurabili, ma possono essere desunte solo attraverso la contemporanea conoscenza delle tensioni principali totali e della pressione interstiziale;

− il principio delle tensioni efficaci è una relazione di carattere empirico (come si de-sume dal fatto che Terzaghi precisa che “Ogni effetto misurabile.....), sebbene sia sta-to finora sempre confermato dall’evidenza sperimentale.

In definitiva per studiare il comportamento meccanico di un terreno saturo ci si riferisce a due mezzi continui sovrapposti e mutuamente interagenti, e si definiscono in ogni punto il tensore delle tensioni totali, il tensore delle pressioni interstiziali (isotropo) e, per diffe-renza, il tensore delle tensioni efficaci. Importanti implicazioni del principio delle tensioni efficaci sono: una variazione di tensione efficace comporta una variazione di resistenza, se non vi è variazione di tensione efficace non varia la resistenza, una variazione di volume è sempre accompagnata da una variazione di tensione effi-

cace, una variazione di tensione efficace non comporta necessariamente una variazione di

volume, condizione necessaria e sufficiente affinché si verifichi una variazione di stato tensio-

nale efficace è che la struttura del terreno si deformi, la deformazione può essere vo-lumetrica, di taglio o entrambe.

Un’interpretazione fisica approssimata del concetto di tensione efficace può essere data nel modo seguente: si consideri una superfi-cie immaginaria (di area trasversale pari ad At) che divida in due parti un elemento di ter-reno saturo senza sezionare le particelle di terreno (Figura 3.1). Se indichiamo con: − Ac l’area dei contatti intergranulari, − u la pressione dell’acqua nei pori, la forza totale verticale, Ft,v , agente sulla su-perficie, è data dalla somma delle componen-ti verticali delle forze trasmesse dai grani in corrispondenza delle aree di contatto e dalla risultante della pressione dell’acqua nei pori, agente in corrispondenza delle zone di con-tatto acqua- superficie, ovvero:

Figura 3.1 – Schema adottato per l’interpretazione del principio delle tensioni efficaci

At

F1 F2 F3 F4 F5 F6

F7

σ

Page 31: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

31

Ft,v = Σ Fi,v + u (At – Ac) (Eq. 3.1) Dividendo tutto per At e indicando con σ = (Ft,v /At), la tensione verticale totale media sulla superficie considerata, per l’equilibrio in direzione verticale si ha:

σ = Σ Fi,v/At + u (1 – Ac/At). (Eq. 3.2)

Posto Σ Fi,v/At = σ’, tensione efficace, e tenuto conto che l’area dei contatti intergranulari è trascurabile rispetto all’area totale (Ac<< At), si ottiene infine: σ = σ’ + u (Eq. 3.3) ovvero l’equazione del principio degli sforzi efficaci. A commento di quanto sopra detto, è opportuno evidenziare che: − la tensione efficace, σ’, rappresenta la somma delle forze intergranulari riferita

all’area totale della sezione considerata (quindi una tensione media sulla sezione) e non la pressione esistente in corrispondenza delle aree di contatto, che risulta molto maggiore di σ’ (essendo l’area di contatto molto piccola);

− nel caso dei minerali argillosi, il termine σ’ include anche le azioni elettromagnetiche (di attrazione e repulsione) tra le particelle, che non risultano trascurabili rispetto alle pressioni intergranulari; anzi, per argille ad alta plasticità, dove potrebbero anche non esistere contatti intergranulari, σ’ rappresenta la risultante delle forze di attrazione e di repulsione tra le particelle;

− l’ipotesi di trascurare il rapporto AC/AT non è sempre valida per tutti i mezzi granula-ri1;

Per capire meglio il principio delle tensioni efficaci, consideriamo un recipiente contenen-te della sabbia immersa in acqua (Figura 3.2a), in modo che il livello dell’acqua sia coin-cidente con quello della sabbia (tutti i pori tra i grani sono pieni d’acqua, il terreno è satu-ro). Se immaginiamo di aggiungere sopra la sabbia uno strato di pallini di piombo (Figura 3.2b), si avrà un incremento di pressioni totali, ∆σ, e un conseguente abbassamento, ∆h, del livello superiore della sabbia. In questo caso, i pallini trasmettono le sollecitazioni di-rettamente allo scheletro solido, la pressione dell’acqua all’interno dei pori (pressione in-terstiziale) non cambia, l’incremento di tensione efficace è pari a quello di tensione totale (∆σ’ = ∆σ); la variazione delle tensioni efficaci produce degli effetti sul comportamento meccanico del terreno e induce dei cedimenti. Se invece immaginiamo di innalzare il livello dell’acqua (Figura 3.2c), nel recipiente con-tenente sabbia e acqua, si avrà un incremento di pressione totale dovuto unicamente ad un incremento del carico idrostatico, che produce in ciascun punto un analogo incremento

1 A titolo di esempio, consideriamo due diversi mezzi granulari: una sabbia omogenea, per la quale si può ragionevolmente assumere un valore molto piccolo di AC/AT ( = 0.01) e un insieme di pallini di piombo, per i quali il valore del rapporto AC/AT è maggiore e vale approssimativamente 0.3 (in quanto a parità di dimen-sioni, forma e tensione totale agente su di essi, la deformabilità risulta più grande per i pallini di piombo con un conseguente aumento dell’area di contatto tra le particelle). Assumiamo inoltre, per entrambi i mezzi granulari: σ = 100kPa e u = 50kPa, e quindi per il principio delle tensioni efficaci σ’ = σ – u = 50kPa. Per la sabbia si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.01) = 50.5 kPa ≈ σ’ e la pressione verticale media di contatto interparticellare è molto elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT / AC) = 50.5/0.01 = 5050 kPa. Per i pallini di piombo invece si ha: Σ Fi,v/At = σ - u (1 – Ac/At) =100 – 50·(1 – 0.3) = 65 kPa ≠ σ’ e la pressione verticale media di contatto interparticellare è molto meno elevata e vale: Σ Fi,v/AC = (Σ Fi,v/AT)·(AT / AC) = 65/0.3 = 216.7 kPa.

Page 32: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

32

della pressione interstiziale. In questo caso ∆σ = ∆u e ∆σ’ = 0; non avendo variazioni delle tensioni efficaci non si hanno né effetti sul comportamento meccanico del terreno né cedimenti.

(a) (b)

∆h

Pallini di piombo

(c) Figura 3.2 – Effetti della variazione delle tensioni totali sulle tensioni efficaci: (a) condizione ini-ziale; (b-c) Eguale incremento di tensione totale, ∆σ, testimoniato dalla medesima variazione di peso registrata dalla bilancia; (b) ∆σ = ∆σ’, ∆u = 0 produce l’effetto misurabile del cedimento ∆h; (c) ∆σ = ∆u, ∆σ’ = 0 non si ha alcun effetto misurabile

3.2 Tensioni geostatiche In molti problemi di ingegneria geotecnica può essere necessario stimare l’effetto che una perturbazione, come ad esempio l’applicazione di un carico in superficie, lo scavo di una trincea o l’abbassamento del livello di falda, produce sul terreno in termini di resistenza e di deformazione. A tal fine è necessario prima stimare le variazioni dello stato di sollecitazione indotto dal-la perturbazione nel terreno, e poi applicare la legge costitutiva, ovvero le relazioni che permettono di stimare, date le variazioni di tensione, le conseguenti deformazioni, imme-diate e/o ritardate, del terreno. Poiché quasi mai il terreno può essere assimilato ad un mezzo elastico lineare, le deformazioni indotte dalla variazione di stato tensionale dipen-dono anche dallo stato tensionale iniziale del terreno, ovvero precedente alla perturbazio-ne, e dalla storia tensionale e deformativa che il terreno ha subito fino a quel momento. Perciò è molto importante stimare lo stato tensionale dovuto al peso proprio del terreno (tensioni geostatiche), che di norma corrisponde allo stato tensionale iniziale. La conoscenza dello stato tensionale iniziale in sito è dunque un punto di partenza fon-damentale per la soluzione di qualunque problema di natura geotecnica. In assenza di carichi esterni applicati, le tensioni iniziali in sito sono rappresentate dalle tensioni geostatiche (o litostatiche), ovvero dalle tensioni presenti nel terreno allo stato naturale, indotte dal peso proprio. Tali tensioni sono legate a molti fattori ed in particolare: − alla geometria del deposito, − alle condizioni della falda,

Page 33: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

33

− alla natura del terreno (caratteristiche granulometriche e mineralogiche, stato di ad-densamento o di consistenza, omogeneità, isotropia),

− alla storia tensionale (con il termine storia tensionale si intende comunemente la se-quenza di tensioni, in termini di entità e durata, che hanno interessato il deposito dall’inizio della sua formazione alle condizioni attuali),

e la loro determinazione è, in generale, piuttosto complessa. Se consideriamo all’interno di un deposito di terre-no un generico punto P, con rife-rimento ad un e-lemento cubico infinitesimo di terreno, i cui lati sono orientati se-condo un sistema di riferimento cartesiano orto-normale (0,x,y,z) con asse z verti-cale, lo stato ten-sionale può essere definito una volta note le compo-

nenti normali, σ, e tangenziali, τ, delle tensioni agenti sulle facce dell’elemento di terreno considerato (Figura 3.3). Tali tensioni sono legate tra loro ed alle componenti dPx, dPy e dPz delle forze di volume, presenti nell’elemento, attraverso le equazioni indefinite di e-quilibrio alla traslazione e alla rotazione:

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

=+⋅⋅∂

∂+⋅⋅

∂∂

+⋅⋅∂

=+⋅⋅∂

∂+⋅⋅

∂+⋅⋅

=+⋅⋅∂

∂+⋅⋅

∂∂

+⋅⋅∂

0dPdzdydxy

dzdydxx

dzdydxz

0dPdzdydxz

dzdydxx

dzdydxy

0dPdzdydxz

dzdydxy

dzdydxx

zyzxzz

yzyxyy

xzxyxx

ττσ

ττσ

ττσ

⎪⎩

⎪⎨

===

yzzy

xzzx

yxxy

ττττττ

(Eq. 3.4)

Nel caso di: − piano di campagna orizzontale ed infinitamente esteso − uniformità orizzontale delle proprietà del terreno (quindi terreno omogeneo od e-

ventualmente stratificato, con disposizione orizzontale degli strati) − falda orizzontale e in condizioni di equilibrio idrostatico

si realizza per ragioni di simmetria uno stato tensionale assial-simmetrico rispetto all’asse z, in cui in ogni punto il piano orizzontale e tutti i piani verticali sono principali e le tensioni orizzontali sono tra loro uguali, in tutte le direzioni. Lo stato tensionale totale in un generico punto P può essere dunque univocamente defini-to mediante una tensione totale verticale, σz = σv, e una tensione totale orizzontale, σh = σx = σy (Figura 3.4).

y

z

zx

xy

xz

yx

zy

yz

x

y

x

z

O

σ

σ

σ

ττ

τ

τ

τ

τ

Figura 3.3 – Stato tensionale di un elemento infinitesimo di terreno

Page 34: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

34

Le equazioni indefinite dell’equilibrio, (3.4), considerando che le forze di volume sono rappresentate dalla sola forza peso dPz = - dP = - γ dx dy dz, risultano così semplificate:

⎪⎪

⎪⎪

=∂

=∂

∂=

∂∂

γσ

σσ

z

0yx

v

hh

(Eq. 3.5)

Figura 3.4 – Stato tensionale assial-simmetrico e tensioni geostatiche nel terreno

3.2.1 Tensioni verticali

Integrando l’equazione ottenuta dall’equilibrio in direzione verticale, è possibile ricavare il valore della pressione verticale totale alla profondità z:

∫=z

0v dz)z(γσ (Eq. 3.6)

Vale la pena evidenziare che le tensioni litostatiche vengono spesso indicate con il simbo-lo “0” a pedice, per sottolineare che si tratta di condizioni iniziali (di partenza per il pro-blema geotecnico di interesse). Se il deposito è omogeneo (γ costante con la profondità) e σv = 0 per z = 0 (assenza di ca-richi verticali sul piano di campagna) e la superficie piezometrica coincide col piano di campagna (zw = 0) si ha, dall’equazione : σvo = γ ⋅ z (Eq. 3.7) dove γ rappresenta il peso di volume saturo del terreno sovrastante2. Nel caso di deposito costituito da più strati orizzontali caratterizzati da valori di γ diversi (costanti all’interno di ciascuno strato), il valore della pressione verticale totale alla pro-fondità z è dato invece da:

σvo = Σi γi ⋅ ∆zi (Eq. 3.8) essendo ∆zi lo spessore dello strato i-esimo compreso entro la profondità z.

2 Nel caso in cui la superficie piezometrica sia al di sopra del piano di campagna ad una distanza H, allora la tensione verticale totale è data da: σvo = γ z + γw ⋅ H mentre nel caso in cui sia al di sotto del piano di cam-pagna ad una profondità zw, allora la tensione verticale totale è: σvo = γsat ⋅( z - zw) + γ ⋅ zw, dove γ rappresen-ta il peso di volume del terreno al di sopra della falda (in genere parzialmente saturo a causa di fenomeni di risalita capillare) e γd < γ < γsat.

z

zw

dP

σv

dzz

vv ∂

∂+

σσ

σh

σh

x

Page 35: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

35

È da osservare che anche all’interno di uno stesso strato γ può variare con la profondità (anche per effetto del solo peso proprio l’indice dei vuoti di un terreno diminuisce al cre-scere della profondità e conseguentemente aumenta il suo peso di volume); in tal caso si è soliti suddividere il deposito in sottostrati per i quali viene assunto γ costante. La pressione verticale efficace, σv’, non è invece determinabile direttamente; una volta determinato il valore della pressione verticale totale, σv, è necessario perciò valutare an-che il valore della pressione dell’acqua nei pori, ossia il valore della pressione interstizia-le, u, in modo da poter applicare l’equazione del principio delle pressioni efficaci (3.3). In condizioni di falda in quiete, la pressione dell’acqua, u, può essere ricavata una volta nota la posizione della superficie piezometrica, che è per definizione il luogo dei punti in cui la pressione dell’acqua è uguale alla pressione atmosferica, ua (in pratica la pressione dell’acqua u può essere rilevata utilizzando varie tecniche di misura che verranno descrit-te in uno dei capitoli seguenti). Poiché convenzionalmente si assume ua = 0, si ha, all’interno di un deposito reale, u>0 sotto la superficie piezometrica e u<0 sopra (specie per terreni coesivi per la presenza di fenomeni di risalita capillare). Essendo la determinazione dei valori u<0 molto incerta, si è soliti assumere u = 0 al di sopra della superficie piezometrica, commettendo consape-volmente un errore che, nella maggior parte dei casi è a favore della sicurezza. In ciascun punto al di sotto della superficie piezometrica, e in assenza di moto di filtra-zione, la pressione dell’acqua, uguale in tutte le direzioni, è pari al valore idrostatico3, ov-vero: u = γw z (Eq. 3.9) essendo z la profondità del punto considerato rispetto alla superficie piezometrica. Pertan-to, avendo assunto un sistema di riferimento con l’asse z verticale discendente e origine sul piano campagna, se la superficie piezometrica si trova a profondità zw, il valore della pressione interstiziale a profondità z è pari a: u = 0 per z < zw u = γw⋅ (z-zw) per z ≥ zw (Eq. 3.10)

Ricordando l’espressione generale di σv, si ha quindi:

σ ’vo = σvo - u = σvo = Σi γi ⋅ ∆zi per z < zw

σ ’vo = σvo - u = Σi γi ⋅ ∆zi – γw⋅(z-zw) per z ≥ zw (Eq. 3.11)

3.2.2 Tensioni orizzontali

Al contrario di quanto accade per le pressioni verticali, la determinazione delle pressioni orizzontali in un deposito risulta incerta, poiché le equazioni che si ricavano dall’equilibrio alle traslazioni in direzione orizzontale, (3.5), forniscono σh = costante e quindi non danno nessuna informazione utile. Non essendo pertanto possibile una loro determinazione analitica, è necessario ricorrere ad evidenze sperimentali. L’osservazione condotta sperimentalmente su depositi di diffe-rente origine e composizione, ha evidenziato che il valore di σ’h dipende, oltre che:

3 Infatti nella maggior parte dei casi i vuoti nei terreni sono fra loro comunicanti e quindi sotto falda sono saturi d’acqua. In alcuni casi ciò non è vero: ad esempio in alcuni terreni di origine vulcanica, come i terreni di Sarno

Page 36: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

36

− dalla geometria del deposito, − dalle condizioni della falda, − dalla natura del terreno (analogamente a quanto accade per σ’v), anche dalla storia tensionale del deposito. Per meglio comprendere l’influenza della storia tensionale del deposito sul valore della tensione orizzontale, si faccia riferimento ad un caso di sedimentazione in ambiente lacu-stre su un’area molto estesa in direzione orizzontale. La tensione verticale totale nel punto P (Figura 3.5a), in corrispondenza del piano di campagna, è inizialmente uguale alla pressione interstiziale, quindi la tensione efficace verticale risulta nulla. Durante la deposizione, dopo un certo periodo di tempo, il terreno nel punto P si trova ad una certa profondità z dal piano di campagna, e una volta raggiun-to l’equilibrio sotto l’azione del peso del terreno sovrastante, si osserva che la pressione interstiziale è rimasta immutata, mentre per effetto del peso del terreno sovrastante, è au-mentata la tensione verticale totale e con essa, per il principio delle tensioni efficaci, an-che la tensione efficace verticale, σ’v(A).

P

e

σ’ (log)v

∆σ’v

∆e

(A)

A

BC

a) b)

(B)(C)

Figura 3.5 - Sedimentazione in ambiente lacustre (a) e linea di compressione vergine (b)

Il terreno in tale punto ha subito una compressione assiale (εz) senza deformazioni laterali (εx = εy = 0), per ragioni di simmetria, considerando il deposito infinitamente esteso in di-rezione orizzontale. Quindi risulta che la deformazione volumetrica, εv, è legata alla va-riazione di altezza ∆H e dell’indice dei vuoti ∆e del terreno dalla seguente relazione:

0321 H

Hzv

∆==++= εεεεε (Eq. 3.12)

dove4:

00

10

0

10

0

10

0 11////)()(

ee

eee

VVVVVVVV

VVVVVV

VV

sssv

svsv

sv

svsvv +

∆=

+−

=+−

=+

+−+=

∆=ε (Eq. 3.13)

da cui quindi risulta che:

00 1 ee

HH

+∆

=∆ (Eq. 3.14)

Tale fenomeno di deformazione monodimensionale verrà ripreso ed approfondito nel Ca-pitolo 7 e può essere descritto riportando su un grafico in scala semilogaritmica la tensio-ne efficace verticale nel punto P considerato e l’indice dei vuoti corrispondente, raggiunto

4 Si assume che il volume dei solidi Vs rimanga costante nell’ipotesi di incompressibilità dei grani

Page 37: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

37

al procedere della deposizione del materiale. I valori si dispongono su una retta detta li-nea di compressione vergine (linea ABC in Figura 3.5b). In queste condizioni di deformazioni orizzontali impedite dovute alla particolare geome-tria e simmetria del deposito, l’incremento delle tensioni efficaci orizzontali è sempre proporzionale al corrispondente incremento delle tensioni efficaci verticali, secondo un coefficiente detto coefficiente di spinta a riposo (“a riposo” significa in assenza di de-formazioni laterali):

'vo

'ho

oKσ∆σ∆

= (Eq. 3.15)

In particolare durante la fase di deposizione del materiale, tale coefficiente rimane costan-te al variare della tensione efficace verticale raggiunta e dipende solo dalla natura del ter-reno. In una situazione di questo genere, in cui la tensione efficace verticale geostatica, σ’v0, coincide con la tensione efficace verticale massima sopportata dal deposito in quel punto durante la sua storia, si parla di terreno normalconsolidato (o normalmente conso-lidato, indicato con il simbolo NC). Supponiamo ora che alla fase di sedimentazione segua una fase di erosione (Figura 3.6a), e conseguentemente il deposito nel punto P, raggiunta la situazione rappresentata dal pun-to C in Figura 3.5b, subisca uno scarico tensionale con riduzione della tensione efficace verticale, fino al valore σ’v(D), e conseguente incremento dell’indice dei vuoti.

P

e

σ’ (log)v

D C

E

a) b)

(C)

(D)

(E)

Figura 3.6 - Fase di erosione e sedimentazione (a) e linea di scarico e ricarico (b)

Riportando i valori di tensione efficace verticale raggiunti in funzione dell’indice dei vuo-ti (Figura 3.6b) si osserva che lo scarico non avviene sulla stessa linea di compressione vergine (corrispondente alla fase di sedimentazione), ma su una retta di pendenza note-volmente inferiore (linea di scarico), dove a parità di tensione efficace verticale raggiun-ta, il terreno presenta, rispetto alla fase di sedimentazione, una struttura più stabile, carat-terizzata da una maggiore resistenza al taglio e da una minore compressibilità (fenomeno di preconsolidazione). In una situazione di questo genere in cui la tensione efficace verti-cale massima subita dal deposito nel punto considerato, σ’v(C), detta pressione di precon-solidazione ed indicata con σ’c, è maggiore della tensione efficace verticale geostatica, il terreno si definisce sovraconsolidato (indicato con il simbolo OC) e l’entità della sovraconsolidazione, legata all’ampiezza dello scarico e quindi al valore della tensione efficace verticale raggiunta, σ’v(D), è rappresentata dal grado di sovraconsolidazione, OCR (OverConsolidation Ratio):

0v

c

''OCR

σσ

= (Eq. 3.16)

Page 38: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

38

dove la pressione di preconsolidazione σ’c è usualmente determinata da prove di laborato-rio su campioni indisturbati5. Al procedere dello scarico tensionale anche la tensione efficace orizzontale si riduce, ma non in modo proporzionale alla riduzione della tensione efficace verticale, cosicché il co-efficiente di spinta a riposo, che si indica col simbolo K0(OC), aumenta al diminuire della tensione efficace verticale raggiunta (e quindi all’aumentare di OCR). Infine se il deposito è soggetto a una nuova fase di deposizione, con conseguente incre-mento delle tensioni efficaci verticali a partire dal punto indicato con D in Figura 3.6, il terreno si muove su una linea pressoché parallela a quella di scarico (linea di ricarico) fi-no al raggiungimento della pressione di preconsolidazione, σ’v(C), raggiunta la quale il terreno ritorna a comportarsi come un terreno normalconsolidato e a ripercorrere la linea di compressione inziale. Il coefficiente Ko, può essere valutato a partire dai risultati di alcune prove in sito (che ve-dremo nei capitoli seguenti); frequentemente viene stimato per mezzo di relazioni empiri-che a partire da parametri di più semplice determinazione (p. es. dalla densità relativa per i terreni a grana grossa o dall’indice di plasticità per terreni a grana fine). Ko per i terreni normalconsolidati (solitamente indicato col simbolo K0(NC)) varia gene-ralmente tra 0.4 e 0.8; in genere si hanno valori più bassi per terreni granulari, più alti per limi e argille.

Per terreni coesivi NC, le relazioni em-piriche esistenti in letteratura legano generalmente Ko a Ip, con Ko linear-mente crescente con Ip. Un esempio è riportato in Figura 3.7. Per terreni incoerenti NC esistono in letteratura correlazioni tra Ko e DR, nel-le quali Ko decresce al crescere di DR. Un esempio è riportato in Figura 3.8. In generale, per tutti i tipi di terreno, viene spesso utilizzata la seguente rela-zione di Jaky semplificata:

dove φ’ è l’angolo di resistenza al ta-glio (parametro che verrà definito nel capitolo relativo alla resistenza). Per terreni sovraconsolidati, Ko può

raggiungere valori anche maggiori di 1, e può essere stimato a partire dal valore di Ko del medesimo terreno normalconsolidato, mediante una relazione del tipo: Ko (OC) = Ko (NC)⋅ OCRα (Eq. 3.18)

dove α è un coefficiente empirico legato alla natura del terreno.

5 Nel caso in cui la sovraconsolidazione sia di origine meccanica (dovuta cioè a fenomeni di erosione o di innalzamento del livello di falda) il grado di sovraconsolidazione risulta massimo in prossimità della super-ficie del deposito e tende all’unità all’aumentare della profondità.

Indice di plasticità, Ip

Indisturbato

Disturbato o ricostituito in laboratorio

Coe

ffici

ente

di s

pint

a a

ripos

o, K

0

Figura 3.7 – Correlazione tra il coefficiente di spin-taa riposo, K0, ottenuto da prove di laboratorio, e l’indice di plasticità, Ip

Ko ≅ 1- sin φ’ (Eq. 3.17)

Page 39: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

39

Per terreni coesivi viene spesso as-sunto α ≅ 0.5; esistono in letteratu-ra correlazioni che lo legano a Ip, del tipo α = a⋅ Ip

-b , in cui α risulta una funzione decrescente di Ip. Per terreni incoerenti la determina-zione sperimentale di OCR, che ri-chiede il prelievo di campioni indi-sturbati, non è generalmente possi-bile. Perciò, anche se esistono al-cune relazioni empiriche di lettera-tura tra α e DR (un esempio è ripor-tato in Figura 3.9), il coefficiente di spinta a riposo in depositi OC di terreno incoerente, viene più op-portunamente determinato median-te prove in sito.

In conclusione, in un qualunque punto del deposito, noto il valore della pressione verticale efficace litostatica, σ’vo, e noto il coefficiente di spinta a riposo, Ko, il valo-re della pressione orizzontale efficace li-tostatica, σ’ho, può essere ricavato me-diante la relazione:

per definizione stessa di Ko. Dal valore della pressione orizzontale ef-ficace è possibile poi ricavare il valore della pressione orizzontale totale, sfrut-tando di nuovo la formulazione del prin-cipio delle pressioni efficaci e sommando il valore di u (già calcolato, essendo, co-

me sottolineato in precedenza, la pressione dell’acqua un tensore sferico, isotropo) a σ’ho, ovvero:

Riassumendo, sotto opportune ipotesi semplificative iniziali, noti: - il peso di volume sopra e sotto falda, - la posizione della superficie piezometrica, - il coefficiente di spinta a riposo, è possibile definire completamente lo stato tensionale geostatico all’interno di un deposi-to, che normalmente coincide con lo stato tensionale iniziale, la cui conoscenza, è, come già osservato, un punto di partenza indispensabile per la soluzione di qualunque problema geotecnico.

Figura 3.8 – Correlazione tra il coefficiente di spinta a riposo per terreni normalconsolidati, K0(NC),e la densi-tà relativa, Dr

Figura 3.9 – Variazione dell’esponente α con la densità relativa, Dr

σ’ho = Ko⋅σ’vo (Eq. 3.19)

σ ho = σ’ho + u (Eq. 3.20)

Page 40: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

40

3.2.3 Influenza dell’oscillazione del livello di falda sulle tensioni efficaci

Si consideri un deposito, ipotizzato per semplicità omogeneo, caratterizzato da un peso di volume umido γ , sopra falda, e da un peso di volume saturo, γsat, sotto falda. a) Supponiamo inizialmente la falda ad una profondità zw1 dal piano di campagna, e de-terminiamo l’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali con la profondità (Figura 3.10a). In particolare utilizzando la (3.7) si ottiene l’andamento delle tensioni verticali totali (nell’ipotesi che il terreno non sia completamente saturo al di so-pra della falda):

⎩⎨⎧

≥⋅+−⋅=<⋅=

1w1w1wsat1v

1w1v

zzperz)zz(zzperz

γγσγσ

mentre dalla (3.10) si ottiene l’andamento delle pressioni interstiziali:

⎩⎨⎧

≥−⋅=<=

1w1ww1

1w1

zzper)zz(uzzper0u

γ

Infine, per differenza, (3.3), si ottiene l’andamento delle tensioni efficaci:

⎪⎩

⎪⎨

≥⋅+−=⋅+−−=−−⋅+−=

<⋅=

1w1w1w1w1wwsat

1ww1w1wsat1v

1w1v

zzperz)zz('z)zz)(()zz(z)zz('

zzperz'

γγγγγγγγσ

γσ

p.c

(a)

(a)

(a)( a)

(b)

(b) (b)(b)

zw1

z

σv

zw2

z

u σ’v

z

Figura 3.10 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sotto del piano di campagna, sulle tensioni efficaci

Supponendo che la falda si abbassi ad un livello zw2 > zw1, l’andamento delle tensioni to-tali, delle pressioni interstiziali e delle tensioni efficaci risulta così modificato (Figura 3.10 b):

⎩⎨⎧

≥⋅+−⋅=<⋅=

2w2w2wsat2v

2w2v

zzperz)zz(zzperz

γγσγσ

⎩⎨⎧

≥−⋅=<=

2w2ww2

2w2

zzper)zz(uzzper0u

γ

⎩⎨⎧

≥⋅+−=<⋅=

2w2w2w2v

2w2v

zzperz)zz(''zzperz'

γγσγσ

Supponendo che il peso di volume del terreno sopra falda sia lo stesso per le due condi-zioni esaminate, la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è data da:

Page 41: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

41

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅−=−=∆<<−⋅−=−=∆

<=−=∆

2w2w1wsat1v2vv

2w1w1wsat1v2vv

1w1v2vv

zzper)zz()(zzzper)zz()(

zzper0

γγσσσγγσσσ

σσσ

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅=−=∆<<−⋅=−=∆

<=−=∆

2w2w1ww12

2w1w1ww12

1w12

zzper)zz(uuuzzzper)zz(uuu

zzper0uuu

γγ

⎪⎩

⎪⎨

≥−⋅−=−=∆<<−⋅−−=−=∆

<=−=∆

2w1w2w1v2vv

2w1w1w1v2vv

1w1v2vv

zzper)zz()'('''zzzper)zz()'('''

zzper0'''

γγσσσγγσσσ

σσσ

Dalle relazioni precedenti si osserva che, essendo zw2 > zw1 e γsat > γ > γ’, le tensioni totali e le pressioni interstiziali, tranne che nello strato al di sopra del livello di falda iniziale dove rimangono invariate, diminuiscono; la variazione, di entità differente nei due casi, è costante con la profondità al di sotto del livello finale della falda. Conseguentemente le tensioni efficaci aumentano provocando nel terreno un incremento della resistenza al ta-glio ed una compressione che ne determina un cedimento. b) Supponiamo ora che la variazione del livello di falda avvenga al di sopra del piano di campagna (Figura 3.11), cioè che la falda si abbassi da una quota h1 rispetto al piano di campagna ad una quota h2 < h1, mantenendosi sempre al disopra del piano di campagna. L’andamento delle tensioni totali, efficaci e delle pressioni interstiziali all’interno del de-posito, prima (Figura 3.11a) e dopo l’abbassamento (Figura 3.11b), risulta il seguente:

1wsat1v hz ⋅+⋅= γγσ )hz(u 1w1 +⋅= γ

z'' 1v γσ =

2wsat2v hz ⋅+⋅= γγσ )hz(u 2w2 +⋅= γ

z'' 2v γσ =

p.c

(a)

(a)

(a)

(a)=(b)

(b)

(b)(b)

h2

z

σv

h1

z

u σ’v

z

Figura 3.11 – Effetto dell’abbassamento della falda, al di sopra del piano di campagna, sulle ten-sioni efficaci

Page 42: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 3 PRINCIPIO DELLE TENSIONI EFFICACI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

42

Quindi la variazione corrispondente delle pressioni totali efficaci e interstiziali è pari a : )hh( 121v2vv w

−⋅=−=∆ γσσσ )hh(uuu 1212 w

−⋅=−=∆ γ 0''' 1v2vv =−=∆ σσσ

Da cui si osserva che la diminuzione delle tensioni totali è sempre uguale alla variazione delle pressioni interstiziali e, a parte il primo tratto compreso tra la quota iniziale e finale della falda dove cresce linearmente con la profondità, è sempre costante. Conseguente-mente la variazione delle tensioni efficaci è sempre nulla, ciò significa che l’abbassamento della falda in questo caso provoca una diminuzione delle tensioni totali che si scarica interamente sul campo fluido e non modifica il regime delle tensioni effica-ci e quindi la resistenza al taglio del terreno.

Page 43: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

43

CAPITOLO 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Nell’affrontare la maggior parte dei problemi dell’Ingegneria Geotecnica non si può pre-scindere dalla presenza dell’acqua nel terreno. L’acqua che viene direttamente a contatto con la superficie del terreno, o raccolta da fiu-mi e laghi, tende ad infiltrarsi nel sottosuolo per effetto della gravità e, se si eccettua una percentuale trascurabile che si accumula all’interno di cavità sotterranee, la maggior parte di essa va a riempire, parzialmente o completamente, i vuoti presenti nel terreno e le fes-sure degli ammassi rocciosi. In particolare, nel caso di depositi di terreno, si possono distinguere, al variare della pro-fondità, zone a differente grado di saturazione e in cui l’acqua presente nei vuoti si trova in condizioni diverse. Partendo dalla superficie del piano campagna e procedendo verso il basso, si possono generalmente individuare (Figura 4.1). − un primo strato superficiale di suolo vegetale, detto di evapotraspirazione, dove

l’acqua di infiltrazione viene parzialmente ritenuta, ma in prevalenza assorbita dalle radici della vegetazione;

− un secondo strato, detto di ritenzione, in cui l’acqua presente è costituita principal-mente da una parte significativa dell’acqua di infiltrazione che rimane aderente ai grani ed è praticamente immobile ed è detta acqua di ritenzione, che comprende l’acqua adsorbita e l’acqua pellicolare (Figura 1.7).

− un terzo strato, denominato strato della frangia capillare, caratterizzato prevalente-mente dalla presenza di acqua capillare, quella che, per effetto delle tensioni superfi-ciali, rimane “sospesa” all’interno dei vuoti, vincendo la forza di gravità.

Al di sotto di queste tre zone, che insieme costituiscono la cosiddetta zona vadosa, si tro-va la zona di falda (o acquifero).

Zona di evapotraspirazione

Zona di ritenzione

Acq

ua so

spes

a

Zona

vad

osa

Zona

di f

alda

Frangia capillare

Falda

Acq

ua d

i fal

da

Figura 4.1 – Zone a differente grado di saturazione in un deposito di terreno

Page 44: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

44

Il grado di saturazione delle diverse zone dipende principalmente dalle caratteristiche granulometriche e fisiche del deposito, da fattori climatici e ambientali. Fatta eccezione per alcune categorie molto particolari di materiali, i vuoti presenti nel terreno sono comu-nicanti tra loro e costituiscono un reticolo continuo, cosicché, generalmente, la zona di falda è completamente satura; la zona vadosa è satura in prossimità della falda per spesso-ri variabili da pochi centimetri per le ghiaie a decine di metri per le argille e generalmente ha un grado di saturazione decrescente salendo verso il piano campagna. La pressione dell’acqua nella zona vadosa è inferiore a quella atmosferica (per cui la pressione intersti-ziale risulta negativa avendo assunto convenzionalmente, come ricordato nel capitolo 3, la pressione atmosferica uguale a zero). Inoltre, in relazione alla loro permeabilità i diversi tipi di terreno possono consentire più o meno agevolmente il flusso dell’acqua, perciò la presenza di strati a differente permeabili-tà può determinare nel sottosuolo la presenza di diversi tipi di falda. In particolare, si pos-sono individuare (Figura 4.2) le tre condizioni di: − falda freatica − falda sospesa − falda artesiana

Acquifero confinato(falda artesiana)

Falda freatica

Falda sospesa

Infiltrazione

Terreno con permeabilitàmolto bassa

Livello piezometrico

Roccia

Figura 4.2 – Differenti tipi di falda in un deposito di terreno

La falda freatica è delimitata inferiormente da uno strato che non permette il flusso dell’acqua (o comunque in quantità e velocità trascurabili) ed è delimitata superiormente da una superficie, detta superficie freatica, in corrispondenza della quale l’acqua si trova a pressione atmosferica, come si trovasse in un serbatoio aperto. Immaginando di inserire un tubo verticale aperto alle estremità (piezometro) all’interno di una falda freatica, ovvero di perforare un pozzo, si osserva che il livello statico raggiunto dall’acqua nel tubo (detto livello piezometrico) è uguale a quello della superficie freatica.

Page 45: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

45

Analoghe considerazioni possono essere fatte riguardo alla falda sospesa, che rispetto alla precedente, risulta delimitata inferiormente da uno strato di estensione molto più limitata. Si ha una falda artesiana quando l’acqua di una falda freatica viene incanalata tra due stra-ti impermeabili. In questo caso l’acqua racchiusa nello strato permeabile (che ne permette agevolmente il flusso) si comporta come se si trovasse entro una tubazione in pressione, ossia ha una pressione maggiore di quella atmosferica. Immaginando di inserire un pie-zometro fino a raggiungere la falda artesiana, si osserva un livello piezometrico maggiore di quello della superficie che delimita superiormente la falda. In generale, l’acqua presente nel terreno può trovarsi in condizioni di quiete o di moto, sia allo stato naturale sia in seguito a perturbazioni del suo stato di equilibrio. Nel caso in cui si trovi in condizioni di moto, il flusso può essere stazionario (o perma-nente) oppure non stazionario (o vario), a seconda che i parametri del moto risultino co-stanti o variabili nel tempo. Nel moto stazionario la quantità di acqua che entra in un elemento di terreno è pari alla quantità di acqua che esce dallo stesso elemento (filtrazione in regime permanente). Nel moto vario la quantità di acqua entrante in un elemento di terreno è diversa da quella u-scente (filtrazione in regime vario). Se il terreno è saturo, la differenza tra le due quantità può produrre (fenomeno della consolidazione). Il vettore che caratterizza il moto dell’acqua può essere scomposto in una o più direzioni nello spazio, definendo condizioni di flusso mono-, bi-, o tri-dimensionali; generalmente, nella maggior parte dei casi pratici, si fa riferimento ai primi due tipi.

4.1 Carico totale e piezometrico: il gradiente idraulico I moti di filtrazione di un fluido avvengono tra due punti a diversa energia (da quello a energia maggiore a quello a energia minore). In ciascun punto, l’energia è data dalla somma dell’energia cinetica (legata alla velocità del fluido) e dell’energia potenziale (le-gata alla posizione del punto nel campo gravitazionale e alla pressione del fluido). Nello studio dei moti di filtrazione è conveniente esprimere l’energia, potenziale e cineti-ca, in termini di carico, o altezza, che corrisponde all’energia per unità di peso del liqui-do. In particolare, si definiscono: − altezza geometrica, z, la distanza verticale del punto considerato da un piano oriz-

zontale di riferimento arbitrario (z = 0) − altezza di pressione, u/γw, l’altezza di risalita dell’acqua rispetto al punto considera-

to, per effetto della sua pressione, u − altezza di velocità, v2/2g, l’energia dovuta alla velocità, v, delle particelle del fluido

(essendo g l’accelerazione di gravità). La somma dei tre termini:

g2vuzH

2

w++=

γ (Eq. 4.1)

è denominata carico effettivo (o totale) o altezza totale, mentre il binomio:

w

uzhγ

+= (Eq. 4.2)

è detto carico piezometrico.

Page 46: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

46

In virtù del teorema di Bernoulli, si ha che per un fluido perfetto, incomprimibile, in moto perma-nente, soggetto solo all’azione di gravità, il carico totale è costante lungo una data traiettoria (Figura 4.3). Se, con riferimento allo schema di Figura 4.3 viene inseri-to un campione di terreno, dotato di sufficiente permeabilità, all’interno del tubo di flusso nella zona controllata dai due piezome-tri, si osserva che in essi l’acqua risale a quote diverse; ciò signifi-ca che tra i due punti di osserva-zione si è avuta una perdita di ca-rico nel termine h = z + u/γw. Po-tendo ritenere trascurabili le per-

dite di carico dovute al flusso dell’acqua in assenza di terreno e osservando che per il principio di conservazione della massa la velocità media nelle varie sezioni della condotta deve essere costante, la differenza di altezza d’acqua nei due piezometri, ∆h, è perciò una misura della perdita di energia totale dovuta al flusso dell’acqua nel terreno, ossia dell’energia spesa dall’acqua per vincere la resistenza al moto opposta dal terreno com-preso tra i due punti considerati. Inoltre, poiché nei terreni la velocità di flusso, e quindi l’altezza di velocità, è generalmente trascurabile, il carico piezometrico può essere ritenu-to rappresentativo dell’energia totale nel punto considerato. Con riferimento ai simboli di Figura 4.3, si definisce gradiente idraulico il rapporto:

Lhi ∆

= (Eq. 4.3)

che rappresenta la perdita di carico per unità di lunghezza del percorso.

4.2 Legge di Darcy Poiché il moto di filtrazione fra due generici punti è governato solo dalla differenza di ca-rico, può essere utile identificare un legame tra le caratteristiche del moto (in particolare la velocità), le proprietà del terreno e la perdita di carico. Darcy, studiando il flusso monodimensionale dell’acqua attraverso strati orizzontali di sabbia (in condizioni di moto laminare), osservò che la portata per unità di superficie è di-rettamente proporzionale alla perdita di carico e inversamente proporzionale alla lunghez-za del percorso considerato. In sostanza, con riferimento alla Figura 4.3, tra la portata per unità di superficie, Q/A, che può essere definita velocità apparente (nominale) di filtra-zione, v, la perdita di carico, ∆h, e la lunghezza L, vale la relazione:

ikLhkv

AQ

⋅=⋅==∆ (Eq. 4.4)

nota come Legge di Darcy, nella quale k è detto coefficiente di permeabilità.

Figura 4.3 – Perdita di carico in condizioni di flusso mo-nodimensionale in un campione di terreno

Piezometri

L

A 1

2

∆h

w

1

w

2

z1

z2

piano di riferimento

carico totale per fluido ideale

Page 47: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

47

In termini vettoriali, in condizioni di flusso bi-, e tri-dimensionali:

idraulicocaricohhdivkhkv

=⋅−=∇⋅−=

rrr (Eq. 4.5)

Considerando che la permeabilità è in generale una caratteristica anisotropa per i terreni naturali, la (4.5) diventa:

zzzz

yyyy

xxxx

ikzhkv

ikyhkv

ikxhkv

⋅−=⋅−=

⋅−=⋅−=

⋅−=⋅−=

∂∂∂∂∂∂

(Eq. 4.6)

Nelle relazioni precedenti, v è una velocità apparente, perché la velocità reale, vr, dell’acqua nei pori è maggiore, in quanto, come evidenzia la Figura 4.4a, l’area della se-zione attraversata effettivamente dall’acqua (area dei vuoti, Av) è minore dell’area della sezione A; quindi se Q è la portata misurata, essa può essere espressa come

vr AvAvQ ⋅=⋅= da cui, osservando che nA

Avv v

r

== , segue:

v = n⋅vr. (Eq. 4.7) È opportuno inoltre osservare che anche il percorso di filtrazione finora considerato, pari alla lunghezza L del campione (Figura 4.3), è in realtà apparente, essendo quello reale si-curamente maggiore, come mostrato in Figura 4.4b.

Figura 4.4 – Velocità (a) e percorso di filtrazione (b) reali ed apparenti

b)a)

Porzione di tubo di flusso idealizzato

Page 48: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

48

4.3 Coefficiente di permeabilità Il coefficiente di permeabilità ha le dimensioni di una velocità; esso è legato alla resisten-za viscosa e frizionale alla filtrazione di un fluido in un mezzo poroso e dipende dalle proprietà del fluido (densità e viscosità) e dalle caratteristiche del mezzo poroso (permea-bilità intrinseca). Limitandoci a considerare come fluido intestiziale l’acqua, e poiché la densità e la viscosità di un fluido sono legate principalmente alla temperatura, che nel ter-reno, salvo gli strati più superficiali o alcune situazioni particolari, varia abbastanza poco, si assume il coefficiente di permeabilità dipendente solo dalle caratteristiche del terreno. Il campo di variazione del coefficiente di permeabilità dei terreni è enormemente grande, come mostra la Tabella 4.1.

Tabella 4.1. Valori tipici del coefficiente di permeabilità dei terreni

TIPO DI TERRENO k (m/s) Ghiaia pulita 10

-2 - 1

Sabbia pulita, sabbia e ghiaia 10-5

- 10-2

Sabbia molto fine 10

-6 - 10

-4

Limo e sabbia argillosa 10-9

- 10-5

Limo 10

-8 - 10

-6

Argilla omogenea sotto falda < 10-9

Argilla sovraconsolidata fessurata 10

-8 - 10

-4

Roccia non fessurata 10-12

- 10-10

Per i terreni a grana grossa, le cui particelle sono approssimativamente di forma sub-sferica, il coefficiente di permeabilità è influenzato prevalentemente dalla granulometria e dall’indice dei vuoti, che determinano la dimensione dei canali di flusso (diminuisce all’aumentare del contenuto di fine e al diminuire dell’indice dei vuoti). Per i terreni a grana fine sono invece fondamentali la composizione mineralogica e la struttura, perché questi parametri determinano il tipo di interazione elettrochimica che si

stabilisce tra particelle di terreno e mole-cole d’acqua (ad esempio la permeabilità della caolinite è circa 100 volte maggiore di quella della montmorillonite). Anche il grado di saturazione influenza sensibilmente la permeabilità; in partico-lare, sebbene non si possa stabilire una relazione univoca tra le due grandezze, si può osservare che la permeabilità cresce al crescere del grado di saturazione (Fi-gura 4.5). A grande scala la permeabilità di un de-posito dipende anche dalle caratteristiche macrostrutturali del terreno (discontinui-tà, fessurazioni), come evidenziato in Tabella 4.1 dal confronto tra i valori tipi-ci di k di argille omogenee intatte e argil-le fessurate.

Figura 4.5 – Variazione del coefficiente di perme-abilità col grado di saturazione per una sabbia

Grado di saturazione [%]

Coe

ffic

ient

e di

per

mea

bilit

à [m

m/s

]

Page 49: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

49

4.3.1 Permeabilità di depositi stratificati

Consideriamo un deposito di terreno costituito da n strati orizzontali saturi (Figura 4.6) e indichiamo con: kh1, kh2, . . . . . .khn i coefficienti di permeabilità in direzione orizzontale dei vari strati kv1, kv2, . . . . . .kvn i coefficienti di permeabilità in direzione verticale dei vari strati H1, H2, . . . . . Hn gli spessori corrispondenti H = ΣHi lo spessore totale del deposito kH il coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale kV il coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale

Nel caso in cui il deposito sia interessato da un moto di fil-trazione orizzontale (Figura 4.6a), cioè parallelo all’anda-mento degli strati (filtrazio-ne in parallelo), si ha che il gradiente idraulico, i, è lo stesso per tutti gli strati. Se si assume valida la legge di Darcy (4.4), la velocità di fil-trazione per ogni strato, vi, è proporzionale al rispettivo coefficiente di permeabilità, ossia: v1 = kh1 i, v2 = kh2 i, vn = khn i mentre la portata di filtrazio-ne per ogni strato è pari al prodotto della velocità di fil-trazione per il corrispondente spessore: q1 = v1 H1, q2 = v2 H2, qn = vn Hn

La portata di filtrazione totale, Q, data dalla somma delle portate dei singoli strati, è data anche dal prodotto della velocità media, v, per lo spessore totale del deposito:

Q = Σqi = v H (Eq. 4.8) dove, in accordo con la legge di Darcy, la velocità media di filtrazione, v, è il prodotto del coefficiente di permeabilità medio, kH, per il gradiente idraulico, i, ovvero v = kH i.

q H

kh1, H1 q1 q2 kh2, H2

qn kn, Hn

a)

q

H

kv1, H1 kv2, H2

kv, Hn

q

b) Figura 4.6: Filtrazione parallela (a) e perpendicolare (b) ai piani di stratificazione

kv1, H1 kv2, H2

kvn, Hn

Page 50: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

50

Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.8) ed esplicitando i vari termini si ottie-ne infine l’espressione del coefficiente di permeabilità medio in direzione orizzontale:

HHk

iHHv

iHq

ivk ihiiii

H∑∑∑ ⋅

=⋅

⋅=

⋅== (Eq. 4.9)

Se il moto di filtrazione avviene in direzione verticale (Figura 4.6b), ovvero ortogonale all’andamento degli strati si parla di filtrazione in serie. In questo caso, per il principio di conservazione della massa, se il fluido è incompressibile, la portata che attraversa ciascu-no strato è la stessa, quindi, essendo uguale anche l’area attraversata, è la stessa la veloci-tà di filtrazione, v = kv1 i1 = kv2 i2 = . . . . . = kvn in In accordo con la legge di Darcy (4.4), la velocità di filtrazione v può essere espressa come il prodotto del coefficiente di perme-abilità medio in direzione verticale, kV, per il gradiente idraulico medio, im, dato dalla per-dita di carico totale (h) diviso il percorso di filtrazione (H): v = kV im = kV (h / H) (Eq. 4.10) Ma la perdita di carico totale, h, è la somma delle perdite di carico in ciascuno strato (pari al prodotto del gradiente idraulico per il relativo spessore) ovvero, esplicitando il gradien-te idraulico di ciascuno strato:

∑∑ ∑ ∑ ⋅=⋅=⋅==vi

i

iviiii k

HvkvHiHhh (Eq. 4.11)

Sostituendo questa espressione nell’equazione (4.10) si ottiene infine l’espressione del coefficiente di permeabilità medio in direzione verticale:

∑=

vi

iV

kH

Hk (Eq. 4.12)

In presenza di terreni stratificati, il valore medio del coefficiente di permeabilità è forte-mente condizionato dalla direzione del moto di filtrazione. Per filtrazione verticale (o più esattamente ortogonale alla giacitura degli strati) il valore medio è molto prossimo al va-lore minore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a grana fine, mentre per fil-trazione orizzontale (o più esattamente parallela alla giacitura degli strati) il valore medio è molto prossimo al valore maggiore, ovvero al coefficiente di permeabilità degli strati a grana grossa.

4.4 Equazione generale del flusso in un mezzo poroso

Si consideri un elemento infinitesimo di terreno di dimensioni dx dy dz (Figura 4.7), attraversato da un flusso d’acqua. Assumiamo per ipotesi che il fluido ed i grani di terreno siano incomprimibili, e che pertanto i rispettivi pesi specifici siano costan-ti nel tempo (γw=cost, γs=cost). Indicando con vx la componente nella direzione

x

z

y

dx dy

dz

Figura 4.7: Flusso attraverso un elemento di terreno

Page 51: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

51

dell’asse x del vettore vr , velocità apparente di filtrazione, la portata in peso d’acqua en-trante nell’elemento in direzione x, qex, e quella uscente, qux, nella stessa direzione saran-no rispettivamente:

dzdydxxvvq

dzdyvq

xxwux

xwex

⋅⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

∂∂

+⋅γ=

⋅⋅⋅γ= (Eq. 4.13)

Analoghe espressioni valgono per le direzioni y e z. Indicando con Pw il peso dell’acqua contenuta nell’elemento di terreno, per la condizione di continuità la differenza tra la portata in peso d’acqua entrante e quella uscente dall’elemento di terreno sarà pari alla variazione del peso di acqua nell’unità di tempo. In formula:

( ) ( )t

Pqqqqqq w

uzuyuxezeyex ∂∂

=++−++ (Eq. 4.14)

E combinando le l’Eq. 4.13 e 4.14:

tP

dzdydxzv

yv

xv wzyx

w ∂∂

=⋅⋅⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂

∂+

∂∂

⋅− γ (Eq. 4.15)

Introducendo la legge di Darcy (Eq. 4.6) nell’Eq. 4.15 si ottiene:

tP

dzdydx

zh

zk

zhk

yh

yk

yhk

xh

xk

xhk

w

z2

2

z

y2

2

y

x2

2

x

w ∂∂

=⋅⋅⋅

⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟⎟

⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜⎜

∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅+

+∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅+

+∂∂

⋅∂

∂+

∂∂

⋅γ (Eq. 4.16)

Se la permeabilità è costante lungo ciascuna delle tre direzioni, ovvero se è:

0zk

yk

xk zyx =

∂∂

=∂

∂=

∂∂ (Eq. 4.17)

L’Eq. 4.16 si semplifica nel modo seguente:

tPdzdydx

zhk

yhk

xhk w

2

2

z2

2

y2

2

xw ∂∂

=⋅⋅⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

⋅⋅γ (Eq. 4.18)

Per definizione di: contenuto in acqua, w = Pw/Ps, indice dei vuoti, e = Vv/Vs, e grado di saturazione, Sr = Vw/Vv, si può scrivere:

rswrvwwwsw SeVSVVPwP ⋅⋅⋅γ=⋅⋅γ=⋅γ=⋅= (Eq. 4.19)

Page 52: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

52

La derivata dell’Eq. 4.19 rispetto al tempo è1:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅⋅γ=

∂∂

teS

tSeV

tP

rr

sww (Eq. 4.20)

poiché il volume totale dell’elemento di terreno è V = dx dy dz, per definizione di indice dei vuoti, e = (V-Vs)/Vs, e quindi Vs = V/(1+e) = dx dy dz /(1+e), si può anche scrivere:

dzdydxteS

tSe

)e1(tP

rrww ⋅⋅⋅⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅

=∂

∂(Eq. 4.21)

Sostituendo l’Eq. 4.21 nell’Eq. 4.18, si ottiene l’equazione generale di flusso:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

⋅+∂

∂⋅⋅

+=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

⋅+∂∂

⋅+∂∂

⋅teS

tS

ee1

1zhk

yhk

xhk r

r2

2

z2

2

y2

2

x (Eq. 4.22)

la quale si semplifica nei vari problemi di flusso secondo il seguente schema:

Filtrazione permanente e = costante Sr = costante

Consolidazione o rigonfiamento e = variabile Sr = costante=1

Drenaggio o imbibizione e = costante Sr = variabile

Deformabilità per non saturazione e = variabile Sr = variabile

Ulteriori semplificazioni si hanno nel caso di isotropia completa (kx = ky = kz = k), e nel caso di flusso mono-direzionale o bi-direzionale.

4.4.1 Filtrazione permanente in un mezzo omogeneo, isotropo e incompressibile

Nel caso di filtrazione permanente (e = cost, Sr = cost.) in un mezzo omogeneo, idrauli-camente isotropo (kx = ky = kz = k) e incompressibile (γw=cost, γs=cost), l’equazione ge-nerale del flusso si semplifica nell’equazione di Laplace:

0zh

yh

xh

2

2

2

2

2

2

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂

+∂∂ (Eq. 4.23)

Nel caso bidimensionale di moto piano l'equazione di Laplace diviene:

0zh

xh

2

2

2

2

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂ (Eq. 4.24)

1 Vs e γw sono indipendenti dal tempo.

Page 53: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

53

La soluzione analitica dell’equazione di Laplace è sempre molto difficile. Attualmente si ricorre a soluzioni numeriche con i metodi delle differenze finite o degli elementi finiti, o alle più tradizionali e storiche soluzioni grafiche2. Infatti, l’equazione di Laplace bidimensionale può essere rappresentata graficamente da due complessi di curve (le linee di flusso e le linee equipotenziali) che si tagliano ad an-golo retto (rete di filtrazione): Le linee di flusso sono i percorsi dei filetti liquidi nella sezione trasversale. Esistono infi-nite linee di flusso ma per disegnare la rete di filtrazione se ne sceglie un numero limitato. Lo spazio tra due linee di flusso successive viene chiamato canale di flusso. In ogni cana-le di flusso scorre una portata costante d’acqua ∆q. Le linee equipotenziali sono le linee di eguale energia potenziale, ovvero di eguale cari-co idraulico. Anche di linee equipotenziali ne esistono infinite, ma per disegnare la rete di filtrazione se ne sceglie un numero limitato. Quando l’acqua filtra attraverso i pori del ter-reno dissipa energia per attrito, e la distanza fra due linee equipotenziali successive indica in quanto spazio si è dissipata una quantità costante ∆h del carico idraulico. Le particelle d'acqua scorrono lungo le linee di flusso in direzione sempre perpendicolare alle linee equipoten-ziali. Pertanto le linee di flusso e le linee equipotenziali si intersecano ad angolo retto. Lo spazio (l’area) deli-mitata da due linee di flusso successi-ve e da due linee equipotenziali suc-cessive è detta campo. Il campo è la maglia della rete di filtrazione (figura 4.8). È conveniente costruire la rete di fil-trazione (ovvero scegliere quali linee di flusso e quali linee equipotenziali rappresentare) in modo tale che: − i canali di flusso abbiano eguale portata ∆q, − la perdita di carico fra due linee equipotenziali successive ∆h sia costante, − i campi siano approssimativamente quadrati, ovvero che abbiano eguali dimensioni

medie (graficamente significa che è possibile disegnare un cerchio interno al campo tangente a tutti e quattro i lati curvilinei).

Noto il carico idraulico totale dissipato, h, e scelto il numero N dei dislivelli di carico i-

draulico tra due linee equipotenziali successive Nhh =∆ , dalla condizione che i campi

siano approssimativamente quadrati, ba ∆≅∆ , essendo ∆a la distanza media fra le linee di flusso e ∆b la distanza media fra le linee equipotenziali del campo, si ottiene il numero N1 di canali di flusso. Il gradiente idraulico in un campo è:

bhi

∆∆

= (Eq. 4.25)

2 In passato si ricorreva spesso a modelli idraulici e a modelli elettrici basati sull’analogia fra le leggi dell’idraulica dei terreni e le leggi dell’elettrotecnica.

∆a

∆q

∆b

∆h

Cana

le di

flus

so

Campo

Linee di flusso

Linee equipotenziali

h

h- h∆

Figura 4.8. Definizione della rete di filtrazione

Page 54: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

54

la velocità di filtrazione è:

bNhk

bhkikv

∆⋅⋅

=∆∆

⋅=⋅= (Eq. 4.26)

la portata di filtrazione, per ogni canale di flusso, è:

Nhk

bNahkavq ⋅

≅∆⋅∆⋅⋅

=∆⋅=∆ (Eq. 4.27)

e la portata totale è:

NNhkqNQ 1

1 ⋅⋅=∆⋅= (Eq. 4.28)

Le condizioni al contorno, che permettono di tracciare alcune linee equipotenziali e di flusso, sono date da: − le superfici impermeabili sono linee di flusso (ad esempio la superficie di uno strato

di argilla, o la superficie verticale di un diaframma impermeabile, etc..), − le superfici a contatto con l’acqua libera sono linee equipotenziali, poiché in tutti i lo-

ro punti vale la relazione: h = z + u/γw = cost.

4.4.2 Esempio di rete idrodinamica (caso di moto di filtrazione confinato)

A titolo di esempio si consideri il problema rappresentato in Figura 4.9a, dove un dia-framma è stato infisso, per una lunghezza L = 6.0 m, in uno strato di terreno, di spessore H = 8.6 m e coefficiente di permeabilità k = 5 10-4 m/s, delimitato inferiormente da uno strato di terreno impermeabile. L’altezza di falda, rispetto al piano di campagna, è, a mon-te del diaframma, Hw1, di 4.5 m, mentre a valle, Hw2, è stata ridotta, mediante pompaggio, a 0.5 m. Il primo passo per la costruzione della rete idrodinamica consiste nel definire le condizio-ni al contorno: le superfici AB e CD che delimitano il piano di campagna, sono, in quanto a contatto

con l’acqua libera, equipotenziali; le superfici BE e CE che rappresentano rispettivamente il lato a monte ed il lato a val-

le del diaframma e la superficie FG, che delimita lo strato di terreno impermeabile, sono linee di flusso, in quanto impermeabili.

Poiché le condizioni al contorno della regione interessata dal flusso sono note a priori, si parla di moto confinato. In genere si assume come quota di riferimento per il calcolo del carico piezometrico il li-vello di falda a valle, da cui risulta che il carico piezometrico è h1 = 0 in corrispondenza della superficie equipotenziale CD (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di pressione è 0.5 m), ed è h2 = 4 m per la superficie AB (la quota geometrica è -0.5 m e l’altezza di pressione è 4.5 m). Le linee di flusso saranno tutte comprese tra la superficie FG e la superficie BEC e pos-sono essere tracciate seguendo la procedura suggerita da Casagrande, che consiste nei se-guenti passi: 1) si traccia una prima linea di flusso di tentativo (HJ) da un punto della superficie equi-

potenziale a monte AB, vicino al diaframma, ad un punto della superficie equipoten-

Page 55: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

55

ziale a valle CD (Figura 4.9b); tale linea dovrà essere perpendicolare ad entrambe le superfici equipotenziali e passare attorno al punto E;

2) si disegnano le linee e-quipotenziali di tentativo tra le linee di flusso BEC e HJ, in moda da formare dei campi approssimati-vamente quadrati (Figura 4.8); qualora non si riesca ad ottenere un numero in-tero di quadrangoli tra BH e CJ la linea di flusso HJ può essere leggermen-te spostata;

3) viene traccia la seconda linea di flusso di tentativo KL a partire da un punto della superficie equipo-tenziale AB più lontano dal diaframma rispetto al punto H, e prolungate le linee equipotenziali pre-cedentemente disegnate, sempre in modo da indi-viduare dei quadrangoli curvilinei;

4) si ripete la procedura de-scritta al punto 3) fino a raggiungere la linea di flusso di confine FG;

5) al primo tentativo gene-ralmente l’ultima linea di flusso tracciata interseca la superficie impermeabi-le FG e per eliminare tale incoerenza si itera la pro-cedura descritta ai punti precedenti fino a che l’ultima linea di flusso tracciata ricada sopra la superficie FG (riducendo la dimensione dei qua-drangoli), come mostrato in Figura 4.9c.

Le aree comprese tra l’ultima linea di flusso tracciata e la superficie impermeabile FG non sono quadrate (canale di flusso non completo) ma il rapporto tra la lunghezza e la larghezza deve essere all’incirca lo stesso per tutte le aree.

A

A

F

F

D

D

E

E

Diaframma

Piano diriferimento

(b)

G

G

K H B

B

C

C

J L

(a)

L = 6.0 mH = 8.6 m

H = 4.5 m

h = 0.0 mh = 4.0 m

H = 0.5 mw 1

12

w2

(c)

Piano diriferimento

Tubopiezometrico

H = 0.5 m

n = 0

1

2

345678

9

0

10

11

12

W 2

d

H = 4.5 mu

a

w 1pwγ

h = 3.3 mp

P

1 2 3 4 5 10 m

Figura 4.9 – Costruzione di una rete idrodinamica: a) sezione; b) tentativo di prova; c) rete finale

Page 56: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

56

Per tracciare correttamente una rete idrodinamica con questa procedura è opportuno uti-lizzare un numero limitato di linee di flusso (generalmente 4 o 5 canali di flusso). Nell’esempio riportato il numero di canali di flusso che è stato ottenuto è N1 = 4.3 e il numero di campi delimitati dalle linee equipotenziali, N, è 12, con un rapporto N1/N = 0.36 e una perdita di carico tra due linee equipotenziali successive pari a: ∆h = (h2 – h1)/N = 0.33 m. Numerate le linee equipotenziali da valle verso monte con l’indice nd (che varia tra 0 e 12), il carico piezometrico corrispondente a ciascuna linee è pari a nd ∆h. La portata di filtrazione per ogni canale di flusso è (Eq. 4.27): ∆q = k ∆h = 1.65 10-4 (m3/s)/m e la portata di filtrazione per unità di lunghezza del diaframma è pari a (Eq. 4.28): q = N1 ∆q = 7.1 10-4 (m3/s)/m. Con riferimento ad un generico punto P (Figura 4.9c), appartenente alla superficie equi-potenziale indicata con nd = 10 e ad una distanza a dal livello di falda a valle del dia-framma, il corrispondente valore del carico piezometrico è hp = nd ∆h = 10⋅0.33 = 3.3 m = zp + up/γw = -a + up/γw da cui si ricava il valore della pressione interstiziale: up = γw (hp –(-a)) = γw (hp +a) Il gradiente idraulico nel campo è dato da (Eq.4.25): i = ∆h/∆b = 0.33/∆b dove ∆b è la distanza media tra due linee equipotenziali. Ovviamente tale valore, e con esso la velocità di filtrazione, varia tra un massimo corrispondente al campo di dimensio-ne minima ed un minimo corrispondente al campo di dimensione massima.

4.4.3 Filtrazione al confine tra terreni a differente permeabilità

Quando il flusso d’acqua attraversa la superficie di separazione tra terreni a differente permeabilità, come avviene ad esempio nelle dighe in terra zonate, le linee di flusso de-flettono, la larghezza dei tubi di flusso e la distanza fra le linee equipotenziali variano, e i campi, inizialmente quadrati, divengono rettangolari. Infatti la portata di ogni tubo di

flusso, abhkaikq ∆⋅

∆∆

⋅=∆⋅⋅=∆ , deve restare costante. Se passando da un terreno ad un

altro il coefficiente di permeabilità k diminuisce, il rapporto ba

∆∆ deve aumentare, ovvero

deve crescere la larghezza del canale di flusso e diminuire la distanza fra due linee equi-potenziali, e viceversa. La legge con cui si modificano le dimensioni dei campi è indicata In Figura 4.10.

Page 57: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

57

4.4.4 Moto non confinato

Se tutte le condizioni al contorno in cui avviene il moto di filtrazione non sono note a priori, si parla di moto di filtrazione non confinato. In tal caso il problema è molto più complesso in quanto è necessario procedere contemporaneamente alla determinazione delle condizioni al contorno mancanti e alla risoluzione dell’equazione di Laplace. Situa-zioni di questo tipo si verificano ad esempio nello studio dei moti di filtrazione all’interno di argini fluviali o dei corpi di dighe in terra; in questi casi la superficie che delimita supe-riormente l’acqua in moto di filtrazione è a pressione atmosferica (coincide con la super-ficie freatica), la sua localizzazione non è nota e può essere determinata con costruzioni grafiche3.

4.4.5 Terreni anisotropi

Quanto detto finora si riferisce a terreni con eguale coefficiente di permeabilità in tutte le direzioni (isotropi dal punto di vista della permeabilità). Spesso i terreni naturali ed anche i terreni messi in opera con costipamento sono anisotropi, ovvero hanno coefficiente di permeabilità diverso in direzione orizzontale e in direzione verticale. Per utilizzare le re-gole di costruzione grafica del reticolo idrodinamico sopra esposte occorre disegnare la sezione della struttura interessata dal moto di filtrazione in una scala orizzontale alterata,

moltiplicando le distanze orizzontali per la quantità: h

v

kk

. Poiché in genere è kh > kv tale

trasformazione produce una riduzione delle dimensioni orizzontali. Ad esempio, per kh=9kv, tutte le dimensioni orizzontali devono essere divise per 3. Una volta disegnata la rete idrodinamica, per calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali occorre ripor-tare il disegno in scala naturale, ottenendo dei campi non più quadrati.

3 Si veda ad esempio la costruzione descritta al capitolo 9 nella sintesi del testo “Soil Mechanics & Founda-tions” di Muni Budhu accessibile dai computers del laboratorio didattico dati territoriali.

β

α

∆a

∆b

∆d∆c

k1

k2<k1

βα

∆a

∆b

∆d

∆c

k1

k2>k1

∆a/∆b = 1∆c/∆d = tanα/tanβ = k2/k1

Figura 4.10: Filtrazione tra terreni a differente permeabilità

Page 58: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

58

4.5 Determinazione della permeabilità mediante correlazioni Per i terreni a grana grossa vengono talvolta impiegate relazioni empiriche che legano k ad alcuni parametri relativamente semplici da determinare. Esistono ad esempio grafici che legano il coefficiente di permeabilità al D50, alla densità relativa, Dr, e al coefficiente di uniformità, U, (Figura 4.11) oppure formule, valide per sabbie sciolte, uniformi (U ≤ 5), che forniscono k in funzione di qualche diametro significativo presente nella distribu-zione granulometrica. Tra queste, una delle più usate è la formula di Hazen4: k = C⋅ (D10)2 (Eq. 4.29) dove C è una costante compresa tra 100 e 150 se k è espresso in cm/s e D10 in cm.

Figura 4.11 – Correlazione tra il coefficiente di permeabilità, k, la densità relativa, Dr e il coef-ficiente di uniformità, U (Prugh, 1959)

La misura sperimentale della permeabilità di un terreno può essere invece effettuata sia in laboratorio che in sito; tuttavia, essendo la permeabilità un parametro fortemente influen-zato anche dai caratteri macrostrutturali, per i terreni naturali le misure in sito risultano generalmente più significative e quindi preferibili, a meno che non si riesca a riprodurre fedelmente in laboratorio le condizioni esistenti in sito, mentre per i terreni utilizzati co-me materiale da costruzione sono significative anche le prove di laboratorio. Inoltre, ogni metodo di misura ha un campo di applicazione ottimale all’interno di un cer-to range di variazione della permeabilità; di conseguenza il metodo di misura più oppor- 4 Si può giustificare l’equazione (4.29) osservando che la permeabilità di un terreno è influenzata maggior-mente dalla frazione fine, che tende a riempire i vuoti, e quindi dal D10.

Page 59: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

59

tuno deve essere scelto in relazione al tipo di terreno, come è evidenziato nella Tabella 4.2.

Tabella 4.2 – Condizioni di drenaggio, tipi di terreno e metodi per la determinazione della per-meabilità

1 10-1 10-2 10-3 10-4 10-5 10-6 10-7 10-8 10-9 10-10 10-11k (m/s)

GRADO DI PERMEABILITÀ alto medio basso molto

basso impermeabile

DRENAGGIO buono povero praticamente impermeabile

sabbia pulita e miscele di

sabbia e ghiaia pulita

sabbia fine, limi organici e

inorganici, miscele

di sabbia, limo e argilla,

depositi di argilla

stratificati

TIPO DI TERRENO

ghiaia pulita

terreni impermeabili modificati dagli

effetti della vegetazione e del

tempo

terreni impermeabili argille omogenee

sotto la zona alterata dagli agenti atmosferici

Prova in foro di sondaggio (misura locale; delicata esecuzione)

Prova di pompaggio (delicata esecuzione; significativa)

MISURA DIRETTA DI K

Permeametro a carico costante (facile esecuzione)

Permeametro a carico variabile Facile

esecuzione significativa

delicata esecuzione:

non significativa

delicata esecuzione: molto poco significativa

Piezometro Pressiometro

Piezocono (misura locale; delicata esecuzione)

STIMA INDIRETTA DI K

Determinazione dalla curva granulometrica

(solo per sabbie e ghiaie pulite)

Determinazione dai risultati

della prova edometrica

4.6 Determinazione della permeabilità in laboratorio Per la misura del coefficiente di permeabilità in laboratorio vengono generalmente usati tre metodi: a) il permeametro a carico costante, per k > 10-5 m/s b) il permeametro a carico variabile, per 10-8< k < 10-5 m/s c) i risultati della prova edometrica (che verrà descritta dettagliatamente nel Capitolo 7),

per k < 10-8 m/s

Page 60: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

60

4.6.1 Permeametro a carico costante

La prova con permeametro a carico costante è eseguita generalmente su campioni di ter-reno a grana grossa (ghiaie e sabbie pulite), compattati a diversi valori di densità relativa, in modo da ottenere una relazione tra la permeabilità e l’indice dei vuoti del terreno esa-minato. La permeabilità in sito viene poi stimata a partire dal valore dell’indice dei vuoti ritenuto più rappresentativo del terreno naturale.

Lo schema del permeametro a carico co-stante è quello indicato in Figura 4.12. Per l’esecuzione della prova viene im-messa acqua nel recipiente che contiene il terreno, mantenendo costante (realiz-zando degli sfioratori) la differenza di carico, h, esistente tra le estremità del campione, ossia il livello dell’acqua nei due recipienti. La quantità di acqua raccolta in un certo intervallo di tempo, ∆t, è pari a C = Q⋅∆t, essendo Q la portata immessa.

Poiché il moto è stazionario, con velocità pari a v, risulta C = v A⋅∆t. Supponendo inoltre valida la legge di Darcy (4.4) e che la perdita di carico si realizzi interamente all’interno del campione di terreno, si ha:

tALhktAikC ∆⋅⋅⋅=∆⋅⋅⋅= (Eq. 4.30)

dove A è l’area della sezione trasversale del campione. Dall’equazione (4.30) si ricava il valore di:

Generalmente si effettuano più determinazioni considerando differenze di carico h e in-tervalli di tempo ∆t differenti per poi adottare un valore medio.

4.6.2 Permeametro a carico variabile

Se la permeabilità del terreno è presumibilmente inferiore a 10-5 m/s, la portata e quindi la quantità di acqua raccolta (almeno in tempi ragionevolmente brevi) è piccola ed è difficile misurarla accuratamente con una prova a carico costante. Si eseguono in questo caso prove con permeametro a carico variabile, in cui la quantità di acqua che fluisce attraverso il campione è determinata attraverso la misura della riduzione dell’altezza di carico, ∆h, in un tubo di piccolo diametro collegato al recipiente che con-tiene il campione (Figura 4.13). Trascurando la compressibilità dell’acqua, si suppone che, per il principio di conservazio-ne della massa, la quantità di acqua che scorre nel tubicino sia pari a quella che attraversa il campione. Se il livello dell’acqua si abbassa di una quantità dh nel tempo dt, la quantità di acqua che scorre nel tubicino nel tempo dt è pari a -a⋅dh (il segno meno perché il livello dell’acqua diminuisce), uguale a quella che attraversa il campione v⋅ A⋅dt. Supponendo valida la leg-

L Ah

C

Figura 4.12 – Permeametro a carico costante

tAhLCk∆⋅⋅

⋅= (Eq. 4.31)

Page 61: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

61

ge di Darcy (4.4) e che la perdita di carico si realizzi interamente all’interno del campione di terreno, si ha: k⋅i⋅A⋅dt = -a⋅ dh ovvero

dhadtALhk ⋅−=⋅⋅⋅ .

Separando le variabili e integrando si ot-tiene:

∫∫ ⋅⋅=⋅1

1

1t

t

h

h o

o

dtLAkdh

ha

)(ln 11

oo tt

LAk

hh

a −⋅=⋅

da cui:

( ) ( ) 110

111log3.2ln

hh

ttALa

hh

ttALak o

o

o

o −⋅⋅

=−⋅

⋅= (Eq. 4.32)

Per quanto riguarda la determinazione di k a partire dai risultati della prova edometrica si rimanda al Capitolo 7, in cui viene descritta la prova e definito il coefficiente di permea-bilità in funzione di uno dei parametri che si determinano mediante tale prova.

4.7 Determinazione della permeabilità in sito Per la misura del coefficiente di permeabilità in sito si può ricorrere a tre tipi di prove: a) prove in pozzetto superficiale b) prove in foro di sondaggio c) prove di emungimento

4.7.1 Prove in pozzetto superficiale

Si tratta di prove speditive, di facile esecuzione, che, per contro, hanno un campo di uti-lizzo limitato, in quanto forniscono misure del coefficiente di permeabilità limitate agli strati più superficiali e si eseguono in genere su terreni che costituiscono opere di terra durante la loro costruzione, aventi permeabilità maggiori di 10-6 m/s, e posti sopra falda. Il pozzetto è uno scavo di forma circolare o quadrata. La dimensione della sezione in pianta è legata al diametro massimo presente nella granulometria; in particolare il diame-tro, d, (o il lato, b) del pozzetto deve risultare maggiore di 10÷15 volte il diametro massi-mo presente nella granulometria. La distanza del fondo del pozzetto dalla falda, H, deve essere pari ad almeno 7 volte l’altezza media (hm o h) dell’acqua nel pozzetto durante la prova, che a sua volta deve ri-sultare maggiore di d/4, per pozzetto circolare (o b/4, per pozzetto a base quadrata).

L A

∆h

a

h0

h1

Figura 4.13 – Permeametro a carico variabile

Page 62: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

62

Lo schema della prova è rappresentato in Figura 4.14. Esistono due tipi di prova:

- a carico costante - a carico variabile

Nel primo caso viene immessa nel pozzetto una portata d’acqua costante q, tale che a re-gime il livello d’acqua sia costante; nel secondo caso, dopo avere riempito il pozzetto, viene registrato l’abbassamento del livello dell’acqua nel tempo. In relazione alla forma del pozzetto e al tipo di prova, vengono impiegate formule semi-empiriche, valide nell’ipotesi di terreno omogeneo e isotropo, con k > 10-6 m/s.

d > 10-15 diametro massimo dei granuli

h > d/4m

H > 7 hm

Figura 4.14 – Schema della prova in pozzetto superficiale

In particolare, nel caso di pozzetto circolare valgono le seguenti relazioni:

π1

⋅⋅

=mhd

qk per prova a carico costante (Eq. 4.33)

mhtthhdk 1

32 12

21 ⋅−−

⋅= per prova a carico variabile (Eq. 4.34)

mentre nel caso di pozzetto a base quadrata:

327

12

+⋅⋅=

bhb

qkm

per prova a carico costante (Eq. 4.35)

327

21

12

21

+⋅

⋅+⋅

−−

=

bh

bh

tthhk

m

m

per prova a carico variabile (Eq. 4.36)

Nelle Equazioni da (4.33) a (4.36), h1 e h2 sono le altezze dell’acqua nel pozzetto rispetti-vamente agli istanti t1 e t2, e hm = (h1 + h2)/2 è l’altezza media.

Page 63: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

63

4.7.2 Prove in foro di sondaggio

Le prove in foro di sondaggio possono essere eseguite a varie profondità durante la perfo-razione, oppure a fine foro, sul tratto terminale e forniscono generalmente un valore pun-tuale della permeabilità, limitatamente alla verticale esplorata e alle profondità considera-te. Le pareti del foro devono essere rivestite con una tubazione fino alla profondità a cui si vuole effettuare la misura di permeabilità (Figura 4.15a). Nei terreni che tendono a frana-re o a rifluire il tratto di prova viene riempito di materiale filtrante e isolato mediante un tampone impermeabile (Figura 4.15b). Il filtro deve avere una granulometria opportuna, in modo da non influenzare il flusso all’interno del materiale di cui si vuole determinare la permeabilità.

h

L

Filtro

D

h1h

2

Q

h

a) b)

L

Tubo di rivestimento

D

h1h

2

QRivestimento esterno

Tampone impermeabile

Tubazione interna

Figura 4.15 – Schema della prova di immissione in foro di sondaggio, a carico variabile o co-stante, senza filtro (a) e con filtro (b)

In particolare, deve risultare: F60/F10 ≤ 2 (materiale uniforme) e 4D15 ≤ F15 ≤ 4D85 dove Fx sono i diametri del filtro e Dx quelli del terreno indagato. Le prove in foro di sondaggio si suddividono in:

di immissione (sopra o sotto falda) − prove a carico costante

Page 64: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

64

di emungimento (solo sotto falda) di risalita (solo sotto falda)

− prove a carico variabile di abbassamento (sopra o sotto falda)

Prove a carico costante Nelle prove a carico costante viene misurata, a regime, la portata, emunta o immessa, Q, necessaria a mantenere costante il livello dell’acqua nel foro. Il coefficiente di permeabili-tà viene ricavato mediante la seguente relazione:

hFQk⋅

= [m/s] (Eq. 4.37)

dove Q [m3/s] è la portata, h [m] il livello dell’acqua nel foro (rispetto alla base del foro se la prova è eseguita sopra falda, oppure rispetto al livello di falda se la prova è eseguita sotto falda) ed F [m] un fattore di forma, dipendente dalla forma e dalla geometria della sezione filtrante ed è riportato in Tabella 4.3 in relazione alle geometrie rappresentate in Figura 4.16.

Tabella 4.3 – Espressioni del coefficiente di forma F per differenti geometrie della sezione filtran-te (per lo schema geometrico vedi Figura 4.16)

Geometria della sezione Coefficiente di forma F

1. Filtro sferico in terreno uniforme D2 ⋅π 2. Filtro emisferico al tetto di uno strato confinato D⋅π 3. Fondo filtrante piano al tetto di uno strato confina-

to D2

4. Fondo filtrante piano in terreno uniforme D75.2

5. Tubo parzialmente riempito al tetto di uno strato confinato ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅+

v

h'k

kDL81

D2

π

6. Tubo parzialmente riempito in terreno uniforme ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅+

v

h'k

kDL111

D75.2

π

7. Filtro cilindrico al tetto di uno strato confinato ⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛++

⋅2

DL31

DL3ln

L3π

8. Filtro cilindrico in terreno uniforme ⎟⎟⎟

⎜⎜⎜

⎛⎟⎠⎞

⎜⎝⎛++

⋅2

DL5.11

DL5.1ln

L3π

9. Filtro cilindrico attraversante uno strato confinato ⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛⋅

rr

ln

L2

0

π

Page 65: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

65

D

1 2 3

654

7 8 9

D/2

D D

D

D

L L

L

D

k

k’v

D

k

k’v

D

L L

D

r0

Figura 4.16 – Geometrie del fattore di forma per il calcolo del fattore di forma F

Prove a carico variabile Le prove di risalita a carico variabile vengono effettuate prelevando acqua dal foro in modo da abbassarne il livello di una quantità nota e misurando la velocità di risalita; nelle prove di abbassamento viene immessa acqua nel foro in modo da alzarne il livello di una quantità nota e viene misurata la velocità di abbassamento. Il coefficiente di permeabilità viene ricavato mediante la seguente relazione:

Page 66: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

66

( ) 2

1

12

lnhh

ttFAk ⋅

−⋅= [m/s]

(Eq. 4.38)

dove A [m2] è l’area di base del foro, h1 e h2 sono le altezze agli istanti t1 e t2 rispetto al livello della falda o a fondo foro (se si tratta di prove di abbassamento condotte sopra il livello di falda), F [m] è il fattore di forma precedentemente definito (Tabella 4.3). Una stima più attendibile del valore del coefficiente di permeabilità può essere eseguita determinando la media geometrica dei valori ricavati con prove di risalita (kr) e di abbas-samento (ka), ovvero ar kkk ⋅= . Infatti, durante le prove di abbassamento, la frazione più fine del materiale tende ad essere spinta verso il fondo del foro e la spinta idrodinami-ca tende a comprimere il terreno, facendone diminuire la permeabilità; al contrario, du-rante le prove di risalita, la frazione più fine del materiale tende ad essere asportata dall’acqua e la spinta idrodinamica tende a decomprimere il terreno, facendone aumentare la permeabilità. Se la permeabilità orizzontale del terreno è diversa da quella verticale (a causa dell’orientamento dei grani nella fase di deposizione il coefficiente di permeabilità oriz-zontale, kH, risulta generalmente maggiore, anche di un ordine di grandezza, del coeffi-ciente di permeabilità verticale, kV), il coefficiente k ottenuto da prove in foro di sondag-gio tende a rappresentare il coefficiente di permeabilità verticale, kV, tanto più è ridotta la lunghezza del tratto filtrante L (Figura 4.16-8) rispetto al diametro del foro, D, fino alla situazione limite di sezione piana, L=0 (Figura 4.16-4). Mentre per valori di L/D suffi-cientemente grandi (L/D ≥ 1.2) si assume che il coefficiente di permeabilità misurato sia quello orizzontale, kH. Per situazioni intermedie (0 ≤ L/D ≤ 1.2) si assume che venga mi-surato un coefficiente di permeabilità medio VHmedio kkk ⋅= .

4.7.3 Prove di pompaggio

Le prove di pompaggio vengono eseguite in terreni con permeabilità medio-alta, al di sot-to del livello di falda. Consistono nell’abbassare il livello della falda all’interno di un pozzo, opportunamente realizzato, e nel rilevare in corrispondenza di un certo numero di verticali, strumentate con piezometri, l’abbassamento una volta raggiunto un regime di flusso stazionario (Figura 4.17). Nella fase di emungimento la velocità di abbassamento del livello diminuisce all’aumentare del volume di terreno interessato dal flusso, fino ad un valore prossimo alla stabilizzazione (regime pseudo-stazionario) se la falda non è ali-mentata e si stabilizza se la falda è alimentata. Il raggio di influenza è tanto maggiore quanto maggiore è la permeabilità. Per una corretta interpretazione della prova è necessario conoscere con buona approssi-mazione la stratigrafia, l’estensione dell’acquifero e le condizioni iniziali della falda, che quindi vanno preventivamente ricavati mediante apposite indagini in sito. Il pozzo principale, che viene utilizzato per l’emungimento, ha un diametro D compreso generalmente tra i 200 e i 400 mm; intorno ad esso, nella zona di depressione della falda (a causa dell’andamento caratteristico della superficie piezometrica si parla anche di “co-no di depressione”) vengono disposti una serie di piezometri il cui numero dipende dalla eterogeneità del terreno.

