Caro Facebook, 20 - Caro amico ti scrivo.pdf · Io ti odio e ti odierò sempre perché a causa tua...

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Caro Facebook,

sei entrato nelle nostre vite all'improvviso, di forza e con prepotenza. Spero almeno che tu abbia preso qualche precauzione.Dicevano che con te sarebbe stato più facile riuscire a restare in contatto con gli amici lontani e magari riallacciare legami con quelli che si erano un po' perso di vista.

Ma ormai sembra che senza di te non sia possibile avere una vita sociale e addirittura Studio Aperto ti nomina dalle 3 alle 5 volte a TG. Perché prima era YouTube e adesso sei tu la principale fonte di informazioni delle news di Italia Uno... e credimi non è il caso di vantarsene.Onestamente non so cosa aspettarmi da te, credo di essere un po' confuso e quello che vorrei lasciarti con questa mia lettera sono solo poche, piccole, regole di comportamento che vorrei prendessi in considerazione, tu e soprattutto tutti i tuoi utenti.

1. Se non ci conosciamo dammi almeno un'indicazione per capire chi cazzo sei prima di chiedere la mia amicizia!

2. Avere lo stesso cognome non significa dover essere per forza amici.3. Mettere una foto sfocata nel tuo profilo non mi farà pensare che sei un'artista, ma

semplicemente un cesso.4. Se tra la quinta elementare e l'altro ieri non ci siamo mai più visti o sentiti ci sarà

pure un motivo, non credi?5. Se nel tuo profilo la parte in primo piano sono le tue mega tette, non penserò che

sei gnocca, ma cicciona.6. Va bene, che bello! Quanto tempo! E alla fine ci siamo ritrovati! Ma se ti azzardi a

organizzare una rimpatriata sei un uomo morto.7. Inserire una foto di te da bambina non mi farà pensare al tuo animo ancora

fanciullesco, ma solo che crescendo sei diventata un cesso.

F.

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Caro Nano,

ti scrivo per dirti che ti odio e ti odierò sempre.Mi sembra di ricordare che tu ti chiamassi Edoardo, ma per noi tu fosti da subito inequivocabilmente, il nano. Ti ricordi di me? Sono Lorenzo provo a rinfrescarti la memoria: estate '99, Portorecanati, balneare Wanda, Alessandra. Ancora niente? Bé allora ti racconto tutto dall'inizio. Quell'estate mi innamorai (forse per la prima volta) di Alessandra. Quando la vidi i primi giorni di Luglio fu subito amore a prima vista, così incominciai a corteggiarla. Io che nella prima settimana di vacanza avevo fatto il bagno si e no due volte, ora ero sempre in acqua quando si tuffava lei, così come ero puntualmente al bar quando prendeva un gelato e passavo casualmente dai videogiochi quando giocava lei. In breve tempo il mio interesse era palesato, così dovetti dichiararmi. Ricordo benissimo quel pomeriggio rovente, a me tremava la voce e a lei sudavano le mani, ma alla fine riuscii a finire il mio discorsetto artefatto. Mi diede un bacio, poi ebbe un sussulto e mi disse che doveva pensarci.A cena non riuscivo a mangiare, cosa assai rara, i miei amici Flavio ed Alessandro miei ospiti a Portorecanati mi convincevano che ormai era fatta, che il bacio era un chiaro segnale, che stava per caracollare tra le mie braccia.La sera invece mi disse che era ancora innamorata del suo ex ragazzo, di te, fu una doccia fredda, ma niente in confronto a quando ti vidi.Sì nano di merda, io ti odio e ti odierò sempre perché eri bassissimo, la tua faccia invasa di brufoli, i tuoi capelli un panettone informe e il tuo occhio destro più chiuso del sinistro.Si perché essere rifiutati a sedici anni era già pesante di per sé, ma essere rifiutati per te era veramente umiliante.Io ti odio e ti odierò per sempre perché andavi al mare con i calzini e le scarpe da ginnastica come i contadini (e a Portorecanati contadino è il più grosso insulto immaginabile).Io ti odio e ti odierò sempre perché a causa tua ho ascoltato Biagio Antonacci per due mesi Io ti odio e ti odierò per sempre perché riuscivi ogni sera a stupirci con le tue impresentabili camice variopinte del tipo: verde- blu-gialla o rosso-arancio-viola e la cosa che mi faceva più incazzare erano i miei amici che dopo un iniziale periodo di compatimento, iniziarono a prendermi per il culo, manco le mettessi io quelle schifezze addosso.Io ti odio e ti odierò per sempre perché quella mattina che mi alzai e vidi sul balcone di Alessandra lo striscione: “Edo ti amo ancora...” volevo arruolarmi nella legione straniera.Io ti odio e ti odierò per sempre perché quella mattina che i miei amici si alzarono e videro sul balcone di Alessandra lo striscione: “Edo ti amo ancora...” mi avrebbero seguito pure nella legione straniera pur di prendermi per il culo.Io ti odio e ti odierò per sempre perché da quell'estate ogni volta che mi è ricapitato che una ragazza mi dicesse: “Mi dispiace, ma mi piace un altro” io ho sempre pensato che quell'altro fossi tu, nano bastardo.

