Carolly Erickson - Il Diario Segreto Di Maria Antonietta
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Carolly Erickson
IL DIARIO SEGRETO
DI MARIA ANTONIETTA
MONDADORI
Della stessa autrice
in edizione Mondadori
Anna Bolena
Maria Antonietta
La grande Caterina
Elisabetta I
La piccola regina
Maria la Sanguinaria
Il grande Enrico
L'imperatrice creola
La zarina Alessandra
Traduzione di Joan Peregalli e Claudia Pierrottet
www.librimondadori.it
ISBN 88-04-56154-8
The Hidden Diary of Marie Antoinette © 2004 by Carolly Erickson
Published in agreement with the author, c/o Baror International, Inc.,
Armonk, New York, U.S.A.
© 2006 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano
Titolo dell'opera originale:
The Hidden Diary of Marie Antoinette
I edizione settembre 2006
IL DIARIO SEGRETO DI MARIA ANTONIETTA
A Raffaello
PROLOGO
La Conciergerie, 3 ottobre 1793
Quel tremendo marchingegno, dicono, non sempre funziona bene.Ci vogliono tre
o quattro colpi di mannaia per tagliare la testa. A volte i poveri disgraziati gridano
orribilmente per un minuto, prima del colpo di grazia che mette fine
alla loro agonia.
La quantità di sangue, dicono, è incredibile. Scorre, scende a fiotti, denso e di
colore rosso scuro: molto più di quello che si pensa possa scorrere nelle vene di
un individuo. Dopo che la testa è stata tagliata, il cuore continua a pomparlo fuori.
Il boia avanza orgoglioso fino all'orlo del patibolo ed esibisce, sollevandola, la
testa sanguinante con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta in un grido muto. E,
mentre procede, si bagna di sangue.
Mio marito aveva molto sangue, mi dicono. Era un uomo grande e grosso, forte e
tenace come un toro. Un uomo abituato alla vita all'aperto, con le mani forti e
capaci di un operaio. Dev'esserci voluto più di un colpo di mannaia per ucciderlo.
Non mi hanno permesso di vederlo morire. So che avrei potuto infondergli
coraggio alla fine, se solo fossi stata lì con lui. Abbiamo affrontato tante cose
insieme, Luigi e io, fino al giorno in cui sono venuti a prenderlo e me l'hanno
portato via. Lui non ha cercato di opporre resistenza. Ha chiesto solo il mantello e
il cappello e li ha seguiti. Non l'ho più rivisto.
Mi è stato detto che è morto bene. Era calmo e dignitoso e ha letto i salmi lungo il
tragitto verso l'ampio spiazzo dove l'imponente marchingegno con la sua affilata
lama lo aspettava. Ha ignorato le grida e le urla della folla e non ha cercato aiuto,
benché ci fosse chi sarebbe stato felice di salvarlo se avesse potuto. Ha aperto il
colletto della camicia e si è inginocchiato per offrire il collo alla mannaia,
rifiutando di lasciarsi legare le mani come un delinquente comune.
Alla fine ha cercato di proclamare la propria innocenza, ma loro hanno soffocato
la sua voce con il rullo dei tamburi e si sono affrettati a far cadere la pesante lama.
Ciò accadeva nove mesi fa.
Adesso verranno a prendere me, la loro ex regina, Maria Antonietta, ora nota
come la «prigioniera numero 280». Succederà presto, anche se non so quando. Lo
vedo dall'espressione sul viso di Rosalie nel momento in cui mi porta la zuppa e
l'infuso di fiori di tiglio. Ha perso ogni speranza che io possa essere risparmiata.
Mi concedono, se non altro, di tenere questo diario.
Non mi permettono di cucire né di lavorare a maglia per via degli aghi appuntiti -
come se avessi la forza di infilzare qualcuno! -, ma mi consentono di scrivere e le
mie guardie non sanno leggere, per cui ciò che annoto rimane segreto. Rosalie sa
leggere un po', ma è una persona discreta e non mi tradirà.
Scrivere mi aiuta a dimenticare: l'orribile, buia e soffocante cella in cui sono
confinata e dove aleggia il tanfo di marcio, muffa ed escrementi umani; l'umidità
e il freddo tremendi, le scarpe bagnate e la gamba infiammata che adesso pulsa
sempre di più, malgrado i massaggi che Rosalie mi fa con l'unguento; le rozze
guardie che mi sorvegliano da vicino e quelle che stanno fuori dalla porta, a
prendersi gioco di me e a sghignazzare; la branda dura e fredda su cui mi corico di
notte, insonne, piangendo a dirotto sul mio figlioletto, il mio piccolo chou
d'amour, Luigi Carlo. O, come devo chiamarlo adesso, re Luigi XVII.
Oh, se solo potessi vederlo! Il mio adorato figlio, il mio
piccolo re fanciullo.
Fino allo scorso agosto lo vedevo quasi ogni giorno, se mi trattenevo abbastanza a
lungo alla finestra della mia vecchia cella. L'orribile vecchio ruffiano che lo
sorveglia, Antoine Simon, nel condurlo a fare un po' di moto in cortile
lo faceva passare davanti alla mia porta, pronunciando grossolane facezie e
insegnandogli a cantare la Marsigliese.
Povero Luigi Carlo! A soli otto anni ha perso il padre che amava e adesso è stato
privato anche della madre.
Quanto ho lottato per non farmelo portar via quando sono venuti a prenderlo! Ci
hanno messo quasi un'ora. Non volevo lasciarlo andare, gridavo e li minacciavo.
Alla fine li ho scongiurati, singhiozzando, di non privarmi di lui. È
stato solo quando hanno minacciato di uccidere entrambi i miei figli che ho
ceduto. Che cosa faranno al mio bambino? Lo avveleneranno? O, peggio, lo
faranno diventare un piccolo rivoluzionario e lo indurranno a credere alle loro
menzogne? Cercheranno di rinnegare la sua discendenza regale, naturalmente.
Per loro non esistono re! E neppure regine. Solo il cittadino Capeto e la vedova
Capeto e il nostro figlioletto Luigi Carlo Capeto, cittadino della Repubblica
francese.
E che ne sarà della mia Mousseline, la mia Maria Teresa, la mia graziosa figlia di
appena quattordici anni. Troppo giovane per essere orfana. Sento la sua
mancanza. Sento la mancanza di tutti i miei figli. Povera, piccola Sofia, la mia
piccina sempre malaticcia che è vissuta meno di un anno. E il mio adorato Luigi
Giuseppe, nella sua tomba a Meudon, il mio primogenito, il povero storpio, che
non ha mai goduto di buona salute. Quante lacrime ho versato per lui, per tutti
loro.
Mi rendo conto di soffrire di un eccesso di emotività. È perché non sto bene e
perché mi danno da bere tanto infuso di fiori di tiglio ed etere. Non ho la forza
sufficiente a mantenere il controllo di me stessa. Vivo di zuppa e pane e sono
molto dimagrita. Rosalie ha dovuto stringere i miei due vestiti. Ho perdite
ematiche così abbondanti e frequenti che so che c'è qualcosa di anomalo, ma non
mi è consentito consultare un medico.
Sono stanca, in lacrime e sanguinante, eppure non mi do per vinta. Nei messaggi
che Rosalie nasconde sotto il mio piatto di zuppa, messaggi che leggo quando
sono seduta sul pitale, dietro un paravento che mi sottrae in parte alla vista delle
guardie, ci sono molte notizie piene di speranza. Le armate dell'Austria e della
Prussia si stanno avvicinando e stanno vincendo una battaglia dopo l'altra contro
le ribalde forze rivoluzionarie. È ancora possibile che gli svedesi mandino una
flotta a invadere la Normandia. Gli eserciti contadini della Vandea - sia
ringraziato il cielo per i fedeli vandeani! - combattono per restaurare il trono.
È una cosa che può ancora succedere. Come può succedere che io viva per vedere
quel giorno. Parigi potrebbe essere attaccata e la rivoluzione soffocata. Il mio
Luigi Carlo potrebbe ancora sedere sul trono di suo padre.
Sono sfinita, non riesco più a scrivere. Ma posso leggere, finché non vengono a
prendermi. Posso leggere questo diario, la sola cosa che mi sia rimasta della mia
giovinezza.
Mi piace rileggerlo e rivivere quei tempi felici... prima che imparassi quanto può
essere crudele questo mondo, prima che diventassi la regina Maria Antonietta,
quando ero semplicemente l'arciduchessa Maria Antonia e vivevo a Vienna alla
corte della mia cara madre, l'imperatrice Maria Teresa. Con tutta la vita davanti a
me...
I.
17 giugno 1769
Sono l'arciduchessa Maria Antonia, detta Antonietta, ho tredici anni e sette mesi e
questo è il resoconto della mia vita.
Scrivere questo diario è il mio castigo; padre Kunibert, il mio confessore, mi ha
detto di annotarvi tutti i miei peccati in modo da poterci riflettere sopra e pregare
per ottenere perdono.
«Scrivete!» mi ha detto, sospingendo il quaderno verso di me e sollevando le folte
sopracciglia bianche che gli conferiscono un aspetto feroce. «Scrivete quello che
avete fatto! Confessate!»
«Ma non ho fatto nulla di male» ho replicato.
«Cominciate a scrivere, poi vedremo. Metteteci dentrotutto quello che avete fatto,
a partire da venerdì scorso, senza omettere nulla!»
Va bene, riporterò in questo quaderno tutto ciò che ho fatto il giorno in cui sono
andata a trovare Giuseppina e quello che è successo dopo. Poi mostrerò a padre
Kunibert quanto ho scritto e farò la mia confessione.
Comincerò domani.
18 giugno 1769
È molto difficile e penoso scrivere quello che è successo, perché sono
profondamente addolorata per le sofferenze di mia sorella. Ho cercato di spiegarlo
a padre Kunibert, ma lui si è limitato ad aprire il quaderno e a porgermi una
scatola di penne d'oca ben appuntite. È un uomo duro, come dice mia sorella
Maria Carolina, che tutti noi chiamiamo Carlotta. Non sente ragioni.
Ecco, dunque, ciò che ho fatto venerdì mattina. Ho preso in prestito dalla mia
cameriera Sophie un vecchio mantello nero con il cappuccio e mi sono messa al
collo un crocifisso d'argento come quelli che portano le Sorelle della
Misericordia. Ho preparato un cestino con panini freschi, formaggio stagionato e
fragole colte nei giardini del palazzo e, senza dire a Sophie né ad altri dove
andavo, di notte mi sono recata nelle vecchie scuderie abbandonate dove ero certa
che venisse tenuta mia sorella Giuseppina. Era scomparsa da una settimana, da
quando le era venuta una gran febbre e aveva cominciato a tossire. Nessuno
voleva dirmi dove si trovasse, per cui ho dovuto scoprirlo chiedendo ai domestici,
i quali sanno sempre tutto quel che succede nel palazzo, perfino ciò che avviene
fra il padrone e la padrona nell'intimità della loro camera da letto. Sono venuta a
sapere da Eric, lo stalliere che si occupa del mio cavallo Lysander, che c'era una
ragazza malata nello scantinato delle vecchie scuderie. Aveva visto le
Sorelle della Misericordia recarvisi di notte e una volta aveva scorto il nostro
medico di corte, il dottor Van Swieten, entrarvi e uscirne rapidamente, con un
fazzoletto premuto sulla bocca e il volto assai pallido.
Ero sicura che mia sorella Giuseppina fosse lì, probabilmente sdraiata al buio,
malata e sola, ad aspettare la morte. Dovevo andare da lei. Dovevo dirle che non
era statané dimenticata né abbandonata.
E così mi sono avvolta nel mantello nero e sono uscita. La candela che tenevo in
mano sgocciolava al vento mentre attraversavo la corte e percorrevo il porticato,
diretta al cortile delle scuderie. Non c'erano luci, nessuno ci andava mai e
non c'erano cavalli legati negli stalli. Per quanto cercassi di concentrare il
pensiero su mia sorella, entrando nel vecchio edificio con il suo alto soffitto a
volta sono stata presa da una paura crescente. Sagome scure si stagliavano
nell'oscurità. Quando vi ho puntato contro la luce della candela, mi sono resa
conto che si trattava di ripostigli per i finimenti dei cavalli e di contenitori
per il fieno adesso vuoti. C'era un silenzio totale, rotto solo dallo scricchiolio
delle vecchie travi del tetto e dal richiamo lontano delle sentinelle che facevano la
ronda intorno al palazzo. Ho trovato dei gradini che si inabissavano in un'oscurità
ancora più profonda. Ho cominciato a scendere, sperando che la candela non si
spegnesse e cercando di non pensare alle storie che Sophie amava raccontare sul
fantasma del castello, la Dama Grigia che di notte si aggirava per i corridoi
piangendo e talvolta entrava volando dalle finestre.
«Non siate sciocca, Antonia» diceva mia madre quando le chiedevo della Dama
Grigia «i fantasmi non esistono. Quando moriamo, moriamo. Non continuiamo a
vivere come spiriti al di fuori del corpo. Solo i contadini credono in queste
stupidaggini.»
Pur rispettando la saggezza di mia madre, non ero convinta di ciò che diceva sui
fantasmi. Sophie mi aveva raccontato di aver visto la Dama Grigia parecchie volte
e, come lei, anche molti altri l'avevano vista. Per non pensare ai fantasmi, mentre
scendevo le scale ho chiamato Giuseppina a voce alta. Mi è sembrato di udire un
flebile lamento. Ho chiamato di nuovo e questa volta ho avuto la certezza
di udire una risposta.
Ma la voce che avevo sentito non era quella di mia sorella. Giuseppina aveva una
voce forte e allegra, mentre quella che avevo udito era affannosa, debole e carica
d'inquietudine.
«Non avvicinatevi, chiunque siate» diceva. «Ho il vaiolo. Se vi avvicinate a me,
morirete.»
«Vi sento, sonoquasi arrivata» ho gridato, ignorando l'avvertimento. Ho trovato
mia sorella in una stanzetta simile a una cella, illuminata solo da una lanterna
appesa a un chiodo nel muro. Non ho potuto trattenere un conato di vomito, tale
era il fetore là dentro. Un puzzo nauseabondo, insopportabile, non un odore di
sporcizia, ma un atroce tanfo di putrefazione. Dall'angusto giaciglio su cui era
coricata, Giuseppina ha sollevato un esile braccio come per allontanarmi.
«Vi prego, Antonia cara, tornate indietro. Andate via.»
Io piangevo. Ciò che la flebile luce della lanterna mi rivelava era mostruoso. La
pelle di mia sorella era violacea e piena di pustole. Il suo volto era rosso e
tumefatto, le guance erano grottescamente gonfie e il sangue le colava
dal naso. Gli occhi erano iniettati di sangue. «Vi voglio bene» le ho detto tra le
lacrime. «Prego per voi.» Ho messo giù il cestino, domandandomi se i topi
sarebbero venuti a mangiare il cibo che vi era contenuto. Ma poi ho pensato che
l'odore in quella stanza era così terribile che neppure i topi si sarebbero avvicinati.
«Ho tanta sete» ha detto la voce dal giaciglio. Ho preso dal cestino la bottiglia di
vino che avevo portato e l'ho posata accanto a Giuseppina. Lei si è sollevata
con difficoltà, ha allungato la mano per prenderla e ha bevuto. Vedevo che
faticava a deglutire.
«Oh, Antonia» ha detto dopo aver messo giù la bottiglia «faccio sogni così
orribili! Il fuoco che si abbatte su di noi e ci brucia tutti. La mamma in fiamme
che grida. Il papà che ride mentre ci guarda bruciare.»
«È soltanto la malattia che vi fa sognare cose simili. Siamo tutti al sicuro, non c'è
alcun fuoco.» Ma poi ho pensato che, invece, c'era: il fuoco del vaiolo, che faceva
bruciare di febbre mia sorella e la faceva delirare. «Dovete prendere delle
medicine, dovete guarire.»
«Le Sorelle mi danno cognac e valeriana, ma non servono. So che mi considerano
spacciata.»
«Io no, però. Tornerò, ve lo prometto.»
«No, state lontana. Tutti devono stare lontani.» La sua voce si era affievolita.
Giuseppina si stava addormentando. «Antonia cara...»
Piangevo a dirotto, ma sapevo di non poter rimanere lì. Non potevo correre il
rischio che la mia assenza venisse notata. Nessuno sapeva dov'ero andata, non
l'avevo detto neppure a Carlotta, che dorme in camera con me. Ho lasciato
Giuseppina e, risalite le scale buie, ho attraversato le vecchie scuderie e,
ripercorrendo il porticato illuminato dalle torce, sono tornata al palazzo.
Il giorno dopo ero presente quando il dottor Van Swieten è venuto da mia madre,
l'imperatrice. C'era anche mio fratello Giuseppe, che ha ventisei anni e ha appena
sepolto la sua seconda moglie. Da quando nostro padre è mancato, nostra madre
ha sempre cercato l'aiuto di mio fratello nell'amministrazione delle sue molte
terre. Un giorno, alla sua morte, spetterà a lui occuparsene ed è quindi necessario
che impari a farlo. Ha già la fermezza che, secondo mia madre, tutti i governanti
devono possedere. Ma le ho anche sentito dire al conte KhevenhùUer che
Giuseppe non ha ancora la comprensione e la sollecitudine per gli altri che gli
saranno necessarie per governare bene. «Che notizie mi portate di Giuseppina?»
ha chiesto mia madre al medico, mentre questi s'inchinava e mormorava:
«Vostra Altezza Imperiale».
«È vaiolo nero.»
Ho visto mia madre impallidire e Giuseppe voltare la testa. Questa forma di
vaiolo è la più pericolosa. Nessuno è mai sopravvissuto. Quando si diffondeva a
Vienna, noi bambini venivamo mandati subito in campagna, per evitare il
contagio. I domestici ammalati venivano allontanati dal palazzo e spediti il più
lontano possibile. Nessuno di loro è mai ritornato. E adesso mia sorella
Giuseppina stava morendo di quella malattia.
«È spaventoso» diceva il medico. «L'ho visto spesso in passato. È inutile cercare
di tenere in vita i malati quando il morbo ha preso piede. L'arciduchessa non può
essere salvata. Può solo contagiare altre persone.»
«Mi assicurate che sta ricevendo tutte le cure possibili?» ha chiesto mia madre.
«Certo. Le Sorelle della Misericordia vanno a farle visita e anche le donne della
fattoria.» A quanto pareva, loro non venivano contagiate dal vaiolo. Per qualche
ragione, erano in grado di curare le persone malate, senza paura di ammalarsi a
propria volta.
«Nessuno deve conoscere la sua identità» ha tuonato Giuseppe. «A nessun
membro della corte deve essere dato il permesso di avvicinarla. Dobbiamo evitare
un'altra esplosione di terrore per il vaiolo, come l'estate scorsa.» Alla comparsa
del morbo, la gente veniva presa dal panico. Tutta la città cadeva preda di una
grandissima paura.
Si facevano sforzi frenetici per sfuggire al flagello e, nel trambusto della fuga,
molti morivano calpestati o travolti. Bisognava evitare che il terrore si propagasse
nel palazzo, dove centinaia di domestici e funzionari vivevano e servivano
l'imperatrice e la nostra famiglia.«È ovvio» ha detto il dottor Van Swieten.
«L'arciduchessa è in un posto dove nessuno la troverà.» In quel momento sono
stata sul punto di intervenire, ma mi sono trattenuta. In piedi accanto a mia madre,
ho avvertito il fruscio delle sue gonne di seta nera e mi sono
accorta che stava tremando.
«Non posso perdere altri figli» ha detto. «Prima il mio caro Carlo, poi Giovanna,
che aveva soltanto undici anni quando è morta, povera bambina, e adesso la mia
bella Giuseppina, così giovane e prossima alle nozze...»
«Vi rimaniamo ancora noi dieci, maman» ha fatto notare Giuseppe con tono
tagliente. Sapeva che, sebbene lui fosse il figlio maggiore e l'erede di nostra
madre, lei gli aveva preferito Carlo e l'aveva amato di più.
«Dieci figli possonosenz'altro bastare.» Io voglio bene a mio fratello, ma lui non
capisce che cosa significhi amare qualcuno. Quando è morto nostro padre, quattro
anni fa, non ha pianto e ha fatto un gesto sprezzante. «Era un pigro fannullone,
circondato da oziosi parassiti» l'ho sentito dire. Si è perfino rifiutato di deporre
una corona sulla sua tomba, anche se al funerale ha offerto il
braccio alla mamma.
Giuseppe ha ventisei anni e si è già sposato due volte, ma non ha pianto per la
morte di nessuna delle due mogli né per quella del povero piccino che la prima di
loro gli aveva dato. Trovo difficile capire mio fratello.
«Quanto ancora potrà vivere Giuseppina?» ha chiesto Giuseppe al dottor Van
Swieten.
«Qualche giorno, forse.»
«Quando muore, fate portare via subito il cadavere. Non si faccia alcun annuncio.
Nessuno noterà la sua mancanza. Una figlia in più o in meno...»
«Giuseppe, basta così!» Il tono di mia madre era fermo, però io ho avvertito il
panico nella sua voce. Ma mio fratello, nella sua insensibilità, ha aggiunto:
«E voglio che il cadavere venga cremato. Insieme a tutti i suoi abiti ed effetti
personali».
«Basta! Quello che proponete è contrario alla fede cristiana. Non lo permetterò
mai. Avete perso la testa.»
«Che sciocchezza!» ha mormorato Giuseppe. «Credere che un giorno tutti i corpi
dei morti usciranno dalle tombe e torneranno in vita. Una favola dei preti.»
«Seguiremo i dettami della Chiesa» ha detto mia madre in tono pacato. «Non
siamo né pagani né membri di una setta. Inoltre, Giuseppina è ancora viva. E
finché c'è vita, c'è speranza. Adesso mi ritiro nella mia cappella a pregare per lei.
E vi consiglio di fare altrettanto.» Poi, rivolta al medico ha aggiunto: «Desidero
essere informata di qualunque cambiamento nelle sue condizioni».
A questo punto non sono più riuscita a trattenermi.
«Oh, maman, c'è uno spaventoso cambiamento in lei. Non riuscireste a crederlo!»
E le lacrime mi rigavano il volto mentre parlavo. Mia madre ha abbassato lo
sguardo su di me, con un'espressione seria. Giuseppe mi ha lanciato un'occhiata
furibonda. Il dottor Van Swieten è rimasto a bocca aperta.
«Spiegatevi, Antonia» ha detto mia madre senza perdere la calma.
«Io l'ho vista. È tutta gonfia, nera e violacea ed emana un odore terribile. La
tengono in una topaia buia sotto le vecchie scuderie, dove non va mai nessuno.»
Ho alzato lo sguardo per fissare mia madre negli occhi. «Sta morendo,
maman. Sta morendo.»
Invece di attirarmi a sé e stringermi in un abbraccio, come mi sarei aspettata che
facesse, mia madre è indietreggiata di qualche passo, cosicché non riuscivo più a
sentire il suo familiare profumo, un misto di inchiostro e acqua di rose.
«Le Vostre Altezze Imperiali devono ritirarsi» ha detto il dottor Van Swieten a
mia madre e a Giuseppe, che si stavano vieppiù allontanando da me. «Mi
prenderò io cura di lei. La terrò sotto osservazione per rilevare eventuali sintomi
di vaiolo.» Ha fatto un cenno a uno degli imponenti valletti che stavano in fondo
al salone in attesa di ordini.
«Mandate subito a chiamare il mio assistente. E le donne
della fattoria.»
Sono stata portata nei vecchi alloggi delle guardie e tenuta lì, sorvegliata da due
donne del paese, una anziana e l'altra giovane, fino a quando non si è avuta la
certezza che non mi sarei ammalata come mia sorella. Tutti i miei abiti sono stati
portati via e bruciati e Sophie me ne ha mandati altri. Mentre li indossavo, è
caduto per terra un biglietto. Era di mia sorella Carlotta.
«Carissima Antonietta» scriveva «come siete stata coraggiosa ad andare a trovare
la povera Giuseppina. Tutti sanno quello che avete fatto. Dobbiamo fingere di
disapprovarvi, ma vi ammiriamo. Spero che non vi ammaliate.
Giuseppe è arrabbiato. Vi voglio bene.»
3 luglio 1769
Ho deciso di non mostrare questo quaderno a padreKunibert. Sarà il resoconto, il
diario privato, della mia vita. Soltanto mio. Mi sono successe tante cose nelle
scorse settimane. Sono stata tenuta lontana dalla povera Giuseppina, che è
morta tre giorni dopo la mia visita. Cerco di non pensare a lei mentre soffre, ma
so che non dimenticherò mai il suo aspetto quando l'ho trovata su quel giaciglio.
Padre Kunibert dice che devo meditare sulla mia disubbidienza e pregare di essere
perdonata. Dice che devo essere grata di essere viva. Io, invece, non mi sento
grata, ma solo piena di dolore. Non mi è stato permesso di assistere alla breve
messa funebre per mia sorella, perché ero ancora tenuta sotto sorveglianza dalle
donne, che m'ispezionavano mani, braccia e viso ogni mattina e ogni sera per
vedere se c'erano pustole di vaiolo, mormoravano fra
loro e, guardandomi, scuotevano la testa. Ho meditato sulla morte e sul fatto che
mia sorella ha trascorso solo diciassette anni sulla terra: una stagione così breve!
Perché alcuni muoiono e altri vivono? Non riesco a scrivere più nulla su questo,
sono troppo piena didolore.
15 luglio 1769
Finalmente il dottor Van Swieten mi ha permesso di tornare negli appartamenti
che condivido con Carlotta.
Non ho il vaiolo.
28 luglio 1769
Questa mattina Sophie mi ha fatta alzare presto e mi ha vestita con particolare
cura. Gliene ho chiesto il motivo, ma lei non ha voluto dirmelo. Ho capito che
doveva essere una cosa importante quando ho visto che sceglieva il mio abito da
ballo di seta celeste bordato di lamé d'argento con nastrini di raso rosa sul
corpetto. Mi ha spazzolato indietro i capelli puntandoli con forcine e li ha coperti
con una parrucca color grigio argento. La parrucca era graziosa e mi pareva che
mi facesse sembrare molto più grande, soprattutto quando Sophie l'ha ornata
di perle. Mi è sempre stato detto che assomiglio a mio padre, il quale era molto
bello. Come lui, ho la fronte spaziosa e gli occhi grandi, ben distanziati; sono
azzurri, come quelli di mia madre, e a lei piace che mi vesta di questo colore per
farli risaltare. Mentre Sophie mi preparava, ho capito che era soddisfatta del
risultato. Sorrideva tra sé e canticchiava. Sophie è la mia cameriera da quando io
avevo sette anni e lei quindici e mi conosce meglio di chiunque altro, comprese
mia madre e Carlotta. Una volta pronta, mi hanno accompagnata nel salone
grande dove si trovava la mamma. C'erano diversi uomini con lei e tutti mi hanno
osservata con grande attenzione mentre entravo e mi mettevo al fianco
dell'imperatrice.
«Antonia cara, questo è il principe Kaunitz e questo è il duca di Choiseul.»
Entrambi mi hanno fatto un inchino e io ho abbassato la testa in segno di saluto,
avvertendo l'insolito peso della parrucca. Il mio maestro di ballo, Monsieur
Noverre, si è avvicinato e ha fatto cenno ai musicisti di corte di cominciare a
suonare. Con lui ho ballato la polonaise e l'allemanda, sotto lo sguardo attento
degli ospiti. Poi mi sono seduta all'arpa, ho suonato alcuni motivi semplici (non
sono un'arpista molto esperta) e ho cantato un'aria di Gluck, che mi ha insegnato a
suonare il clavicordo quando ero piccola.
Hanno portato dei vassoi con caffè e dolci e io sono rimasta seduta con mia
madre, il principe e il duca a parlare del più e del meno. Mi sentivo piuttosto
sciocca nell'abito da ballo, ma abbiamo passato una piacevole mezz'ora a
chiacchierare e io ho fatto del mio meglio per rispondere alle domande che mi
venivano poste, domande sui più vari argomenti, dalla mia educazione religiosa
alle mie conoscenze di geografia e di storia, alle mie idee sul matrimonio.
«Come è ovvio, sperate di sposarvi un giorno» ha detto in tono amabile il principe
Kaunitz.
«Qual è la vostra ideadella moglie perfetta?»
«Una donna che ama teneramente il marito, come mia madre amava mio padre.»
«E che gli regali figli maschi» ha aggiunto il duca di Choiseul.
«Sì, naturalmente, e anche figlie, se è la volontà del Signore.»
«Certo, anche figlie.»
«Ritenete, arciduchessa, che una moglie debba obbedire al marito in tutto?»
Ci ho pensato un attimo. «Spero che, quando mi sposerò, mio marito e io
decideremo insieme ciò che è meglio e agiremo come una persona sola.»
I due uomini si sono scambiati un'occhiata e mi è parso di cogliere un'espressione
vagamente divertita sui loro volti.
«Grazie, arciduchessa Antonia, per la vostra franchezza e la vostra cortesia.»
Mia madre e i due uomini si sono alzati e hanno percorso il salone in tutta la sua
lunghezza, assorti nella conversazione.
«Fisicamente, è perfetta» ha osservato il duca. «La sua istruzione è stata
inadeguata, ma vi si può porre rimedio. Ha un grande fascino...»
«E un cuore buono, un cuore molto buono» ho sentito che aggiungeva mia madre.
Se la prendevano comoda, camminando e parlando, il principe Kaunitz
gesticolando, il duca di Choiseul più misurato, più calcolato nei movimenti e nel
tono.
«Questa è l'alleanza in cui speravamo da tempo» ho sentito che mia madre diceva.
«L'unione degli Asburgo e dei Borbone garantirà la nostra fortuna per molto
tempo dopo la mia morte.»
«L'Austria non è la nostra nemica» ha puntualizzato il duca. «Lo è l'Inghilterra.
Dobbiamo rafforzarci contro l'Inghilterra.»
«Dobbiamo rafforzarci contro la Prussia» ha controbattuto il principe Kaunitz.
«Gli interessi sia dell'Austria sia della Francia trarranno vantaggio da questo
matrimonio.E prima avverrà, meglio sarà.»
1° agosto 1769
Devo sposare il delfino Luigi, erede al trono di Francia.Il duca di Choiseul mi ha
portato il suo ritratto. È brutto, ma il duca mi assicura che è molto amabile e
beneducato, sebbene un po' timido.
5 agosto 1769
Non riesco a pensare ad altro che al mio trasferimento in Francia. Carlotta e io
continuiamo a parlare del nostro futuro. Lei è fidanzata con Ferdinando di Napoli
- il principe che Giuseppina avrebbe dovuto sposare - e stanno modificando il
corredo della nostra povera sorella per adattarlo a lei, che è molto più robusta.
Ci promettiamo a vicenda che ci scriveremo spesso, dopo che ci saremo sposate;
ma con quale frequenza riusciremo a vederci, una volta che io sarò in Francia e lei
a Napoli? Siamo entrambe molto curiose di sapere che cosa si proverà ad andare a
letto con i nostri mariti. Siamo assai poco esperte in materia, ma sappiamo che ha
a che fare con l'avere bambini e con ciò che padre Kunibert chiama la
depravazione della fornicazione.
«Che cos'è la fornicazione?» ho chiesto un giorno a padre Kunibert.
«Depravata carnalità. Rapporti peccaminosi fra persone che non sono sposate o
sono sposate con altri.»
«Ma di che cosa si tratta in pratica?»
«Chiedetelo a vostra madre» mi ha risposto lui in tono asciutto. «Dopo quattordici
figli, è un'esperta.»
Ma mia madre è stata molto vaga sull'argomento, accennando al dovere della
moglie di compiacere il marito in ogni sua richiesta.
«A me che cosa chiederà?»
«Questo riguarda voi due.»
Era inutile. Ho provato a chiedere a Sophie, ma lei si è limitata a scuotere la testa
dicendo: «Lo scoprirete voi stessa». Infine ho deciso di interrogare i domestici.
Un giorno, al rientro da una cavalcata su Lysander, mentre mi trovavo
nella stalla a guardarlo strigliare, mi sono rivolta a Eric.
Eric ha diciotto o diciannove anni, è di corporatura robusta e ha i capelli scuri e
gli occhi azzurri. Provo simpatia per lui e, in sua compagnia, mi sento sicura. Una
volta che Lysander si è imbizzarrito, Eric ci ha raggiunti di corsa e ha calmato il
cavallo, cosa di cui gli sono rimasta per sempre grata. È stato lui, inoltre, a dirmi
dove trovare Giuseppina, un segreto che non ho mai confidato a nessuno: né a mia
madre, né a padre Kunibert, quando mi sono confessata con lui, né a Giuseppe,
quando è venuto a chiedermi come avevo scoperto il luogo dov'era tenuta la
nostra povera sorella malata.
E così, mentre Eric era intento a strigliare Lysander, gli ho chiesto: «Devo
sposarmi fra poco e nessuno vuol dirmi che cosa devo aspettarmi. Volete dirmelo
voi?».
Eric si è fermato, con la spazzola appoggiata al possente fianco bruno di
Lysander. «Non tocca a me dirvi questo, Vostra Altezza.»
«Ma finora avete sempre risposto alle mie domande. Conto su di voi.»
Eric ha avuto un fremito e ha lasciato cadere la spazzola sulla paglia. Quindi,
prima che avessi il tempo di capire quello che stava succedendo, mi ha afferrata e
mi ha baciata.
Ero in fiamme. Non riuscivo né a pensare, né a respirare, né a reagire.
È stato il momento più meraviglioso della mia vita. Eric mi ha lasciata andare.
«Ecco» ha detto ansimando «questo è ciò che dovete aspettarvi. Questo e altro. E
se raccontate a qualcuno quanto è accaduto ora» si è chinato e, raccolta la
spazzola, ha ripreso a strigliare Lysander «sarò licenziato o ucciso dalle guardie.»
«Non dirò nulla.» Sorridevo. Desideravo che mi baciasse di nuovo.
10 agosto 1769
Eric mi accompagnerà in Francia, insieme a Sophie, alla mia lavandaia e al mio
nuovo precettore, l'abate Vermond, che mi sta insegnando il francese vero, invece
di quello di corte che parliamo qui a Vienna. L'abate sostiene che abbiamo tutti un
forte accento tedesco. Per quanto riguarda chi altro verrà con me, lo scoprirò
solo fra alcuni mesi. Mia madre dice che vogliono che abbandoni la mia vita
passata quando sarò in Francia. Devo diventare una francese, in modo che i
sudditi di mio marito mi trovino accettabile come loro sovrana. «Dovrete
diventare il più possibile simile ai francesi» mi ha detto la mamma «ma nel cuore
e nel sangue sarete sempre un'Asburgo. Con il vostro matrimonio salverete
l'Austria.
Fino a quando gli Asburgo e i Borbone rimarranno legati dalla vostra unione, il
"mostro" Federico di Prussia sarà tenuto a bada. Non potrà divorarci finché
avremo l'appoggio leale dei francesi.»
L'abate Vermond sta facendo del suo meglio per farmi capire questi grandi
problemi, ma confesso che ciò che m'interessa assai di più è la moda francese.
Ogni settimana ricevo dozzine di bambole da Parigi, vestite secondo lo stile della
prossima primavera. Devono servirmi da modello per scegliere il mio corredo.
Carlotta è molto invidiosa. Il suo corredo non richiederà più di dieci bauli, mentre
il mio ne riempirà facilmente cento, dice la mamma. Ho allineato le bambole sotto
le finestre della nostra camera da letto e tutti i giorni, dopo aver ascoltato la messa
e le lezioni dell'abate Vermond, passeggio davanti a loro, fingendo che siano
dame di corte che s'inchinano al mio passaggio.
7 settembre 1769
Pochi giorni fa siamo venuti qui a Greifelsbrunn, uno dei nostri casini di caccia.
Mio fratello Giuseppe è un gran cacciatore e mia madre lo segue in carrozza.
Ogni sera gli animali uccisi vengono deposti sul prato perché tutti possano
vederli: cervi, cinghiali e bisonti, con le corna e le zanne che brillano alla luce
delle torce.
Io faccio lunghe passeggiate con Carlotta. Nei boschi l'aria è fresca e le foglie sui
grandi alberi si stanno già tingendo di rosso e oro. Sto diventando più alta. Sophie
mi ha misurata. Sono aumentata di peso e alle sarte a Parigi che stanno
preparando il mio corredo è stato detto di allargare e allungare i
corpetti dei miei abiti.
Sto crescendo, ma il «generale Krottendorf» non ha ancora fatto la sua prima
comparsa. («Generale Krottendorf» è il nostro modo familiare di chiamare il ciclo
mestruale.) La cosa preoccupa mia madre, in quanto non posso sposarmi finché
non sarò pronta per avere bambini e devo partire per la Francia fra sette mesi.
Carlotta ha avuto la prima visita del «generale» quando aveva quattordici anni.
Giuseppina ne aveva quindici. Spero che tutto il moto che faccio qui a
Greifelsbrunn abbia un buon effetto e mi faccia crescere più in fretta.
Vado a cavallo con mia madre o con Carlotta e poi mi sento rinvigorita. Mi
trattengo nelle stalle per vedere Eric. Non ho detto a nessuno che mi ha baciata,
quindi può farlo di nuovo.
So che padre Kunibert disapproverebbe, specialmente adesso che sono fidanzata
con il principe Luigi. Ma non posso farci nulla. I miei sentimenti sono molto forti.
10 settembre 1769
Siamo ancora a Greifelsbrunn, è una tiepida sera autunnale e cade una
pioggerellina leggera. Sono sola, Carlotta è malata e questa mattina maman l'ha
rimandata a Schònbrunn per farla visitare dal dottor Van Swieten.
Oggi sono andata a cavallo con Eric. Avrei dovuto andarci da sola, in quanto
Carlotta era partita e gli altri erano a caccia, ma il maestro di scuderia mi ha
trattenuta e ha detto che i boschi potevano essere pericolosi e che dovevo avere
una scorta. Ha ordinato a Eric di accompagnarmi. Il cuore mi batteva forte, ma ho
cercato di non mostrarmi troppo contenta mentre Eric portava fuori il suo cavallo
e ci avviavamo.
L'ho sfidato a fare una gara e l'ho battuto: naturalmente, immagino che lui mi
abbia lasciata vincere. Dopo aver cavalcato in mezzo alla fitta boscaglia, siamo
arrivati sulla riva di un tranquillo lago verde. Non mi ero mai spinta così lontano
dal casino di caccia e ignoravo l'esistenza di questo specchio d'acqua.
Eric è smontato e mi ha aiutata a scendere dalla groppa di Lysander. La
sensazione delle sue mani forti e calde mi ha dato quasi le vertigini per la felicità.
Abbiamo condotto i cavalli lungo la riva del lago. Era uno scenario tranquillo: la
calma dell'acqua limpida e scura e lo sfondo del fogliame giallo degli aceri sulla
riva opposta. Il cielo era coperto e ben presto hanno cominciato a cadere gocce di
pioggia.
«Ripariamoci qui» ha detto Eric, conducendomi in mezzo agli alberi. La pioggia
si è fatta più fitta e la mia gonna si è tutta infangata. Le mie scarpe erano già quasi
rovinate.
Sotto una roccia sporgente si apriva una caverna scura e io vi ho trascinato dentro
Eric. Non c'era altro rumore all'infuori di quello della pioggia. Ho guardato il mio
accompagnatore, desiderando ardentemente che mi baciasse e chiedendomi se
avrei avuto il coraggio di baciarlo.
«Vostra Altezza» ha detto lui dolcemente «ardo dal desiderio di possedervi, ma
non devo farlo... non dobbiamo farlo.»
«Solo questa volta» ho ribattuto io. «E mai più.» Mi sono seduta sul muschio
umido e ho tirato Eric vicino a me. Lui mi ha baciata più volte e io ho pensato che
sarei morta, che non avrei potuto sopportare tanta eccitazione, tanta felicità. Ci
siamo baciati e ribaciati, ma niente più.
Non c'è stato nulla di quello che padre Kunibert avrebbe chiamato fornicazione.
Eric è stato molto affettuoso e mi ha confessato di amarmi da tempo. Mi ha detto
che ero bellissima e gentile e che lui non era degno di tenere il mio cavallo e
meno che mai di essere il mio amante. Ha confessato di incontrarsi di
tanto in tanto con ragazze del castello, cameriere e sguattere, e di andare a letto
con loro; una volta era andato a letto con una donna più anziana e sposata, una
delle dame di compagnia di mia madre.
«Quale?» gli ho domandato, ma lui non ha voluto rivelarmelo.
«Vostra Altezza» ha detto infine, alzandosi e aiutandomi a fare altrettanto «voi
siete troppo giovane e troppo altolocata per invaghirvi di un servitore. Dovete
conservare i vostri desideri per vostro marito.»
«Ma lui è brutto!» sono sbottata. «Sembra un maiale!»
Eric ha riso. «Maiale o no, sarà un grande sovrano.»
«Ma questo non significa nulla per me.» Sapevo già, mentre pronunciavo quelle
parole, che non era del tutto vero.
«Significa molto per la vostra famiglia.»
Non volevo che quel meraviglioso, magico pomeriggio finisse. Abbiamo fatto
lentamente ritorno al casino di caccia e quando siamo arrivati alle stalle Eric mi
ha aiutata a smontare da cavallo con insolita dolcezza. Mi ha preso la
mano e l'ha baciata. «Vostra Altezza» ha detto, facendo un inchino, e ha condotto
i cavalli nei loro stalli.
Sono rientrata a casa, ben sapendo di avere la gonna bagnata e infangata e i
capelli, che Sophie aveva acconciato in modo semplice quella mattina, in
disordine.
Non appena mi ha vista, Sophie mi ha lanciato uno sguardo d'intesa, ma non ha
detto nulla. Si è limitata ad aiutarmi a togliere i vestiti bagnati e a ordinare al
valletto di portare dell'acqua calda per il bagno. Sono ancora avvolta in un caldo
bozzolo di felicità. Mi domando se Eric stia pensando a me. Sono sicura di sì.
Quando Giuseppina è morta, mi sono detta: «Che tristezza che sia dovuta morire
senza aver conosciuto l'amore!».
Adesso mi rendo conto che, se morissi domani, non sarei come mia sorella. Ho
conosciuto l'amore, lo conosco e nient'altro ha importanza.
11 ottobre 1769
Ci sarà un ballo a corte per festeggiare il mio fidanzamento. Io sarò al centro
dell'attenzione. Sarà una specie di prova generale dei balli e delle cerimonie di
corte che dovrò affrontare quando arriverò in Francia.
Maman dice che devo abituarmi a essere osservata e giudicata, specialmente dai
francesi, che ritengono di essere superiori a tutti gli altri. La verità è che a me
piace essere osservata e ammirata. Adoro i balli e le feste, agghindarmi, sentire
l'orchestra che suona e danzare. Sono sicura che è male pensare così, ma la verità
è che so di essere molto graziosa e che lo sto diventando sempre di più. Sono la
più bella di tutte le mie sorelle: da anni questa è l'opinione generale. Non potrei
primeggiare fra le più belle dame della corte di mia madre, ma fra qualche anno,
immagino, sarò una loro degna rivale. Il duca di Choiseul sostiene che le donne
della corte francese sono assai più belle, più sofisticate
e più eleganti di quelle di Vienna. Vedremo.
Adesso tutti parlano di me chiamandomi «la delfina» e io porto al dito l'anello che
il mio fidanzato mi ha mandato insieme a un altro suo ritratto da portare al collo.
Non mi piace che mi si ricordi il suo aspetto.
1° novembre 1769
Il ballo in mio onore è stato un gran successo. Alla fine, ero così stanca che ho
dormito quasi un giorno intero. L'abito che indossavo, di seta verde pallido con
guarnizioni di pizzo color crema, mi era stato mandato da Parigi ed è stato molto
ammirato. Il corpetto era foderato di stecche di balena e faceva sembrare il mio
girovita più sottile di quanto realmente sia. Il principe Kaunitz ha ballato con me.
«Madame la Dauphine, fate onore alla casata degli Asburgo» ha detto, chinandosi
a baciarmi la mano. «Siete diventata una giovane assai raffinata e graziosa.»
«Regale, molto regale» ho sentito che il duca di Choiseul mormorava, quando è
venuto a presentare i suoi rispetti. «Ma non dovete mancare di portare tutti i
giorni l'apparecchio che il dentista ha fatto per voi.» Un dentista di Versailles si
sta dedicando ai miei denti ed è molto rude e crudele. Mi è antipatico e impreco
contro di lui in tedesco, lingua che lui non capisce.
Il mio aspetto e il mio comportamento al ballo sono piaciuti a maman, che ha
manifestato la sua approvazione con un sorriso. Quando Giuseppe mi si è
avvicinato per farmi ballare, sul suo viso dall'espressione spesso astiosa è apparso
un sorrisetto compiaciuto.
«Mi complimento con voi, sorella» ha detto mentre mi accompagnava nella
polonaise. «Non vi pensavo capace di un simile portamento.»
C'erano così tante persone al mio ballo che non mi è stato possibile salutarle tutte,
ma mi sono intrattenuta con il maggior numero possibile e ho accettato i loro
complimenti e auguri. Portavo l'anello mandatomi dal delfino Luigi, che è stato
oggetto di molti commenti.
Avrei desiderato che Eric potesse partecipare al ballo, magari con una bella divisa
da capitano dei dragoni.
Avrebbe fatto sfigurare anche il più affascinante dei polacchi.Come sarei stata
felice di ballare con lui!
5 novembre 1769
Carlotta è in partenza. Il cortile è gremito di carrozze e carri su cui stanno
caricando bauli e scatole. Ci abbracciamo e piangiamo; io le dico che penserò
sempre a lei e le scriverò spesso. «Oh, Antonia, ho tanta paura! Che cosa
succederà se lui mi detesta e mi rifiuta?» Non era da lei mostrarsi debole. Mi
faceva pena.
«Non può rifiutarti, sei l'arciduchessa Maria Carolina d'Austria. Il tuo lignaggio è
più alto del suo.»
«Ma potrei non piacergli. Potrei... offendere la sua vista.»
Non sapevo che cosa rispondere a quest'obiezione. Eravamo entrambe
consapevoli che lei era piccola di statura e grassottella e che i suoi lineamenti
potevano solo essere definiti insignificanti.
«Se ha un minimo di buonsenso, vi apprezzerà per la vostra saggezza e forza di
volontà. Voi due avrete figli sani.» Lei è impallidita. «Lo spero.»
Mi e stato permesso di salire sulla carrozza che ha scortato mia sorella per cinque
miglia lungo la strada diretta a sud verso le Alpi. Quando siamo arrivati al punto
in cui la vettura di famiglia doveva tornare indietro, sono scesa e sono andata ad
abbracciare Carlotta un'ultima volta.
«Siate felice, amatissima sorella. Scrivetemi lunghe lettere. Raccontatemi tutto.»
Lei si è stretta a me, poi si è fatta forza ed è risalita in carrozza. Siamo rimasti lì in
piedi, a salutare con la mano, mentre i cavalli acceleravano l'andatura e ci
portavano via Carlotta. Rimarrò ansiosamente in attesa della sua prima lettera.
19 novembre 1769
Con l'aiuto di mia madre e di Sophie ho finalmente ordinato il mio corredo. Avrò
quarantasette abiti da ballo di seta e broccato ricamato e un numero uguale di abiti
da pomeriggio. Stanno preparando venti abiti da corte e me ne faranno altrettanti
quando arriverò nella mia nuova dimora. La moda francese cambia così
rapidamente che c'è il rischio che la primavera prossima tutto il corredo non
sia più in linea con il gusto del momento. Il crudele dentista francese, che parla in
continuazione mentre mi tortura, dice che ogni stagione a Versailles sono
ammessi solo certi colori, per cui, se gli abiti sono della tinta sbagliata, sembrerò
fuorimoda. «La delfina detta la moda, non la segue!» ho ribattuto io, articolando
le parole con una certa difficoltà visto che, in quel momento, il dentista aveva le
mani nella mia bocca.
«Parlate come una vera francese!» ha risposto lui con un certo spirito, divertito
dalla mia uscita. «Forse c'è qualche speranza per voi, piccola arciduchessa.»
14 gennaio 1770
Il «generale Rrottendorf» è arrivato. Adesso posso sposarmi. Il delfino mi ha
mandato un dono. L'ho aperto quando ero sola, pensando che fosse un pegno
d'amore. Era una scatola in filigrana d'oro contenente funghi secchi.
20 febbraio 1770
La povera Carlotta è infelice. Mi ha scritto una lunga lettera, piena di nostalgia,
dicendo quanto sente l mancanza mia e di tutta la famiglia. Dice che Ferdinando è
freddo con lei e che i suoi parenti la detestano e la giudicano superba e altezzosa.
Non c'è nessuno con cui lei possa parlare tedesco, neppure un sacerdote. Tutta la
corte la condanna perché non è ancora rimasta incinta. Su quest'argomento scrive
con reticenza, probabilmente perché teme che le sue lettere vengano lette da
qualche spia. Ciononostante, traspare dalle sue parole che la prima notte di nozze
è stata orribile e che lei odia essere sposata almeno quanto odia essere lontana da
Vienna.
Però il golfo di Napoli è bellissimo, dice, e il clima è soleggiato e mite tutto
l'inverno. Un posto splendido in cui essere infelice.
25 febbraio 1770
Finalmente so che cosa avviene tra marito e moglie quando sono a letto insieme.
Mio fratello Giuseppe è venuto da me, dicendomi che aveva saputo che ero andata
a domandare ai domestici che cosa mi sarei dovuta aspettare dalla prima notte di
nozze.
«Chiedere informazioni del genere alla servitù è sconveniente» ha detto. «Delle
questioni di sesso dovete parlare solo con vostro marito o con i vostri familiari,
con il vostro medico o il vostro confessore.»
«Ma i preti non sanno nulla di sesso. Gli è proibito.»
«Se solo fosse vero!» ha commentato Giuseppe mestamente, sollevando le
sopracciglia con disapprovazione.
«Ma non lasciamoci distrarre. Ecco quello che dovete sapere. È la storia della
spada e del fodero.»
Ha afferrato l'elaborata elsa d'oro della spada da cerimonia che portava alla
cintura e l'ha estratta lentamente dal lungo fodero di pelle sottile che la conteneva.
«Vedete come la spada si adatta perfettamente al fodero, con quanta facilità può
essere infilata e sfilata?» E per sottolineare il concetto ha estratto e riposto la
spada diverse volte.
«Ora, gli uomini e le donne sono fatti nello stesso modo. Gli uomini hanno la
spada e le donne il fodero. Si adattano perfettamente gli uni alle altre... Be', di
solito è così... La prima volta che la spada viene infilata nel fodero fa una certa
fatica ed esce un po' di sangue. Ma passa presto e tutta l'operazione fila liscia.»
Ha sorriso di soddisfazione per l'abilità con cui aveva spiegato il mistero del
sesso.
«Oh, si può trarre molto godimento da una simile esperienza» ha aggiunto. «Ed è
in questo modo che si fanno i bambini.»
«Se tutto va così bene, perché Carlotta è tanto infelice?» Ho mostrato a Giuseppe
la lettera di nostra sorella. Lui l'ha letta e si è stretto nelle spalle.
«Sapete anche voi, Antonia, che Carlotta è brutta e molto sgradevole. Senza
dubbio a Ferdinando non piace. Lo temevo quando abbiamo combinato le nozze.
Giuseppina avrebbe incontrato maggiormente il suo gusto... il gusto di qualsiasi
uomo. Quando a un marito non piace la moglie, la spada anziché essere forte e
salda è floscia e debole. Non riesce a infilarsi nel fodero.»
«E voi credete che io piacerò al principe Luigi?»
«Non ne ho il minimo dubbio. Voi piacereste a qualsiasi uomo.»
Ho chiesto a mio fratello un parere sulla scatola d'oro che il mio fidanzato mi ha
inviato e sul suo strano contenuto di funghi secchi.
«Forse si tratta di un afrodisiaco» ha commentato Giuseppe, come se parlasse fra
sé.
«Che cos'è?»
«Non importa. Potete chiederlo al principe quando lo vedrete. Adesso sarebbe una
storia troppo lunga.»
5 marzo 1770
Sterco d'oca. Questa è la sfumatura di colore del mio abito nuovo per la cena di
benvenuto che daremo per i francesi giunti da Versailles.
Si tratta dell'ultima moda che furoreggia alla corte francese, mi dicono: portare
vestiti del colore dello sterco di animali. Figuratevi! Una delle tinte dell'ultima
stagione si chiamava «rospo spiaccicato».
14 marzo 1770
Tutta Vienna è addobbata di torce e lanterne colorate. Candele accese illuminano
le finestre e, alla sera, ci sono fuochi d'artificio, musica e balli. Le cucine del
palazzo sono impegnate notte e giorno a infornare e arrostire, preparare dolci e
stufati. Polli, agnelli, maiali e oche girano su dozzine di spiedi sopra la brace e
l'aria è satura dell'intenso aroma della carne arrostita. Ci sono banchetti quasi ogni
sera e durante il giorno mi conducono da magistrati e notai per firmare documenti
che mi stanno trasformando da una suddita di mia madre in una suddita del nonno
del mio futuro marito, il sovrano dei francesi, Luigi XV.
Sei mesi fa conoscevo a malapena il nome del re di Francia. Oggi, grazie agli
studi con l'abate Vermond, posso ripetere a memoria il lignaggio del re Luigi
risalendo di trecento anni e gli eventi significativi che hanno avuto luogo durante
il regno dei suoi antenati.
Conosco il nome della maggior parte delle province francesi e sono in grado di
individuarle su una mappa della Francia appesa alla parete accanto al mio letto.
Posso raccontare la storia di Giovanna d'Arco, del santo re Luigi IX e del cinico
re Enrico IV, che disse «Parigi val bene una messa» e abbandonò la confessione
protestante per farsi cattolico.
So che il fiume Senna attraversa Parigi e che la grande cattedrale della città si
chiama Notre-Dame, Nostra Signora.
Fra poco vedrò tutto ciò di persona.
21 marzo 1770
Eric mi ha mandato un dono: una cagnolina. L'ho chiamata Mufti. È così piccola
che mi sta nella manica.
1° aprile 1770
Questa sera sono state celebrate le mie nozze. Delegato a rappresentare lo sposo
era mio fratello Ferdinando, che è stato al mio fianco nella chiesa illuminata dalle
candele e ha pronunciato i voti che il principe Luigi pronuncerà quando sarò in
Francia.
Tutta la corte era presente alla cerimonia, che è stata molto bella e solenne. Mia
madre mi ha condotta lungo la navata e, sebbene zoppicante per via della gamba
che le duole da Natale, era felice. Io indossavo uno splendido abito argenteo
e portavo un lungo velo di pizzo inviatomi da una delle zie del principe Luigi.
Avrebbe dovuto essere il suo velo da sposa, ma lei non si è mai maritata.
Chissà perché.
Mia madre dice che posso portare Lysander e Mufti con me in Francia.
6 aprile 1770
Oggi pomeriggio ho avuto un triste colloquio con mia madre, che mi ha
convocata per parlarmi della mia nuova vita in Francia. Quando sono entrata nel
suo studio privato, lei mi si è fatta incontro, sorridendo, e mi ha baciata. Come
sempre, la sua scrivania era ingombra di carte. Il suo vecchio gatto giallo dormiva
fra due pile di documenti, su un pezzo di lana morbida che lei tiene lì per farlo
stare comodo.
All'improvviso sono stata sopraffatta dalla tristezza e non sono riuscita a
trattenere le lacrime. Ho abbracciato la mamma e ho sentito il suo profumo di
acqua di rose.
«Oh, maman, non posso sopportare di lasciarvi! Quanto mi mancherete! Adesso
so come si è sentita Carlotta quando è partita e perché tante notti si è
addormentata piangendo.»
La mamma mi ha accompagnata al grande bovindo e siamo rimaste sedute
insieme a guardare il giardino al di là del vetro. Le prime rose cominciano appena
a fiorire - rosse, rosa e gialle - e gli alberi da frutta sono quasi coperti di foglie.
«So quello che provate, Antonia» mi ha detto infine la mamma. «Quando mi sono
sposata, ho dovuto abbandonare molte cose che mi erano familiari. È stato un
salto nell'ignoto.»
Mi ha preso la mano e l'ha tenuta in grembo mentre parlava, accarezzandola
distrattamente ogni tanto. Non era da lei un simile gesto e sapevo che significava
che si stava concedendo di dimostrarmi quanto mi amava. Era solo perché ero in
procinto di partire che si lasciava andare così, ne ero certa. Di solito manteneva un
atteggiamento forte e affettuosamente distaccato.
«Dovete ricordare tre cose, mia adorata bambina: andate a messa regolarmente,
fate sempre ciò che fanno i francesi, per quanto bizzarre possano sembrarvi le loro
abitudini, e non prendete alcuna decisione senza chiedere consiglio.»
«Consiglio a chi, maman? Al principe Luigi?» Lei ha cambiato espressione e per
un momento un lampo di preoccupazione ha attraversato il suo sguardo.
«Il principe è ancora giovane, come lo siete voi. Non è ancora... esperto. Chiedete
al duca di Choiseul, o al conte Mercy, o a qualcuno degli austriaci. Prima che
partiate, Kaunitz vi darà il nome delle persone che godono della sua fiducia alla
corte francese... E badate a chi fate confidenze, fra il personale di servizio. Molti
sono informatori pagati.»
«Parlerò soltanto con Sophie.» La mamma ha sospirato e mi ha accarezzato la
mano.
«Supererete tutti gli eventuali ostacoli che incontrerete, Antonia. Avete un cuore
buono e il coraggio degli Asburgo. Non dimenticate mai chi siete né quale sangue
vi scorre nelle vene. Siatene orgogliosa. E cercate, per il bene di
tutti noi, di essere prudente.»
«Lo sarò, maman. Davvero, lo sarò.»
Dopo aver lasciato la mamma, sono uscita a fare una passeggiata, per dare un
ultimo sguardo a tutte le cose che ho amato. Sono andata nel pascolo oltre la
fattoria e ho inspirato il profumo della fertile e grassa terra. Ho visitato le vecchie
scuderie e ho detto una preghiera per l'anima di Giuseppina, cercando invano di
non ricordarla come l'avevo vista sul letto di morte, grottesca nel suo dolore. Ho
cercato sotto le grondaie i nidi degli storni e ho ascoltato il pigolio degli uccellini
appena nati. Mi ha fatto tristezza pensare che non sarei stata lì a vederli crescere e
spiccare il volo, come avevo sempre fatto. Adesso sono io a dover spiccare il
volo.
II.
23 aprile 1770
Non riesco quasi a scrivere, tali e tanti sono i sobbalzi della carrozza! Siamo al
terzo giorno del nostro lungo viaggio. Ho nostalgia della famiglia. Con me ci sono
Sophie, Mufti ed Eric che, in quanto stalliere di Lysander, è stato incluso nel mio
seguito. Quando mi affaccio al finestrino, riesco a vederlo, all'estremità della
lunga fila di carrozze e di carri, mentre cavalca con gli altri stallieri. Ogni volta
che abbraccio Mufti penso a Eric, sebbene stia cercando adesso di concentrarmi
sul principe Luigi, dato che sono sposata con lui e fra non molto sarò in sua
compagnia.
La notte scorsa ci siamo fermati presso l'abbazia di Himmelsgau, un edificio
troppo piccolo per contenerci tutti. La maggior parte del personale ha dovuto d
scomodo per tutti. L'abate si è dimostrato assai poco gentile con i dignitari
francesi e loro si sono offesi. Ci hanno dato pochissimo da mangiare e adesso ho
fame.
30 aprile 1770
Siamo in viaggio da dieci giorni e sono molto stanca. La sera crollo sul letto con i
muscoli doloranti per il continuo sballottamento della carrozza sulle vie
accidentate. A volte dobbiamo scendere e procedere a piedi, poiché le strade
sono così fangose che la vettura, gravata del peso dei passeggeri, finirebbe per
impantanarsi.
Due giorni fa abbiamo rotto un asse e la riparazione ha richiesto diverse ore.
La campagna che stiamo attraversando è bellissima, con distese di fertile, scura
terra coltivata e boschi di alberi splendidi. I contadini stanno arando e spargendo
la nuova semente. Al nostro passaggio, si fermano e osservano meravigliati le
carrozze decorate e i domestici nelle loro livree di velluto azzurro, inzaccherate
dalla pioggia e dal fango, ma pur sempre eleganti. Siamo ancora in territorio di
lingua tedesca, ma qui i paesani parlano in modo diverso e fatico a capirli. Adesso
siamo quasi in Francia.
15 maggio 1770
È sera e mi trovo nel castello di Compiègne. Ho a disposizione un'ora per me
stessa. Devo mettere per iscritto quello che è successo ieri, mentre ne ho ancora
fresco il ricordo. È stato tutto così strano. Così diverso da quanto mi aspettavo.
Ieri ho incontrato Luigi.
Il mio seguito e io siamo arrivati ai margini di una grande foresta. Era pomeriggio
avanzato ed eravamo in viaggio dal mattino. Come al solito ero dolorante e
ammaccata dagli scossoni della carrozza.
Ci siamo fermati a un ponte e io ho potuto scorgere un gran numero di carrozze e
cavalieri che ci stavano aspettando.
Sono scesa dalla vettura e uno dei funzionari francesi mi si è avvicinato e ha fatto
un profondo inchino.
«Madame, debbo accompagnarvi dal principe.»
«In queste condizioni? Così inzaccherata dopo aver viaggiato tutto il giorno?»
«Lui preferisce incontrarvi in modo informale. Non gli piacciono i cerimoniali.»
Mi sono ricordata della raccomandazione di mia madre di fare sempre ciò che
facevano i francesi, per quanto strani potessero sembrarmi. O, forse, aveva detto
«bizzarri»?
Dopo aver infilato Mufti nella manica dell'abito, dove di solito la tengo quando
esco, ho attraversato il ponte, al seguito del mio accompagnatore, e mi sono
inoltrata nella foresta, lasciando indietro gli altri, che ci tenevano d'occhio,
pur fingendo di non guardarci.
Tutto intorno a noi era silenzio e penombra. I rami di enormi, vecchi faggi e
castagni si intrecciavano formando una volta sopra le nostre teste, mentre nuovi,
verdi germogli e i primi fiori di primavera facevano capolino nel terreno.
Ero affascinata, sembrava una visione presa da un libro di fiabe.
«Il principe viene qui» mi ha spiegato la mia guida «quando desidera allontanarsi
dalle preoccupazioni e dal peso della vita di corte. Si è costruito una piccola casa.
Un rifugio, se volete.»
Ho scorto, fra gli alberi, una bassa capanna di legno con il tetto di paglia. Un
pennacchio di fumo grigio usciva dal camino.
«Devo mettervi in guardia, Vostra Altezza» mi ha detto il francese mentre ci
avvicinavamo all'alloggio. «Il principe ha un carattere schivo ed è piuttosto
diffidente nei riguardi degli estranei.»
Mentre parlava, ho intravisto al di là del vetro di una finestra della bassa capanna
un viso tondo dall'aria spaventata che ci sbirciava. Era il principe Luigi. L'ho
riconosciuto dai ritratti che mi erano stati mandati. Il viso è scomparso quasi
subito.
«Lui sa che sto arrivando?»
«Abbiamo pensato che fosse meglio non dirgli il giorno esatto del vostro arrivo,
in quanto tende ad... agitarsi all'idea d'incontrare persone nuove.»
Mi è sorto un tremendo dubbio. «Sa che sto arrivando, che dobbiamo sposarci?»
In realtà, eravamo già sposati, in quanto io avevo preso parte alla cerimonia di
nozze a Vienna, con mio fratello che faceva le veci del principe.
«Oh, certo. Vi aspetta da tutti questi mesi.» Nel frattempo, siamo giunti alla bassa
porta della capanna.
«Vostra Altezza, sono io, Chambertin. Vi ho portato una visita. Una visita molto
speciale, affascinante.»
Silenzio. Poi, come da molto lontano, una voce strozzata: «Andatevene».
Il mio accompagnatore ha atteso un momento, la sua compostezza per nulla
scossa dalla brusca risposta, poi è tornato alla carica. «Madame ha fatto un
lunghissimo viaggio, solo per incontrarvi. Vi prego, fateci entrare.»
Di nuovo la voce strozzata al di là della porta: «Sono occupato. Tornate la
settimana prossima».
Mi sono girata per andarmene. «Il principe è occupato. Posso tornare domani,
dopo aver fatto un bagno e mangiato qualcosa...»
«Vi prego, Vostra Altezza, so come trattare i suoi stati d'animo.»
Nel momento in cui Chambertin ha alzato la mano per bussare alla porta, Mufti,
che era nella mia manica, ha fatto capolino fra le trine e ha abbaiato con forza.
Quasi subito la porta si è aperta quel tanto da consentire a Luigi di sbirciare fuori.
«E' un cane? Mi piacciono i cani. Mi piacciono i cani.»
«Questa è Mufti, Vostra Altezza. L'ho portata da Vienna.» Ho mostrato la
cagnolina al principe, il quale ha spalancato la porta per lasciarci entrare.
L'interno della capanna era buio, eccezion fatta per il fuoco che ardeva nel camino
e per una lanterna appesa alla parete.
Su lunghi tavoli erano allineati rametti, steli, frammenti di corteccia e foglie,
ciascuno accompagnato da un cartellino scritto con un'accurata calligrafia.
Scaffali sulle pareti reggevano vasi e cesti e in una vetrina c'era un'esposizione di
falene e farfalle. Gli avanzi del pasto del principe - un piatto di carne fredda, un
pezzo di formaggio in cui era ancora conficcato un coltello, una pagnotta di pane
nero e un boccale di birra - erano su una bassa panca accanto al focolare.
Il principe mi ha scrutata, con gli occhi spalancati, soffermandosi sui miei capelli
biondi raccolti in una complicata acconciatura, da cui era sfuggita qualche ciocca
in seguito agli strapazzi della giornata, sul mio abito da giorno di seta azzurra e
sulla collana di perle: la mia eleganza contrastava nettamente con l'interno spoglio
e rudimentale della capanna e con l'abbigliamento del principe. Era vestito come
un contadino, con pantaloni lunghi e attillati e una tunica di ruvida stoffa marrone.
Gli ho teso Mufti e gli ho detto: «Non morde».
L'espressione allarmata del suo viso si è un po' attenuata.
Lui ha preso in braccio la cagnolina e l'ha accarezzata. Ha sorriso: un sorriso
bellissimo, infantile. Mi ha commosso.
«So chi siete» ha detto dopo una lunga pausa. «Vi ho mandato dei funghi. Li
avete ricevuti?»
«Sì, grazie.»
«Sto catalogando tutte le piante della foresta. Quando avrò finito, catalogherò
anche gli insetti. Nessuno l'ha mai fatto finora.»
«Che impresa straordinaria!»
«Mio nonno non è di questo parere.» Il tono di Luigi era amaro. «Ha poca stima
di me. Ma voi gli piacerete, siete graziosa.»
«Sono felice che lo pensiate. Volete mostrarmi qualcuna delle vostre piante?»
Il principe sembrava aver perso la sua timidezza, mentre mi conduceva in giro per
la capanna, indicandomi un ramoscello dopo l'altro. Mi ha mostrato i disegni che
aveva fatto, dozzine di disegni, e io gli ho detto che mi parevano molto belli.
«Dovrò sposarvi, immagino» ha commentato dopo un po', guardandomi con aria
funerea.«È quello che si aspettano da noi.»
Per un momento, preoccupata, ho temuto che avrebbe pianto. Ma lui si è limitato
a prendermi la mano e a portarsela alle labbra.
«Allora lo farò.»
«Se Vostra Altezza è pronta, dovremmo tornare dagli altri» ha detto Chambertin.
Luigi ha sospirato, poi mi ha ridato Mufti. Ha spento il fuoco e ha indossato un
consunto soprabito nero che stava appeso a un gancio vicino alla porta.
«Va bene» ha detto, raddrizzando le spalle «andiamo.»
Per me è stato tutto così sorprendente! Sto ancora meditando sulla vicenda.
Questo ragazzo freddo e triste sarà mio marito e dovrà governare la Francia?
18 maggio 1770
Adesso sono la delfina. Luigi e io siamo stati uniti in matrimonio ieri
dall'arcivescovo di Reims, nella cappella di Versailles alla presenza di una grande
folla.
Ero piena di comprensione per il povero Luigi, così inquieto e a disagio. L'ho
tenuto per mano, mentre percorrevamo i lunghi corridoi del palazzo in mezzo a
file di spettatori, e ho sentito che tremava. Ha ripetuto i suoi voti davanti
all'arcivescovo a voce bassa, incespicando nelle parole. Io ho pronunciato i voti in
tono chiaro e senza esitazioni. Maman sarebbe stata fiera di me.
24 maggio 1770
Sono una moglie... eppure non sono ancora tale. Luigi viene nel mio letto ogni
notte, com'è obbligato a fare, ma si gira su un fianco e russa. Mi sento sola. Ho
paura di non piacergli. Che cosa devo fare?
15 giugno 1770
Questa mattina c'è stato un gran fermento intorno a me. Sono stata svegliata non
da Sophie, che di solito mi porta una tazza di cioccolata, ma dalla contessa di
Noailles, che mi ha detto di indossare una veste da camera perché il dottor
Boisgilbert sarebbe venuto a visitarmi.
Sentendo quel nome, Luigi, che aveva dormito inquieto accanto a me, è balzato a
sedere sul letto e, senza chiamare Chambertin che di solito viene a vestirlo, s'è
infilato rapidamente i calzoni sopra la camicia da notte ed è uscito di corsa dalla
camera.
Non mi è stato risparmiato alcun imbarazzo. Il dottore ha stabilito rapidamente
che non ero incinta («L'imene è intatto» ha decretato senza giri di parole, rivolto
alla contessa) e ha espresso il parere che la mia mancata mestruazione fosse
dovuta a nervosismo.
«Vostra Altezza Reale» mi ha detto quando ho riallacciato la veste da camera e
recuperato in parte la mia dignità «sono informato che il principe condivide il
vostro letto tutte le notti. Il re mi ha incaricato di chiedervi se ha cercato di
consumare il matrimonio.»
«Siamo come... amici, come fratello e sorella» gli ho risposto.
«Proprio come pensavo. Il ragazzo è ancora troppo giovane. Deve maturare.»
Poco dopo che il dottor Boisgilbert se n'era andato, mi è stato recapitato un
messaggio in cui mi si avvisava che il duca di Choiseul sarebbe venuto a farmi
visita. Ho mandato a chiamare Sophie, che mi ha vestito e mi ha sistemato in
fretta i capelli.
«Monsieur» ho esordito, quando il duca è stato fatto entrare «mi rendo conto che
tutti sono delusi perché non sono ancora incinta. Ma non è colpa mia, Luigi è
ancora un ragazzo. Si comporta come un ragazzo, anziché come un uomo.»
«Temo che sarà sempre un ragazzo, a meno che non venga meglio indirizzato. Sta
a voi guidarlo. È indispensabile un figlio maschio. Alcuni figli maschi.
Lusingatelo. Seducetelo. Questo è lo scopo per cui siete stata portata qui.»
Dopo aver proferito queste sbrigative parole, se n'è andato.
Il conte Mercy, che è venuto nel tardo pomeriggio, è stato più concreto. In qualità
di rappresentante di mia madre alla corte francese, è abituato a risolvere problemi.
E, a differenza del duca, si è dimostrato comprensivo nei miei confronti.
Ha fatto un inchino, poi è venuto a sedersi accanto a me, ignorando le rigide
norme vigenti a Versailles riguardo a chi poteva e chi non poteva sedersi in
presenza dei membri della famiglia reale.
«Carissima Antonia» ha detto, rivolgendosi a me in tedesco «quanto deve essere
penoso e imbarazzante per voi tutto questo! Siete in un paese straniero, in mezzo
a gente straniera e fatta oggetto di aspettative tanto grandi. È un pesante fardello
da portare, in così giovane età.» Mi ha circondato le spalle con un braccio, in un
gesto consolatorio, e io ho cominciato a sentirmi un po' meno sola.
«Ho parlato con il dottor Boisgilbert» mi ha confidato poi «e credo di aver capito
quello che sta succedendo. Il principe Luigi è incapace di prendere l'iniziativa,
come spetta all'uomo, nella tenzone amorosa. È così?» Ho assentito col capo.
«Perciò spetta a voi, Madame, prendere l'iniziativa per lui.» Mi ha dato un
colpetto affettuoso sulla mano e si è alzato. «Conosco una persona che può
aiutarvi in questo compito. La incontrerete domani. Il suo nome è Madame
Solange ed è molto affascinante. So che vi piacerà. Appartiene a un mondo che
voi conoscete poco, penso. I francesi lo chiamano demi-monde. Non è una donna
rispettabile, ma nel suo campo è insuperabile. Prestatele grande attenzione e
imparerete molto da lei.»
16 giugno 1770
Che pomeriggio ho trascorso! Sono assolutamente affascinata da Madame
Solange, che è una delle donne più belle e incantevoli che abbia mai conosciuto.
So che mia madre non approverebbe la mia amicizia con lei; mia madre
disapprova le cortigiane e ordina alla sua Commissione della castità di multarle e
di allontanarle da Vienna. Ma a me piace molto Madame Solange e spero di
rivederla. Mi ha invitato nei suoi appartamenti, che sono piccoli ma arredati con
gusto. Un profumo di fiori e spezie aleggiava nelle stanze illuminate da dozzine di
candele accese, perché le tende erano state chiuse per schermarci dal bagliore
pomeridiano.
Mi sono sentita a mio agio, deliziata dall'aroma inebriante, dalla luce soffusa e
dalla calda, carezzevole voce con cui la sorridente Solange mi parlava.
«Madame la Dauphine, voi mi fate un onore. Vi prego, seguitemi.» Mi ha
condotta nel suo boudoir, dove un letto di mogano intarsiato con un baldacchino
di velluto rosso era appoggiato alla parete rivestita di una pallida seta lucente.
Madame Solange ha aperto un armadio di legno e ne ha estratto una camicia da
notte trasparente come un velo, adorna di pizzo leggero e di nastri rosa.
«Questa vi starà benissimo, penso» ha detto, porgendomi il delicato e quasi
impalpabile indumento. Era molto più indecente di qualsiasi capo del mio corredo
e al pensiero di indossarlo sono arrossita.
«Le guance imporporate vi donano, Vostra Altezza. Con i vostri capelli biondi, gli
occhi azzurri, la morbida carnagione bianca e la figura sottile assomigliate a una
bambolina, il sogno di qualsiasi uomo.»
«Ma non di mio marito» ho replicato.
«Tutto questo cambierà, spero. Dobbiamo rendervi irresistibile.»
Mi ha intrattenuta, abbastanza a lungo, su questioni riguardanti l'amore e il sesso,
descrivendomi i modi di accarezzare un uomo, di stuzzicarlo scherzosamente, di
suscitare in lui il desiderio. Mentre lei parlava, non potevo fare a meno di pensare
a Eric, alla brama che avevo visto nei suoi occhi e alla sensazione delle sue labbra
sulle mie. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a costringermi a pensare a Luigi,
con il suo corpo goffo e pingue e i suoi lineamenti sgraziati.
Ho ascoltato Madame Solange e poi le ho fatto alcune domande e alla fine del
pomeriggio mi sono sentita molto più adulta ed esperta. Il solo fatto di trovarmi
alla presenza di una donna come lei era una lezione di vita, in quanto parlava con
estrema franchezza del corpo e dei suoi bisogni naturali, come se il sesso fosse
tanto spontaneo quanto il mangiare e il dormire.
Ho pensato a padre Kunibert e ai suoi discorsi sulla depravata carnalità e mi sono
ricordata degli ammonimenti di mia madre sui francesi, su come fossero privi di
pregiudizi e tolleranti e come ciò, pur sembrando gradevole, potesse risultare
molto pericoloso.
Sono decisa a mettere in pratica quello che mi è stato insegnato e a far sì che mio
marito mi desideri. Se potessi parlare a Carlotta, quante cose avrei da dirle! Non
oso mettere per iscritto i miei pensieri in una lettera, perché tutta la nostra
corrispondenza viene letta da spie.
Ho cominciato a tenere sottochiave questo diario perché il conte Mercy mi ha
avvertita di non fidarmi delle cameriere francesi, che sono pagate da Choiseul per
scoprire tutto quello che possono sulla mia vita privata. Naturalmente, immagino
che la maggior parte di loro non sappia leggere e, quindi, non riesca a decifrare le
mie annotazioni.
18 giugno 1770
Ieri sera Madame Solange mi ha aiutata prepararmi e a predisporre la camera per
la visita notturna di mio marito.
Ho indossato la camicia da notte trasparente, ho lasciato i capelli sciolti in lunghi
boccoli lungo la schiena, anziché farmeli intrecciare da Sophie come al solito, e
insieme abbiamo profumato la stanza con un pot-pourri di garofano
e vaniglia.
Abbiamo acceso alcune piccole candele e Madame mi ha donato una parure da
letto di morbido raso. Mi ha anche imbellettato labbra e guance, cosa che mi ha
conferito un aspetto molto adulto.
Poi se n'è andata, lasciandomi ad aspettare l'arrivo di Luigi. Lui è arrivato dopo le
dieci e io ero molto assonnata. Era sporco e sudato, perché aveva lavorato insieme
ad alcuni operai alla costruzione di una nuova cantina. Si è tolto gli abiti
inzaccherati e li ha lasciati cadere sul tappeto, poi si è avvicinato con passo
pesante al letto, infilandosi la camicia da notte.
«Che cos'è quest'odore?» mi ha chiesto. «Mi fa venire voglia di starnutire.»
Mentre stava per sdraiarsi si è accorto della mia camicia da notte trasparente,
illuminata dalla luce fioca della candela.
È balzato dal letto, spaventato.
Ha urlato un'oscenità. «Copritevi! E toglietevi quel belletto dal viso! Che cosa
siete, una puttana?»
Avrei voluto scappare, tanto mi sentivo confusa e vergognosa. Ma non sono una
codarda. Ho tenuto duro.
«Volevo solo piacervi, Luigi. Vorrei che ci fosse amore fra noi.» Ho preso un
fazzoletto, mi sono pulita il viso e ho indossato una veste da camera sopra la
bellissima camicia da notte.
Luigi è tornato a letto. Io mi sono sdraiata accanto a lui, senza sapere che cosa
fare o dire. Avevo forse rovinato tutto nel tentativo di sedurlo? Mi ero forse
giocata la sua fiducia, dopo essere riuscita a guadagnarmela?
Siamo rimasti sdraiati l'uno accanto all'altra, in silenzio, per un tempo che mi è
sembrato molto lungo. Non riuscivo a dormire. Mi domandavo se Luigi fosse
sveglio.
Poiché non russava, ne ho dedotto che non stesse dormendo.
Le candele hanno cominciato a smoccolare nei candelieri e a spegnersi.
Nell'oscurità ho sentito Luigi muoversi.
Si è messo seduto sul letto, con la schiena appoggiata ai guanciali.
Ho percepito il suo respiro.
«Siete sveglia?»
«Sì.» Ho sentito la sua grande mano sulla mia spalla. Era un gesto affettuoso che
lui faceva talvolta, un gesto quasi cameratesco. Dopo una lunga pausa, ha
cominciato a parlare.
«Non avrei mai dovuto essere io, sapete. Avrebbe dovuto essere mio padre. Era
l'erede più prossimo.»
Sapevo che cosa intendeva dire, perché l'abate Vermond mi aveva illustrato
l'albero genealogico dei Borbone.
Il re, Luigi XV, aveva un figlio che era morto in giovane età, facendo sì che il
maggiore dei suoi figli, mio marito, diventasse erede al trono.
«Ma lui è morto. Mi è rimasto solo il suo vecchio soprabito, quello che metto
quando vado nella foresta. Non mi ha mai insegnato a prendere il suo posto. Non
pensava che sarebbe morto.»