Page 67: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

67

Q

h

h1r

1

r2

s1

s2

h2

Pompa sommersa Superfici equipotenzialiLinee di flusso

Pozzo

Q

a)

b)

c)

Pozzo Piezometri di controllo

Livello piezometrico iniziale

Acquifero confinato

Acquifero non confinato

Pompa sommersa Superfici equipotenzialiLinee di flusso

h

b

h1r

1 r2

s1

s2

h2

Piezometri di controllo

Livello piezometrico iniziale

Figura 4.17 – Disposizione in pianta del pozzo e dei piezometri (a) e schema della prova di pom-paggio in acquifero confinato (b) e non confinato (c)

Per la realizzazione del pozzo viene disposto all’interno del foro un tubo finestrato, con area delle aperture maggiore del 10% dell’area laterale. Nel tratto di terreno da investiga-re, l’intercapedine tra tubo e terreno è riempita con un filtro di ghiaietto e sabbia con una opportuna granulometria; nel tratto sovrastante, per evitare l’infiltrazione di acque ester-

Page 68: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

68

ne, l’intercapedine è riempita con materiale impermeabilizzante (generalmente argilla o bentonite). Il tipo di piezometri viene scelto in relazione al tipo di terreno; devono essere in numero non inferiore a tre, disposti secondo allineamenti passanti per il pozzo (almeno due alline-amenti di cui uno parallelo alla direzione di moto della falda) come mostrato in Figura 4.17a. La distanza tra i piezometri aumenta con legge esponenziale: il primo di ogni allineamen-to viene posto a qualche metro dal pozzo, l’ultimo al limite della zona di influenza (50÷200 m a seconda della permeabilità del deposito). Come già detto, la prova viene eseguita prelevando acqua dal pozzo mediante un sistema di pompaggio e misurando il livello piezometrico nel pozzo e nei piezometri fino a che non si raggiunge una stabilizzazione. Le letture vengono eseguite a intervalli di tempo via via crescenti (2 min. nelle prime due ore, 5 min. nelle 4 ore successive, 10÷15 min. per il resto della prova, che dura mediamente 24÷36 ore e anche di più per terreni a bassa per-meabilità). Le prove di emungimento vengono interpretate tenendo presente che: - nel caso di acquifero confinato (falda artesiana) le linee di flusso sono orizzontali e le

superfici equipotenziali sono cilindri concentrici rispetto al pozzo (Figura 4.17b); - nel caso di acquifero non confinato (falda freatica) le linee di flusso (e le superfici e-

quipotenziali) sono curve. In questo caso deve essere posta particolare attenzione alla profondità di installazione dei piezometri, poiché l’altezza di risalita dell’acqua (o comunque la pressione misurata) corrisponde alla pressione interstiziale della superfi-cie equipotenziale passante per il punto di misura. (Figura 4.17c).

Soluzioni semplificate forniscono l’espressione del coefficiente di permeabilità rispetti-vamente per il caso di acquifero confinato (Figura 4.17b) e non confinato (Figura 4.17c):

)hh(

)rrln(

b2Qk

12

1

2

−⋅

⋅=

π (Eq. 4.39)

)hh(

)rrln(

Qk 21

22

1

2

−⋅=

π (Eq. 4.40)

Il valore della permeabilità ricavato con questo tipo di prova è un valore medio relativo al volume di terreno interessato dal cono di depressione.

4.8 Pressioni di filtrazione e gradiente idraulico critico Allo scopo di osservare come si modifica il regime delle pressioni (totali, efficaci e inter-stiziali) in un punto del terreno, passando da una condizione in cui il fluido presente nel terreno è in quiete (regime idrostatico), ad una in cui avviene un moto di filtrazione (sup-poniamo in regime stazionario), consideriamo uno schema costituito da due recipienti comunicanti, di cui uno contenente solo acqua (serbatoio) e l’altro contenente un campio-ne di sabbia saturo completamente immerso, di altezza h2, con livello dell’acqua sovra-stante la superficie superiore del campione di una lunghezza h1 (Figura 4.18).

Page 69: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

69

In relazione alla posizione relativa del livello dell’acqua nei due reci-pienti si possono distinguere tre casi: a) assenza di filtrazione. Se

l’acqua si trova allo stesso li-vello nei due recipienti (Figura 4.18a) non c’è differenza di ca-rico (ossia di energia) tra due punti, A e B, appartenenti alla due superfici libere, per cui l’acqua è in quiete. La pressio-ne verticale totale nel generico punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data da:

σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.41)

b) e la pressione dell’acqua (pres-

sione interstiziale): u = γw⋅(h1+z) (Eq. 4.42)

c) per cui la pressione verticale

efficace vale:

essendo γ’ = γsat -γw

d) filtrazione discendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più basso di quello nel recipiente che contiene il campione, di una altezza h, si ha una differenza di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal recipiente che contiene il cam-pione verso il serbatoio (da un punto a energia maggiore, A, a un punto a energia mi-nore, B). La pressione verticale totale nel punto P a profondità z dall’estremità supe-riore del campione, O, sarà data anche in questo caso da (Figura 4.18b):

σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.44)

z w

w

w

w

w

1

1

1

1

1 2

B

O

h2

h1

BA

OP

h

Aa)

b)

γ h

γ

γ

γ

γ (h + h )

h2

h1

A

O

B

h2

h1

P

u

u

z

z

P

z

z

w

w

1

1 2

γ h

γ (h + h - h)

w w

11

h

γ γ

u

z

w

w

w

1

1 2

γ h

γ (h + h + h)

wγ z i

γ z i

c)

Figura 4.18 – Esempio di assenza di filtrazione (a), fil-trazione discendente (b) e ascendente (c) in un campione di sabbia saturo

σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - γw⋅(h1+z) = γ’⋅z

(Eq. 4.43)

Page 70: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

70

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1-h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia li-nearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) –γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale: u = γw (h1+z) –γw i z e la pressione efficace: σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) +γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z + γw i z Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale discendente ha prodotto una riduzione della pressione interstiziale, γw i z, ed un egua-le aumento di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione. Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito. Supponendo che la perdita di carico, h, tra i punti A e B appartenenti alle due superfi-ci libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno, la

perdita di carico nel tratto OP è pari a zizhh

⋅=⋅2

.

Quindi zhhu)hz()uz(hhh

2w1

w1P0 ⋅=−+=+−−=−

γγ, da cui:

ww1w2

w1 zi)hz(zhh)hz(u γγγγ ⋅⋅−⋅+=⋅⋅−⋅+= (Eq. 4.45)

La pressione efficace vale in questo caso: σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw + i⋅z⋅γw = γ’⋅z + i⋅z⋅γw (Eq. 4.46)

e) filtrazione ascendente. Se il livello dell’acqua nel serbatoio è mantenuto più alto di

quello nel recipiente che contiene il campione, di una quantità h, si ha una differenza di carico costante che provoca un moto di filtrazione dal serbatoio verso il recipiente che contiene il campione (Figura 4.18c). La pressione totale nel punto P, a profondità z dall’estremità superiore del campione, O, sarà data anche in questo caso da: σz = γsat⋅z + γw⋅h1 (Eq. 4.47)

La pressione dell’acqua nel punto O, all’estremità superiore del campione, per z=0, è governata dalla quota del pelo libero nel recipiente e vale uz=0 = γw h1, mentre all’estremità inferiore, per z=h2, è governata dalla quota del pelo libero nel serbatoio e vale uz=h2 = γw (h2+h1+h). La pressione dell’acqua all’interno del campione varia li-nearmente con la profondità e, nel punto P, alla generica profondità z, vale u = γw (h1+z) +γw (h/h2)z. Il rapporto h/h2 è, per definizione, il gradiente idraulico, per cui si può scrivere che nel punto P a profondità z la pressione interstiziale vale: u = γw (h1+z) +γw i z

Page 71: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

71

e la pressione efficace: σ’z = σz – u = γsat z + γw h1 – γw (h1+z) - γw i z = (γsat – γw) z – γw i z = γ’ z - γw i z Ovvero, rispetto al caso precedente di assenza di filtrazione, la filtrazione verticale ascendente ha prodotto una aumento della pressione interstiziale, γw i z, ed un eguale riduzione di pressione efficace. Il termine γw i z è la pressione di filtrazione. Allo stesso risultato si perviene ragionando in termini di carico piezometrico come descritto nel seguito. Supponendo che la perdita di carico h, tra i punti B e A appartenenti alle due superfici libere, avvenga interamente nel campione, e che vari linearmente al suo interno, nel

tratto PO, la perdita di carico è pari a zizhh

⋅=⋅2

.

Quindi zhh)hz(uh)

uz(hh

21

w1

w0P ⋅=+−=−+−=−

γγ, da cui:

ww1w2

w1 zi)hz(zhh)hz(u γγγγ ⋅⋅+⋅+=⋅⋅+⋅+= (Eq. 4.48)

La pressione efficace vale in questo caso: σ’z = σz – u = γsat⋅z + γw⋅h1 - (z + h1)⋅ γw - i⋅z⋅γw = γ’⋅z - i⋅z⋅γw (Eq. 4.49)

Le osservazioni precedenti evidenziano che in presenza di filtrazione, in un punto a pro-fondità z, la pressione dell’acqua varia di una quantità pari i⋅z⋅γw, che rappresenta la com-ponente idrodinamica della pressione interstiziale (pressione di filtrazione). Di conse-guenza la pressione efficace varia della stessa quantità; nel caso di filtrazione discendente la pressione efficace aumenta, mentre nel caso di filtrazione ascendente la pressione effi-cace diminuisce rispetto al casi di assenza di filtrazione. In particolare, la pressione effet-tiva in presenza di filtrazione ascendente è data da σ’z = γ’⋅z - i⋅z⋅γw e si annulla quando il gradiente idraulico è pari a ic= γ’/γw (Eq. 4.50) detto gradiente idraulico critico. In questa condizione, se il terreno è privo legami coesivi, si annullano le forze intergranu-lari, si annulla la resistenza del terreno e le particelle solide possono essere trasportate dall’acqua in movimento, dando origine ad un fenomeno progressivo di erosione che con-duce al collasso della struttura del terreno. Tale fenomeno è noto come instabilità idrodi-namica (o sifonamento) ed è quello che può manifestarsi ad esempio nel caso di uno sca-vo sorretto da un diaframma. (Figura 4.19). È da notare che essendo γ’≅ γw, il valore di ic è prossimo all’unità. Si definisce fattore di sicurezza nei confronti del sifonamento il rapporto tra il gradiente idraulico critico e quello che si ha in esercizio (definito gradiente di efflusso, iE), ossia: FS = ic/iE (Eq. 4.51)

Page 72: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

72

Essendo il sifonamento un fenomeno im-provviso, senza segni premonitori, ed es-sendo difficile tener conto di fattori quali l’eterogeneità e l’anisotropia del terreno, si adottano valori alti di FS (generalmente si impone FS > 4). Nel caso di un diaframma infisso ad una profondità D in un mezzo omogeneo, il gradiente di efflusso può essere valutato in prima approssimazione dividendo la perdita di carico per la lunghezza delle linea di flusso più corta, rappresentata dal percorso di una particella d’acqua in aderenza al dia-framma, indicato con A-B in Figura 4.19, ovvero, trascurando lo spessore del dia-framma ed indicando con H la differenza di

carico esistente tra due punti A e B appartenenti alle due superfici libere, si può porre: iE = H/(H+2D) (Eq. 4.52)Per determinare un valore del gradiente di efflusso più aderente alla realtà si può ricorrere a diagrammi disponibili in letteratura per vari casi pratici ricorrenti (Figura 4.20).

Figura 4.20 – Gradiente di efflusso, iE, nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore infinito (a), nel caso di uno scavo nastriforme in un mezzo di spessore infinito (b), nel caso di uno scavo in un mezzo di spessore limitato (c)

A titolo di esempio, con lo schema di Figura 4.20°, per h/D = 2 e d/D = 1 si ha ie ≅ 0.53. La stima, approssimata per eccesso, ottenuta dall’Equazione (4.52) è:

66.021

22D/d

D/hD2d

hie =+

=+

=+

=

p.c.

p.c.

H

D

A

B

Figura 4.19 – Scavo sorretto da un diaframma

a) b)

c)

Gra

dien

te d

i eff

luss

o i E

Gra

dien

te d

i eff

luss

o i E

α

h/D

b/D

h/D

0.53

Page 73: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

73

Un fenomeno analogo al sifonamen-to, dovuto alle pressioni di filtrazione al piede di un diaframma, è quello del sollevamento del fondo scavo. Terzaghi ha osservato che il fenome-no di instabilità si estende a tutta la profondità D di infissione per una larghezza pari a D/2 e che l’andamento delle sovrapressioni in-terstiziali (ovvero delle pressioni in-terstiziali in eccesso rispetto alla pressione idrostatica di valle) è quel-lo riportato in Figura 4.21. In prima approssimazione, cautelati-vamente, si assume che il valore del-la sovrapressione al piede del dia-framma sia costante per una larghez-za D/2 e pari ad γw ⋅Hc, dove Hc si ri-cava dall’Eq.(4.52): ie = H/(H+2D) =Hc/D e quindi: Hc = (H D)/(H+2D). La forza totale di filtrazione che tende a sollevare il cuneo è data da Sw = Hc⋅γw⋅D/2; quando questa uguaglia il peso efficace del cuneo (peso totale del cuneo meno spinta di Archimede), dato da W’ = γ’ D D/2, si raggiungono le condizioni limite di instabilità. Il fattore di sicurezza nei confronti del sollevamento del fondo scavo è definito come rap-porto tra il peso efficace del cuneo e la forza di filtrazione che tende a sollevarlo, ossia: (è da osservare che in pratica il rapporto Hc/D rappresenta il gradiente di efflusso nel trat-

to infisso, e che quindi l’Eq. 4.53 corrisponde all’Eq. 4.51). Talvolta, nel caso di terreno omogeneo, viene assunto cautelativamente Hc= H/2, invece che Hc= HD/(H+2D), come risulterebbe, sempre in maniera approssimata, dallo schema di Figura 4.21. Per incrementare il valore di FS si possono adottare le seguenti soluzioni: - aumentare la profondità di infissione in modo da ridurre il gradiente di efflusso; - disporre sul fondo dello scavo in adiacenza al diaframma un filtro costituito da mate-

riale di grossa pezzatura in modo da incrementare le tensioni efficaci. In questo caso

2/2/' 2

DHWDFS

cw ⋅⋅+⋅

=γγ (Eq. 4.54)

dove W è il peso del filtro; - inserire dei dreni in modo da ridurre le sovrapressioni. Se lo scavo è realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata, nel tempo che intercorre tra la realizzazione dello scavo e l’instaurarsi del moto di filtrazione, occorre ragionare in termini di pressioni totali: se la forza risultan-te delle pressioni idrostatiche iniziali alla base del cuneo supera il peso totale del cuneo

p.c

p.c.

D

A

E

H

Hc

γw c

H

D/2

D

Figura 4.21 – Distribuzione delle sovrapressioni al piede di un diaframma in un mezzo di spessore infinito

cwcww HD'

2/DH2/DD'

S'WFS

⋅⋅

=⋅⋅

⋅⋅==

γγ

γγ (Eq. 4.53)

Page 74: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

74

può verificarsi il sollevamento. In questo caso il fattore di sicurezza è definito mediante il rapporto tra la pressione verticale totale e la pressione interstiziale all’intradosso dello strato di argilla a valle (Figura 4.22):

ww HDFS

⋅⋅

γ (Eq. 4.55)

γw w

H

p.c.

Hw

D

Sabbia

Sabbia

Argilla NC

Figura 4.22 - Scavo realizzato in un terreno a grana fine, sovrastante uno strato a permeabilità molto più elevata

4.9 Considerazioni conclusive Per affrontare e risolvere i problemi di ingegneria geotecnica si utilizzano modelli sempli-ficati del sottosuolo, costituiti da strati di terreno omogenei, con superfici di confine ben definite, cui vengono attribuite proprietà geotecniche medie o caratteristiche. La geome-tria e le proprietà fisiche, idrauliche e meccaniche dei diversi strati di terreno sono stimate in base ai risultati di indagini geotecniche in sito e di laboratorio. Come vedremo nei capi-toli successivi, le indagini geotecniche hanno limiti e incertezze, dovuti alla rappresenta-tività del campione statistico, alla variabilità intrinseca delle proprietà dei terreni, alla im-possibilità di riprodurre in laboratorio le reali condizioni in sito, alle incertezze nelle pro-cedure di trasformazione dei risultati sperimentali in proprietà geotecniche, etc.. Pertanto il modello di sottosuolo utilizzato per il calcolo è solo uno schema semplificato della real-tà fisica, sia per quanto riguarda la geometria sia per quanto riguarda le proprietà geotec-niche attribuite ai singoli strati. Le incertezze del modello hanno effetti molto diversi a seconda del problema geotecnico. In alcuni di essi, anche scarti considerevoli dei valori reali di una proprietà geotecnica dal valore medio stimato ed assunto per il calcolo, hanno modesti effetti sul risultato (ad e-sempio, la stima della capacità portante e dei cedimenti di una fondazione, o anche la sti-ma della spinta del terreno su un’opera di sostegno). Ma nei problemi di idraulica del ter-reno, ove è necessario considerare la filtrazione dell’acqua e la distribuzione delle pres-sioni interstiziali nello spazio e nel tempo, anche dettagli geologici minimi, apparente-mente insignificanti e di difficile individuazione con le usuali tecniche di indagine, pos-sono avere un’influenza decisiva, per cui l’uso di un modello semplificato di sottosuolo, che trascuri tali dettagli, può condurre a risultati decisamente errati. Si consideri, ad esempio, una palancola a sostegno di uno scavo in un deposito di sabbia, in cui sia presente un sottile strato di argilla. In assenza di falda, e quindi di filtrazione, la presenza dello straterello argilloso e molto poco permeabile, ha un’influenza trascurabile

Page 75: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 4 IDRAULICA DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

75

sulla pressione mutua terreno-struttura, e quindi sulla stabilità e sulle deformazioni del si-stema geotecnico. Al contrario, in presenza di falda, se il livello argilloso è al di sopra dell’estremità inferiore della palancola ed è continuo, esso intercetta quasi completamente la filtrazione ed altera profondamente la distribuzione delle pressioni interstiziali. Se tut-tavia il livello di argilla non è continuo, ma corrisponde ad una piccola lente, la rete di fil-trazione ne risulta modificata solo localmente. Una verticale di indagine geotecnica (ad esempio un sondaggio o una prova penetrometrica) eseguita per la progettazione della struttura, può non avere rilevato la presenza del sottile livello argilloso, oppure può averla rilevata ma senza poterne accertare l’estensione e la continuità. In definitiva, l’intensità e la distribuzione delle pressioni interstiziali in presenza di filtra-zione sono stimate mediante la rete idrodinamica, la cui determinazione è molto incerta e raramente rispecchia le reali condizioni idrauliche del terreno. Per cui l’analisi teorica del comportamento atteso del modello geotecnico, pur necessaria, deve essere convalidata da misure sperimentali durante la costruzione e in corso d’opera, ed eventualmente variata se le misure sperimentali non confermano le previsioni.

Page 76: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

76

CAPITOLO 5 MODELLI REOLOGICI

La reologia è la scienza che studia l’andamento delle deformazioni nella materia sotto l’effetto dell’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Uno degli obiettivi principali di questa disciplina è quello di caratterizzare il comportamento meccanico dei materiali me-diante la definizione di modelli matematici che stabiliscano dei legami tra tensioni, de-formazioni e tempo (detti legami costitutivi). Anche nella meccanica dei terreni si ricorre generalmente all’impiego di modelli, ovvero di schemi più o meno semplificati, per l’interpretazione di fenomeni fisici complessi e per la previsione del comportamento dei vari mezzi in seguito all’applicazione di un sistema di sollecitazioni. Un aspetto importante da sottolineare è che un modello reologico non è legato solo al tipo di materiale, ma anche e soprattutto al fenomeno fisico che lo interessa; per questo motivo la scelta del tipo di modello è strettamente dipendente oltre che dal tipo di materiale, da quello dell’applicazione ingegneristica considerata. Tra i modelli “classici”, quelli di maggiore interesse nell’ambito della meccanica dei ter-reni sono: - il modello elastico - il modello plastico - il modello viscoso che possono essere assunti singolarmente o in combinazione tra loro. Nella descrizione dei modelli reologici, riportata nei paragrafi seguenti, verranno adottati schemi monodimensionali e simboli convenzionali, per renderne più immediata la com-prensione a livello qualitativo. Passando dagli schemi monodimensionali al mezzo conti-nuo, al concetto di forza si sostituisce quello di tensione e al concetto di spostamento quello di deformazione.

5.1 Modello elastico Il comportamento di un corpo è definito elastico se le deformazioni prodotte da un siste-ma di sollecitazioni scompaiono una volta rimosse tali sollecitazioni. La relazione sforzi-deformazioni è biunivoca e indipendente dal tempo: una stessa sollecitazione produce sempre la stessa deformazione anche se applicata ripetutamente. Il simbolo comunemente usato per rappresentare l’elasticità di un mezzo è una molla, e lo schema monodimensionale sempli-ficato è quello rappresentato in Fi-gura 5.1 (schema di Hooke). Se si immagina di applicare una for-za F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo spostamento s (Figura 5.1), la relazione tra F ed s è del tipo: F = f(s) (Eq. 5.1) ed è rappresentata in Figura 5.2.

O

KF

s

A

Figura 5.1. - Schema di Hooke per un mezzo elastico

Page 77: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

77

Se f(s) è una funzione lineare (linea (a) di Figura 5.2), ovvero: F = K⋅s (Eq. 5.2) con K = costante, si parla di com-portamento elastico-lineare, con K costante elastica del mezzo. Se di-pende dal livello di sforzo (o di de-formazione) raggiunto (curva (b) di Figura 5.2), si parla di legame ela-stico non lineare. La funzione che rappresenta un legame elastico non lineare può essere approssimata con una funzione lineare a tratti, su in-tervalli opportunamente piccoli del-lo spostamento. Le principali applicazioni geotecniche per le quali viene spesso assunta l’ipotesi di com-portamento elastico del terreno sono: − il calcolo delle deformazioni nei terreni sovraconsolidati; − l’analisi della diffusione delle tensioni nel terreno; − il calcolo delle strutture di fondazione.

5.2 Modello plastico Il comportamento di un corpo è definito plastico se, raggiunta una determinata soglia di sollecitazione, si manifestano deformazioni permanenti (ossia che si conservano anche una volta rimosse le sollecitazioni) e indipendenti dalla durata delle sollecitazioni applica-te. La relazione sforzi-deformazioni è quindi indipendente dal tempo e non biunivoca: ad uno stesso valore della deformazione, s, possono corrispondere valori diversi della solle-citazione, F. La plasticità di un mezzo può es-sere rappresentata mediante un pattino ad attrito, secondo lo schema monodimensionale sem-plificato rappresentato in Figura 5.3 (schema di Coulomb). Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello collegato al pattino, si osserva che non si hanno spostamenti fino a che la sollecitazione non rag-giunge un valore limite F*. In corrispondenza di tale valore lo spostamento plastico può avvenire a forza applicata costante (mezzo plastico perfetto) (linea (a) di Figura 5.4) op-pure progredire con aumento della forza applicata (linea (b) di Figura 5.4) o diminuzione della forza applicata (linea (c) di Figura 5.4). In questi casi si parla, rispettivamente, di mezzo incrudente positivamente o negativamente. Annullando la forza F non si ha alcun recupero dello spostamento accumulato come è possibile osservare in Figura 5.5; incre-

K1

F = K s

F = f(s)F

(a)

(b)

s Figura 5.2. – Comportamento elastico lineare (a) e non lineare (b)

O

F

s

A

Figura 5.3 – Schema di Coulomb per un mezzo plastico

Page 78: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

78

mentando nuovamente la forza F il pattino rimarrà fermo nella posizione assunta sotto il carico precedente, fino a che l’intensità della forza applicata non raggiunge il nuovo valo-re limite F*, che sarà uguale al precedente per mezzo plastico perfetto, maggiore per mez-zo incrudente positivamente, minore per mezzo incrudente negativamente.

La relazione tra lo spostamento plastico, dsp, e l’aliquota di forza che eccede F*, dF*, è del tipo:

*p dFH1ds = (Eq. 5.3)

dove H, detto coefficiente di incrudimento, sarà uguale a zero per mezzo plastico perfet-to, positivo per mezzo incrudente positivamente, negativo per mezzo incrudente negati-vamente. Nelle applicazioni geotecniche l’ipotesi di comportamento plastico è assunta nella tratta-zione dei problemi di stabilità, per i quali si fa riferimento alle condizioni di equilibrio li-mite (capacità portante delle fondazioni, stabilità dei pendii, delle opere di sostegno, ecc..)

5.3 Modello viscoso Il mezzo viscoso è caratterizzato da deformazioni permanenti che si sviluppano con una velocità legata alla sollecitazione applicata. La velocità di deformazione si annulla all’annullarsi della sollecitazione. Il simbolo con cui si rappresenta la viscosità di un mez-zo è lo smorzatore viscoso (o ammortizzatore idraulico) costituito da un pistone forato che scorre in un cilindro pieno di liquido. Lo schema monodimensionale semplificato del modello è rappresentato in Figura 5.6 (schema di Newton). Se si immagina di applicare una forza F all’estremità libera del carrello e di registrarne lo

spostamento s, si osserva una relazione tra F e la velocità di spostamento dtdss = , ossia

(linea (a) di Figura 5.7): f(s)F = (Eq. 5.4)

H1

F*

F

H > 0

H = 0

H < 0

(a)

(b)

(c)

s

H1

F*

F

O

AB

Cp

ss

Figura 5.4 – Andamento tensioni-deformazioni per un mezzo plastico perfetto (a), incrudente positivamente (b) e negativamente (c).

Figura 5.5 – Deformazione permanente per un mezzo plastico.

Page 79: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

79

O

F

sA

η

η1

F = sη

F = f(s)F (a)

(b)

sFigura 5.6 – Schema di Newton per un mezzo viscoso

Figura 5.7 – Comportamento di un mezzo viscoso (a) e di un mezzo viscoso perfetto (b)

Se f(s) è una funzione lineare (linea (b) di Figura 5.7), ovvero:

sηF ⋅= (Eq. 5.5) con η = costante, si parla di mezzo viscoso perfetto o newtoniano, con η viscosità del mezzo.

5.4 Modelli reologici complessi I modelli semplici descritti nei precedenti paragrafi possono essere combinati tra loro per ottenere in alcuni casi modelli più adatti a schematizzare il comportamento del terreno. La combinazione può essere fatta in serie o in parallelo. Nel primo caso lo spostamento risultante è la somma dei singoli spostamenti e la forza è la stessa per tutti i componenti; nel secondo caso la forza è la somma delle forze nei sin-goli componenti mentre lo spostamento è lo stesso. Tra le possibili combinazioni verranno esaminate nel seguito: − il modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi) − il modello elasto-plastico incrudente

5.4.1 Modello elasto-viscoso in parallelo (modello di Kelvin –Terzaghi)

Lo schema monodimensionale semplificato che rappresenta questo modello è riportato in Figura 5.8. Se Fe rappresenta la forza che agisce sulla molla, Fv quella agente sullo smorzatore, se ed sv i rispettivi spostamenti, si ha: F = Fe + Fv (Eq. 5.6)

s = se = sv (Eq. 5.7)

Page 80: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

80

Sostituendo ad Fe e Fv le rispetti-

ve espressioni in funzione s ed .s

si ottiene:

Integrando l’equazione preceden-te nell’ipotesi che lo spostamento iniziale sia nullo (s(0) = 0) e che venga applicata istantaneamente una forza F = Fo, si ha:

)e1(s)e1(KF)t(s ritT

te

tKo

−−−⋅=−⋅= η (Eq. 5.9)

dove Trit = η/K è detto tempo di ritardo. Lo spostamento progredisce nel tempo in funzione delle caratteristiche elastiche e viscose del mezzo tendendo asintoticamente allo spostamento se che compete alla componente e-lastica (curva OAC in Figura 5.9).

La derivata dell’Eq. 5.9 è:

ritTt

rit

e

eTs)t(s

⋅=

e per t = 0 risulta:

rit

e

Ts)0t(s == .

Quindi Trit rappresenta l’ascissa cor-rispondente al punto di intersezione tra s = se e la tangente nell’origine (indicato con T in Figura 5.9). Se all’istante t1 la forza viene rimos-sa, il ritorno nella posizione origina-ria è ritardato dalla presenza dello smorzatore (curva AB in Figura 5.9). Il modello di Kelvin-Terzaghi è uti-lizzato nell’interpretazione della teo-ria della consolidazione edometrica.

5.4.2 Modello elasto-plastico incrudente

Lo schema monodimensionale di questo modello è rappresentato da una molla ed un pat-tino ad attrito in serie (Figura 5.10). In questo caso, se si immagina di applicare una forza al carrello lo spostamento sarà inizialmente pari a quello elastico della molla. Raggiunto il valore di soglia della forza, F* (rappresentato dal punto A in Figura 5.11), i-nizierà a muoversi anche il pattino e l’incremento di spostamento ds del carrello, conse-

O

K

η

F

s

A

Figura 5.8 – Schema semplificato del modello di Kelvin-Terzaghi

sKsF η+= (Eq. 5.8)

s

s

F

A C

O B

T

F0

t

e

t1T

r i t

Figura 5.9 – Andamento nel tempo degli spostamenti nel modello di Kelvin-Terzaghi

Page 81: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 5 MODELLI REOLOGICI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

81

guente ad un incremento di forza dF* (rappresentato in Figura 5.11 dal tratto AB), sarà da-to da: ds = dse + dsp = λ dF* (Eq. 5.10) essendo dse e dsp gli incrementi di spostamento che competono rispettivamente alla molla e al pattino. Essendo dse = k dF*, con k pari all’inverso della costante elastica del mezzo, K, si avrà: dsp =ds – dse = (λ−k)dF* (Eq. 5.11) Il coefficiente di incrudimento del mezzo sarà dato da: H = dF*/dsp = 1/(λ-k) (Eq. 5.12) Con un modello elasto-plastico incrudente si interpreta la compressibilità edometrica dei terreni sovraconsolidati.

1λdF*

F*

F ds p eds

O

A

B

Cs

ss

1k

ds

p s e

Figura 5.11 – Comportamento di un mezzo elasto-plastico incrudente

O

F

s

A

K

Figura 5.10 – Schema semplificato del modello elasto-plastico incrudente

Page 82: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

82

CAPITOLO 6 PRESSIONI DI CONTATTO E DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

IN UN SEMISPAZIO ELASTICO

6.1 Pressioni di contatto Una fondazione superficiale trasmette al terreno il carico proveniente dalla struttura in e-levazione. Le pressioni mutue all’intradosso della fondazione sono dette pressioni di contatto. La distribuzione delle pressioni di contatto dipende dall’entità e distribuzione del carico all’estradosso della fondazione, dalla rigidezza della struttura di fondazione e dalla rigidezza del terreno di fondazione. In Figura 6.1 sono qualitativamente rappresentati gli effetti della rigidezza della struttura di fondazione e della rigidezza del terreno di appoggio sulla distribuzione della pressione di contatto per fondazioni soggette ad un carico uniforme.

a) fondazioni flessibili

b) fondazioni rigide

c) fondazioni semi-rigide

schema

su argilla

su sabbia

p

p p

p

p

p

p

p

p

p

p

min

m in

min

min

max

max

min

minmax

min

W

qq

q q

WW

W

W

WWW

max

max

max

max

max

W

q

q

q

W

Figura 6.1: Pressioni di contatto e cedimenti per fondazioni superficiali su terreno omogeneo soggette a carico verticale uniforme

Se la fondazione è priva di rigidezza, ovvero non resistente a flessione, la distribuzione delle pressioni di contatto è necessariamente eguale alla distribuzione del carico applica-to, e la sua deformata si adatta ai cedimenti del terreno. Se il terreno di appoggio ha egua-le rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), il cedimento è massimo in mezze-ria e minimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso l’alto. Se invece il terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), il cedimen-to è minimo in mezzeria e massimo al bordo, ovvero la deformata ha concavità verso il basso (Figura 6.1a). Lo schema di fondazione priva di rigidezza si applica, ad esempio, alle fondazioni dei rilevati. Se la fondazione ha rigidezza infinita, ovvero è indeformabile e di infinita resistenza a flessione, per effetto di un carico a risultante verticale centrata, subisce una traslazione verticale rigida (cedimenti uniformi). La distribuzione delle pressioni di contatto è sim-

Page 83: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

83

metrica per equilibrio e dipende dalla rigidezza del terreno di appoggio. Se il terreno di appoggio ha eguale rigidezza sotto ogni punto della fondazione (argilla), le pressioni di contatto sono massime al bordo e minime in mezzeria. Viceversa se terreno di appoggio ha rigidezza crescente con la pressione di confinamento (sabbia), le pressioni di contatto sono massime al centro e minime al bordo (Figura 6.1b). Lo schema di fondazione infini-tamente rigida si applica, ad esempio, a plinti in calcestruzzo, alti e poco armati. Se la fondazione ha rigidezza finita, il suo comportamento è intermedio fra i due soprade-scritti, ovvero ha una deformata curvilinea ma meno pronunciata di quella della fondazio-ne priva di rigidezza, con concavità verso l’alto o verso il basso a seconda del tipo di ter-reno di appoggio (Figura 6.1c). Lo schema di fondazione di rigidezza finita si applica, ad esempio, alle platee di fondazione. Se il carico proveniente dalla struttura in elevazione (e applicato all’estradosso della strut-tura di fondazione) non è uniforme ma ha comunque risultante verticale centrata, la di-stribuzione delle pressioni di contatto è: - per fondazioni flessibili, eguale alla distribuzione del carico applicato, - per fondazioni di rigidezza infinita, eguale alla distribuzione per carico uniforme di

pari risultante, - per fondazioni di rigidezza finita, intermedia ai due casi precedenti1.

6.2 Diffusione delle tensioni nel terreno La realizzazione di un’opera di ingegneria geotecnica produce un’alterazione dello stato di tensione naturale nel terreno, e quindi deformazioni e cedimenti. Per stimare i cedimenti è necessario conoscere: a) lo stato tensionale iniziale nel sottosuo-lo, b) l’incremento delle tensioni prodotto dalla realizzazione dell’opera, e c) la relazione fra incrementi di tensione e incrementi di deformazione (legge costitutiva). Lo stato tensionale iniziale nel sottosuolo corrisponde alle tensioni geostatiche, di cui ab-biamo discusso nel Capitolo 3 . Per la stima, approssimata, dell’incremento delle tensioni verticali nel sottosuolo, da cui principalmente dipendono i cedimenti in superficie, si fa spesso riferimento al modello di semispazio omogeneo, isotropo, elastico lineare e senza peso che, pur avendo un compor-tamento per molti aspetti diverso da quello dei terreni reali, fornisce soluzioni sufficien-temente accurate ai fini progettuali. In particolare, le principali differenze tra il modello del continuo elastico e i terreni reali, sono: 1. raramente i depositi di terreno reale sono costituiti da un unico strato di grande spes-

sore, più spesso sono stratificati, e ogni strato ha differente rigidezza, e/o è presente un substrato roccioso (bedrock) di rigidezza molto superiore a quella degli strati so-vrastanti2;

2. anche nel caso di terreno omogeneo, la rigidezza dei terreni reali non è costante ma cresce con la profondità3;

1 Ai soli fini del calcolo strutturale delle fondazioni, per la stima della distribuzione delle pressioni di con-tatto, si fa spesso riferimento al modello di Winkler, argomento che esula dal presente corso. 2 Esistono soluzioni elastiche che considerano il terreno stratificato e/o il bedrock. La presenza di un be-drock porta a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo. 3 Esistono soluzioni elastiche che considerano il modulo di Young linearmente crescente con la profondità. Tali soluzioni portano a valori della tensione verticale indotta superiori a quelli del semispazio omogeneo.

Page 84: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

84

3. i terreni reali non sono isotropi. Il rapporto tra i moduli di deformazione in direzione verticale ed orizzontale, Ev/Eh, è di norma maggiore di uno per terreni normalmente consolidati e debolmente sovraconsolidati, mentre è minore di uno per terreni forte-mente sovraconsolidati;

4. l’ipotesi di elasticità lineare può essere accolta solo per argille sovraconsolidate e sab-bie addensate limitatamente a valori molto bassi di tensione, ma non è accettabile per tutti gli altri casi4.

La non corrispondenza fra le ipotesi del modello e la realtà fisica, porta a risultati gene-ralmente inaccettabili in termini di deformazioni calcolate, ma accettabili limitatamente alla stima delle tensioni verticali. Pertanto, con una procedura teoricamente non corretta ma praticamente efficace e molto comune in ingegneria geotecnica, si utilizzano modelli diversi (leggi costitutive diverse) per risolvere aspetti diversi dello stesso problema. Ad esempio, per una stessa fondazione superficiale, si utilizza il modello rigido-perfettamente plastico per il calcolo della capacità portante, il modello continuo elastico lineare per la stima delle tensioni verticali indotte in condizioni di esercizio, il modello edometrico per il calcolo dei cedimenti e del decorso dei cedimenti nel tempo, il modello di Winkler per il calcolo delle sollecitazioni nella struttura di fondazione, etc...

6.2.1 Tensioni indotte da un carico verticale concentrato in superficie (problema di Boussinesq)

Il matematico francese Boussinesq, nel 1885, fornì la soluzione analitica del problema capostipite di tutte le successive soluzioni elastiche: tensioni e deformazioni indotte da una forza applicata ortogonalmente sulla su-perficie di un semispazio ideale, continuo, omogeneo, isotropo, elastico lineare e privo di peso. Con riferimento allo schema di Figura 6.2 le tensioni indotte in un generico punto di tale semispazio, valgo-no (in coordinate cilindriche)5:

dove R2 = r2+z2

4 Per carichi concentrati l’ipotesi di elasticità lineare conduce a valori infiniti della tensione in corrispon-denza del carico. Non esiste un materiale reale capace di resistere a tensioni infinite. (E d’altra parte anche i carichi concentrati sono solo un’astrazione matematica). 5 Con riferimento ad un caso reale, quindi ad un terreno dotato di peso, le tensioni ottenute dalla soluzione di Boussinesq (e per i casi di seguito considerati) vanno sommate alle tensioni geostatiche preesistenti.

5

3

z Rz

2P3

⋅π⋅

⋅=σ Eq. (6.1)

( )( ) ⎥

⎤⎢⎣

⎡+

⋅ν⋅−+

⋅⋅−⋅

⋅π⋅−=σ

zRR21

Rzr3

R2P

3

2

2r Eq.(6.2)

( )( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡+

−⋅⋅π⋅

⋅ν⋅−−=σθ zR

RRz

R2P21

2 Eq. (6.3)

5

2

rz Rrz

2P3 ⋅

⋅⋅⋅

τ Eq. (6.4)

r

P

R

r

θ

z

z

σ

σ

ψ

σ Figura 6.2: Carico concentrato, problema di Boussinesq

Page 85: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

85

Si osservi che l’Eq. 6.1, che permette di calcolare la tensione verticale indotta, non con-tiene il coefficiente di Poisson, ν. La distribuzione delle tensioni verticali su un piano orizzontale alla profondità z dal p.c. è una superficie di rivoluzione avente forma di una campana, simile alla curva gaussiana, il cui volume è pari al carico applicato in superficie. Al crescere di z la campana è sempre più estesa e schiacciata. A profondità z=0, la campana degenera in una tensione infinita su un’area infinitesima, ovvero nel carico applicato P. A titolo di esempio in Figura 6.3 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m. La distribuzione delle tensioni verticali al variare della profondità z per un assegnato va-lore della distanza orizzontale r dall’asse di applicazione della forza P, è indicata in Figu-ra 6.4. Per r=0, ovvero in corrispondenza del carico applicato, la tensione a profondità z=0 è infinita per poi decrescere monotonicamente al crescere di z. Per r>0, la pressione verticale vale 0 alla profondità z=0, poi cresce con z fino ad un valore massimo per poi decrescere tendendo al valore zero. A titolo di esempio in Figura 6.4 sono rappresentate le distribuzioni di tensione verticale indotte da un carico concentrato P = 100kN alle distan-ze r = 0m, 2m e 5m.

0

4

8

12

-10 -5 0 5 10

r (m)

σz (

kPa)

Z = 2m

Z = 5m

Z = 10m

0

5

10

15

20

0 1 2 3 4 5σz (kPa)

z (m

)

r = 0mr = 2mr = 5m

Figura 6.3 - Distribuzioni di tensione verticale indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P=100kN alle profondità z = 2m, 5m e 10m

Figura 6.4 - Distribuzioni di tensione vertica-le indotte in un semispazio alla Boussinesq da un carico P = 100kN alle distanze r = 0m, 2m e 5m

Poiché per l’ipotesi di elasticità lineare è valido il principio di sovrapposizione degli effet-ti, la soluzione di Boussinesq è stata integrata per ottenere le soluzioni elastiche relative a differenti condizioni di carico applicato in superficie. Le più frequentemente usate nella pratica professionale sono le seguenti.

6.2.2 Tensioni indotte da un carico verticale distribuito su una linea retta in superficie

Con riferimento allo schema di Figura 6.5, le tensioni indotte da un carico verticale distri-buito su una linea retta in superficie sono fornite dalle equazioni (6.5), (6.6), (6.7) e (6.8) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della linea di carico):

Page 86: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

86

dove P’ è il carico per unità di lunghezza, e R2 = x2+z2. 6

6.2.3 Tensioni indotte da una pressione vertica-le uniforme su una striscia indefinita

Con riferimento allo schema di Figura 6.6, le ten-sioni indotte da una pressione verticale uniforme su una striscia indefinita sono fornite dalle equa-zioni (6.9), (6.10), (6.11) e (6.12) (in coordinate cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secon-do la direzione della striscia di carico).

( )[ ]β⋅+α⋅α+α⋅π

=σ 2cossenqz (Eq. 6.9)

( )[ ]β⋅+α⋅α−α⋅π

=σ 2cossenqx (Eq. 6.10)

α⋅ν⋅π⋅

=σq2

y (Eq. 6.11)

( )βααπ

τ ⋅+⋅⋅= 2sensenqxy (Eq. 6.12)

dove q è il carico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è negativo per punti sotto l’area caricata.

6.2.4 Tensioni indotte da una pressione verti-cale triangolare una striscia indefinita

Con riferimento allo schema di Figura 6.7, le tensioni indotte da una pressione verticale trian-golare su una striscia indefinita sono fornite dalle equazioni (6.13), (6.14) e (6.15) (in coordinate

cartesiane ed assumendo l’asse y orientato secondo la direzione della striscia di carico):

6 Si osservi come le tensioni, per evidenti ragioni di simmetria, siano indipendenti da y.

x

x

z

z

R

x

y

z

σ

σ

σ

P’

Figura 6.5 - Carico distribuito su una linea retta

4

3

z Rz'P2

⋅⋅

σ (Eq. 6.5)

4

2

x Rxz'P2 ⋅

⋅⋅

σ (Eq. 6.6)

2y Rz'P2

⋅⋅⋅

= νπ

σ (Eq. 6.7)

4

2

xy Rzx'P2 ⋅

⋅⋅

τ (Eq. 6.8)

q

x

x

y

z

σ

σ

α

β

σ

B

z

Figura 6.6: Pressione uniforme su stri-scia indefinita

Page 87: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

87

2a'

2a x

z

q

Figura 6.8: Pressione trapezia su striscia indefinita

dove q è il valore massimo del ca-rico per unità di superficie, α e β sono espressi in radianti, β è nega-tivo per punti sotto l’area caricata.

6.2.5 Tensione verticale indotta da una pressione verticale trapezia su una striscia in-definita

Il caso della pressione verticale tra-pezia, di uso molto frequente poi-ché corrisponde al carico trasmesso da rilevati stradali, può essere risol-to per sovrapposizione di effetti uti-lizzando le equazioni delle strisce di carico rettangolare e triangolare. Se interessa conoscere la tensione verticale in asse al rilevato, con ri-ferimento allo schema ed ai simboli di Figura 6.8, può essere utilizzata, più semplicemente, la seguente equazione:

( ) ( ) ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅

π⋅−⋅

=σ = z'aarctan'a

zaarctana

'aaq2

0xz Eq. (6.16)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ β⋅−α⋅⋅

π=σ 2sen

21

Bxq

z (Eq. 6.13)

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⋅+⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅−⋅⋅= βα

πσ 2sen

21

RRln

Bz

Bxq

22

21

x (Eq. 6.14)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ α⋅⋅−β+⋅

π⋅=τ

Bz22cos1

2q

xz (Eq. 6.15)

q

x

x

y

z

σ

α

β

σ

R

R

2

1

B

Figura 6.7 - Pressione triangolare su striscia indefinita

Page 88: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

88

6.2.6 Tensione verticale indotta da una pressione uniforme su una superficie circolare

Con riferimento allo schema di carico di Figura 6.9, le tensioni verticali indotte in asse all’area caricata possono essere calcolate con la seguente equazione:

( )

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎪⎪⎪

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛+

−⋅== 320rz

zR1

11qσ (Eq. 6.17)

mentre per la stima il delle tensioni indotte in corrispondenza di altre verticali si può fare riferimento alla Tabella 6.1 ed alle curve rappresentate in Figura 6.10.

Osservando la Figura 6.10 si può notare che alla profondità z = 0 in corrispondenza delle verticali interne all’area caricata (r < R)la pressione di contatto è pari alla pressione q agente sull’area cir-colare (fondazione flessibile), in corrispondenza delle verticali e-sterne (r > R) la pressione di con-tatto è zero, e che in corrispon-denza delle verticali sul bordo (r = R) la pressione di contatto è pari alla metà della pres-sione q.

6.2.7 Tensioni indotte da una pressione uniforme su una superficie rettangolare

La soluzione relativa al caso di un’area rettangolare uniformemente caricata è molto im-portante, non solo perché molte fondazioni hanno forma rettangolare, ma anche perché, sfruttando il principio di sovrapposizione degli effetti, permette di calcolare lo stato ten-sionale indotto da una pressione uniforme agente su un’area scomponibile in rettangoli. Con riferimento allo schema di Figura 6.11, le tensioni indotte dal carico in un punto sulla verticale per uno spigolo O dell’area caricata, posto:

2R

q

z

r

Figura 6.9 - Pressione uniforme su area circolare

0

1

2

3

4

5

0 0,25 0,5 0,75 1

σz/q

z/R

r/R=0

r/R=0,5

r/R=1

r/R=2

Figura 6.10 - Variazione della tensione verticale indotta da una pressione su area circolare per differenti verticali

Page 89: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

89

Tabella 6.1: Variazione della tensione verticale indotta da una pressione su area circolare per differenti verticali (dati relativi alla Figura 6.10)

( )( )( ) 5,0222

3

5,0222

5,0221

zBLR

zBR

zLR

++=

+=

+=

valgono:

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅

⋅⋅+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ 22

2133

z R1

R1

RzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.18)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⋅⋅⋅

−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ3

213

x RRzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.19)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⋅⋅⋅

−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅⋅

⋅π⋅

=σ3

223

y RRzBL

RzBLarctan

2q Eq. (6.20)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⋅

−⋅π⋅

=τ3

21

2

2zx RR

zBRB

2q Eq. (6.21)

r/R 0 0,5 1 2 z/R σz / q

0 1,000 1,000 0,500 0,0000,1 0,999 0,995 0,481 0,0000,2 0,992 0,977 0,464 0,0010,3 0,976 0,941 0,447 0,0030,4 0,948 0,894 0,430 0,0060,5 0,910 0,840 0,412 0,0100,6 0,863 0,780 0,395 0,0160,7 0,811 0,718 0,378 0,0220,8 0,758 0,664 0,362 0,0280,9 0,700 0,612 0,346 0,0351 0,646 0,565 0,329 0,041

1,2 0,546 0,480 0,298 0,0521,4 0,461 0,408 0,268 0,0611,6 0,390 0,351 0,241 0,0671,8 0,332 0,303 0,217 0,0712 0,284 0,262 0,195 0,073

2,2 0,245 0,228 0,176 0,0732,4 0,213 0,201 0,158 0,0732,6 0,186 0,178 0,142 0,0712,8 0,164 0,158 0,131 0,0693 0,146 0,141 0,119 0,0674 0,086 0,082 0,077 0,0525 0,057 0,054 0,052 0,041

q

x

z

y

L

B

B

x

y

z

σ

σ

σ

R

RR

1

23

x

z

Figura 6.11- Pressione uniforme su un’area ret-tangolare

Page 90: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 6 DIFFUSIONE DELLE TENSIONI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

90

Volendo conoscere lo stato tensionale in un punto del semispazio alla profondità z, sulla verticale di un punto M non coincidente con lo spigolo O del rettangolo, si procede per sovrapposizione di effetti di aree di carico rettangolari, nel modo seguente (Figura 6.12): a) M interno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma delle tensioni indotte in M dalle

4 aree (1), (2), (3) e (4), ciascuna con vertice in M: )M'CC'D(zM)M'DD'B(zM)M'BB'A(zM)'MC'AA(zM)ABCD(zM σσσσσ +++= Eq. (6.22)

b) M esterno ad ABCD; le tensioni risultano dalla somma algebrica delle tensioni indotte

da rettangoli opportunamente scelti, sempre con vertice in M: )''MD'DD(zM)'MC'CD(zM)''MD'BB(zM)'MC'AB(zM)ABCD(zM σ+σ−σ−σ=σ Eq. (6.23)

Può essere talvolta utile valutare anche i cedimenti elastici. L’equazione per il calcolo del cedimento in corrispondenza dello spigolo O dell’area flessibile di carico uniforme q, di forma rettangolare BxL su un semispazio continuo, elastico lineare, omogeneo e isotropo, avente modulo di Young E, e coefficiente di Poisson ν, è la seguente: posto ξ = L/B

( ) ( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎟⎟

⎜⎜

ξξ++

⋅ξ+ξ++ξ⋅ν−

⋅π⋅

=2

22 11

ln1lnE

1Bqw Eq. (6.24)

L’Eq. 6.24 permette di calcolare il cedimento elastico in qualunque punto della superficie, per sovrapposizione degli effetti, con procedura analoga a quella sopra descritta per il cal-colo delle tensioni verticali.

C D

A

M

B A

M

B B'

C D D'

C' D''

1

3 4

2

caso a) caso b)

Figura 6.12 - Esempi di sovrapposizione di aree di carico rettangolari

A’

B’

D’

C’

Page 91: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

91

CAPITOLO 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

La risultante delle deformazioni verticali che si manifestano in un terreno è comunemente indicata con il termine cedimento e di tale grandezza, nella pratica ingegneristica, interes-sa di solito conoscere sia l’entità sia l’evoluzione nel tempo. I principali meccanismi che contribuiscono allo sviluppo dei cedimenti sono: − compressione e inflessione delle particelle di terreno per incremento delle tensioni di

contatto (tale fenomeno produce deformazioni in gran parte reversibili, ovvero elasti-che);

− scorrimento relativo dei grani indotto dalle forze di taglio intergranulari (tale fenome-no produce deformazioni in gran parte irreversibili, ovvero plastiche);

− frantumazione dei grani in presenza di elevati livelli tensionali (le conseguenti defor-mazioni sono irreversibili);

− variazione della distanza tra le particelle dei minerali argillosi, dovuta a fenomeni di interazione elettrochimica (le conseguenti deformazioni sono in parte reversibili e in parte irreversibili in relazione alle caratteristiche del legame di interazione);

− compressione e deformazione dello strato di acqua adsorbita (le conseguenti deforma-zioni sono in gran parte reversibili, ovvero elastiche);

In definitiva, le deformazioni (e quindi i cedimenti) conseguono direttamente alla: 1. compressione delle particelle solide (incluso lo strato di acqua adsorbita); 2. compressione dell’aria e/o dell’acqua all’interno dei vuoti; 3. espulsione dell’aria e/o dell’acqua dai vuoti. Per i valori di pressione che interessano nella maggior parte dei casi pratici, la deformabi-lità delle particelle solide è trascurabile. Inoltre, se il terreno è saturo, come spesso accade per i terreni a grana fine, anche la compressibilità del fluido interstiziale (acqua e/o mi-scela aria-acqua) può essere trascurata, essendo trascurabile la quantità di aria presente e l’acqua praticamente incompressibile. Pertanto, il cedimento nei terreni è dovuto preva-lentemente al terzo termine ed in particolare all’espulsione dell’acqua dai vuoti1. Via via che l’acqua viene espulsa dai pori, le particelle di terreno si assestano in una con-figurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume. Il processo di espulsione dell’acqua dai vuoti è un fenomeno dipendente dal tempo (ovve-ro dal coefficiente di permeabilità del terreno), l’entità della variazione di volume è legata alla rigidezza dello scheletro solido. Si distinguono quindi i due concetti di compressibilità e consolidazione. Compressibilità è la risposta in termini di variazione di volume di un terreno sottoposto ad un incremento dello stato tensionale (efficace, in base al principio delle pressioni effi-caci). È necessario studiare la compressibilità di un terreno per stimare le deformazioni volumetriche ed i conseguenti cedimenti.

1 I cedimenti possono essere anche dovuti a costipamento, ovvero all’espulsione di aria da un terreno non saturo come conseguenza dell’applicazione di energia di costipamento (vedi capitolo 2), a deformazioni di taglio a volume costante, che si verificano nei terreni saturi e poco permeabili in condizioni non drenate all’atto stesso di applicazione dell’incremento delle tensioni, o a deformazioni volumetriche a pressione ef-ficace costante, ovvero a creep (viscosità).

Page 92: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

92

Consolidazione è la legge di variazione di volume del terreno nel tempo. È necessario studiare la consolidazione per stimare il decorso delle deformazioni volumetriche e dei conseguenti cedimenti, nel tempo. Sebbene in linea di principio si possano applicare i concetti di compressibilità e di conso-lidazione sia a terreni granulari che a terreni a grana fine, in pratica interessano soprattutto questi ultimi, e particolarmente le argille, perché di norma responsabili di cedimenti mag-giori e di tempi di consolidazione molto più lunghi.

7.1 Compressibilità edometrica La compressibilità di un terreno viene spesso valutata in condizioni di carico assiale uni-formemente distribuito e di assenza di deformazioni laterali; tali condizioni sono dette “e-dometriche” (dal nome della prova utilizzata per riprodurle, che verrà descritta nel segui-to). Le condizioni edometriche si realizzano ad esempio nel caso della formazione di un depo-sito di terreno per sedimentazione lacustre (v. anche Capitolo 3 – Tensioni geostatiche), il cui schema è riportato nella Figura 7.1a. Il terreno è immerso e quindi è saturo (tutti i vuoti sono pieni d’acqua); inoltre, essendo il deposito infinitamente esteso in direzione orizzontale, per simmetria non sono possibili deformazioni orizzontali. In corrispondenza di un generico punto P (Figura 7.1a), la pressione efficace verticale (ed anche quella orizzontale) cresce gradualmente via via che avviene la sedimentazione e che il punto considerato, viene a trovarsi a profondità maggiori. Per effetto dell’incremento di tensioni efficaci, il terreno subisce deformazioni volumetri-che, εV, le quali, non essendo possibili deformazioni orizzontali, sono eguali alle defor-mazioni verticali (assiali), εa, ovvero:

av HH

VV ε∆∆ε ===

00 (Eq. 7.1)

essendo V0 e H0 il volume e l’altezza iniziale di un elemento di volume nell’intorno del punto P considerato, ∆V e ∆H le relative variazioni di volume e di altezza. In Ingegneria Geotecnica, per tradizione, si fa più spesso riferimento alle variazioni di in-dice dei vuoti piuttosto che alle variazioni di volume. Dalla definizione di deformazione volumetrica e ricordando la definizione di indice dei

vuoti (s

v

VV

e = ), si desume comunque la relazione:

000 1 HH

ee

VV ∆∆∆

=+

= (Eq. 7.2)

avendo indicato con e0 l’indice dei vuoti iniziale dell’elemento di terreno considerato. Rappresentando in un diagramma l’indice dei vuoti del terreno in funzione della pressione verticale efficace, riportata in scala logaritmica, nel caso in cui il deposito sia soggetto a più cicli di carico e scarico, ad esempio sedimentazione (A-B), seguita da erosione (B-C), di nuovo sedimentazione (C-D), fino a superare lo strato eroso, poi di nuovo erosione (D-E), si ottiene l’andamento qualitativo rappresentato nel grafico di Figura 7.1b. In particolare, trascurando il piccolo ciclo di isteresi formato dai tratti BC (scarico) e CB (ricarico), si può osservare che:

Page 93: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

93

P

e

c σ’ (log)v σ’

(A)

A

BC

DE

a) b)

(B)(C)

(E)(D)

Figura 7.1 - Sedimentazione in ambiente lacustre con più cicli di carico e scarico (a) e variazione dell’indice dei vuoti con la pressione verticale efficace (b): A→B: compressione vergine, B→C: decompressione, C→B: ricompressione, B→D: compressione vergine, D→E: decompressione.

- nelle fasi di primo carico (compressione vergine, tratti AB e BD) il comportamento de-formativo del terreno è elasto-plastico, poiché nella successiva fase di scarico una sola parte delle variazioni di indice dei vuoti (e quindi delle deformazioni) viene recupera-ta;

- i tratti di primo carico appartengono alla stessa retta; - nelle fasi di scarico e ricarico (tratti BC, CB e DE) il comportamento deformativo è e-

lastico ma non elastico-lineare (il grafico di Figura 7.1b è in scala semilogaritmica); - sia in fase di carico vergine che in fase di scarico e ricarico, essendo la relazione e-σ’v

rappresentata da una retta in scala semilogaritmica, per ottenere un assegnato decre-mento dell’indice dei vuoti, ∆e, occorre applicare un incremento di tensione verticale efficace ∆σ’v tanto maggiore quanto più alto è il valore di tensione iniziale, ovvero la rigidezza del terreno cresce progressivamente con la tensione applicata.

La massima pressione verticale efficace sopportata dall’elemento di terreno considerato è detta pressione di consolidazione (o di preconsolidazione), σ’c (ad esempio, nel caso di Figura 7.1 la pressione di consolidazione è rappresentata dall’ascissa del punto D del gra-fico. Quando l’elemento di terreno si trovava in un punto appartenente alla retta ABD, era soggetto ad una pressione verticale efficace che non aveva mai subito nel corso della sua storia precedente, ovvero era soggetto alla pressione di consolidazione; nei tratti BC e DE invece era soggetto ad una pressione verticale efficace minore di quella di consolidazione. Un terreno il cui punto rappresentativo si trova sulla curva edometrica di carico vergine (ABD) si dice normalmente consolidato (o normalconsolidato) (NC), mentre un terreno il cui punto rappresentativo si trova su una delle curve edometriche di scarico-ricarico (BC, CB, DE) si dice sovraconsolidato (OC). Il rapporto tra la pressione di consolidazione, σ’c, e la pressione verticale efficace agente, σ’vo, è detto, come già anticipato nel Capitolo 3, grado di sovraconsolidazione:

'vo

'cOCR

σσ

= .

In conclusione, si può affermare che in condizioni edometriche (e non solo, come vedre-mo più avanti) il comportamento del terreno segue, con buona approssimazione, un mo-dello elastico non lineare – plastico ad incrudimento positivo (vedi Capitolo 5).

Page 94: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

94

La pressione di consolidazione rappresenta la soglia elastica (o di snervamento) del mate-riale. Per valori di tensione inferiori alla pressione di consolidazione (terreno OC) il com-portamento è elastico non lineare. Se un terreno NC viene compresso la pressione di consolidazione, ovvero la soglia elastica aumenta di valore (incrudimento positivo). La compressibilità dei terreni viene studiata in laboratorio mediante la “prova edometri-ca”, i cui risultati sono comunemente utilizzati per calcolare le deformazioni (e i cedimen-ti) conseguenti all’applicazione di carichi verticali in terreni a grana fine, come verrà illu-strato più in dettaglio nei paragrafi seguenti e nel Capitolo 16 (cedimenti di fondazioni superficiali).

7.2 Determinazione sperimentale della compressibilità edometrica Per studiare in laboratorio la compressibilità (e, come vedremo in seguito anche la conso-lidazione) nelle condizioni di carico verticale infinitamente esteso, strati orizzontali, fil-trazione e deformazioni solo verticali (quali quelle presenti ad esempio durante il proces-so di formazione di un deposito per sedimentazione), viene impiegata una prova di com-pressione a espansione laterale impedita, detta prova edometrica. La prova viene di norma eseguita su provini di terreno a grana fine (argille e limi) indi-sturbati (ovvero ricavati in modo da alterare il meno possibile la struttura naturale del ter-reno in sito. Vedi anche Capitolo 12). I provini, di forma cilindrica e rapporto diametro/altezza (D/H0) compreso tra 2,5 e 4 (molto spesso D=6cm, H0=2cm), durante la prova sono lateralmente confinati da un anel-lo metallico, di rigidezza tale da potersi considerare indeformabile. L’assenza di deforma-zioni radiali (che nello schema di formazione di un deposito descritto precedentemente consegue alle condizioni di estensione infinita e stratificazione orizzontale) è garantita dal vincolo meccanico costituito dall’anello. La forma schiacciata del provino è motivata dal-le necessità di ridurre al minimo le tensioni tangenziali indesiderate di attrito e di aderen-za con la parete dell’anello (che a tal fine viene lubrificata), e di contenere i tempi di con-solidazione. Sulle basi inferiore e superiore del provino vengono disposti un disco di carta da filtro e uno di pietra porosa, per favorire il drenaggio. L'insieme provino-anello rigido-pietre porose è posto in un contenitore (cella edometrica) pieno d'acqua, in modo da ga-rantire la totale saturazione del provino durante la prova (Figura 7.2). Le modalità standard di esecuzione della prova prevedono l’applicazione del carico verti-cale N per successivi incrementi, ciascuno dei quali è mantenuto il tempo necessario per consentire l’esaurirsi del cedimento di consolidazione primaria2 (in genere 24h). Quindi, diversamente dallo schema di formazione del deposito per sedimentazione, carat-terizzato da un incremento graduale e continuo della pressione verticale (totale ed effica-ce), nella prova edometrica standard la tensione verticale totale è applicata per gradini, con discontinuità. Durante la permanenza di ciascun gradino di carico, viene misurata la variazione di altezza del provino, ∆H, nel tempo (tale informazione consente di studiare l’evoluzione nel tempo dei cedimenti, ovvero il processo di consolidazione, come verrà illustrato nel Paragrafo 7.7). Noto il valore di ∆H è possibile calcolare le deformazioni as-

2 La consolidazione primaria è distinta dalla consolidazione secondaria dovuta a fenomeni viscosi (Par. 7.9).

Page 95: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

95

siali (e volumetriche), 0H

Ha

∆ε = , e le variazioni di indice dei vuoti (Eq. 7.2),

( )00

1 eH

He +⋅=∆∆ .

N

0H

CapitelloAnello edometrico

Pietre porose

Cella edometrica

D

Figura 7.2– Cella edometrica

I valori della deformazione assiale e/o dell’indice dei vuoti corrispondenti al termine del processo di consolidazione primaria per ciascun gradino di carico3 (o più spesso, per comodità ma commettendo un errore, corrispondenti al termine delle 24h di permanenza del carico di ogni gradino), vengono diagrammati in funzione della corrispondente

pressione verticale media efficace, 2'v D

N4AN

⋅π⋅

==σ . Collegando fra loro i punti

sperimentali si disegnano le curve di compressibilità edometrica. Nel grafico in scala semilogaritmica della Figura 7.3, è rappresen-tato l’andamento del-l’indice dei vuoti (asse delle ordinate a sini-stra) e della deforma-zione assiale (asse delle ordinate a destra) in funzione della pressio-ne verticale media effi-cace, ottenuto speri-mentalmente da una prova edometrica stan-dard condotta su un provino “indisturbato” di argilla4 (le due curve 3 Le altezze del provino corrispondenti all’inizio e alla fine del processo di consolidazione primaria, per cia-scun gradino di carico, si determinano mediante opportune procedure descritte nei Paragrafi 7.7.1 e 7.7.2. 4 Si osservi che i punti sperimentali hanno passo costante in ascissa. Essendo la scala delle ascisse logarit-mica, ciò significa che gli incrementi di carico sono applicati con progressione geometrica. Nella fase di

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.01 0.1 1 10

Tensione efficace verticale, σ'v (Mpa)

indi

ce d

ei v

uoti,

e

1 2 34

5

6

7

89

10

11

Figura 7.3 – Esempio di risultati di prova edometrica

(log) [MPa]

0

5

10

15

20

Page 96: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

96

sono omologhe, in quanto le variabili εa e ∆e sono proporzionali). Nel grafico si individuano tre tratti per la fase di carico: − un tratto iniziale a debole pendenza (punti 1-2) − un tratto intermedio a pendenza crescente (punti 2-5) − un tratto finale a pendenza maggiore e quasi costante (punti 5-8). La curva di scarico (punti 9-11) ha pendenza minore e quasi costante. Il grafico può essere interpretato, alla luce di quanto detto al paragrafo precedente, tenen-do conto della storia tensionale e deformativa subita dal provino di terreno. Il provino, quando si trovava in sito, era soggetto alla pressione litostatica. Durante il campionamen-to, l’estrazione, il trasporto, l’estrusione dal campionatore, ha subito una serie di disturbi (inevitabili) ed una decompressione fino a pressione atmosferica in condizioni di espan-sione libera5. A causa della decompressione il provino si è espanso e, a parità di contenuto in acqua, è diminuito il grado di saturazione e si sono generate pressioni neutre negative (vedi Capitolo 9). Poi è stato fustellato con l’anello metallico della prova edometrica6 e inserito nella cella riempita d’acqua, dove assorbendo acqua in condizioni di espansione laterale impedita ha in parte rigonfiato. Infine è iniziata la fase di carico. Il tratto iniziale della curva di Figura 7.3 (punti 1-2) corrisponde perciò ad un ricompressione in condizio-ni edometriche che tuttavia segue ad uno scarico (non rappresentato nel grafico) non e-dometrico. Perciò il primo tratto non è rettilineo, e comunque non ha pendenza eguale a quella del ramo di scarico. Il secondo tratto della curva (punti 2-5) è marcatamente curvilineo e comprende il valore

della pressione di consolidazione in sito, la cui determinazione sperimen-tale viene di norma eseguita con la costruzione grafica di Casagrande, descritta nel seguito. Il terzo tratto della curva di carico (punti 5-8) corrisponde ad una com-pressione edometrica vergine o di primo carico. Il grafico di Figura 7.3 viene utilizza-to per stimare i parametri di com-pressibilità. A tal fine, la curva sperimentale di compressione edometrica e-σ’v, in scala semilogaritmica (Figura 7.3), viene approssimata, per le applica-zioni pratiche, con tratti rettilinei a

scarico il numero di punti sperimentali è minore (in genere la metà). Il primo gradino di carico è general-mente pari a 25 kPa, l’ultimo gradino deve essere tale da superare abbondantemente la pressione di precon-solidazione (6÷8 σ’c) 5 Poiché il disturbo da campionamento è inevitabile, specie per i terreni normalmente consolidati, nessuna

prova di laboratorio può riprodurre esattamente le condizioni in sito.

6 Per ridurre il disturbo prodotto dal fustellamento l’anello ha un bordo tagliente con parete interna verticale (vedi Figura 7.4).

e

σ'v (log)σ 'c

1

1

1

ACr

Cs

Cc

Figura 7.4 - Schematizzazione della curva di com-pressione edometrica

Page 97: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

97

differente pendenza7 (Figura 7.4); il tratto di ginocchio a pendenza crescente è sostituito con un punto angolare (punto A), corrispondente alla pressione di consolidazione, σ’c. La pendenza del tratto iniziale è detta indice di ricompressione, Cr, e non è molto significati-vo per i motivi sopradetti. La pendenza del tratto successivo al ginocchio, ovvero alla pressione di consolidazione, è detta indice di compressione, Cc. La pendenza nel tratto di scarico tensionale è detta indice di rigonfiamento, Cs

8. Valori tipici di Cc sono compresi tra 0.1 e 0.8; Cs è dell’ordine di 1/5÷1/10 del valore di Cc. Per una stima approssimata dell’indice di compressione per argille N.C. si può ricorre-re alla seguente relazione:

Per determinare la pressione di pre-consolidazione sono state proposte varie procedure, tra cui la più co-munemente utilizzata è quella di Casagrande, che prevede i seguenti passi (Figura 7.5): 1. si determina il punto di massi-

ma curvatura (M) del grafico semilogaritmico e- σ'v

2. si tracciano per M la retta tan-gente alla curva (t), la retta o-rizzontale (o), e la retta bisettri-ce (b) dell'angolo formato da t ed o

3. l'intersezione di b con la retta corrispondente al tratto termina-le della curva di primo carico individua la pressione di pre-consolidazione.

Considerate le difficoltà spesso esi-stenti nell'individuare il punto di massima curvatura, è utile confrontare sempre il valore di σ'c ottenuto, con i suoi possibili limiti inferiore e superiore: − il primo è rappresentato dall’ascissa del punto di intersezione tra la retta di ricom-

pressione e quella di compressione vergine (punto S); − il secondo dall’ascissa del punto R a partire dal quale la relazione e-logσ' diventa una

retta. Confrontando il valore della σ’c, determinato sperimentalmente, con la tensione verticale efficace σ’v0 (calcolata) esistente in sito alla quota di prelievo del campione, si determina il grado di sovraconsolidazione OCR del deposito in esame (nel punto di prelievo del campione).

7 Le pendenze nei diversi tratti sono date dal rapporto adimensionale

'v10log

eσ∆

∆ .

8 Sarebbe buona norma fare eseguire in laboratorio un intero ciclo di scarico-ricarico e determinare l’indice di rigonfiamento come pendenza dell’asse del ciclo di isteresi.

σ’ (log)v

σ’c

σ’σ’

e

tb

o

p,min p,max

M

R

S

Figura 7.5 – Determinazione della pressione di precon-solidazione σ’c con il metodo di Casagrande

Cc = 0,009 (wL – 10) (Eq. 7.3)

Page 98: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

98

La qualità del campione co-stituisce il requisito più im-portante per una affidabile determinazione delle pen-denze e della σ’c. Il disturbo tende infatti a distruggere in parte o in tutto la struttura del terreno e le informazioni in essa contenute (in parti-colare la memoria dello sta-to tensionale), rendendo meno pronunciato il pas-saggio dal tratto di ricom-pressione a quello di com-pressione, e alterando le pendenze rispetto alla curva in sito. Per migliorare l’interpreta-

zione della prova si può ricorrere alle costruzioni di Schmertmann (1955). In Figura 7.6 sono mostrate le curve di compressione edometrica di tre provini della stes-sa argilla con differente grado di disturbo e la curva di compressione in sito. È stato osservato che, indipendentemente dal grado di disturbo le tre curve convergono in un punto che corrisponde ad un indice dei vuoti pari al 40% del valore iniziale. È pertanto ragionevole assumere che anche la curva che si riferisce alle condizioni in sito passi da quel punto. Schmertmann (1955) ha proposto di definire la curva di compressione in sito nel modo seguente: per terreno NC (Figura 7.7): 1. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, (in base al contenuto

naturale in acqua, wn, ed al peso specifico dei costituenti solidi, γs,) e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B);

2. si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0, che per terreno NC coincide con la pressione di consolidazione, σ’c;

3. si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0); 4. si traccia la retta AB che corrisponde alla migliore stima della curva di compressibili-

tà in sito. per terreno OC (Figura 7.8): 1. si esegue un programma di carico della prova edometrica comprendente un ciclo

completo di scarico-ricarico a partire da una pressione superiore alla pressione di consolidazione (presunta)9, e si determina l’indice di rigonfiamento Cs come penden-za dell’asse del ciclo di isteresi, CD;

2. si determina l’indice dei vuoti naturale del provino in sito, e0, e si prolunga la curva sperimentale di compressione fino ad un valore dell’indice dei vuoti pari al 40% del valore naturale (punto B);

9 Se il terreno è fortemente sovraconsolidato e durante la prova edometrica non è superata la pressione di consolidazione, si ottiene una curva priva di tratti rettilinei che spesso viene male interpretata ed attribuita a disturbo o a errore di sperimentazione.

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

log ’σ

Curva di compressione“in sito”

Provino indisturbato

e

0.4 e

σ σ’ (= ’ )

Provino disturbato

Provino ricostituito

0

0

v0 c

Figura 7.6 – Effetto del disturbo sulla curva di compressibilità edometrica

Page 99: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

99

3. si stima la pressione verticale efficace geostatica alla profondità di estrazione del campione, σ’v0;

4. si disegna il punto A di coordinate (σ’v0, e0); 5. si stima la pressione di consolidazione, σ’c, con il metodo di Casagrande; 6. si traccia dal punto A una retta di pendenza Cs fino al punto E avente ascissa σ’c (A-

E); 7. si traccia la retta EB; 8. la spezzata AEB corrisponde alla migliore stima della curva di compressibilità in si-

to.

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

A

B

log ’σ

Curvasperimentale

Curva in sito“corretta”

e

0.4 e

0

0

σ σ’ (= ’ )v0 c

Indi

ce d

ei v

uoti,

e

AE

D

log ’σ

Curvasperimentale(fase di ricarico)

Curva in sito“corretta”e

0.4 e

0

0

∆e

σ’ σ’ v0 c

C

B

Figura 7.7: Costruzione di Schmertmann per terreno NC

Figura 7.8: Costruzione di Schmertmann per terreno OC

I valori sperimentali della deformazione assiale, εa, e dell’indice dei vuoti, e, ottenuti al termine del processo di consolidazio-ne primaria per ciascun gradino di carico, possono essere rappresentati anche in grafici in scala naturale (e non semilogaritmica). Nella Figura 7.9 sono rap-presentati i punti e le cur-ve corrispondenti alla prova di Figura 7.3 (ov-viamente anche in questo caso le due curve sono omologhe). La rappresen-tazione in scala naturale rende ancor più evidente la non linearità e l’aumento di rigidezza al crescere della tensio-ne applicata.

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50

Tensione efficace verticale, σ'v (MPa)

Indi

ce d

ei v

uoti,

e [-

]

12 34

5

6

7

89

10

11

Figura 7.9: Risultati della prova di Figura 7.5 rappresentati in scala naturale

0

5

10

15

20

Page 100: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

100

Dalla curva (σ’v – εa) di Figura 7.9 si definiscono i seguenti parametri di compressibilità che, a differenza di Cc e di Cs, sono dipendenti dal campo di tensione cui si riferiscono: − il coefficiente di compressibilità di volume:

'v

avm

σ∆ε∆

= [F-1 L2] (Eq. 7.4)

− e, il suo reciproco, il modulo edometrico:

a

'v

vm1M

ε∆σ∆

== [F L-2] (Eq. 7.5)

Dalla curva (σ’v – e) di Figura 7.9 si definisce:

− il coefficiente di compressibilità:

'v

veaσ∆∆

= [F-1 L2] (Eq. 7.6)

e valgono le relazioni:

M1

e1a

mo

vv =

+= (Eq. 7.7)

( ) 'v

c

0

Ce1

3,2M σ⋅+

⋅= (Eq. 7.8)

Valori orientativi di M, in funzione di IC, per terreni coesivi sono riportati in Tabella 7.1.

Tabella 7.1 - Valori orientativi di M per terreni coesivi (nel campo dei valori di σ’v più frequenti per i problemi di ingegneria geotecnica)

Ic 0-0,5 0,5-0,75 0,75-1 > 1 M (MPa) 0,2-4 4-12 12-30 30-60

7.3 Calcolo del cedimento totale di consolidazione primaria Utilizzando i parametri appena definiti e determinabili mediante la prova edometrica è possibile calcolare il cedimento di uno strato di terreno al quale è applicato un carico uni-formemente distribuito ∆σv, nel caso in cui possa ritenersi soddisfatta l’ipotesi di defor-mazione monodimensionale. In pratica il comportamento dello strato viene assimilato a quello di un provino sottoposto ad una prova edometrica (Figura 7.10), assumendo che i parametri di compressibilità del-lo strato siano uguali a quelli determinati per il provino. Ricordando che in condizioni edometriche:

oo e1e

HH

+∆

=∆ (Eq. 7.9)

Il cedimento ∆H sarà dato da :

ee1

HH

o

o ∆⋅+

=∆ (Eq. 7.10)

dove Ho è l’altezza iniziale dello strato, eo è l’indice dei vuoti iniziale e ∆e la variazione dell’indice dei vuoti, conseguente all’applicazione del carico, che può essere ricavata dai risultati della prova edometrica.

Page 101: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

101

σ’ (log)

σ’

e

v0

0

v

v0

v0

r

vc

c

∆e

C 1

1

σ’ σ ∆σ’ +

(σ’ , e )

∆σ∆H

0

v

H

C

Figura 7.10 – Schema per il calcolo del cedimento di consolidazione primaria di uno strato di terreno coesivo

Facendo riferimento al grafico e-logσ’v si può infatti osservare che nel caso più generale di terreno sovraconsolidato (assumendo Cr = Cs):

'c

v'vo

c'vo

'c

s logClogCeσ

σ∆+σ⋅+

σσ

⋅=∆ (Eq. 7.11)

da cui consegue:

]logClogC[e1

HH '

c

v'vo

c'vo

'c

so

o

σσ∆+σ

⋅+σσ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.12)

Se il carico applicato è tale da non far superare la σ’c, si ha invece:

'vo

v'vo

s logCeσ

σ∆+σ⋅=∆ (Eq. 7.13)

e quindi:

]logC[e1

HH '

vo

v'vo

so

o

σσ∆+σ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.14)

Se il terreno invece è normalconsolidato:

'vo

v'vo

c logCeσ

σ∆+σ⋅=∆ (Eq. 7.15)

e quindi

]logC[e1

HH '

vo

v'vo

co

o

σσ∆+σ

⋅⋅+

=∆ (Eq. 7.16)

In alternativa ai parametri Cc e Cs, si può fare riferimento al coefficiente di compressibili-tà di volume mv, o al modulo edometrico M, o al coefficiente di compressibilità av:

vv0

ovovvo a

e1H

MHmHH ⋅σ∆⋅

+=

σ∆⋅=⋅σ∆⋅=∆ (Eq. 7.17)

tenendo conto del fatto che tali parametri dipendono dal livello di tensione e quindi vanno scelti opportunamente in funzione dell'intervallo tensionale significativo per il problema in esame.

Page 102: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

102

Nella pratica, soprattutto in presenza di strati di elevato spessore e non omogenei, è op-portuno per una stima migliore del cedimento, suddividere lo strato in più sottostrati, e-ventualmente differenziando i parametri di compressibilità del terreno (laddove siano di-sponibili un certo numero di prove edometriche eseguite su provini estratti a differenti profondità). Il cedimento complessivo dello strato risulta essere così espresso:

∑= σ

σ∆+σ⋅+

σσ

⋅⋅+

=∆n

1i'ci

vi'voi

ci'voi

'ci

sioi

oi ]logClogC[e1

HH (Eq. 7.18)

oppure:

∑∑==

⋅σ∆⋅+

=⋅σ∆⋅=∆n

1ivivi

oi

oin

1ivivioi )a

e1H

()mH(H (Eq. 7.19)

dove le pressioni ed i parametri di compressibilità sono riferiti alla mezzeria di ciascuno degli n sottotrati, di spessore H0i. Nell’ipotesi di carico, q, applicato in superficie, uniformemente distribuito ed infinita-mente esteso, il conseguente incremento della tensione verticale totale, ∆σv, che compare nelle Eq. 7.10 – 7.18, è costante sia in direzione orizzontale che al variare della profondità ed è pari al carico applicato (∆σv = q). Nel caso in cui il carico sia distribuito su una su-perficie di dimensioni limitate (rispetto allo spessore dello strato) il valore di ∆σv si ridu-ce al crescere della profondità e varia in direzione orizzontale; tale incremento può essere determinato con riferimento alla teoria dell’elasticità (vedi Capitolo 6) in funzione della geometria della superficie di carico. In prima approssimazione, nel caso di carico q uni-formemente distribuito su un’area rettangolare, il valore di ∆σv può essere stimato al va-riare della profondità z, ipotizzando che il carico si diffonda con un rapporto 2:1 (Figura 7.11). Alla profondità z risulta, quindi:

( ) ( )zBzLBLq)z(v +⋅+⋅⋅

=σ∆ (Eq. 7.20)

Nelle Eq. 7.17 e 7.18 il valore dell’incremento di pressione verticale, ∆σvi, è riferito alla mezzeria di ciascun sottostrato.

1

2z

vi

Impronta di carico

L + z

z/2

∆σ

L

z

B

L

z/2

Figura 7.11 – Schema semplificato per il calcolo della diffusione delle tensioni

Page 103: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

103

7.4 Consolidazione Come già evidenziato nei paragrafi precedenti, l’applicazione di un sistema di sollecita-zioni induce nel terreno un sistema di distorsioni (cambiamenti di forma) e/o di deforma-zioni (variazioni di volume). Essendo i terreni mezzi particellari costituiti da grani solidi e vuoti, con i grani solidi pra-ticamente incompressibili, ogni variazione di volume di un elemento di terreno corrispon-de ad una variazione del volume dei vuoti. Inoltre, se il terreno è saturo, ovvero se tutti i vuoti sono riempiti d’acqua, essendo l’acqua praticamente incompressibile, una variazio-ne di volume comporta un moto di filtrazione dell’acqua interstiziale: in allontanamento dall’elemento di terreno se il volume si riduce, in entrata nell’elemento se il volume aumenta.

Il processo di espulsione dell’acqua dai pori avviene quando, per effetto del carico applicato, si genera, all’interno di un certo volume di terreno, un campo di sovrapressioni neu-tre, ∆u, variabile da punto a punto. La conseguente differen-za di carico idraulico, rispetto alle condizioni di equilibrio, provoca l’instaurarsi di un flus-so dell’acqua in regime transito-rio dai punti a energia maggiore verso i punti a energia minore, e

in particolare verso l’esterno della zona interessata dall’incremento delle pressioni inter-stiziali (Figura 7.12). Come già osservato nell’introduzione di questo Capitolo, via via che l’acqua viene espul-sa dai pori, le particelle di terreno si deformano e si assestano in una configurazione più stabile e con meno vuoti, con conseguente diminuzione di volume. La velocità di questo processo dipende dalla permeabilità del terreno. L’entità della varia-zione di volume, dipende dalla rigidezza dello scheletro solido, cioè dalla struttura del ter-reno. Escludendo le sollecitazioni di natura dinamica e riferendosi quindi solo al caso di carichi statici o quasi statici, nei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), a causa della loro elevata permeabilità (k > 10-6 m/s), l’espulsione dell’acqua è praticamente istantanea e quindi an-che la deformazione volumetrica. Nel caso dei terreni a grana fine (limi e argille), invece, a causa della loro scarsa permeabilità (k <10-6 m/s) l’espulsione dell’acqua dai pori con dissipazione delle sovrapressioni neutre, e quindi la deformazione volumetrica, risulta dif-ferita nel tempo. Questo fenomeno, caratterizzato da un legame tensioni-deformazioni-tempo, viene indicato con il termine consolidazione.

7.5 Consolidazione edometrica Si consideri un deposito di terreno sabbioso, saturo e sotto falda, infinitamente esteso e delimitato superiormente da una superficie piana. Ad una certa profondità sia presente uno strato orizzontale di argilla di spessore costante H e infinitamente esteso.

Figura 7.12 – Campo di sovrappressioni generato in un terreno a grana fine in seguito all’ applicazione di un cari-co

u + u0

u 0

Page 104: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

104

Supponiamo che su tutta la superficie del deposito venga istantaneamente applicata una pressione verticale uniforme p (Figu-ra 7.13). In ogni punto del semispazio si produce istantaneamente un incremento di tensione verticale totale ∆σv= p. Per ragioni di simmetria non possono esservi deformazioni orizzontali. Nella sabbia, molto permeabile, si mani-festano (quasi) immediatamente defor-mazioni verticali (e volumetriche), con il relativo cedimento del piano campagna:

l’incremento di tensione totale determina (quasi immediatamente) un eguale incremento della tensione efficace (sopportata dallo scheletro solido), mentre l’acqua in eccesso filtra rapidamente in direzione verticale e la pressione interstiziale (praticamente) non varia. I grani si deformano e si addensano con riduzione dei vuoti, e quindi di volume. Si dice che la sabbia costituisce un sistema aperto. Nell’argilla, poco permeabile, la filtrazione avviene molto più lentamente e tutto il feno-meno, sopra descritto per la sabbia, è molto rallentato. La teoria della consolidazione edometrica10 (ovvero monodimensionale) di Terzaghi af-fronta il problema della determinazione dei modi e dei tempi in cui si svolge tale fenome-no. Per introdurre la teoria della consolidazione monodimensionale è utile riferirsi allo sche-ma meccanico rappresentato in Figura 7.14: un cilindro indeformabile pieno di acqua con-tenente un pistone a tenuta idraulica collegato ad una molla a comportamento elastico li-neare. Si assume che l’acqua sia incomprimibile. Il pistone è attraversato da un condotto che termina in una valvola che, se aperta, lascia filtrare una portata d’acqua limitata. Un manometro misura la pressione dell’acqua all’interno del cilindro. La valvola è inizial-mente aperta e la pressione idrostatica dell’acqua è assunta come zero di riferimento. Al tempo t=t1 la valvola viene chiusa e contemporaneamente è applicata una forza verticale Q sul pistone. Poiché l’acqua non può filtrare, il pistone non ha cedimenti, la molla non si comprime e quindi non sostiene alcun carico. Il carico applicato Q è equilibrato da un in-cremento della pressione dell’acqua, che viene registrata dal manometro, pari a ∆uw(t1) = Q/A, essendo A la sezione retta del cilindro. Al tempo t=t2 la valvola viene aperta e l’acqua, per effetto della pressione, inizia a filtrare verso l’esterno nei limiti consentiti dalle caratteristiche della valvola. Alla progressiva diminuzione di volume occupato dall’acqua corrisponde un progressivo cedimento del pistone e quindi un progressivo ac-corciamento della molla ∆l(t). Tale accorciamento è proporzionale alla forza sostenuta dalla molla. Al generico istante ti>t2 la forza Q è equilibrata in parte dalla reazione della molla, QM, e in parte dalla sovrapressioni residua dell’acqua, QW:

A)t(u)t(lK)t(Q)t(QQ wWM ⋅∆+∆⋅=+= (Eq. 7.21) in cui si è indicato con K la costante elastica della molla. Il manometro registra una pro-gressiva diminuzione della pressione dell’acqua nel tempo.