Lorenzo

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Caro Uomo Ragno,

è un po' che non ci sentiamo, prima ci tenevamo in contatto attraverso i tuoi fumetti, io li leggevo con avidità, e c'è stato un periodo nel quale le due settimane che intercorrevano tra l'uscita di un albo e il successivo erano assolutamente interminabili.Ormai sono però circa sette anni che non leggo più di te, certo, ho visto tutti i tuoi film, ne ero incuriosito, ma il rapporto con lo schermo è meno tangibile di quello che si ha con il foglio di carta.Nel mio periodo da assiduo lettore eravamo diventati amici, tu mi parlavi anche delle tue situazioni più intime, cosa rara nel mondo dei supereroi, e io mi preoccupavo, eravamo in sintonia (la tua ironia è praticamente identica alla mia). C'è stato un momento in cui mi sono anche identificato in te, e poi... cos'è successo?

…triste la terra che ha bisogno di eroi...

Dice il Galileo di Brecht, parafrasando: il nostro mondo non dovrebbe avere bisogno di figure al di sopra della normalità per risolvere problemi da noi stessi creati, il bisogno di eroi è sintomo dell'indolenza del genere umano.Per questo io ho voluto fare a meno di te, della tua eroicità nel farmi astrarre dalla realtà, nel farmi entrare in un mondo parallelo in cui io mi sentivo salvo, ho sentito che era arrivato il momento di immergersi totalmente nella realtà, di farsi compenetrare da essa, ma non lo so mica se ho fatto bene!Caro Uomo Ragno, ho dovuto anche sentirti chiamare Uomo Bagno da un edicolante particolarmente spiritoso, e ti devo dire che, anche se ho sorriso, mi sono sentito intimamente offeso. Ti scrivo ora come si scrive a un amico d'infanzia del quale anche se si è perso il contatto fisico, si mantiene sempre il contatto intimo, emozionale; ho provato anche a darti la mia voce, ho provato a farti parlare con frasi ideate e costruite da me, e mi sembrava che ti calzassero a pennello, ma rileggendole tempo dopo mi hanno fatto sorridere per la loro stupidità.Ti ho allontanato da me per permettermi di crescere, e spero non me ne vorrai per questo; ho cominciato a scriverti con l'intento di farti sorridere con qualche battuta delle nostre, avevo l'idea di cercare quel dialogo frizzante che c'era nelle tue storie più brillanti e che trovavo così spassose (ad esempio quelle con l'uomo tricheco o la coniglietta o l'uomo rana), ma mi ritrovo ad usare il timbro delle tue storie più introspettive e cupe (quello dell'ultimo periodo di Harry, o quello di crisi d'identità). Sarà anche perché ti scrivo all'inizio di questo anno che sembra maledetto a causa degli avvenimenti di fine 2008, chissà come te la passerai tu, eterno squattrinato, in questo periodo di crisi, abiti nel Queen's, o a Hell's kitchen oppure nell'East village ora? E con M.J. come va?Purtroppo neanche tu puoi far qualcosa per il conflitto israelo-palestinese, ma magari puoi fare uno squillo ai vendicatori o a Nick Fury...

Comunque, ora ti devo salutare, nel mio piccolo cerco di essere un eroe anch'io, forse è per questo che comunque siamo ancora legati e mi ritrovo a scriverti dopo così tanto tempo, nell'affrontare il quotidiano sempre a viso aperto cercando di esser sempre coerente con me stesso, cosa difficile oggi, ma soprattutto è triste che ci si senta eroi nel momento in cui capiamo chi siamo, e triste ancor più la terra che non solo sembra non aver più bisogno dei piccoli eroi che riuscono a capirlo, ma che se ne disinteressa totalmente!

Il Tuo eterno e carissimo amico,

Ivan

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«Lungo le sponde del mio torrentevoglio che scendan i lucci argentati,

non più i cadaveri dei soldatiportati in braccio dalla corrente.»