«Sì, capisco.»
«Non posso fare tutto quello che pretendono da me.»
«Potete... possiamo farlo insieme. Io vi aiuterò.»
«Non tutti sono in grado di fare il re.»
A questo punto mi sono messa seduta anch'io e mi sono voltata a guardare il mio
accigliato sposo.
«Potreste rinunciare al trono, immagino. È già successo in passato.»
Luigi ha sbuffato. «Non me lo permetterebbero mai. Mio nonno, Choiseul, tutti
loro. Preferirebbero che morissi.»
«Potremmo fuggire in America. Travestirci. Voi potreste diventare un tenente
d'artiglieria e io potrei essere la vostra lavandaia.»
Lui si è messo a ridere. «Il generale La Fayette è in cerca di volontari.»
«Ma se andate in America, non potrete finire il vostro catalogo della foresta.»
«Voglio rimanere» ha replicato Luigi in tono deciso «ma non voglio fare il re.»
«Può darsi che ciò non accada ancora per un po'» ho detto.
«Mio nonno sta diventando vecchio. Boisgilbert dice che non durerà a lungo.»
Mi sono arrischiata a chiedergli quel che mi stava più a cuore. «Luigi, forse non
vi piaccio?»
Lui ha distolto lo sguardo. «No» ha risposto, a bassissima voce.
«Allora, perché...?»
«Non posso. Non chiedetemi perché. Non posso.»
L'angoscia nella sua voce è bastata a lasciarmi senza parole. Dopo un po',
comunque, ho detto: «Non intendevo mettervi in imbarazzo, questa sera, ma solo
sedurvi».
«Lo so.» Ci siamo addormentati, accoccolati vicini come cuccioli, la sua mano
sulla mia spalla. Ben presto ho sentito il suo respiro pesante trasformarsi in un
russare. Mi sto abituando a questo rumore.
27 agosto 1770
Per mesi ho avuto paura di scrivere di Eric, ma adesso che tengo questo diario
sotto chiave e porto la chiave sempre con me, correrò il rischio di mettere per
iscritto quello che è successo.
Ho incontrato Eric spesso da quando sono in Francia, ma in genere non siamo mai
soli. Ovunque io vada sono tenuta d'occhio: o dalla mia guardiana ufficiale, la
contessa di Noailles, o da una delle zie di mio marito o da qualche spia mandata
da Choiseul o da Mercy. Perciò, quando sono nelle stalle o fuori a cavallo,
scortata da Eric e altri, ogni parola che ci scambiamo viene ascoltata.
Lui mi parla in tono rispettoso e io accolgo nel dovuto modo sia le sue parole sia
l'aiuto che mi da quando cavalco, come ci si aspetta che la delfina faccia con uno
stalliere.
Quando i nostri sguardi s'incontrano, però, c'è un tacito ardore, un dialogo segreto
fra noi.
Sono certa che Eric sa, perché è un pettegolezzo comune nella corte, che Luigi e
io non siamo marito e moglie nel vero senso della parola. Talvolta mi sembra di
cogliere un lampo di compassione nei suoi occhi, ma non ne sono sicura. Sta
molto attento a mascherare le sue emozioni. È gentile e rispettoso con me e basta.
Ieri stavo cavalcando con Yolande de Polignac ed Eric era con noi come
accompagnatore. Facevamo parte di un gruppo più numeroso, comprendente i due
fratelli di Luigi e i loro stallieri, ma Yolande e io, impegnate in una lunga gara, ci
siamo distanziate un po' dagli altri. Lysander è inciampato
e mi ha disarcionato. Non mi sono fatta male, ma solo leggermente contusa. In
men che non si dica, Eric è sceso da cavallo e si è inginocchiato accanto a me. Gli
ho assicurato che stavo bene e, mentre mi aiutava ad alzarmi, lui mi ha sussurrato:
«Vostra Altezza Reale, debbo parlarvi».
«Ma certo, Eric, venite alla mia udienza mattutina. Dirò al ciambellano di
lasciarvi entrare.»
«Intendo, parlarvi in privato. L'udienza sarà affollata.»
Ho riflettuto per un momento. «Domani aspetterò sino alla fine della messa per
confessarmi. Una volta lasciato il confessionale, vi cercherò.»
Oggi, dopo la messa, mi sono confessata e, quando sono uscita dalla cappella
laterale dove si trova il confessionale, Eric mi stava aspettando nell'oscurità del
vestibolo.
Sembrava turbato.
È venuto verso di me, si è inchinato e ha sussurrato: «Vostra Altezza Reale, sto
per sposarmi. Mio padre mi ha sollecitato a sposare una francese e il maestro di
scuderia ha promesso che, quando mi sposerò, mi promuoverà scudiero con un
alloggio per me e mia moglie».
Mi ci è voluto un momento per rendermi conto di ciò che avevo appena sentito. Il
mio bell'Eric, che mi amava e mi desiderava, stava per sposare un'altra donna.
Un'altra avrebbe avuto tutto il suo ardore, tutta la sua dolcezza.
Provavo invidia per lei, chiunque fosse. Mi sono ricomposta il più possibile. «Se è
ciò che desiderate davvero, Eric, allora sono felice per voi... e per la vostra futura
sposa, naturalmente.»
«Non è ciò che desidero davvero» ha replicato lui, con lo sguardo pieno di
angoscia. «Ma ciò che desidero non posso averlo, come voi ben sapete.»
Ho girato la testa, per evitare che Eric vedesse le lacrime che mi salivano agli
occhi. Mi sono accorta che la contessa di Noailles si stava avvicinando. Non ero
preoccupata che udisse la nostra conversazione, perché parlavamo in tedesco,
ma non volevo che pensasse che mi comportavo in modo troppo confidenziale
con un sottoposto. Mi aveva ripreso più volte per questo motivo.
«Nessuno di noi due ha ciò che desidera» sussurrai e allungai la mano per
stringere il braccio di Eric, voltandomi in modo che la contessa non potesse
scorgere il mio gesto.
«Vi prego di capire, Vostra Altezza Reale. Lei è... Noi aspettiamo un bambino.
Avrei potuto sistemare le cose in un altro modo: c'erano persone che avrebbero
potuto prendersi cura di lei e del bambino senza che la sposassi.
Ma le voglio bene e quando diventerò scudiero avrò i mezzi per mantenere una
famiglia.»
«Madame, quell'uomo vi sta molestando?»
«No, contessa. Mi sta solo comunicando la buona notizia che fra poco si sposerà.»
La contessa di Noailles ha scrutato Eric dall'alto in basso.
«È uno dei vostri austriaci?»
«Sì, un servitore della corte di mia madre.»
«Desidero rammentarvi che Sua Altezza, la principessa Adelaide, vi aspetta.
Avete promesso di venire a fare una partita di picchetto oggi pomeriggio.»
«Certo.» Ho teso la mano a Eric, che l'ha presa e l'ha baciata. Mi sono avviata
verso l'uscita della chiesa, poi mi sono girata.
«A proposito, non mi avete detto il nome della vostra sposa.» Eric ha avuto un
attimo di esitazione. «È Amélie, Vostra Altezza, la vostra cameriera.»
Sono rimasta così sbalordita che ho dovuto sedermi sul banco più vicino. La mia
cameriera! Una delle mie domestiche scelte da Choiseul e sicuramente una sua
spia.
Amélie era una ragazza scaltra, sicura di sé, graziosa ma sfacciata. Come le altre
cameriere, ridacchiava e scherzava mentre cambiava le lenzuola del mio letto,
fingendo di non notare la disapprovazione della contessa di Noailles e sorridendo
furbescamente alle sue spalle.
Quindi Eric e Amélie erano amanti e Amélie era rimasta incinta, mentre si
prendeva gioco di me perché ero ancora vergine. Pur sentendo la contessa che mi
chiamava, non riuscivo a trovare la forza necessaria per seguirla.
Eric e Amélie, Eric e Amélie. Il pensiero di loro due mi è rimasto in testa tutto il
pomeriggio, mentre giocavo a carte con la zia di mio marito, Adelaide, e
partecipavo a un ricevimento negli appartamenti di Madame de Polastron.
Ero turbata e temo che il mio turbamento sia stato notato e commentato.
Continuo a meditare su questa inattesa svolta nella situazione. Eccomi qui:
delfina, sposata a un principe che deve avere dei figli e non riesce a generarli,
mentre la mia cameriera Amélie è incinta... e dell'uomo che più desidero!
15 settembre 1770
A corte circola una canzoncina crudele: Piccola donzella, piccola donzella cosa
avete combinato?
Ventre grosso, ventre grosso, chi avete corteggiato?
Piccola regina, nostra delfina cosa avete combinato?
Ballate di qui, civettate di là mentre dovreste aver chiavato!
Si riferisce alla mia cameriera e a me e tutti lo sanno. Ho proibito ai miei
domestici di cantarla.
Ma il problema era non tanto Amélie, quanto l'avida, volgare amante del sovrano,
Madame Du Barry, autrice dell'odiosa canzoncina e mia nemica. Io mi rifiuto di
salutarla, di rivolgerle la parola e perfino di ammetterne l'esistenza. Anche se mia
madre e il conte Mercy non mi avessero detto di comportarmi così, l'avrei fatto
ugualmente, perché alle cortigiane come Madame Du Barry non dovrebbe essere
permesso comandare.
Che cosa sarebbe stata la vita a Schònbrunn se all'amante di mio padre, la
principessa Auersperg, fosse stato consentito influenzare le decisioni imperiali e
governare la vita di corte?
Naturalmente la principessa Auersperg, che era una donna gentile e dolce, non
assomigliava per nulla a Madame Du Barry, con la sua faccia imbellettata e i suoi
abiti scollati. La principessa era sempre discreta, stava nell'ombra e non saliva
mai alla ribalta.
Non posso evitare del tutto Madame Du Barry, perché Luigi e io dobbiamo
trovarci molto spesso alla presenza del re e dove c'è lui, c'è anche la sua amante:
di solito seduta sulle sue ginocchia o appoggiata al bracciolo della sua poltrona.
Si aggira per i saloni, pavoneggiandosi in abiti tempestati di brillanti, e ha perfino
i tacchi delle scarpe impreziositi da piccoli diamanti, che lei è orgogliosa di
esibire, sollevando le gonne e facendo dondolare i piedi in modo provocante.
Il sovrano, che è quasi rimbambito, la copre di gioielli e lei ostenta ogni nuovo,
costoso regalo con grandissima volgarità.
Una sera, in occasione di una partita a carte nel salone reale, per farle dispetto ho
indossato il diamante che chiamiamo il «Sole degli Asburgo»: un immenso
brillante giallo, proveniente dall'India e splendente di una luce che supera quella
delle torce.
Quando Madame Du Barry mi ha visto la gemma al collo l'ha fissata e poi ha
commentato, a voce abbastanza alta perché tutti potessero sentirla: «Ci vuole una
vera donna per portare una pietra simile».
«Oppure una vera signora» ho ribattuto, rivolta a chi mi stava intorno. «Ma, in
fondo, ci sono persone che ignorano del tutto come dovrebbe vestirsi, o
comportarsi, una signora. Agiscono come volgari donne di strada.»
«C'è qualcuno che conosce una donna di strada che porta a spasso il cane con un
guinzaglio di rubino? O che dorme in un letto d'oro massiccio? O che ha una
rendita di più di un milione di livres all'anno?» Madame Du Barry si stava
rivolgendo a tutti i presenti nel salone, puntando lo sguardo oltre
la mia persona, ma nessuno ha risposto alla sua occhiata.
«Una donna di strada ricca è pur sempre una donna di strada, non trovate?» ho
chiesto alla contessa di Noailles, che mi stava facendo segni frenetici di smettere
di sfidare Madame Du Barry con i miei commenti.
A quel punto, Madame Du Barry ci è passata altezzosamente davanti, rilucente e
abbagliante nel suo splendore, ed è andata a sedersi accanto al sovrano, che aveva
bevuto molto all'inizio della serata e adesso se ne stava seduto in uno stato di
torpore, con un sorriso insulso sul viso un tempo affascinante. Con un gesto
civettuolo, lei gli ha accarezzato la guancia avvizzita.
«Luigi caro, mi comprerete un grosso diamante?»
«Qualsiasi cosa, qualsiasi cosa» ha risposto lui, con un sogghigno. «Prendete ciò
che volete.»
Lei si è alzata in piedi e ha chiamato a gran voce il tesoriere reale, il quale si è
staccato dalla folla presente in sala e si è fatto avanti per inchinarsi al sovrano.
«Datele ciò che vuole» ha ingiunto il re con un cenno della mano.
«Provvederò domani, sire.»
«Domani?!» ha esclamato Madame Du Barry, con la voce roca per l'irritazione.
«Domani no! Lo voglio adesso!»
«Vostra Maestà» ha mormorato il tesoriere, assai turbato, e ha lasciato la sala con
la rapidità che la sua dignità gli permetteva.
«Penso che il "Sole degli Asburgo" stia per essere eclissato» ha commentato il
mio spiritoso cognato Luigi Saverio, fratello del delfino.
«Forse, ma all'orizzonte sta per spuntare una nuova alba» è stata la mia pronta
risposta e nella sala si è udito un mormorio sommesso, poiché il significato delle
mie parole era evidente. Per il momento Madame Du Barry governava il sovrano,
ma i suoi giorni erano contati e in breve tempo io sarei stata regina e avrei gioito
nel bandire dalla corte lei e tutti i suoi pari.
III.
9 ottobre 1770
Un brivido freddo corre nell'aria e non solo perché l'estate volge ormai all'autunno
e la brina ricopre i prati quando esco a cavallo di primo mattino.
Il fratello di mio marito, Luigi Saverio - Luigi Stanislao Saverio - va insinuando
con tutti che dovrebbe essere lui, e non Luigi, l'erede al trono.
Luigi Saverio è un ragazzo grande, robusto, alto quasi come Luigi e prepotente.
Provoca il fratello, prendendolo in giro per la sua paura degli estranei e il suo
amore per i boschi.
«Stiamo di nuovo andando in cerca di funghi?» ha gridato a Luigi l'altro giorno,
mentre quest'ultimo stava per uscire con il suo logoro soprabito nero.
«Non è cosa che vi riguardi» ha mormorato Luigi.
«Quest'improvvisa urgenza di andarvene non ha forse a che fare con l'arrivo della
mia futura sposa?» l'ha stuzzicato Luigi Saverio. «Sappiamo tutti quanto vi
piacciono le donne.»
Queste parole sono state accolte dalle risatine sommesse degli altri presenti nella
stanza e Luigi, che era già fuori dalla porta, è tornato indietro.
«Spiegatevi».
«Volevo soltanto dire che sembrate... un po' timido... nei riguardi di vostra
moglie. Forse preferireste evitare la mia Maria Giuseppina.»
Adesso le risate nella stanza, per quanto sommesse, erano inequivocabili. Mi sono
affrettata ad accorrere in difesa di mio marito, avvicinandomi a lui con un sorriso
e prendendogli il braccio con un gesto affettuoso. «Luigi e io stiamo benissimo
insieme, vero, mio caro?»
Lui mi ha lanciato uno sguardo riconoscente e mi ha stretto il braccio. «Sì» ha
detto, lanciando al fratello un'occhiata adirata.
«E quando possiamo aspettarci che i... frutti di questo perfetto accordo diventino
evidenti?»
«I figli sono creature del Signore» ho detto. «Vengono quando Lui li manda.»
«Be', oggi il Signore mi manderà una sposa dall'Italia e non intendo essere per
nulla timido con lei quando arriverà.»
Sonore risate maschili hanno accolto queste parole. «Infatti...» ha aggiunto,
avvicinandosi a grandi passi a Luigi, che ha lasciato andare il mio braccio e mi ha
spinta dolcemente da parte all'avvicinarsi del fratello «... farò questa scommessa
con voi: la mia Maria Giuseppina mi darà un figlio prima ancora che vostra
moglie cominci ad allentare le stecche del corpetto.»
Luigi ha dato al fratello una spinta così forte da farlo quasi cadere. Quando ha
ripreso l'equilibrio, Luigi Saverio ha abbassato la testa e ha dato a Luigi un colpo
nello stomaco, facendolo muggire come un toro ferito.
Ci sono voluti due valletti alti e forzuti per dividere i fratelli in lotta e quello
stesso giorno, dopo cena, Luigi è andato nelle stanze di Luigi Saverio e ha rotto
uno dei suoi preziosi vasi cinesi.
I litigi fra loro due sono frequenti e talvolta coinvolgono anche il fratello minore
Carlo («Charlot»), che sta sempre dalla parte di Luigi Saverio. Luigi Saverio ha
quindici anni e Charlot tredici, ma vanno già in giro impettiti come galli,
sfidandosi l'un l'altro e pronti a fare baruffa.
Luigi Saverio ritiene che se lui e la moglie avranno figli, mentre Luigi e io non ne
avremo, il re lo nominerà suo erede. Dopotutto, Luigi è strano, non dice una
parola in pubblico e ha l'aria un po' tonta, mentre Luigi Saverio è molto più
normale e piuttosto intelligente. Se il sovrano si convince che Luigi e io non
avremo mai un figlio che diventi re e porti avanti la stirpe regale, allora forse
Luigi Saverio verrebbe a essere un erede migliore. Ecco, l'ho scritto. Devo
ammettere, nell'intimità di questo diario, che potrebbe essere vero.
12 ottobre 1770
Maria Giuseppina di Savoia, la fidanzata di mio cognato, è qui da tre giorni e tutti
parlano della sua bruttezza. Non solo è piccola e grassa, ma ha il labbro superiore
coperto da una peluria nera e sopracciglia tanto folte quanto quelle di padre
Kunibert. La sua pelle è butterata e arrossata e i suoi capelli sono acconciati in
una pettinatura che nella nostra corte (sto cominciando solo adesso a chiamarla la
«nostra corte») è fuorimoda da almeno un anno. «La mia futura moglie può non
essere la donna più attraente della corte, ma mi assicurano tutti i suoi parenti che
sarà la più fertile» ha commentato Luigi Saverio quando ha sentito criticare la
fidanzata. «La madre di Maria Giuseppina ha avuto quattordici figli fra maschi e
femmine e la nonna diciannove.»
«E sono tutti così brutti» ha ribattuto Madame Du Barry «o è lei l'unica a
esserlo?»
Luigi Saverio ha fulminato con lo sguardo l'amante di suo nonno e con tono
sprezzante ha ribattuto: «Sono tutti di sangue reale. E fra loro non ci sono
puttane».
Il re ha prestato poca attenzione alla futura sposa di Luigi Saverio, se non per
osservare: «Dovrebbe lavarsi il collo».
Memore dei miei primi giorni difficili e solitari in Francia, ho invitato Maria
Giuseppina a giocare a picchetto e le ho prestato alcuni dei miei gioielli, dato che
lei ne aveva pochi con sé e Luigi Saverio non è stato prodigo di regali.
A quanto pare, la ricchezza di casa Savoia consiste nei figli, più che nei gioielli o
nell'oro. Circola la voce che la dote di Maria Giuseppina sia di soli cinquantamila
fiorini d'argento e che la maggior parte di questa somma non verrà mai
corrisposta.
Finora Maria Giuseppina e io ci troviamo reciprocamente simpatiche, anche se lei
è molto silenziosa e parla francese con un forte accento italiano. La sua
conversazione è fatta perlopiù di frasi molto semplici, come: «Per favore,
passatemi i pasticcini» oppure «Com'è delizioso il vostro carlino». Ho due carlini
nuovi e le ho promesso un cucciolo della loro prossima figliata.
28 ottobre 1770
La moglie di Eric sta diventando sempre più grossa. Ogni volta che la guardo e
penso che porta in grembo il figlio di lui, avverto una fitta al cuore.
4 novembre 1770
Questa sera Luigi ha dato un ballo per festeggiare il mio quindicesimo
compleanno. Ha indossato uno dei suoi abiti di stoffa argentea per farmi onore e
si è cimentato in qualche danza. Sta cercando di imparare i passi della polonaise e
prende lezioni una volta alla settimana; per compiacermi, cerca di tenere il tempo
con i suoi piedi maldestri quando il violinista suona. Gli sono grata per i suoi
sforzi. So quanto detesti vestirsi elegantemente e ballare. So che stasera ha fatto
del suo meglio, ma è risultato molto impacciato e tutti hanno cercato di non
guardarlo mentre danzava.
C'erano Luigi Saverio e Maria Giuseppina e, quando Luigi Saverio ha imitato con
crudeltà il goffo modo di ballare di Luigi, si sono udite risatine soffocate.
Qualcuno, non sono riuscita a capire chi fosse, ha cominciato a canticchiare
un'odiosa canzoncina:
Tic toc
l'uccello dove l'avete?
Nella delfina
non s'è mai visto.
L'orologio batte l'una
dov'è il vostro bambino?
L'orologio batte le quattro
la delfina è una sgualdrina.
Luigi ne è rimasto così sconvolto che quando, a mezzanotte, è stata servita la cena
si è rimpinzato di maiale arrosto, tartufi, brodo di tartaruga e crema pasticciera
fino a star male e vomitare sul pavimento.
Luigi Saverio è scoppiato a ridere e il duca di Choiseul, alzatosi, ha detto a voce
alta che la festa era finita e ha fatto cessare la musica. Il mio ballo è stato un
fiasco.
19 novembre 1770
Il conte Mercy è venuto oggi a farmi visita. Ho capito dalla sua espressione che
aveva in mente qualcosa di importante e ho provato una stretta al cuore. È sempre
molto gentile nei modi, ma sa quali sono le cose che contano di più e non le lascia
passare. Sono arrivata ad aver paura delle nostre conversazioni.
«Carissima Antonia, spero che vi siate completamente ripresa» ha detto dopo
essersi accomodato nel mio salotto, allontanando i valletti con un cenno della
mano.
«Sì, grazie.» Il conte ha fatto un cenno di cortesia con la testa, prendendo tempo
prima di parlarmi del motivo della sua visita.
Ho aspettato pazientemente. «Antonia, ho pensato a lungo cercando una soluzione
al vostro problema... vostro e di Luigi. Come vi renderete certamente conto, è
indispensabile che diate a vostro marito almeno un figlio. Due o tre sarebbero
anche meglio. E dal momento che lui sembra incapace di generare, ritengo
che potremmo ricorrere a un innocuo sotterfugio... per il bene della famiglia, per
assicurare la successione.»
«Un sotterfugio? Che tipo di sotterfugio?»
«In tutta franchezza, potremmo trovare un uomo che prenda il posto di vostro
marito.»
Ho sbattuto le palpebre, incredula. Non sapevo che cosa dire.
«Vi renderete certamente conto che la posta in gioco è molto alta. L'unione degli
interessi dell'Austria e della Francia dev'essere consolidata e resa duratura dalla
nascita di figli. Due dinastie devono fondersi in una, altrimenti i nostri nemici si
rafforzeranno... Non posso nascondervi che si è parlato di annullare il vostro
matrimonio e rimandarvi a Vienna.»
A queste parole, ho avuto un tuffo al cuore. Come sarei stata felice di tornare a
casa, da maman, da Giuseppe, da tutta la famiglia! Ma, naturalmente, il mio
ritorno sarebbe stato umiliante: una sconfitta. Sarebbe stato un disonore per la
famiglia. E, secondo Mercy, anche un disastro politico.
Mi sono sforzata di capire la situazione.
«Se il nostro matrimonio venisse annullato, significherebbe la guerra?» chiesi
infine.
«È possibile.»
«Mia madre detesterebbe dover rimandare le nostre truppe a combattere.»
«È sempre preferibile trovare un'alternativa. E un'alternativa è quella che vi sto
proponendo. Suggerisco di trovare un giovane nobiluomo forte, sano, discreto e
dotato di corporatura e carnagione molto simili a quelle di vostro marito, che
accetti di prendere il suo posto nel vostro letto. Quando nasceranno, i vostri figli
assomiglieranno a Luigi, anche se non saranno suoi. Nessuno saprà mai la verità,
all'infuori di me, voi, Luigi... e il nobiluomo in questione.»
«Ma sarebbe un inganno.»
«Un inganno a fin di bene, sì.»
Ho guardato Mercy. «Ma possono esserci inganni a fin di bene?»
«Nella mia lunga esperienza di diplomatico, vi posso assicurare di sì.»
C'è stato un lungo silenzio mentre meditavo su ciò che il conte aveva detto: per
preservare il mio matrimonio e servire la causa dell'Austria, la mia adorata patria,
avrei dovuto rompere le mie promesse di matrimonio e partorire il figlio di un
altro uomo. E poi mentire su questo fatto a tutto il mondo, ai miei figli, alle mie
figlie e a tutta la famiglia, per il resto della vita.
Poi, all'improvviso, mi è venuta una folgorazione: Eric!
Perché non avrebbe potuto essere Eric a prendere il posto di Luigi? Non era
nobile, ma era forte e sano, e io lo amavo.
Per un momento mi sono permessa di sognare di essere fra le braccia di Eric, di
amarlo, di desiderarlo, di permettergli di amarmi come un marito ama la propria
moglie. Come sarei stata felice! Ma Eric era sposato. Avrebbe dovuto mentire ad
Amélie. Ero certa che non avrebbe accettato di farlo.
E più ci pensavo, più mi rendevo conto che non potevo accettare neppure io
quella menzogna. Non ho riferito nulla di tutto ciò al conte Mercy. Gli ho detto,
invece, che dovevo scrivere a mia madre e avere il suo consiglio.
«Se fossi in voi, non lo farei» mi ha detto il conte. «Vostra madre non capirebbe.
Detto fra noi, qui si tratta di agire con astuzia e sottigliezza galliche, non con
germanica rettitudine. Dovete comportarvi come si comporterebbe una donna
francese. Vostra madre non sarebbe mai capace di farlo. Vi ha mandata qui per
diventare il più possibile parte di questa corte e dei suoi costumi, per cui in un
certo senso vi ha già dato il permesso di fare ciò che decidiamo di fare.»
Questo era vero. Tuttavia, la mamma mi aveva anche messa in guardia contro il
modo di pensare eccessivamente libero dei francesi e contro le loro astuzie. E mi
aveva detto di ricordarmi chi ero e da dove venivo.
«Rifletterò sulla vostra proposta, conte Mercy» gli ho detto, porgendogli la mano
perché la baciasse e lasciando così intendere che il nostro colloquio era terminato
«ma al momento non posso seguire il vostro consiglio. Vi ringrazio, comunque, di
avermelo dato.»
Il conte ha impresso un secco bacio sulla mia mano e, con un inchino, si è avviato
verso la porta. Prima di raggiungerla, si è voltato.
«Antonia, ho a cuore solo l'interesse vostro e dell'Austria.»
«Non ne dubito, conte.» Comincio a dubitarne, invece. Ripensando al nostro
colloquio adesso, dopo che sono trascorse diverse ore, mi rendo conto che il conte
è pronto a sacrificare me - il mio onore, la mia moralità, il mio stesso corpo - per
il bene dell'Austria. Questa consapevolezza mi fa correre i brividi
lungo la schiena.
Chi può proteggermi dagli oscuri e complessi intrighi di questo mondo?
29 novembre 1770
Ieri notte il mio carlino femmina ha partorito nove cuccioli. Per ora sono
sopravvissuti tutti, perfino il più piccolo, grande quanto il mio pugno. Quattro
sono completamente marroni, uno è marrone con due zampine bianche e tre sono
marroni con tutte le zampine bianche. Uno, invece, ha un colore lattiginoso, come
se provenisse da una cucciolata diversa. Ho preparato per loro una cuccia in un
cesto accanto al mio letto. Luigi è molto tollerante per quanto riguarda i loro
guaiti.
5 dicembre 1770
Oggi Luigi Saverio e Luigi hanno litigato e si sono picchiati durante la messa di
Avvento e il re, che era lì vicino, si è seccato. Ha protestato non tanto per l'atto
sacrilego di prendersi a pugni in chiesa, quanto piuttosto per il rumore
e il disturbo. Gli piace poter dormire in pace per tutta la durata della funzione.
Sono andata a un ballo e mi sono messa il «Sole degli Asburgo» che suscita
l'invidia di Madame Du Barry. Il mio abito giallo chiaro è stato molto ammirato e,
quando mi sono guardata di sfuggita in uno specchio, ho visto l'immenso
diamante che portavo al collo risplendere come una fiamma. Ne ho fatto sfoggio,
ballando con il conte di Noailles, con il conte Mercy e con altri. Luigi non vuol
più danzare in pubblico, neppure in occasione delle feste nei miei appartamenti.
Si è sussurrato che mi divertivo troppo, ma io ho ignorato questa voce. Me la
stavo godendo molto e mi è dispiaciuto quando alle undici Luigi si è alzato e mi
ha fatto cenno che era ora di ritirarsi. Tutti hanno fatto l'inchino e la riverenza al
nostro passaggio e questo mi ha fatto venire in mente quando, due anni fa a
Schònbrunn, allineavo le dozzine di bambole vestite alla moda e poi mi
pavoneggiavo davanti a loro fingendo che fossero dame di corte.
Come tutto ciò mi sembra lontano adesso!
18 dicembre 1770
Ieri Amélie ha cominciato ad avere dei dolori e ho fatto venire il dottor
Boisgilbert, che l'ha visitata mentre era sdraiata su un divano nel mio salotto. Ha
mandato a chiamare la levatrice.
Ho inviato un paggio a chiamare Eric, che è venuto subito e si è seduto su uno
sgabello basso accanto al divano su cui giaceva Amélie, tenendole la mano.
«Falso allarme» ha detto la levatrice dopo aver esaminato Amélie. «È troppo
presto per il vero travaglio.» Se n'è andata e tutti ci siamo sentiti un po' più
rilassati. La crisi era cessata.
Poi, sono passata nella camera contigua ad aspettare Maria Giuseppina, che
doveva venire a vedere i cuccioli.
Le avevo promesso di dargliene uno come regalo di Natale. È arrivata presto:
puzzava di formaggio stagionato e avrebbe avuto bisogno di un bagno.
Mentre stavamo parlando e Maria Giuseppina faceva la sua scelta fra i cagnolini,
ho sentito Eric e Amélie litigare.
«Perché non siete venuto prima?» si è messa a gridare lei. «Sarei potuta morire.
Avevo dolori terribili. Dolori terribili, capite?»
«Ma, mia cara, sono venuto appena ho potuto. Il re...» Amélie ha imprecato.
«Sempre il re, il principe e la principessa, la vostra prediletta! Vorrei che fossero
tutti...» La sua voce si è smorzata, lasciando in sospeso la frase.
Ho pensato che Eric le avesse tappato la bocca con una mano, per proteggerla.
Parlare male della famiglia reale poteva essere molto pericoloso e lei se ne
sarebbe resa conto se fosse stata meno adirata.
Hanno continuato a discutere, ma a voce più bassa. Poi, pochi minuti dopo, Eric è
entrato nella stanza dove ci trovavamo Maria Giuseppina e io, tenendo la debole
Amélie tra le braccia.
«È esausta. Con il permesso di Vostra Altezza, vorrei portarla a casa.»
«Sì, certo, avete il mio permesso, Eric. Spero che si senta più in forze domani
mattina.»
«Grazie, Vostra Altezza.»
Stamattina Eric si è ripresentato nei miei appartamenti mentre mi pettinavano e mi
mettevano il rossetto. Durante questa cerimonia quotidiana la stanza è spesso
affollata di persone che sperano di riuscire a dirmi una parola o a consegnarmi
una supplica. Ma oggi il numero di visitatori era ridotto: c'erano soltanto un
gruppetto di ungheresi con un'ambasciata dalla corte di mia madre e una dozzina
di spettatori che mi osservavano mentre ero seduta al centro della stanza davanti a
un grande specchio e a un tavolino basso dove sono allineati pettini, spazzole,
forcine e la mia parrucca argentea sul suo supporto dorato.
André stava pettinando la mia lunga chioma quando è entrato Eric, molto bello
nella livrea di velluto celeste col colletto di pizzo. Gli ho fatto cenno con il capo
di avvicinarsi al tavolo da toilette e lui si è seduto su uno sgabello basso vicino a
me. Sembrava stanco.
«Come sta Amélie?» gli ho chiesto in tedesco.
«Si lamenta ancora di qualche doloretto, Vostra Altezza. Non ha dormito bene.»
«Darò ordine alla levatrice di visitarla di nuovo» l'ho rassicurato.
«Siete stata molto buona con Amélie ieri. Sono venuto a ringraziarvi.»
«So quanto è importante per voi!»
L'espressione di Eric si è fatta triste. «Se solo sapeste come stanno veramente le
cose fra noi. Quanto rimpiango... il passo che ho fatto l'anno scorso.»
Parlava a bassa voce, quasi sussurrando, e teneva gli occhi bassi. Sapevo che
rimpiangeva di aver sposato Amélie e la sua ammissione mi ha resa felice.
«L'ho fatto soltanto perché mio padre mi sollecitava a sposarmi e perché il
maestro di scuderia insisteva che dovevo prendere moglie prima di diventare
scudiero reale.»
«Me ne ricordo benissimo.» A queste parole, lui ha alzato lo sguardo verso di me
e l'ardore e la tristezza nei suoi occhi mi hanno fatto provare un attimo di
compassione per lui. Compassione e, devo ammetterlo, amore.
«Come vorrei che le cose stessero diversamente» ho proseguito, parlando a
bassissima voce in modo che solo Eric e André potessero sentirmi; sapevo per
certo che André non capiva il tedesco. «Diversamente per entrambi.»
«Ma Vostra Altezza ha un grande successo. È gentile e padrona di sé... ed è così
bella.»
«E molto sola.»
«Se in qualsiasi momento posso offrire a Vostra Altezza la mia compagnia, non
dovete far altro che chiedermelo.»
«Grazie, Eric, può darsi che lo faccia. Fa piacere poter parlare la propria lingua e
sentirla parlare.»
«Sono venuto anche per un'altra cosa» ha aggiunto Eric.
«Amélie vorrebbe sapere se, quando il bambino sarà nato, vorrete fargli da
madrina al battesimo.»
Se Eric non avesse confessato che il suo matrimonio era infelice, questa richiesta
mi avrebbe addolorato. Partecipare a una cerimonia per festeggiare la felicità di
Eric e Amélie come genitori mi avrebbe sicuramente ferita, ma il fatto di sapere
che c'erano liti e dissapori fra loro rendeva molto più facile la prospettiva di
essere presente al battesimo del bambino. Anzi, quasi non vedevo l'ora che quel
momento arrivasse. L'ho detto a Eric e lui mi ha baciato la mano, indugiandovi,
mi è sembrato, e poi se n'è andato.
28 dicembre 1770
Ho deciso di togliere le stecche di balena dal busto. Pizzicano e mi mozzano il
respiro. La contessa di Noailles insiste perché le tenga. Ma io mi rifiuto, in modo
fermo e deciso, e le mie cameriere mi obbediscono. Mi sono affezionate e
detestano la contessa. Quando mi vestono, lasciano da parte le stecche.
4 gennaio 1771
Il mio piccolo atto di ribellione riguardo al busto ha causato grande scompiglio a
corte.
La contessa di Noailles, risentita, è andata dal conte Mercy e si è lamentata della
mia disubbidienza, sostenendo che il mio comportamento era un affronto al
sovrano, il quale l'aveva nominata mia consigliera. Choiseul ha avuto sentore del
conflitto fra me e la contessa e mi ha mandato un biglietto ordinandomi in tono
secco di rimettere subito le stecche al busto. L'abate Vermond, che insieme a
Luigi era una delle poche persone a vedere il lato umoristico della faccenda, è
venuto a chiedermi con un sorriso come andava la «guerra del busto» e a
rammentarmi che mia madre mi aveva detto di seguire i francesi in ogni cosa. Se
le dame francesi portavano le stecche avrei dovuto portarle anch'io.
Per una settimana tutti gli occhi si sono fissati sul mio girovita, che,
indipendentemente dall'uso delle stecche di balena, è per sua natura molto stretto.
«Le porta o no?» era la domanda sussurrata da un'estremità all'altra dei lunghi
corridoi.
Io ignoro questi pettegolezzi. Ho preso la mia decisione e non cambierò idea, a
prescindere dal tono di voce con cui la contessa di Noailles sibila la sua
disapprovazione e dalla durezza dello sguardo con cui mi squadra.
Le linee d'azione sono state stabilite. Io ho deciso di contrattaccare.
6 gennaio 1771
Ho deciso di liberarmi non solo delle stecche di balena, ma anche della contessa
di Noailles.
Ho un piano. Richiederà un po' d'astuzia e un po' di fortuna, ma penso che
funzionerà.
9 gennaio 1771
Nei miei appartamenti c'è un trambusto tale che mi sono trasferita in un'altra ala
del palazzo, dove Luigi e alcuni operai stanno erigendo un muro di mattoni.
Ho trovato una stanzetta tranquilla dove rifugiarmi e, adesso che il valletto ha
acceso il fuoco, l'ambiente è molto confortevole. Sophie è con me, seduta davanti
al camino e intenta a disfare alcune matasse di lana rossa per farne gomitoli.
Ho bisogno di un po' di pace, perché la contessa di Noailles sta mettendo a
soqquadro i miei appartamenti, dando ordini, correndo a destra e a manca e
strapazzando i domestici nell'impeto dell'ira. Tutte le sue cose sono state
impacchettate. La contessa è stata mandata via dalla corte.
Ecco come ho architettato il suo allontanamento. Da alcuni mesi so che tutti i
giorni di bel tempo il re e Madame Du Barry escono in giardino. Stamattina sono
andata a passeggiarvi anch'io, accompagnata da mia cognata Maria Giuseppina
e da alcune dame di corte. Quando ci siamo avvicinate alla fontana di Nettuno, ho
notato che Madame Du Barry e il sovrano si trovavano dalla parte opposta. Il re,
seduto su una sedia a rotelle per via delle sue difficoltà motorie, si era
addormentato, con la testa ciondolante sul petto.
Fermandomi in prossimità della fontana per ammirare il getto d'acqua, ho
detto a Maria Giuseppina, in un tono di voce sufficientemente alto perché
Madame Du Barry potesse sentire, che sarebbe stata mia intenzione dare un ballo
la sera successiva e invitare il sovrano e «la sua buona amica».
Poi, facendo bene attenzione di essere udita, ho aggiunto che spesso in passato
avrei voluto invitare la «buona amica», ma la contessa di Noailles non aveva mai
voluto darmene il permesso.
«Se soltanto non ci fosse lei a mettermi dei limiti, potrei scegliere liberamente la
gente da frequentare» ho commentato. «Ci sono alcune persone a corte che vorrei
conoscere molto meglio. Potrei averle mal giudicate in passato.»
Riuscivo a immaginare che cosa stesse pensando colei cui erano riferite queste
allusioni e quanto fosse sorpresa e contenta di sentire che desideravo conoscerla
meglio.
Madame Du Barry anelava a essere accettata e riconosciuta dall'elite di corte. Per
quanti gioielli e oggetti di valore il sovrano le regalasse, una sola cosa continuava
a esserle negata: l'ammissione alle più alte sfere sociali. Adesso io le offrivo la
possibilità di accedervi, o almeno volevo che lei lo pensasse.
Ho sospirato ad alta voce: «Se solo qualcuno mi liberasse della contessa di
Noailles!». Oltrepassata la fontana, abbiamo ripreso la nostra passeggiata,
seguendo un sentiero che si allontanava da Madame Du Barry e dal sovrano
sonnecchiante.
Mi sono chiesta, poi, quanto tempo avrebbe impiegato l'amante del re a entrare in
azione. Non ho dovuto aspettare a lungo. A mezzogiorno la contessa di Noailles
aveva già ricevuto un messaggio dal ministro della Casa reale che la informava di
essere stata licenziata dal ruolo di mia consigliera.
Ho sentito un urlo di disperazione, seguito da grida rabbiose e imprecazioni. Ho
fatto finta di non sapere nulla di quanto era successo, ma quando ho incontrato la
contessa ho capito dal suo sguardo furioso che aveva capito che ero coinvolta nel
suo licenziamento.
«Basta così, Madame» le ho detto gelidamente quando è venuta ad accusarmi di
essere la causa del suo allontanamento. «La ringrazio dei suoi servigi.» E con
incedere maestoso le sono passata davanti, ho lasciato la stanza e sono andata a
cercare Luigi, che stava raggiungendo gli operai in quest'altra ala del palazzo.
È piacevole e riposante starsene qui vicino al fuoco. Non ho voglia di muovermi.
Luigi spesso lavora fino a tardi la sera, perché è robusto e instancabile. Può darsi
che a mezzanotte mi trovi ancora qui a sonnecchiare su questo diario, sorridendo
al pensiero che la contessa di Noaillesè ormai uscita dalla mia vita per sempre.
1° febbraio 1771
Luigi Saverio e Maria Giuseppina si sono sposati due giorni fa e tutta la corte ha
partecipato alle nozze nella cappella reale. Sono una brutta coppia.
2 marzo 1771
Oggi pomeriggio quando Luigi è venuto a farmi visita nel mio salotto mi sono
subito accorta che gli sanguinava un labbro e aveva un occhio gonfio che
cominciava a diventare nero. Si reggeva in piedi a stento e si è accasciato
pesantemente su una poltrona di broccato. Puzzava d'alcol.
«Si tratta di nuovo di Luigi Saverio, vero?» ho detto, chiamando Sophie con un
cenno e chiedendole di portare un panno e dell'unguento per le ferite di Luigi.
«Mi ha fatto scommettere dieci fiorini d'argento che non sarei riuscito a bere
un'intera bottiglia di porto in cinque minuti. Ci sono quasi riuscito. Ma poi ho
vomitato. Non ho potuto evitarlo. Poi gli ho dato un pugno.»
Luigi è rimasto diligentemente fermo, mentre Sophie gli ripuliva il viso dal
sangue e gli applicava l'unguento sul labbro e sull'occhio gonfio, e io sono rimasta
in piedi a guardarlo, contenta che la contessa di Noailles non fosse più lì a
insistere che anch'io dovevo rimanere seduta se il delfino era seduto. Che gran
sollievo essermi liberata di lei!
«Dovete imparare a ignorarlo quando vi sfida a fare certe cose e quando vi
insulta. Sapete che lo fa soltanto per irritarvi. Lo diverte. È meschino.»
Luigi ha chinato la testa. «Lo so.»
Ho mormorato a Sophie: «Mandate a chiamare Chambertìn».
«Sapete che cosa mi ha detto?» ha sussurrato Luigi, lanciandomi uno sguardo
timoroso. «Sostiene che sua moglie è incinta.»
«Così presto?»
Luigi ha annuito. «L'annuncio verrà dato alla prossima riunione del consiglio
reale.»
Ho ripensato alla proposta del conte Mercy d'introdurre un altro uomo nel mio
letto. Avrebbe garantito la successione e dato un po' di pace a Luigi. Eric. Eric.
Oh, se solo fosse possibile!
Chambertin è arrivato, gentile e premuroso come sempre e, scusandosi con me
con un cenno del capo, ha condotto Luigi nei suoi appartamenti. Dopo di me,
credo che Chambertin sia la persona che vuole più bene al povero Luigi. Funge
insieme da valletto, da scudiero, da lacchè. Fa tutto ciò che occorre fare e
sorveglia da vicino il suo padrone con occhio indulgente.
28 marzo 1771
Ho visto Eric e gli ho parlato... e lui mi ama ancora!
Non posso scrivere di più ora. Non posso che cantare, stringermi le braccia
intorno al corpo, fare piroette e uscire a cavalcare Bravane, il nuovo cavallo che il
re mi ha fatto avere, finché non crollerò esausta.
Ho voglia di gridare: «Eric mi ama!» a tutto il mondo.
Ma posso solo scriverlo qui. Eric mi ama. Eric mi ama. Eric mi ama.
5 aprile 1771
È passata una settimana dalla mia lunga chiacchierata con Eric nel piccolo
chiosco fra i carpini, nei giardini del palazzo.
È stato subito dopo il battesimo della bambina di Eric e Amélie, cui ho fatto da
madrina nella cappella reale. È stata battezzata Louise-Antoinette-Thérèse: i nomi
di Luigi, mio e di mia madre.
L'ho tenuta in braccio presso il fonte battesimale mentre il sacerdote versava
l'acqua sulla sua testolina, bagnando la cuffietta da battesimo di pizzo che ho dato
ad Amélie per lei, ma la piccola non ha pianto. Sentivo il suo corpicino caldo e il
suo odore di latte. È una piccina robusta, scalcia con le gambine in aria e agita le
braccine con forza.
Mi sono accorta che Amélie ha evitato Eric durante tutta la cerimonia, non lo ha
mai guardato e si è tenuta a distanza.
Al termine del rito, quando il sacerdote ha impartitol'ultima benedizione alla
piccola, ho restituito Louise-Antoinette-Thérèse ad Amélie, che mi ha ringraziata
con poche parole e una riverenza e poi ha lasciato subito la cappella
in compagnia di altre due donne. Credo che fossero le sue sorelle. Non ha
aspettato Eric.
La cappella si è svuotata rapidamente. Erano presenti poche persone al battesimo
e io avevo portato con me solo due delle mie dame di corte. Eric era intento a
parlare con il prete, al quale ha consegnato una borsa con delle monete.
Ho detto alle mie accompagnatrici che volevo fare una passeggiata in giardino
prima del pasto di mezzogiorno e che preferivo rimanere sola. Loro mi hanno
lasciata.
Eric mi ha raggiunta, mentre percorrevo un sentiero fiancheggiato da siepi di rose
che cominciavano a sbocciare.
«Vostra Altezza, posso passeggiare con voi?»
«Certo, Eric, sapete quanto mi fa piacere la vostra compagnia» ho risposto in tono
formale, nell'eventualità che qualcuno mi stesse ascoltando.
Ci siamo avviati verso quella parte del giardino chiamata «le alture di Satory»,
una zona boscosa incolta dove grandi carpini ombreggiano i sentieri. Sapevo che
era un luogo poco frequentato e avevo la sensazione che ci fossimo solo Eric e io,
specialmente quando siamo entrati in un piccolo chiosco bianco e ci siamo seduti
l'una accanto all'altro.
Senza dire nulla, ci siamo baciati a lungo e intensamente e dopo il bacio Eric mi
ha preso la mano e l'ha tenuta fra le sue. Ero troppo felice per parlare e piena di
gioia di essere con lui e di sentire ancora una volta le sue labbra sulle mie.
Non posso dire per quanto tempo siamo rimasti seduti così, in silenzio. Lui mi ha
baciato la mano e l'ha premuta contro il suo capo chino.
«Come vorrei che fossimo ancora a Vienna» ha detto a un certo punto, con la
voce rotta dall'emozione.
«Anch'io lo desidero spesso. Vorrei tanto essere felice con Luigi, ma è inutile.
Voi siete l'uomo cui penso, ogni giorno e ogni notte.»
«Amélie è gelosa di voi. Ha sognato che la lasciavo per voi. In un certo senso, era
un sogno veritiero. Non abbandonerò mai lei e la nostra bambina, ma in cuor mio
me ne sono andato molto tempo fa.»
«Lei vi ama?»
«Desidera molto possedermi. Assicurarsi che nessun altro mi possegga.»
Questo non è amore, è avidità.»
«Amélie è avida. E vendicativa.»
«Luigi è avido solo quando mangia» ho detto ridendo.
«E non mi è mai sembrato vendicativo. Vuole davvero essere gentile, ma non è in
grado di dimostrare la gentilezza. Spaventa le persone, è così bizzarro.»
«Vi spaventa?»
«No, siamo amici, ma non è capace di darmi l'amore di cui ho bisogno. Per questo
sogno voi.»
«Antonia cara.»
Per un po' siamo rimasti in silenzio e lui mi ha baciata di nuovo. Ho sentito che
mi stavo aprendo a lui, come un fiore si apre fiducioso al sole. Sono sua, ecco
tutto.
«Ho bisogno di sapere che ho sempre il vostro amore, per poterci pensare e per
poterci fare affidamento» gli ho detto.
«Sarò il vostro devoto amico per tutta la vita.» Ha pronunciato queste parole con
la solennità di un giuramento o di un voto. Sento ancora adesso, mentre scrivo, il
suono della sua voce.
Da lontano è giunto il rumore di persone che si avvicinavano, sul sentiero nel
bosco.
«Se ci vedono insieme, metteranno in giro delle chiacchiere» ha detto Eric,
baciandomi ancora una volta la mano e alzandosi.
«Tornerò senz'altro da queste parti» gli ho detto. «In questo chiosco.»
Dopo avermi lanciato un ultimo sguardo e un sorriso, Eric è scomparso e io ho
estratto dalla tasca dell'abito il libro che avevo portato con me. Quando i passanti
sono arrivati nel punto in cui mi trovavo, mi hanno vista immersa nella lettura e
non mi hanno disturbata.
Ovviamente non stavo leggendo. Non riuscivo a leggere, né a pensare, né a fare
altro che starmene lì seduta, lasciando che il ricordo di quanto Eric e io ci
eravamo detti continuasse a scorrere nella mia mente.
Dopo mezz'ora di quest'incantevole stato di smarrimento, sono tornata al palazzo
per pranzare con Luigi e le zie. Ma ero troppo eccitata per mangiare e la zia
Adelaide mi ha rimproverata perché piluccavo il cibo.
1° luglio 1771
Qualche giorno fa Luigi ha portato a corte una ragazza che lavora nella fattoria.
Era una giovane mite, fresca, grassottella, con le guance rosate e le mani ruvide e
screpolate per la mungitura. È arrossita e ha abbassato lo sguardo a terra, molto
imbarazzata nel trovarsi in un palazzo. Non c'è voluto molto perché alcuni dei
miei servitori cominciassero a radunarsi intorno a lei, guardandola con stupore. La
maggior parte di loro non aveva mai visto così da vicino una ragazza addetta alla
mungitura.
«Ha portato la sua mucca» mi ha detto Luigi. «È fuori in cortile. Voglio che
andiate con lei e vi facciate insegnare come si munge e come si fa il burro con la
zangola.»
Sono scoppiata a ridere. «Ma so perfettamente come mungere una mucca! Mia
madre lo ha insegnato a tutti noi quando eravamo bambini e a Schonbrunn l'ho
visto fare tante volte. Quanto a preparare il burro con la zangola, ho collaborato
all'operazione: richiede ore e ore. Ma perché dovrei cimentarmi in queste attività
quando ci sono tanti servitori?»
«Perché vi farebbe bene» ha risposto Luigi con un tono che raramente gli avevo
sentito usare, un tono paterno, ma più severo che dolce. «Trascorrete troppe ore in
passatempi frivoli, che non contribuiscono a migliorarvi il carattere. Assisto a un
viavai di sarte quasi ogni giorno. Voi sprecate troppo tempo a ordinare abiti
nuovi, a provarli, a farli modificare e a parlarne con le vostre amiche sciocche
e vuote. Trascorrete metà della vita ai balli.»
«Mi piace ballare e divertirmi. Non si chiede forse alla delfina di aprire le
danze?»
«Si tratta di trovare il giusto equilibrio fra piaceri frivoli e lavori seri. Io vado a
caccia per piacere, ma poso mattoni, costruisco cantine, studio gli esemplari delle
piante e imparo a fabbricare orologi. Voi, invece, inventate nuove mode e create
nuovi nomi per i colori in voga. Vi sento quando ne parlate: "cenere bruciata",
"ventre di ghiozzo", "pera acerba", "pioggia sporca"! Che sciocchezze! Questa
ragazza indossa forse un grembiule di quei colori?»
Ha indicato la giovane, che è diventata rossa come il sangue di piccione, conscia
degli sguardi di tutti su di lei.
«No, porta tutti i giorni un abito qualsiasi, un grembiule bianco pulito e una
cuffia. Non è così, mia cara?»
«Sì, Vostra Altezza.» La voce le tremava.
Mi sono avvicinata allo stipo dove tengo ago e filo e ho preso l'indumento al
quale stavo lavorando. «Ho molte doti manuali» ho ribattuto, mostrando a Luigi il
farsetto di raso multicolore che stavo facendo per il re, ricamato a gigli d'oro e
d'argento con un complicato monogramma. «Vedete, ho quasi finito questo regalo
per vostro nonno.»
«È da un bel po' che vi state gingillando con quel ricamo! E non è ancora finito!»
«Ma a vostro nonno piace moltissimo. "Portatemi il mio farsetto, bambolina mia"
dice quando mi vede. "Dov'è il mio farsetto?" E sapete quanto è generoso con me,
mi regala gioielli che appartenevano alla sua prima regina e paga tutti i conti delle
mie sarte. Non mi ha mai chiesto se sono capace di mungere le mucche!»
Mi sono accorta che le spalle della povera ragazza erano
scosse da un tremito e mi sono avvicinata a lei.
«Mi piacciono le mucche» le ho detto per confortarla. «E molto. Volete
mostrarmi quella che avete portato?»
Seguita da parecchi cortigiani, l'ho condotta fuori in cortile dove una mucca
marrone ben strigliata e con la coda adorna di nastri azzurri era legata a un palo.
«È davvero bella. L'avete da molto tempo?»
«Tre anni, Madame. Mi occupo di lei da quando era appena nata. Ha vinto alcuni
premi alla fiera agricola di Giverny.» Il volto della ragazza s'è illuminato di
orgoglio.
«Davvero? Immagino che il suo latte sia molto sostanzioso.» Ho continuato a
parlare alla giovane, mentre la mucca agitava la coda e i presenti, che
cominciavano ad annoiarsi, si allontanavano. Luigi doveva essersene andato a
propria volta, perché quando mi sono girata per cercarlo non l'ho visto.
14 novembre 1771
Oggi pomeriggio Luigi Saverio mi ha quasi buttata a terra, mentre correva lungo
il corridoio verso il salone del re.
«È arrivato! È arrivato!» l'ho sentito gridare. «Mio figlio è nato!»
Loulou e io abbiamo seguito le grida eccitate di Luigi Saverio e ho sentito che
comunicava la notizia al maggiordomo del sovrano.
«Devo vedere il re! Devo dirglielo personalmente!»
Luigi Saverio era rosso in viso e senza fiato.
Il maggiordomo, impassibile, stava impettito sulla porta del salone impedendogli
di entrare. «Il re sta prendendo la purga» ha detto, spazzolandosi
via un granello di polvere dalla livrea dorata. «Ha dato ordine di non essere
disturbato.»
«Ma sapeva che mia moglie aveva le doglie. Vorrà sapere del parto il più presto
possibile!»
«Non mi ha ancora messo al corrente di questo suo desiderio» ha detto il
maggiordomo, chiudendo la porta del salone in faccia a Luigi Saverio.
Qualche ora più tardi sono stata convocata negli appartamenti del re. Gli piace che
io gli faccia visita. Dice che lo rallegro e lo faccio sentire giovane.
Quando sono arrivata, Luigi Saverio era seduto su una panca in corridoio, accanto
a giovani paggi che aspettavano ordini dal sovrano. Evidentemente non aveva
ancora comunicato la lieta notizia.
Il maggiordomo ha aperto la porta e mi ha fatta entrare, lasciando fuori Luigi
Saverio e facendolo infuriare.
Quando ho chiesto al re se sapeva del bambino di Luigi Saverio e Maria
Giuseppina appena nato, lui ha agitato in aria la mano magra in un gesto
d'indifferenza.
«È soltanto un bambino gracile e malaticcio» ha detto.
«E probabilmente brutto come i genitori.»
18 agosto 1772
Il re sta invecchiando sempre più rapidamente. Sembra piccolo e rinsecchito con
la sua giacca di velluto e il farsetto di seta. Quello che gli ho fatto adesso gli sta
largo, ma lui lo indossa lo stesso.
Qualche tempo fa, di ritorno da una serata di giochi a carte negli appartamenti del
re, Luigi è improvvisamente scoppiato in lacrime.
«Oh, non voglio! Non voglio! Succederà presto, me lo sento.»
Mi sono abituata a questi sfoghi e so che, se ho la pazienza di aspettare, lui si
calma e possiamo discuterne. Dopo essersi un po' tranquillizzato, Luigi ha
cominciato a camminare nervosamente avanti e indietro.
«Avete visto come sta diventando fragile? Non ricorda più come si gioca a
picchetto e si appisola ogni dieci minuti. L'altro giorno ho sentito Choiseul dire
che ne avrà per meno di sei mesi.»
«E io ho sentito il dottor Boisgilbert dire che potrebbe vivere cinque anni» ho
replicato. «Suo padre non è vissuto fino a settantacinque anni?»
«Come fate a saperlo?»
«Controllate pure, dev'essere scritto in uno di quei vostri libri.»
«Che importa? L'unica cosa che so è che non voglio essere io il prossimo
sovrano!»
«Luigi il Riluttante: è così che volete essere ricordato?»
«Sempre meglio di Luigi l'Infelice.»
Ho abbastanza buonsenso per capire che non è il caso di mettermi a discutere con
mio marito di questa sua costante paura. Credo che, quando verrà il momento,
farà ciò che deve fare. E io lo aiuterò. Per il momento, fra una settimana ci sarà un
grande ballo, io indosserò un abito nuovo del colore chiamato «spada arrugginita»
e farò del mio meglio per dimenticare le nostre preoccupazioni danzando fino
all'alba.
IV.
23 aprile 1774
Adesso sono quasi certa che fra pochi giorni o poche settimane sarò regina di
Francia. Due giorni fa il sovrano ha avuto un collasso ed è stato messo a letto.
Luigi e io ne siamo stati informati e ci siamo recati subito nei suoi appartamenti,
dov'erano riuniti medici e speziali. Erano otto e avevano tutti un'aria molto seria e
concentrata. Non ci è stato permesso di entrare nella camera da letto del re; con
lui c'è solo Madame Du Barry. Il dottor Boisgilbert dice che non possiamo
vederlo perché è troppo malato, ha una febbre catarrale e non è in grado di
riconoscere nessuno.
Luigi e io stiamo aspettando da ore. Luigi mi afferra la mano e chiede: «Morirà?
Morirà?». Cerco di calmarlo e insieme preghiamo che sia fatta la volontà del
Signore.
2 maggio 1774
Siamo ancora qui negli appartamenti del re e aspettiamo. Il sovrano è peggiorato.
Lo sappiamo perché il dottor Boisgilbert evita di rispondere alle nostre domande e
la cosa è evidente anche dall'espressione preoccupata dei medici e degli speziali
che vanno e vengono durante la giornata. Adesso sono dieci. Ho deciso di
riprendere a scrivere questo diario per passare il tempo. Avevo smesso l'anno
scorso perché una delle spie del conte Mercy l'aveva trovato, ne aveva forzato
la chiusura e si era messo a leggerlo. Il conte è venuto a conoscenza di tutti i miei
segreti e mi ha rimproverata, dicendomi che dovevo diventare adulta e fare quello
che ci si aspettava da me e non vedere più Eric.
So dove tenere il diario adesso che ho ricominciato a scriverci. In un nascondiglio
più sicuro.
3 maggio 1774
Le sarte mi stanno confezionando abiti da lutto. Il re ha fatto chiamare
l'arcivescovo di Parigi perché ascolti la sua confessione. Tutti si sono stupiti.
Erano quarantanni che non si confessava.
4 maggio 1774, pomeriggio
Il re sta morendo. Si è confessato. I domestici fanno scommesse sull'ora e il
giorno in cui morirà. Alcuni di loro, quelli che sono da più tempo al suo servizio,
piangono. Ho chiesto varie volte al dottor Boisgilbert se posso vederlo. Finora mi
ha risposto di no.
4 maggio, mezzanotte
Ho preso un terribile spavento. Questa sera il dottor Boisgilbert, che è sfinito dalla
veglia di tanti giorni al capezzale del sovrano, è uscito nell'anticamera e mi ha
fatto un cenno. Luigi dormiva su un divano e russava sonoramente. «Gli rimane
poco tempo da vivere» mi ha detto il medico. «Potete dargli un'occhiata. Non
toccatelo.» Si è allontanato e io mi sono avvicinata alla porta e l'ho aperta senza
far rumore.
Sono stata subito investita da un odore terribile e mi sono ricordata dove l'avevo
già sentito: quando la mia povera sorella Giuseppina stava morendo. Al lume
delle candele ho scorto il volto del sovrano, nero di pustole e coperto di piaghe.
Aveva gli occhi chiusi e sentivo che respirava a fatica.
Madame Du Barry era accanto al letto. Dapprima ho pensato che tenesse la mano
al re, ma poi mi sono resa conto che stava cercando di sfilargli gli anelli.
«Andatevene!» ho gridato. «Andatevene, ladra! Megera!» Ho chiamato le guardie
e ho ordinato loro di allontanare Madame Du Barry, le cui grida di protesta acute
e stridule mettevano paura.
«Perché non dovrei avere i suoi anelli?» ha urlato verso di me, imprecando. «Lui
non ne ha più bisogno! Io me li sono guadagnati!»
«Tutto quello che vi siete guadagnata è una cella in una prigione sotterranea» ho
detto con ira, mentre le guardie allontanavano la donna dalla stanza. «Adesso
sparite!»
Dopo che se n'è andata, mi sono avvicinata al letto del re fin dove me la sono
sentita. «Che Dio vi benedica, vecchio mio» ho sussurrato. «Che Dio vi risparmi
di soffrire.»
Con un gemito il re ha aperto gli occhi cerchiati di rosso. Mi ha vista e mi ha
riconosciuta.
«La mia bambolina» ha mormorato e poi si è nuovamente assopito.
Quando ho lasciato la stanza tremavo. Non so se potrò dormire, ricordando il suo
volto ripugnante, il tremendo fetore e la vista di Madame Du Barry, avida e ladra,
che sfilava gli anelli dalle sue mani bianche e magre.
10 maggio 1774
Oggi sono regina e Luigi è re. Il vecchio sovrano è morto, che Dio conceda riposo
all'anima sua.
11 maggio 1774
Siamo in viaggio per Choisy. Adesso tutti, compresa Sophie, si rivolgono a me
chiamandomi «Madame la Reine» e non più «Madame la Dauphine». Abbiamo
dovuto lasciare Versailles perché è proibito al nuovo sovrano rimanere nel
palazzo in cui è morto quello vecchio. Inoltre sappiamo che il re aveva il vaiolo e
non una febbre catarrale, come il dottor Boisgilbert aveva cercato di farci credere.
Tutti hanno paura del vaiolo per cui il palazzo si è svuotato rapidamente. Non
appena si è sussurrata lungo i corridoi la notizia della morte del vecchio sovrano,
c'è stato un accorrere di gente negli appartamenti di Luigi. Le stanze sono
affollate di domestici e funzionari alla ricerca di un nuovo incarico. Quando non
riescono a incontrare Luigi cercano di ottenere udienza da me. Non posso ricevere
tutti e rispondere a tutte le richieste, perciò mi dileguo. Luigi mi promette un
rifugio privato tutto per me. Quando torneremo a Versailles dice che mi assegnerà
il Petit Trianon, un'adorabile piccola costruzione nei giardini del palazzo, per me
sola.
25 maggio 1774
C'è una gran confusione. Non c'è più ordine. Nulla funziona in modo regolare.
Tutti abbiamo i nervi a fior di pelle e siamo immersi in un mare di conflitti.
Comincio a capire quello che sta succedendo, ma non ne sono ancora sicura.
Credo che, prima della morte del vecchio sovrano, il duca di Choiseul e Madame
Du Barry avessero il governo di ogni cosa. Erano nemici, ma insieme tenevano in
pugno il re e quindi tutti i ministri e servitori reali facevano più o meno quello che
loro volevano.
Adesso che Choiseul è stato privato dell'incarico e allontanato e Madame Du
Barry, dietro mia insistenza, vive in esilio in una delle sue proprietà illecitamente
ottenute, nessuno più governa la corte e tutto si svolge in modo caotico.
Talvolta mi sento come se un uragano avesse investito il palazzo, sparpagliando
persone e cose in tutte le direzioni. Non posso far altro che aggrapparmi
saldamente a un oggetto pesante come un pilastro di marmo o una statua di ferro e
aspettare che il vento impetuoso passi.
1° giugno 1774
Nella ressa di gente all'udienza mattutina di ieri, qualcuno
ha tagliato tutte le nappe d'oro dei tendaggi.
9 giugno 1774
A Luigi è venuta l'ossessione di risparmiare denaro. Il ministro delle Finanze,
Monsieur Turgot, l'ha convinto che ce n'è poco nelle casse dello Stato e, pertanto,
Luigi si aggira per il palazzo mormorando: «Economia, economia» e ordinando a
tutti di ridurre le spese.
È entrato come un ciclone nei miei appartamenti, mentre mi trovavo con la mia
sarta, Rose Bertin, intenta a provarmi un nuovo vestito di seta del colore chiamato
«coscia di pulce». C'era anche Loulou, che io ho messo a capo del mio personale.
Luigi si è avvicinato a Loulou e l'ha scrutata così fissamente che lei ha fatto un
passo indietro.
«Vostra Maestà» ha detto, facendo una riverenza. «Vi conosco» ha dichiarato.
«Vi ho vista a un ballo. Eravate vestita in modo troppo elegante. Spendete troppo
per gli abiti.»
Si è voltato verso di me. «Questo è il motivo per cui sono venuto» mi ha detto,
rivolgendomisi in tono formale. «Sono venuto a conoscenza, Madame, che tutta la
vostra biancheria intima viene sostituita ogni tre anni. È vero?»
«È l'usanza, credo, ed è sempre stato così dai tempi di vostra nonna.» Non sapevo
se fosse proprio così, ma ci ho provato. Se la contessa di Noailles fosse ancora
qui, lo saprebbe.
«Ditemi: avete veramente bisogno di nuova biancheria intima con tanta
frequenza? Le lavandaie la lavano in modo così rozzo da rendere necessaria la
sostituzione ogni tre anni? No. La risposta è no. D'ora in poi, la biancheria
sarà rimpiazzata ogni sette anni!»
«Ma, Vostra Maestà» è intervenuta Loulou «non vorreteche vostra moglie porti
degli stracci sotto i suoi splendidi abiti?»
Sapevo che Loulou intendeva provocare Luigi e riuscivo a stento a trattenermi dal
ridere. Rose Bertin, in ginocchio sul pavimento, con la testa china sull'orlo del
mio vestito, sorrideva.
«È meglio che lei vada in giro vestita di stracci piuttosto che lo Stato vada in
rovina» è stata la drastica risposta del re. «E visto che stiamo parlando di
economie in fatto di abbigliamento, ho un altro ordine da dare. Quelle specie di
canestri che voi donne portate sotto le gonne...»
«I paniers» ho precisato io.
«... sono diventati troppo larghi. D'ora in poi dovranno essere limitati a... a...
centottanta centimetri.»
«Centottanta centimetri! Ma la moda prevede che le gonne siano larghe almeno
tre metri e sessanta centimetri. Vostra Maestà non pretenderà certo di stabilire i
canoni della moda.»
Il re ha fissato Loulou con il suo sguardo miope. «E perché no? Nei secoli passati
i miei antenati hanno emesso leggi suntuarie che stabilivano quali tessuti si
dovevano portare, quali pellicce e così via. Bene, queste sono le mie leggi
suntuarie: mai più canestri superiori a centottanta centimetri!»
Quando Luigi si è allontanato con passo pesante, noi siamo scoppiate a ridere. È
così assurdo che il sovrano debba intromettersi in ciò che indossiamo! Si corica
alle undici tutte le sere, proprio quando noi cominciamo a divertirci.
Io mi reco negli appartamenti di Loulou, oppure andiamo a far visita a Yolande de
Polignac che dà balli perfino durante le feste religiose, o facciamo passeggiate nei
giardini al lume delle torce. Loulou ci conduce di proposito alle «alture di Satory»
dove occasionalmente incontro Eric e, quando arriviamo lì, mi da gomitate e ride.
Lei è l'unica a conoscere il segreto che mi lega a Eric e io mi preoccupo che altri
possano scoprirlo. Finora non è successo.
22 giugno 1774
Ieri sera Chambertin è venuto nelle mie stanze con un servitore, un giovane che si
stringeva il fianco con una mano per il dolore. Aveva il viso e le braccia
insanguinati e la giacca e i calzoni erano sporchi e laceri. Nonostante le
ferite, il ragazzo mi ha fatto un profondo inchino e non ha voluto alzare lo
sguardo su di me.
Malgrado fosse passata da tempo la mezzanotte ero ancora vestita. Ero stata a un
ballo e poi ero andata nell'appartamento di Yolande a prendere una tazza di
cioccolata.
Ero stanca e un po' stordita dai piaceri della serata. Mi ci è voluto un momento
prima di rendermi conto che il valletto di mio marito era venuto per un problema
urgente e aveva bisogno del mio aiuto.
«Che cosa è successo, Chambertin? C'è stato un incidente? So che non può
trattarsi di Luigi, perché è a letto da qualche ora.»
«No, Vostra Maestà, vogliate perdonare la mia intrusione a quest'ora così tarda,
ma non sapevo a chi altro rivolgermi.»
«Vi prego di entrare. Farò chiamare il dottor Boisgilbert per curare il ragazzo.»
«No, no, non chiamate il medico. Questa deve rimanere una faccenda privata.»
Intuendo il disagio di Chambertin, ho condotto lui e il giovane nella mia stanza da
letto, dove Sophie, che si era appisolata sul divano, è trasalita e, indossata la veste
da camera, mi ha lanciato un'occhiata interrogativa. I carlini sono venuti verso di
me abbaiando di felicità, ma io li ho rispediti nel loro angolino.
Chambertin mi ha presa in disparte. «Maestà, questo giovane era un paggio del
principe Luigi Saverio. Ma non può ritornare a quell'incarico. Se lo
fa verrà ucciso. Ne sono certo.»
Ho osservato il ragazzo, che stava in piedi con la testa china e il volto contratto in
una smorfia di dolore. Era molto giovane, poteva avere tredici o quattordici anni.
«Può rimanere qui». Mi sono avvicinata al paggio, gli ho chiesto come si
chiamava e gli ho assicurato che ci saremmo presi cura di lui. Ho fatto cenno a
Sophie di prendere la sua scatola di balsami, unguenti e bende e di accompagnare
il ragazzo nel laboratorio di falegnameria di Luigi, nelle soffitte, dove c'erano
locali vuoti e vecchi mobili rotti.
«Vi ringrazio, Maestà.»
«Raccontatemi quel che è successo.»
«Come sapete, al principe piacciono molto i bei giovani. Alcuni di loro
contraccambiano il suo affetto, ma altri no. Lui si arrabbia e li picchia. Lo ha già
fatto con questo ragazzo in passato, ma mai in modo così crudele. Se non mi
fossi trovato a passare di lì e non avessi sentito le sue grida di aiuto, temo che...»
«Sì, capisco.» Luigi Saverio. Il collerico, frustrato Luigi Saverio, che, a quanto si
diceva, preferiva i ragazzi alle donne. Adesso che le sue speranze di prendere il
posto di Luigi erano svanite, sfogava l'ira sui suoi paggi.
«Non ho voluto che il dottor Boisgilbert venisse a saperlo. Avrebbe informato
dell'incidente tutta la corte.»
«Certo.» Ho riflettuto per un momento. «La questione è: dove il ragazzo potrà
essere davvero al sicuro? Se il principe scopre che l'ho accolto nel mio personale
di servizio come paggio, diventerà furibondo.»
«Luigi Saverio nutre molti rancori» ha detto Chambertin. «Non perdona.»
«Allora il ragazzo deve andare a Vienna. Ce lo manderò insieme al conte Mercy,
quando partirà per Schônbrunn.
Fino ad allora può rimanere nascosto nel laboratorio di Luigi. Luigi Saverio non
ci va mai.»
Sophie dice che oggi il giovane Monsieur de la Tour riposa tranquillo. Ha una
costola rotta e molte dolorose contusioni; lei gli ha bendato il torace e gli ha
somministrato un oppiaceo per alleviare il dolore. Il ragazzo è molto contento di
essere lontano da Luigi Saverio e felice di sapere che andrà a Vienna. Ha detto a
Sophie che vuol vedere il mondo e diventare un soldato. Qualcuno dovrebbe
punire Luigi Saverio e farlo rigar dritto.
1° agosto 1774
Ieri sera Luigi mi ha detto che due nobiluomini gli hanno portato una splendida
giovane attrice della Comédie Française nella speranza che lui ne facesse la sua
amante.
Luigi è scoppiato a ridere in faccia ai due e ha allontanato la giovane.
Ho mandato Monsieur de la Tour a Vienna con il conte Mercy. Finora è rimasto
nascosto e nessuno saprà dov'è andato né perché.
16 gennaio 1775
Finalmente sono tornata in possesso di questo diario!
Lo tenevo chiuso a chiave in una cassapanca di legno che, l'autunno scorso, senza
che ne fossi avvertita, è stata portata a Fontainebleau e mi è stata restituita solo
ieri. La corte si sposta frequentemente e non so mai quello che portano via e
quello che rimane. Devo trovare un nascondiglio migliore per il mio diario.
24 gennaio 1775
La settimana scorsa c'è stata una forte nevicata e stamattina, quando il sole ha
fatto capolino, Yolande, Loulou e io siamo andate a fare una passeggiata nei
giardini del palazzo.
Ci siamo lasciate scivolare lungo i pendii, abbiamo fatto pupazzi di neve e
spezzato i ghiaccioli dai tetti dei capanni.
Mentre attraversavamo il roseto siamo inciampate in due oggetti duri e,
osservandoli più da vicino, ci siamo accorte che erano due cadaveri. Spazzando
via la neve abbiamo visto che si trattava di due vecchie donne che erano morte
assiderate, strette in un abbraccio per riscaldarsi, con un solo brandello di coperta
a proteggerle.
In un primo momento nessuna di noi è riuscita a dire una parola. Eravamo troppo
sconvolte da quello spettacolo.
«E pensare» ho detto a un certo momento, mentre cominciavo a riprendermi «che
ieri notte noi stavamo danzando al ballo di Madame Solange mentre queste due
poverette erano qui fuori a gelare.»
Sono andata dall'abate Vermond e ho disposto che venisse detta una messa
funebre per loro ma, siccome non avevamo nessuna idea della loro identità, hanno
dovuto essere sepolte nel cimitero dei poveri di Saint-Sulpice.
3 marzo 1775
È stato un inverno molto rigido e Loulou, Yolande e io abbiamo raccolto denaro
tra i nostri amici e i funzionari di palazzo per comprare pane per i poveri. Mia
mamma aveva l'abitudine di farlo a Schònbrunn. L'abate Vermond ha l'incarico di
ordinare le pagnotte dalle cucine del palazzo e di sorvegliarne la distribuzione ai
cancelli di prima mattina.
Luigi mi prende in giro, anche se, quando pensa che io non lo veda, depone
sempre dieci o venti monete d'argento nella cassetta d'oro per le offerte.
19 marzo 1775
Parigi è in subbuglio a causa del maltempo e della fame e molti forni sono stati
saccheggiati. Una cosa simile non potrebbe mai succedere a Vienna, le guardie lo
impedirebbero.
5 aprile 1775
Il conte Mercy è venuto a trovare Luigi e mi ha chiesto di essere presente al
colloquio. La cosa ha dato fastidio a mio marito.
Il conte è rientrato da poco da Vienna dove dice che adesso Giuseppe governa
molto più di mia madre. Sta imponendo a tutti le proprie idee e sono sicura che il
conte ritiene che si tratti di cattive idee, sebbene non lo abbia
detto esplicitamente.
«Perlomeno non c'è carestia questa primavera in Austria, grazie a Dio» ci ha detto
Mercy. «Le finanze non sono amministrate bene, ma se non altro sono
amministrate. A differenza di quelle della Francia.»
A queste parole Luigi, che aveva continuato a passeggiare avanti e indietro
guardando l'orologio, si è fermato di colpo e ha lanciato a Mercy un'occhiata
furente.
«Monsieur Turgot ha preso molti provvedimenti per rimpinguare le casse dello
Stato, un'esigenza ch'era stata purtroppo a lungo trascurata durante il regno di mio
nonno.»
«Monsieur Turgot ha distrutto l'economia.»
A questo punto Luigi, che di solito cammina un po' curvo e dinoccolato, si è
raddrizzato in tutta la sua altezza. «Abbiamo eliminato molti sprechi. Io stesso ho
licenziato due aiutogiardinieri e ridotto di sette unità il personale addetto alla
caccia.»
«Ma avete trovato a tutti un posto nei canili e nelle cucine» ho ricordato a Luigi,
che mi ha lanciato un'occhiata furibonda e ha mormorato: «In entrambi i casi, il
personale era insufficiente».
«I problemi finanziari di Vostra Maestà vanno ben oltre la casa reale, sebbene le
spese a palazzo siano indubbiamente eccessive. Mi è stato riferito che certi balli
costano più di centomila fiorini d'argento.»
A queste parole sono ammutolita. Non avevo idea del costo dei nostri balli, anche
se sapevo che era molto elevato.
«Il mio obiettivo nel rivolgermi a entrambi è di trasmettervi un messaggio da
parte di Sua Altezza Imperiale.» Si riferiva a Giuseppe. «Si rivolge a voi, sire,
come fratello affezionato, qual è per matrimonio, e a voi, Madame, come sorella
prediletta. Augura a entrambi un regno prospero e felice. Vi offre un elenco di
suggerimenti che vi esorta a seguire.»
Mercy ha estratto dalla borsa di pelle un foglio che recava impresso il sigillo
imperiale.
«Vi prego di considerare questi principi su cui si fonda un buon governo
monarchico e di metterli in pratica.»
Luigi ha afferrato con malagrazia il documento che gli veniva porto.
«Un ultimo consiglio: non permettete che questi disordini nella capitale vi
sfuggano di mano. Mi è stato detto che sono stati assaliti due mulini e che è stato
portato via tutto il grano.»
Luigi si è stretto nelle spalle. «Rivolte per il pane si verificano ogni primavera,
quando terminano le scorte invernali. È inevitabile.»
«Questa primavera è diverso, Vostra Altezza. Due cose agitano il popolo: la fame
e la rabbia. La fame può essere controllata abbassando il prezzo del pane, cosa
che vi sollecito a fare il più presto possibile. Ma la rabbia, quella che si sta
diffondendo nella capitale e nei villaggi, non può essere placata tanto facilmente.
Il popolo addossa ai ministri di Vostra Maestà la colpa della mancanza di cibo
e, sebbene non comprenda tutte le direttive di Monsieur Turgot, ha ragione.
Quando fame e rabbia si combinano, può esserci solo il caos.»
Dopo che il conte Mercy se n'è andato, ho ripensato a quanto aveva detto e ho
continuato a farlo anche mentre cavalcavo in sella a Bravane, anche se era
difficile mantenere l'attenzione concentrata sulle cose serie con il sole così
tiepido, l'aria così deliziosa e il profumo fragrante dei meli in fiore, presagio di
primavera.
19 aprile 1775
Luigi ha ordinato a tutti i fornai di abbassare il prezzo del pane.
2 maggio 1775
Stamattina sono stata svegliata da un rumore simile al muggito di una mandria di
mucche. Sophie, che quando non c'è Luigi dorme ai piedi del mio letto, era già
alzata e si stava infilando la veste da camera.
«Che cos'è questo baccano?» le ho chiesto. Lei è andata alla finestra, ha scostato
le tende e mi ha fatto cenno di raggiungerla. Nel cortile sottostante abbiamo visto
dozzine di domestici che gridavano e correvano, entrando e uscendo dal palazzo,
e uno squadrone di guardie che si stava radunando, mentre un ufficiale a cavallo
impartiva ordini.
Poi, oltre al forte muggito, ho udito un colpo terrificante, seguito da grida
provenienti da un'altra zona dei miei appartamenti e da una crescente agitazione
nel cortile. Ho sentito qualcuno gridare: «È il cancello! Hanno abbattuto il
cancello!».
Ho indossato in fretta un abito da mattino e sono andata nel salotto dove le
cameriere e le fantesche si stringevano l'una all'altra. Alcune piangevano e tutte
erano molto spaventate. Ho detto loro di non preoccuparsi, che qualunque cosa
fosse accaduta saremmo state al sicuro perché eravamo sotto la protezione del
sovrano, mio marito, e delle guardie del corpo del re.