10 Si osservi che la prova edometrica riproduce quasi esattamente le condizioni di carico e di vincolo de-scritte e rappresentate in Figura 7.13.

p

H v =

p

Figura 7.13 - Schema di carico edometrico

p

∆σv =

p

Page 105: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

105

Valvola

Pressione

Chiuso Aperto

Q

Tempo0

0t

Q (

t )

1t 2t 3t 4t 5t 6t 7t

iW

Sovr

acca

rico

Q (

t ) i

M

0t 1t 2t 3t 4t 5t 6t 7t

Figura 7.14 – Modello meccanico di elasticità ritardata

Al tempo t=t7 il processo si esaurisce. La molla sostiene per intero il carico Q, la sovra-pressione dell’acqua si è interamente dissipata. Quanto appena descritto rappresenta in maniera semplificata ciò che accade in un terreno coesivo durante il processo di consolidazione edometrica: inizialmente il sovraccarico ap-plicato è sopportato quasi esclusivamente dall’acqua interstiziale. Gradualmente l’acqua viene espulsa dai pori, con filtrazione verticale, e il carico viene trasferito allo scheletro solido che si comprime, con conseguente aumento delle pressioni effettive. Alla fine del processo di consolidazione tutte le sovrapressioni neutre si sono dissipate e il sovraccari-co totale applicato è interamente sopportato dallo scheletro solido (cioè interamente equi-librato da un incremento delle pressioni verticali efficaci). Un altro, più completo modello meccanico, utile a introdurre la teoria della consolidazio-ne edometrica è quello proposto da Terzaghi e rappresentato in Figura 7.15. Esso consiste in un recipiente cilindrico contenente una serie di pistoni forati, eguali fra loro, separati da molle di eguale rigidezza, e riempito d’acqua. Ciascuna zona di interpiano in cui risulta suddiviso il recipiente tramite i pistoni è collegata ad un tubo aperto per la misura del ca-rico piezometrico. Applicando un incremento di pressione ∆σ (rispetto alla pressione esi-stente in condizioni di equilibrio) si osserva che questo è istantaneamente sopportato dall’acqua. L’altezza di risalita dell’acqua in tutti i piezometri nell’istante di applicazione del carico (t=0) è data da ∆σ/γw. La differenza di carico idraulico innesca una filtrazione

Page 106: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

106

verticale ascendente verso la superficie a pressione atmosfe-rica. Col passare del tempo la pressione dell’acqua nelle varie zone si riduce gradualmente, ed entrano in compressione le mol-le, a partire dalla parte più alta del recipiente. Al generico istan-te di tempo t in un dato interpia-no, la pressione dell’acqua e l’altezza d’interpiano saranno inferiori rispetto a quelle dell’interpiano sottostante. Il processo continua finché, dopo un tempo relativamente lungo,

la sovrapressione dell’acqua in tutte le zone si sarà interamente dissipata e la distanza di interpiano sarà eguale (la pressione neutra assume il valore esistente prima dell’applicazione del sovraccarico in condizioni di equilibrio, i dischi si saranno avvicina-ti della quantità corrispondente alla pressione sopportata dalle molle). Con riferimento allo schema di Figura 7.15 si osservi che l’area del rettangolo ABCD è proporzionale al carico totale applicato Q=∆σ Ar (essendo Ar l’area della sezione retta del recipiente) e che ad un generico istante di tempo (ad esempio t=t2) l’area ABCE è pro-porzionale alla quota parte di Q sostenuta dalle molle, mentre l’area AED è proporzionale alla quota parte di Q sostenuta dall’acqua. L’isocrona AE riferita all’asse AD rappresenta la distribuzione delle sovrapressioni neutre con la profondità, e riferita all’asse BC la distribuzione delle tensioni verticali sulle molle. Se le molle sono ad elasticità lineare, e quindi vi è proporzionalità tra tensioni e deforma-zioni, l’area ABCD è proporzionale al cedimento finale, l’area ABCE è proporzionale al cedimento avvenuto al tempo t=t2, l’isocrona AE riferita all’asse BC rappresenta la distri-buzione delle deformazioni verticali al tempo t=t2. Negli schemi sopra descritti, le molle rappresentano lo scheletro solido, l’acqua nel cilin-dro rappresenta l’acqua che riempie i pori, i fori sui pistoni rappresentano la permeabilità del terreno.

7.6 Teoria della consolidazione edometrica La teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi si basa sulle seguenti ipotesi sem-plificative: 1. consolidazione monodimensionale, cioè filtrazione e cedimenti in una sola direzione

(verticale); 2. incompressibilità dell’acqua (ρw = cost.) e delle particelle solide (ρs = cost.); 3. validità della legge di Darcy; 4. terreno saturo, omogeneo, isotropo, con legame sforzi deformazioni elastico lineare, a

permeabilità costante nel tempo e nello spazio; 5. validità del principio delle tensioni efficaci. La teoria è sviluppata a partire dall’equazione generale di flusso (Capitolo 4, Eq. 4.22), che nelle ipotesi suddette diviene:

Figura 7.15 - Modello meccanico di Terzaghi

∆u’

∆σ’γw

γw

C

D

E ∆σ/γw

B

A

Page 107: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

107

te

e11

zhk

o2

2

∂∂

∂∂

+= (Eq. 7.22)

Posto t

ete '

v'v ∂∂σ

∂σ∂

∂∂

⋅= e ricordando la definizione del coefficiente di compressibilità:

'v

vea

∂σ∂

−= (Eq. 7.23)

si ha, essendo per ipotesi di elasticità lineare av = cost:

tzh

a)e1(k '

v2

2

v

o

∂∂σ

∂∂

−=+

(Eq. 7.24)

Se poi il carico piezometrico h viene espresso come somma dell’altezza geometrica, z, e dell’altezza di pressione, u/γw, e la pressione a sua volta viene espressa come somma del termine dovuto alla pressione dei pori in regime stazionario, up (in condizioni di equili-brio prima dell’applicazione del sovraccarico) e di quello dovuto all’eccesso di pressione dei pori conseguente all’applicazione del sovraccarico, ue, si può scrivere, con riferimento allo schema di Figura 7.16:

w

ep )uu(zh

γ+

+= (Eq. 7.25

e osservando che la distribuzione delle pressioni in regime stazionario, up è lineare con la profondità z, per cui la derivata seconda di up rispetto alla profondità è zero, si ha:

2e

2

w2

2

zu1

zh

∂∂

γ∂∂

⋅= (Eq. 7.26)

Essendo per il principio delle pressioni efficaci (Capitolo 3, Eq. 3.3):

tu

ttev

'v

∂∂

−∂∂

=∂∂ σσ (Eq. 7.27)

p∆

z

0

zw

Z + 2Hw

zw isocrona all’istante t = 0

Pressione dei pori

Prof

ondi

isocrona ad un generico istante t

u (z)p

u (z,t)e

u0

2H

Sabbia

Sabbia

Argilla u(z,t)

u(z,t)=u (z) + u (z,t)p e

Figura 7.16. – Distribuzione delle pressioni neutre con la profondità durante il processo di con-solidazione in condizioni edometriche

Page 108: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

108

e supponendo che il sovraccarico applicato, σv, sia costante nel tempo si ha:

tu

te

'v

∂∂

∂∂σ

−= (Eq. 7.28)

L’equazione di continuità si riduce quindi alla seguente espressione:

tu

zu

a)e1(k e

2e

2

vw

o

∂∂

∂∂

γ=

⋅+ (Eq. 7.29)

Il termine:

vvwvw

o cm

ka

)e1(k=

⋅=

⋅+

γγ [L2/T] (Eq. 7.30)

è chiamato coefficiente di consolidazione verticale e può essere determinato elaborando i risultati della prova edometrica secondo le procedure che verranno descritte nel Paragrafo 7.8. Utilizzando l’ Eq.7.30, dopo avere ricavato dalla prova edometrica anche il coeffi-ciente di compressibilità di volume, mv (Paragrafo 7.2), è possibile ottenere una stima del coefficiente di permeabilità k del terreno. Ovviamente, potendo determinare tanti valori di cv e di mv, quanti sono i gradini di carico applicati al provino, si possono ottenere altret-tanti valori del coefficiente di permeabilità. In genere si assume come valore più rappre-sentativo per il terreno in sito quello corrispondente al gradino di carico entro cui ricade la tensione litostatica valutata alla profondità di estrazione del provino. Con la definizione di cv (Eq. 7.30), l’equazione differenziale della consolidazione mono-dimensionale di Terzaghi diventa:

tu

zuc e2

e2

v ∂∂

∂∂

= (Eq. 7.31)

dove )t,z(uu ee = rappresenta, come già detto, il valore dell’eccesso di pressione neutra nel punto a quota z, e al tempo t dall’istante di applicazione del carico. Vengono definite le due variabili adimensionali:

HzZ = (Eq. 7.32)

2v

v HtcT ⋅

= (chiamato fattore di tempo) (Eq. 7.33)

con H altezza di drenaggio, pari cioè al massimo percorso che una particella d’acqua deve compiere per uscire dallo strato (nel caso di strato doppiamente drenato è pari alla metà dell’altezza dello strato, nel caso di strato da un lato solo è pari allo spessore dell’intero strato). L’equazione (7.35) può essere così riscritta:

v

e2e

2

Tu

Zu

∂∂

∂∂

= (Eq. 7.34)

La soluzione dell’equazione 7.34 dipende dalle condizioni iniziali e dalle condizioni al contorno (due condizioni per z e una per t), in particolare dalle condizioni di drenaggio (da un solo lato o da entrambi i lati) e dalla distribuzione iniziale della sovrapressione ue

Page 109: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

109

con la profondità z (isocrona iniziale), che nel caso di consolidazione determinata da un carico infinitamente esteso applicato in superficie è uniforme. Sotto le ipotesi edometriche (Figura 7.16) di: − isocrona iniziale costante con la profondità (per t=0 ue= uo, ∀z) − superfici superiore e inferiore perfettamente drenanti (per z=0 e z=2H ue= 0, ∀t≠0) la

soluzione risulta esprimibile in serie di Taylor come:

v2TM

m

0m

ove e)MZ(sin

Mu2

)T,Z(u −∞=

=∑= (Eq. 7.35)

dove: )1m2(2

M +=π .

Tale soluzione, che permette (per ogni z e t) di calcolare )t,z(u e noto cv, si trova usual-mente diagrammata in termini di grado di consolidazione Uz, definito come rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione iniziale uo, cioè:

o

e

o

eoz u

)t,z(u1

u)t,z(uu

U −=−

= (Eq. 7.36)

in funzione del fattore di tempo Tv (noto una volta noto cv). Un diagramma tipico Uz = f(Z,Tv) è riportato in Figura 7.17. Da tale soluzione si può osservare che: − subito dopo l’applicazione del carico si ha un gradiente idraulico elevato alle estremità

che si riduce progressivamente verso l’interno dello strato (e nel tempo); − in mezzeria il gradiente dell’eccesso di pressione è sempre nullo, cioè non vi è alcun

flusso attraverso il piano orizzontale a metà dello strato.

Grado di consolidazione, Uz

A(T )v

A = Area totale del graficot

Grado di consolidazione medioU = A(T )/A

m v t(T )

v

Z= z

/H

Figura 7.17 – Grado di consolidazione Uz in funzione del fattore di tempo, Tv, e di z/H (Taylor, 1948)

Page 110: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

110

In base a quest’ultima osservazione si ha che il piano di mezzeria può essere considerato impermeabile e pertanto la soluzione può essere estesa anche al caso in cui si abbia uno strato drenato solo ad una estremità, come nel modello meccanico di Figura 7.15, ponen-do attenzione alla definizione di altezza di drenaggio che in questo caso è pari all’altezza dello strato. La soluzione dell’equazione della consolidazione monodimensionale fornisce il decorso nel tempo delle sovrapressioni interstiziali, ma può essere utilizzata anche per la previsio-ne del decorso dei cedimenti nel tempo dell’intero strato. Infatti nella maggior parte dei casi pratici non interessa conoscere il valore del grado di consolidazione Uz in un dato punto dello strato di terreno, ma piuttosto il valore del grado di consolidazione medio dell’intero strato raggiunto dopo un certo periodo di tempo dall’applicazione del carico. Il grado di consolidazione medio dell’intero strato in termini di sovrapressione interstizia-li, corrispondente ad un certo fattore di tempo, Tv, ossia ad un certo istante, t, è dato da:

[ ]

dzu

dz)t,z(uuU H2

0o

H2

0eo

⋅−=

∫ (Eq. 7.37)

Osservando che durante il processo di consolidazione le pressioni efficaci variano della stessa quantità delle pressioni interstiziali, con segno opposto, e che, per l’ipotesi di ela-sticità lineare, la deformazione verticale è direttamente proporzionale alla pressioni verti-cale efficace:

ffv0

e0 )t(M

)t(M)t('u

)t(uuεε

εε

σ∆σ∆

=⋅⋅

==− (Eq. 7.38)

si ha che il grado di consolidazione medio in termini di sovrapressione interstiziali, U, (rapporto tra la sovrapressione dissipata al tempo t e la sovrapressione totale iniziale) coincide con il grado di consolidazione medio in termini di cedimento, Um, definito come rapporto tra il cedimento al tempo t, s(t), che per definizione è l’integrale delle deforma-zioni verticali al tempo t, e il cedimento finale totale, sf:

Us

)t(s

dz

dz)t(U

fH2

0f

H2

0m ==

⋅=

ε

ε (Eq. 7.39)

ed è questa l’informazione che generalmente interessa nei casi pratici (interessa conoscere l’aliquota del cedimento totale che si è realizzata dopo un certo tempo dall’applicazione del carico). Si può osservare che nei grafici Uz-Tv, il valore di Um corrispondente ad un certo tempo adimensionalizzato Tv, rappresenta il rapporto tra l’area, A(t), compresa tra la linea Uz=0 e la relativa curva di Tv e l’area totale del grafico, At, (quella compresa tra le linee Uz=0 e Uz=1). Ad esempio in Figura 7.17 il rapporto tra l’area tratteggiata e l’area totale del gra-fico rappresenta il grado di consolidazione medio corrispondente ad un fattore di tempo Tv = 0.05. Le soluzioni del grado di consolidazione medio Um in funzione del fattore di tempo Tv si trovano diagrammate o tabulate per diversi andamenti dell’isocrona iniziale (costante, triangolare, etc.). In tabella 7.2 e in Figura 7.18 sono riportate le soluzioni relative al caso di isocrona iniziale costante con la profondità (con ascissa in scala lineare e logaritmica).

Page 111: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

111

Tabella 7.2. – Valori tabulati della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona i-niziale costante con la profondità

Um 10 20 30 40 50 70 90 95 Tv 0.0077 0.0314 0.0707 0.126 0.196 0.403 0.848 1.129

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

1000 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2

Fattore di tempo, Tv

Gra

do d

i con

solid

azio

ne m

edio

, Um

[%] 0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

1000.001 0.01 0.1 1 1

Fattore di tempo, Tv

Gra

do d

i con

solid

azio

ne m

edio

, Um

[%]

Figura 7.18 - Diagrammi della soluzione dell’equazione Um = f(Tv) per il caso di isocrona inizia-le costante con la profondità, con ascissa in scala lineare (a) e logaritmica (b) Esistono anche espressioni analitiche che forniscono una stima approssimata della solu-zione per il caso di isocrona iniziale costante con la profondità, ad esempio:

36

m

6m

v63

v

3v

m U1U5.0

T;5.0T

TU

−⋅

=+

= (Brinch-Hansen) (Eq. 7.40)

%60Uper(%))U100log(933.0781.1T

%60UperU4

T;T

2U

mmv

m2

mvv

m

>−−=

≤⋅=⋅=π

π (Terzaghi) (Eq. 7.41)

[ ] 357.06.5m

2m

v179.08.2v

5.0v

mU1

U4T;

T41

T4

U−

⋅=

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

+

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

=

π

π

π (Sivaram & Swamee) (Eq. 7.42)

Se fossero verificate le ipotesi della teoria della consolidazione, le curve sperimentali in prova edometrica cedimento – tempo, per qualunque terreno e per qualunque carico ap-plicato, dovrebbero essere eguali, a meno di fattori di scala, alle curve teoriche adimen-

sionali Um = f(Tv). Infatti f

m s)t(sU = è proporzionale al cedimento s(t) e 2

vv H

tcT ⋅= è pro-

porzionale al tempo t. I fattori di scala sono caratteristici dei diversi terreni e devono esse-re determinati sperimentalmente. In particolare occorre determinare il cedimento di con-solidazione edometrica finale, sf, la lunghezza del percorso di drenaggio H, e il coeffi-ciente di consolidazione, cv. In realtà le ipotesi alla base della teoria non sono ben verificate per i terreni reali, come discuteremo in seguito, ma l’accordo fra le curve adimensionali teoriche e quelle speri-mentali è accettabile per gradi di consolidazione non superiori al 60%.

Page 112: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

112

A questo punto è opportuno conoscere come si può determinare il coefficiente di consoli-dazione, cv, (parte essenziale del fattore di scala) l’unico parametro che nella soluzione dell’equazione della consolidazione tiene conto delle proprietà del terreno. Per la sua de-terminazione si utilizzano i risultati della prova edometrica.

7.7 Determinazione sperimentale del coefficiente di consolidazione ver-ticale

Come abbiamo visto al paragrafo 7.2 la prova edometrica standard è eseguita applicando incrementi successivi di carico, mantenuti costanti fino all’esaurimento del fenomeno di consolidazione (e oltre). Durante tale periodo si rilevano i cedimenti del provino nel tem-po11. I valori osservati dell’altezza del provino sono generalmente diagrammati secondo due modalità: - in funzione del logaritmo del tempo, - in funzione della radice quadrata del tempo. Gli andamenti tipici dei grafici che si ottengono nei due casi sono rappresentati nelle Fi-gure 7.19a e 7.19b.

Figura 7.19 – Andamento dell’altezza del provino (2H) durante la consolidazione edometrica in funzione del logaritmo del tempo (a) e della radice quadrata del tempo (b)

Dai diagrammi così ottenuti è possibile determinare, relativamente a ciascuno dei gradini di carico applicati, il coefficiente di consolidazione, cv, mediante una delle due procedure di seguito descritte.

7.7.1 Metodo di Casagrande

Si applica al grafico tempo (log)-altezza del provino (Figura 7.19a), nel quale si assume di poter distinguere un primo tratto, AB, corrispondente al processo di consolidazione e-

11 Normalmente vengono prese misure di abbassamento a intervalli di tempo via via crescenti (10’’, 20’’, 30’’, 1’, 2’, 5’, 10’ etc..)

a)

2 Hi

2 Hf

2 Hi

2 H90 2 Hf

t = 0

2 H

b)

2 H

Page 113: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

113

dometrica primaria, e un secondo tratto lineare, BD, corrispondente alle deformazioni vi-scose (la consolidazione secondaria di cui parleremo in seguito). Ovviamente tale suddi-visione è del tutto arbitraria, in quanto un’aliquota del cedimento viscoso si sovrappone al cedimento di consolidazione primaria nel tratto iniziale della curva, mentre nel tratto fina-le, oltre al cedimento di consolidazione secondaria sarà presente anche una componente (seppure trascurabile) del cedimento di consolidazione primaria. Come già detto, per poter interpretare il fenomeno reale mediante il modello teorico di Terzaghi, occorre sovrapporre e far coincidere la curva teorica adimensionale Um=f(Tv) con la curva sperimentale, allo scopo di determinare i fattori di scala. Il primo passo del metodo consiste nell’individuare, mediante una procedura convenzio-nale, le altezze del provino corrispondenti all’istante iniziale e alla fine del processo di consolidazione primaria. L’origine (zero corretto) delle deformazioni può essere ricavata osservando che la rela-zione tra grado di consolidazione medio, Um, e fattore di tempo, Tv, (e quindi la relazione tra cedimenti e tempo), per valori di Um < 60% (Eq. 7.45), è con buona approssimazione una parabola ad asse orizzontale. Il tempo risulta cioè proporzionale al quadrato del ce-dimento, ossia, considerati due istanti, t1 e t2, e i relativi cedimenti, S(t1) e S(t2) (tali che Um <60%), vale la relazione:

2

1

2

1

tt

)t(S)t(S= (Eq. 7.43)

Di conseguenza, scelto un tempo t1 sufficientemente piccolo e assunto t2 = 4t1, risulta dal-la (7.45) che S(t2) = 2 S(t1); quindi, con riferimento alla Figura 7.19a, se il segmento PR misura il cedimento all’istante t1 (dove P, che rappresenta l’origine delle deformazioni, è incognito), il segmento PT, che misura il cedimento all’istante t2 , dovrà essere il doppio di PR. Di conseguenza ribaltando il segmento RT rispetto al punto R si trova il punto P e quindi, sull’asse delle ordinate, l’altezza 2Hi, corrispondente all’inizio della consolidazio-ne primaria (Um = 0%)12. L’altezza del provino al termine del processo di consolidazione primaria (Um= 100%), 2Hf, è invece ottenuto, sempre con riferimento alla Figura 7.19a, dall’intersezione della retta CD, relativa al tratto finale della curva, con la retta EB tangente alla curva nel punto di flesso F. Mediante la relazione: 2H50 = (2Hi + 2Hf)/2 (Eq. 7.44) si determina quindi l’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione, ov-vero l’altezza media di drenaggio H50. Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del 50% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.197). Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33), è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguen-te relazione: 12 La procedura è necessaria perché l’asse delle ascisse è in scala logaritmica e quindi non contiene il tempo t=0. Inoltre per i primi gradini di carico si possono avere abbassamenti per assestamento della piastra di ca-rico e, se il provino non è completamente saturo, una deformazione istantanea per compressione ed espul-sione delle bolle d’aria eventualmente presenti all’interno del provino.

Page 114: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

114

50

250

v t197.0H

c⋅

= (Eq. 7.45)

7.7.2 Metodo di Taylor

Il metodo di Taylor viene applicato facendo riferimento al diagramma √t-altezza del pro-vino (Figura 7.19b), in cui si nota che i punti sperimentali nel tratto iniziale della curva si allineano approssimativamente lungo una retta (essendo, come già osservato, il tempo proporzionale al quadrato del cedimento per valori di Um < 60%). L’autore della procedu-ra ha inoltre evidenziato che l'ascissa, t90, corrispondente al 90% del cedimento di conso-lidazione primaria, 2Η90, è pari a 1.15 volte il valore dell’ascissa corrispondente alla stes-sa ordinata sulla retta interpolante i dati sperimentali. Quindi, una volta diagrammati gli spostamenti in funzione di √t e tracciata la retta interpolante i punti iniziali (corrisponden-ti a Um < 60%), si disegna la retta con ascisse incrementate del 15% rispetto a quella in-terpolante; dall'intersezione di quest’ultima con la curva sperimentale, punto C, si ricava √t90, ossia la radice del tempo corrispondente al 90% della consolidazione primaria e, proiettato sull’asse delle ordinate, l’altezza 2H90 corrispondente. In questo caso, l’altezza di inizio consolidazione 2Hi è determinata prolungando la retta interpolante fino ad incontrare l’asse delle ordinate, punto O, e l’altezza corrispondente alla fine del processo di consolidazione è data da:

)H2H2(109Hi2H2 iff −⋅+= (Eq.7.46)

L’altezza media di drenaggio, H50, è determinata anche in questo caso a partire dall’altezza corrispondente alla metà del processo di consolidazione (Eq. 7.44). Dalle tabelle (o tramite le relazioni) che forniscono Um in funzione di Tv, si ricava poi il fattore di tempo adimensionale che corrisponde ad un grado di consolidazione medio del 90% (ad esempio dalla relazione di Terzaghi si ottiene Tv = 0.848). Sostituendo i valori sopra determinati nella definizione del fattore di tempo Tv (Eq. 7.33), è possibile infine ricavare il coefficiente di consolidazione verticale, cv, tramite la seguen-te relazione:

90

250

v t848.0H

c⋅

= (Eq. 7.47)

7.8 Validità e limiti della teoria della consolidazione edometrica La teoria della consolidazione edometrica si basa sullo schema di carico e di vincolo (condizioni al contorno) rappresentato in Figura 7.13 (strati orizzontali, carico applicato uniforme e infinitamente esteso) che comporta l’assenza di deformazioni orizzontali e il flusso solo verticale dell’acqua. Le condizioni al contorno della prova edometrica ripro-ducono fedelmente tale schema, che ha il vantaggio della semplicità essendo monodimen-sionale. Talvolta lo schema corrisponde bene alle condizioni stratigrafiche e geotecniche del de-posito ed alla causa perturbatrice (ad esempio un abbassamento uniforme del livello pie-zometrico, oppure un riporto strutturale di spessore costante o, più in generale, un manu-

Page 115: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

115

fatto che trasmette al terreno un carico uniformemente distribuito di estensione molto maggiore dello spessore dello strato compressibile), ma altre volte no. Se ad esempio l’area di carico è di dimensioni piccole rispetto allo spessore dello strato compressibile, l’incremento di tensione verticale non può essere assunto costante con la profondità (vedi Capitolo 6), le deformazioni di taglio non sono zero e quindi si hanno cedimenti istantanei anche a deformazione volumetrica nulla, la filtrazione avviene anche in direzione orizzontale, etc. Ma anche quando lo schema stratigrafico e geotecnico corrisponde bene alle condizioni al contorno ed il fenomeno è unidirezionale, la soluzione di Terzaghi è solo approssimata poiché non sono verificate alcune ipotesi base. In particolare: − il legame tensioni deformazioni è marcatamente non lineare, come messo in evidenza

dai grafici delle Figure 7.3, 7.9, etc. ; − la permeabilità del terreno varia nel tempo, durante il processo di consolidazione,

perché diminuisce l’indice dei vuoti; − è trascurata la componente viscosa delle deformazioni. Per potere comunque utilizzare la soluzione di Terzaghi, si ipotizza che il terreno abbia un comportamento lineare e permeabilità costante nell’ambito di ogni gradino di carico, e che le deformazioni viscose abbiano inizio solo quando la consolidazione edometrica è in gran parte esaurita. Per ogni gradino di carico, sfruttando solo la parte iniziale della curva sperimentale allo scopo di escludere le deformazioni viscose, si possono determinare i corrispondenti valori di cv, av, e k, e utilizzare nelle applicazioni i valori di tali proprietà determinati per la pressione iniziale e l’incremento di pressione più prossimi a quelli reali. Se le ipotesi di Terzaghi fossero verificate, si otterrebbero gli stessi valori di cv, av, e k per tutti i gradini di carico, poiché tali grandezze sarebbero indipendenti dalla pressione.

7.9 Consolidazione secondaria La curva teorica della consolidazione edometrica di Terzaghi prevede, nella parte termi-nale, un asintoto orizzontale. Le curve sperimentali s(t) mostrano invece un asintoto incli-nato. Tale differenza, più o meno marcata a seconda del tipo di terreno, è dovuta alle de-formazioni viscose dello scheletro solido. Deformazioni che avvengono anche a pressione efficace costante, e quindi anche (ma non solo) a consolidazione primaria esaurita. La pendenza dell’asintoto inclinato nel piano semilogaritmico e-logt, è detto indice di com-pressione secondaria:

tlogeC

∆∆

α = (Eq. 7.48)

Valori di riferimento dell’indice di compressione secondaria, per alcuni tipi di terreno, sono riportati in Tabella 7.3:

Tabella 7.3 - Valori indicativi del rapporto Cα/Cc

Terreno Cα/Cc Argille tenere organiche 0,05 ± 0,01 Argille tenere inorganiche 0,04 ± 0,01 Sabbie da 0,015 a 0,03

Page 116: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 7 COMPRESSIBILITÀ E CONSOLIDAZIONE EDOMETRICA

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

116

Come osservato nel Paragrafo 7.2 le curve di compressibilità edometrica nei piani e-logσ’v, e-σ’v, e εa-σ’v si ottengono in genere collegando i punti sperimentali ricavati dalle misure effettuate al termine del periodo di applicazione di ciascun incremento di carico (di solito 24h). Sarebbe quindi più corretto depurare gli abbassamenti misurati dalla com-ponente viscosa, in sostanza utilizzando come altezza finale del provino l’altezza 2Hf cor-rispondente al 100% di consolidazione edometrica. L’errore che si commette non è co-munque particolarmente rilevante.

Page 117: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

117

CAPITOLO 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

8.1 Introduzione Nel capitolo 7 è stata illustrata la teoria della consolidazione monodimensionale di Terza-ghi, che permette di stimare il tempo necessario alla dissipazione delle sovrapressioni neutre, e quindi al verificarsi dei cedimenti di consolidazione, nell’ipotesi di strati oriz-zontali di terreno saturo e omogeneo, e di incremento della pressione verticale totale i-stantaneo, uniforme e infinitamente esteso. Tali condizioni di carico si verificano in prati-ca quando lo spessore dello strato che consolida è piccolo rispetto all’estensione dell’area di carico, come ad esempio in seguito alla messa in opera di un riporto strutturale di altez-za costante e grandi dimensioni planimetriche, oppure in seguito ad un abbassamento ge-neralizzato e uniforme del livello di falda. Consolidazione monodimensionale vuol dire filtrazione e deformazioni solo in direzione verticale, e quindi assenza di cedimenti in condizioni non drenate, ovvero all’istante di applicazione del carico. In questo capitolo ci proponiamo di considerare condizioni di carico più generali e reali-stiche e le tecniche utilizzate, nella pratica professionale, per accelerare il processo di consolidazione. Se il carico applicato è distribuito su una striscia di larghezza B e di lunghezza indefinita, lo stato di deformazione è piano, la filtrazione avviene in due dimensioni, il bacino dei cedimenti è cilindrico, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti anche a volume costante, in condizioni non drenate. Se il carico applicato è distribuito su un’area di dimensioni ridotte e confrontabili, ad esempio un’area circolare, quadrata o ret-tangolare, lo stato di deformazione, la filtrazione e il bacino dei cedimenti sono tridimen-sionali, sono possibili deformazioni di taglio e quindi vi sono cedimenti anche a volume costante, in condizioni non drenate. La durata del processo di consolidazione dipende quindi anche dalla forma e dalle dimen-sioni dell’area di carico. A titolo di esempio, in Figura 8.1 sono messe a confronto le cur-ve che indicano il tempo necessario perché si realizzi l’80% della consolidazione per tre differenti condizioni di carico e quindi di drenaggio (area di carico infinita ⇒ filtrazione monodimensionale, striscia di carico ⇒ filtrazione bidimensionale, area di carico circola-re ⇒ filtrazione tridimensionale) e per differenti dimensioni dell’area di carico, al variare dello spessore dello strato che consolida (per cv = 1 m2/anno). La stima dei tempi di consolidazione mediante la teoria monodimensionale di Terzaghi è non solo quasi sempre in eccesso, poiché sono trascurati gli effetti della forma e delle di-mensioni dell’area di carico, ma è anche molto incerta, molto più incerta, ad esempio, di quanto non sia la stima dell’entità del cedimento di consolidazione edometrica. Se infatti lo strato di argilla che consolida è intercalato da sottili livelli continui di sabbia, la cui presenza può sfuggire all’indagine geotecnica, il cedimento è sostanzialmente invariato, ma i tempi di consolidazione possono essere fortemente ridotti. Viceversa se una sottile e piccola lente di sabbia è intercettata nell’indagine geotecnica e falsamente interpretata come un livello continuo e drenante, la stima del tempo di consolidazione può risultare errata per difetto. Quando è possibile e giustificato dall’importanza dell’opera da realizzare, è utile monito-rare i cedimenti reali nel tempo, durante e subito dopo la costruzione, allo scopo di identi-

Page 118: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

118

ficare e tarare con le misure sperimentali eseguite in vera grandezza un modello geotecni-co interpretativo del fenomeno in atto, da utilizzare per la previsione del comportamento futuro.

8.2 Consolidazione durante la costruzione La teoria della consolidazione di Terzaghi assume che il carico totale ∆σ sia applicato i-stantaneamente (al tempo t = 0) e mantenuto costante nel tempo fino all’esaurirsi della consolidazione. In realtà il carico viene applicato gradualmente, in modo anche disconti-nuo e talvolta non monotòno, durante le varie fasi di costruzione. Una soluzione sufficien-temente accurata può ottenersi assumendo che l’intero carico sia istantaneamente applica-to al tempo corrispondente alla metà del periodo di costruzione, ma se quest’ultimo è molto lungo (dell’ordine di anni) può essere utile prevedere il decorso dei cedimenti nel tempo durante e dopo il periodo di costruzione. Per tenere conto dell’applicazione non istantanea del carico e della consolidazione duran-te la costruzione si può utilizzare un semplice metodo grafico empirico. Si suppone che il carico totale sia applicato in modo linearmente variabile nel tempo. In generale potrà esservi una prima fase di lavoro che prevede uno scavo di sbancamento, e quindi una riduzione delle tensioni, seguita dalla costruzione e quindi da un incremento delle tensioni fino al valore massimo, al termine del periodo di costruzione, che poi si mantiene costante (Figura 8.2). Durante la fase di scavo possono avvenire dei rigonfiamenti, che potrebbero anche essere stimati ma che di norma hanno poco interesse poiché lo scavo sarà portato fino alla pro-

Carico infinitamente esteso

1-D

Drenaggio e deformazione in questa direzioneTempo di consolidazione (anni)

Spes

sore

del

lo st

rato

di t

erre

no (m

)

2-D

Striscia di caricoArea di carico

circolare

3-D

B D

Figura 8.1. Effetto sui tempi di consolidazione della forma e delle dimensioni dell’area di carico (Um = 80%; cv = 1 m2/anno)

Page 119: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

119

fondità di progetto. In genere si assume che il processo di consolidazione abbia inizio al tempo t1, che corrisponde al ripristino dello stato tensionale iniziale, quando cioè il carico totale applicato compensa il peso del terreno scavato.

Il procedimento grafico per tracciare la curva cor-retta tempo – cedimenti è il seguente (Figura 8.2): 1. si disegna la curva “i-

stantanea” tempo – ce-dimenti a partire dal tempo t = t1, assunto come origine dei tem-pi, come se il carico to-tale ∆σ fosse stato ap-plicato per intero e in modo istantaneo;

2. si assume che al tempo t2, ovvero al termine del periodo di costru-zione, il cedimento per consolidazione (punto B) sia pari al valore che sulla curva istanta-nea corrisponde al tempo t=t2/2 (punto A), e si trasla della quanti-tà t2/2 la porzione della

curva istantanea relativa a valori di t maggiori di t2/2. In sostanza si fa l’ipotesi che per tempi superiori a t2, ovvero dopo la fine della costruzione, il decorso dei cedimenti nel tempo corrisponda a quello che si sarebbe avuto per un’applicazione istantanea e totale del carico al tempo t2/2;

3. per determinare la prima parte della curva corretta si procede come segue: a) si sceglie un generico istante di tempo t < t2; b) si determina il cedimento sulla curva istantanea per il tempo t/2 (punto C); c) si disegna una retta orizzontale da C fino al punto D, corrispondente al tempo t2; d) si uniscono con una retta i punti O (origine degli assi) e D; e) si assume che il punto E appartenente alla retta OD, con ascissa t, sia un punto della

curva corretta tempo – cedimenti; f) si ripete la costruzione per diversi valori di t, e si collegano i punti E ottenuti con

una curva.

8.3 Accelerazione del processo di consolidazione mediante precarico Quando il tempo stimato di consolidazione è giudicato troppo lungo, è possibile ridurlo applicando un sovraccarico aggiuntivo temporaneo (precarico). Poiché il sovraccarico è spesso realizzato con un riporto di terreno, la tecnica del precarico è molto utilizzata per

Sbancamento

t

t

tt

t tO

AC

EDB

tempo

∆σ

Ced

imen

to

Car

ico

tempo

curvacorretta

curvaistantanea

Costruzione Esercizio

1

1/21/2

2

22

Figura 8.2. Costruzione grafica della curva corretta di consoli-dazione

Page 120: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

120

le opere in terra e nei lavori stradali1. Il principio di funzionamento del precarico è mo-strato in Figura 8.3.

Supponiamo di poterci riferi-re a condizioni edometriche (strato orizzontale normal-mente consolidato di spessore H0, carico uniforme applicato istantaneamente, filtrazione monodimensionale con altez-za di drenaggio H, coefficien-te di consolidazione verticale cv). La curva tempo – cedimenti indicata con la lettera A è ot-tenuta calcolando il cedimen-to edometrico finale sf dovuto al solo carico finale di proget-to pf con l’equazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σ+σ

⋅+

⋅= '0v

f'

0v

0

C0f

plog

e1C

Hs (Eq. 8.1)

e applicando la teoria della consolidazione di Terzaghi, ovvero le equazioni:

fvm s)T(U)t(s ⋅= e 2vv HtcT ⋅= (Eq. 8.2)

La curva A rappresenta il decorso dei cedimenti nel tempo in assenza di precarico. Supponiamo che alla consegna dell’opera, o comunque dopo un assegnato tempo t1, si debba essere già manifestato il cedimento sf (o una gran parte di esso). Per accelerare il processo di consolidazione si può decidere di applicare un sovraccarico temporaneo di in-tensità ps per un periodo di tempo ts. Molto spesso ts (ovviamente minore di t1) è condi-zionato dai tempi necessari per le lavorazioni, e quindi è un dato di progetto, mentre l’incognita è l’intensità del precarico ps. Introducendo nell’equazione:

2v

v Htc

T⋅

= (Eq. 8.3)

il tempo ts , si determina il valore del fattore di tempo Tv e quindi il corrispondente valore del grado di consolidazione medio Um al tempo ts, che è pari sia al rapporto ss/sf che al rapporto sf/sfs. Noto il valore di Um è pertanto possibile calcolare il cedimento finale di consolidazione edometrica sfs che si avrebbe sotto il carico applicato di intensità (pf + ps): sfs = sf/Um (Eq. 8.4) 1 Di norma il contratto d’appalto fissa i termini di consegna dell’opera da realizzare. Supponiamo ad esem-pio che si debba consegnare un rilevato stradale, finito, entro una certa data. La pavimentazione deve essere realizzata a cedimenti assoluti e differenziali esauriti, pena la formazione di avvallamenti e la continua rot-tura del manto stradale durante l’esercizio.

s f

A

t

s

p

pf

p s

s fs

t s t 1 s s

Figura 8.3: Accelerazione del processo di consolidazione mediante precarico

Page 121: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

121

Applicando in modo inverso l’equazione per in calcolo del cedimento edometrico si de-termina l’intensità del carico (pf + ps) (e quindi l’intensità di ps) che, mantenuto in essere per un tempo ts, produce il cedimento sf:

( )( )

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−⋅=+

+⋅

110pp c

0

0

fs

Ce1

Hs

'0vsf σ (Eq. 8.5)

Dopo tale tempo, eliminando il precarico, non si registreranno ulteriori cedimenti, in quanto il cedimento avvenuto sf corrisponde al cedimento edometrico finale del carico fi-nale permanente pf. La tecnica del precarico può essere utilizzata anche per sovraconsolidare il terreno di fon-dazione, se il tempo di permanenza è tale da produrre cedimenti maggiori di sf, e quindi per migliorarne la resistenza e la rigidezza.

8.4 Accelerazione del processo di consolidazione mediante dreni vertica-li

Un’altra tecnica per accelerare il processo di consolidazione consiste nell’inserire nel ter-reno dreni verticali disposti ai vertici di una maglia regolare, quadrata o triangolare, di la-to inferiore alla massima lunghezza di drenaggio H. Come abbiamo visto nel Capitolo 7, il tempo necessario perché avvenga la consolidazione edometrica è proporzionale al quadrato della massima lunghezza di drenaggio:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅= 2

v

v HcT

t (Eq. 8.6)

Inserendo dreni verticali nel terreno si permette all’acqua di filtrare anche in direzione o-rizzontale fino al dreno più vicino, ovvero si riduce la lunghezza del percorso di drenag-gio, si sfrutta la maggiore permeabilità del terreno in direzione orizzontale, si fa avvenire un processo di consolidazione tridimensionale, ottenendo in tal modo una molto più rapi-da dissipazione delle sovrapressioni neutre e quindi una forte accelerazione dei tempi di consolidazione (Figura 8.4).

In passato i dreni verticali erano re-alizzati con pali di sabbia, infissi o trivellati, di diametro dw = 200÷500mm e in-terasse 1,5÷6,0m, talvolta rivestiti con una calza di juta o di geosinte-tico. Oggi più frequentemente si utilizzano dreni prefabbricati di

rilevato strato drenante

argilla molle

sabbia

dreni verticali

Figura 8.4: Schema di impiego dei dreni verticali

Page 122: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

122

tipo diverso (di cartone, con anima in plastica e guaina di cartone, di geotessile, di corda), messi in opera a percussione o per infissione lenta di un mandrino. I dreni prefabbricati hanno sezione lamellare (larghezza a=60÷100mm, spessore b=2÷5mm), e se ne calcola il diametro equivalente con l’equazione:

( )π+⋅

=ba2d w (Eq. 8.7)

Per il dimensionamento del sistema di dreni verticali occorre considerare la consolidazio-ne radiale. Con riferimento allo schema di Figura 8.5, si considera un cilindro di terreno con superficie esterna impermeabile e un dreno centrale. Le ipotesi sono le stesse della teoria della consolidazione edometrica di Terzaghi, a parte la direzione del flusso:

1. terreno omogeneo, 2. parametri di compressibilità e di permeabilità costanti

durante il processo di consolidazione, 3. deformazioni solo verticali e filtrazione solo radiale, 4. deformazioni piccole rispetto all’altezza del cilindro

che drena. L’equazione della consolidazione radiale (che corri-sponde all’Eq. 7.35 della consolidazione edometrica) è la seguente:

tu

ru

ru

r1c e

2e

2e

h ∂∂

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂⋅⋅ (Eq. 8.8)

in cui

wv

hh m

kcγ⋅

= (Eq. 8.9)

è il coefficiente di consolidazione per flusso in direzio-ne orizzontale (in genere ch > cv a causa dell’anisotropia della permeabilità e della struttura stratificata in direzio-ne orizzontale dei terreni naturali, ma spesso sia per la maggiore difficoltà di determinazione sperimentale di ch, sia perché il disturbo dovuto alla messa in opera dei dreni prefabbricati riduce la permeabilità orizzontale e quindi ch, si assume ch = cv).

Analogamente a quanto già visto per la consolidazione edometrica, anche per la consoli-dazione radiale si definisce il fattore di tempo adimensionale:

2e

hr d

tcT

⋅= (Eq. 8.10)

e il grado di consolidazione radiale medio, Ur, che rappresenta il rapporto tra il cedimen-to di consolidazione radiale al tempo t e il cedimento di consolidazione totale, e che può essere calcolato con la seguente equazione approssimata (Figura 8.6):

r

re

de

dw

Figura 8.5: Schema di con-solidazione radiale

Page 123: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 8 ANCORA SULLA CONSOLIDAZIONE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

123

75,0)nln(F

100FT8

exp1100s

)t(s(%)U r

fr

−=

⋅⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−−=⋅=

(Eq. 8.11)

in cui w

e

dd

n = è il rapporto tra il diametro del cilindro, de, e il diametro del dreno, dw.

Il diametro equivalente del cilindro di terreno che drena, de, è assunto pari al diametro del cerchio di area eguale all’area di influenza del dreno, per cui: per disposizione a quinconce, con maglia triangolare equilatera di lato s (Figura 8.7a):

s05,1s3

6de ⋅≅⋅⋅π

= (Eq. 8.12)

per disposizione a maglia quadrata di lato s (Figura 8.7b):

s13,1s4de ⋅≅⋅π

= (Eq. 8.13)

Il grado di consolidazione medio complessivo, U, in un processo combinato di consolida-zione verticale e radiale, si determina con la seguente equazione (Carrillo, 1942):

( ) )U100(U100100

1100(%)U rv −⋅−⋅−= (Eq. 8.14)

in cui si sono indicati con Uv(%) e con Ur(%) rispettivamente i gradi di consolidazione medi dei processi di filtrazione verticale e radiale. L’eq. 8.14 si applica per un dato valore del tempo t, cui corrispondono due differenti va-lori di Tv e di Tr, e quindi due differenti valori di Uv e di Ur. Molto spesso le due tecniche per accelerare il processo di consolidazione sopradescritte (precarico e dreni verticali) vengono utilizzate simultaneamente.

0

20

40

60

80

100

0.01 0.1 1

fattore di tempo, Tr

grad

o di

con

solid

azio

ne m

edio

, Ur (

%)

n=5

n=10

n=40

n=100

Figura 8.6: Grado di consolidazione medio, Ur, in funzione del fattore di tempo, Tr, per consolidazione radiale

Figura 8.7: Disposizione di dreni a quinconce con maglia triangolare equilatera (a) e a ma-glia quadrata (b)

a) b)

Page 124: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

124

CAPITOLO 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

9.1 Introduzione Per le verifiche di resistenza delle opere geotecniche è necessario valutare quali sono gli stati di tensione massimi sopportabili dal terreno in condizioni di incipiente rottura. La resistenza al taglio di un terreno in una direzione è la massima tensione tangenziale, τf, che può essere applicata alla struttura del terreno, in quella direzione, prima che si verifi-chi la “rottura”, ovvero quella condizione in cui le deformazioni sono inaccettabilmente elevate. La rottura può essere improvvisa e definitiva, con perdita totale di resistenza (come av-viene generalmente per gli ammassi rocciosi), oppure può avere luogo dopo grandi de-formazioni plastiche, senza completa perdita di resistenza, come si verifica spesso nei ter-reni. Nella Meccanica dei Terreni si parla di resistenza al taglio, perché in tali materiali, a cau-sa della loro natura particellare, le deformazioni (e la rottura) avvengono principalmente per scorrimento relativo fra i grani. In linea teorica, se per l’analisi delle condizioni di equilibrio e di rottura dei terreni si uti-lizzasse un modello discreto, costituito da un insieme di particelle a contatto, si dovrebbe-ro valutare le azioni mutue intergranulari (normali e tangenziali alle superfici di contatto) e confrontarle con i valori limite di equilibrio. Tale approccio, allo stato attuale e per i ter-reni reali, non è praticabile. Per la soluzione dei problemi di meccanica del terreno è tuttavia possibile, in virtù del principio delle tensioni efficaci, riferirsi al terreno saturo (mezzo particellare con gli spazi fra le particelle riempiti da acqua) come alla sovrapposizione nello stesso spazio di due mezzi continui: un continuo solido corrispondente alle particelle di terreno, ed un conti-nuo fluido, corrispondente all’acqua che occupa i vuoti interparticellari. In tal modo è possibile applicare anche ai terreni i ben più familiari concetti della meccanica dei mezzi continui solidi e della meccanica dei mezzi continui fluidi. Le tensioni che interessano il continuo solido sono le tensioni efficaci, definite dalla diffe-renza tra le tensioni totali e le pressioni interstiziali:

u' −= σσ (Eq. 9.1) A queste, in base al principio delle tensioni efficaci, è legata la resistenza al taglio dei ter-reni.

9.2 Richiami sulla rappresentazione di un sistema piano di tensioni Se per un punto O all’interno di un corpo si considerano tutti i possibili elementi superfi-ciali infinitesimi diversamente orientati, ossia appartenenti alla stella di piani che ha cen-tro in O, le tensioni su di essi (cioè la tensione risultante e le componenti normale σ e tan-genziale τ all'elemento superficiale considerato) variano generalmente da elemento a ele-mento. In particolare è possibile dimostrare che esistono tre piani, fra loro ortogonali, su cui agiscono esclusivamente tensioni normali. Questi tre piani sono detti principali, e le tensioni che agiscono su di essi sono dette tensioni principali. Generalmente, la tensione

Page 125: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

125

principale maggiore (che agisce sul piano principale maggiore π1) è indicata con σ1, la tensione principale intermedia (che agisce sul piano principale intermedio π2) è indicata con σ2, la tensione principale minore (che agisce sul piano principale minore π3) è indica-ta con σ3 (Figura 9.1). In particolari condizioni di simme-tria due, o anche tutte e tre, le ten-sioni principali possono assumere lo stesso valore. Il caso in cui le tre tensioni principali hanno eguale va-lore è detto di tensione isotropa: in condizioni di tensione isotropa tutti i piani della stella sono principali e la tensione (isotropa) è eguale in tutte le direzioni. Quando due delle tre tensioni principali sono uguali lo stato tensionale si definisce as-sial-simmetrico e tutti i piani della stella appartenenti al fascio che ha per asse la direzione della tensione principale diversa dalle altre due, sono piani principali (e le relative tensioni sono uguali). Poiché spes-so gli stati tensionali critici per i terreni interessano piani normali al piano principale intermedio, ovvero piani appartenenti al fascio avente per asse la direzione della tensione principale intermedia σ2 (Figura 9.1), è possibile igno-rare il valore e gli effetti della tensione principale intermedia σ2 e riferirsi ad un sistema piano di tensioni. Osserviamo adesso come variano le tensioni sui piani del fascio avente per asse la dire-zione della tensione principale intermedia, al variare dell’inclinazione del piano. In Figura 9.2a sono disegnate le tracce dei due piani principali maggiore π1 e minore π3, e di un ge-nerico piano π del fascio avente inclinazione θ rispetto alla direzione del piano principale maggiore. Si consideri l’equilibrio di un elemento prismatico di spessore unitario (problema piano) e forma triangolare, con i lati di dimensioni infinitesime (per rimanere nell’intorno del pun-to considerato), paralleli ai due piani principali e al piano π. (Figura 9.2b). Le condizioni di equilibrio alla traslazione in direzione orizzontale e verticale:

0sindlcosdlcosdl0cosdlsindlsindl

1

3

=⋅⋅+⋅⋅−⋅⋅=⋅⋅−⋅⋅−⋅⋅

θτθσθσθτθσθσ

θθ

θθ

impongono che le tensioni tangenziale τθ e normale σθ sul piano π valgano:

( ) θσσσσ

θσστ

θ

θ

2313

31

cos

2sin2

⋅−+=

⋅−

= (Eq. 9.2)

Figura 9.1 – Tensioni e piani principali per il punto O

σ

σ

σ

σ

σσ

π

π

π

O

1

1

1

2

2

2

3

3

3

Page 126: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

126

σσ

σ

σ

dl

τ

σ

θ

θθ

θ

Piano principale maggiore, π

Piano principale minore π

Piano π

O3

3

11

1

3

a) b)

Figura 9.2 - Tensioni indotte dalle due tensioni principali, σ1 e σ3, su un piano inclinato di θ ri-spetto a π1.

In un sistema di assi cartesiani ortogonali di centro O e assi X e Y (Figura 9.3), sul quale vengono riportate lungo l’asse X le tensio-ni normali, σ, e lungo l’asse Y le tensioni tangenziali, τ (piano di Mohr), le equazioni (9.2) rappre-sentano un cerchio di raggio R = (σ1 – σ3)/2 e centro C[(σ1 + σ3)/2; 0], detto cerchio di Mohr, che è il luogo delle condizioni di tensione di tutti i piani del fascio. Per disegnare il cerchio, con rife-rimento alla Figura 9.3a, occorre prima posizionare i punti A e B sull’asse X, in modo tale che i segmenti OA ed OB siano pro-porzionali, nella scala prescelta, rispettivamente alle tensioni principali minore, σ3, e maggio-re, σ1, e poi tracciare il cerchio di diametro AB. Tale cerchio è il luogo degli stati di tensione di tutti i piani del fascio. Sul cerchio di Mohr è utile definire il concet-to di polo o origine dei piani, come il punto tale che qualunque retta uscente da esso interseca il

cerchio in un punto le cui coordinate rappresentano lo stato tensionale agente sul piano che ha per traccia la retta considerata.

O C

3

3

1

1

A B

D

a)

E

Y

X

σσ

σ

τθ

θ

θ2θ

O CA

polo

Tensione sul pianoorizzontale

Tensione sul piano inclinato di rispetto all’orizzontale

α

B

D

E

P

Y

X

α

σ

σ

b)

Figura 9.3 Cerchio di Mohr (a) e polo (b)

Page 127: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

127

Ad esempio se il piano principale maggiore (su cui agisce la σ1) è perpendicolare all’asse Y, il polo è rappresentato dal punto A(σ3,0), cioè un piano del fascio inclinato di un ango-lo θ rispetto al piano principale maggiore interseca il cerchio in un punto D, le cui coordi-nate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato. Viceversa, se il piano principale minore (su cui agisce la σ3) è perpendicolare all’asse Y, il polo è rap-presentato dal punto B(σ1,0). Se per individuare l’orientazione dei piani del fascio assu-miamo come riferimento i piani verticale ed orizzontale, non necessariamente coincidenti con i piani principali, il polo, P, è individuato dall’intersezione col cerchio di Mohr della retta orizzontale condotta dal punto, D, che ha per coordinate la tensione normale e tan-genziale sul piano orizzontale; un generico piano del fascio inclinato di un angolo α ri-spetto all’orizzontale (Figura 9.3b), interseca il cerchio di Mohr in un punto, E, le cui co-ordinate rappresentano le tensioni normale e tangenziale sul piano considerato. Con riferimento alla Figura 9.3a, si può dimostrare che le equazioni (9.2) rappresentano quello che è stato definito come cerchio di Mohr:

tensione tangenziale: θσσθτθ 2sin2

2sinDCDE 31 ⋅−

=⋅==

tensione normale: ( ) θσσσ

θσθσσθ

2313

233

cos

cosABcosADAEOAOE

⋅−+=

=⋅+=⋅+=+==

9.3 Criterio di rottura di Mohr-Coulomb In base al principio delle tensioni efficaci “Ogni effetto misurabile di una variazione dello stato di tensione, come la compressione, la distorsione e la variazione di resistenza al ta-glio è attribuibile esclusivamente a variazioni delle tensioni efficaci”. Dunque la resistenza del terreno, che a causa della natura particellare del mezzo, è una re-sistenza al taglio, deve essere espressa da una relazione (criterio di rottura) del tipo:

( )'στ ff = (Eq. 9.3) Il più semplice ed utilizzato criterio di rottura per i terreni, è il criterio di Mohr-Coulomb:

( ) 'tan''c'tanu'c f,nf φσφστ ⋅+=⋅−+= per σ’ > 0 (Eq. 9.4) in base al quale la tensione tangenziale limite di rottura in un generico punto P di una su-perficie di scorrimento potenziale interna al terreno è dato dalla somma di due termini: il primo, detto coesione c’, è indipendente dalla tensione efficace normale alla superficie agente in quel punto, ed il secondo è ad essa proporzionale attraverso un coefficiente d’attrito tanφ’. L’angolo φ’ è detto angolo di resistenza al taglio. Nel piano di Mohr l’equazione (9.4) rappresenta una retta (Figura 9.4), detta retta invi-luppo di rottura, che separa gli stati tensionali possibili da quelli privi di significato fisico in quanto incompatibili con la resistenza del materiale. Nel piano τ−σ’, lo stato di tensio-ne (che per semplicità di esposizione considereremo piano) nel punto P, corrispondente alla rottura, sarà rappresentato da un cerchio di Mohr tangente all’inviluppo di rottura (Figura 9.4). Un cerchio di Mohr tutto al di sotto della retta inviluppo di rottura indica in-vece che la condizione di rottura non è raggiunta su nessuno dei piani passanti per il pun-to considerato, mentre non sono fisicamente possibili le situazioni in cui il cerchio di Mohr interseca l’inviluppo di rottura. Si osservi che in base alle proprietà dei cerchi di Mohr risulta nota la rotazione del piano di rottura per P (ovvero del piano su cui agiscono

Page 128: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

128

la tensione efficace normale σ’n,f e la ten-sione tangenziale τf) rispetto ai piani prin-cipali per P (ovvero rispetto a quei piani su cui agiscono solo ten-sioni normali e le ten-sioni tangenziali sono zero). In particolare l’angolo fra il piano di rottura ed il piano su cui agi-sce la tensione princi-pale maggiore σ’1,f è pari a (π/4 + φ’/2)1.

Infatti, con riferimento alla Figura 9.4, si considerino i valori degli angoli del triangolo FDC: DFC = φ’, FDC = π/2, FCD = π – 2θf Poiché la somma degli angoli di un triangolo è π, ne risulta: θf = φ’/2 + π/4

8.3.1 Osservazioni sull’inviluppo di rottura

In relazione a quanto esposto nei pa-ragrafi precedenti è opportuno evi-denziare che: - il criterio di rottura di Mohr-

Coulomb non dipende dalla ten-sione principale intermedia; si osservi infatti la Figura 9.5 che rappresenta lo stato tensionale in un punto in condizioni di rottu-ra. Essa dipende dai valori di σ’1,f e di σ’3,f, che definiscono dimensioni e posizione del cer-chio di Mohr tangente alla retta di inviluppo di rottura, ed è in-dipendente dal valore di σ’2,f.

1 Si osservi inoltre che la tensione τf non è il valore massimo della tensione tangenziale nel punto P, la quale

è invece pari al raggio del cerchio di Mohr: ( )'3

'1max 2

1 σστ −⋅= , è associata ad una tensione normale che è

pari al valore medio delle tensioni principali maggiore e minore: ( )'3

'1

'

21 σσσ +⋅=m ed agisce su un piano

ruotato di π/4 rispetto al piano su cui agisce la tensione principale maggiore σ’1,f e quindi di φ’/2 rispetto al piano di rottura.

Oc’

D

3,f

ff

f

τ

σ’σ’

σ’

τ

ϕ’

θ = π/4+ϕ ’/2

2θA

inviluppo di rotturatraccia del pianodi rottura

F C B

1,fσ’n,f

Figura 9.4 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

c’3,f

2,f

τ

σ’σ’

ϕ’

C B

σ’σ’

1,f

Figura 9.5 – Il criterio di rottura di Mohr-Coulomb non dipende dalla tensione principale intermedia, σ’2

Page 129: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

129

- i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ non sono caratteristiche fisiche del terreno, ma sono funzione di molti fattori, fra cui: storia tensionale, indice dei vuoti, livello di tensione e di deformazione, tipo di struttura, composizione granulometrica, tempera-tura etc..

- l’inviluppo a rottura può presentare c’ = 0; - l’inviluppo di rottura reale non è necessariamente una retta; spesso tale approssima-

zione è accettabile solo in un campo limitato di tensioni. Pertanto nella sperimenta-zione di laboratorio occorre indagare sul campo di tensioni prossimo allo stato ten-sionale in sito.

Occorre poi considerare una importantissima conseguenza della seguente asserzione del principio delle tensioni efficaci: “la variazione di resistenza al taglio è attribuibile esclu-sivamente a variazioni delle tensioni efficaci”. Quando in un terreno interviene una alte-razione delle tensioni totali, a causa di carichi, positivi o negativi, applicati in superficie o in profondità, risultano conseguentemente alterate le pressioni interstiziali e le tensioni ef-ficaci, ed ha inizio un processo di filtrazione in regime transitorio (consolidazione). Nei terreni a grana grossa, molto permeabili, tale processo è pressoché istantaneo (sistema aperto), cosicché alle variazioni di tensione totale corrispondono immediatamente analo-ghe variazioni di tensione efficace mentre le tensioni interstiziali rimangono inalterate (condizioni drenate). Dunque, noto lo stato tensionale iniziale, è sufficiente conoscere en-tità e distribuzione degli incrementi di tensione (totale = efficace) indotti dal carico appli-cato per poter valutare la resistenza al taglio disponibile in ogni punto dell’ammasso (na-turalmente se sono noti i parametri di resistenza al taglio). Invece nei terreni a grana fine, poco permeabili, non sono generalmente note né l’entità né l’evoluzione nel tempo delle variazioni di pressione interstiziale e di tensione efficace conseguenti ad una variazione di tensione totale prodotta dai carichi applicati2. Possiamo solo dire che, se il terreno è saturo, all’istante di applicazione del carico le deformazioni volumetriche sono nulle (sistema chiuso, condizioni non drenate o a breve termine), men-tre possono esserci deformazioni di taglio. Solo dopo che si sarà esaurito il processo di consolidazione e le sovrapressioni interstiziali si saranno dissipate, le tensioni efficaci e quindi la resistenza al taglio si saranno stabilizzate sul valore finale (condizioni drenate o a lungo termine). Conseguentemente, mentre per i terreni a grana grossa la resistenza al taglio, e quindi le condizioni di stabilità, non variano nel tempo dall’applicazione del carico, ciò avviene per i terreni a grana fine. In particolare se durante il processo di consolidazione le tensioni ef-ficaci crescono, anche la resistenza al taglio progressivamente cresce e le condizioni di stabilità più critiche sono a breve termine. Se invece durante il processo di consolidazione le tensioni efficaci decrescono anche la resistenza al taglio progressivamente decresce e le condizioni di stabilità più critiche sono a lungo termine. Per tale motivo, ad esempio, se un rilevato è stabile subito dopo la costruzione lo sarà anche in futuro, ma se la parete di uno scavo è stabile subito dopo la sua esecuzione non è affatto detto che lo sarà anche do-po un certo tempo.

2 In alcuni casi semplici tali variazioni sono note. Abbiamo visto ad esempio che in condizioni di carico e-dometrico (compressione con espansione laterale impedita) all’istante di applicazione dell’incremento di tensione verticale totale corrisponde, nei terreni saturi, un eguale incremento di pressione neutra, mentre la tensione efficace rimane invariata e non si manifesta alcuna deformazione (né volumetrica né di taglio).

Page 130: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

130

9.4 Coefficienti di Skempton Si consideri un elemento di terreno poco permeabile, saturo e sotto falda all’interno di un deposito omogeneo con superficie del piano campagna orizzontale. Per simmetria cilin-drica le tensioni geostatiche verticale e orizzontali sono tensioni principali e le tensioni principali orizzontali sono tra loro uguali (stato tensionale assial-simmetrico). Si suppon-ga che la tensione verticale corrisponda alla tensione principale maggiore σ1 e quelle o-rizzontali alla tensione principale minore σ3. Per definizione in un tubo piezometrico po-sto alla profondità dell’elemento l’acqua risalirebbe fino alla profondità del livello di fal-da (Figura 9.6a). Supponiamo che un carico, applicato in modo istantaneo in superficie, produca istantane-amente, nell’elemento di terreno considerato, un incremento assial simmetrico dello stato tensionale totale, ovvero un incremento ∆σ1 della tensione principale maggiore (vertica-le), un incremento ∆σ3 della tensione principale minore (orizzontale) e, di conseguenza, un incremento ∆u della pressione interstiziale, testimoniato da un innalzamento del livello dell’acqua nel piezometro della quantità ∆u/γw (Figura 9.6b). Possiamo pensare di scomporre l’incremento dello stato tensionale totale in due parti (Fi-gura 9.6c): - una prima parte di incremento delle tensioni isotropo, ovvero agente in modo eguale

in tutte le direzioni, di intensità ∆σ3; - e una seconda parte di incremento deviatorico, ovvero agente solo in direzione verti-

cale, di intensità (∆σ1 – ∆σ3). Indichiamo con ∆ub l’incremento di pressione interstiziale causato dall’incremento di ten-sione totale isotropa ∆σ3, e con ∆ua l’incremento di pressione interstiziale causato dall’incremento di tensione totale deviatorica (∆σ1 - ∆σ3). Naturalmente dovrà essere: ∆u = ∆ub +∆ua (Eq. 9.5) Indichiamo con B il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ub e l’incremento di tensione totale isotropa ∆σ3 che ne è stata causa:

3σ∆∆

= buB (Eq. 9.6)

Analogamente indichiamo con Ā il rapporto fra l’incremento di pressione interstiziale ∆ua e l’incremento di tensione totale isotropa (∆σ1 - ∆σ3) che ne è stata causa:

)( 31 σσ ∆−∆∆

= auA (Eq. 9.7)

u/γw =

σ3

σ1

a)

∆ γu/w

∆σ3

∆σ1

b)

∆ γu /b w

∆σ3

∆σ3 +

∆ γu /a w

0

∆σ1−∆σ

3

c)

Figura 9.6 - a) Stato iniziale; b) incremento istantaneo dello stato di tensione; c) scomposizione

Page 131: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

131

Ne risulta che l’incremento di pressione interstiziale ∆u può essere calcolato, noti i para-metri B ed Ā, con la relazione:

( )313 σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ ABu (Eq. 9.8) ovvero, avendo posto A = Ā/B, con la relazione:

( )[ ]313 σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ ABu (Eq. 9.9) I parametri B, A (e Ā) sono detti parametri delle pressioni interstiziali o coefficienti di Skempton e possono essere determinati in laboratorio con prove triassiali consolidate non drenate (Paragrafo 9.7.2).

9.41 Il coefficiente B Se l’elemento di terreno è saturo (Sr=1), assumendo trascurabile la compressibilità dell’acqua, l’applicazione di un incremento di tensione totale isotropa ∆σ in condizioni non drenate non produce alcuna deformazione (né volumetrica né di distorsione) e quindi, in base al principio delle tensioni efficaci, non produce neppure variazioni di tensione ef-ficace (∆σ’ = 0). Pertanto, per un terreno saturo, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆u, ovvero B = ∆u/∆σ = 1 Se invece l’elemento di terreno fosse del tutto privo di acqua interstiziale (Sr = 0), l’applicazione di un incremento di ten-sione totale isotropa ∆σ produrrebbe una deformazione volumetrica (isotropa se lo scheletro solido è isotropo) e un eguale incremento di tensione efficace (∆σ’ = ∆σ). Pertanto, per un terreno secco, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u = ∆σ', ∆u =0 ovvero B = ∆u/∆σ = 0. Nei casi intermedi, ovvero per terreni parzialmente saturi, risulta: ∆σ = ∆σ’ + ∆u, ∆σ' > 0, ∆u > 0, ovvero 0 < B = ∆u/∆σ < 1. Il parametro B dipende dal grado di saturazione dei terreno, con una legge non lineare e variabile da terreno a ter-reno, qualitativamente rappresentata in Figura 9.7.

9.4.2 Il coefficiente A Se l’elemento di terreno è saturo, come abbiamo visto risulta B = 1, per cui i parametri A e Ā=A·B coincidono. Per un dato terreno, il loro valore non è unico, come per il parame-tro B, ma dipende dallo stato tensionale iniziale e dall’incremento di tensione deviatorica.

0Grado di saturazione, Sr

Coe

ffici

ente

B d

i Ske

mpt

on

00.2

0.2

0.4 0.6 0.8 1.0

0.4

0.6

0.8

1.0

Figura 9.7 – Tipica variazione del coefficiente B di Skempton con il grado di saturazione Sr

Page 132: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

132

Il valore assunto dal parametro A in condizioni di rottura è indicato con Af, che pertanto rappresenta il rapporto tra l’incremento di pressione interstiziale in condizioni non drenate a rottura, ∆uf, e il corrispondente valore dell’incremento di tensione deviatorica totale (∆σ1 – ∆σ3)f. Il valore di Af dipende da numerosi fattori, il principale dei quali è la storia tensionale, ovvero il grado di sovraconsolidazione OCR. Per le argille normalmente consolidate (OCR = 1) Af ha valori usualmente compresi tra 0,5 e 1, mentre per le argille fortemente sovraconsolidate (OCR > 4) Af assume valori negativi. In Figura 9.8 è mostrata una tipica va-riazione di Af con OCR per un’argilla. È importante notare il significato fisico di A, e riflettere sulle sue conseguenze nel comportamento meccanico delle opere geotecniche: un valore positivo di A significa che la pressione intersti-ziale nel terreno cresce con la tensione deviatorica totale, mentre al contrario se A è negativo la pressione interstizia-le decresce. Occorre tuttavia sottolinea-re il fatto che i valori di Af, generalmen-te riportati in letteratura e nei rapporti geotecnici di laboratorio, non possono essere utilizzati per valutare gli incre-menti di pressione interstiziale in con-dizioni di esercizio, poiché si riferisco-no a condizioni di tensione differenti.

9.5 Apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio

La resistenza al taglio dei terreni può essere determinata (o stimata) con prove di labora-torio e con prove in sito. Le due categorie di prove sono fra loro complementari, nel senso che presentano vantaggi e limiti di tipo opposto, come già è stato detto a proposito della determinazione sperimentale del coefficiente di permeabilità, e come sarà meglio chiarito in seguito quando si tratteranno le prove in sito. L’analisi dei risultati delle prove di laboratorio si presta bene allo studio delle leggi costi-tutive, poiché le condizioni geometriche, di vincolo e di drenaggio dei provini sono ben definite, il percorso di carico e/o di deformazione è imposto e controllato, il terreno su cui si esegue la prova è identificato e classificato. I principali limiti delle prove di laboratorio sono invece da ricercarsi nella incerta rappresentatività del comportamento in sito, sia per il ridottissimo volume di terreno sottoposto a prova sia perché durante le operazioni di campionamento, trasporto, estrusione e preparazione dei provini si produce inevitabil-mente un disturbo tale che essi non sono mai nelle stesse condizioni in cui si trovavano in sito.

1Grado di sovraconsolidazione, OCR

Coe

ffici

ente

Adi

Ske

mpt

onf

-0.52 3 8 10 20

0

0.5

1.0

4 6

Figura 9.8 – Tipica variazione del coefficiente Af di Skempton con il grado di sovraconsolidazione OCR

Page 133: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

133

Esistono molte apparecchiature e prove di laboratorio per la determinazione della resi-stenza al taglio dei terreni. In questa sede esamineremo soltanto le più semplici e diffuse: la prova di taglio diretto e le prove triassiali standard.

9.6 La prova di taglio diretto La prova di taglio diretto è la più antica, la più intuitiva e la più semplice fra le prove di laboratorio per la determinazione della resistenza al taglio dei terreni. Essa può essere e-seguita su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricosti-tuiti di terreni a grana fine. Una rappresentazione schematica della cella dell’apparecchiatura è mostrata in Figura 9.9. La prova si esegue su almeno tre provini, che in genere hanno sezione quadrata di lato 60÷100 mm e altezza 20÷40 mm. La dimensione massima dei grani di terreno deve essere alme-no 6 volte inferiore all’altezza del provino, per cui sono escluse le ghiaie e i ciottoli, salvo che non si disponga di apparecchiature spe-ciali, molto grandi. Il provino è inserito in un telaio metallico a sezione quadrata diviso in due parti da un piano orizzontale in corrispondenza della semialtezza, ed è verticalmente compreso tra due piastre metalliche nervate e forate, oltre ciascuna delle quali vi è una carta filtro ed una piastra di pietra porosa molto permeabile. Attraverso una piastra di carico è possibile distribuire uniformemente sulla testa del pro-vino una forza verticale di compressione. Il tutto è posto in una scatola piena d’acqua che può essere fatta scorrere a velocità prefissata su un’apposita rotaia. La metà superiore del telaio metallico è impedita di traslare da un contrasto collegato ad un anello dinamometri-co (per la misura delle forze orizzontali T applicate), cosicché il movimento della scatola produce la rottura per taglio del provino nel piano orizzontale medio. La prova si esegue in due fasi. Nella prima fase viene applicata in modo istantaneo e man-tenuta costante nel tempo una forza verticale N che dà inizio ad un processo di consolida-zione edometrica. Durante la prima fase si misurano gli abbassamenti nel tempo del provino, controllando in tal modo il processo di consolidazione e quindi il raggiungimento della pressione vertica-

le efficace media AN

n ='σ , essendo A la sezione orizzontale del provino. La durata della

prima fase dipende dalla permeabilità del terreno e dall’altezza del provino. Nella seconda fase si fa avvenire lo scorrimento orizzontale relativo, δ, a velocità costante fra le due parti del telaio producendo il taglio del provino nel piano orizzontale medio. Durante la fase di taglio si controlla lo spostamento orizzontale relativo e si misurano la forza orizzontale T(δ), che si sviluppa per reazione allo scorrimento, e le variazioni di al-

Figura 9.9 – Cella per la prova di taglio diretto

Page 134: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

134

tezza del provino. La velocità di scorrimento deve essere sufficientemente bassa da non indurre sovrapressioni interstiziali. A tal fine la velocità può essere scelta in modo inver-samente proporzionale al tempo di consolidazione della prima fase. A titolo puramente indicativo, le velocità di scorrimento sono dell’ordine di 2 10-2 mm/s per terreni sabbiosi e di 10-4 mm/s per i terreni a grana fine. La prova va continuata fino alla chiara individuazione della forza resistente di picco Tf (Figura 9.10.a) o fino ad uno spostamento pari al 20% del lato del provino, quando non si possa individuare chiaramente un valore di picco della resistenza.

τ

σ

σ’

σ’

σ’

σ’

σ’

σ’

τ

τ

τ

τϕ’

Spostamento, δ

a)

3n

2n

1n

1n 2n 3n

1f

2f

3f

c’

b)

Figura 9.10 - Determinazione della resistenza a rottura, τf (a) e dei parametri di resistenza al ta-glio (b) da prova di taglio diretto.

La tensione efficace normale a rottura σ’n,f = σ’n e la tensione tangenziale media a rottura

sul piano orizzontale, A

Tff =τ ,3 sono le coordinate di un punto del piano di Mohr appar-

tenente alla linea inviluppo degli stati di tensione a rottura. Ripetendo la prova con differenti valori di N (almeno tre) si ottengono i punti sperimenta-li che permettono di tracciare la retta di equazione:

'tan'' φστ ⋅+= cf (Eq. 9.10) e quindi di determinare i parametri di resistenza al taglio c’ e φ’ (Figura 9.10b). I valori di N, e quindi di pressione verticale, devono essere scelti tenendo conto della ten-sione verticale efficace geostatica. I principali limiti della prova di taglio diretto sono: - l’area A del provino varia (diminuisce) durante la fase di taglio, - la pressione interstiziale non può essere controllata, - non sono determinabili i parametri di deformabilità, - la superficie di taglio è predeterminata e, se il provino non è omogeneo, può non

essere la superficie di resistenza minima.

3 In realtà l’area su cui distribuisce la forza resistente di picco Tf a rottura sarà inferiore a quella iniziale A per effetto dello scorrimento relativo delle due parti del provino.

Page 135: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

135

Se la prova è condotta a velocità troppo elevate per consentire il drenaggio si ottiene una sovrastima di c’ e una sottostima di φ’. L’esecuzione di prove di taglio diretto “rapide non drenate” è fortemente sconsigliata, poiché la rapidità della prova non è comunque suffi-ciente a garantire l’assenza di drenaggio ed i risultati non sono interpretabili né in termini di tensioni efficaci né in termini di tensioni totali.

9.7 L’apparecchio e le prove triassiali standard Le prove triassiali standard sono eseguite, con modalità diverse, su campioni ricostituiti di materiali sabbiosi e su campioni indisturbati o ricostituiti di terreni a grana fine per de-terminarne le caratteristiche di resistenza al taglio e di rigidezza. Nel seguito si considere-ranno solamente le prove di compressione su terreni saturi. Differenti modalità di prova (ad esempio per estensione) o prove su terreni non saturi sono possibili ma richiedono ap-parecchiature più complesse e, allo stato attuale, non sono di routine. In Figura 9.11 è rappresenta-to lo schema di un apparec-chio per prove triassiali stan-dard. I provini di terreno hanno forma cilindrica con rapporto altezza/diametro generalmente compreso tra 2 e 2.5. Il diametro è di norma 35 o 50mm. Poiché il diame-tro deve essere almeno 10 volte maggiore della dimen-sione massima dei grani, prove triassiali su terreni contenenti ghiaie o ciottoli non sono possibili salvo di-sporre di apparecchiature speciali di grandi dimensio-ni. Lo stato tensionale a cui è soggetto un provino durante una prova triassiale è di tipo assial-simmetrico e rimane tale durante tutte le fasi della prova, quindi le tensioni principali agiscono sempre lungo le di-rezioni assiale e radiali del provino. Il provino, la cui preparazione richiede procedure diverse a seconda della natura del terre-no, è appoggiato su un basamento metallico all’interno di una cella di perspex. Tra il ba-samento e il provino è posto un disco di materiale poroso molto permeabile, protetto da un disco di carta filtro che evita l’intasamento dei pori. Anche superiormente al provino è posto un disco di carta filtro ed una pietra porosa, sopra la quale è appoggiata una piastra circolare di carico. La superficie laterale del provino è rivestita con una membrana di lat-tice di gomma, molto flessibile ed impermeabile, stretta con guarnizioni di gomma (O-ring) al basamento inferiore ed alla piastra di carico superiore. Talvolta tra la superficie laterale del provino e la membrana di lattice di gomma sono poste strisce verticali di carta filtro. La cella di perspex è riempita d’acqua che può essere messa in pressione esercitan-do così uno stato di compressione isotropa sul provino.

Figura 9.11 – Cella per prove triassiali di tipo standard

Page 136: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

136

Il provino risulta idraulicamente isolato dall’acqua interna alla cella di perspex, ma in col-legamento idraulico con l’esterno, poiché sia il basamento che la piastra di carico sono at-traversati da condotti collegati con sottili e flessibili tubi di drenaggio. La carta filtro di-sposta sulla superficie laterale del provino ha la funzione di facilitare il flusso dell’acqua dal provino all’esterno. I tubi di drenaggio possono essere anche utilizzati per mettere in pressione l’acqua contenuta nel provino (contropressione interstiziale o back pressure), o possono essere chiusi e collegati a strumenti di misura della pressione dell’acqua. Il tetto della cella è attraversato da un’asta verticale scorrevole (pistone di carico, Figura 9.11) che può trasmettere un carico assiale al provino attraverso la piastra di carico. In definitiva con l’apparecchio triassiale standard è possibile: o esercitare una pressione totale isotropa sul provino mediante l’acqua contenuta nella

cella; o fare avvenire e controllare la consolidazione isotropa del provino misurandone le

variazioni di volume, corrispondenti alla quantità di acqua espulsa o assorbita attra-verso i tubi di drenaggio;

o deformare assialmente il provino a velocità costante fino ed oltre la rottura misu-rando la forza assiale di reazione corrispondente;

o misurare il volume di acqua espulso o assorbito dal provino durante la compressio-ne assiale a drenaggi aperti;

o controllare le deformazioni assiali del provino, determinate dalla velocità di avan-zamento prescelta della pressa, durante la compressione assiale;

o misurare la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio (che si suppone eguale alla pressione interstiziale uniforme nei pori del provino) quando la compressione, isotropa o assiale, avviene a drenaggi chiusi,

o mettere in pressione l’acqua nei condotti di drenaggio, e quindi creare una eguale pressione interstiziale nel provino.

Nell’interpretare i risultati delle prove si ipotizza un comportamento deformativo isotropo del terreno. Le prove triassiali standard sono condotte secondo tre modalità: o prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID), o prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU), o prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU). Per ciascuno dei tre tipi di prova il provino è inizialmente saturato mediante la contempo-ranea applicazione di una tensione isotropa di cella e di una poco minore contropressione dell’acqua interstiziale4. In tal modo le bolle d’aria eventualmente presenti nel provino tendono a sciogliersi nell’acqua interstiziale. La verifica dell’avvenuta saturazione viene fatta mediante la misura del coefficiente B di Skempton: a drenaggi chiusi si incrementa la pressione di cella di una quantità ∆σ e si misura il conseguente aumento di pressione interstiziale, ∆u. Se il rapporto ∆u/∆σ, ovvero

4 Teoricamente la pressione di cella e la back pressure dovrebbero essere eguali, in modo da non produrre variazioni di tensione efficace. In pratica si applica una pressione di cella lievemente maggiore della con-tropressione interstiziale per evitare che si accumuli acqua fra la membrana e la superficie laterale del pro-vino.

Page 137: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

137

il coefficiente B, risulta pari ad 1, il provino è saturo (in pratica si ritiene sufficiente B > 0.95), se invece risulta B < 0.95 il provino non è saturo. Pertanto, per favorire la satura-zione, si incrementano della stessa quantità i valori di pressione di cella e di contropres-sione interstiziale (in modo da mantenere costante la pressione efficace di consolidazio-ne), e si ripete la verifica dell’avvenuta saturazione eseguendo una nuova misura di B.

9.7.1 Prova triassiale consolidata isotropicamente drenata (TxCID) Dopo avere eseguito la saturazione, la prova si svolge in due fasi. Nella prima fase il provino saturo è sottoposto a compressione isotropa mediante un in-cremento della pressione di cella, a drenaggi aperti fino alla completa consolidazione. La pressione di consolidazione, σ’c, è pari alla differenza fra pressione di cella (totale), σc, e contropressione interstiziale, u0. Il processo di consolidazione è controllato attraverso la misura nel tempo del volume di acqua espulso e raccolto in una buretta graduata, che vie-ne diagrammato in funzione del tempo (Figura 9.12). Nella seconda fase, ancora a drenaggi aperti, si fa avanzare il pistone a velocità costante e sufficientemente bassa da non produrre sovrapressioni interstiziali all’interno del provino. La velocità può essere scelta in modo inversamente proporzionale al tempo di consolida-zione della prima fase. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pi-

stone - la variazione di volume del pro-

vino. Tali misure permettono di calcolare, fino ed oltre la rottura del provino: - la deformazione assiale media,

εa, - la deformazione volumetrica

media, εv, (e quindi anche la de-formazione radiale media, εr = (εv – εa) / 2,

- la tensione assiale media, σa, (e quindi anche di tensione deviatorica media, σa – σr = σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale che rimane costante durante la prova).

I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.13). Poiché durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc e la pressione inter-stiziale u0 rimangono costanti (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc) e poiché non si sviluppano sovrappressioni interstiziali, essendo la prova drenata, allora rimane co-stante anche la pressione radiale efficace, σ’r, che corrisponde alla tensione efficace prin-cipale minore (σ’r = σ’3), mentre cresce la tensione efficace assiale media, σ’a, che corri-sponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1).

Figura 9.12 – Variazione di volume di un provino che consolida in cella triassiale, in funzione del tempo

Page 138: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

138

È dunque possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente al-lo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura (Figura 9.14).

La prova deve essere eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazio-ne.

σ’

σ − σ’ ’

ε

ε

a)

b)

a

a

v

r

3f 3c

2c

1c

σ’

σ’

σ − σ’ ’a r

a r(σ − σ’ ’ )

2fa r(σ − σ’ ’ )

1fa r(σ − σ’ ’ )

Figura 9.13 - Risultati di prove TxCID: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - εv

O

τ

σ’σ’f

ϕ’

σ’ =

σ σ’ = ’ σ’r c 3f 1f

Figura 9.14 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCID

Page 139: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

139

I cerchi di Mohr a rottura dei tre provini sono tangenti alla retta di equazione: ( ) 'tan'''tan' φσφστ ⋅+=⋅−+= cucf (Eq. 9.11)

che rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figu-ra 9.15).

O

τ

σ’σ’f

ϕ’

c’

Figura 9.15 – Determinazione dei parametri di resistenza al taglio da prove triassiali TxCID e TxCIU

L’esecuzione della prova TxCID richiede un tempo tanto maggiore quanto minore è la permeabilità del terreno, ed è pertanto generalmente riservata a terreni sabbiosi o comun-que abbastanza permeabili.

9.7.2 Prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) Anche questa prova, una volta eseguita la saturazione, si svolge in due fasi, la prima delle quali è identica a quella della prova TxCID. Al termine della prima fase, e quindi a consolidazione avvenuta (ad una pressione di con-solidazione, σ’c, pari alla differenza fra la pressione di cella, σc, e la contropressione in-terstiziale, u0), vengono chiusi i drenaggi isolando idraulicamente il provino che, essendo saturo, non subirà ulteriori variazioni di volume. Nella seconda fase, a drenaggi chiusi e collegati a trasduttori che misurano la pressione dell’acqua nei condotti di drenaggio e quindi nei pori del provino, si fa avanzare il pistone a velocità costante, anche relativamente elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, e sono misurate: - la forza assiale esercitata dal pistone, - la variazione di pressione interstiziale all’interno del provino. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo fino ed oltre la rottura del provi-no: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =

σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale), - il coefficiente A di Skempton. I risultati della prova sono di norma rappresentati in grafici εa - (σa – σr), e εa – εv (Figura 9.16).

Page 140: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

140

σ’

σ − σ’ ’

ε

∆u

a)

b)

a

a

r

3f 3c

2c

1c

σ’

σ’

σ − σ’ ’a r

a r(σ − σ’ ’ )

2fa r(σ − σ’ ’ )

1fa r(σ − σ’ ’ )

Figura 9.16 - Risultati di prove TxCIU: a) diagrammi εa – (σ’a – σ’r); b) diagrammi εa - ∆u

In questo tipo di prova, durante la fase di compressione assiale la pressione di cella σc ri-mane costante (e quindi anche la pressione radiale totale σr = σc), mentre la pressione in-terstiziale u, inizialmente pari a u0, varia. Di conseguenza variano sia la tensione efficace assiale media, σ’a = σa – u, che corrisponde alla tensione efficace principale maggiore (σ’a = σ’1), sia la pressione radiale efficace, σ’r = σc – u, che corrisponde alla tensione efficace principale minore (σ’r = σ’3), ed è possibile seguire l’evoluzione nel tempo del cerchio di Mohr corrispondente allo stato tensionale del provino fino ed oltre la rottura, sia in termini di tensioni totali che in termini di tensioni efficaci. Infatti, se si rappresentano i cerchi a rottura sul piano di Mohr in termini di tensioni totali e si traslano di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura, uf, si otten-gono i cerchi corrispondenti in termini di tensioni efficaci (Figura 9.17). La prova viene eseguita su almeno tre provini a differenti pressioni di consolidazione. La retta inviluppo dei cerchi di Mohr a rottura dei tre provini, in termini di tensioni effi-caci, che consente di ricavare i parametri c’ e φ’, ha equazione (9.11) e rappresenta, per il campo di tensioni indagato, la resistenza al taglio del terreno (Figura 9.15).