Caro Piero,

Non c’è nulla da fare. Questo mondo sembra non voler fare a meno della guerra. Guerra santa, guerra fredda, guerra sporca, guerra giusta. In questi anni ci si è inventati tanti aggettivi da aggiungere al nome guerra, solo per poterla giustificare. Sono solo modi di dire, che non cambiano la realtà dei fatti.Nel nostro piccolo abbiamo fatto di tutto per far finire questi scempi. Abbiamo fatto manifestazioni, film, bandiere multicolori, canzoni (belle o meno). Ma non c’è nulla che convinca chi ci governa che la guerra non risolve niente. È solo un grande business, che giova alle tasche di pochi e uccide e affama troppi.Non c’è bisogno di parlare, di mostrare i bimbi che muoiono ogni giorno in questi conflitti. Immagini di impatto, che tolgono il fiato e danno pugni allo stomaco. Basta ricordare che la guerra è sinonimo di morte, inutile e crudele.Ci sono anche aspetti comici, succede che guardando in tv un dibattito sulla guerra, lo studio stesso si trasformi in un campo di combattimento. In cui opinionisti si schierano con questo o quel paese, come se si parlasse di tenere per un concorrente di un qualsiasi reality show. Nessuno si pone il problema che le vittime da entrambe le parti sono sempre vittime.La guerra in cui tu sei morto è finita, ma ne sono iniziate altre 10. E per ogni conflitto che si chiude ne restano aperti altri 100.Come se non bastassero le guerre che combattiamo ogni giorno, non ci servono quelle mondiali. C’è chi si alza ogni giorno sapendo di dover affrontare mille difficoltà solo per riaffermare i propri diritti, anche quelli più semplici. Si lotta contro l’indifferenza che permea la nostra società, verso chi è diverso. C’è chi lotta per poter mangiare tutti i giorni, chi invece deve ogni giorno fare i conti con un lavoro che forse finirà il giorno dopo. È difficile spiegare senza essere banale il male assoluto che è la guerra, ma penso che tu possa capire.Grazie Piero, tu sei morto in guerra facendo ciò che le è più contrario, decidendo di non uccidere un nemico, capendo che era un ragazzo proprio come te, vestito solo di colori diversi. Piero, tu sei morto dimostrando che si può andare in guerra senza fare la guerra.

Francesca

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Cara Daniela,

ti ho conosciuta in un momento un po' particolare della tua vita. Era un periodo denso di avvenimenti, un periodo di lacrime, speranze, rabbia e lotte. Il mondo ti ha scoperta con un cappio al collo mentre manifestavi per cercare di restare a galla, o quantomeno viva, posticipando il più possibile l'affondamento della nave che anche se si parla di aerei è sempre una metafora calzante.

Hai combattuto una guerra in cui i sacrifici umani erano scontati, in cui il compromesso era d'obbligo. Hai combattuto una guerra in cui si è semplicemente fatto quanto si voleva fare due anni prima, ma con più vittime. Tu però ce l'hai fatta e in fondo puoi considerarti una vincitrice, sei rimasta a galla e sei stata assunta a tempo indeterminato da quella misteriosa lega di imprenditori chiamata CAI. La tua vita può continuare, puoi costruirti un futuro, prenderti un mutuo e comprarti una casa, sostituire il cappio con una catenina o con una sciarpa di seta e magari offrire tu, ogni tanto, la cena a Massimo Giletti.

Ma ti rendi conto? CI SEI RIUSCITA! A discapito di altre tue colleghe, forse meno belle (ché diciamolo, la vecchia Alitalia non è che poteva vantare 'ste grandi gnocche di hostess) e fortunate, magari con dei figli e senza fronzoli artistici per la testa. La tua vita può decollare di nuovo e visto che si parla di aerei è una metafora calzante. Sei pronta per tornare quella di prima. E ti prego conserva sempre quella tua cazzuta tenacia e quella forza che ci hai fatto conoscere in questi mesi. Forza Daniela e in bocca al lupo per il tuo futuro!

Per sempre tuo, Federico

PS L'aspettativa che hai richiesto il giorno dopo aver firmato il contratto, per partecipare al grande fratello è la dimostrazione che andrai lontano. Lontano come sta andando questo paese. Alla deriva.