Sophie mi ha aiutata a radunare i cani e, insieme, ci siamo avviate verso le stanze
di Luigi, dove c'erano guardie davanti a ogni porta e nei corridoi. Ho visto
Monsieur Turgot, rosso in viso e molto preoccupato, uscire con il colonnello della
guardia interna del palazzo, mentre altri ministri cercavano di attirare l'attenzione
di Luigi.
Il re indossava ancora la lunga camicia da notte bianca e aveva ai piedi le vecchie
pantofole verdi; stava esaminando un moschetto che una guardia gli aveva dato e
tentava di azionarne il congegno di tiro.
Non so quanto abbiamo aspettato negli appartamenti di Luigi, mentre i soldati e
gli scudieri correvano avanti e indietro, portando messaggi al re e ai funzionari del
palazzo. Sembrava che parlassero tutti insieme, tali erano il baccano e il
trambusto. Noi eravamo d'impiccio. Ci siamo ritirate in un angolo a osservare
quanto stava accadendo.
Ben presto abbiamo sentito dei colpi di moschetto provenire da fuori e urla e
grida. In tutta questa confusione, dalle cucine del palazzo è comparso un
domestico con un grande vassoio di focacce e pasticcini, che noi abbiamo
mangiato con voracità.
Poco dopo si è udito un rombo di cannone. Sparavano dal tetto del palazzo. A
ogni rimbombo il pavimento tremava sotto di noi e mi sono chiesta se il vecchio
edificio avrebbe sopportato quegli scossoni. Abbiamo cominciato tutte a pregare e
alcune delle domestiche, le più giovani e timide, hanno ricominciato a piangere.
Dopo circa un quarto d'ora, i colpi sono cessati e sembrava che nelle stanze del re
vi fossero meno persone e meno confusione. Luigi si è ritirato per vestirsi e,
quando è tornato con la divisa di comandante della cavalleria, mi è parso che
avesse l'aspetto di un vero sovrano più che in altre occasioni.
Verso le tre del pomeriggio, i rumori, le grida e i colpi di moschetto sono cessati.
Per un po' di tempo ancora, abbiamo udito lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli
nel cortile e il trambusto dei domestici agitati che andavano e venivano per
consegnare messaggi a Luigi ed eseguire altre incombenze.
Comunque, a poco a poco, nel palazzo si sono riprese le normali attività
quotidiane. Io sono rientrata nei miei appartamenti con le domestiche, le dame di
compagnia e i cani: lì, alcune di loro sono crollate e sono andate a dormire,
mentre altre hanno ripreso alla meglio il loro lavoro. Mi sono fatta acconciare i
capelli da uno spaventatissimo André, che nelle ore precedenti si era nascosto
sotto il mio letto; poi, come d'abitudine, mi sono dedicata alla mia toilette.
Ho cercato di calmare tutti quanti, ma, naturalmente, ho voluto sapere che cos'era
successo. Eravamo in guerra?
Quel baccano e quella paura sarebbero ricominciati? Avremmo dovuto trasferirci
in un altro palazzo per essere più al sicuro?
Finalmente, dopo cena, ho saputo che cos'era accaduto. Gli abitanti dei vicini
villaggi di Saint-Paul-d'Avray e di Saumoy erano giunti di prima mattina ai
cancelli del palazzo, come facevano sempre, per ricevere la loro razione di pane e
gli avanzi di cibo dalla cucina privata del re. L'abate Vermond era lì per
distribuire le pagnotte che io avevo fornito. Ma, invece di prendere il cibo e
andarsene, i contadini si erano trattenuti e ne avevano domandato dell'altro. La
folla al cancello era diventata sempre più numerosa.
Lanciavano grida contro l'abate Vermond e insistevano che portasse altro pane.
Vermond mi ha detto che questo lo aveva fatto arrabbiare e aveva gridato: «Chi
sono io, nostro Signore Gesù Cristo in persona, per poter moltiplicare i pani?». Lo
avevano deriso tacciandolo di essere un uomo del re, il quale voleva che
morissero tutti di fame per impadronirsi delle loro terre. Gli avevano sputato
addosso e strappato gli abiti. Mentre Vermond si affrettava a rifugiarsi nel
palazzo, la folla (ormai centinaia di persone) si era aggrappata al cancello di ferro,
cercando di abbatterlo.
L'abate Vermond è un uomo mite, intelligente e educato, completamente diverso
dall'arcigno e irritabile padre Kunibert. Non l'ho quasi mai visto arrabbiato. Ma lo
era, eccome, stasera quando è venuto a parlarmi e a pregare con me per l'anima di
quanti sono morti oggi. Ha definito i contadini ingrati, visto tutto quello che io ho
fatto per loro e la protezione di cui godono vivendo tanto vicino al palazzo di
Versailles.
«Non sanno che i soldati del re li proteggono dai banditi e impediscono ai predoni
di distruggere i loro raccolti?
Forse che il sovrano non accoglie i loro figli nel suo esercito e non dà lavoro alle
loro figlie nelle sue fattorie e perfino a palazzo? Addirittura, il capogiardiniere
permette loro di raccogliere le ghiande in autunno per nutrire i maiali e di aiutare
nella raccolta di castagne, mele e ciliegie.»
«Il conte Mercy dice sempre che l'unica cosa che il popolo sa è che gli esattori
delle tasse del sovrano si prendono tutto quello che possiedono, mentre i fornai
del sovrano chiedono troppi soldi per il pane.»
«Le persone ignoranti disprezzano chi è migliore di loro. Gli obbediscono, ne
hanno timore ma, nel profondo, lo disprezzano.»
Abbiamo recitato le preghiere per i defunti. Molti erano caduti, perché il cannone
aveva sparato sulla folla che aveva invaso il cortile esterno e, più tardi, la
cavalleria l'aveva caricata e i soldati avevano menato colpi a destra e a manca con
le spade affilate. Per tutto il pomeriggio, i carri avevano continuato a portar via i
cadaveri. Nel cortile è stata sparsa sabbia per coprire il sangue. Domani, mi ha
detto l'abate Vermond, verrà riparato il cancello e, ben presto, non resterà più
alcuna traccia di quanto è accaduto oggi. Non resterà più alcuna traccia, ma io lo
ricorderò.
28 maggio 1775
Che caldo! Non desidero altro che tuffarmi in un lago fresco con addosso solo la
camicia, ma qui non posso mai farlo. Un pomeriggio, Loulou, Yolande e io siamo
scappate al Petit Trianon e ci siamo immerse nelle fontane.
1° giugno 1775
André ha creato una nuova acconciatura per l'incoronazione. L'ha sperimentata
sulle mie dame di corte e oggi pomeriggio l'ha provata per la prima volta su di
me. Ha pettinato e cotonato i miei poveri capelli per mezz'ora, poi li ha avvolti
intorno a due spessi cuscinetti di crine e vi ha aggiunto una quantità sempre
maggiore di capelli finti finché tutta la complicata torre ha raggiunto un'altezza di
quasi sessanta centimetri. Minuscole coroncine d'oro con diamanti sono state
intrecciate nelle ciocche di capelli in modo da farle luccicare.
L'effetto è splendido, ma riesco a stento a girare la testa e le forcine che tengono
insieme la torre mi pungono la cute. La pomata mi fa prudere il cuoio capelluto. E
la cosa peggiore è che devo dormire con questa impalcatura sulla testa fino al
momento dell'incoronazione, che avrà luogo fra dieci giorni.
29 luglio 1775
Finalmente sono in grado di raccontare la meravigliosa incoronazione di Luigi,
che mi ha tanto stancata da rendermi incapace di fare altro che dormire.
Luigi era così terrorizzato che per diversi giorni prima della cerimonia ha
mangiato tanto da stare male. Beveva in continuazione infuso di camomilla per
calmare i nervi, ma non riusciva ugualmente a dormire. Mi teneva sveglia
passeggiando su e giù per la stanza.
Pensavo che sarebbe andato a nascondersi nel suo rifugio prediletto, la capanna
nella foresta di Compiègne, per evitare di essere incoronato, ma si è dimostrato
coraggioso e ha affrontato la cerimonia. Sono stata molto fiera di lui.
Era seduto sul trono dorato nella cattedrale di Reims; l'arcivescovo gli ha messo
sul capo la corona e tutti i presenti hanno gridato: «Possa il re vivere per sempre!»
e hanno applaudito lungamente. Hanno applaudito anche me e hanno allungato le
mani per toccarmi l'abito mentre passavo. Tante mani sudicie che mi afferravano
le gonne.
Tanti volti sorridenti, tante bocche sdentate e tutti che gridavano e battevano le
mani.
Durante il percorso in carrozza sulla via del ritorno a Versailles, Luigi, che
indossava ancora il manto di velluto ed ermellino, si è addormentato russando.
C'era povera gente inginocchiata ai margini della strada che gridava: «Dateci del
pane, Maestà!», ma non avevamo pane da dare e abbiamo proseguito la corsa.
V.
13 aprile 1777
Giuseppe è qui! Non lo vedevo da tanto tempo, desidero stargli sempre vicino.
Non riesco a capacitarmi del suo cambiamento. Sembra un vecchio ed è quasi
calvo, come il nonno nei ritratti nello studio di mia mamma. I suoi abiti sono
fuorimoda, ma lui sostiene che non gliene importa nulla. Lo accompagna padre
Kunibert, che io cerco di tenere a distanza, perché non mi faccia la predica.
17 aprile 1777
Ho mentito a padre Kunibert. Gli ho detto che non scrivevo più sul mio diario,
andato perduto anni fa. Dice che assomiglio alla prostituta di Babilonia con questa
pettinatura alta sul capo e gli abiti di seta.
«Oh, no, padre» l'ha corretto Giuseppe con un sorriso.
«Intendete certo dire la regina di Babilonia!»
«Parlate a vanvera anche voi, fratello mio» gli ho detto, facendolo ridere cosicché
le rughe intorno agli occhi risultavano più profonde. «Vi prego di raccontarmi
tutto di maman e degli altri.»
Lui mi ha accontentata, descrivendomi i numerosi cambiamenti avvenuti nella
nostra corte a Schònbrunn dopo la mia partenza. C'era molto da raccontare e a
Giuseppe piace parlare. Alla fine, è arrivato all'argomento che mi stava più a
cuore.
«Come sta la mamma?» gli ho chiesto. «Ditemi la verità.» Giuseppe mi ha dato
un colpetto affettuoso sulla mano.
«La nostra cara mamma sta invecchiando. Tutto qui. Le sue forze stanno
declinando. Oltre ai soliti acciacchi della vecchiaia, c'è qualcos'altro che la
tormenta ed è un ostacolo più profondo da superare: ha paura.»
«Teme le pene dell'inferno» ha interloquito padre Kunibert.
«È una peccatrice.»
Ignorandolo, Giuseppe ha proseguito. «A mano a mano che s'indebolisce, teme di
perdere il suo potere. Ne cede sempre di più a me, ma poi si indispettisce perché
l'accetto.
Ha paura che io possa cambiare il nostro impero e ha ragione. Lo cambierò.
Nonostante le sue idee antiquate, è una donna molto saggia e lungimirante.
Intuisce come sarà il futuro e ne è spaventata, perché sa che lei non sarà
qui per impedire che certe cose accadano.»
Non so che cosa esattamente intenda dire Giuseppe, ma le sue parole bastano a
spaventarmi. «Il futuro, ah!» ha bofonchiato padre Kunibert. «È tutto lì,
nell'Apocalisse. Il mondo non ha futuro. Finirà, e presto. Ci sono tutti i segni.
Flagelli, pestilenze, guerre e rumori di guerra...»
«Ci sarà una guerra?» l'ho interrotto, rivolgendomi a Giuseppe. «Il conte Mercy
continua a dirlo.»
Giuseppe mi ha guardata. «Nostra madre mi ha mandato qui per aiutare a
mantenere la pace. Parlando con voi, come farebbe lei se fosse in grado di
viaggiare fin qui e se potesse lasciare i suoi affari a Vienna, cosa impossibile.
Se posso parlare con franchezza, Antonia, e non so fare altrimenti, il vostro
comportamento frivolo e la vostra incapacità di mettere al mondo un figlio stanno
nuocendo all'Austria assai più di quanto non immaginiate. Il risultato potrebbe
ben essere la guerra.»
«Mi chiamano la "cagna austriaca".»
«E anche peggio.»
«Che cosa potrebbe esserci di peggio?» ho chiesto.
«La prostituta di Babilonia» ha risposto padre Kunibert e ha lasciato la stanza con
passo strascicato scuotendo il capo.
Giuseppe e io abbiamo cenato insieme in privato, con il dottor Boisgilbert come
unico ospite. Abbiamo parlato di Luigi.
«Ha un lieve difetto al prepuzio, nient'altro» ha detto il medico a Giuseppe.
«Maria Antonietta ne è perfettamente al corrente. Le ho spiegato il problema. Due
o tre rapide incisioni lo risolverebbero. Ma lui non è in grado di affrontare il
dolore. La sola vista dei miei bisturi lo fa svenire.»
«Perché non lasciarlo svenire e poi procedere all'operazione?»
«Non potrei fare una cosa simile di mia iniziativa.»
«No, naturalmente non potreste» ha detto Giuseppe, improvvisamente pensieroso.
«Ma se io autorizzassi l'intervento... anzi insistessi perché si facesse?»
«Allora, suppongo, non avrei altra scelta che ubbidire.»
«E se» ha proseguito Giuseppe, con la forchetta sollevata a mezz'aria «Luigi
s'infortunasse e svenisse e voi, mentre gli sistemate la frattura o gli bendate la
ferita, estraeste il vostro bisturi e sistemaste anche l'altro piccolo problema?»
«Penso che si potrebbe fare, nelle opportune circostanze.»
«Siete un cacciatore, dottore?»
«Sì.»
«Allora uniamoci al re quando va a caccia di cervi, o di cinghiali, o di qualunque
altro animale da uccidere in questa stagione. Forse potrebbe capitargli un
incidente.»
«Non un incidente grave» sono intervenuta io, allarmata di fronte a quello che
Giuseppe stava progettando.
«Se è tanto impacciato in groppa a un cavallo quanto lo è su una pista da ballo, è
difficile che possa evitare di cadere.»
Era vero, Luigi spesso cadeva quando cavalcava. Una volta ha battuto la testa ed è
rimasto privo di sensi per almeno mezz'ora.
«Quando andrà di nuovo a caccia?»
«Adesso che il tempo è bello, ci va quasi ogni giorno» ho risposto. «Mi porta i
suoi trofei.» Avevo uno stipo pieno di orecchie, di corna e di code puzzolenti che
mio marito mi aveva regalato nel corso degli anni a dimostrazione
della sua abilità di cacciatore.
«Allora c'è un altro trofeo da guadagnare» ha sorriso Giuseppe. «Un frammento
del prepuzio reale, vero, dottore?»
27 aprile 1777
L'hanno fatto. Giuseppe e il dottor Boisgilbert hanno partecipato a una battuta di
caccia, hanno fatto ubriacare Luigi a tal punto che, nel tentativo di saltare una
siepe, è caduto.
Aveva dolori lancinanti causati dalle contusioni alle gambe e alla schiena e il
medico gli ha somministrato un potente sedativo. Lui non ha quasi opposto
resistenza quando l'hanno issato su un carretto per riportarlo al palazzo.
Lungo il percorso, si sono fermati per coprire il carro con un telone perché
cominciava a piovere e, sotto quel riparo, il medico ha rapidamente eseguito
l'intervento. Oggi Luigi è ancora sofferente e sta riposando.
2 maggio 1777
Finalmente.
10 maggio 1777
È cambiato tutto. Adesso sono una donna e spero di essere presto una madre.
Luigi è entusiasta del sesso come un bambino lo è di un giocattolo nuovo.
Arrossisco nello scrivere le cose infantili che ama fare. Per fortuna ho Loulou e
Yolande con cui confidarmi e anche Madame Solange, sebbene Giuseppe mi
abbia consigliato di non farmi mai vedere con lei perché danneggia la mia
reputazione.
Racconto tutto alle mie confidenti e loro ridono e mi assicurano che mio marito si
comporta come un fidanzato inesperto, che è poi esattamente ciò che è.
Sono certa che Luigi sta facendo tutto il necessario per mettermi incinta e lo fa
così spesso che probabilmente avrà successo. Sophie parla poco, ma mi accorgo
che sorride di più in questi giorni e mi osserva il ventre quando mi vesto. Anche
Giuseppe sorride in questi giorni e mi ha fatto promettere che il mio primo figlio
si chiamerà Luigi Giuseppe.
3 agosto 1777
Oggi pomeriggio aspettavo Eric al Petit Trianon. Era in ritardo, cosa insolita per
lui, e mentre mi sventagliavo mi sono slacciata la fascia dell'abito di pizzo bianco.
I cuscini sulla panca di legno erano morbidi e mi è venuto sonno, seduta lì in
mezzo al giardino, nell'aria profumata di rose e di laburno. Mi sono sdraiata,
appoggiandomi ai cuscini, e ho chiuso gli occhi.
Devo essermi addormentata e la voce di Eric mi ha svegliata.
«Come siete bella, sdraiata lì» ha osservato lui, con dolcezza.
«Venite, c'è posto per due.»
«Lo desidero tanto... sapete quanto lo desidero.»
«Mio caro Eric.» Mi sono risollevata, mettendomi seduta, e lui si è accomodato
accanto a me. Ha sorriso, ma io ho notato rughe di apprensione sulla sua bella
fronte e un'espressione preoccupata nei suoi incantevoli occhi profondi, mentre si
chinava per baciarmi.
Mi era difficile trattenermi e l'ho baciato a mia volta appassionatamente. Dopo un
po' mi ha lasciata andare, come fa sempre, perché la sua volontà è più forte della
mia.
«Credo che Amélie sospetti che c'incontriamo in segreto. Devo evitare di vedervi
per qualche tempo. Fingerò, per amor vostro, di essere innamorato di un'altra.
Così Amélie potrà essere gelosa di lei e non di voi.»
Mi ha baciato la mano e poi la guancia, che era bagnata di lacrime.
«Capisco» sono riuscita a dire. «Avete ragione, naturalmente. Non deve esserci
alcun dubbio sulla mia fedeltà, nessuna chiacchiera. Circolano già troppe voci.»
Era vero. La gente diceva che ero l'amante del conte d'Adhemar, del principe di
Ligne, del ricco conte Esterhâzy e perfino del fratello minore di Luigi, Chariot,
con cui mi piace stare e che è noto per essere l'amante di molte donne a corte.
Eric e io ci siamo salutati affettuosamente e penso che non lo rivedrò da sola per
qualche tempo. Naturalmente lo incontro spesso in presenza di altri, dal momento
che le sue mansioni di scudiero lo portano frequentemente nei miei appartamenti
o in quelli di mio marito. È anche responsabile delle mie scuderie al Petit Trianon.
È un tormento stargli vicina, sentire il palpito che suscita sempre in me la sua
presenza e dovere, tuttavia, mantenere una distanza formalmente corretta.
È un tormento, è innaturale. È crudele. Se Eric fosse mio marito, invece di Luigi,
come sarebbe felice la mia vita!
Nel frattempo mi tormento e aspetto.
27 agosto 1777
Amélie è di nuovo incinta. Mi ha dato una medaglia di santa Lucilla da mettere
sotto il guanciale perché mi porti un bambino.
Nel porgermela mi ha fatto una riverenza e ha alzato lo sguardo su di me con un
sorrisetto malizioso.
«Santa Lucilla vi porterà un bambino» ha detto con voce aspra «se sarete fedele a
vostro marito e lascerete stare i mariti delle altre donne.»
«La nostra padrona è una moglie fedele» ha replicato Sophie in tono pungente.
«Spero che sia così» ha ribattuto Amélie. «Neppure voi potete controllarla in ogni
momento della giornata.»
«Avete superato il limite, Amélie. Tornate subito al vostro posto.»
«Io torno al mio, Vostra Altezza, ma anche voi tornate al vostro.»
«Dovreste licenziare quella ragazza impertinente» è stato il commento di Sophie,
dopo che Amélie se n'era andata con passo indolente. Ma naturalmente non
potevo licenziare Amélie. Non potevo correre il rischio che mettesse in giro
chiacchiere malevole, oppure che costringesse Eric a lasciare la corte.
«Svolge abbastanza bene il suo lavoro» ha commentato Loulou, conoscendo i
motivi per cui desideravo che Amélie continuasse a far parte del mio personale di
servizio.
«Insisterò perché si rivolga a voi in tono rispettoso.»
20 ottobre 1777
Abbiamo tutte una nuova pettinatura: nastri bianchi, rossi e blu e piccole bandiere
americane sono intrecciati nei capelli e nei toupet. Ho lanciato questa nuova moda
quando il famoso americano Benjamin Franklin è stato condotto da Giuseppe
all'udienza mattutina di mio marito, con il quale ha chiacchierato per ore delle sue
invenzioni.
Stiamo fornendo armi e vettovaglie agli americani per aiutarli a combattere gli
inglesi, ma tutto avviene in segreto.
14 dicembre 1777
L'inverno è triste e io sono depressa. Adesso comincio a temere che non avrò mai
un bambino. Maman mi ha mandato una cintura benedetta da santa Radegonda da
portare quando sono a letto. È una reliquia preziosa proveniente dall'abbazia di
Melk, ricamata con preghiere segrete e simboli occulti, e lei sostiene che, per
quanto se ne sa, non ha mai fallito.
Loulou e Yolande mi guardano con aria compassionevole. Sanno quanto desideri
un figlio e ne abbia bisogno.
Mercy dice che circola nuovamente la voce che io possa venire allontanata e che
Luigi sposi un'altra donna.
Nessuno vuole che Luigi Saverio diventi re e, se Luigi morisse, suo fratello
salirebbe sul trono. Se morisse Luigi Saverio, il regno passerebbe a Charlot e,
dopo di lui, ai suoi figli. Charlot e la sua sciocca sposa Maria Teresa hanno già tre
bambini.
Quando verranno accolte le mie preghiere?
3 gennaio 1778
Mille candele illuminavano il lungo scalone al ballo di Yolande ieri sera e, mentre
cominciavo a salirne i gradini, i musicisti hanno preso a suonare una dolce
melodia viennese.
Mi ricordo di aver pensato che la stavano suonando per me, sapendo quanto la
amassi, e poi di aver alzato lo sguardo sullo scalone e poi... oh, poi... le immagini
mi girano vorticosamente nella testa e si confondono.
Perché in quel momento l'uomo più bello che mi fosse mai capitato di vedere
stava scendendo i gradini verso di me. Indossava un'uniforme bianca e appariva
così alto, slanciato e regale... no, più che regale, simile alla statua marmorea di un
dio greco che avesse improvvisamente preso vita. Aveva i capelli biondi, appena
mossi dalla brezza che spirava dal giardino, e sorrideva non solo con le labbra ma
anche con i meravigliosi occhi azzurri e con tutto il viso.
Ho trattenuto il fiato e l'ho guardato, dimentica di tutto ciò che mi circondava,
mentre lui avanzava verso di me. I musicisti stavano certamente suonando, ma io
non li sentivo. Intorno a me la gente continuava ad andare e venire, a ballare e a
chiacchierare nel salone al piano inferiore, ma io ero inconsapevole di tutto.
Vedevo soltanto l'uomo biondo, sorridente, nell'uniforme bianca, che mi tendeva
la mano in un gesto amichevole e mi si avvicinava con la lentezza di un sogno.
«Vostra Altezza» ha detto, con voce profonda e suadente. Gli ho teso la mia
piccola mano. Lui l'ha presa nella sua molto più grande e vi ha impresso sopra le
labbra calde. Ho sentito come una fiammata incendiarmi il polso e propagarsi
lungo il braccio, attraverso il petto, fino al collo e alle guance. Non riuscivo a
parlare. Non riuscivo a muovermi né a pensare. Quell'attimo è passato e, non
appena mi sono ripresa, mi sono trovata in mezzo a una cerchia di amici e ho
sussurrato a Loulou: «Chi è quel bellissimo uomo?».
«È il conte Axel Fersen. È appena arrivato dalla Svezia. Suo padre è il
feldmaresciallo Fersen dell'esercito svedese.»
«Ditemi che non deve tornare subito in Svezia.»
«Volete che m'informi?»
«Sì. No. Oh, sì, per piacere, informatevi. Invitatelo... invitatelo a una cena domani
sera nei miei appartamenti.»
Con la coda dell'occhio ho osservato Loulou farsi largo tra la gente nell'affollato
salone e avvicinarsi al conte Fersen, che per la sua altezza svettava in mezzo agli
uomini intorno a lui e aveva i capelli biondi che brillavano alla luce delle candele.
I due si sono parlati brevemente, poi Loulou lo ha lasciato per tornare da me. In
quel momento, lui si è fugacemente girato nella mia direzione e io, prima di
voltare la testa dall'altra parte, ho avuto l'impressione di scorgere sulle sue labbra
il bagliore di un sorriso appena accennato.
Domani lo rivedrò. Riuscirò a dormire questa notte?
5 gennaio 1778
Ieri sera Axel è venuto a cena e, non appena è entrato nella stanza, ho avvertito di
nuovo lo strano e meraviglioso impatto della sua presenza. I nostri occhi si sono
incontrati e, sebbene non fossimo vicini, ho visto, o mi è parso di vedere, sul suo
viso affascinante un lampo d'intesa.
Non come se ravvisasse in me la regina Maria Antonietta, ma come se rivedesse
una persona cara che conosceva da molto tempo. Non posso descrivere una simile
sensazione ma l'ho provata, e so che l'ha provata anche lui. Eravamo in dodici a
tavola. Luigi era assente. Non partecipa mai alle mie cene serali, preferendo
mangiare presto servito da Chambertin per poi ritirarsi a letto con una scatola di
dolciumi.
Axel era seduto di fronte a me, fra Yolande e la duchessa de Lorme, che ha
settant'anni ed è molto dura d'orecchi.
Si è intrattenuto in modo spiritoso con entrambe, facendo pazienti cenni con la
testa quando la duchessa fraintendeva le sue parole e sviando i complimenti
civettuoli di Yolande con battute scherzose e lievi motteggi.
Nel frattempo, mi ha lanciato più volte delle occhiate, ciascuna delle quali era per
me un emozionante richiamo alla nostra muta intesa. Sì, perché durante la lunga
cena mi sono sentita molto vicina a lui, tanto consapevole della sua presenza
all'altro lato del tavolo quanto lo ero del mìo stesso respiro, dei battiti del mio
cuore. Non ci siamo parlati direttamente, eppure quante cose ci siamo detti senza
parole! Quante sensazioni abbiamo provato! Alla fine della serata, quando
nell'accomiatarsi Axel mi ha preso la mano per baciarla, ho sentito che mi faceva
scivolare nel palmo un biglietto.
«Buonanotte, Vostra Maestà» ha detto. «Au revoir.»
«Buonanotte, conte. Sarò felice di rivedervi al più presto.» Ero impaziente di
leggere il biglietto.
«Posso venire da voi domani pomeriggio al Petit Trianon?» scriveva. «Vi prego,
dite di sì.»
Ho mandato un paggio all'alloggio di Axel con un biglietto che conteneva una
sola parola: «Sì.»
7 gennaio 1778
Riesco a pensare a una cosa sola: Axel, Axel, Axel. Il mio mondo si è capovolto:
mi gira la testa e sono sconvolta. Che meravigliosa confusione!
Non so che cosa scrivere qui, perché non ci sono parole per raccontare ciò che mi
sta succedendo. È come se fossi rinata. Come se avessi oltrepassato una soglia e
fossi entrata in una terra sconosciuta, quella del cuore. L'abate Vermond mi ha
letto alcuni testi sulle visioni beatifiche, quando un santo intravede il volto di Dio
e gli si spalanca davanti un mondo nuovo. Anch'io ho avuto la mia visione
beatifica. Ho intravisto, per la prima volta, il volto dell'amore.
Ieri Axel è venuto a trovarmi al Petit Trianon e ho detto a Loulou d'introdurlo
subito nelle mie stanze private.
Come ha varcato la soglia, lui ha spalancato le braccia e io gli sono corsa incontro
permettendogli di abbracciarmi come se non volesse lasciarmi più.
«Come può succedere una cosa del genere?» gli ho detto pensierosa quando alla
fine mi ha lasciata andare e siamo rimasti, mano nella mano, a guardarci negli
occhi. «Come posso amarvi così, dal momento che non vi conosco neppure?»
Avevo parlato senza riflettere e mi sono sorpresa dell'audacia delle mie parole.
Eppure erano vere. Perché non pronunciarle?
«Mio piccolo angelo, forse non sono la persona cui chiedere una spiegazione. La
sola cosa che so è che sono rapito da voi.»
Allora lui mi ha baciata, a lungo e con ardore, e per un'ora mi sono persa in un
dolce incanto di felicità e di piacere. Era un amante esperto e tenero e mi ha
ripetuto più volte quanto fossi bella, chiamandomi il suo «piccolo angelo».
Quando mi ha accarezzato la guancia e sfiorato i capelli, il tocco delle sue mani è
stato molto delicato e, quando ci siamo guardati, non sono riuscita a staccargli di
dosso lo sguardo, tanto ero presa dalla bellezza, dalla profondità e dall'infinita
dolcezza dei suoi meravigliosi occhi azzurri.
Ho fatto in modo che potessimo rimanere soli tutto il pomeriggio e consumare
insieme una cena a base di pâté di fegato d'oca e fragole con la panna. Axel mi ha
raccontato tutto della sua vita, chinandosi su di me ogni tanto per baciarmi mentre
parlava. Adoro ascoltarlo. Parla benissimo il francese e il tedesco, ma con un
buffo accento svedese. Ha una voce bassa e profonda e conversa lentamente;
tutti i suoi gesti sono calmi e pieni di grazia.
Suo padre è un importante nobile svedese ed è un consigliere del sovrano. Axel
pensa di diventare come lui. Si è guadagnato molte onorificenze e decorazioni
militari ed è già stato in battaglia. Ne parla in tono leggero, ma sono sicura che è
molto coraggioso.
Riesco a pensare solo ad Axel. Mi sento travolta dall'amore per lui, come se
galleggiassi su un immenso mare d'amore, beandomi al caldo sole della passione.
Dicono che l'amore fra due persone cresce lentamente nel tempo e diventa sempre
più profondo e intenso con il passare degli anni. Sono tutte sciocchezze. Io so che
il vero amore investe la vita di ciascuno con la furia di una tempesta improvvisa.
È immediato e potente. Nient'altro conta. La ragione, il ritegno, il discernimento
sono spazzati via con l'impeto di un fiume in piena che travolge gli argini e nulla,
- nessun pensiero o sentimento o sensazione, né la vita stessa, - può più tornare
come prima.
15 gennaio 1778
Axel si tratterrà qui solo per poco tempo. È diretto in America con il generale
Rochambeau per condurvi truppe che aiutino gli americani nella lotta contro gli
inglesi, i nostri nemici. Combatteranno in regioni inospitali, infestate di animali
selvatici. Affronteranno pericoli terribili. Sono preoccupata per la sua incolumità,
ma lui ride e sostiene che, a suo avviso, neppure la corte di Versailles è un luogo
davvero sicuro.
Ha partecipato in alta uniforme all'udienza mattutina di Luigi e, quando gli è stato
presentato, Luigi ha fissato lo sguardo sul suo petto decorato da una sfilza di
mostrine, stelle lucenti e medaglie d'oro. Io sono rimasta in disparte, senza dire
nulla.
Luigi si è avvicinato ad Axel e ha detto a voce alta: «Come avete ottenuto tutte
queste decorazioni? Le avete rubate?».
Axel ha sorriso. «Questa me l'hanno data per essere riuscito a schivare il fuoco
nemico» ha detto, indicando una delle medaglie. «E questa per essere rimasto
fuori dal tiro dell'artiglieria».
La risata sonora di Luigi si è sentita sino in fondo al grande salone. Poi, lui ha
dato una pacca sulla spalla ad Axel. «Questa è buona. Me la ricorderò. Per essere
rimasto fuori dal tiro dell'artiglieria. Questa è buona.... Io non sono mai stato
personalmente coinvolto in una battaglia» ha soggiunto poi, fissando Axel per
coglierne la reazione.
«Vostra Altezza è troppo importante per il suo paese per rischiare la vita in
battaglia» ha risposto lui abilmente.
«C'è bisogno di voi per dirigere le battaglie, non per parteciparvi combattendo.»
«Immagino di sì. Infatti probabilmente sarei d'impaccio» ha ammesso Luigi con
sincerità.
«Mi dicono che Vostra Maestà possiede una bella collezione di carte geografiche»
ha detto Axel, evitando lo scomodo argomento del dubbio valore di Luigi sul
campo di battaglia. «Ne avete qualcuna delle colonie britanniche
nelle Americhe? Mi farebbe molto piacere poterle studiare.»
Mi sono allontanata per parlare con alcuni dignitari italiani e non ho più udito i
loro discorsi. Mi sentivo inquieta lì in piedi, così vicina sia a mio marito sia
all'uomo che amo di più al mondo. Speravo di non essere arrossita per
l'imbarazzo. In questa corte, come a Schònbrunn, le donne intrattengono con
mariti e amanti rapporti molto spontanei e rilassati. Ma per me questa forma
d'inganno è nuova.
Non ho mai provato né imbarazzo né disagio riguardo alla mia infatuazione per
Eric, perché lui è solo un sottoposto.
Nessun sottoposto può essere un vero rivale per un sovrano. Ma Axel, un uomo di
così alto lignaggio e così a suo agio negli splendori di Versailles, è tutt'altra cosa.
E devo ammettere che il mio amore per lui è tanto lontano da quello per Eric
quanto il cielo lo è dalla terra.
24 gennaio 1778
Axel deve partire fra tre settimane. Non riesco a sopportare l'idea di dovermi
separare da lui. Che cosa farò?
27 gennaio 1778
Oggi pomeriggio Axel e io siamo rimasti sdraiati, nudi, davanti al camino su una
calda pelle di orso, mentre fuori cadeva la neve. C'è stata una forte nevicata e una
spessa coltre candida copre ogni cosa. Il paesaggio dalla mia finestra è
completamente bianco. Loulou è la sola a sapere che Axel si trova qui con me, ci
porta da mangiare e tiene lontani gli altri domestici, cominciando da Amélie.
L'atmosfera era così calda e accogliente vicino al fuoco e lo scoppiettio dei
ciocchi che bruciavano era piacevole e riposante. Mentre ero fra le braccia di Axel
riuscivo quasi a dimenticare che di lì a poco lui sarebbe partito. Quasi... non del
tutto. Mentre facevamo l'amore mi sono aggrappata a lui come se, stringendolo
con tutta la mia forza, avessi potuto tenerlo con me per sempre.
Dopo, mentre riposava, ho passato la punta delle dita lungo il suo splendido corpo
slanciato, ammirandone ogni curva e ogni incavo, ogni muscolo robusto, i peli
ricci e biondi dell'ampio petto, il ventre piatto e i fianchi stretti... tutta la sua
persona. Axel ha aperto gli occhi, mi ha preso la mano e mi ha baciato la punta
delle dita.
«Non avrei mai immaginato, quando ho lasciato Vienna, che avrei incontrato un
uomo come voi. Che mi sarei potuta sentire come mi sento adesso. Per molto
tempo ho desiderato, in segreto, di non essere mai venuta in Francia.
Qui nulla è andato come speravo... come la mia famiglia sperava. Come moglie
sono un fallimento.»
«Non è così. L'ambasciatore svedese mi ha detto come siete sempre stata buona
con vostro marito. Come l'avete aiutato e compreso quando nessun altro avrebbe
potuto farlo.»
«Ma ho fallito. Non gli ho dato un figlio, un erede al trono di Francia.»
«Non ancora, forse. Ma potreste essere madre in futuro... a meno che Luigi non
sia incapace di generare. Ha figli illegittimi?»
«No, sono sicura che non ne ha.»
«Allora può darsi che il difetto stia in lui, non in voi. Non dovete farvene una
colpa.»
«Il conte Mercy mi ha suggerito di trovarmi un amante, un nobiluomo che
assomigliasse a Luigi, e generare figli con lui. Ma io non me la sento di fare una
cosa simile, di mentire sull'identità del vero padre.»
«No. E poi, la verità finirebbe per venire a galla, presto o tardi.»
«Axel» ho detto con una leggera esitazione «c'è una cosa che devo confessarvi.»
«Di che cosa si tratta, mio piccolo angelo?»
«C'è un uomo che ho amato prima d'incontrarvi.»
Lui ha sorriso con indulgenza e mi ha accarezzato i capelli. «Sì? E chi era questo
fortunato? Non preoccupatevi. Può darsi che lo invidi, ma non lo sfiderò a
duello.»
«Il mio scudiero, Eric» ho sussurrato. «Non abbiamo mai veramente fatto l'amore,
ma...»
«Sì, sì, capisco. Era un bellissimo, innocente, amore giovanile. Sono contento che
me ne abbiate parlato. Anch'io devo confessarvi, angelo mio, di avere avuto degli
amori.»
«Ci sono state tante donne nella vostra vita?»
«Molte. Ma solo una che io abbia davvero amato.»
«E avete mai desiderato sposarvi?»
A questo punto il viso di Axel si è irrigidito in un'espressione grave.
«È quello che ci si aspetta da me. Un giorno, penso, dovrò rispondere a tali
aspettative. Nel frattempo, ho una... un'amica, una carissima amica, Madame
Eléanore Sullivan, che vive a Parigi e la cui compagnia mi è preziosa. È una
cortigiana e la conosco da molto tempo.»
«Una cortigiana come la mia amica Madame Solange.»
«Madame Solange è bellissima. Eléanore è molto meno avvenente e assai più
matura, ma ha un cuore caldo e un animo generoso. A differenza di tante persone
a questo mondo, ha vissuto davvero. Ha fatto molte cose: la moglie, la ballerina,
l'acrobata in un circo. Non conosce la paura ed è sempre fedele a se stessa. Mi ha
insegnato molte cose sulla vita.»
Vedendo la mia espressione mortificata, Axel si è affrettato a rassicurarmi.
«Ah, mio piccolo angelo, non vorrei mai che pensaste a Eléanore come a una
rivale.» Mi ha preso il viso fra le mani, mi ha guardata con amore e mi ha baciata.
«Nessuna donna mi è mai stata tanto cara quanto voi adesso, in questo momento.
Siete l'unica persona a cui penso, l'unica che desidero. Se soltanto non dovessi
lasciarvi...»
A quel punto abbiamo smesso di parlare, abbiamo fatto di nuovo l'amore, riposato
e mangiato, e poi abbiamo parlato ancora un po', fino a quando Loulou è venuta
ad accendere i lumi e Axel se n'è dovuto andare.
Oh, come lo amo! Mi butterei nel fuoco per lui. Se me lo chiedesse, andrei
all'altro capo del mondo per stare con lui. Se almeno non dovesse partire per
l'America a rischiare la vita. Se almeno potessi costringerlo a restare qui, in questa
stanza calda, con il suo corpo lungo, slanciato e bianco che brilla alla luce del
fuoco e i suoi dolci occhi azzurri pieni d'amore.
20 febbraio 1778
Axel è partito e io sono in lutto. Non ho retto all'idea di vederlo andare via. Ero in
lacrime quando è venuto con il generale Rochambeau a prendere ufficialmente
congedo.
C'era sua sorella, la baronessa Piper. Piangeva e lui l'ha abbracciata con grande
tenerezza. Non ha osato fare altrettanto con me e si è limitato a baciarmi la mano
e di nascosto mi ha passato un biglietto. L'ho letto più tardi.
«Mio piccolo angelo adorato, porto con me il vostro amore. Serbate il mio nel
vostro cuore finché non ritornerò.»
Dove sarà lui adesso? Fra quanto tempo tornerà da me?
12 aprile 1778
Avrò un bambino. Sophie ritiene che ci siano tutti i sintomi. Il «generale
Krottendorf» è in ritardo, ho il seno sensibile e dolorante e ho sempre sonno.
Il padre è Luigi, naturalmente, non Axel. Axel è stato molto attento quando
abbiamo fatto l'amore. Mi ha detto che voleva essere sicuro che non ci sarebbero
state conseguenze.
Luigi ha detto che dobbiamo aspettare ancora un mese prima di annunciare al
mondo il mio stato e il dottor Boisgilbert è d'accordo. Non ho ancora scritto la
buona notizia a maman. Come sarà felice di riceverla!
21 aprile 1778
I nostri soldati si stanno radunando a migliaia sui campi in Bretagna e in
Normandia. Mercy dice che forse invaderemo l'Inghilterra, che ci ha dichiarato
guerra perché ci siamo alleati con le colonie americane. Luigi trascorre molto
tempo a esaminare gli elenchi di rifornimenti e vettovaglie per le truppe e a
scrivere lettere ai fabbricanti di armi per segnalare loro i difetti di fucili e cannoni.
Odia incontrare i ministri e si lamenta con me del fatto che questi lo ignorano e
fanno il contrario di ciò che lui ritiene sia la cosa migliore.
Gli ricordo che sono stati scelti per la loro saggezza e la loro esperienza, maggiore
della sua. Ma lui s'intestardisce quando viene offesa la sua vanità, come accade
frequentemente.
Io vomito tutte le mattine e dormo tutto il pomeriggio. Mi assicurano che ciò è
normale. Porto in grembo l'erede al trono di Francia e la sua salute è l'unica cosa
che conta.
3 maggio 1778
Axel è tornato a corte e posso vederlo spesso. La spedizione con il generale
Rochambeau è stata rimandata. Non potrei essere più felice per il fatto di averlo
qui, sebbene sappia che va a Parigi a far visita a Eléanore Sullivan.
Passo le giornate a vomitare, a dormire e a domandarmi dove si trovi Axel quando
non è con me; talvolta vado con Luigi a conferire con il nostro ministro degli
Esteri, il conte di Vergennes, che odia l'Austria e odia me. Sto aiutando Axel a
ottenere il comando di un reggimento.
7 giugno 1778
Il dottor Boisgilbert dice che non devo crucciarmi. Sto imparando a fare borsette
di rete. La zia di Luigi, Adelaide, mi sta insegnando. So che a Parigi circolano
frequentemente battute sul fatto che Charlot sarebbe il vero padre del mio
bambino. Fingo d'ignorare queste maldicenze. Il fratello dell'abate Vermond sarà
il mio ostetrico. Mia madre non approva. Dice che è un pasticcione. È venuto a
trovarmi e mi ha molto agitata. Non assomiglia affatto all'abate, che conosco da
tempo ed è così cordiale e intelligente. Il dottor Vermond è nervoso e non sta mai
fermo. Quando mi tocca sento che le sue mani sudaticce tremano. Come faccio a
non crucciarmi quando c'è la guerra, circolano sgradevoli maldicenze sul mio
conto e per di più avrò un ostetrico nervoso? E quando devo fare ogni sforzo
per cercare di non soffrire troppo, nonostante l'ondata di calore? Siamo qui a
Compiègne e passeggio tutti i giorni nella frescura della foresta all'ombra dei
grandi alberi.
Il bambino scalcia parecchio. Luigi dice che è un atleta. Sarà un grande guerriero.
«Più probabilmente un grande apprensivo» dico a Yolande, che passeggia con me
al pomeriggio. «Suo padre è il più grande apprensivo che sia mai vissuto.»
Luigi è apprensivo su tutto: sulla guerra, che è stata dichiarata ma non è ancora
combattuta; sui suoi ministri, che non lo ascoltano e fanno quello che vogliono;
sulla mancanza di denaro nelle casse dello Stato; sul crescente numero di conigli
presenti nella foresta. Spara ai conigli e mormora sottovoce che vorrebbe poter
sparare a tutti i ministri.
È eccitato per l'arrivo del bambino, ma testardo riguardo al dottor Vermond. Tutti
dicono che gli ostetrici inglesi sono i migliori e che dovrei avere uno di loro. La
regina Carlotta, la moglie del re d'Inghilterra, Giorgio, è tedesca, ma per tutti i
parti si avvale di un medico inglese. Credo che abbia avuto molti figli e sono
sopravvissuti quasi tutti.
Axel ha fatto venire un medico svedese che ha studiato a Edimburgo e sarà
presente quando inizierà il travaglio. Sophie ha promesso che ci sarà anche una
buona levatrice, ci penserà lei. Mi sento più tranquilla. Il bambino non nascerà
prima di alcuni mesi.
4 agosto 1778
Ho fatto alcune borsette di rete per maman, Carlotta, Loulou e tutte le mie sorelle
e nipoti. Non riesco più a fare un nodo! Adesso sto ricamando indumenti per il
bambino, sebbene abbia già ceste piene di coperte, biancheria da notte e calzine
fatte a maglia. Arrivano regali per lui tutti i giorni.
L'abate Vermond mi legge un libro mentre mi riposo. Axel è spesso via con i
soldati negli accampamenti vicino alla costa. La mia vita è molto monotona e la
mia pancia diventa più grossa ogni settimana. Dopo il parto certamente non avrò
più la vita sottile.
1° settembre 1778
Versailles è piena di nobili. Arrivano dalla campagna, ignorando la stagione della
caccia e occupando tutte le stanze disponibili, perfino quelle piccole e fredde nel
sottotetto. Vogliono essere qui per la nascita del mio bambino.
L'evento dovrebbe aver luogo in dicembre, ma come tutti sanno i bambini talvolta
nascono prima del termine stabilito.
Il dottor Vermond ha ordinato che la mia camera da letto sia perfettamente
sigillata in modo da rimanere calda per il momento del parto. Le finestre sono
state chiuse e ogni piccola fessura è stata otturata con colla e vernice. Le porte
della stanza sono state inchiodate a eccezione di una sola lasciata aperta per
permettere al personale di entrare e uscire. Stanno sistemando alti paraventi tutto
intorno al letto per garantire almeno un minimo di riservatezza.
È molto importante che ci siano testimoni ad assistere al parto e sono preparata a
questo fatto. Io stessa, insieme a Luigi e dozzine di altre persone, ho assistito a
tutti e tre i parti di mia cognata Maria Teresa e ho visto molto bene che i neonati
sono usciti dal suo corpo e non sono stati segretamente prelevati da fuori e
introdotti nella culla.
Nella famiglia reale di Francia non devono esserci imbrogli. In tutte e tre le
occasioni, durante il travaglio Maria Teresa ha gridato, imprecato e dato sfogo a
tutta la sua paura. Io sarò coraggiosa. Non darò un simile spettacolo.
Voglio che mio figlio sia fiero di me. Un giorno quando sarà re, voglio che altri
gli dicano: «Sì, ero presente il giorno in cui siete nato. Vostra madre vi ha
partorito coraggiosamente. Non ha quasi emesso un lamento».
2 novembre 1778
Non sapevo che fosse possibile che il ventre di una donna piccola potesse tendersi
così tanto. Non riesco più a camminare normalmente, ho un'andatura oscillante
come una papera. Compio oggi ventitré anni, ma nessuno tranne maman si ricorda
del mio compleanno. Tutti mi osservano, ansiosi di cogliere sul mio viso
un'espressione di dolore, di sentirmi ansimare o di vedermi tenere il ventre con le
mani. I domestici hanno organizzato una lotteria, scommettendo sul giorno della
nascita del bambino. Luigi l'ha proibito, ma tutti continuano ugualmente a
comprare e vendere i biglietti, compreso Chambertin.
18 novembre 1778
Oggi è stato lanciato con forza nel mio salotto un mattone che ha fracassato i vetri
della finestra. Era avvolto in un osceno opuscolo con rozzi disegni che mi
rappresentavano nell'atto di fare sesso con altre donne. «Abbasso la cagna
austriaca!» era scritto sul rovescio del libello. Sophie l'aveva buttato via, ma
Amélie l'ha trovato e me l'ha portato da leggere. È molto strano che adesso che
sono innamorata di Axel e vedo Eric raramente Amélie mi detesti più che mai.
20 dicembre 1778
Ieri mattina mi sono svegliata con un terribile dolore alla schiena, che non mi è
passato neppure quando Sophie mi ha portato l'infuso di corteccia di salice che di
solito lo allevia.
Il dottor Vermond è stato chiamato dalla stanza accanto e subito ha ordinato che
mi stendessi sul letto preparato per il travaglio. Mi hanno aiutata a coricarmi e in
breve ho cominciato a sudare poiché un fuoco vivo ardeva nel camino e la stanza
era molto calda.
Il dolore si è esteso al ventre e mi sono resa conto che doveva essere iniziato il
travaglio. Sophie ha allacciato la cintura benedetta da santa Radegonda e io ho
tenuto stretto in mano il rosario di grani d'avorio che mia madre mi aveva regalato
a Schònbrunn, quando ero piccola. Ho cercato di non pensare a tutte le donne di
cui avevo sentito raccontare che erano morte di parto. Mi sono ricordata di quello
che mi aveva detto il dottor Boisgilbert: che ero una ragazza forte, in grado di
affrontare bene il travaglio e il parto. «Sono una ragazza forte» mi sono detta più
volte in mezzo alle fitte lancinanti. «Sono una ragazza forte, sono abbastanza forte
da affrontare qualsiasi cosa.»
Axel è entrato nella stanza con Luigi e i suoi fratelli e cugini. Poco dopo sono
arrivati anche Maurepas, Vergennes e gli altri ministri e io ho cominciato a
provare molto imbarazzo. Gli enormi paraventi che incombevano tutt'intorno al
letto, facendomi da schermo, mi riparavano un po' dagli spettatori, ma mi davano
anche un senso di soffocamento.
Ho fatto chiamare Sophie perché mi sventagliasse, ma il dottor Vermond ha
ordinato subito che venisse allontanata.
Ha anche ordinato che Mufti fosse tolta dal mio letto, cosa che mi ha fatto
piangere. Dorme sempre accanto a me. Mi è di conforto e adesso è così vecchia
che non può certo dare fastìdio a nessuno.
Sentivo il mormorio della conversazione e lo scalpiccio di molti piedi nelle stanze
adiacenti alla mia camera da letto e fuori nel corridoio. Sapevo che si stavano
radunando i cortigiani e i dignitari venuti da fuori, in attesa di essere ammessi
nella camera da letto. Fra una contrazione e l'altra mi sono domandata, chissà
perché, quali domestici avrebbero vinto la lotteria.
Dopo un'ora, i dolori sono diventati più forti; io ho stretto i denti, mi sono avvolta
il rosario intorno al polso e, a ogni nuovo spasmo, mi sono aggrappata alle corde
che tenevano fermi i paraventi. Ho sentito Luigi Saverio e Maria Giuseppina che
chiacchieravano fra loro dicendo che erano affamati e domandandosi quando
sarebbero potuti andare a mangiare, e avrei voluto gridare: «Ma non
capite che sto soffrendo?».
Le forti contrazioni si susseguivano straziandomi e io ho pensato che quel
tormento non sarebbe potuto continuare ancora per molto tempo, che io non avrei
potuto sopportarlo a lungo, altrimenti sarei sicuramente morta.
Vedevo il conte Mercy che si aggirava in fondo alla stanza, dietro ad Axel, Luigi,
i suoi parenti e i ministri. Aveva l'aria inquieta.
«Non potete affrettare le cose?» ha chiesto Luigi al dottor Vermond. «Deve pur
esserci qualche erba, qualche pozione medicinale...»
«La natura deve fare il suo corso» ha risposto il medico, cominciando a lanciarmi
occhiate nervose; poi ha dato uno strattone al panciotto e si è passato le mani nei
radi capelli grigi, facendo aumentare la mia angoscia.
Ho allungato la mano verso Sophie, che si era intrufolata fra me e il dottore,
ignorando le sue imperiose rimostranze, e lei me l'ha stretta.
«Poverina, poverina» ha detto «state passando un momento così brutto.»
«E se non ce la faccio?» le ho sussurrato.
Lei mi ha stretto forte la mano mentre un'altra ondata di dolore mi assaliva,
lasciandomi senza fiato, in lacrime e spossata.
«Ce la farete, ce la farete, ma forse avete bisogno di aiuto. Vado a chiamare la
levatrice.»
Si è allontanata da me ed è uscita. Mi sono accorta che erano entrate altre persone,
che sussurravano e si aggiravano per la stanza. Mi è sembrato di scorgere Loulou
che, con il viso ancor più pallido del solito, se ne stava appartata in un angolo.
Dopo pochi minuti Sophie è rientrata con una contadina, grossa e dall'aspetto
competente.
«Questa è la persona di cui vostra moglie ha bisogno» ho udito che Sophie diceva
a Luigi. «Una vera levatrice.»
Ho sentito un paio di mani estranee scorrermi sulla pancia e tastarmi in mezzo alle
gambe. Ho avuto un fremito. Il dottor Vermond stava protestando ad alta voce.
Poi, all'improvviso, ho avuto la sensazione che una morsa di ferro mi afferrasse il
ventre e me lo stringesse senza pietà. Non sono riuscita a trattenermi e ho urlato.
L'atmosfera nella stanza si è subito fatta tesa e ansiosa. Il mormorio delle voci è
cessato. Sentivo il fuoco scoppiettare nel camino.
«La testa. Devo riuscire a spostare la testa» ha detto la levatrice e ha cominciato a
darmi colpi e spinte.
«Portate via quella donna!» ha urlato il dottor Vermond. «Sono io il responsabile
qui!»
«Allora dovete girare il bambino» gli ha detto in tono tranquillo la levatrice,
togliendo le mani dal mio corpo e asciugandosele nella gonna «altrimenti
moriranno tutti e due.»
Il dottor Vermond è sbiancato in viso e ha fatto un passo indietro. «Devo
consultare... i... miei colleghi. Si tratta di un caso difficile. Non sono stato...
adeguatamente informato...»
Più esitava nel parlare, più sbiancava in viso e si allarmava. Con la coda
dell'occhio ho visto Loulou che si avvicinava al letto, poi chiudeva gli occhi e
cadeva per terra. C'è stato subito uno scompiglio, l'hanno sollevata e portata fuori.
Luigi si è messo a gridare al dottor Vermond: «Fate quello che dice lei! Girate il
bambino!». La sua voce era forte, ma la mia lo è stata ancora di più, allorché è
arrivata un'altra terribile, prolungata, straziante fitta di dolore. Ho
urlato di nuovo.
«Ci siamo! La regina sta partorendo il bambino!» All'udire le mie urla, la folla in
attesa nel corridoio si è fatta impaziente. Si è sparsa rapidamente la voce che il
bambino stava per nascere.
Non è stato possibile trattenere i nobili e i cortigiani che aspettavano da diverse
ore di essere ammessi nella camera da letto. Sono entrati come un fiume in piena
attraverso l'unica porta aperta e sono venuti verso di me, a decine, tutti insieme. In
un primo momento ho pensato che avrebbero travolto i paraventi facendomeli
cadere addosso e che sarei rimasta soffocata.
All'improvviso la stanza è diventata insopportabilmente calda e io non riuscivo a
respirare. Ero terrorizzata, assolutamente terrorizzata, e in preda a un dolore così
insopportabile che ogni cosa - la gente, le pareti, il bagliore del fuoco nel camino -
ha cominciato ad annebbiarsi davanti ai miei occhi.
Poi ho udito la voce di Axel. Forte, autoritaria, rassicurante. «Sire» diceva «se il
vostro medico vuole consultare un collega, ho proprio la persona giusta.» Mi sono
sforzata di rimanere vigile. Attraverso la nebbia che mi offuscava la vista sono
riuscita a scorgere un uomo in piedi accanto ad Axel, un uomo dall'aspetto
piacevole in un abito nero con una parrucca dai capelli raccolti dietro in una
reticella.
«Questo è il dottor Sundersen e viene da Stoccolma. Ha fatto nascere tutti i
bambini della regina di Svezia.»
Lo svedese si è inchinato a Luigi. «Posso visitare vostra moglie?»
«Sì, sì. Che qualcuno faccia qualcosa!»
Mi stavo contorcendo impotente e i gemiti che mi uscivano dalla bocca erano
simili agli urli pietosi di un bovino ferito.
Il dottor Sundersen ha fatto un cenno alla levatrice, la quale ha ripreso le dolorose
manipolazioni del mio ventre, mentre lui mi tastava il polso ed estraeva dalla
borsa i suoi lucidi strumenti.
Poi ha guardato la donna e le ha detto: «Sono molto contento che siate qui. Noto
spesso che le levatrici sanno cose che noi medici ignoriamo. Dottor Vermond,
senza dubbio lei stava per fare un salasso alla paziente da un piede. La prego di
procedere adesso».
Ho sentito un'incisione dolorosa quando il medico francese, grato di potersi
mostrare utile, mi ha aperto una vena fra le dita del piede e vi ha tenuto sotto una
bacinella mentre il sangue rosso scuro colava lentamente.
Il dottor Sundersen e la levatrice lavoravano insieme in perfetta sintonia e io,
malgrado il dolore e la spossatezza, ho cominciato a sentirmi finalmente in buone
mani. Fra una contrazione e l'altra, ho cercato di fissare lo sguardo su Axel, che
era in piedi accanto a Luigi con un'espressione di grave preoccupazione
sull'adorato viso. Anche in quei momenti di agonia, ho pensato che lui mi era più
caro di qualsiasi cosa al mondo, più caro della vita stessa.
«Ecco» ho sentito che la levatrice diceva, sovrastando il frastuono crescente nella
stanza. «Adesso uscirà, la testa è libera.»
«Vostra Altezza, desidero che vi concentriate» mi ha detto a questo punto il dottor
Sundersen. «Ho bisogno che rimaniate sveglia. Voglio che chiamiate a raccolta
tutte le vostre forze. Dovete impegnarvi adesso più di quanto abbiate mai fatto in
vita vostra. Non ci vorrà molto tempo. Lo facciamo insieme, volete?»
«Sì» ho risposto, con tutta la forza e il coraggio che sono riuscita a trovare. E,
mentre rispondevo, sapevo che sarei stata capace di mettere al mondo il mio
bambino.
«Spingete contro la mia mano» mi ha esortata il medico «come se doveste
sollevare un edificio molto alto.»
Ho fatto come mi diceva, senza quasi più sentire il dolore, né gli ignobili applausi
e fischi che erano cominciati nella stanza, né il caldo afoso e soffocante. Tutta la
mia concentrazione, tutti i miei sforzi erano volti a spingere in alto e fuori contro
la mano forte del medico. Anche la levatrice spingeva con forza sul mio ventre
con una mano, stringendomi il braccio con l'altra e parlandomi in tono
incoraggiante.
Ho avvertito il freddo di un oggetto metallico introdotto dentro il mio corpo e la
fuoriuscita di un fiotto di liquido e poi l'ansimare eccitato degli spettatori, alcuni
dei quali, mi sono resa conto, erano saliti sui mobili per vedere meglio quello che
succedeva al mio corpo.
«Ecco che arriva. Ancora un piccolo sforzo. Ancora una spinta.»
In quei momenti mi sono davvero impegnata come mai prima d'allora, emettendo
grugniti come uno sterratore.
Si è udito un evviva, è scoppiato un applauso e ho capito che stava nascendo il
mio bambino. Finalmente, mio figlio. L'erede al trono. Il nuovo sovrano...
All'improvviso, con orrore, l'applauso è cessato e gli evviva si sono trasformati in
mormorii sommessi.
Il dottor Sundersen ha sorriso, sollevando in alto il neonato urlante, sporco di
sangue e grinzoso perché potessi vederlo.
«La vostra bambina è perfetta, Vostra Altezza. Una principessa per la Francia.»
Sono svenuta. Questo accadeva ieri. Oggi mi sto riprendendo: riposo nella mia
camera da letto, ancora piena di vassoi di dolci sbocconcellati, di bucce d'arancia,
gusci di noccioline e vecchi giornali abbandonati da Luigi e dagli altri. Le mie
cameriere sono troppo occupate a guardare la neonata e a portarmi doni e
messaggi di congratulazioni, per trovare il tempo di fare pulizia. Mufti dorme sul
mio letto e i carlini scorrazzano, rincorrendosi e abbaiando freneticamente
quando entra un visitatore.
Malgrado il trambusto, la neonata continua a dormire pacifica, piccola, graziosa e
affamata di latte quando è sveglia. Naturalmente è una terribile delusione.
Avrebbe dovuto essere un maschio. La gente mi considera un fallimento,
sebbene Luigi sostenga che non dovrei badare a quello che dicono gli altri;
dobbiamo pensare al futuro e ad avere dei maschi.
Ma io penso che non affronterò mai più una prova simile.
La mia piccina, la mia Maria Teresa, però, mi è tanto preziosa. L'amo molto più di
quanto non avrei mai immaginato. La mia adorata, cara piccina. Cercherò di
essere per lei una madre tanto buona quanto lo è stata la mia per me, ma non la
rimprovererò né la criticherò altrettanto.
Axel è venuto a trovarmi oggi pomeriggio. Ufficialmente veniva a portarmi le
congratulazioni del re Gustavo di Svezia e un dono, la statuetta di un angelo di
Natale con le ali dorate e un'aureola di candeline accese sul capo.
Nella camera erano presenti altre persone, perciò non siamo riusciti a parlare
come avremmo desiderato. Ma, nel congedarsi, Axel mi ha preso la mano e l'ha
baciata e ci siamo scambiati uno sguardo fugace che esprimeva tutto il nostro
amore.
«Grazie, conte Fersen, per tutto quello che avete fatto ieri per la Francia» gli ho
detto quando si è alzato per andarsene. «Voi e il dottor Sundersen mi avete
salvato la vita.»
VI.
2 gennaio 1779
Mi sento ogni giorno più forte. Sto prendendo la radice di lappola, che dovrebbe
mettermi in grado di avere presto un altro figlio, e la piccola Maria Teresa ha una
balia che l'allatta per cui dovrei in breve tempo perdere il latte. Luigi sostiene che
dobbiamo avere subito un maschio in modo che nessuno possa dire che siamo
incapaci di generarlo. Dice che nelle famiglie reali le figlie sono una maledizione
per il trono, se sono troppe, e io so che è vero. La mamma mi ha raccontato che,
all'epoca del suo primo parto, quando è nata Anna, la mia sorella maggiore,
nessuno a corte le ha dato pace finché tre anni dopo non ha dato alla luce
Giuseppe.
20 gennaio 1779
Sophie mi ha portato dell'aglio in un sacchettino e me l'ha messo accanto al letto.
Dice che devo annusarlo quotidianamente. Se un giorno, al mio risveglio, non
riesco a sopportarne l'odore, vuol dire che sono incinta. Io lo annuso tutti i giorni
e qualche volta anche di notte quando non riesco a dormire o quando Luigi mi
sveglia russando rumorosamente.
14 febbraio 1779
Ho dato alla mia piccola Maria Teresa il soprannome di «Mousseline» che era il
vezzeggiativo usato da mia madre per mia sorella Giuseppina. Cominciano a
crescerle i capelli che sono color biondo chiaro come i miei. Ha gli occhi grigi e
quando mi guarda ha uno sguardo molto penetrante. Non sorride ancora. Non ha
le gengive gonfie né dolenti, per cui non ci sono segni che stiano per spuntarle
i dentini da latte.
L'ho portata da Luigi durante l'udienza mattutina e tutti si sono affollati intorno a
guardarla e a osservare anche me, perché sperano di vedermi di nuovo incinta.
28 febbraio 1779
Luigi mi ha fatto uno scherzo crudele. Sa che annuso l'aglio nel sacchettino
accanto al letto, nella speranza che venga il giorno in cui non riuscirò a
sopportarlo e allora saprò che sono incinta.
Ha sostituito l'aglio con assafetida, che come tutti sanno ha un odore molto
diverso. Un lezzo, in realtà. Annusando il sacchetto, ho capito che c'era qualcosa
che non andava. Il mio olfatto aveva percepito qualcosa di diverso. Ciò
significava che ero incinta.
Sono corsa a dirlo a Sophie. «Non sento l'odore dell'aglio. Sento un'altra cosa. E
orribile.»
Lei ha annusato il sacchettino e ha fatto una smorfia. «Qualcuno vi ha fatto uno
scherzo» ha detto. «Dev'essere stata quella ragazza impertinente, quell'Amélie.»
Ma Amélie non era nei pressi della mia camera e non vi veniva da diversi giorni.
Poi ho scorto Luigi in corridoio, che ridacchiava fra sé. Ho capito che doveva
essere stato lui a sostituire l'aglio con qualcos'altro. Continua a studiare erbe e
piante e ne ha una grande quantità nelle sue stanze nelle soffitte.
Non ho detto niente a Sophie, ma quella sera, quando è venuto nel mio letto, l'ho
rimproverato e lui, chinando la testa per l'imbarazzo, ha confessato il misfatto.
«Era solo assafetida. Non vi ha fatto alcun male. Pensavo che fosse divertente» ha
ridacchiato.
«È crudele scherzare sulle cose importanti.»
«Devo scherzarci sopra» ha risposto con la voce bassa e stanca mentre saliva sul
letto «altrimenti non riuscirei ad andare avanti. Detesto fingere di essere quello
che non sono.»
«E cioè?»
«Essere re, naturalmente.»
«Ma siete il re. Il sacro, unto, legittimo re di Francia.»
«Entrambi sappiamo che si tratta solo di una messinscena. Inoltre, vi ho spiegato
molte volte che sarebbe spettato a mio padre regnare. Oppure al maggiore dei
miei fratelli. Non sarebbe mai dovuto spettare a me.»
«Queste sono solo scuse.»
«È qui che avete torto. Ho elaborato la "teoria del destino sbagliato". Finora l'ho
confidata solo a Chambertin e a Gamin.»
Non ho replicato. I ragionamenti di Luigi prendono strane pieghe. Mi ci sono
abituata.
«Secondo la mia teoria, alcuni uomini sono spinti dal destino a occupare dei posti
ai quali non erano stati destinati alla nascita. Questi uomini sono condannati a non
essere mai all'altezza del ruolo che è stato loro imposto.
Quando ciò avviene si tratta davvero di una tragedia. Una tragedia degna della
penna del grande Racine.»
Ho sospirato. «Be', potrebbe anche essere vero, ma d'ora in poi lasciate stare il
mio aglio. E per quanto riguarda i nostri destini, il vostro e il mio, dobbiamo
semplicemente fare del nostro meglio ogni giorno e non pensare troppo alle
tragedie. Mercy mi dice sempre di cercare di avere un atteggiamento positivo e
allegro.»
«Mercy vi tratta come una sempliciotta.» Ho evitato di controbattere. Il conte
Mercy, che si è sempre dimostrato gentile con me quando altri erano sgarbati,
certamente mi considera assai più avveduta di Luigi. E molto più coraggiosa.
«Il conte e io siamo in buoni rapporti» mi sono limitata a dire e ho lasciato cadere
la conversazione. Spesso trovo noiosi i profondi ragionamenti di Luigi. Non ha
successo come sovrano, lo sa, e cerca di trovare scuse, anziché sforzarsi
di migliorare. Se solo ascoltasse i buoni consigli!
1° aprile 1779
Il «generale Krottendorf» è molto in ritardo e non riesco a sopportare l'odore
dell'aglio. Credo di essere nuovamente incinta. La mattina ho la nausea. Pavento
già il dolore che dovrò affrontare, ma ho fatto promettere a Luigi di far venire di
nuovo il dottor Sundersen e l'abile levatrice trovata da Sophie, oppure un'altra
altrettanto brava.
Abbiamo deciso di aspettare prima di annunciare la mia gravidanza, come
avevamo fatto per Mousseline. Un mese è sufficiente, secondo Luigi. Riesco a
fatica a trattenermi dallo scrivere a maman. Se soltanto potessi dirglielo di
persona! Luigi scherza dicendo che dovremmo chiamare nostro figlio Aglio.
2 maggio 1779
Ieri sono stata molto male e ho perso il bambino. Sophie mi è stata vicina tutto il
tempo. Quando ha vuotato il vaso da notte ha notato del sangue nell'urina e ha
capito subito che la gravidanza era finita.
«Probabilmente era un maschio» mi ha detto. «Quando si abortisce si tratta il più
delle volte di un maschio, dicono le levatrici, e loro lo sanno.»
«Ma questo è terribile» ho replicato attraverso le lacrime.
«No, è un buon segno. Significa che siete capace di fare anche i maschi, oltre alle
femmine. Il prossimo sarà più forte. Sarà in grado di sopravvivere.»
Prego perché abbia ragione.
16 agosto 1779
Oggi il fratello minore di Luigi, Charlot, è venuto a prendermi per portarmi alle
corse. È arrivato con un terribile fracasso alla guida del suo nuovo calesse verde,
che per poco non si è rovesciato nel cortile. È molto leggero e fragile, con ruote
alte e sottili, privo di tetto e quasi privo di fiancate.
Luigi non mi avrebbe mai permesso di salirvi se l'avesse visto. Ma Luigi è via, a
caccia, e quindi posso fare ciò che voglio.
«Vostra Maestà» ha gridato Charlot mentre mi avvicinavo alla carrozza. «Il
"Diavolo" è al vostro servizio.» Era vestito tutto di bianco, dall'elegante parrucca
al farsetto di broccato ricamato, alle scarpe di raso con le fibbie d'argento. Capivo
che aveva bevuto perché vacillava, mentre, in piedi, teneva le redini dei cavalli
irrequieti. Ho sorriso. Charlot mi fa quasi sempre sorridere e ridere.
Il postiglione mi ha aiutata a salire sulla vettura e io ho sentito la sua delicata
struttura vibrare sotto di me mentre mi sedevo sulla stretta panca imbottita e
Charlot si lasciava cadere al mio fianco.
«E voi siete davvero il diavolo, o si tratta solo di un'ignobile
maldicenza?»
«Il diavolo non sono io, Vostra Maestà, ma questo meraviglioso veicolo. È il
"Diavolo Incarnato", perché è così pericoloso! E così veloce, così seducente!»
Mi sono tenuta aggrappata forte mentre correvamo lungo la strada polverosa e il
calesse si abbassava e s'inclinava a ogni solco e a ogni buca; la scorta di guardie a
cavallo galoppava con fragore dietro di noi. Raggiunto l'ippodromo, le corse mi
sono parse meno emozionanti della scarrozzata sul calesse. Charlot si è offerto di
farmi fare un altro giro, la settimana prossima.
Gli ho risposto che ci sarei andata, se lui avesse promesso di non dirlo a Luigi.
Lui ha sbuffato. «Lo verrà a sapere di sicuro. Ci sono sempre persone ansiose di
raccontargli tutto quello che fate e dove andate. Sapete bene quali storie circolano
su di noi: che siamo amanti, che voi siete la mia compagna di sfrenatezze, che
insieme spendiamo più denaro di quanto riescano a raccoglierne gli esattori delle
tasse.»
«Tutti sciocchi pettegolezzi. Inoltre, si sa che preferisco gli uomini più anziani,
come il conte di Giverny.» A quest'affermazione abbiamo riso entrambi. Il conte
ha più di settantanni.
Sono smontata dal calesse traballante e ho salutato Charlot.
«Vado a Parigi» ha gridato lui, mentre faceva schioccare la frusta sul dorso dei
cavalli «per un'altra notte di vino, donne, e canti!»
Mi ha tirato su di morale, cosa di cui ho molto bisogno.
Charlot non può immaginare quanto la sua compagnia sia un vantaggio per me:
fino a quando le malelingue parlano della mia relazione con lui, tacciono sul mio
vero amore, Axel. I nostri preziosi momenti d'intimità rimangono un segreto,
eccetto che per la fedele Loulou e la discreta Yolande. Talvolta penso che Luigi
sappia tutto e accetti che Axel e io ci amiamo, perché il conte è uno dei pochi
uomini in cui lui sente di poter trovare amicizia e consiglio. Luigi e io, comunque,
non abbiamo mai parlato dei miei sentimenti per Axel e forse la mia è
un'impressione sbagliata. Forse Luigi non sospetta e non si rende conto di nulla.
3 settembre 1779
Oggi Mousseline ha detto molto chiaramente «mamma». Solo che l'ha detto alla
sua balia.
13 ottobre 1779
Ho decretato che tutte le donne a corte devono portare le piume. Piume di struzzo,
piume di pavone, piume di pappagallo. Naturalmente nel giro di poche ore dal
mio annuncio tutti i negozi di Parigi avevano venduto tutte le piume che avevano.
I volatili dello zoo di corte sono stati portati in un luogo segreto per proteggerli
dai cacciatori di piume armati di fucili.
13 dicembre 1779
Il freddo ha costretto gli operai a sospendere i lavori di ristrutturazione che sto
facendo fare al Petit Trianon. Non si può accendere il fuoco in nessuno dei camini
perché stanno installando le nuove caminiere. Di conseguenza, l'edificio è
terribilmente freddo. I falegnami non possono lavorare per i geloni alle dita.
Sono arrivate le prime fatture per le opere di restauro e sono risultate piuttosto
alte. Gli architetti, interrogati, hanno risposto in modo evasivo. Dopo averci
ripensato e aver fatto qualche indagine, ne ho capito il motivo: gli architetti
ricevono una percentuale su ogni somma addebitata alla tesoreria reale!
Quando me ne sono resa conto, mi sono molto arrabbiata e sono andata a
informarne Luigi. L'ho trovato in soffitta, nella stanza in cui fabbrica serrature
con il mastro fabbro, Monsieur Gamin. Vi trascorre sempre più tempo, lontano
dalla gente e dai ministri.
Al mio ingresso, ha alzato gli occhi dalla sua attività e mi ha salutata, ma senza
interrompere quello che stava facendo. Era seduto al suo banchetto, chino su un
complicato congegno meccanico. Il piano di lavoro era cosparso di pezzi di
metallo.
«Luigi, devo parlarvi.»
«Va bene.»
«Il costo della ristrutturazione è troppo elevato. Gli architetti caricano le spese. Li
ho colti in fallo.»
«Non ne dubito.»
«Ma... si deve fare qualcosa! Tutto questo deve finire!»
«Mandate i conti a Monsieur Necker.»
«Sì, so che credete che Monsieur Necker sia in grado di risolvere tutti i nostri
problemi finanziari, ma sono quattro anni che riceve i conti da questi architetti e li
paga!»
Luigi si è asciugato la fronte. Era impegnato a inserire un frammento di metallo
fra due pezzi più grandi. Dopo vari tentativi falliti, ha fatto una pausa prima di
portare a termine l'operazione.
«Se ha pagato i conti, vuol dire che quel denaro è dovuto. Non mi preoccuperei
della cosa.» Ho percepito la tipica nota di esasperazione che assumeva la sua voce
quando un argomento lo irritava.
«Non siete stato voi a ripetere in continuazione: "Economia, economia!"?»
«Ma questo avveniva prima.»
«Prima di cosa?»
«Prima di scoprire la situazione disperata delle nostre finanze.»
«E adesso?»
«E adesso lascio ogni cosa al genio, al mago, Monsieur Necker.»
«Allora andrò a lamentarmi con lui.»
«Lamentatevi pure, non cambierà nulla.» L'ho lasciato lì, chino sui suoi
complicati congegni, e sono tornata nei miei appartamenti. Il pomeriggio
successivo ho convocato Monsieur Necker che, entrando, mi ha fatto un inchino e
un amabile sorriso. L'avevo visto molte volte, ma non avevo mai avuto un
colloquio con lui. È un uomo grande, prestante, dal portamento imponente, con
la mascella prominente e un buffo viso un po' scimmiesco. Ha l'aspetto lustro ed
elegante, ben pasciuto e avvezzo alle comodità. Ho sentito dire che possiede un
immenso patrimonio personale.
«In cosa posso servirvi?» ha chiesto.
Gli ho mostrato le fatture che mi erano arrivate per i lavori di restauro del Petit
Trianon. «Queste somme sono troppo elevate» mi sono limitata a dire. «Gli
architetti caricano le spese.»
Lui ha preso i documenti e li ha scorsi rapidamente, con un'espressione grave.
«Qui non vedo nulla di sbagliato.»
«Ma le cifre sono il doppio di quelle indicate all'inizio della ristrutturazione.»
«I preventivi vengono sempre superati. È una cosa che ci si aspetta. È impossibile
immaginare prima tutti gli imprevisti.»
Facevo fatica a mantenere la calma. «Se guardate i conti con maggiore attenzione,
potrete vedere che gli architetti hanno aggiunto compensi per lavori che non
hanno svolto.»
Monsieur Necker si è stretto nelle spalle. «Hanno incluso nel conto il lavoro di
supervisione.»
Qualcosa nel suo atteggiamento mi ha messo in guardia. Era altrettanto evasivo
degli architetti quando li avevo affrontati. Perché? L'ho osservato mentre impilava
ordinatamente le fatture e le metteva da parte. Ho pensato che fosse in combutta
con loro. Che fosse corrotto. Che non ci fosse nessuno di cui ci si potesse fidare e
che si adoperasse con onestà per il bene della Francia.
Monsieur Necker ha incontrato il mio sguardo. C'è stato un lampo d'intesa fra noi.
«Madame» ha detto dopo una pausa «gli architetti fanno un lavoro di supervisione
e vengono pagati per questo. Io controllo le finanze reali e coloro che mandano le
fatture e anch'io vengo pagato per questo. Il vero problema non è quanto sono
salate le fatture, ma piuttosto come si possono trovare i soldi per pagarle. Ecco
dove posso essere utile io.»
Si è avvicinato a uno stipo intagliato in cui tengo una collezione di preziose
statuine di porcellana. Le ha osservate, come per stabilirne il valore, poi si è
voltato di nuovo verso di me.
«Conosco i banchieri. Parliamo la stessa lingua. Posso persuaderli a versare
denaro quando altri non ci riescono. Ecco dove sta la mia abilità. Allo stesso
modo, gli architetti conoscono i costruttori e i decoratori. Parlano la stessa lingua.
Sono in grado di garantire che il lavoro venga fatto bene e puntualmente. Ecco
dove sta la loro abilità. Credo di avervi chiarito il mio punto di vista. Vi auguro di
trarre soddisfazione dalla ristrutturazione.»
Rendendomi conto dell'inutilità di proseguire la conversazione, vi ho posto fine.
17 marzo 1780
Questa sera tutti i giardini del Petit Trianon sono stati illuminati in onore del re
Gustavo di Svezia in visita a corte. I fuochi ardevano in un profondo fossato che
circonda i boschetti, i laghi e le aiuole. Le candele accese in migliaia
di ciotole gettavano bagliori tremolanti sugli alberi, facendoli brillare di un verde
fulgido. Era uno scenario fiabesco, misterioso e magico. Il Tempio dell'Amore
risplendeva di una luce arcana: sembrava che il marmo prendesse luce
dall'interno.
Axel è venuto avanti in tutto il suo splendore, così bello, così nobile nei
lineamenti e nel portamento, e mi si è avvicinato, mentre ero seduta su una panca
di legno in riva al lago.
L'aria era tiepida, malgrado sia il mese di marzo, e odorava di lavanda e
gelsomino per via delle piante in fiore che erano state portate fuori dalle serre. La
luce dei fuochi si rifletteva sulla superficie del lago, sui bottoni d'oro
dell'uniforme bianca di Axel e sulle medaglie che gli pendevano sul petto.
Si è seduto accanto a me e mi ha presa fra le braccia. Ho pensato che non avevo
mai conosciuto una felicità così completa e perfetta. Siamo rimasti seduti lì per
oltre un'ora, avvinti l'uno all'altra, mentre le luci, che giocavano fra gli alberi, si
attenuavano, le stelle diventavano più luminose e sorgeva la luna.
7 aprile 1780
Re Gustavo parte fra due giorni. Oggi pomeriggio è venuto per l'ultima udienza
con Luigi, accompagnato da Axel e da varie altre persone. Luigi l'ha ricevuto nel
Salone Cinese ed ero presente anch'io con alcune delle mie dame di corte. Luigi
ha consegnato al sovrano una medaglia che lo nominava Cavaliere del Giglio
d'Oro e io gli ho donato alcuni splendidi vasi in porcellana di Sèvres e arazzi della
manifattura Gobelins. Gustavo ci ha ringraziati per la nostra ospitalità e poi ci
ha colti di sorpresa, dicendo: «Vorrei invitare le Vostre Maestà a farmi visita alla
mia corte. Per aiutarmi nella creazione di una Versailles svedese».