Page 141: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

141

Se la prova è interpre-tata in termini di ten-sioni totali, il valore a rottura dello sforzo di

taglio, f

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

231 σσ

,

rappresenta la resi-stenza al taglio non drenata cu (Figura 9.17). Poiché i tre provini vengono consolidati sotto tre diversi valori di pressione, σ’c, ri-sultano diversi tra loro anche i valori di cu. Se il terreno è normalmente consolidato si ha c’ = 0 in termini di tensioni efficaci, mentre

in termini di tensioni totali il rapporto 'c

ucσ

è costante.

Per un dato terreno e a parità di pressioni di consolidazione, i risultati delle prove TxCIU, interpretati in termini di tensioni efficaci, sono sostanzialmente analoghi ai risultati delle prove TxCID. Pertanto esse sono generalmente riservate a terreni argillosi o comunque poco permeabili, per i quali l’esecuzione di prove TxCID richiederebbe tempi molto lun-ghi.

9.7.3 Prova triassiale non consolidata non drenata (TxUU) È consigliabile che anche questa prova sia eseguita previa saturazione dei provini, sebbe-ne spesso ciò non avvenga. Anch’essa si svolge in due fasi. Nella prima fase, dopo avere chiuso i drenaggi, il provino è sottoposto a compressione i-sotropa portando in pressione il fluido di cella al valore assegnato di pressione totale σc. Se il provino è saturo, e quindi il coefficiente B di Skempton è pari ad 1, il volume del provino non varia e l’incremento della pressione di cella (totale) comporta un uguale au-mento della pressione interstiziale, mentre le tensioni efficaci non subiscono variazioni e quindi non varia la pressione efficace, σ’c. Nella seconda fase, a drenaggi ancora chiusi, si fa avanzare la pressa su cui si trova la cel-la triassiale a velocità costante, anche piuttosto elevata. Durante la seconda fase è controllata la variazione nel tempo dell’altezza del provino, ed è misurata la forza assiale esercitata sul provino, mentre di norma non è misurato l’incremento di pressione interstiziale. Tali misure permettono di calcolare, al variare del tempo, fino ed oltre la rottura del pro-vino: - la deformazione assiale media, εa, - la tensione assiale media, σa, (e quindi anche la tensione deviatorica media, σa – σr =

σ’a – σ’r, essendo σr la pressione radiale).

τ

σ’,σσ’f σ’ σ’σ σ

u

c

Cerchio di Mohr in tensioni efficaci

u

3f 3f 1f 1f

f

Cerchio di Mohr in tensioni totali

Figura 9.17 - Evoluzione dei cerchi di Mohr durante la prova TxCIU

Page 142: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

142

La prova viene eseguita su almeno tre provini a diffe-renti pressioni totali di cella. Poiché la pressione efficace di consolidazione dei tre provini è la stessa, i cerchi di Mohr a rottura dei tre provini nel piano delle tensioni totali avran-no lo stesso diametro e quindi saranno inviluppati da una retta orizzontale di equazione (Figura 9.18):

Se si misurasse la pressione interstiziale a rottura per i tre provini e si traslassero i cerchi di Mohr di una quantità pari alla pressione interstiziale misurata a rottura per ciascuno di essi, si otterrebbero cerchi coincidenti in termini di tensioni efficaci. Le prove TxUU sono di norma eseguite su provini ricavati da campioni “indisturbati” di terreno a grana fine, e la resistenza al taglio in condizione non drenate, cu, che si ricava dalle prove è dipendente, a parità di terreno, dalla pressione efficace di consolidazione in sito. Occorre tuttavia tenere presente che durante le operazioni di prelievo, trasporto, estrazio-ne dalla fustella, formazione dei provini, il terreno subisce comunque un disturbo inelimi-nabile. In particolare, anche se il campione fosse prelevato con la massima cura, non è fisicamen-te possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deforma-tivo del campione in sito. Si consideri infatti lo stato di tensione di un elemento di argilla satura in sito, le tensioni geostatiche, nelle solite ipotesi assialsimmetriche, sono:

0'000

'00

0'00

uKu

u

vhh

vv

+⋅=+=

+=

σσσ

σσ (Eq. 9.13)

Dopo l'estrazione, a pressione atmosferica, le tensioni totali si annullano. Ciò equivale ad applicare incrementi di tensione totale eguali e contrari alle tensioni totali preesistenti, ovvero:

)()(

)(

0'000

'0

0'0

uKu

u

vhh

vv

+⋅−=+−=∆

+−=∆

σσσ

σσ (Eq. 9.14)

La pressione interstiziale diviene negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferica), e assume il valore:

00 <∆+= uuu (Eq. 9.15)

τ

σ’f σ’ σσ’ σ

u

c

Cerchi di Mohr in tensioni efficaci

u

3f

f

3f1f 1f

Cerchi di Mohr in tensioni totali

σ’,σ

Figura 9.18 – Risultati di prove TxUU su provini saturati e a dif-ferenti pressioni totali di cella (σc)i

uc=τ (Eq. 9.12)

Page 143: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

143

La variazione di pressione interstiziale ∆u può essere stimata con la relazione di Skem-pton (1954):

( )[ ]hvh ABu σσσ ∆−∆⋅+∆⋅=∆ (Eq. 9.16) Se l'argilla è satura B = 1, dunque risulta:

( ) ( ) ( ) ( )[ ]=+⋅++−⋅++⋅−=−⋅+= 0'0v00

'0v0

'0v0hvh uKuAuKAu σσσσ∆σ∆σ∆∆

[ ] 00'0v uA)A1(K −+−⋅⋅−= σ (Eq. 9.17)

Dunque la pressione interstiziale u dopo l’estrazione vale:

( )[ ] 010'00 <+−⋅⋅−=∆+= AAKuuu vσ (Eq. 9.18)

Il valore del parametro A (che varia con la deformazione) è quello che corrisponde al ter-mine del processo di estrazione ed è differente dal valore a rottura Af. Dopo l'estrazione lo stato tensionale del campione è molto variato: - le pressioni totali sono nulle, - le pressioni efficaci sono isotrope e pari a:

[ ]AAKu vhv +−⋅⋅=−== )1(0'0

'' σσσ (Eq. 9.19) Poiché la tensione geostatica efficace media vale:

( )3

21 0'0

' Kvm

⋅+⋅= σσ (Eq. 9.20)

eguagliando le equazioni (9.19) e (9.20) si verifica che la pressione isotropa efficace in prova TxUU corrisponde alla tensione geostatica efficace media in sito, e quindi che la resistenza al taglio non drenata di prova corrisponde con buona approssimazione alla resi-stenza al taglio non drenata in sito, per A = 1/3. Nel campione di argilla estruso la tensione interstiziale negativa (suzione) produce un gradiente idraulico dall'esterno verso il centro, e una filtrazione che altera il contenuto in acqua locale. La parte interna del campione può avere contenuto in acqua anche del 4% superiore alla parte più superficiale. In un terreno saturo contenuto in acqua e indice dei vuoti sono proporzionali, dunque non è fisicamente possibile ripristinare in laboratorio contemporaneamente lo stato tensionale e deformativo del campione in sito. Se i provini di terreno sono sottoposti a prova TxUU senza averli preventivamente satura-ti, l’applicazione della pressione di cella, anche se a drenaggi chiusi, determina un incre-mento delle pressioni efficaci (essendo B<1), una riduzione di volume, poiché l’aria con-tenuta nei vuoti è molto compressibile, e un aumento del grado di saturazione. L’inviluppo a rottura, in termini di tensioni totali, risulterà curvilineo per basse pressioni di confinamento e orizzontale per le pressioni più elevate, per le quali il terreno risulterà saturo (Figura 9.19).

Page 144: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

144

τ

σ Figura 9.19 - Risultato di prove TxUU su provini non saturati

9.7.4 Prova di compressione semplice o prove di compressione con espansione laterale libera (ELL). La prova di compressione con espansione laterale libera può essere eseguita solo su terre-ni a grana fine. I provini hanno la forma e le dimensioni dei provini per le prove triassiali. La prova consiste nel produrre la rottura del provino per compressione assiale mediante un pistone fatto avanzare a velocità costante e piuttosto elevata. Il provino non è avvolto da membrana e non è compresso in direzione radiale. Durante l’esecuzione della prova si controlla nel tempo la variazione di altezza del provi-no e si misura la forza assiale esercitata dal pistone.

Il cerchio di Mohr a rottura nel piano delle tensioni to-tali è tangente all’origine degli assi, in quanto la ten-sione totale principale mi-nore è nulla (ovvero è la pressione atmosferica) (Fi-gura 9.20). Sebbene non vi sia alcuna barriera fisica (membrana) che impedisca il drenaggio, l’elevata velocità di defor-mazione e la ridotta perme-abilità del terreno fanno sì che le condizioni di prova siano praticamente non drenate, per cui il risultato

che si ottiene è lo stesso che si avrebbe con una prova TxUU su un provino non saturato e a pressione di cella pari a zero. La pressione assiale totale media a rottura è indicata con qu, e nell’ipotesi di terreno satu-ro, e quindi di inviluppo a rottura in termini di tensioni totali rettilineo e orizzontale, risul-ta:

uu cq ⋅= 2 (Eq. 9.21)

O

τ

σσ’f

c = q /2

q

u u

u

Figura 9.20 – Cerchio di Mohr a rottura per prova di compres-sione con espansione laterale libera

Page 145: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

145

I principali vantaggi della prova consistono nella sua rapidità e semplicità di esecuzione, e quindi nel suo basso costo.

9.8 Resistenza al taglio di terreni a grana grossa I terreni a grana grossa saturi non cementati non hanno coesione per cui sono spesso indi-cati col termine “terreni incoerenti”. Le sabbie parzialmente sature possono presentare una debole coesione apparente (che consente di costruire i castelli di sabbia). Le sabbie e le ghiaie cementate hanno coesione. Con le usuali tecniche di campionamento non è quasi mai possibile prelevare nei terreni a grana grossa non cementati, campioni idonei alla preparazione di provini “indisturbati” per prove meccaniche di laboratorio. Pertanto i risultati delle prove di laboratorio, anche se condotte su provini di sabbia ricostituiti alla stessa densità del terreno in sito, non sono rappresentativi del comportamento meccanico del terreno naturale in sito. Di norma si ri-tiene più affidabile stimare la resistenza al taglio di sabbie e ghiaie in sito sulla base dei risultati di prove in sito. Le prove di laboratorio sono tuttavia utili sia per determinare la resistenza al taglio di ter-reni sabbiosi da impiegare come materiale da costruzione, sia per lo studio delle leggi co-stitutive. Durante una prova di resistenza meccanica di laboratorio (ad esempio di taglio diretto o triassiale drenata), il comportamento di due provini della stessa sabbia ma con differente indice dei vuoti (ovvero con differente densità relativa) può essere sensibilmente diverso. In Figura 9.21 sono qualitativamen-te mostrati i diversi comportamenti di un provino di sabbia sciolta e di un provino della stessa sabbia ma più addensato, sottoposti ad una prova triassiale drenata alla stessa pressione di confinamento. Il provino di sabbia sciolta presenta al crescere della deformazione as-siale εa: - un graduale aumento della resi-

stenza mobilizzata (σ’1-σ’3) fino a stabilizzarsi su un valore mas-simo che rimane pressoché co-stante anche per grandi deforma-zioni,

- una progressiva e graduale dimi-nuzione del volume (e quindi dell’indice dei vuoti) con tenden-za a stabilizzarsi su un valore minimo, cui corrisponde un indi-ce dei vuoti critico, ecrit, che ri-mane pressoché costante anche per grandi deformazioni.

σ − σ’ ’

ε

ε

e

e

a)

Sabbia densa

Sabbia densa

1

crit

3

a

a

Sabbia sciolta

Sabbia sciolta

b)

Figura 9.21 – Comportamento meccanico di due pro-vini della stessa sabbia diversamente addensati in pro-va TxCID per eguale pressione efficace di confinamen-to

Page 146: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

146

Il provino di sabbia densa, invece, presenta al crescere della deformazione assiale εa: - una curva di resistenza con un massimo accentuato, corrispondente alla condizione di

rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni, pressoché eguale al valore di re-sistenza mostrato dal provino di sabbia sciolta,

- una iniziale, piccola diminuzione di volume (e quindi di indice dei vuoti), seguita da un’inversione di tendenza per cui l’indice dei vuoti supera il valore iniziale e tende allo stesso valore di indice dei vuoti critico, ecrit.

In sostanza, il provino di sabbia densa, rispetto a quello di sabbia sciolta: - è più rigido, - ha una maggiore resistenza di picco, - ha eguale resistenza residua, - aumenta di volume per grandi deformazioni, mentre il provino di sabbia sciolta dimi-

nuisce di volume, - ha lo stesso indice dei vuoti critico, ovvero la stessa densità relativa per grandi defor-

mazioni. Un modello semplice e intuitivo che può giustificare il diverso comportamento deforma-tivo volumetrico è il seguente. Consideriamo un insieme di sfere eguali e a contatto. La disposizione che corrisponde al massimo indice dei vuoti è quella in cui i centri delle sfere sono i nodi di un reticolo cubico. La disposizione che corrisponde al minimo indice dei vuoti è quella in cui i centri delle sfere sono i nodi di un reticolo tetraedrico. Nel primo caso lo scorrimento fra due parti dell’insieme implica una dimi-nuzione di volume, nel secondo caso un aumento, come si può osservare dalla Figu-ra 9.22. Il valore dell’indice dei vuoti critico, che di-scrimina fra comportamento deformativo volumetrico dilatante e contrattivo, non è però una caratteristica del materiale ma dipen-de dalla pressione efficace di confinamento, per cui un provino di sabbia di una data den-sità relativa può avere comportamento dilatante a bassa pressione efficace di confinamen-to e contrattivo ad alta pressione efficace di confinamento. Per una sabbia che presenta un massimo nelle curve tensioni – deformazioni si possono definire due diverse rette di inviluppo della resistenza, ovvero due angoli di resistenza al taglio: l’angolo di resistenza al taglio di picco (a rottura), ϕ’P, e l’angolo di resistenza al taglio residuo (per grandi deformazioni), ϕ’R

5 (Figura 9.23). A seconda del problema geotecnico in studio, l’ingegnere dovrà scegliere di utilizzare l’uno o l’altro valore.

5 L’angolo di resistenza residuo può essere determinato in laboratorio con prove di taglio diretto con più ci-cli di carico e scarico, poiché la semplice corsa della scatola di taglio non è sufficiente a produrre grandi spostamenti.

T

T

- V/V∆

N

N

Figura 9.22 - Modello per spiegare il compor-tamento deformativo volumetrico dei mezzi granulari

Page 147: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

147

Figura 9.23 – Resistenza al taglio di picco e residua di una sabbia densa

I principali fattori che influenzano, in misura quantitativamente diversa, l’angolo di resi-stenza al taglio di picco dei terreni sabbiosi sono: - la densità, - la forma e la rugosità dei grani, - la dimensione media dei grani, - la distribuzione granulometrica. Orientativamente il peso relativo dei fattori sopraelencati sul valore dell’angolo di resi-stenza di picco di un terreno incoerente è indicato in Tabella 9.1.

Tabella 9.1: Peso relativo dei fattori che influenzano il valore dell’angolo di resistenza al taglio di picco ϕ’ di un terreno a grana grossa

ϕ’ = 36° + ∆φ’1 + ∆φ’2 + ∆φ’3 + ∆φ’4 Densità ∆φ’1 sciolta

media densa

- 6° 0°

+ 6° Forma e rugosità dei grani ∆φ’2 spigolo vivi

media arrotondati molto arrotondati

+ 1° 0°

- 3° - 5°

Dimensione dei grani ∆φ’3 sabbia ghiaia fine ghiaia grossa

0° + 1° + 2°

Distribuzione granulometrica ∆φ’4 uniforme media distesa

- 3° 0°

+ 3°

9.9 Resistenza al taglio di terreni a grana fine I terreni a grana fine (limi e argille) saturi e normalmente consolidati, alle profondità di interesse per le opere di ingegneria geotecnica, presentano di norma indice di consistenza,

Page 148: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 9 RESISTENZA AL TAGLIO DEI TERRENI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

148

Ic < 0.5 e coesione efficace c’ = 0. La curva tensioni-deformazioni presenta un andamen-to monotono con un graduale aumento della resistenza mobilizzata fino a stabilizzarsi su un valore massimo che rimane pressoché costante anche per grandi deformazioni, analogo a quello mostrato in Figura 9.13, dove il valore massimo della resistenza raggiunto cresce al crescere della pressione efficace di confinamento.

L’angolo di resistenza al taglio ϕ’ è inferiore a quello dei terreni a grana grossa e dipende dai mi-nerali argillosi costituenti e quindi dal contenuto in argilla, CF, e dall’indice di plasticità, IP (Figura 9.24). I terreni a grana fine so-vraconsolidati presentano di norma indice di consi-stenza, Ic > 0,5, coesione efficace c’ > 0.

La curva tensioni-deformazioni presenta un massimo accentuato, corrispondente alla con-dizione di rottura, e un valore residuo, per grandi deformazioni. A parità di pressione effi-cace di confinamento la resistenza al taglio di picco dei terreni a grana fine cresce con il grado di sovraconsolidazione; a parità del grado di sovraconsolidazione e per lo stesso ti-po di terreno, la resistenza al taglio di picco cresce al crescere della pressione efficace di confinamento, mentre il picco nella curva sforzi-deformazioni risulta sempre meno accen-tuato fino ad ottenere un andamento monotono, tipico di terreni normalconsolidati. L’angolo di resistenza al taglio residuo è indipendente dalla storia dello stato tensionale, e quindi dal grado di sovraconsolidazione, OCR.

Figura 9.24 – Dipendenza dell’angolo di resistenza al taglio delle argille dall’indice di plasticità

Page 149: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

149

CAPITOLO 10 TERRENI NON SATURI

10.1 Richiami Nel Capitolo 1 abbiamo visto che: - I terreni sono mezzi particellari costituiti da una fase solida (le particelle minerali), da

una fase liquida (generalmente acqua, ma talvolta anche altri liquidi) e da una fase gas-sosa (generalmente aria e vapor d’acqua ma talvolta anche altri gas).

- Le molecole d’acqua possono essere libere di muoversi nei vuoti interparticellari (ac-qua interstiziale) oppure essere aderenti alla superficie delle particelle solide di terreno a causa di legami elettrochimici (acqua adsorbita).

- In un deposito di terreno naturale, sede di falda freatica, si riconoscono zone a diffe-rente grado di saturazione. In particolare, procedendo dal piano campagna verso il bas-so, si distingue la zona vadosa, sopra falda, che a sua volta si suddivide in zona di eva-potraspirazione, zona di ritenzione e frangia capillare, e la zona sotto falda. Se i vuoti nel terreno sono fra loro comunicanti (come avviene quasi sempre), il terreno nella zo-na sotto falda è saturo d’acqua, mentre quello nella zona vadosa può essere saturo, par-zialmente saturo o secco.

- La pressione dell’acqua sotto la falda freatica è superiore alla pressione atmosferica, mentre sopra il livello di falda è inferiore alla pressione atmosferica.

10.2 Capillarità Se l’acqua nel terreno fosse soggetta alla sola forza di gravità, il terreno so-prastante il livello di falda sarebbe completamente asciutto, salvo per l’acqua adsorbita e per l’acqua di per-colazione delle precipitazioni atmosfe-riche, mentre in realtà esso è saturo fi-no ad una certa altezza al di sopra del livello di falda e parzialmente saturo nel tratto superiore. Per comprendere le cause di tale fe-nomeno è utile introdurre il concetto di capillarità. Se si immerge l’estremità di un tubo di vetro di piccolo diametro nell’acqua, si può osservare che l’acqua risale nel tubo fino ad un’altezza che dipende dal diametro del tubo, e che la superfi-cie di separazione fra l’acqua e l’aria nel tubo è concava (Figura 10.1).

Figura 10.1: Risalita capillare in un tubo di vetro

Page 150: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

150

La superficie di separazione aria-acqua, a causa di forze di attrazione molecolare, si com-porta come una membrana elastica in uno stato uniforme di tensione, soggetta a differenti pressioni dalla parte del liquido e dalla parte del gas. La colonna d’acqua di altezza hc, detta altezza di risalita capillare, è come sostenuta dalla membrana (menisco) tesa sulla parete del tubo capillare. Indicando con T [FL-1] il valore della tensione superficiale della membrana, con α l’angolo di contatto del menisco con la parete verticale del tubo, e con r il raggio del tubo capillare, per l’equilibrio in direzione verticale, si ha:

αγ

cos2⋅

⋅⋅

=w

c rTh (Eq. 10.1)

La pressione dell’acqua nei punti 1 e 2 (Figura 10.1) è pari alla pressione at-mosferica, convenzionalmente assunta pari a zero, mentre nel tubo capillare la pressione dell’acqua è negativa (ovve-ro inferiore alla pressione atmosferica), varia linearmente con l’altezza e nel punto 3 assume il valore minimo uw = -hc γw. La forma concava del menisco, ovvero della superficie di separazione acqua-aria, è dovuta al fatto che la pressione atmosferica dell’aria, ua, è superiore alla pressione dell’acqua, uw, e quindi “gonfia” la membrana La componente verticale T cosα della tensione superficiale determina uno stato di compressione assiale nel tubo di vetro, la componente radiale T⋅senα determina uno stato di com-pressione circonferenziale (Figura 10.2). Con riferimento alla Figura 10.3 il caso (a) mostra la risalita capillare all’in-terno di un tubo di vetro pulito. L’altezza hc relativa al caso (a) può non essere raggiunta a causa della limi-tata altezza del tubo capillare, come mostrato nel caso (b). Se il tubo di ve-tro non ha diametro costante ma pre-senta delle sbulbature, l’altezza di risa-

lita capillare è diversa a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento. Nel caso (c) si vede come la presenza di un bulbo di raggio maggiore di quello del tubo capil-lare (r1 > r) limiti l’altezza di risalita hc; al contrario nel caso (d) il processo di svuota-mento è controllato dal raggio r del tubo e non da quello r1 del bulbo.

Figura 10.2: Compressione indotta dalla tensione superficiale

Page 151: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

151

Nei terreni avviene un fenomeno analogo. I vuoti costituiscono un sistema continuo di canali tortuosi e a sezione variabile lungo i quali l’acqua risale dal livello di falda fino ad altezze diverse, cosicché il terreno risulta saturo fino ad una certa altezza e parzialmente saturo nel tratto superiore. La tortuosità, la rugosità e la dimensione delle pareti dei canali nel terreno dipendono dalla natura, dalla forma, dalle dimensioni, dalla distribuzione gra-nulometrica e dallo stato di addensamento delle particelle solide di terreno. Questi stessi fattori, e in modo diverso a seconda che il processo sia di imbibizione o di essiccamento, determinano l’altezza di risalita capillare nel terreno. Il caso (e) di Figura 10.3 mostra le condizioni di un terreno imbibito per risalita capillare. Un’espressione empirica approssimata dell’altezza di risalita capillare hc (in cm) nei ter-reni è la seguente:

10DeCh S

c ⋅= (Eq. 10.2)

in cui e è l’indice dei vuoti, D10 è il diametro efficace (in cm) e CS è una costante empirica dipendente dalla forma dei grani e dalle impurità delle superfici, il cui valore è compreso tra 0.1 e 0.5 cm2. Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare sono riportati in Tabella 10.1.

Tabella 10.1: Valori indicativi dell’altezza di risalita capillare

Terreno D10 (mm)

hc (m)

Ghiaia 0,82 0,05 0,11 0,80 0,03 1,60

Sabbia

0,02 2,40 Limo 0,006 3,60

Argilla 0,001 >10,0

Figura 10.3 - Effetti dell’altezza e del raggio sulla risalita capillare

Imbibizione

Essiccamento

Page 152: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

152

In un terreno parzialmente saturo sono possibili tre differenti condizioni di saturazione: a) condizione di saturazione a isole d’aria, caratteristica di gradi di saturazione elevati

(Sr > 85%), in cui la fase gassosa non è continua ma è presente in forma di bolle d’aria;

b) condizione di saturazione a pendolo, caratteristica di gradi di saturazione molto bassi, in cui la fase liquida non è continua ma è presente solo nei menischi in corrispondenza dei contatti interparticellari; in tale condizione l’acqua nelle zone di contatto fra i grani forma menischi in modo analogo a quanto avviene in un tubo capillare, producendo uno stato di compressione fra i grani (Figura 10.2).

c) condizione di saturazione mista, caratteristica di gradi di saturazione intermedi, in cui coesistono, in zone diverse del terreno, le due condizioni di saturazione precedenti.

10.3 Suzione I mezzi fluidi, acqua e aria, essendo privi di resistenza al taglio, sono caratterizzati da uno stato di tensione sferico. Come già detto, in un terreno parzialmente saturo, a causa della tensione superficiale, la pressione dell’acqua nei pori (uw) risulta sempre inferiore alla pressione dell’aria nei pori (ua). La differenza tra la pressione dell’aria, che in condizioni naturali è pari alla pressio-ne atmosferica, e la pressione dell’acqua nei pori è detta suzione di matrice: s = (ua – uw) (Eq. 10.3) dove: uw < ua < 0, da cui s > 0 e posto ua = 0, risulta s = uw Un terreno non saturo posto a contatto con acqua libera e pura a pressione atmosferica tende a richiamare acqua per effetto della suzione totale, ψ. La suzione totale, ψ, ha due componenti: la prima componente è la suzione di matrice, s, di cui si è già detto, associata al fenomeno della capillarità, la seconda componente è la suzione osmotica, π, dovuta alla presenza di sali disciolti nell’acqua interstiziale e quindi alla differenza di potenziale elettro-chimico tra l’acqua interstiziale e l’acqua libera:

πψ += s (Eq. 10.4) In definitiva (Figura 10.4): - la suzione totale, ψ, è la pressione negativa (ovvero inferiore alla pressione atmosferi-

ca) cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile (permeabile cioè alle sole molecole d’acqua ma non ai sali) con l’acqua interstiziale;

- la suzione di matrice, s, è la pressione negativa cui deve essere soggetta una soluzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale, in modo da essere in equili-brio, attraverso una membrana permeabile con l’acqua interstiziale;

- la suzione osmotica, π, è la pressione negativa cui deve essere soggetta l’acqua pura in modo da essere in equilibrio, attraverso una membrana semipermeabile con una so-luzione acquosa identica in composizione all’acqua interstiziale.

Page 153: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

153

Terreno insaturo,acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione totale, Ψ

Acquapura

Terreno insaturo,acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione di matrice, S

Acquacon sali

Acqua con sali

Membranasemipermeabile

Flusso persuzione osmotica, Π

Acquapura= +

Figura 10.4 –Componenti della suzione totale

La suzione osmotica è presente sia nei terreni saturi che nei terreni parzialmente saturi, e varia con il contenuto salino dell’acqua, ad esempio come conseguenza di una contamina-zione chimica, producendo effetti in termini di deformazioni volumetriche e di variazioni di resistenza al taglio Tuttavia la maggior parte dei pro-blemi di ingegneria geotecnica che coinvolgono terreni non saturi sono riferibili a variazioni della suzione di matrice, come ad esempio gli ef-fetti della pioggia sulla stabilità dei pendii o sui cedimenti delle fonda-zioni superficiali. In Figura 10.5 sono messe a con-fronto le variazioni di suzione tota-le, ψ, suzione di matrice, s, e suzio-ne osmotica, π, con il contenuto in acqua, w, di un’argilla: si osserva che π rimane pressoché costante al variare di w, e quindi per un asse-gnata variazione di contenuto in ac-qua ∆w si ha ∆ψ ≈ ∆s.

10.4 Misura della suzione Per la misura della suzione di matrice in sito si utilizzano i tensiometri. Il tensiometro è composto da un tubo avente ad una estremità una punta in materiale ceramico poroso, ed all’altra un serbatoio sigillato contenente acqua. La punta del tensiometro è infissa nel ter-reno (Figura 10.6). L’acqua contenuta nel tubo, per effetto della suzione, filtra attraverso la ceramica porosa e determina una depressione nel serbatoio dell’acqua, rilevabile con un manometro. La pressione di equilibrio del sistema corrisponde alla suzione nel terreno.

Figura 10.5 - Misure della suzione totale, osmotica e di matrice su un argilla compatta

Contenuto d’acqua, w (%)

Suzione totale

Suzi

one

(kPa

)

Suzione di matriceSuzione osmotica

Suzione di matrice + osmotica

Page 154: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

154

Figura 10.6 – Modalità di installazione di un tensiometro: per profondità fino a 1.5 m (A) e mag-giori di 1.5 m (B)

Il metodo è semplice, ma il campo di misura della suzione è limitato a circa 80-90 kPa dalla possibilità di cavitazione dell’acqua nel tensiometro. Esistono diverse tecniche di misura della pressione negativa dell’acqua (manometri ac-qua-mercurio, trasduttori elettrici di pressione, etc..), poiché in generale gli strumenti di maggiore sensibilità hanno tempi di risposta più lunghi.

10.5 Curve di ritenzione La curva di ritenzione idrica (SWRC = Soil Water Retention Curve) definisce la relazio-ne fra la suzione di matrice e una misura della quantità di acqua presente nel terreno, che può essere opportunamente scelta fra:

- il contenuto d’acqua in peso: ( ) 100% ⋅=s

w

PP

w

- il contenuto d’acqua in volume: nSVV

rw ⋅==θ

- il grado di saturazione: ( ) 100% ⋅=v

wr V

VS

La curva di ritenzione idrica è generalmente rappresentata in un piano semilogaritmico, avente in ascissa il valore della suzione e in ordinata il valore della variabile di misura della quantità d’acqua nel terreno. La forma tipica di una SWRT è rappresentata in Figura 10.7. Al crescere della suzione si individuano tre differenti parti della curva. Nella prima parte (boundary effect zone), per i valori più bassi di suzione, il terreno è sa-turo e un aumento di suzione non produce diminuzioni significative del grado di satura-zione. La prima parte ha termine per quel valore della suzione che corrisponde alla for-mazione delle prime bolle d’aria nei pori più grandi del terreno. Tale valore, detto “di en-trata dell’aria” (air-entry value), è indicato con il simbolo (ua – uw)b, o anche ψb. Nella seconda parte, detta di transizione (transition zone), al crescere della suzione la quantità d’acqua nel terreno si riduce sensibilmente e la fase liquida diviene discontinua. Nella terza parte infine, detta residua di non saturazione (residual zone of unsaturation), a grandi incrementi di suzione corrispondono piccole riduzioni della quantità d’acqua nel

Page 155: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

155

terreno. Il valore della suzione corrispondente al passaggio dalla seconda alla terza parte della curva, ovvero alla quantità d’acqua residua, è indicato con il simbolo ψr.

Figura 10.7 – Curva di ritenzione idrica e differenti fasi di desaturazione

È stato osservato che, indipendentemente dall’ampiezza delle tre zone, tutti i terreni ten-dono ad un grado di saturazione zero per valore di suzione pari a circa 106 kPa (Figura 10.8).

Figura 10.8 – Curve di ritenzione idrica per 4 differenti tipi di terreno

Suzione (kPa)

Valore di entratadell’aria

Particelle

Acqua

Aria

Aria

ψb

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

ψr

Suzione (kPa)

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

Page 156: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

156

La forma della curva di ritenzione dipende dalla dimensione dei pori e quindi dalla com-posizione granulometrica e dallo stato di addensamento del terreno. I terreni a grana grossa (sabbie e ghiaie), che hanno pori interconnessi e di grandi dimen-sioni, sono caratterizzati da bassi valori di ψb e ψr, e da una curva ripida nella zona di transizione. I terreni a grana fine (argille), le cui particelle hanno elevata superficie speci-fica e quindi forti legami elettro-chimici con le molecole d’acqua, sono caratterizzati da alti valore della suzione di entrata dell’aria, ψb, e da una minore pendenza della curva di ritenzione nella zona di transizione. Inoltre, per i terreni argillosi, spesso non è definibile la quantità d’acqua residua, e quindi il valore di ψr. Per la formulazione matematica delle curve di ritenzione idrica è spesso utilizzato il con-tenuto in acqua volumetrico normalizzato:

rs

r

θθθθ

−−

=Θ (Eq. 10.5)

in cui θs è il contenuto in acqua volumetrico corrispondente al terreno saturo, e θr è il contenuto in acqua volumetrico residuo. Se si assume θr = 0, risulta Θ = Sr. Fra le numerose equazioni proposte per la modellazione delle curve di ritenzione idrica, le due seguenti richiedono la definizione di un solo parametro: a) Equazione di Brooks e Corey (1964):

α

ψψ

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=Θ

b

per 1≥bψ

ψ

1=Θ per 1<bψ

ψ (Eq. 10.6)

il parametro α è un indice di distribuzione della dimensione dei pori con valori general-mente compresi tra 0,2 e 2. b) Equazione di Van Genuchten semplificata (1978):

m

m

b

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=Θ

11

1ψψ (Eq. 10.7)

in cui il parametro m ha valori generalmente compresi tra 0,6 e 0,75. Durante un processo di riduzione del contenuto in acqua dalle condizioni sature, e quindi di aumento della suzione, il terreno segue una curva di ritenzione, detta curva principale di essiccamento (main drying), diversa rispetto alla curva di ritenzione che il terreno se-gue nel processo inverso di aumento del contenuto in acqua, e quindi di riduzione della suzione. Quest’ultima curva, detta curva principale di imbibizione (main wetting), non raggiunge la completa saturazione del terreno, perché una certa quantità di aria (residual air content) rimane comunque intrappolata nei vuoti del terreno (Figura 10.9). Le due curve principali delimitano i possibili stati del terreno. I percorsi da una all’altra delle curve principali (scanning curves) sono pressoché reversibili.

Page 157: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

157

Figura 10.9 – Curve principali di essiccamento e di imbibizione per un argilla in termini di grado di saturazione

10.6 Flusso dell’acqua nei terreni non saturi Come abbiamo già visto nel Capitolo 3, il flusso dell’acqua nei terreni (saturi e non satu-ri) è determinato dalla differenza di altezza idraulica, o altezza totale h:

gvu

zhw

w

⋅++=

2

2

γ (Eq. 10.8)

in cui z è l’altezza geometrica, uw/γw è l’altezza di pressione, e v2/2g è l’altezza di velocità (di norma trascurabile). Con riferimento alla Figura 10.10 l’altezza totale del punto A è maggiore dell’altezza totale del punto B, e quindi l’acqua si muoverà da A verso B in ra-gione del gradiente idraulico fra i due punti.

Piezometro

( > 0)

( < 0)

B

zB

u /w w

γ

u /w w

γ

z = 0

p.c.

A

Tensiometro

zA

hB

hA

Figura 10.10 - Gradiente di carico in un terreno non saturo

Suzione (kPa)

Gra

do d

i sat

uraz

ione

, S (%

)r

Valore di entratadell’aria

Curva principaledi essiccamento

Contenuto d’ariaresiduo

Curva principaledi imbibizione

Page 158: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

158

Nei terreni non saturi, come nei terreni saturi, vale la legge di Darcy, ma il coefficiente di permeabilità è fortemente dipendente dalla suzione:

( ))()( ψψ

ψ

rs kkkikv⋅=

⋅= (Eq. 10.9)

in cui: ks è il coefficiente di permeabilità (all’acqua) del terreno saturo, e kr(ψ) è la conducibilità idraulica relativa, adimensionale, con valori compresi tra 0 e 1. Alcune delle equazioni proposte per descrivere analiticamente la variazione della condu-cibilità idraulica relativa con la suzione o con il contenuto volumetrico in acqua sono le seguenti: a) modello esponenziale (Gardner, 1958)

( ) )exp( ψψ ⋅= akr (Eq. 10.10) in cui a è un coefficiente con valori compresi tra 0,002cm-1 (terreni a grana fine) e 0,05cm-1 (terreni a grana grossa); b) modello di Gardner (1958)

( )( )nr a

ψ−⋅+

=1

1 (Eq. 10.11)

c) modello di Davidson et al. (1969) ( ) ( )]exp[ srk θθβψ −⋅= (Eq. 10.12)

d) modello di Mualem (1976) e Van Genuchten (1978)

( )2

15,0 11

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛Θ−−⋅Θ=Θ

m

mrk (Eq. 10.13)

Nelle Figure 10.11a e 10.11b sono rappresentate le curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua e del coefficiente di permeabilità con la suzione per tre differenti terreni.

Figura 10.11 - Curve sperimentali di variazione del contenuto volumetrico in acqua (a) e del co-efficiente di permeabilità (b) con la suzione per tre differenti terreni.

a) b)

Page 159: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

159

10.7 Resistenza al taglio di terreni non saturi Vi sono due differenti approcci per stimare la resistenza al taglio di un terreno non saturo. Il primo utilizza la definizione di tensione efficace per terreni non saturi, σ’, originaria-mente proposta da Bishop (1959):

( ) ( )waa uuu −⋅+−= χσσ ' (Eq. 10.14) in cui: ua pressione dell’aria nei pori, uw pressione dell’acqua nei pori, (ua – uw) suzione di matrice, χ parametro che assume il valore 1 per terreno saturo e il valore 0 per terreno secco. Secondo tale approccio, la resistenza al taglio di terreni non saturi può essere determinata, come per i terreni saturi, sulla base di due parametri di resistenza al taglio efficace, c’ e φ’, e di una unica variabile di tensione, σ’, nel modo seguente:

( )[ ] 'tanuu)u('c waaf φχστ ⋅−⋅+−+= (Eq. 10.15) Il parametro χ è stimato con l’equazione (Khalili e Khabbaz, 1998):

1=χ per ( ) ( )bwawa uuuu −≤−

( )( )

55,0−

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−−

=bwa

wa

uuuu

χ per ( ) ( )bwawa uuuu −>− (Eq. 10.16)

in cui (ua – uw)b corrisponde al valore della suzione di matrice per il quale si iniziano a formare bolle d’aria nel terreno (air entry value). Un diverso approccio è quello di Fredlund e Rahardjo (1993), secondo il quale la resi-stenza al taglio dei terreni non saturi è funzione di tre parametri di resistenza e di due variabili di tensione, nel modo seguente:

( ) ( ) bwa

'a

'f tanuutanuc φφστ ⋅−+⋅−+= (Eq. 10.17)

in cui φb è l’angolo di resistenza al taglio per variazione di suzione di matrice, (ua – uw), inferiore all’angolo di resistenza al taglio, φ’, associato alla variazione di tensione norma-le netta (σ – ua). La resistenza la taglio non varia linearmente con la suzione, ovvero l’angolo φb non è co-stante ma decresce al crescere della suzione. La determinazione sperimentale dell’(Eq. 10.17) richiede l’esecuzione di prove di laboratorio sofisticate, costose, inusuali e molto lunghe, specie per terreni a grana fine il cui coefficiente di permeabilità è molto basso. Inoltre la variabilità di tanφb con la suzione richiede che le prove siano eseguite nel cam-po di tensione atteso in sito. Pertanto, per evitare la determinazione sperimentale diretta, sono state proposte relazioni empiriche per la stima indiretta di tanφb. Öberg e Sällfors proposero di stimare il valore di tanφb per limi e sabbie insature nel mo-do seguente:

'tanStan rb φφ = (Eq. 10.18)

Vanapalli et al. proposero di stimare il valore di tanφbcon la seguente relazione: Θφφ ⋅= 'tantan b (Eq. 10.19)

L’equazione (10.17) rappresenta un piano tangente ai cerchi di Mohr a rottura (Figura 10.12).

Page 160: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 10 TERRENI NON SATURI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

160

Figura 10.12 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb generalizzato per i terreni non saturi

L’intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ, è una curva rap-presentata in Figura 10.13 (la curva e’ una retta se si assume tanφb = cost) e di equazione:

( ) bwa

' tanuucc φ⋅−+= (Eq. 10.20)

Figura 10.13 –Intersezione del piano di inviluppo a rottura con il piano (ua – uw) – τ

σ-ua

τ

c’

c’

b

b

b(u -u ) tga w f

φ

Suzio

ne di

matr

ice, (u

-u)

aw

φ

φ’

φ’

φ

b

b

c = c’+ (u -u ) tga w f

φ

(u -u ) tga w f 2

φ

(u -u )a w f 1

(u -u )a w f 2

(u -u )a w f 3

τ

c’

Suzione di matrice, (u -u )a w

c1

c2

c3

Page 161: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

161

CAPITOLO 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

11.1 Percorsi tensionali (stress paths)

11.1.1 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani s’-t e s-t

Lo stato tensionale in un punto di un mezzo continuo solido in condizioni assialsimmetri-che, come è stato mostrato nel Capitolo 9, è rappresentato nel piano di Mohr (σ, τ) da un cerchio avente il centro sull’asse delle ascisse (Figura 11.1a). Se si considera un sistema piano di assi cartesiani in cui l’asse delle ascisse è il parametro di tensione:

( )2

31 σσ +=s (Eq. 11.1)

e l’asse delle ordinate è il parametro di tensione:

( )2

31 σσ −=t (Eq. 11.2)

al cerchio nel piano di Mohr corrisponde biunivocamente un punto A nel nuovo sistema di riferimento (Figura 11.1b). Sovrapponendo i due sistemi di riferimento il punto A coin-cide con il vertice del cerchio di Mohr. Il vantaggio di tale rappresentazione consiste nel fatto che è possibile, mediante una linea continua nel piano s-t, rappresentare una succes-sione continua di stati tensionali, ovvero un percorso tensionale. Il vertice del cerchio di Mohr sta al percorso tensionale come un fotogramma sta ad un filmato. Nel caso dei terreni i percorsi tensionali possono essere definiti con riferimento sia alle tensioni totali (TSP = Total Stess Path) sia alle tensioni efficaci (ESP = Effective Stress Path). Applicando il principio delle tensioni efficaci si ha:

s = s’ + u; t = t’ (Eq. 11.3)

O

A

t

s

τ

σσ3

a)

σ1

(σ1-σ

3)/2

(σ1

+σ3)/2

b)

(σ1

+σ3)/2

O σ3

(σ1

+σ3)/2

A

O

Percorso tensionale

Figura 11.1: Corrispondenza fra i cerchi di Mohr e i punti nel piano s-t

Page 162: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

162

Utilizzando i percorsi tensionali è possibile descrivere la successione continua nel tempo degli stati tensionali totali ed efficaci di un provino di terreno durante l’esecuzione delle prove geotecniche assialsimmetriche standard di laboratorio che sono state descritte nei capitoli precedenti. In particolare, nei piani t-s e t-s’ sovrapposti: a) I percorsi tensionali totale (TSP)

ed efficace (ESP) di compressione e consolidazione isotropa (prima fase delle prove triassiali TxCID e TxCIU) sono rappresentati da segmenti rettilinei sull’asse delle ascisse (t = 0). Per semplicità di esposizione si suppone che gli stati tensionali iniziali totale ed effica-ce, rispettivamente rappresentati dai punti A e A’, siano isotropi e che la pressione interstiziale inizia-le sia zero, cosicché i punti A ed A’ risultano coincidenti. Nel piano delle tensioni totali il segmento AB è percorso in modo istantaneo all’atto di applicazione dell’incremento di pressione isotropa di cella (Figura 11.2). Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Al tempo T = Tc la distanza BB’ indica il valore della contropressione interstiziale BP (Back Pressure).

b) I percorsi tensio-nali efficace (ESP) e totale (TSP) di un pro-vino di terreno normalmente con-solidato sottopo-sto a prova di compressione e consolidazione edometrica a in-crementi di carico sono mostrati in Figura 11.3. I punti A e A’, coincidenti, indi-cano gli stati ten-sionali, rispetti-vamente totale ed efficace, prima dell’applicazione dell’incremento di carico, ∆p. I punti B e B’, coin-cidenti, indicano gli stati tensionali, rispettivamente totale ed efficace, al termine del

A s,s’

t

B.P.

A’ B’ B

Figura 11.2 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione isotropa

A

B

s,s’

t

u(t)45°

TSP

∆ ∆s = p

( ) p1+k ∆

( ) p1-k ∆

( ) p1-k ∆2

2

2

ESP TSP

A’

B’

V’V

αk 0 0 0

= arctg[(1-K )/(1+K )]

(T = 0) (T = 0)

0

0 0

0

0

(T = T )c

C

∆s’ =

∆t =

∆s -∆s’ =

Figura 11.3 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione edometrica

Page 163: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

163

processo di consolidazione. Sia i punti A e A’ che i punti B e B’ appartengono alla retta K0, passante per l’origine degli assi ed avente equazione:

( )( ) '11

0

0 sKK

t ⋅+−

= (Eq. 11.4)

Nel piano delle tensioni efficaci il segmento A’B’ è percorso nel tempo T = Tc neces-sario affinché avvenga la consolidazione. Nel piano delle tensioni totali il segmento AC è percorso istantaneamente all’atto dell’applicazione dell’incremento di carico (T = 0), mentre il segmento CB è percorso nel tempo T = Tc necessario affinché avvenga la consolidazione. Ad un generico istante di tempo durante il processo di consolida-zione i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace e totale sono rappresentati da due punti, V e V’, con la stessa ordinata, rispettivamente sul segmento A’B’ e CB, e la loro distanza rappresenta il valore della pressione interstiziale.

c) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di ter-reno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata iso-tropicamente e drenata (TxCID) so-no mostrati in Figura 11.4. Durante la prova in condizioni drenate non insorgono sovrapressioni interstizia-li e i percorsi ESP e TSP risultano coincidenti (o traslati di una quanti-tà pari alla contropressione intersti-ziale applicata), rettilinei ed inclina-ti di 45° rispetto all’asse orizzontale s’.

d) I percorsi tensionali efficace (ESP) e totale (TSP) di un provino di terreno nella fase di compressione di una prova triassiale consolidata isotropicamente non drenata (TxCIU) sono mostrati in Figura 11.5. Durante la prova in condizioni non drenate in-sorgono sovrapressioni interstiziali positive o negative in dipendenza del rapporto di sovraconsolidazione e del livello di deformazione. Il percorso TSP è rettilineo e in-clinato di 45° rispetto all’asse orizzontale s. Il percorso ESP è invece curvilineo. Nel-le Figure 11.5a e b sono qualitativamente mostrati i percorsi tensionali TSP ed ESP per provini di argilla con differente rapporto di sovraconsolidazione. La distanza dei punti B e B’ corrispondenti agli stati di tensione isotropa iniziale rispettivamente to-tale ed efficace rappresenta la contropressione interstiziale BP. Per un provino nor-malmente consolidato (Figura 11.5a) la pressione interstiziale cresce durante la com-pressione ed il percorso ESP si allontana curvando progressivamente verso sinistra dal segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP (sovrappressione interstiziale sempre positiva e crescente).

s,s’

t

45°

B.P.

B’

C’ C

B

ESP

TSP

Figura 11.4 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione drenata

Page 164: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

164

s,s’

t

45°

B.P.∆u

B’

a)

C’ C

B

ESP

TSP

s,s’

t

45°

B.P.∆u

B’

b)

C’ C

B

ESP

TSP

Figura 11.5 – Percorsi tensionali nei piani s-t e s’-t per compressione non drenata: a) terreno normalmente consolidato; b) terreno fortemente sovraconsolidato.

Per un provino fortemente sovraconsolidato (Figura 11.5b) la pressione interstiziale durante la compressione inizialmente cresce e poi decresce, fino a valori inferiori a quello iniziale, il percorso ESP curvilineo si svolge inizialmente a sinistra e poi a de-stra del segmento rettilineo e inclinato a 45° parallelo al percorso TSP.

11.1.2 Percorsi tensionali efficaci (ESP) e totali (TSP) nei piani p’-q e p-q

I percorsi tensionali che utilizzano i parametri di tensione s, s’ e t sopra introdotti hanno il vantaggio di essere immediatamente comprensibili, poiché è facile collegare ad un gene-rico punto del percorso tensionale il corrispondente cerchio di Mohr e, anche mentalmen-te, visualizzarlo. Tuttavia i parametri s, s’ e t non hanno un preciso significato fisico. Esi-stono altri modi, meno intuitivi ma più corretti, per rappresentare i percorsi tensionali as-sialsimmetrici. In particolare nel seguito saranno utilizzati i parametri invarianti di tensio-ne:

tensione media totale: 32 31 σσ ⋅+

=p (Eq. 11.5)

tensione media efficace: upp −=⋅+

=32

''3

'1 σσ (Eq. 11.6)

tensione deviatorica: '3

'131' σσσσ −=−== qq 1 (Eq. 11.7)

I parametri s, s’ e t ed i parametri p, p’ e q sono legati dalle seguenti relazioni biunivoche:

3tsp −= (Eq. 11.8)

3t's'p −= (Eq. 11.9)

t2q ⋅= (Eq. 11.10)

1 Per stati tensionali tridimensionali i parametri di tensione p, e q hanno la forma:

( )

( ) ( ) ( )[ ] 5,0213

232

221

321

21

31

σσσσσσ

σσσ

−+−+−⋅=

++⋅=

q

p

Page 165: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

165

6q

ps += (Eq. 11.11)

6q'p's += (Eq. 11.12)

2qt = (Eq. 11.13)

per cui tutto quanto è stato detto con riferimento ai piani s-t ed s’-t può essere trasferito e tradotto nei corrispondenti piani p-q e p’-q. In generale (Figura 11.6) a incrementi delle tensioni principali maggiore e minore rispet-tivamente pari a ∆σ1 e a ∆σ2=∆σ3: nel piano s-t corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza:

2

23

21 σσ ∆+∆

=∆ −tsL (Eq. 11.14)

e pendenza:

31

31tanσσσσ

α∆+∆∆−∆

=−ts (Eq. 11.15)

mentre nel piano p-q corrisponde un segmento di percorso tensionale di lunghezza:

3123

21 141310

31 σσσσ ∆⋅∆⋅−∆⋅+∆⋅⋅=∆ −qpL (Eq. 11.16)

e pendenza:

31

31

2)(3

tanσσσσ

α∆⋅+∆∆−∆⋅

=−qp (Eq. 11.17)

e quindi in particolare: per compressione isotropa (∆σ1 = ∆σ3 = ∆σ): nel piano s - t : σ∆=∆ −tsL tanαs-t = 0 (Eq. 11.18)

nel piano p - q : σ∆=∆ −qpL tanαp-q = 0 (Eq. 11.19) per compressione monoassiale (∆σ1 = ∆σ, ∆σ3 = 0):

nel piano s - t : 2σ∆

=∆ −tsL tanαs-t = 1 (Eq. 11.20)

nel piano p - q : σ∆⋅=∆ − 310

qpL tanαp-q = 3 (Eq. 11.21)

s-ts-t

τ, t

σ, sO

∆L α∆t

3∆σ 1∆σ

∆s

Figura 11.6 – Percorsi tensionali nei piani s-t e σ-τ

Page 166: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

166

11.2 Stato critico

11.2.1 Introduzione

Nei capitoli precedenti sono stati affrontati separatamente, con modelli semplici e schemi elementari diversi, i problemi relativi alla deformabilità ed alla resistenza dei terreni. In questo capitolo, dopo avere esposto la teoria dello Stato Critico come quadro interpre-tativo generale del comportamento dei terreni saturi, si introdurrà un modello matematico un poco più complesso ma più generale (il modello Cam Clay Modificato) per la previ-sione quantitativa di tale comportamento. I parametri di tale modello possono essere ricavati dai risultati delle prove geotecniche standard di laboratorio, già esposti e commentati nei capitoli precedenti. Tali risultati ver-ranno pertanto richiamati ed inquadrati in un’ottica unitaria. Le prove geotecniche standard di laboratorio per la determinazione del comportamento meccanico dei terreni sono le prove triassiali e le prove di compressione edometrica, en-trambe assialsimmetriche. Salvo indicazione contraria, nel seguito assumeremo che la tensione assiale σa corrisponda alla tensione principale maggiore σ1, e che la tensione ra-diale σr corrisponda alle tensioni principali intermedia e minore, eguali fra loro, σ2 = σ3. Nel seguito, per descrivere lo stato di tensione ed i percorsi tensionali si utilizzeranno i parametri p, p’ e q. Per descrivere lo stato di deformazione, di un provino cilindrico di altezza iniziale H0, diametro iniziale D0 e volume iniziale V0, si utilizzeranno i parametri:

deformazione assiale: 0

1 HH

a∆

== εε (Eq. 11.22)

deformazione radiale: 0

3 DD

r∆

== εε (Eq. 11.23)

deformazione volumetrica: 0

31 22VV

rav∆

=⋅+=⋅+= εεεεε (Eq. 11.24)

deformazione deviatorica o distorsione: ( ) ( )3132

32 εεεεε −⋅=−⋅= ras (Eq. 11.25)

La deformazione deviatorica è definita nel modo sopra scritto affinché valga la relazione:

sv dqdpddd εεεσεσεσ ⋅+⋅=⋅+⋅+⋅ '3'32

'21

'1 (Eq. 11.26)

Come parametro indicativo dello stato di addensamento del terreno verrà utilizzato il vo-lume specifico, v, che è per definizione il rapporto tra il volume totale di un elemento di terreno, V, e il volume occupato dalle particelle solide, VS. Risulta pertanto per definizione:

)e1(VVv

S+== (Eq. 11.27)

e

001 vdv

eded v −=+

−=ε (Eq. 11.28)

Page 167: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

167

Analizziamo i risultati delle prove geotecniche standard su provini di argilla ricostituiti in laboratorio, già esposti e commentati nel Capitolo 9, rappresentando i percorsi di carico in uno spazio tridimensionale definito dalla terna di assi cartesiani ortogonali p’-q-v.

11.2.2 Compressione isotropa drenata (prima fase delle prove triassiali standard), linea di consolidazione normale (NCL) e linee di scarico-ricarico (URL)

Il percorso efficace di carico si svolge interamen-te sul piano p’-v (ovvero sul piano q = 0). La cur-va sperimentale, che potremmo ottenere per punti incrementando (o riducendo) gradualmente la pressione di cella e attendendo per ogni gradino di carico l’esaurirsi del processo di consolidazio-ne isotropa, è qualitativamente indicata in Figura 11.7. La stessa curva, rappresentata in un piano semilogaritmico (Figura 11.8a), può essere sche-matizzata con segmenti rettilinei (Figura 11.8b). La principale ipotesi semplificativa adottata nel passaggio dalla curva sperimentale a quella schematica consiste nell’avere sostituito al picco-lo ciclo di isteresi sperimentale del percorso di scarico-ricarico il suo asse, ovvero nell’avere as-sunto un comportamento deformativo volumetri-co elastico (variazioni di volume interamente re-versibili). La retta ABD è detta linea di consolidazione nor-male (NCL), ed ha equazione:

Il parametro Ν è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto sulla NCL che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0) e dipende dal sistema di unità di misura adottato. Il pa-rametro λ è la pendenza della NCL ed è adimensionale. La retta BCB è una delle infinite, possibili linee di scarico e ricarico (URL), ed ha equa-zione:

0)'ln(

=⋅−=

qpvv κκ (Eq. 11.30)

Il parametro vκ è il valore dell’ordinata (volume specifico) del punto su quella specifica linea di scarico-ricarico che ha per ascissa p’=1 (e quindi ln(p’) = 0), dipende dal sistema di unità di misura adottato ed è biunivocamente riferito all’ascissa del punto B (Figura 11.8b), definita pressione di consolidazione, p’c, dalle seguenti relazioni, ottenute impo-nendo l’appartenenza del punto B sia alla NCL che alla linea di scarico-ricarico:

( ) ( )'ln cpv ⋅−−Ν= κλκ (Eq. 11.31)

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

−−Ν

=κλ

κvpc exp'

p’

q

p’

v

B

A

A

C

C

D

DB

Figura 11.7 - Percorso di carico di compressione (e decompressione) iso-tropa drenata nei piani p’-q e p’-v

0)'ln(

=⋅−Ν=

qpv λ

(Eq. 11.29)

Page 168: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

168

ln p’

v

B

A

a)

C

D

p’ (ln)

v

1

11

-κκ

N

vB

A

b)

C

c

D

p’

Figura 11.8 - Curva sperimentale (a) e curva schematizzata (b) del percorso di carico di com-pressione (e decompressione) isotropa drenata nel piano semilogaritmico ln p’-v

Il parametro κ è la pendenza della linea di scarico-ricarico isotropo ed è adimensionale. Un provino, al cui stato tensionale, p’0, corrisponda un punto su una linea di scarico-ricarico, è isotropicamente sovraconsolidato (OC). Il rapporto di sovraconsolidazione iso-tropa è:

'0

'

0 pp

R c= (Eq. 11.33)

R0 non è eguale al rapporto di sovraconsolidazione edometrica, OCR, ma è ad esso legato dalla relazione:

OCRKK

R OC

NC

⋅⋅+⋅+

=0

00 21

21 (Eq. 11.34)

Il risultato sperimentale di un percorso di carico isotropo in condizioni drenate con più cicli di scarico-ricarico a pressione di consolidazione crescente può es-sere schematicamente rappresen-tato come in Figura 11.9: i seg-menti corrispondenti a ciascun ciclo di scarico-ricarico, rettilinei nel piano semilogaritmico, hanno la stessa pendenza –κ e, natural-mente, diversi valori di vκ e di p’c. In definitiva, rammentando gli schemi dei modelli reologici e-lementari presentati nel Capitolo 5, si può affermare che i risultati sperimentali sopra descritti pos-sono essere ben riprodotti da un modello elastico non lineare –

p’(ln)

v

1

11

N

vκ 1

B1

A

C1

p’c 1

1-κ

1-κ

B2

B3

C2

C3

vκ 2

vκ 3

p’c 2

p’c 3

Figura 11.9 - Schematizzazione di un percorso di carico isotropo drenato con più cicli di scarico-ricarico a pres-sione di consolidazione crescente

Page 169: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

169

plastico a incrudimento positivo. Infatti: a) il comportamento deformativo è (quasi) elastico, ovvero il percorso è reversibile, lun-

go le linee di scarico-ricarico; b) lungo tali linee il comportamento è non lineare, in quanto il percorso è rettilineo nel

piano semilogaritmico (e quindi curvilineo nel piano naturale); c) il comportamento è elasto-plastico lungo la linea di consolidazione normale (NCL); d) la pressione media efficace di consolidazione isotropa, p’c, è la soglia di tensione oltre

la quale si manifestano deformazioni plastiche (irreversibili), ovvero è la tensione di snervamento;

e) l’incrudimento è positivo poiché la deformazione plastica avviene a pressione di consolidazione crescente.

11.2.3 Pressione efficace media equivalente, p’e

La pressione efficace media equivalente di un elemento di terreno A caratterizzato dai pa-rametri p’A, qA e vA è la pressione p’eA del punto sulla linea di consolidazione normale (NCL) avente volume specifico vA (Figura 11.10). La pressione efficace media equivalen-te vale dunque:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

A'eA

vNexpp (Eq. 11.35)

p’(ln)p’

v

1-λ

N

v AA

A

A

A

A eA

eA

NCL

p’ p’

v

q

q

v

A

NCL

p’ p’

a) b)

Figura 11.10 - Definizione di pressione efficace equivalente nel piano lnp’-v e nello spazio p’-v-q

La pressione efficace equivalente non varia nei percorsi tensionali non drenati, che av-vengono a volume costante, mentre varia nei percorsi tensionali drenati, durante i quali si hanno deformazioni volumetriche.

11.2.4 Compressione con espansione laterale impedita (compressione edometrica), linea di consolidazione edometrica (linea K0) e linee di scarico-ricarico edometriche

Dalle condizioni al contorno della prova edometrica (compressione assialsimmetrica con espansione laterale impedita) si desume:

Page 170: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

170

( ) )K1(q;K213

'p

K

;0

0'10

'1

'10

'3

'2

1v32

−⋅=⋅+⋅=

⋅==

===

σσ

σσσ

εεεε

(Eq. 11.36)

Se il terreno normalmente consolidato, K0 è costante e il percorso tensionale nel piano p’-q è rettilineo, passa per l’origine degli assi, ed ha equazione, (linea K0) (Figura 11.11 a):

( )( )0

0

2113

'KK

pq⋅+

−⋅⋅= (Eq. 11.37)

In Figura 11.11 b è mostrato l’andamento della linea K0 al variare di K0 da cui si può os-servare che non potendo essere K0 < 0 (altrimenti si avrebbe una tensione σ’3 < 0 e quindi di trazione), dalla Eq. 11.37 la retta che delimita gli stati tensionali possibili per il terreno sul piano p’-q ha equazione: q = 3 p’.

Nel piano p’-v il percorso tensionale è del tutto simile a quello della compressione isotro-pa e, analogamente ad esso, può essere schematizzato nel piano semilogaritmico con tratti rettilinei definiti dalle seguenti equazioni (Figura 11.12): per la linea di compressione edometrica vergine:

'ln0 pNv ⋅−= λ (Eq. 11.38) per le linee di scarico-ricarico edometriche:

Si osserva che la proiezione della linea K0 sul piano ln p’-v è parallela alla linea di conso-lidazione isotropa normale (NCL), e che le proiezioni sul piano lnp’-v delle linee di scari-co-ricarico in condizioni edometriche sono parallele alle linee di scarico-ricarico in con-dizioni di carico isotropo.

p’

q

1

1

3

K = 00

K = 10

K > 10

0 < K < 10

Linea K

0

p’

q

(Compressione isotropa)

a) b)

Figura 11.11 - Traccia della linea K0 nel piano p’-q per un terreno normalmente consolidato

'ln0

pvv K ⋅−= κ (Eq. 11.39)

( )( )0

0K21K13

⋅+−⋅

Page 171: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

171

Il parametro vK0 è biunivocamente riferi-to alla pressione di consolidazione edo-metrica p’c,edo (ascissa del punto B di Fi-gura 11.12), dalle seguenti relazioni ot-tenute imponendo l’appartenenza del punto B sia alla linea K0 che alla linea di scarico-ricarico in condizioni edometri-che:

Nel Capitolo 7 abbiamo visto come i risultati della prova edometrica siano abitualmente rappresentati nel piano log σ’v-e, e che in tale piano la pendenza della linea di compres-sione edometrica vergine sia l’indice di compressione Cc e la pendenza delle linee di sca-rico sia l’indice di rigonfiamento Cs. Valgono dunque le relazioni:

λλ ⋅=⋅= 303,210lncC (Eq. 11.42a) e (solo approssimativamente poiché durante lo scarico varia OCR e dunque varia K0):

κκ ⋅=⋅= 303,210lnsC (Eq. 11.42b) A differenza della linea di consolidazione normale (NCL) che si sviluppa sul piano q = 0, la linea K0 si sviluppa nello spazio a tre dimensioni p’-q-v (Figura 11.13).

q

p’ 1

Linea K0

Linea NCL

v Figura 11.13 - Rappresentazione delle linee NCL e K0 nello spazio p’-q-v

p’(ln)

v

1

11

N0

c,edo

K0vB

A

Linea K0

C

D

p’

Linea NCL

N

Figura 11.12 - Traccia della linea K0 nel piano lnp’-v per un terreno N.C. e di una linea di scari-co-ricarico in condizioni edometriche

( ) ( )',0 ln

0 edocK pv ⋅−−Ν= κλ

(Eq. 11.40)

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−

−Ν=

κλ00'

, exp Kedoc

vp (Eq. 11.41)

( )( )0

0K21K13

⋅+−⋅

Page 172: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

172

11.2.5 Compressione triassiale drenata di argilla N.C. (prova TxCID) e linea di stato critico (CSL)

Il percorso tensionale efficace di un provino di argilla N.C. in una prova di compressione triassiale drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione isotropa lungo la linea NCL, fino alla pressione di consolidazione isotropa p’c, la seconda di compressione assiale in condizioni drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale control-lata) la tensione deviatorica q cresce progressivamente fino ad un valore massimo qf poi si mantiene circa costante. La curva sperimentale εa – q è ben rappresentata da una relazione iperbolica del tipo:

a

a

baq

εε

⋅+= (Eq. 11.43)

Il volume decresce progressivamente fino ad un valore minimo, poi si mantiene circa co-stante (Figura 11.14). Il percorso tensionale corrispondente alla fase di compressione as-siale, AB, ha come proiezione sul piano p’-q un segmento rettilineo con pendenza 3:1, dal punto A di coordinate (p’c - 0) al punto B, corrispondente alla condizione di rottura, di coordinate (p’f - qf), e nel piano p’-v ha origine nel punto A sulla linea NCL e termina nel punto B sottostante la linea NCL. Infatti durante la fase di compressione risulta che σ’3 = σ’r =σ’c = cost e quindi ∆q = ∆(σ’1 – σ’3) = ∆σ’1 e ∆p’ = ∆(σ’1 + 2σ’3)/3 = ∆σ’1/3 e quindi:

33/'

''p

q

1

1 ==σ∆

σ∆∆∆ (Eq. 11.44)

A

B

a) b)

c)

B

q

p’

εv

εa

A

A

B

B

q

31

p’

v

p’c

p’f

qf

Figura 11.14 - Percorsi tensionali di compressione drenata su un provino di argilla N.C.

Page 173: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

173

Se tre provini della stessa argilla isotropicamente consolidati a pressioni diverse sono por-tati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.15. Si os-serva in particolare che: o le tre curve εa – q hanno la stessa forma e, normalizzate rispetto alla pressione di

consolidazione p’c, sono (quasi) coincidenti; o la deformazione volumetrica durante la compressione assiale varia in modo presso-

ché eguale per i tre provini, indipendentemente dalla pressione di consolidazione; o i punti B rappresentativi dello stato finale dei tre provini giacciono su una linea, det-

ta di Stato Critico (CSL), la cui equazione è:

'

'

ln ff

ff

pv

pMq

⋅−Γ=

⋅=

λ (Eq. 11.45)

A = A = A1 2 3

A1

A1

B1

B1

a) b)

c)

q

p’

εv

εa

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

qf 1

qf 2

qf 3

B2

B3

B = B = B1 32

B1

p’c 1

A2

A2

B2

B2

A3

A3

B3

B3

p’f 3

p’c 2

p’c 3

p’f 2

p’f 1

vf 1

vf 2

vf 3

Figura 11.15 - Risultati di prove TxCID su provini della stessa argilla N.C. consolidati a pressio-ni diverse

La relazione '

ff pMq ⋅= equivale al criterio di rottura di Mohr-Coulomb per terreni N.C. che, nel Capitolo 8, avevamo scritto nella forma:

'' tanφστ ⋅= nf (Eq. 11.46) L’angolo di resistenza al taglio da considerare è quello che corrisponde alla condizione di stato critico, φ’cs, ovvero alla condizione in cui, al crescere della deformazione assiale ri-mangono costanti tensione deviatorica, qf, e deformazione volumetrica, εv.

Page 174: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

174

Il parametro M è funzione dell’angolo di resistenza al taglio allo stato critico, φ’cs, e delle modalità di prova. Infatti se il provino è portato a rottura per compressione assiale a ten-sione efficace di confinamento costante, ovvero con le modalità standard descritte nel Ca-pitolo 8, la tensione principale maggiore è la tensione assiale, mentre le tensioni principali intermedia e minore coincidono entrambe con la tensione radiale:

''2

'3

''1

r

a

σσσ

σσ

==

= (Eq. 11.47)

quindi: ( ) ( )

f

'r

'a

f

'3

'1'

f

f'r

'af

'3

'1f

32

32p

q

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ⋅+=⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ⋅+=

−=−=

σσσσ

σσσσ

(Eq. 11.48)

e ricordando che è:

'

'

'3

'1

11

cs

cs

fsensen

φφ

σσ

−+

=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ (Eq. 11.49)

si ha:

( )( )

( )( ) =

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−+

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−+

=+

−⋅=

⋅+−⋅

===

2sen1sen1

1sen1sen1

3

2/1/3

23

pq

MM

cs

cs

cs

cs

f'r

'a

f'r

'a

f'r

'a

f'r

'a

'f

fc

φφ

φφ

σσσσ

σσσσ

( )( ) '

cs

'cs

f'cs

'cs

'cs

'cs

sen3sen6

sen22sen1sen1sen13

φφ

φφφφ

−⋅

=−++

+−+⋅=

(Eq. 11.50)

c

ccs M

Msen

+⋅

=63'φ (Eq. 11.51)

Se invece il provino è portato a rottura per estensione assiale, ovvero aumentando la tensione efficace di confinamento a tensione efficace assiale costante, la tensione principale minore è la tensione assiale e le tensioni principali intermedia e maggiore, coincidenti, sono la tensione radiale:

''3

''2

'1

a

r

σσ

σσσ

=

== (Eq. 11.52)

quindi: ( ) ( )

f

ar

ff

farff

p

q

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ +⋅=⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ +⋅=

−=−=

32

32 '''

3'1'

'''3

'1

σσσσ

σσσσ

(Eq. 11.53)

( )( ) '

'

''

''

' 36

23

cs

cs

fra

far

f

fe sen

senpq

MMφφ

σσ

σσ

+⋅

=⋅+

−⋅=== (Eq. 11.54)

Page 175: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

175

e

ecs M

Msen

−⋅

=63'φ (Eq. 11.55)

Una conseguenza importante è che, mentre l’angolo di resistenza al taglio allo stato critico φ’cs è lo stesso per com-pressione e per estensione, la pendenza M della linea di stato critico nel piano p’-q non è la stessa. In particolare, poi-ché Me < Mc, per lo stesso terreno e a parità di pressione efficace media, la tensione deviatorica a rottura in esten-sione è minore che in compressione (Fi-gura 11.16). I punti B corrispondenti alla condizione di stato critico giacciono su una linea la cui proiezione sul piano p’-v è una curva che, rappresentata nel piano semiloga-ritmico, diviene una retta parallela alla linea NCL. In Figura 11.17 sono rappresentate le li-nee NCL e CSL.

p’

q CSL

CSL

Mc

Me

1

(a)

(b)

1

Figura 11.16 – Linea di stato critico nel piano p’-q in caso di rottura per compressione assiale e di rottura per estensione assiale

Figura 11.17 – Rappresentazione delle linee NCL e CSL (indicata convenzionalmente con una dop-pia linea) nello spazio p’-q-v

q

p’ 1

M

CSL

NCL

v

Page 176: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

176

Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione drenata si svol-ge su un piano, detto piano drenato, rappresentato in Figura 11.18.

q

A

A’

B’

Bp’ 13

CSLPiano drenato

NCL

v

Figura 11.18 - Piano drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCID nello spazio p’-q-v

11.2.6 Compressione triassiale non drenata di argilla N.C. (prova TxCIU) e superficie di Roscoe

La prova di compressione triassiale consolidata non drenata standard consiste di due fasi: la prima di compressione e di consolidazione isotropa, la seconda di compressione assiale in condizioni non drenate a pressione di confinamento costante. In quest’ultima fase, al crescere della deformazione assiale εa (la prova è condotta a deformazione assiale control-lata) il volume del provino (saturo) non varia, la tensione deviatorica q e la pressione in-terstiziale crescono progressivamente fino alla condizione di stato critico. In Figura 11.19 sono rappresentati i risultati di una prova TxCIU su un provino di argilla satura N.C. portato a rottura in presenza di una contro pressione interstiziale iniziale (BP = u0). In Figura 11.20 sono mostrati i risultati che si possono ottenere da una serie di tre prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse.

Page 177: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

177

A

B

TSPES

P

a) b)

c)

B

NCL

q

p,p’

∆u

uf

∆uf

εa

A

A’

B

q

31

p’

v

pc

pf

qf

B’

B’

A’p’

cp’

f

u0

u0

Figura 11.19 - Percorsi tensionali di compressione non drenata su un provino di argilla satura N.C.

TSP 3

ESP3

A = A = A1

2 3

A1 A

2

B’1

B’2

B’3

A’1

A’2

A’1B’

1

a) b)

c)

q

p,p’εa

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

qf 1

qf 2

qf 3

B1

p’f 3

v0 1

B2

B

3

∆u

∆uf 1

∆uf 2

∆uf 3

∆uf 2

∆uf 3

B1

B1

B2

B2

B3

B3

A’2

A’3

B’2

B’3

A3

A’3

v0 2

v0 3

p’f 2

p’f 1

∆uf 1

Figura 11.20 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla satura N.C. consolidati a pressioni diverse

Page 178: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

178

Dall’esame delle Figure 11.19 e 11.20 si desume che: o la tensione deviatorica q cresce progressivamente con la deformazione assiale εa fi-

no ad un valore massimo qf e poi si mantiene circa costante, o la deformazione avviene a volume costante (εv = 0) e con progressivo incremento

della pressione interstiziale (∆u) fino ad un valore massimo, ∆uf, crescente con la pressione di consolidazione,

o i percorsi tensionali totali (TSP) sono rettilinei ed hanno pendenza 3:1, o i percorsi tensionali efficaci (ESP) sono curvilinei ed hanno la stessa forma, o la distanza tra ESP e TSP rappresenta la pressione interstiziale u, o i punti rappresentativi dello stato tensionale efficace iniziale (A’) sono sulla linea di

consolidazione normale (NCL), o i punti rappresentativi della condizione di rottura (B’) sono sulla linea di stato criti-

co (CSL). Il percorso tensionale nello spazio p’-q-v durante la fase di compressione non drenata si svolge su un piano parallelo al piano p’-q, detto piano non drenato, rappresentato in Fi-gura 11.21.

q

A

A’

B’

Bp’

CSL

ESP

Piano non drenato

NCL

v Figura 11.21 - Piano non drenato e percorso tensionale efficace di una prova TxCIU

In una prova triassiale non drenata su un provino saturo non si hanno variazioni di volu-me. Pertanto il volume specifico iniziale v0 è anche il volume specifico a rottura:

'ff0 plnvv ⋅−== λΓ (Eq. 11.56)

ovvero:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

0' expv

p f (Eq. 11.57)

Page 179: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

179

e

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

⋅Μ=⋅Μ=λ

0' expv

pq ff (Eq. 11.58)

La resistenza al taglio in condizioni non drenate dei terreni a grana fine, cu, che, come ab-biamo visto nel Capitolo 9, viene utilizzata per le verifiche di stabilità in termini di ten-sioni totali è pari alla metà della tensione deviatorica a rottura, dunque:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

⋅Μ

==λ

0exp22

vqc f

u (Eq. 11.59)

Per un dato terreno i parametri Μ, Γ e λ sono costanti, quindi cu dipende soltanto dal vo-lume specifico v0. Per un terreno saturo è:

wGev s ⋅+=+= 11 (Eq. 11.60) dunque la resistenza al taglio in condizioni non drenate, cu, di una stessa argilla satura di-pende unicamente dal suo contenuto in acqua w. Tutti i percorsi tensionali efficaci, di prove drenate e non drenate, che dalla linea di con-solidazione normale (NCL) pervengono alla linea di stato critico (CSL) giacciono su una superficie nello spazio p’-q-v, detta Superficie di Roscoe, che limita il dominio degli stati tensionali possibili (Figura 11.22).

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

NCL

v Figura 11.22 - Superficie di Roscoe

Page 180: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

180

Tale affermazione può essere visualizzata normalizzando i percorsi tensionali drenati e non drenati dalla NCL alla CSL di provini saturi normalconsolidati rispetto alla pressione efficace equivalente, che rimane costante nei percorsi non drenati, ed è invece variabile in quelli drenati. In tal modo nel piano p’/p’e-q/p’e tutti i percorsi coincidono in un’unica curva che rappresenta la Superficie di Roscoe normalizzata (Figura 11.23).

q/p’e

CSL

Superficie di Roscoe normalizzata

NCL

p/p’e

Figura 11.23 - Superficie di Roscoe normalizzata

11.2.7 Compressione triassiale drenata di argilla O.C. (prova TxCID) e condizione di rottura

Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, ad una pressione efficace p’c, e poi isotropicamente decompresso in condizioni drenate, fino ad una pressione effi-cace p’0 in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, ed è infine sottoposto a com-pressione drenata, esso mostra un comportamento tensionale e deformativo durante la fa-se di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.24. Si può osservare che la condizione di rottura non coincide con la condizione di stato criti-co. Infatti la curva εa-q presenta un massimo (qf) a rottura (punto B), poi decresce fino a stabilizzarsi su un valore minore (qcs) che corrisponde allo stato critico (punto C). Il volume del provino prima diminuisce, poi aumenta, supera il valore iniziale e infine tende a stabilizzarsi.

La curva εa-εv presenta tangente orizzontale ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛= 0

a

v

ddεε

nei punti C e D che corrispondo-

no al valore q = qcs, e un flesso max

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

a

v

ddεε

nel punto B che corrisponde a q = qf.

La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-q ha pendenza 3:1. Nel tratto AB fino alla rottura il percorso è ascendente, nel tratto BC è discendente.

Page 181: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

181

A

A

D

D

B

B

C

C

a) b)

d)

q

p’

εv

εa

A

A

B

C = D

B

C

D

qESP

31

p’

v

p’0

p’0

p’f

p’f

qf

qf

εa

qc s

qc s

p’c

vD

vA

vB

vC

c)

Figura 11.24 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCID

Nel piano p’-v il punto A rappresentativo dello stato iniziale si trova su una curva di sca-rico-ricarico. La proiezione del percorso tensionale efficace (ABC) nel piano p’-v ha tan-gente orizzontale nei punti C e D. Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione iso-tropa sono portati a rottura in condizioni drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.25. Si osserva in particolare che: o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la

CSL (punto A1), esso è fortemente sovraconsolidato (provino n. 1), o un provino fortemente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) molto maggio-

re del deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento dilatante (aumento di volume),

o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sotto la NCL ma sopra la CSL, esso è debolmente sovraconsolidato (provino n. 2),

o un provino debolmente sovraconsolidato ha un deviatore a rottura (qf) poco maggio-re o eguale al deviatore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento con-traente (diminuzione di volume),

o se il punto rappresentativo dello stato iniziale del provino nel piano p'-v è sulla NCL, esso è normalmente consolidato (provino n. 3),

o un provino normalmente consolidato ha un deviatore a rottura (qf) eguale al devia-tore allo stato critico (qcs), e manifesta un comportamento contraente (diminuzione di volume),

Page 182: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

182

o i punti rappresentativi delle condizioni di rottura (B) di provini con eguale pressione di preconsolidazione (punti A sulla stessa linea di scarico-ricarico) giacciono su una ret-ta (linea inviluppo a rottura) distinta dalla CSL relativa-mente ai provini sovraconso-lidati (punti B1 e B2), e sulla CSL per il provino normal-consolidato (punto B3),

o i punti rappresentativi delle condizioni ultime (C) giaccio-no sulla CSL,

La linea inviluppo a rottura, per i terreni sovraconsolidati, ha equa-zione:

'pmqq ff ⋅+= (Eq. 11.61) Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti di rottura per le argille so-vraconsolidate, corrisponde nello spazio p’-q-v ad una superficie pia-na detta Superficie di Hvorslev. Nel Capitolo 9 abbiamo visto che l’inviluppo a rottura in termini di tensioni efficaci per un’argilla so-vraconsolidata ha equazione:

che può essere scritta anche nella forma:

( ) ( )'sen'gcot'c

221 f

'3

'1

f'3

'1 φφ

σσσσ ⋅

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⋅+

+=−⋅ (Eq. 11.63)

essendo (Figura 11.26):

'tg)OC'OO('tgC'O'OO φφ ⋅+=⋅= ed:

'gcot'c'OO φ⋅= ed ( )

2OC f

'3

'1 σσ +

=

a)

b)p’

q

p’

NCL

URL

CSL

CSL

v

M

Linea di inviluppoa rottura

m

q

1

1

A2

A2

A1

A1

B2

B2B

1

B1

C1

C1

A3

A3

B3

B3

p’c

p’0 2

p’0 1

D1

D1

Figura 11.25 - Risultati di prove TxCID su provini del-la stessa argilla con differenti rapporti di sovraconso-lidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura

'tan'c 'nf φστ ⋅+= (Eq. 11.62)

OO’c’

c’ ctg ’φ1

1

R

τ

σ’φ’

inviluppo di rottura

C σ’3

3

σ’

( ’ + ’ )/2σ σ

Figura 11.26 – Criterio di rottura di Mohr-Coulomb

Page 183: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

183

Dalla Eq. 11.61, essendo qf = (σ’1 – σ’3)f e p’f = (σ’1 + 2σ’3)f/3, si ottiene sostituendo:

( ) ( )32

mq f'3

'1

f'3

'1

σσσσ

+⋅+=−

da cui, svolgendo i calcoli, si ottiene:

m3q3

m3m23

f'3f

'1 −

+−

+= σσ (Eq. 11.63a)

Dalla Eq.11.63 invece si ricava: ( ) ( ) ⋅⋅+⋅+=− 'cos'c2'senf

'3

'1f

'3

'1 φφσσσσ

e quindi:

'sin1'cos'c2

'sin1'sin1

f'3f

'1 φ

φφφσσ

−+

−+

= (Eq. 11.63b)

Eguagliando la (11.63a) e la (11.63b) si ottiene:

'sin1'sin1

m3m23

φφ

−+

=−

+ (Eq. 11.63c)

e

'sin1'cos'c2

m3q3

φφ

−=

− (Eq. 11.63d)

Dalla (11.63c) si può ricavare m:

'sin3'sin6mφ

φ−

= (Eq. 11.63e)

ed andando a sostituire nella (11.63d) si ricava q:

'sin3'cos'c6q

φφ

−= (Eq. 11.63f)

da cui si ottengono le corrispondenze:

'sen3'sen6m

'sen3'cos'c6q

φφφφ

−⋅

=

−⋅⋅

= (Eq. 11.64)

Imponendo la condizione che i terreni non possano sostenere tensioni di trazione ( )0'

3 ≥σ si ha che per σ’3 = 0, q = σ’1 – σ’3 = σ’1 e p = (σ’1 + 2σ’3)/3 = σ’1/3, cioè q = 3 p’. Si de-duce che la linea inviluppo a rottura, come mostrato anche in Figura 11.11 b, è limitata a sinistra dalla retta di equazione:

'3 pq ⋅= (Eq. 11.65)

Page 184: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

184

11.2.8 Compressione triassiale non drenata di argilla O.C. (prova TxCIU) e superficie di Hvorslev

Se un provino di argilla satura è isotropicamente consolidato, poi isotropicamente decom-presso in condizioni drenate in modo da divenire fortemente sovraconsolidato, e infine sottoposto a compressione non drenata, mostra un comportamento tensionale e deformati-vo durante la fase di compressione del tipo di quello descritto in Figura 11.27. Si osserva che la curva εa-q è monotona (non presenta un picco), l’incremento di pressio-ne interstiziale ∆u è inizialmente positivo, poi diviene negativo (comportamento duale della curva εa-εv della prova TxCID).

A

a) b)

d)

q

+

+

-

-

p,p’

∆u

εa

AA’

A

BB’

B

q

TSP

ESP

ESP

NCL

URL

3u

∆u u0

1

p’

v

p0

u0

uf∆u

f

p’0

p’0

p’f

εa

qc s

qc s

p’c

v0

c)

Figura 11.27 - Comportamento di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato in prova TxCIU

Se tre provini della stessa argilla satura con differenti rapporti di sovraconsolidazione iso-tropa sono portati a rottura in condizioni non drenate si ottengono i risultati mostrati in Figura 11.28. In Figura 11.29 sono messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla egualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate e non drenate. Si può osservare che la tensione deviatorica a rottura per il provino non dre-nato è nettamente maggiore. In Figura 11.30 sono invece messi a confronto i percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rapporto di sovra consolidazione isotropa ed eguale vo-lume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate. Si può osservare che i percorsi si svolgono sullo stesso piano v = cost e pervengono allo stesso punto della linea di stato critico.