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Caro Francesco,

mi chiamo Valerio, sono un giornalista..non te lo dico il mio cognome, non serve, il cognome non è importante. Perchè noi siamo lo specchio del nostro nome, ci da un'identità, il cognome serve soltanto ad impersonalizzare la nostra anima, ad essere più distanti dalla realtà quotidiana, a costruire uno steccato tra noi e gli altri. Ecco perchè io non ti posso che chiamare Francesco. Perchè tu sei ognuno di noi. Sei un ragazzo, non importa la professione che eserciti. Perchè prima di essere un grande campione, il capitano della Roma, tu sei Francesco. Un ragazzo meraviglioso che ha un'abilità quasi magica. Parlare con gli occhi. Tutti noi, sia chi ti conosce di più sia chi di meno riesce ad intuire cosa pensi, qual è il tuo stato d' animo guardandoti gli occhi. Gli occhi di un uomo coraggioso e leale. Gli occhi del capitano. Non mi scorderò mai la tua espressione in “mixed zone” dopo la vittoria del derby. Eri felice come un bambino, sorridevi e mandavi bacetti a tutti, quasi a creare una sinergia meravigliosa tra la tua felicità e quella di tutti noi. Giornalisti di professione, ma tifosi tuoi e della Roma nella vita. A Catania la tua espressione non era più quella sorridente. Le soppraciglia aggrottate, la bocca leggermente storta in segno del dolore, ma i tuoi occhi Francè guardavano un orizzonte lontano. Il dispiacere di non vederti in campo per un po' di settimane veniva sostituitoin me dalla sicurezza che saresti rientrato più forte e più convinto di prima. Lunedi 12 Gennaio arrampicato su quel muretto di Trigoria a seguire gli allenamenti è arrivata la conferma della mia strenua convinzione. Mentre i tuoi compagni si divertivano giocando la consueta partitella, tu hai ripreso a correre da solo. Cambi di direzione, scatti, allunghi sempre con quel cronometro sul polso per vedere i miglioramenti, e la fronte alta. A guardare lontano, come quel maledetto pomeriggio siciliano. Il flessore della coscia tiene. Gli occhi dei cronisti e dei tuoi amici-preparatori Vito Scala e Silio Musa ti scrutano attentamente e non nascondono una certa commozione. “Ce la fai a continuare o sei stanco per oggi?”. Prendi fiato. Soltanto per un secondo. Guardi alla tua destra. Vedi i gradoni. Allora decidi che per oggi non hai ancora finito. Pronti, via. Su e giù senza fermarti mai. Perché il calcio, la Roma, è la tua vita. Come i tuoi figli. Quando rientri a casa ti chiedono sempre quando ricomincerai a giocare. I tuoi occhi d'un tratto s'illuminano. Loro capiscono subito. Il loro papà rientrerà presto. Prestissimo. Domenica si gioca. E tu non puoi mancare.

Un abbraccio,

Valerio

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Cara Maria,

mi permetto di darti del tu perché non riesco proprio a non considerarti una mia amica di vecchia data. Sono più di dieci anni che ci frequentiamo, o meglio, che ti incontro sullo schermo della mia televisione tutti i pomeriggi puntuale a tenermi compagnia.Quando mi hanno detto che avevo la possibilità di scriverti e che questa lettera l’avresti letta realmente tu, non potevo credere alle mie orecchie!! Posso finalmente dirti quanto ti ammiro e ti considero la più brava donna dello spettacolo, l’unica che è riuscita a farsi veramente tanti Amici in televisione e a diffondere la nuova specie dei “tornisti” fra la stirpe degli italiani, che pur la monarchia l’hanno abbandonata da un pezzo.Ti considero una donna che si è costruita interamente da sola; hai fatto la tua faticosa gavetta frequentando Maurizio Costanzo e piano, piano sei riuscita, con grande sacrificio, anche a sposartelo assicurandoti la prima serata su canale 5 a vita. E’ proprio vero: da te si può solo che imparare. Imparare come diventare dei personaggi che non sanno fare niente ma di cui tutti parlano, imparare a diventare una presentatrice anche se sbagli i congiuntivi e presenti un programma seduta su una scalinata, imparare a tifare per il più simpatico e non per il più meritevole.Ho provato tante volte a contattarti perché volevo partecipare come pubblico parlante di quella tua famosissima trasmissione in cui giovani Uomini e Donne cercano di cantare, ballare e recitare come in uno dei più incredibili circhi di rarissime fiere che io abbia mai visto. Non ti nego di aver provato anch’io a fare un’audizione per diventare una “corteggiatrice” della trasmissione più romantica che ci sia in tv… Purtroppo non avevo i requisiti necessari per fare le serate in discoteca perché non ho trovato nessuno sponsor che mi prestasse i vestiti giusti da indossare in puntata. Non mi arrendo, Maria. Devo confessarti che io in fondo, in fondo, ci spero ancora. E’ forse per questo che ho preso al volo carta e penna per pregarti di farmi diventare una tua creatura, un vero mostro catodico come solo tu saresti in grado di fare e come già in passato hai fatto per Costantino.