«Forse un giorno verremo» ha replicato Luigi in tono asciutto.
«Oh, sire, non mi avete capito. Vorrei che veniste molto presto. Quest'estate.»
«Impossibile» ha detto Luigi. «C'è bisogno di me qui.»
«Non è necessario che vi tratteniate più di qualche settimana.»
«Ci vuole qualche settimana solo per raggiungere il vostro lontano paese. No, non
posso.»
I miei pensieri correvano: la Svezia; Axel; un periodo da trascorrere con lui...
Re Gustavo mi ha lanciato un'occhiata, poi si è rivolto nuovamente a Luigi. «Che
peccato che Vostra Maestà sia impegnata! Ma forse potrebbe venire la vostra
graziosa regina? Apprezzerei davvero i suoi consigli nella sistemazione
del mio palazzo. Ha un gusto squisito.»
Io ho sorriso. «E io sarei felice di visitare il vostro bellissimo paese.»
Luigi è stato colto alla sprovvista da questo inatteso sviluppo della situazione.
Muoveva nervosamente la bocca, stringeva gli occhi. Nella stanza regnava un
gran silenzio mentre lui meditava una risposta. Io non osavo guardare Axel.
Finalmente Luigi è sbottato.
«Sì! Sì, verrà... ma solo per uno o due mesi. Dev'essere di ritorno prima che faccia
freddo.»
In Svezia fa sempre freddo, avrei voluto replicare, ma mi sono trattenuta.
«Vostra Altezza è molto generosa» ha detto re Gustavo, e poi si è rivolto a me:
«Faremo del nostro meglio per farvi sentire a vostro agio in Svezia, mia cara».
Quindi, mi ha baciato la mano, ha fatto un inchino a Luigi che ha risposto con un
cenno del capo, e infine ha preso congedo. Uno alla volta i membri del seguito del
sovrano hanno baciato la mano che avevo teso loro... per ultimo Axel che,
raddrizzandosi, mi ha sorriso ammiccando.
VII.
20 giugno 1780
Eccomi qui; il mio orologio segna la mezzanotte, eppure il cielo è chiaro. Non è la
luce brillante della luna, ma è sufficiente per leggere. Che posto straordinario è
questo!
E che straordinari cambiamenti sta producendo in me! Mi trovo nel palazzo di
Drottningholm, in Svezia, da quasi tre settimane. Ogni giorno m'incontro con il
capo degli architetti e dei decoratori del palazzo per i lavori di restauro e
ristrutturazione che sono in corso. Re Gustavo mi chiede continuamente consiglio
sui più vari argomenti, non solo sui progetti riguardanti il palazzo, ma anche sul
modo in cui viene apparecchiata la tavola del re a Versailles e sul numero di
portate servite quando il pubblico è ammesso ad assistere alla cena del re. Nel
piccolo seguito che ho condotto con me in questo viaggio sono compresi
ingegneri, falegnami e giardinieri. Hanno risposto a centinaia di domande di
Gustavo sulle fognature del palazzo e sul restauro delle fontane all'aperto,
sull'utilità dei girasoli per tenere lontane le zanzare e sui sistemi di copertura e
riparazione dei tetti. In tutta la vita, nessuno si è mai rivolto a me con tale
assiduità per avere consigli e assistenza. E scopro che la cosa mi piace parecchio!
Anche Luigi si appoggia molto a me, ma le sue richieste di aiuto sono sporadiche.
Lunghi intervalli di tempo passano tra l'uno e l'altro dei suoi accessi di panico. E
ciò di cui Luigi ha realmente bisogno io non posso fornirglielo. Non posso
rinforzargli la spina dorsale né aiutarlo a tenere alta la fiducia in se stesso.
Posso soltanto dargli l'appoggio della mia presenza e del mio interessamento, che
gl'infondono coraggio fino alla successiva ondata di panico.
Devo cercare di dormire, ma è difficile, anche con le tende chiuse per schermare il
chiarore del sole di mezzanotte.
27 giugno 1780
Questa settimana Gustavo ha convocato, tutti i pomeriggi, un gruppo di alti
funzionari e di uomini dotti per discutere di problemi importanti. Mi ha invitata a
partecipare alle riunioni. Axel è presente per dare il suo contributo al dibattito e
anche per imparare, poiché Gustavo pensa che un giorno dovrà diventare il suo
principale consigliere. Per favorirmi, i partecipanti comunicano in francese, ma il
loro è uno strano francese e io non sempre li capisco, soprattutto quando parlano
in fretta. Axel mi ha insegnato alcune parole e frasi in svedese, per cui riesco a
contare fino a dieci, elencare i giorni della settimana e dire «per piacere»,
«grazie» e «sono lieta di conoscervi».
Non capisco perché tutto ciò avvenga. Perché tutti questi importanti problemi
vengano discussi in mia presenza.
Gustavo dice che vuol sapere che cosa fanno i francesi, che cosa pensano i
francesi. E si rivolge a me per avere la risposta. Io gli faccio presente che non
sono francese, ma austriaca e lui ribatte che sono francese per matrimonio.
Credo che Gustavo voglia fare colpo su di me, oltre che consultarmi sulle usanze
e gli atteggiamenti dei francesi. Axel dice che ho ragione a pensarla così.
1° luglio 1780
Sento la mancanza della mia Mousseline, ma è meglio che lei non sia qui. Ha una
salute cagionevole e in questo paese il clima è molto variabile. Ricevo sue notizie
ogni due o tre giorni e Chambertin mi manda notizie di Luigi, il quale mi ha
scritto di suo pugno solo tre lettere, tutte molto brevi. Nell'ultima ha incluso una
fiala di sciroppo di papavero per aiutarmi a dormire durante le lunghe notti chiare.
Non so perché me l'abbia mandata, a meno che non pensi che la Svezia sia un
paese così arretrato che i farmacisti non abbiano lo sciroppo di papavero. Ma è
una sciocchezza. Qui i negozi sono forniti di ogni sorta di medicinali, oltre che di
splendide pellicce, sculture in legno, giacche, cappelli e caldi guanti di lana.
4 luglio 1780
Nei prossimi giorni re Gustavo sarà impegnato con il Riksdag, il Parlamento
svedese, e Axel mi ha invitata nella sua proprietà, Fredenholm, che significa
«luogo di pace».
6 luglio 1780
Siamo arrivati qui ieri dopo un lungo viaggio attraverso fitte foreste e campi
innevati. Sebbene sia il mese di luglio, nevica e ci sono zone in cui la neve non si
scioglie da un anno all'altro.
La campagna è bellissima, così intatta e così poco abitata. Vaste foreste di abeti e
pini, molti piccoli laghi azzurri, allodole e fringuelli che piombano giù in
picchiata dal cielo.
La purezza e la freschezza dell'aria mi pervadono. Continuo a riempirmene i
polmoni. Mi sembra di non poterne mai avere abbastanza. La proprietà di Axel è
in realtà una grande tenuta agricola di seicento acri e lui affitta i campi a dieci
famiglie che abitano qui dal sedicesimo secolo. Un tempo erano servi della gleba,
ma suo nonno li ha affrancati e adesso sono affittuari, sebbene continuino a
considerare Axel un grande feudatario e si rivolgano a lui per risolvere i loro
problemi e dirimere le loro dispute.
Ho deciso di non portare con me nessuna persona di servizio, per cui mi vesto da
sola e mi pettino in modo molto semplice. Che sollievo non dover sopportare le
interminabili, noiose ore di toilette e tutto quel tempo trascorso davanti allo
specchio con il mio parrucchiere André! Mi sento più me stessa, più viva.
7 luglio 1780
Questa mattina mi sono svegliata al rumore di un'ascia che spaccava la legna e,
affacciandomi alla finestra, ho visto Axel al lavoro: con le maniche della camicia
di tela arrotolate fin sopra i gomiti, divideva in quattro parti alcuni ciocchi di
legno. Mentre lo osservavo, lui ha finito di spaccare metodicamente la catasta di
legna che aveva davanti a sé e l'ha portata in casa, dove in breve ha acceso un bel
fuoco nell'immensa stufa piastrellata, nera di fuliggine. La casa è abbastanza
piccola perché un'unica stufa la riscaldi tutta, fornendo nel contempo l'acqua
calda; c'è anche un forno per cuocere le vivande. Abbiamo fatto una prima
colazione a base di pane fresco, formaggio di latte di renna, pesce pescato la notte
scorsa nel lago e una quantità di dolci bacche prese dai cespugli che crescono
accanto alla porta di casa.
Oggi pomeriggio, dopo aver riempito un cesto di vettovaglie, siamo andati a fare
una passeggiata sulle alture. È difficile dire per quanto tempo abbiamo camminato
perché l'intensità della luce non è cambiata. Quando Axel ha controllato l'ora,
erano le sei passate; allora, ha disteso una coperta su un lembo di terreno asciutto
sovrastante un lago e ci siamo seduti.
«Dunque, mio piccolo angelo» mi ha detto mentre mangiavamo «vi piace questo
posto?»
«È bellissimo e così pieno di pace! E, soprattutto, molto naturale. È questa la cosa
che mi piace di più.»
Axel ha fatto un cenno di assenso. «Così naturale da essere desolato. Eppure c'è
qualcosa qui, qualcosa di incorrotto, che mi costringe ogni volta a farvi ritorno.
Ho sempre trascorso le mie estati in questo posto, da quando ero ragazzo. Amo la
solitudine, la serenità. Ho alcuni cugini che vivono qui vicino e mia sorella,
insegnante, che dirige la scuola del villaggio. Fa del bene in questo posto.»
«Come lo fate voi, del resto.»
Lui si è stretto nelle spalle. «Non lo so. Seguo le orme di mio padre. Era un
soldato, un diplomatico, un uomo di Stato. Non sarò mai all'altezza delle sue
capacità.»
Siamo rimasti in silenzio per un po', a osservare uno stormo di oche che
planavano sul lago. Era uno spettacolo che non avevo mai visto: centinaia di
uccelli neri, grigi e bianchi, tutti identici, che calavano sull'acqua e si mettevano
a nuotare come in formazione, starnazzando aspramente e beccandosi fra loro.
«Mi fa bene stare qui» ha detto Axel dopo un po'. «Mi rigenera. Attività all'aperto
e aria pura. Quando sono a Fredenholm non rimpiango il passato e non pregusto il
futuro. Vivo nell'oggi e sono felice. Forse è per questo che nella vecchiaia mio
padre si è ritirato qui. Per godersi ogni giorno. Era molto malato, alla fine,
consunto dalla tisi. Non riusciva a mangiare quasi nulla e aveva una tosse
terribile. Ma gli piaceva stare seduto in mezzo agli alberi, d'estate, con il suo
grosso cane lupo ai piedi. Era in pace.»
Axel mi ha posato il capo in grembo e io gli ho accarezzato i capelli. In
precedenza non mi aveva mai parlato con tanta intimità della sua famiglia. Io gli
ho raccontato spesso di mia madre e dei miei fratelli e sorelle, specialmente
di Giuseppe e di Carlotta.
Un nome rimaneva sospeso nell'aria fra noi, senza mai venir pronunciato: Luigi.
Anche se non lo abbiamo nominato, io sapevo che era nei nostri pensieri mentre,
mano nella mano, riprendevamo la via del ritorno lungo il sentiero, sotto un
piovischio sempre più intenso, verso il tepore e il riparo di Fredenholm.
9 luglio 1780
Sto imparando tutti i nomi dei funghi. Anche di quelli che non dobbiamo
mangiare. Ce ne sono tante specie diverse: il gallinaccio, il coprino, il grigio
satirione e il velenoso fungo dell'olivo che al buio è fosforescente, ma siccome
qui non è mai buio come si fa a riconoscerlo?
Ogni giorno che trascorro in questo posto sento che sto meglio, sono più felice e
più rilassata.
11 luglio 1780
Ieri si è sposato uno degli affittuari di Axel e siamo andati alle nozze. Ho chiesto
che mi prestassero una gonna rossa e una camicetta bianca come quelle che
portano le contadine e mi hanno anche dato un paio di stivali di morbido feltro e
una ghirlanda di rose da tenere in mano. Ci siamo uniti alle centinaia di invitati
venuti dai villaggi circostanti. Due bande suonavano musiche allegre e abbiamo
ballato insieme a tutti gli altri, facendo del nostro meglio per tenere il passo,
incespicando e ridendo.
Le donne cantavano in un modo strano che non avevo mai udito prima, emettendo
versi simili a quelli dei gatti quando si azzuffano. Era un suono molto gutturale e
brioso.
Mi sono sentita così libera! Tutti ignoravano chi fossi in realtà; sapevano solo che
ero una nobildonna amica o parente di Axel. L'idea che potessi essere una regina
non li ha neppure sfiorati, probabilmente. Quando mi sono spostata al centro del
cerchio di danzatori per il mio assolo (il mio passo, devo ammetterlo,
assomigliava più a quello della quadriglia che non a quello di una danza
campestre), tutti mi hanno applaudita e acclamata.
Come mi sono divertita! Piroettavo nella gonna rossa e nei rozzi stivali che mi
avevano prestato e pestavo con forza i piedi sulle pietre grezze e l'erba ruvida dei
prati, con i capelli che ondeggiavano liberi nell'aria pura dell'estate. Axel, vicino a
me, batteva le mani, ballava, mi sorrideva in segno di approvazione.
Hanno dato la stura a interi barili di sidro e acquavite locale e il liquore inebriante
ha preso a scorrere a fiumi. La sposa, una vigorosa contadina bionda di sedici
anni, mi riempiva in continuazione il bicchiere. Abbiamo mangiato caviale e
bevuto vino rosso, mentre la folla, quasi senza sosta, fischiava e batteva le mani
per incitare gli sposi a baciarsi. Qui in Svezia i baci sono rumorosi, con grandi
schiocchi delle labbra.
A una certa ora della notte un contadino ci ha riportati a Fredenholm sul suo carro
che odorava di legno e di letame.
Axel mi ha tenuta fra le braccia mentre il veicolo procedeva a sobbalzi sulla
strada accidentata. Io mi sono appoggiata a lui, sentendomi quasi venir meno per
effetto del vino e del sidro, innamorata del mondo intero. Ho pensato che quella
era la notte più felice della mia vita.
16 luglio 1780
Due giorni fa ci siamo messi in viaggio per tornare a Drottningholm. Mi è
dispiaciuto molto partire. Oltrepassato un centro abitato, abbiamo proseguito in
carrozza verso sud, attraverso miglia e miglia di fitte foreste. Il clima si è fatto
molto freddo e a tratti piovoso. Per due volte, la carrozza è stata issata su un
grosso traghetto per attraversare un lago.
Verso la fine della giornata un asse della nostra vettura si è rotto e abbiamo
dovuto procedere a piedi fino all'unico rifugio nelle vicinanze, una piccola taverna
con il tetto spiovente un po' rovinato e i muri stranamente inclinati
verso l'interno. Mi è dispiaciuto per i poveri cavalli costretti a rimanere
pazientemente sotto la pioggia battente mentre la carrozza veniva riparata.
Axel e io ci siamo seduti a un piccolo tavolo basso un po' sbilenco vicino al fuoco
e abbiamo ordinato vino, pane e formaggio.
Ci siamo messi a bere, in attesa che il cocchiere venisse a dirci che l'asse era stato
riparato, ma sono passate un'ora o due, senza che di lui si vedesse traccia. La
pioggia continuava a battere sul tetto della taverna. È entrato un vecchio, bagnato
fradicio e male in arnese, che camminava appoggiandosi a un bastone. Era cieco e
teneva gli occhi rivolti verso il soffitto. Si è avvicinato a tentoni al fuoco e ha
allungato le mani verso il calore della fiamma.
«Tenete, vecchio mio, bevete questo e riscaldatevi.» L'oste ha guidato l'uomo
verso un tavolo accanto al nostro e gli ha messo davanti un boccale di birra. «Ci
sono qui una dama francese e un signore a farvi compagnia» ha aggiunto poi.
«Tenete a freno la lingua.»
«Una bella dama francese e un signore» ha ripetuto il vecchio, parlando francese
in nostro onore. «Be', allora che Dio li benedica! Ai miei tempi ho dato loro il mio
aiuto. Ho combattuto per il vecchio re di Francia, Luigi, a Fontenoy e a Raucoux,
e ho anche vinto per loro. Ma non è stato così che sono diventato cieco. Ho perso
gli occhi in prigione. In una zuffa. Non vedo nulla da ben trentasette anni.
Adesso, che cosa vorreste ascoltare, mia signora e mio signore? Una canzone di
guerra francese? Un lamento funebre? Possiedo una seconda vista, anche se ho
perso quella degli occhi. La mia seconda vista mi dice che dovrebbe essere un
lamento funebre.»
Quelle parole mi hanno fatta rabbrividire. No, non un'altra morte!
Axel ha dato alcune monete all'uomo, che ha bevuto la sua birra e si è allontanato.
Finalmente è arrivato il nostro cocchiere ad annunciare che la carrozza era stata
riparata e così abbiamo proseguito il viaggio.
17 luglio 1780
La notte scorsa è scoppiato un temporale e non abbiamo potuto raggiungere la
proprietà dove Axel intendeva fare tappa. Quindi siamo stati costretti a rifugiarci
in una casa di contadini dove ci è stata data l'ospitalità che la famiglia era in grado
di offrire.
Ci ha accolti una vecchia magra, curva, con gli occhi lucidi e le gengive sdentate.
Indossava una gonna consunta e rattoppata e uno straccio le copriva i radi capelli
grigi.
Ci ha fatto cenno di avvicinarci all'immensa stufa, dove una ventina di persone
erano sdraiate su tavolacci. Da alcune culle in un angolo della stanza veniva il
pianto di neonati.
Nell'entrare in quello stanzone caldo mi sono sentita mancare il fiato per il tanfo.
C'era un odore misto di pesce, di cavolo, d'immondizia, di tabacco e di fogne a
cielo aperto come quelle di Versailles. E afrore di corpi non
lavati e abiti sudici.
Una folla di visi ci ha scrutati mentre raggiungevamo un tavolo dove la vecchia ci
ha servito una zuppa di cavolo, in cui galleggiavano teste di pesce, e una pagnotta
di pane nero. Gli occhi dei pesci morti che mi fissavano e
l'unto che affiorava sulla zuppa mi hanno dato il voltastomaco.
Per educazione ho trangugiato qualche cucchiaiata di quella brodaglia e un pezzo
di pane. Ho notato che Axel mangiava di buon appetito, come se fossimo alla
tavola del re.
Mentre mi sforzavo di ingurgitare qualcosa, non ho potuto fare a meno di
osservare le persone che giacevano sui tavolacci. Erano sveglie - evidentemente il
nostro arrivo le aveva destate - e tenevano gli occhi fissi sul nostro cibo,
osservando ogni cucchiaiata e ogni boccone di pane.
Erano scarne in volto e avevano tutte lo stesso sguardo privo di espressione,
compresi i bambini. Gli uomini bevevano da una tazza di metallo che si
passavano di mano in mano.
Nell'aria c'era puzza di alcol, mista all'odore di legno bruciato e di escrementi
umani. Nel frattempo, ho notato grossi scarafaggi neri che passeggiavano sulle
coperte logore e sul pavimento.
La vecchia che ci aveva accolto e portato da mangiare si è data da fare per
prepararci un letto. Ha avvicinato diverse lunghe panche alla stufa e vi ha posto
sopra di traverso delle assi di legno. Sopra a queste ha disteso una vecchia, lurida
trapunta e una montagna di stracci.
Quando ne ho avuto abbastanza del cibo mi sono resa conto con orrore, che avevo
bisogno di orinare. Ma non c'era un luogo dove appartarsi. Gli altri, come non
potevo fare a meno di notare, utilizzavano liberamente i puzzolenti pitali posti
sotto le tavole su cui giacevano, in piena vista di tutti i presenti nella stanza.
«Signora» ho detto alla nostra padrona di casa nel mio pessimo svedese «c'è un
posto dove potrei...?» e ho indicato con un cenno i vasi da notte.
La donna ha fatto segno di aver capito e, prendendomi per mano, mi ha condotta
fuori. Stava ancora piovendo a dirotto e, sguazzando nel fango, mi ha guidata
verso un capannone, dove mi ha indicato uno stallo per cavalli vuoto con il
pavimento di terra battuta coperto di paglia.
Poi mi ha lasciata sola. Mi sono resa conto che era stata molto riguardosa... e
gentile. Quello era il meglio che potesse offrirmi: un luogo appartato e
relativamente pulito. La stalla, con l'intenso odore di letame e di fiato animale,
risultava assai più gradevole del locale di abitazione. Ma era freddissima. Ho fatto
rapidamente quello che dovevo fare e sono tornata nel calore dello stanzone
riscaldato dalla stufa.
Durante la mia assenza era scoppiata una rissa. La gente era scesa dai tavolacci e
si contendeva i resti del mio pasto. Un uomo ubriaco picchiava una donna
urlando. Ho visto un ragazzo con un ghigno animalesco afferrare un gatto giallo e
scagliarlo contro la parete di mattoni. Nella mischia, una vecchia, in piedi a testa
china, recitava una preghiera. Sono riuscita a capire due frasi, che sembrava
ripetere continuamente. «L'ira del Signore è su di noi! Preservaci dall'ira del
Signore!»
Sconvolta, ho guardato la squallida scena, sentendo la necessità di intervenire in
qualche modo; ma ero impotente. Ho avvertito le lacrime scorrermi lungo le
guance e ho fatto l'unica cosa che potevo fare. Quando il gatto ferito è venuto
barcollando verso di me, l'ho preso in braccio e me lo sono stretto al petto. Ho
sentito che mi graffiava, ma ho ignorato le sue unghie appuntite, decisa a
proteggerlo Axel si è affrettato a ringraziare la vecchia per l'ospitalità dandole una
manciata di monete, che lei ha esaminato con tanta attenzione da non accorgersi
della nostra partenza. Afferrata una delle coperte consunte da quello che avrebbe
dovuto essere il nostro giaciglio, Axel l'ha avvolta intorno a me e al gatto e mi ha
condotta fuori sotto la pioggia.
Ero troppo stordita per parlare o pensare. Ho lasciato che lui mi guidasse lungo la
strada fangosa, assicurandomi che avremmo certamente trovato presto un altro
rifugio.
Pioveva ancora, anche se non con l'intensità di prima e, dopo aver percorso circa
mezzo miglio, siamo arrivati a una fattoria abbandonata dove abbiamo trascorso
la notte, stretti l'uno all'altra sul pavimento di legno, bagnati e infreddoliti, con il
gatto accoccolato vicino a noi in cerca di un po' di calore.
20 luglio 1780
Il mio prezioso periodo con Axel volge al termine. Fra due giorni devo tornare in
Francia, dopo un'assenza più lunga del previsto. Ho molta nostalgia di
Mousseline.
Quando siamo arrivati a Drottningholm ho trovato cinque lettere, in cui mi si
racconta che la bimba ha cominciato a dire «dammi», «no», «fai» e a chiamare il
suo piccolo carlino cui ho dato il nome della mia cara vecchia Mufti. Chambertin
scrive che Luigi è stato molto nervoso senza di me. Si è chiuso per due volte nel
suo laboratorio con una provvista di dolci rifiutandosi per diversi giorni di uscire.
Nessuno è riuscito a persuaderlo. I ministri erano seccati perché c'erano
importanti riunioni sulla guerra americana ed era indispensabile la presenza del
sovrano a cene e ricevimenti in onore degli ambasciatori. Chambertin dice che
solo io riesco a indurre Luigi a compiere il suo dovere.
Quando ci sono io, lui è meno timido e ribelle e molto più disposto a fare ciò che
deve. Re Gustavo mi ha fatto fare, insieme ad Axel, un giro per le stanze del
palazzo che sta ristrutturando, in modo che potessi vedere l'attuazione pratica dei
miei consigli.
Gli artigiani si sono impegnati molto e i risultati del loro lavoro sono davvero
eccellenti. Gustavo predilige lo stile romano e greco, con colonne scanalate, fregi
pompeiani e mosaici di tessere di vetro. Una delle stanze che ho collaborato a
ristrutturare è quasi finita e l'effetto è sorprendente: pareti di color azzurro
intenso, colonne doriche bianche, stucchi bianchi in forma di fiori e frutti,
secondo il modello classico. I tappeti saranno di un azzurro intonato alle pareti e il
soffitto verrà affrescato da un pittore italiano di Verona. Arriverà la settimana
prossima, ma io sarò già partita e non potrò incontrarlo.
Mentre attraversavo gli immensi saloni costosamente decorati, un pensiero
continuava ad assillarmi. Perché un sovrano dovrebbe condurre una vita tanto
sfarzosa, mentre la sua gente è costretta a vivere in un'unica stanza sporca e
puzzolente, con le pareti spoglie e il tetto che fa acqua, dove si ammassano molte
famiglie? Le poche ore trascorse in mezzo a quei contadini mi hanno
profondamente colpita.
Passeggiando nel tranquillo splendore del palazzo del re, non sono riuscita a
togliermi dalla mente le immagini dei locali bui che avevo visto, dei volti
affamati, delle risse e della brutalità cui avevo assistito di persona.
Mi sono girata verso Axel. «Che cosa si può fare per le persone con cui abbiamo
mangiato, il giorno in cui è scoppiato il temporale?» ho chiesto «Sono così
povere...»
Con mia grande sorpresa, Axel ha risposto con una risata: «Quelli erano contadini
ricchi. Avevano una casa grande, animali, cibo. Dovreste vedere come vivono
quelli davvero poveri».
Il re era incuriosito dal nostro colloquio e Axel gli ha spiegato che eravamo stati
costretti a cercare rifugio presso una famiglia di contadini.
«Non avevate mai visto come vivono, penso» mi ha detto il sovrano.
«Solo dal finestrino di una carrozza.»
«L'esistenza è molto dura per chi è nato con così poco.»
«Allora non c'è modo di migliorare la loro vita?»
«Ma re Gustavo ha migliorato la loro vita» è intervenuto Axel lealmente. «Ha
abolito la tortura. Nessuno viene più messo a morte per i crimini che ha
commesso. Ha riformato le finanze dello Stato. Le tasse sono più basse e i
contadini adesso possono, se ne hanno i mezzi, acquistare le terre e possederle da
uomini liberi.»
«Ciononostante c'è tanta miseria!» Abbiamo proseguito la visita attraverso la
cosiddetta «Sala da pranzo di Malachite», con le pareti rivestite di pannelli di
quella pietra verde brillante, e il «Salone di Cristallo», dove dozzine di lampadari
scintillavano alla luce del sole mandando riflessi sulle pareti dorate.
Axel sembrava pensieroso. Alla fine, stringendosi nelle spalle, ha detto: «Amo e
ammiro i contadini e di tanto in tanto mi è capitato di vivere in mezzo a loro. Ma
sono come bambini. Trascorrono la vita nell'ignoranza e nella debolezza, incapaci
di risollevarsi dalla loro condizione.
Incapaci di fare altro che il loro duro lavoro. Per la maggior parte degli uomini
l'unica consolazione è il bere, per le donne è la religione».
«Andiamo, Axel. Siete troppo pessimista. La campagna sta cambiando, anche qui.
I sistemi di coltivazione migliorano. La resa dei raccolti aumenta. La gente
comincia a mangiare meglio e a vivere più a lungo. Se la natura collaborerà con
buoni raccolti, potremo assistere a molti progressi. Più salute fisica e mentale. Nel
frattempo, mia cara» ha detto Gustavo, rivolgendosi a me «potreste donare i vostri
orecchini di perle ai poveri.»
Mi sono tastata i lobi delle orecchie. Indossavo effettivamente orecchini di perle,
anche se non quelli più preziosi.
«Ma non dovete farlo» è intervenuto Axel «perché, se lo farete si uccideranno l'un
l'altro per impossessarsene. Gettare perle ai porci è solo fonte di guai.»
Non ho voluto discutere con Axel né con il sovrano, ma mi sono ripromessa, una
volta tornata a Versailles, di far mandare del denaro ai contadini svedesi. Avrei
raddoppiato anche la quantità di pane che l'abate Vermond distribuisce ai cancelli
del palazzo.
VIII.
27 novembre 1780
La mia cara, cara, adorata maman è morta.
13 dicembre 1780
Non riesco quasi a scrivere. Sono così infelice. Mi guardo allo specchio e vedo
una persona che non riconosco.
Una donna dal volto tirato, le guance grigie e gli occhi tristi. Riuscirò mai più a
mangiare? Sarò mai più in grado di pensare, di muovermi, di godere di qualcosa?
Sto seduta giorno dopo giorno nelle mie stanze buie, con le tende di velluto nero
alle finestre, incapace di fare altro che piangere, leggere la Bibbia e accendere
candele per l'anima di mia madre. La povera Mousseline piange.
Non capisce il cambiamento che è avvenuto in me. L'abate Vermond viene a
pregare con me, ma io non trovo consolazione. Leggo e rileggo le lettere di
Giuseppe e Anna che mi raccontano gli ultimi giorni della mamma.
Da molto tempo desiderava morire. Nell'ultima settimana di vita si è cucita lei
stessa il lenzuolo funebre, di seta bianca con l'emblema imperiale ricamato.
Se, invece di prepararsi per il suo funerale, mi avesse scritto almeno un'ultima
lettera! Se mi avesse lodato per aver fatto del mio meglio in una vita difficile!
Come avrei gradito quella dimostrazione del suo amore e della sua approvazione!
25 dicembre 1780
È un Natale molto triste. Il palazzo è ancora in lutto per la grande imperatrice e le
nostre consuete celebrazioni si sono svolte in sordina. Andiamo a messa ogni
giorno, accendo una candela per la mamma e recito le preghiere con l'abate
Vermond, che continua a starmi molto vicino. A volte non provo assolutamente
nulla. Sono svuotata di qualsiasi sentimento. È terribile.
4 gennaio 1781
Cerco di tenermi occupata con un progetto che avevo intrapreso prima della morte
di maman. Ho deciso di fare di più per alleviare la miseria dei contadini invece di
limitarmi a parlarne. Vorrei vendere il mio gioiello di maggior valore, il grande
diamante chiamato «Sole degli Asburgo», e distribuirne il ricavato ai più poveri.
Ho ordinato che venga prelevato dal forziere del palazzo dove sono conservati i
miei preziosi.
Negli ultimi giorni sono stata ossessionata dal ricordo del vecchio soldato cieco
che Axel e io abbiamo incontrato in Svezia. Voleva cantarci una canzone e ha
detto qualcosa come: «Dovrebbe essere un lamento funebre». Aveva forse una
premonizione della morte di maman? Come poteva saperlo?
Il gatto giallo che ho portato con me dalla Svezia è diventato grasso e lustro a
furia di panna e dolciumi. È sordo da un orecchio e ha una zampa storta, ma a
parte questo si è ripreso. Mia mamma aveva un gatto simile che stava sempre
accoccolato sulla sua scrivania. Questo mi fa pensare a lei.
6 gennaio 1781
Mi sto riprendendo da un terribile shock. Ho mandato Sophie a prendere
dell'acqua di fiori d'arancio ed etere Per calmarmi.
È successa una cosa spaventosa e non so a chi rivolgermi. Axel è sempre via. Se
soltanto fosse qui Giuseppe!
Penso, però, che non oserei parlargliene. Se venisse fuori la verità, potrebbe
risultarne un enorme scandalo.
Forse non è prudente che io scriva di questa faccenda nel mio diario. Ma ci ho
ripensato mentre sorseggiavo l'acqua di fiori d'arancio ed etere e ho deciso che ho
bisogno di raccontare la verità.
Sono quasi certa che, mentre ero in Svezia l'estate scorsa, Luigi abbia preso il
«Sole degli Asburgo» e l'abbia dato in pegno a un facoltoso signore di Ginevra
che aveva conosciuto tramite il banchiere Necker. L'ho scoperto perché, quando
ho fatto prelevare la gemma dal forziere e ho chiamato da Parigi il gioielliere
Monsieur Christofle perché la valutasse, lui mi ha detto che si trattava non di un
diamante, ma di un'imitazione in pasta di vetro! In un primo momento, non ho
voluto crederci. Ma quando ho interrogato il capo delle guardie addette alla
custodia del forziere, lui ha finito per confessarmi che, lo scorso giugno, il re ha
ordinato che gli venisse portato il diamante e se l'è tenuto per oltre un mese. La
gemma che ha poi restituito era evidentemente la copia in pasta di vetro.
Allora ho parlato con Chambertin, il quale sa quasi tutto ciò che fa o dice Luigi, e
lui ha ammesso che Necker ha accompagnato un uomo d'affari svizzero
all'udienza mattutina di Luigi e che, in seguito, allo stesso signore è stato
consegnato sotto scorta un pacchetto.
Chambertin è affidabile. Non racconterà a nessuno questa faccenda. Devo avere la
certezza che nessun membro del personale ne venga a conoscenza o sospetti
qualcosa.
Se cominciasse a circolare la voce che Luigi ha dato in pegno il mio famoso
gioiello, se ne dedurrebbe che le casse dello Stato sono vuote e che il governo non
è in grado di restituire gli enormi prestiti ottenuti da Necker, prestiti di milioni di
franchi. La cosa verrebbe interpretata come un affronto nei riguardi dell'impero
austriaco e farebbe arrabbiare mio fratello Giuseppe, che adesso è imperatore.
Causerebbe, inoltre, un grande scandalo privato intorno alla persona di Luigi, che
sarebbe visto come un ladro. In realtà è un ladro e intendo dirglielo in faccia.
9 gennaio 1781
Dopo molte ricerche ho finalmente trovato Luigi in soffitta accucciato sul
pavimento, intento a forzare la serratura di una porta chiusa da parecchio tempo.
Per proteggersi dal freddo, aveva indossato il vecchio soprabito nero, così logoro
che in alcuni punti è diventato grigio. Nell'udire il mio passo energico, si è girato
verso di me e ha assunto un'aria impaurita. Ignorando l'etichetta, come faccio di
solito quando siamo soli, gli sono andata subito vicino e l'ho fissato con ira negli
occhi spaventati.
«So quello che avete fatto. Avete rubato il "Sole degli Asburgo". L'avete
impegnato e avete rimesso nel forziere una copia in pasta di vetro. Avete rubato il
pezzo più importante della mia dote. Mi avete ingannata. E avete rischiato lo
scandalo e il disonore e messo a repentaglio l'alleanza fra l'Austria e la Francia.»
Lui è scoppiato a piangere, seduto sul pavimento polveroso, con il volto contratto
come quello di Mousseline, quando è stata disubbidiente e sa che verrà punita.
La sua debolezza ha fatto aumentare la mia rabbia. Ho cominciato a camminare
nervosamente avanti e indietro.
«Smettetela! Smettete di comportarvi come un bambino, alzatevi in piedi e parlate
come un adulto!»
Con un gran sospiro e un enorme sforzo, Luigi si è sollevato dal pavimento e si è
appoggiato alla porta. Non osava guardarmi in faccia.
«Ho così tante colpe che non posso rispondervi. Mi vergogno di quello che ho
fatto, ma non ho avuto scelta. Necker e gli altri sono venuti da me. Erano in
scadenza gli interessi sui prestiti. Hanno detto che avevano sbagliato i calcoli.
Non c'era denaro per pagarli. I prestiti stavano per andare in mora. Non potevo
permettere che ciò avvenisse.»
La sua voce era triste, lamentosa. «Ma la corona di Francia ha molti tesori di sua
proprietà. Casse piene d'oro, i gioielli di vostra madre e di vostra nonna, quadri,
statue...»
«Sono sei anni che sto vendendo i beni della corona, da quando sono diventato re.
Prima d'allora mio nonno ha venduto molte cose. Molte delle opere d'arte esposte
sono copie. Molti gioielli sono in pasta di vetro.»
«Non avevate diritto di prendere ciò che era mio senza chiedermelo.»
Lui ha alzato lo sguardo su di me. «Se ve l'avessi chiesta, mi avreste dato la vostra
preziosa gemma?»
«No, mai.»
«Certo che no. Ho dovuto prenderla di nascosto. Mi è stato garantito che la copia
che ho fatto fare era di altissima qualità. Pensavo che non ve ne sareste mai
accorta.
Non avrei mai scelto di impegnare il "Sole degli Asburgo" se non fosse stato per
il fatto che Necker conosceva un uomo che lo desiderava ardentemente da
sempre. Un ginevrino, un ricco uomo d'affari. Si è offerto di pagare tutti gli
interessi sui prestiti in cambio della gemma. Al momento ho pensato che
saremmo riusciti a riscattare il gioiello, a farcelo restituire, nel giro di un anno o
due al massimo. Adesso ne dubito.»
Ero furiosa. Con Luigi, con Necker, con i ministri che mi odiano e devono avere
provato una soddisfazione particolare nel derubarmi della gemma che mi era tanto
cara.
«Rivoglio il mio gioiello» è stata la sola cosa che mi è venuto in mente di dire.
«Fatevelo ridare... in un modo o nell'altro.»
Detto ciò, me ne sono andata, lasciando Luigi in preda all'infelicità. Una volta
rientrata nei miei appartamenti, ancora piena di risentimento e d'esasperazione, mi
ci sono volute diverse ore per ricompormi abbastanza da poter incontrare Loulou
e Sophie e dare gli ordini necessari al mio personale di servizio.
13 gennaio 1781
Ho riflettuto a lungo sull'inganno perpetrato da Luigi impegnando il mio gioiello
e, al termine di queste riflessioni, mi sono resa conto di essere stata un'egoista.
Luigi, è vero, è stato disonesto. Avrebbe dovuto spiegarmi per quale motivo
ritenesse di non aver altra scelta che impegnare la gemma. Invece, ha aspettato la
mia partenza per la Svezia per fare quello che ha fatto. Ma anch'io l'ho ingannato,
viaggiando con il mio amante e godendo del tempo trascorso insieme a lui.
Anch'io, in fondo, ho rischiato lo scandalo. Anzi, se Axel fosse stato meno attento
quando abbiamo fatto l'amore, avrei messo a repentaglio la stessa successione al
trono. La mia amata mamma, se fosse ancora in vita e sapesse la verità su Axel
e me, direbbe che sono un'adultera e che dovrei essere condotta davanti alla
Commissione della castità per essere ammonita.
Padre Kunibert direbbe che meriterei di finire direttamente all'inferno. Luigi è un
ladro e un bugiardo e, inoltre, è molto debole. Ma io sono una moglie infedele e
parimenti bugiarda e debole per aver ceduto all'amore per Axel. Non siamo forse
entrambi ugualmente colpevoli?
14 gennaio 1781
Ieri mi sono confessata e poi sono andata da Luigi che stava riposando. L'ho
abbracciato, gli ho detto che lo perdonavo per aver impegnato il diamante e gli ho
chiesto a mia volta perdono per qualsiasi torto gli avessi fatto.
Lui ha pianto fra le mie braccia e anch'io ho pianto un Po', perché in verità gli
voglio molto bene e provo pietà. Per lui nel suo infelice e indesiderato ruolo di
sovrano.
18 gennaio 1781
Axel sta per portare il suo reggimento in America. Prima di partire è venuto a
dirmi addio ed entrambi sappiamo che potremmo non rivederci mai più. Molti
ufficiali muoiono in battaglia o in seguito alle ferite o per malattia. Molti
rimangono mutilati o invalidi per tutta la vita.
«Amore mio, sto per dirvi una cosa che forse vi sconvolgerà» mi ha confidato
subito prima di lasciarmi. «Dopo la mia partenza, pensateci seriamente e
ricordatevene. Si tratta di questo: Luigi non sta bene. Ha una mente debole. Gli
individui come lui sono fragili e la loro apparente salute mentale può andare a
pezzi da un momento all'altro. È capitato in Inghilterra a re Giorgio non molto
tempo fa e potrebbe facilmente capitare anche qui. Se Luigi dovesse peggiorare e
i medici decidessero che deve farsi da parte per permettere al principe Luigi
Saverio di governare, voglio che ricordiate che voi e la principessa reale»
intendeva riferirsi a Mousseline «avrete sempre una casa in Svezia. Con me.»
Quindi, mi ha dato un foglio su cui era scritto il nome di un fornitore dell'esercito
a Parigi. Attraverso di lui avrei potuto in qualsiasi momento far avere ad Axel un
messaggio. E in caso di necessità urgente, mi sarei sempre potuta recare presso la
corte di re Gustavo, che mi avrebbe accolta con gioia.
«Anche Giuseppe mi accoglierebbe, a Vienna» ho ricordato ad Axel.
«A meno che l'Austria e la Francia non vengano a essere in rapporti migliori di
quelli attuali, fareste meglio a rifugiarvi presso la corte svedese.» Dire addio ad
Axel è stato come strapparmi parte del cuore, eppure sono stata contenta che se ne
andasse... non solo in guerra, ma anche lontano dalla mia vita, almeno per un po'.
Cercherò di non sentirne troppo la mancanza, di non preoccuparmi per lui, di non
pensare ai suoi cari, dolci occhi, alle sue calde carezze, ai suoi baci... cercherò di
fare ditutto per essere una buona e fedele moglie.
Cercherò.
10 marzo 1781
Ho di nuovo le guance colorite e il mio viso ha ripreso l'aspetto che mi è
familiare. Nell'ultima settimana mi è venuta una gran fame e ho mandato Eric in
Svezia a prendere quel formaggio di latte di renna di cui ero diventata molto
ghiotta quando ero là. Avrei mandato a prendere anche le bacche, ma non è
ancora la stagione giusta. Luigi mi ha portato un cestino dei suoi pasticcini
preferiti, ripieni di crema gialla dolce e di mandorle candite e coperti di una ricca
glassa di cioccolato. Insieme li abbiamo mangiati tutti e poi siamo stati male.
21 marzo 1781
Sono di nuovo incinta. Lo sanno solo il dottor Boisgilbert, Sophie, Loulou e
naturalmente Luigi. Il conte Mercy, che ha delle spie nel mio personale di servizio
e che cerca costantemente di avere informazioni dal dottor Boisgilbert, forse è
venuto a saperlo, perché, nell'incontrarmi, mi fa sorrisi d'intesa. Daremo
l'annuncio fra breve, forse il mese prossimo.
22 aprile 1781
Giuseppe verrà di nuovo in visita fra qualche mese. È molto contento che io sia di
nuovo incinta e dice che questa volta dev'essere un maschio.
Se solo avessi notizie di Axel!
12 maggio 1781
Charlot è venuto al Petit Trianon sul suo calesse verde e si è offerto di portarmi
alle corse, ma gli ho detto che il percorso per raggiungere l'ippodromo sarebbe
stato troppo accidentato e avrei rischiato di perdere il bambino. Si è fermato da
me un po' di tempo e ha ammirato i restauri in stile pompeiano che sto facendo
fare nelle stanze al piano superiore. Mi ha raccontato di alcuni esperimenti
emozionanti compiuti da un certo Monsieur Montgolfier, il quale riesce a far
sollevare in aria un immenso pallone di tela e a farlo volteggiare sopra le case e i
campi prima di riportarlo di nuovo a terra. Charlot vorrebbe anche lui appendersi
al pallone e andarsene in giro per l'aria.
3 giugno 1781
Ho finalmente avuto notizie di Axel. Sta bene e ha passato un po' di tempo nello
Stato della Carolina dove gli inglesi hanno preso alcune città importanti. Adesso è
in Virginia.
20 giugno 1781
Oggi Mousseline ha cantato tutto Frère Jacques e ha buttato la scodella di
minestra in faccia alla bambinaia. Le ho detto che avrà presto un fratellino o forse
una sorellina (prego Dio di no!) e questo l'ha molto turbata. È spesso
accigliata e disubbidiente.
Se maman fosse ancora viva, sarebbe sconvolta nel vedere come non riesco a
educare la mia bambina. Lei era sempre molto severa con me e i miei fratelli e
sorelle. Se disubbidivamo, ci relegava alcune ore sul pianerottolo con le mani
legate dietro la schiena e ci faceva cenare solo con pane e latte. Mousseline viene
sgridata, ma mai molto severamente, e non viene mai privata del cibo né punita in
altro modo. Spero soltanto che superi presto questa fase ribelle. Luigi dice che da
piccolo era assolutamente intrattabile. Probabilmente lei gli assomiglia. Il mio
prossimo bambino sarà altrettanto difficile da educare?
Luigi è andato a caccia e a raccogliere piante nella foresta di Compiègne,
portando con sé solo Chambertin, un segretario e un valletto. Mi ha invitata ad
andare con lui, ma io ho rifiutato. So che per la maggior parte del tempo mi
ignorerebbe e non avrei nulla da fare. Pensa che mi divertirei ad aiutarlo a
raccogliere le piante e che potremmo leggere insieme i suoi libri sulla flora dei
boschi. Come non mi conosce! E dopo tanti anni di matrimonio! Gli ho detto che
dovevo prepararmi per l'arrivo di Giuseppe.
1° luglio 1781
Oggi è arrivato un grosso pacco di lettere di Axel per me! Mi ha scritto tutte le
settimane, ma non ha avuto modo di mandarmi le lettere fino ad aprile, quando ha
potuto affidarle a un ufficiale che tornava in Francia a bordo della Valkyrie. La
nave, però, si è incagliata nei pressi di Brest e l'ufficiale è annegato, ma un altro
soldato ha trovato il pacco e l'ha spedito a Versailles. Ho letto tutte le lettere due
volte, in ordine cronologico. Axel sente la mia mancanza. Ha patito molte
privazioni ed è preoccupato che alla fine gli inglesi possano vincere la guerra.
Queste lettere mi sono molto care e piango nel leggerle.
2 agosto 1781
Giuseppe è qui e, con mia grande sorpresa, ha portato con sé nostra sorella
Carlotta!
Non potevo quasi credere ai miei occhi quando l'enorme carrozza si è fermata nel
cortile esterno del palazzo e Giuseppe, con un aspetto più maturo e imponente
adesso che è imperatore, è sceso e poi ha fatto scendere una donna molto grassa,
sontuosamente vestita. L'ho osservata con attenzione... e mi sono resa conto che
era Carlotta, che non vedevo da undici anni!
Sono corsa ad abbracciarli entrambi, dimenticando di essere incinta di sei mesi e
di dover prestare molta attenzione, in quanto porto in grembo l'erede al trono... o
almeno così spero ardentemente. Ci siamo abbracciati, poi abbiamo pianto e riso,
e infine ci siamo abbracciati di nuovo. Giuseppe, che indossava un lungo mantello
dorato, il pince-nez e una parrucca grigia raccolta in una reticella, ha assunto
un'aria grave che non aveva quando è stato qui l'ultima volta. Ha meno l'aspetto
del disinvolto uomo di mondo e più quello del buon vecchio zio. Mostra i segni
della tensione, il che non stupisce, considerato tutto ciò che ha passato: condurre
un reggimento contro i prussiani e cercare di conquistare nuovi territori, dare
l'ultimo addio alla cara maman e assumersi tutte le responsabilità di imperatore e
di capofamiglia.
Carlotta, che, devo ammetterlo, si è fatta decisamente troppo grassa, ha due
pappagorge ed è assolutamente fuorimoda. Devo far venire a corte Rose Bertin e
ordinare un nuovo guardaroba per mia sorella. I suoi capelli sono diventati sottili
e sono pettinati male. Quando l'ho portata nei miei appartamenti, tutte le dame di
corte si sono messe a ridacchiare dietro il ventaglio. Mia sorella è diventata anche
molto acida e critica. In questo mi ricorda maman. Mi sono fatta portare
Mousseline da una delle bambinaie e Giuseppe e Carlotta l'hanno accolta con
esclamazioni.
«Assomiglia proprio a voi quando eravate piccola» ha detto Giuseppe, che aveva
tredici o quattordici anni quando sono nata e si ricorda benissimo di com'ero. «Un
piccolo folletto biondo.»
Mousseline è una bella bambina con i capelli ricci e gli occhi azzurro chiaro.
Un'eruzione cutanea che le era venuta è sparita e la sua pelle è tornata bianca e
liscia. Le piace farsi ammirare, ma urla e fa le bizze quando è contrariata.
5 agosto 1781
Giuseppe è andato a caccia con Luigi a Compiègne e io posso trascorrere molto
tempo con Carlotta. All'inizio lei ha assunto l'atteggiamento della sorella più
vecchia e criticona, ma dopo qualche ora di chiacchiere è crollata e mi ha
confessato di essere stata molto infelice. Poiché litigava aspramente con il marito,
lui l'ha mandata via e lei è tornata a Schònbrunn dov'è rimasta fino a questo
momento, sotto la protezione di Giuseppe. Ma si sente persa e senza casa e ha
nostalgia dei figli.
Il marito ha portato l'amante prediletta a vivere nel palazzo, al posto di Carlotta. È
uno scandalo, ma nessuno osa protestare. Carlotta ha una lingua tagliente e non è
certo un vanto per la corte, quindi immagino che tutti siano stati contenti della sua
partenza, tranne i figli ovviamente. Mi sono commossa nel vedere che conserva
ancora la borsetta di rete che le ho confezionato quando aspettavo Mousseline.
11 agosto 1781
Charlot ha invitato a Versailles l'inventore Montgolfier per far volare il suo
straordinario pallone. È fatto di tela ed è molto grande: ha le dimensioni di
un'ampia sala da ballo. Un fuoco di fascine di paglia è stato acceso sotto la tela e
piano piano, miracolosamente, il gigantesco pallone ha cominciato a riempirsi di
aria calda e a salire! Ha sorvolato il giardino, portato dal vento, e si è allontanato,
diventando sempre più piccolo, finché non è atterrato fra gli alberi. Le corde si
sono impigliate nei rami. Eccitato, Charlot ha chiesto che gli venisse permesso di
legarsi sotto il pallone per poter volare anche lui. Giuseppe vuole portare
Monsieur Montgolfier a Vienna e fargli fare un volo dimostrativo del pallone.
Luigi ha posto alcuni quesiti a Montgolfier sulla sua invenzione. Che cosa faceva
volare il pallone? Perché nessuno ci aveva pensato prima d'allora? Che cosa lo
faceva scendere così rapidamente? Ha continuato a fare domande finché il
pover'uomo, esausto, ha pregato che gli venisse dato il permesso di ritirarsi.
Abbiamo trascorso una bellissima giornata. Si era radunata una grande folla a
vedere lo straordinario spettacolo e la maggior parte delle persone è stata molto
rispettosa nei nostri confronti, sebbene qualcuno si sia comportato villanamente e
un tizio male in arnese mi abbia sputato sulle scarpe. Il tempo è stato splendido e
caldo e il cielo azzurro e privo di nuvole. Mi è dispiaciuto non aver portato
Mousseline.
Un giorno, in un lontano futuro, potrebbe essere anche lei attaccata a un pallone.
Ma allora la cosa sarà talmente normale che lo faranno tutti. Immaginatevi un
cielo pieno di palloni!
13 agosto 1781
Ho rivelato a Giuseppe che Luigi ha impegnato il «Sole degli Asburgo». Mi è
sembrato giusto confidarmi con mio fratello, soprattutto dal momento che Axel è
lontano e ho dovuto tenermi questo segreto per molti mesi.
25 agosto 1781
Ho dato un triste addio a Carlotta e a Giuseppe. Adesso Carlotta ha un aspetto
migliore, vestita alla moda e con i capelli opportunamente gonfiati di toupet
acconciati da André che, devo ammetterlo, è molto abile. Mia sorella mi ha dato
un talismano da mettere sotto il cuscino per proteggere me e il bambino
dall'eventuale magia nera che qualcuno potrebbe cercare di praticare contro di
noi. Ci siamo strette in un abbraccio e io ho pianto. Anche Giuseppe mi ha
abbracciata e mi ha augurato un parto felice.
«Mandate un corriere veloce appena nasce il bambino» ha detto. «Non tardate
neppure un'ora. Rimarremo in attesa della buona notizia.»
«E portate la cintura di santa Radegonda durante tutto il travaglio!» mi ha gridato
Carlotta dall'interno della carrozza. «La mamma avrebbe voluto che lo faceste.»
«Lo farò, lo farò» ho gridato di rimando mentre la pesante vettura da viaggio si
allontanava rumorosamente, con le grandi ruote che sollevavano dense nuvole di
polvere.
Sento la loro mancanza. Sento la mancanza della mia casa. Per quanto possa
essere lunga la mia vita in Francia, credo che mi sentirò sempre in cuor mio
un'austriaca, in esilio dalla terra cui appartengo.
14 settembre 1781
Sono giunte voci che Axel e le sue truppe hanno marciato con gli americani
all'attacco degli inglesi in Virginia. Chissà come sta Axel in questo momento e se
è sano e salvo.
Molti ufficiali sono stati fatti prigionieri dagli inglesi. So che, dovunque sia,
qualunque cosa stia facendo, lui pensa a me.
17 settembre 1781
Il dottor Sundersen è arrivato per assistermi e ha portato con sé una levatrice
svedese dall'aspetto robusto.
Vedendo il medico, mi sono sentita tremare le gambe, perché mi è tornato alla
mente il ricordo del dolore, della paura e del senso di soffocamento che ho
provato durante il travaglio prima della nascita di Mousseline. Quando lui si è
inchinato e mi ha baciato la mano, tuttavia, ho cominciato a sentirmi più
tranquilla, ricordando com'è stato abile e come, quando mi ha detto: «Lo facciamo
insieme, volete?», ho avuto la certezza che sarei riuscita a portare a termine il
travaglio; infatti, insieme abbiamo fatto nascere la mia adorata Mousseline.
Luigi si lamenta che il dottor Sundersen chiede un onorario molto alto. Ribatto
che la riuscita del parto del prossimo re di Francia lo merita di sicuro.
26 settembre 1781
Il dottor Sundersen mi ha ordinato di rimanere a letto fino al momento del
travaglio, che lui prevede avrà inizio entro le prossime settimane.
Ho ricevuto un altro pacco di lettere da Axel! Grazie al cielo, è sano e salvo; è
stato malato, ma adesso sta di nuovo abbastanza bene. Il generale Rochambeau
l'ha inviato diverse volte a conferire con il generale Washington perché parla bene
l'inglese. Axel dice che Washington è un uomo molto freddo. Non tutti gli
americani sono freddi, a quanto ne so. Benjamin Franklin è stato affascinante e
allegro, quando è venuto qui, ed è piaciuto a tutti. Ho incontrato vari altri
americani e devo ammettere che alcune donne erano fredde e vestite così male da
sembrare molto più vecchie di quanto non fossero. Ovviamente, quelli che ho
incontrato erano perlopiù aristocratici e diplomatici con le loro mogli, non militari
come il generale Washington.
6 ottobre 1781
Charlot ha volato con il pallone. Monsieur Montgolfier ha attaccato un grosso
cesto all'estremità inferiore del suo pallone di tela, ci ha messo dentro una pecora
e altri animali e lo ha fatto levare in volo. Poi, quando è atterrato, gli animali sono
stati fatti uscire dal cesto e ci è entrato Charlot( Luigi Saverio ha cercato di
trattenerlo); il pallone, quindi, è stato fatto salire in aria e Charlot ha volato dal
prato fin quasi al villaggio di Saumoy.
Quando il pallone è sceso a terra e il cesto ha urtato duramente contro il suolo,
Charlot si è fatto male a un polso, ma a parte questo sta benissimo. Erano presenti
tutti gli abitanti del paese, che gridavano e applaudivano. Charlot è venuto a
trovarmi e mi ha raccontato tutto quanto. Aveva il polso fasciato. Non l'ho mai
visto così di buonumore. Dice che sono grossa come un pallone.
29 ottobre 1781
Una settimana fa è cominciato il travaglio, nelle prime ore del mattino. Ho
avvertito fitte acute, non un dolore persistente come l'altra volta. Sophie, eccitata
e preoccupata, è andata a chiamare la levatrice, che si è seduta accanto a me e mi
ha tastato il ventre a ogni nuova fitta. È arrivato il dottor Sundersen, ha estratto i
suoi strumenti e ha detto: «Allora, penso che questa volta non ci vorrà così tanto
tempo». Le sue parole mi hanno dato sollievo. L'essere stata svegliata da quelle
fitte dolorose mi aveva spaventata. Il medico mi ha ripetuto che il secondo parto
di solito è più facile del primo.
Avrei voluto che Axel fosse presente. È entrata tutta la famiglia e poi sono arrivati
tutti i ministri. Non è stato permesso a nessun altro di entrare, sebbene vi fossero
tante persone nel corridoio. Luigi era molto nervoso. Non riusciva a star seduto e
camminava per la stanza dicendo: «Non le si può dare più aria? Datele più aria».
Io non mi lamentavo. Mi sentivo abbastanza a mio agio, l'aria non mancava e non
c'era la folla rumorosa di spettatori arrampicata sui mobili.
Le fitte sono diventate sempre più forti e la levatrice mi ha massaggiato la schiena
per darmi sollievo. Luigi insisteva perché mi venisse somministrato sciroppo di
papavero per alleviare il dolore, ma il medico lo ha proibito, perché avrebbe fatto
addormentare il bambino ostacolandogli il respiro al momento della nascita.
Inoltre, io ero in grado di sopportare il dolore. Mi aiutava il fatto di aver già
affrontato un momento simile e di sapere che sarei stata capace di resistere sino
alla fine. Ho tenuto addosso la cintura di santa Radegonda e ho pregato e so che
ciò mi ha dato forza.
I ricordi delle ultime ore del travaglio sono confusi, perché la sofferenza fisica è
diventata terribile e molte volte mi sono sentita svenire. Ricordo di aver chiamato
Loulou, Sophie e Carlotta (sebbene quest'ultima non fosse presente, essendo
tornata a Vienna con Giuseppe mesi prima) e di essermi aggrappata con forza alle
loro mani. Provavo dolore quando la levatrice mi premeva sul ventre e quando il
medico, che continuava come la volta precedente a dirmi di impegnarmi, di
«sollevare l'edificio», mi ha infilato dentro i suoi strumenti.
In quel momento ho urlato e ricordo che Luigi ha detto: «Non fatele male. Per
amore del Signore Gesù, non fatele male!».
Ricordo lacrime, dolore e un fiotto di liquido che usciva dal mio corpo.
Poi non ricordo più nulla, fino a quando non ho visto, distintamente, il viso di
Monsieur Genet, il custode dei sigilli reali, in piedi accanto al letto. Aveva l'aria
felice. «Un maschio, è nato un maschio alla Francia!» ha esclamato.
C'è stato un grande urlo di gioia nella stanza. Ho udito Luigi che gridava: «Dio sia
ringraziato» e qualcuno – credo che fosse Luigi Saverio, ma non ne sono certa –
che imprecava.
Il dottor Sundersen ha sollevato in alto l'esserino rosso perché lo potessi vedere e
poi gli ha schiaffeggiato il culetto fino a quando il piccolo non ha emesso un
grido. Era un gridolino debole, come il guaito di un cucciolo sottopeso.
La levatrice l'ha lavato, l'ha avvolto in una magnifica coperta ricamata con gigli e
corone e me l'ha messo fra le braccia. Era caldo e minuscolo, più piccolo di
Mousseline appena nata. Aveva gli occhi chiusi ed era privo di capelli.
L'ho baciato e poi devo essere svenuta, perché non ricordo altro, se non di aver
udito indistintamente la voce di Luigi che diceva: «Madame, siete la madre di un
delfino».
Sono la madre di un delfino, finalmente. Dio sia ringraziato.
IX.
14 dicembre 1781
Mio figlio viene adorato come se fosse un dio in sembianze umane. Inviati delle
corti straniere, alti funzionari di ogni parte della Francia, importanti uomini della
capitale, ministri e cortigiani del re, tutti si avvicinano alla sua culla come se si
trattasse di un sacrario e lo guardano come guarderebbero un santo o una reliquia
della Vera Croce.
Abbiamo aspettato tanto a lungo la nascita di un erede al trono, tanti lunghi,
desolati anni. Adesso che finalmente è arrivato sembra quasi un miracolo, un
inatteso dono del Cielo. Non potrei essere più felice di esibirlo, anche se è così
piccino e tanto meno sveglio e vivace di Mousseline alla sua età.
Non c'è quasi nessuno che se ne accorga. I visitatori che vengono a sfiorare la
culla con timore reverenziale lo vedono solo di sfuggita e non sono davvero in
grado di giudicare. Per loro non è che un neonato avvolto in coperte di lana in una
culla dorata, il prezioso delfino di Francia. Per me, invece, è molto di più. È il mio
adorato bambino, il mio Luigi Giuseppe. Ma è anche un piccolo neonato apatico,
tranquillo e poco interessato a quanto lo circonda. Non agita le braccia né scalcia
come fanno gli altri bambini e, sebbene abbia già quasi due mesi, non riesce quasi
a sollevare la testa dal cuscino di seta.
Adesso sono sempre molto attenta a chiudere a chiave questo diario e a custodirlo
in un posto sicuro, dove a nessuno possa mai venire in mente di cercarlo. Nessuno
deve leggere quello che scrivo qui sul prossimo re di Francia.
2 febbraio 1782
Sono tanto preoccupata per il nostro piccolo Luigi Giuseppe. Sono venuti a
visitarlo tre specialisti, fin da Edimburgo.
17 febbraio 1782
Oggi quando è entrata Loulou stavo piangendo e lei ha fatto del suo meglio per
consolarmi, ma sono disperata.
Altri specialisti hanno visitato il mio piccolo Luigi Giuseppe e dicono tutti la
stessa cosa. Ha una malformazione alla schiena e non potrà mai stare diritto né
camminare da solo. Luigi li ha pagati profumatamente perché tacciano a questo
proposito. Nessuno deve venirlo a sapere... finora lo sa solo la balia. Lo tengo
avvolto in coperte in modo che i visitatori - stavo per scrivere «adoratori» -
vedano solo il suo faccino.
28 febbraio 1782
Axel è vivo e sta bene. È un eroe! Ho ricevuto finalmente sue notizie. Non ne
sapevo nulla da così tanto tempo che temevo fosse stato ferito o perfino ucciso.
Era con il generale Rochambeau e gli americani quando hanno accerchiato i
soldati del generale inglese Cornwallis e questi ha infine deposto le armi e
consegnato le truppe ai vincitori. Durante alcune scaramucce con gli inglesi, Axel
ha combattuto coraggiosamente e ha salvato la vita a molti soldati, sia francesi sia
americani. Il generale Rochambeau l'ha decorato, il generale Washington gli ha
stretto la mano, l'ha ringraziato e nominato membro dell'Ordine di Cincinnato.
Sono molto fiera di lui e glielo dirò quando lo vedrò. Oh, quando lo rivedrò? È
passato tanto tempo.
Ovviamente non potevo saperlo, ma le scaramucce e la resa degli inglesi sono
avvenute subito prima della nascita di Luigi Giuseppe. Le mie stelle e quelle di
Axel devono essere in congiunzione, come direbbe Sophie.
3 aprile 1782
Scrivo queste righe nella grotta del Petit Trianon, un luogo sicuro e riservato. Eric
monta la guardia qui vicino.
Da quando è nato Luigi Giuseppe, Eric è stato molto vicino a me e al bambino,
quasi come se il padre fosse lui e non Luigi. Sono contenta della sua protezione e
gliel'ho detto.
Oggi pomeriggio ho bisogno dell'intimità e del conforto della grotta. Abbiamo
avuto dai medici un'ennesima diagnosi scoraggiante. Dicono che il bambino ha
sofferto di un'affezione ai polmoni che si è trasmessa alla spalla e alla schiena e
che i chirurghi dovrebbero operarlo per impedire che la malattia ritorni ai polmoni
e lo uccida.
È una cosa che non capisco, ma il più insigne tra i medici l'ha detta in tono
solenne e pare che sia molto esperto. Tutti sostengono che i medici migliori
vengono da Edimburgo ed è appunto lì che lui esercita. D'altra parte, ho sentito
dire che Edimburgo è una città quasi altrettanto sporca di Parigi dove la gente
getta liberamente i rifiuti nelle strade. Tuttavia, si dice che gli scozzesi siano
molto robusti.
24 aprile 1782
Ieri il chirurgo è venuto al palazzo per eseguire le istruzioni dei medici di
Edimburgo. Luigi Giuseppe ha ormai sei mesi e i dottori dicono che è abbastanza
grande da sopportare il dolore che questo intervento gli causerà.
Eric era presente e si è trattenuto fuori in corridoio per tutto il tempo. Ho sentito
Amélie aggredirlo a male parole e so che negli ultimi mesi è stata in collera con
lui più che mai. Sophie continua a dirmi che dovrei licenziare quella ragazza, che
è insolente e manca di rispetto, ma io ho paura di farlo. Sa troppe cose su di me.
So che mi prende in giro alle mie spalle. Sento le ragazze più giovani che ridono
e soffocano le risate quando entro. Alcune di loro si vergognano e so che nel
profondo mi vogliono bene e sono leali; Amélie non è riuscita a mettermele
contro.
Non volendo che alcun membro del personale fosse presente quando il chirurgo
avrebbe eseguito l'intervento su Luigi Giuseppe, ho ordinato a Sophie di dare a
tutti escluso Eric, una giornata di libertà. Sophie, Luigi e io abbiamo atteso
l'arrivo del chirurgo. Ho tenuto fra le braccia
Luigi Giuseppe, che dormiva tranquillo. Ho visto entrare due uomini corpulenti
con una piccola poltrona sistemata su una piattaforma. Poi è entrato il chirurgo,
un uomo dall'aspetto trasandato con un'incolta barba nera, una giacca dozzinale e
un cappello a tricorno. Ci ha fatto un piccolo cenno con la testa e poi si è messo al
lavoro.
Gli hanno dato una bacinella d'acqua per lavarsi le mani e ho notato che, quando
ha finito, l'acqua era molto sporca. Ha disposto i suoi strumenti, poi ha fatto segno
di portargli Luigi Giuseppe e di togliergli la camiciola di flanella.
Quindi ha legato il bambino su quella sedia dall'aspetto così crudele, in modo che
la sua povera piccola schiena e la spalla rimanessero in vista. Ha preso un lungo,
affilato ago d'acciaio e ha cominciato a infilarlo nella carne bianca.
Luigi Giuseppe ha emesso un grido e io ero così sconvolta che ho gridato con lui.
Il sangue colava dalle ferite, mentre la crudele sonda si spostava verso l'alto e
verso la spalla dello sventurato piccino.
È stato tutto molto rapido, ma io sono riuscita a stento a mantenere il controllo di
me stessa, tanto ero sconvolta.
Dopo che il chirurgo ha terminato l'intervento, l'assistente ha cominciato a
cospargere le ferite con un unguento e a fasciarle. Luigi ha chiesto al dottore in
tono aspro: «Ma era proprio necessario fargli tanto male?».
«Era necessario, certo. I muscoli sono deboli. Devono essere rinforzati con la
stimolazione» ha risposto, aggiungendo: «Sono cinquanta franchi».
«Mandate il conto al ministro delle Finanze.»
«Esigo di essere pagato subito.»
Ho creduto per un momento che Luigi l'avrebbe schiaffeggiato, ma non l'ha fatto.
Era inaudito che un medico, o un commerciante o un mercante chiedesse un
pagamento al sovrano. Ma Luigi, forse rendendosi conto che era ormai noto il
ritardo di mesi o di anni con cui avvenivano i nostri pagamenti, ha trattenuto il
suo iniziale impulso. Si è calmato, poi è uscito in corridoio. L'ho sentito parlare
con Eric. Poi è rientrato nella stanza.
«Ho mandato a prendere i soldi. Se volete aspettare...»
Il chirurgo ha fatto un inchino. «Vostra Maestà.» Il povero Luigi Giuseppe che
piangeva disperato è stato liberato dai legacci che lo stringevano. Io l'ho preso in
braccio e l'ho avvolto nella coperta. Dopo averlo riportato nella sua cameretta,
l'ho cullato fra le braccia fino a quando, finalmente, si è addormentato. Ma si è
svegliato ripetutamente durante la notte e ogni volta gli ho fatto applicazioni di
olio di sassafrasso sulle ferite, che avevano assunto un brutto colore rosso.
Oggi il piccolo è agitato e piange molto. Ha la schiena e il braccio gonfi ed è
caldo al tatto. Mi domando quando vedremo se la terapia ha avuto l'effetto
sperato.
10 maggio 1782
Il povero Luigi Giuseppe ha ancora la schiena e il braccio gonfi e mi sembra che
adesso non riesca a muovere bene l'arto. Gli è venuto un ascesso e gliel'hanno
dovuto incidere. L'ho tenuto in braccio mentre il chirurgo eseguiva l'intervento,
nella speranza che il tenerlo stretto l'avrebbe calmato, ma il piccolo ha strillato
ugualmente. Mi domando se si abituerà mai al dolore.
Sophie vuole portare a corte un astrologo perché gli faccia l'oroscopo. Dice che
potrebbe darci speranze per il suo futuro. Ma potrebbe anche togliercele. Ho detto
di no.
30 giugno 1782
Malgrado i nostri sforzi, è diventato impossibile mantenere il segreto sulle
condizioni di Luigi Giuseppe. Non riesce quasi a stare seduto e non va carponi
come fanno i bambini normali alla sua età, e la cosa non può essere
tenuta nascosta. Sorride raramente e non ride mai. I giocattoli e i cani non lo
interessano. La mia preoccupazione per lui, la mia espressione angustiata e le
frequenti visite di Luigi alla cameretta sono rivelatrici. Mousseline è gelosa
dell'attenzione che suo fratello riceve ed è diventata più difficile da gestire. È
molto capricciosa e non si comporta bene. Confesso di non sapere cosa fare per
tenerla a freno.
9 luglio 1782
Ho scoperto con orrore che le mie cameriere scommettono su quando morirà mio
figlio, esattamente come, l'autunno scorso, scommettevano sulla data della sua
nascita.
Loulou e Sophie hanno ricevuto l'ordine di far cessare queste pratiche malsane.
2 agosto 1782
Visto che i medici e il chirurgo non sono stati in grado di curare Luigi Giuseppe,
ho deciso di cedere alle insistenze dei molti che a corte lodano le capacità
taumaturgiche del siciliano che si fa chiamare conte Cagliostro. Sostiene di essere
un guaritore e ho conosciuto parecchie persone, che affermano di essere state
risanate da lui.
Cagliostro dichiara anche di avere tremila anni ma, naturalmente, io non ci credo.
E non credo nemmeno che abbia appreso le sue arti dagli antichi faraoni egizi, o
che sia cresciuto in mezzo agli arabi nel sacro santuario della Mecca.
Le persone sono ingenue e disposte a prestare fede a qualunque cosa se sono
disperate; il loro buonsenso svanisce nel nulla. Eppure credo che ci siano alcuni
individui che possiedono poteri non facilmente spiegabili, e il siciliano può essere
uno di questi. Se può aiutare il mio povero bambino, gli sarò grata.
L'ho convocato nei miei appartamenti e lui ha promesso di venire domani sera.
4 agosto 1782
Ieri sera è venuto Cagliostro, un uomo alto, robusto, con gli occhi penetranti e un
fare molto teatrale. Indossava un ampio mantello rosso, che faceva svolazzare
mentre avanzava nel mio salotto, dove una ventina di persone si erano riunite per
assistere all'intervento sul delfino. Erano presenti Loulou, Yolande, le mie
cognate Maria Giuseppina e Maria Teresa e perfino il conte Mercy.
Cagliostro ha cominciato a parlare in una strana lingua e ci ha spiegato che stava
pregando il dio egizio Anubi.
Poi, ha rievocato a lungo i suoi molti ricordi appartenenti al passato greco,
romano e medievale. Il conte Mercy ridacchiava e io ne ho compreso il motivo.
Era evidente che il siciliano stava cercando di far colpo sui creduloni.
Com'è ovvio, non era vissuto al tempo di Socrate e di Cesare più di quanto non vi
fossi vissuta io, anche se c'è qualcuno che sostiene che tutti abbiamo vissuto
molte esistenze e suppongo che questo sia possibile. Tra l'altro, Charlot,
riferendosi a Cagliostro, mi ha fatto notare: «Dovete rendervi conto, cara
Antonietta, che l'individuo può essere un impostore, ma anche possedere veri
poteri». Ero disposta ad aspettare di vederlo in azione. A un certo punto,
Cagliostro ha estratto da una tasca interna una fiaschetta, cui ha tolto il tappo. Un
forte odore di muschio ha riempito la stanza. «Adesso invocherò il potere
dell'antico guaritore Batok, sacerdote di Thot» ha detto solennemente. «Non
temete, Batok è uno spirito benevolo. Se dovesse manifestarsi a voi, state
tranquilli perché è del tutto innocuo.»
Quindi, si è avvicinato alla culla di Luigi Giuseppe (io ero seduta accanto) e, dopo
avermene chiesto il permesso, ha messo una goccia del liquido sulla fronte del
bambino, mormorando nel contempo alcune formule magiche.
Dalla culla si è levata una nebbia biancastra che, solo per un attimo, è parsa
assumere una forma vagamente umana prima di dissiparsi e svanire.
«Non allarmatevi, Maestà» mi ha sussurrato Cagliostro, chinandosi verso di me e
toccandomi il braccio per rassicurarmi.
I presenti hanno trattenuto il fiato, e io con loro, ma tutto è avvenuto così in fretta
che non ho avuto il tempo di reagire e sottrarre Luigi Giuseppe all'eventuale
pericolo. L'ho guardato nella sua culla e ho notato che, per un solo attimo, ha
aperto i piccoli occhi azzurri e, una volta tanto, è parso vedere davvero ciò che gli
stava intorno, invece di fissarlo con sguardo inespressivo come al solito. Il guizzo
d'interesse è apparso e scomparso con pari rapidità. Il bambino ha chiuso gli occhi
e si è riaddormentato profondamente.
Cagliostro è stato applaudito e si sono levate grida di ammirazione e
approvazione. Con uno svolazzo del mantello rosso, il siciliano è uscito dalla
stanza e se n'è andato.
Non sapevo che cosa pensare. Sono rimasta per un'ora a guardare Luigi Giuseppe,
che ha continuato a dormire tranquillamente. Poi, lasciando Sophie a vegliarlo,
sono andata a cercare Luigi, che si trovava nella biblioteca a mangiare dolci e a
leggere. Quando gli ho riferito ciò che era accaduto, si è messo a ridere.
«Una nube bianca, dite? Un vecchio trucco dei maghi. Usano un preparato che
produce uno sbuffo di fumo. Probabilmente lo teneva nascosto sotto il mantello, o
si trovava nella fiaschetta. Batok, sacerdote di Thot, davvero?! Che sciocchezze!»
«Eppure ci sono persone che giurano che lui le ha aiutate, che stanno bene grazie
al suo intervento.»
«Si sono convinte di stare bene» ha replicato Luigi. «Ma funziona solo con gli
adulti. Non aspettatevi alcun miglioramento in Luigi Giuseppe.»
Stamattina il bambino non sembra diverso dal solito.
Forse ho solo immaginato che abbia avuto un temporaneo risveglio mentale? Non
lo so. In ogni caso, Sophie mi ha detto che Cagliostro è partito ieri a mezzanotte
in carrozza, diretto in Italia. Per assistere alla sua partenza, si è radunata una
piccola folla, che ha gettato petali di rosa su suo cammino e lo ha pregato di
tornare presto.
12 settembre 1782
Ne ho abbastanza di guaritori e ciarlatani. Prima c'èstato Cagliostro; poi un trio di
indovini della Martinica, che leggevano il futuro nell'acqua e hanno sostenuto di
vedere il viso di mia mamma riflesso in una bacinella; quindi, un irlandese che ci
ha venduto l'olio del mago Hamlin per lenire i dolori di Luigi Giuseppe; infine
l'astrologo di Sophie (alla fine ho ceduto all'astrologo), che ha predetto che Luigi
Giuseppe sarebbe vissuto fino a novant'anni e avrebbe avuto sette figli.
Nessuno di loro ci è stato d'aiuto, anche se mi è parso che l'olio del mago Hamlin
abbia alleviato un po' il dolore al braccio del bambino, consentendogli di
muoverlo meglio.
20 settembre 1782
Giuseppe ha mandato da Vienna un medico capace di sistemare arti e schiene
deformi. Usando gli attrezzi del laboratorio di Luigi, ha fabbricato un piccolo
busto rigido per la schiena del bambino. Luigi Giuseppe deve indossarlo notte e
giorno, anche se dormire con quell'aggeggio è molto difficile e sono sicura che il
piccolo non riuscirà mai a imparare a camminare finché non gli verrà tolto.
22 settembre 1782
Non dormo da tre giorni e nemmeno Luigi Giuseppe. Ha pianto tanto da diventare
rauco. Il busto che dovrebbe correggergli la schiena e il braccio è troppo stretto.
Ne sono sicura. Ma il medico sostiene che deve rimanere com'è.
Il bambino vi si adatterà. Se non è molto stretto, il dispositivo non funziona.
23 settembre 1782
Esausta e con lo sguardo annebbiato, oggi sono andata da Luigi, portando con me
Luigi Giuseppe in lacrime, e l'ho pregato di mandare via il medico viennese. Gli
ho mostrato i profondi tagli causati dal crudele busto sulla schiena del bambino.
In un primo tempo, Luigi si è rifiutato di prendere in considerazione la mia
richiesta, ma io non ho ceduto e i pietosi, flebili, striduli lamenti emessi dal
piccolo dopo un po' gli sono diventati insopportabili. Con una pesante
imprecazione, ha gettato contro il muro il pezzo di macchinario al quale stava
lavorando e ha detto: «Portatemi qui il bambino». Prendendo una cesoia affilata,
ha tagliato il busto e ha ordinato di licenziare il medico. Scriverò a Giuseppe per
spiegargli che cosa è successo.
18 ottobre 1782
Da molti mesi, alcune persone pie mi consigliano di portare mio figlio a un
santuario tipo Saint-Martin o Chartres.
Sostengono che ogni giorno pellegrini vengono guariti in questi luoghi santi.
Perché non dovrebbe succedere al delfino?
Eric mi ha raccontato di una serie di guarigioni verificatesi recentemente a Saint-
Brolâdre, un villaggio non molto distante da qui. C'è un'antica sorgente presso cui
un eremita è vissuto molti secoli fa. Nelle vicinanze, sopra la sua tomba, è stata
costruita una cappella. La gente vi si reca a pregare e viene guarita. Sia la zia sia
la cugina di Amélie sono ancora vive grazie ai poteri taumaturgici del santo.
«La famiglia di Amélie vive nel villaggio» ha detto Eric. «Lei è cresciuta là.»
«Mi chiedo perché non me ne abbia parlato lei stessa.»
«Immagino, Vostra Maestà, che temesse di essere rimproverata, nel caso in cui
aveste portato il bambino al santuario e non fosse guarito.»
Ho guardato Eric, i suoi splendidi occhi azzurri sempre limpidi e onesti, il suo
viso perfino più bello ora di quando, tanti anni fa, da ragazza, mi sono infatuata di
lui. Siamo entrambi genitori adesso, lui un maturo trentaduenne o trentatreenne,
io una quasi ventisettenne. Siamo entrambi insoddisfatti dei nostri matrimoni,
Eric assolutamente infelice, io più o meno rassegnata ai limiti di Luigi come
marito, ma felice dell'amore di Axel. Mi sono chiesta se Eric abbia trovato una
persona da amare, una donna che lui non potrebbe sposare, ma che lo renda felice.
Lo spero.
Sapevamo entrambi che ciò che Eric aveva appena detto su Amélie era un'educata
menzogna. Ci siamo scambiati uno sguardo, senza parole, lasciando che la
menzogna rimanesse a mezz'aria, incontestata.
«Sarei onorato di condurvi a Saint-Brolâdre, se lo desiderate. Conosco benissimo
il curato. Potrà parlarvi molto meglio di me delle numerose, importanti guarigioni
operate dal santo.»