Page 185: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

185

a)

b)

p,p’

q

p’

NCL

URL

CSL

CSL

v

MLinea di inviluppo

a rottura

m

q

1

1

A2

A2

A1

A1 B

2

B2

B1

B1

A3

A3

B3

B3

p’c

OCR = p’1 c

/p’ = 60 1

p’0 2

p’0 1

OCR = p’2 c

/p’ = 1.50 2

OCR 3

= 1

Figura 11.28 - Risultati di prove TxCIU su provini della stessa argilla con differenti rapporti di sovraconsolidazione isotropa e linee di inviluppo a rottura

AA

BE

D

F

D

E F

C

C E

a) b)q

p,p’εa

A

D BC

F

q

NCLCSL

URL

p’

v

MCSL

m

1

1

p’0

p’0

qc s u

qc s

p’c

v0

c)

qf

qf u

BC

Figura 11.29 - Confronto fra i percorsi tensionali efficaci di due provini della stessa argilla e-gualmente sovraconsolidati e sottoposti a rottura in condizioni drenate (TxCID) e non drenate (TxCIU)

Page 186: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

186

a)

b)p’

q

p’

NCLCSL

CSL

v

M1

A2

BC

BC

A2

A1

A1

A3

A3

Figura 11.30 - Percorsi tensionali efficaci di tre provini della stessa argilla con differente rap-porto di sovra consolidazione isotropa ed eguale volume specifico iniziale portati a rottura in condizioni non drenate

In Figura 11.31a sono rappresentate nello spazio p’-q-v le tre superfici (di Roscoe, di Hvorslev e il piano limite di rottura per trazione) che assieme formano la Superficie di Stato, la quale delimita il volume degli stati di tensione possibili. Anche per la superficie di Hvorslev e per il piano limite di trazione, come per la superfi-cie di Roscoe, si può dare una rappresentazione normalizzata nel piano p’/p’e-q/p’e (Figu-ra 11.31b). In particolare la superficie di Hvorslev normalizzata è una retta di equazione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+= ''

'

ee pphg

pq (Eq. 11.66)

ovvero: '' phpgq e ⋅+⋅= (Eq. 11.67)

Essendo, per definizione:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

vNpe exp' (Eq. 11.68)

ed imponendo la condizione di appartenenza della CSL alla superficie di Hvorslev:

'ln'pv

pMqCSL

⋅−Γ=⋅=

λ (Eq. 11.69)

si ottiene, per sostituzione, il valore della costante g:

( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

⋅−=λ

NhMg exp (Eq. 11.70)

e quindi l’espressione analitica della superficie di Hvorslev:

( ) 'exp phvhMq ⋅+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

⋅−=λ

(Eq. 11.71)

Page 187: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

187

q/p’

CSL

g

e

e

h1

Superficie di RoscoeSuperficie di Hvorslev

NCL

p/p’

b)

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

Superficie di Hvorslev

Piano limite di trazione

Piano limite di trazione

NCL

v

Figura 11.31 - Rappresentazione assonometria (a) e normalizzata (b) della Superficie di Stato

Dall’esame dell’Eq. (11.71) si desume che la resistenza al taglio di un’argilla sovra-consolidata satura è somma di due termini i quali, oltre ad essere funzione delle costanti materiali (Μ, h, Γ, λ) sono: o il termine, 'ph ⋅ , proporzionale alla pressione efficace media e corrispondente alla re-

sistenza per attrito;

o il termine, ( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −Γ

⋅−λ

vhM exp , dipendente dal volume specifico (ovvero dall’indice

dei vuoti, ovvero dal contenuto in acqua) e corrispondente alla resistenza per coesione.

Page 188: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

188

11.3 MODELLO CAM CLAY MODIFICATO (CCM)

11.3.1 Parete elastica (o Dominio elastico)

Si definisce parete elastica (o dominio elastico) nello spazio p’-q-v una superficie cilin-drica avente come direttrice una linea di scarico-ricarico e come generatrice una retta pa-rallela all'asse q, limitata dalla superficie di stato (Figura 11.32). Un punto appartenente ad una parete elastica può muoversi liberamente su di essa provo-cando solo deformazioni elastiche. Un punto appartenente ad una parete elastica può spostarsi su un'altra parete elastica solo raggiungendo prima la superficie limite e muovendosi anche su di essa. Nel percorso sulla superficie limite si producono deformazioni plastiche (Figura 11.33).

q

p’

CSLSuperficie di Roscoe

Superficie di Hvorslev

Pareteelastica

NCL

URL

v

q

p’

CSL

NCL

A

B

B’

C

C’

vFigura 11.32 - Parete elastica Figura 11.33 - Percorso da una parete e-

lastica ad un’altra parete elastica

Alla luce di quanto detto, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale non drenata (TxCIU) si svolge interamente sul piano non drenato (v = cost), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rap-presentativo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete elastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano non drenato e la parete elastica (Figura 11.34). Tale segmento nel piano p’-q è verticale, e quindi, non variando p’, non variano i parame-tri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico lineare. Analogamente, tenuto conto che il percorso tensionale efficace (ESP) di una prova di compressione triassiale drenata (TxCID) si svolge interamente sul piano drenato

( 3'=

∆∆

pq ), nel caso di provino isotropicamente sovraconsolidato, il cui punto rappresenta-

tivo iniziale è quindi situato su una linea di scarico-ricarico appartenente ad una parete e-

Page 189: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

189

lastica, la parte iniziale (elastica) del percorso è il segmento intersezione fra il piano dre-nato e la parete elastica (Figura 11.35). Tale segmento nel piano p’-q ha pendenza 3:1, e quindi, variando p’ variano i parametri elastici (K, G) ed il comportamento è elastico non lineare.

q

A

B C

p’

CSLPiano non drenato

Parete elasticaNCLURL

v URL

q

A

B

Cp’ 13

CSL

Piano drenato

NCL

v

Parete elastica

Figura 11.34 - Percorso tensionale efficace in prova TxCIU di un provino di argilla isotropi-camente sovraconsolidato (AB = percorso elasti-co; BC = percorso elasto-plastico)

Figura 11.35 - Percorso tensionale efficace in prova TxCID di un provino di argilla iso-tropicamente sovraconsolidato (AB = percor-so elastico; BC = percorso elasto-plastico)

11.3.2 Curva di plasticizzazione

Nello spazio delle tensioni esiste una curva, detta di curva di plasticizzazione (yield cur-ve), che separa gli stati di tensione che producono risposte elastiche dagli stati di tensione che producono risposte plastiche. Evidenze sperimentali indicano che per i terreni la for-ma della curva di plasticizzazione nello spazio delle tensioni p’-q è approssimativamente ellittica. Nel modello CCM tale curva è rap-presentata da un’ellisse F di equa-zione:

( ) 0'' 2

2'2 =+⋅−=

MqpppF c

(Eq. 11.72) L’asse maggiore dell’ellisse corri-sponde alla pressione di preconso-lidazione p’c, l’asse minore vale

2

'cp

M ⋅ (Figura 11.36).

q

Mc

A

A - Stato di tensione elasticoB - Inizio della plasticizzazioneC - Stato elasto-plastico

BC Curva di plasticizzazione

iniziale

Curva di plasticizzazioneespansa

p’p’ /2c

p’c

Figura 11.36 - Curva di plasticizzazione iniziale e sua espansione in un percorso di carico per compressione

Page 190: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

190

Considereremo nel seguito la curva di plasticizzazione per compressione, e quindi M = Mc, ma analoghi concetti valgono anche per estensione, nel qual caso l’asse minore dell’ellisse è più piccolo (essendo Me < Mc). Se lo stato di tensione di un elemento di terreno è rappresentato da un punto interno alla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto A di Figura 11.36) la risposta del terreno è elastica. Se lo stato di tensione è rappresentato da un punto sulla curva di plasticizzazione iniziale (ad es. punto B) ogni incremento di tensione che comporti un movimento verso l’esterno della curva è accompagnato da deformazioni elasto-plastiche e da un’espansione della su-perficie di plasticizzazione cosicché il punto rappresentativo dello stato di tensione per-mane sulla curva di plasticizzazione (punto C). Se il percorso dal punto C si muove verso l’interno vi saranno deformazioni elastiche, poiché la curva di plasticizzazione si è espan-sa e la regione elastica è divenuta più grande. Alla luce dei concetti espressi sul percorso tensionale efficace di un provino di argilla iso-tropicamente sovraconsolidato (che è inizialmente elastico e che quindi nel tratto iniziale si svolge sulla parete elastica associata alla pressione di preconsolidazione), nonché sulla forma ellittica della curva di plasticizzazione, tali percorsi nelle prove di compressione triassiale standard, secondo il modello Cam Clay Modificato (MCC), sono quelli schema-ticamente rappresentati nelle Figure 11.37, 11.38, 11.39 e 11.40. Se il punto di intersezione tra il percorso tensionale efficace e la curva di plasticizzazione iniziale ha ascissa maggiore di p’c/2 (ovvero è nella metà destra dell’ellisse) si ha, durante la fase di compressione assiale, un’espansione dell’ellisse, se invece il punto di interse-zione ha ascissa minore di p’c/2 (ovvero è nella metà sinistra dell’ellisse) si ha una con-trazione dell’ellisse.

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’ ε1

q

v

qf q

f

c)A

B

C

E

F

D

CB

A

F

p’0

p’f

A AB B

CC

F F

D

E

p’

v

vf

p’c

NCLCSL

ε1

Figura 11.37 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

Page 191: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

191

TSP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’,p ε1

q

qf

qf

c)A

BC

F

u0

F

F

ED

CB

A

p’0

p’f

A

A

BB C F

C DE

p’

v

v = vA f

p’c

NCLCSL

ε1

∆u

Figura 11.38 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla debolmente sovraconsolidato

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’ ε1

q

qf

qc s

c)A

B

C

F

F

F

D

C

B

A

p’0

A

A

B

BC

F

CD

p’

v

p’c

NCLCSL

ε1

εv

p’ /2c

Figura 11.39 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCID su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

Page 192: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

192

Con riferimento alla Figura 11.40, ovvero al comportamento previsto dal modello per una compressione non drenata di un provino di argilla satura fortemente sovraconsolidato, si osserva che il percorso tensionale efficace fino al raggiungimento della curva di plasticiz-zazione, ovvero fino al valore di picco qf della tensione deviatorica è verticale (elastico-lineare). Dunque sostituendo nell’equazione di F a p’ il valore di pressione media efficace iniziale p’0 si ha:

( ) 02

2''

02'

0 =+⋅−Mq

ppp fc (Eq. 11.73)

e risolvendo per qf:

2Rperc21RpMq 0u0'0f >⋅=−⋅⋅= (Eq. 11.74)

TSP

ESP

CSL

13

a) b)

d)

q

p’,p ε1

q

qfq

c s

c)

B

B

C

C

F

F

F

F

D

B

A

C

p’0

A

A

C B

B

C

F

D

p’

v

p’c

NCLCSL

ε1

∆u

∆uc s

∆uc s

∆uf

∆uf

p’ /2c

A u0

Figura 11.40 - Risultati previsti dal modello CCM di una prova TxCIU su un provino di argilla fortemente sovraconsolidato

Page 193: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

193

11.3.3 Il calcolo delle deformazioni

Le deformazioni volumetriche L’incremento di deformazione volumetrica totale dεv può in generale essere scomposto in due parti: la prima elastica (reversibile) dεv

e e la seconda plastica (irreversibile) dεvp:

pv

evv ddd εεε += (Eq. 11.75)

Consideriamo un provino di terreno isotropicamente consolidato in cella triassiale ad una pressione efficace media p’c e quindi decompresso isotropicamente fino alla pressione media efficace p’0, come rappresentato dal percorso tensionale ODA in Figura 11.41. Es-so risulterà sovraconsolidato con rapporto di sovraconsolidazione isotropa:

'0

'

0pp

R c= (Eq. 11.76)

La curva di plasticizzazione iniziale è l’ellisse che ha per asse maggiore il segmento OD. Il provino venga poi sottoposto a compressione assiale drenata (TxCID). Il suo ESP inizia nel punto A ed è rettilineo con pendenza 3:1. Fino a quando il percorso ten-sionale non raggiunge il punto B, e quindi è interno alla curva di plasticizzazione iniziale, il comportamento è elastico. Dal punto B il terreno inizia ad ave-re deformazioni elasto-plastiche. Consideriamo l’incremento di tensione corrispondente al tratto BC dell’ESP. Esso produce un’espansione della superficie di plasticizzazione come mo-strato nella Figura 11.41a. La variazione (negativa) di vo-lume specifico totale del provi-no per tale incremento di ten-sione vale, con riferimento alla Figura 11.41b, vale:

)vv()vv()vv()vv(v BDDEECBC −+−+−=−=∆ (Eq. 11.77) in cui

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅=− '

C

'E

EC pplnvv κ (Eq. 11.78)

ESP

CSL

s

v

pp

p

s

v

q,ε

p’,εA

BC

F

E1

3D

O

dεdε

p’ p’

AB

C

F

D

E

p’

v NCL

CSL

0 c

Figura 11.41 - Determinazione delle deformazioni plastiche

a)

b)

Page 194: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

194

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅=− '

E

'D

DE pplnvv λ (Eq. 11.79)

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅=− '

D

'B

BD pplnvv κ (Eq. 11.80)

La pressione p’E è la pressione efficace media di consolidazione della superficie di plasti-cizzazione espansa. Per passare dall’incremento di volume specifico all’incremento di de-formazione volumetrica si utilizza la relazione: ∆εv = - ∆v/v0. L’incremento di deformazione volumetrica elastica può essere calcolato con la relazione:

'K'pd e

v∆

=ε (Eq. 11.81)

Poiché le costanti elastiche (modulo di deformazione cubica K’, modulo di Young, E’, e modulo di taglio, G) non sono costanti ma proporzionali alla pressione media efficace p’, il valore di K’ da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ nell’intervallo ∆p’, ed è dato dall’equazione:

κ0

'm vp'K ⋅

= (Eq. 11.82)

La parte plastica dell’incremento di deformazione volumetrica si può infine ottenere per differenza:

evv

pv ddd εεε −= (Eq. 11.83)

In condizioni non drenate, essendo zero la deformazione volumetrica totale, risulterà: pv

ev dd εε −= (Eq. 11.84)

Le deformazioni deviatoriche Per determinare le deformazioni deviatoriche si fa l’ipotesi che, per un generico incre-mento di tensione (dp’, dq), l’incremento di deformazione plastica pdε sia un vettore con direzione normale alla curva del potenziale plastico, e che quest’ultima coincida con la curva di plasticizzazione F (ipotesi di normalità – legge di flusso associata) (Figura 11.41). Per determinare la direzione normale alla curva di plasticizzazione si differenzia l’equazione della curva di plasticizzazione F (Eq. 11.72) rispetto alle variabili p’ e q:

02'''2 2' =⋅⋅+⋅−⋅⋅=

MdqqdppdppdF c (Eq. 11.85)

da cui, si ricava la direzione tangente alla curva: ( )

qMpp

dpdq c

⋅⋅⋅−

=2

'2'

2'

(Eq. 11.86)

e quindi la direzione normale alla curva:

( ) 2''22'

Mppq

dqdp

c ⋅−⋅⋅

=− (Eq. 11.87)

L’incremento di deformazione plastica totale pdε ha due componenti: l’incremento di de-formazione volumetrica plastica p

vdε – di cui abbiamo detto come calcolare il valore, e

Page 195: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 11 STATO CRITICO E MODELLO CAM-CLAY MODIFICATO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

195

l’incremento di deformazione deviatorica plastica psdε . Il rapporto fra la componente de-

viatorica e la componente volumetrica è la direzione del vettore incremento di deforma-zione plastica totale, ovvero la direzione normale alla curva di plasticizzazione, dunque:

( )'c

2pv

pS

p'p2Mq2

dd

dq'dp

−⋅⋅

==−εε

da cui

( )p

vc

ps d

ppMqd εε ⋅

−⋅⋅

= '2 '22 (Eq. 11.88)

La componente elastica dell’incremento di deformazione deviatorica può essere calcolata con la teoria dell’elasticità:

G3dqd e

s ⋅=ε (Eq. 11.89)

Per quanto già detto il valore di G da utilizzare è quello che corrisponde al valore medio di p’ ed è dato dall’equazione:

)1(2)21(3 0

'

νκν

+⋅⋅⋅−⋅⋅⋅

=vpG m (Eq. 11.90)

Page 196: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

196

CAPITOLO 12 INDAGINI IN SITO

12.1 Programmazione delle indagini Ogni opera di ingegneria civile interagisce con una parte del sottosuolo, detta volume si-gnificativo. Il comportamento dell’opera dipende, oltre che dai carichi applicati, dalla geometria e dalle proprietà fisico-meccaniche dell’opera e dalle caratteristiche del sottosuolo all’interno del volume significativo. La geometria e le proprietà fisico meccaniche dell’opera sono generalmente dati del pro-blema, noti con buona approssimazione e modificabili in fase di progetto. Ad esempio si può variare lo spessore di un solaio, o la classe di un calcestruzzo, o la pendenza dei fian-chi di un rilevato. Le caratteristiche del volume significativo di sottosuolo sono invece quasi sempre immodificabili e sono tutte da determinare. Lo scopo delle indagini in sito è identificare le condizioni stratigrafiche e di falda all’interno del volume significativo di sottosuolo, e di caratterizzare, congiuntamente con le indagini di laboratorio, il comportamento meccanico delle diverse formazioni presenti. Nella programmazione e interpretazione delle indagini in sito sono di valido aiuto le co-noscenze di geologia, ma ancora più importanti, anzi essenziali, sono le conoscenze inge-gneristiche dell’opera da realizzare. Infatti la progettazione geotecnica passa attraverso la definizione di un modello geotecnico, ovvero di uno schema semplificato della realtà fisi-ca, che concili quanto più possibile variabilità e complessità naturale con procedure e me-todi di calcolo che conducano ad una soluzione quantitativa affidabile, anche se non esat-ta, del problema ingegneristico. Le indagini geotecniche in sito e di laboratorio hanno vantaggi e limiti opposti, e non so-no pertanto alternative ma complementari. Le indagini in sito sono insostituibili per il ri-conoscimento stratigrafico, interessano volumi di terreno molto maggiori, molte di esse consentono di determinare profili pressoché continui con la profondità delle grandezze misurate, sono più rapide ed economiche, sono quasi l’unico mezzo per caratterizzare dal punto di vista meccanico i terreni incoerenti, il cui campionamento “indisturbato” è molto difficile ed economicamente oneroso. Di contro le condizioni al contorno sono difficil-mente individuabili e incerte, la modellazione della prova è spesso incerta e schematica per cui l’interpretazione è talvolta affidata a relazioni empiriche o semi-empiriche. Per ot-tenere dai valori delle grandezze misurate con prove in sito i valori numerici dei parametri geotecnici utili nella progettazione, si utilizzano correlazioni, che a seconda della prova possono essere: - correlazioni primarie, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della

prova utilizzando una solida base teorica con poche ipotesi da verificare (ad es. la sti-ma di G0 da misure di VS);

- correlazioni secondarie, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della prova utilizzando una base teorica, ma con approssimazioni e ipotesi sostanziali, e in genere con parametri intermedi (ad es. la stima di cu da qc);

- correlazioni empiriche, con cui il parametro geotecnico è ottenuto dal risultato della prova senza giustificazione teorica (ad es. la stima di qlim di fondazioni su sabbia da NSPT).

Page 197: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

197

Al contrario le prove di laboratorio hanno condizioni al contorno (di carico, di vincolo, di drenaggio), ben definite e controllabili, ed i risultati possono essere interpretati con mo-delli matematici appropriati, ma i campioni possono non essere rappresentativi delle reali condizioni in sito, sia a causa della variabilità intrinseca del terreno naturale, sia per l’inevitabile disturbo di campionamento. Le indagini geotecniche vanno condotte su quella parte di sottosuolo che verrà influenza-ta dalla costruzione dell’opera o che ne influenzerà il comportamento (ovvero sul volume significativo). A titolo indicativo, nella Figura 12.1, tratta dalle “Raccomandazioni sulla programmazione ed esecuzione delle indagini geotecniche” dell’Associazione Geotecnica Italiana (AGI, 1977), è rappresentata l’estensione del volume significativo per le più fre-quenti opere geotecniche nel caso di terreno omogeneo. Il grado di approfondimento dell’indagine geotecnica nel volume significativo del sotto-suolo dipende dalla fase di progettazione (di fattibilità, definitiva o esecutiva), dalla com-plessità delle condizioni stratigrafiche e geotecniche, e dall’importanza dell’opera. Secondo l’Eurocodice per l’ingegneria geotecnica (EC7) le opere da realizzare possono essere classificate in tre categorie geotecniche (GC) di importanza crescente (Tabella 12.1), cui ovviamente corrispondono gradi di approfondimento crescenti dell’indagine geotecnica.

Tabella 12.1 - Categorie geotecniche secondo l’Eurocodice EC7

GC1

Strutture semplici caratterizzate da rischi molto limitati Esempi: - fabbricati di piccole dimensioni con carichi massimi alla base dei pilastri di 25,5kN o

distribuiti alla base di murature di 10kN/m, - muri di sostegno o scavi sbatacchiati di altezza non superiore a 2m,

scavi di piccole dimensioni per drenaggi o posa di fognature, etc..

GC2

Tutti i tipi di strutture e fondazioni convenzionali che non presentano particolari rischi. Esempi: - fondazioni superficiali, - fondazioni a platea, - pali, - opere di sostegno delle terre o delle acque, - scavi, - pile di ponti, - rilevati e opere in terra, - ancoraggi e sistemi di tiranti, - gallerie in rocce dure, non fratturate e non soggette a carichi idraulici elevati

GC3 Strutture di grandi dimensioni, strutture che presentano rischi elevati, strutture che inte-ressano terreni difficili o soggette a particolari condizioni di carico, strutture in zone al-tamente sismiche

Per le opere di categoria GC1 che ricadono in zone note, con terreni di fondazione relati-vamente omogenei e di buone caratteristiche geotecniche, ove già esistono strutture ana-loghe che hanno dato buona prova di sé, etc.., l’indagine può essere limitata alla raccolta delle informazioni esistenti, e la relazione geotecnica (sempre necessaria) può giustificare le scelte progettuali su base comparativa, per esperienza e similitudine. Al contrario per opere di categoria GC3 occorre un piano di indagine molto approfondito e dettagliato, curato da specialisti del settore, che si estenda nel tempo (prima, durante e

Page 198: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

198

dopo la realizzazione dell’opera), comprendente prove speciali, da affidare a ditte o enti altamente qualificati, mirate all’analisi dei problemi specifici e particolari dell’opera in progetto.

Figura 12.1 - Indicazioni sul volume significativo del sottosuolo a seconda del tipo e delle dimen-sioni del manufatto, nel caso di terreno omogeneo

In questa sede ci limitiamo a considerare le indagini geotecniche per opere di categoria GC2. Per identificare le condizioni stratigrafiche del sottosuolo all’interno del volume significa-tivo, possono essere eseguite prove geofisiche (la cui trattazione è argomento di altri cor-

Page 199: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

199

si), scavi, trincee, sondaggi e prove continue (o quasi) lungo verticali di esplorazione (ad esempio prove CPT, DMT etc..). Scavi e trincee di esplorazione hanno il vantaggio di mettere in luce ampie sezioni verti-cali del sottosuolo, e quindi consentono una descrizione di dettaglio della successione stratigrafica ed il prelievo di campioni anche di grandi dimensioni con minimo disturbo. Il loro maggiore limite consiste nella modesta profondità di indagine. I sondaggi stratigrafici e geotecnici consentono di verificare direttamente la successione stratigrafica lungo una verticale di esplorazione, di prelevare campioni per le analisi di la-boratorio, e di eseguire prove meccaniche e idrauliche a fondo foro, durante la perfora-zione. Le prove continue (o quasi) lungo verticali di esplorazione consentono di identificare la successione stratigrafica e di stimare alcune proprietà geotecniche in modo indiretto me-diante correlazioni con le grandezze misurate. Dunque, nella maggior parte dei casi, le informazioni raccolte con le indagini geotecniche sulla successione stratigrafica e sulle proprietà meccaniche e idrauliche dei terreni presen-ti nel sottosuolo si riferiscono a verticali di esplorazione. Poiché lo scopo delle indagini è definire le caratteristiche del sottosuolo all’interno del volume significativo, il numero, la profondità, e la disposizione planimetrica delle verti-cali di esplorazione devono essere stabiliti in base alla forma e all’estensione del volume significativo, ed al grado di dettaglio richiesto.Ad esempio, se l’indagine è finalizzata alla costruzione di un edificio con dimensioni in pianta paragonabili, lo spessore e la profon-dità degli strati nel volume significativo possono essere stimati con un minimo di tre ver-ticali di esplorazione, facendo l’ipotesi che le superfici di separazione fra gli strati siano piane e contengano i punti di separazione individuati nelle tre verticali. Almeno una delle tre verticali di esplorazione dovrebbe essere un sondaggio. La densità e la qualità dell’indagine devono tener conto, oltre che della categoria geotec-nica dell’opera in progetto, della complessità e variabilità del terreno di fondazione e del rapporto costi/benefici. Un’indagine estesa e approfondita, che consenta di definire un modello geotecnico affidabile, può giustificare scelte di progetto più “coraggiose” ed e-

conomiche. Viceversa se i dati di progetto sono poco affidabili o incerti, anche le soluzioni tendono ad essere più “prudenti” e con-servative, e quindi più costo-se. Il concetto di livello di appro-fondimento ottimo della inda-gine geotecnica è schemati-camente illustrato in Figura 12.2. In Tabella 12.2 sono orienta-tivamente indicati numero minimo e distanza fra vertica-li di esplorazione per diffe-renti tipologie di opere.

Approfondimento dell'indagine geotecnica

Cos

ti

Costo dell'indagine

Costo di costruzione

Costo totale

Minimo costo totale

Livello di approfondimento ottimo

Figura 12.2 - Scelta del livello di approfondimento dell’indagine geotecnica su base economica

Page 200: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

200

Tabella 12.2 - Ampiezza orientativa dell’indagine geotecnica

Tipo di opera Distanza fra i sondaggi (m) Stratificazione

Uniforme Media Caotica

Numero minimo di verticali di esplorazione

Edificio di 1÷2 piani 60 30 15 3 Edificio a molti piani 45 30 15 4 Pile e spalle di ponti, torri - 30 12 1÷2 per ciascuna fondazione Strade 300 150 30 - Gallerie: progetto di massima progetto esecutivo

500 100

300 50

- -

-

I mezzi di indagine in sito per la caratterizzazione del volume significativo di sottosuolo, sono molti e di diversa complessità. In questa sede illustreremo soltanto i mezzi di indagine più diffusi in Italia, comunemente impiegati per la progettazione di opere di categoria GC2. Essi sono:

− le perforazioni di sondaggio, − le prove SPT (Standard Penetration Test), − le prove penetrometriche statiche (CPT), − le prove con piezocono (CPTU), − le prove dilatometriche (DMT).

12.2 Perforazioni di sondaggio Per sondaggio stratigrafico si intende una perforazione del terreno, in genere in direzione verticale, che consente di riconoscere la successione stratigrafica, mediante l’esame visi-vo e l’esecuzione di alcune prove di riconoscimento sul materiale estratto. Se la perfora-zione permette, oltre al riconoscimento stratigrafico, anche il prelievo di campioni “indi-sturbati” di terreno e l’esecuzione di prove in foro per la determinazione delle proprietà geotecniche dei terreni in sede, il sondaggio è detto geotecnico. Durante la perforazione è possibile installare apparecchi di misura quali piezometri, assestimetri, inclinometri, etc.. Con le perforazioni di sondaggio è possibile attraversare qualunque tipo di terreno, anche a grande profondità e sotto falda, ed eseguire indagini anche sotto il fondo di fiumi o del mare. Esistono diverse tecniche di perforazione:

− a percussione, − a rotazione, − con trivelle ad elica.

Le caratteristiche dell’attrezzatura e il campo ottimale di applicazione per ciascuna tecni-ca sono riassunte nella Tabella 12.3. Se lo scopo della perforazione è solo quello di raggiungere una data profondità, ad esem-pio per installare uno strumento di misura, e non interessa il riconoscimento stratigrafico o il prelievo di campioni rappresentativi, il sondaggio è detto a distruzione.

Page 201: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

201

Tabella 12.3 - Tecniche di perforazione

Metodo di perforazione

Utensile di perforazione

Diametro usuale (mm)

Profondità usuale

(m)

Idoneità per tipo di terreno

Non idonei-tà per tipo di terreno

Qualità dei campioni otte-nibili diretta-mente con gli usuali attrezzi

di perforazione

Classe di qualità cor-rispondente

Sonda a valvola 150-600 60 Ghiaia, sabbia, limo

Terre coesi-ve tenere o

molto consi-stenti

Disturbati, dilavati Q1 (Q2)

Percussione

Scalpello 150-600 60 Tutti i terreni fino a rocce di media resistenza

Rocce con resistenza

alta o molto alta

Fortemente disturbati, dilavati e frantumati

Q1

Trivella Spirale a vite senza fine

Manuale 50-150

Meccanica 100-300

Manuale 10

Meccanica

40

Sopra falda: da coesivi a poco coesivi

Sotto falda: coesivi

Terre a gra-na grossa,

roccia

Disturbati, a volte dilavati

sotto falda Q1 (Q2-Q3)

Tubo carotiere semplice 75-100 50-150 Generalmente discreta

Tubo carotiere doppio 75-150 50-150 Generalmente buona

Rotazione Scalpelli a distruzione,

triconi, etc.. attrezzatura rotary

60-300 Praticamente illimitata

Tutti i terreni escluse terre a grana grossa

Terre a gra-na grossa

(ghiaie, ciot-toli, etc..)

Non si ottengo-no campioni ma

piccoli fram-menti di mate-

riale

A secco Q2 (Q3)

Con circola-zione di ac-qua o fango

Q1 (Q2) Q2 (Q3-Q4)

Page 202: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

202

Se invece si vuole identificare in det-taglio la successione stratigrafica oc-corre eseguire una perforazione di sondaggio a carotaggio continuo (Figura 12.3). Le carote estratte nel corso del sondaggio sono sistemate in apposite cassette catalogatrici (in le-gno, metallo o plastica), munite di scomparti divisori e coperchio apribi-le a cerniera. Le cassette devono es-sere conservate, per tutto il tempo necessario, al riparo dagli agenti at-mosferici. La tecnica di perforazione attualmen-te più utilizzata per i sondaggi a caro-taggio continuo è a rotazione. Il ter-reno è perforato da un utensile spinto e fatto ruotare mediante una batteria di aste. L’utensile di perforazione è un tubo d’acciaio (carotiere) munito all’estremità di una corona tagliente di materiale adeguato. Per evitare che il terreno campionato venga a contat-to con la parte rotante e sia almeno parzialmente protetto dal dilavamento del fluido di circolazione, il cui impiego si rende talvolta necessario per l’esecuzione del foro, possono utilizzarsi carotieri a parete doppia, di cui solo quella esterna ruota. Il diametro dei fori di sondaggio è in genere compreso tra 75 e 150mm. Per assicurare la stabilità della parete e del fondo del foro, ove necessario, si utilizza una batteria di tubi di rivestimento oppure un fluido costituito in genere da una miscela di ac-qua con una percentuale del 3÷5% di bentonite (fango bentonitico). La bentonite è un’argilla di origine vulcanica molto plastica (IP = 50÷100). Il fango bentonitico è caratte-rizzato da un peso di volume di poco superiore a quello dell’acqua e da tixotropia, ovvero da una viscosità molto elevata in stato di quiete e molto minore in stato di moto. Tali ca-ratteristiche rendono il fango bentonitico particolarmente adatto non solo a sostenere le pareti e il fondo degli scavi durante l’esecuzione, ad esempio, di pali trivellati e di dia-frammi ma anche a svolgere una funzione di trasporto del materiale scavato. Mantenendo il livello del fango superiore a quello della falda si impedisce l’entrata dell’acqua nel foro e se ne assicura la stabilità. Tuttavia sulla superficie del foro viene a formarsi una pellico-la impermeabile che non consente l’esecuzione di prove di permeabilità e di misure pie-zometriche. I risultati di una perforazione di sondaggio vengono riportati in una scheda stratigrafica ove, oltre ai dati generali relativi al cantiere e alle attrezzature impiegate, è rappresentata graficamente la successione degli strati con la descrizione di ciascuno di essi, la profondi-tà della falda, la profondità dei campioni estratti, la profondità ed i risultati delle prove e-seguite nel corso della perforazione, etc.. Un esempio di scheda stratigrafica è riportato in Figura 12.4.

Figura 12.3 – Sondaggio a carotaggio continuo

Page 203: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

203

Figura 12.4 - Esempio di scheda stratigrafica

Page 204: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

204

I campioni estratti durante la perforazione possono avere diverso grado di disturbo in fun-zione sia della tecnica e degli strumenti utilizzati per il prelievo, sia della natura del terre-no stesso. In particolare con gli usuali mezzi e tecniche di prelievo non è possibile estrarre campioni “indisturbati” di terreno incoerente. Le principali cause di disturbo derivano dall’esecuzione del sondaggio (disturbo prodotto dalla sonda o dall’attrezzo di perforazione)1, dall’infissione ed estrazione del campionato-re, e dalla variazione dello stato tensionale. Nei provini sottoposti a prove di laboratorio, ulteriori cause di disturbo derivano dal trasporto e dalla non perfetta conservazione del campione, dalle operazioni di estrusione del campione dalla fustella, dalla cavitazione e ridistribuzione del contenuto in acqua, dalle operazioni di formazione del provino (ad e-sempio al tornio) e dal montaggio nell’apparecchiatura di prova. Per i campioni di terreno si distinguono 5 classi di qualità, crescente da Q1 a Q5 (Tabella 12.4), ottenibili con campionatori e terreni di tipo diverso (Tabella 12.5). I campioni ri-maneggiati (di qualità Q1 e Q2) sono ottenibili con i normali utensili di perforazione. I campioni a disturbo limitato o indisturbati (Q4 e Q5) sono ottenibili con utensili appro-priati, scelti in relazione alle esigenze del problema ed alle caratteristiche del terreno.

Tabella 12.4: Classi di qualità dei campioni Caratteristiche geotecniche determinabili Grado di qualità

Q1 Q2 Q3 Q4 Q5 a) profilo stratigrafico X X X X X b) composizione granulometrica X X X X c) contenuto d’acqua naturale X X X d) peso di volume X X e) caratteristiche meccaniche (resistenza, deformabilità, etc..) X

campioni disturbati o rimaneggiati

disturbo limitato

indistur-bati

Tabella 12.5: Classi di qualità dei campioni ottenibili con campionatori di tipo diverso A) Campionatore pesante infisso a percussione B) Campionatore a parete sottile infisso a percussione C) Campionatore a parete sottile infisso a pressione D) Campionatore a pistone infisso a pressione E) Campionatore a rotazione a doppia parete con scarpa avanzata

Tipo di campionatore Tipo di terreno A B C D E

a) coesivi poco consistenti Q3 Q4 Q5 b) coesivi moderatamente consistenti o consistenti Q3 (4) Q4 Q5 Q5 c) coesivi molto consistenti Q2 (3) Q3 (4) Q5 d) sabbie fini al di sopra della falda Q2 Q3 Q3 Q3 (4) e) sabbie fini in falda Q1 Q2 Q2 Q2 (3)

Q5

N.B. Si indicano tra parentesi le classi di qualità Q raggiungibili con campionamento molto accurato.

1 Per tale motivo i campioni prelevati da fronti di scavo possono presentare un minore grado di disturbo

Page 205: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

205

I campionatori più utilizzati per il prelievo di campioni di buona qualità sono i campiona-tori a parete sottile e a pistone infissi a pressione e il campionatore a rotazione a doppia parete con scarpa avanzata. Il tubo infisso nel terreno per il prelievo, ha lunghezza mini-ma di 600mm e diametro minimo 100mm, è impiegato anche come contenitore e pertanto deve essere di acciaio di buona qualità, inossidabile oppure zincato, o cadmiato o termo-plastificato.

12.3 Prova penetrometrica dinamica S.P.T. La prova penetrometrica dinamica S.P.T. (Standard Penetration Test), ideata negli Stati uniti nel 1927, è la prova in sito più diffusa ed utilizzata in tutto il mondo, sia per la sem-plicità operativa e il basso costo, sia per la vasta letteratura tecnica esistente sull’interpre-tazione dei risultati. La prova consente di determinare la resistenza che un terreno offre alla penetrazione di-namica di un campionatore infisso a partire dal fondo di un foro di sondaggio o di un foro appositamente eseguito con diametro compreso tra 60 e 200mm2, e subordinatamente di prelevare piccoli campioni disturbati del terreno stesso (utilizzati ad esempio per prove di classificazione).

La prova S.P.T. consiste nel far cadere ri-petutamente un maglio, del peso di 63,5 kgf, da un’altezza di 760 mm, su una testa di battuta fissata alla sommità di una batte-ria di aste alla cui estremità inferiore è av-vitato un campionatore di dimensioni stan-dardizzate (Figure 12.5 e 12.6), registrando durante la penetrazione: - il numero di colpi di maglio N1 neces-

sario a produrre l’infissione per i primi 15cm (tratto di avviamento) inclusa l’eventuale penetrazione quasi statica per gravità,

- il numero di colpi di maglio N2 neces-sario a produrre l’infissione per altri 15cm,

- il numero di colpi di maglio N3 neces-sario a produrre l’infissione per ulterio-ri 15cm.

Complessivamente, durante la prova, il campionatore sarà infisso di 15+15+15=45cm.

2 Il diametro del foro dovrebbe essere preferibilmente compreso tra 65 e 115mm. Per diametri maggiori è opportuno moltiplicare il valore misurato dell’indice NSPT per un fattore di correzione pari a 1,05 per diame-tro di perforazione di 150mm e pari a 1,15 per diametro di perforazione di 200mm.

Figura 12.5: Schema della prova S.P.T.

Page 206: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

206

Si assume quale resistenza alla penetrazione il parametro: NSPT = N2 + N3 (Eq. 12.1) Se con N1=50 l’avanzamento è minore di 15cm l’infissione è sospesa e la prova è conclu-sa annotando la relativa penetrazione (ad es. N1=50/13cm). Se con N2 + N3=100 non si raggiunge l’avanzamento di 30cm l’infissione è sospesa e la prova è conclusa annotando la relativa penetrazione.

Figura 12.6: Campionatore per la prova S.P.T. (ASTM D1586-84)

Se la prova è eseguita in terreni molto compatti o ghiaiosi, la scarpa del campionatore SPT può essere sostituita con una punta conica (diametro esterno 51mm, apertura 60°). Se la prove è eseguita sotto falda, il livello di acqua o di fango nel foro deve essere man-tenuto più alto di quello della falda freatica nel terreno per evitare un flusso d’acqua dall’esterno verso l’interno del foro. I risultati della prova S.P.T. sono utilizzati soprattutto per la stima indiretta, mediante cor-relazioni empiriche, della densità relativa e della resistenza al taglio delle sabbie. Meno significative e più incerte sono le correlazioni per la stima della resistenza al taglio non drenata dei terreni a grana fine3. Dato il carattere empirico dei metodi di interpretazione dei risultati della prova S.P.T. è assolutamente necessario seguire in modo scrupoloso la procedura di riferimento per l’esecuzione della prova emessa dall’Associazione Internazionale di Ingegneria Geotecni-ca (ISSMFE, 1988). I risultati della prova sono infatti influenzati dalle caratteristiche del campionatore, dalle dimensioni delle aste, dal sistema di battitura, dalla tecnica di perfo-razione e dalle dimensioni del foro.

12.3.1 Terreni sabbiosi

Stima della densità relativa I metodi di stima della densità relativa attualmente più utilizzati sono: 3 Un importante campo di impiego della prova S.P.T. è la stima della resistenza alla liquefazione dei depo-siti di terreno incoerente sotto falda in condizioni sismiche. L’argomento è trattato nel corso di Ingegneria geotecnica sismica.

Page 207: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

207

- la correlazione di Gibbs e Holtz (1957), valida per sabbie quarzose NC non cementa-te, graficamente rappresentata in Figura 12.7, che corrisponde all’equazione:

2R

a

'0v

SPT Dp

2417N ⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+= (Eq. 12.2)

in cui pa è la pressione atmosferica (pa=100 se σ’v0 è espresso in kPa, pa=1 se σ’v0 è espresso in kgf/cm2),

- la correlazione di Bazaara (1967), più adatta a sabbie sovraconsolidate o costipate in cantiere, graficamente rappresentata in Figura 12.8, che corrisponde all’equazione:

2R

a

'0v

SPT Dp

1,4120N ⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+⋅= per 732,0

pa

'0v ≤

σ

2R

a

'0v

SPT Dp

024,124,320N ⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+⋅= per 732,0

pa

'0v >

σ

(Eq. 12.3)

Figura 12.7 - Stima di DR da NSPT secondo Gibbs e Holtz (1957)

Figura 12.8 - Stima di DR da NSPT secondo Bazaara (1967)

- la correlazione di Marcuson e Bieganousky (1977):

5,0

2

a

'0v

SPTR U50p

754OCR7111600N22275,02,12(%)D⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⋅−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅−⋅−+⋅⋅+= (Eq. 12.4)

in cui OCR è il grado di sovraconsolidazione e U è il coefficiente di uniformità della sab-bia - la correlazione di Skempton (1986):

{

Page 208: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

208

60N

D cor2R =

SPTNcor NCN ⋅=

a

'0v

N

p1

2Cσ

+=

per sabbie fini

a

'0v

N

p2

3Cσ

+=

per sabbie grosse

(Eq. 12.5)

in cui Ncor è il valore corretto dell’indice NSPT per tener conto della pressione litostatica efficace. Stima dell’angolo di resistenza al taglio L’angolo di resistenza al taglio di picco può essere stimato a partire dal valore della densità relativa con le correlazioni proposte da Schmertmann (1977) per differen-ti granulometrie, graficamente rappresentate in Figura 12.9. Correlazioni dirette tra φ’ e NSPT, che evitano le approssimazioni dovute al doppio passaggio, sono (fra le tante): - la correlazione di Peck, Han-

son e Thornburn (1974), ap-prossimabile con la seguente equazione (Wolff, 1989):

( ) 2

corcor N00054,0N3,01,27' ⋅−⋅+=°ϕ (Eq. 12.6)- la correlazione di Schmertmann (1975) graficamente rappresentata in Figura 12.10,

che corrisponde all’equazione (Kulhawy e Mayne, 1980): 34,0

a

'0v

SPT

p3,202,12

Narctan'

⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ σ⋅+

=ϕ (Eq. 12.7)

- la correlazione di Hatanaka e Uchida (1996) graficamente rappresentata in Figura 12.11, che corrisponde all’equazione:

( ) 20N20' cor +⋅=°ϕ (Eq. 12.8)

Figura 12.9 - Stima di φ’ da DR per differenti granulo-metrie secondo Schmertmann (1978)

Page 209: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

209

L’esistenza stessa di molte correlazioni è un chiaro segno delle incertezze e delle appros-simazioni insite nelle procedure empiriche di stima, evidenziate nel grafico di Figura 12.11. Per tale motivo può essere opportuno confrontare i valori stimati con le diverse correlazioni, ed utilizzare come valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio di picco di uno strato di sabbia, la media delle stime, escludendo eventuali valori anomali. Si tenga presente che, poiché il terreno non è omogeneo, i valori di NSPT ottenuti nella stessa formazione possono essere anche sensibilmente diversi fra loro, e che la presenza di ciot-toli e ghiaia può determinare valori di NSPT erratici e inaffidabili.

Ten

sion

ege

osta

tica

effi

cace

, σ’ v

o(k

Pa)

NSPT

Figura 12.10 - Stima di φ’ da NSPT secondo Schmertmann (1975)

Figura 12.11 - Stima di φ’ da NSPT secondo Hatanaka e Uchida (1996)

12.3.2 Terreni a grana fine

Stima della resistenza al taglio non drenata La resistenza al taglio non drenata di un’argilla non sensitiva può essere appros-simativamente stimata dai risultati di prove S.P.T. con la correlazione di Stroud (1974):

in cui f1 è un coefficiente funzione dell’indice di plasticità. f1 ha valori compre-si tra 3,5 e 6,5 kPa, e mediamente vale 4,4 kPa, come mostrato in Figura 12.12, dove è possibile rilevare la dispersione dei dati spe-rimentali su cui si basa la correlazione. Un’altra correlazione per la stima di cu da NSPT è la seguente (Hara et al., 1971):

SPT1u Nfc ⋅= (Eq. 12.9)

Figura 12.12: Correlazione fra NSPT e cu per argille non sensitive secondo Stroud (1974)

Page 210: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

210

( ) 72,0SPTu N29kPac ⋅= (Eq. 12.10)

È stata anche proposta una correlazione per la stima del grado di sovraconsolidazione dell’argilla da prova S.P.T. (Mayne e Kemper, 1988):

689,0

'0v

SPTN193,0OCR ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛σ

⋅= (Eq. 12.11)

con σ’v0 espresso in MPa.

12.4 Prova penetrometrica statica C.P.T. La prova penetrometrica statica C.P.T. (Cone Penetration Test) è un mezzo di indagine molto diffuso in Italia poiché, ad un costo modesto, permette l’identificazione della suc-cessione stratigrafica lungo una verticale, e la stima di molti parametri geotecnici sia in

terreni a grana fine che in terreni a grana grossa (ghiaie escluse). La prova è autoperforante, ovve-ro non richiede l’esecuzione di un foro di sondaggio, e consiste nell’infissione a pressione nel terreno, a partire dal p.c. ed alla velocità costante di 20 mm/sec (con una tolleranza di ±5mm/sec), di una punta conica avente diametro 35,7 mm e an-golo di apertura 60°, collegata al dispositivo di spinta mediante una batteria di tubi. Il contrasto necessario ad infig-gere il penetrometro è di norma ottenuto col peso dell’autocarro, eventualmente zavorrato, su cui

è installata l’attrezzatura (Figura 12.13)4. Il penetrometro statico, ideato in Svezia nel 1917 (anche se comunemente chiamato pene-trometro olandese), ha subito nel tempo modifiche e miglioramenti. Attualmente ne esi-stono due tipi, con caratteristiche geometriche e procedure di prova normate a livello in-ternazionale (ISSMFE, 1989): a) il penetrometro meccanico con manicotto d’attrito, e b) il penetrometro elettrico. Nei penetrometri meccanici con manicotto d’attrito la punta conica è solidale con una batteria di aste coassiali ad una tubazione di rivestimento. La parte finale, ovvero più prossima alla punta, della tubazione di rivestimento è mobile, e costituisce il manicotto di attrito. 4 Talvolta il contrasto è realizzato con un telaio ancorato al terreno con delle grosse viti.

Figura 12.13: Penetrometro statico installato su camion

Page 211: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

211

In Figura 12.14 sono rappresentate la punta di un penetrometro meccanico con manicotto d’attrito e le posizioni che assume durante l’infissione. 1) Inizialmente, esercitando una forza F1 sulle aste interne collegate alla punta, si fa avan-zare a velocità costante la sola punta per una lunghezza di 40 mm. L’area della punta è: Ap = (π 3,57 2)/4 = 10 cm2 e la pressione media alla punta durante l’avanzamento (resistenza di punta) vale: qc = F1/Ap. 2) Al termine della corsa di 40mm, viene agganciato il manicotto d’attrito, che ha una su-perficie laterale: As = 150 cm2 e si continua a far avanzare la punta a velocità costante per altri 40 mm (che nella pene-trazione si trascina dietro il manicotto). Se si indica con F2 la forza necessaria a fare avanzare il penetrometro in questa seconda fase, e se si fa l’ipotesi che la resistenza di punta non sia variata rispetto al tratto prece-dente, è possibile calcolare la tensione tangenziale media lungo la superficie del manicot-to (resistenza laterale locale) con la relazione: fs = (F2-F1)/As. 3) In una terza fase la spinta viene applicata alle aste esterne che, a punta ferma, raggiun-gono prima il manicotto e poi la punta, e infine fanno avanzare l’intero sistema.

Figura 12.14: Punta di un penetrometro meccanico con manicotto d’attrito (punta Begemann) (a) e posizioni assunte durante l’infissione (b)

Page 212: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

212

Le operazioni sopradescritte sono ripetute ogni 20cm. I risultati della prova sono rap-presentati in grafici (e tabelle) aventi in ordinata la profondità e in ascissa le misure di qc e di fs ogni 20cm (Figura 12.15). Il penetrometro meccanico è uno strumento semplice e robusto, che può operare in un campo di terreni che va dalle argille alle sabbie grosse, fino a profondità dell’ordine di 40m e oltre. I suoi principali limiti derivano dal fatto che le resistenze alla penetrazione sono dedotte da misure di forza eseguite in su-

perficie, e quindi sono affette da errori dovuti al peso proprio e alla deformabilità delle a-ste, ed agli attriti tra le varie parti dell’attrezzatura. Inoltre la profondità delle misure è de-sunta dalla lunghezza delle aste e quindi soggetta ad errori derivanti dalla deviazione dalla verticale (Figura 12.16). Infine le misure di resistenza alla punta, qc, e di attrito laterale locale, fs, non sono indipendenti fra loro e si riferiscono a profondità leggermente diverse, per cui la presenza di terreni fittamente stratificati può condurre a errori di stima. Il penetrometro elettrico è la naturale evoluzione del penetrometro meccanico (Figura 12.17).

Figura 12.16: Effetto della deviazione dalla verticale sul profilo della resistenza di punta di un penetrometro meccanico

Figura 12.17: Punta del penetrometro elettrico

Figura 12.15: Esempio di rappresentazione dei risultati di una prova CPT

Page 213: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

213

Nel penetrometro elettrico le misure di pressione alla punta e di tensione laterale locale sono eseguite localmente ed in modo fra loro indipendente con trasduttori elettrici che in-viano un segnale alla centralina posta in superficie. Un inclinometro alloggiato nelle aste permette di misurare la deviazione dalla verticale e di correggerne gli errori conseguenti. La frequenza delle misure può essere anche molto ridotta, tipicamente ogni 2-5cm, e i dati sono direttamente acquisiti in forma numerica e rappresentati graficamente anche durante l’esecuzione della prova. I limiti del penetrome-tro a punta elettrica risiedono nel maggiore costo dello strumento, e negli errori derivanti dalle componenti elettroniche (non linearità e isteresi delle celle di pressione, sensibilità alle variazioni di temperatura, calibrazione).

12.5 Interpretazione dei risultati di prove C.P.T L’analisi dei risultati di prove C.P.T. consente in primo luogo il riconoscimento litologico dei terreni attraversati e la ricostruzione della successione stratigrafica. Questa prima fase interpretativa è essenziale e necessaria per ogni ulteriore interpretazio-ne geotecnica. Infatti durante la prova vengono misurate le resistenze di punta e di attrito laterale opposte dal terreno nelle condizioni di rottura determinate dalla penetrazione del-lo strumento con una velocità imposta e costante di 2 cm/sec. A seconda della permeabili-tà del terreno attraversato la rottura avviene in condizioni drenate o non drenate. Pertanto il modello interpretativo del fenomeno della rottura è condizionato dal tipo di terreno cui si riferiscono i dati di resistenza misurati.

12.5.1 Riconoscimento stratigrafico

La resistenza penetrometrica di punta offerta da un terreno sabbioso è, di norma, netta-mente superiore alla resistenza offerta da terreni argillosi di media e bassa consistenza. Pertanto molte volte il solo esame del profilo di qc può dare una prima idea della succes-sione stratigrafica5. Tuttavia le migliori correlazioni proposte per l’individuazione della natura del terreno attraversato fanno uso, oltre che della resistenza di punta, qc, anche del-la resistenza d’attrito laterale, fs. In particolare la carta di classificazione più accreditata per il penetrometro statico mecca-nico è quella di Schmertmann (1978), rappresentata in Figura 12.18, che ha in ascissa il rapporto adimensionale:

100qf

Rc

sf ⋅= (Eq. 12.12)

detto rapporto d’attrito o di frizione o delle resistenze, in scala naturale, ed in ordinata la resistenza di punta qc [FL-2] in scala logaritmica Per il penetrometro elettrico si può fare riferimento alla carta di Robertson (1990), rappre-sentata in Figura 12.19, che ha in ascissa il rapporto d’attrito normalizzato:

100q

fF

0vc

s ⋅−

(Eq. 12.13)

5 In effetti i penetrometri statici di prima generazione, ormai non più in uso, non avevano il manicotto d’attrito e veniva misurata solo la resistenza di punta.

Page 214: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

214

e in ordinata la resistenza di punta normalizzata:

'0v

0vcqQ

σσ−

= (Eq. 12.14)

entrambe le variabili in scala logaritmica.

Figura 12.18: Carta di classificazione per il penetrometro statico meccanico (Schmertmann, 1978) I campi in cui è diviso il grafico di Figura 12.19 sono contraddistinti da numeri cui corri-spondono i seguenti tipi di terreno:

1. Terreno sensitivo a grana fine. 2. Terreno organico, torba. 3. Argille. Da argille ad argille limose. 4. Limi. Da limi argillosi a argille limose. 5. Sabbie. Da sabbie limose a limi sabbiosi. 6. Sabbie. Da sabbie pulite a sabbie limose. 7. Da sabbie ghiaiose a sabbie. 8. Da sabbie molto dense a sabbie argillose fortemente sovraconsolidate o cementate. 9. Materiali fini granulari molto duri, fortemente sovraconsolidati o cementati.

È opportuno che l’interpretazione stratigrafica delle prove CPT sia avvalorata dal con-fronto con profili stratigrafici direttamente ottenuti mediante sondaggi eseguiti nell’area di indagine.

Page 215: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

215

Figura 12.19: Carta di classificazione per il penetrometro statico elettrico (Robertson, 1990)

12.5.2 Interpretazione di prove CPT in terreni sabbiosi

L’avanzamento del penetrometro statico in terreni sabbiosi avviene generalmente6 in con-dizioni drenate, ed è quindi possibile interpretarne i risultati in termini di tensioni efficaci. Per la stima dei parametri geotecnici dei terreni sabbiosi si utilizza comunemente la densi-tà relativa, come parametro intermedio, sebbene sia stato dimostrato che anche la com-pressibilità della sabbia (che dipende dalla mineralogia) e lo stato di tensione in sito (che dipende dalla profondità, dal rapporto di sovraconsolidazione e dall’età del deposito) sia-no fattori molto influenti sulla resistenza penetrometrica di punta. Le correlazioni fra resistenza penetrometrica e densità relativa dei terreni sabbiosi sono state studiate con prove di laboratorio in camera di calibrazione7. Una delle correlazioni più note e utilizzate, valida per sabbie silicee, non cementate, di re-cente deposizione, normalmente consolidate, è la seguente:

( ) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⋅+−= 5,0'

0

log6698v

cr

qD

σ (Eq. 12.15)

6 In sabbie fini e/o limose molto addensate possono talora crearsi sovrapressioni interstiziali negative per effetto della dilatanza 7 La camera di calibrazione è un’apparecchiatura di laboratorio molto costosa e sofisticata che consiste in una cella triassiale di grandi dimensioni, in cui è possibile eseguire prove geotecniche in sito di vario tipo, con strumenti in vera grandezza e in condizioni al contorno controllate.

Page 216: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

216

con qc e σ’v0 espressi in t/m2 (1 t/m2 ≅ 10 kPa). L’equazione 12.15 (Jamiolkowski et al., 1985) è rappresentata in Figura 12.20, ove è evidenziata l’influenza della compressibilità, che può condurre ad un errore di +/-12% sulla stima della densità relativa.

Un’altra correlazione, più generale, è la se-guente (Baldi et al., 1986):

in cui C0, C1 e C2 sono costanti, qc è la resistenza penetrometrica di punta (espressa in kPa), e σ’ (espressa anch’essa in kPa) è la tensione efficace (verticale o media) alla profondità della misura. In particolare per sabbie silicee moderata-mente compressibili, normalmente consoli-date, di recente deposizione e non cementa-

te, per le quali di assume K0=0,45, le costanti valgono:

e la tensione efficace di riferimento è quella verticale (σ’ = σ’v0). Per sabbie sovraconsolidate, per le quali occorre stimare preventivamente K0, le costanti valgono:

e la tensione efficace di riferimento è quella media (σ’ = σ’m = (σ’v0 + 2 σ’h0)/3). Le due relazioni derivate dall’Eq. 12.16 sono graficamente rappresentate nelle Figure 12.21 e 12.22.

Figura 12.21 - Stima della densità relativa con l’Eq. 12.16 (terreni NC)

Figura 12.22 - Stima della densità relativa con l’Eq. 12.16 (terreni OC)

Figura 12.20 - Stima della densità relativa con l’Eq. 12.14

( ) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⋅⋅=

1'02

ln1C

cr

C

qC

(Eq. 12.16)

C0=157 C1=0,55 C2=2,41

C0=181 C1=0,55 C2=2,61

Page 217: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

217

Dopo avere stimato la densità re-lativa della sabbia, Dr, l’angolo di resistenza al taglio di picco, φ’, può essere stimato con le correla-zioni proposte da Schmertmann (1977) per differenti granulome-trie, graficamente rappresentate in Figura 12.7. Una correlazione diretta tra qc, σ’v0 e l’angolo di resistenza al taglio di picco, φ’, valida per sabbie quarzose non cementate è mostrata in Figura 12.23 (Rober-tson e Campanella, 1983), ed è ben rappresentata dall’equazione:

⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+= '

0

log38,01,0arctan'v

cqσ

ϕ

(Eq. 12.17) Poiché la prova CPT misura la re-sistenza a rottura del terreno, le correlazioni per la stima della ri-gidezza del terreno a bassi livelli di deformazione dai risultati di tale tipo di prova hanno necessariamente carattere empirico. Una semplice correlazione fra la resistenza penetrometrica di punta, qc, ed il modulo di Young secante, drenato, per un livello di sforzo mobilitato pari al 25% di quello a rottura, ovvero per condizioni di e-sercizio con coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura pari a 4, valida per sabbie quar-zose NC non cementate, è la seguente (Robertson e Campanella, 1983):

cqE ⋅= 225 (Eq. 12.18)

12.5.3 Interpretazione di prove CPT in terreni a grana fine

L’avanzamento del penetrometro statico in terreni a grana fine saturi avviene in condizio-ni non drenate. Una stima della resistenza al taglio non drenata, cu, della pressione di consolidazione, σ’c, e del grado di sovraconsolidazione, OCR, di terreni argillosi può essere eseguita con le seguenti equazioni (Mayne e Kemper, 1988):

K

vcu N

qc 0σ−

= (Eq. 12.19)

NK= 15 per penetrometro elettrico NK = 20 per penetrometro meccanico in cui σv0 è la tensione geostatica verticale totale alla profondità della misura di qc.

Figura 12.23 - Correlazione diretta tra qc, σ’v0 e φ’ (Ro-bertson e Campanella, 1983)

Ten

sion

ege

osta

tica

effi

cace

, σ’ v

o(k

Pa)

Resistenza alla punta, qc (MPa)

Page 218: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

218

( ) 96,0' 243,0 cc q⋅=σ (Eq. 12.20)

in cui σ’c e qc sono espressi in MPa.

01,1

'0

037,0 ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ −⋅=

v

vcqOCR

σσ

(Eq. 12.21)

in cui σ'v0 è la tensione geostatica verticale efficace alla profondità della misura di qc. Il modulo edometrico, M, ovvero il modulo di deformazione in condizioni di espansione laterale impedita, può essere approssimativamente stimato con la relazione (Sanglerat, 1972):

cqM ⋅= α (Eq. 12.22)in cui α è un coefficiente i cui valori sono indicati in Tabella 12.6

Tabella 12.6: Stima del modulo edometrico di terreni a grana fine da prova CPT

cc

v

v

qC

em

M ⋅=⋅+⋅

== ασ ')1(3,21

qc < 0,7 MPa 3 < α < 8 0,7 < qc < 2,0 MPa 2 < α < 5 Argille di bassa plasticità (CL)

qc > 2,0 MPa 1 < α < 2,5 qc < 2,0 MPa 3 < α < 6 Limi di bassa plasticità (ML) qc > 2,0 MPa 1 < α < 3

Argille e limi di elevata plasticità (CH, MH) qc < 2,0 MPa 2 < α < 6

Limi organici (OL) qc < 1,2 MPa 2 < α < 8 qc < 0,7 MPa 50 < w* < 100 1,5 < α < 4 100 < w < 200 1 < α < 1,5 Torbe e argille organiche (Pt, OH)

w > 200 0,4 < α < 1 *w = contenuto in acqua (%)

12.6 Prova con piezocono (C.P.T.U.) Il piezocono è un penetrometro statico a punta elettrica dotato di un elemento poroso di ceramica fine o di acciaio, detto filtro, di norma posizionato alla base della punta conica, che permette di misurare e registrare oltre ai parametri di resistenza alla penetrazione, qc ed fs, anche la pressione interstiziale, u2

8, sia durante l’avanzamento che a penetrometro fermo (Figura 12.24). La misura corretta della pressione u2 è condizionata dalla completa saturazione del filtro.

8 La pressione interstiziale misurata con il piezocono si indica con il simbolo u1, u2 o u3 a seconda della po-sizione del filtro. Se il filtro è posizionato alla base del cono, come è più frequente, la pressione interstiziale è indicata con il simbolo u2.

Page 219: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

219

La possibilità di misurare la pressio-ne interstiziale ha considerevolmen-te aumentato la capacità interpretati-va della prova nei terreni saturi sotto falda. Infatti durante la penetrazione alla velocità di 2cm/sec, nei terreni sabbiosi e permeabili la rottura av-viene in condizioni drenate, senza sensibili variazioni della pressione interstiziale, e quindi la pressione misurata dal piezometro coincide con quella in sito (u2 = u0), mentre nei terreni a grana fine e poco per-meabili, si generano sovrapressioni interstiziali, ∆u, e quindi viene misu-rata la pressione u2 = u0 + ∆u Poiché inoltre la sensibilità dello strumento alla variazione delle pres-sioni interstiziali è molto alta in quanto non risente di effetti di scala, è possibile identificare anche sottili livelli di terreno a permeabilità dif-ferente, la cui presenza può essere decisiva nella stima dei tempi di consolidazione. In Figura 12.25 sono rappresentati i profili delle misure eseguite durante una prova con piezocono.

Per l’interpretazione della prova occorre utilizzare la resistenza di punta corretta, qt, che tiene conto della differenza tra l’area della punta, Ac, e l’area della parte del cono che agi-sce direttamente sulla cella di carico, An. Il valore di qt è dato dall’equazione:

)a1(uqq 2ct −⋅+= (Eq. 12.23)con a = An/Ac. Il valore del rapporto delle aree, a, si determina sperimentalmente per ogni piezocono ed è in genere compreso tra 0,55 e 0,9. Si definisce rapporto delle pressioni interstiziali il parametro:

0vtq q

uBσ−

∆=

(Eq. 12.24)

in cui σv0 rappresenta la tensione verticale totale presente in sito. Per l’identificazione litologica ed il riconoscimento stratigrafico dai risultati di prove con piezocono può essere utilizzato il grafico di Figura 12.26 (Robertson, 1990), nel quale i numeri dei campi corrispondono alle descrizioni di Figura 12.19.

Figura 12.24 – Punta di un piezocono

Page 220: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

220

Il piezocono permette l’esecu-zione di prove di dissipazione e quindi la stima delle caratteristi-che di permeabilità e di consoli-dazione del terreno. Infatti, se du-rante la penetrazione in un terreno a grana fine saturo e sotto falda, la punta viene arrestata ad una data profondità, si può registrare la dissipazione della sovrapressione interstiziale nel tempo. Per l’interpretazione della prova di dissipazione con piezocono so-no state suggerite diverse proce-dure. La più utilizzata è la se-guente (Baligh e Levadoux, 1980):

1. Si traccia il grafico speri-mentale della sovrapres-sione interstiziale, norma-lizzata rispetto al suo valo-re iniziale, (∆u(t)/∆u0), in funzione del logaritmo del tempo;

2. Si sovrappone la curva sperimentale con la curva teorica, in cui il rapporto di dis-sipazione, (∆u(t)/∆u0), è posto in funzione di un fattore di tempo adimensionale,

Figura 12.25 – Esempio di profili registrati con piezocono

Figura 12.26 – Carta di classificazione di Robertson per piezocono

Page 221: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

221

2h RtcT ⋅= , ove ch è il coefficiente di consolidazione orizzontale, t il tempo ed R

il raggio delle aste del piezocono. La curva (∆u(t)/∆u0) - T dipende dal tipo di pie-zocono e dalla posizione del filtro. Per il piezocono con angolo di apertura 60° e filtro alla base del cono le coordinate di alcuni punti della curva teorica sono le seguenti:

∆u(t)/∆u0 0,80 0,60 0,50 0,40 0,20 T 0,44 1,90 3,65 6,50 27,0

3. Se le curve sperimentale e teorica sono sovrapponibili, a conferma

dell’applicabilità del metodo, si ricava il tempo corrispondente al grado di dissipa-zione del 50%, t50, e si stima il valore del coefficiente di consolidazione orizzonta-le in condizioni di scarico-ricarico, ovvero per terreno sovraconsolidato, con l’equazione:

50

2

h tR65,3)OC(c ⋅= Eq. (12.25)

4. Se il terreno è normalmente consolidato il coefficiente di consolidazione orizzon-tale può essere stimato con l’equazione:

c

rhh C

C)OC(c)NC(c ⋅= Eq. (12.26)

in cui Cr e Cc sono rispettivamente gli indici di ricompressione e di compressione vergine. In assenza di dati sperimentali si assume Cr/Cc = 0,14.

12.7 Prova dilatometrica D.M.T. Il dilatometro piatto o dilatometro di Marchetti (Figura 12.27) è uno strumento di indagine geotecnica re-lativamente recente, ideato in Italia negli anni ’80, che ha avuto un grande successo internazionale ed è attualmente utilizzato in tutto il mondo. I motivi di tale successo ri-siedono nel fatto che la prova è semplice ed economica, ma permette di stimare, mediante correlazioni empiriche, la litologia attraversata e numerose proprietà geotecniche di resistenza e di deformabilità. La prova consiste nell’infissione a pressione nel terreno, ottenuta utiliz-zando la stessa procedura e lo stesso Figura 12.27 – Dilatometro di Marchetti

Page 222: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

222

dispositivo di spinta del penetrometro statico, di un sistema di aste che termina in una la-ma d’acciaio di forma e dimensioni standardizzate, al cui centro è posizionata una mem-brana piana di forma circolare. Ogni 20 cm di penetrazione lo strumento è arrestato per la determinazione degli indici della prova. Essa consiste nell’immissione, attraverso un cavo pneumatico interno alle a-ste, di un gas in pressione che determina l’espansione della membrana. Si registrano due valori di pressione: la pressione p0, che corrisponde all’inizio dell’espansione della membrana contro il terreno, e la pressione p1 che corrisponde ad uno spostamento del centro della membrana di 1,1mm. I due valori di pressione misurati, p0 e p1, unitamente ai valori di tensione verticale effica-ce, σ’v0, e di pressione interstiziale in sito, u0, alla profondità della prova, consentono di calcolare i seguenti parametri:

Indice del materiale 00

01

uppp

I D −−

= Eq. (12.27)

Indice di tensione orizzontale '0

00

vD

upK

σ−

= Eq. (12.28)

Modulo dilatometrico ( )017,34 ppED −⋅= Eq. (12.29)La classificazione del terreno, la consistenza dei terreni a grana fine e la densità dei terre-ni a grana grossa, si ottengono dal grafico di Figura 12.28, nel quale è riportato in ascissa l’indice del materiale e in ordinata il modulo edometrico. Le correlazioni empiriche proposte da Marchetti per la stima delle proprietà geotecniche sono le seguenti: Coefficiente di spinta a riposo, K0 per ID < 1,2

6,05,1

47,0

,0 −⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛= D

DMTKK (Eq. 12.30)

Grado di sovraconsolidazione, OCR per ID < 1,2

( ) 56,15,0 DDMT KOCR ⋅= (Eq. 12.31) Resistenza al taglio non drenata, cu per ID < 1,2

( ) 25,1', 5,022,0 DvoDMTu Kc ⋅⋅⋅= σ (Eq. 12.32)

Angolo di resistenza al taglio, φ’ per ID > 1,8

DDDMT KK 2log1,2log6,1428' ⋅−⋅+=ϕ (Eq. 12.33)

Page 223: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

223

Figura 12.28 – Carta per il riconoscimento stratigrafico e la classificazione dei terreni con il di-latometro di Marchetti

Modulo edometrico, M

DMDMT ERM ⋅= (Eq. 12.34)

6,0≤DI DM KR log36,214,0 ⋅+= 3≥DI DM KR log25,0 ⋅+=

36,0 << DI ( ) DMMM KRRR log5,2 00 ⋅−+= ( )6,015,014,00 −⋅+= DM IR

se 10>DK DM KR log18,232,0 ⋅+= se 85,0<MR si assume 85,0=MR In Figura 12.29 è mostrato un esempio dei profili dilatometrici interpretati.

Page 224: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 12 INDAGINI IN SITO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

224

Figura 12.29: Esempio di profili dilatometrici interpretati

Con il dilatometro di Marchetti è anche possibile eseguire prove di dissipazione (DMTA) che consentono una stima dei coefficienti di consolidazione orizzontale e di permeabilità orizzontale. Le prove di dissipazione si eseguono a punta dilatometrica ferma, e consistono nella registrazione delle curve di deca-dimento nel tempo della pressione eser-citata dal terreno sulla membrana. Un e-sempio di curva di dissipazione è mo-strato in Figura 12.30. Il tempo corri-spondente al punto di flesso della curva è indicato con il simbolo Tflex. Il coefficiente di consolidazione orizzon-tale è stimato con l’equazione:

flexDMTAh T

cmc2

,7

≅ (Eq. 12.35)

Il coefficiente di permeabilità orizzontale è stimato con l’equazione:

h

whh M

ck

γ⋅≅, DMTh MKM ⋅≅ 0 (Eq. 12.36)

Figura 12.30: Esempio di curva di dissipazione con dilatometro Marchetti

Page 225: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

225

CAPITOLO 13 SPINTA DELLE TERRE

La determinazione della spinta esercitata dal terreno contro un’opera di sostegno è un problema classico di ingegneria geotecnica che, ancora oggi, nonostante l’enorme am-pliamento delle conoscenze, viene affrontato utilizzando due teorie “storiche”, opportu-namente modificate e integrate alla luce del principio delle tensioni efficaci: la teoria di Rankine (1857) e la teoria di Coulomb (1776). Entrambi i metodi assumono superfici di scorrimento piane, ma per effetto dell’attrito fra la parete e il terreno, le reali superfici di scorrimento sono in parte curvilinee, ed risultati che si ottengono applicando i metodi classici, specie per le condizioni di spinta passiva (resistente) sono spesso non cautelativi. È pertanto opportuno riferirsi, almeno per il calcolo della spinta passiva, al metodo di Ca-quot e Kérisel (1948) che è il più noto e applicato metodo fra quelli che assumono super-fici di scorrimento curvilinee.

13.1 Teoria di Rankine (1857) Si consideri un generico punto A alla profondità Z in un depo-sito di terreno incoerente (c’ = 0), omogeneo e asciutto (o co-munque sopra falda), avente pe-so di volume γ costante con la profondità, e delimitato superiormente da una superficie piana e orizzontale (Figura 13.1). Per ragioni di simmetria lo stato tensionale (geostatico) è assial-simmetrico. La pressione inter-stiziale è zero (terreno asciutto), per cui le tensioni totali ed effi-caci coincidono. Nel punto A: - la tensione verticale σ'v0 è staticamente determinata dalla condizione di equilibrio alla

traslazione in direzione verticale, e vale: σ'v0 = γZ; - la tensione orizzontale σ'h0 è eguale in tutte le direzioni, non è staticamente determina-

ta, e vale: σ'h0 = K0 σ'v0.

Z

A

v0

v00h0

σ γ’ = Z

σ σ’ = K ’

Figura 13.1 – Tensioni geostatiche in un deposito di terreno omogeneo, incoerente, delimitato da una superificie piana e orizzontale

Page 226: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

226

Il coefficiente di spinta a riposo, K0, può essere misurato sperimentalmente o più spesso stimato con formule empiriche1. Poiché di norma K0 è minore di 1, la tensione verticale σ'v0 corrisponde alla tensione principale maggiore σ'1, mentre la tensione orizzontale σ'h0 corrisponde alla tensione principale minore σ'3. Per simmetria assiale la tensione principale intermedia σ'2 è eguale alla tensione principale minore σ'3. Sia la tensione verticale σ’v0 che la tensione orizzontale σ’h0 valgono zero in superficie (Z=0) e variano linearmente con la profondità Z, rispettivamente con gradiente γ e con gradiente K0 γ. Assumiamo che il terreno abbia resistenza al taglio definita dal criterio di rottura di Mohr-Coulomb:

In Figura 13.2 è rappresentato nel piano di Mohr il cerchio corrispon-dente allo stato tensionale geostatico nel punto A e la retta inviluppo a rottura. Supponiamo ora di inserire, a sini-stra e a destra del punto A, due pare-ti verticali ideali, cioè tali da non modificare lo stato tensionale nel terreno (Figura 13.3). Alla generica profondità z, sui due lati di ciascuna parete, si esercita la tensione oriz-zontale efficace σ'h0 = K0 γ z.

La spinta orizzontale S0 (risultante delle tensioni orizzontali efficaci) presente sui due lati di ciascuna parete, dal piano di campagna fino ad una generica profondità H, vale:

1Per la stima del coefficiente di spinta a riposo, K0, sono state proposte diverse equazioni empiriche, come già visto nel Capitolo 3, le più note e utilizzate delle quali sono: per terreni NC: ( )'sen1)NC(K 0 φ−≅ e per terreni OC: 5,0

00 OCR)NC(K)OC(K ⋅≅ Per avere un’idea anche quantitativa dei valori di K0 si consideri che per φ’=30°, applicando le equazioni sopra scritte si stima: per OCR = 1 (terreno normalmente consolidato) K0 ≈ 0,50 per OCR = 2 (terreno debolmente sovraconsolidato) K0 ≈ 0,71 per OCR = 4 (terreno mediamente sovraconsolidato) K0 ≈ 1,00 per OCR = 10 (terreno fortemente sovraconsolidato) K0 ≈ 1,58 ovvero, in un terreno NC la tensione geostatica orizzontale σ’h0 è circa la metà di quella verticale, per OCR = 4 lo stato tensionale geostatico è isotropo, mentre per OCR > 4 la tensione geostatica orizzontale σ’h0 di-viene tensione principale maggiore.

'tan' φ⋅σ=τ (Eq. 13.1)

Cerchio O

σ’

φ’

τ

σ’h0 σ’ v0

Figura 13.2 – Stato tensionale geostatico nel punto A

02

H

0

'0h0 KH

21dzS ⋅⋅⋅=⋅= ∫ γσ (Eq. 13.2)

Page 227: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

227

La profondità Z0 della retta di applicazione di S0, vale:

che corrisponde alla profondità del baricentro dell’area triangolare del diagramma di pres-sione orizzontale di altezza H e base K0 γ H. Supponiamo ora di allontanare gradualmente le due pareti (Figura 13.4). Nel punto A permangono condizioni di simmetria, per cui le tensioni verticale ed orizzontali sono an-cora principali. La tensione verticale σ’v0 = γZ non varia, mentre la tensione orizzontale efficace si riduce progressivamente.

Il cerchio di Mohr, rappresentativo dello stato tensionale in A, si modifica di conseguen-za: la tensione principale maggiore σ’1 = σ’v0 rimane costante, mentre la tensione princi-pale minore σ’3 si riduce progressivamente dal valore iniziale σ’h0 al valore minimo com-patibile con l’equilibrio, σ’ha, detta tensione limite attiva, che corrisponde alla tensione principale minore del cerchio di Mohr tangente alla retta di inviluppo a rottura (Figura 13.5). Il raggio del cerchio di Mohr dello stato di tensione limite attiva è R = ½ (σ’v0-σ’ha), ed il centro è ad una di-stanza dall’origine OC = ½ (σ’v0+σ’ha). Considerando il triangolo rettangolo OFC (Figura 13.5), si ha:

( ) ( ) 'sen21

21

'senOCFCR

'ha

'0v

'ha

'0v φσσσσ

φ

⋅+⋅=−⋅

⋅==

H32

S

dzzZ

0

H

0

'0h

0 ⋅=⋅⋅

=∫σ

(Eq. 13.3)

HS

K Hγ

A

h0σ’ h0

0

0

0

σ’ Z = 2/3 H

K Hγ0

A

v0

ha

σ’ σ’

Figura 13.3 – Spinta a riposo Figura 13.4 – Condizione di spinta attiva

Cerchio OCerchio A

σ’

φ’

π ϕ/4+ ’/2

τ

τ

σ’ha h0 σ’ v0

f

C

F

R

O σ’

Figura 13.5 – Stato tensionale attivo (limite inferiore)

Page 228: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

228

'0v

2'0v

'ha

'0v

'ha

2'

4tan

'sen1'sen1

)'sen1()'sen1(

σφπσφφσ

φσφσ

⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −=⋅

+−

=

−⋅=+⋅

Il rapporto:

è detto coefficiente di spinta attiva. Dunque si può scrivere:

La tensione tangenziale critica, il cui valore τf è l’ordinata del punto F di tangenza del cerchio di Mohr con la retta di inviluppo a rottura, agisce su un piano che forma un ango-

lo di ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

2'

4 con la direzione orizzontale (Figura 13.5).In condizioni di rottura per rag-

giungimento dello stato di equilibrio limite inferiore (spinta attiva), il terreno inizia a scorrere lungo questi piani (Figura 13.6).

La spinta orizzontale SA presente sui lati interni di ciascuna parete ideale, dal piano di campagna fino ad una ge-nerica profondità H (Figura 13.7), va-le:

Poiché anche in questo caso il dia-gramma di pressione orizzontale è triangolare, la profondità ZA della retta di applicazione di SA vale:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

=φ+φ−

=2'

4tan

'sen1'sen1K 2

A (Eq. 13.4)

'voA

'ha K σ⋅=σ (Eq. 13.5)

Z

A

A

v0

ha

f

f

σ’

τ

σ’ σ’

π φ/4+ ’/2

π φ/4+ ’/2

Figura 13.6 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta attiva

S

ha

A

σ’

A

K HγA

Z = 2/3 HA

H

Figura 13.7 –Diagramma delle tensioni efficaci oriz-zontali in condizione di spinta attiva

A2

H

0

'hAA KH

21dzS ⋅⋅⋅=⋅= ∫ γσ

(Eq. 13.6)

Page 229: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

229

Se si suppone ora di avvicinare le due pareti verticali ideali, alla destra ed alla sinistra del punto A, la tensione verti-cale efficace non subisce variazioni mentre quella orizzontale progressiva-mente cresce fino al valore massimo compatibile con il criterio di rottura di Mohr-Coulomb (Figura 13.8). In tali condizioni la tensione verticale efficace, corrisponde alla tensione principale minore, σ’v0 = σ’3, e quella orizzontale, detta tensione limite pas-siva, σ’hp, alla tensione principale maggiore, σ’hp = σ’1 (Figura 13.9). Procedendo in modo analogo a quanto già fatto per la condizione di spinta at-tiva, si ottiene:

Il rapporto: è detto coefficiente di spinta passiva.

Le tensioni tangenziali critiche agi-scono su piani che formano un ango-

lo di ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

2'

4 con la direzione oriz-

zontale (Figura 13.9). In condizioni di rottura per raggiungimento dello stato di equilibrio limite superiore (spinta passiva), il terreno inizia a scorrere lungo questi piani (Figura 13.10). La spinta orizzontale SP presente sui lati interni di ciascuna parete ideale dal piano di campagna fino ad una generica profondità H (Figura 13.11), vale:

0A ZH32Z =⋅= (Eq. 13.7)

A

v0

hp

σ’ σ’

Figura 13.8 – Condizione di spinta passiva

'voP

'0v

'hp K

'sen1'sen1

σ⋅=σ⋅φ−φ+

=σ (Eq. 13.8)

A

2P K

12'

4tan

'sen1'sen1K =⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

=φ−φ+

= (Eq. 13.9)

Cerchio O

Cerchio P

φ’π φ/4- ’/2

τ

τ

σ’

f

C

F

R

O σ’hpσ’ v0Cσ’ h0

Figura 13.9 – Stato tensionale passivo (limite superio-re)

P2

H

0

'hPP KH

21dZS ⋅⋅γ⋅=⋅σ= ∫ (Eq. 13.10)

Page 230: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

230

Z

A

A

v0

hp

ff

σ’

τ

σ’ σ’

π φ/4 - ’/2π φ/4 - ’/2

Figura 13.10 – Piani di scorrimento nella condizione di spinta passiva

S

hp

P

σ’

A

K HγP

Z = 2/3 HP

H

Figura 13.11 –Diagramma delle tensioni efficaci orizzontali in condizione di spinta passiva Poiché anche in questo caso il diagramma di pressione orizzontale è triangolare la pro-fondità ZP della retta di applicazione di SP, vale:

I coefficienti di spinta attiva, KA, e passiva, KP, rappresentano i valori limite, rispettiva-mente inferiore e superiore, del rapporto tra le tensioni efficaci orizzontale e verticale:

In particolare il valore del coefficiente di spinta a riposo, K0, è compreso tra il valore di KA e quello di KP.2 2 Utilizzando per la stima di K0 le equazioni empiriche viste in precedenza si può constatare che i valori di K0 sono molto più prossimi al limite inferiore KA che al limite superiore KP. A titolo di esempio per φ’ = 30° si stima: KA = 0,333; K0 = 0,5; KP = 3

0P ZH32Z =⋅= (Eq. 13.11)

P'0v

'h

A KK ≤σσ

≤ (Eq. 13.12)

Page 231: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

231

13.1.1 Osservazioni sperimentali sull’effetto del movimento della parete sul diagramma di pressione orizzontale

La distribuzione delle pressioni orizzon-tali dipende dal movimento della parete. In Figura 13.12 sono qualitativamente mostrati i diagrammi di pressione oriz-zontale contro una parete rigida in fun-zione del movimento della parete. Inol-tre, è stato sperimentalmente osservato (Tabella 13.1 e Figura 13.13) che le de-formazioni di espansione necessarie per far decadere la pressione orizzontale dal valore σ’h0, che corrisponde allo stato indeformato, al valore limite inferiore σ’ha, sono piccole, e comunque molto inferiori alle deformazioni di compres-sione necessarie per far elevare la pres-sione orizzontale dal valore σ’h0, al va-lore limite superiore σ’hp. Pertanto è buona norma riferirsi all’angolo di resi-stenza al taglio di picco per il calcolo della spinta attiva, ed all’angolo di resi-stenza al taglio a volume costante (ovve-ro per grandi deformazioni) per il calco-lo della spinta passiva.

13.1.2 Effetto dell’inclinazione della superficie del deposito

Se il deposito di terreno incoerente (c’ = 0), omogeneo e asciutto, avente peso di volume γ costante con la profondità, è delimitato superiormente da una super-ficie piana, inclinata di un angolo β < φ’ rispetto all’orizzontale, le tensioni prin-cipali non corrispondono più alle ten-sioni verticale ed orizzontali. Si consideri un concio di terreno di lar-ghezza b e altezza Z, delimitato infe-riormente da una superficie parallela al piano campagna e lateralmente da due superfici ideali verticali (Figura 13.14). Per ragioni di simmetria, le risultanti delle tensioni che agi-scono sulle due superfici laterali sono due forze S, eguali ed opposte, aventi la stessa retta d’azione inclinata dell’angolo β sull’orizzontale.

Pressione orizzontale

Rotazione rispetto alla testa

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Pressione orizzontale

Rotazione rispetto al piede

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Pressione orizzontale

Traslazione uniforme

AttivaPassiva

K Kp a K 0

Figura 13.12 – Diagrammi di pressione orizzonta-le contro una parete rigida. Dipendenza dai movi-menti della parete

Page 232: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

232

Tabella 13.1: Entità delle rotazioni della parete per raggiungere la rottura (con riferimento ai simboli di Figura 13.13)

Rotazione Y / H Terreno Decompressione

(Stato attivo) Compressione (Stato passivo)

Incoerente denso 0,001 0,020 Incoerente sciolto 0,004 0,060 Coesivo consistente 0,010 0,020 Coesivo molle 0,020 0,040 Consideriamo l’equilibrio del concio: - le forze S si elidono l’una con l’altra e

non intervengono nelle equazioni di equilibrio;

- il concio ha peso W = γ Z b; la forza W è verticale;

- la base del concio ha lunghezza l = b/cosβ;

- la risultante delle tensioni normali al-la base del concio vale: N = W cosβ ;

- la risultante delle tensioni tangenziali alla base del concio vale: T = W sen β;

- la tensione normale alla base del con-cio vale: σ’n =N/l = γ Z cos2 β;

- la tensione tangenziale alla base del concio vale: τ =T/l = γ Z sen β cos β.

Nel piano di Mohr il punto Q di coordinate σ’n – τ rappresenta la tensione agente sul pia-no di base del concio, alla profondità Z inclinato dell’angolo β rispetto all’orizzontale. Il punto Q appartiene ad una retta di equazione τ = σ’ tan β (Figura 13.15).

b

l

β

ZWS

S

T

N

φ’

β

τ

σ’O

Q

σ γ β’ = Z cos n2

τ = γ β βZ sen cos

Figura 13.14 – Condizione di equilibrio in un semispazio omogeneo, incoerente e a-sciutto delimitato da una superficie piana e inclinata

Figura 13.15 – Stato di tensione sul piano alla base del concio

Rotazione del muro, Y/H

Stato passivo

Sabbia densa

Sabbia densa

Rap

porto

tra

pres

sion

e or

izzo

ntal

e e

verti

cale

, KStato attivo

Sabbia sciolta

Sabbia scioltaSabbia compatta

K

K

K

0

a

p

Figura 13.13 – Effetti del movimento della parete sulla pressione orizzontale esercitata da sabbia

Page 233: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

233

Il segmento OQ = γZ cos β = σ’v0 rappresenta la tensione verticale sul piano alla base del concio. Tutti i cerchi di Mohr passanti per il punto Q e sottostanti alla retta di inviluppo a rottura di equazione τ = σ’ tanφ’ rappresentano stati di tensione alla profondità Z compatibili con l’equilibrio. Lo stato di tensione limite inferiore (attivo) e lo stato di tensione limite superiore (passi-vo) alla profondità Z sono rappresentati dai cerchi A e P di Figura 13.16.