«Una piccola spedizione, un'unica carrozza con la scorta di cinque o sei guardie,
magari» ho detto, pensando ad alta voce. Mi ricordavo delle volte in cui la
mamma ci aveva portato al santuario di santa Radegonda, a pregare con gli
abitanti del villaggio e i devoti viennesi che facevano spesso quel pellegrinaggio,
portandovi i congiunti malati e perfino gli animali.
Per queste escursioni, la mamma indossava il semplice abito nero della penitente
e si rifiutava di esibire i segni della sua alta nascita e del suo potere imperiale. Ci
faceva salire tutti su una modesta carrozza, pigiati insieme, e ordinava al
cocchiere di condurci nel punto in cui iniziava il sentiero dei pellegrini. Poi,
prendendo per mano i più piccoli di noi, mentre i miei fratelli (Carlo era ancora
vivo, allora, per quanto mi ricordi) e sorelle più grandi camminavano davanti, si
avviava in mezzo alla folla di gente comune, cantando inni e recitando preghiere
come tutti gli altri. Una volta raggiunto il santuario, s'inginocchiava nella polvere,
umiliandosi, e pregava per coloro che avevano bisogno di essere guariti. Abbiamo
assistito a molte importanti guarigioni in quel santuario, anche se Giuseppe si è
sempre mostrato scettico in proposito; ricordo che mi diceva che le persone sono
suggestionabili e che le guarigioni che ricevono sono dovute ad autoipnosi, non al
potere divino. È esattamente quello che sostiene Luigi. Sono rimasta un attimo
soprappensiero, poi ho sorriso a Eric. «Ne parlerò con il sovrano» ho detto. «Se
lui è d'accordo, ci andremo e vi saremo grati per il vostro aiuto.»
Eric mi ha baciato la mano e mi ha lasciata, non aggiungendo altro riguardo ad
Amélie.
5 novembre 1782
Ci siamo recati al santuario di Saint-Brolâdre, ma il nostro viaggio non si è affatto
svolto come ci eravamo aspettati.
Per raggiungere il villaggio, abbiamo dovuto attraversare la periferia di Parigi.
Erano trascorsi anni dall'ultima volta che c'ero passata e avevo dimenticato quanto
le strade fossero sgradevoli e sovraffollate, invase da spazzatura in
decomposizione, intasate di carri funebri che portavano via i cadaveri e
ammorbate dalle fogne a cielo aperto che scorrono in mezzo ai vecchi vicoli.
Lungi dal salutarci, i parigini cui passavamo accanto guardavano di traverso la
nostra carrozza, che risultava chiaramente appartenere a una famiglia nobile
sebbene non esibisse lo stemma reale.
Eric e sei guardie in uniforme cavalcavano accanto alla vettura, mentre due
postiglioni facevano strada.
Ci eravamo appena addentrati nelle vie della città, quando abbiamo cominciato ad
attrarre una folla di gente.
Guardando fuori dal finestrino della carrozza, ho colto varie espressioni sui visi:
alcune persone osservavano indifferenti, altre eccitate e sorridenti, molte
corrucciate e scontrose.
A un certo punto, la vettura ha rallentato per permettere a un porcaro di passare
con i suoi maiali e io ho stretto più forte fra le braccia Luigi Giuseppe che stava
dormendo.
Ho sentito la carrozza oscillare leggermente, perché qualcosa aveva colpito la
portiera. Sono seguiti un secondo e poi un terzo scossone. Mi sono resa conto che
ci stavano gettando zolle di terra... ho sperato che non si trattasse di letame. Eric
si è accostato al mio finestrino aperto, facendo da schermo contro la gente che si
stava ammassando intorno a noi, gridando e cantando.
Tirateli giù
Altezzosi bastardi
Tirateli giù
Fino all'ultimo uomo!
Cacciateli fuori
Dannati aristocratici
Cacciateli fuori
Fino all'ultimo uomo!
«Smettetela di cantare!» ha gridato Eric nel suo francese dall'accento austriaco,
spronando il cavallo in mezzo alla folla. Ma sia lui sia le guardie e i postiglioni
sono stati bersagliati di fango e, a un certo punto, attraverso il finestrino della
carrozza, è stato lanciato un cane morto, che è atterrato ai miei piedi.
Luigi, furioso, ha afferrato quell'animale puzzolente per la coda e l'ha gettato
fuori. «Porci figli di puttana!» ha gridato rivolto ai dimostranti che cantavano,
lanciando occhiatacce ostili. «Diavoli schifosi!»
La carrozza ha cominciato ad accelerare la corsa, l'ostruzione stradale era
superata. Ho udito il cocchiere incitare i cavalli e schioccare la frusta; la folla si è
aperta dileguandosi mentre noi procedevamo.
Tremavo. Mi sono chiesta se saremmo riusciti a giungere a Saint-Brolâdre sani e
salvi. Abbiamo proseguito attraverso le strade strette e buie, accolti da sguardi
malevoli e da occasionali grida e insulti. Ho udito Luigi bestemmiare fra i denti.
Alla fine, siamo giunti in aperta campagna. Eric ci ha informati che ci trovavamo
sulla strada principale nelle vicinanze di Saint-Brolâdre. Qualche attimo dopo, ho
avvertito che la mia ansia stava diminuendo. Mi sono rivolta a Luigi.
«Questi rozzi parigini non hanno idea di chi siamo» gli ho detto. «Se sapessero
che siete il sovrano, s'inchinerebbero rispettosamente.»
«E non hanno rispetto per chi è superiore a loro? Forse che un nobile dev'essere re
per venire trattato con la dignità che gli spetta?»
«La gente dice che la colpa è degli americani. Sono degli egualitari. Disprezzano
corone e titoli. Hanno infettato i parigini con le loro idee. Yolande dice che non
osa più venire nella capitale.»
Ma non sono stati soltanto i parigini a riservarci un'accoglienza inattesa. Quando,
alcune ore più tardi, siamo arrivati a Saint-Brolâdre, il villaggio sembrava deserto.
Niente fumo dai comignoli delle case, niente nitriti di cavalli dalle stalle, né
abbaiare di cani, nessun volto alle finestre. Il silenzio era snervante.
Ho sentito parlare di villaggi devastati dal vaiolo o dalla peste dove non c'è
rimasto nessun essere vivente.
Saint-Brolâdre era così, un luogo talmente vuoto che avrebbe potuto essere stato
distrutto da una malattia mortale. Eric ci ha condotti alla cappella costruita sulla
tomba del santo e lì abbiamo incontrato il curato. Quando gli abbiamo chiesto
dove fossero tutti quanti, lui è parso imbarazzato.
Ha detto che gli abitanti erano andati a una festa nel villaggio vicino, ma ho capito
che stava mentendo. Infatti, perfino in occasione delle ricorrenze, c'è sempre
qualcuno che non è in grado di recarsi a festeggiare in luoghi distanti: le puerpere,
i vecchi, i malati, gli addetti alla mungitura, i ciechi e gli scemi. A Saint-Brolâdre
non c'era assolutamente nessuno, o così pareva a noi, eccetto il curato.
Dopo aver deposto Luigi Giuseppe davanti alla tomba del santo e averlo immerso
nell'acqua della sacra sorgente che scaturiva da una roccia, ci siamo recati alla
casa in cui viveva la famiglia di Amélie. La cugina, ci ha detto il curato era stata
colpita da paralisi e non poteva camminare, m'a, dopo aver pregato il santo, aveva
riguadagnato salute e forze. La zia di Amélie soffriva di un'emorragia e, anche lei
era stata miracolosamente risanata. Eric ci ha condotti alla porta della casa, dove
abbiamo bussato e sbirciato da una finestra. Nessuna risposta.
«Sono andati tutti alla festa» ha ribadito il curato. «Non saranno di ritorno per
diversi giorni.»
Proprio in quel momento, ho visto muoversi una tenda. «C'è qualcuno qui dentro»
ho detto. Eric ha bussato con forza alla porta. «Uscite! Il vostro re e la vostra
regina sono venuti a farvi visita. Uscite subito!»
Abbiamo aspettato e, a un certo punto, da sotto la porta è scivolato fuori un foglio
di carta.
Eric lo ha raccolto e me lo ha consegnato. «Lamentele del villaggio di Saint-
Brolâdre» ho detto, leggendo il messaggio. «Gli abitanti affermano e dichiarano
che non hanno pascoli per il bestiame, che pagano tasse gravose sulla vendita dei
loro prodotti, che la terra è arida, pietrosa e sterile.»
«Basta!» ha gridato Luigi. «Buttate giù la porta! Arrestate tutti quelli che si
trovano qui dentro!»
Le guardie hanno buttato giù la porta a calci e si sono recipitate dentro, con le
spade sguainate. Non hanno trovato nient'altro che qualche modesto mobile,
alcune pentole e Padelle appese al muro, credenze vuote e, sul tavolo una candela,
alcuni libri, delle carte, qualche penna d'oca e una bottiglietta d'inchiostro. A
quanto pareva chi aveva scritto l'elenco delle lamentele era stato seduto a quel
tavolo, ma adesso se n'era andato.
Abbiamo udito un colpo e un rumore di passi e ci siamo precipitati sul retro.
C'erano un granaio, un porcile e, al di là, campi fangosi e spogli, in quanto il
raccolto era già stato mietuto mesi prima. In lontananza, abbiamo visto
distintamente la figura di una donna piuttosto giovane che correva a gambe levate
sul terreno scuro e pietroso. L'orlo bianco della sua sottogonna era visibile a ogni
passo.
Indossava un copricapo rosso vivo, simile a quello che i parigini chiamano
«berretto della libertà».
Le nostre guardie hanno inseguito la donna per i campi, gridandole di fermarsi.
Ma lei aveva le ali ai piedi ed è riuscita a fuggire. Al limitare del villaggio, dove
ai campi subentrava una macchia di alberi, si è fermata e si è voltata a guardare
nella nostra direzione. È stato in quel terribile momento che l'ho riconosciuta: era
Amélie.
X.
4 giugno 1783
Oggi mi sono alzata prima dell'alba per aspettare sul terrazzo l'ingresso di Axel a
cavallo nel cortile. Era stato preceduto da un messaggio che annunciava il suo
arrivo a Versailles a metà mattina e, nel caso in cui fosse giunto in anticipo,
volevo essere la prima a vederlo.
C'era stato un tale andirivieni di uomini a cavallo che alle nove ero già molto
impaziente. Poi ho scorto un destriero bianco e un cavaliere biondo nell'uniforme
impolverata e ho capito subito che doveva trattarsi di Axel. Mi sono precipitata
giù per lo scalone e attraverso i lunghi corridoi e mi sono quasi scontrata con lui
che correva per venirmi incontro.
«Eccovi!» ha esclamato. «Ecco qui il mio piccolo angelo!»
Tre paggi seduti su una panca in corridoio vicino a noi, stupefatti, si sono
affrettati ad alzarsi e a uscire. Siamo rimasti soli. Ci siamo abbracciati e baciati,
abbiamo riso e ci siamo abbracciati di nuovo, finché il mio abito non si e tutto
impolverato e la giacca di Axel non si è macchiata del mio trucco.
«Come siete magro! E abbronzato!»
«Voi, mia adorata, siete più splendida che mai. La maternità vi dona.»
Abbiamo trascorso insieme l'ora successiva, al riparo da occhi curiosi e indiscreti,
tenendoci per mano, baciandoci e chiacchierando. Ho visto le cicatrici delle due
ferite che Axel ha riportato. La sua pelle non è più morbida come prima. Tutte
quelle notti passate a dormire in una tenda gelida sul duro terreno coperto di neve,
tutti quei giorni senza potersi riparare dal sole cocente della Virginia. È vissuto
all'aperto, una vita dura e crudele, e questo lo ha temprato.
Che gioia averlo qui! Se possibile, sono ancora più innamorata di lui.
22 giugno 1783
Ho lanciato una nuova moda a corte. Axel mi ha portato una scatola di splendidi
guanti di pelle di vitello chiaro, profumati di essenza di rosa. Ne indosso un paio
nuovo ogni giorno e tutte le dame a corte mi imitano.
6 luglio 1783
Luigi parla per ore con Axel del periodo trascorso in America e degli altri suoi
viaggi. Luigi non è mai stato da nessuna parte e muore dalla voglia di viaggiare a
lungo, o almeno così dice. A dire il vero, penso che sia troppo timoroso per
andare molto lontano. Come potrebbe fare a meno dei suoi cuochi e dei festini
quotidiani, dei morbidi letti di piuma sui quali dormiamo, del suo laboratorio,
degli esemplari di piante e della biblioteca? Non potrebbe mai sentirsi sicuro in
nessun luogo, tranne che nella sua adorata foresta di Compiègne, senza le guardie
a proteggerci. L'altro giorno a pranzo nei miei appartamenti, mentre stavamo
mangiando tutti insieme, Luigi, io, Axel, Chambertin, che di tanto in tanto si
unisce a noi su insistenza di Luigi, e i due bambini, Luigi ha raccontato ad Axel di
aver tracciato delle carte nautiche e delle rotte di navigazione per un viaggio
intorno al mondo.
«Pensate che un giorno potreste guidare una simile spedizione?» ha chiesto Axel
gentilmente.
«Non sono un marinaio. Mi sento già male a veleggiare su e giù per i nostri
canali. Vi ho parlato dei canali che sto collaborando a progettare?»
A questo punto, ho pensato con desolazione che Luigi avrebbe attaccato a parlare
di canali. Adora farlo. Ma Axel, il paziente, gentile Axel, non ha dato segni di
irritazione, sebbene abbia già sentito il racconto molte volte.
«Sono sempre incuriosito dalle vie di navigazione di Vostra Maestà.»
«Una la chiamerò "Canale della Regina". In onore di mia moglie.» Si è chinato
verso di me e mi ha accarezzato il braccio. «Vi devo talmente tanto, mia cara. In
particolare adesso che avete dato un delfino alla Francia.»
Il piccolo Luigi Giuseppe era seduto a tavola, con la bambinaia accanto, e aveva il
busto piegato da un lato, il capo inclinato verso la spalla e il viso contratto dal
dolore.
Confesso che non riesco a guardarlo senza che mi vengano le lacrime agli occhi.
Ha imparato a mangiare da solo alla meglio e a dire qualche parola, ma è un
bambino triste, costantemente in preda alla sofferenza fisica. È un «dolore
ambulante». È quello che penso di lui, anche se non lo dico mai ad alta voce.
Cammina barcollando, aggrappandosi a quello che ha a portata di mano. Non l'ho
mai visto fare più di qualche passo senza appoggiarsi a qualcosa o a qualcuno.
Che strazio per il mio cuore! Sono cambiata, lo so. Quando mi guardo allo
specchio, non vedo più la ragazzina che ero, una ragazzina molto graziosa,
sempre pronta alla risata.
Adesso lo specchio riflette una donna dalla figura piena (anche se non certo
grassa come Carlotta o grassissima come Luigi), dallo sguardo ancora sorridente,
ma anche segnato da una maggiore consapevolezza del mondo e delle sue
tentazioni. Ci sono rughe agli angoli della bocca e degli occhi, rughe ancora poco
profonde. Sophie le chiama «rughe di saggezza».
Dice che sua madre ha cominciato ad averle quando aveva all'incirca la mia età,
quasi ventotto anni, dopo aver perso uno dopo l'altro tre figli. Uno è nato morto,
un altro è morto di vaiolo e il terzo, quello che amava di più, è caduto da una
finestra ed è stato investito dal carro di un macellaio. Dopo queste disgrazie, è
venuta alla corte di mia madre a lavorare nelle cucine. Con gli anni, tutti i suoi
figli sono entrati al servizio della famiglia reale. Sophie è stata assunta per
occuparsi dei bambini e, più tardi, è diventata la mia prima cameriera.
Sono contenta che Sophie mi abbia raccontato la storia di sua madre. I domestici,
anche quando si fa di tutto per essere gentili con loro, come faccio io, sembrano
sempre appartenere al passato del palazzo, come se fossero sempre stati là e
dovessero rimanerci per sempre. È bene ricordarsi, invece, che hanno una loro
vita e subiscono dolori e perdite simili a quelli che tutti noi subiamo. Sophie
capisce la mia tristezza riguardo a Luigi Giuseppe e spesso mi consola.
17 luglio 1783
Luigi porterà Axel e alcuni ministri a vedere il Canale della Regina che sta
costruendo in mio onore. Naturalmente, nessuno ha voglia di andarci. Io sto
leggendo il libro di cui tutti parlano: Le confessioni di Jean-Jacques Rousseau. È
un po' come Le confessioni di sant'Agostino, di cui l'abate Vermond mi ha letto
alcune parti, ma più reale e credibile.
Leggere questo libro mi ha fatto piangere. Può anche darsi che in questo periodo
sia particolarmente facile alle lacrime a causa della mia grande sofferenza per
Luigi Giuseppe, che si è fatto molto magro e tossisce parecchio.
2 agosto 1783
Per un caso fortunato, la strada che porta al Canale della Regina passa vicino a
Ermenonville, dove Jean-Jacques Rousseau è sepolto. Ho detto a Luigi che vorrei
visitare la sua tomba. Mi sento vicina a lui dopo aver letto le suesplendide, sincere
Confessioni.
Pover'uomo! Che vita strana e triste ha avuto! Ma, leggendo il suo libro, ho
provato davvero la sensazione che lui avesse conosciuto me e i miei sentimenti.
Rousseau sosteneva di essere unico e che nessuno come lui fosse mai vissuto
prima d'allora. Mi ha fatto capire che anch'io sono unica, che nessun altro
potrebbe mai comprendere appieno ciò che sto passando. Soprattutto la terribile
angoscia che provo pensando a Luigi Giuseppe e al motivo per cui
Dio mi ha dato un figlio tanto sofferente.
Non riesco a mettere per iscritto tutti i pensieri e le emozioni che Jean-Jacques
Rousseau ha suscitato in me, ma mi hanno colpita nel profondo. Avverto una
sensazione curiosa, quasi come se lui fosse un mio amico, qualcuno che conosco
bene. Quindi voglio recarmi sulla sua tomba a piangerlo.
29 agosto 1783
Il viaggio per andare a vedere il canale è stato molto noioso, a eccezione del
pomeriggio in cui mi sono recata a Ermenonville e, su richiesta di Luigi, Axel mi
ha accompagnata.
Una volta giunti sul posto, avendo mandato via la carrozza e non avendo bisogno
di guardie o domestici, Axel e io ci siamo ritrovati soli come in Svezia tanto
tempo prima, felici di conversare liberamente e affettuosamente senza paura di
essere spiati o uditi.
È stato così bello stare con lui, come se non ci fossimo mai separati e non fosse
trascorso tanto tempo. Abbiamo camminato, mano nella mano, lungo il sentiero
tortuoso che conduce al luogo della sepoltura: la tomba di Rousseau si trova in un
boschetto su una piccola isola in mezzo a un lago. Non abbiamo incontrato
nessuno ed eravamo consapevoli del silenzio intorno a noi mentre percepivamo
il tepore delle pietre sotto i piedi e le nuvole vagavano lentamente sopra le nostre
teste.
Mi sono seduta accanto alla tomba e ho posato la mano sul marmo scolpito. Ho
recitato una sorta di preghiera, non per Rousseau, ma a Rousseau, come se lui
appartenesse ancora a questo mondo. Non saprei spiegarne il motivo.
Axel stava seduto sotto un albero lì vicino, immerso nei suoi pensieri. Dopo un
po' l'ho raggiunto, senza curarmi dell'erba che macchiava il mio abito di mussola
chiara e le mie scarpine rosa.
«Lo ammiro anch'io, sapete» ha detto Axel. «Amava la semplicità, come me. Ha
fatto piazza pulita di ogni inutile complessità per scoprire la verità.»
Ho annuito, senza parlare. Siamo rimasti seduti in silenzio e io ho appoggiato la
testa sulla sua forte spalla.
«C'è una cosa semplice che so con certezza» ho detto dopo un po'. «Vi amo.»
Axel mi ha baciata sulla fronte. «E io amo voi, mio piccolo angelo. Sempre.»
Da allora penso spesso a quel dolce pomeriggio, soprattutto durante le lunghe
notti in cui, seduta accanto al lettino di Luigi Giuseppe, veglio sui suoi sonni
inquieti. Mi pare che nella vita ci siano poche cose che contano davvero.
L'amore. La natura. La speranza. Amare coloro che ci sono vicini. Cercare
conforto nella natura. Vivere sempre nella speranza.
Rousseau non sarebbe forse d'accordo?
7 ottobre 1783
Il mio personale di servizio si è ridotto di un'unità. Ieri Amélie è stata condotta via
per essere imprigionata alla Bastiglia. Il reato imputatole è quello di aver fatto
insorgere gli abitanti di Saint-Brolâdre contro il sovrano e di aver stilato un elenco
di lamentele per loro conto.
Luigi ha fatto condurre un'indagine molto accurata su tutta la faccenda. Pare che
Amélie, all'insaputa di tutti noi, perfino di Eric, sia stata plagiata dagli oratori e
libellisti radicali che predicano e scrivono sgradevoli menzogne su Luigi e su di
me. In ogni caso, lei mi odia per la devozione di Eric nei miei confronti e senza
dubbio immagina che siamo amanti, anche se non lo siamo mai stati.
Comunque, si è unita a coloro che chiedono riforme e che cercano di ottenerne
l'attuazione mediante azioni dirompenti. Ha partecipato in segreto a riunioni dove
ha ascoltato i discorsi dei sobillatori, facendosi plagiare da quello che dicono su
Luigi e sul governo. Da più di un anno conduce questa pericolosa vita segreta, ha
imparato a leggere e a scrivere ed è arrivata perfino a insegnare e a diffondere,
fra chi come lei appartiene alle classi più umili, il nuovo vangelo del
cambiamento.
Essendo venuta a sapere che intendevamo portare Luigi Giuseppe a Saint-
Brolâdre per essere benedetto nella cappella, si è recata là, ha arringato gli abitanti
(che conosceva bene, essendo cresciuta fra loro), e li ha convinti a lanciare un
monito a Luigi e a me con la loro assenza al nostro arrivo.
Dopo molte discussioni, gli abitanti hanno preparato un elenco delle loro proteste
e lei lo ha messo per iscritto.
Il suo errore è stato di trattenersi a Saint-Brolâdre dopo che gli altri se n'erano
andati. Sicuramente voleva vedere la nostra sorpresa e il nostro disagio
nell'arrivare sul posto e non trovare alcuna cerimonia di accoglienza né alcuna
folla a salutarci. Così è rimasta lì ed è stata catturata. Ora riceverà la giusta
punizione.
Mi dispiace per Eric e i due bambini. Non penso che lui sentirà la sua mancanza,
ma i bambini certamente sì. Quanto soffrirebbero Mousseline e Luigi Giuseppe se
venissi allontanata da loro!
Sono intervenuta a favore della famiglia e Luigi ha dato un ordine speciale ai
direttori del carcere perché sia permesso a Eric e ai bambini di far visita ad
Amélie per un'ora una volta alla settimana.
20 novembre 1783
Mi ha assalita la solita malinconia autunnale. Axel mi ha detto che deve lasciare
Versailles per qualche tempo per accompagnare il suo sovrano, Gustavo, in
viaggio in Italia. Starà via molti mesi. L'ho avuto con me per troppo poco tempo.
Sento già la sua mancanza e mi affliggo per la sua prossima partenza.
A influire negativamente sul mio umore sono non solo la separazione da Axel, gli
alberi spogli privi di vita, le giornate brevi e buie e i freddi venti autunnali, ma
anche l'invasione di odiosi libelli che vengono venduti a Parigi e perfino qui a
Versailles, quasi sulla soglia del palazzo.
Sotto la terrazza, infatti, c'è una rampa che conduce alla strada. Un venditore di
libri ha piazzato la bancarella proprio lì in fondo, cosicché coloro che vengono in
visita al palazzo, una volta varcati i cancelli esterni e poi quelli interni, sono
costretti a passargli accanto per raggiungere le gallerie e i saloni. Ci sono migliaia
di visitatori, molti dei quali, mi dicono, si fermano a comprare quelle porcherie e
le leggono. Cose terribili e velenose vengono scritte su di me: che sono colpevole
di amare le donne invece degli uomini; che ho condotto una vita da prostituta; che
sono priva di moralità, e perfino che seduco ragazzi e ragazze. Copie di questi
terribili libri e opuscoli sono state trovate nel palazzo, pubblicazioni che mi
dipingono come un mostro mai sazio di sesso, sempre in cerca di nuove vittime da
sedurre.
Ci sono orrende caricature in cui vengo rappresentata come un avido, grottesco
demonio o un'arpia, che si nutre della carne dei poveri e si lascia andare a eccessi
sessuali di ogni genere.
Luigi dice che non c'è alcun modo d'impedire la vendita di queste pubblicazioni.
Ogni settimana ne vengono sequestrate a centinaia dalle autorità, ma se ne
stampano sempre di nuove. Finché vi saranno persone desiderose di acquistare
queste schifezze, gli stampatori continueranno a produrle e a smerciarle. Il
venditore vicino al palazzo è stato arrestato molte volte, ma, dopo ogni rilascio,
ritorna e ripristina la sua bancarella.
14 gennaio 1784
È iniziato un nuovo anno e presto Axel se ne andrà. Luigi Giuseppe è pieno di
catarro e viene curato con gli impiastri. A me sono stati estratti tre molari e per
cinque giorni non sono riuscita a riposare né a dormire per il dolore.
19 febbraio 1784
Sophie è venuta da me stamattina e mi ha sussurrato che una donna voleva
vedermi. Ha detto «una donna» e non «una signora» per farmi implicitamente
capire che avrei preferito vedere questa persona in privato, invece che durante
l'udienza mattutina quando la camera è piena di gente che gironzola e ogni mia
parola o gesto vengono osservati.
Ho detto a Sophie di condurre la visitatrice nel mio salotto prima della messa,
quando avrei potuto incontrarla da sola.
Entrando, ho trovato, seduta su un divano, una donna di mezza età, molto in
carne, che indossava un eccentrico abito di seta rossa e arancione e un cappello
alla moda con una piuma in tinta. Quando si è alzata e ha fatto la riverenza,
affrettandosi a togliersi il copricapo, ho osservato che la sua chioma castana era
striata di grigio.
Evidentemente non si preoccupava, come fanno molte donne sopra i trent'anni, di
mascherare le ciocche grigie con la tintura o con i capelli finti. Aveva un viso
tondo e gradevole e un sorriso affabile e ho potuto notare, nonostante gli strati di
seta, che aveva un corpo forte e muscoloso.
Mi sono seduta sul divano di fronte a lei e due dei miei carlini sono balzati
accanto a me. Li ho accarezzati sulla testa distrattamente.
«Vostra Altezza Reale» ha esordito la visitatrice, con un sorriso «sono Eléanore
Sullivan. Abbiamo un comune amico nel conte Axel Fersen.»
Ho spalancato gli occhi, ma non ho detto nulla, mantenendo un contegno
apparentemente impassibile. Davanti a me c'era la donna che per molti anni era
stata l'amante di Axel, l'ex acrobata. Sapevo che viveva a Parigi e che si vedeva
ancora con Axel, sebbene avesse una relazione con un ricco finanziere americano,
suo benefattore e protettore. E così, ho pensato, quella donna attempata era la
mia rivale!
Per non venir meno alle buone maniere, l'ho invitata a tornare a sedersi.
«Grazie per avermi ricevuta, Vostra Altezza Reale. Non sarei venuta se non avessi
sentito parlare di quanto sappiate essere gentile e del valore che attribuite alla
semplicità e alla sincerità.»
«Do un grande valore all'onestà, signorina Sullivan.»
«Signora Sullivan, se posso correggervi. Sono stata sposata per tanti anni con un
uomo meraviglioso, quando eravamo entrambi artisti del circo.»
«Molto bene, signora Sullivan. Per quale motivo siete venuta a farmi visita?»
Lei si è protesa in avanti e l'espressione del suo viso era sincera.
«Perché siete un ostacolo nella vita di Axel.»
«In che senso?»
«Il grande amore per voi gli impedisce di condurre quell'esistenza normale che
sarebbe meglio per lui.»
Sono stata sul punto di sbottare, chiedendole come faceva a sapere che cosa fosse
meglio per Axel e facendole presente che io lo conoscevo più di lei, che lui era
molto felice quando stava con me e che non avremmo potuto essere più
innamorati. Ma mi sono trattenuta. Le regine non litigano con le acrobate circensi,
per quanto queste possano essere salite di grado nella società parigina.
«Axel vi ha detto che sta cercando moglie?» Sono rimasta di sasso.
«No. Non me lo ha detto» sono riuscita a rispondere, alla fine.
«Sollecitato dalla sorella e consapevole della volontà del padre, in occasione
dell'ultima licenza durante la guerra americana, ha partecipato a molti balli e cene
ufficiali a Stoccolma. Ha incontrato Margaretta von Roddinge. Ha ventitré anni, è
graziosa, affascinante, affettuosa e colta e appartiene a una delle migliori famiglie
dell'ambiente militare in Svezia. Il padre è generale della cavalleria di re Gustavo.
Ad Axel la ragazza piace e lei lo ammira, come farebbe qualsiasi giovane donna.
La famiglia aveva in mente un altro partito per lei, ma l'hanno lasciato in sospeso.
Aspettano che Axel faccia la sua proposta.»
Eléanore Sullivan ha fatto una pausa, aspettando che ciò che mi aveva raccontato
producesse il suo effetto.
«Ho incontrato Margaretta» ha ripreso poi. «Axel l'ha condotta da me perché la
conoscessi. Penso che cercasse la mia approvazione, anche se Dio solo sa perché
ritiene di averne bisogno. La giovane mi è piaciuta molto e ho augurato a
entrambi tutto il bene possibile.»
Mi sono sentita mancare. Avrei voluto chiamare una domestica per farmi portare
la mia acqua di fiori d'arancio ed etere. Mentre mi sventagliavo freneticamente
con una mano, ho allungato l'altra verso i miei carlini, che, ansimando, si
leccavano l'un l'altro. Poi mi sono fatta coraggio.
«Allora, perché Axel non fa la sua proposta?» ho chiesto a Eléanore Sullivan con
tono di sfida.
«Per causa vostra, Altezza.»
«Da quando lo conosco, ci sono sempre state altre donne nella sua vita» ho
ribattuto, cercando di assumere un'aria il più possibile mondana. «Voi compresa.»
«Perdonatemi se parlo in modo così franco, ma sappiamo entrambe che non ha
mai amato nessuna donna come ama voi. E unito a voi da un legame troppo forte
perché possa spezzarlo. Ma voi potete farlo, se volete.»
«Mi state chiedendo di mandarlo via?» sono riuscita a dire con grande sforzo.
Mandare via Axel? Mandare via l'amore della mia vita? Nel rispondermi,
Eléanore Sullivan ha assunto un tono severo: «Lasciatelo libero. Lasciate che
torni a casa, si sposi, diventi un padre di famiglia. Lasciate che lo faccia senza
remore, senza vaghe speranze che, un giorno, voi e luipotreste avere una vita
insieme».
Per quanto sconvolta da tutto ciò che questa strana e inaspettata visitatrice mi
stava dicendo, sono riuscita tuttavia a studiare la sua espressione, per cercare di
capire se fosse completamente sincera e quali potessero essere le ragioni che
l'avevano indotta a venire da me con questa devastante notizia.
C'era comprensione nei suoi grandi occhi nocciola e determinazione nella sua
generosa bocca. Non ho percepito malizia o gelosia in lei, anche se avrebbe
potuto benissimo essere gelosa del profondo sentimento di Axel per me,
sentimento che, ne ero sicura, l'aveva relegata da molto tempo ai margini della
vita emotiva di lui. Ho avvertito istintivamente che diceva la verità sulla giovane
Margaretta e sul fatto che Axel stava prendendo in considerazione il matrimonio.
Si sarebbe sposato, ho pensato, per dovere nei confronti della famiglia e perché si
usava farlo.
Avrebbe scelto una donna buona, una donna eccezionale. Ma avrebbe sempre
amato me più di chiunque altra.
«Entrambe desideriamo la felicità del conte Fersen, signora Sullivan. La Francia
gli è grata per i suoi servigi, di cui mio marito ha bisogno adesso più che mai. Per
un uomo capace e di successo come il conte Fersen, gli affari di Stato devono
sempre venire prima delle considerazioni personali.»
Le mie parole erano fredde e formali, le parole di una regina. Ero certa, tuttavia,
che Eléanore Sullivan indovinasse i sentimenti che vi erano sottintesi. Le stavo
dicendo che non avrei lasciato andare Axel.
Mi sono alzata e ho sorriso, spero con grazia. Il colloquio era terminato. Anche
Eléanore Sullivan si è alzata e ha fatto una profonda riverenza.
«Spero che vi rendiate conto, Altezza, che gli state spezzando il cuore» ha detto;
poi è uscita, con il passo pesante che rimbombava sul parquet. Quando la porta si
è chiusa alle sue spalle, ho abbracciato i miei cagnolini e ho pianto come se fosse
stato il mio cuore a spezzarsi.
4 maggio 1784
Quando Axel è venuto a dirmi che stava partendo per l'Italia con il suo sovrano,
mi ha trovata al Petit Trianon, in un'area destinata a un villaggio di casette che sto
facendo costruire. Quattro di queste sono quasi terminate e pronte per essere
occupate e io stavo dando istruzioni ai pittori di dipingere sui muri intonacati
righe scure, in modo da farle sembrare fessure e crepe. Mi piace che le casette
abbiano la patina del tempo, come se esistessero da cent'anni. Con me c'era Luigi
Giuseppe, che camminava con la sua andatura malferma, tenendomi per mano.
Ama molto venire in questo piccolo rifugio, a far visita agli agnellini e alle
caprette candide nei loro recinti. Solo qui lo vedo sorridere.
Naturalmente, non ho detto nulla ad Axel della visita di Eléanore Sullivan o di
quanto mi aveva rivelato su Margaretta von Roddinge. Prima d'ora, pensavo che
la nostra intimità fosse tale che non ci sarebbe mai stato nulla di cui non avremmo
potuto parlare. Mi sbagliavo. Non so cosa dire del suo matrimonio, o possibile
matrimonio. È come se l'intera faccenda esulasse dallo stretto ambito del nostro
amore. Forse anche Axel la pensa nello stesso modo. Non gli ho mai fatto
domande sulle altre donne della sua vita, sebbene, di tanto in tanto, lui me ne
abbia parlato. Axel sa che non ho amanti. Che sono sua, anima e corpo, per tutta
la vita. Comprende perfettamente la natura del mio matrimonio con Luigi, un
insieme di dovere, buona volontà e affetto. Forse considera Margaretta von
Roddinge come io considero Luigi, una persona con cui rispondere alle
aspettative della famiglia e condividere affetto e figli. Ma il suo cuore, come il
mio, resterà completamente in un'altra dimensione, una dimensione che entrambi
condividiamo.
Niente avrebbe potuto essere più tenero del nostro addio. Axel non riusciva a
separarsi da me e ha promesso di scrivere spesso da Venezia, Firenze e Roma e di
inviare a Versailles corrieri con le sue lettere. Si è trattenuto fino a notte inoltrata
e abbiamo cenato insieme al piano superiore del Petit Trianon, riposando davanti
al fuoco nella stanza che abbiamo così spesso condiviso, la stanza che tengo solo
per lui e che non uso mai se non quando lui è con me.
Siamo rimasti svegli quasi tutta la notte, amandoci e parlando di molte cose,
tranne che dei suoi progetti per il futuro.
Sono un po' preoccupata. Margaretta riuscirà a rubarmelo? Ho quasi trent'anni e
non sono più la bellezza che ero. Le tensioni e i dispiaceri della vita mi si leggono
sulla fronte e nelle rughe intorno agli occhi. La mia figura è troppo piena. I busti
da cui un tempo rifuggivo ora mi sono necessari. Axel dice che vede solo bellezza
quando mi guarda e io gli credo.
Mi promette che andrà in gondola a Venezia in una notte di luna e penserà a me.
11 giugno 1784
Eric è venuto a chiedermi di usare tutta la mia influenza per far rilasciare Amélie.
Dice che lei soffre terribilmente, che la sua piccola cella buia di pietra è piena di
topi e che non le viene dato abbastanza da mangiare. Non le è consentito lavarsi e
i suoi abiti sono sporchi e laceri. Dice che i bambini piangono ogni volta che la
vedono e poi rimangono sconvolti per giorni.
So che Amélie merita di essere punita, ma intendo parlare con Luigi per vedere se
è possibile trovarle una prigione meno dura.
Non ho ricevuto lettere dall'Italia.
23 agosto 1784
Non ho ancora detto niente a nessuno, ma penso diessere di nuovo incinta.
9 settembre 1784
Abbiamo fatto il lungo viaggio fino a Fontainebleau e ho mal di stomaco tutti i
giorni. Non c'è alcun dubbio che avrò un altro bambino. Non può essere figlio di
Axel perché, dopo che lui è partito per l'Italia, ho avuto regolarmente il mio flusso
mensile.
Luigi è felice e, come segno di buona volontà, ha fatto in modo che la detenzione
di Amélie risulti meno dura. Le aumenteranno la razione di cibo ed Eric potrà
portarle provviste ogni settimana. Gli è anche consentito di procurarle biancheria
per il letto e abiti di ricambio. Una volta alla settimana, insieme agli altri
carcerati, Amélie viene condotta nel retrocucina dove può usare l'acqua di una
tinozza comune per lavarsi.
7 novembre 1784
Sto ancora talmente male che riesco a stento a scrivere questo diario. Non mi sono
mai sentita così male durante le gravidanze di Mousseline o di Luigi Giuseppe.
Sono stanca e spaventata all'idea di dover prendere parte ogni giorno alle
interminabili cerimonie di corte. Anche assistere alla messa è un incubo e mi irrito
terribilmente con Luigi e Charlot che si fanno dispetti e parlano ad alta voce
durante la funzione.
3 gennaio 1785
Il dottor Sundersen dice che mancano solo poche settimane alla nascita del
bambino. Sono molto grossa e posso indossare solo abiti larghi, tipo tunica, che io
chiamo «all'Aristotele». Ho un aspetto assurdo con i vestiti di corte.
Sono talmente grossa che sembra che aspetti dei gemelli, ma non ci sono
precedenti del genere nella mia famiglia né in quella di Luigi, che io sappia.
Le nostre vacanze sono state un po' guastate da tutte le critiche che mi vengono
rivolte. A Parigi dicono apertamente che, al Petit Trianon, ho creato una «Piccola
Vienna» e che ho speso milioni di franchi per il mio piccolo rifugio. È stato
dispendioso, lo ammetto, deviare il ruscello che muove il mulino e creare il lago.
Però le otto casette non sono state molto costose e le ho costruite, insieme ai
fienili, agli orti e alle stalle, come atto di generosità. Otto famiglie contadine
sono state portate a vivere qui, ma tre se ne sono andate quasi subito,
lamentandosi che i camini erano ostruiti e che non si riusciva a coltivare il
granturco in quella terra arida.
Il villaggio non è ancora un successo completo, ma abbiamo raccolto molti sacchi
di arance e le mie due vacche predilette, Brunette e Blanchette, producono un latte
assai nutriente che Luigi Giuseppe beve con avidità. Adesso il terreno è incolto,
ma in primavera verrà seminato e in autunno ci sarà granturco da macinare nel
mulino. O almeno lo spero.
16 febbraio 1785
Ho ricevuto un pacco di lettere di Axel, il quale si dice contento del fatto che avrò
un altro bambino e spera che sia un maschio.
«Re Gustavo è innamorato dell'Italia» mi scrive. «Parla solo del tepore che c'è
adesso a Firenze e del freddo che patiremmo se fossimo in Svezia. Stenta a
credere che a Firenze la neve cada raramente e che a Roma ciò non succeda mai.
Siamo diretti a sud, verso Roma, dove ci tratterremo molti mesi prima di
procedere per Napoli.»
Sono sconvolta. Sembra che Axel starà via per molto tempo. Ho bisogno di lui.
Grazie a Dio, non ho avuto altre visite da parte di Eléanore Sullivan.
1° aprile 1785
Non mi stanco di parlare del mio caro, nuovo bambino, il mio sano, sgambettante
figlioletto. Dopo essere stata tanto male durante la gravidanza, mi aspettavo un
parto lungo e doloroso, ma il piccolo, con mia grande sorpresa, è nato in fretta e
con facilità. Dio sia ringraziato!
Succhia con voracità il latte della balia e non piange quasi mai. Il suo corpicino è
perfetto, paffuto, roseo e morbido. Grazie al cielo, sono stata in grado di partorire
un figlio sano. Adesso, se il povero piccolo Luigi Giuseppe dovesse morire (lo
sussurrano tutti), la Francia avrebbe comunque un erede.
20 aprile 1785
Mio fratello Giuseppe mi ha inviato le sue congratulazioni per la nascita del
piccolo Luigi Carlo, ma non dice nulla della sua violazione del trattato
dell'Austria con la Francia.
È così aggressivo, così diverso da nostra madre, che era saggia e soddisfatta degli
estesi domini che aveva ereditato dal suo augusto padre! Giuseppe vuole sempre
di più. Adesso aspira a ottenere alcune terre dei Paesi Bassi, ragione per cui i
nostri ministri minacciano di dichiarargli guerra.
Più o meno ogni giorno, i ministri cercano udienza presso Luigi per vari problemi,
che vanno dalla perenne mancanza di denaro nelle casse dello Stato a questioni
diplomatiche come la crisi scatenata da Giuseppe, ad altre difficoltà.
Luigi va a caccia per evitarli e loro vengono da me. Sono venuti oggi pomeriggio.
22 aprile 1785
Detesto incontrare i ministri, perché non riesco a capire tutti i trattati della Francia
e i suoi interessi all'estero e anche perché i ministri mi odiano, se la prendono con
me e fanno del loro meglio per farmi sentire ignorante. Ma io me ne accorgo
(come potrebbe essere altrimenti, dopo tutti questi anni?) e rimango impassibile.
Chiedo loro di spiegarmi lentamente e con chiarezza quale sia il problema e quali
le nostre alternative. Poi dico loro che consulterò mio marito. Infine, lascio
passare un po' di tempo, li convoco di nuovo e do loro la risposta.
Naturalmente, è una finzione. Sarei felice di consultare mio marito, ma lui non mi
ascolta. Scappa via o si tappa le orecchie con le mani. «Decidete voi» mi dice. E
la cosa peggiore è che quanto più io decido e divento capace di affrontare i
ministri, tante più scuse Luigi trova per lasciare tutto nelle mie mani.
Non riesco a trovare una via di uscita da questa situazione, che diventa sempre più
gravosa.
Intanto, riguardo alla faccenda della rottura del trattato da parte di Giuseppe, ho
deciso che la Francia deve cedere sulla questione delle terre olandesi. Non
minacceremo di dichiarare guerra. Scriverò a Giuseppe per dirgli che dovrà
pagare agli olandesi un lauto indennizzo e che, se disattenderà altre clausole del
trattato, ordinerò ai generali di condurre le nostre truppe fino ai confini e di
tenersi pronti ad attaccare. Mi auguro che questo non sia necessario perché non
abbiamo denaro per pagare le truppe. I nostri nemici non lo sanno, ma, a meno di
ottenere nuovi prestiti, la Francia non può permettersi di difendersi e nemmeno di
attaccare.
1° giugno 1785
Il conte Mercy mi avvisa che c'è di nuovo qualcuno che ha letto il mio diario e ha
divulgato le notizie che vi sono scritte.
Ritiene che vi siano spie nel mio personale di servizio. Da quando Amélie è stata
arrestata, è più preoccupato che mai. Non devo più annotare nulla finché non avrò
trovato un nascondiglio più sicuro.
Il conte si è arrabbiato molto con me perché, senza pensarci, ho scritto con troppo
candore delle cose che potevano mettere in pericolo la sicurezza del governo di
mio fratello e della Francia.
16 dicembre 1785
Finalmente, sento di poter scrivere di nuovo sul diario con una certa tranquillità.
Ho trovato un nascondiglio Più sicuro. Sono trascorsi sei mesi dall'ultima
annotazione, ma ho preso appunti su foglietti di carta e li ho nascosti in un grande
vaso cinese giallo dentro il quale nessuno guarda mai e che nessuno sposta mai
per pulirlo perché è troppo pesante.
Ecco gli appunti più importanti.
Primo, duecento dei miei domestici sono stati licenziati
per ridurre le spese relative al mio personale di servizio. Alcuni di loro erano stati
sorpresi a rubare. Secondo, sono di nuovo incinta. Terzo, abbiamo avuto
moltissima pioggia assai più del solito. Quarto, c'è stato un terribile incidente con
un pallone aerostatico nel canale tra Francia e Inghilterra, nel tratto di mare che
chiamiamo la Manica.
Erano tutti sconvolti e addolorati. Queste sono le notizie più importanti.
2 febbraio 1786
Ho letto l'ultima lettera di Axel con angoscia. «Mio caro piccolo angelo» scrive
«tornerò a Stoccolma con re Gustavo in maggio. Devo occuparmi di affari di
famiglia che ho trascurato per troppo tempo.»
Che cosa può voler dire, se non che intende sposare Margaretta von Roddinge?
Ho il cuore a pezzi.
La sposerà, inizieranno una vita in comune. Imparerà ad amarla e io diventerò
solo un piacevole, lontano ricordo.
Avranno dei bambini e lui diventerà un marito e un padre devoto. Non lo rivedrò
mai più.
24 aprile 1786
Mi fa bene passeggiare per il mio rifugio del Petit Trianon e dare una mano con la
semina di primavera. Il mio ventre è molto grosso per il bambino che dovrebbe
nascere tra tre mesi, ma sono ancora in grado di camminare per i campi arati
insieme ai miei affittuari e seminare. L'aria è impregnata del profumo dei fiori di
melo e ricordo le volte in cui, da bambina, la mamma mi prendeva per mano e
passeggiava con me per gli orti del palazzo quando gli alberi erano in piena
fioritura. Sotto le grondaie delle casette, le rondini hanno fatto il nido e le uova
stanno per schiudersi.
Dappertutto, c'è nuova vita, crescita, espansione. Ma all'interno del palazzo tutto è
sfacelo e decadenza. I miei appartamenti, per esempio, che avevo fatto restaurare
prima della nascita di Luigi Giuseppe; sono ancora splendidi e straordinari,
eppure, se guardo da vicino, vedo, perfino lì, l'intonaco che si sgretola e le pareti
scrostate, là dove i fregi sono stati grattati via con il coltello per essere venduti.
I pavimenti rigati e i mobili rovinati non sono mai stati riparati. I tappeti sono
macchiati. Ovunque si avverte un odore di muffa, soprattutto quando piove.
Comunque, i miei appartamenti sono senz'altro abitabili, come i vasti saloni e le
stanze da ricevimento, ma la maggior parte delle centinaia di camere nel grande
palazzo di Versailles sono in completa rovina, piene di muffa, con i ratti che
scorrazzano sui pavimenti di marmo e i topi che mangiano i divani di broccato e
le gambe intagliate dei tavoli. Dalle fenditure del tetto entra la pioggia. Ogni
anno, altre stanze devono essere abbandonate. I funzionari del palazzo e i
domestici sono costretti a cercare costose sistemazioni in città e i proprietari di
case ne approfittano in modo vergognoso. Bisognerebbe davvero fare qualcosa
per frenare questa triste rovina, ma, senza denaro per i restauri, non si può
intraprendere alcuna iniziativa.
21 maggio 1786
La parola che si sussurra in tutta la corte questa primavera è «bancarotta».
Nessuno ha denaro, tutti lo prendono in prestito da altri. I domestici non ricevono
la loro paga, quindi pensano di essere giustificati se rubano mobili, rarità, oggetti
d'arte e perfino i pizzi degli abiti. Le nappe d'oro delle tende sono sparite da anni.
Stanno diventando di moda le fibbie delle scarpe e i bottoni in acciaio, non solo
perché sono «repubblicani», e quindi in sintonia con il momento, ma anche
perché i domestici hanno rubato la maggior parte delle fibbie d'oro e dei bottoni
gioiello.
Non è possibile individuare e punire i ladri, ce ne sono troppi. Il furto è un fatto
spiacevole, che diffonde diffidenza e sospetto. Nonostante la bancarotta e le
lamentele per la mancanza di denaro, la corte è vivace e pervasa da una grande
frenesia per le nuove mode, i nuovi stili e i nuovi colori. Sophie e Loulou mi
fanno divertire esibendo abiti con gorgiere «alla Enrico IV», dal nome del cinico
sovrano rinascimentale. La zebra prediletta di Luigi, regalo del re del Senegal, è
diventata l'emblema della moda e le sue strisce bianche e nere si ritrovano su
tutto, dai cappelli alle calze. Charlot ha un pallone aerostatico a strisce che attira
le folle quando sorvola i tetti del palazzo.
André ha creato alcune buffe acconciature, denominate «zebra africana»,
«porcospino» e «oca grassa», che s'intonano con il color «sterco d'oca»
nuovamente in voga e portato da tutti.
E' molto divertente. Non possiamo essere sempre ansiosi e cupi. Inoltre, io devo
mantenere un atteggiamento ottimista per il piccolo che porto dentro di me. In
segreto, spero che questa volta sia una bambina, un grazioso angelo biondo come
la mia Mousseline, che è capricciosa, ma bella. Attendo con speranza.
XI.
6 marzo 1787
Dio mi perdoni, ma ci sono volte in cui desidererei essere morta.
Mi sono state inviate altre orribili, velenose lettere anonime e non ho potuto fare a
meno di leggerle. La gente è così maligna, così mostruosa! Quando smetteranno
di tormentarmi? Cerco solo di aiutare Luigi, di fare del mio meglio.
17 marzo 1787
Questa maledetta Assemblea dei notabili - Luigi Saverio dice che dovrebbe
chiamarsi «Assemblea delle nullità» e io sono d'accordo con lui - si sta
dimostrando un misero fallimento. Come al solito, vengo accusata di volerla
affossare, ma la verità è che sono i delegati stessi i veri colpevoli. È stato il
controllore generale delle finanze,
Calonne, a insistere perché a Parigi si tenesse un incontro di «notabili»
provenienti da tutta la Francia per promuovere le riforme. L'ha organizzato e ha
cercato di influenzarne le discussioni. Quando i notabili si sono ribellati e si sono
ridotti a polemizzare e a litigare, Luigi ha licenziato Calonne. È stata una sua idea,
io non ho avuto nulla a che fare con la faccenda, a dispetto di quel che Calonne va
dicendo.
Vorrei che qualcuno intervenisse in mia difesa. Non è colpa mia se la Francia non
riesce più a ottenere prestiti o se Luigi non trova funzionari da nominare. Di notte,
il suo incubo è che la flotta inglese sbarchi sulle nostre spiagge e ci invada.
Durante il sonno grida: «Mi arrendo! Mi arrendo!».
Quando succede, Calonne non è lì per confortarlo e nemmeno i notabili. Sono io
che lo conforto, che lo rassicuro.
E, il giorno dopo, m'incontro con i ministri, su insistenza di Luigi, perché lui non
se la sente di affrontarli come dovrebbe. Sono l'unica di cui lui si fidi. Non posso
abbandonarlo.
6 aprile 1787
L'Assemblea dei notabili procede a stento e anch'io fatico ad andare avanti, perché
spesso le esigenze dei miei quattro figli sono davvero pressanti. La mia piccolina,
la mia minuscola Sofia... non riesco quasi a scrivere di lei!
Era talmente piccola e debole quando è nata che il dottor Sundersen ha scosso la
testa e mi ha stretto un braccio in segno di compassione. Le parole erano
superflue. Ho capito che pensava che sarebbe morta presto. Ma, con sorpresa
generale, la piccola è riuscita a poppare ed è ancora qui, anche se minuscola e
debole.
Di notte mi siedo vicino al lettino di Sofia e la cullo e canto per lei, e, a volte,
Luigi Giuseppe mi si arrampica in grembo e si stringe a me. Luigi Carlo, il mio
figlio sano, mi da una grande gioia con la sua forza e il suo vigore, ma ha paura
del buio e mi chiama durante la notte. E, a volte, anche Mousseline ha bisogno di
essere consolata e confortata, anche se ha quasi nove anni ed è già una donnina.
Ho bisogno di dormire. Molte volte durante il giorno mi sento sfinita. Il dottor
Boisgilbert dice che il mio corpo è stato provato dalle quattro gravidanze. Eppure,
alla mia età (quasi trentadue anni), le contadine hanno spesso già avuto dieci o
dodici gravidanze, ma hanno ancora la forza di coltivare i campi e seguire il
raccolto accanto agli uomini. Io penso di essere gravata di preoccupazioni.
26 maggio 1787
Ieri il nuovo controllore generale delle finanze, l'arcivescovo Loménie de
Brienne, ha sciolto l'Assemblea dei notabili e ha mandato tutti a casa. Erano molto
irritati e sono sicura che ne sentiremo parlare ancora. La questione fondamentale
è: il nuovo governo sarà in grado di ottenere altri prestiti?
12 giugno 1787
Piove da una settimana e non sono potuta uscire. Sono tormentata dai soliti
problemi. Sofia si rifiuta di poppare.
15 giugno 1787
Sofia continua a rifiutarsi di poppare e piange molto. Io le sto vicina.
17 giugno 1787
Posso solo pregare. Ti prego, Signore, fa' che la mia piccina non muoia.
23 giugno 1787
Due giorni fa abbiamo partecipato alla messa funebre di Sofia e l'abbiamo sepolta
nel boschetto di limoni al Petit Trianon, proprio accanto alla pietra che avevo
messo lì in ricordo del bimbo abortito tanti anni fa.
Non è venuto quasi nessuno ai funerali della mia piccola Sofia. Sebbene fosse una
principessa di Francia, non aveva importanza per nessuno tranne che per me. Non
è vissuta nemmeno un anno. Possa Dio accogliere la sua anima preziosa.
13 luglio 1787
Non ho quasi mai lasciato la mia camera da quando è morta Sofia e non ho
appetito. I miei figli mi sono di conforto, specialmente Luigi Carlo - il mio
piccolo chou d'amour, come mi piace chiamarlo - che ha due anni adesso, non sta
mai fermo ed è pieno di vita. Mousseline e Luigi Giuseppe giocano a carte, Luigi
Carlo rincorre i cagnolini e scorrazza ridendo per il corridoio, inseguito da
Sophie. L'abate Vermond è stato molto gentile con me. La sua presenza è sempre
una consolazione. Ho fatto il conto che è il mio confessore da quando avevo
dodici o tredici anni, ovvero da quasi vent'anni. Per tutto questo tempo, è stato
con me, al mio fianco, ogni volta che ho avuto bisogno di lui.
2 agosto 1787
Sono venuta a Saint-Cloud con i bambini. Luigi è a Compiègne. Da Parigi
arrivano solo brutte notizie e io non voglio sentirle.
9 settembre 1787
È accaduto un miracolo. Ieri mi trovavo nel cortile anteriore del palazzo, affollato
di carrozze, carri e carretti, radunati per l'annuale trasferimento a Fontainebleau e
sovrintendevo alle operazioni di carico del carro che trasporta le cose di Luigi
Giuseppe, incombenza che di solito lascio ai domestici. Mentre ero lì, ho visto
una grande carrozza bianca con le insegne di re Gustavo fare il suo ingresso
attraverso il cancello principale. Ho capito subito che doveva trattarsi di Axel.
Quando lui è sceso dalla carrozza, aveva un aspetto diverso dal solito, non solo
perché ha abbandonato la parrucca incipriata e porta i capelli biondi legati dietro
in modo da lasciare scoperto il viso, ma perché, nell'insieme, i suoi lineamenti
apparivano più risoluti. Qualcosa è cambiato in lui, l'ho avvertito chiaramente.
Nel vederlo mi sono sentita sopraffatta dalla gioia. Mi ero immaginata che non lo
avrei più incontrato e avevo cercato di rassegnarmi ad averlo perduto a causa di
Margaretta von Roddinge. Anche Luigi è stato molto felice di rivederlo e la sera,
a cena, ha cominciato a raccontargli tutto sul libro dedicato alla flora e alla fauna
della foresta di Compiègne che ha ripreso a scrivere. Axel ci ha riferito dei suoi
impegni militari, della guerra in corso fra Svezia e Russia e delle truppe che ha
condotto in battaglia. Non ha parlato della sua famiglia e io non ho sollevato
l'argomento. Solo il giorno dopo, quando ci siamo incontrati al Petit Trianon, mi
ha parlato della sua vita privata.
«L'ultima volta che vi ho lasciata per recarmi in Italia con il mio sovrano, pensavo
che nulla sarebbe più stato lo stesso fra noi. Pensavo che mi sarei lasciato
convincere a sposarmi, che avrei abbandonato la mia vita da nomade e che mi
sarei rassegnato a rinunciare al mio grande amore.»
Mi ha baciata e mi ha accarezzato la guancia. «Ho tentato di farlo, ma mi sono
reso conto che non ne ero capace. Non in tutta onestà. Non con tutto il cuore. Voi
eravate sempre nei miei pensieri.» Ha sorriso. «Molti se la sono presa con me
quando, alla fine, ho deciso di non sposarmi.»
«Non sposarvi! Ma pensavo che fosse tutto già combinato.»
«Non proprio. In realtà, non avevo mai chiesto la mano della ragazza.»
Mi sono sentita stordita e in preda alle vertigini, come se stessi per volare al pari
di uno dei palloni aerostatici di Charlot.
«E per tutto questo tempo ho pensato... ho pensato di avervi perso.»
«Non potreste mai perdermi. Non mi perderete mai.»
Allora ci siamo abbracciati, a lungo e con amore, e abbiamo parlato solo di quanto
fosse dolce essere di nuovo insieme.
20 settembre 1787
Axel è con noi a Fontainebleau, ma ogni tanto si reca a Parigi per seguire gli
affari e le questioni militari di re Gustavo. Quando torna da Parigi, ha sempre le
mascelle contratte per l'ira.
«Tutta la città è nel caos!» è sbottato due sere fa quando è venuto a trovarmi. «La
carrozza non riesce quasi ad avanzare, tanto è fitta la folla per le strade. E le cose
che gridano! Ci minacciano tutti. Voi siete "Madame Deficit", come sapete. Luigi
è "Luigi Cuor di Coniglio", oppure "Luigi dal Triplo Mento". Si tengono per
mano, cantano e ballano intorno ai falò e assomigliano ai selvaggi che ho visto
danzare intorno ai fuochi in Virginia. Perfino la gente istruita, la gente educata, si
è fatta prendere dalla febbre delle critiche al governo. Sono stato a una cena e non
ho sentito dire altro che: "Non c'è più un governo! Abbiamo bisogno di un nuovo
governo! Abbiamo bisogno degli Stati Generali!".»
«Che cosa sono?»
«Una sorta di assemblea medievale, suppongo. L'idea li attira perché suona come
il Parlamento inglese e sapete quanto i parigini in questo momento amino tutto ciò
che è inglese!»
È vero. C'è la moda degli abiti inglesi, delle acconciature inglesi, perfino della
camminata inglese, che è molto strana e poco elegante.
«Il fatto allarmante è che l'intera città è eccitata da questo fermento di chiacchiere
politiche. In ogni caffè, ci sono circoli e società dove si discute, sembra che tutti
appartengano all'uno o all'altro di questi gruppi. I muri sono tappezzati di slogan
politici e di brutte caricature. Parigi trattiene il respiro in attesa di esplodere.»
Ho parlato di tutto questo con l'arcivescovo Loménie de Brienne quando è venuto
a portarmi alcuni documenti da far firmare a Luigi. Lui mi ha detto che sapeva dei
tumulti a Parigi, ma che si trattava soltanto di una follia momentanea, opera di
pochi sobillatori. Mi ha assicurato che sarebbe passata e mi ha raccontato di
un'epoca precedente nella storia della Francia, circa un centinaio d'anni fa, quando
Luigi XIV era un ragazzo. Anche allora si erano riunite grandi folle a Parigi e
c'erano state terribili sommosse e attacchi al governo. Ma, con il tempo, tutto era
passato ed era tornata la tranquillità.
Più tardi, ho letto di quel periodo violento in uno dei libri di storia di Luigi. Più
leggevo e più mi preoccupavo.
La rivolta che c'era stata durante l'infanzia di Luigi XIV, che fu chiamata
«fronda», era cominciata per la mancanza di denaro del governo. Il popolo si era
ribellato, il Parlamento si era ribellato e, a un certo punto, la regina, che
governava per conto del figlio, aveva dovuto cedere al volere del popolo.
Seduta accanto al camino, non ho potuto fare a meno di pensare che la nostra
situazione è simile a quella di allora.
Il nostro governo non ha denaro, il popolo è in rivolta e Luigi continua a dire
quanto è ostinato il Parlamento di Parigi. Dovrò io, la regina, spesso costretta a
prendere il posto di mio marito, cedere al volere del popolo?
2 novembre 1787
In questi giorni ho poco tempo per scrivere sul mio diario, ma voglio buttare giù
almeno poche righe per ricordare il mio trentaduesimo compleanno. Come sono
diventata vecchia! Nella mia chioma bionda, Sophie continua a trovare capelli
bianchi e cerca di strapparli tutti.
8 dicembre 1787
Stiamo cercando di fare economia. Abbiamo licenziato altri domestici e più della
metà dei giardinieri del Petit Trianon. Vederli andare via mi ha addolorata e anche
preoccupata. Come potranno mantenere le loro famiglie?
A uno di loro in particolare, un uomo gigantesco, che ha piantato e ripulito dalle
erbacce e rastrellato il mio giardino per molti anni, ho detto addio con profondo
affetto.
Lui mi ha fatto un cenno di saluto con la testa, ma non ha sorriso. Chi darà lavoro
a quest'uomo dall'aspetto selvaggio e minaccioso? Riuscirà a sopravvivere? Non
credo abbia mai lavorato da nessun'altra parte che a Versailles.
Avrei voluto donargli una borsa con un po' di denaro, ma l'abate Vermond mi ha
consigliato di non farlo.
«Se date un compenso a uno, dovrete darlo a tutti» mi ha detto. «Altrimenti farete
più male che bene.»
Non mi è possibile dare denaro a tutti. Non ne ho abbastanza. Se sapessero che
sforzi faccio per spendere meno!
Non ho ordinato a Rose Bertin nessun abito nuovo per la primavera. Sono invece
al lavoro quattro sartine che riparano i miei vecchi vestiti e li abbelliscono con
nuovi pizzi e guarnizioni. (Li chiamo «vecchi» ma, naturalmente, in gran parte
sembrano nuovi, in quanto sono stati indossati pochissime volte e sono stati
conservati con cura, avvolti in metri di taffettà, nei miei bauli.) I vestiti
primaverili di Mousseline vengono confezionati utilizzando quelli che io non
porto più. Occorrono solo pochi metri di stoffa per un suo abito.
Loulou ha mandato intere scatole delle mie scarpette di seta e di broccato a far
risuolare. Sono stata una sprecona in fatto di scarpe e non lo sarò più. Invece di
metterle una volta sola, come faccio con i guanti, e poi buttarle via, le porterò
finché non saranno da riparare. Almeno due o tre volte.
18 dicembre 1787
Il nostro arcivescovo, Loménie de Brienne, è troppo ammalato per mantenere il
suo incarico. (Gli altri ministri sono sempre stati restii a collaborare con lui, per
cui lui è stato costretto ad assumersi gran parte delle responsabilità del nostro
traballante governo.) Dovrà ritirarsi molto presto. Che cosa faremo quando se ne
sarà andato?
1° febbraio 1788
Sembra che i guai ci piombino addosso tutti insieme. Luigi Giuseppe è
febbricitante e molto magro e passa la maggior parte del tempo a letto. La schiena
gli duole e lui mi guarda con i suoi grandi occhi seri e dice: «Mi dispiace,
maman». Mi si spezza il cuore.
Luigi ha ordinato lo scioglimento del Parlamento ribelle e sono scoppiati nuovi
tumulti non solo nella capitale, ma anche in altre città. Axel mi esorta a
consigliare a Luigi di abdicare e di lasciare il governo a Luigi Saverio, in qualità
di reggente, fino a quando Luigi Giuseppe non sarà abbastanza grande per
regnare. Sostiene che Luigi Saverio non permetterebbe il perdurare di questi
tumulti, ma farebbe intervenire le truppe, effettuerebbe arresti in massa e
costringerebbe la frangia ribelle del popolo a obbedire.
So che Luigi non acconsentirebbe mai. Odia troppo suo fratello. Per giunta,
nonostante tutti i suoi timori e il terrore di affrontare la situazione, è convinto, nel
profondo, di capire i suoi sudditi e di poter essere per loro un buon governante.
Axel dice che questa è un'illusione pericolosa e dimostra che Luigi non è adatto a
regnare.
3 aprile 1788
Da qualche tempo, Axel abita in un appartamento che si trova esattamente sopra il
mio e che io ho fatto ristrutturare per lui. È riscaldato da un'enorme stufa svedese
piastrellata e il personale di servizio è svedese. Adesso è molto facile per noi
trascorrere del tempo insieme, più facile di quanto sia mai stato. Luigi non dice
niente, ma, naturalmente, sa che Axel e io siamo amanti e ho la sensazione che
accetti la cosa. Si fida di me. Sa che non lo abbandonerò. Penso che desideri che
io sia felice. Ha fiducia anche in Axel e spera che il suo amore per me possa
giovare a tutta la famiglia reale. Inutile dire che Luigi non si rende conto che Axel
sarebbe fin troppo contento se lui abdicasse.
Ufficialmente, Axel è il rappresentante di re Gustavo di Svezia alla corte di
Francia. Proprio come il conte Mercy è il rappresentante di mio fratello,
l'imperatore Giuseppe.
In via ufficiosa, Axel è nostro amico e consigliere, molto più di quanto il conte
Mercy sia stato negli ultimi anni.
Che Axel sia anche il mio amante non ha alcuna importanza, se non per me,
naturalmente.
15 aprile 1788
Ieri sera Axel e io eravamo seduti su un dondolo nel roseto del palazzo, al
crepuscolo. Era stata una giornata calda, la serata era piacevole, l'aria odorava del
profumo dolce dei primi fiori. Avevo il capo appoggiato sulla spalla di Axel, lui
mi guardava e sorrideva. Non parlavamo, eravamo troppo impegnati a godere la
quieta bellezza intorno a noi e il lento calare della sera.
Un suono di passi pesanti mi ha fatta sobbalzare. Un attimo dopo è apparso Luigi,
che camminava da solo lungo il sentiero verso di noi.
«Ah, buonasera» ha detto quando è stato più vicino. «Proprio una splendida
serata. Sono uscito solo per vedere l'Ardura japonica. Di solito, fiorisce proprio in
questo periodo, a metà aprile. Ce ne sono esemplari anche nella foresta di
Compiègne, sapete. Ma lì sboccia prima, verso l'inizio di aprile.»
«Non volete unirvi a noi, Vostra Altezza?»
«Ah... penso di sì, sì. Solo per un momento.» Si è seduto su una panca vicina,
facendo scricchiolare e gemere il vecchio legno sotto il suo peso. C'era un silenzio
imbarazzato.
All'improvviso, si è alzato. «Dovete scusarmi. La luce sta calando e devo
prendere i miei campioni dalle piante finché si vedono ancora chiaramente.»
«Sì, è vero, dovete farlo» ho risposto. «Io penso di rimanere qui fuori ancora per
un po'.»
«Certamente, se vi fa piacere. Ehm... tutto quello che vi fa piacere.»
Se n'è andato strascicando i piedi e fischiettando, in direzione del giardino dei
ciliegi.
16 maggio 1788
È in corso un conflitto nell'animo di Luigi. Perlomeno, questo è il modo in cui
Jean-Jacques Rousseau l'avrebbe visto e ne avrebbe scritto.
È un conflitto fra il modo di regnare collaudato nei secoli e un modo nuovo mai
sperimentato, tranne che in Inghilterra. Luigi conosce solo il modo collaudato nei
secoli, quello seguito dal nonno Luigi XV, da mia madre e dalla maggior parte dei
sovrani d'Europa. La parola del re è legge, il re è un sovrano assoluto. Viva il re.
Ma il nuovo consigliere reale Malesherbes sta tentando di convincere Luigi a
adottare il modello inglese. Male- sherbes esorta Luigi a scrivere una Costituzione
e a presentarla al popolo. Dice che il potere va condiviso con il popolo. Solo in
questo modo la monarchia potrà salvarsi. Il conflitto infuria.
11 giugno 1788
C'è un caldo insopportabile. Siamo seduti davanti alle finestre aperte, ma l'aria è
immobile. Le dame di compagnia mi sventagliano in continuazione e io cerco di
riposare. I bambini soffrono.
12 giugno 1788
Questa mattina, all'improvviso, si è levato un vento fortissimo che ha sradicato
alberi e arbusti nei giardini. Ho mandato Eric al Petit Trianon ad aiutare i
contadini e a cercare di mettere al riparo gli animali. Il rumore del vento era come
quello di una grande cascata o di un torrente impetuoso. Un rumore spaventoso.
Abbiamo chiuso in fretta le finestre e abbiamo cercato di radunarci tutti nelle
cantine, dove vengono conservati il vino, il ghiaccio e le provviste. Abbiamo
sentito vetri andare in frantumi in tutto il palazzo. Luigi è a caccia. Spero che non
gli succeda niente.
14 giugno 1788
Tutti dicono che Dio ha mandato questo uragano per ricordarci che l'uomo non
può dominare gli eventi su questa terra. Alcuni, invece, dicono che i parigini
ribelli sono stati castigati per la loro opposizione al sovrano.
Da nord a sud del paese i corrieri portano notizie di danni enormi. La furia del
vento ha distrutto le messi e gli alberi da frutta e migliaia di animali sono stati
uccisi da giganteschi chicchi di grandine. Ci sarà la carestìa. Che cos'altro ci
toccherà sopportare in quest'anno terribile?
29 giugno 1788
L'uragano è passato da tempo, ma i danni rimangono evidenti. In borsa i prezzi
sono crollati e il controllore generale delle finanze ha dovuto mettere il proprio
denaro a disposizione per aiutare le vittime del disastro. La Comédie Française ha
rappresentato Alalia a beneficio di coloro che hanno perso il raccolto e la casa.
Sono stata informata ufficialmente che le casse dello Stato sono in passivo di
duecentoquaranta milioni di franchi. Una somma inimmaginabile.
8 agosto 1788
I parigini sono infuriati e nessuno si salva dalla loro rabbia. Loulou è andata in
città per sbrigare alcune faccende urgenti e, quando è tornata, era bianca in viso e
terrorizzata. Hanno lanciato uova contro la carrozza e l'hanno riempita di
immondizia. Loulou mi ha confessato di aver creduto che non sarebbe mai uscita
viva dalla città.
Il fatto è ch'era stato dato l'annuncio dei debiti del governo. Le casse dello Stato
sono vuote e, di conseguenza, i pagamenti verranno effettuati non più in contanti,
ma con pezzi di carta che promettono il rimborso in futuro. Nessuno ha fiducia
che il governo onorerà tali promesse. I parigini si sentono ingannati. Adesso
hanno un'ulteriore ragione per odiarci.
23 agosto 1788
Mi sento in colpa per il fatto di essere così profondamente felice e appagata con
Axel mentre il resto della Francia si trova in questo caos. Ho provato tutta la gioia
che la vita può offrire. Come sono fortunata! Lo dico anche se ho conosciuto il
dolore e la disperazione e so che potranno essercene ancora in futuro. Non
importa! Sono la donna più felice della terra.
1° settembre 1788
Luigi ha ceduto a tutte le critiche e alle devastanti rivolte e ha accolto il consiglio
di Malesherbes e di molti altri. Ha dichiarato che il prossimo maggio saranno
convocati gli Stati Generali. L'arcivescovo Loménie de Brienne ha dato le
dimissioni e abbiamo sentito che i parigini, quando hanno saputo la notizia, hanno
invaso a migliaia il Palais-Royal e manifestato rumorosamente la loro gioia.
Necker è stato reintegrato come ministro delle Finanze.
Dicono che entro le ventiquattr'ore dalla nomina abbia cominciato a ottenere
prestiti e a ridare nuovamente credito al governo.
XII.
15 aprile 1789
Le cose accadono troppo in fretta. Mi sento spesso persa nel turbinio degli eventi.
Ho pensato che fosse poco sicuro scrivere molto, perché per due volte ho scoperto
i domestici a leggere il mio diario. Il mio vecchio nascondiglio per i foglietti di
carta con gli appunti nel vaso cinese giallo non va bene. Adesso ho un nuovo
nascondiglio.
Axel sa del mio diario e anche Chambertin. Ho deciso che, se dovesse succedermi
qualcosa, il diario dev'essere conservato. Andrà a Luigi Giuseppe e ai suoi eredi.
Voglio che su di me sappiano la verità e non le infinite menzogne che raccontano
i miei nemici.
Da tutta la Francia arrivano i delegati per partecipare agli Stati Generali, di cui si
è tanto parlato e discusso l'autunno e l'inverno scorsi. Vengono qui a Versailles,
lontano dai tumulti e dal fermento di Parigi. Gli abitanti di Versailles sono
felicissimi, perché i deputati hanno bisogno di un posto in cui alloggiare e tutte le
camere disponibili possono essere affittate a caro prezzo.
Dall'Inghilterra, abbiamo fatto venire un altro specialista a visitare Luigi
Giuseppe, che non lascia il letto da tre mesi e ha un brutto mal di gola. Sophie gli
somministra té fatto con la radice di una pianta acquatica e gli fa continui
pediluvi. Il bambino indossa una sciarpa di lana anche se il clima è mite. Si
lamenta di uno strano sapore in bocca e di una pressione e un dolore incessanti al
fianco e alla schiena.
Sto seduta accanto al suo letto e, a volte, quando rimango sveglia a lungo, mi
sorprendo a osservare le sue piccole mani bianche. Sono talmente pallide alla luce
delle candele da risultare quasi trasparenti. Le vene risaltano azzurrognole e
filiformi, le lunghe dita si assottigliano in punta, come quelle di un violinista.
Mentre lui dorme, tossendo spesso e respirando affannosamente, le dita fanno
scatti spasmodici; allora io prendo le sue piccole, fragili mani e le stringo fra le
mie, più grandi e forti, come per cercare di trasmettergli tutta la forza che posso.
30 aprile 1789
Lo specialista inglese dice che i polmoni di Luigi Giuseppe stanno lentamente
cedendo perché la spina dorsale si deforma sempre più, a mano a mano che il
bambino cresce. Non si può fare nulla.
Continuiamo a lottare per lui, che però vomita la maggior parte del cibo che gli
viene dato. Succhiare il ghiaccio lo aiuta un po' a evitare questo inconveniente. Ha
le guance rosse per la febbre, ma mi sorride e so che è contento che io sia accanto
a lui. Luigi non riesce a sopportare le sofferenze del bambino e si trattiene con lui
solo pochi minuti per volta. Si sente subito sopraffare dall'angoscia, piange e non
vuole che i domestici vedano la sua debolezza. A volte si infuria e tira calci ai
muri o alla porta. Ha il piede sinistro gonfio e dolorante e il dottor Boisgilbert gli
ha applicato un cataplasma. Domani si riuniscono ufficialmente gli Stati Generali.
6 maggio 1789
Ieri ho accompagnato Luigi alla prima seduta degli Stati Generali. Gli ho
preparato il discorso e l'ho aiutato a decidere cosa indossare. Era molto nervoso,
ma si è comportato bene, mi pare.
Abbiamo varcato la soglia del salone proprio mentre le campane battevano i
dodici rintocchi di mezzogiorno. Gli uscieri si sono affrettati a inginocchiarsi e
tutti i deputati e i presenti si sono zittiti. Potevo sentire lo strascicare dei piedi di
Luigi nelle sue scarpe dorate e il rumore metallico delle spade delle guardie che
formavano la scorta.
L'immensa stanza con le severe colonne doriche, le balconate e il soffitto dipinto
era una visione straordinaria.
Luigi si è seduto sul suo trono di velluto rosso e, sotto di lui, erano allineate le
centinaia di deputati, i rappresentanti del clero con la veste nera e la sopravveste
bianca bordata di pizzo, alcuni con il cappello e il mantello scarlatti dei prelati
d'alto rango; i nobili con la spada, gli abiti eleganti e le pietre preziose che
rilucevano sui cappelli, sulle scarpe e sulle dita; e il popolo comune, il Terzo
Stato, con i semplici abiti neri e le parrucche bianche.
Nel silenzio generale, alcuni hanno gridato: «Viva il re!», ma non molti. Mi è
stato poi detto che Necker, nel fare il suo ingresso nel salone prima di noi, aveva
ricevuto fragorosi e prolungati applausi.
Per quanto mi fosse difficile concentrarmi su ciò che stava avvenendo, perché
avevo il pensiero rivolto a Luigi Giuseppe e avevo dormito poco la notte
precedente, sono riuscita ad ascoltare i discorsi. Luigi ha parlato in tono gentile e
paterno, strizzando gli occhi nel guardare i delegati perché senza occhiali non
riusciva a vederli bene.
Necker ha intrattenuto l'uditorio per tre ore con un discorso lungo come un
sermone. Io avevo un caldo insopportabile e, più volte, mi sono quasi
addormentata.
Quando siamo usciti, alcune persone hanno gridato «Viva la regina!» e io ho
risposto con un accenno di inchino.
Ciò ha suscitato un'ovazione ancora più forte e io ho fatto un altro inchino, questa
volta più profondo.
10 maggio 1789
Oggi a corte ho sentito parlare, e non per la prima volta, delle singolari luci
bianche che si vedono nel cielo notturno e che vengono chiamate «aurora». Axel
dice che sono piuttosto comuni in Svezia, mentre in Francia non si vedono quasi
mai. Sono considerate presagio di eventi straordinari. C'è stato un altro presagio.
Circa una settimana fa, Luigi è salito su un'alta impalcatura nel cortile interno del
palazzo per osservare gli operai intenti a delle riparazioni. Ha messo un piede in
fallo e per un pelo non è precipitato al suolo. Sarebbe certamente rimasto ucciso
se uno degli operai non l'avesse afferrato per la giacca e tirato su.
Le strane luci nel cielo, la caduta quasi fatale di Luigi, oltre alla malattia di Luigi
Giuseppe: un inquietante concorso di eventi. Ne ho parlato a Giuseppe nella
lettera che gli ho scritto.
22 maggio 1789
Il mio figlio adorato è l'ombra di se stesso: pallido e spettrale, giace fra le
lenzuola bianche del suo lettino. Tenta di parlare, ma riesce a emettere solo flebili
suoni. A volte, quando entro nella camera, si gira verso la parete. Gli porto
caramelle al marrubio da succhiare.
I medici esaminano le sue urine, scuotono il capo e dicono cose come «molto
malato» oppure «pericolosamente malato».
Prego san Giobbe e ho legato al collo di Luigi Giuseppe una medaglietta con il
nome di Gesù, il quale soleva dire: «Lasciate che i bambini vengano a me». I miei
capelli diventano sempre più grigi.
29 maggio 1789
Oggi tenevo fra le braccia Luigi Giuseppe addormentato quando sono venuti a
prendergli le misure.
«Perché?» ho esclamato.
«Per la bara, Madame» mi è stato risposto.
2 giugno 1789
Oggi, in tutte le chiese di Francia, sono state recitate preghiere perché il delfino si
salvi. Perfino i deputati hanno interrotto per un momento le loro dispute e le loro
discussioni per chinare il capo e pregare per il bambino che sarebbe dovuto
diventare Luigi XVII. A Luigi Giuseppe è stata somministrata l'estrema unzione.
22 giugno 1789
Sono venuta nel mio tranquillo rifugio, la grotta del Petit Trianon, a piangere.
Luigi Giuseppe è stato sepolto quattro giorni fa. Non ci è stato consentito di
partecipare ai suoi funerali, trattandosi di funerali di Stato per un erede al trono.
L'etichetta lo vieta. Luigi e io lo abbiamo pianto in privato, nella cappella, e
l'abate Vermond è venuto a trovarci. Era in lacrime perché amava il bambino per
la sua mitezza e la sua bontà.
Ma tutti quelli che sono buoni e miti sono destinati a morire? Quanto a me, che
cosa mi riserva il futuro? C'è della bontà in me, lo so. Continuo a distribuire cibo,
non solo qui ai cancelli di Versailles, ma anche a Parigi, dove nelle ultime
settimane il prezzo del pane è aumentato in modo allarmante e ci sono tanta fame
e tanta miseria.
Sì, c'è della bontà in me. Ma certo non della mitezza. Quando i ministri arrivano
con fasci di documenti da far firmare a Luigi (a dire il vero, da far firmare a me) e
me li lasciano, mi lamento ad alta voce.
«Come potete venire da noi in un simile momento?» chiedo. «Non vedete che noi
e tutta la corte siamo in lutto?»
Continuo a sbraitare e i ministri e i loro deputati distolgono lo sguardo, lasciano i
documenti e si allontanano in fretta.
Non mi è possibile leggere tutte le carte che mi portano. Non sarei in grado di
farlo nemmeno se non fossi esausta, depressa e disperata per mio figlio.
Ringrazio Dio per questo rifugio nella grotta. Sto seduta sul morbido muschio
verde e ascolto il rumore del ruscello. Eric monta la guardia. Sono protetta e al
sicuro.
17 giugno 1789
Stamattina, dopo aver costretto Luigi a sedersi, gli ho detto con molta energia che
deve agire subito se vuole salvare la monarchia.
Lui era scarmigliato e aveva la nausea perché ieri sera ha mangiato e bevuto
troppo. Gli ho dato alcune erbe da masticare per mettere a posto lo stomaco. La
situazione a Parigi è più grave di quanto ci avevano indotti a credere. Ho sentito
da molte fonti che i rappresentanti del popolo stanno prendendo il sopravvento
nell'ambito degli Stati Generali, incoraggiati dai parigini, che non rispettano più
né leggi né tradizioni. I deputati tenteranno di assumere il controllo del governo.
«Adesso tutto dipende dall'esercito» gli ho detto, in preda a una terribile tensione
che mi faceva contrarre le mascelle.
«Dovete ordinare che vengano sciolti gli Stati Generali, smantellati i circoli
politici sovversivi e imposto il coprifuoco a Parigi e in ogni altra città dove ci
sono stati disordini.»
Luigi, seduto, continuava a masticare le erbe, tenendo gli occhi bassi. Mi rendevo
perfettamente conto che le mie parole non gli piacevano e che era terrorizzato
all'idea di dover agire con fermezza - fermezza militare - contro i propri sudditi.
«Non dovete rimandare» ho proseguito. «Ogni giorno che passa è un costo.
Finora i soldati sono rimasti fedeli, ma non vengono pagati da mesi e vedono più
chiaramente di chiunque altro quanto sta accadendo. A causa della vostra
riluttanza ad agire con decisione, l'esercito è il solo governo che la Francia
possieda. I soldati fanno del loro meglio per mantenere l'ordine, ma come possono
riuscirci quando i dissensi diventano sempre più forti? I soldati sono esseri umani.
Vogliono libertà, un buon governo, una speranza per il futuro. Vengono sviati da
tutti questi discorsi politici radicali.
«Axel e il marchese de la Tour du Pin (che, qualora lo abbiate dimenticato, è il
responsabile della nostra difesa qui a Versailles) sono appena tornati dall'aver
passato in rivista le guardie francesi a Parigi. Dicono che la metà di loro è
diventata repubblicana e non vuole più la monarchia! La loro fedeltà potrebbe
essere soltanto un'illusione.»
«E allora come posso ordinare alle guardie di sciogliere gli Stati Generali, se non
posso fidarmi di loro?»
«Il conte Mercy dice che la soluzione è far venire i reggimenti da Brest, Rennes e
Longjumeau. La parte occidentale della Francia non è ancora stata contagiata
dagli antimonarchici.
Fate convergere i soldati dall'Ovest, a migliaia, e tutte le forze dell'ordine nel
raggio di una quarantina di miglia dalla capitale. Lasciate che sparino ai delegati,
se necessario, e ai ribelli. Questo metterà ben presto a tacere i dissensi!»
«E che ne sarà delle promesse che ho fatto ai deputati solo due settimane fa nel
discorso che avete scritto per me? Ho promesso di essere per loro un amico fedele
e un buon padre. Sono il loro padre...». Si è commosso, senza dubbio sopraffatto,
come me, dal ricordo del nostro Luigi Giuseppe.
Ho ignorato la sua emozione, sebbene avessi a mia volta le lacrime agli occhi.
«E allora siate un buon padre e rimproverateli per la loro insubordinazione! Non
permettete che vi sottraggano tutta la vostra autorità paterna!»
«Non sono mai stato capace di punire i figli, lo sapete.»
«Adesso è giunto il momento d'imparare. Vi aiuterò. E anche il conte Mercy, il
marchese e Axel...»
Luigi ha alzato le braccia, come per difendersi da un'aggressione. «Non posso...
non devo... ho bisogno di tempo per pensare.»
«Il tempo per pensare è finito. Adesso è il tempo di agire.»
In quel momento, ho desiderato di essere un uomo, un uomo abbastanza forte da
rimettere in piedi mio marito e costringerlo a convocare i generali per impartire
loro gli ordini necessari. Un uomo capace di aggredirlo fìsicamente, oltre che con
parole esasperate.
«Ho la testa confusa» ha detto Luigi. «Devo uscire, camminare e chiarirmi le
idee.»
Sapevo che cos'aveva intenzione di fare. «Non andate a caccia oggi. Queste ore
sono preziose.»
Ma lui era già in piedi e, barcollando lungo il corridoio, si è allontanato da me e
da tutto ciò che gli imponeva di rimanere e di prendere i necessari provvedimenti.
L'ho richiamato indietro, con una voce che, alle mie stesse orecchie, è risuonata
simile a quella di mia madre. Ma lui era sparito.
15 luglio 1789
Gli eventi ci hanno travolti. Luigi ha fatto quello che sentiva di poter fare: ha
inviato truppe a presidiare il territorio intorno alla capitale. Ma ha deciso di non
sciogliere gli Stati Generali con la forza. Nonostante tutti i miei discorsi
esasperati, e anche qualche preghiera, nonostante i messaggi urgenti da parte dei
ministri e di molti comandanti dell'esercito, non è riuscito a far uso della forza né
a minacciare di farne uso.
Le conseguenze sono davvero terribili. A Parigi si è insediato un comitato di
governo che non risponde a nessuno. Tutte le truppe si sono ritirate in periferia,
ma solo momentaneamente perché i parigini stanno morendo di fame e non
possono resistere per sempre. La gente fa irruzione nelle botteghe degli armaioli e
s'impossessa delle armi. Gli Stati Generali si sono trasformati in Assemblea
nazionale, guidata dalle classi inferiori. Ieri la folla ha dato l'assalto alla vecchia
fortezza della Bastiglia, dov'era imprigionata Amélie, e ha ucciso il comandante.
Amélie è libera. Eric dice di non sapere dove sia andata. Non è tornata a casa da
lui né ha fatto visita ai bambini.
16 luglio 1789
Scappano tutti. Se ne sono andati Charlot, Yolande, Madame Solange, il mio caro
abate Vermond e dozzine di altre persone: tutti svaniti improvvisamente, in gran
fretta, per la paura. Non ci sono cavalli, né carri, né carrozze sufficienti a portare
via coloro che fuggono da Versailles, così alcuni si sono messi in cammino a
piedi, sperando di poter acquistare cavalli e carri quando arriveranno al prossimo
villaggio.
Si diffondono le voci più terribili. Versailles sta per essere assalita. Truppe del
Terzo Stato sono già in marcia, dirette qui, con l'intenzione di uccidere Luigi, me
e chiunque appartenga alla nobiltà. Stanno arrivando gli inglesi e i nostri soldati
non opporranno resistenza. Le voci si moltiplicano di ora in ora.
Non so a cosa credere, ma dobbiamo andarcene, di questo sono certa. Molte volte
al giorno sono costretta ad affacciarmi al balcone e a mostrarmi alla
rumoreggiante e ostile folla dei dimostranti radunati nel cortile.
«Dateci la regina! Vogliamo la regina!» gridano. A volte chiedono di vedere con
me anche Mousseline e Luigi Carlo, ma io ho paura di far vedere ai bambini quei
volti infuriati e far loro sentire quelle orribili parole. So di essere io l'oggetto del
loro odio; puntano i moschetti contro di me, non contro i bambini. Ogni volta che
mi affaccio penso che mi uccideranno.
18 luglio 1789
C'è confusione ovunque. Tutti corrono da una stanza all'altra, fanno i bagagli, si
abbracciano convulsamente, le donne piangono, gli uomini imprecano e litigano.
Si dimenticano di mangiare e di dormire. Veniamo svegliati a tutte le ore della
notte dai rintocchi delle campane e dagli spari dei moschetti.
Ho rinunciato ormai a cercare di convincere Luigi a partire per rifugiarci nella
fortezza orientale di Metz, addirittura oltre il confine, dove sono certa che
saremmo al sicuro.
Charlot, nel suo viaggio verso l'Italia, è andato là e, come lui, hanno fatto molti
altri. Gli insensati ministri vogliono che Luigi rimanga e vada a Parigi ad
affrontare i rivoltosi e i fuorilegge che hanno dato vita a un governo illegale.
«Se non volete partire, sire, almeno mandate in salvo vostra moglie e i vostri
figli» ha detto Axel a Luigi. «Il governo svedese garantirà loro protezione. Li
scorterò io stesso.»
Luigi si è rivolto ai ministri, i quali hanno fatto notare che, in quanto erede al
trono, Luigi Carlo, al pari dello stesso sovrano, non poteva lasciare la Francia
senza dare l'impressione di abdicare ai suoi diritti.
A me questi argomenti sono sembrati stupidi e di comodo e ho manifestato la mia
opinione.
Luigi non riusciva a decidersi. Alla fine, ha dato ascolto ai ministri e a Luigi
Saverio, che non ha ancora deciso se partire o meno.
«Allora è questo che volete?» ho gridato. «Che io e i bambini diventiamo il
bersaglio della folla tumultuante e ubriaca radunata nel cortile? Dov'è il vostro
onore, signori? Dov'è la vostra cavalleria? Vergognatevi tutti!»
Li ho lasciati a bocca aperta ed è stato un bene.
21 luglio 1789
Oggi Sophie è venuta a raccontarmi i fatti strani e inspiegabili che accadono in
varie zone del paese. A Nantes, dragoni sono stati visti avvicinarsi alla città, ma
poi nessuno di loro vi è entrato. Gli abitanti erano armati e pronti a difendersi. A
Saint-Maixent sono stati avvistati, in lontananza, centinaia di banditi. Benché
scorti da molte persone, loro sono passati molto velocemente o erano un'illusione.
Resoconti dello stesso tipo giungono da tutta la Francia, da Besançon, Vervin, e
perfino dalla lontana Marsiglia e dai villaggi circostanti.
Ad accrescere il panico, si viene a sapere di assalti ai castelli e di uccisioni dei
proprietari da parte dei loro contadini. Non c'è più alcun freno né decenza?
Ho assunto una donna sensibile e fidata, Madame de Tourzel, come governante
per i bambini. Non si lascerà prendere dal panico, è fedele ed equilibrata. Si terrà
preparata a mettere in salvo i bambini con un preavviso minimo. Sophie ha
allestito il mio baule e io sono pronta a partire. Chambertin ha predisposto
segretamente un piano per far fuggire Luigi in fretta in caso di necessità, sebbene
lui non lo abbia autorizzato a farlo.
11 agosto 1789
Rimaniamo qui in attesa giorno dopo giorno, senza mai uscire, e riceviamo cattive
notizie di ora in ora. Mia sorella Cristina mi ha mandato una lunga lettera e il
corriere incaricato di portarmela l'ha imparata a memoria e l'ha bruciata prima di
attraversare il confine con la Francia.
Sapeva che sarebbe stato ucciso se il nuovo governo nominato dall'Assemblea
nazionale gli avesse trovato addosso la missiva. Anche Cristina, come Giuseppe e
Carlotta, mi esorta a lasciare la Francia immediatamente, finché è ancora possibile
farlo.
25 agosto 1789
Luigi ha insistito che io rimanga con lui a ricevere i parigini che, nel giorno di san
Luigi, vengono sempre a Versailles a festeggiare il suo onomastico. Mi ha stupito
il fatto che questa festività venga ancora osservata, visto che negli ultimi mesi è
stata fatta piazza pulita di molte tradizioni, ma ho accettato di restare.
Luigi mi ha chiesto di vestirmi nel modo più semplice e di appuntarmi sui capelli
la coccarda tricolore, simbolo dell'Assemblea nazionale. Lui mette sempre la
coccarda sul cappello come gesto di benevolenza. Visto che non voglio onorare
l'Assemblea nazionale né i parigini, che sono diventati per il momento i
governanti della Francia, mi sono rifiutata di farlo. Ho indossato un elegante abito
di seta, del colore che chiamo «lacrime gelate» e ho anche messo al collo il mio
«Sole degli Asburgo» falso, che brillava quasi quanto quello vero.
Da quando si erano riuniti gli Stati Generali, era la prima volta che ricevevo
ufficialmente i parigini e ho incaricato Loulou di dire agli uscieri di farli
accomodare nel Salone Verde, accanto alla mia camera da letto. Questa stanza è
interamente arredata in argento e oro e la speciale doratura, chiamata «oro verde»,
esiste solo a Versailles. Le pareti sono rivestite di arazzi raffiguranti scene di
caccia dai colori brillanti, con figure e animali in grandezza naturale, talmente
espressivi da sembrare vivi. Agli angoli del salone ci sono delle lesene d'oro.
Nell'insieme l'effetto è magnifico. I parigini che sono stati fatti entrare, circa una
ventina, vestiti modestamente, hanno fissato me e l'arredamento con un certo
disprezzo prima che il sindaco mi facesse l'inchino (avrebbe dovuto
inginocchiarsi, l'inchino era una mancanza di rispetto) e pronunciasse qualche
parola.
Mentre parlava, descrivendo soprattutto la fame a Parigi, mi sono sorpresa a
osservare una donna che si trovava subito dietro di lui. Indossava una sudicia
gonna bianca e una lacera giacca di tela, da cui spuntavano gambe e braccia assai
magre. Una sciarpa le copriva i capelli e, in parte, le nascondeva il viso, che
teneva leggermente girato. A differenza degli altri, non osservava gli arazzi né
l'arredamento, ma teneva gli occhi puntati sulla schiena del sindaco o sulla
coccarda tricolore che aveva in mano, stropicciandola fra le dita.
Alla fine, il sindaco ha concluso il suo discorso e Luigi lo ha ringraziato. Mentre
la delegazione si preparava a uscire, la donna la cui identità mi aveva incuriosita,
si è tolta la sciarpa e mi ha guardata dritta in faccia.
Era Amélie!
Mi si è avvicinata. «Vostra Altezza» ha detto, facendo con il capo un rapido
cenno privo di deferenza «forse vi ricorderete di una persona che vi ha servita per
molti anni in questa stessa stanza e la cui figlia primogenita è vostra figlioccia?»
Malgrado lo shock che mi serrava la gola, sono riuscita a dire: «Certo che mi
ricordo di voi, Amélie. Ricordo che siete stata portata alla Bastiglia e incarcerata
per tradimento».
Nel sentir nominare la Bastiglia, tutti i parigini si sono profusi in esclamazioni di
meraviglia e hanno guardato Amélie con una sorta di ammirato rispetto. Fin dal
giorno in cui la folla infuriata proveniente dal Faubourg Saint-Antoine si è
impadronita dell'antica fortezza e ha cominciato a demolirla, chiunque fosse
associato alla Bastiglia è stato considerato un santo o un eroe.
«E un'eroina!» ha gridato qualcuno. «Merita rispetto!» Amélie ha sorriso,
avvicinandosi ancora di più a me e mettendo in mostra la coccarda che teneva in
mano. «Sono stata liberata grazie ai miei compagni parigini.» Tutti nella sala,
perfino Luigi, hanno applaudito; ma io no. Molti dei presenti hanno gridato:
«Abbasso la tirannia!» e hanno mostrato il pugno.
Quando le grida si sono attenuate, il sindaco, visibilmente nervoso, ha detto: «Il
nostro compito qui è terminato. C'è bisogno di noi all'Hotel de Ville».
«Un momento.» Amélie teneva lo sguardo gelido fisso su di me. «Sono certa che,
prima che ce ne andiamo, alla regina farebbe piacere ricevere questa coccarda da
appuntarsi sui capelli.» Mi ha teso l'odiato emblema tricolore, ma io non l'ho
preso.
«Prendete la coccarda, prendetela» mi ha sussurrato Luigi. Sono rimasta
immobile e ho risposto allo sguardo di Amélie con un'occhiata sprezzante. Dopo
quello che è sembrato un tempo infinito, carico di tensione, Luigi ha allungato la
mano e ha preso la coccarda.
«Sono lieto di accettarla per conto di mia moglie» ha detto, guardando i presenti
con gli occhi socchiusi. «E ringrazio tutti voi per essere venuti.»
Mentre la gente cominciava a uscire dal salone, ho sentito mormorare «Altezzosa
puttana austriaca!» e canticchiare brani di una canzone in cui si parlava di
«Madame Deficit».
Amélie è stata l'ultima ad andarsene. Mentre si avviava alla porta, dandoci
maleducatamente le spalle, ha pronunciato alcune parole di saluto.
«Grazie, Vostre Maestà, per tutti quei piacevoli mesi di prigione. E se fossi in voi,
austriaca, venderei il dannato gioiello che indossate e comprerei pane per il vostro
popolo!»
Gli uscieri hanno afferrato Amélie, ma Luigi ha fatto loro cenno di lasciarla
andare. Mentre lasciava il salone, lei ha ridacchiato furbescamente e ha fatto
scorrere le unghie lungo la cornice dorata della porta, lasciando un lungo sfregio
sul legno lucido.
19 settembre 1789
Luigi si rifiuta ancora di partire e non ascolta nessuno di noi, che facciamo del
nostro meglio per convincerlo.
Tuttavia, sta rinforzando le difese qui a Versailles e farà arrivare altre truppe per
difenderci in caso di necessità.
Axel è andato a Stoccolma a riferire la nostra situazione a re Gustavo e tornerà
dalla Svezia con altre truppe.
Odo i passi pesanti dei soldati del reggimento delle Fiandre fuori dalla mia
finestra e mi sento un po' meno preoccupata. Un reparto delle guardie del corpo
del re è sempre dislocato nei corridoi davanti ai miei appartamenti.
Anche Eric mi sta vicino. Quando gli ho riferito dell'insolenza di Amélie, mi ha
detto che lei non ha mai cercato di mettersi in contatto con lui o con i figli dopo la
liberazione dal carcere. Eric ha mandato i bambini in salvo a Vienna, dai suoi
genitori, ma si rifiuta di partire, perché sostiene che il suo posto è accanto a me.
Sono molto commossa e glielo dico.
23 settembre 1789
Al Petit Trianon abbiamo fatto l'ultimo raccolto di frutta e granturco, che io ho
mandato al sindaco di Parigi in persona perché lo distribuisca al popolo affamato.
Il raccolto è stato molto scarso perché tutte le famiglie di contadini, tranne una,
hanno lasciato le casette in cui vivevano.
Nessuno bada agli animali e ho incaricato Chambertin di venderli. Ho detto addio
con dolore alle mie due vacche predilette, Brunette e Blanchette. Quest'ultima è
incinta. Temo che non vedrò mai il suo vitellino.
26 settembre 1789
Sono preoccupata perché il marchese de la Tour du Pin ha fatto un giro delle
postazioni delle sentinelle che sorvegliano il palazzo e ha detto che dobbiamo
assicurarci che tutti i cancelli dei cortili rimangano sempre chiusi. La nostra
incolumità dipende da questo.
Ha individuato un punto vulnerabile fra il Cortile dei Principi e il Cortile Reale,
dove monta la guardia una sola sentinella. Qui il presidio dev'essere rafforzato e
bisogna controllare e ricontrollare la fedeltà delle sentinelle.
Il marchese suggerisce che Luigi, io e i bambini ci ritiriamo a Rambouillet, che è
molto più facile da difendere.
Luigi risponde che ci penserà. Il marchese mi mette in guardia sul fatto che molti
dei domestici del palazzo sono poco affidabili e sono stati conquistati alla causa
dei ribelli.
Rimangono a Versailles perché sperano di ricevere la paga arretrata ma, una volta
che l'avranno ottenuta, se ne andranno. Nel frattempo, non bisogna fidarsi di loro.
19 settembre 1789
Ieri sera ho convinto Luigi che dobbiamo andare tutti a Rambouillet e i carri sono
stati caricati in modo da poter partire stamattina. Ma, quando ci siamo svegliati,
Madame de Tourzel ci ha informati che Mousseline è malata e così abbiamo
deciso di rimandare la partenza di alcuni giorni in attesa che la bambina si rimetta.
5 ottobre 1789
Vorrei che fossimo partiti per Rambouillet. Ho una sensazione molto sgradevole.
Questo pomeriggio, sono andata con Luigi Carlo al Petit Trianon e lui si è messo
a giocare nella grotta. Eric mi ha chiamata e mi ha detto di fare in fretta perché
c'era un messaggio dal palazzo. Ho preso in braccio Luigi Carlo, che ha quattro
anni e mezzo ed è diventato piuttosto pesante, e sono corsa giù per il prato fino
al punto in cui un valletto era in attesa con due cavalli.
Questi si è inginocchiato nel fango (aveva cominciato a piovere piuttosto forte).
«Vostra Altezza» mi ha detto con voce impaurita «il palazzo è stato preso
d'assalto. Sono stato mandato dal marchese de la Tour du Pin a dirvi che dovete
rientrare in fretta. Stanno chiudendo i cancelli contro gli assalitori.»
Siamo montati a cavallo (il valletto ha preso in sella con sé Luigi Carlo) e
abbiamo galoppato sotto la pioggia verso l'imponente mole del palazzo, che
appariva velata dalla cortina d'acqua. I soldati del reggimento delle Fiandre
circondavano l'edificio.
Mentre ci avvicinavamo, mi sono chiesta come avrebbero fatto i moschetti e i
cannoni a sparare sotto un simile acquazzone. Axel mi aveva parlato delle
difficoltà che, durante la guerra americana, lui e i suoi uomini avevano incontrato
nell'usare le armi con il cattivo tempo.
Siamo smontati da cavallo e io mi sono precipitata all'interno del palazzo, tenendo
in braccio Luigi Carlo che protestava e si dimenava. I soldati ci hanno
prontamente circondati, per proteggerci e scortarci agli appartamenti del re.
Abbiamo udito un terribile trambusto. Tutti gridavano, correvano e si urtavano.
Nessuno aveva assunto il comando della situazione. Gli uscieri, di solito incaricati
di mantenere l'ordine, correvano da una parte all'altra in preda alla stessa
confusione. I membri della corte e i domestici, riuniti in gruppetti sui pianerottoli,
si scambiavano con ansia le notizie. C'era chi trascinava borse o cesti lungo i
corridoi nel tentativo di trovare un luogo in cui nascondersi o una via di fuga.
Qualcuno si è inginocchiato al mio passaggio, ma i più erano talmente intenti alle
loro faccende che mi hanno completamente ignorata.
A mia volta, io ero occupata a cercare di raggiungere la salvezza e a capire che
cosa stesse succedendo. Avevo visto la folla rabbiosa ammassata davanti ai
cancelli principali che portavano al Cortile dei Ministri, ma non vi avevo trovato
nulla di insolito: era lì ogni giorno, in atteggiamento aggressivo e contestatore, ad
aspettare la distribuzione del cibo e a protestare in modo rumoroso e disordinato.
Dov'erano gli assalitori? Con Luigi Carlo stretto al mio fianco e quattro guardie
del reggimento delle Fiandre a farmi da scorta, ho percorso a precipizio il dedalo
di corridoi e la vecchia scala che portava agli appartamenti di Luigi, trovandovi
una moltitudine di persone che parlavano tutte insieme concitatamente.
Luigi non c'era: era andato a caccia e sarebbe stato via molte ore. Ho affidato
Luigi Carlo a Madame de Tourzel, che aveva portato Mousseline nello studio
privato del re e faceva del suo meglio per confortarla. Ho abbracciato mia figlia e
le ho detto che non doveva piangere, che c'erano molti soldati a proteggerci e che
ci avrebbero difesi in qualunque circostanza. Ho mandato un valletto nelle cucine
a prendere tutto il cibo che poteva, per noi e per gli altri, e lui è tornato di lì a
un'ora con pane, frutta, pollo freddo e vino.
È arrivato un corriere, rosso in viso, e il frastuono si è fatto più forte. Aveva
cavalcato a rotta di collo per portarci le notizie. Ha gridato che una torma di
donne stava marciando in direzione di Versailles: erano armate di picche, spade e
falci, chiedevano pane e minacciavano di uccidere il re e la regina.
«Arrivo adesso da Sèvres» ha detto l'uomo. «Sono passate di lì come uno sciame
di locuste. Hanno portato via tutto il pane dai forni e quasi tutto il cibo che hanno
trovato.
E vi dico che alcune di quelle donne non erano davvero tali. C'erano molti uomini
fra loro.»
«Quanti erano? Quali armi avevano? Perché la Guardia nazionale non li ha
fermati?» Il corriere è stato sommerso di domande, ma ha saputo rispondere solo
che si trattava di una folla strepitante, bagnata e furiosa, a poche miglia di
distanza da lì.
Quando finalmente Luigi è tornato dalla battuta di caccia, si è liberato della giacca
e della borsa, ha lasciato cadere a terra il pesante cinturone e ha gettato a
Chambertin, che lo accompagnava, il coltello da caccia insanguinato; quindi, ha
rivolto lo sguardo verso i membri della corte e i domestici che si trovavano nella
stanza ed è parso affranto, mentre, sorreggendosi allo schienale di una sedia,
ascoltava la notizia dell'avvicinarsi della folla minacciosa.
I ministri si sono riuniti intorno a lui e tutti, a parte il sempre fiducioso Necker, lo
hanno esortato a rifugiarsi subito a Rambouillet conducendoci con sé.
Luigi si è lasciato cadere pesantemente sulla sedia e, dopo che io gli ho portato un
po' del cibo che avevo fatto prelevare nelle cucine, si è messo a mangiare in
silenzio.
«Vostra Maestà, non c'è tempo!» ha esclamato il marchese de la Tour du Pin
quando la tensione nella stanza si è fatta insopportabile. «Dovete andarvene
immediatamente!»
«Non voglio mettere in pericolo nessuno» ha ribattuto Luigi. «Non voglio
diventare un fuggiasco dal mio palazzo, dalla mia casa.»
Uno dei ministri, non ricordo quale, ha detto: «Desiderate forse diventare un
cadavere?».
«I miei sudditi non mi farebbero del male. Sono il loro padre. Guardano a me
come alla loro guida» ha ribattuto Luigi aspramente.
«Con tutto il rispetto, sire, forse non farebbero del male a voi, ma minacciano di
tagliare la gola alla regina» è intervenuto il corriere giunto da Sèvres. «Ho sentito
qualcuno che diceva: "Useremo la sua pelle per fare dei nastri!".»
«Io proteggerò la regina. Adesso lasciatemi cenare in pace.»
Luigi ha continuato a mangiare mentre, intorno al tavolo, i ministri discutevano.
Tutti, eccetto Necker, concordavano sul fatto che dovessimo andarcene. Sono
intervenuta anch'io per ricordare a Luigi che eravamo pronti a partire da parecchie
settimane e che Madame de Tourzel aveva preparato tutte le cose dei bambini.
Tuttavia, proprio in quel momento, abbiamo saputo che il generale La Fayette,
comandante della Guardia nazionale, stava arrivando al palazzo e Luigi ha detto
che non sarebbe partito prima di essersi consultato con lui, che si trovava
certamente nella posizione migliore per consigliarlo.
Ero molto stanca, ma mi sono sentita in dovere di andare nei miei appartamenti a
parlare con i domestici e le cameriere, almeno quelli che erano rimasti. Li ho
trovati nel salotto grande, in uno stato di profonda agitazione. Mi sono rivolta a
loro con la massima calma possibile, sperando di riuscire a rassicurarli con un
atteggiamento di speranza e di fiducia. Ero tranquilla, come lo sarebbe stata mia
madre, e li ho guardati negli occhi a uno a uno mentre parlavo, esortandoli a
mostrare coraggio e a non lasciarsi spaventare da un gruppo di rivoltosi violenti.
«Questi banditi che ci minacciano non sono veri uomini e donne francesi» ho
detto, spiacevolmente consapevole del mio accento tedesco. «Sono dei traditori
che meritano la prigione.»
Ho indicato il reparto delle guardie del corpo, appostato proprio sotto le mie
finestre, e ho detto a tutti di andare a letto (era ormai molto tardi) e di fare del loro
meglio per passare una buona notte di riposo.
Ma, come si è poi visto, avevo parlato troppo presto. Il generale La Fayette è
arrivato al palazzo verso mezzanotte e io sono andata negli appartamenti di Luigi
per sentire quello che aveva da comunicare. I ministri erano ancora tutti là e così
pure molti membri della corte, e sonnecchiavano su divani e poltrone o su cuscini
buttati per terra.
Madame de Tourzel aveva messo a letto Luigi Carlo e Mousseline nella stanza del
corpo di guardia adiacente allo studio di Luigi, il luogo più sicuro di tutto il
palazzo.
La Fayette è entrato nella stanza sconvolto e sfinito, gli stivali incrostati di fango
e l'uniforme bagnata e sporca.
Erano con lui due delegati dell'Assemblea nazionale, anche loro assai malridotti a
causa delle condizioni meteorologiche e della mancanza di riposo.
«Ho portato ventimila uomini» ha detto il generale a Luigi «più alcuni parigini
che si sono impegnati a proteggervi. Da quello che ho visto, non credo che ci sia
bisogno di loro. Una folla tumultuante di donne si era riunita qui vicino, ma
sembra che si sia dileguata. Non abbiamo visto orde armate.»
I delegati hanno chiesto che Luigi si trasferisse a Parigi, dove sarebbe stato più al
sicuro e più facilmente a disposizione per ratificare i decreti dell'Assemblea
nazionale.
Lui ha ignorato questa implicita sfida alla sua autorità suprema e, gentilmente, ha
detto che avrebbe preso in considerazione la richiesta. Poi La Fayette ha mandato
via la maggior parte delle truppe, compreso il rassicurante reparto delle guardie
del corpo che stazionava sotto la mia finestra, e siamo andati tutti a letto.
Spero di riuscire a dormire stanotte. Mentre scrivo, sento le truppe che si
allontanano marciando per far ritorno a Parigi o alla caserma di Rambouillet, a
venticinque miglia di distanza.
6 ottobre 1789
Stamattina, all'alba, sono stata svegliata da un rumore cupo come il rombo di un
tuono, che è diventato sempre più forte e si è poi trasformato in un sinistro
frastuono fatto di passi pesanti, strepiti e grida.
«Vostra Altezza! Vostra Altezza! Alzatevi! Correte! Scappate più in fretta che
potete!»
La mia dama di compagnia, Madame Thibaut, con addosso ancora l'abito della
sera precedente, è entrata di corsa nella mia camera. Ho capito che non aveva
chiuso occhio ed era rimasta a vegliare.
Oltre la porta aperta, potevo vedere il salone. C'era Eric insieme a molte guardie
del corpo. Sorvegliavano la porta esterna. All'improvviso, ho sentito dei colpi
pesanti. Qualcuno stava cercando di abbattere la porta del salone.
Ho udito dei colpi di moschetto e molte voci femminili che gridavano: «Dov'è la
puttana? Vogliamo la puttana austriaca!». Le grida si sono trasformate in una
cantilena.
«Puttana, puttana, puttana. Dov'è la puttana austriaca?»
Con le mani tremanti e il cuore che mi batteva forte, ho indossato in tutta fretta gli
indumenti che Madame Thibaut mi porgeva e ho afferrato una veste da camera.
La porta del salone si è spalancata e ho visto Eric e i soldati affrontare i primi
assalitori, cercando di bloccare l'ingresso con i loro corpi.
Finché vivrò non potrò dimenticare quello che ho visto in seguito. Come posso
scriverlo?! Mi trema ancora la mano mentre mi sforzo di reggere la penna.
Un uomo gigantesco, vestito di nero da capo a piedi, ha fatto irruzione nella
stanza brandendo un'immensa ascia con la lama rossa di sangue. Ha vibrato un
colpo e ha tagliato la testa a uno dei soldati. È stato salutato da grida di giubilo.
«Tagliateste! Tagliateste!»
Altra gente si è riversata nella stanza e ho udito Eric gridare: «Salvate la regina!
Vogliono uccidere la regina!».
L'ascia si è sollevata una seconda volta. «Eric!» ho urlato io.
Sono rimasta paralizzata, incapace di pensare o agire, in preda a un tale orrore da
rimanere senza fiato.
Madame Thibaut mi ha dato uno strattone. «Vostra Altezza, dovete venire.
Ricordatevi di vostro marito, dei vostri figli...»
Mi ha trascinata via, barcollante, verso la porta in fondo alla stanza e attraverso il
corridoio che collega la mia camera con quella di Luigi, un passaggio di cui, a
parte noi due, sono a conoscenza solo i nostri domestici più fidati e i paggi che
spesso dormono sulle panche in corridoio.
Ho corso alla cieca, continuando a sentire l'eco del tremendo rumore proveniente
dai miei appartamenti. Ero straziata. Avrei voluto tornare indietro, inginocchiarmi
accanto a Eric e piangerlo. In un solo, terribile istante aveva dato la vita per me,
tanto mi amava. E, un tempo, molti anni prima, anch'io lo avevo amato.
Quando siamo arrivate alla porta che dava negli appartamenti di Luigi, l'abbiamo
trovata chiusa a chiave. Vi abbiamo picchiato sopra, gridando, finché uno
spaventatissimo Chambertin non è venuto ad aprirla: dapprima solo uno spiraglio,
poi del tutto. Dopo che siamo entrate, l'ha richiusa con violenza e sprangata e vi
ha messo contro un pesante armadio.
Luigi indossava la camicia da notte e aveva la barba lunga. Era seduto a un tavolo
con un piatto di cibo davanti a sé, ma aveva mangiato poco. Quando mi ha sentita
entrare, ha alzato gli occhi e ha detto: «Ho sbagliato, ieri notte, ho sbagliato». Ha
scosso la testa e ha abbassato lo sguardo.
Mi sono avvicinata a Madame de Tourzel, la quale mi ha assicurato che i bambini
stavano bene. Ho pensato che fosse una fortuna che non avessero dovuto vedere
ciò che avevo visto io. Non ho parlato della cosa con nessuno, anche se ho sentito
Madame Thibaut descrivere la scena accaduta nel salone a tutti quelli che si
trovavano nella camera di Luigi.
Per alcune ore, abbiamo aspettato, in preda al terrore, barricati nella stanza per
timore della folla dei rivoltosi, sperando che i soldati che non erano stati mandati
via ieri notte riuscissero a ristabilire l'ordine. Di tanto in tanto udivamo gli spari
dei moschetti e, dalla finestra, vedevamo centinaia di persone, nel fangoso cortile
sottostante, ammassate ed esultanti, alcune con la faccia e le mani sporche di
sangue, altre che trascinavano arti troncati, orrendi trofei della loro crudeltà.
Ho assistito con orrore alla scena in cui il cadavere di una delle guardie del corpo
veniva trascinato in cortile e fatto a pezzi. Nel palazzo era in atto il saccheggio di
tutto quello che potesse avere valore. La gente portava fuori piatti e calici d'oro,
scrigni di gioielli, pezze di splendidi tessuti, arazzi e dipinti e li caricava sui carri,
senza incontrare resistenza da parte dei soldati o dei domestici del palazzo.
Verso l'una del pomeriggio, abbiamo udito un colpo alla porta che dava sul
corridoio esterno e un grido disperato.
La porta è stata aperta e una delle mie cameriere, una ragazza di diciotto anni, è
stata fatta entrare. Mi ha vista ed è corsa verso di me singhiozzando e stringendosi
un braccio sanguinante. L'ho medicata con un pezzo di tela e l'ho tenuta accanto a
me finché non si è un po' ripresa.
«Vostra Altezza, è stata Amélie» è riuscita a dire, alla fine. «Ci ha inseguite con
un coltello!»
«Non preoccupatevi. Adesso non può più farvi del male.» La ragazza ha
ricominciato a piangere. «Ha detto» ha continuato la ragazza «che era venuta per
voi.»
«Come vedete, sto bene.»
«Si è vantata con noi di aver aperto lei il cancello per lasciar entrare gli assassini.»
«Amélie ha molto di cui piangere in questo giorno. Suo marito è stato ucciso.»
«Oh, lo so. Lo ha visto morire. Ha detto che è contenta che sia morto.»
«I suoi figli lo piangeranno, come tutti noi. Era un uomo bravo e fedele.»
Davanti alla ragazza, non ho fatto mostra del turbamento e della tristezza che mi
aveva causato la notizia del tradimento di Amélie. Più tardi, però, quando sono
rimasta da sola, ho dato sfogo alle lacrime.
Nel pomeriggio, La Fayette è venuto a dirci che stava trattando con i capi dei
rivoltosi e che questi avevano accettato di lasciare il palazzo se Luigi fosse uscito
sul balcone e si fosse confrontato con loro.
«Non fatelo, sire» l'ha esortato Chambertin. «Vi uccideranno di sicuro.»
«Il mio popolo non mi farà del male.»
In quel momento, ho ammirato Luigi, anche se mi rendevo conto che stava
negando la realtà del pericolo che correva. Ha detto a La Fayette di annunciare
che sarebbe apparso al balcone nel giro di mezz'ora, poi ha chiesto a uno dei
valletti di raderlo e di acconciargli i capelli. Si è fatto portare delle brache, una
camicia e una giacca e ha appuntato sul bavero una coccarda tricolore. Mentre il
valletto lo radeva, sono andata a sedermi accanto a lui e gli ho tenuto la mano. Lui
mi ha sorriso.
Una volta pronto, si è alzato in piedi e si è chinato verso di me per sussurrarmi
all'orecchio: «Mia cara, promettetemi che, se accade il peggio, proteggerete i
bambini con la vostra vita».
«Sapete bene che lo farò.»
Ha poi fatto un cenno al domestico che teneva aperta la portafinestra sul balcone.
Appena Luigi si è mostrato alla folla, abbiamo sentito crescere il trambusto. «Il re
a Parigi! Il re a Parigi!» si è udito gridare. Mi è sembrato di percepire un tentativo
di Luigi di dire qualche parola, ma la sua voce è stata soffocata dal clamore
proveniente dal cortile.
Mi aspettavo di udire un fatale colpo di moschetto, ma non c'è stato. A un certo
punto qualcuno ha gridato: «Viva il re!». Ben presto le urla si sono trasformate in
un nuovo imperativo: «La regina! Vogliamo la regina!».
Avendo già affrontato la folla in precedenza, sapevo che era un'esperienza
terrificante. Mi tremavano le ginocchia e, per un attimo, ho pensato che sarei
svenuta.
Madame Thibaut si è avvicinata nel tentativo di aiutarmi, ma non c'era nulla che
lei potesse fare. Dovevo affrontare quella prova da sola. Ma era proprio così?
D'impulso, mi sono diretta verso la stanza del corpo di guardia e ho teso le braccia
a Mousseline e a Luigi Carlo, che mi sono corsi incontro e mi hanno abbracciata.
«In questo momento ho bisogno del vostro aiuto. Volete aiutare la vostra
mamma?» Tutti e due hanno fatto un cenno di assenso con la testa e si sono
attaccati a me.
Quando Luigi è rientrato dal balcone, sono uscita io, con Luigi Carlo e
Mousseline. Ci siamo avvicinati alla balaustra del balcone e siamo rimasti lì, sotto
la pioggia. I bambini mi tenevano la mano; erano stati educati fin quasi dalla più
tenera infanzia a stare dritti in piedi con il capo eretto nelle occasioni pubbliche,
senza tradire emozioni e mantenendo l'atteggiamento composto che si conviene a
un principe e a una principessa. Si sono attenuti alla regola anche in quel
momento e io sono stata orgogliosa di loro.Sono sicura che mi abbiano sentita
tremare.
Siamo rimasti lì per quella che a me è parsa mezz'ora, ma, in realtà, dev'essersi
trattato soltanto di pochi minuti.
Quando sono usciti i bambini, il frastuono è momentaneamente diminuito, ma poi
è ripreso.
«Niente bambini! Niente bambini!» si è sentito gridare. «Vogliamo la puttana
austriaca da sola!»
A questo punto, per la prima volta nel pomeriggio, ho visto i moschetti sollevati e
puntati verso di me. Allora mi sono girata e ho aiutato Luigi Carlo e Mousseline a
tornare dentro fra le braccia del padre. Ho pensato che la mia ultima speranza
fosse svanita: quella gente era venuta per immolarmi. Allora, molte immagini mi
si sono affollate nella mente: mia madre, giovane e bella; Axel, sdraiato nudo
accanto a me che mi sorrideva; i poveri piccoli Luigi Giuseppe e Sofia; le verdi
colline di Fredenholm e le stalle di Schônbrunn, sotto le cui grondaie gli storni
facevano il nido.
Quasi sopraffatta da questi ricordi che si accavallavano confusi nella mia mente,
mi sono girata di nuovo, con le lacrime agli occhi, e lentamente sono tornata alla
balaustra.
All'improvviso mi sono resa conto di come dovevo apparire: una donna
corpulenta, bagnata e inzaccherata, con una veste da camera gialla stropicciata,
senza belletto né cipria sulle guance, i capelli incanutiti spettinati e sciolti sulle
spalle. Quella non era una regina, ma una donna. Misera e stanca.
Ho chiuso gli occhi, ho detto una preghiera e ho aspettato. Ho aspettato.
La crudele cantilena è ripresa. Ho udito gridare: «Sparate alla puttana austriaca» e
«Uccidetela, uccidetela!»
Ma nessun moschetto ha fatto fuoco. Dopo qualche istante, ho aperto gli occhi e
ho guardato verso il cortile, verso quel mare di facce. Le lacrime e la pioggia mi
annebbiavano la vista, ma sono riuscita a riconoscere qualche viso.
Mi sono chiesta se Amélie fosse in mezzo a quella gente. Con stupore ho visto
una donna che si faceva il segno della croce. Un'altra si è inginocchiata nel fango.
Poi un uomo si è fatto avanti. «Viva la regina!» ha gridato. È stato subito
spintonato e preso a pugni da chi si trovava vicino a lui, ma il suo grido è stato
ripetuto da altri.
«Viva la regina! Viva la regina Maria Antonietta!» Ho udito Chambertin che mi
chiamava: «Venite dentro, venite dentro». Io mi sono girata e sono rientrata nella
stanza. Poi, quasi subito, sono svenuta. Quando mi sono ripresa, ho trovato
Madame Thibaut seduta accanto a me, con un vassoio di cibo e una bottiglia di
vino. Mi ha detto che saremmo stati scortati a Parigi e che Luigi e i bambini si
stavano avviando alla carrozza che ci aspettava. Ho mangiato in tutta fretta e con
voracità, mi sono lavata e vestita e li ho raggiunti.
Ho dormito durante quasi tutto il tragitto verso Parigi, con Luigi Carlo, anche lui
addormentato, in braccio e Mousseline seduta al mio fianco. Era molto tardi
quando siamo arrivati al palazzo delle Tuileries, ma ero inquieta e non sono
riuscita a dormire nel letto che era stato preparato per me. Erano accadute troppe
cose in questo giorno fatidico, dovevo metterle per iscritto.
È l'alba. Attraverso i vetri sporchi della finestra, vedo all'orizzonte i primi bagliori
di luce rosata. Il personale di servizio comincia a muoversi. Nessuno ha ancora
acceso il fuoco nella mia camera e ho freddo. È autunno e fra non molto arriverà
l'inverno. Che cosa ci succederà?
XIII.
1° novembre 1789
Non riesco a dormire qui. Il vecchio letto che mi hanno dato, usato l'ultima volta
dalla madre di Luigi, è duro e bitorzoluto, con un baldacchino logoro e privo di
tendaggi.
Tutti i nostri soffici materassi e le trapunte di Versailles sono stati fatti a pezzi
dalla plebaglia giunta da Parigi, per cui il palazzo era invaso dalle piume e a noi
non è rimasto nulla da portare qui alle Tuileries. Dormo su una pila di coperte
stese sopra un pagliericcio che puzza di stalla.
Se non riesco a dormire, non è solo perché ho freddo e il letto è molto scomodo.
Ho degli incubi. Sogno Eric, il mio Eric bello e leale, con la testa mozzata da un
colpo feroce, il sangue che sprizza dal collo e m'investe. Sogno di essere inseguita
senza tregua da una folla urlante e furiosa di donne sghignazzanti, che si
avvicinano sempre più, fino a quando, nel momento in cui stanno per calpestarmi
a morte, mi sveglio urlando.
Dopo che gli incubi mi hanno svegliata, io passo ore in preda all'apprensione,
ascoltando i rumori nel corridoio fuori dalla mia camera, immaginando che si
ripeta un nuovo assalto e domandandomi, con viva preoccupazione, come potrò
tenere al sicuro Luigi Carlo e Mousseline.
Sono tentata di svegliare Sophie, che dorme su un giaciglio ai piedi del mio letto,
per chiederle di tenermi compagnia, ma mi dispiace disturbarla. A volte mi manca
il familiare, sonoro russare di Luigi. Per ordine di La Fayette, lui dorme lontano,
nella stanza del corpo di guardia circondato da dozzine di soldati.
Domani è il mio compleanno. Compirò trentaquattro anni, ma so che ne dimostro
almeno quaranta. Per fortuna in camera non c'è uno specchio.
16 novembre 1789
Siamo prigionieri qui. Non c'è altro modo per descrivere la nostra condizione. Le
fedeli guardie del corpo che ci scortavano sono state mandate via e sostituite dai
rozzi uomini della Guardia nazionale, che sono più nostri carcerieri che nostri
protettori.
Si divertono a provocarmi e a offendermi, si scambiano battute volgari sul mio
conto a voce abbastanza alta perché io possa sentirle, ridono e sghignazzano
quando passo e ruttano, o peggio, per darmi fastidio. Ascoltano le mie
conversazioni e sono sicura che vorrebbero sapere cosa scrivo sul diario se
sapessero che ne tengo uno.
Probabilmente, se lo trovassero, lo farebbero a pezzi. Bevono, diventano violenti
e si mettono a litigare con i domestici del palazzo. La Fayette non riesce a
controllarli e loro non prestano la minima attenzione a quel che dice Luigi. I loro
sguardi astiosi e la loro espressione ostile e vendicativa mi terrorizzano.
A volte non so che cosa sia peggio, se i soldati collerici e villani o la folla
eccitabile e rumorosa che continua incessantemente a cantare e a gridare nei
cortili e sotto le nostre finestre. Il frastuono comincia all'alba e continua fin dopo
la mezzanotte; i dimostranti agitano le torce e si scaldano con falò che alimentano
con arbusti strappati nei giardini del palazzo. Non sospendono la loro veglia
rumorosa nemmeno adesso che la temperatura, di notte, si abbassa molto e
continuano a chiamare Luigi o me, minacciandoci e cantando il loro nuovo inno,
Ça ira!
Nei miei brevi, tormentati sogni, sento le parole di quel terribile canto. «Ça ira!
Ça ira!» cantano allegramente. «Les aristocrates à la lanterne!» Canti rauchi, colpi
di tamburo, spari dell'artiglieria (la Guardia nazionale continua a provare i suoi
cannoni): ce n'è abbastanza per farti impazzire.
9 dicembre 1789
Mi sono fatta di nuovo male alla gamba e, questa volta, il dottor Concarneau (il
dottor Boisgilbert se n'è andato insieme a Charlot) dice che devo rimanere a letto
finché non sarà guarita. Si tratta solo di una storta, non di una frattura. Mi fa
molto male.
16 dicembre 1789
Grazie al cielo, Axel è tornato dopo essersi recato alla corte di mio fratello. Come
rappresentante di re Gustavo, può andare e venire liberamente dal paese, mentre i
sudditi francesi sono spesso trattenuti al confine dalla Guardia nazionale.
L'Assemblea è sempre più sospettosa nei riguardi di chiunque sia di alto
lignaggio. Siamo tutti odiati e non si fidano di noi.
Axel ha preso in affitto alcune stanze in Rue Matignon, vicino alle Tuileries e alla
sala riunioni dell'Assemblea, che si trova nei giardini del palazzo. Ha lasciato gli
incarichi militari per dedicarsi interamente ad aiutarci e non indossa più la divisa
del reggimento svedese. Mi piace di più con la spada e le calze bianche del
nobiluomo di rango. Quanto vorrei averlo accanto nelle mie lunghe notti insonni!
Axel racconta che Giuseppe è molto malato, ma continua a essere irascibile e
difficile da trattare. Con mio grande dispiacere, non ha dato ad Axel il denaro che
gli avevo chiesto. Axel dice che Giuseppe pensa che le rivolte qui a Parigi siano
solo temporanee e che passeranno presto.
Ritiene che siano solo il risultato della lotta tra le fazioni all'interno della corte.
Non ha visto quello che ho visto io, quello che vedo ogni giorno: l'espressione di
trionfo e il ghigno sui volti dei parigini, i quali ci insultano, ansiosi di farci del
male. Se Giuseppe potesse vedere tutto ciò con i propri occhi sarebbe spaventato
come lo sono io.
5 gennaio 1790
Ho il permesso di camminare ogni pomeriggio mezz'ora. La gamba sta
migliorando. Quando non fa troppo freddo e non piove, Luigi, io e i bambini
indossiamo i cappotti e i mantelli pesanti e passeggiamo nei giardini. È bello
potermi alzare e andare a passeggio. Ero stanca di starmene sdraiata a oziare tutto
il giorno, a far riposare la gamba, a farmi leggere un libro, ad ascoltare i racconti
di Sophie e a giocare a whist con Mousseline, che sta imparando bene.
Una cosa l'ho fatta, anche se è stato triste. Ho mandato a Napoli tutti i carlini e il
vecchio gatto giallo con un amico di Carlotta, che si è offerto di portarli con sé.
Per quanto possa sentire la mancanza dei cari cagnolini e del mio dolce compagno
giallo, almeno non dovrò temere che una delle odiose guardie li tormenti e li
prenda a calci.
28 gennaio 1790
Questo pomeriggio, siamo andati nel giardino all'inglese vicino al maneggio. Io
camminavo in testa al gruppo insieme a Loulou, mentre Luigi Carlo in mezzo a
noi correva e saltava e, di tanto in tanto, si lanciava nei cespugli e poi tornava
indietro di corsa. Si divertiva così e ci eravamo abituate a sentire il fruscio dei
rami quando lui andava avanti e indietro nascondendosi nel fogliame dei
sempreverdi che fiancheggiano il sentiero sui due lati.
Luigi e Axel si trovavano dietro di noi insieme a quattro soldati della Guardia
nazionale che camminavano con passo tutt'altro che militaresco, incuranti del loro
compito - proteggere Luigi - e impegnati a chiacchierare fra loro e a ridere in
modo sguaiato e sgradevole.
Sapevo di cosa stavano discutendo Luigi e Axel. Axel si stava preparando a
partire per la Spagna, ufficialmente in missione diplomatica per conto di re
Gustavo, ma, in realtà, per cercare di persuadere re Carlo IV a darci del denaro.
Axel ritiene di dover partire subito, il più in fretta. Possibile, ma Luigi non riesce
a decidere la data della sua partenza! Ne stanno discutendo da giorni. Quando i
soldati sono vicini, loro fanno finta di parlare di corse di cavalli.
«Sire, devo dirvi molto sinceramente» ho sentito che Axel diceva «che quel
cavallo dovrebbe partecipare alla primissima corsa. È pronto. Vincerà di sicuro.
Se indugiate...»
Proprio in quel momento, abbiamo udito un gran fruscio nei cespugli: un uomo
grande e grosso è balzato fuori, tentando di afferrarmi e di sferrarmi un colpo di
pugnale. Ho visto chiaramente la lama passarmi accanto, mancando di poco il mio
mantello.
«Mamma!» ha gridato Luigi Carlo. Io mi sono chinata per prenderlo in braccio e,
in quel momento, ho evitato un altro colpo della lama mortale. Non mi sono quasi
resa conto che Loulou era caduta a terra svenuta, tanto ero concentrata a
proteggere Luigi Carlo che gridava e a tornare indietro di corsa lungo il sentiero
verso Axel, Luigi e i soldati. Non riuscivo ad andare molto spedita a causa della
gamba. A ogni passo avvertivo un dolore lancinante.
Axel mi ha superata a gran velocità, con la spada sguainata, gridando:
«Fermatevi! Gettate il coltello o vi taglierò in due!».
Luigi, sconvolto, è rimasto dov'era, a bocca aperta. Ho continuato a correre,
scontrandomi quasi con i quattro soldati della Guardia nazionale, che si stavano
muovendo - troppo lentamente, secondo me - in aiuto di Axel e mi hanno
ignorata.
Ho raggiunto di corsa il palazzo, arrivandovi affannata perché Luigi Carlo è molto
pesante, e sono praticamente caduta fra le braccia di Chambertin, che stava
uscendo per unirsi a noi nella passeggiata.
«Aiuto! Chiamate le guardie! Chiamate La Fayette! Un uomo mi ha aggredita!»
Prendendo il bambino dalle mie braccia, Chambertin ha chiesto subito soccorso e
poi, dopo essersi assicurato che Luigi Carlo e io fossimo incolumi e che il
trambusto nel giardino si fosse placato, mi ha condotta nei miei appartamenti.
Io tremavo. Tremo anche adesso mentre scrivo sul diario, con dodici guardie nel
corridoio fuori dalla mia stanza e altrettante sotto le mie finestre per proteggermi
da eventuali assalitori. Sono salva, ma per quanto tempo?
12 febbraio 1790
Oggi, dopo aver consumato il pasto di mezzogiorno con Axel, mi sono sentita
improvvisamente male, a tal punto che mi sono dovuta sdraiare subito. Mi sono
stretta l'addome tra le braccia gemendo.
«Chiamate il dottor Concarneau» ha gridato Axel a uno dei paggi, che si è
affrettato a eseguire l'ordine. Poi ha chiesto a Sophie, che era china su di me e mi
teneva la mano sulla fronte calda: «Avete cambiato lo zucchero nella zuccheriera,
oggi? Ditemi la verità».
Sophie ha abbassato la testa. «No. Volevo farlo, ma...»
«Vi ho detto di farlo ogni giorno, senza saltarne uno!» Non lo avevo mai sentito
rivolgersi a nessuno cosìaspramente.
«Non vi rendete conto di quali pericoli corre la regina? Chiunque potrebbe
mettere del veleno nella zuccheriera! Chiunque!»
In quel momento, un uomo piuttosto giovane e dal viso florido è entrato nella
camera con una borsa.
«Chi siete?» ha chiesto Axel.
«Sono il nuovo assistente del dottor Concarneau, signore. Lui si è dovuto
assentare per un caso urgente.»
Ho emesso un altro gemito. Il dolore aumentava, ho pensato che mi avevano di
sicuro avvelenata e che stavo per morire.
«Fate venire il dottor Concarneau subito!»
«Signore, si trova a un'ora da qui, a Saumoy. Uno degli affittuari del duca di
Penthièvre è malato.»
«Adesso cura i contadini?! C'è bisogno di lui qui!»
Per alcuni secondi Axel è andato avanti e indietro in preda all'esasperazione. Poi
si è rivolto all'assistente del dottore.
«Dannazione, venite qui! Le hanno dato del veleno.»
Per quanto stessi molto male e fossi piegata in due dal dolore sul divano, ho
avvertito una nuova sensazione – la paura -, mentre il giovane mi si avvicinava.
«Axel...» ho chiamato, tendendogli la mano.
«Sì, mia cara, ora starete meglio. Vi darà qualcosa per contrastare l'effetto del
veleno... Avete un antidoto, vero?»
L'assistente, chiaramente agitato, si è messo a frugare nella borsa.
«Sì, signore, ce l'ho.»
«Che cos'è?» A porre la domanda con voce tonante è stato Luigi che, dopo essere
entrato nella stanza con passo rapido, si è avvicinato al giovane, inginocchiato sul
tappeto accanto alla borsa in cui stava rovistando. «Che antidoto è?» ha chiesto di
nuovo Luigi.
«lo... io non mi ricordo, Vostra Altezza. Qualcosa che mi ha dato il dottor
Concarneau...» In quel momento, una fiala di vetro gli è caduta dalla tasca
insieme a una coccarda tricolore, il simbolo rivoluzionario.
«Arrestatelo!» ha gridato Luigi. Una guardia e due valletti si sono precipitati ad
afferrare l'assistente del medico.
Con sorprendente rapidità, Luigi ha preso la fiala, che era caduta sul tappeto, l'ha
portata verso la finestra e l'ha guardata in controluce. Poi l'ha odorata.
«Veleno!» ha gridato. «Un distillato di mercurio. Portate via questa cosa
immonda e gettatela nel fuoco» ha detto a uno dei domestici, che ha avvolto la
fiala in un fazzoletto orlato di pizzo ed è uscito dalla stanza.
«Olio di mandorle dolci!» ha esclamato Luigi. «Ecco quel che le occorre! È il
rimedio usato dai medici quando qualcuno ha ingerito del veleno.»
«Per caso, lo usano anche i fabbricanti di profumi?»
Ho sentito che Axel chiedeva in tono concitato, ma l'ho udito... come da lontano.
Stavo quasi svenendo per il dolore.
«Sì, sì.»
Axel si è precipitato fuori. L'avvelenatore mancato era stato trascinato via dalla
stanza, tra strepiti e proteste Sophie, seduta in fondo al divano, mi massaggiava i
piedi e le gambe. Luigi mi si è inginocchiato vicino, mi ha preso la mano e mi ha
battuto un colpetto affettuoso sulla spalla «I veleni agiscono molto in fretta» mi
ha detto.
«Qualunque sia la causa del vostro malessere, se non vi ha uccisa finora,
probabilmente non vi ucciderà più.»
Le sue parole non erano molto confortanti. Mi sentivo come se mi fosse stato
versato un acido nello stomaco e adesso mi stesse corrodendo le viscere.
Dopo un tempo che mi è sembrato interminabile, Axel è tornato con una
fiaschetta e una tazza. Ha versato dell'olio denso dalla fiaschetta nella tazza e me
l'ha offerta.
«Questo vi farà svuotare lo stomaco» ha detto. «L'ho avuto da un commerciante
di mia conoscenza, che fabbrica profumi.»
Axel mi ha sorretto la testa mentre bevevo e ha continuato a sorreggermela
quando ho vomitato nel catino che Sophie mi teneva sotto il mento. Lentamente,
ho cominciato a sentirmi meglio. Il dolore è diminuito e dopo un po' sono stata in
grado di alzarmi. Luigi mi ha dato un colpetto affettuoso sulla mano e se n'è
andato.
«D'ora in poi, dev'essere portato in tavola zucchero nuovo a ogni pasto» ha
ordinato Axel ai domestici.
«Nessuna eccezione. Nessuna scusa. Forse sarebbe bene assumere un
assaggiatore.»
Sentendomi meglio, ho cercato di rasserenare l'atmosfera. «Un assaggiatore?» ho
detto. «Nessuno vorrebbe un simile incarico.»
«Quanto si guadagna?» ha chiesto una voce insolente proveniente dal gruppo dei
domestici che si erano raccolti in corridoio durante la mia crisi. A queste parole,
ho riso di cuore come tutti i presenti e sto ancora ridendo fra me adesso, mentre
scrivo, anche se sorseggio l'acqua dal bicchiere con cautela e ho deciso di non
addolcirla più con lozucchero preso dalla zuccheriera.
20 febbraio 1790
Abbiamo scoperto che il tizio che mi ha aggredita in giardino è un assassino di
professione fatto venire da Roma.
È stato ingaggiato da un uomo ricco con un marcato accento, di cui lui però non
conosce il nome. Axel è convinto che le guardie siano riuscite a ottenere da lui
tutte le informazioni possibili. Sarà deferito all'Assemblea nazionale
per la condanna.
L'avvelenatore che ha recitato la parte di assistente del dottor Concarneau è
riuscito a fuggire ed è scomparso.
Ho paura che possa tornare e tentare di nuovo l'impresa. Da molte settimane, da
quando sono stata aggredita, sto discutendo con Luigi sull'opportunità di lasciare
la Francia. Dobbiamo andarcene. Ne sono assolutamente convinta. Tutti a corte
ritengono che lo faremo di nascosto e riceviamo molte offerte private di aiuto.
Il dottor Concarneau, che è bretone, mi assicura che, in quella parte della Francia,
Luigi è amato e rispettato e che, se ci rifugiassimo in Bretagna, saremmo al
sicuro. Si offre di aiutarci in ogni modo possibile. Axel ha un piano. Vuole che ci
travestiamo da domestici: Luigi da corpulento valletto con una benda su un
occhio, io da cameriera o lavandaia (dice che sarei una lavandaia molto
affascinante).
Dopodiché lui farebbe in modo di farci arrivare, insieme a un gruppo di veri
domestici, nel suo alloggio in Rue Matignon, da dove verremmo accompagnati,
con un percorso segreto da lui già predisposto, in Normandia e da lì, per nave, in
Svezia o in Inghilterra o in Italia (dove si trovano Charlot e Carlotta), come
preferiamo.
Tutti ci esortano a partire, ma Luigi si è intestardito a rimanere. «Non mi farò
cacciare dal mio regno da una banda di ribelli» dice. Insiste che, tra breve, gli
eserciti stranieri invaderanno la Francia, arresteranno o uccideranno tutti i
deputati dell'Assemblea e riporteranno l'ordine. Molti sostengono che entro i
confini della Francia si scatenerà una guerra fra l'Assemblea e la Guardia
nazionale e i soldati delle province, dove Luigi è ancora rispettato e i parigini
sono odiati.
«Qualunque cosa accada» replico io «saremo inevitabilmente in grandissimo
pericolo finché dureranno gli scontri.
Non possiamo influenzarne l'esito restando qui come ostaggi.»
«Non sono un ostaggio» protesta Luigi quando dico queste cose. «Sono il re di
Francia, come lo sono stati i miei antenati. E come lo sarà anche mio figlio.»
Ogni volta che comincia a parlare così, so che è inutile continuare a discutere. Lo
lascio ai suoi passatempi: scrivere il libro sulla foresta, fabbricare serrature (ha
portato da Versailles tutti gli attrezzi necessari) e giocare a carte con Luigi
Saverio, che vince sempre.
A volte penso a quanto è strano che Luigi, che non ha mai voluto essere re e che
citava sempre la sua «teoria del destino sbagliato», difenda adesso la sua corona
così testardamente. E così ciecamente, rifiutandosi di vedere il pericolo che
corriamo noi tutti.
16 marzo 1790
«C'è un vecchio prete che vuole vedervi.» Sophie me lo ha annunciato la notte
scorsa, dopo che ero finalmente riuscita a far addormentare Luigi Carlo, il quale,
come me, soffre di incubi e ha paura di assopirsi perché sa che sarà svegliato da
sogni terribili.
L'ultima persona che desideravo vedere era un vecchio prete, certamente uno dei
molti visionari che vengono qui a trovarci insistendo a dire di aver visto il volto
della Vergine Maria su una botte di vino o di aver udito Giovanna d'Arco dire:
«Salvate la mia amata Francia!».
Ma il vecchio appoggiato al bastone in piedi sulla soglia del mio salone era non
un noioso visionario, ma padre Kunibert! Un padre Kunibert molto invecchiato,
curvo, indebolito con le folte sopracciglia ormai bianche sulla fronte rugosa.
Quando gli sono andata incontro, gli ho baciato la guancia rinsecchita e l'ho
condotto verso il camino, ho visto che aveva le lacrime agli occhi, anche se poi,
quando ha incominciato a parlare, la sua voce si è rivelata piena di condanna e le
lacrime si sono ben presto asciugate.
«In nome del cielo, perché siete ancora in questo paese maledetto?» ha
domandato dopo essersi un po' riscaldato.
«Non vedete che il diavolo in persona e tutti i suoi demoni si sono scatenati in
questo posto?»
«Lo so, padre Kunibert» ho risposto sedendomi accanto a lui, che mi guardava
con espressione interrogativa. «Ma Luigi non vuole partire. Non ancora.»
«Allora dovrete partire senza di lui.»
Le sue parole mi hanno gelato il cuore. Anche se non l'avevo mai ammesso,
pensavo la stessa cosa.
«Fatelo adesso. Tornate a Vienna con me. Ho una carrozza spaziosa. Posso
nascondere voi e i bambini. Sono una persona senza importanza, solo un vecchio
straniero con il colletto da prete. La Guardia nazionale non si curerà di me al
confine. Mi lasceranno passare, specialmente se sbraito, mostro loro il pugno e
lancio maledizioni al loro indirizzo. Rideranno e mi faranno cenno di passare.»
Ho sospirato e mi sono accasciata. Mi sarebbe davvero piaciuto seguire il
consiglio di padre Kunibert, lasciare il chiasso e il tumulto delle Tuileries, le
discussioni con Luigi, i timori e gli incubi, e rifugiarmi in una carrozza diretta
verso la mia patria, dove la mia famiglia mi avrebbe accolta e protetta. Sono
esausta. Padre Kunibert mi stava offrendo riposo.
«Luigi ritiene che fra breve verranno a soccorrerci» ho detto con voce bassa e
tremante. «Vuole aspettare.»
«E chi verrà a soccorrervi? Non vostro fratello Giuseppe. Sono venuto a portarvi
la notizia che Giuseppe è morto. Non lo sa ancora nemmeno il conte Mercy.
Volevo che foste voi la prima a saperlo.»
Non sono riuscita a frenare le lacrime. Ho chinato la testa e ho singhiozzato come
una bambina, mentre la legna nel camino sibilava e schioccava e il ronzio delle
voci nelle stanze adiacenti, di solito fastidiosamente rumoroso, sembrava essersi
attutito.
Giuseppe è morto! Sapevo che era malato, Axel mi aveva avvertita della gravità
del suo declino, ma io avevo continuato a credere che sarebbe vissuto finché
avessi avuto bisogno di lui, come ne avevo in questo momento. Il mio scontroso,
brusco, mondano, ironico fratello è morto!
E chi è il nuovo imperatore? Mio fratello Leopoldo, naturalmente. Giuseppe non
aveva figli viventi (non figli legittimi, perlomeno). Il maschio più anziano della
nostra numerosa famiglia, Leopoldo, diventerà il suo successore.
È diventato il suo successore.
Leopoldo è sempre stato un uomo cauto, scialbo e al quale non sono mai stata
molto legata. Per quanto si sia sempre interessato poco di me, non può fare a
meno di interessarsi dell'onore della dinastia... e della necessità d'impedire
l'espandersi dell'anarchia dalla Francia verso altri paesi. Senza dubbio, ci darà il
suo aiuto.
Ho alzato la testa e mi sono asciugata le lacrime con il fazzoletto.
«Mi avete portato un messaggio di Leopoldo?»
«No. Voglio parlarvi di lui, per essere sicuro che comprendiate la vostra reale
situazione.» Padre Kunibert ha inarcato le candide sopracciglia cespugliose e mi
ha fissata con gli acquosi occhi azzurri. «Ve lo dico molto francamente, Antonia:
Leopoldo non vi aiuterà. Ha convinto Giuseppe, quando questi si trovava sul letto
di morte, a non inviarvi né truppe né denaro. Leopoldo è un indeciso. È nella sua
natura esserlo.»
«Ma di sicuro, quando saprà che siamo prigionieri qui, che abbiamo visto
saccheggiare il nostro splendido palazzo di Versailles e uccidere i domestici sotto
i nostri occhi...»
«È perfettamente al corrente di quanto è accaduto qui.» Ho lasciato che il
significato delle parole dell'anziano sacerdote mi diventasse del tutto chiaro. Ciò
che padre Kunibert stava dicendo era che la mia famiglia non sarebbe venuta in
mio aiuto. Non avrei potuto contare su di loro, mai. A meno che non avessi
abbandonato la Francia. O forse nemmeno in quel caso.
«C'è qualcun altro su cui posso contare» ho detto infine, a voce bassa. «Il conte
Fersen. Lui non mi abbandonerà mai.»
Padre Kunibert ha sbuffato in segno di disapprovazione.
«La vostra relazione è di pubblico dominio. Vi consiglio di pentirvi e di chiedere
perdono a Dio e a vostro marito. Ma, date le circostanze, sono contento che
abbiate un protettore su cui fare affidamento. Sono certo che, se fosse qui con noi,
il conte Fersen vorrebbe che veniste a Vienna con me.»
«Sì, lo vorrebbe.»
«Dove si trova adesso?»
«Si è recato in Spagna per cercare di convincere re Carlo a inviarci denaro e
soldati.»
«La Spagna! Giuseppe la definiva il regno più debole d'Europa. Avrete proprio un
bell'aiuto dalla Spagna!»
A quel punto mi sono sentita talmente stanca e abbattuta che avrei desiderato solo
dormire. Un sonno senza sogni e senza incubi.
«Ah, Antonia, avete un grosso fardello da portare! Siete sempre stata una giovane
coraggiosa, la migliore delle figlie di Maria Teresa. E quella con il cuore più
sincero.»
«Non ho mai saputo che aveste una buona opinione di me, padre.»
«Non potevo davvero dirvelo, vi pare? Ero il vostro confessore. Il mio ruolo era
di punirvi per i vostri peccati, non di lodarvi.»
«Tengo ancora il diario che mi avete chiesto di scrivere.»
Ha sorriso. «Volevo solo che ragionaste un po' su quello che facevate. Sapevo
che, se aveste dovuto mettere per iscritto i vostri peccati, ci avreste riflettuto
sopra, almeno durante il tempo necessario a pulire la penna.»
Si è chinato verso di me e mi ha dato un colpetto affettuoso sulla mano, poi ha
preso il bastone e io l'ho aiutatato ad alzarsi.
«Domani andrò dal conte Mercy. Il giorno dopo partirò per Vienna. Potete
inviarmi un messaggio tramite il barone Goulesco in Rue des Maturins. Pensate
attentamente a tutto quello che ho detto e anche ai vostri figli. Venite a Vienna
con me!»
Non ho ancora deciso cosa fare. Se solo Luigi accettasse di partire con noi!
7 aprile 1790
Mi dicono che l'Assemblea nazionale non ha fatto nulla per punire l'assassino
italiano che mi ha aggredita. La settimana scorsa gli è stato concesso di lasciare il
paese e di tornare in Italia, senza nemmeno un'ammonizione.
Sto facendo tutto quello che posso per il povero padre Kunibert, che è stato
arrestato poco dopo aver lasciato il palazzo delle Tuileries, la notte in cui è venuto
a trovarmi.
Quando le guardie che l'hanno fermato gli hanno chiesto di spiegare le ragioni per
cui aveva voluto parlare con me, lui si è indignato e ha inveito contro
l'Assemblea. È stato subito portato in carcere e, fino a questo momento, né i miei
tentativi di farlo rilasciare né quelli del conte Mercy hanno sortito alcun effetto.
4 giugno 1790
Siamo venuti a Saint-Cloud per trascorrervi l'estate. Che bello respirare l'aria della
campagna invece del fetore di Parigi! Saint-Cloud è un palazzo estivo, con pochi
camini nelle stanze e una vista sugli splendidi giardini da tutte le finestre.
Passeggio immersa nel verde delle piante e nella fragranza dei fiori e sento il
fresco delle minuscole goccioline del grande getto d'acqua, alto trenta metri, che
sgorga dalla vasca ai piedi della cascata. Dappertutto si ode il suono dell'acqua
che sciaborda, stilla e scorre sulle rocce, un suono che rinfresca e tranquillizza. E
non ci sono folle che gridano e cantano a tenerci sempre in tensione con un
incessante frastuono.
Saint-Cloud è la mia casa, il mio nido. Luigi me l'ha regalata sei anni fa. Avrei
voluto demolire il vecchio edificio e costruirne uno nuovo dalle fondamenta, ma il
costo era troppo elevato. E così l'ho fatto ampliare, aggiungendo nuove facciate, e
ho fatto ristrutturare i miei appartamenti, rivestendoli di pannelli bianchi con
delicati ornamenti dorati. È riuscito bene, mi pare, e se le nostre vite fossero un
po' più tranquille potremmo godercelo appieno. Infatti, nel parco adiacente al
castello c'è abbondanza di selvaggina, a Luigi piace andare a caccia e cavalcare in
questo luogo e io non sono mai sazia della deliziosa aria della campagna.
In realtà non siamo molto distanti da Parigi, possiamo vedere la città in
lontananza e udire il rintocco attutito della campana a martello, che annuncia
l'allerta. Un suono sinistro. Ogni volta che lo sento, avverto un brivido di paura.
Appena un anno fa, durante la prima settimana di giugno, il mio amato Luigi
Giuseppe moriva fra le mie braccia. Quante cose sono accadute da allora!
20 luglio 1790
Ho acconsentito con molta riluttanza a incontrare il conte Mirabeau, il membro
più potente dell'Assemblea.
Axel ritiene che lui sarà in grado di aiutarci nei nostri progetti di fuga e mi ha
detto esplicitamente: «Mirabeau può essere comprato».
Ha fama di essere assolutamente privo di scrupoli. Si dice che sia andato a letto
con la propria sorella e abbia sedotto centinaia di donne. Una di loro, un'onorata
signora sposata che lui aveva traviato e rovinato, è morta dopo essere stata
abbandonata. È circondato dallo scandalo ed è stato in prigione almeno tre volte.
L'ho ricevuto nell'orangerie, lontano dal castello e senza domestici presenti,
poiché è venuto in gran segreto e non vuole che gli altri membri dell'Assemblea
sappiano della sua visita. Avevo sentito dire che è molto brutto, ma solo
vedendolo da vicino ho potuto constatare che è addirittura deforme. Ha la testa
grottescamente grande e il corpo massiccio e grasso. Ha una faccia scimmiesca,
con piccoli occhi vivaci e inquieti sprofondati nella pelle olivastra butterata dal
vaiolo. Mentre si avvicinava, aveva sul viso una smorfia sgradevole, ma, con mia
grande sorpresa, teneva in mano un bouquet di fragranti narcisi, che sono fra
i miei fiori preferiti.
«Per voi, Madame» ha detto con voce roca e un forte accento meridionale,
particolarmente percepibile e sgradevole per me che sono abituata all'accento
parigino. Mi ha offerto i fiori e io li ho presi, odorandoli e inebriandomi
del loro intenso profumo.
«Sono di gran moda a Parigi in questo momento. Le donne li portano appuntati
sui berretti della libertà. Voi avrete certamente un berretto della libertà, vero?»
«Mi farebbe piacere che precisaste il motivo della vostra visita, conte Mirabeau.»
«Monsieur Mirabeau, se non vi dispiace. Abbiamo di recente abolito tutti i titoli
nobiliari.»
«Compreso il mio?»
«Il vostro per primo e più di ogni altro. Il vostro e quello di vostro marito.»
«Qualsiasi cosa l'Assemblea di cui siete membro possa fare, o cerchi di fare, io
sono quella che sono. Niente può cambiare il mio lignaggio, o il vostro.»
«Sono venuto qui non per discutere della nostra condizione sociale, ma per
offrirvi il mio aiuto.»
«A un prezzo, senza dubbio.»
«Naturalmente. Ora che noi aristocratici non abbiamo più né terre né patrimonio,
dobbiamo lavorare per vivere. Io sono un avvocato del popolo, questa è la mia
professione.» Si è seduto su una delle panchine di ferro battuto fra gli aranci, si è
appoggiato allo schienale e ha accavallato le gambe.
Si trattava di un gesto sfacciato e inaudito. Nessuno prima d'allora si era mai
seduto mentre io ero ancora in piedi senza chiedermene il permesso. E nel farlo
Mirabeau è sembrato perfettamente a suo agio.
«Come avvocato del popolo, vi offro una transazione» ha detto. «Vi aiuterò a
lasciare la Francia e, in cambio, pretendo un vitalizio di seimila franchi e
l'incarico di primo ministro in un nuovo governo costituzionale, del quale vostro
marito sarà il titolare.»
«Perché non ne parlate con lui?»
«Sappiamo entrambi il perché.»
Mirabeau non è uno stupido. La sua franchezza e la sua intelligenza sono
apprezzabili, anche se il suo comportamento è intollerabile.
«Che cosa vi fa pensare che il re» (ho deliberatamente chiamato Luigi «il re»
invece che «mio marito»)
«acconsentirebbe ad andarsene? Nessuno è ancora riuscito a convincerlo che ciò
sarebbe nel suo interesse, o nell'interesse del paese.»
«Sono ben consapevole del fatto che voi siete ansiosa di partire, mentre lui è
riluttante. Non cercate di negarlo, la vostra conversazione con il prete venuto da
Vienna è stata ascoltata e sottoposta alla mia attenzione.»
«Voglio che quel prete, il mio vecchio confessore, venga rilasciato.»
«Vedrò che cosa si può fare.»
Mirabeau era un avversario formidabile. Non ero affatto sicura di riuscire a
tenergli testa, colpo su colpo.
«Vi farò una domanda, Madame. Anzi, la domanda. Che cosa dovrà succedere
ancora perché Luigi Capeto legga il messaggio sulla parete? Ricordate quel passo
della Bibbia sul re Baldassar? Una mano misteriosa ha scritto alcune parole sulla
parete. Il messaggio dice: "Tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato
mancante". La monarchia, Madame, è stata pesata sulle bilance e il popolo l'ha
trovata mancante... di utilità. Io non condivido questo punto di vista. Ritengo che
un sovrano possa giocare un utile ruolo in Francia, purché sia disposto a mettersi
al servizio dell'Assemblea. Deve essere lui a fare quello che diciamo noi, non il
contrario.»
«Rendetevi conto che lui non potrebbe mai acconsentire a questo. Prima farebbe
di tutto, come lo farei io del resto, per vedervi annientati.»
«Avete parlato come un'ex aristocratica. Mi toglierei il cappello davanti a voi, se
ne portassi uno, o se osservassimo ancora quelle usanze superate. Ma devo
chiedervi di nuovo, e vi esorto ad ascoltarmi: che cosa dovrà succedere ancora
perché vostro marito diventi ragionevole e se ne vada? L'anarchia in tutto il
paese? La guerra civile? Un altro attentato, alla sua vita questa volta?»
Nell'udire queste parole, mi sono spaventata. Io ero riuscita a sfuggire
all'assassino italiano e all'avvelenatore. Luigi avrebbe potuto non essere
altrettanto fortunato.
«Potrebbe benissimo succedere, lo sapete. Va spesso fuori a caccia, vero? Con
pochi battitori e uno o due amici fidati, no? Potrebbe facilmente essere rapito,
portato in qualche posto isolato nella foresta e ucciso.»
Era vero. Luigi era molto vulnerabile e lo erano anche i miei figli.
«Non posso fermarmi più a lungo» ha detto Mirabeau. «Sono sorvegliato,
esattamente come voi. E la mia visita qui, se trapelasse, danneggerebbe la mia
posizione e mi renderebbe più difficile aiutarvi. Il suo commiato è stato altrettanto
privo di cerimonie quanto il suo arrivo. Si è alzato, si è girato ed è uscito con
passo pesante dall'orangerie.
«Non dimenticate» mi ha detto voltando la testa verso di me «che sono la vostra
maggiore speranza.»
«E voi non dimenticate» ho mormorato fra i denti «che avete a che fare con una
regina di Francia, la figlia di Maria Teresa.»