φ’

β

τ

σ’O

Q

A

E

B

P

Cerchio P

Cerchio A

C Figura 13.16 – Stati di tensione limite in un deposito di terreno incoerente in pendio

I segmenti OA e OP (essendo A e P il polo dei relativi cerchi) sono rispettivamente il va-lore minimo, in condizioni di spinta attiva, ed il valore massimo, in condizioni di spinta passiva, della tensione, inclinata dell’angolo β sull’orizzontale, agente sulla superficie verticale alla profondità Z (il piano verticale non è principale, su di esso insistono una tensione normale ed una tensione tangenziale). Le spinte attiva, SA, e passiva, SP, sono le forze limite di equilibrio agenti su una parete verticale e inclinate dell’angolo β rispetto all’orizzontale, corrispondenti alle rispettive a-ree dei diagrammi di pressione. Si consideri il cerchio A:

β

βγσ

βγσ

cosOCOB

cosZABOBABOBABOB

BQOBcosZOQABOBOA

'a

'a

⋅=

⋅⋅⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

+−

=

+=+=⋅⋅=

−==

( ) ( ) 222222 sen'senOCsenOC'senOCBCACAB

senOCBC'senOCRECAC

βφβφ

βφ

−⋅=⋅−⋅=−=

⋅=⋅===

βγφββ

φββ

βγβφβ

βφββγ

βφβ

βφβσ

cosZ'coscoscos

'coscoscos

cosZcos1'cos1cos

cos1'cos1coscosZ

sen'senOCcosOC

sen'senOCcosOC

22

22

22

22

22

22'a

⋅⋅⋅⎟⎟

⎜⎜

−+

−−=

=⋅⋅⋅⎟⎟

⎜⎜

+−−+

+−−−=⋅⋅⋅

⎟⎟

⎜⎜

−⋅+⋅

−⋅−⋅=

Page 234: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

234

Da cui:

Analogamente, considerando il cerchio P, si ottiene:

Per la condizione di spinta a riposo, staticamente indeterminata, si assume in genere:

13.1.3 Effetto della coesione

Se il deposito di terreno asciutto, omogeneo e delimitato da una superficie orizzontale è dotato anche di coesione oltre che di at-trito, ovvero ha resistenza al ta-glio definita dal criterio di rottura di Mohr-Coulomb:

la relazioni che legano le tensioni principali per uno stato tensionale di equilibrio limite sono le se-guenti (Figura 13.17):

Pertanto, in condizioni di spinta attiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla tensione principale minore e la tensione verticale a quella maggiore, si ha:

0vA'a 'K σσ ⋅= (Eq. 13.13)

essendo:

⎟⎟

⎜⎜

−+

−−=

22

22

A'coscoscos

'coscoscosK

φββ

φββ

La spinta attiva, dal piano di campagna fino alla profondità Z, è data da: (Eq. 13.14)

A

2

A K2

ZcosS ⋅⋅⋅= βγ (Eq. 13.15)

0vP'p 'K σσ ⋅=

essendo: (Eq. 13.16)

⎟⎟

⎜⎜

−−

−+=

22

22

P'coscoscos

'coscoscosK

φββ

φββ

La spinta passiva dal piano di campagna fino alla profondità Z risulta:

(Eq. 13.17)

P

2

P K2

ZcosS ⋅⋅⋅= βγ (Eq. 13.18)

)sen1()'sen1()sen1(KK 0i,0 β+⋅φ−=β+⋅= (Eq. 13.19)

O

c’

φ’

τ

σ’C

R

F

σ’ σ’ 3 1

c’tan ’ϕ

σ σ’ + ’1 32

Figura 13.17 – Stato tensionale di equilibrio limite per un terreno dotato di coesione e di attrito

'tan''c φ⋅σ+=τ (Eq. 13.20)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +⋅⋅+⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +⋅=

2'

4tan'2

2'

4tan2'

3'1

φπφπσσ c (Eq. 13.21)

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −⋅⋅−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −⋅=

2'

4tan'2

2'

4tan2'

1'3

φπφπσσ c (Eq. 13.22)

Page 235: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

235

Poiché il terreno non ha resistenza a trazione, l’equazione soprascritta è valida per Z > Zc, essendo Zc la profondità critica per la quale risulta σ’ha = 0:

mentre per Z < Zc si assume σ’h = 0. Per il calcolo della spinta attiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al dia-gramma di Figura 13.183. In condizioni di spinta passiva, quando la tensione orizzontale corrisponde alla tensione principale maggiore e la tensione verticale a quella minore, si ha:

Per il calcolo della spinta passiva e della profondità di applicazione si fa riferimento al diagramma di Figura 13.19:

Z

2c’γ K

2 c’ K

σ’ (Z)

Z =

S’

S

A

W

ha

C

Ca

a

2/3 (Z - Z )γ Ζcw

Z

2 c’ K

σ’ (Z)

S’ P,1

P,2

hp

p

2/3 ZZ/2

S’

Figura 13.18 – Diagramma di spinta attiva in un terreno dotato di coesione e attrito

Figura 13.19 – Diagramma di spinta passiva in un terreno dotato di coesione e attrito

3 Nella fascia di spessore Zc il terreno sarà interessato da fessure verticali di trazione che possono riempirsi di acqua, ad esempio per la pioggia. Si tiene conto di tale possibilità considerando, per il calcolo della spin-ta, anche un triangolo di pressione idrostatica di altezza Zc e base γw Zc.

AA2'

a,h K'c2KZ2'

4tan'c2

2'

4tanZ ⋅⋅−⋅⋅γ=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅γ=σ (Eq. 13.23)

Ac K

'c2Z⋅γ

⋅= (Eq. 13.24)

PP2'

p,h K'c2KZ2'

4tan'c2

2'

4tanZ ⋅⋅+⋅⋅γ=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅γ=σ (Eq. 13.25)

PPPPP KZZKcSSZS ⋅⋅⋅+⋅⋅⋅=+= 22,1, 2

1'2)( γ (Eq. 13.26)

⋅⋅⋅+⋅

=)(

32

2)(2,1,

ZS

ZSZSSZ

P

PP

P (Eq. 13.27)

Page 236: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

236

Nel caso in cui, in presenza di un terreno coesivo, si faccia riferi-mento a condizioni non drenate (come quelle che possono verifi-carsi immediatamente dopo l’esecuzione di uno scavo o la co-struzione di un’opera di sostegno), per determinare la spinta attiva e passiva bisogna applicare il crite-rio di rottura di Mohr-Coulomb (Eq. 13.20) in termini di tensioni totali (ϕ = 0, c = cu) e la tensione limite attiva e passiva diventano rispettivamente (Figura 13.20):

13.1.4 Terreni stratificati

Se il deposito di terreno è costituito da strati orizzontali omogenei, la spinta totale eserci-tata sulla parete verticale è la somma dei contribuiti di ciascuno strato. Il generico strato i-esimo, di spessore Hi, fra le profondità Zi-1 e Zi, costituto da un terreno avente peso di vo-lume γi e resistenza al taglio: '

i'i tan'c φ⋅σ+=τ , eserciterà contro la parete verticale ideale

una spinta Si pari all’area del diagramma delle pressioni orizzontali nel tratto di sua com-petenza, applicata alla quota del baricentro di tale area (Figura 13.21).

H1 1

H 2

Hi

2

i

i-1

i+1

σ’ ha

Z

S’A,i

σ’ (Z )ha i-1

σ’ (Z )ha i

σ’ hp

Z

S’P,,i

σ’ (Z )hp i-1

σ’ (Z )hp i

Figura 13.21 – Spinta attiva e passiva in un terreno a strati orizzontali omogenei

τ

σσ’f σ σ σ

ϕ = 0

cu

h,a v0 h,p

Figura 13.20 – Stati pensionali limite attivo e passivo per un terreno coesivo in condizioni non drenate

u0vha c2−= σσ (Eq. 13.28)

u0vhp c2+= σσ (Eq. 13.29)

Page 237: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

237

La tensione verticale agente al tetto dello strato i-esimo, alla profondità Zi-1, vale:

La tensione verticale agente alla base dello strato i-esimo, alla profondità Zi, vale:

Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta attiva è un trapezio avente: altezza Hi, base minore 0Kc2K)Z()Z( i,A

'ii,A1i

'0v1i

'ha ≥⋅⋅−⋅σ=σ −− ,

e base maggiore 0Kc2K)Z()Z( i,A'ii,Ai

'0vi

'ha ≥⋅⋅−⋅σ=σ

Poiché il terreno non ha resistenza a trazione: - se i valori di σ’ha(Zi-1) e di σ’ha(Zi), calcolati con le formule precedenti, risultano en-

trambi minori di zero lo strato non esercita alcuna spinta, - se il valore di σ’ha(Zi-1), calcolato con la formula precedente, risulta minore di zero per

il calcolo della spinta si considera il diagramma di pressione positiva triangolare4 (ov-vero si assume σ’ha(Zi-1) = 0).

Il diagramma delle pressioni orizzontali in condizioni di spinta passiva è un trapezio a-vente: altezza Hi, base minore i,P

'ii,P1i

'0v1i

'hp Kc2K)Z()Z( ⋅⋅+⋅σ=σ −− ,

e base maggiore i,P'ii,Pi

'0vi

'hp Kc2K)Z()Z( ⋅⋅+⋅σ=σ

13.2 Teoria di Coulomb (1776) Molto prima di Rankine, il problema della determinazione della spinta esercitata dal ter-reno su un’opera di sostegno era stato affrontato dall’ingegnere militare francese Cou-lomb con un metodo basato sull’equilibrio delle forze in gioco. Si consideri una parete di altezza H che sostenga un terrapieno di sabbia omogenea e a-sciutta. Per semplicità di esposizione assumiamo, per il momento, le seguenti ipotesi: 1. assenza di attrito tra parete e terreno, 2. parete del muro verticale, 3. superficie del terrapieno orizzontale, 4. terreno omogeneo, incoerente e asciutto, con peso di volume γ e resistenza al taglio:

τ = σ’ tanφ’ 5. superficie di scorrimento piana.

4 In entrambi i casi, nelle zone non compresse in direzione orizzontale si dovrà tenere conto della spinta e-sercitata dall’acqua di percolazione.

∑−

=− ⋅=

1i

1jjj1i

'0v H)Z( γσ (Eq. 13.30)

ii1i'

0vi'

0v H)Z()Z( ⋅γ+σ=σ − (Eq. 13.31)

Page 238: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

238

Per determinare il valore della spinta attiva, PA, limite inferiore dell’equilibrio, suppo-niamo di traslare gradualmente la parete verso l’esterno fino a produrre la rottura del ter-reno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distacco di un cuneo di terre-no ABC che scorre verso l’esterno e verso il basso su una superficie di rottura piana e in-clinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.22). Il cuneo ABC trasla nel-la posizione A’B’C’. In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poli-gono delle forze di Figura 13.23, sono:

- il peso proprio η⋅⋅γ⋅= cotH21W 2 , che agisce in direzione verticale,

- la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che è inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente tan-gente diretta verso l’alto, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cuneo,

- e la spinta attiva PA, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attri-to tra parete e terreno.

H

H

η

φ’

W

RA

A’

B’

B

AP

tan ηC

C’

η−φ’W

R

AP

Figura 13.22 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb Figura 13.23 – Poligono delle forze relativo al cuneo di spinta attiva di Coulomb

Per l’equilibrio è:

Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite attivo, ηcrit, e quindi PA, occorre fare la ricerca di massimo5 della funzione f(η), che può essere

condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: 0PA =η∂

∂.

5 Si tratta di una ricerca di massimo (e non di minimo) della funzione f(η), poiché si ricerca il valore di η corrispondente al cuneo critico, ovvero al cuneo che richiede il valore più alto di PA per l’equilibrio limite inferiore. Se si immagina, partendo ad esempio dalla condizione a riposo, di ridurre progressivamente la forza P, quando si perviene al valore PA si manifesta la rottura con la formazione del cuneo inclinato dell’angolo ηcrit sull’orizzontale.

( ) )(f'tancotH21)'tan(WP 2

A η=φ−η⋅η⋅⋅γ⋅=φ−η⋅= (Eq. 13.32)

Page 239: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

239

Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:

Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PA si ottiene infine:

L’espressione trovata coincide con quella di Rankine. Analogamente, per determinare il valore della spinta passiva, PP, limite superiore dell’equilibrio, supponiamo di traslare gradualmente la parete verso l’interno fino a pro-durre la rottura del terreno. La rottura si manifesta, nell’ipotesi di Coulomb, con il distac-co di un cuneo di terreno ABC che scorre verso l’interno e verso l’alto su una superficie di rottura piana e inclinata di un angolo η sull’orizzontale, incognito (Figura 13.24). Il cuneo ABC trasla nella posizione A’B’C’. In condizioni di equilibrio limite le forze che agiscono sul cuneo, rappresentate nel poli-gono delle forze di Figura 13.25, sono:

H

H

ηφ’

WR

AA’

B’B

PP

tan η

C

C’

η+φ’W

R

PP

Figura 13.24– Cuneo di spinta passiva Coulomb Figura 13.25– Poligono delle forze relativo al cuneo di spinta passiva di Coulomb

- il peso proprio η⋅⋅γ⋅= cotH21W 2 , che agisce in direzione verticale,

- la risultante R delle tensioni normali e tangenziali sulla superficie di scorrimento, che è inclinata di un angolo φ’ rispetto alla normale alla superficie AC, con componente tangente diretta verso il basso, ovvero tale da opporsi al movimento incipiente del cu-neo,

- e la spinta attiva PP, che agisce in direzione orizzontale per l’ipotesi di assenza di attri-to tra parete e terreno.

Per l’equilibrio è:

2'

4critφ

=η (Eq. 13.33)

A222

A KH21

2'

4tanH

21P ⋅⋅γ⋅=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.34)

( ) )(f'tancotH21)'tan(WP 2

P η=φ+η⋅η⋅⋅γ⋅=φ+η⋅= (Eq. 13.35)

Page 240: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

240

Per determinare il valore di η che corrisponde alla condizione di equilibrio limite passivo, ηcrit, e quindi Pp, occorre fare la ricerca di minimo della funzione f(η), che può essere

condotta per via grafica o numerica, imponendo la condizione: 0PP =η∂

∂ .

Così facendo si ricava il valore critico dell’angolo η, che risulta:

Sostituendo il valore critico di η nell’equazione di PP si ottiene infine:

L’espressione trovata coincide con quella di Rankine. Le ipotesi semplificative inizial-mente introdotte, eccetto l’ipotesi di superficie di scorrimento piana, possono essere rimosse, a costo di una soluzione analitica più com-plessa o a costo di rinunciare alla soluzione analitica per una solu-zione grafica o numerica. Si considerino, ad esempio gli schemi delle Figure 13.26 e 13.27, che rappresentano i cunei di spinta attiva e passiva nelle seguenti ipo-tesi: - parete di altezza H inclinata di

un angolo λ sulla verticale, - terrapieno omogeneo e incoerente delimitato da una superficie inclinata di un angolo

β sull’orizzontale, - presenza di attrito tra parete e terreno, con coefficiente d’attrito tanδ, - superficie di scorrimento piana.

H

η

β

λ

δ φ’

W

R

PP

Figura 13.27 – Cuneo di spinta passiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati, presenza di at-trito tra terreno e muro, terreno incoerente)

2'

4critφ

−π

=η (Eq. 13.36)

P222

P KH21

2'

4tanH

21P ⋅⋅γ⋅=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

⋅⋅γ⋅= (Eq. 13.37)

H

η

β

λ

δ φ’

W

RAP

Figura 13.26 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terra-pieno e parete inclinati,presenza di attrito tra terreno e muro, terreno incoerente)

Page 241: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

241

Sviluppando il calcolo analitico, con riferimento ai simboli delle figure, si ottiene per la condizione di spinta attiva:

e per la condizione di spinta passiva:

In Figura 13.28 è schematicamente rappresentato il caso per la condizione di spinta attiva nell’ipotesi, ancor più generale, di : - parete non verticale, - terreno dotato di coesione e di attrito (τ = c’ + σ’ tanφ’), - superficie del terrapieno inclinata, - resistenza per adesione ed attrito all’interfaccia parete-terreno (τ = ca + σ’ tanδ), - fessure di trazione nella fascia superiore di terreno (per la condizione di spinta at-

tiva)6. La soluzione può essere ricercata per via grafica, con la costruzione di Culmann rappre-sentata in Figura 13.29, o numerica.

W

A

F

E

B

C’ = c’ BCA a

D

Ca

Zc

C’

δAP

η

φ’

R

β

C = c BC

W

Ca

C’

AP

R

Figura 13.28 – Cuneo di spinta attiva di Coulomb (terrapieno e parete inclinati,presenza di attri-to tra terreno e muro, terreno coesivo)e poligono delle forze

6 Come già detto, nelle fessure di trazione può infiltrarsi acqua di percolazione, per cui è opportuno conside-rare anche la conseguente spinta idrostatica aggiuntiva.

A2

A KH21P ⋅⋅⋅= γ (Eq. 13.38)

( )

( ) ( ) ( )( ) ( )

2

2

2

A

coscos'sen'sen1coscos

'cosK

⎥⎦

⎤⎢⎣

−⋅+−⋅+

+⋅+⋅

−=

βλδλβφφδδλλ

λφ (Eq. 13.39)

P2

P KH21P ⋅⋅⋅= γ (Eq. 13.40)

( )

( ) ( ) ( )( ) ( )

2

2

2

P

coscos'sen'sen1coscos

'cosK

⎥⎦

⎤⎢⎣

−⋅−+⋅+

−⋅−⋅

+=

βλδλβφφδδλλ

λφ (Eq. 13.41)

Page 242: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

242

Z

Linea di Culmann

Poligono delle forze(su una sezione)

c

C

C

a

C’

C’

φ’

Diagramma delle forze

Figura 13.29 – Costruzione di Culmann

Per lo spessore della zona di trazione si assume:

La teoria di Coulomb è più versatile della teoria di Rankine, poiché permette di risolvere condizioni geometriche e di carico generali ed è alla base del più diffuso metodo pseudo-statico di calcolo della spinta in condizioni sismiche.

13.3 Teoria di Caquot e Kérisel Sia la teoria di Rankine che quella di Coulomb ipotizzano superfici di scorrimento piane. Tale ipotesi non è verificata a causa dell’interazione fra la parete dell’opera di sostegno ed il terreno. In Figura 13.30 sono mostrati gli effetti dell’attrito parete-terreno sulla for-ma della superficie di scorrimento, per i casi di:

H

Aa)

B

C

DH/3

A’ π φ/4 - ’/2

π φ/2+ ’

δ

PP

π φ/4 + ’/2

π φ/2 - ’

δH

H/3

AP

B

D

A CA’b)

Figura 13.30 – Effetto dell’attrito parete-terreno sulla forma della superficie di scorrimento, nel caso di spinta passiva (a) e attiva (b)

A

a

c K

'cc

1'c2Z

⋅γ

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛+⋅⋅

= (Eq. 13.42)

Page 243: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

243

a) spinta passiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’interno e verso l’alto ri-spetto al movimento del muro (δ < 0).

b) spinta attiva, con movimento del cuneo di terreno verso l’esterno e verso il basso ri-spetto al movimento del muro (δ > 0);

I casi a) e b) possono essere confrontati con le soluzioni di Coulomb per la spinta attiva e passiva. La soluzione fu ottenuta per via nume-rica da Caquot e Kérisel (1948) accop-piando le teorie di Rankine e di Bous-sinesq, ed è riportata in grafici e tabelle in termini di coefficienti di spinta al variare degli angoli di resistenza al ta-glio φ’, di attrito parete-terreno δ, di inclinazione della parete rispetto alla verticale λ, e di inclinazione del piano che delimita il terrapieno rispetto all’orizzontale β, con la convenzione sui segni indicata in Figura 13.31.

13.3.1 Dipendenza di KA e KP dall’angolo δ

Il valore di δ non può superare il valore di φ’, poiché in tal caso si formerebbe una pelli-cola di terreno solidale alla parete e lo scorrimento avverrebbe internamente al terreno con coefficiente di attrito tanφ’. I coefficienti di spinta KA e KP crescono con continuità da δ = +φ’ a δ = -φ’. Il segno di δ dipende, come abbiamo detto, dal movimento verticale re-lativo fra la parete e il terreno. In generale: - in condizioni di spinta attiva, il terreno si abbassa rispetto alla parete e δ risulta com-

preso tra +φ’ e 0, - in condizioni di spinta passiva, il terreno sale rispetto alla parete e δ risulta compreso

tra 0 e -φ’. In genere, ma in modo più o meno arbitrario, si assume δ = φ’/4 per pareti in muratura o in cemento armato intonacate, e δ compreso tra 2/3φ’ e φ’/2 per pareti in muratura o in cemento armato non lisciate. A titolo di esempio in Tabella 13.2 sono riportati i valori di KA e di KP al variare di δ per φ’=30°, β = 0° e λ = 0°. Si può osservare che in condizioni di spinta attiva il coefficiente KA varia poco, ovvero è poco influenzato dalla rugosità della parete. In condizioni di spinta passiva invece la dipendenza del coefficiente KP da δ è molto sensibile.

Tabella 13.2 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di δ per φ’=30°, β = 0° e λ = 0°

|δ| 30° 20° 10° 0° KA 0,31 0,30 0,30 0,33 KP 6,56 5,25 4,02 3,00

+λ +δ

Figura 13.31 – Convenzione sui segni delle variabi-li angolari nelle Tabelle di Caquot and Kérisel

Page 244: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

244

13.3.2 Dipendenza di KA e KP dall’angolo β

Il valore dei coefficienti di spinta sia attiva che passiva cresce con β, poiché aumenta il volume di terreno coinvolto nella rottura. A titolo di esempio in Tabella 13.3 sono riporta-ti i valori di KA e di KP al variare di β per φ’=30°, λ = 0°, δ = φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva. Si osservi che il caso β = +φ’ = 30° in con-dizioni di spinta attiva (δ = φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio limite infe-riore di Rankine, poiché la spinta PA risulta parallela alla superficie libera e, analogamen-te, in condizioni di spinta passiva (δ = -φ’) corrisponde al caso particolare dell’equilibrio limite superiore di Rankine.

Tabella 13.3 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA e KP al variare di β per φ’=30°, λ = 0°, °, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.

β -30° -18° 0° +18° +30° KA 0,232 0,257 0,308 0,409 0,866 KP 0,84 2,85 6,56 11,8 16,1

13.3.3 Dipendenza di KA e KP dall’angolo λ In condizioni di spinta attiva, il coefficiente KA si riduce fino ad annullarsi quando

l’angolo λ decresce gradualmente dal valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

−π

=λ2'

4, corrispondente all’inclinazione

dei piani di scorrimento di Rankine, al valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ−

π−=λ '

2, che corrisponde all’angolo di

naturale declivio. In condizioni di spinta passiva, il coefficiente KP cresce molto rapidamente quando

l’angolo λ diminuisce dal valore ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ φ

=λ2'

4, corrispondente all’inclinazione dei piani di

scorrimento di Rankine, al valore 2π

−=λ , che corrisponde ad una fondazione superficia-

le. A titolo di esempio, in Tabella 13.4 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA e KP al variare di λ per β = 0°, φ’ = 30°, δ = + φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = - φ’ in condizioni di spinta passiva.

Tabella 13.4 - Soluzione di Caquot e Kérisel: coefficienti di spinta KA e KP al variare di λ per φ’=30°, β = 0°, δ = +φ’ in condizioni di spinta attiva e δ = -φ’ in condizioni di spinta passiva.

λ 60° 45° 30° 15° 0° -15° -30° -45° -60° -90° KA - - 0,5 0,412 0,308 0,203 0,109 0,039 0 - KP 0,8 1,65 2,80 4,4 6,56 9,5 13,6 19,2 27 52

13.3.4 Dipendenza di KA e KP dall’angolo φ’ e dal rapporto δ/φ’ In Tabella 13.5 sono riportati i valori dei coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (se-conda riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto δ/φ’ per terrapie-no orizzontale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°). Come già detto, nella maggior parte dei casi pratici, si assume che il rapporto δ/φ’ sia positivo in condizioni di spinta attiva e ne-

Page 245: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

245

gativo in condizioni di spinta passiva. Si osserva che al crescere dell’angolo di resistenza al taglio φ’ il coefficiente di spinta attiva KA decresce lentamente, mentre il coefficiente di spinta passiva cresce molto rapidamente.

Tabella 13.5 - Soluzione di Caquot e Kérisel: Coefficienti di spinta KA (prima riga) e KP (seconda riga) al variare dell’angolo di resistenza al taglio φ' e del rapporto |δ/φ’| per terrapieno orizzon-tale (β = 0°) e parete verticale (λ = 0°)

φ’ 5° 10° 15° 20° 25° 30° 35° 40° 45° 50° 0,81 0,65 0,53 0,44 0,37 0,31 0,26 0,22 0,19 0,16

1'

=φδ

1,26 1,66 2,20 3,04 4,26 6,56 10,7 18,2 35,0 75,0

0,81 0,66 0,54 0,44 0,36 0,30 0,25 0,20 0,16 0,13

32

'=

φδ

1,24 1,59 2,06 2,72 3,61 5,25 8,00 12,8 21,0 41,0

0,82 0,67 0,56 0,45 0,37 0,30 0,25 0,20 0,16 0,13

31

'=

φδ

1,22 1,52 1,89 2,38 3,03 4,02 5,55 8,10 12,0 19,0

0,84 0,70 0,59 0,49 0,41 0,33 0,27 0,22 0,17 0,13 0

'=

φδ

1,19 1,42 1,70 2,04 2,46 3,00 3,70 4,60 5,80 7,50

13.3.5 Confronto con la soluzione di Coulomb

Il metodo di Coulomb ipotizza e impone la forma della superficie di scorrimento piana. Pertanto i valori di PA e di PP, rispettivamente ottenuti dalle condizioni di massimo e di minimo, limitatamente alla forma imposta della superficie di scorrimento, non sono il massimo ed il minimo assoluti, ovvero per qualunque ipotetica forma della superficie di scorrimento. Pertanto i valori dei coefficienti di spinta attiva che si stimano con il metodo di Coulomb sono sempre inferiori ai valori stimati con il metodo di Caquot e Kérisel, che ipotizza una superficie di scorrimento curvilinea, e analogamente i valori dei coefficienti di spinta passiva che si stimano con il metodo di Coulomb sono sempre superiori ai valori stimati con il metodo di Caquot e Kérisel. Le differenze minori si osservano proprio quando risulta minore la differenza fra le superfici ipotizzate. Nel caso di spinta attiva, nella maggior parte dei casi pratici, ovvero per β, λ e δ positivi, le differenze sono mode-ste. Nel caso di spinta passiva invece le differenze possono essere molto sensibili, e poi-ché in genere la spinta passiva è una forza resistente, non è cautelativo calcolarla con il metodo di Coulomb. Inoltre, come già fatto osservare, poiché le deformazioni necessarie per mobilitare la spin-ta passiva sono molto grandi, il valore di progetto dell’angolo di resistenza al taglio non è, come nel caso di spinta attiva, il valore di picco, ma piuttosto il valore critico, a volume costante.

13.4 Spinta dovuta all’acqua interstiziale in pressione (pressione inter-stiziale)

Le teorie sulla spinta delle terre che abbiamo esaminato si riferiscono a terreni asciutti o comunque non sotto falda e quindi con acqua nei pori non in pressione (si ricorda che convenzionalmente e per semplicità si assume in genere che l’acqua nei pori possa avere

Page 246: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

246

pressione solo positiva, ovvero maggiore della pressione atmosferica. Si assume che l’acqua presente nei terreni sopra falda sia a pressione zero). Se un terreno è anche solo parzialmente sotto falda, la spinta totale esercitata contro una parete sarà somma di due forze: la prima forza è la spinta esercitata dal terreno, valutata con le formule sopra citate, utilizzando le tensioni verticali efficaci7, la seconda forza è la spinta esercitata dall’acqua interstiziale. Quest’ultima si calcola integrando il diagramma delle pressioni interstiziali. La presenza di acqua in pressione contro una parete di sostegno del terreno determina un forte incre-mento della spinta totale, pertanto, ove possibile, è sempre opportuno realizzare opere di drenaggio a tergo dell’opera allo scopo di abbattere il livello di falda. Nel caso particolare, ma frequente, di falda freatica alla profondità Zw (Figura 13.32) si ottiene:

0)Z(u = per Z < Zw

)ZZ()Z(u ww −⋅γ= per Z ≥ Zw

Se vi è differenza tra il livello dell’acqua a monte e a valle dell’opera di sostegno, e vi è filtrazione sotto e intorno alla parete, la pressione interstiziale dovrebbe essere determina-ta in base al reticolo idrodinamico, come descritto nel Capitolo 4. Tuttavia, nel caso di terreno omogeneo, un approccio ragionevole e semplificato consiste nell’assumere che il carico idraulico vari linearmente come mostrato in Figura 13.33. La differenza di carico piezometrico tra monte e valle è: ∆h = (h + k – j), il percorso di filtrazione è L = (h + d – j) + (d – k) = (h + 2d –j – k), il gradiente idraulico è:

7 Le tensioni verticali efficaci, per il principio delle tensioni efficaci, si ottengono sottraendo le tensioni in-terstiziali alle tensioni verticali totali.

Z 3

γ (Z-Z )

Sw

w

w

w

wZ

1 (Z + 2Z)

Figura 13.32 – Spinta idrostatica

( )2www ZZ

21)Z(S −⋅⋅= γ (Eq. 13.43)

)ZZ2(31)ZZ(

31Z)S(Z www +⋅=−⋅−= (Eq. 13.44)

i = ∆h/L = (h + k – j) / (h + 2d – j – k) (Eq. 13.45)

Page 247: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

247

Percorso difiltrazione

Pressione dell’acqua totale

h

ub

k

d

j

ub

Pressione dell’acqua netta

Figura 13.33 – Schema semplificato della pressione dell’acqua su una parete in presenza di fil-trazione

Nel tratto di monte del percorso la filtrazione è discendente e comporta una riduzione del-la pressione interstiziale rispetto alla condizione idrostatica. Nel tratto di valle la filtrazio-ne è ascendente e comporta un aumento della pressione interstiziale rispetto alla condi-zione idrostatica. Al piede della parete (supponendo che il suo spessore sia trascurabile rispetto alla lunghezza del percorso di filtrazione) la pressione interstiziale vale:

13.5 Incremento della spinta attiva dovuta a carichi applicati sul terra-pieno

13.5.1 Pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie del deposito.

Una pressione q verticale, uniforme ed infinitamente estesa sulla superficie di un deposito delimitato da un piano orizzontale produce in ogni punto del semispazio un incremento costante della tensione verticale ∆σ’v0 = q ed un incremento costante della tensione oriz-zontale ∆σ’h = K q (Figura 13.34), avendo indicato con K il coefficiente di spinta che, a seconda dello stato di deformazione orizzontale, assume valori compresi tra KA e KP. Ne consegue che: - le tensioni verticale ed orizzontali continuano ad essere le tensioni principali, - il diagramma delle tensioni orizzontali è trapezio, - la spinta orizzontale S presente su una parete ideale dal piano di campagna fino ad una

generica profondità H, è l’area del diagramma di pressione orizzontale e può essere

)i1()kd()i1()jdh(u wwb +⋅−⋅γ=−⋅−+⋅γ= (Eq. 13.46)

Page 248: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

248

calcolata come somma dell’area rettangolare di base Kq e altezza H, e dell’area trian-golare di base K γ H e altezza H:

- la profondità della retta di applicazione della componente S(q) è H/2, la profondità del-la retta di applicazione di S(γ) è 2H/3, dunque la profondità della retta di azione di S è:

q

q

Z

σ ‘

γ Z

v0

q

K q

Z

σ ‘

Κ γ Z

h

Figura 13.34 – Effetto di una pressione verticale uniforme ed infinitamente estesa

13.5.2 Carichi concentrati sulla superficie del deposito

Se, in condizioni di spinta attiva, sulla superficie del deposito delimitato da un piano oriz-zontale agiscono carichi che possono essere schematizzati come puntuali o come distri-buiti su una linea parallela al muro, di intensità piccola (minore del 30%) rispetto alla spinta attiva, l’incremento di pressione orizzontale può essere valutato con le formule in-dicate in Figura 13.35, ottenute da Terzaghi (1954) modificando empiricamente le equa-zioni di Boussinesq. Se i carichi sono molto elevati o hanno una diversa distribuzione, oc-corre utilizzare il metodo del cuneo di Coulomb.

13.6 Effetto del costipamento meccanico del terrapieno Molto spesso, ad esempio per la costruzione di strade, il terrapieno retrostante un’opera di sostegno è costituito da un terreno incoerente asciutto, messo in opera in strati successivi, costipati con rullo compressore per aumentarne la densità e quindi la rigidezza e la resi-stenza. Tale tecnica produce uno stato di coazione nel terreno ed un conseguente aumento delle pressioni orizzontali nella condizione di spinta attiva. Se l’azione esercitata dal rullo compressore può essere schematizzata con un carico di in-tensità p distribuito lungo una linea parallela alla parete, e se il terreno viene messo in o-pera in strati di piccolo spessore, per tenere conto dell’effetto di costipamento, si può as-

2HK21HqK)(S)q(SS ⋅γ⋅⋅+⋅⋅=γ+= (Eq. 11.47)

S

H32)(S

2H)q(S

)S(Z⋅⋅γ+⋅

= (Eq. 11.48)

Page 249: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

249

sumere come diagramma di pressione orizzontale sul muro quello indicato in Figura 13.36.

La profondità critica è:

Valo

ri di

n =

z/H

Valori di (H/Q )σ

Carico lineare

Carico lineare QPer

Per

Per

Per

Risultante

Diagramma delle pressioni relativo al casodi carico lineare Q(equazione di Boussinesq modificata sperimentalmente)

Sezione a - aDiagramma delle pressioni relativo al casodi carico puntiforme Q(equazione di Boussinesq modificata sperimentalmente)

Caricopuntiforme

h L

L

L

Valori di (H /Q )σh2

P

P

P

Carico puntiforme Q

Figura 13.35 – Pressioni orizzontali su una parete in condizioni di spinta attiva dovute a carichi concentrati sulla superficie orizzontale del terrapieno

γ⋅π⋅

⋅=p2KZ Ac (Eq. 13.49)

Page 250: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 13 SPINTA DELLE TERRE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

250

Il valore del carico p, dipende dai mezzi impiegati per il costipamento, e in particolare dal peso statico e dalle dimensioni del rullo, e dalla eventuale azione vibratoria che si assume equivalente ad un incremento di peso.

Z

Z

σ’

σ σ’ = K ’

σ σ’ = K ’

h

c

c

h

ha

hp

v

v

A

P

Figura 13.36 – Effetto del costipamento sul diagramma di spinta attiva

Page 251: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

251

CAPITOLO 14 OPERE DI SOSTEGNO

14.1 Introduzione Esiste una grande varietà di strutture utilizzate per sostenere il terreno e/o l’acqua sia per lavori temporanei che per opere definitive. In questa sede esamineremo brevemente gli usuali criteri di dimensionamento, progetta-zione e verifica geotecnica di: 1. opere di sostegno a gravità (muri, gabbionate, crib walls) e in cemento armato (muri a

mensola, muri a contrafforti e speroni); 2. terra armata; 3. paratie (palancole e diaframmi); 4. strutture di sostegno di scavi e trincee. La principale differenza fra i muri (di ogni tipo) e le paratie, consiste nel meccanismo di trasmissione, attraverso l’opera di sostegno, della spinta esercitata dal terreno sostenuto al terreno di fondazione. Nel primo caso la trasmissione avviene attraverso la struttura di fondazione dell’opera di sostegno. Nel secondo caso essa è assicurata dal prolungamento della parete nel terreno di fondazione, e dal sistema equilibrato di spinte e contro spinte che viene a determinarsi. Un’altra importante differenza consiste nel fatto che il terreno sostenuto dai muri è di ri-porto, mentre il terreno sostenuto dalle paratie è spesso il terreno naturale. Inoltre i muri di sostegno sono in genere opere definitive, mentre le paratie, e specialmen-te le palancole, sono spesso opere provvisionali.

14.2 Muri di sostegno I muri di sostegno hanno lo scopo di prevenire lo smottamento di pendii naturali ripidi o di assicurare la stabilità di pendii artificiali sagomati con pendenze superiori alla penden-za di equilibrio naturale. Da questo punto di vista si distinguono (Figura 14.1): - i muri di sostegno in sterro o di controripa, che consentono di formare una piattaforma

a valle, e - i muri di sostegno in rilevato o di sottoscarpa, che consentono di formare una piatta-

forma a monte.

Figura 14.1: Muri in sterro (a) e in rilevato (b)

Terreno di riempimento

Terreno di riempimento

Piattaforma

Piattaforma

Terrazzamento provvisorio

Terrazzamento provvisorio

a) b)

Page 252: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

252

In entrambi i casi, occorre prima procedere ad uno sbancamento, per liberare lo spazio ove costruire il muro, poi costruire il muro propriamente detto, e infine porre in opera il terreno di riempimento a tergo con le eventuali opere di drenaggio. La realizzazione di un muro di sostegno modifica le condizioni di equilibrio generale del pendio, e tali modifiche possono condurre ad una instabilità generale o localizzata. Nel caso dei muri in sterro, può determinarsi la rottura localizzata del ripido pendio a monte che si crea con i lavori di sbancamento preliminari. Per limitare tale rischio è op-portuno prevedere una realizzazione per brevi tratti. Nel caso dei muri in rilevato può esservi il rischio di una rottura generale profonda o su-perficiale del pendio dovuta al sovraccarico costituito dal peso del terreno di riporto mes-so in opera (Figura 14.2). Le verifiche di stabilità dell’insieme muro-terreno sono eseguite con i metodi illustrati al Capitolo 18 (“Stabilità dei pendii”).

Figura 14.2: Rotture di pendio conseguenti alla realizzazione di un muro di sostegno: profonda (a) e superficiale (b)

Oltre alle verifiche di stabilità generale del pendio in cui è inserito il muro, per la progettazione di un muro di sostegno devono essere effettuate le verifi-che: - al ribaltamento, - allo slittamento, - di capacità portante. Nello schema di Figura 14.3 è rappresentato un ge-nerico muro di sostegno e le forze risultanti che agi-scono su di esso: W = peso del muro e del terreno che grava sulla fondazione, Pa = spinta esercitata dal terreno a monte (compresa l’eventuale spinta dell’acqua), Pp = spinta esercitata dal terreno a valle (da trascu-

rare, di norma, nelle verifiche di sicurezza), N = componente normale della reazione di appog-gio, F = componente tangenziale della reazione di appoggio,

Figura 14.3 - Schema di muro di so-stegno e delle forze agenti su di esso.

Sovraccarico

Scavo

Sovraccarico

Terreno a minore resistenza

a) b)

Page 253: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

253

La normativa italiana vigente (D.M. 11/03/1988) richiede: per la verifica al ribaltamento che il coefficiente di sicurezza, definito dal rapporto tra il momento delle forze stabiliz-zanti (W) e quello delle forze ribaltanti (Pa) rispetto al bordo anteriore alla base (O), non risulti minore di 1,5; per la verifica allo slittamento che il coefficiente di sicurezza, definito dal rapporto tra la somma delle forze resistenti nella direzione dello scorrimento (Fmax) e la somma delle componenti nella stessa direzio-ne delle azioni sul muro (Pa,H) non risulti minore di 1,3; per la verifica di capacità portante che il coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura della fondazione del muro, tenendo conto dell’inclinazione e dell’eccentricità della risultante delle forze trasmesse dal muro al terreno di fondazione (N, F), non risulti minore di 2,0. Il calcolo di capacità portante della fondazione del muro sarà eseguito con i metodi illu-strati al Capitolo 15 (“Capacità portante delle fondazioni superficiali”). Nel caso di fon-dazione su pali la verifica deve soddisfare i criteri esposti al Capitolo 17 (“Capacità por-tante delle fondazioni profonde”). In Figura 14.4 sono rappresentati i più comuni tipi di muri di sostegno a gravità ed in ce-mento armato, la loro geometria e le loro proporzioni. I muri di sostegno a gravità (Figura 14.4a) resistono alla spinta esercitata dal terreno e-sclusivamente in virtù del proprio peso. Essi sono realizzati con muratura di mattoni o di pietrame, o in calcestruzzo. Affinché ogni sezione orizzontale del muro sia interamente compressa è necessario che, ad ogni quota, la risultante del peso e della spinta del terreno sia interna al nocciolo d’inerzia. Si tratta pertanto di strutture tozze, la cui altezza massi-ma supera raramente i 3,5m, poiché per altezze maggiori non sono economicamente con-venienti. I muri di sostegno a mensola (Figura 14.4b) e a contrafforti e speroni (Figura 14.4c) sfruttano anche il peso del terreno che grava sulla fondazione per la stabilità al ribalta-mento ed alla traslazione orizzontale. Le diverse parti della struttura (fondazione e pareti) sono armate in modo da resistere anche a flessione e taglio. I muri a mensola sono più semplici da realizzare, come carpenteria e armatura, ma poiché sono costituiti da tre men-sole convergenti in un nodo, i momenti flettenti di incastro crescono molto rapidamente con l’altezza del muro1. I muri a contrafforti e speroni, essendo strutture scatolari, compo-ste da lastre incastrate su tre lati, consentono un migliore sfruttamento dei materiali e sono quindi preferiti per i muri di grande altezza, ma richiedono molto più lavoro di carpenteria e di armatura. Per ridurre l’intensità della spinta, ed in particolare della sua componente orizzontale, è opportuno utilizzare terreni di riempimento sabbiosi e ghiaiosi, caratterizzati da un alto valore dell’angolo di resistenza al taglio.

1 Si ricorda che il momento alla sezione di incastro di una trave a mensola di luce l soggetta ad un carico triangolare con valore massimo p=γl all’incastro vale Mi = γ l3/6.

Page 254: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

254

Per limitare l’influenza sulla spinta del terreno naturale in sito dietro il muro ed il suo riempimento, il pendio che si realizza con lo sbancamento deve avere debole pendenza. Per ridurre, e possibilmente eliminare, la spinta esercitata dall’acqua è necessario preve-dere un efficace sistema di drenaggio dietro l’opera di sostegno. I sistemi di drenaggio più utilizzati sono (Figura 14.5): - fori di drenaggio, di 10÷15 cm di diametro e interasse 2÷4 m, muniti di rete reps o di

filtro, disposti a quinconce su tutta l’altezza del muro, con maggiore densità nella par-te inferiore;

- materiali drenanti messi in opera dietro il muro, sia verticalmente a contatto diretto con la parete, sia come tappeti drenanti messi in opera sul pendio di terreno naturale prima del riempimento, in modo da abbattere la superficie di falda.

Le acque di drenaggio che attraversano il muro possono essere convogliate in una canalet-ta al piede.

Figura 14.4 - Geometria e proporzioni usuali dei muri di sostegno: a gravità (a), a mensola (b), a contraffortie speroni (c).

a) b)

c)

D sufficientemente gran-de da tenere in conto gli effetti di congelamento

Page 255: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

255

In casi particolarmente difficili può essere necessario il drenaggio del pendio a monte con un sistema di dreni sub-orizzontali. Il sistema drenante può essere ulteriormente migliorato con l’inerbimento del pendio, che riduce l’acqua di infiltrazione, e con la messa in opera di opportune specie vegetali a radi-ci profonde che, per suzione, riducono il contenuto in acqua del terreno.

14.3 Gabbionate e crib-walls Le gabbionate e i crib-walls sono particolari muri di sostegno a gravità. Le gabbionate sono costituite da elementi indipendenti (gabbioni), affiancati e appoggiati l’uno sull’altro (Figura 14.6). I gabbioni sono parallelepipedi di rete metallica, di norma di dimensioni 1x1x2 m, riempiti in sito di pietrame, ciottoli e ghiaia pulita (Figura 14.7).

Figura 14.6: Schemi di gabbionate Figura 14.7 - Involucro di un gabbione La costruzione e la messa in opera delle gabbionate è semplice e rapida. Un’opera di sostegno in gabbioni ha il vantaggio di essere molto flessibile, adattandosi senza danno a movimenti verticali e orizzontali, e molto permeabile. Tali caratteristi-

Figura 14.5: Sistemi di drenaggio dietro i muri di sostegno.

Terreno di riempimento

Terreno di riempimento

Materiale drenante

Argilla Argilla

Tappeto drenante

Canaletta al piede

Fori di drenaggio

Terreno di riempimento

Terreno naturale

Page 256: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

256

che rendono le gabbionate particolarmente utili per la stabilizzazione dei pendii in frana e per le opere di difesa dall’erosione delle sponde dei corsi d’acqua e delle coste. L’economia della struttura dipende dal costo di approvvigionamento del materiale di riempimento. I crib-walls sono muri a cassone, ottenuti assemblando elementi prefabbricati in cemento armato (Figura 14.8). I cassoni sono riempiti con terreno incoerente e drenante (tout-venant di fiume o di cava), compattato a strati successivi. Gli elementi prefabbricati pos-sono avere forma diversa (Figura 14.9).

Figura 14.8: Schema di crib-wall Figura 14.9: Tipi di elementi pre-

fabbricati per crib-walls: a) a dop-pia faccia; b) a coda di rondine; c) di tipo chiuso

14.4 Terra armata La terra armata (Figura 14.10) è un materiale composito che deriva dall’associazione di terreno e di armature. L’attrito fra terreno e armature limita le deformazioni orizzontali dell’ammasso e conferisce al terreno una sorta di “coesione”. Un paramento verticale sul-la faccia esterna dell’ammasso sostiene il terreno, che altrimenti scorrerebbe tra le arma-ture. Esso ha solo funzione di sostegno locale del terreno, ma non interviene nella stabilità generale dell’ammasso. I materiali costituenti la terra armata sono: o il terreno, che deve essere caratterizzato da un coefficiente d’attrito con le armature

generalmente non inferiore a 0,35. A tal fine devono essere esclusi i terreni argillosi (con percentuale di fine superiore al 15%) e quelli organici, ed occorre verificare che non vi siano agenti aggressivi per le armature e/o per le pareti. Il terreno è messo in

Terreno di riempimento

a)

b)

c)

Page 257: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

257

opera per strati orizzontali successivi compattati di spessore dell’ordine di 30 cm; o le armature, che devono essere flessibili, resistenti a trazione, con elevato coefficiente

d’attrito e non corrodibili. Spesso consistono in strisce d’acciaio, galvanizzato o inos-sidabile, o di lega d’alluminio, di larghezza compresa tra 4 e 12 cm. Sono anche uti-lizzate, come armature, le geogriglie estruse in HDPE. Le armature sono poste per-pendicolari ed agganciate al paramento, e disposte orizzontalmente sullo strato di ter-reno compattato in opera;

o il paramento verticale, che costituisce la parte a vista del muro, e deve potersi adattare alle deformazioni dell’ammasso. A tal fine sono utilizzati profilati metallici d’acciaio galvanizzato o d’alluminio, a sezione sottile di forma semi ellittica, o bullonati fra lo-ro e con le armature, oppure pannelli prefabbricati di calcestruzzo, di dimensioni 1,5 x 1,5 m, incernierati l’uno con l’altro, in modo da poter subire senza danno sensibili movimenti. O anche casseri in rete elettro-saldata e geogriglie, con inerbimento del paramento stesso, al fine di ridurre l’impatto visivo e ambientale dell’opera.

È stato sperimentalmente verificato che lo sforzo di trazione, T, nelle armature presenta un massimo in prossimità del paramento esterno, e che è possibile individuare due zone:

Figura 14.10: Schema di terra armata - la zona attiva, prossima al paramento, in cui le tensioni tangenziali sono dirette verso il paramento e il terreno tende a trascinare le armature; e - la zona resistente, più distante dal paramento e maggiormente estesa, in cui le tensioni tangenziali sono dirette verso l’interno ed il terreno tende a trattenere le armature. Per il calcolo delle strutture in terra armata si fa riferimento allo schema di Figura 14.11. Si assume che la pressione orizzontale vari linearmente con la profondità (Figura 14.11a). Le corrispondenti forze di trazione nelle armature sono calcolate come indicato in Figura 14.11b.

Terreno di riempimento

Armature Zona attiva Zona resistente

Paramento esterno

RIPARTIZIONE DEGLI SFORZI DI TRAZIONE

Larghezza

Lunghezza

Terreno

Spaziatura

Page 258: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

258

La lunghezza delle armature deve essere tale che la porzione oltre la superficie di scorri-mento potenziale sia sufficiente a garantire l’ancoraggio con un adeguato coefficiente di sicurezza, la sezione delle armature deve essere dimensionata in base alla resistenza a tra-zione del materiale costituente. In genere la lunghezza delle armature è dell’ordine di 0,8 volte l’altezza dell’opera. Per la stabilità di insieme devono essere eseguite le stesse verifiche dei muri di sostegno. La terra armata è utilizzata non solo come opera di sostegno ma anche per la stabilizza-

Figura 14.11. Schema di calcolo di un muro in terra armata

Superficie potenziale di scorrimento

dove strato di base

245 φ

iH

Page 259: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

259

zione dei pendii in frana, per la realizzazione di rilevati e argini, etc.. Le opere in terra armata, che possono anche raggiungere altezze elevate, sono caratteriz-zate da una grande deformabilità e sono quindi idonee a sopportare senza danno cedimen-ti assoluti e differenziali.

14.5 Paratie Le paratie sono pareti verticali parzialmente o interamente immerse nel terreno, che pos-sono avere funzione idraulica, di sostegno del terreno, di fondazione profonda, o mista. In questo paragrafo ci occuperemo di paratie con funzione di sostegno del terreno. Le paratie con funzione di sostegno del terreno sono pareti verticali immorsate nel terre-no, con quota diversa ai due lati della parete. Tale differenza di quota può essere dovuta ad uno scavo o ad un riporto. Nel primo caso la struttura è interamente a contatto con ter-reno naturale, nel secondo caso il terreno di fondazione è naturale e quello sostenuto è di riporto. Il meccanismo di funzionamento delle paratie si basa sul fatto che l’intensità della pres-sione mutua di contatto fra la parete e il terreno dipende dal movimento della parete, e quindi dalle conseguenti deformazioni del terreno, come abbiamo visto al Capitolo 13 (“Spinta delle terre”). In condizioni di equilibrio, le azioni orizzontali, a monte e a valle della struttura, hanno risultante di eguale intensità, verso opposto, e stessa retta d’azione. Nella risultante vanno comprese le eventuali forze concentrate trasmesse da vincoli, come tiranti di ancoraggio o puntoni (Figura 14.22). I movimenti e la deformazione della parete, e di conseguenza le tensioni orizzontali mu-tue, dipendono dalla rigidezza relativa della struttura, e dovrebbero essere determinati mediante un’analisi di interazione terreno-struttura. Tuttavia, nella progettazione corrente, si utilizzano metodi all’equilibrio limite, ipotizzando note le distribuzioni di pressione. Nel termine paratie si comprendono le palancole e i diaframmi, strutture che possono dif-ferire molto fra loro sia come materiale costituente, sia come tecnica di messa in opera, sia come geometria, ma che hanno in comune il meccanismo di funzionamento. Le palancole sono strutture permanenti o provvisorie, messe in opera a percussione o a vibro-infissione, con battipalo. Possono essere di legno2, di cemento armato3, o più fre-quentemente d’acciaio. Le palancole d’acciaio hanno resistenza elevata, peso ridotto, pos-sono essere facilmente trasportate e movimentate in opera, possono essere rimosse, recu-perate e riutilizzate, hanno elevata durabilità anche sotto falda, e possono essere facilmen-te collegate fra loro, in orizzontale, per saldatura.

2 Le palancole di legno non sono più usate ma possono incontrarsi nei lavori di restauro 3 Le palancole in cemento armato sono usate solo per altezze modeste a causa del peso e delle dimensioni elevate

Page 260: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

260

In Figura 14.12 sono riportate le sezioni tipo delle palancole in acciaio NKSP, e in Tabella 14.1 sono raffigurati gli schemi di ac-coppiamento e le caratteristiche geometriche e inerziali. I diaframmi utilizzati come ope-re di sostegno delle terre4 sono pareti in c.a. realizzate con pali accostati, pali intersecantisi o con pannelli, che possono rag-giungere elevate profondità. L’uso dei diaframmi consente di ridurre al minimo i volumi di scavo e le aree di lavoro, per cui sono spesso impiegati in am-biente urbano. Per limitare la flessibilità della struttura sono spesso vincolati al terreno con tiranti di ancoraggio, anche a più livelli, o con puntelli provvisori, che sono poi sostituiti, nella loro funzione, dai solai della struttura definitiva. Talvolta, per aumen-tarne la rigidezza flessionale, i diaframmi sono ottenuti acco-stando elementi con sezione a T o ad H. Più raramente sono pre-compressi in opera. I diaframmi a pali secanti sono composti da pali trivellati di diametro φ compreso tra 60 e 80 cm, e interasse i tra 50 e 60 cm. Sono prima realizzati i pali pari (o dispari), non arma-ti, e successivamente i pali dispari (o pari) che intersecano i pali già gettati e sono dotati di armatura metallica. I diaframmi di pali sono un ripiego rispetto ai diaframmi a pannelli, giustificato talvolta da ragioni di costo, sia perché hanno spessore variabile e non buona disposizione delle armature, sia perché a causa degli errori di verticalità nella messa in opera, alcuni pali possono svergolare dalla parete rendendola meno resistente e più per-meabile. I diaframmi lineari sono costituiti da pannelli le cui dimensioni usuali sono: spessore S compreso tra 50 e 120 cm, lunghezza L compresa tra 200 e 600 cm.

4 I diaframmi con funzione idraulica (ad es. come taglioni impermeabili di argini e dighe in terra, o a prote-zione dall’inquinamento della falda, oppure filtri permeabili di depurazione delle acque, etc..) sono realizza-ti con materiali diversi.

Figura 14.12 - Sezioni tipo di palancole metalliche NKSP.

Page 261: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

261

Le fasi esecutive per la realizzazione di diaframmi a pannelli lineari sono: i. scavo dei pannelli pari (o dispari) a sezione obbligata in profondità con benna

mordente e/o con idrofresa, previa stabilizzazione delle pareti con fango bentoniti-co;

ii. posa in opera della gabbia di armatura preassemblata e di eventuali casseri recupe-rabili per la formazione di giunti;

Tabella 14.1 - Schemi di accoppiamento e caratteristiche geometriche e inerziali di palancole me-talliche NKSP.

Page 262: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

262

iii. getto del calcestruzzo nello scavo, dal basso verso l’alto (sistema contractor), che si sostituisce al fango bentonitico:

iv. ripetizione delle operazioni per i pannelli dispari (o pari). I metodi all’equilibrio limite per il calcolo delle paratie assumono le seguenti ipotesi sem-plificative sulla spinta del terreno: 1. legame pressioni-spostamenti di tipo rigido-plastico (con spostamenti infinitesimi

sono raggiunti gli stati di tensione limite attivo o passivo); 2. il valore delle pressioni attive e passive è indipendente dalle modalità con cui la

parete si muove e dalla sua deformabilità; 3. la distribuzione delle pressioni è lineare e il suo valore può determinarsi mediante

i coefficienti di spinta attiva e passiva.

14.5.1 Metodo convenzionale di calcolo di paratie a sbalzo

Con riferimento agli schemi di Figura 14.13a e 14.13b1, nei quali sono rappresentati ri-spettivamente la geometria di una paratia a sbalzo in terreno omogeneo, incoerente e a-sciutto, e l’andamento dei diagrammi limite di pressione attiva e passiva a monte e a valle della paratia, il problema è staticamente determinato, poiché si hanno: 2 incognite:

- la profondità di infissione D - la profondità d del punto di spostamento nullo, O

e 2 equazioni di equilibrio:

- alla traslazione orizzontale - alla rotazione.

Talora, per semplificare ulteriormente il calcolo, poiché il punto O è prossimo alla base, si fa riferimento allo schema di Figura 14.13b2 trascurando il momento di trasporto. Si cal-cola in tal modo il valore di d con un’unica equazione di equilibrio alla rotazione rispetto al punto O, e si assume D=1,2d. Il coefficiente di spinta passiva è diviso per il coefficiente di sicurezza, il cui valore è as-sunto di norma pari a 2. Lo schema di calcolo delle paratie a sbalzo, illustrato per semplicità di esposizione con riferimento ad un terreno omogeneo, incoerente e asciutto, può essere esteso a differenti condizioni geotecniche, anche con terreni stratificati, in presenza di falda e di filtrazione. La procedura generale, in un calcolo di progetto, consiste nel determinare i diagrammi li-mite di pressione attiva e passiva, quest’ultima ridotta dall’applicazione del coefficiente di sicurezza, nonché della pressione dell’acqua, a monte e a valle della paratia, e succes-sivamente, imponendo le condizioni di equilibrio alla traslazione orizzontale e alla rota-zione, ricavare la profondità di infissione e la profondità del punto di spostamento nullo. In un calcolo di verifica, la profondità di infissione è nota, e le incognite del problema so-no la profondità del punto di spostamento nullo ed il coefficiente di sicurezza.

Page 263: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

263

Per il calcolo di paratie a sbalzo in argilla satura, occorre considerare le condizioni inizia-li, non drenate, a breve termine, e le condizioni finali, drenate, a lungo termine. Nel primo caso si assume che la resistenza al taglio del terreno valga: uf c=τ , per cui le tensioni orizzontali limite (totali) attiva e passiva, valgono rispettivamente: σa = σv – 2cu ≥ 0, e σp = σv + 2cu. Il coefficiente di sicurezza può essere applicato al valore della resistenza al taglio dispo-nibile, cu. A titolo di esempio in Figura 14.14 sono riportati i diagrammi di tensione netta (risultante della tensione attiva e passiva) per paratie a sbalzo in terreno di fondazione coesivo saturo e riempimento granulare (Figura 14.14a) e in terreno omogeneo coesivo saturo (Figura 14.14b). I diagrammi di pressione teorici, che derivano dall’applicazione stretta dell’ipotesi di comportamento rigido-plastico del terreno, sono poco verosimili, poiché implicano im-provvise inversioni di segno della pressione orizzontale.

Per rendere più realistici i diagrammi di spinta si possono utilizzare linee di raccordo in-clinate, come nei procedimenti nel seguito descritti.

Figura 14.13: Analisi di stabilità di un diaframma a mensola in terreno incoerente, omogeneo e asciutto, e relativi diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione

Page 264: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

264

Figura 14.14: Diagrammi di spinta netta a breve termine per paratie a sbalzo in terreno di fon-dazione coesivo saturo e riempimento granulare (a) e in terreno omogeneo coesivo saturo (b).

14.5.2 Metodo di calcolo di palancola a sbalzo in terreno granulare

L’analisi è basata sulla distribuzione di pressione mostrata in Figura 14.15, per un terreno granulare omogeneo, con piano campagna orizzontale e assenza di filtrazione5. Il coefficiente di sicurezza (di norma compreso tra 1,5 e 2) può essere introdotto riducen-do Kp del 30-50% oppure incrementando la profondità di infissione minima del 20-40%. Con riferimento alla Figura 14.15, si ha:

5 Per terreno stratificato, per piano campagna inclinato, in presenza di sovraccarichi o di filtrazione, si in-trodurranno le relative modifiche al diagramma di spinta, ma la filosofia del metodo rimane invariata.

( )[ ]

Cp

a

)KK('ChH'hKp

a

ap

wwaa

=

−⋅=−⋅+⋅⋅=

γγγ

( )wwa2

2wa1

4321a

hHhKR

hK21R

RRRRR

−⋅⋅⋅=

⋅⋅⋅=

+++=

γ

γ

Riempimento granulare

Argilla Argilla

Argilla Linea di dragaggio

Page 265: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

265

Figura 14.15: Diagrammi di spinta per palancola a sbalzo in terreno granulare.

( )

( )

( )

( )( )[ ]

( )0RRRF

2Yp

2zppRR

D'KhDH'hKp

Y'KKpaDY

a32y

3hH

ay

2hH

ay

h32Hay

yRyRyRyRyR2apR

hH'K21R

p'pax

p'ppp

'p

awwp'p

app

4

w3

w2

w1

44332211a

a4

2wa3

=−+=

⋅−⋅+=−

⋅⋅−−+⋅+⋅⋅=

⋅⋅−=−=

⋅=

−+=

−+=

⋅−+=

⋅+⋅+⋅+⋅=⋅

⋅=

−⋅⋅⋅=

Σ

γγγ

γ

γ

da cui, sostituendo:

γ’

Page 266: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

266

( ) ( ) 03Y

2Yp

3z

2zppyYRM

ppR2Yp

z

p'ppapiede

'pp

ap

=⋅⋅−⋅⋅+++⋅=

+

⋅−⋅=

Σ

ovvero:

( ) ( ) 0YpzppyYR6 2p

2'ppa =⋅−⋅+++⋅⋅

che, con alcuni passaggi, diviene:

L’equazione (14.1) viene in genere risolta per tentativi, assumendo un primo valore di per D in base alle indicazioni di Tabella 14.2, e risolvendo per Y.

Tabella 14.2 - Valori approssimati della profondità di infissione D per palancole a sbalzo in ter-reno granulare omogeneo

NSPT Densità relativa della sabbia Profondità di infissione, D

0 - 4 Molto sciolta 2,0 H

5 - 10 Sciolta 1,5 H

11 - 30 Mediamente densa 1,25 H

31 - 50 Densa 1,0 H

> 50 Molto densa 0,75 H

14.5.3 Metodo di calcolo di palancola a sbalzo in terreno coesivo saturo

Il calcolo della struttura a breve termine, ovvero poco dopo la messa in opera della palan-cola, è generalmente svolta in termini di tensioni totali, assumendo che l’argilla abbia re-sistenza al taglio τf = cu= 0,5 qu. Con riferimento agli schemi di distribuzioni delle pressioni indicati in Figura 14.16, ri-spettivamente per riempimento granulare (Figura 14.16a) e per terreno omogeneo (Figura 14.16b) il calcolo viene svolto in modo concettualmente analogo a quello già illustrato per palancola in terreno granulare, determinando z con l’equazione all’equilibrio in dire-zione orizzontale:

( ) 0yp3R2pCR2

YC1

pyR6Y

pR2

Y 'pa'

p

a'p

a2

'p

a3 =⋅⋅+⋅⋅⋅⋅

−⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅⋅−⋅⎟

⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ⋅− (Eq. 14.1)

0RRRF p'pax =−+=Σ (Eq. 14.2)

Page 267: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

267

ma in cui:

( ) ( ) ( ) Dqc4zc4Dqc42zqc4qc4RR uuuuup

'p ⋅−⋅−⋅⋅=⋅−⋅−⋅+⋅+−⋅=−

e D con l’equazione all’equilibrio dei momenti rispetto al piede della palancola, che può essere scritta nel modo seguente:

( ) ( ) ( )[ ] 0RDqc4c4

1c38yDR2qc4D 2

au

2

uuau

2 =−⋅−⋅⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅

⋅⋅−+⋅⋅−−⋅⋅

e risolta per tentativi.

Figura 14.16: Diagrammi di spinta per palancola a sbalzo in terreno coesivo saturo per riempimento granulare (a) e per terreno omogeneo (b)

14.5.4 Metodi convenzionali di calcolo di paratie con un ordine di tiranti

a) Metodo del supporto libero (free earth support) Il metodo convenzionale del supporto libero si applica a strutture di elevata rigidezza (diaframmi in c.a.). Lo schema di Figura 14.17, rappresenta una paratia rigida, con un ordine di tiranti o co-munque con un vincolo prossimo alla sommità, in un terreno omogeneo, incoerente e a-sciutto. Si assume, per ipotesi, che il movimento della struttura sia interamente verso l’esterno, e che quindi il terreno retrostante la parete sia ad ogni profondità in condizioni di spinta attiva, e quello antistante in condizioni di spinta passiva. Il problema risulta staticamente determinato, poiché si hanno 2 incognite:

- la profondità di infissione d - la forza F (per unità di lunghezza della struttura) esercitata dai tiranti,

e 2 equazioni di equilibrio: - alla traslazione orizzontale

Page 268: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

268

- alla rotazione intorno al punto di ancoraggio. La sicurezza è messa in conto assumendo un valore ridotto della spinta passiva (solita-mente si applica un coefficiente di sicurezza FS = 2). Per il dimensionamento e la verifica di sicurezza degli ancoraggi dei tiranti si amplifica il valore calcolato di F, di norma mol-tiplicandolo per 1,25.

Anche in questo caso, il metodo di calcolo del supporto libero per una paratia con un or-dine di ancoraggi, illustrato per semplicità di esposizione con riferimento ad un terreno omogeneo, incoerente e asciutto, può essere esteso a differenti condizioni geotecniche, anche con terreni stratificati, in presenza di falda e di filtrazione. Se la struttura è flessibile, come ad esempio le palancole metalliche, e il terreno è sabbia, la pressione del terreno sulla parete differisce sensibilmente, per effetto arco, dallo sche-ma a segmenti rettilinei adottato con il metodo del supporto libero, con la conseguenza che il momento flettente calcolato risulta superiore al valore reale e troppo conservativo.

Figura 14.17: Analisi di stabilità di un diaframma ancorato in terreno incoerente, omogeneo e asciutto, e relativi diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione

Page 269: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

269

Per tener conto di tale evidenza sperimentale Rowe (1952, 1957) propose di utilizzare un coefficiente r di riduzione del momento flettente, da applicare ai risultati dell’analisi con-dotta con il metodo del supporto libero, funzione della flessibilità della parete.

La flessibilità della parete è rap-

presentata dal parametro EIL4

(in m2/t a metro di parete), in cui L è la lunghezza totale della pa-lancola, ed EI è la rigidezza fles-sionale. In Figura 14.18 sono ri-portate le curve di variazione di ρ con r = M/Mtr per sabbie di diver-sa densità. b) Metodo del supporto fisso (fi-

xed earth support) Il metodo convenzionale del sup-porto fisso si applica a strutture di modesta rigidezza (palancole me-talliche). Lo schema di Figura 14.19, rappresenta una palancola flessibile, con un ordine di tiranti o comunque con un vincolo prossimo alla sommità, in un terreno omogeneo, incoerente e asciutto. Si assume, per ipotesi che la deformata della struttura nella parte infissa comporti un comporti un movimento anche verso l’interno, e che quindi il terreno a contatto della pa-

rete, a monte e a valle, sia in parte in condizioni di spinta attiva e in parte in condizioni di spinta passiva. Il problema, in questo caso, non è staticamente determinato, e la soluzione si ottiene in-troducendo un’ulteriore ipotesi semplificativa, a carattere semi empirico. La linea elastica della struttura presenta un flesso (punto di inversione della curvatura) in cui il momento flettente è nullo. L’ipotesi semplificativa consiste nell’assegnare la posi-zione di tale punto C in funzione dell’angolo di resistenza al taglio del terreno. In Tabella 14.3 è indicato il valore del rapporto x/H fra la profondità x del punto C rispetto alla quo-ta del terreno a valle della palancola (linea di dragaggio) e l’altezza H dello scavo in fun-zione dell’angolo di resistenza al taglio del terreno φ’. I valori di Tabella 14.3 sono ben riprodotti dall’equazione:

9981.0R

8214.0'0368.0'0004.0Hx

2

2

=

+−= φφ (Eq. 14.3)

Figura 14.18: Coefficiente di riduzione del momento flettente (Rowe)

Page 270: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

270

Tabella 14.3: Stima della posizione del punto di flesso per una palancola flessibile ancorata in terreno omogeneo incoerente

φ’ (°) 20 25 30 35 40 x/H 0,25 0,15 0,08 0,035 -0,007

Si considerano separatamente i due tratti di palancola (Figura 14.20): − il tratto superiore BC, di lunghezza

(H + x), dalla sommità B al punto di flesso C

− il tratto inferiore CD, di lunghezza (d - x), dal punto C alla base D.

Le incognite sono 4: taglio (massimo) TC nel punto C, forza F, profondità di infissione d, e risultante delle pressioni orizzontali nella parte terminale della palancola RD. Le equazioni di equilibrio sono 4: le e-quazioni di equilibrio alla rotazione e al-la traslazione dei due tratti di trave.

Figura 14.19: Analisi di stabilità di una palancola flessibile ancorata in terreno incoerente, omogeneo e asciutto, e relativi diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione

d

A

C

D

BF

T

R

T

a

C

D

C

hH

x

d-x

Figura 14.20: Schema di calcolo del metodo del supporto fisso

H

x

Page 271: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

271

Con riferimento allo schema di calcolo di Figura 14.20: 1. tratto BC: dall’equilibrio alla rotazione intorno ad A si ricava TC; 2. tratto CD: dall’equilibrio alla rotazione intorno a D si ricava (d – x); 3. tratto BC: dall’equilibrio alla traslazione orizzontale si ricava F; 4. tratto CD: dall’equilibrio alla traslazione orizzontale si ricava RD.

La profondità di infissione, d, si ricava con la relazione d = 1.2 a.

14.5.5 Tiranti di ancoraggio

I tiranti di ancoraggio delle palancole e dei diaframmi sono costituiti da tre elementi fun-zionali: la testata, la parte libera e la fondazione, bulbo o piastra di ancoraggio (Figura 14.21).

L’armatura è di acciaio armonico, e viene di norma presollecitata. Il bulbo di ancoraggio è realizzato mediante iniezione di malta cementizia. Esso deve essere posto ad una distan-za dalla parete tale da non interferire con la superficie di scorrimento potenziale, ovvero deve essere esterno al cuneo di spinta attiva (Figura 14.22a), ed essere immerso in terreno omogeneo. La forza di progetto del tirante, T, si ottiene dall’equazione:

in cui: − 1,25 rappresenta un coefficiente di sicurezza, − F è la forza vincolare orizzontale calcolata per unità di lunghezza della parete, − α è l’angolo di inclinazione del tirante sull’orizzontale, ed

iFT ⋅⋅=

αcos25,1 (Eq. 14.4)

Figura 14.21: Schema di un tirante di ancoraggio

Page 272: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

272

− i è l’interasse fra i tiranti (in genere 2-3m).

La forza T deve essere garantita dalle tensioni tangenziali di attrito e/o di aderenza fra la fondazione ed il terreno circostante. Se invece che con un bulbo iniettato la fondazione del tirante è realizzata con una piastra, la posizione di quest’ultima deve ricadere nella zona indicata in Figura 14.22b. In questo caso la forza T è garantita dalla differenza fra la spinta passiva sul lato di valle e la spinta attiva sul lato di monte della piastra d’ancoraggio.

14.6 Scavi armati e trincee Molto spesso per il sostegno di pareti di scavo verticali temporanee, come ad esempio per la realizzazione di gallerie, sottopassi, parcheggi sotterranei etc.., si utilizzano strutture provvisorie armate con puntelli che collegano le due pareti affacciate. Le pareti verticali possono essere costituite da tavole di legno, o da palancole metalliche o anche da diaframmi in c.a., e, a seconda della tipologia, possono essere messe in opera prima dello scavo e raggiungere profondità maggiori del fondo scavo, oppure via via che procede lo scavo (Figura 14.23).

Figura 14.23: Schemi di scavi armati

Puntoni

Tavola in legno

Puntoni

Palancole

Vista in sezione

Figura 14.22 - Posizione corretta della fondazione dei tiranti di ancoraggio

a) b)

Page 273: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 14 OPERE DI SOSTEGNO

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

273

I puntelli possono essere in legno, in acciaio (tubolari, profilati o travi reticolari) o in c.a. Poiché i vincoli costituiti dai puntoni impediscono, o comunque limitano molto, il movi-mento della parete, non sono validi i diagrammi di pressione utilizzati per altre opere di sostegno e si utilizzano i diagrammi di pressione semplificati di Figura 14.24, ottenuti in modo empirico dai valori misurati dello sforzo normale nei puntoni di strutture diverse, di diverse dimensioni, e in diversi terreni (Terzaghi e Peck, 1967).

Figura 14.24 - Diagrammi di pressione del terreno sulle pareti di scavi puntellati

Sabbia Argilla Argilla Argilla

In genere n = 0.4

n = 0.2 per piccoli movi-menti e costruzioni aventi periodo proprio piccolo

Argilla dura fessurata

Si adotta una distribuzione maggiore di (b) e (c)

Fattore di stabilità

m = 0.4 per argilla NC

m =1.0 per argilla leggermente OC o in presenza di uno strato rigido vicino alla base dello sca-vo

Argilla soffice e compatta

N.B. Per N = 6 il fattore di sicurezza contro la rottura alla base può essere insufficiente

Per N > 7.5 la rottura alla base è pro-babile

Page 274: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

274

CAPITOLO 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

La fondazione è quella parte della struttura che trasmette il carico dell’opera al terreno sottostante. La superficie di contatto tra la base della fondazione e il terreno è detta piano di posa. In base al rapporto tra la profondità del piano di posa (D), rispetto al piano di campagna, e la dimensione minima in pianta (B), si definiscono, in accordo con quanto proposto da Terzaghi: • superficiali le fondazioni in cui il rapporto D/B è minore di 4; • profonde le fondazioni per le quali il rapporto D/B è maggiore di 10; • semi-profonde le fondazioni con D/B compreso tra 4 e 10. Per quanto riguarda il meccanismo di trasferimento del carico al terreno, le fondazioni superficiali trasmettono il carico solo attraverso il piano di appoggio, le fondazioni pro-fonde e semi-profonde trasferiscono il carico al terreno sia in corrispondenza del piano di appoggio che lungo la superficie laterale. In questo capitolo la trattazione sarà limitata al caso delle fondazioni superficiali. Per garantire la funzionalità della struttura in elevazione, il sistema di fondazioni deve soddisfare alcuni requisiti; in particolare, il carico trasmesso in fondazione: 1. non deve portare a rottura il terreno sottostante; 2. non deve indurre nel terreno cedimenti eccessivi tali da compromettere la stabilità e la

funzionalità dell’opera sovrastante; 3. non deve produrre fenomeni di instabilità generale (p. es. nel caso di strutture realiz-

zate su pendio); 4. non deve indurre stati di sollecitazione nella struttura di fondazione incompatibili con

la resistenza dei materiali.

15.1 Capacità portante e meccanismi di rottura Il primo punto è quello che riguarda la verifica di stabilità dell’insieme terreno-fondazione, ovvero la determinazione di quella che viene definita capacità portante (o carico limite, qlim) e che rappresenta la pressione massima che una fondazione può tra-smettere al terreno prima che questo raggiunga la rottura. Per introdurre il concetto di capacità portante immaginiamo di applicare ad un blocco di calcestruzzo appoggiato su un terreno omogeneo un carico verticale centrato e di misurare il valore del cedimento all’aumentare del carico. Se riportiamo in un grafico la curva cari-co-cedimenti, osserviamo che il suo andamento1 è diverso in relazione allo stato di adden-samento (o alla consistenza, se si tratta di terreno coesivo) del terreno (Figura 15.1). In particolare, si ha che: − a parità di carico, il cedimento del blocco è tanto maggiore quanto minore è la densità

relativa (o quanto minore è la consistenza);

1 A rigore, l’andamento del grafico riportato nella figura 15.1a) si riferisce a condizioni di deformazione controllata e non di carico controllato.

Page 275: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

275

− per valori elevati della densità relativa (o della consistenza), in corrispondenza del ca-rico di rottura, il blocco collassa, mentre per valori bassi della densità relativa (o della consistenza) il cedimento tende ad aumentare progressivamente ed indefinitamente. In questo caso la condizione di rottura è individuata da un valore limite convenziona-le del cedimento.

Alle diverse curve carico-cedimenti corrispondono diversi meccanismi di rottura che possono ricondursi a tre schemi principali (Figura 15.1): 1. rottura generale 2. rottura locale 3. punzonamento per ciascuno dei quali si sviluppa-no, nel terreno sottostante la fon-dazione, superfici di rottura con diverso andamento.Variando la profondità del piano di posa si os-serva che l’andamento della curva carico-cedimenti si modifica e in particolare all’aumentare della profondità del piano di posa si può passare da una condizione di rottu-ra generale ad una di rottura locale e a una per punzonamento. Per quanto riguarda i tre meccani-smi di rottura sopra menzionati, è possibile osservare che nel caso di terreno denso (o compatto) i piani di rottura si estendono fino a raggiunge-re la superficie del piano campagna (rot-tura generale), nel caso di materiale sciolto (o poco consistente) le superfici di rottura interessano solo la zona in prossimità del cuneo sottostante la fon-dazione e non si estendono lateralmente (rottura locale); nel caso di materiale molto sciolto (o molle) le superfici di rottura coincidono praticamente con le facce laterali del cuneo (punzonamento). Attualmente non si dispone di criteri quantitativi per individuare a priori il ti-po di meccanismo di rottura, anche se esistono indicazioni a livello qualitativo per identificare il tipo di rottura più pro-babile (un esempio per terreni incoerenti è riportato in Figura 15.2). Ad oggi, non sono reperibili in letteratura soluzioni analitiche per lo studio del meccanismo di rottura locale,

Figura 15.1: Meccanismi di rottura

Figura 15.2: Meccanismi di rottura di fon-dazioni superficiali su sabbia

Page 276: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

276

mentre esistono numerose soluzioni analitiche per la stima del carico limite per lo schema di rottura generale.

15.2 Calcolo della capacità portante I due principali studi teorici per il calcolo della capacità portante, dai quali deriva la mag-gior parte delle soluzioni proposte successivamente, sono stati condotti da Prandtl (1920) e Terzaghi (1943), per fondazione nastriforme (problema piano) utilizzando il metodo dell’equilibrio limite. Entrambi schematizzano il terreno come un mezzo continuo, omo-geneo e isotropo, a comportamento rigido plastico e per il quale vale il criterio di rottura di Mohr-Coulomb.

15.2.1 Schema di Prandtl

Prandtl ipotizza l’assenza di attrito tra fondazione e terreno sottostante e quindi che la rot-tura avvenga con la formazione di un cuneo in condizioni di spinta attiva di Rankine (in cui le tensioni verticale ed orizzontale sono principali, la tensione verticale è la tensione principale maggiore, la tensione orizzontale è la tensione principale minore) le cui facce risultano inclinate di un angolo di 45°+ϕ/2 rispetto all’orizzontale, essendo ϕ l’angolo di resistenza al taglio del terreno (Figura 15.3). Il cuneo è spinto verso il basso e, in condi-zioni di equilibrio limite, produce la rottura del terreno circostante secondo una superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica, con anomalia φ (zona di taglio radiale). Tale ipotesi consegue al fatto che in condizioni di rottura le tensioni sulla superficie di scorri-mento sono inclinate per attrito di un angolo φ rispetto alla normale, e quindi hanno dire-zione che converge nel polo A della spirale logaritmica. A sua volta la zona di taglio ra-diale spinge il terreno latistante e produce la rottura per spinta passiva. Il cuneo ADF è in condizioni di spinta passiva di Rankine (le tensioni verticale ed orizzontale sono principa-li, la tensione verticale è la tensione principale minore, la tensione orizzontale è la tensio-ne principale maggiore), è delimitato da superfici piane inclinate di un angolo di 45°- φ/2 rispetto all’orizzontale, e scorre verso l’esterno e verso l’alto.

Figura 15.3: Schema di Prandtl per il calcolo della capacità portante

B D

EA F

G B

45°- ϕ/2

45°+ϕ/2

C

q = γ⋅D

L = ∞

Cuneo rigido di terreno

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

Zona passiva di Rankine

piano campagna

B D

EA F

G B

45°- ϕ/2

45°+ϕ/2

q = γ⋅D

L = ∞

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

piano campagna

D Piano di fon-dazione

Page 277: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

277

Come caso particolare, per φ = 0 il cuneo sottostante la fondazione ha le pareti inclinate a 45°, la zona di taglio radiale è limitata da una superficie circolare (spirale logaritmica ad anomalia 0) e la zona passiva ha piani di scorrimento inclinati a 45°.

15.2.2 Schema di Terzaghi

Il meccanismo di rottura di Terzaghi ipotizza (secondo uno schema più aderente alle con-dizioni reali) la presenza di attrito tra fondazione e terreno. In questo caso il cuneo sotto-stante la fondazione è in condizioni di equilibrio elastico, ha superfici inclinate di un an-golo φ rispetto all’orizzontale, e penetra nel terreno come se fosse parte della fondazione stessa. (Figura 15.4).

Figura 15.4: Schema di Terzaghi per il calcolo della capacità portante

È da osservare che la presenza di un cuneo intatto, sotto la fondazione, è in accordo con l’evidenza che le superfici di rottura non possono interessare l’elemento rigido di fonda-zione. Secondo entrambe le teorie, il terreno sovrastante il piano di fondazione contribuisce alla capacità portante solo in virtù del proprio peso, ma è privo di resistenza al taglio; pertanto nel tratto FG della superficie di scorrimento non vi sono tensioni di taglio. Con riferimento agli schemi delle Figure 15.3 e 15.4, relativi al caso di una fondazione nastriforme, è possibile evidenziare che il carico limite dipende, oltre che dalla larghezza della fondazione, B, e dall’angolo di resistenza al taglio, φ , del terreno: − dalla coesione, c; − dal peso proprio del terreno, γ, interno alla superficie di scorrimento; − dal sovraccarico presente ai lati della fondazione, che, in assenza di carichi esterni sul

piano campagna, è dato da q = γ⋅D (Figure 15.3 e 15.4). Non esistono metodi esatti per il calcolo della capacità portante di una fondazione super-ficiale su un terreno reale, ma solo formule approssimate trinomie ottenute, per sovrappo-sizione di effetti, dalla somma di tre componenti da calcolare separatamente, che rappre-sentano rispettivamente i contributi di: (1) coesione e attrito interno di un terreno privo di

B

C A

B

c⋅AB

ϕ

Pp qp

cppp PPPP ++= γ

Cuneo rigido di terreno

B D

C E A F

G B

45°- ϕ/2 ϕ

q=γ⋅D

L = ∞

Superficie di scorrimento a forma di spirale logaritmica

Zona passiva di Rankine

piano campagna

Piano di fondazione

D

Page 278: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

278

peso e di sovraccarichi; (2) attrito interno di un terreno privo di peso ma sottoposto all’azione di un sovraccarico q; (3) attrito interno di un terreno dotato di peso e privo di sovraccarico. Ogni componente viene calcolata supponendo che la superficie di scorri-mento corrisponda alle condizioni previste per quel particolare caso. Poiché le superfici differiscono fra loro e dalla superficie del terreno reale, il risultato è approssimato. L’errore comunque è piccolo e a favore della sicurezza. La soluzione, per fondazione nastriforme con carico verticale centrato, è espressa nella forma:

qclim NqNcNB21q ⋅+⋅+⋅⋅γ⋅= γ (Eq. 15.1)

dove Nγ, Nc, Nq sono quantità adimensionali, detti fattori di capacità portante, funzioni dell’angolo di resistenza al taglio φ e della forma della superficie di rottura considerata. Per i fattori Nc ed Nq, relativi rispettivamente alla coesione e al sovraccarico, esistono e-quazioni teoriche, mentre per il fattore Nγ, che tiene conto dell'influenza del peso del ter-reno, la cui determinazione richiede un procedimento numerico per successive approssi-mazioni, esistono solo formule empiriche approssimanti. Confrontando le equazioni proposte da vari Autori per il calcolo dei fattori di capacità portante si osserva un accordo quasi unanime per i fattori Nc e di Nq, mentre per il fattore Nγ sono state proposte soluzioni diverse2. Le equazioni più utilizzate per la stima dei fat-tori di capacità portante sono le seguenti:

Il valore dei fattori di capacità portan-te cresce molto rapidamente con l’angolo di resistenza al taglio (Figura 15.5). È pertanto molto più importan-te, per una stima corretta della capaci-tà portante, la scelta dell’angolo di re-sistenza al taglio che non l’utilizzo di una o l’altra delle equazioni proposte dai vari Autori. Come caso particolare, per ϕ = 0, ov-vero per le verifiche in condizioni non drenate di fondazioni superficiali su terreno coesivo saturo in termini di tensioni totali, i fattori di capacità por-

2 A titolo di esempio:

( )φγ ⋅⋅−= 4,1tg)1N(N q (Meyerhof, 1963)

φγ tg)1N(5,1N q ⋅−⋅= (Hansen, 1970)

φγ tg)1N(2N q ⋅+⋅= (Vesic, 1973)

)24

(tg eN 2tgq

φπϕπ += ⋅ (Eq. 15.2)

( ) φctg1NN qc ⋅−= (Eq. 15.3)

( ) φγ tg1N 2N q ⋅−⋅= (Eq. 15.4)

1

10

100

1000

0 10 20 30 40 50

ϕ ( ° )

Fatt

ori d

i cap

acità

por

tant

e

NqNcΝγ

Figura 15.5: Fattori di capacità portante per fondazioni superficiali

Page 279: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

279

tante assumono i valori: Nq = 1, Nc = 5,14 Nγ = 0.