1° settembre 1790
Ho fatto tutto il possibile per preparare la nostra partenza. È stato confezionato
per tutti noi un nuovo guardaroba, che è stato spedito ad Arras insieme a un
grande armadio contenente tutto quello che potrebbe servirci: copricapi, pettini,
scorte della mia acqua di fiori d'arancio ed etere, giochi per i bambini e perfino un
altare da viaggio per la celebrazione della messa.
Con l'aiuto di Axel, ho ordinato una nuova, grande carrozza da viaggio con un
fornello per scaldare le vivande e un tavolo per poter mangiare durante il
percorso. È un magnifico e spazioso veicolo, dipinto in verde scuro e giallo e
internamente rivestito di velluto bianco.
Axel sostiene che sarebbe meglio che noi viaggiassimo su carri da contadini, così
nessuno ci degnerebbe di uno sguardo. Meglio ancora, dice, sarebbe viaggiare non
tutti insieme, ma singolarmente. I bambini potrebbero essere mandati sulla costa
della Normandia con uno dei fidati domestici di Eléanore Sullivan, un vecchio
funambolo italiano, che non verrebbe sospettato da nessuno di nascondere il
delfino e la principessa sua sorella. Re Gustavo potrebbe inviare una nave per
prelevarli. Io potrei fingere di essere una delle centinaia di cuoche che prestano
servizio presso il reggimento reale svedese. Quando il reggimento tornerà in
Svezia, potrei viaggiare al suo seguito. Oppure, potrei unirmi alle migliaia di
braccianti della terra che arrivano dal Sud per la vendemmia e, una volta
terminato il lavoro, partire con gli altri e attraversare il confine con l'Italia.
Per Luigi è più arduo trovare un travestimento, a causa non solo della sua
corporatura, ma anche della sua difficoltà a rinunciare a essere trattato da sovrano.
Ma Axel pensa di riuscire nell'impresa, facendo vestire mio marito da cacciatore
al servizio di un nobile ungherese, il conte Olezko, che potrebbe recarsi con lui a
caccia nella foresta di Compiègne e lasciarlo nel suo rifugio segreto.
Chambertin si troverebbe già sul posto ad aspettarlo ed entrambi, travestiti da
contadini, si dirigerebbero con un carro a nord verso il confine. Axel ritiene che,
seguendo i sentieri nella foresta e fermandosi solo in piccoli villaggi, potrebbero
raggiungere Fourmes, dove lui farebbe trovare loro delle truppe ad attenderli.
In qualunque modo e con qualunque piano, dobbiamo andarcene, e presto. La mia
carrozza sarà pronta fra breve.
Se, come pensa Mirabeau, succedesse un nuovo, terribile evento, Luigi potrebbe
improvvisamente cambiare idea e decidere di partire.
17 ottobre 1790
Ho pensato a un modo ingegnoso per salvare Mousseline. Potremmo combinare il
suo matrimonio con un principe straniero. È abbastanza grande per essere
fidanzata ed è pur sempre una principessa di Francia (qualunque cosa Mirabeau
possa dire in merito ai titoli nobiliari, ha nelle vene il sangue reale dei Borbone e
degli Asburgo). Scriverò a Carlotta, a Leopoldo e al cugino di Luigi, Carlo, per
vedere che cosa si può fare.
1° dicembre 1790
Sono giunta al limite della sopportazione con Luigi. A volte sono talmente
esasperata con lui che mi viene voglia di urlare. E lo faccio, in privato, quando
solo Sophie e Loulou possono sentirmi. I momenti peggiori per me sono quelli
come questo in cui Axel è lontano (è andato a Torino dove Charlot sta tentando di
raccogliere un esercito di émigrés per trarci in salvo) e c'è solo Chambertin ad
aiutarmi a tenere testa ai malumori di Luigi.
È intrattabile come un bambino ribelle. Impreca contro La Fayette quando questi
viene a fargli rapporto sui soldati.
Adesso mi sbatte perfino la porta in faccia. «Fuggire, fuggire, tutto questo
continuo parlare di fuggire! Io resto qui. Non me ne andrò mai. Mai!»
La sua irritazione non ha alcun senso, perché odia il palazzo delle Tuileries, come
dice spesso, e ha cominciato a odiare anche gli abitanti di Parigi, nonostante tutti i
suoi bei discorsi sul fatto di essere il padre amorevole del suo popolo. Porta al
collo una medaglia che gli hanno dato non molto tempo fa. C'è scritto:
«Restauratore della libertà della Francia e amico sincero del suo popolo». Luigi
Saverio lo prende in giro, il che accresce l'irritazione di Luigi.
9 gennaio 1791
Mi sono ammalata. La paura e la tensione che sperimentiamo ogni giorno e i miei
inutili sforzi per far cambiare idea a Luigi sulla partenza mi hanno esaurita; mi
sono venute la febbre e la tosse, che mi hanno costretta a letto per tutto questo
tempo.
All'inizio ero preoccupata che potesse essermi stato somministrato un veleno a
effetto ritardato, di quelli che indeboliscono la persona gradualmente, giorno dopo
giorno, finché infine sopraggiunge la morte. Il dottor Concarneau lo ritiene
improbabile. Pensa che si tratti di un malanno causato dal freddo (il palazzo è
gelato e le nostre scorte di carbone sono molto scarse quest'inverno) e dal mio
stato di debolezza generale. Sono troppo magra. Le mie guance, un tempo paffute,
si sono infossate e il mio petto, un tempo molto formoso, si è ridotto, al punto che
ho dovuto far stringere tutti gli abiti. Axel dice che gli piacciono i miei capelli
bianchi, ma so che non apprezza le occhiaie scure né le rughe profonde che mi si
stanno scavando in viso. Il mio aspetto rispecchia ciò che sono: una donna malata,
segnata dall'angoscia e dalle preoccupazioni.
«Mia cara, mia adorata» ha detto Axel prendendomi il viso fra le mani quando è
tornato alle Tuileries da Torino e mi ha trovata a letto inferma «la paura e l'ansia
per tutte queste sventure vi stanno consumando. Portate sulle spalle il peso di tutta
la Francia. Vorrei tanto darvi la pace. In qualche modo, devo farvi uscire dalla
Francia.»
Gli ho gettato le braccia al collo e ho nascosto il viso sul suo petto. Mi sono
sentita così felice, così sollevata nel rivederlo!
Era appena arrivato e indossava ancora gli abiti sporchi dal viaggio, con i calzoni
chiazzati di fango e bagnati di pioggia. Aveva con sé il suo grande cane lupo
Malachi (ormai se lo porta dietro ovunque), il quale si è avvicinato a propria volta
e mi ha premuto la punta umida del naso sul palmo della mano.
Axel è rimasto seduto con me per un po', conversando con il dottor Concarneau,
quando questi è venuto a visitarmi, e abbracciando i bambini quando Madame de
Tourzel li ha portati a darmi la buonanotte. Gli ho detto che i miei tentativi di
organizzare un fidanzamento per Mousseline non hanno avuto alcun esito.
«Non la lasciano partire» gli ho raccontato. «Il re di Spagna era disposto a
chiedere la sua mano per il figlio. Ma l'Assemblea ha proibito a chiunque di noi di
lasciare il suolo francese. Dicono che si tratta di un decreto fatto per la nostra
sicurezza, per impedire che possiamo essere rapiti o presi come ostaggi. Ma la
verità è che sono loro a volerci come ostaggi. A loro siamo più utili qui!»
«Mousseline vi assomiglia tanto» ha commentato Axel dopo che Madame de
Tourzel ha riportato i bambini nelle loro stanze. «E anche Luigi Carlo. Dobbiamo
far sì che le vostre guance tornino colorite come le sue.»
Mi ha riferito che i suoi incontri con Charlot a Torino sono stati deludenti. Charlot
stava radunando un po' di uomini ed era riuscito a mettere insieme una piccola
somma di denaro. Ma gli sarebbero occorsi molti mesi, forse addirittura anni, per
poter raccogliere un esercito abbastanza nutrito per invadere la Francia e
sconfiggere la Guardia nazionale.
«Dovrebbe intervenire anche vostro fratello Leopoldo e coinvolgere le truppe
austriache» ha aggiunto. «Altrimenti, le forze che si oppongono alla Rivoluzione
non hanno alcuna possibilità di avere successo.»
Ho sospirato. La gamba malata aveva cominciato a farmi male e mi sentivo molto
stanca. Mi sono appoggiata ai guanciali e Axel mi ha rimboccato le coperte fin
sotto il mento.
«Non temete, mio piccolo angelo» ha detto, baciandomi sulla fronte. «Ho un altro
piano. Datemi un mese di tempo e sarà pronto. Poi riporteremo il colorito su
queste guance.»
24 febbraio 1791
Mi sono recata nell'alloggio che Axel ha preso in affitto e là, in attesa nel cortile,
c'era la mia bella carrozza verde!
Naturalmente ero impaziente di salirvi e sono rimasta stupita delle sue dimensioni
e di quanto sia spaziosa all'interno. Si aziona una leva e, dal pavimento, sale una
tavola da pranzo. Ci sono credenze, una dispensa per il cibo e una stufa per
riscaldare e per cucinare.
Sono salita a cassetta accanto ad Axel e ci siamo diretti lungo la strada per
Vincennes.
«Dove avete imparato a guidare la carrozza?» gli ho chiesto mentre i cavalli
prendevano velocità e si udiva il ritmico battere degli zoccoli sulla strada di terra
battuta.
«Il cocchiere di mio padre, il vecchio Sibke, mi ha insegnato quando ero ancora
un ragazzo. Abbiamo cominciato con i carri tirati dai buoi, per passare poi ai tiri a
quattro cavalli e, infine, alle carrozze da viaggio. Ma questo mezzo così pesante è
il più grande che abbia mai tentato di guidare. Provo pena per i poveri cavalli che
devono trainare un simile peso. Rendetevi conto che dovranno essere sostituiti
ogni quindici miglia, una volta cominciato il viaggio. Potrebbe essere difficile
trovare così tanti robusti cavalli freschi e così frequentemente lungo il percorso.
Se sarà necessario, li acquisterò.»
«Siete già stato fin troppo generoso.»
Axel si è stretto nelle spalle. «Molti altri hanno dato il loro contributo. Il re di
Spagna, principi italiani, sostenitori a Vienna, San Pietroburgo e Stoccolma.
Perfino una certa ex acrobata di circo che mi ha incaricato di dirvi che spera che
sarete al sicuro e prega per una vostra rapida fuga.»
«Ringraziate la signora Sullivan per me.»
«Lo farò.»
«C'è una cosa che devo chiedervi, Axel» ho detto mentre iniziavamo il lungo
viaggio di ritorno a casa.
«Sì?»
«Non venite con noi.»
«Ma avete bisogno della mia protezione!»
«Il generale Bouillé ha promesso di venirci incontro con le sue truppe, quando
avremo lasciato la periferia di Parigi, e di scortarci attraverso il confine.»
«Ma potreste imbattervi in fuorilegge, disertori, bande di rivoluzionari.»
«Saremo armati. Inoltre, più la compagnia è piccola, minori sono le probabilità di
attirare l'attenzione.»
«Questa carrozza» ha risposto Axel battendo la mano sul sedile «attirerà senz'altro
l'attenzione. Potete starne sicura.»
«Voglio che lasciate la Francia per una via diversa da quella che prenderemo noi.
Se accadesse il peggio e la nostra fuga fallisse, dovrete rimanere libero, anziché
essere arrestato insieme a noi e, con tutta probabilità, giustiziato.
Sono egoista a questo proposito. Non potrei sopportare di perdervi. Ne morirei.
So che ne morirei.»
«Inoltre» ho continuato «dovrete viaggiare da solo e per una diversa strada in
modo che, se fossimo arrestati, possiate continuare a adoperarvi a nostro favore.
Abbiamo bisogno di voi.»
«Lasciate almeno che vi conduca fuori dalla città, per essere sicuro che possiate
abbandonare il palazzo senza inconvenienti.»
«Va bene. Ma poi proseguirete da solo.»
«Non ci vorrà molto tempo, sapete. Presto saremo entrambi fuori dalla Francia e
non dovremo più rispondere a questa mostruosa Assemblea che si è impossessata
di tutto.» Mi ha preso la mano e se l'è portata alle labbra.
«Presto, mio piccolo angelo, ci lasceremo entrambi alle spalle questo lungo
incubo.»
2 marzo 1791
Finalmente, dopo tante insistenze, ho convinto Luigi ad accettare il piano di fuga
di Axel. È avvilito e molto spaventato, ma ha visto le lettere sia di mio fratello
Leopoldo sia di suo cugino Carlo, i quali dicono molto francamente ad Axel che
non faranno niente per aiutarci finché non saremo fuori dai confini della Francia e
l'Assemblea non potrà più tenerci in ostaggio. Quindi Luigi si è reso conto che
adesso non abbiamo altra scelta che quella di partire.
È indignato che l'Assemblea abbia decretato che lui non può più fregiarsi del
titolo di sovrano ma debba essere chiamato «primo funzionario pubblico».
19 giugno 1791
Domani partiamo. Negli ultimi mesi, ho avuto paura di scrivere su questo diario,
pensando che, se fosse caduto in mani sbagliate e fosse stato letto, il nostro piano
sarebbe fallito. Adesso, però, siamo pronti a partire e, fino a questo momento,
siamo stati fortunati.
«Siete pronti per la recita?» ho domandato ai bambini stasera quando sono venuti
a darmi la buonanotte.
Luigi Carlo ha ridacchiato. «Diventerò una bambina, indosserò un vestitino e mi
metteranno dei nastri nei capelli.»
«E non dobbiamo ridere» gli ha ricordato Mousseline.
«Dobbiamo recitare tutto il tempo, proprio come sul palcoscenico, e interpretare
bene la nostra parte.»
«E io chi sono?» ho chiesto ai bambini.
«Siete la nostra governante. Ci date lezioni.»
«E come chiamate la vostra governante?»
Luigi Carlo è apparso confuso. «La chiamiamo "Madame"» ha risposto
Mousseline.
«Non la chiamiamo "mamma".»
«Come chiamiamo papà?»
«Monsieur Durand. Lui è Monsieur Durand, il valletto.»
«E chi è la vostra mamma, solo per domani?» ho domandato.
«Madame de Tourzel è la nostra mamma» ha risposto Luigi Carlo senza
esitazione. «Solo che si chiama non più Madame de Tourzel, ma baronessa di
Korff e viene dalla Russia.»
L'ho abbracciato e baciato. «Perfetto!» Poi ho abbracciato Mousseline, la mia
adorata bambina. Mi piange il cuore.
Se solo fossi riuscita a combinare per lei un matrimonio e a mandarla lontano in
una corte straniera!
Tutto è pronto per domani. Axel è stato qui poco fa per portarci i documenti di
viaggio ufficiali e controllare l'orario della nostra partenza. Se tutto va bene come
speriamo, fra due giorni saremo oltre il confine, in territorio amico, circondati da
truppe fedeli alla monarchia, fuori pericolo e con tutte le preoccupazioni e le
paure di questi ultimi due anni alle spalle per sempre.
XIV.
27 giugno 1791
Voglio scrivere qui, quando è ancora tutto fresco nella mia mente, i particolari del
nostro viaggio, un viaggio diverso da qualsiasi altro finora da me intrapreso, un
viaggio il cui esito non avrei mai potuto prevedere.
Siamo partiti in gran segreto la notte del 20 giugno, dopo essere riusciti, grazie
all'abilità di Axel, a eludere la sorveglianza delle guardie del palazzo. Una volta
che ci siamo trovati riuniti tutti sani e salvi nella carrozza, abbiamo cominciato il
viaggio, superando un villaggio dopo l'altro, alla velocità massima che i cavalli
riuscivano a tenere, e fermandoci solo per sostituirli con cavalli freschi.
Era molto buio e le strade erano in pessime condizioni.
Siamo spesso finiti dentro buche profonde e più di una volta ci siamo dovuti
fermare per consentire ai postiglioni di scendere a rimuovere dalla strada alberi e
rami caduti.
Non c'era la luna. I bambini dormivano, appoggiati a me, mentre io ero sveglia, in
preda alla paura. Continuavo a pensare alle squadre di perlustrazione, che si
diceva pattugliassero tutte le strade, e immaginavo di udire in lontananza
l'approssimarsi dei loro cavalli.
Madame de Tourzel era coraggiosa, svolgeva bene il suo ruolo di capocomitiva, e
aveva un aspetto molto distinto nell'elegante abbigliamento preso a prestito. (È di
nobili natali, ma non è mai stata ricca, e ha dovuto farsi prestare un abito da
viaggio di seta nera da Loulou, che ha più o meno la sua taglia). Luigi, con la
giacca scura e il semplice cappello nero di un valletto, senza fibbie lucide sulle
scarpe né gioielli sul cappello, né anelli alle dita beveva dalla sua fiaschetta di
cognac e poi riprendeva tranquillamente a sonnecchiare mentre le ore
trascorrevano lente. Io stavo seduta nervosamente sull'orlo del sedile di velluto
bianco, guardando fuori dal finestrino e pregando che nessun ostacolo si
frapponesse sul nostro cammino.
La notte è passata lentamente, il cielo ha cominciato a rischiararsi e ci siamo
fermati nella cittadina di Meaux per cambiare i cavalli. Mi sono coperta il viso
con la veletta del cappello marrone per essere sicura che nessuno mi riconoscesse.
Luigi ha tenuto il capo reclinato sul petto, dormendo o fingendo di farlo. Coloro
che si trovavano a passare nei dintorni della stazione di posta si sono fermati a
guardare stupiti la carrozza, perché è molto grande e dall'aspetto costoso, ma non
hanno lanciato occhiate ostili attraverso i finestrini, come facevano di solito gli
abitanti di Parigi, e non sono sembrati sospettosi nei nostri confronti. Alcuni, e mi
ha fatto piacere notarlo, portavano sul cappello le coccarde bianche del partito
favorevole alla monarchia. Abituata com'ero a vedere soltanto le coccarde rosse,
bianche e blu dei repubblicani, la vista di quegli emblemi mi ha rasserenata, tanto
che sarei stata quasi tentata di dire ai buoni cittadini di Meaux chi eravamo. Ma,
naturalmente, non ho fatto nulla per tradire la nostra vera identità e, ben presto, ci
siamo rimessi in viaggio.
Poiché i bambini avevano fame, ho dato loro vitello e pane prelevati dalla grande
dispensa, che avevo fatto riempire prima della partenza. Anche Luigi si è
svegliato e ha mangiato e Madame de Tourzel ha sbocconcellato un pezzetto di
formaggio. Io non sono riuscita a mangiare nulla perché ero troppo agitata.
«Ancora poche ore» ci ha detto Luigi. «Presto saremo a Châlons e da lì ci sono
solo poche miglia per Pont de Somme-Vesle, dove ci aspetta la cavalleria, che ci
scorterà per le ultime cinquanta miglia fino al confine. Nessuno potrà fermarci.»
Appoggiata al morbido cuscino imbottito del sedile, ho sospirato. Ancora poche
ore. Speravo di poter dormire un po', o almeno di riposare.
Ma mi ero appena appisolata quando ho sentito un tremendo sobbalzo e ho udito i
cavalli emettere striduli nitriti.
Con uno scossone la carrozza si è fermata. Ormai completamente sveglia, ho
guardato fuori dal finestrino. Ci trovavamo su uno stretto ponte sopra un
impetuoso torrente, fiancheggiato da distese di boschi. I cavalli erano caduti, la
carrozza si era inclinata su un lato e ho capito che si era rotto qualcosa. Luigi si è
messo a imprecare. Il vetturino e i tre postiglioni si sono dati da fare per liberare
i cavalli, ancora immobilizzati sotto i finimenti spezzati. Ne è nata una gran
confusione e ci è voluta almeno un'ora prima che fossimo in grado di proseguire
fino al villaggio successivo. Il ritardo ci è costato caro. Siamo arrivati a Châlons
molto tardi e, ancora più tardi, abbiamo raggiunto il paese successivo, Pont de
Somme-Vesle, dove ci aspettavamo d'incontrare il reparto della cavalleria.
Qualcosa era andato terribilmente storto. Se la cavalleria era stata lì, aveva poi
deciso di non aspettarci. E se non fosse mai stata lì? Se avesse avvistato una
squadra di perlustrazione, avesse invertito la marcia e se ne fosse andata al
galoppo? Non avevamo modo di saperlo. Eravamo in pericolo? Dovevamo
tornare indietro? O avremmo incontrato la nostra scorta militare più avanti?
Abbiamo deciso di proseguire, ma Luigi ha tirato fuori il moschetto, lo ha caricato
e se l'è messo in grembo, nascondendolo fra le pieghe della giacca.
La giornata era molto calda e la polvere della strada penetrava attraverso i
finestrini aperti facendoci tossire in continuazione. Abbiamo attraversato un
primo villaggio, e poi quello successivo, ben consapevoli che stavamo attirando
sempre più l'attenzione su di noi. Tenevo la veletta abbassata e Luigi teneva
calato sul viso il suo grande cappello rotondo, ma, al momento di entrare nel
villaggio di Sainte-Ménéhould, eravamo talmente preoccupati e tesi che la nostra
agitazione è stata notata dagli abitanti, che hanno cominciato a osservarci con
curiosità. Nel villaggio, non ho visto nemmeno una coccarda bianca, ma solo
coccarde repubblicane tricolori dappertutto.
C'erano soldati sparpagliati qua e là, alcuni ubriachi. Un ufficiale si è avvicinato
alla carrozza. «Niente è andato come era stato stabilito» ha sussurrato
concitatamente. «Non posso farmi vedere a parlare con voi o cominceranno a
sospettare.»
Si è allontanato rapidamente, ma non prima che avessimo, in effetti, suscitato i
sospetti di alcune persone. Ho notato che ci osservavano, mormorando, e che si
sono ulteriormente incuriosite quando alcuni dei soldati sono montati a cavallo e
hanno cominciato a seguire la carrozza che aveva ripreso il cammino attraverso il
villaggio.
Adesso avevamo una scorta, sebbene assai esigua e, miglio dopo miglio, ci
avvicinavamo lentamente al confine.
Ma ormai si stava facendo buio, il terreno diventava collinoso e la salita difficile.
Il vetturino era stanco, essendo alla guida dalla mezzanotte del giorno precedente,
e anche noi avevamo i nervi a pezzi. Luigi Carlo era irrequieto, Mousseline aveva
la nausea e si lamentava.
Ho tirato fuori frutta, carne di manzo, formaggio e una bottiglia di vino e abbiamo
consumato il pasto in un silenzio carico d'ansia, mentre la carrozza arrancava a
fatica nell'oscurità sempre più intensa.
Sapevamo di trovarci in una zona estremamente pericolosa, controllata da
mercenari tedeschi e svizzeri al soldo dell'Austria, che depredavano e
tiranneggiavano gli abitanti dei villaggi, pretendendo cibo, alcolici e denaro.
Prima che lasciassimo il palazzo, Axel ci aveva avvertiti che in questa regione
tutti i viaggiatori provenienti dalla capitale venivano regolarmente fermati e
interrogati, ed eravamo preparati a questa eventualità.
27 giugno 1791
Tuttavia, non eravamo preparati a trovare la strada sbarrata e a dover interrompere
il nostro viaggio.
Siamo arrivati nel villaggio di Varennes e abbiamo scoperto che alcuni funzionari
del luogo avevano chiuso la strada in modo che non potessimo proseguire. C'era
una grande confusione nel paese. Pur essendo molto tardi, la gente usciva dalle
case e dava l'allarme. Ho visto soldati della Guardia nazionale radunarsi armati di
moschetto e mettersi sull'attenti. Mi sono chiesta se la nostra piccola scorta a
cavallo sarebbe fuggita al galoppo nei boschi abbandonandoci.
«È tutto inutile» mi ha detto Luigi sottovoce. «Qualcuno ci ha traditi.»
Un ufficiale si è accostato alla carrozza, ha aperto la portiera e ha cominciato a
interrogarci, avvicinando una candela ai nostri volti ed esigendo che io sollevassi
la veletta e che Luigi si togliesse il cappello. Ha ignorato completamente Madame
de Tourzel, la quale, mi sono resa conto, aveva cominciato a piangere in silenzio.
«Chi siete e qual è la vostra destinazione?»
«Sono Monsieur Hippolyte Durand, valletto della baronessa di Korff» ha risposto
Luigi, cercando di mascherare l'inganno con un contegno disinvolto.
Il nostro interlocutore ha sbuffato. «Non è vero! Siete Luigi Capeto, primo
funzionario pubblico di Francia, ex sovrano. Vi riconosco. Il vostro viso grasso è
stampato sugli assignats senza valore emessi dalla vostra tesoreria.»
Poi ha rivolto lo sguardo su di me e io non sono riuscita a sostenerlo. Mi sentivo
male. Avevo il voltastomaco, provavo un terribile dolore al collo e sentivo un
urgente bisogno di orinare.
«E voi, signora, siete la moglie del primo funzionario pubblico, quella che ci ha
derubati per anni, togliendo il pane ai nostri figli e spendendo il nostro denaro in
diamanti per sé! Ditemi, dove sono adesso tutti quei diamanti? Sono in questa
carrozza?» Ha cominciato a frugare sotto i sedili, spingendoci sgarbatamente di
lato mentre cercava il tesoro. Ho afferrato Mousseline, che si è stretta a me con
gli occhi spalancati per la paura.
«Perquisiremo i vostri bauli» ha detto il funzionario. «E non potrete procedere
oltre. Adesso scendete dalla vettura.»
Con un sospiro, Luigi si è sollevato a fatica ed è sceso dalla carrozza, che ha
dondolato e traballato sotto la sua pesante mole. Il moschetto che reggeva in
grembo è caduto a terra e l'ufficiale lo ha raccolto.
«Era vostra intenzione sparare sui rappresentanti del popolo?» ha voluto sapere.
«Avrei protetto la mia famiglia, se ce ne fosse stato bisogno.»
«Ritengo che fosse vostra intenzione fomentare una controrivoluzione. Ritengo
che il primo funzionario pubblico sia diventato un nemico del popolo francese.»
Come risposta, Luigi ha tirato fuori da sotto il colletto della camicia di tela la
medaglia che portava al collo appesa a una catena e l'ha mostrata al funzionario
perché potesse leggere l'iscrizione: «Restauratore della libertà della Francia e
amico sincero del suo popolo».
«Mi è stata donata dal popolo di Parigi» ha detto Luigi con dignità.
«Siete un bell'amico davvero! Uno che tenta di abbandonare il paese, lasciando il
suo popolo alla mercé delle truppe crudeli che lo minacciano! Uno che abbandona
la Francia nel momento del bisogno.»
«Vi prego, signore» sono intervenuta a quel punto, piegata in due dal dolore e
dalla necessità di trovare un pitale.
«Sì, sì. Madame Sauce!» ha gridato a voce alta. «Portate dentro questa
seccatrice.»
Una donna tarchiata dai capelli grigi, in camicia da notte e con una cuffia in testa,
è emersa dalla folla sempre più numerosa degli abitanti del villaggio.
«Venite con me» mi ha intimato in tono brusco e mi ha aiutata a scendere dalla
carrozza. I bambini e Madame de Tourzel ci hanno seguite. La donna mi ha
condotta in un magazzino buio dove alcune casse di merce erano allineate
davanti a un largo bancone.
«Mamma» ha detto Luigi Carlo con voce incerta. Non era mai stato in un posto
simile prima d'allora.
«Va tutto bene, papà arriva subito. Qui saremo al sicuro.» Con mio grande
sollievo, siamo stati condotti su per una stretta scala fino a una piccola camera da
letto illuminata da una sola candela. I bambini si sono coricati sul letto e Madame
de Tourzel li ha fatti addormentare. Io sono passata nella stanza accanto e ho fatto
uso del pitale di porcellana sbeccato che la donna mi ha allungato con evidente
disgusto. Poi mi sono lavata il viso e le mani in una bacinella e ho chiesto a
Madame de Tourzel della polvere di corteccia di salice perché sentivo le tempie
pulsare.
Le campane della chiesa hanno cominciato a suonare e nelle case del villaggio si
sono un po' alla volta accesi i lumi.
Mi sono sdraiata accanto a Luigi sul letto stretto e duro, sperando che il dolore
alle tempie sarebbe diminuito se fossi riuscita a riposare.
A un certo punto, ho udito un rumore alla finestra e mi sono alzata per aprire le
imposte. Sul cornicione lì fuori c'era un giovane ufficiale di cavalleria, la bianca
uniforme infangata e imbrattata. Evidentemente si era arrampicato dal vicolo
sottostante, che era buio e deserto in quanto tutti gli abitanti del villaggio si erano
riuniti nella strada sulla quale si affacciavano le case e nessuno era venuto sul
retro.
«Madame, devo parlare al re.»
Ho scosso Luigi dal suo torpore e l'ho accompagnato alla finestra.
«Sire, venite, presto. Ho venti uomini che vi aspettano per condurvi dal generale
Bouillé. È a sole otto miglia da qui. Datemi vostro figlio e lo porterò in salvo.
Abbiamo dei cavalli pronti per voi. Ma dovete venire adesso, subito.»
Luigi ha guardato il giovane ufficiale con gli occhi socchiusi. «Siete il duca di
Choiseul?»
«Sì, sire.»
«Siete un bravo giovanotto, come lo è stato vostro padre prima di voi.»
«Grazie, sire. Adesso, per favore! Non indugiate!»
«Andate! Adesso!» Ho spinto Luigi verso il davanzale della finestra. «Aiuterò
Luigi Carlo a uscire dopo che sarete sceso.»
«Ma...»
«Dovete farlo. Potrebbe essere la vostra unica possibilità.»
«Ma... i soldati... la Guardia nazionale...»
«Possiamo batterli in velocità, sire. I nostri cavalli corrono di più.»
«Daranno sicuramente l'allarme, e poi ci spareranno addosso.»
«Dobbiamo correre il rischio. Ma li coglieremo di sorpresa. Saremo già spariti
prima che possano prenderci di mira.»
Spinto da me, Luigi aveva già messo un piede sul davanzale.
«E voi?» ha detto, voltandosi a guardarmi. Non c'era affetto nei suoi occhi, ma
solo sbigottimento.
Ho scosso il capo con impazienza. «Io non sono importante. Voi lo siete. Voi e
Luigi Carlo. Inoltre» ho aggiunto mestamente «sono io la persona che vogliono
davvero. Quella che odiano.»
Ho udito un fischio provenire dal vicolo. Ho pensato che fosse un segnale.
«Presto, sire, presto!»
Luigi ha fatto per uscire sul cornicione, poi si è fermato. «No» ha detto, con la
ferma intenzione di tornare dentro.
Sapevo che aveva paura del vuoto, ma non era quello il momento di cedere ai
propri timori!
«Andate!» ho detto, con il tono di voce più alto che mi fosse consentito, non
volendo mettere in allerta chiunque si trovasse nel magazzino sottostante. «Non
fermatevi adesso! Potete farcela!»
«Non abbandonerò la mia famiglia.»
Conoscevo quel tono. Conteneva una terribile determinazione. Luigi era rientrato
nella stanza e si toglieva la polvere dalla giacca marrone.
«Andate dal generale Bouillé» ha detto al giovane ufficiale. «Ditegli da parte mia
di portare qui tutte le sue truppe il più velocemente possibile.»
«Ma, sire, e se...»
«Andate!»
Non era possibile disubbidire a quel tono regale. Avvilito, il giovane duca ha fatto
un cenno di assenso e ha cominciato a ridiscendere nel vicolo, dal quale è giunto
un altro fischio acuto.
«Mettetevi in salvo!» gli ho detto. «E grazie.»
Due ore, ho pensato fra me. Con cavalli freschi e veloci e una buona strada
avrebbe potuto essere di ritorno con il generale Bouillé e i suoi uomini entro due
ore. Ma, a quel punto, sarebbe stata l'alba. Che cosa avrebbero fatto di noi al
sorgere del giorno?
All'improvviso, con un moto inaspettato, Luigi mi si è avvicinato e mi ha
abbracciata, stringendomi al petto come faceva raramente. Mi sono rannicchiata
fra le sue braccia e ho pianto.
Abbiamo aspettato insieme, contando i minuti, pregando che arrivassero il
generale Bouillé e i suoi uomini, mentre altri soldati della Guardia nazionale si
riversavano nella cittadina, la folla irrequieta intonava Ça ira! E batteva bastoni,
in modo snervante, contro i muri del magazzino.
È arrivata l'alba, accompagnata dall'inconfondibile rumore di zoccoli di cavalli.
Ma non si trattava di molti cavalieri, del generale Bouillé e delle sue centinaia di
soldati.
Erano soltanto due uomini. Si sono avvicinati al galoppo al gruppo di funzionari
riuniti nella strada fuori dal nostro edificio e io ho udito uno di loro annunciare
con voce autorevole di essere il capitano Romeuf, aiutante di campo del generale
La Fayette, e di portare documenti importanti da parte dell'Assemblea nazionale.
Anche l'altro cavaliere era un ufficiale, ma non sono riuscita a sentire nulla di ciò
che ha detto.
I nuovi venuti hanno conferito con i funzionari locali, mentre io continuavo a
pensare che le due ore dovevano ormai essere passate. Dov'era il generale
Bouillé? Sarebbe dovuto arrivare presto. Sono rimasta incollata alla finestra a
guardare giù, con i pugni serrati.
Il funzionario che ci aveva interrogati si stava rivolgendo alla folla.
«Come sapete, il primo funzionario pubblico è qui fra noi.» A queste parole, si
sono sollevati alti fischi di scherno.
«È stato fermato qui, dai leali cittadini di Varennes, prima che potesse
raggiungere la frontiera. Con il suo tentativo di fuga, ha dimostrato di essere uno
spregevole traditore del popolo francese. Gli ho sequestrato questo moschetto.» Il
funzionario ha sollevato il vecchio fucile e, a quella vista, la folla ha fischiato di
nuovo, questa volta ancora più fragorosamente. Ho sentito gridare: «Sparategli
con quello!» e «Morte al primo funzionario pubblico!».
«Questo nemico del popolo, che ha cospirato a danno del popolo francese e della
sua Guardia nazionale, è stato dichiarato in arresto per ordine dell'Assemblea
nazionale. Eseguiremo quest'ordine e il primo funzionario pubblico verrà
ricondotto nella capitale.»
Ci sono state prorompenti grida di gioia e applausi. Il capitano Romeuf e il suo
collega hanno conferito brevemente, poi li abbiamo sentiti salire fino alla stanza
dove ci trovavamo, con gli stivali che producevano un rumore sordo sulle scale e
le spade che urtavano contro le pareti dell'angusta rampa.
Ho pregato in silenzio che il generale Bouillé arrivasse in quel momento!
La porta della stanza si è spalancata e i due uomini sono entrati, seguiti
dall'ufficiale che ci aveva interrogati qualche ora prima.
«Primo funzionario pubblico!» ha detto con voce stentorea il più alto dei due
ufficiali. «Sono qui per arrestare voi e vostra moglie per ordine dell'Assemblea
nazionale. Dovete raccogliere le vostre cose e venire con noi immediatamente.»
«Vi accompagnerò nella mia qualità di restauratore della libertà della Francia e
amico sincero del mio popolo.»
Luigi si è mosso per seguire gli uomini giù per la stretta scala mentre io, incapace
di pensare cos'altro potessi fare, mi sono lasciata sfuggire un piccolo grido e mi
sono afflosciata sul pavimento, fingendo di svenire.
Si è creato un po' di scompiglio. Mi hanno fatta sdraiare su un letto, Luigi mi ha
dato qualche buffetto sulle guance per farmi rinvenire e mi sono state portate
bevande tonificanti, mentre uno sgradevole medico, visitandomi, ha increspato le
labbra in segno di disgusto e ha dichiarato che stavo benissimo.
«È svenuta solo per la paura» ha detto ai due inviati di Parigi. «Questi aristocratici
non hanno forza d'animo. Il minimo fastidio li sconvolge.»
Avrei voluto dargli uno schiaffo, ma mi sono trattenuta. Poi mi sono tirata su a
sedere. Ero riuscita a ritardare la nostra partenza più o meno di mezz'ora. Il
generale Bouille non era arrivato. Le possibilità erano che non venisse affatto
oppure che ci inseguisse e ci raggiungesse durante il tragitto verso Parigi. Ho
cercato di aggrapparmi a questa speranza.
Dirò poco del nostro lungo, deprimente, stancante viaggio di ritorno nella
capitale. Anche quando è cominciato a piovere, lungo tutto il percorso gli abitanti
dei villaggi che attraversavamo, furiosi e insolenti, hanno continuato a circondare
la carrozza, che avanzava a fatica, e si sono fatti sempre più numerosi e più
sfacciati negli insulti. Non ci è stato concesso di chiudere i finestrini, per cui tutto
ciò che facevamo o dicevamo era visto e commentato dai soldati della Guardia
nazionale che ci avevano presi in consegna e dalla folla ostile che ci circondava.
«Impiccateli tutti, dannati maiali!»
«Affogateli nel canale!»
«Viva l'assemblea del popolo!»
«Marcite all'inferno, miserabile, grasso porco, insieme a quella scrofa di vostra
moglie e ai vostri brutti maialini!»
Mi sono premuta le mani sulle orecchie, ma non è servito. L'odiosa cantilena di
quelle voci mi rimbombava nella testa come un frastuono assordante, talmente
forte e intenso da sembrare un tuono. Ero stanchissima. Avrei desiderato dormire,
ma quelle voci, quelle orribili voci dileggianti mi tenevano sveglia.
«Puttana austriaca! Scrofa! Brutta megera!» Non dimenticherò mai lo spettacolo
di quei luridi visi beffardi che ci scrutavano dai finestrini, sghignazzando e
agitando le falci e i forconi con gesti minacciosi. Sono sicura che, se non ci fosse
stata la presenza della Guardia nazionale, saremmo stati trascinati fuori dalla
carrozza e assassinati.
Non mi dilungherò qui sulle terribili umiliazioni di quell'interminabile, afoso,
polveroso viaggio; dirò solo che sono stata male e che ogni mia azione è stata
osservata e commentata con ilarità. Alla fine, ho fatto di tutto per conservare una
parvenza di dignità, rimanendo compostamente seduta con la schiena appoggiata
ai cuscini della carrozza nel mio abito impolverato, disperatamente bisognosa di
un bagno e di una lunga notte di sonno. Ciò che era iniziato in un clima di
speranza finiva ora in un incubo di vergogna e di fallimento. L'unico, tenue
sollievo era il pensiero che Axel si trovava in salvo oltre il confine, a Bruxelles, in
attesa di mie notizie.
XV.
28 luglio 1791
Come avviene di solito a Parigi in luglio, piove. Mi sono trasferita in un'altra ala
delle Tuileries, perché i parigini hanno saccheggiato i vecchi appartamenti: una
scena orribile che mi asterrò dal descrivere. Adesso sono seduta a una vecchia
scrivania in una piccola stanza al terzo piano, una stanza che non si affaccia sui
giardini, dove la folla continua ad accalcarsi.
Mentre scrivo, la pioggia ha ripreso a cadere sempre più intensamente, picchiando
sui vetri e scendendo a cascata dal tetto. Vorrei tanto una tazza di té caldo dato
che la stanza è fredda e il mio scialle di seta è leggero, ma la maggior parte della
servitù è stata arrestata e portata via e quindi non c'è nessuno che io possa
chiamare.
Cerco di non pensare troppo al futuro. Il nostro unico amico e alleato
nell'Assemblea, Mirabeau, è morto e il nuovo nome sulle labbra di tutti è
Robespierre, uno strano, piccolo uomo di Arras.
Spero che nei giorni di sole i miei nuovi guardiani mi lascino passeggiare nei
giardini. La mia gamba è sempre debole, ma posso camminare anche abbastanza a
lungo con l'aiuto di un bastone. Luigi Carlo ha bisogno di sole, di recente si è
fatto un po' troppo pallido. Un bambino della sua età dovrebbe stare all'aperto,
cavalcare il pony e correre con gli amici. Come facevano i miei fratelli a
Schònbrunn tanti anni fa. Ricordo con estremo piacere le calde, luminose estati a
Schônbrunn, così diverse da questo pomeriggio, con i freddi scrosci di pioggia
che picchiano paurosamente contro le vecchie finestre offuscando ogni cosa e
lasciandomi persa in una fitta nebbia di pensieri.
3 settembre 1791
Orrore degli orrori: Amélie è stata assegnata a me, come mia carceriera.
«Mangiate il vostro pane!» urla quando lascio intatta sul piatto la mia piccola
mezza pagnotta. «Vi fa bene!»
«Il fornaio è un avvelenatore» le dico. «Non intendo mangiare nulla di quel che
cucina.» Corre voce nel palazzo che il fornaio sia un fervente rivoluzionario che
mi vuole morta.
«E allora crepate di fame, per quel che m'importa» dice, pavoneggiandosi in giro
per la stanza e toccando il piccolo frammento di pietra grigia che porta al collo
appeso a una catenella, un ricordo della Bastiglia. «E d'ora in poi rimarrete
confinata in quest'ala del palazzo.»
«Ma mio marito e i miei bambini...»
«Dovrete chiedere il permesso ogni volta che vorrete vederli.»
«Desidero vederli tutti i giorni.»
«Questo non vi sarà concesso.»
Tutti i miei vecchi servitori, eccetto Sophie e Loulou (ora retrocesse a cameriere),
sono stati imprigionati o mandati via. Amélie non vuole dirmi quale destino li
attende.
«Le cameriere del popolo vi forniranno il servizio che sarà necessario» dice
Amélie. Sono loro che mi portano il pasto, costituito da una piccola ciotola di
carne bollita, mezza pagnotta di pane rustico e una piccola caraffa di vino, e mi
cambiano la biancheria del letto. A volte, indossano i miei vestiti e si appuntano i
miei raffinati ornamenti sui capelli unti. Poi si pavoneggiano da un'estremità
all'altra della stanza, imitandomi e facendo commenti osceni.
«Sappiamo che avete migliaia di diamanti» dicono, avvicinandosi a me e
sibilandomi nelle orecchie come serpenti.
«Dove sono? Dove li avete nascosti? Quei gioielli non appartengono a voi,
cittadina Capeto. Appartengono al popolo francese.»
Faccio del mio meglio per ignorare il coro di queste voci ignobili e le parole
volgari che dicono, confidando nel fatto che i miei gioielli sono in buone mani.
Ho affidato ad André, il mio vecchio parrucchiere, il cofanetto delle mie gioie da
portare al sicuro quando se n'è andato. Lui lo ha consegnato a Luigi Saverio che
ora l'ha con sé a Coblenza.
Mio cognato e sua moglie hanno raggiunto la frontiera nella notte in cui noi siamo
stati arrestati a Varennes e rispediti a Parigi. Sono passati con una scorta e ora si
trovano con Charlot e cercano di reclutare un esercito.
Per quanto irritanti e ostili siano le cameriere del popolo, Amélie è di gran lunga
la peggiore, soprattutto quando mi ferisce deliberatamente parlandomi di Eric.
«Il suo corpo non è mai stato identificato, sapete» mi ha detto. «Il corpo di mio
marito, intendo. C'erano così tanti cadaveri nel palazzo il giorno in cui è stato
ucciso e perlopiù erano privi della testa o degli abiti. Come si poteva distinguere
un uomo da un altro?»
A questo punto le cameriere del popolo sono scoppiate a ridere. «Avreste
riconosciuto il corpo nudo senza testa di Eric, cittadina?» mi chiedeva Amélie.
«No, naturalmente!»
«Chissà! Eric non mi era fedele, sapete. Aveva diverse altre amanti, oltre a voi.»
«Eric e io non siamo mai stati amanti.»
Le cameriere del popolo si sono messe a ridere sguaiatamente e a cantare l'ultima
canzone oscena su di me.
Così tanti amanti
Così tanti uomini
Vuol portarseli a letto
Ancora e ancora.
Lei è vorace
Una facile donnetta
Tutti gli uomini l'amano,
Maria Antonietta!
Io faccio del mio meglio per mantenermi al di sopra di tutto: le restrizioni e le
punizioni, le crudeli provocazioni e i dolorosi discorsi sull'uomo che mi era caro.
Provo solo disprezzo per Amélie, soprattutto perché so che non è addolorata per
Eric, che era un uomo buono ed è morto eroicamente per difendermi. Ma lei,
d'altra parte, non è mai stata degna di lui.
4 ottobre 1791
Trascorro così tante ore scrivendo lettere che mi rimane ben poco tempo o energia
per questo diario. Scrivo a mio fratello, l'imperatore Leopoldo; al cugino di Luigi,
re Carlo; a Luigi Saverio; a Charlot e al conte Mercy. Li sollecito a inviare un
esercito il più rapidamente possibile. Dico loro francamente che ormai possiamo
essere salvati solo con un atto di forza. Non abbiamo alleati politici. Luigi ha
praticamente perso tutta la sua autorità e io credo che la nostra completa
eliminazione sia solo questione di tempo. Non ci uccideranno, di questo sono
certa. L'ucciderci scatenerebbe una terribile vendetta. Molto più probabilmente
ci confineranno in una prigione assai più angusta di questa. Il palazzo delle
Tuileries è la nostra prigione per ora. In futuro potremmo essere rinchiusi in un
vecchio château in qualche luogo di provincia ed essere praticamente dimenticati.
Luigi si sente abbandonato e dimenticato già adesso. È totalmente passivo e lascia
a me tutto il lavoro di corrispondenza con gli amici e con gli alleati.
12 ottobre 1791
Mi è ancora permesso ricevere le visite della mia sarta, Madame Rondelet (la
sarta precedente, Rose Bertin, se n'è andata da molto tempo), che questa mattina
si è presentata con il cestino da lavoro colmo di regali per le cameriere del popolo
e per Amélie.
Appena arrivata, ha distribuito i doni: caldi scialli di lana rossi bianchi e blu,
grembiuli rossi e sottogonne a righe blu e bianche. I regali sono stati motivo di
distrazione.
Madame Rondelet mi ha dato una sottogonna che aveva confezionato per me e le
mie guardiane non si sono preoccupate di esaminarla, intente com'erano ad
ammirare se stesse nei nuovi abiti. La sottogonna ha tasche segrete cucite sotto le
balze: vi sono celate delle lettere.
Quando il dottor Concarneau viene a visitarmi, porta pane e dolci (fatti da un
pasticciere filomonarchico) e spesso ci sono messaggi nascosti nel doppiofondo
del vassoio per il pane.
Recentemente il dottore mi ha portato un cestino di focaccine dolci. «Da un
sostenitore in Bretagna» ha detto. Io ne ho addentata una e mi sono quasi rotta un
dente. Vi era stato cotto dentro qualcosa di duro. Sputando l'oggetto ho scoperto
che si trattava di un anello di diamanti, che mi sono affrettata a rimettere in bocca;
poi ho detto che mi facevano male le gengive e ho chiesto a Concarneau di
visitarmi (non mi è permesso avere un dentista).
Con grande presenza di spirito, vedendomi l'anello in bocca, il dottore l'ha preso e
tenuto nascosto nella mano; quindi si è messo a massaggiarmi le gengive con un
unguento medicinale finché non è riuscito a nascondere l'anello nel vassoio per il
pane.
«Mandatelo a Luigi Saverio» gli ho sussurrato «per aiutarlo a raccogliere fondi
per l'esercito.»
18 novembre 1791
La mia gamba si è ulcerata. Il dottor Concarneau viene due volte al giorno per
un'applicazione di unguento e per cambiarmi la fasciatura. Mi porta lettere
nascoste nella borsa dei medicinali e preleva la mia corrispondenza. So che corre
grossi rischi e gli sono molto grata per quello che fa. Gli ho confidato che non ho
più il mio ciclo mensile e lui dice che è la conseguenza di tutte le preoccupazioni
che sto vivendo e anche della mancanza di sonno. Rimango sveglia, spesso anche
oltre la mezzanotte, a scrivere lettere.
Sophie mi aiuta. Quando guardo fuori dalla finestra a quell'ora, di tanto in tanto
vedo le misteriose luci nel cielo, l'«aurora». Sono bianche, verdi, talvolta violette.
«Sta arrivando la fine del mondo» dice Sophie: «Queste luci sono un presagio.»
Mi domando se, forse, non abbia ragione.
31 dicembre 1791
Stanotte finisce l'anno vecchio. Un anno così atroce per noi tutti! Se solo fossimo
riusciti a raggiungere sani e salvi la frontiera, adesso saremmo a Coblenza e
vivremmo nella speranza. Rivedrei nuovamente il mio Axel, il più amato e il più
amorevole degli uomini, nonché il più altruista.
E sarei di nuovo sicura fra le sue braccia, circondata dalla protezione del suo
amore.
Sono così felice che sia sano e salvo! Percepisco il suo amore perfino da lontano.
Per quanto sia sconvolta, il pensiero di lui mi reca gioia e mi riscalda il cuore in
questa gelida notte. Prego che, nel nuovo anno, possiamo tutti venire salvati.
2 febbraio 1792
Prego tutti i giorni per la salvezza e ieri è giunta una nuova speranza. Un giovane
operaio dai capelli scuri, che aveva una coccarda tricolore sulla camicia e portava
una borsa di attrezzi, è entrato nella piccola stanza che uso come camera da letto,
dopo aver mostrato ad Amélie e alle cameriere del popolo il suo lasciapassare
speciale. Senza guardare nella mia direzione, è andato alla finestra e ha
cominciato a raschiare un angolo del telaio, mormorando che era stato mandato a
riparare una fessura. Sembrava sapere il fatto suo e le donne non hanno avuto
nulla da ridire.
Qualcosa in lui mi ha incuriosita. L'ho osservato lavorare e, dopo un certo tempo,
quando le persone che erano nella stanza si sono allontanate, lui ha lasciato cadere
un foglietto di carta ai miei piedi.
«Monsieur, avete perso questo» ho detto raccogliendo il foglietto e
porgendoglielo.
«St!» ha sussurrato. «Leggetelo!» Mi sono subito ritirata in disparte e ho messo il
foglietto in un libro che ho fatto finta di leggere. Appena sono stata certa che
nessuno aveva notato la nostra fugace conversazione, ho aperto furtivamente il
pezzo di carta e ne ho letto il contenuto:
Sono il giovane che voi avete salvato una volta dalle botte del
principe Luigi Saverio. Mi avete mandato a Vienna, dove vostro
fratello Giuseppe mi ha arruolato nell'accademia militare. Adesso
sono il tenente de la Tour dell'esercito austriaco, comandante in capo
dei Cavalieri del Pugnale. Siamo quattrocento uomini di nobili
natali, qui a Parigi, votati a proteggere e difendere il sovrano e la
sua famiglia. Non falliremo. Guardate sotto il candelabro. Bruciate
questo foglio.
Ho riletto il messaggio, quindi l'ho accartocciato nella mano. Il tenente de la Tour
ha preso un semplice candelabro di peltro dalla borsa degli attrezzi, vi ha infilato
una candela e l'ha accesa, poi l'ha posato sul tavolo davanti a me. Il pomeriggio si
stava facendo scuro e lui aveva bisogno della luce per lavorare. Però, una volta
terminata la riparazione, ha lasciato il candelabro sul tavolo e io ho bruciato il suo
messaggio con l'ultima fiammella. Dopo che la candela si è spenta, ho capovolto
il candelabro. Un minuscolo pugnale dorato era stampigliato nel metallo e,
quando l'ho toccato, l'intera base del candelabro si è aperta rivelando una cavità.
Dentro c'era un altro foglietto e, nell'aprirlo, sono rimasta stupita di vedere molte
firme, ciascuna seguita dal motto: «Fino alla morte».
Queste erano sicuramente le firme dei Cavalieri del Pugnale, gli uomini che
avevano assunto l'impegno di proteggerci. Le lacrime mi hanno rigato le guance.
Così tanti nomi! Un simile onore! Un simile coraggio!
Ho arrotolato il foglietto rapidamente, l'ho rimesso dentro al candelabro
e ho richiuso la base.
Quella sera ho fatto del mio meglio per mascherare di fronte ad Amélie e alle altre
donne la gioia che sentivo per l'ondata di nuova speranza che si era riversata su di
me quando, per una preziosa mezz'ora, mi è stato permesso di ricongiungermi alla
mia famiglia. Avrei voluto raccontare a Luigi che cosa era accaduto, ma molti
soldati della Guardia nazionale stavano a poltrire davanti alla porta e,
naturalmente, non ho osato sussurrare una sola parola sulla visita del tenente de la
Tour. Ho giocato a whist con Mousseline mentre Luigi ha letto ad alta voce a
Luigi Carlo un libro di fiabe. Abbiamo riso e ci siamo abbracciati.
Quando Amélie è venuta a prendermi per riportarmi nel mio appartamento, ho
baciato Luigi e gli ho sussurrato: «Ho buone notizie». Sono impaziente di
condividerle con lui.
14 febbraio 1792
Axel è di nuovo con noi. Nonostante gli abbia più volte scritto esortandolo e
supplicandolo di non mettere a rischio la sua sicurezza e la sua libertà ritornando
in Francia, lui è qui. Nei preziosi momenti che siamo riusciti a trascorrere da soli
mi ha baciata con foga e mi ha detto che non può stare lontano da me, che è
sempre in ansia per me e che dedica tutto il suo tempo e ogni suo pensiero al
compito di liberare me e la mia famiglia dalla trappola che si sta chiudendo
intorno a noi.
Pur essendo ancora bello, bello come una statua, ha ora assunto l'aspetto di un
uomo braccato. Il suo viso è più scarno e i suoi cari, ardenti, amorevoli occhi
azzurri sono inquieti. I suoi capelli, tirati all'indietro secondo la moda
repubblicana e legati con un nastro nero, sono striati di grigio.
Viene qui come rappresentante della regina del Portogallo (un travestimento,
ovviamente) e indossa un immenso mantello nero con un curioso cappello,
anch'esso nero, simile a quelli portati dai nobili portoghesi. Ha domestici
portoghesi con i capelli scuri e si porta dietro dappertutto il grosso cane lupo
grigio, Malachi. Axel dice che Malachi è la migliore guardia del corpo che possa
avere: di solito molto mite e affettuoso, è tuttavia capace di azzannare alla gola,
nel giro di pochi secondi, chiunque provi ad aggredire il padrone. Non ho potuto
fare a meno di notare che Malachi ha ringhiato tutte le volte che Amélie è entrata
nella stanza durante la visita di Axel.
Ieri Axel è stato con noi la maggior parte della giornata, raccontandoci a bassa
voce quello che più desideravamo sentire: si stanno facendo sforzi concreti per
liberarci da questi mostruosi uomini dell'Assemblea legislativa che, dall'autunno
scorso, costituisce il vero organo governativo della Francia.
Non oso mettere per iscritto tutto quello che ci è stato detto, ma, da quanto risulta,
il re Gustavo è stato fra i nostri alleati più fedeli. Ha fatto molto più di Luigi
Saverio e Charlot, che stanno faticosamente mettendo insieme un piccolo
contingente di soldati a Coblenza. L'autunno scorso, Gustavo ha fatto un audace
tentativo di inviare quasi l'intera flotta svedese in Normandia (io non ne sapevo
nulla), nell'intento di farvi sbarcare duemila soldati e quindi farli marciare verso
Parigi, raccogliendo altri uomini lungo il percorso nelle province della Francia
occidentale fedeli alla monarchia. Se fosse riuscito a realizzare questo grandioso
piano, non ho dubbi che gli svedesi e i francesi a noi fedeli avrebbero conquistato
Parigi. La Rivoluzione sarebbe fallita e tutti i malvagi deputati sarebbero stati
imprigionati e processati da traditori quali sono.
Quello sarebbe stato un gran giorno! Gustavo si sta preparando per attuare un
secondo piano d'invasione ma, nel frattempo, può farci uscire dalle Tuileries se
accettiamo di andarcene uno alla volta. Luigi continua a opporre resistenza a
qualunque piano di fuga.
Ha dato la sua parola al generale La Fayette che non tenterà di lasciare le
Tuileries, e intende mantenerla. Axel mi ha detto che, secondo lui, Luigi si sta
dimostrando sciocco e testardo (quando mai Luigi non è stato sciocco e
testardo?), ma rispetta la sua rettitudine.
17 febbraio 1792
Una falsa primavera ha fatto fiorire in anticipo gli alberi davanti alla mia finestra
e anch'io sto rifiorendo un po' dopo un lungo inverno passato perlopiù a scrivere
lettere.
Con la complicità di quel sant'uomo del dottor Concarneau, che è riuscito a
convincere il nuovo capo dell'Assemblea legislativa che io sono molto malata e
quindi ho bisogno di caldo e di riposo, ho potuto trascorrere alcuni giorni a Saint-
Cloud con Axel.
19 febbraio 1792
Stretta nel forte abbraccio di Axel, protetta dall'aggressività del mondo esterno,
qui a Saint-Cloud non mi accorgo quasi del trascorrere del tempo. Quando lui mi
bacia, sento la stessa emozione della prima volta. Sono persa in lui, con la testa
fra le nuvole, in un sogno di felicità.
«Mio adorato piccolo angelo» sussurra accarezzandomi le gote e baciandomi le
labbra e la fronte. «Ne abbiamo passate tante insieme.»
«Voi avete messo a rischio tutto per me: la vostra carriera, la vostra vita familiare,
la vostra stessa vita.»
«Se solo avessi potuto fare di più» ha detto lui teneramente, asciugandomi le
lacrime che le sue parole facevano sgorgare. «Non lo sapete ancora che voi
significate per me più della mia stessa vita?» C'è mai stata una donna amata più di
me?
Facciamo l'amore, dormiamo, mangiamo, parliamo, passeggiamo mano nella
mano per i giardini, in questo clima insolitamente mite. È come se, pur circondati
da un mare di ostilità e di pericolo, noi due vivessimo in un'isola di serenità e
d'amore.
Questa mattina sono passata davanti a una grande specchiera e ho osato dare
un'occhiata alla mia immagine riflessa, cosa che faccio raramente, perché la
visione della mia faccia vecchia, pallida ed emaciata mi deprime. Con grande
sorpresa, invece, ho visto una donna radiosa, felice, con un vago colorito rosato
sulle gote incavate. I miei occhi erano luminosi e c'era persino un barlume di
quell'arguzia che ero solita vedervi. Oh, Axel, che miracoli compite in me!
27 febbraio 1792
Axel è partito per Bruxelles oggi pomeriggio. Siamo pieni di speranza che, entro
pochi mesi, il re Gustavo o l'esercito reclutato da Luigi Saverio e Charlot vengano
a liberarci. Nel frattempo possiamo contare sulla protezione dei Cavalieri del
Pugnale. Il tenente de la Tour, che continua a lavorare come operaio al palazzo e a
vigilare su di me, mi assicura che circa cinquanta dei quattrocento Cavalieri,
travestiti da parigini rivoluzionari, sono sempre nelle vicinanze del palazzo e
hanno studiato una serie di segnali convenzionali per poter accorrere da noi in
pochi minuti, in caso di emergenza. Io mi tengo vicino il candelabro di peltro e lo
uso per fare uscire e ricevere messaggi.
22 marzo 1792
Oggi ho fatto venire Sophie perché mi desse una mano a vestirmi e, con il suo
aiuto, ho indossato una specie di rigido busto fatto di dodici strati di pesante
taffettà.
«Ma non vi sono mai piaciuti i busti» ha detto mentre sistemava e allacciava
l'ingombrante indumento. «A parte il fatto che siete così magra ora che non ne
avete quasi bisogno.» Sophie è diventata piuttosto burbera nel parlare e brusca
nelle maniere. Amélie e le rozze, volgari cameriere del popolo la disprezzano e la
prendono in giro costantemente e, anche se lei fa del suo meglio per mantenere un
atteggiamento educato e calmo nonostante la loro ostilità, so che le loro
osservazioni e le loro provocazioni crudeli la turbano e la inquietano. Mesi fa
l'avevo esortata ad andarsene, ma lei non ha voluto lasciarmi. Apprezzo la sua
lealtà molto più di quanto sarei mai capace di dirle.
«Questo non è un busto qualunque» ho detto. «L'ho fatto fare apposta.»
Quando Sophie ha finito di sistemarmelo addosso, sono andata nel guardaroba e
ho tirato fuori un coltello che vi tengo nascosto. Dopo aver detto a Sophie di
chiudere la porta a chiave per impedire ad Amélie di entrare (spesso fa irruzione
all'improvviso!), le ho dato il coltello.
«Adesso pugnalatemi» ho detto chiudendo gli occhi e mettendomi
coraggiosamente dinanzi a lei, aspettando il colpo.
«Cosa?»
«Pugnalatemi, ho detto.»
Lei ha imprecato in tedesco, usando un termine che non voglio ripetere qui.
«Come vostra padrona, vi ordino di pugnalarmi al petto con il coltello, con tutta la
forza che avete.»
Con un grido diverso da ogni altro suono che avessi mai sentito, Sophie mi ha
colpita con la punta della lama, che si è rotta contro la rigida armatura del busto
protettivo.
Ho riso. «Vedete, Sophie, non sono matta, anche se forse mi ritenete tale. Questo
busto mi proteggerà. Nemmeno una palla di moschetto può perforarlo. E ne ho
fatto fare uno apposta anche per Luigi.»
Ho sentito come un gorgoglio. Sophie stava piangendo con la testa fra le mani.
Ero stupefatta. Non avevo mai visto la mia assennata, pratica, esperta Sophie in
lacrime.
Mi sono resa conto di essere stata proprio sconsiderata nel domandarle di provare
l'affidabilità del busto cercando di trafiggerlo con un coltello. Io sapevo che non
avrebbe potuto farmi male, ma lei no.
«Oh, Vostra Altezza» ha mormorato tra le lacrime «ho tanta paura per voi!»
Mi sono resa conto in quel momento di quanto fosse preoccupata per la mia
incolumità e con quanto coraggio mi avesse tenute nascoste le sue preoccupazioni
sotto una maschera di impazienza e di irritabilità.
«Carissima Sophie» ho detto abbracciandola. «Come mi fido di voi! Come sono
grata di avervi vicino! Ma non dovete preoccuparvi, davvero non dovete. Stiamo
per essere tratti in salvo, ve lo assicuro. Non ci vorrà ancora molto.»
Abbiamo sentito canti rochi provenire dalla stanza accanto. Le cameriere del
popolo hanno recentemente aggiunto al loro repertorio una nuova canzone,
introdotta dagli uomini venuti da Marsiglia, che si sono riversati a Parigi per
contribuire alla difesa della città.
«Alle armi, cittadini!» cantavano. «Formate i vostri
battaglioni! / Marciamo, marciamo / Così che i nostri campi /
restino inzuppati del loro sangue impuro!»
Nell'udire quel canto stonato ho emesso un sospiro.
«Oh, no, non di nuovo!» Sophie ha accennato un sorriso, poi mi ha guardata con
un'espressione grave.
«Se la vostra saggia madre fosse qui, Vostra Altezza, vi direbbe di non riporre
troppa fiducia nei busti o in fantomatici salvatori da oltrefrontiera. Vi direbbe di
fuggire con l'uomo che vi ama.»
«Axel.»
«Ma certo.»
«Siamo fuggiti, l'estate scorsa, ricordate? Ma non siamo riusciti ad andare
abbastanza lontano e la Guardia nazionale ci ha presi e riportati indietro.»
Sophie ha abbassato la voce. «Penso che comprendiate quello che voglio dire.
Andate via con lo svedese, da sola. Io porterò i bambini. Lasciate il re al suo
destino.»
«E se lo facessi, Sophie, potrei mai perdonarmelo?»
«Il re vorrebbe che voi e i bambini foste in salvo.»
«In tutto questo travagliato periodo, fin dai primi giorni di pericolo, non è mai
venuto da me per sollecitarmi ad andarmene senza di lui.»
Sophie ha serrato le labbra e non ha replicato, ma i suoi occhi erano colmi di
sdegno.
«Non dirò nulla contro il mio sovrano. Però ci sono momenti in cui vorrei che
mostrasse un po' più di buonsenso.»
Non c'era nient'altro che io e lei potessimo dire al riguardo, così le ho domandato
di aiutarmi a togliere il pesante busto e di riporlo nel guardaroba insieme alle mie
sottovesti.
Ho notato che oggi, per il resto della giornata, è stata meno burbera con me.
15 aprile 1792
Mercy mi ha mandato un messaggio segreto per comunicarmi che mio fratello
Leopoldo è morto e che suo figlio e mio nipote, Francesco, il quale è solo un
ragazzo, adesso è imperatore. Che cosa può significare questo per noi?
Axel lo saprà. Aspetto la sua prossima lettera.
10 maggio 1792
Quei selvaggi dei parigini usano un nuovo orribile marchingegno per giustiziare i
criminali: lo chiamano «lama dell'eternità». È una sorta di gigantesco ceppo. Una
pesante lama, affilata come un rasoio, cade con un rumore fragoroso come un
tuono sul collo del povero criminale e gli taglia di netto la testa, che rotola via
sanguinante facendo sgorgare una fontana di sangue rosso.
Luigi dice che grandi folle si radunano per vedere al lavoro la macchina assassina.
È considerata molto imparziale e coerente con gli ideali della Rivoluzione, che
sono libertà, uguaglianza e fratellanza. La «lama dell'eternità» rende tutti gli
uomini uguali nella morte, perché, mentre in passato i nobili erano giustiziati con
la spada, la gente comune veniva invece impiccata o moriva sotto tortura.
Tremo al pensiero di quanto più semplice e più meccanico sia diventato togliere la
vita con questo marchingegno.
È tutto così freddo e preciso, così privo di sentimenti e dignità. Amélie mi legge il
giornale «L'Ami du peuple», dove un giornalista di nome Marat dice che, per
ripristinare la tranquillità in Francia, dovranno essere tagliate duecentomila teste.
Affermazioni assurde come questa sono diventate luoghi comuni sempre più
diffusi. Amélie mi costringe ad ascoltare tali mostruose nefandezze, ma io cerco
di tapparmi le orecchie per non sentire. Marat è perfino più brutto di Mirabeau e
ha una specie di repellente malattia della pelle che lo fa puzzare. Secondo il dottor
Concarneau, tutti gli uomini a Parigi stanno cercando di rendersi il più sporchi
e puzzolenti possibile in modo da essere coerenti con lo spirito della Rivoluzione.
Portano lunghi baffi incolti, logori calzoni larghi e calzature di legno. E,
naturalmente, la coccarda tricolore e il berretto della libertà rosso. Il dottore ha
cominciato a mettersi i calzoni larghi perché se indossa quelli attillati dei nobili
gli sputano addosso.
15 maggio 1792
Viviamo tutti in uno stato di grande eccitazione perché siamo in guerra e le
armate austriache stanno avanzando con successo. I soldati francesi non hanno
coraggio e scappano come conigli alla vista delle vere armi austriache.
Quando hanno incontrato gli austriaci a Lillà erano talmente spaventati e confusi
che hanno ucciso il loro stesso comandante!
Gli austriaci entreranno presto a Parigi e noi saremo tutti salvi. Intanto i parigini
stanno diventando sempre più sospettosi gli uni nei confronti degli altri e usano la
loro terribile macchina assassina per tagliarsi la testa l'un l'altro.
7 giugno 1792
Il tenente de la Tour mi ha messa in guardia sul fatto che il mio diario potrebbe
essere usato dai rivoluzionari per condannarmi come nemica del popolo, per cui,
d'ora in poi, scriverò su foglietti che infilerò nel candelabro posto sul tavolo.
Axel mi ha fatto sapere che il re Gustavo, nostro amico e benefattore, è morto
pugnalato da un nobile che lo odiava per le sue idee liberali. Adesso Axel è
rimasto senza il suo protettore e benefattore, ma continua a essere molto attivo
nell'appoggiare le truppe austriache e prussiane che sicuramente arriveranno qui a
breve. Può darsi che lui stesso conduca un esercito in aiuto del duca di
Brunswick, che è a capo delle truppe alleate.
Sogno spesso Axel, fiero e bello, a cavallo di un alto destriero bianco, che
galoppa alla testa di centinaia di arditi guerrieri che entrano con clamore nel
cortile del palazzo e sbaragliano la Guardia nazionale e tutti gli odiosi parigini.
Il sogno è così veritiero che quando mi sveglio mi sembra di udire ancora lo
scalpiccio degli zoccoli.
28 giugno 1792
Qualcosa è andato storto. L'esercito austriaco non è ancora arrivato e non riesco a
spiegarmene la ragione.
3 luglio 1792
La mia povera, cara Mousseline è diventata donna. Ho fatto del mio meglio per
prepararla a questo giorno e per farle accettare di buon grado i cambiamenti che il
suo corpo subisce. Spero che veda con piacere la prospettiva di diventare moglie e
madre. Se vivessimo in tempi normali, sarebbe già fidanzata o perfino sposata. Ha
quasi quattordici anni ed è molto graziosa, anche se devo ammettere che ha
qualcosa della gravezza di suo padre e manca di fascino, anche se non di
sentimento.
Quando guardo la mia amata bambina, vedo il futuro e mi ritorna un po' di
speranza. Un giorno terrò fra le braccia i miei nipotini e racconterò loro dei
terribili momenti che stiamo vivendo, di come siamo stati salvati e di come siano
stati restituiti al re i pieni poteri che gli spettano di diritto.
Un giorno...
21 luglio 1792
Ieri Amélie e sei delle cameriere del popolo mi hanno afferrata rudemente per le
braccia e mi hanno trascinata in un ripostiglio dove vengono tenuti le scope, gli
stracci e gli attrezzi degli operai. Ho invocato aiuto, ma loro mi hanno tappato la
bocca con le mani sudicie e hanno minacciato di lasciarmi chiusa lì dentro senza
cibo né acqua se avessi gridato ancora.
Mi hanno strappato via i vestiti e le mie vecchie pantofole consunte e rattoppate,
lasciandomi solo con la camicia, privata dei preziosi pizzi che avevano tagliato
via.
Amélie, trionfante, mi ha strappato uno degli orecchini, lacerandomi il lobo
dell'orecchio che ha sanguinato abbondantemente.
È successo tutto assai rapidamente e con grande trambusto, dato che il ripostiglio
era piccolo e le donne continuavano a strillare contro di me urtando le pareti e
rovesciando secchi e scatoloni. Non so che cos'altro mi avrebbero fatto se la porta
dello stanzino non fosse stata spalancata e non fosse apparso il tenente de la Tour,
vestito come al solito da operaio, facendo cessare, con la sua presenza,
l'aggressione.
Ha fatto finta di dover cercare una cassetta di chiodi che teneva lì dentro e
Amélie, che si è dimostrata molto civettuola con lui in passato, ha ordinato alle
altre donne di uscire in modo da permettergli di trovare ciò che gli occorreva.
Io me ne sono rimasta lì, rossa in volto, nella mia camicia strappata, a piedi nudi,
con un orecchio sanguinante, spaventata e ansiosa di nascondere la mia vergogna.
Con suo grande merito, il tenente non ha reagito alla scena con la rabbia che
sicuramente provava, ma ha continuato a frugare nel ripostiglio, apparentemente
incurante di me; poi, lentamente, si è tolto la giacca e me l'ha allungata perché la
indossassi, come se quel gesto fosse la cosa più naturale del mondo.
«Ah, eccola qui!» ha esclamato, mentre Amélie lo guardava frugare tra gli scaffali
del ripostiglio. Ha preso in mano una scatola di metallo e ha sorriso alla donna,
che gli ha restituito il sorriso.
«Posso scortarvi fino alla vostra stanza, Madame?» ha detto poi, rivolgendosi a
me. «O forse stavate andando nelle stanze di vostro marito?»
«Sì, in effetti ci stavo andando» sono riuscita a dire in tono piuttosto deciso,
prima che Amélie, sorpresa, potesse protestare. È avvenuto tutto in modo così
naturale che in un attimo mi sono ritrovata nel corridoio aggrappata al braccio del
tenente de la Tour e diretta da Luigi.
«Grazie, grazie» ho sussurrato. «Avrebbero potuto ammazzarmi.»
«Non permetteremo che vi facciano del male» ha sussurrato il tenente di rimando.
«Ricordate, noi vegliamo su di voi costantemente.»
Mi ha affidata alla protezione di alcuni ufficiali di La Fayette che si trovavano nel
piccolo appartamento di Luigi. A loro merito, devo dire che si sono comportati da
gentiluomini, non come spesso facevano gli indisciplinati soldati loro subalterni.
Dopo avermi lanciato un'occhiata attonita, hanno distolto lo sguardo e mi hanno
offerto delle coperte in cui avvolgermi e perfino dei fazzoletti per bendarmi
l'orecchio. Di Luigi non c'era traccia da nessuna parte.
«Se posso esprimermi così, signore» ha detto a uno degli ufficiali il tenente de la
Tour «le donne che servono questa signora hanno mostrato uno zelo eccessivo in
nome del popolo. Forse potrebbero essere più utili alla causa della Rivoluzione da
qualche altra parte. Intanto confido che la signora sia in buone mani, qui con voi.»
«Ma certo. Adesso tornate al vostro lavoro.» Ho osservato il tenente allontanarsi,
dispiaciuta di perdere il mio salvatore, ma più conscia che mai, che, in caso di
necessità, lui e gli altri Cavalieri del Pugnale sarebbero accorsi in mio aiuto.
9 agosto 1792
Le campane continuano a suonare, ora dopo ora, un frastuono esasperante che ci
tiene svegli e ci ricorda che Parigi è diventata un luogo di caos.
Don, don, don, va e viene, un suono un po' metallico. Un allarme. Una chiamata
alle armi. Lo sentiamo provenire da ogni quartiere della città, e poi cominciano a
rullare i tamburi e sappiamo che altri uomini della milizia sono stati convocati e
invitati a tenersi pronti con picche, coltelli e asce.
Presto sarà mezzanotte e dalla mia finestra scorgo il bagliore delle tante torce che
si muovono lungo le vie intorno al palazzo. Il tumulto è iniziato in Faubourg
Saint-Antoine dove si trovano le fabbriche e gli operai affamati senza né lavoro
né pane. Si è poi esteso al quartiere dei cordeliers, sulla Rive Gauche, dove si
trovano tutti i radicali, e quindi al quartiere chiamato «Quinze-Vingt», il più
radicale di tutti, dove una settimana fa i cittadini hanno cominciato a chiedere che
venisse tolta la corona a Luigi.
Niente più re! Questo è ciò che vogliono queste creature selvagge, questi parigini
che quasi non si meritano più l'appellativo di esseri umani. Non avranno più Dio,
né preti, né leggi, né sovrano.
Oggi ha fatto caldo e il calar della notte non ha portato sollievo. Mentre siedo alla
finestra cercando di rinfrescarmi con un ventaglio, ascolto il suono incessante
delle campane, odo il rullo dei tamburi e guardo il tumulto nelle strade illuminate
dalle torce. Parigi sta insorgendo.
XVI.
10 agosto 1792
Stanotte non abbiamo dormito affatto. Anche se avessimo tentato di farlo, il
frastuono delle campane, dei tamburi e di tutti coloro che marciavano gridando ce
lo avrebbe impedito. Inoltre, ci sono stati i segnali di allerta che a ondate si sono
riversati sul palazzo, più o meno ogni ora, e ci hanno fatto agitare e spaventare
all'arrivo di ogni nuovo messaggio dall'Assemblea o dai funzionari della città o
dai parigini in rivolta che durante la notte si erano impadroniti del governo della
Francia. Adesso avverto una stanchezza mortale; sono in piedi da così tanto
tempo che ogni cosa intorno a me mi sembra quasi irreale e devo darmi pizzicotti
per rendermi conto che sono davvero sveglia e abbastanza lucida.
La notte scorsa, invece, mi sono assopita di tanto in tanto, ma le campane mi
hanno ridestata di soprassalto da una sorta di trance. Mi ricordo di essere entrata
nella stanza del corpo di guardia dove i bambini stavano riposando insieme a
Madame de Tourzel, attorniati da venti soldati, e di aver avuto l'impressione di
essere sul punto di crollare a terra per la stanchezza. Ma ho tenuto gli occhi aperti
e ho continuato a fare ciò che dovevo, nonostante la gamba mi dolesse e le mie
capacità mentali fossero messe a dura prova.
La lunga notte è iniziata con un cambiamento nelle nostre consuete abitudini.
Luigi ha deciso di rinunciare alla cerimonia della svestizione notturna a causa dei
fermenti della città. Invece di prepararsi per andare a letto, è rimasto vestito di
tutto punto, sebbene i valletti di camera gli avessero preparato la camicia da notte,
la berretta di seta e le pantofole di raso bianco nel caso in cui ne avesse avuto
bisogno. Ha indossato la fascia dell'Ordine di San Luigi come portafortuna e ha
tenuto in testa la parrucca, spettinata e leggermente fuori posto.
Nonostante le mie suppliche, non ha voluto indossare il pesante busto imbottito
che ho fatto confezionare per lui per proteggerlo da possibili coltellate e
pallottole; io, invece, ho indossato il mio e lo porto tuttora, anche se mi punge
le costole mentre scrivo.
Subito dopo mezzanotte ci è giunta la notizia che il sindaco di Parigi era fuggito
per timore dei parigini e, poco più tardi, ci è stato mandato un messaggero per
avvertirci che nessun altro aveva assunto l'incarico. Non c'erano più né legge, né
autorità, ma c'erano solo i soldati, molti dei quali decidevano di unirsi ai cittadini
che stavano formando bande armate.
Invano ho guardato dalla finestra sperando nell'impossibile arrivo di mio nipote
Francesco con le sue truppe imperiali, o nella comparsa di Luigi Saverio o
Charlot con una guarnigione di uomini a cavallo, o addirittura nella venuta di
Axel, invincìbile e vittorioso, sul suo cavallo bianco, come nei miei sogni.
Avevamo un protettore, il tenente de la Tour, che, durante quella lunga veglia, è
rimasto con noi, in un'uniforme rossa presa in prestito da una guardia svizzera,
con una lunga sciabola e un pugnale d'oro appesi al cinturone.
C'era anche Chambertin che badava a Luigi e il dottor Concarneau pronto con
bende, medicine e sali per Loulou, nel caso in cui fosse svenuta.
A un certo punto, nel pieno della notte, un altro messaggero è entrato nel cortile
del palazzo. Urlando per sovrastare il baccano proveniente dalla strada, mentre
noi ci affacciavamo alle finestre del secondo piano per udirlo, ci ha comunicato
che gruppi di parigini avevano formato una Comune e avevano dichiarato che
adesso erano loro il nuovo governo.
«Sciocchezze!» ho gridato, dopo aver sentito il suo messaggio. «Il re è ancora il
sovrano!»
«Non c'è più re! Non c'è più re!» ha ripetuto il messaggero, mentre la sua voce
diventava un malinconico lamento sommerso dal rinnovato fragore delle campane
e dei tamburi, accompagnato adesso dalle esplosioni e dai bagliori dei fuochi
d'artificio.
Dopo una simile notizia il panico si è diffuso nel palazzo, così improvviso e
travolgente che mi ha impedito di fare qualunque cosa, tranne che assicurarmi che
i bambini stessero bene e che Luigi, seduto a bocca aperta e con lo sguardo perso
nel vuoto, fosse con loro.
Rendendosi conto che adesso eravamo tutti in grande pericolo, la gente, in preda
al panico, scappava, calandosi dalle finestre, correndo attraverso i giardini,
sparendo nell'oscurità, abbandonandoci.
Il comandante della Guardia nazionale, un ufficiale di nome Mandat, è rimasto
con noi per un certo tempo, come ha fatto anche un altro nostro fedele amico, il
procuratore generale. Mandat, però, è stato convocato dalla nuova Comune e,
come abbiamo poi saputo, appena ha lasciato il palazzo, è stato arrestato e ucciso
dalla folla. Non appena questa notizia ha cominciato a diffondersi fra coloro che
ci erano rimasti accanto, il panico è ulteriormente cresciuto e ho sentito rumore di
gente che correva nel corridoio, davanti alla porta della stanza del corpo di
guardia.
Stava quasi albeggiando ormai e noi dovevamo prendere una decisione.
Dovevamo rimanere affrontando l'ira della Comune, la quale aveva dichiarato che
Luigi era deposto e avrebbe quindi potuto ordinare il nostro arresto, o dovevamo
cercare rifugio nell'edificio che ospitava i deputati dell'Assemblea legislativa,
come ci aveva consigliato il procuratore generale?
«Andandocene, daremo l'impressione di aver ceduto alla Comune» ho detto a
Luigi. «Per quanto mi riguarda, preferirei essere inchiodata alle pareti del palazzo,
piuttosto che abbandonare le Tuileries.»
Luigi, lacerato fra il consiglio prudente ma codardo del procuratore generale e la
mia convinzione che dovevamo restare e combattere, sembrava incapace di
prendere una decisione. Ha però esortato ad andarsene tutti i membri della corte e
del personale rimasti, non volendo che ad alcuno di loro fosse fatto del male. Ha
detto che sarebbero dovuti rimanere solo i soldati della Guardia nazionale e la
compagnia dei novecento mercenari svizzeri, che erano stati chiamati a Parigi da
Courbevoie e da Reuil.
Il procuratore ci ha sollecitati a pensare ai bambini e a mandarli con Madame de
Tourzel nella sala dell'Assemblea.
Stavo quasi per dare il mio consenso quando il tenente de la Tour, che era rimasto
sulla soglia della stanza, si è avvicinato.
«Prima che prendiate qualunque decisione, Vostra Altezza» ha detto a Luigi
«vorrei presentarvi i membri della vostra fedele guardia del corpo, i Cavalieri del
Pugnale.»
Si è fatto da parte per lasciare entrare una schiera di uomini, ciascuno dei quali
portava alla cintola il simbolo della compagnia, un luccicante pugnale d'oro.
Formavano un gruppo stranamente assortito, di cui facevano parte uomini anziani,
sebbene ancora vigorosi, e ragazzi sui quindici o sedici anni. A giudicare dal loro
abbigliamento, che variava dal logoro all'elegante, erano molto diversi fra loro per
rango e per reddito, anche se tutti si comportavano con la dignità e la naturalezza
dei nobiluomini. Rappresentavano la vecchia Francia, la Francia nella quale ero
giunta da ragazzina, quando avevo sposato Luigi, e adesso si assumevano
l'impegno di difendere il sovrano di quel regno in pericolo.
Uno dopo l'altro, si sono inginocchiati davanti a Luigi, gli hanno baciato la mano,
pronunciando il proprio nome, seguito dal giuramento: «Fino alla morte!».
Mentre si svolgeva questa sfilata di combattenti fidati, noi continuavamo a udire il
frastuono della servitù che se ne andava e, proveniente dalla città, il clamore della
folla urlante in marcia.
D'un tratto è arrivato di corsa un messaggero interrompendo quella cerimonia
improvvisata. «I Comunardi hanno attraversato il ponte Saint-Michel!» ha detto.
«La Guardia nazionale non ha sparato! Stanno venendo da questa parte!»
A quel punto Luigi si è alzato e ha aperto le braccia come in un gesto di
benedizione. «Ringrazio tutti voi, nobili cavalieri. Confidando nella vostra
protezione e in quella dei miei soldati, io rimango qui.»
«Ai vostri posti!» ha gridato il tenente de la Tour e, in men che non si dica, la
maggior parte di quei nobiluomini è uscita di corsa, presumibilmente per
raggiungere la Guardia nazionale e i mercenari svizzeri. Una dozzina di loro è
rimasta con noi, come guardia del corpo. In quell'istante mi sono sentita fiera di
mio marito. L'antico sangue dei Borbone si era risvegliato in lui, infondendogli
coraggio, e Luigi aveva dimostrato di cosa è capace. Mentre stava ancora
parlando, però, abbiamo udito spari in lontananza e io ho visto il suo viso
incresparsi in una smorfia di paura.
Ho guardato fuori dalla finestra e ho scorto le guardie svizzere, nelle loro
uniformi rosse, caricare il cannone e posizionarsi in formazione dietro le spesse
mura del palazzo.
Di lì a qualche secondo, il cannone ha iniziato a sparare e, attraverso il denso,
sporco fumo giallo, ho potuto distinguere i primi parigini che entravano nella
piazza di fronte al cortile principale del palazzo. Portavano lunghe picche
appuntite, indossavano i rossi berretti della libertà e tenevano alte le bandiere di
seta con il tricolore: i loro stendardi.
«Venite via dalla finestra, Vostra Altezza.» Era il tenente de la Tour che mi
trascinava con decisione al capo opposto della stanza dove si trovava Luigi, con i
bambini stretti a sé e Chambertin e Madame de Tourzel al suo fianco.
Questa è l'ultima cosa che ricordo con chiarezza, prima che venissimo travolti da
quel tremendo trambusto: l'immagine di Luigi insieme ai bambini, con le spalle al
muro e il viso contratto in una maschera di terrore.
Un attimo dopo, è iniziato il bombardamento. Tutti i vetri delle finestre della
stanza in cui ci trovavamo sono andati in frantumi e il rumore terrificante ha fatto
gridare Mousseline. Dappertutto c'erano schegge e sangue. Mi sono resa conto in
un lampo che, allontanandomi dalla finestra, il tenente mi aveva probabilmente
salvato la vita. Scortati da un gruppo di guardie e di Cavalieri, siamo corsi fuori
nel corridoio, dove si erano rannicchiati domestici e funzionari che non sapevano
dove andare. Abbiamo attraversato di corsa una lunga serie di corridoi, trovandoci
la strada bloccata dai soldati e dai membri del personale di corte e di servizio che,
terrorizzati, correvano di qua e di là nel tentativo di sfuggire alla carneficina in
atto nel cortile. Abbiamo nuovamente udito il rumore di vetri che andavano in
frantumi mentre, a ogni cannonata, il pavimento sussultava violentemente sotto i
nostri piedi.
I nitriti dei cavalli e le grida degli uomini feriti arrivavano fino a noi insieme
all'odore della polvere da sparo. Avevo la bocca secca a causa del fumo nell'aria,
ma non potevo fermarmi a bere, né ad aiutare Luigi, che correva lentamente con
la sua pesante andatura, né a soccorrere quelli che, al mio passaggio, tendevano le
mani verso di me in una muta supplica.
Abbiamo raggiunto una delle grandi gallerie, fermandoci però all'improvviso di
fronte all'orripilante scena che si è presentata ai nostri occhi: sangue sul
pavimento, sui tappeti, sui mobili, sulle pareti e sui tendaggi; cadaveri ovunque e
un terribile fetore come di fogna perché i corpi giacevano in mezzo agli
escrementi. Alcuni erano decapitati, altri mezzi nudi. Ho visto torsi sanguinanti di
donne con il seno mutilato e corpi di uomini evirati.
L'immane crudeltà di quella scena superava di gran lunga qualunque cosa che
avessi mai visto o anche solo potuto immaginare. Mi sono sentita assalire dalla
nausea, come Madame de Tourzel che ha distolto lo sguardo e si è portata le mani
al ventre. Luigi si è affacciato alla finestra fracassata dalle cannonate e ha
vomitato nel giardino.
«Non fermatevi a guardare» ha gridato uno dei Cavalieri. «Non pensate a quello
che vedete qui. Seguiteci in fretta!»
Mentre obbedivo a quell'ordine, il rumore delle fucilate, del rombo del cannone e
i sussulti dei pavimenti e delle pareti del palazzo si intensificavano. Da ogni
stanza davanti alla quale passavamo provenivano urla strazianti e grida selvagge,
mentre attraverso le porte aperte intravedevamo di sfuggita i disumani invasori
intenti al loro sanguinario lavoro.
Abbiamo percorso corridoi abbandonati, stanze deserte e in rovina e, infine, siamo
saliti per una vecchia scala polverosa che conduceva ai miei appartamenti. I
soldati e i Cavalieri sono andati avanti per primi con le spade e le sciabole
sguainate e i moschetti puntati. Hanno colto di sorpresa un nutrito gruppo di
parigini che stavano saccheggiando il mio guardaroba, gettando per terra abiti,
camicie e sottovesti e facendo a pezzi il mio bel mobilio. Alcuni dei
saccheggiatori sono stati fucilati sul posto, altri sono stati abbattuti mentre
correvano verso di noi, con gli occhi sbarrati e le picche e i coltelli insanguinati
pronti a colpirci.
Grida bestiali uscivano dalle loro gole mentre si precipitavano contro di noi:
un'immagine terrificante. Mi sono stretta al petto i bambini, non volendo che
vedessero ciò che io vedevo anche troppo chiaramente. Quei selvaggi che
puzzavano di vino erano mostruosi e nella loro ebbrezza delirante avevano fatto
scempio della stanza.
Mi manca quasi il coraggio di descrivere la scena che avevo davanti agli occhi:
corpi che si contorcevano sul pavimento, accoltellati al ventre; grovigli di budella
sanguinolente; frammenti di cervelli sparsi a terra; abiti di raso imbrattati di
sangue e di viscere; cadaveri di domestici e di funzionari avvinghiati in un
grottesco abbraccio mortale; volti raggelati in mostruose espressioni di sorpresa;
orrore, angoscia, dolore; gemiti dei moribondi e crudeli risate dei loro carnefici,
esultanti per le atrocità commesse; uomini e donne che, ebbri di vino e di
vendetta, agitavano i loro coltelli arrossati di sangue e scatenavano il loro
risentimento sulle loro sventurate vittime.
E sangue, tanto sangue. Sangue a rivoli, a fiumi giù per il marmo giallognolo
delle scale, sangue rosso, sangue scuro, sangue rappreso, sangue il cui tanfo
metallico si mescolava all'odore acre del fumo, della polvere da sparo e del vino
che stagnava nell'aria.
Sciami di mosche ronzavano sui mucchi di cadaveri mutilati, le mosche di un
caldo giorno d'agosto, il giorno della festa di San Lorenzo martire. Ero tanto
sopraffatta dallo sconvolgente spettacolo intorno a me che per un lungo momento
sono rimasta affascinata da quegli insetti e mi sono fermata a osservarli mentre si
posavano sugli arti mozzati e sui corpi mutilati per poi riprendere il loro volo. Era
come se, guardando le mosche, avessi potuto escludere ogni altra cosa nella
stanza, tutto quello che non potevo sopportare di vedere e di udire.
Ancora una volta è stato il tenente de la Tour che, prendendomi per un braccio e
scuotendomi, mi ha fatta uscire da quello stato di trance. Con un'abile mossa ha
spinto me e i bambini verso la porta, facendoci da scudo contro una nuova ondata
di assalitori che correvano verso di noi con le picche puntate al grido di «Morte al
re!» e «Morte alla puttana austriaca!».
Ho udito l'urto e il fragore metallico, quando le armi dei soldati e dei Cavalieri
hanno cozzato contro le picche degli avversari. Questi erano così vicini che
potevo sentire il lezzo del loro alito puzzolente di vino e vedere lo sguardo di odio
nei loro occhi. Ho pensato che saremmo morti lì e che nulla avrebbe potuto
salvarci. Ho sentito Luigi gridare e non capivo se si trattasse di un grido di paura
o di dolore. Era stato ferito? Stava morendo?
Con un gemito, uno dei Cavalieri del Pugnale è caduto all'indietro contro di me,
colpito a morte, e dopo di lui un altro e un altro ancora. C'era sangue sul
pavimento e le mie scarpe vi scivolavano sopra. Luigi Carlo, che era stato molto
coraggioso fino a quel momento, ha iniziato a singhiozzare.
All'improvviso un uomo grande e grosso si è avvicinato a noi da dietro e si è
rivolto a me. Mi sono girata e ho riconosciuto il giardiniere che ero stata costretta
a licenziare alcuni mesi prima. Si è caricato Luigi Carlo sulle larghe spalle e ha
tenuto Mousseline stretta al fianco. Entrambi i bambini si sono aggrappati a lui e
Luigi Carlo ha smesso di piangere.
«Venite» mi ha detto «conosco una via d'uscita.» Ho chiamato Luigi, che ci ha
seguiti, e la povera, coraggiosa Madame de Tourzel che aveva raccolto un coltello
dalla mano di uno degli uomini che giacevano a terra e lo brandiva con tutto il suo
vigore. Il tenente de la Tour faceva da retroguardia proteggendoci da eventuali
attacchi alle spalle mentre ci inoltravamo, attraverso una stretta apertura nel
rivestimento a pannelli di legno della parete, in un andito polveroso che
conduceva a un magazzino e poi alle cucine già saccheggiate. Da lì abbiamo
attraversato velocemente i giardini, fino all'edificio in cui l'Assemblea legislativa
era in seduta.
Ci è stato permesso di entrare, ma ci è stato detto di rimanere in uno stanzino con
le grate solitamente occupato dai segretari incaricati di redigere i verbali e adesso
vuoto.
Lo spazio era davvero esiguo e siamo dovuti rimanere in piedi. Mi sono sentita
come un animale in gabbia, in mostra. Attraverso le inferriate ho guardato con
diffidenza i deputati che, tuttavia, non ci hanno degnati della minima attenzione,
preoccupati com'erano del fatto che la loro sede era stata invasa dalle milizie dei
parigini che imperversavano nel palazzo.
Siamo rimasti dentro quel bugigattolo per ore, sollevati di essere ancora vivi, ma
disperatamente scomodi, stanchi e desiderosi che l'orribile giornata finisse. Ci
hanno portato un po' di acqua, formaggio e frutta che abbiamo diviso fra tutti,
mentre il tumulto nel palazzo continuava e i deputati litigavano fra loro, agitando i
pugni e urlando.
Ho pensato che, quel giorno, tutto il mondo fosse impazzito e che io mi trovavo al
centro di tanta follia.
Sono troppo stanca per scrivere a lungo sul resto della nostra interminabile
giornata. Alla fine ci è stato permesso di trasferirci in un luogo sicuro e ci sono
stati dati cibo e bacinelle d'acqua in cui lavarci. Ho però la sensazione che non
riuscirò mai a lavar via i segni di questo giorno terribile, il giorno della festa di
San Lorenzo martire. Ricordo la storia del santo, arso vivo dai romani sulla
graticola, e non riesco a non pensare ai tanti martiri che ho visto macellati
oggi nel palazzo. Se non fossimo stati protetti dalle guardie e dai Cavalieri,
avremmo potuto fare anche noi la stessa fine, ammassati insieme agli altri
cadaveri in una catasta raccapricciante e poi gettati sui carri e bruciati in una fossa
finché, come è accaduto a san Lorenzo, di noi non fosse rimasto altro che cenere.
20 agosto 1792
Non riesco a dormire. Se ci provo, mi assalgono gli incubi. C'è un medico in
questo luogo in cui siamo rinchiusi, ma è scortese con me e non mi darà
certamente dell'acqua di fiori d'arancio ed etere per aiutarmi a dormire.
Faccio sogni rossi di sangue. Corpi senza testa avanzano barcollando verso di me.
Teste con la bocca spalancata mi passano davanti e vanno alla deriva. Sono
inseguita per corridoi oscuri e corro più che posso, ma gli esseri ripugnanti che mi
incalzano sono più veloci di me. Quando stanno per raggiungermi, mi sveglio
gridando.
27 agosto 1792
Adesso ci troviamo nella torre più piccola del vecchio castello di Charlot
chiamato «Tempio». Siamo tenuti sotto stretta sorveglianza e circondati da gente
ostile. In un primo tempo, dopo che siamo arrivati qui, Chambertin, Sophie,
Madame de Tourzel e Loulou hanno avuto il permesso di rimanere con noi, ma
ben presto sono stati portati via e imprigionati. Ho fatto di tutto per cercare di
sapere dove sono tenuti, ma nessuno me lo vuole dire.
Fa molto caldo in queste stanze e ci sono topi ovunque. A Luigi Carlo piace
acchiapparli per poi liberarli davanti a Mousseline che strilla quando le corrono
sui piedi.
Mi hanno portato via il pesante busto di taffettà, ma ho ancora la cintura di santa
Radegonda che mia madre mi aveva inviato perché la indossassi durante il
travaglio e che adesso porto come protezione. Da quando ho cominciato a
indossarla, riesco a dormire anche se i terribili incubi di tanto in tanto vengono
ancora a tormentarmi.
Ufficialmente la Francia non ha più un sovrano, ma questa è un'assurdità e non
m'importa che qualcuno possa leggere queste parole o sentirmi manifestare la mia
opinione al riguardo. Mio marito è il capo legittimo del suo popolo, incoronato
con un rito sacro e scelto per acclamazione. È e sarà sempre il sovrano, Comune o
non Comune, Robespierre o non Robespierre.
Questo arrogante, piccolo avvocato Robespierre pretende di essere la voce del
popolo anche se chiunque, fin dalla prima occhiata, è in grado di capire che è
troppo strano e disturbato di mente per essere la voce di chicchessia.
L'ho osservato quando è venuto nella sala dell'Assemblea, quel giorno terribile in
cui vi siamo stati imprigionati.
Per essere un uomo così piccolo aveva una voce molto forte e la gente stava ad
ascoltarlo, invece di ignorarlo come faceva con la maggior parte degli altri oratori.
Era strano davvero. Camminava senza sosta avanti e indietro con quelle sue
scarpe dai tacchi alti, come una donna isterica più che come un uomo forte ed
energico. Aveva un tic nervoso che gli faceva contrarre le mascelle. Continuava a
mordersi le unghie, ad aggiustarsi i vestiti e ad allentarsi il colletto, e la sua brutta
pelle butterata era di quel colore che chiamavamo «sterco d'oca». Nell'insieme mi
ha fatto rabbrividire.
Mentre scrivo, copro la pagina con la mano, facendo sbiadire un po' l'inchiostro,
perché nella stanza con noi c'è un rappresentante della Comune e penso che
potrebbe chiedermi di mostrargli quello che sto scrivendo. Per il momento non
l'ha fatto.
7 settembre 1792
Il cuore mi batte talmente in fretta che riesco appena a respirare. Ho appena visto
una cosa alla quale non riesco quasi a credere, anche se so che l'ho vista con i
miei occhi e che non si tratta di un incubo.
Un gruppo di parigini, cantando e sventolando bandiere, ha invaso lo spiazzo
davanti alla caserma delle guardie e ha iniziato a sfilare rumorosamente davanti
alle nostre finestre. Avevano una testa mozzata impalata su una picca e l'hanno
portata abbastanza vicina da permetterci di vedere a chi apparteneva.
Mi si è accapponata la pelle: era Loulou! La mia carissima amica Loulou, la mia
confidente. Seconda solo a Sophie, la donna di cui mi fido di più al mondo.
Aveva la bocca aperta, gli occhi sbarrati; i capelli ondeggianti al vento.
Ho gridato e mi sono coperta gli occhi ma non prima di aver intravisto un altro
pezzo di carne impalato su una picca. Erano dei genitali femminili.
Sono scappata dalla finestra e mi sono buttata sul letto.
Ho pianto a lungo, poi ho deciso che dovevo lasciare una testimonianza di quel
che era stato fatto alla più bella, alla più fedele, alla più cara donna che abbia mai
conosciuto.
Così ho messo qui per iscritto quello che le è accaduto. È troppo abominevole per
potervi pensare. Scriverò ancora una volta il suo nome, un piccolo ricordo di una
persona che ho tanto amato: Maria Teresa di Savoia-Carignano principessa di
Lamballe 1749-1792 requiescat in pace.
XVII.
1° ottobre 1792
Tutte le sere un lampionaio con un mantello scuro e il tricorno passa nelle nostre
stanze per riempire le lampade a petrolio, sistemarle e accenderle. Fino a oggi non
gli avevo prestato molta attenzione. Ma stasera, mentre entrava nella stanza e
posava un candelabro di peltro dall'aspetto familiare sul tavolo presso il quale ero
seduta con il lavoro a maglia in grembo, lui mi ha fatto un cenno con il capo.
L'ho guardato in viso. Era il tenente de la Tour! Sono rimasta senza fiato, ma sono
riuscita a trattenermi dall'esprimere la mia gioia. L'incaricato dell'Assemblea, che
sta sempre seduto nella stanza comune e ascolta tutte le nostre conversazioni, si
era appisolato accanto al fuoco e quindi non aveva notato nulla. Nemmeno Luigi,
che teneva sulle ginocchia Luigi Carlo e gli stava disegnando una mappa delle
province francesi, ha alzato lo sguardo al mio improvviso soprassalto.
Il lampionaio ha terminato il suo compito, accendendo una lampada in ciascuna
delle nostre stanze e lasciandoci alcune candele per la notte, poi è uscito. Ho
atteso finché il buio non si è fatto completo, poi mi sono ritirata a prepararmi per
la notte portando con me il candelabro. Una volta nella mia camera, l'ho girato
rapidamente e vi ho guardato dentro per vedere se vi fosse un messaggio e c'era...
da parte di Axel!
Non avevo sue notizie da mesi. Adesso m'informava di essere in servizio
nell'esercito austriaco fin dal mese di luglio, ma di essere stato catturato e poi
ferito a Thionville.
Adesso la ferita sta guarendo e lui è di nuovo con l'esercito, che sta per sferrare un
attacco a Lillà. Dice che hanno subito rovesci e che pensava che gli austriaci
sarebbero arrivati a Parigi molto prima, ma nutre ancora la speranza che presto
saranno qui.
«Fatevi animo, mia adorata» scrive «mio piccolo angelo, amore mio. Penso a voi
in ogni momento.»
Bacio la sua cara lettera e mi scendono le lacrime. So che dovrei bruciarla, ma
non riesco a distruggere questo foglio prezioso che lui ha tenuto fra le mani,
queste preziose parole che lui ha scritto. Stanotte dormirò con il suo messaggio
sotto il cuscino, sperando che lui mi appaia in sogno e pregando che giunga presto
il momento della nostra liberazione.
2 ottobre 1792
Questa mattina, prima dell'alba, sono stata svegliata da qualcuno che mi scuoteva
rudemente urlandomi addosso.
Alla fioca luce della lampada, ho visto che si trattava di Amélie, che indossava un
abito rosso e bianco nuovo, secondo il gusto attuale di Parigi, e portava al collo,
appeso a una catenella, il frammento di pietra grigia della Bastiglia.
I pendenti che aveva alle orecchie erano riproduzioni in miniatura della
ghigliottina, una moda di cui avevo sentito parlare ma che non immaginavo
potesse essere vera.
«Alzatevi, cittadina» ha detto bruscamente. «Dovete essere interrogata dal
Comitato di vigilanza.»
Ho tastato il cuscino in cerca della lettera di Axel che vi avevo nascosto sotto,
cercando di pensare a un modo per distruggerla o a un luogo in cui nasconderla.
«Il comitato mi concede il tempo di vestirmi?»
«Vestitevi in fretta, allora.» Non ha accennato ad andarsene per permettermi di
avere un po' di intimità.
«Se il comitato lo consente, vorrei cambiarmi la biancheria intima...» ho
cominciato.
«Pensate davvero che a qualcuno interessi guardare il vostro vecchio corpo
ossuto?» ha risposto Amélie con impazienza. «L'unica cosa che ci interessa è che
siete sospettata di essere nemica della Rivoluzione. Non preoccupatevi di vestirvi.
Rimanete in piedi al centro della stanza.»
Ho fatto come mi ha chiesto, reggendo il cuscino e tenendo la lettera nascosta nel
palmo della mano.
Amélie ha fatto un cenno ad alcuni compagni che si trovavano nella stanza
adiacente. «Parleremo con la vecchia puttana qui.» Due donne e due uomini sono
entrati nella mia piccola camera da letto, portando una lampada, che hanno
sistemato su un tavolino basso. Erano più giovani di Amélie, che sapevo avere
grossomodo la mia età (trentasei anni o poco più): a mio giudizio, gli uomini
potevano avere circa venticinque anni, le donne circa venti. Mi hanno fissata.
«Cittadina Capeto, il Comitato di vigilanza per la Comune, sezione del Tempio,
chiede che rispondiate alle seguenti domande. Avete oggetti di valore?»
«Solo la mia fede nuziale.»
«Giurate di difendere la Rivoluzione?»
«Ho giurato di obbedire al mio sovrano e marito, il giorno della sua
incoronazione. Non posso rinnegare quel giuramento adesso.»
«Rifiuta. Scrivetelo» ha detto Amélie a uno degli uomini, che ha cominciato a
guardarsi intorno in cerca di una bottiglietta d'inchiostro e della carta. C'è stato un
momento di confusione prima che riuscisse a trovare l'occorrente per scrivere e io
ne ho approfittato per far scivolare la lettera di Axel dentro la federa del cuscino.
«Potete giurare di non aver avuto contatti con potenze straniere il cui scopo è
annientare la Rivoluzione?» ha poi chiesto Amélie.
«Ho scritto lettere alle mie sorelle e ai miei fratelli» ho risposto sinceramente,
omettendo di citare le altre centinaia di lettere che ho inviato, in codice, a una
dozzina di principi e governanti stranieri. «Loro non sono d'accordo con la
Rivoluzione.»
«In effetti, vostro nipote Francesco è in guerra con la Francia.»
«Se lo dite voi, cittadina. A me non è concesso leggere i giornali.»
«Ciò che dite ha poca importanza» ha bofonchiato Amélie, camminandomi
lentamente intorno in cerchio, mentre le minuscole ghigliottine di metallo che le
pendevano dalle orecchie brillavano alla luce della candela.
«Siamo a conoscenza di tutto quello che fate. Di ogni bugia che raccontate. È solo
questione di tempo prima che siate convocata al cospetto del Tribunale
rivoluzionario e condannata come criminale.»
Mi si è fatta più vicina e mi ha guardata con aria ironica. «Proprio come lo era la
vostra grande amica Loulou.»
Le sue parole mi hanno suscitato un brivido d'orrore lungo la schiena. Ho rivisto
lo spaventoso spettacolo della testa della mia cara Loulou e delle sue parti intime
esposte alla vista di tutti e ho immaginato la tremenda paura, il panico e la
sofferenza che doveva aver sopportato prima di morire.
«Ci siamo presi il nostro tempo con lei» ha continuato Amélie, parlando con
molta crudezza e osservando la mia reazione. «Non c'è stato un rapido taglio della
gola o una pugnalata allo stomaco, come con gli altri. No, la vostra amica Loulou,
la principessa» ha dato alla parola un'enfasi derisoria «si è meritata una morte
lenta.»
«L'abbiamo svegliata molto presto, proprio come abbiamo fatto con voi
stamattina. Poi l'abbiamo trascinata fuori e l'abbiamo fatta rimanere in piedi al
freddo fra due cataste di cadaveri, le abbiamo strappato gli abiti di dosso e Niko e
Georges qui» ha indicato i due uomini «l'hanno violentata. Due o tre volte?» ha
chiesto poi, voltandosi verso di loro. Gli uomini si sono stretti nelle spalle. Non
sono più riuscita a trattenermi e ho cominciato a singhiozzare. Amélie ha riso e ha
continuato a girarmi intorno, un po' camminando e un po' saltellando.
«Vediamo... poi le abbiamo tagliato i seni e li abbiamo gettati ai cani, quindi le
abbiamo acceso un falò in mezzo alle gambe usando un suo braccio come torcia.
Poi le abbiamo estratto il cuore, lo abbiamo arrostito e ce lo siamo mangiato. A
quel punto era morta, naturalmente. E allora le abbiamo tagliato la testa e la figa
(sapevamo che le avreste riconosciute entrambe), le abbiamo infilzate sulle picche
e le abbiamo portate in giro per un po'.»
Io tremavo e mi sentivo totalmente priva di forze, ma ho continuato a tenere
stretto a me il cuscino, stando attenta a non lasciarne scivolare fuori la lettera di
Axel. In tutta la mia vita, non ho mai desiderato uccidere una persona tanto
quanto avrei voluto fare con Amélie in quel momento.
Ha ordinato ai suoi compagni di ispezionare la mia camera, cosa che hanno fatto:
hanno gettato sul pavimento lenzuola, coperte e il sottile materasso, hanno aperto
la cesta in cui tengo le poche cose che ancora possiedo buttandone fuori il
contenuto e hanno versato sul pavimento l'acqua della mia bacinella.
Fortunatamente, non hanno esaminato da vicino il candelabro di peltro, altrimenti
ne avrebbero scoperto la cavità interna.
Quando hanno finito, Amélie si è rivolta a me di nuovo. «Cittadina, il Comitato di
vigilanza proporrà che il vostro nome continui a figurare nella lista dei sospetti.
Verrete interrogata di nuovo. Nel frattempo, ecco un ricordo della vostra defunta
amica.»
Si è frugata nella tasca e ne ha tirato fuori una cosa che ha posato sul tavolo
davanti a me. Era un orecchio umano rinsecchito.
14 novembre 1792
Ho paura per Luigi.
È stato tradito e per di più da un vecchio amico, il fabbro Gamin, che gli ha
insegnato a fabbricare le serrature e ha lavorato con lui per tanti anni nella soffitta
di Versailles.
Gamin ha rivelato ai deputati della nuova Assemblea l'esistenza di un
nascondiglio segreto per i documenti che lui stesso aveva costruito nelle stanze di
Luigi e che conteneva una grande cassetta chiusa a chiave. Li ha condotti nel
palazzo e ha mostrato loro la nicchia nascosta nel muro.
La cassetta era piena di documenti importanti, alcuni dei quali comprovanti il
fatto che Luigi ha inviato e ricevuto messaggi da altri sovrani. Paradossalmente,
sono stata io, non Luigi, a inviare e ricevere quasi tutti quei messaggi quando ci
trovavamo a Versailles. Ma per il Comitato di vigilanza e per il Tribunale
rivoluzionario questo pare un dettaglio di poca importanza.
Non ho più sentito niente riguardo a un'ulteriore avanzata dell'esercito austriaco,
ma ormai la stagione è troppo inoltrata perché una grande armata possa continuare
la sua marcia. Dovunque si trovino, le truppe si tratterranno nei quartieri invernali
fino alla primavera.
18 dicembre 1792
Sta nevicando. Ci stringiamo intorno al fuoco, avvolti in scialli e giacche a causa
del vento gelido che soffia dalla cappa del vecchio camino. La stanza è sempre
piena di fumo, ma i nostri carcerieri non se ne curano e io mi guardo bene dal
chiedere aiuto. Non sono per nulla interessati alla nostra salute.Sette giorni fa
Luigi è comparso davanti al nuovo organo di governo, la Convenzione.
Oggi ne ha parlato per la prima volta. «Il processo è stato solo una formalità» mi
ha detto. «È durato a malapena un quarto d'ora.» Il suo tono era rassegnato, ma
pieno di dignità, senza traccia di autocompatimento.
«Mi hanno accusato di crimini contro la Rivoluzione. Poi hanno aggiornato
l'udienza e sono stato riportato qui. Nessuno è intervenuto a favore né contro di
me. Non sono stato interrogato. Sono rimasto lì in piedi, incredibilmente calmo, e
ho ascoltato le parole del pubblico accusatore.
«Non accadeva dai tempi di Carlo I, sapete» ha continuato dopo un po'. «Non
accadeva da centocinquant'anni. L'assassinio di Stato di un sovrano.»
«No, Luigi, non oserebbero mai!»
«Avete visto cosa hanno scarabocchiato qui sul muro l'altro giorno, in lettere
rosso sangue: luigi l'ultimo. Si è trattato di un presagio.»
«Cos'è un presagio, papa?» Luigi Carlo si è arrampicato in grembo a Luigi.
«Un presagio è un segno che indica che sta per accadere qualcosa. Generalmente
qualcosa che non vogliamo che accada.» Mi sono alzata e mi sono avvicinata a
Luigi, seduto con il bambino sulle ginocchia. Ho posato la mano sulla sua spalla e
ce l'ho lasciata, mentre lui continuava.
«Vi ricordate le lezioni che vi ho dato riguardo al sovrano inglese Carlo I, quello
che è stato ucciso dai suoi sudditi tanto tempo fa?»
«Sì, papà. Gli hanno tagliato la testa con una mannaia. Proprio come quella per
uccidere i topi che mi ha dato Robert.» Robert era il figlio di una delle guardie
repubblicane, un ragazzino dell'età di mio figlio. Luigi Carlo ha frugato nella
tasca dei pantaloni e ne ha estratto una ghigliottina in miniatura, una piccola
mannaia con attaccato un peso.
«Oh no!» ho esclamato, strappandogli di mano quell'oggetto orrendo.
«Ma mamma, tutti i ragazzi ce l'hanno. Le usiamo per ammazzare i topi. Anche
gli uccelli, quando riusciamo a prenderli.»
«Non dovete aver nulla a che fare con un marchingegno tanto terribile e crudele»
ho detto a mio figlio.
Luigi ha proseguito con la sua lezione di storia. «Naturalmente gli inglesi hanno
sbagliato a uccidere il loro sovrano. Se ne sono resi conto molto presto e hanno
dato il trono al figlio, anche lui di nome Carlo, che era una persona molto in
gamba ma un po' troppo amante delle donne.»
Luigi Carlo ha riso. È un bambino allegro, con un carattere buono ed espansivo.
Anche qui, in questo luogo simile a una prigione, riesce sempre a divertirsi e a
essere di buonumore.
«Ora, ecco quello che voglio che teniate a mente. Qualunque cosa mi accada, io
sono ancora il legittimo re di Francia e voi siete il delfino. Il trono spetta a voi e ai
vostri figli. Se io dovessi morire, voi diventerete re Luigi XVII.»
«Sì, padre. Me lo avete ripetuto tante volte. Ma voi non morirete.»
Luigi ha accarezzato con affetto la testa di nostro figlio. «Non ancora, piccolo re.
Non ancora.»
Cerco di non pensare a ciò che può accaderci durante quest'inverno. Recito le mie
preghiere e leggo e rileggo la preziosa lettera di Axel e, ogni notte, aspetto con
impazienza l'arrivo del lampionaio. A volte si tratta del tenente de la Tour, altre
volte di una persona diversa. Non lo so mai. Per calmare i nervi sferruzzo muffole
e sciarpe di lana e ho cominciato a ricamare un set di coprisedie. Mousseline mi
aiuta. È bravissima nel ricamo e molto più paziente di me. Domani sarà il suo
quattordicesimo compleanno. Come vorrei che avesse conosciuto sua nonna, e
omonima, la grande Maria Teresa!
20 gennaio 1793
La notizia più spaventosa di tutte è arrivata. Luigi dovrà morire domani.
È venuto lui stesso a comunicarcelo, cercando di mantenere, per quanto possibile,
un atteggiamento dignitoso e coraggioso; indossava la fascia dell'Ordine di San
Luigi e la medaglia che gli è cara.
Ci ha abbracciati e baciati tutti con tenerezza e abbiamo pianto insieme senza
ritegno, nonostante la presenza delle guardie e dei rappresentanti della Comune.
Luigi Carlo e Mousseline hanno gridato infinite volte: «Padre, padre», finché
perfino le rudi guardie sono state costrette a girare la testa dall'altra parte perché
quella vista le metteva a disagio.
«Adesso non potrò più portare a termine il mio libro sulla flora e sulla fauna della
foresta di Compiègne» ha detto mestamente. «Non vedrò mai crescere i miei
adorati figli, né invecchierò accanto alla mia bella moglie, che ha fatto del suo
meglio per rendermi un uomo migliore.»
Ci ha ripetuto più volte che ci amava e io ho capito quanto gli costasse sopportare
il dolore della separazione.
Quando alla fine sono arrivate le guardie per portarlo via, lui ci ha tenuti stretti,
poi mi ha presa da parte. Si è tolto l'anello nuziale, lo ha baciato e me lo ha messo
in mano.
«Vi rendo la vostra libertà» ha detto con calma. «Axel è un uomo eccellente.
Sposatelo e siate felici!»
Le lacrime mi hanno offuscato la vista mentre Luigi veniva portato via, il mio
nobile, sciocco, buono, esasperante marito e vecchio amico. Ogni volta che si è
presentato un problema, sono stata al suo fianco. Adesso, nelle sue ultime ore,
non potrò essergli accanto. Non riesco a sopportare questo pensiero.
21 gennaio 1793
Questa mattina presto ho udito il rullare dei tamburi e ho capito che Luigi veniva
condotto alla ghigliottina. Ho sperato che i bambini stessero ancora dormendo e
che fosse loro risparmiata la consapevolezza che l'adorato padre stava per morire.
Mi sono inginocchiata accanto al letto e ho recitato una preghiera per la sua
anima.
Questa sera, il lampionaio che è venuto ad assolvere il suo compito era il tenente
de la Tour. Siamo riusciti a scambiare qualche parola senza essere uditi e lui mi
ha raccontato che, insieme ad altri Cavalieri del Pugnale, si era mescolato alla
folla radunatasi per assistere all'esecuzione di Luigi. A un certo punto alcuni
Cavalieri hanno tentato di salvarlo, ma la Guardia repubblicana lo ha impedito.
«È morto bene e con coraggio» mi ha detto il tenente.
«Non ha mostrato amarezza. Non ha permesso che gli legassero le mani o lo
vincolassero in alcun modo. Era preparato a morire. C'è stato tuttavia un
particolare strano: ha insistito per indossare un vecchio soprabito nero consunto,
un'anticaglia, che gli dava l'aspetto di un vagabondo, non di un sovrano.»
«Ah, certo. Era il soprabito di suo padre. Gli era molto caro.»
«Gliel'hanno fatto togliere prima di procedere all'esecuzione e lo hanno gettato
alla folla, che l'ha fatto a pezzi. Lui li ha perdonati, per quello e per tutto il resto.
Ha detto: "Perdono coloro che sono colpevoli della mia morte".»
«Sì, era da lui parlare così.»
Dopo che il tenente è uscito, sono rimasta a lungo ad aspettare di udire le voci
degli strilloni per la strada che annunciavano gli avvenimenti della giornata.
«Luigi Capeto giustiziato!» gridavano. «L'ex sovrano morto!» «Madame
Ghigliottina sposa il cittadino Capeto!»
2 marzo 1793
Adesso mi portano ogni giorno una zuppa speciale perché sono troppo magra.
Dopo la morte di Luigi, non sono più riuscita a mangiare e il mio abito nero ha
finito per pendermi addosso come uno straccio.
La gamba ha ricominciato a farmi male e il medico della prigione mi ha dato delle
gocce di laudano da prendere quando il dolore diventa troppo forte. Il laudano
acuisce ancor più i miei incubi notturni e Mousseline, che è tanto buona con me e
mi assiste quasi come una madre, dice di essere sicura che la mia malinconia e la
mia tristezza sono aggravate dal medicinale e insiste perché non lo prenda.
Adesso di notte stiamo tutti insieme in un'unica camera, i miei due figli e io. Mi
conforta tanto averli vicini.
Lascio la camera solo quando ci portano i pasti e ci sediamo a tavola di fronte al
camino nella stanza comune, un posto che mi fa tristezza, perché mi fa pensare a
Luigi che se ne stava nella sua grande poltrona e dava lezioni a Luigi Carlo.
Preferisco rimanere seduta sul letto a lavorare a maglia, mentre Mousseline mi
legge brani tratti da romanzi o racconti di naufragi o di pirati. Quando mi pettino,
i capelli mi cadono a ciocche. Adesso sono tutti bianchi.
Una delle guardie si diverte a ritrarci con i pastelli. Coglie molto bene i tratti
caratteristici dei bambini. Luigi Carlo è raffigurato con le guance paffute e uno
sguardo vivace e birichino negli occhi azzurri. Mousseline è rappresentata in
modo molto realistico, bionda, delicata e graziosa, anche se non bella,
l'espressione quieta venata di dolore. Quanto a me, la mia immagine è quella di
una donna dall'aria amara e dalle guance incavate, con cerchi scuri intorno agli
occhi e rughe profondamente incise nella pelle. Com'è possibile che quella sia io?
24 marzo 1793
Temo che stiano cercando di avvelenare Luigi Carlo. È così spesso malato, ha la
fronte che brucia per la febbre, piange e si preme con la mano il fianco dove sente
dolore. A volte ha una brutta tosse e respira a fatica quando si sdraia, quindi me lo
tengo in grembo e così dorme appoggiato a me. Anch'io cerco di dormire, ma di
solito sono assalita dagli incubi e allora grido e mi sveglio, svegliando anche lui.
Ho una piccola scorta di olio di mandorle dolci, che mi era stato dato dal dottor
Concarneau. Lo conservo nel caso in cui Luigi Carlo si ammali gravemente.
Luigi Carlo, il mio figlio così caro, è adesso Luigi XVII. È naturale che i
rivoluzionari vogliano eliminarlo. Sono talmente crudeli, talmente spietati che
non esiterebbero a uccidere un bambino. E se possono farlo avvelenandolo
lentamente per dare l'impressione che stia morendo di malattia anziché
assassinato, eviteranno qualsiasi accusa di crudeltà. Solo poche settimane fa stava
bene. Adesso è pallido e spesso dolorante. Che cos'altro può essere se non il
veleno?
10 maggio 1793
Luigi Carlo sembra stare meglio e io sono confusa. Stanno davvero avvelenando
il suo cibo oppure no?
Ho ricevuto nuovi messaggi da parte di Axel, ma non oso scrivere qui quello che
mi dice. Il mio umore è migliorato grazie alle notizie che mi ha mandato, alla
temperatura mite e alle rose rosa e gialle che scorgo dalla mia finestra.
È il caldo che mi fa sentire tanto stanca? Continuo a nutrirmi principalmente della
zuppa che mi è stata prescritta e di un po' di pane.
18 maggio 1793
È venuto. Il «Demonio Verde». L'uomo che dicono sia adesso responsabile di tutti
e di tutto. Maximilien Robespierre.
A un certo punto, ho percepito un certo fermento fuori dalla mia stanza e, subito
dopo, è entrato Robespierre. Ero sdraiata sul letto a riposare e Mousseline mi
stava leggendo qualcosa. Alla vista di quell'uomo piccolo e brutto, con panciotto e
pantaloni di un verde brillante, il viso da falco butterato dal vaiolo, gli strani occhi
chiari che apparivano enormi dietro le lenti degli occhiali, ha involontariamente
emesso un grido.
«Non abbiate paura, Maria Teresa» ha detto lui in tono untuoso, con voce forte e
nasale. «Sono qui per aiutare la vostra famiglia.»
«Avete aiutato mio padre mettendolo a morte» ha ribattuto la mia coraggiosa
figlia. «Adesso volete attaccare mia madre. Non vedete che è malata?»
«Mousseline, mia cara, per favore lasciateci soli. Andate a cercare vostro fratello.
Penso che stia giocando a palla in cortile.»
«Il vostro defunto padre» è intervenuto Robespierre «è stato una vittima della
Convenzione. Non avrei potuto impedire la sua morte. Ma non l'ho chiesta io.»
«Non crederò mai ad alcuna cosa che possiate dire» ha ribattuto Mousseline
uscendo. «Volete ucciderci tutti.»
L'ardimento di mia figlia mi ha fatto temere per lei. In ogni caso, temo per
entrambi i miei figli.
Il «Demonio Verde» (non riesco a pensare a lui in altro modo) ha mosso un passo
avanti nella camera, con gli alti tacchi delle scarpe lucide che battevano
rumorosamente sul pavimento, e ha preso una sedia. Poi, estratto dalla
tasca un fazzoletto di lino, ne ha pulito accuratamente il sedile e infine si è
accomodato. I suoi gesti erano nervosi. Era chiaramente molto teso e faceva di
tutto per controllarsi.
Si è rosicchiato un'unghia e ho notato che gli si contraevano le mascelle. Ogni
tanto si premeva una mano contro la guancia, come per tentare di far cessare le
contrazioni, ma invano.
«Non mi è sfuggito che siete una donna intelligente, cittadina» mi ha detto in tono
pacato, con voce suadente ma minacciosa «e, in questo momento, le donne
intelligenti sono un pericolo per la Francia. Ritengo che stiate operando in
combutta con un'altra donna intelligente, la cittadina Roland, mia rivale.»
Jeanne-Marie Roland era la famosa esponente di punta del partito favorevole alla
guerra all'interno della Convenzione, i girondini. Non l'avevo mai incontrata e
tanto meno ero in combutta con lei. Ma Robespierre la pensava diversamente.
Non ho detto niente e lui ha proseguito.
«Voi e la cittadina Roland state cospirando per distruggere la Rivoluzione e siete
segretamente in contatto con i ribelli nell'Ovest.» Si riferiva ai contadini della
Vandea, in rivolta da molti mesi. «E con i nostri nemici, gli austriaci.»
La voce, sempre bassa, si era fatta sibilante. Robespierre parlava a denti stretti,
mentre le mascelle gli si contraevano convulsamente.
«I nemici sono alle porte, perfino all'interno dei nostri confini. Il paese non è mai
stato più in pericolo. Voi e i vostri figli non siete mai stati più in pericolo.»
Ho avvertito la minaccia contenuta nelle sue parole e, improvvisamente, mi sono
sentita assalire da un profondo terrore. Dov'era Luigi Carlo? Dov'era Mousseline?
Quest'uomo orribile aveva forse portato con sé le truppe per impadronirsi dei miei
figli? Robespierre si è alzato in piedi con agilità e si è messo a camminare su e giù
davanti a me mangiandosi le unghie.
«Se cessate la vostra futile cospirazione, risparmierò vostro figlio. Altrimenti...»
Mi sono sentita il cuore in gola. Per un attimo, in preda alle vertigini, ho pensato
che sarei morta, ma poi la crisi è passata.
«Sappiamo da tempo che la traditrice cittadina Roland e la sua accolita di traditori
vogliono cancellare la Rivoluzione, restaurare la monarchia e insediare vostro
figlio sul trono come prossimo sovrano. Noi abbiamo giurato di impedire a tutti i
costi che questo avvenga. Potremmo semplicemente consegnarvi tutti al freddo
abbraccio della "lama dell'eternità". Ma io preferirei usare mezzi più sottili per
raggiungere i miei scopi, in modo da tenere i miei nemici sulla corda.»
Ho fatto del mio meglio per combattere la tremenda paura che mi aveva invasa,
paura che s'intensificava a ogni sguardo penetrante dei piccoli occhi chiari
dell'uomo che mi stava davanti. Tuttavia, intuivo vagamente che quell'essere
vanesio, affettato, pericoloso, che portava pizzi al collo e ai polsi e indossava una
parrucca incipriata e scarpe con i tacchi alti secondo la vecchia moda di corte, si
muoveva alla cieca. Era preda delle sue paure.
Lentamente, mentre lui continuava a parlare con la sua voce nasale, ho pensato di
aver capito che cosa stava succedendo. Robespierre aveva ancora più paura di me.
Paura di tutti, non solo della cittadina Roland e dei suoi girondini, non solo dei
contadini ribelli dell'Ovest e del fantomatico esercito austriaco (che, come sapevo
dalle lettere di Axel, era in piena ritirata), ma della fragilità del suo stesso potere.
La paura di una terribile ritorsione lo attanagliava e non lo abbandonava.
Molto bene. Avrei usato quella paura a mio vantaggio.
Mi sono alzata in piedi e, sentendomi malferma sulla gamba malata, mi sono
appoggiata alla testiera in ferro del letto. Non mi ero mai sentita più simile alla
regina che ero stata un tempo, alla regina che ero ancora.
«Liberate subito me e i miei figli e, una volta che ci troveremo sotto la protezione
dell'esercito austriaco, renderò di pubblico dominio quello che so e vi metterò in
grado di sconfiggere i vostri nemici.»
Lui si è messo a ridere - un suono secco, orribile, strozzato, più simile a un colpo
di tosse che a una risata - e mi si è avvicinato.
«Ditemi immediatamente tutto quello che sapete, altrimenti ordinerò che vostro
figlio sia mandato alla ghigliottina.»
«Non osereste fare una cosa simile. Tutta la Francia insorgerebbe contro di voi.»
«Tutta la Francia, Madame, insorgerebbe e mi benedirebbe.»
Allora, facendo appello a tutto il mio coraggio, ho raddrizzato la schiena e mi
sono impettita in una posa regale.
A quel punto, mi sono resa conto che, sebbene indossassi pantofole basse mentre
lui portava scarpe con i tacchi, ero più alta di Robespierre.
«Liberateci, altrimenti ordinerò la distruzione di Parigi.» L'ho visto sbiancare in
volto e ho avvertito un impeto di orgoglio. Ho pensato che Axel sarebbe stato
fiero di me.
In quel momento, un personaggio familiare, con il mantello scuro e il tricorno, è
entrato nella stanza, portando il recipiente di petrolio da lampada, la pietra focaia,
lo stoppaccio e il coltello per regolare gli stoppini. Canticchiava fra sé, assorto nel
compito notturno di accensione delle lampade.
«Lasciate perdere» gli ha gridato Robespierre.
C'è stato un attimo di pausa, poi il lampionaio si è avvicinato ed è venuto fino al
tavolo dove Robespierre e io ci trovavamo, in piedi uno di fronte all'altra.
«Se permettete, signore, si fa buio e devo accendere le lampade. Farò in un
attimo.»
Si è fermato fra noi per cui è venuto a trovarsi a pochissima distanza
dall'esasperato Robespierre, al quale ho visto tremare la mascella.
«Fermatevi subito! Non sapete chi sono?»
Il lampionaio si è voltato per guardare in faccia Robespierre e, nel farlo, ha
rovesciato il contenuto del recipiente di petrolio sul panciotto verde di lui.
«Stupido idiota!»
Il seguito si è svolto con tanta rapidità che non me ne sono quasi resa conto: il
lampionaio, che naturalmente era il tenente de la Tour, è riuscito a battere sulla
pietra focaia, sprigionandone una scintilla che ha dato fuoco al panciotto.
Sono indietreggiata nell'angolo della stanza, mentre dalle labbra secche di
Robespierre usciva un suono disumano.
«Acqua! Acqua!» ha gridato dandosi dei colpi al panciotto per soffocare le
fiamme che, devo dire, erano ben lungi dal divampare sul serio. Un lembo del
panciotto si era bruciacchiato, ma c'era molto più fumo e panico che vero e
proprio fuoco.
Tre guardie sono entrate di corsa, portando brocche d'acqua, e hanno inzuppato il
farfugliante Robespierre annerito dal fumo. Nel frattempo, il lampionaio è
svanito.
Non l'ho visto uscire. Dopo avermi assicurato, in tono adirato e minaccioso,
che avrei ricevuto altre visite da parte sua e del Comitato di vigilanza,
Robespierre, bagnato fradicio, è uscito a cercare il medico della prigione. Non
sembrava ferito, anche se aveva la parrucca bruciacchiata e i costosi pizzi che
portava al collo e ai polsi erano sporchi di fumo e di cenere. Quella sera a cena,
per la prima volta da mesi, homangiato con appetito.
5 luglio 1793
Sono venuti a prenderlo la mattina all'alba. Quattro nerboruti uomini del Comitato
di vigilanza sono piombati nella camera dove dormivo con i miei figli e mi hanno
ingiunto di consegnare Luigi Carlo. Naturalmente mi sono rifiutata, sono saltata
giù dal letto e mi sono gettata fra il bambino e quegli uomini, cercando di
respingerli e mettendomi a urlare quando sono balzati verso di me e hanno tentato
di strapparmelo via.
Non provavo né vergogna né orgoglio. L'unica cosa che mi interessava era
impedire a quei criminali di portare via mio figlio. Li ho graffiati con le mie
povere unghie malcurate e ho morsicato il braccio di uno di loro fino a farlo
sanguinare. Li ho minacciati con l'unica arma che possedevo, un lungo grattatesta
d'avorio. Alla fine li ho implorati, in lacrime, di non portarmi via il bambino.
Naturalmente, è stato tutto inutile. Erano furiosi con me e mi hanno detto con
molta chiarezza che, se non avessi consegnato loro Luigi Carlo spontaneamente e
subito, avrebbero ucciso entrambi i miei figli.
Sono stata costretta a lasciarlo andare. Da quel momento non ho fatto altro che
piangere. Ho paura che non lo rivedrò mai più.
11 luglio 1793
Se aspetto abbastanza a lungo, riesco a vederlo. Tutti i pomeriggi lo portano in
cortile per fare un po' di moto, passando davanti alla finestrella della stanza del
corpo di guardia. A volte lo portano fuori all'una o alle due, altre volte non prima
delle quattro o delle cinque. Io rimango seduta davanti alla finestra e aspetto.
Lui mi passa davanti, saltellando e cantando, con il berretto rosso della libertà in
testa. Il mio adorato Luigi Carlo, il mio caro piccolo re. Un giorno, a Dio
piacendo, verrà incoronato. Quanto vorrei esserci per vederlo!
3 agosto 1793
Mi hanno concesso mezz'ora per salutare la mia amata figlia e preparare le mie
cose. Quando ho chiesto se avrei fatto ritorno al Tempio, il funzionario di turno si
è limitato a scuotere il capo. So cosa voleva dire. So quale sarà il mio destino.
All'inizio, ho avuto un senso di vertigine e di nausea, ma poi è passato. Un
pensiero fugace e inaspettato mi ha attraversato la mente: forse avrei rivisto Luigi.
Mi sono seduta accanto a Mousseline, proprio come mia madre si era seduta
accanto a me tanti anni fa, prima che lasciassi Vienna, e ho parlato con lei:
entrambe sapevamo che, a meno di un miracolo, quella sarebbe stata la nostra
ultima conversazione. Ci siamo dette la cosa che più conta, che ci vogliamo tanto,
tanto bene. Mousseline, benedetta, benedetta figliola, mi ha detto che avrebbe
desiderato dare la sua vita in cambio della mia.
«Abbiate cura di vostro fratello» le ho raccomandato.«Un giorno voi due sarete
liberati. Siate una madre per lui.»Abbiamo pregato insieme di riuscire a essere
forti e di essere affrancate dalle mani dei nostri nemici. Poi il capitano delle
guardie è venuto a prendermi e sono stata condotta, sotto stretta sorveglianza, alla
Conciergerie, dove sono stata fatta spogliare, esaminata per vedere se avevo
qualche malattia e privata di quasi tutto il poco che possedevo. Adesso sono
ufficialmente la cittadina Maria Antonietta Capeto, vedova, prigioniera numero
280, in attesa di essere giudicata e condannata a morte.
XVIII.
11 agosto 1793
Sta spuntando l'alba. Attraverso le inferriate dell'unica finestrella di questa
minuscola stanza entra la prima debole luce del giorno e, non avendo una candela,
scrivo in un tenue chiarore.
Le guardie che dormono nella stanza con me russano, dimentiche della mia
presenza. Questo è l'unico momento della giornata in cui riesco ad avere un po' di
intimità... adesso e a notte fonda dopo che i miei sorveglianti, avendo bevuto
abbondantemente, sono caduti addormentati.
Sono stata malata, ma ora sto meglio. Il trauma di trovarmi in questo posto e la
consapevolezza di essere sul punto di venire condotta in giudizio mi hanno
indebolita e per diversi giorni sono stata alla mercé del medico della prigione e
della cameriera che mi hanno assegnato, una ragazza dolce e obbediente di nome
Rosalie. Per qualche giorno sono stata a malapena consapevole di essere viva.
Ricordo solo di aver scorto il viso del dottore, di aver avvertito l'odore dell'infuso
di fiori di tiglio che mi ha fatto bere e anche di essere stata imboccata da Rosalie.
La verità è, tanto vale ammetterlo, che sono invecchiata. Ed, essendo vecchia,
sono debole. A volte ho paura di morire, altre mi sento coraggiosa e impavida. Il
mio corpo si è infiacchito e indebolito, sono come un vecchio albero che ha perso
le foglie e ha cominciato a seccarsi. Un tempo ero bella, di questo sono ancora
certa.
Qui dormo male e non sempre ho la mente lucida. Le immagini del passato si
accavallano con quelle del presente e ogni tanto sono confusa. La cella è così
piccola, buia e spoglia! Odora di muffa e, quando piove, l'acqua cola lungo le
pareti di pietra.
14 agosto 1793
Dopo molti mesi in cui non ho più avuto le mestruazioni, adesso perdo sangue in
continuazione. Rosalie porta via la mia biancheria sporca e la sostituisce con
quella pulita; io sono costretta a cambiarmi di frequente e, quando lo faccio, solo
un sottile paravento macchiato mi separa dalle guardie. Provo spesso imbarazzo.
Un sudicio ladro dai capelli neri, di nome Barassin, con una smorfia perenne sulla
faccia, entra a tutte le ore del giorno e della notte per svuotare il mio pitale. Riesce
anche a racimolare un po' di denaro lasciando entrare nella cella persone che mi
guardano a bocca aperta e sono disposte a pagare qualche moneta per questo
spettacolo.
Devo essere proprio una bella visione! L'ex regina, che una volta risiedeva in un
grande palazzo pieno di ori e di marmi, di lampadari di cristallo e di tende di
velluto, adesso è confinata in una cella angusta con i muri fatiscenti e pochi miseri
arredi. Qui ho solo due vestiti: uno nero e consunto e uno bianco. Ogni sera
Rosalie manda a pulire in cucina il mio unico paio di scarpe. Mi ha sussurrato
all'orecchio che molti degli altri prigionieri rinchiusi qui dentro, per la maggior
parte aristocratici, vanno a rendere omaggio alle mie scarpe e arrivano perfino a
baciarle in segno di devozione!
È una notizia molto commovente e consolante. Naturalmente so che, in realtà,
rendono omaggio al mio defunto marito, non a me. Io sono solo un simbolo di
tutto quello che hanno perduto.
27 agosto 1793
Meraviglia delle meraviglie! Posso a malapena credere a quanto è accaduto!
Ieri sera, verso le nove, proprio quando le guardie nella mia cella, ubriache,
cominciavano ad appisolarsi, il villoso Barassin dalla perenne smorfia ha
introdotto un visitatore, insieme al suo grande cane lupo.
«Eccola, la prigioniera numero 280, l'ex regina. Non starà qui ancora per molto,
dicono.»
Mentre Barassin introduceva l'uomo, le guardie si sono mosse sulle sedie, ma non
hanno prestato eccessiva attenzione al nuovo venuto. Sono abituate al fatto che io
venga messa in mostra.
Non appena ho visto Malachi, che mi si è avvicinato e mi ha leccato le mani con
la sua lingua rosa, ho capito che il visitatore era Axel. Ho sentito il cuore
accelerare i battiti e non l'ho guardato. Ho avvertito il rossore salirmi alle guance.
Lui rideva, una risata sonora. «E così è lei, vero? Che spettacolo! Come sono
caduti in basso i potenti, eh?»
Ho sentito il tintinnio delle monete. Axel stava dando del denaro, e molto, a
Barassin e alle due guardie. «Allora, perché non andate tutti giù alla taverna e ci
portate del vino? E bevetene anche voi mentre siete là.»
«Grazie, signore, siete molto generoso.»
I tre se ne sono andati, chiudendosi dietro la porta a chiave e lasciando Axel e me
da soli. Lui è rimasto in ascolto dietro la porta, e, quando è stato sicuro che si
erano allontanati, mi si è avvicinato e mi ha stretta fra le braccia.
Per un lungo momento, siamo rimasti così, abbracciati, e per me tutto ha perso
valore in confronto al semplice conforto del suo corpo contro il mio, del suo
odore familiare, del suo calore e della sua vitalità.
«Abbiamo pochissimo tempo» ha detto Axel dopo qualche istante, e mi ha
condotta al tavolino, dove ci siamo seduti insieme. «Il 15 settembre verrò a
prendervi verso mezzanotte» ha detto. «Ci sarà un banchetto di addio in una delle
celle di quest'ala. I Cavalieri del Pugnale serviranno il cibo e staranno in allerta.
Le vostre guardie verranno attirate al banchetto, che si trasformerà in un'orgia.
Voi e io scapperemo. Ho corrotto una delle sentinelle perché ci faccia lasciare la
prigione dal cancello principale.»
«E i miei figli?»
«Il tenente de la Tour farà in modo di farli uscire dal Tempio e di portarli dove
voi e io saremo ad attenderli.»
Mi ha preso la mano e ha sorriso. «Non avete nulla da temere. Questa volta ci
riusciremo. Vedrete.»
«Dove andremo?»
«In Svezia. A Fredenholm. Vi è piaciuto tanto quel posto, con la sua pace!
Saremo tutti in salvo là, lontani dalla follia di Robespierre e del suo Comitato di
salute pubblica. È pazzo, lo capite, no?»
«Lo so. L'ho incontrato.»
«Il vostro incontro è noto a tutti. Siete la donna più coraggiosa del mondo.»
«Stasera mi sento la più fortunata.»
«Vi ricordate il matrimonio cui abbiamo partecipato a Fredenholm, nella mia
tenuta?»
«Sì, certo.»
«Quando saremo là, mio adorato piccolo angelo, celebreremo il nostro
matrimonio, vero? Volete?»
A quel punto non ho potuto trattenermi e mi sono messa a piangere.
«Sarò una vecchia sposa malconcia.»
«Per me, adorata fanciulla, sarete la sposa più bella su cui il sole abbia mai posato
i suoi raggi. E poi v'ingrasseremo con buone torte e crostate svedesi e bacche di
rovo e pesce.»
Il suo sorriso e lo sguardo d'amore nei suoi occhi adorati sono le sole cose cui
riesco a pensare in questo momento.
Verrà a prendermi. So che verrà. Mancano solo diciannove giorni. Può accadere
di tutto in diciannove giorni, lo so. Ma ho fiducia in Axel. Se solo potessi parlare
con Luigi Carlo e Mousseline per renderli partecipi di questi giorni di felice
attesa. Conto le ore.
5 settembre 1793
Mancano solo dieci giorni. Verrà a prendermi. Verrà.
13 settembre 1793
Il momento è talmente vicino adesso, ho paura. Prego di essere liberata.
17 settembre 1793
Era tutto così ben organizzato. Axel aveva progettato l'operazione nei minimi
particolari ed è una persona meticolosa.
Non avremmo potuto fare nulla senza l'aiuto di Barassin (che, come è poi venuto
fuori, è uno dei Cavalieri del Pugnale; mi ero completamente sbagliata sul suo
conto) e di diversi funzionari che Axel aveva corrotto con sonanti monete d'oro
svedesi e austriache. Avevamo anche l'aiuto di Eléanore Sullivan, che aveva
prestato ad Axel la sua carrozza.
A Rosalie Lamorlière, la mia cameriera, non è stato detto niente del piano. Non
volevo metterla in pericolo. È stata buona con me.
Barassin mi ha portato un'ultima lettera di istruzioni e un pacco, solo qualche ora
prima del previsto arrivo di Axel, alla mezzanotte del giorno 15. Il pacco
conteneva un paio di pantaloni blu, una carmagnola rossa, un cappello nero e
scarpe nere da uomo: la divisa di un funzionario municipale. C'erano anche
documenti falsi per me e per i bambini.
Per tutta la sera sono stata preda di un insopportabile nervosismo, scossa da un
tremito continuo. Ho detto alle guardie che temevo di avere la malaria e questo le
ha tenute lontane da me il più possibile, compatibilmente con l'esiguo spazio della
cella.
Verso le dieci ho sentito arrivare le persone che avrebbero dovuto partecipare al
banchetto non lontano dalla mia cella. I prigionieri condannati a morte danno
spesso un banchetto la notte prima dell'esecuzione, un macabro rituale. Adesso
tanti detenuti vengono condannati a morte; Rosalie mi dice che, a volte, ci sono
fino a venti esecuzioni in un giorno. Non c'era quindi da stupirsi che uno
dei miei compagni di prigionia stesse dando l'addio agli amici questa notte, senza
dubbio incoraggiato da Axel e dai Cavalieri.
Sentendo l'odore di piatti gustosi, mi è venuta una gran fame. Ben presto ho udito
canti e grida. Al banchetto le voci cominciavano a farsi rauche. Verso le undici
del mio orologio d'oro (che tengo appeso a una catena attaccata a un chiodo sul
muro), ho sentito bussare alla porta della cella: era Barassin che avvertiva che lui
e le due guardie erano stati invitati alla cena. Le guardie sono sgusciate fuori e
Barassin ha chiuso la porta a chiave.
Quando l'ha riaperta più tardi, verso mezzanotte, ha fatto entrare Axel, che
reggeva una lanterna ed era vestito con una tonaca nera da prete; io avevo già
indossato il mio travestimento e lo aspettavo.
«Presto» ha detto Axel. «Seguitemi. Tenete la testa bassa. Non mostrate il viso.
Se ci fermano, lasciate parlare me. Voi e io ci stiamo recando nella cella di un
condannato. Una volta raggiunto il cortile, diremo che stiamo andando nella sala
dove si riunisce il Tribunale rivoluzionario per informarli di aver fatto visita al
condannato.»
Ho resistito all'impulso di prendere la mano di Axel e, cercando di camminare con
passo virile, l'ho seguito lungo il corridoio male illuminato. Nel passare davanti
alla cella in cui si teneva il banchetto (la porta era spalancata), abbiamo visto le
mie due guardie chiaramente in preda ai fumi dell'alcol, che gozzovigliavano
senza prestare la minima attenzione né a noi né ad alcun altro nel corridoio.
Mi sono chiesta quanto ci avrebbero messo ad accorgersi della mia assenza.
Quando siamo arrivati al primo dei tre cancelli della prigione, quello più interno,
abbiamo mostrato i documenti e siamo stati fatti passare. Al cancello intermedio,
una guardia ci ha puntato in faccia una lanterna e mi ha osservata con piglio
severo, poi ci ha lasciati proseguire e io ho pensato che ormai eravamo salvi.
Tuttavia, mentre ci avvicinavamo al cancello principale, abbiamo visto che vi era
appostata una ventina di soldati.
Ho sentito Axel sussultare. «Il nostro uomo non c'è» ha mormorato. «Dobbiamo
tornare indietro.»
Siamo tornati sui nostri passi, abbiamo attraversato il cortile e ci siamo infilati
sotto un portico dove alcuni stallieri stavano strigliando i cavalli. Ci siamo fermati
nell'ombra, ma eravamo pur sempre visibili a causa della lanterna di Axel.
Che cosa potevamo fare? Eravamo in trappola. Se fossi rientrata nella mia cella,
forse non ne sarei mai più potuta uscire; d'altronde, non potevamo passare dal
cancello principale perché la sentinella che Axel aveva corrotto non era nei
paraggi. Questo era un segnale preoccupante.
L'uomo era stato arrestato? Aveva rivelato il piano di Axel o ciò che ne sapeva?
Mentre ci guardavamo intorno, gli stallieri hanno finito il loro lavoro e hanno
portato via i cavalli.
«Seguiamoli» ho sussurrato e Axel, suppongo perché non sapeva cos'altro fare, ha
acconsentito. Com'era prevedibile, siamo giunti alle scuderie, dalle cui finestre si
vedeva un andirivieni di carri e cavalieri attraverso l'ingresso dei fornitori che, a
differenza dell'entrata principale del carcere, era sorvegliato da una sola guardia.
Ho riflettuto rapidamente. Axel era un buon conducente e sapeva guidare con
maestria una carrozza. Certamente sarebbe stato in grado di condurre un piccolo
carro. Se fossimo riusciti a trovarne uno carico di sacchi di farina vuoti o botti o
casse, avremmo potuto fingere di essere fornitori.
«Avete una camicia sotto la tonaca?»
«Sì.»
«Allora toglietevi la tonaca e cercate di assumere l'aspetto di un conducente.» Lui
lo ha fatto, dopodiché ci siamo messi a cercare il veicolo adatto. Per fortuna
c'erano pochi stallieri in giro a quell'ora - era ormai l'una del mattino - e nessuno
ci ha fatto domande mentre perlustravamo le stalle. Alla fine abbiamo trovato un
vecchio carro al quale abbiamo attaccato un assonnato, ma docile cavallo.
«Ti requisiamo per conto dello Stato» ha detto Axel al cavallo, mentre gli metteva
i finimenti scelti fra i molti che pendevano alle pareti. Alcuni sacchi vuoti, una
grande giara di terracotta e una pila di coperte ci sono serviti da carico. Ci siamo
arrampicati sul carro, Axel ha toccato leggermente il cavallo con un lungo bastone
che aveva trovato sul fondo e siamo partiti.
«A Gentilly?» ha chiesto la guardia ad Axel quando siamo giunti al cancello.
Axel ha fatto un cenno affermativo e siamo stati lasciati passare. Non appena il
cavallo ha imboccato la strada ho sentito che la tensione che mi serrava lo
stomaco cominciava ad allentarsi. Mentre procedevamo e il cavallo guadagnava
velocità, ho visto profilarsi, a una quindicina di metri di distanza, un'ombra
minacciosa nell'oscurità. Avvicinandoci, ci siamo resi conto che si trattava di una
barricata, costruita alla bell'e meglio con mattoni, legname e pezzi di vecchi letti,
tavoli e sedie, impilati alla rinfusa di traverso alla strada. Avevamo la via sbarrata.
Axel ha fatto voltare il cavallo, con l'intenzione di rifare lo stesso cammino
all'inverso, ma, mentre il carro era impegnato nella lenta manovra, abbiamo scorto
un corteo di persone - parigini, comunardi - con lanterne e torce. Ci avevano
evidentemente seguiti in silenzio mentre ci avvicinavamo alla barricata. Non
potevamo lanciarci con il carro su di loro, investendoli. Ancora una volta,
eravamo in trappola. In mezzo a quella gente c'era Amélie. Aveva un'aria di
trionfo, un piglio autoritario sul volto implacabile, e teneva in mano una
pistola.«Scendete e mostratevi.»
Axel è saltato giù dal carro e mi ha aiutata a scendere.«Toglietevi il cappello» mi
ha ingiunto. Che cosa avrei potuto fare? Me lo sono tolto e i miei lunghi capelli
grigi sono ricaduti sulle spalle. Ho visto gli occhi di Amélie spalancarsi.
«Pazza!» ha tuonato. «Pensavate davvero di poter sfuggire al Comitato di
vigilanza?» Agli uomini che le erano più vicini ha detto: «Riconosco questa
donna come la prigioniera numero 280. Riportatela immediatamente alla
Conciergerie e consegnatela al capitano delle guardie.»
Axel mi si è parato davanti, ha estratto la pistola e l'ha puntata contro Amélie.
«Lasciatela andare.»
«Prendetela» ha ripetuto Amélie agli uomini. Questi si sono avvicinati per
eseguire l'ordine. Axel ha sparato e uno di loro è caduto a terra. Amélie ha sparato
ad Axel, colpendolo alla spalla. Io mi sono messa a urlare. Lui è caduto a terra.
Allora ho fatto per avventarmi su Amélie, ma sono stata trattenuta da alcuni
comunardi che mi hanno trascinata lungo la strada che avevamo percorso, in
direzione della prigione.
«Non temete, prigioniera, lui sopravvivrà» mi ha gridato Amélie. «Almeno il
tempo necessario per estorcergli la verità con la tortura.»
Ho sputato nella sua direzione. «Quando arriveranno gli eserciti a soccorrerci,
morirete tutti. Morirete tutti di una morte orribile.»
Amélie ha riso. «Sarete voi a morire, prigioniera. E presto. Noi siamo il Comitato
di vigilanza. Non permettiamo che i nemici della Rivoluzione sfuggano alla
giustizia.»
30 settembre 1793
Non posseggo quasi più nulla di mio. Un guanto giallo di mio figlio, il piccolo
angelo che Axel mi ha regalato, il mio anello nuziale e quello di Luigi, la cintura
di santa Radegonda. E questo diario, la storia della mia vita.
Ma, in fondo, di che cosa ho davvero bisogno? Mi resta ormai poco tempo.
Tutte le mattine e tutte le sere viene alla mia finestra un uccellino, piccolo,
marrone scuro, con le zampette gialle e il becco arancione. È magro, lo vedo
tremare e arruffare le piume per difendersi dal vento autunnale. Gli do delle
briciole della mia rozza pagnotta nera. Cibo adatto a contadini e uccellini, non
certo a una regina!
Se solo fosse un piccione viaggiatore e potesse volare da Axel! Axel è in Svezia
adesso, suppongo. Libero e felice. So che era stato ferito, ma penso che sia
guarito. Sta seduto su una sedia vicino a uno splendido lago, con Malachi accanto.
Pensa a me.
Rosalie mi dà così tanto infuso di fiori di tiglio ed etere che dormo quasi tutto il
giorno. Di notte, però, sento tante grida. Molti prigionieri vengono condotti a
morte, ogni giorno in numero sempre maggiore. Hanno paura. Che Dio li
benedica!
Nota di Rosalie Lamorlière, cameriera della vedova Capeto nella prigione della
Conciergerie, scritta la sera del 16 ottobre 1793 e aggiunta a questo diario
La mia signora, la vedova Capeto, l'ex regina Maria Antonietta, è stata prelevata
stamattina nella sua cella dai membri del Tribunale rivoluzionario che l'ha
condannata e dal boia Henri Sanson. L'ho aiutata a vestirsi e a raccogliere i capelli
nella cuffia di lino. Aveva conservato la cuffia per questo giorno, tenendola
sempre candida e pulita, ma non gliel'hanno lasciata indossare, le hanno tagliato i
capelli e le hanno legato le mani.
L'ho seguita fuori nel cortile. Zoppicava perché le faceva male la gamba, ma non
si è lamentata. Ho visto che muoveva le labbra mentre camminava e ho capito che
stava recitando le sue preghiere e cantando una canzoncina della sua infanzia:
«Soldato del reggimento, siate forte, siate coraggioso». L'hanno fatta sedere sul
carro con le spalle rivolte al conducente, proprio come una criminale.
È stato crudele farle questo.
Ho seguito il carro per tutto il percorso fino alla piazza e sono rimasta in piedi
dietro ai soldati in un posto dove potevo vedere la mia signora, anche se non
riuscivo a distinguerla molto bene perché piangevo. Lei ha salito rapidamente i
gradini fino al patibolo e si è stesa sotto la mannaia.
Alcuni dicono che ha calpestato il piede del boia e ha chiesto scusa, ma questo
non l'ho sentito.
Si è udito un rumore stridente e la lama è caduta. Ho visto il boia sollevare la testa
della mia signora e fare un giro per mostrarla alla gente. La folla ha acclamato e
applaudito e qualcuno ha ballato e cantato, mentre altri sono rimasti silenziosi o
tristi. Alcuni uomini hanno alzato pugnali d'oro in una specie di saluto, mentre la
testa veniva gettata sulle nude assi e il corpo veniva portato via.
Non la dimenticherò mai. Era una grande signora, la signora più dolce che abbia
mai conosciuto e anche molto coraggiosa. Per settimane le sono stata vicina e l'ho
conosciuta meglio di chiunque altro e posso testimoniare che era molto buona. Si
è vestita di bianco per la decapitazione perché ha sempre detto di essere innocente
e io le credo.
La signora ha scritto un'ultima annotazione in cui ha immaginato come sarebbe
stata la sua morte e ha scritto della morte del nostro sovrano, e del figlio e della
figlia e di quanto li amava tutti. È stata tanto gentile da citare anche me. Sino alla
fine, non ha mai smesso di sperare.
Subito prima di cominciare a scrivere su questo diario, ho trovato un biglietto nel
suo libro di preghiere. Ecco cosa aveva scritto:
Addì 16 ottobre, quattro e trenta del mattino
Mio Dio, abbiate pietà di me!
I miei occhi non hanno più lacrime da versare per i miei poveri figli - Addio,
addio!
Maria Antonietta
NOTA PER IL LETTORE
Il diario segreto di Maria Antonietta è un'opera narrativa, non una cronaca
rigorosa; un romanzo storico, non un tentativo di ricostruzione storica. I lettori
che desiderino un resoconto scientifico della vita di questa regina possono
trovarlo nella biografia da me scritta, Maria Antonietta, e nelle note e nella
bibliografia in essa contenute. Mentre Axel Fersen è un personaggio storico e ha
amato profondamente Maria Antonietta, Eric è un'invenzione, così come
invenzioni sono Amélie, Sophie e padre Kunibert dalle folte sopracciglia. Per
quanto ci è dato sapere, Maria Antonietta non si è mai recata in Svezia; i Cavalieri
del Pugnale, invece, sono esistiti davvero, ma non si sa quasi nulla delle loro
imprese. Gli storici si attengono fedelmente alle loro fonti e, se sono seri, non si
discostano molto da quanto si può ragionevolmente dedurre da esse, in assenza di
precisi riscontri. I romanzieri, invece, inventano: scene, dialoghi, motivazioni,
interi episodi. Tuttavia, in questo testo, l'invenzione è strettamente legata a quanto
so di Maria Antonietta e di coloro che le sono stati vicini ed è corroborata da
decenni di indagini sul tardo diciottesimo secolo e dal materiale storico che per
anni ho esaminato nel dettaglio. La mia speranza è che, attraverso la magia di una
narrazione semplice, sintetica, drammatica, lo spirito di Maria Antonietta e del
suo entourage, appartenente a un tempo ormai lontano, possa risvegliarsi e tornare
a nuova vita.
UNA DONNA AFFASCINANTE E CONTROVERSA AL CENTRO DI UN
MOMENTO STORICO CRUCIALE SI RACCONTA ATTRAVERSO LE
PAGINE DI UN INEDITO DIARIO
Parigi, ottobre 1793: Maria Antonietta, moglie di Luigi XVI e regina di Francia, è
stata condannata a morte dal Tribunale rivoluzionario
e attende nella prigione della Conciergerie di essere giustiziata. Unica
consolazione in questi giorni di angoscia e solitudine è la possibilità di continuare
a scrivere e annotare pensieri ed eventi in un quaderno, come ha fatto da quando
aveva tredici anni. Prima di essere condotta al patibolo, lascia nella sua cella il
diario in cui ha raccolto, anno dopo anno, gli episodi salienti e i piccoli fatti
quotidiani della sua vita: dall'infanzia privilegiata di arciduchessa d'Austria agli
anni trascorsi come affascinante signora di Versailles, ai giorni della prigionia e
dell'umiliazione dopo la caduta della monarchia. Attraverso la forma coinvolgente
e immediata del diario, Carly Erickson ricostruisce l'avventura umana e
sentimentale di Maria Antonietta, penetrando nella sua psicologia e cogliendone
gli aspetti più intriganti e meno noti, e descrive con ricchezza di dettagli eventi e
personaggi che giocarono un ruolo significativo non solo nella sua vita privata ma
anche nelle vicende di quei decenni cruciali. Ecco, allora, che acquistano
un'intensità particolare la lunga storia d'amore con l'avvenente diplomatico
svedese Axel Fersen, che alla fine mette a repentaglio la propria incolumità nel
vano tentativo di salvarla; la triste vicenda del primo figlio maschio, Luigi
Giuseppe, affetto da una malformazione alla schiena e destinato a una morte
precoce; la terribile notte in cui la folla parigina irrompe nel palazzo reale con
l'intenzione di uccidere lei e la sua famiglia; il drammatico tentativo di fuga dalla
Francia in incognito; la cattura e i cupi mesi della prigionia; lo strazio della morte
del marito, ucciso dalla ghigliottina, e della separazione dal secondo figlio ed
erede al trono, Luigi Carlo, strappatole dalle braccia dai rivoluzionari; l'attesa del
macabro appuntamento con la mannaia.
Carolly Erickson, che a Maria Antonietta ha già dedicato una biografia e che da
anni studia la sua appassionante e tragica esistenza, ne ascolta ed esprime in modo
magistrale la voce, le speranze e le paure e ne dipinge un ritratto a tutto tondo che
mette in risalto non solo il suo ruolo storico, ma anche il suo lato materno,
sentimentale e passionale.
Il diario segreto di Maria Antonietta ci offre un'immagine inedita, umana, viva e
partecipata di uno dei personaggi più interessanti e complessi della storia di tutti i
tempi.
Carolly Erickson, dopo aver insegnato storia medievale alla Columbia University,
si è dedicata al lavoro storiografico, scrivendo numerosi saggi e una serie di
fortunate biografie.
Da Mondadori ha pubblicato: Anna Bolena (1990), Maria Antonietta (1991), La
grande Caterina (1995), Elisabetta I (1999), La piccola regina (2000), Maria la
Sanguinaria (2001), Il grande Enrico (2002), L'imperatrice creola (2003), La
zarina Alessandra (2005).