15.2.3 Equazione generale di capacità portante di fondazioni superficiali

Nelle applicazioni pratiche, per la stima della capacità portante di fondazioni superficiali, si utilizza la seguente equazione generale, proposta da Vesic (1975):

γγγγγγ ⋅⋅⋅⋅⋅⋅⋅γ⋅+

+⋅⋅⋅⋅⋅⋅+⋅⋅⋅⋅⋅⋅=

gbidsNB'21

gbidsNqgbidsNcq qqqqqqcccccclim

(Eq. 15.5)

In cui, si è indicato con: sc, sq, sγ, i fattori di forma; dc, dq, dγ, i fattori di profondità; ic, iq, iγ, i fattori di inclinazione del carico; bc, bq, bγ, i fattori di inclinazione della base; gc, gq, gγ, i fattori di inclinazione del piano campagna; B’ la larghezza equivalente per carico eccentrico. Fattori di forma e di profondità L’equazione originale di Terzaghi è ottenuta con riferimento ad un striscia indefinita di carico, in modo da poter considerare il problema piano. Le fondazioni reali hanno invece, spesso, dimensioni in pianta confrontabili, e quindi la capacità portante è influenzata dagli effetti di bordo. Si può tener conto, in modo semi empirico, della tridimensionalità del problema di capacità portante attraverso i fattori di forma, il cui valore può essere calcola-to con le formule indicate in Tabella 15.1.

Tabella 15.1: Fattori di forma (Vesic, 1975)

Forma della fondazione sc sq sγ

Rettangolare c

q

NN

'L'B1 ⋅+ φtan

'L'B1 ⋅+

'L'B4,01 ⋅−

Circolare o quadrata c

q

NN

1+ φtan1+ 0,6

I fattori sc ed sq, rispettivamente associati alla coesione e al sovraccarico latistante, sono maggiori di 1 poiché anche il terreno alle estremità longitudinali della fondazione contri-buisce alla capacità portante, mentre il fattore sγ, associato al peso proprio del terreno di fondazione, è minore di 1 a causa del minore confinamento del terreno alle estremità. Se si vuole mettere in conto anche la resistenza al taglio del terreno sopra il piano di fon-dazione, ovvero considerare la superficie di scorrimento estesa fino al piano campagna (segmento FG delle Figure 15.3 e 15.4), si possono utilizzare i fattori di profondità indica-

Page 280: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

280

ti in Tabella 15.2. Tuttavia, poiché il terreno sovrastante il piano di fondazione è molto spesso un terreno di riporto o comunque con caratteristiche meccaniche scadenti e inferio-ri a quelle del terreno di fondazione, l’uso dei fattori di profondità deve essere fatto con cautela.

Tabella 15.2: Fattori di profondità (Vesic, 1975)

Valore di φ dc dq dγ

1'B

D≤

'BD4,01 ⋅+

φ = 0 argilla

satura in condi-

zioni non drenate

1'B

D> ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅+

'BDarctan4,01

1 1

1'B

D≤ ( )

'BDsen1tan21 2 ⋅φ−⋅φ⋅+

φ > 0 sabbia e argilla in

condi-zioni

drenate

φ⋅

−−

tanNd1

dc

qq

1'B

D> ( ) ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅φ−⋅φ⋅+

'BDarctansen1tan21 2

1

Inclinazione ed eccentricità del carico Molto spesso le fondazioni superficiali devono sostenere carichi eccentrici e/o inclinati. Per tenere conto della riduzione di capacità portante dovuta all’eccentricità del carico si assume che l’area resistente a rottura sia quella porzione dell’area totale per la quale il ca-rico risulta centrato. In particolare, per una fondazione a base rettangolare di dimensioni B x L, se la risultante dei carichi trasmessi ha eccentricità eB nella direzione del lato mi-nore B ed eccentricità eL nella direzione del lato maggiore L, ai fini del calcolo della ca-pacità portante si terrà conto di una fondazione rettangolare equivalente di dimensioni B’xL’ rispetto alla quale il carico è centrato, essendo: B’= B–2eB (Eq. 15.6)

L’= L–2eL (Eq. 15.7) Anche l’inclinazione del carico riduce la resistenza a rottura di una fondazione superficia-le. A seconda del rapporto fra le componenti, orizzontale H e verticale V, del carico la rottura può avvenire per slittamento o per capacità portante. Le equazioni empiriche per fattori di inclinazione del carico ritenute più affidabili sono indicate in Tabella 15.3. Si osservi che data una fondazione con carico inclinato si può definire un dominio di rot-tura nel piano H-V, e pervenire al collasso per differenti moltiplicatori del carico, e in par-ticolare: 1) per aumento di V ad H costante, 2) per aumento di H a V costante, 3) per aumento proporzionale di H e di V (a H/V costante).

Page 281: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

281

Occorre quindi di volta in volta considerare le condizioni di carico possibili più sfavore-voli.

Tabella 15.3: Fattori di inclinazione del carico (Vesic, 1975)

Terreno ic iq iγ φ = 0

argilla satura in condizioni non

drenate cu NcLB

Hm1⋅⋅⋅

⋅−

1 1

c > 0, φ > 0 argilla in condi-

zioni drenate φ⋅

−−

tanNi1

ic

qq

1m

'gcot'cLBVH1

+

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡φ⋅⋅⋅+

1m

'gcot'cLBVH1

+

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡φ⋅⋅⋅+

c = 0 sabbia -

m

VH1 ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ −

1m

VH1

+

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

ϑ

ϑ2

B

2L

senm

cosmm

⋅+

⋅=

LB1

LB2

mB

+

+=

BL1

BL2

mL

+

+=

θ è l’angolo fra la direzione del carico proiettata sul piano di fondazione e la direzione di

L

Inclinazione della base e del piano campagna

Se la struttura trasmette carichi permanenti sensibilmente inclinati può essere talvolta conveniente rea-lizzare il piano di posa della fonda-zione con un’inclinazione ε rispetto all’orizzontale (Figura 15.6). In tal caso la capacità portante nella dire-zione ortogonale al piano di posa può essere valutata utilizzando i fattori di inclinazione del piano di posa indicati in Tabella 15.4. Se il piano campagna è inclinato di un angolo ω rispetto all’orizzonta-le (Figura 15.6), la capacità portan-te può essere valutata utilizzando i fattori di inclinazione del piano di campagna indicati in Tabella 15.5.

Tabella 15.4: Fattori di inclinazione del piano di posa (ε < π/4) (Hansen, 1970)

bc bq bγ

φtanNb1

bc

qq ⋅

−− ( )2tan1 φε ⋅− ( )2tan1 φε ⋅−

B

ε

ω

Q

Figura 15.6: Piano di posa e/o piano di campagna inclinato

Page 282: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

282

Tabella 15.5: Fattori di inclinazione del piano campagna (ω < π/4, ω < φ) (Hansen, 1970)

gc gq gγ

φtanNg1

gc

qq ⋅

−− ( ) ω⋅ω− costan1 2

ωcosgq

15.3 Scelta dei parametri di resistenza del terreno Il calcolo della capacità portante deve essere effettuato nelle condizioni più critiche per la stabilità del sistema di fondazione, valutando con particolare attenzione le possibili con-dizioni di drenaggio. Tali condizioni dipendono com’è noto dal tipo di terreno e dalla ve-locità di applicazione del carico. Nel caso dei terreni a grana grossa (ghiaie e sabbie), caratterizzati da valori elevati della permeabilità (K ≥ 10-5 m/s), l’applicazione di carichi statici3 non genera sovrapressioni interstiziali; pertanto, l’analisi è sempre condotta con riferimento alle condizioni drenate, in termini di tensioni efficaci. Nel caso di terreni a grana fine (limi e argille), a causa della loro bassa permeabilità, salvo il caso di applicazione molto lenta del carico, si generano sovrapressioni interstiziali che si dissipano lentamente nel tempo col procedere della consolidazione. Pertanto per i terreni a grana fine è necessario distinguere un comportamento a breve ter-mine, in condizioni non drenate, ed uno a lungo termine, in condizioni drenate. L’analisi (a lungo termine) in condizioni drenate può essere effettuata in termini di tensioni effica-ci. Tale tipo di approccio può essere impiegato anche nelle analisi (a breve termine) in condizioni non drenate, ma per la sua applicazione è richiesta la conoscenza delle sovra-pressioni interstiziali, ∆u, che si sviluppano durante la fase di carico. Poiché, di fatto, la definizione delle ∆u in sito è un problema estremamente complesso, l’analisi in condizio-ni non drenate è generalmente effettuata, nelle applicazioni pratiche, in termini di tensioni totali, con riferimento alla resistenza al taglio non drenata corrispondente alla pressione di consolidazione precedente l’applicazione del carico. Le condizioni non drenate sono generalmente le più sfavorevoli per la stabilità delle fon-dazioni su terreni coesivi, poiché al termine del processo di consolidazione l’incremento delle tensioni efficaci avrà prodotto un incremento della resistenza al taglio.

15.3.1 Analisi in termini di tensioni efficaci (condizioni drenate)

Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni efficaci, la resistenza del terreno è definita mediante i parametri c’ e φ’ (il criterio di rottura è espresso nella forma τ = c’ + σ’ tg φ’) e i vari termini e fattori della relazione generale (Eq. 15.5), devono essere calco-lati con riferimento a questi parametri. In presenza di falda si deve tener conto dell’azione dell’acqua, sia nella determinazione del carico effettivamente trasmesso dalla fondazione al terreno sia nel calcolo della qlim. In particolare, nel calcolo del carico trasmesso dalla fondazione al terreno deve essere considerata la sottospinta dell’acqua agente sulla porzione di fondazione immersa (quindi il carico di esercizio deve essere diminuito della sottospinta idraulica), mentre il carico

3 L’applicazione di carichi dinamici e ciclici può causare un accumulo significativo delle pressioni intersti-ziali anche in terreni sabbiosi

Page 283: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

283

limite deve essere valutato in termini di pressioni efficaci. In particolare, riferendosi per semplicità alla relazione di Terzaghi (e nel caso più generale alla Eq. 15.5), si ha:

q'

c''

2lim NqNcNB21q ⋅+⋅+⋅⋅⋅= γγ (Eq. 15.8)

dove q’ rappresenta il valore della pressione efficace agente alla profondità del piano di posa della fondazione e '

2γ il peso di volume immerso del terreno presente sotto la fonda-zione. Nel calcolo dei fattori di capacità portante viene utilizzato il valore di φ’ del terreno presente sotto la fondazione. Ipotizzando la presenza di falda in quiete, i casi possibili sono 4: a) Il pelo libero della falda si trova a profondità maggiore di D+B.

In questo caso la presenza della falda può essere trascurata. b) Il pelo libero della falda coincide con il piano di posa della fondazione (Figura 15.7a).

In questo caso Dq 1' ⋅γ= , essendo γ1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra

del piano di posa della fondazione. c) Il pelo libero della falda si trova a quota a al di sopra del piano di posa della fondazio-

ne (Figura 15.7b). In questo caso ( ) aaDq '

11' ⋅γ+−⋅γ= , essendo rispettivamente γ1 il peso umido (o satu-

ro) e '1γ il peso immerso del terreno al di sopra del piano di posa della fondazione.

d) Il pelo libero della falda si trova a quota d<B sotto il piano di posa della fondazione (Figura 15.7c). In questo caso Dq 1

' ⋅γ= , essendo γ1 il peso umido (o saturo) del terreno al di sopra del piano di posa della fondazione, mentre il termine B'

2 ⋅γ diventa ( )dBd '22 −⋅γ+⋅γ

Figura 15.7: Influenza della posizione della falda sul calcolo della capacità portante

15.3.2 Analisi in termini di tensioni totali (condizioni non drenate)

Nelle analisi di capacità portante in termini di tensioni totali, la resistenza del terreno è definita convenzionalmente mediante il parametro cu (il criterio di rottura è espresso nella forma τ = cu), che, contrariamente a c’ e ϕ’, non rappresenta una caratteristica del mate-riale, ma un parametro di comportamento. In questo caso, i fattori di capacità portante valgono: Nγ = 0, Nc = 5.14, Nq = 1 e il carico limite è dato quindi da:

q0c0c0c0c0c0ulim gqgbidsc14,5q ⋅+⋅⋅⋅⋅⋅⋅= (Eq. 15.9)

B

D

B

D

B

Dad

B-d

b)a) c)

Page 284: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

284

essendo q = γ1D la pressione totale agente sul piano di posa della fondazione, e avendo indicato con il pedice 0 i fattori correttivi per φ = 0. È opportuno evidenziare che per l’analisi in termini di tensioni totali, l’eventuale sotto-spinta idrostatica dovuta alla presenza della falda non deve essere considerata.

15.3.3 Effetto della compressibilità del terreno di fondazione

Le soluzioni teoriche per la determinazione della capacità portante di fondazioni superfi-ciali con il metodo all’equilibrio limite si riferiscono al meccanismo di rottura generale (Figura 15.1), e assumono che il terreno non si deformi ma che i blocchi che identificano il cinematismo di rottura (Figure 15.3 e 15.4) abbiano moto rigido. Quando tale ipotesi è lontana dall’essere verificata, ovvero per terreni molto compressibili, argille molli e sab-bie sciolte, il meccanismo di rottura è locale o per punzonamento. Un metodo approssi-mato semplice, suggerito da Terzaghi, per tenere conto dell’effetto della compressibilità del terreno di fondazione sulla capacità portante consiste nel ridurre di 1/3 i parametri di resistenza al taglio, ovvero nell’assumere come dati di progetto i valori: c*= 0,67 c e tanφ*= 0,67 tanφ Per il calcolo della capacità portante di fondazioni superficiali su sabbie mediamente ad-densate o sciolte (DR < 0,67) Vesic (1975) propose di utilizzare un valore di calcolo ridot-to dell’angolo di resistenza al taglio, secondo l’equazione:

( ) φφ tanD75,0D67,0tan 2RR

* ⋅⋅−+= (Eq. 15.10)

15.4 Capacità portante di fondazioni su terreni stratificati La determinazione della capacità portante di fondazioni su terreni stratificati è un proble-ma di non facile soluzione, per il quale non esistono quindi trattazioni teoriche di sempli-ce impiego. Se l’importanza dell’opera non è tale da giustificare l’uso di metodi numerici avanzati (per esempio metodi agli elementi finiti), si ricorre generalmente all’applicazione di schemi e formule approssimate. In presenza di terreni stratificati, se lo spessore misurato dal piano di fondazione dello strato di terreno su cui appoggia la fondazione è maggiore di B, il terreno può considerar-si omogeneo. Nell’ipotesi che tale circostanza non sia verificata, i casi che possono presentarsi sono i seguenti: 1. Fondazione su terreni dotati di sola coesione

1.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore 1.2 strato superiore più resistente di quello inferiore

2. Fondazione su terreni dotati di attrito e coesione 2.1 strato superiore meno resistente di quello inferiore 2.2 strato superiore più resistente di quello inferiore

Generalmente nei casi 1.1 e 2.1 si ricorre, se possibile all’asportazione dello strato più su-perficiale ed eventualmente ad una sua sostituzione con materiale compattato. Qualora ciò

Page 285: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

285

non sia possibile, si può comunque calcolare cautelativamente la capacità portante assu-mendo come parametri di resistenza quelli relativi allo strato più superficiale. Nel caso 1.1, se lo strato superficiale è di spessore limitato si può mettere in conto anche il contributo alla resistenza dovuto allo strato sottostante, utilizzando nell’espressione di qlim per fondazioni nastriformi (qlim = cNc + γD) la seguente formula per Nc:

14.5c14.5B

d 1.5N r1

sc, ≤+= (Eq. 15.11)

dove d1 rappresenta lo spessore dello strato più superficiale al di sotto del piano di fonda-zione, B la larghezza della fondazione e cr = c2/c1, essendo c1 e c2, rispettivamente, il valo-re della coesione dello strato più superficiale e di quello sottostante. Per 0.7 ≤ cr ≤ 1 il va-lore di Nc,s deve essere ridotto del 10%. Nel caso 1.2 la capacità portante di una fondazione nastriforme di larghezza B può essere calcolata utilizzando lo schema di una fondazione ideale di larghezza B+d1 appoggiata sullo strato inferiore (ipotizzando cioè che il carico si diffonda nello strato superiore di spessore d1 con un rapporto 2:1). Nel caso 2 si possono calcolare per la stratificazione un angolo di resistenza al taglio ed una coesione equivalenti nel seguente modo: − si determina la profondità H= 0.5 tg(45° + ϕ1/2)⋅B

con ϕ1 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato superiore;

− se H > d1 si determina il valore di ϕ equivalente da utilizzare nel calcolo di qlim come:

( )H

dHd 2111 ϕ⋅−+ϕ⋅=ϕ

con ϕ2 angolo di resistenza al taglio relativo allo strato inferiore; − in modo analogo si ricava c equivalente.

15.5 Dal carico limite al carico ammissibile Il carico ammissibile qamm è calcolato dividendo il carico limite qlim per un coefficiente maggiore di 1, chiamato fattore di sicurezza FS, che viene introdotto per tener conto della variabilità del terreno, dell’affidabilità dei dati e delle incertezze insite nel modello adot-tato e nella stima dei carichi. Generalmente il coefficiente di sicurezza viene applicato solo alla pressione limite netta, ossia al carico che va ad aggiungersi a quello già presente alla quota del piano di fonda-zione. In pratica:

qFS

qqq limamm +

−= (Eq. 15.10)

Il valore così ottenuto deve risultare maggiore del carico di esercizio qes. In alternativa, se è noto il carico di esercizio qes trasmesso dalla fondazione al terreno, il coefficiente di sicurezza può essere calcolato mediante la relazione:

qqqqFS

es

lim−−

= (Eq. 15.11)

e questo valore deve risultare maggiore del limite imposto dalla normativa.

Page 286: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

286

Nel caso di fondazioni con carico eccentrico, per il calcolo strutturale dell’elemento di fondazione, si fa in genere l’ipotesi semplificativa che, in condizioni di esercizio e quindi per carico molto minore della capacità portante, la pressione di contatto struttura di fon-dazione-terreno sia lineare, e che il terreno non abbia resistenza a trazione. Ne consegue che il diagramma delle tensioni di contatto viene calcolato con le formule della presso flessione per sezioni non reagenti a trazione. Ad esempio, se per semplicità di esposizione si considera una fondazione continua di lar-ghezza B soggetta ad un carico verticale N per unità di lunghezza con eccentricità e (Fi-gura 15.8): - se la risultante ricade all’interno del nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e < B/6, il

diagramma è trapezio e le tensioni alle estremità valgono: ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅

±⋅=σσ

Be61

BN

min

max

- se invece la risultante è esterna al nocciolo d’inerzia, ovvero se risulta e > B/6, la se-

zione è parzializzata e il diagramma è triangolare, con base ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −⋅= e

2B3B* e tensione

massima, all’estremità compressa ( )e2BN

34

max ⋅−⋅=σ .

Il coefficiente di sicurezza per la verifica di capacità portante, trascurando il carico già presente alla quota del piano di fondazione, sarà il rapporto fra la forza verticale massima con eccentricità e, al limite dell’ equilibrio: Qlim = qlim (B – 2e) e la forza verticale di eser-

cizio, con pari eccentricità N: N

QFS lim=

È buona norma tuttavia progettare le fondazioni superficiali in modo che la sezione sia in-teramente compressa, almeno per i carichi di lunga durata.

N

B

e

σmin σmax

e < B/6

N

B

e

σmax

e > B/6

B*

Figura 15.8: Schema delle pressioni di contatto in condizioni di esercizio per fondazioni con carico eccentrico.

Page 287: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 15 CAPACITÀ PORTANTE DELLE FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Settembre 2006)

287

La scelta del coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura di fondazioni superficiali (che potremmo anche definire coefficiente di ignoranza), come sempre per le opere geotecni-che, è operazione delicata e complessa, poiché sono molte e di diversa origine le incertez-ze con cui viene determinato il valore di riferimento. Vi sono incertezze nella definizione del modello geotecnico (stratigrafia, spessore e geometria degli strati, variabilità delle ca-ratteristiche geotecniche, affidabilità delle indagini geotecniche eseguite, etc..), incertezze legate al metodo di calcolo (leggi costitutive, ipotesi sul meccanismo di collasso, utilizzo di relazioni empiriche, etc..), incertezze legate ai carichi applicati, alla loro probabilità di evenienza e alla persistenza nel tempo, etc). In attesa dell’entrata in vigore di una nuova normativa basata sul metodo semiprobabili-stico e sui coefficienti parziali di carico e di resistenza (Eurocodice 7), occorre comunque rispettare la normativa italiana vigente (D.M. 11.3.1988), la quale fissa, come limite infe-riore del coefficiente di sicurezza globale rispetto alla rottura di fondazioni superficiali, un valore pari a 3 per le fondazioni di manufatti in generale, e pari a 2 per le fondazioni delle opere di sostegno.

Page 288: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

288

CAPITOLO 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

16.1 Introduzione I cedimenti delle fondazioni superficiali sono gli spostamenti verticali del piano di posa, e sono il risultato (l’integrale) delle deformazioni verticali del terreno sottostante la fonda-zione. Tali deformazioni sono la conseguenza di un’alterazione dello stato di tensione, che in generale può essere prodotta dal carico trasmesso dalla fondazione stessa o da altre fondazioni vicine, o anche da una variazione delle pressioni interstiziali, ad esempio per un abbassamento del livello di falda. Limitandoci al caso dei carico trasmesso dalla fon-dazione, la stima dei cedimenti attesi è necessaria per valutarne l’ammissibilità in condi-zioni di esercizio, e quindi per valori del carico e delle tensioni indotte molto inferiori a quelli che producono la rottura del terreno. Per stimare i cedimenti è necessario conoscere, fino alla profondità alla quale l’alterazione dello stato di tensione diviene trascurabile, ovvero nel volume significativo del sottosuolo: 1. le condizioni stratigrafiche, 2. lo stato tensionale iniziale e finale, 3. le leggi costitutive tensioni-deformazioni-tempo per ciascuno dei terreni presenti. Come per molti altri problemi di ingegneria geotecnica, troppo complessi per essere af-frontati e risolti in modo rigoroso e unitario, anche la stima dei cedimenti di fondazione viene di norma affrontata “per parti” e “a cascata”, applicando a ciascuna di esse modelli e schemi incompleti e parziali, talvolta empirici o semi-empirici, ma sufficientemente ac-curati per dare una risposta quantitativa affidabile ad ogni passo del procedimento. Natu-ralmente è essenziale avere percezione della complessità del problema fisico e consapevo-lezza dei limiti dei modelli e schemi adottati. Il calcolo dei cedimenti di fondazioni super-ficiali si articola nelle seguenti fasi: 1. calcolo delle tensioni litostatiche e degli incrementi di tensione indotti nel sottosuolo; 2. scelta delle leggi tensioni-deformazioni-tempo e determinazione sperimentale dei pa-

rametri rappresentativi per ciascuno degli strati presenti nel volume significativo; 3. calcolo delle deformazioni verticali e loro integrazione; 4. calcolo del decorso dei cedimenti nel tempo.

16.2 Cedimenti di fondazioni superficiali su terreno coesivo saturo Il cedimento di una fondazione superficiale su terreno coesivo saturo si compone di tre parti: cedimento immediato, Si, cedimento di consolidazione, Sc, e cedimento viscoso, Ss.

A causa della bassa permeabilità del terreno coesivo e con le abituali ipotesi di scheletro solido ed acqua incompressibili, all’istante di applicazione del carico la deformazione av-viene in condizioni non drenate, ovvero la deformazione volumetrica è zero ed il cedi-

sci SSSS ++= (Eq. 16.1)

Page 289: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

289

mento consegue solo a deformazioni di taglio. Se l’area di carico è limitata il cedimento immediato della fondazione è necessariamente accompagnato da un sollevamento del ter-reno circostante. Ne consegue che in condizioni edometriche il cedimento immediato è zero, poiché non sono possibili rigonfiamenti laterali. Le tensioni indotte dal carico applicato generano sovrapressioni interstiziali nel terreno di fondazione che innescano un processo di consolidazione. In condizioni edometriche la consolidazione è monodimensionale, per carico distribuito su una striscia la consolidazio-ne è piana, per carico agente su un’area di ampiezza limitata la consolidazione è tridimen-sionale. Durante il processo di consolidazione si riducono i vuoti nel terreno, si hanno quindi deformazioni volumetriche e cedimenti che si accrescono nel tempo fino alla com-pleta dissipazione delle sovrapressioni interstiziali. A processo di consolidazione terminato e quindi a tensioni efficaci costanti, si possono avere ulteriori deformazioni e quindi cedimenti per viscosità dello scheletro solido (cre-ep). Per i terreni a grana fine il cedimento di consolidazione rappresenta in genere l’aliquota dominante del cedimento totale. Il cedimento secondario o viscoso, salvo casi particolari (torbe o argille organiche) è pic-colo e viene trascurato.

16.2.1 Cedimento immediato, Si

Il cedimento immediato si manifesta via via che viene applicato il carico durante la co-struzione dell’opera geotecnica, e pertanto spesso è poco temibile, sia perché può essere recuperato riportando in quota la struttura, sia perché normalmente precede la messa in opera delle parti più vulnerabili (pavimentazioni, rivestimenti, finiture). Il cedimento immediato di fondazioni superficiali su terreni a grana fine saturi viene di norma calcolato in termini di tensioni totali e in condizioni non drenate con la teoria dell’elasticità, la cui applicazione può essere in parte giustificata dal basso valore delle tensioni (e quindi delle deformazioni) indotte dal carico di esercizio. La principale fonte di incertezza è comunque derivante dalla scelta dei valori più appropriati dei parametri e-lastici. Per quanto riguarda il coefficiente di Poisson, le condizioni non drenate per un terreno sa-turo implicano l’assenza di deformazioni volumetriche e quindi ν = νu = 0,51. Per quanto riguarda invece il modulo di deformazione in condizioni non drenate, Eu, spes-so si fa riferimento al valore del modulo secante per deformazioni assiali pari a un mezzo o ad un terzo della deformazione assiale di rottura εaf, determinato con prove di compres-sione semplice e/o con prove triassiali non drenate (questa scelta deriva dal fatto che il fattore di sicurezza, FS, in condizioni di esercizio è spesso compreso tra 2 e 3). Tuttavia i valori di Eu così stimati sono in generale troppo cautelativi e costituiscono tuttalpiù il li-mite inferiore dei valori reali, sia perché le curve σ−ε di laboratorio si riferiscono a provi- 1 Infatti per la legge di Hooke è: ( )[ ]3211 E

1σ+σ⋅ν−σ⋅=ε e analoghe. In condizioni non drenate per

un terreno saturo è: ( ) ( ) 0

E21

321321v =σ+σ+σ⋅ν⋅−

=ε+ε+ε=ε da cui: 5,0=ν .

Page 290: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

290

ni di terreno almeno in parte disturbato e sono affette da errori di varia natura che com-portano tutti una sottostima della rigidezza, sia perché nel volume significativo la defor-mazione media in condizioni di esercizio è molto inferiore al valore εaf/FS. Pertanto, o si dispone di misure sperimentali di laboratorio eseguite con apparecchiature di grande precisione2 su campioni a minimo disturbo, oppure è preferibile utilizzare valori di Eu ottenuti mediante correlazioni empiriche da prove in sito e/o da misure di cedimenti di opere in vera grandezza. Ad esempio in Tabella 16.1 sono presentati i valori orientativi del rapporto fra il modulo Eu, stimato mediante back analyses di strutture realizzate su ter-reni coesivi diversi, e la resistenza al taglio non drenata, cu, ottenuta con prove triassiali non drenata su campioni “indisturbati” di terreno.

Tabella 16.1: Stima del modulo di deformazione non drenato per terreni a grana fine

Eu/cu OCR IP < 30 30 < IP < 50 IP > 50 < 3 800 400 200 3÷5 500 300 150 > 5 300 200 100

Come abbiamo visto nel Capitolo 6 (“Pressioni di contatto e diffusione delle pressioni in un semispazio elastico”), una pressione verticale uniforme agente su una fondazione di dimensioni finite determina una pressione di contatto e un cedimento che dipendono dal terreno e dalla rigidezza della struttura di fondazione. In particolare su un terreno coesivo saturo in condizioni non drenate se la fondazione è rigida il cedimento è uniforme e la

pressione di contatto è massima al bordo e minima al centro dell’area di carico, viceversa se la fondazione è flessibile la pressione di contatto è uniforme e il cedimento è massimo al centro e minimo al bordo. Per il calcolo del cedimento imme-diato di una fondazione rettangolare di dimensioni BxL si può fare rife-rimento allo schema di Figura 16.1, in cui p è la pressione netta trasmes-sa in fondazione, E e ν sono i para-metri elastici del terreno, D è la pro-fondità del piano di posa e H è lo spessore dello strato deformabile dal piano di fondazione. Nel caso particolare di fondazione flessibile, D = 0 e H = ∞, il cedi-mento s in corrispondenza di uno

2 Apparecchiature di laboratorio in grado di misurare con precisione la rigidezza dei terreni per bassi livelli di deformazione sono l’apparecchio triassiale con misura delle deformazioni interne, l’apparecchio di co-lonna risonante e l’apparecchio di taglio torsionale ciclico.

Mezzo rigido

Mezzo elastico (E, ν)

pD

H

fondazione B x Lp

Figura 16.1 - Schema per il calcolo dei cedimenti elastici di una fondazione superficiale

Page 291: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

291

spigolo dell’area di carico è dato dalla seguente equazione:

Applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, in modo analogo a quanto già vi-sto per il calcolo delle tensioni indotte da una superficie di carico rettangolare, l’Eq. 16.2 permette di determinare il cedimento di qualunque punto della superficie, sia interno che esterno all’area di carico. In particolare il cedimento massimo corrisponde al centro dell’area di carico. Se la fondazione è rigida il cedimento può essere assunto in prima approssimazione pari all’80% del cedimento massimo della fondazione flessibile. Più in generale il cedimento immediato medio3 di una fondazione rettangolare flessibile su argilla satura (ν = 0,5) può essere stimato con la seguente equazione (Jambu, 1956; Christian e Carrier, 1978):

In cui µ0 e µ1 sono fattori dipendenti rispettivamente dalla profondità del piano di fonda-zione e dallo spessore dello strato compressibile (Figura 16.2). Per il calcolo dei cedimenti immediati di fondazioni su terreno stratificato e dei cedimenti di strutture sotterranee come le tubazioni si può ricorrere ancora all’Eq. 16.3 con un arti-ficio. In particolare il cedimento immediato di una fondazione su un terreno costituito da due strati, A e B, caratterizzati da due differenti valori del modulo elastico non drenato, Eu,A e Eu,B, (Figura 16.3) può essere ottenuto sommando i contributi al cedimento dovuti alla de-formazione dello strato A e dello strato B:

Il termine Si,A è il cedimento calcolato assumendo H=HA e Eu=Eu,A. Il termine Si,B è la differenza fra il cedimento calcolato assumendo H=HB e Eu=Eu,B e il cedimento calcolato assumendo H=HA e Eu=Eu,B. Analogamente e con riferimento allo schema di Figura 16.4, il cedimento della tubazione posta alla profondità H1, può essere calcolato come differenza tra il cedimento calcolato assumendo H=H2 e il cedimento calcolato assumendo H=H1. 3 Spesso si assume che il cedimento medio di una fondazione flessibile sia eguale al cedimento della fonda-zione rigida

(Eq. 16.2)

u10i E

BpS ⋅⋅µ⋅µ= (Eq. 16.3)

Si = Si,A + Si,B (Eq. 16.4)

( )

( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎟⎟

⎜⎜

ξξ++

⋅ξ+ξ++ξ⋅π

=

⋅ν−⋅⋅

=

22

s

s

2

11ln1ln1I

BL

IE1Bps

Page 292: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

292

Figura 16.2 - Fattori µ0 e µ1 per il calcolo del cedimento immediato di fondazioni su argilla satura

Eu,A

Eu,B

HA

HB

A

B

Eu

fondazione B x L

p

Figura 16.3 - Schema per il calcolo dei cedimenti immediati di una fondazione superficiale su terre-no coesivo saturo stratificato

fondazione B x L

p

H1

H2

Figura 16.4 - Schema per il calcolo dei ce-dimenti immediati di una tubazione dovuti ad una fondazione su terreno coesivo satu-ro

Page 293: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

293

16.2.2 Cedimento di consolidazione, Sc

Nel Capitolo 7 (Compressibilità e consolidazione edometrica), abbiamo visto come si possono calcolare i cedimenti di consolidazione in condizioni edometriche, ovvero in condizioni di espansione laterale impedita, con filtrazione e deformazioni solo in direzio-ne verticale. Abbiamo anche visto che in tali condizioni, se il terreno è saturo, il cedimen-to istantaneo è zero e l’incremento di pressione interstiziale ∆u è pari all’incremento di tensione verticale totale applicato in superficie ∆σ. Inoltre all’istante iniziale, ovvero in condizioni non drenate, le tensioni efficaci non variano e quindi le tensioni principali tota-li hanno pari incremento: ∆σ1 = ∆σ3 = ∆u = ∆σ. Nel Capitolo 8 (“Ancora sulla consolidazione”), abbiamo visto che se la pressione non è uniforme, o se gli strati non sono orizzontali, o se l’area di carico non è infinitamente e-stesa, la consolidazione non è monodimensionale. Nel Capitolo 6 (“Pressioni di contatto e diffusione delle tensioni in un semispazio elasti-co”), abbiamo visto che carichi applicati in superficie producono in generale incrementi delle tensioni principali maggiore e minore differenti fra loro, ∆σ1 ≠ ∆σ3. Infine nel Capitolo 9 (“Resistenza al taglio”), abbiamo visto che l’incremento di pressione interstiziale ∆u in condizioni non drenate prodotto da un incremento ∆σ1 della tensione principale maggiore e ∆σ3 della tensione principale minore è:

( )[ ]313 ABu σ∆−σ∆⋅+σ∆⋅=∆ , con A e B parametri di Skempton (se il terreno è saturo B = 1). Tutto ciò premesso e richiamato, è evidente che il cedimento di consolidazione di una fondazione superficiale su argilla satura dovrebbe essere calcolato tenendo conto delle ef-fettive condizioni al contorno, che in generale non corrispondono alle condizioni edome-triche. Tuttavia per motivi di semplicità la stima del cedimento di consolidazione di fondazioni superficiali su terreni a grana fine è abitualmente ottenuta con un metodo di calcolo sem-plificato (metodo di Terzaghi) che si basa sulle ipotesi di consolidazione edometrica, mo-dificando eventualmente il risultato ottenuto con un fattore correttivo empirico per tenere conto delle approssimazioni introdotte.

Metodo di Terzaghi

Il metodo si basa sulle seguenti ipotesi semplificative, verificate con approssimazione tan-to migliore quanto più è piccolo il rapporto H/B tra lo spessore H dello strato compressi-bile e la dimensione caratteristica B in pianta dell’area caricata: - le deformazioni avvengono solo in direzione verticale, senza contrazioni o espansioni

orizzontali; - la sovra pressione dei pori iniziale ∆u è pari all’incremento di tensione verticale totale

∆σv indotta dai carichi. Con riferimento allo schema di Figura 16.5, i passi necessari per applicare il metodo sono

i seguenti: 1. Si definisce il modello geotecnico, ovvero lo schema a strati orizzontali di riferimento,

per ciascuno dei quali si stimano, in funzione della profondità o come valore medio, il

Page 294: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

294

peso di volume, γ, l’indice dei vuoti, e0, gli indici di compressione, Cc, e di ricompres-sione-rigonfiamento, Cs, nonché la profondità della falda.

2. Si determina e si traccia il profilo della tensione verticale efficace geostatica, σ’v0, in asse alla fondazione.

3. Si determina e si traccia il profilo della pressione di consolidazione, σ’c. Per terreni NC i profili di σ’v0 e di σ’c coincidono.

4. Si determina la pressione verticale media netta trasmessa dalla fondazione, p = q - γD, in cui q è la pressione media totale trasmessa dalla fondazione e γD è la tensione verti-cale totale geostatica alla profondità del piano di fondazione.

5. Si determina e si traccia il profilo dell’incremento di tensione verticale ∆σv prodotto dalla pressione p agente sull’area di carico, in asse alla fondazione, utilizzando la teo-ria dell’elasticità, fino alla profondità Z oltre la quale non sono presenti strati compres-sibili o fino alla profondità Z alla quale si ha ∆σv = 0,1 σ’v0.

6. Si assume che il cedimento di consolidazione sia dovuto alle deformazioni verticali del terreno fra le profondità D e Z, e quindi che lo spessore di terreno compressibile sia H = Z – D.

7. Si suddivide lo spessore H in strati coincidenti con gli strati orizzontali del modello geotecnico oppure, qualora vi siano strati di grande spessore, suddividendoli ulte-

D

H1

H2

H3

H4

H5

H6

H7

H8

H9

HA

HB

H

B

q

ZW

σ'v

σ'v 0σ'c

γ D p = q -γ D

q

σ'v 0 + ∆σv

D

H1

H2

H3

H4

H5

H6

H7

H8

H9

Figura 16.5 - Metodo edometrico per la stima dei cedimenti di consolidazione di fondazioni su-perficiali

Page 295: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

295

riormente in sottostrati. Poiché il metodo di calcolo del cedimento sostituisce all’integrale delle deformazioni verticali nello spessore H la sommatoria dei cedimenti dei singoli strati e sottostrati, l’approssimazione sarà tanto migliore quanto minore sarà il loro spessore. Spesso si considerano strati e sottostrati di eguale spessore, ma poiché il cedimento di quelli più superficiali, a parità di rigidezza, contribuisce maggiormente al cedimento totale sarebbe buona norma eseguire una suddivisione tale che gli strati o sottostrati più superficiali siano di minore spessore. Indicando con Hi lo spessore dell’ i-esimo strato o sottostrato, sarà H = ΣHi.

8. In corrispondenza del punto medio di ciascuno strato o sottostrato di spessore Hi si de-terminano i valori di: σ’v0, σ’c, ∆σv, e0, Cc, Cs.

9. Si stima il cedimento di ogni strato o sottostrato i-esimo nel modo seguente: a) se σ’c = σ’v0 (terreno N.C.):

b) se σ’c > (σ’v0 + ∆σv):

c) se (σ’v0 + ∆σv) >σ’c > σ’v0:

10. Si stima il cedimento di consolidazione edometrico di tutto lo strato compressibile H:

Alternativamente il cedimento di consolidazione edometrico può essere calcolato utiliz-zando i moduli edometrici, M, (o i coefficienti di compressibilità mv) invece degli indici di compressione, Cc, e di ricompressione-rigonfiamento, Cs. In tal caso il contributo al ce-dimento totale di ogni i-esimo strato sarà calcolato con l’equazione:

in cui i valori di M (o di mv) devono riferirsi alla tensione verticale litostatica efficace, σ’v0, nel punto medio dello strato i-esimo.

Correzione di Skempton-Bjerrum

Il metodo di Terzaghi si basa sulle ipotesi di consolidazione monodimensionale (εr = 0, ∆u = ∆σ). Poiché il terreno sottostante la fondazione non è confinato lateralmente, l’incremento di pressione interstiziale all’istante di applicazione del carico, in condizioni non drenate, è diverso e in genere inferiore all’incremento di tensione verticale totale (∆u < ∆σ). Poiché le deformazioni per consolidazione sono dovute alla riduzione di volume derivante dal dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, ne consegue che le deformazioni reali di consolidazione sono inferiori a quelle calcolate con il metodo di Terzaghi.

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σ

σ∆+σ⋅⋅

+=∆ '

0v

v'

0vc

0

ii logC

e1H

H (Eq. 16.5)

( ) ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σ

σ∆+σ⋅⋅

+=∆ '

0v

v'

0vs

0

ii logC

e1H

H (Eq. 16.6)

( ) ⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛σ

σ∆+σ⋅+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛σσ

⋅⋅+

=∆ 'c

v'

0vc'

0v

'c

s0

ii logClogC

e1H

H (Eq. 16.7)

Sed = Σ∆Hi (Eq. 16.8)

vviv

ii mHM

HH σ∆⋅⋅=σ∆

⋅=∆ (Eq. 16.9)

Page 296: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

296

Skempton e Bjerrum (1957) suggerirono di stimare il cedimento di consolidazione con la seguente equazione semi-empirica:

in cui µ (Figura 16.6) è un coefficiente semi-empirico, ottenuto da prove triassiali e quin-di in condizioni di carico assialsimmetriche, funzione del coefficiente di pressione dei po-

ri A, che a sua volta è funzione del gra-do di sovraconsoli-dazione e del livel-lo di mobilitazione della resistenza (vedi Capitolo 9 “Resistenza al ta-glio”), e della for-ma dell’area di ca-rico. Per fondazioni qua-drate o rettangolari non molto allungate di area A ci si può riferite al caso della fondazione circola-re con diametro

equivalente π

=AD . Come si può osservare dal grafico di Figura 16.6, i valori di µ sono

inferiori ad 1, salvo che per argille sensibili, e sono generalmente compresi tra 0,7 e 1 per le argille normalmente consolidate, tra 0,5 e 0,7 per le argille mediamente sovra-consolidate, e tra 0,2 e 0,5 per le argille fortemente sovra-consolidate. Da quanto finora detto risulta che il cedimento totale di una fondazione superficiale su terreno a grana fine può essere stimato con la relazione:

È stato osservato (Burland et al., 1978) che per fondazioni superficiali su: - argille normalmente consolidate il cedimento immediato Si è piccolo rispetto al cedi-

mento totale S (Si/S ≅ 0,1) e che il cedimento per consolidazione Sc non è molto infe-riore al cedimento calcolato con il metodo edometrico (Sc/Sed = µ = 0,7÷1). Pertanto per semplicità e tenuto conto delle numerose fonti di incertezza, ci si può limitare al calcolo del cedimento edometrico e assumere:

Si = 0,1 Sed Sc = Sed S = 1,1 Sed

edc SS ⋅µ= (Eq. 16.10)

edici SSSSS ⋅µ+=+= (Eq. 16.11)

Figura 16.6 - Valori del coefficiente di correzione µ per la stima del cedimento di consolidazione di fondazioni superficiali

Page 297: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

297

- argille sovra consolidate il cedimento immediato Si costituisce un’aliquota importante del cedimento totale S (Si/S ≅ 0,6) e che pertanto, limitandoci al calcolo del cedimento edometrico, si può assumere:

Si = 0,6 Sed Sc = 0,4 Sed S = Sed.

16.3 Cedimenti di fondazioni superficiali su sabbia A causa della natura granulare delle sabbie è più probabile che si verifichino sensibili ce-dimenti assoluti e differenziali a causa delle vibrazioni, prodotte da macchinari, dal traffi-co o da terremoti, che non a causa della pressione trasmessa dalle fondazioni. Comunque sono stati proposti molti metodi per la stima dei cedimenti di fondazioni su-perficiali su sabbia, la maggior parte dei quali empirici o semi-empirici, basati cioè sull’osservazione di un certo numero di casi reali. L’esistenza di molti metodi è un chiaro indice del fatto che nessuno di essi può considerarsi accurato e affidabile. Tuttavia una stima accurata dei cedimenti di fondazioni su sabbia non è in generale molto importante, sia perché tali cedimenti sono di modesta entità (raramente superiore a 4cm), sia perché sono immediati (le condizioni di carico sono drenate) e si esauriscono durante la costruzione, salvo quando il carico accidentale non sia molto superiore al carico per-manente. Poiché inoltre è molto difficile ottenere campioni indisturbati di sabbia su cui eseguire prove di laboratorio atte alla caratterizzazione meccanica del terreno in sito, i più diffusi metodi di calcolo del cedimento di fondazioni superficiali su sabbia sono basati sui risul-tati di prove in sito. I metodi attualmente più accreditati sono il metodo di Schmertmann (1970-1978) che uti-lizza i risultati di prove penetrometriche statiche, CPT, e il metodo di Burland e Burbri-dge (1985) che utilizza i risultati di prove penetrometriche dinamiche, SPT.

16.3.1 Metodo di Schmertmann

Il metodo di Schmertmann consente di stimare il cedimento di fondazioni superficiali su sabbia utilizzando il profilo di resistenza penetrometrica di punta, qc, di una prova CPT. Con riferimento allo schema di Figura 16.7, il cedimento della fondazione è stimato con l’equazione:

∑ ∆⋅⋅∆⋅

⋅=

2z

0 c

z

3

21

qzIp

CCCS Eq. (16.12)

in cui: ∆p = p – p’0 è la pressione media netta applicata dalla fondazione, p è la pressione trasmessa dalla fondazione, p’0 è la pressione efficace alla profondità del piano di fondazione, z2 è la profondità significativa, ovvero la profondità massima dal piano di

fondazione del terreno che contribuisce al cedimento, ∆z è il generico strato in cui si è suddiviso lo spessore z2 di terreno, che al li-

mite può coincidere con l’intervallo di campionamento della prova, qc è la resistenza di punta media dello strato ∆z,

Page 298: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

298

Iz è un fattore di influenza della deformazione verticale media, la cui varia-zione con la profondità è rappresentata in Figura 16.7,

C1 è un fattore che dipende dalla profondità del piano di fondazione, C2 è un fattore di viscosità, C3 è un fattore che dipende dalla forma dell’area di carico.

I fattori e le variabili che compaiono nell’Eq. 16.12 sono calcolati con riferimento alle se-guenti formule e ai valori riportati in Tabella 16.2:

5,0p

p5,01C

'0

1 ≥∆

⋅−= Eq. (16.13)

t10log2,01C 102 ⋅+= Eq. (16.14)essendo t il tempo dalla fine della costruzione espresso in anni;

5,0

'v

max,zp1,05,0I ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛σ∆

⋅+= Eq. (16.15)

essendo σ’v la tensione verticale efficace alla profondità z1.

16.3.2 Metodo di Burland e Burbridge

Il metodo di Burland e Burbridge per la stima del cedimento di fondazioni su sabbie nor-malmente consolidate (NC) e sovra consolidate (OC) dai risultati di prove SPT si basa su un’analisi statistica di un grande numero casi osservati.

z/B

Iz

z1/B

z2/B

Iz0

Izmax

B

D

p

p'0

Figura 16.7 - Metodo di Schmertmann per la stima del cedimento di fondazioni superficiali su sabbia

( )

( )Bz

Bz

Bzperzz

zzI

I

Bz

Bzper

zzIIII

212

12

max,zz

1

10zmax,z0zz

≤≤−⋅−

=

≤⋅−+=

Page 299: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

299

Tabella 16.2 – Valori dei parametri z1, z2 e C3 che compaiono nell’equazione 16.12 al variare del-la forma della fondazione

Forma dell’area di carico Striscia (B/L = 0) Quadrato (B/L = 1) Rettangolo (0<B/L<1)

Iz0 0,2 0,1 ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−

LB1,02,0

Bz1 1 0,5 ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−

LB5,01

Bz2 4 2 ⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−

LB24

C3 3,5 2,5 ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛−

LB5,3

Il cedimento di fondazioni su sabbie NC, al termine della costruzione, è stimato con la se-guente equazione:

c7,0

1si IBqffS ⋅⋅⋅⋅= Eq. (16.16) in cui: Si è il cedimento medio immediato espresso in mm, B è la larghezza della fondazione, in metri,

2

s 25,0BLBL25,1f ⎥

⎤⎢⎣

⎡+⋅

= è un fattore di forma che assume i valori:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−⋅=

I

s

I

s1 Z

H2

ZH

f è un fattore di spessore, in cui 763,0I BZ = è la profondità di in-

fluenza, e Hs è lo spessore dello strato di sabbia sotto la fondazione. ZI e Hs sono espressi in metri. Se Hs > ZI si assume f1 = 1.

q è la pressione media trasmessa dalla fondazione, in kPa,

4,1cN

71,1I = è un indice di compressibilità, funzione di un valore medio, N ,

dell’indice della prova SPT. I valori direttamente misurati dell’indice NSPT = N2 + N3 sono corretti per tener conto del-la composizione granulometrica, nel modo seguente: per sabbie molto fini o limose sotto falda N’ = 15+0,5 (NSPT – 15), per ghiaie o sabbie ghiaiose N’ = 1,25 NSPT

fs = 1 per fondazione quadrata o cir-colare (L/B = 1)

fs = 1,25 per fondazione a nastro

Page 300: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

300

Se i valori di NSPT (o del valore corretto N’) crescono o sono pressoché costanti con la profondità, la media N è calcolata entro la profondità di influenza ZI, altrimenti entro una profondità pari a 2B. Nel caso di fondazioni su sabbie OC o disposte alla base di uno scavo, indicando con σ’v0 la pressione di consolidazione del terreno OC o la pressione verticale efficace litostatica alla profondità dello scavo, l’equazione per il calcolo del cedimento medio immediato al termine della costruzione è modificata nel modo seguente:

3I

BqffS c7,01si ⋅⋅⋅⋅= se q < σ’v0 Eq. (16.17)

=⋅⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ⋅−⋅⋅= c

7,0'0v1si IB

32qffS σ

( ) 7,0c

'0v

c'0v1s BIq

3I

ff ⋅⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ⋅−+⋅⋅⋅= σσ

se q > σ’v0 Eq. (16.18)

Tale modifica consegue dall’assunzione che la compressibilità della sabbia sovraconsoli-data, per cause geologiche, per erosione o anche per la decompressione conseguente allo scavo, sia circa pari a 1/3 della compressibilità di una sabbia NC. Poiché tuttavia non è facile stabilire se una sabbia è sovra consolidata e tanto meno determinare il valore della pressione di consolidazione, è prudente non tenere conto di un’eventuale sovraconsolida-zione e utilizzare le Equazioni 16.17 e 16.18 solo per fondazioni alla base di uno scavo. Per tenere conto degli effetti viscosi Burland e Burbridge propongono di moltiplicare il cedimento immediato per un fattore di correzione:

ti fSS ⋅=

3tlogRR1f 10t3t ⋅++=

Eq. (16.19)

in cui t è il tempo dalla fine della costruzione espresso in anni (t ≥ 3), ed R3 e Rt sono co-efficienti che dipendono dalle condizioni di carico (Tabella 16.3).

Tabella 16.3 – Valori dei coefficienti R3, e Rt che compaiono nell’equazione 16.19 al variare delle condizioni di carico

Condizioni di carico R3 Rt

Carichi statici 0,3 0,2 Carichi ciclici 0,7 0,8

L’apparente accuratezza dei metodi sopra esposti non deve farci dimenticare quanto detto all’inizio del paragrafo: la stima del cedimento di fondazioni superficiali su sabbia è sem-pre molto incerta, sia a causa della variabilità intrinseca dei depositi sabbiosi, sia per la natura empirica o semi empirica di metodi di calcolo, cosicché errori dell’ordine del 50% sono molto frequenti, ma raramente l’entità dei cedimenti è tale da creare un reale pro-blema ingegneristico.

Page 301: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

301

16.4 Cedimenti assoluti e differenziali ammissibili Dopo avere stimato l’entità dei cedimenti di una fondazione superficiale occorre valutarne l’ammissibilità. Il problema è molto complesso per i seguenti motivi: - Innanzitutto l’entità e la distribuzione del carico trasmesso dalla fondazione al terreno,

che abbiamo finora considerato un dato del problema, in realtà non sono affatto certe, sia perché possono variare nel tempo sia perché dipendono dall’interazione terreno – fondazione – struttura in elevazione. Ad esempio la pressione trasmessa da un rilevato stradale può considerarsi nota e sostanzialmente costante nel tempo, in quanto il cari-co accidentale è piccolo rispetto a quello permanente e la fondazione può considerarsi priva di rigidezza. Al contrario il carico trasmesso dalle fondazioni superficiali di un fabbricato dipende in modo rilevante sia dalla rigidezza della struttura in elevazione, comprese le parti non strutturali come le pareti di tamponamento con le loro aperture o le pavimentazioni, sia dalla tipologia e dalla rigidezza della struttura di fondazione (plinti, travi, reticoli di travi, platee), sia infine dalla natura del terreno di fondazione (coesivo o incoerente). Inoltre per le strutture in cui il carico accidentale è prevalente, o comunque rilevante, come ad esempio i serbatoi o i palazzetti dello sport, occorre valutare quale aliquota del carico accidentale mettere in conto per la stima dei cedi-menti. Infatti mentre per la verifica di capacità portante è ovvio che si debba conside-rare la combinazione di carico più sfavorevole, anche se improbabile e di breve dura-ta, per il calcolo dei cedimenti occorrerà distinguere tra cedimenti immediati prodotti dal carico massimo e cedimenti di consolidazione prodotti da un carico medio di lunga durata.

- Occorre poi considerare che una parte del cedimento può essere dovuto a cause diver-se dal carico trasmesso dalla fondazione, in primo luogo dai carichi trasmessi da fon-dazioni vicine, appartenenti o meno allo stesso complesso strutturale, poi dalle oscil-lazioni di falda, dal rigonfiamento e/o dal ritiro dei terreni argillosi, da movimenti fra-nosi, dallo scavo di una galleria a piccola profondità, da vibrazioni etc..

- L’ammissibilità dei cedimenti assoluti e differenziali dipende poi dalla vulnerabilità della struttura portante (le strutture isostatiche sono meno vulnerabili) e delle strutture portate (tramezzi, infissi, collegamenti impiantistici), dalla destinazione d’uso, dalla qualità dei materiali impiegati.

- A tutto ciò si aggiunge l’incertezza della stima dei cedimenti, legata sia al modello geotecnico, necessariamente semplificato, sia al metodo di calcolo.

Pertanto, pur non rinunciando ad un calcolo analitico dell’interazione terreno–struttura di fondazione-struttura in elevazione per la valutazione dei cedimenti assoluti e differenziali, con metodi che sono oggetto di un altro corso del settore geotecnico (Fondazioni Specia-li), l’ingegnere dovrà tenere conto dell’esperienza propria e altrui, basata sull’osser-vazione di casi reali.

Page 302: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

302

In Figura 16.8 (Burland e Wroth, 1974) sono graficamente rappresen-tati i parametri che descrivono i ce-dimenti assoluti e differenziali: i punti A, B, C e D possono rappre-sentare plinti isolati di un sistema di fondazioni superficiali, ma anche punti appartenenti ad un muro, ad una trave o ad una platea di fonda-zione. Con riferimento alla Figura 16.8 i parametri, e i relativi simboli, sono i seguenti: ρi, cedimento del punto i (i = A, B,

C, D), ρmax, cedimento massimo (ρmax =

ρB), δρ, cedimento differenziale, ovvero

differenza fra i cedimenti di due punti,

δρmax, cedimento differenziale mas-simo, (δρmax = δρBD = ρB – ρD)

θ, rotazione ovvero pendenza rispetto all’orizzontale della retta congiungente due punti

consecutivi, θmax, rotazione massima (θmax = θAB = arctan(δρAB/LAB) ω rotazione rigida, ovvero pendenza rispetto all’orizzontale della retta congiungente i due

punti A e D di estremità (ω = arctan(δρAD/LAD), ∆ inflessione relativa, ovvero distanza del punto i (i = B, C), rispetto alla retta congiun-

gente i due punti di estremità, ∆max inflessione relativa massima (∆max = ∆B), ∆/L rapporto d’inflessione, rapporto fra l’inflessione relativa e la lunghezza totale L =

LAD α deformazione angolare, (positiva per concavità verso l’alto – sagging – e negativa per

concavità verso il basso – hogging –), rappresenta la rotazione totale in un punto (αB = θAB + θBC);

β rotazione relativa o distorsione angolare, rotazione della retta congiungente due punti rispetto alla retta congiungente i punti di estremità (βAB = θAB + ω, βDC = θDC - ω).

Un cedimento uniforme non determina variazioni nello stato tensionale della struttura in elevazione, e pertanto potrebbero essere tollerati anche cedimenti elevati purché compatibili con la funzionalità dell’opera. Al contrario movimenti di rotazione rigida e cedimenti differenziali alterano le sollecitazioni nella struttura e sono quindi più pericolo-si per l’integrità dell’opera.

Figura 16.8: Parametri per la definizione dei cedimenti assoluti e differenziali

Page 303: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

303

Poiché tuttavia il cedimento differenziale aumenta al crescere del cedimento assoluto, spesso si pongono limitazioni al cedimento assoluto, di meno incerta determinazione, ed in tal modo ci si garantisce anche rispetto al cedimento differenziale. Esistono molti grafici e tabelle, proposti da vari Autori, che su base statistica indicano i valori ammissibili dei diversi parametri che definiscono i cedimenti assoluti e differenzia-li. A titolo di esempio, in Tabella 16.4, sono riportati alcuni dei valori della distorsione angolare limite suggeriti da Bjerrum (1963), in Tabella 16.5 i valori ammissibili di alcuni parametri di deformazione secondo Sowers (1962).

In generale si può dire che:

- sono ammissibili cedimenti maggiori su argilla che su sabbia, poiché avvengono più gradualmente nel tempo e permettono alla struttura di adeguarsi;

- gli edifici intelaiati sopportano meglio i cedimenti differenziali degli edifici di mura-tura portante, più rigidi e fragili;

- i muri portanti sopportano meglio deformazioni angolari con concavità verso l’alto che verso il basso;

- le strutture lunghe sopportano meglio le inflessioni relative.

Tabella 16.4 - Distorsioni angolari limite secondo Bjerrum (1963)

Categoria di danno potenziale tanβ

Limite oltre il quale possono sorgere problemi in macchinari sensibili ai cedimenti 1/750

Limite di pericolo per strutture reticolari 1/600

Limite di sicurezza per edifici in cui non si ammettono fessurazioni 1/500

Limite oltre il quale possono apparire le prime fessure nei muri di tampo-namento e difficoltà nell’uso dei carri ponte 1/300

Limite oltre il quale possono essere visibili inclinazioni di edifici alti 1/250

Notevoli fessure in muri di tamponamento e muri portanti in laterizio.

Limite di sicurezza per muri portanti in laterizio con h/L<1/4.

Limite oltre il quale si devono temere danni strutturali negli edifici.

1/150

Page 304: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 16 CEDIMENTI DI FONDAZIONI SUPERFICIALI

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

304

Tabella 16.5 - Valori ammissibili di alcuni parametri di deformazione delle strutture se-condo Sowers (1962)

Tipo di movimento Fattore di limitazione Valore ammissibile

Collegamento a reti di servizi 15÷30

Accessibilità 30÷60

Probabilità di cedimenti differenziali in:

a) murature portanti 2,5÷5

b) strutture intelaiate 5÷10

Cedimento massimo

ρmax (cm)

c) ciminiere, silos 7,5÷30

Stabilità al ribaltamento Dipende dalla posi-zione del baricentro

Operatività di macchine:

a) macchine tessili 0,003

b) turbogeneratori 0,0002

c) binari di carro ponte 0,003

Rotazione rigida

tanω

Drenaggio di superfici pavimentate 0,01÷0,02

Murature portanti multipiano 0,0005÷0,001

Murature portanti ad un piano 0,001÷0,02

Lesioni di intonaci 0,001

Telai in c.a. 0,0025÷0,004

Pareti di strutture a telaio in c.a. 0,003

Telai in acciaio 0,002

Rotazione relativa

tanβ

Strutture semplici d’acciaio 0,005

Page 305: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

305

CAPITOLO 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE

DI FONDAZIONI PROFONDE 17.1 Definizione, impiego e classificazione delle fondazioni profonde Terzaghi definisce profonda una fondazione per la quale il rapporto tra la profondità della base d’appoggio, D, e la larghezza, B, è maggiore di 10. Per le fondazioni profonde non è trascurabile, ed anzi è spesso prevalente, il contributo alla capacità portante delle tensioni tangenziali d’attrito e di aderenza tra il terreno e la superficie laterale della fondazione. Le più comuni fondazioni profonde sono i pali di fondazione. Nel seguito ci riferiremo esclusivamente ad essi. Le fondazioni profonde sono di norma più costose delle fondazioni superficiali, per cui si ricorre ad esse quando la soluzione con fondazioni superficiali non è in grado di soddisfa-re le esigenze del problema geotecnico. In particolare le fondazioni profonde sono im-piegate per (Figura 17.1): a) trasferire il carico a strati di terreno profondi più resistenti, b) trasferire il carico anche attraverso tensioni tangenziali d’attrito o d’aderenza lungo il

fusto, c) resistere ad azioni di trazione, d) resistere ad azioni orizzontali, e) resistere in gruppo a carichi inclinati, f) assicurare la stabilità anche in caso di scalzamento degli strati superficiali, g) trasferire il carico al di sotto di un futuro piano di scavo, h) attraversare strati di terreno rigonfiante.

Figura 17.1 – Situazioni in cui è opportuno utilizzare una fondazione su pali

Page 306: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

306

I pali di fondazione possono essere classificati in base a differenti criteri: Rispetto alle dimensioni - piccolo diametro o micropali (d ≤ 25 cm), - medio diametro (30 ≤ d ≤ 60 cm), - grande diametro (d ≥ 80 cm). Rispetto al materiale costituente - calcestruzzo (prefabbricato o gettato in opera, normale, centrifugato, vibrato, precom-

presso), - acciaio, - legno1. Rispetto al procedimento costruttivo - infissi (senza asportazione di terreno, prefabbricati o gettati in opera), - trivellati (con asportazione di terreno), - trivellati con elica continua (parziale asportazione di terreno). Quest’ultimo criterio è il più importante, poiché il comportamento meccanico, resistente e deformativo, del sistema palo-terreno è fortemente dipendente, oltre che dal tipo di terre-no, dalle modalità di messa in opera del palo e dalle conseguenti modifiche dello stato tensionale preesistente nel terreno. A titolo di esempio l’infissione di un palo senza asportazione di terreno in sabbia sciolta produce un addensamento, ovvero una riduzione dell’indice dei vuoti, del terreno circo-stante che si manifesta con la formazione di un cratere nell’intorno della testa del palo (Figura 17.2). Per effetto dell’addensamento la resistenza al taglio aumenta. Al contrario l’infissione di un palo senza asportazione di terreno in argilla satura avviene in condizioni non drenate a volume costante, con la formazione di un rigonfiamento nell’intorno della testa del palo (Figura 17.3). La pressione interstiziale nell’intorno del palo ha un forte in-cremento, con conseguente caduta di resistenza al taglio (la qual cosa facilita l’infissione), solo in parte recuperata nel tempo. Anche la realizzazione di pali previa asportazione di terreno crea disturbo nel terreno cir-costante, alterandone lo stato di tensione, ma in misura assai minore rispetto ai pali battu-ti. I pali trivellati con elica continua, con parziale asportazione di terreno, producono nel ter-reno effetti intermedi rispetto ai casi precedenti. In Tabella 17.1 sono riportati per confronto i vantaggi e i limiti dei pali battuti (messi in opera senza asportazione di terreno) e dei pali trivellati (messi in opera previa asportazio-ne del terreno).

1 I pali in legno non sono quasi più utilizzati in Italia, ma lo sono in alcuni Paesi del nord Europa e soprattutto sono pre-senti in tutte le costruzioni del passato fondate su pali (ad es. i ponti e quasi tutti i palazzi di Venezia, etc..). Nei lavori di consolidamento e restauro statico di antichi edifici è frequente dover intervenire su fondazioni profonde costituite da pali in legno. I pali in legno, se non adeguatamente trattati e protetti, possono deteriorarsi se soggetti a periodiche im-mersioni ed emersioni dalla falda.

Page 307: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

307

Figura 17.2 – Infissione di un palo senza a-sportazione di terreno in sabbia sciolta

Figura 17.3 – Infissione di un palo senza a-sportazione di terreno in argilla satura

Tabella 17.1: Confronto tra pali battuti e pali trivellati

PALI BATTUTI TRIVELLATI

Terreni attraversabili

notevoli limitazioni in presenza di terreni compatti, strati lapidei, tro-vanti

possono attraversare qualsiasi terreno (con opportuno sistema di perforazione)

Modifiche che la messa in opera del palo provoca nel terreno circostante

- in terreni incoerenti producono un addensamento con conse-guente miglioramento delle proprietà meccaniche

- in terreni coesivi producono rimaneggiamento e diminuzio-ne della resistenza al taglio

decompressione del terreno e peggioramento delle sue carat-teristiche meccaniche. In terre-ni coesivi tale effetto può esse-re ridotto

Dimensioni

Dmax ≅ 60 cm Lmax ≅ 20 m per pali prefabbricati è necessario prefissare la lunghezza

nessuna limitazione

Inclinazione massima pos-sibile fino a 15°-20° generalmente impossibile salvo

che per pali di piccolo diametro

Qualità del calcestruzzo ottima da controllare, può essere mol-to scadente

Attrezzature ingombranti e costose per pali di grande diametro in-gombranti e costose

Impatto vibrazioni e scosse durante la mes-sa in opera

molto minore che per i pali bat-tuti

Page 308: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

308

17.2 Tipologie e tecniche di realizzazione dei pali di fondazione Nell’ambito di ciascuna classe di pali esistono differenti tipologie e tecniche di realizza-zione. In Tabella 17.2 sono riassunte le tipologie e le tecniche di realizzazione dei pali in-fissi senza asportazione di terreno. In Figura 17.4 sono rappresentati i più diffusi pali bat-tuti prefabbricati. In Figura 17.5 viene descritta la tecnica di realizzazione del palo Franki, che è un palo infisso e gettato in opera.

Tabella 17.2 - Tipologie e tecniche di realizzazione dei pali infissi

MATERIALE TECNOLOGIA INFISSIONE legno per battitura

acciaio profilati di varie forme eventualmente saldati fra loro; elementi tubolari

per battitura o per vi-brazione o a pressione

prefabbricati (sempre con armatu-ra)

- in cantiere, di c.a. normale o di c.a.p.

- in stabilimento, di c.a. cen-trifugato

per battitura, con even-tuale parziale ausilio di getto d’acqua

- con tubo forma metallico recuperabile

per battitura, per vibra-zione

- con tubo forma metallico a perdere per battitura

calcestruzzo costruiti in opera (con o senza armatu-ra)

- con elementi tubolari in c.a. a perdere

per battitura, a pressio-ne

Figura 17.4 - Tipi di pali battuti prefabbricati

Page 309: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

309

Figura 17.5 - Tecnica di realizzazione del palo Franki: a) infissione del tubo; b) formazione del bulbo; c) formazione del fusto; d) palo ultimato.

I pali messi in opera previa asportazione del terreno si differenziano per la tecnica di sca-vo (Tabella 17.3), per le modalità di sostegno delle pareti e del fondo scavo, e per il si-stema di getto del calcestruzzo. La realizzazione di pali trivellati di medio e grande diametro in terreni coesivi consistenti e in assenza di falda può essere eseguita senza sostegno delle pareti del foro, ma nella maggior parte dei terreni le pareti del foro, ovvero della cavità in cui sarà inserito il palo, devono essere sostenute per evitarne il collasso o un eccessivo restringimento. Il sostegno può essere ottenuto con tubo forma metallico, temporaneo o definitivo, da mettere in ope-ra a percussione, con morsa oscillante o con vibratore, e/o con fanghi bentonitici. I fanghi bentonitici sono una miscela di acqua e bentonite. La bentonite è un’argilla molto plastica del gruppo montmorillonitico. Il fango bentonitico ha un peso di volume superiore a quel-lo dell’acqua e crea un sottile velo impermeabile sulla parete della cavità. Inoltre i fanghi bentonitici hanno proprietà tixotropiche, ovvero sono fluidi, se in movimento, e semisoli-di, se fermi. Tale proprietà viene talvolta sfruttata per trasportare il materiale di scavo in superficie; infatti se la lavorazione viene interrotta il terreno in risalita rimane in sospen-sione e non precipita sul fondo scavo. Poiché il rivestimento metallico sostiene le pareti ma non il fondo dello scavo, talvolta si utilizzano in abbinamento sia il rivestimento me-tallico che i fanghi bentonitici. Il rivestimento metallico per il sostegno delle pareti del foro presenta i seguenti vantaggi: - protegge le pareti dello scavo contro il collasso durante la perforazione, - se definitivo, protegge il calcestruzzo fresco contro strizioni e dilavamenti, - è adatto per ghiaie con poca sabbia e terreni coesivi molto teneri o in corso di consoli-

dazione

Page 310: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

310

di contro: - se provvisorio, durante l’estrazione nella fase di getto, può creare discontinuità nel

palo, - l’installazione e l’estrazione rimaneggiano il terreno lungo il fusto (ciò è particolar-

mente importante nei terreni coesivi compatti), - è possibile la decompressione del terreno sotto la base del palo (molto importante nel

caso di terreni sabbiosi sotto falda), - non è adatto per terreni argillosi compatti e sabbie sotto falda.

Tabella 17.3 - Tecniche di scavo dei pali di fondazione

SISTEMA DI PERFORAZIONE DIAMETRO DEL FORO

TIPO DI TERRENO

Con sonda a valvola (cu-retta) e foro rivestito con

tubazione metallica. ≤ 60 cm

Tutti, esclusa la roccia lapidea in banchi. Impiego di scalpello per attraversare sottili stratificazioni lapidee o trovanti. Sconsi-

gliabile per sabbie in falda. Con benna a ganasce e foro rivestito con tuba-

zione metallica, o scoper-to ma pieno di fango.

≥ 40 cm Come sopra, ma con maggiori possibilità di superare strati lapidei e trovanti senza ricor-

rere allo scalpello.

A p

ercu

ssio

ne

(in g

ener

e co

n riv

estim

ento

m

etal

lico

del f

oro)

Con scalpello e circola-zione diretta di fango. ≤ 50 cm

Tutti, anche in falda, purché non eccessiva-mente permeabili. Esclusa solo la roccia la-

pidea in banchi. Con trivella a spirale

(auger) o secchione (bu-cket) e foro scoperto

qualsiasi Sabbio-limoso, in assenza di falda, ovvero limoso e argilloso, anche in falda, purché

esente da trovanti Con carotiere aperto e

foro scoperto. qualsiasi Come sopra, anche con trovanti; in più, roc-cia lapidea

Con secchione (bucket) e foro scoperto ma pieno di

fango. qualsiasi Tutti, anche in falda, esclusa solo la roccia

lapidea in banchi o trovanti.

Con carotiere aperto e foro scoperto ma pieno di

fango. qualsiasi Limosi e argillosi, anche con trovanti e in

falda.

A distruzione di nucleo e circolazione diretta di

fango. ≤ 50 cm Tutti, anche in falda, purché non eccessiva-

mente permeabili.

A distruzione di nucleo e circolazione inversa di

fango ≥ 50 cm Come sopra.

A ro

tazi

one

(in

gen

ere

senz

a riv

estim

ento

met

allic

o de

l for

o)

Con carotiere aperto e contemporaneo rivesti-

mento metallico del foro≤ 25 cm Tutti, anche in falda.

In Figura 17.6 sono rappresentate le diverse fasi esecutive di un palo trivellato con uso di fanghi bentonitici per il sostegno del foro.

Page 311: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

311

Figura 17.6 - Fasi di realizzazione di un palo trivellato con uso di fanghi bentonitici per il soste-gno del foro

Page 312: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

312

Nei lavori di sottofondazione di edifici e strutture esistenti, quando vi è la necessità di o-perare con attrezzature di ingombro e peso molto ridotti, o quando si debbano realizzare pali con forte inclinazione sulla verticale, si ricorre a pali trivellati di piccolo diametro (micropali). Esistono vari tipi di micropali, ma attualmente il più utilizzato è il micropalo Tubfix. L’esecuzione del micropalo Tubfix prevede l’introduzione di un’armatura tubola-re d’acciaio di forte spessore in un foro eseguito per trivellazione, spesso con circolazione di fango bentonitici. Il tubo d’acciaio ha una serie di valvole di non ritorno disposte a in-terasse di 30-50 cm nel tratto terminale, in corrispondenza degli strati di terreno cui si in-tende trasferire il carico. In una prima fase, dalla valvola più profonda, viene iniettata una malta cementizia che, risalendo dal basso verso l’alto, occupa l’intercapedine tra la parete del foro e il tubo di armatura. In una seconda fase, è iniettata malta ad alta pressione at-traverso ciascuna valvola, una per volta, dal basso verso l’alto. Ciò produce la rottura del-la guaina e la formazione di sbulbature di diametro tanto maggiore quanto più tenero è il terreno circostante. Per tale motivo la capacità portante del sistema palo-terreno dipende assai più dalle caratteristiche del micropalo che non da quelle del terreno (Tabella 17.4).

Tabella 17.4 - Carichi ammissibili per micropali Tubfix

Diametro del tubo di armatura (mm) Carico massimo ammissibile (kN) Diametro del foro (mm) esterno interno a trazione a compressione

48,3 39,3 70 175 85 51,0 35,0 135 235 60,3 44,3 165 300 100 60,3 35,3 210 370 76,1 60,1 235 410 120 76,1 51,1 280 510 82,5 66,5 255 520 145 82,5 57,5 330 630 88,9 72,9 280 675 175 88,9 63,9 360 795

101,6 85,6 320 845 200 101,6 76,6 460 985

17.3 Capacità portante per carico verticale di un palo isolato Per stimare la capacità portante per carico verticale di un palo di fondazione isolato si fa riferimento allo schema di Figura 17.7. Il palo è un corpo cilindrico che oppone resistenza alla penetrazione nel terreno mediante tensioni tangenziali di attrito e/o di aderenza sulla superficie laterale e tensioni di compressione alla base. Le tensioni tangenziali si svilup-pano per uno scorrimento relativo tra la superficie laterale del palo e il terreno circostante, in parte dovuto alla traslazione rigida e in parte alla compressione assiale del palo. Le ten-sioni di compressione alla base si sviluppano per un cedimento della base. Immaginiamo di applicare un carico verticale progressivamente crescente alla sommità del palo. Inizialmente, ovvero se il carico è piccolo, l’equilibrio è garantito solo da ten-sioni tangenziali nella parte superiore del palo. Poi, al crescere dell’intensità della forza, la deformazione del palo si propaga verso il basso e iniziano i cedimenti della base del pa-lo. Oltre un certo valore del carico gli scorrimenti relativi tra la superficie laterale del palo e il terreno circostante sono tali da avere prodotto la completa mobilitazione delle tensioni

Page 313: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

313

tangenziali d’interfaccia, mentre vi è ancora un margine di crescita delle tensioni di compressione alla base. Se indichiamo con QS la risultante delle tensioni di attrito e/o di aderenza laterale e con QP la risultante delle tensioni di compressione alla base, quanto sopra detto comporta che, il carico applicato sulla sommità del palo è inizialmente equilibrato solo da QS. All’aumentare del carico applicato, QS cresce e si sposta verso il basso, poiché vengono interessati anche i livelli di terreno più profondi. Comincia a traslare anche la base e quindi nascono tensioni di compressione alla base, ovvero QP. Poi QS non cre-sce più (e semmai decresce), ma aumenta QP, fino alle condizioni di equilibrio ultime. La forza QS è la risultante delle tensioni di attrito e/o di aderenza, le quali dipendono dall’interazione tra la superficie laterale del palo e un determinato spessore di terreno deformato. La forza QP invece è la risultante delle tensioni di compressione alla ba-se del palo, le quali dipendono da un volume di ter-reno deformato, che si estende al di sopra e al di sotto della base del palo e le cui dimensioni sono funzione del diametro del palo.

In pratica la completa mobilitazione della resistenza laterale (QS) si ha per spostamenti del palo di 6-10 mm indipendentemente dal diametro, mentre la completa mobilitazione della resistenza di punta (QP) si ha per spostamenti pari a circa l’8% del diametro per pali infissi e pari a circa il 25% del diametro per pali trivellati. La capacità portante per carico verticale di un palo isolato può essere valutata:

- con formule statiche, - con formule dinamiche, - dai risultati di prove penetrometriche statiche e dinamiche, - dai risultati di prove di carico.

17.4 Stima della capacità portante per carico verticale di un palo isola-to mediante formule statiche

La stima della capacità portante per carico verticale di un palo isolato QLIM mediante for-mule statiche è ottenuta valutando i valori massimi mobilizzabili, in condizioni di equili-brio limite, della resistenza laterale QS e di quella di punta QP:

essendo WP il peso proprio del palo.

QLIM + WP = QS + QP (Eq. 17.1)

QLIM

QS

QP

WP

Figura 17.7 - Schema per il calcolo della capacità portante di un palo iso-lato

Page 314: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

314

Si fanno le seguenti ipotesi: - il carico limite del sistema palo terreno è condizionato dalla resistenza del terreno e

non da quella del palo; - il palo è un corpo cilindrico rigido; - i termini di capacità portante per attrito e/o aderenza laterale QS e di capacità portante

di punta QP non si influenzano reciprocamente e possono essere determinati separata-mente.

Nell’esposizione si farà riferimento per semplicità ad un terreno di fondazione omogeneo. In realtà un palo di fondazione attraversa spesso strati di diversa natura, o comunque con proprietà geotecniche variabili con la profondità, per cui la capacità portante dovrà essere valutata per sommatoria dei contributi dei differenti strati.

17.4.1 Palo in terreno coesivo saturo

Stima di QS La capacità portante per aderenza e/o per attrito laterale per un palo di diametro D e lun-ghezza L è per definizione:

Le tensioni tangenziali limite di attrito e/o di aderenza laterale all’interfaccia tra la super-ficie del palo e il terreno coesivo saturo circostante, τs, sono molto difficili da valutare a-naliticamente, poiché dipendono dal grado di disturbo e dall’alterazione delle pressioni efficaci e interstiziali che le modalità di costruzione del palo producono nel terreno. Sul piano qualitativo il fenomeno è abbastanza chiaro, ma per una valutazione quantitativa è necessario ricorrere a semplificazioni drastiche e ad una buona dose di empirismo. I metodi attualmente più utilizzati sono due, il metodo α e il metodo β. È buona norma assumere come capacità portante per attrito e/o aderenza laterale di progetto il minore dei due valori stimati. a) Metodo α Si assume che le tensioni tangenziali limite siano una quota parte della resistenza al taglio non drenata originaria del terreno indisturbato:

in cui α è un coefficiente empirico di aderenza che dipende dal tipo di terreno, dalla resi-stenza al taglio non drenata del terreno indisturbato, dal metodo di costruzione del palo, dal tempo, dalla profondità, dal cedimento del palo. L’Associazione Geotecnica Italiana suggerisce di assumere per α i valori indicati in Ta-bella 17.5.

dzτDπQL

0sS ⋅⋅⋅= ∫ (Eq. 17.2)

us c⋅= ατ (Eq. 17.3)

Page 315: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

315

Tabella 17.5 - Valori indicativi del coefficiente di aderenza α per pali in terreni coesivi saturi

Tipo di palo Materiale cu (kPa) α α cu,max (kPa)

≤ 25 1 25 - 50 0,85 50 - 75 0,65 Calcestruzzo

> 75 0,50

120

≤ 25 1 25 - 50 0,80 50 - 75 0,65

Infisso (senza asportazione

di terreno) Acciaio

> 75 0,50

100

≤ 25 0,90 25 - 50 0,80 50 - 75 0,60

Trivellato (con asportazione

di terreno) Calcestruzzo

> 75 0,40

100

L’Associazione Americana del Petrolio (A.P.I., 1984) consiglia di utilizzare la seguente relazione (cu in kPa):

Altri autori (Viggiani, 1999) suggeriscono invece (cu in kPa): per pali battuti:

per pali trivellati:

b) Metodo β Si assume che le sovrapressioni interstiziali che si generano durante la messa in opera del palo si siano dissipate al momento di applicazione del carico, e che pertanto la tensione tangenziale limite possa essere valutata, con riferimento alle tensioni efficaci, nel modo seguente:

cu < 25 α = 1 25 < cu < 75 α = -0,01 cu + 1,25 75 < cu α = 0,5

(Eq. 17.4)

cu < 25 α = 1 25 < cu < 70 α = 1 -0,011 (cu – 25) 70 < cu α = 0,5

(Eq. 17.5)

cu < 25 α = 0,7 25 < cu < 70 α = 0,7 -0,008 (cu – 25) 70 < cu α = 0,35

(Eq. 17.6)

'0

'0

' tantan vvhs K σβδσδστ ⋅=⋅⋅=⋅= (Eq. 17.7)

Page 316: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

316

in cui: σ’h è la tensione efficace orizzontale nel terreno a contatto con il palo, σ’v0 è la tensione efficace verticale iniziale, prima della messa in opera del palo, K è un coefficiente di spinta, rapporto fra σ’h e σ’v0, tanδ è il coefficiente d’attrito palo-terreno. β è un coefficiente, pari al prodotto K tanδ. Se l’angolo di attrito palo-terreno, δ, fosse eguale all’angolo di resistenza al taglio del ter-reno, φ’, e se l’installazione del palo non producesse alterazioni nello stato tensionale del terreno, si avrebbe:

Per terreni coesivi l’angolo di resistenza al taglio, φ’, è generalmente compreso tra 20° e 30°, per cui, per un terreno N.C., si otterrebbero valori di β compresi tra 0,24 e 0,29. Risultati sperimentali indicano che: - per pali infissi in terreni coesivi normalmente consolidati, il coefficiente β risulta com-

preso tra 0,25 e 0,40 (Figura 17.8), per cui sembra ragionevole assumere come valore di progetto β = 0,3;

- per pali infissi in terreni coesivi sovraconsolidati, i valori del coefficiente β sono molto più dispersi, (Figura 17.9) ma comunque superiori ai valori ottenibili con le ipotesi dell’eq. (17.8), che possono essere cautelativamente assunti come valori di progetto;

Figura 17.8 – Valori dell’attrito laterale medio, τs, con la profondità per pali infissi in argille tenere

Figura 17.9 - Valori dell’attrito laterale medio, τs, con la profondità per pali infissi in argille consi-stenti

5,00 )'1( OCRsenKK ⋅−≅= φ 'tantan φδ = (Eq. 17.8)

Page 317: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

317

- per pali trivellati in terreni coesivi normalmente consolidati si può fare ri-ferimento, come valore di progetto, a β = 0,25;

- per pali trivellati in terreni coesivi so-vraconsolidati i valori ottenibili con le ipotesi dell’Eq. (17.7) non sono caute-lativi, e, come valore di progetto, si può fare riferimento a β = 0,8 (Figura 17.10)

Stima di QP In genere il termine di capacità portante di punta QP di pali in terreno coesivo con-tribuisce in maniera modesta (10%-20%) alla capacità portante totale. Per la stima di QP si esegue un’analisi in condizioni non drenate, in termini di tensioni totali. L’equazione di riferimento è formalmente identica a quella della capacità portante di fondazioni superficiali su terreno coesivo in condizioni non drenate2:

in cui AP è l’area di base del palo, qP è la capacità portante unitaria, cu è la resistenza al taglio in condizioni non drenate del terreno alla profondità della base del palo, σv0,P è la tensione verticale totale alla punta, e Nc è un fattore di capacità portante, il cui valore è assunto pari a 9. Molto spesso il peso del palo WP e il termine AP σv0,P sono trascurati, poiché quasi si compensano, e si pone:

e

In terreni coesivi sovraconsolidati, e quindi spesso fessurati, è opportuno introdurre un fattore di riduzione RC che, secondo Meyerhof, può essere calcolato nel modo seguente, in funzione del diametro D del palo (in metri):

2 Lo schema di riferimento è però diverso: per le fondazioni superficiali si assume lo schema della striscia indefinita (problema piano) e terreno resistente solo dal piano di fondazione, per le fondazioni profonde si assume lo schema di area circolare (problema a simmetria cilindrica) e terreno resistente sia sopra che sotto il piano di fondazione. Per tale motivo i fattori di capacità portante per fondazioni profonde sono maggiori che per fondazioni superficiali.

Figura 17.10 - Valori dell’attrito laterale me-dio, τs, con la profondità per pali trivellati in ar-gille consistenti

)( ,0 PvcuPPPP NcAqAQ σ+⋅⋅=⋅= (Eq. 17.9)

QLIM = QS + QP (Eq. 17.10)

QP = 9 cu AP (Eq. 17.11)

Page 318: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

318

17.4.2 Palo in terreno incoerente

Nel caso di pali in terreni incoerenti, e quindi di elevata permeabilità, l’analisi è svolta sempre con riferimento alle condizioni drenate e quindi in termini di tensioni efficaci.

Stima di QS

Per la stima di QS si applica il metodo β. Per la scelta dei valori di K e di tanδ si può fare riferimento alle indicazioni di Tabella 17.6.

Tabella 17.6: Valori di K e di tanδ per pali di medio diametro in terreno incoerente

Tipo di palo Valori di K

per stato di addensamento sciolto denso

Valori di tanδ

Bat

tuto

profilato in acciaio tubo d’acciaio chiuso cls. prefabbricato cls. gettato in opera

0.7 1.0 1.0 2.0 1.0 2.0 1.0 3.0

tan20° = 0.36

tan(0.75φ’) tanφ’

trivellato 0.4 0.5 tanφ’ trivellato-pressato con elica continua 0.7 0.9 tanφ’

Altri autori (Reese e O’Neill, 1988) sulla base di un’analisi di prove di carico su pali strumentati suggeriscono di assumere, per pali trivellati, β = 0,8 fino alla profondità di 10 volte il diametro e β = 0,6 per profondità maggiori, con la limitazione τs ≤ 200kPa.

L’applicazione dell’Eq. (17.7) per il calcolo delle ten-sioni tangenziali d’attrito di un palo in terreno sabbio-so porta ad assumere una crescita lineare di τs con la tensione verticale efficace, e quindi con la profondità, che non è in realtà verificata. Probabilmente a causa di fenomeni d’arco (effetto silo), la tensione efficace o-rizzontale nel terreno a contatto con il palo σ’h , e quindi anche τs, crescono meno che linearmente con la profondità e tendono a stabilizzarsi ad una profondità critica dipendente dal diametro del palo e dallo stato di addensamento del terreno (Tabella 17.7).

Stima di QP

La capacità portante di punta dei pali in terreni incoerenti è stimata con l’equazione:

per pali infissi: 12

5,0≤

⋅+

=D

DRC (Eq. 17.12)

per pali trivellati: 112

1≤

+⋅+

=D

DRC (Eq. 17.13)

Tabella 17.7 - Profondità critica, Zc, in funzione dello stato di addensamento della sabbia

Stato di addensamento Zc / D

Sabbia molto sciolta 7 Sabbia sciolta 10 Sabbia media 14 Sabbia densa 16 Sabbia molto densa 20

qPvPPPP NAqAQ ⋅⋅=⋅= ',0σ (Eq. 17.14)

Page 319: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

319

in cui AP è l’area di base del palo, qP è la capacità portante unitaria, σ'v0,P è la tensione verticale efficace alla punta, Nq è un fattore di capacità portante. Il valore di Nq dipende, a parità di angolo di resistenza al taglio, dal meccanismo di rottu-ra ipotizzato. Nelle Figure 17.11 e 17.12 sono rappresentati diversi meccanismi di rottura proposti e i corrispondenti valori di Nq.

Come si può notare la dispersione dei valori è molto alta e crescente con il valore dell’angolo di resistenza al taglio. A titolo di esempio per φ’ = 35° i valori di Nq proposti dai vari Autori sono compresi tra 55 e 500. Inoltre è molto incerta la scelta del valore di calcolo di φ’, sia perché la messa in opera del palo altera le proprietà meccaniche del terre-no sia perché la stima di φ’ in terreni incoe-renti è indiretta e affidata a prove in sito, sia infine perché il valore di φ’ dipende anche dallo stato tensionale a rottura. In genere si fa riferimento alla curva di Nq proposta da Be-rezantzev, che è una delle più cautelative, e ad un angolo di resistenza al taglio di proget-to, φ’d, ridotto rispetto al valore di picco sti-mato. Ad esempio, è stato proposto di assumere: per pali battuti:

240''

d°+

=φφ (Eq. 17.15)

e per pali trivellati: °−= 3'' φφd (Eq. 17.16)

Figura 17.11 – Meccanismi di rottura ipotizzati per un palo: a) Caquot, Buisman e Terzaghi; b) Meyerhof; c) Berezantzev; d) Skempton, Yassin, Gibson e Vesic

Figura 17.12 – Confronto tra i valori propo-sti in letteratura per il fattore Nq

Page 320: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

320

Una procedura di calcolo suggerita da Fleming et al. (1985) è la seguente: - si stima un valore di φ’ sulla base della densità relativa e si determina il corrispondente

fattore di capacità portante Nq secondo Berezantzev, - si valuta la tensione efficace media nella zona di rottura mediante la relazione:

- si stima un nuovo valore di φ’ con la relazione:

- si calcola il valore aggiornato di Nq e si ripete la procedura fino a convergenza. La forte incertezza associata alla stima della capacità portante di punta per pali trivellati di grande diametro in terreno incoerente non è tuttavia quasi mai de-terminante nelle scelte progettuali. In-fatti esse sono condizionate dai cedi-menti ammissibili piuttosto che dalla rottura del sistema palo-terreno, la qua-le si manifesta, come già è stato detto, per cedimenti dell’ordine del 25% del diametro. È pertanto opportuno riferirsi alla con-dizione limite di esercizio, ovvero ad un carico alla punta del palo cui corri-sponde un cedimento dell’ordine del 6-10% del diametro del palo, utilizzando un’equazione formalmente identica alla Eq. (17.14) ma con un coefficiente Nq*, inferiore ad Nq e corrispondente all’insorgere delle prime deformazioni plastiche alla punta (Figura 17.13).

17.5 Stima della capacità portante per carico verticale di un palo isola-to mediante formule dinamiche

Durante la messa in opera di pali battuti, ovvero infissi a percussione, l’energia necessaria per affondare il palo è correlata con la resistenza a rottura del sistema palo – terreno. Le formule dinamiche tentano una stima della capacità portante del palo dalla misura dell’energia necessaria per la messa in opera, ovvero mediante un bilancio energetico, as-sumendo che il lavoro totale del maglio, diminuito del lavoro perduto per deformazioni e dissipato nell’urto, sia pari al prodotto della capacità portante per l’abbassamento del palo (Figura 17.14):

qv Np ⋅= '0' σ (Eq. 17.17)

( )[ ]1'ln103' ' −−⋅⋅+= pDRcvφφ (Eq. 17.18)

Figura 17.13 – Valori del coefficiente di capacità portante Nq* corrispondenti all’insorgere delle de-formazioni plastiche alla punta.

Lm = Lu + Lp (Eq. 17.19)

Page 321: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

321

in cui Lm = ρ⋅Em è il lavoro motore (ρ è un coefficiente di efficienza), Em = W⋅h è l’energia fornita da un colpo di maglio (W è il peso del maglio, h è l’altezza

di caduta libera del maglio), Lu = Qlim⋅δ è il lavoro utile (Qlim è la capacità portante del palo, δ è il rifiuto, ovvero

l’abbassamento medio per un colpo di maglio) Lp è il lavoro dissipato nell’urto (le numerose formule esistenti si differenziano per

l’espressione di Lp). Le formule dinamiche, oltre ad essere applicabili ai soli pali bat-tuti, sono poco attendibili come metodo di stima della capacità portante per molti motivi, il principale dei quali è che la resi-stenza all’infissione del palo non è affatto eguale alla capacità por-tante del palo in condizioni stati-che. Tuttavia sono utili per un con-trollo di qualità della palificata e di omogeneità del terreno di fon-dazione. Esistono molte formule dinami-che, le più note sono: la formula di Jambu (1953)

e la formula danese (1956)

in cui A, E ed L sono rispettivamente l’area della sezione, il modulo di Young e la lun-ghezza del palo.

Figura 17.14 – Schema do palo infisso a percussione

WWC

EALE

CCk

kEQ

P

M

MLIM

⋅+=

⋅⋅⋅

=

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++⋅=

⋅⋅

=

15.075.0

11

2δλ

λδ

ρ

(Eq. 17.20)

AELE

EQM

MLIM

⋅⋅⋅⋅

+

⋅=

2ρδ

ρ (Eq. 17.21)

Page 322: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

322

17.6 Stima della capacità portante per carico verticale di un palo isola-to dai risultati di prove penetrometriche

I risultati delle prove penetrometriche possono essere utilizzate per la stima della capacità portante dei pali di fondazione sia in modo indiretto, ovvero per determinare i parametri geotecnici da utilizzare nelle formule statiche, sia in modo diretto. In particolare, la prova penetrometrica statica (CPT), che consiste nell’infissione a pres-sione nel terreno di un piccolo palo, può essere considerata come una prova di carico a rottura su un prototipo in scala ridotta del palo da progettare. In base a tale analogia, ma tenendo anche conto del fatto che il volume di terreno coinvol-to nel fenomeno di rottura alla punta è funzione del diametro D del palo, Meyerhof (1976) suggerisce di stimare la capacità portante unitaria di punta, qP, per pali infissi in terreno sabbioso omogeneo, se la lunghezza del palo L è maggiore della profondità critica, Zc nel modo seguente:

con qc valore medio della resistenza penetrometrica di punta fra le profondità (L – 4D) e (L + D). La profondità critica Zc è funzione dello stato di addensamento della sabbia, co-me indicato in Tabella 17.7. Se lo strato di sabbia in cui si attesta la punta del palo è compreso tra due strati di minore resistenza penetrometrica di punta, il valore di progetto della capacità portante unitaria, qP, può essere stimato con le indicazioni di Figura 17.15. Figura 17.15: Effetto della profondità di immorsamento sulla capacità portante unitaria di punta

Sempre per pali battuti in terreno incoerente, la tensione tangenziale limite d’attrito lungo il fusto si può assumere pari alla resistenza laterale locale della prova CPT:

oppure si può stimare con riferimento alla resistenza penetrometrica di punta, assumendo:

cP qq = (Eq. 17.22)

τs = fs (Eq. 17.23)

τs = qc / 200 se qc ≥ 20 MPa τs = qc / 150 se qc ≤ 10 MPa (Eq. 17.24)

Profilo schematico di qc

qc qc1 qc2 qc3

Z Profilo schematico di qP

qP

Z

D 10D

10D

Page 323: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

323

o con l’espressione consigliata dall’AGI (1984), (meno cautelativa della precedente):

con i valori di α di Tabella 17.8:

Tabella 17.8 - Coefficienti per la stima di τs da qc

Stato di addensamento α Sabbia molto sciolta 0,020 Sabbia sciolta 0,015 Sabbia media 0,012 Sabbia densa 0,009 Sabbia molto densa 0,007

Anche la prova SPT è utilizzata per la stima della capacità portante di pali infissi in terre-no incoerente. A tal fine, Meyerhof suggerisce di assumere:

Per pali trivellati si possono assumere valori di qp e di τs pari a 1/3 e a 1/2 di quelli corri-spondenti ai pali battuti.

17.7 Stima della capacità portante per carico verticale di un palo isola-to dai risultati di prove di carico

La determinazione sperimentale diretta della capacità portante di un palo isolato ottenuta con prova di carico a rottura su pali prototipo strumentati, identici a quelli di progetto, è la migliore delle stime possibili. Tuttavia anche tale tecnica non è esente da incertezza, sia per la variabilità del terreno di fondazione, sia per l’impossibilità di realizzare pali fra loro identici, sia per la dipendenza del comportamento dalle modalità di applicazione del cari-co. Le prove di carico sui pali di fondazione possono essere di progetto o di collaudo. Nel primo caso il palo non appartiene alla fondazione, è appositamente realizzato (spesso con una cura maggiore degli altri) per essere portato a rottura o comunque sottoposto ad un carico pari a tre volte il carico di esercizio, ed è spesso strumentato anche lungo il fu-sto, allo scopo di stimare separatamente i contributi di attrito laterale e di punta. Le prove di carico di progetto non sono obbligatorie per legge, ma, se eseguite, consentono di adot-tare un valore minore del coefficiente di sicurezza rispetto alla rottura (2 invece di 2,5). Le prove di carico di collaudo, che per opere di notevole importanza sono obbligatorie per legge nella misura minima dell’1% dei pali in progetto e comunque non meno di 2, si e-seguono su pali, già realizzati, appartenenti alla fondazione e scelti a caso. Il carico massimo applicato durante la prova è di norma pari a 1,5 volte il carico di eserci-

τs = α qc (Eq. 17.25)

qp (kPa) = 400 NSPT per sabbie omogenee, e qp (kPa) = 300 NSPT per limi non plastici, in cui NSPT è il valore

medio fra le profondità (L – 4D) e (L + D) τs (kPa) = 2 NSPT ≤ 100 kPa in cui NSPT è il valore medio per l’intera lun-

ghezza L

(Eq. 17.26)

Page 324: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

324

zio, quindi non tale da produrre la rottura, ma è comunque possibile estrapolare dalla cur-va carico-cedimenti il valore della capacità portante del palo. In figura 17.16 sono mostrati i possibili schemi di applicazione del carico.

Figura 17.16 – Possibili schemi di applicazione del carico: a) martinetto che contrasta contro una zavorra; b) martinetto che contrasta contro una trave ancorata a pali

Le più usuali modalità di esecuzione della prova sono le seguenti: - applicazione del carico per incrementi ∆Q ≤ 0.25 Qe - durata di applicazione di ciascun incremento di carico che dovrà risultare tale che la

velocità di cedimento, v, sia: v ≤ 0.01 mm/20’ per pali di piccolo diametro v ≤ 0.02 mm/20’ per pali di medio diametro v ≤ 0.03 mm/20’ per pali di grande diametro

I risultati sono presentati come indicato in Figura 17.17.

Page 325: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

325

Figura 17.17 – Rappresentazione dei risultati di una prova ad incrementi di carico controllato Esistono diversi metodi convenzionali per definire la capacità portante di un palo per ca-rico verticale dai risultati di prove di carico di progetto e/o di collaudo: 1° Metodo convenzionale da prove di progetto: - pali battuti: Qlim = carico corrispondente a un abbassamento w = 0,1D - pali trivellati: Qlim = carico corrispondente a un abbassamento w = 0,25D 2° Metodo convenzionale da prove di progetto: Qlim = carico in corrispondenza del quale il cedimento vale 2δ essendo δ il cedi-mento per Q = 0,9 Qlim (Figura 17.18). 3° Metodo convenzionale da prove di progetto e di collaudo: interpolazione iperbolica dei dati speri-mentali (Figura 17.19).

n0.9Q

wnmwQ lim =

⋅+= (Eq 17.27)

oppure:

lim

limlim wnm

wQ

⋅+= (Eq 17.27a)

con: wlim = 0.10 D per pali battuti wlim = 0.25 D per pali trivellati

Figura 17.18 – Possibile definizione del carico li-mite

Page 326: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

326

Figura 17.19 – Interpolazione iperbolica dei dati sperimentali carico-cedimenti

17.8 Coefficiente di sicurezza e carico ammissibile di un palo singolo Il carico ammissibile di un palo singolo è ottenuto dividendo la capacità portante del palo stimata con metodi teorici per un coefficiente di sicurezza F che, secondo la Normativa Italiana vigente, non deve essere minore di 2,5. Il cedimento del palo corrispondente al carico ammissibile è tale da mobilitare in modo diverso la capacità portante di punta e quella per attrito o aderenza laterale, pertanto al coefficiente di sicurezza globale F corrispondono coefficienti di sicurezza sui due termini della capacità portante, di punta e di attrito laterale, molto diversi fra loro. A titolo di esempio consideriamo un palo trivellato di diametro D = 60cm e lunghezza L = 20m, immerso in un terreno coesivo omogeneo. La resistenza al taglio non drenata me-dia lungo il fusto sia cu,m = 50kPa, e il coefficiente di aderenza α = 0,75, mentre la resi-stenza al taglio non drenata di progetto alla base sia cu,b = 100kPa. Assumiamo per sem-plicità un comportamento elastico perfettamente plastico sia del termine di aderenza late-rale QS che del termine di punta QP della capacità portante QLIM. Il cedimento per il quale si mobilizza totalmente QS sia wS = 8mm (indipendente dal diametro del palo), mentre il cedimento per il quale si ha la completa mobilitazione di QP sia wP = 0,25 D = 150mm. Il coefficiente di sicurezza sia F = 3. Applicando le formule statiche si stima: QS = AS τs = (π D L) (α cu,m) = 1413,7kN QP = AP qP = (π D2/4) (9cu,b) = 254,5kN QLIM = QS + QP = 1668,2kN QAMM = QLIM/F = 556,1kN Con le ipotesi fatte (Figura 17.20) il carico ammissibile si ottiene per un cedimento del palo w = 3,1mm, cui corrisponde un carico per aderenza laterale QS/FS = 550,8kN ed un carico alla base QP/FP = 5,3kN, ovvero coefficienti di sicurezza rispettivamente FS = 2,57 e FP = 48,13. In pratica cioè, in condizioni di esercizio, il palo lavora quasi solo per ade-renza laterale.

Page 327: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

327

Figura 20: Curve schematiche carico-cedimenti dell’esempio.

Figura 17.20 - Curve schematiche carico-cedimenti relative all’esempio considerato

Infine occorre notare che molto spesso i pali di una fondazione sono collegati in testa da una struttura (plinto, trave o platea) che appoggia sul terreno. Le pressioni di contatto fra tale struttura e il terreno contribuiscono alla capacità portante del sistema di fondazione ma, di norma, sono trascurate.

17.9 Capacità portante di pali in gruppo Molto spesso i pali di fondazione sono utilizzati in gruppo. La distanza minima fra i pali di un gruppo non dovrebbe essere inferiore a tre volte il diametro. A causa dell’interazione fra i pali costituenti un gruppo, il comportamento di un palo del gruppo, sia in termini di rigidezza sia in termini di resistenza, non è eguale al comportamento del palo isolato. L’interazione fra i pali del gruppo dipende da molti fattori, i principali dei quali sono la distanza fra i pali, le modalità di messa in opera dei pali, la natura del terre-no di fondazione, l’entità dei carichi applicati, il tempo. Si definisce efficienza del gruppo di pali il rapporto tra il carico limite del gruppo QLIM,G e la somma dei carichi limite dei singoli pali che lo compongono:

L’efficienza del gruppo può essere maggiore, eguale o minore di 1, ma la Normativa im-pone di assegnare a EG valori non superiori ad 1. Valori orientativi dell’efficienza di un gruppo di pali in terreni incoerenti sono indicati in Tabella 17.9.

∑=

LIM

GLIMG Q

QE , (Eq. 17.28)

curve schematiche carico - cedimenti

0

500

1000

1500

2000

0 50 100 150 200

w (mm)

Q, Q

s, Q

p (k

N)

Qs

Qp

Q

particolare delle curve

0

100

200

300

400

500

600

0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 3,5

w (mm)Q

, Qs,

Qp

(kN

)

Qs

Qp

Q

Page 328: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 17 TIPOLOGIA E CAPACITÀ PORTANTE DI FONDAZIONI PROFONDE

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

328

Tabella 17.9 - Valori orientativi dell’efficienza di un gruppo di pali in terreni incoerenti

Tipo di palo i/D EG infisso < 6 > 1 (si assume = 1) trivellato < 6 0,67 - 1 qualsiasi > 6 1

L’efficienza di un gruppo di pali in terreno coesivo, se la struttura di fondazione non inte-ragisce con il terreno, è di norma assunta pari ad 1 per interassi superiori a 8 volte il dia-metro e compresa tra 1 e 0,6 in caso contrario. Se la struttura di fondazione interagisce con il terreno, il carico limite di un gruppo di pali in terreno coesivo, e quindi portanti prevalentemente per aderenza o attrito laterale, è di norma assunto pari al minore fra i due seguenti valori: a) la somma dei carichi limite dei singoli pali che lo compongono (ovvero EG = 1), b) la capacità portante di un blocco avente altezza pari alla lunghezza dei pali e base de-limitata dal perimetro del gruppo. La capacità portante del blocco è data dalla relazione:

con la limitazione: 5,112

1 ≤⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

⋅+

BL

essendo: BB e LB le dimensioni in pianta del blocco rettangolare equivalente, L l’altezza del blocco pari alla lunghezza dei pali, cub e cum la resistenza al taglio non drenata rispettivamente alla profondità della base e media lungo il fusto dei pali.

( )

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅

+⋅⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅+⋅=

⋅⋅+⋅+⋅⋅⋅=

BB

Bc

umBBcubBBB

BL

LBN

cLLBNcLBQ

1212.0114.5

2 (Eq. 17.29)

Page 329: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

329

CAPITOLO 18 STABILITÀ DEI PENDII

18.1 Frane

18.1.1 Fattori e cause dei movimenti franosi

Per frana si intende un rapido spostamento di una massa di roccia o di terra il cui centro di gravità si muove verso il basso e verso l’esterno. I principali fattori che influenzano la franosità sono:

• fattori geologici, ovvero caratteri strutturali (faglie e fratturazioni), giacitura, scistosità, associazione e alternanza fra i litotipi, degradazione, alterazione, eventi sismici e vul-canici;

• fattori morfologici ovvero pendenza dei versanti; • fattori idrogeologici, ovvero circolazione idrica superficiale e sotterranea, entità e di-

stribuzione delle pressioni interstiziali; • fattori climatici e vegetazionali, ovvero alternanza di lunghe stagioni secche e periodi

di intensa e/o prolungata piovosità, disboscamenti e incendi; • fattori antropici, ovvero scavi e riporti, disboscamenti e abbandono delle terre.

Le cause dei movimenti franosi possono essere distinte in cause strutturali o predispo-nenti, prevalentemente connesse ai fattori geologici, morfologici e idrogeologici, e in cause occasionali o determinanti (o scatenanti), prevalentemente connesse ai fattori cli-matici, vegetazionali, antropici ed al manifestarsi di eventi sismici o vulcanici. Il movimento franoso si manifesta quando lungo una superficie (o meglio in corrispon-denza di una “fascia” di terreno in prossimità di una superficie) all’interno del pendio, le tensioni tangenziali mobilitate per l’equilibrio (domanda di resistenza) eguagliano la ca-pacità di resistenza al taglio del terreno. Ciò può avvenire per un aumento della domanda di resistenza, per una riduzione della capacità di resistenza o per il manifestarsi di en-trambi i fenomeni. Un aumento della domanda di resistenza può essere determinato da un incremento di carico (dovuto ad esempio alla costruzione di un manufatto o ad un evento sismico), o da un aumento dell’acclività del pendio (dovuta ad esempio a erosione o sban-camento al piede). La riduzione della resistenza al taglio può essere dovuta ad un incre-mento delle pressioni interstiziali (per effetto ad esempio di un innalzamento della falda o della riduzione delle tensioni di capillarità prodotti dalla pioggia) o per effetto di fenome-ni fisici, chimici o biologici. Per l’innesco e l’evoluzione di un fenomeno franoso è molto importante la dipendenza della resistenza al taglio dall’entità della deformazione, ovvero la curva tensioni-deformazioni del terreno, ed i valori di resistenza al taglio di picco e residua. Infatti la domanda e la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale sono va-riabili, e quando in una parte di essa viene superata la resistenza di picco e la capacità re-sistente decade ad un valore residuo, si verifica una ridistribuzione degli sforzi con par-ziale trasferimento della domanda ad un’altra parte, meno sollecitata, della superficie di scorrimento (fenomeno di rottura progressiva). Pertanto, in condizioni di equilibrio limite del pendio, il valore medio pesato della resistenza al taglio mobilitata lungo la superficie di scorrimento è intermedio tra la resistenza di picco e la resistenza residua.

Page 330: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

330

18.1.2 Nomenclatura di un movimento franoso

Negli schemi di Figura 18.1 sono indicate le parti fondamentali di un movimento franoso. In particolare in Figura 18.1a sono indicati, la nicchia di distacco, che è la zona superiore della frana, con una caratteristica forma "a cucchiaio", l’alveo di frana, che è la porzione intermedia, e il cumulo di frana, che è la parte terminale della frana, di forma convessa e rilevata rispetto alla superficie topografica preesistente. I numeri di Figura 18.1b indicano rispettivamente: 1. il coronamento, 2. la scarpata prin-cipale, 3. la testata o terrazzo di frana, 4. le fessure trasversali, 5. la scarpata secondaria, 6. il terrazzo di frana secondario, 7. la zona delle fessure longitudinali, 8. la zona delle fessure trasversali, 9. la zona dei rigonfiamenti trasversali e, a valle, delle fessure radiali, 10. l’unghia del cumulo di frana e, infine, 11. il fianco destro.

1

a)

23

456

x

L

y

7

11

8 c

c

c

Zona di accumulo

L

910

Zona di distacco

Superficie d

i rottura

Piega

Superficie di se

parazione

Zona di distacco

Cumulo di frana

Alveo d

i fran

a

b)

Figura 18.1 - Nomenclatura delle parti di un movimento franoso

18.1.3 Classificazione dei movimenti franosi

I movimenti franosi possono essere caratterizzati da diverse forme della superficie di scorrimento e da diversi meccanismi di rottura. L’individuazione dell’andamento della superficie di rottura (effettiva o potenziale) e del cinematismo di collasso è importante per la scelta del metodo di analisi più appropriato e degli eventuali interventi di stabilizzazione e di mitigazione degli effetti. Per questo moti-vo sono stati proposti diversi si-stemi di classificazione delle frane tra i quali il più noto e utilizzato è il sistema di Varnes (1978), che distingue sei classi fondamentali: crolli (falls): caratterizzati dallo spostamento dei materiali in cadu-ta libera e dal successivo movi-mento, per salti e/o rimbalzi, dei frammenti di roccia (Figura 18.2). Generalmente si verificano in ver-santi interessati da preesistenti di-

Figura 18.2 – Frana di crollo

Page 331: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

331

scontinuità strutturali (faglie e piani di stratificazione) e sono, di norma, improvvisi con velocità di caduta dei materiali elevata. La frana di crollo avviene in pareti subverticali di roccia, dalle quali si staccano blocchi di materiale che precipitano al piede della scarpata. Cause determinanti sono le escursioni termiche (gelo e disgelo), l’erosione alla base, le azioni sismiche e le azioni antropiche.

ribaltamenti (topples): movimenti si-mili ai crolli, determinati dalle stesse cause e caratterizzati dal ribaltamento frontale del materiale che ruota intorno ad un punto al di sotto del baricentro della massa. I materiali interessati sono generalmente rocce lapidee che hanno subito intensi processi di alterazione e/o che presentano delle superfici di di-scontinuità (faglie o superfici di strato). Le frane per ribaltamento (Figura 18.3) si verificano di norma nelle zone dove le superfici di strato risultano essere sub-verticali (a) o lungo le sponde dei corsi d’acqua per scalzamento al piede (b).

scorrimenti (slides): in base alla forma della superficie di scorrimento si distinguono in scorrimenti rotazionali e scorrimenti traslativi (Figura 18.4). Lo scorrimento rotazionale avviene in terreni o rocce dotati di coesione e si sviluppa lungo una superficie general-mente concava, che si produce al momento della rottura del materiale. La parte inferiore del cumulo di frana tende ad allargarsi e dà luogo spesso a frane di colamento. Lo scorri-mento traslazionale invece consiste nel movimento di masse rocciose o di terreni, lungo una superficie di discontinuità poco scabrosa e preesistente disposta a franapoggio. Le principali cause degli scorrimenti sono le acque di infiltrazione, le azioni antropiche e i terremoti.

Figura 18.3 - Frane di ribaltamento.

Figura 18.4 - Frane di scorrimento rotazionale (a) e traslazionale (b)

a) b)

Page 332: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

332

espansioni laterali (lateral spreads): so-no movimenti complessi, a componente orizzontale prevalente, che hanno luogo quando una massa rocciosa lapidea e frat-turata giace su un terreno dal comporta-mento molto plastico (Figura 18.5).

colamenti (flows): sono movimenti fra-nosi, anche molto estesi, che si verificano nei terreni sciolti (Figura 18.6). La super-ficie di scorrimento non è ben definibile, la velocità è variabile da punto a punto della massa in frana, talvolta è molto ele-vata con conseguenze catastrofiche. Il materiale in frana ha il comportamento di un fluido viscoso e segue l’andamento di pree-sistenti solchi di erosione che ne costituiscono l’alveo.

fenomeni complessi (complex): sono combinazioni di due o più tipi di frane preceden-temente descritte, ad esempio: crollo di roccia e colata di detrito, scorrimento rotazionale e ribaltamento, scorrimento traslativo di blocchi e crollo di roccia, etc.. (Figura 18.7).

18.2 Analisi di stabilità dei pendii I metodi di analisi della stabilità dei pendii più diffusi ed utilizzati nella pratica professio-nale sono metodi all’equilibrio limite, che ipotizzano per il terreno un comportamento ri-gido – perfettamente plastico. Si immagina cioè che il terreno non si deformi fino al rag-

Figura 18.6 - Colamenti Figura 18.7 – Fenomeni franosi complessi

Figura 18.5 - Espansioni laterali

Page 333: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

333

giungimento della condizione di rottura, e che, in condizioni di rottura, la resistenza al ta-glio si mantenga costante e indipendente dalle deformazioni accumulate. Da tale ipotesi, fortemente semplificativa, consegue che: a) la rottura si manifesta lungo una superficie netta di separazione tra la massa in frana e il terreno stabile, b) la massa in frana è un blocco indeformato in moto di roto-traslazione rigida, c) la resistenza mobilitata lungo la superficie di scorrimento in condizioni di equilibrio limite è costante nel tempo, indipen-dente dalle deformazioni e quindi dai movimenti della frana, e ovunque pari alla resisten-za al taglio, d) non è possibile determinare né le deformazioni precedenti la rottura, né l’entità dei movimenti del blocco in frana, né la velocità del fenomeno. Inoltre la maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il pro-blema piano (cioè ipotizzano che la superficie di scorrimento sia di forma cilindrica con direttrici ortogonali al piano considerato), analizzando di norma una o più sezioni longi-tudinali del versante e trascurando gli effetti tridimensionali. Ulteriori ipotesi semplificative, diverse da un metodo all’altro, sono necessarie per rende-re il problema staticamente determinato (come si vedrà nel Paragrafo 18.6), cosicché a pa-rità di geometria e di caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, il risultato dell’analisi, in termini di superficie di scorrimento critica (superficie per la quale il rapporto fra resi-stenza disponibile e resistenza mobilitata assume il valore minimo) e di coefficiente di si-curezza (rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata), non è unico ma di-pende dal metodo adottato. Nonostante tutto però, l’affidabilità dei risultati dipende quasi esclusivamente dalla cor-retta schematizzazione del fenomeno e dalla scelta dei parametri di progetto che, proprio a causa della scarsa aderenza alla realtà fisica del modello costitutivo adottato per il terre-no, devono essere fissati con grande attenzione e consapevolezza. Occorre poi distinguere i pendii naturali dai pendii artificiali, non solo e non tanto perché i volumi in gioco e le condizioni di carico sono spesso molto diversi, o perché alcuni me-todi di analisi sono più adatti allo studio della stabilità degli uni o degli altri, ma perché è generalmente molto diversa la conoscenza qualitativa e quantitativa della geometria su-perficiale e profonda, e delle proprietà fisico-meccaniche dei terreni.

Nei pendii artificiali (ad esempio i fianchi dei rilevati stradali, degli argini o delle dighe in terra) quasi sempre la geometria è semplice e nota, i terreni sono materiali da costru-zione omogenei ed hanno caratteristiche fisico-meccaniche note, poiché corrispondenti alle specifiche di capitolato, lo schema bidimensionale (problema piano) è aderente alla realtà fisica, poiché si tratta di opere con una dimensione di gran lunga prevalente rispetto alle altre due e con variazioni graduali della sezione trasversale, le condizioni di carico possono variare rapidamente nel tempo, ad esempio per gli argini al variare del livello del fiume, o per le dighe al variare del livello di invaso.

I pendii naturali invece sono di norma caratterizzati da una morfologia superficiale e pro-fonda complessa, da una grande variabilità spaziale delle caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni, e di norma da una meno rapida variazione delle condizioni di ca-rico (salvo le azioni sismiche). Le indagini geologiche, idrogeologiche e geotecniche, la cui estensione ed approfondimento devono essere commisurati, in termini anche econo-mici, all’importanza, alle finalità, all’estensione ed alla gravità del problema in studio ed alla fase di progettazione, possono solo fornire un quadro approssimato e parziale della realtà fisica.

Page 334: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

334

Nel caso degli scavi le condizioni sono talora, in un certo senso, intermedie, poiché la ge-ometria superficiale è ben definita, ma il terreno di cui è costituito il pendio è naturale, e quindi può essere caratterizzato anche da forte variabilità spaziale, le condizioni di carico, legate ai tempi e ai modi di realizzazione dello scavo e di permanenza dello scavo aperto, possono variare sensibilmente nel tempo.

18.3 Pendii indefiniti Lo schema di pendio indefinito è applicabile al caso di frane di scorrimento allungate, in cui l’influenza delle porzioni di sommità e di piede è trascurabile. La stabilità delle coltri di terreno alluvionale o detritico, di piccolo spessore rispetto alla lunghezza della frana, poste su un terreno di fondazione più rigido è di norma trattata con riferimento allo sche-ma di pendio indefinito.

18.3.1 Pendio indefinito di terreno incoerente asciutto

Consideriamo inizialmente il caso di un pendio indefinito di terreno omogeneo, incoeren-te e asciutto, con resistenza al taglio data dall’equazione: τf = σ’ tanφ’. In Figura 18.8 so-no rappresentate le condizioni di equili-brio di un generico concio di terreno de-limitato da due superfici verticali e da un piano di base appartenente alla potenziale superficie di scorrimento, parallelo alla superficie del pendio. Per simmetria le tensioni sulle facce laterali del concio sono eguali e opposte, quindi le azioni risultanti hanno la stessa retta d’azione parallela al pendio, stessa direzione, stes-so modulo, e verso opposto. Pertanto si elidono a vicenda e non intervengono nelle equazioni di equilibrio. Il fattore (o coefficiente) di sicurezza FS è in generale il rapporto tra la capacità di resistenza, C, e la domanda di resistenza, D:

Nel caso in esame, considerando l’equilibrio alla traslazione lungo la superficie di base del concio, inclinata di un angolo β rispetto all’orizzontale si ha che: • C è la forza di taglio massima disponibile alla base del concio:

'tancosW'tanNTC f φ⋅β⋅=φ⋅== • D è la forza di taglio necessaria per l’equilibrio: β⋅== sinWTD dunque:

β

W

β

T=W sinβ

N=W cosβ

W T

N

Figura 18.8 - Schema di pendio indefinito incoe-rente asciutto

DCFS = (Eq. 18.1)

βφ

=β⋅

φ⋅β⋅==

tan'tan

sinW'tancosW

DCFS (Eq. 18.2)

Page 335: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

335

In condizioni di equilibrio limite 1FS = e dunque: 'max φ=β Si può osservare che: - la condizione di equilibrio limite si verifica per β = φ’, - la superficie di scorrimento è parallela al pendio, - la condizione di equilibrio è indipendente dalla profondità della superficie di

scorrimento, - l’unico parametro geotecnico necessario per valutare il coefficiente di sicurezza FS è

l’angolo di resistenza al taglio φ’. È inoltre da sottolineare che: - nelle verifiche di sicurezza è opportuno assumere φ’ = φ’cv, avendo indicato con φ’cv

l’angolo di resistenza al taglio a volume costante, ovvero allo stato critico, - nei pendii naturali può aversi β > φ’ per effetto di capillarità, leggera cementazione,

radici, altezza limitata del pendio.

18.3.2 Pendio indefinito di terreno incoerente totalmente immerso in acqua in quiete

Si consideri l’equilibrio del concio di terreno omogeneo, incoerente e totalmente immerso in acqua in quiete indicato in Figura 18.9. In questo caso oltre alle forze presenti nel caso di terreno incoerente asciutto (Paragrafo 13.3.1), agisce sul concio una spinta dell’acqua, risultante delle pressioni idrostatiche agenti sulle pareti, che risulta verticale e diretta verso l’alto, pari al peso specifico dell’acqua per il volume del concio. Per l’equilibrio è pertanto sufficiente fare riferimento al peso immerso (o efficace) del concio, che vale:

da''W ⋅⋅γ= essendo wsat' γ−γ=γ il peso di volume immerso del terreno e avendo assunto uno spessore unitario del concio nella direzione ortogonale al piano del disegno. Poiché per un pendio indefinito il peso del concio è ininfluente sul valore del fattore di sicurezza, anche nel caso di pendio totalmente immerso in acqua in quiete il fattore di sicurezza vale:

come per il caso di pendio asciutto.

18.3.3 Pendio indefinito di terreno omogeneo con filtrazione parallela al pendio

Lo schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio (Figura 18.10) è spesso utilizzato per verificare la stabilità di una coltre di terreno, relativamente permeabile e di spessore quasi costante, su un substrato roccioso o comunque di terreno non alterato, poco

Livello d’acqua

d

a β

Figura 18.9 - Schema di pendio indefinito immerso in acqua in quiete

βϕ

tan'tanFS = (Eq. 18.3)

Page 336: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

336

permeabile e stabile, allorché in seguito a prolungate piogge diviene sede di un moto di filtrazione parallelo al pendio. L’altezza della falda viene messa in relazione alla durata e all’intensità della pioggia, ed al coefficiente di assorbimento del terreno. La resistenza al taglio del terreno vale: 'tan''cf φ⋅σ+=τ ,

ed il fattore di sicurezza è: ττ

= fFS

Facendo riferimento alla Figura 18.10 e indicando con γ il peso di volume medio del ter-reno sopra falda e con γsat il peso di volume del terreno saturo (sotto falda), la componente del peso normale alla base del concio è:

( )[ ] βγγβ coszmm1cosWN sat ⋅⋅⋅+⋅−=⋅=

la lunghezza della base del concio è: βcos

1l = ,

dunque la tensione normale alla base del concio vale:

( )[ ] βγγσ 2sat coszmm1 ⋅⋅⋅+⋅−=

La componente del peso parallela alla base del concio è:

( )[ ] βγγβ sinzmm1sinWT sat ⋅⋅⋅+⋅−=⋅= dunque la tensione di taglio alla base del concio vale:

( )[ ] ββγγτ cossinzmm1 sat ⋅⋅⋅⋅+⋅−= .

Figura 18.10 - Schema di pendio indefinito con filtrazione parallela al pendio

β

m

Page 337: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

337

In questo caso è inoltre possibile osservare che la risultante delle pressioni interstiziali a-genti sulle due facce verticali del concio è uguale ed opposta e che lungo la base inferiore la distribuzione delle pressioni interstiziali è uniforme e la pressione interstiziale vale:

βγγ 2www coszmhu ⋅⋅⋅=⋅=

Quindi l’espressione generale per il fattore di sicurezza risulta:

Se si assume, come ipotesi semplificativa e cautelativa, oltreché molto spesso realisti-ca, 0'c = , risulta:

se poi, per semplicità e senza grave errore, si assume γ = γsat (anche perché molto spesso il terreno sopra falda è saturo per risalita capillare e per infiltrazione dell’acqua piovana), risulta:

Nel caso particolare di m = 1 (falda coincidente con il piano campagna) si ottiene:

Poiché il rapporto sat

'γγ è circa pari a 0,5, ne consegue che la presenza di un moto di fil-

trazione parallelo al pendio con livello di falda coincidente con il piano campagna riduce il coefficiente di sicurezza ad un valore che è circa la metà del coefficiente di sicurezza del pendio asciutto o immerso in acqua in quiete.

18.4 Pendii di altezza limitata Per le verifiche di stabilità di pendii di altezza limitata con metodi all’equilibrio limite, si considera l’equilibrio di una massa di terreno delimitata da una superficie di slittamento di forma nota (molto spesso circolare o a forma di spirale logaritmica). La resistenza al taglio disponibile, C, e quella mobilitata, D, sono calcolate impiegando solo le equazioni di equilibrio statico ed il criterio di rottura di Mohr-Coulomb. Il coefficiente di sicurezza è definito come il rapporto C/D ed è assunto costante lungo tutta la superficie di scorri-mento potenziale.

( )[ ]( )[ ] ββγγ

φβγγτ

φσcossinzmm1

'tancosz'mm1'c'tan)u('cFSsat

2

⋅⋅⋅⋅+⋅−⋅⋅⋅⋅+⋅−+

=⋅−+

= (Eq. 18.4)

[ ][ ] β

φ⋅

γ⋅+γ⋅−γ⋅+γ⋅−

=tan

'tanm)m1(

'm)m1(FSsat

(Eq. 18.5)

( )βφ

⋅γ

γ⋅−γ=

tan'tanm

FSsat

wsat (Eq. 18.6)

βφ

⋅γγ

=tan

'tan'FSsat

(Eq. 18.7)

Page 338: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

338

I metodi di calcolo della stabilità possono essere utilizzati in modo diretto o inverso, ov-vero: - per stimare il coefficiente di sicurezza di un pendio stabile, si fissa la geometria super-

ficiale e profonda, si attribuiscono valori di progetto ai parametri geotecnici, si ipotizza l’entità e la distribuzione delle pressioni interstiziali, e si determinano per tentativi il coefficiente di sicurezza e la superficie di scorrimento critica (ricordando che per quest’ultima si intende la superficie cui è associato il minimo valore del rapporto fra resistenza disponibile e resistenza mobilitata);

- se invece la frana è in atto o è avvenuta, la superficie di scorrimento è nota o sperimen-talmente determinabile, e le equazioni di equilibrio consentono di determinare, posto FS = 1, la resistenza al taglio media in condizioni di rottura lungo la superficie di scor-rimento.

18.5 Pendii artificiali Come già è stato detto, i pendii artificiali, ovvero realizzati dall’uomo con la costruzione di un’opera in terra o con scavi, sono caratterizzati in genere da una morfologia elementa-re e, nel caso di opere in terra, da terreni omogenei. Inoltre l’ipotesi di bidimensionalità del problema è molto spesso ben verificata, poiché la lunghezza del rilevato o dello scavo è di norma molto maggiore dell’altezza, e quest’ultima è costante o varia gradualmente. Pertanto i metodi all’equilibrio limite per la verifica della stabilità di pendii artificiali con-siderano un blocco unico di terreno omogeneo, geometricamente definito dalla superficie topografica e dalla superficie di scorrimento potenziale. Una volta fissata la forma della superficie di scorrimento, tali metodi si prestano a soluzioni adimensionali. Nell’ambito dei pendii artificiali, occorre tuttavia distinguere tra pendii di rilevato e pen-dii di scavo. Nel primo caso si ha di norma una differenza tra il terreno naturale di fondazione e il ter-reno artificiale di costruzione del rilevato. La messa in opera del rilevato, determina nel terreno di fondazione un incremento delle tensioni totali e induce un processo di consoli-dazione, più o meno rapido a seconda della permeabilità del terreno. Pertanto occorre as-sociare alla verifica di stabilità del pendio anche la verifica di capacità portante a breve e a lungo termine del terreno di fondazione. Nel corpo dei rilevati stradali le pressioni interstiziali sono, di norma, nulle (o negative) e la verifica di stabilità del pendio può essere svolta in termini di tensioni efficaci. Nel corpo dei rilevati arginali e delle dighe in terra le pressioni interstiziali variano con le condizioni di carico idraulico nello spazio e nel tempo. In condizioni di moto di filtrazio-ne assente o stazionario è possibile misurare o calcolare la distribuzione delle pressioni interstiziali e svolgere l’analisi di stabilità in termini di tensioni efficaci. In condizioni di moto di filtrazione transitorio, ad esempio dopo uno svaso rapido, se il terreno è poco permeabile, la distribuzione delle pressioni interstiziali è difficilmente determinabile e l’analisi di stabilità viene svolta in termini di tensioni totali, con riferimento alla resisten-za al taglio non drenata relativa alla pressione di consolidazione iniziale. Tale condizione è la più critica, poiché viene a mancare la pressione dell’acqua che sostiene il pendio (e quindi aumenta la domanda di resistenza), mentre si assume invariata la capacità di resi-stenza. Nel tempo, col dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali, la resistenza al taglio, e quindi il coefficiente di sicurezza tenderanno a crescere.

Page 339: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

339

Nel caso di pendii di scavo, l’analisi di stabilità presenta in genere maggiori incertezze a causa della variabilità del terreno naturale che costituisce il pendio. Per scavi sotto falda si determina un moto di filtrazione ascendente e sono pertanto necessarie le verifiche al si-fonamento e di stabilità del fondo scavo. Se si esegue uno scavo in un terreno sotto falda, ad esempio per realizzare le fondazioni di un fabbricato, e si mantiene asciutto il fondo dello scavo per permettere le lavorazioni, si produce un’alterazione dello stato tensionale del terreno circostante. In particolare le tensioni totali si riducono via via che procede lo scavo, mentre le pressioni interstiziali e le pressioni efficaci variano con tempi che dipendono dalla permeabilità del terreno. Per-tanto il fattore di sicurezza del pendio, ovvero il rapporto tra capacità e domanda di resi-stenza, FS = C/D, varia nel tempo, ed il periodo durante il quale possono prodursi frana-menti dopo la realizzazione di uno scavo sotto falda, ovvero il momento critico di minimo valore di F, dipende dalla natura del terreno. Nei terreni granulari molto permeabili (sabbie e ghiaie) la falda assume la posizione di equilibrio via via che procede lo scavo (fasi 1, 2, 3 di Figura 18.11), ovvero non solo le pressioni totali, ma anche le pressioni interstiziali ed efficaci variano in tempo reale, e il moto di filtrazione è, istante per istante, in regime stazionario. Pertanto le condizioni di stabilità sono indipendenti dal tempo (condizioni drenate) e le verifiche di stabilità posso-no e devono essere eseguite in termini di tensioni efficaci, previa valutazione del reticolo idrodinamico.

Piano di campagna

SCAVO

Fase 1

Livello di faldainiziale

Fase 2

Fase 3

Figura 18.11 - Fasi di uno scavo

Invece, nei terreni a grana fine poco permeabili (limi e argille), durante lo scavo a causa della variata distribuzione delle tensioni nascono sovrapressioni interstiziali che non pos-sono dissiparsi rapidamente. Le condizioni di stabilità sono dipendenti dal tempo, e poi-ché difficilmente si conosce l’evoluzione delle pressioni interstiziali in regime di filtra-zione transitorio, le verifiche di stabilità devono essere eseguite sia per condizioni non drenate a breve termine (in tensioni totali), sia per condizioni drenate a lungo termine (in tensioni efficaci). In linea generale, la condizione più critica per la stabilità è a lungo ter-mine. Infatti a causa dello scarico tensionale prodotto dallo scavo si ha una diminuzione istantanea della domanda di resistenza, mentre le tensioni efficaci, e quindi la capacità di resistenza, si riducono lentamente con il dissiparsi delle sovrapressioni interstiziali nega-tive. Pertanto il coefficiente di sicurezza diminuisce gradualmente, ed un fronte di scavo,

Page 340: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

340

inizialmente stabile, può collassare dopo un certo tempo. Le verifiche di stabilità a breve termine sono di norma eseguite per scavi solo temporaneamente non sostenuti.

18.5.1 Analisi di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento piana (metodo di Culmann)

Il metodo di Culmann per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo di altezza limitata considera le condizioni di equilibrio di un cuneo di terreno delimitato da una superficie di scorrimento piana (in analogia al metodo di Coulomb per la determinazione della spinta delle terre). Evidenze sperimentali e analisi teoriche dimostrano che, salvo casi particola-ri, l’ipotesi di superficie di scorrimento piana non è realistica né cautelativa, tuttavia con-sente una trattazione semplice del problema, utile a comprendere lo spirito dei metodi all’equilibrio limite globale. Si consideri il pendio indicato in Figura 18.12, avente altezza H, angolo di pendio β ri-spetto all’orizzontale, e costituito da un terreno omogeneo con peso di volume γ e resi-stenza al taglio espressa dall’equazione di Mohr-Coulomb: τf = c + σ tanφ. Assumiamo come potenziale superficie di scorrimento il piano AC, inclinato di un angolo θ sull’orizzontale, che individua il cuneo ABC.

Il peso del cuneo ABC, vale:

( )θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅=

=β−θ⋅⋅γ⋅=⋅⋅γ⋅=

sensensenH

21

)cot(cotH21BCH

21W

2

2

Le componenti normale, N, e tangenziale, T, di W rispetto al piano AC, valgono:

( )

( )β

θ−β⋅⋅γ⋅=θ⋅=

θ⋅θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅=θ⋅=

sensenH

21senWT

cossensen

senH21cosWN

2

2

La tensione normale media, σ, e la tensione tangenziale media, τ, sul piano AC valgono:

( )

( )θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

θ

==τ

θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

θ

==σ

sensen

senH21

senHT

ACT

cossen

senH21

senHN

ACN

Indicando con FS il coefficiente di sicurezza del pendio con riferimento alla superficie di scorrimento potenziale AC, la resistenza al taglio mobilitata è:

H

β θ A

B C

Figura 18.12 - Cuneo di Culmann

Page 341: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

341

Se si definiscono con FSccm = e con

FStantan m

φ=φ i contributi alla resistenza al taglio

mobilitata rispettivamente della coesione e dell’attrito, si può scrivere:

Eguagliando la tensione tangenziale media necessaria per l’equilibrio, τ, alla tensione tan-genziale mobilitata, τm, si ha:

( ) ( )mm tancos

sensenH

21csen

sensenH

21

φ⋅θ⋅β

θ−β⋅⋅γ⋅+=θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅

ovvero:

Il valore di θ che corrisponde alla superficie critica per l’equilibrio, è quello per il quale cm assume il valore massimo, e può essere determinato imponendo la condizione:

0cm =θ∂

Si ottiene:

e quindi:

L’altezza critica, Hcr, ovvero la massima altezza del pendio compatibile con l’equilibrio, si ottiene imponendo FS = 1, ovvero sostituendo c a cm e tanφ a tanφm:

Se l’analisi è svolta in termini di tensioni totali ed il terreno è saturo, la resistenza al taglio vale uf c=τ , per cui l’altezza critica di uno scavo in argilla a breve termine, in condizioni non drenate, risulta:

FStan

FSc

FStanc

FSf

mφσφσττ ⋅+=

⋅+== (Eq. 18.8)

( )mmmmm tancos

sensenH

21ctanc φ⋅θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅+=φ⋅σ+=τ (Eq. 18.9)

( ) ( )mm tancossensen

senH21c φ⋅θ−θ⋅

βθ−β

⋅⋅γ⋅= (Eq. 18.10)

2m

crφ+β

=θ (Eq. 18.11)

( )⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡φ⋅βφ−β−

⋅⋅γ

=m

mm cossen

cos14Hc (Eq. 18.12)

( )⎥⎦⎤

⎢⎣

⎡φ−β−φ⋅β

⋅γ⋅

=cos1

cossenc4Hcr (Eq. 18.13)

Page 342: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

342

e il piano di scorrimento è inclinato di:

e, nel caso particolare di scavo in parete verticale (β = 90°), si ottiene:

Allo stesso valore di altezza critica e di inclinazione del piano di scorrimento si perviene anche applicando la teoria della spinta delle terre di Rankine (vedi Capitolo 11) con riferimento ad un mezzo puramente coesivo. Infatti, nel piano di Mohr delle tensioni totali, l’inviluppo a rottura di un mezzo puramente coesivo è una retta orizzontale di equazione τ = cu. In un deposito omogeneo, avente peso di volume γ, delimitato da una superficie piana orizzontale, le tensioni verticale ed orizzontali sono per simmetria tensioni principali. La tensione verticale (totale) varia linearmente con la profondità e vale σv = γ⋅z. La tensione orizzontale (totale) minima per l’equilibrio, varia anch’essa linearmente con la profondità, e vale: σhA = σv – 2 cu = γz – 2cu. Il diagramma delle tensioni orizzontali totali è intrecciato e la profondità alla quale, in condizioni di equilibrio limite inferiore, la tensione orizzontale è zero, vale: zcr = 2 cu/γ. L’altezza critica di scavo, per la quale l’area del diagramma di spinta è zero, e quindi la parete ideale di Rankine non deve sostenere alcuna spinta è dunque teoricamente pari a:

Le superfici di scorrimento sono inclinate di 45° rispetto all’orizzontale. Il metodo di Culmann (come il metodo di Coulomb per la spinta delle terre) si presta a soluzioni grafiche basate sulla costruzione del poligono delle forze, e può essere utilizzato anche per geometrie del pendio più complesse e irregolari, e in presenza di carichi concentrati o distribuiti sulla superficie.

Fratture di trazione per coesione Il criterio di rottura di Mohr-Coulomb: τ = c + σ tanφ implica resistenza a trazione per i materiali con c≠0. In particolare, per σ1 < 2c tan(45° + φ/2) si ha σ3 < 0 (Figura 18.13). Poiché i terreni non hanno resistenza a trazione, in una fascia superficiale in cui le tensioni litostatiche sono basse, si formano fratture di trazione, come già visto nel Paragrafo 13.1.3.

( )β−β

⋅γ⋅

=cos1

senc4H u

cr (Eq. 18.14)

θcr = β/2 (Eq. 18.15)

γ⋅

= ucr

c4H θcr = 45° (Eq. 18.16)

γ⋅

=⋅= ucrcr

c4z2H (Eq. 18.17)

ϕ’

τ

c

Caso limite:’ = σ 2c tan(45° + /2) φ

σ’ = 0

σ’σ’3

3

σ’ 1

1

Figura 18.13 – Criterio di rottura di Mohr.-Coulomb

Page 343: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

343

Il terreno compreso in tale fascia superficiale non contribuisce alla resistenza allo scorrimento del cuneo sulla superficie di rottura potenziale. Inoltre le fessure possono riempirsi di acqua meteorica, che esercita una spinta idrostatica.La profondità delle fessure, d, non è nota, e può essere stimata per tentativi, o con la formula semi-empirica:

In Figura 18.14 è rappresentato lo schema di calcolo per l’analisi di stabilità di un pendio interessato da fratture di trazione piene d’acqua.

18.5.2 Metodo del cuneo con due piani di scorrimento

Abbastanza frequentemente le condizioni stratigrafiche e geotecniche di un pendio possono suggerire una superficie di scorrimento potenziale critica composta da due piani che delimitano un cuneo di terreno. In tal caso l’analisi di stabilità del pendio può essere condotta secondo lo schema rappresentato in Figura 18.15.

La massa in frana potenziale può essere verticalmente suddivisa in due cunei, che si trasmettono mutuamente una forza P. L’intensità della forza P è incognita, ma può essere determinata con un poligono delle forze se si assegna un valore alla sua inclinazione θ rispetto all’orizzontale. Il valore del coefficiente di sicurezza FS è sensibilmente influenzato dal valore di θ. Una ragionevole ipotesi per assegnare il valore a θ è assumere che esso sia pari all’angolo di resistenza al taglio mobilitato, φm, ovvero:

θ

H W Sw 2d/3

Figura 18.14 – Schema di calcolo di stabilità di un pendio interessato da fratture di trazio-ne

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +°⋅

⋅=

245tanc2d mm φ

γ (Eq. 18.18)

β

α

θθ

T

RR

T T = +

+P

P

P

F

F F

F

P

N’

N’N’

N’

L1

2

2

1

12

2

1

1

2

21

1

L

W

W

WW

W

W

2

2

2

21

1

1

c’ L N’ tanφ

c’ L c’ L F

P - Px

xx x

11

21

2 1

1

T = F F

F

F

c’ L N’ tanφ

N’ tanφ

N’ tanφ

22 2

2

1

Figura 18.15 - Metodo dei due cunei

Page 344: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

344

FStantantan m

φ=φ=θ . Poiché FS non è noto a priori, è necessario fissare un valore ini-

ziale di tentativo e procedere iterativamente fino a convergenza. Con riferimento alla Fi-gura 18.15, ciascuno dei due cunei è considerato separatamente. Il poligono delle forze per il cuneo 1 può essere disegnato (o calcolato). Esso è costituito: a) dalla forza peso W1, ottenuta moltiplicando l’area del cuneo per il peso di volume del terreno, di cui sono note intensità e direzione, b) dalla componente dovuta alla coesione della forza di taglio T1 alla base del concio, c’ L1/FS, di cui sono note intensità e direzione, c) dalla forza normale N1’ alla base del concio, di cui è nota la direzione, d) dalla componente dovuta all’attrito della forza di taglio T1 alla base del concio, N1’ tanφ/FS, di cui è nota la direzione, e) dalla for-za P1, di cui è nota la direzione. La direzione della risultante R1 fra le forza N1’ e N1’ tanφ/FS forma un angolo φm con la direzione della forza N1’. Analogamente si procede per il cuneo 2, disegnandone (o calcolandone) il poligono delle forze e ottenendone il va-lore di P2. Se risulta P2 = P1, il valore di tentativo prescelto per FS è corretto, altrimenti si ripete il calcolo fino a convergenza. In pratica conviene disegnare un grafico in cui si ri-portano, per ogni tentativo, i valori della differenza (P2 – P1) in funzione del coefficiente di sicurezza FS. L’intersezione della curva che collega i punti calcolati con l’asse delle ordinate indica il valore corretto di FS.

18.5.3 Carte di stabilità di un pendio omogeneo nell’ipotesi di superficie di scorrimento circolare

Per l’analisi di stabilità di un pendio omogeneo con metodi all’equilibrio limite globale si ricorre in genere alla più realistica ipotesi di superficie di scorrimento circolare. Con riferimento agli schemi di Figura 18.16, se la superficie di scorrimento critica interseca il pendio al piede o lungo la scarpata, la rottura è detta di pendio (slope failure), e si possono avere i casi di cerchio di piede (toe circle) e di cerchio di pendio (slope circle). Se invece il punto di intersezione è ad una certa distanza dal piede del pendio, la rottura è detta di base (base failure) ed il corrispondente cerchio è detto medio (midpoint circle). Taylor (1937) ha affrontato analiticamente il problema della stabilità di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, fornendo soluzioni adimensionali e carte di stabilità di impiego semplice e immediato. Il terreno ha peso di volume γ, e resistenza al taglio τ = c + σ tanφ. Il caso di pendio costituito da materiale puramente coesivo (γ = γsat, φu = 0, τ = cu) è applicabile per la verifica a breve termine di pendii di argilla omogenea satura non fessurata in condizioni non drenate. Il caso di pendio costituito da materiale dotato di coesione e attrito è applicabile alle verifiche a breve termine di terreno argilloso non saturo (γ < γsat, φu > 0, τ = cu + σ tanφu), e a lungo termine di terreni coesivi sovraconsolidati in assenza di pressione interstiziale (φ' > 0, u = 0, τ = c’ + σ tanφ’). Altri Autori hanno considerato casi più complessi che mettono in conto gli effetti sulla stabilità di un sovraccarico uniformemente distribuito sulla sommità del pendio, della resistenza al taglio variabile con la profondità, dell’inclinazione della superficie a monte, della filtrazione e della sommergenza, delle fessure di trazione, di superfici di scorrimento a forma di spirale logaritmica, etc., ma tali soluzioni richiedono numerose tabelle e/o grafici, ed è allora preferibile utilizzare i metodi delle strisce che, con la diffusione dei programmi di calcolo automatico, non hanno più lo svantaggio del lungo tempo di calcolo.

Page 345: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

345

A) ROTTURA DI PENDIO

CERCHIO DI PIEDE CERCHIO DI PENDIO

B) ROTTURA DI BASE

Figura 18.16 - Schemi di rottura di un pendio omogeneo di altezza limitata con superficie di scorrimento circolare

Stabilità a breve termine di pendii in argilla omogenea satura Per la verifica di stabilità a breve termine, in condizioni non drenate, di un pendio omogeneo, con geometria regolare e di altezza limitata, costituito da argilla satura avente peso di volume γ e resistenza al taglio costante con la profondità, τf = cu, si utilizza la soluzione di Taylor (1937). Lo schema geometrico di riferimento è indicato in Figura 18.17, ove a solo titolo di esempio, è rappresentata una rottura di base ed il corrispondente cerchio medio. Il tipo di rottura e la posizione del cerchio critico dipendono, come è possibile desumere dalla Figura 18.18, dall’inclinazione β del pendio e dal fattore di profondità nd, che è il rapporto adimensionale fra la profondità H1 di un eventuale strato rigido di base e l’altezza H del pendio.

Page 346: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

346

Figura 18.17 - Schema geometrico di riferi-mento per la soluzione di Taylor

Figura 18.18 - Carta di stabilità di Taylor per pendii di terreno dotato di sola coesione

In condizioni di equilibrio limite l’altezza critica del pendio vale:

γ⋅= u

scc

NH (Eq. 18.19)

Il fattore di stabilità, Ns, adimensionale, dipende dalla geometria del problema ed è determinabile con il grafico di Figura 18.18, ove è indicato anche il tipo di rottura che si determina. In condizioni di equilibrio stabile, il coefficiente di sicurezza FS, vale:

Hc

NHH

FS us

c

⋅γ⋅== (Eq. 18.20)

Dall’osservazione del grafico di Taylor, si desume che: per un pendio a parete verticale (β = 90°) il fattore di stabilità vale 3,85, ovvero

l’altezza critica è γ

⋅= uc

c85,3H , inferiore al valore che si è ottenuto con l’ipotesi di

superficie di scorrimento piana ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛γ

⋅= uc

c4H ;

per angolo di pendio β > 53° il cerchio critico è sempre di piede; per angolo di pendio β < 53° il cerchio critico può essere di piede, medio o di pendio a

seconda della profondità dello strato rigido di base; in assenza di uno strato compatto di base, ovvero per nd = ∞, vi è un’altezza critica

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛γ

⋅= uc

c52,5H che comunque non può essere superata, indipendentemente dal

valore di β. Stabilità di un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito La soluzione di Taylor per un pendio di terreno omogeneo dotato di coesione e attrito è basata sul metodo del cerchio d’attrito, schematicamente illustrato in Figura 18.19. Il raggio della superficie di scorrimento potenziale è indicato con R. Il cerchio d’attrito è

Page 347: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

347

concentrico alla superficie circolare di scorrimento ed ha raggio R senφ. Ogni linea tangente al cerchio d’attrito che interseca la superficie di scorrimento, forma con la normale ad essa un angolo φ. Pertanto in ogni punto della superficie di scorrimento, la direzione della tensione mutua (somma dello sforzo normale e della tensione tangenziale dovuta all’attrito), in condizioni di equilibrio limite, forma un angolo φ con la normale alla superficie ed è tangente al cerchio d’attrito. Per un assegnato valore di φ l’altezza critica del pendio è data dall’equazione:

Il valore del fattore di stabilità Ns è funzione degli angoli β e φ (Figura 18.20).

Cerchio di attrito

Superficie discorrimento circolare

W = peso del terrenoc = coesione risultanteP = forza risultante

= angolo di resistenza al taglio = inclinazione del pendio

φ β

Sc

Fatto

re d

i sta

bilit

à, N

=

H /

Inclinazione del pendio, (°)β

Figura 18.19 - Schema del metodo del cerchio d’attrito

Figura 18.20 - Carta di stabilità di Taylor per pendii di terreno dotato di coesione eattrito

18.6 Pendii naturali – Metodi delle strisce Per le verifiche di stabilità dei pendii naturali, spesso caratterizzati da una complessa e irregolare morfologia superficiale e profonda, e da una forte variabilità delle condizioni stratigrafiche e geotecniche, si ricorre, nell’ambito dei metodi all’equilibrio limite, ai cosiddetti metodi delle strisce. Dopo avere scelto e disegnato una o più sezioni longitudinali del pendio in base alla mas-sima pendenza e/o ad altre condizioni critiche come la presenza di strutture o infrastruttu-re, di discontinuità morfologiche o geologiche, o anche dei segni che indicano un movi-mento avvenuto, come fratture e rigonfiamenti, si ipotizza una superficie cilindrica di scorrimento potenziale, S, e si suddivide idealmente la porzione di terreno delimitato da S e dalla superficie topografica in n conci mediante n-1 tagli verticali (Figura 18.21), non

γ⋅=cNH sc (Eq. 18.21)

Page 348: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

348

necessariamente di eguale larghezza, ma tali che l’arco di cerchio alla base di ciascuno di essi ricada interamente in un unico tipo di terreno. Immaginiamo di estrarre il concio i-esimo e di rappresen-tare le forze che agiscono su di esso in condizioni di equilibrio (Figura 18.22). Il concio ha larghezza ∆xi, e peso Wi. La corda dell’arco di cerchio alla base è inclinata di un angolo αi sull’orizzontale. E’i e Xi, sono le componenti

normale e tangenziale della forza mutua tra i conci, bi è la quota di applicazione di E’i rispetto alla superficie di scorri-mento. Ui è la risultante delle pressioni interstiziali sulla superficie di separazio-ne fra i conci i ed (i+1). N’i e Ti sono le componenti normale e tangenziale della reazione di appoggio del concio sulla su-perficie di scorrimento, ai è la distanza del punto di applicazione di N’i dallo spigolo anteriore, e Ub,i è la risultante delle pressioni interstiziali alla base del concio. Le ipotesi generalmente ammesse da quasi tutti i metodi delle strisce sono: 1. stato di deformazione piano (ovvero

superficie cilindrica e trascurabilità degli effetti tridimensionali),

2. arco della superficie di scorrimento alla base del concio approssimabile con la relativa corda,

3. comportamento del terreno rigido-perfettamente plastico e criterio di rottura di Mohr-Coulomb,

4. coefficiente di sicurezza FS eguale per la componente di coesione e per quella di attri-to, e unico per tutti i conci, ovvero:

essendo i

ii cos

xlα

∆=∆ .

Terreno tipo 1

1

Livello dell’acqua

n

i

1

n-1

23

Terreno tipo 2

Superficie S

Figura 18.21 - Schema di suddivisione di un pendio in strisce

∆ x i

i i - 1

αi

bi

ai

E’i

Ui

Xi

W i

T i

N’ i

E’i-1

Ui-1

X i - 1

U b,i

Figura 18.22 - Geometria del concio i-esimo e for-ze agenti su di esso

( )'i

'iii

fii tanNl'c

FS1

FST

T ϕ∆ ⋅+⋅⋅== (Eq. 18.22)

Page 349: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

349

Analizzando le forze agenti sul concio (Figura 18.22) si osserva che: − il peso Wi del concio e le risultanti Ui e Ubi delle pressioni interstiziali sono determina-

bili, essendo nota la geometria del concio (αi, ∆xi e quindi ∆li) e le caratteristiche geo-metrice e geotecniche del pendio

− la forza di taglio Ti è determinabile, nota la forza normale N’i, dalla Equazione (18.22). e quindi, il bilancio del numero di incognite e di equazioni di equilibrio del sistema è quello indicato in Tabella 18.1.

Tabella 18.1 - Numero delle incognite e delle equazioni di equilibrio nel metodo delle strisce

Incognite Equazioni di equilibrio 1 FS n 0V =Σ n '

iN n 0H =Σ n-1 '

iE n 0M =Σ n-1 '

iX

n ai n-1 bi

n. tot. 5n-2 3n Poiché il numero delle incognite, (5n – 2), è superiore al numero delle equazioni di equi-librio, pari a 3n, il sistema è indeterminato. Per ridurre il numero delle incognite e rendere il sistema determinato, è necessario intro-durre alcune ipotesi semplificative. I diversi metodi delle strisce differiscono sulle ipotesi semplificative assunte. I due più semplici e più diffusi metodi delle strisce sono il metodo di Fellenius ed il metodo di Bi-shop semplificato. Un’ipotesi comune a molti metodi, fra cui i metodi di Fellenius e di Bishop descritti nei paragrafi successivi, ma non a tutti, è l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, suf-ficientemente ben verificata quando non vi siano condizioni stratigrafiche e geotecniche particolari. Se si accetta tale ipotesi, il coefficiente di sicurezza risulta pari al rapporto fra momento stabilizzante e momento ribaltante rispetto al centro della circonferenza.

in cui:

e pertanto:

R

Sn

1i i

n

1i fi

MM

T

TFS ==

∑∑

=

= (Eq. 18.23)

[ ]∑∑ ⋅+⋅⋅=⋅==

n

1

'i

'ii

n

1ifiS tanNl'crTrM ϕ∆ (Eq. 18.24)

∑∑ ⋅⋅=⋅==

n

1ii

n

1iiR senWrTrM α (Eq. 18.25)

Page 350: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

350

Le forze interne Xi e Ei non intervengono perché costituiscono un sistema equilibrato. Consideriamo il poligono delle forze che agiscono sul concio i-esimo (Figura 18.23):

bi'i4

i3

1ii1ii2

1iii1

UNF

TF)UU()EE(F

)XX(WF

+=

=−+−=

−+=

−−

18.6.1 Metodo di Fellenius

Il più antico e più semplice metodo delle strisce è il metodo di Fellenius, detto anche me-todo svedese o ordinario, che è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificati-va: per ogni concio la risultante delle componenti nella direzione normale alla superficie di scorrimento delle forze agenti sulle facce laterali è nulla. Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.23, l’equazione di equilibrio nella di-rezione normale alla superficie di scorrimento è:

[ ] [ ] bi'ii1ii1iii1iii

4i2i1

UNsen)UU()EE(cos)XX(W

FsenFcosF

+=α⋅−+−+α⋅−+

=α⋅+α⋅

−−−

per l’ipotesi del metodo di Fellenius è: ( ) ( )[ ] 0sen)UU(EEcosXX i1ii1iii1ii =α⋅−+−+α⋅− −−− ne risulta:

[ ]

α⋅

ϕ⋅+∆⋅== n

1ii

n

1

'i

'ii

R

S

senW

tanNl'c

MM

FS (Eq. 18.26)

bi'iii UNcosW +=⋅ α (Eq. 18.27)

F2

F1

F3

F4

αi

Direzione normale alla superficie di scorrimento

Figura 18.23 - Poligono delle forze agenti sul concio i-esimo

Page 351: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

351

da cui:

avendo ipotizzato una distribuzione uniforme, ubi, delle pressioni interstiziali alla base del concio. L’espressione del momento stabilizzante diventa:

e quindi il coefficiente di sicurezza è:

Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi, come vedremo nel seguito. Il metodo di Fellenius è in genere conservativo, poiché porta ad una sottostima del coefficiente di sicu-rezza rispetto ai valori stimati con altri metodi più accurati.

18.6.2 Metodo di Bishop semplificato

Il metodo di Bishop semplificato è attualmente il più diffuso ed utilizzato fra i metodi del-le strisce. Esso è caratterizzato dalla seguente ulteriore ipotesi semplificativa: per ogni concio la ri-sultante delle componenti nella direzione verticale delle forze agenti sulle facce laterali è nulla. Con riferimento al poligono delle forze di Figura 18.23, l’equazione di equilibrio nella di-rezione verticale è:

ibi'iii1iii

i4i31

cos)UN(senT)XX(W

cosFsenFF

α⋅+=α⋅−−+

α⋅=α⋅−

per l’ipotesi del metodo di Bishop semplificato è:

0)XX( 1ii =− − ne risulta:

ibi'iiii cos)UN(senTW α⋅+=α⋅−

ed essendo:

ibiiibiii'i lucosWUcosWN ∆⋅−⋅=−⋅= αα (Eq. 18.28)

[ ] [ ]∑∑ ⋅∆⋅−⋅+∆⋅⋅=⋅+∆⋅⋅=n

1

'iibiiii

n

1

'i

'iiS tan)lucosW(l'crtanNl'crM ϕαϕ (Eq. 18.29)

[ ]

⋅∆⋅−⋅+∆⋅== n

1ii

n

1

'iibiiii

R

S

senW

tan)lucosW(l'c

MMFS

α

ϕα (Eq. 18.30)

Page 352: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

352

( )

iibi

i

ii

'i

'ii

'ii

luUcos

xl

tanNlcFS1T

∆⋅=α

∆=∆

ϕ⋅+∆⋅⋅=

ne segue:

ii

ii

'ii

'i

'i

i

i'ii cos

cosx

uNsentanNcos

xc

FS1W α⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛α

∆⋅+=α⋅⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛ϕ⋅+

α∆

⋅⋅−

e sviluppando:

La soluzione è ricercata per via iterativa fissando un primo valore di tentativo per FS. Il coefficiente di sicurezza calcolato è relativo alla superficie di scorrimento potenziale considerata. Il valore minimo di FS corrisponde alla superficie di scorrimento potenziale critica e deve essere determinato per tentativi.

18.6.3 Ricerca della superficie circolare di scorrimento potenziale critica

Quando si studiano le condizioni di stabilità di un pendio naturale che non ha avuto mo-vimenti significativi, e che quindi non presenta tracce di intersezione tra la superficie di scorrimento e la superficie topografica, la superficie di scorrimento critica, ovvero la su-perficie cui è associato il minimo valore del coefficiente di sicurezza, deve essere deter-minata per tentativi. Se, tenuto conto delle condizioni stratigrafiche e geotecniche del pendio, si ritiene plausi-bile l’ipotesi di superficie di scorrimento circolare, la circonferenza critica è determinata quando se ne conoscano la posizione del centro ed il raggio. Se il calcolo è svolto a mano, il numero di superfici che possono essere analizzate è ne-cessariamente ridotto, ed inoltre si preferirà utilizzare il metodo di Fellenius rispetto al metodo di Bishop semplificato, poiché il calcolo del coefficiente di sicurezza con quest’ultimo metodo richiede un procedimento iterativo per ogni superficie considerata. Tuttavia molto spesso le condizioni morfologiche, stratigrafiche e geotecniche del pendio sono tali che, con un minimo di buon senso e di esperienza, anche con un numero ridotto di tentativi si riesce ad individuare la superficie di scorrimento critica.

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ⋅+⋅

⋅∆⋅⋅−∆⋅−=

FStantan1cos

tanxcFS1xuW

Ni

'i

i

ii'iiii

'i αϕα

α (Eq. 18.31)

[ ]∑⎥⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢⎢

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ⋅+⋅

⋅⋅∆⋅−+∆⋅=n

1'ii

i

'iiiii

'iS

FStantan1cos

1tan)xuW(xcMϕαα

ϕ (Eq. 18.32)

Page 353: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

353

Attualmente la diffusione dei programmi di calcolo automatico ha eliminato il problema della lunghezza e della laboriosità del calcolo numerico, sebbene siano sempre necessari esperienza e buon senso per definire i confini del campo di ricerca. La procedura di ricerca della superficie circola-re critica e del relativo coefficiente di sicurez-za è illustrata in Figura 18.24. Eseguendo l’analisi di stabilità per un certo numero di cer-chi aventi lo stesso cen-tro e diverso raggio, e diagrammando i coeffi-cienti di sicurezza otte-nuti in funzione del raggio si ottengono dei punti che appartengono ad una linea che presen-ta un minimo. Tale va-lore è il coefficiente di sicurezza minimo asso-ciato al centro comune dei cerchi considerati. Ripetendo la procedura per diversi centri di cerchi disposti ai nodi di un reticolo a maglia rettangolare o quadrata, si otterrà un piano quotato, di cui si potranno tracciare le linee di livello che descrivono una porzione di superficie tridimensionale. Se tale superficie pre-senta un minimo, il punto corrispondente al minimo avrà come coordinate planimetriche le coordinate del centro della superficie circolare critica e come quota il coefficiente di si-curezza del pendio. Se la superficie presenta più minimi relativi significa che esistono più superfici critiche di scorrimento potenziale.

18.6.4 Effetti tridimensionali

La maggior parte dei metodi di verifica della stabilità dei pendii considerano il problema piano, ovvero assumono una geometria cilindrica trascurando gli effetti tridimensionali. Tale ipotesi è generalmente ben verificata per i pendii artificiali ma non per i pendii natu-rali. Se si esegue la verifica di stabilità per la sezione più critica, corrispondente in genere alla sezione longitudinale in asse alla frana, il coefficiente di sicurezza ottenuto è una sot-tostima del valore reale. Un metodo approssimato per tenere conto degli effetti tridimensionali, è il seguente: Si considerano n sezioni longitudinali parallele equidistanti, e per ciascuna di esse si cal-cola il coefficiente di sicurezza minimo FSi, che risulta associato ad un’area Ai di terreno in frana potenziale. Il coefficiente di sicurezza globale del pendio è stimato con l’equazione:

∑∑ ⋅

=i

ii

FSAFS

FS (Eq. 18.34)

Terreno di riempimentosabbioso

Centro della superficiedi scorrimento

Cerchio critico

Argilla soffice

(d)

(c)

(b)

(a)

Figura 18.24 - Procedura per la determinazione della superficie circolare di scorrimento critica e del coefficiente di sicurezza

Page 354: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

354

18.7 Scelta del coefficiente di sicurezza La scelta del valore del coefficiente di sicurezza da utilizzare nelle verifiche di stabilità dei pendii richiede un giudizio critico da parte dell’ingegnere geotecnico, poiché sono molti i fattori di cui tenere conto. Occorre infatti considerare: - l’affidabilità del modello geotecnico, ovvero dello schema stratigrafico di riferimento e

della caratterizzazione meccanica dei terreni, - i limiti del metodo di calcolo, ovvero delle ipotesi semplificative ad esso associate, - le conseguenze di un’eventuale rottura, - la vulnerabilità delle strutture e delle infrastrutture, la cui funzionalità potrebbe essere

compromessa anche da movimenti che hanno luogo con coefficienti di sicurezza supe-riori ad 1 (stato limite di servizio),

- il tempo, ovvero se la stabilità del pendio deve essere assicurata per un breve oppure per un lungo periodo di tempo.

La Normativa Italiana attualmente in vigore (D.M. LL.PP. 11/03/88) prescrive che: “Nel caso di terreni omogenei e nei quali le pressioni interstiziali siano note con sufficiente at-tendibilità, il coefficiente di sicurezza non deve essere minore di 1,3. Nelle altre situazioni il valore del coefficiente di sicurezza da adottare deve essere scelto caso per caso, tenuto conto principalmente della complessità strutturale del sottosuolo, delle conoscenze del regime delle pressioni interstiziali e delle conseguenze di un eventuale fenomeno di rottu-ra.” A titolo indicativo, se la conoscenza delle condizioni stratigrafiche e geotecniche è buona, e le conseguenze di una eventuale rottura non sono particolarmente drammatiche, per le verifiche di stabilità di scavi o di pendii naturali “a priori”, ovvero se non si è manifestata la frana, si può adottare un coefficiente di sicurezza compreso tra 1,3 e 1,4 in relazione al metodo di calcolo impiegato, mentre per le verifiche di stabilità “a posteriori”, ovvero do-po che si è manifestata la frana, e quindi si conosce la superficie di scorrimento e si utiliz-za la resistenza al taglio residua del terreno, potranno essere adottati coefficienti di sicu-rezza minimi compresi tra 1,2 e 1,3. Valori maggiori dei coefficienti di sicurezza devono essere utilizzati per opere quali le di-ghe in terra, che comunque dovranno essere costantemente monitorate durante le varie fa-si di esercizio.

18.8 Criteri di intervento per la stabilizzazione delle frane Per stabilizzare una frana in atto, o comunque per aumentare il coefficiente di sicurezza di un pendio, FS, che, come è stato detto, è il rapporto tra la capacità di resistenza lungo la superficie di scorrimento potenziale critica, C, e la domanda di resistenza, ovvero la resi-stenza necessaria per l’equilibrio, D, occorrono interventi volti a produrre un aumento di C, o una diminuzione di D, oppure entrambe le cose. Sebbene qualunque intervento richieda un’analisi del fenomeno in atto, o temuto, sia dal punto di vista tipologico, sia dal punto di vista morfologico e plano-altimetrico, sia per ciò che riguarda i litotipi coinvolti e le loro caratteristiche geotecniche, sia per quanto ri-guarda le condizioni idrogeologiche, è innanzitutto necessario distinguere tra interventi d’urgenza e interventi definitivi.

Page 355: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

355

Se è richiesto un intervento di urgenza, perché la frana è in atto e costituisce minaccia in-combente a persone o a beni, fatta salva la necessità di richiedere l’evacuazione della zo-na a rischio, occorre raccogliere il maggior numero di informazioni esistenti o disponibili in breve tempo, e predisporre quelle misure rapide ed economiche che, pur non essendo risolutive, portano ad una riduzione del rischio, o comunque non lo accrescono. Ad esem-pio, non rimuovere l’accumulo al piede che, col proprio peso, produce un momento stabi-lizzante, eliminare le zone di ristagno dell’acqua piovana facilitandone invece il ruscella-mento, ripristinare l’efficienza di canalette e fossi di guardia, sigillare le fratture per limi-tare le infiltrazioni di acqua piovana, etc.. Per progettare un intervento di sistemazione definitivo è necessario svolgere tutte le inda-gini, geologiche, geofisiche, geotecniche, topografiche, e mettere in opera tutti gli stru-menti (piezometri, inclinometri, estensimetri, basi topografiche), necessari per chiarire l’estensione e la cinematica del fenomeno. Poiché in genere il costo delle indagini rappresenta una parte piccola rispetto al costo complessivo dell’intervento di stabilizzazione di una frana, e poiché in assenza di dati af-fidabili il progettista tende ad assumere ipotesi molto cautelative che comportano un so-vradimensionamento delle opere da realizzare, non è conveniente risparmiare sulle inda-gini (naturalmente purché siano ben programmate ed eseguite). È inoltre sempre opportu-no prevedere indagini e controlli durante e dopo la realizzazione delle opere, compresa la messa in opera di strumentazione adeguata, per verificare le ipotesi di progetto, l’efficacia dell’intervento eseguito e controllare il decorso dei movimenti nel tempo, prolungando il monitoraggio per almeno un intero ciclo stagionale dopo il termine dei lavori. Dopo avere raccolto tutte le informazioni necessarie, si definisce il modello geotecnico, ovvero lo schema fisico meccanico interpretativo del fenomeno, e si procede alla verifica di stabilità del pendio, nelle condizioni precedenti l’intervento di stabilizzazione, con i metodi della geotecnica (fra cui, ma non solo, quelli all’equilibrio limite visti ai paragrafi precedenti). Se la frana è avvenuta si può eseguire un’analisi a ritroso (back analysis), ov-vero si impone che per la superficie di scorrimento reale (se individuata) e nelle condizio-ni idrogeologiche esistenti al momento della frana, risulti FS = 1, si ricava il valore medio della resistenza al taglio a rottura, e lo si confronta con il valore desunto dalle prove di la-boratorio. La prima fase della progettazione è finalizzata ad individuare i fattori che maggiormente influenzano la stabilità del pendio, ed alla selezione, scelta e verifica dell’efficacia dei possibili interventi di stabilizzazione. In Tabella 18.2 sono elencati i criteri di scelta e i principi fisici dei provvedimenti possibili. Essi possono essere suddivisi in due grandi ca-tegorie generali: i provvedimenti volti a ridurre la domanda di resistenza, D, e quelli volti ad aumentare la capacità di resistenza, C. Limitandoci ad una sommaria disamina dei provvedimenti per la stabilizzazione di mo-vimenti franosi in terreni sciolti, nella prima categoria sono compresi: - la riprofilatura del pendio, ovvero la modifica della superficie topografica con riduzio-

ne della pendenza, alleggerimento della sommità e/o appesantimento del piede del pendio. Interventi di questo tipo hanno efficacia per movimenti franosi di tipo rotazio-nale non molto profondi;

- l’inserimento di opere di sostegno passive, quali muri, terra armata, paratie, pali, reti-coli di micropali e pozzi, al piede della frana, con lo scopo di trasferire la spinta dell’ammasso a strati più profondi e stabili. Possono essere impiegati solo per frane di spessore modesto.

Page 356: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

356

Tabella 18.2 - Principi e metodi di stabilizzazione dei pendii e delle scarpate (da Jappelli, Ma-nuale di Ingegneria Civile)

CRITERIO PRINCIPIO FISICO PROVVEDIMENTO NOTE

Scavo di alleggerimento sulla sommità del pendioRiduzione degli sforzi

tangenziali lungo la su-perficie di scivolamen-to

Abbattimento della scar-pata

Non sempre fattibile per il costo elevato, per l’esistenza di manufat-ti, per pendii molto lunghi

Muri di sostegno Molto costosi e non sempre adeguati

Sistemi di pali Non sempre efficaci Ancoraggi pesanti

Paratie e palancolate con o senza ancoraggio

Devono essere proget-tati con criteri cautela-tivi specialmente quan-do previsti con funzio-ne di sostegno perma-nente

Riduzione delle for-ze che tendono a provocare la rottura

Trasferimento degli sforzi tangenziali ad elementi strutturali fondati o ancorati ad una formazione sotto-stante non interessata dal dissesto

Chiodi Si applicano prevalen-temente a pendii in roccia

Applicazioni di elementi strutturali con tiranti pre-tesi

Aumento degli sforzi normali totali lungo la superficie di scivola-mento

Applicazioni di rinfian-chi o placcaggi al piede del pendio Allontanamento delle acque superficiali Drenaggio: a) dreni orizzontali b) pozzi c) dreni verticali d) gallerie drenanti e) trincee drenanti

Spesso applicabili Riduzioni delle pres-sioni interstiziali in punti interni o lungo il contorno

Elettroosmosi Addensamento Iniezioni Congelamento

Aumento delle forze resistenti

Miglioramento della resistenza al taglio del materiale

Cottura

Generalmente di costo elevato ed applicabili solo in terreni o rocce particolari

Nella seconda categoria rientrano: - le opere per la disciplina delle acque superficiali, come fossi e cunette di guardia, fa-

scinate, inerbimenti e rimboschimenti, che hanno lo scopo di ridurre le infiltrazioni di acqua dalla superficie e quindi le pressioni interstiziali, e di aumentare la resistenza al taglio del terreno più superficiale, anche per mezzo delle “armature” costituite dall’apparato radicale delle piante. Tali interventi hanno efficacia solo per stabilizzare la coltre più superficiale di terreno;

Page 357: Carte Fundatii Ec2

Capitolo 18 STABILITÀ DEI PENDII

Dipartimento di Ingegneria Civile – Sezione Geotecnica, Università degli Studi di Firenze J. Facciorusso, C. Madiai, G. Vannucchi – Dispense di Geotecnica (Rev. Febbraio 2007)

357

- le opere di drenaggio superficiali e profonde (trincee drenanti, pozzi drenanti, dreni suborizzontali, cunicoli e gallerie drenanti, elettroosmosi) hanno lo scopo di ridurre le pressioni interstiziali e quindi accrescere le pressioni efficaci e la resistenza al taglio del terreno. Sono i provvedimenti più diffusi ed efficaci per la stabilizzazione della maggior parte dei movimenti franosi profondi. In zone urbanizzate occorre verificare l’entità e gli effetti dei cedimenti di consolidazione indotti dall’abbassamento del livel-lo di falda;

- piastre e travi che, per mezzo di tiranti di ancoraggio pretesi, comprimono il terreno aumentando le tensioni normali, e quindi la resistenza al taglio, lungo la superficie di scorrimento;

- altri interventi finalizzati al miglioramento delle caratteristiche meccaniche del terreno, quali iniezioni di miscele chimiche o cementizie, trattamenti termici come congela-mento o cottura, etc.., i quali sono utilizzabili solo in casi particolari.