Ave, Maria.

Claudia

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CaroVita,

mio nonno ha fatto la guerra, mia padre le lotte sindacali, io ho 34 amici su facebook e neanche un lavoro. Dicono che qui sarà peggio del '29 in America, che la colpa è tua, che i prezzi sono impazziti. Dicono che un euro è come mille lire e prima con 90 milioni ci compravi una casa bella comoda e ora con 180 mila euro giusto un monolocale. Ma la pasta a quanto la fai? Ma il grano costa proprio così tanto? Dicono che ora è peggio. Ma mio nonno non se la passava mica bene, e pure mio padre non è che abbia fatto sta gran vita. Io… va bé, lasciamo stare e quindi… tu sarai pure peggiorato, incrementato, ma le cose non mi sembrano tanto diverse; oppure funziona che chi stava male ora sta peggio e chi stava bene ora sta meglio. Insomma mi sembra tutto un gran fregatura. Tu che dici?L’altro giorno pensavo appena trovo lavoro mi compro la macchina. Ma poi ho realizzato che una macchina costa più di quanto valgo io in un anno, o quasi. Hai saputo dei mutui? Sono variabili. E le borse crollate. La scala dei prezzi dicono essersi fatta ripida. Un giorno di questi rischierai di inciampare. Io sono già caduto. Mio padre non l’ho mai visto cadere. Ma neanche ridere. Non l’ho mai visto ridere. E non parlo di felicità. Non ti sto dicendo che non l’ho mai visto contento, perché quello già è normale. È che proprio non l’ho mai visto sorridere. Se non quella volta. In una foto che ha mia madre. Mia padre da giovane vicino a uno di quei cosi del luna park. Quella specie di pungiball, che misura la potenza. Bé ci sono mio padre e mia madre accanto a una scritta luminosa che segna il massimo e lui è lì tutto fiero con le maniche della camicia arrotolate. L’estate in cui ha conosciuto mia madre. Quel sorriso io non gliel’ho mai visto. E di cazzotti mio padre ne ha solo presi. Ma almeno lui era un incassatore. È sempre rimasto in piedi. Sempre il primo ad arrivare, mai un ritardo, mai un richiamo. Mio padre è stato un lavoratore esemplare e io ho collezionato licenziamenti manco fossero francobolli. La chiamano precarietà, ma a volte mi viene quasi da pensare che è pure colpa mia. È colpa mia forse se non me ne trovo uno giusto, è tua se quello che mi trovo non mi basta, è di tutti se proprio la vogliamo dire tutta. Ti scrivo queste poche e confuse righe perché l’altro giorno ho visto la mia ex. Si, la cassiera, vi conoscete bene. Aveva quella macchinetta dei prezzi, quella lì. Si sposa tra poco e dicono che aspetta un bambino. Aprirà un mutuo, forse con la stessa rabbia con cui ha chiuso con me. Quando andrò al concessionario tu se puoi chiudi un occhio, o magari tutti e due. Le chiamano utilitarie e costano almeno 10.000 €. A volte io mi sento meno utilitario di una panda. Una specie protetta, ecco cosa mi sento. Lo so, la sto facendo lunga, mentre tu la fai cara. Si, proprio cara. Anche la pasta, voglio dire! Stiamo parlando di fusilli. E datti una regolata… e che tasso! Scusa lo sfogo improvviso e un po’ scemo. Ma mi prende così. Sarà che ultimamente ho poco da fare. Oggi ho cambiato per tre volte la scritta a piè di pagina del mio curriculum. Secondo te, è meglio solo nome e cognome? O ci metto anche i contatti? Ci metto i numeri di telefono? Certo venirti a chiedere consigli sui numeri, proprio ora. Lascia stare, ci metto solo l’e-mail.Non mi ricordo manco più perché t’ho scritto. Forse per la storia della macchina o dei fusilli o della cassiera stronza oppure perché non c’ho lavoro e mi manca mio padre e i luna park sono squallidi e cari (pure coi più piccoli te la prendi). T’ho scritto perché sono solo e ciò mi fa sentire ancora più povero e con qualcuno me la dovrò pur prendere. Che mica può essere sempre colpa mia, come dissi all’ultimo datore di lavoro.Insomma le cose a me vanno male, e molti dicono che è solo colpa mia. In giro vanno peggio, e danno la colpa a te. Che quasi quasi non so se mi stai simpatico oppure ti odio. Un po’ come quel sorriso di mio padre sulla foto. Non si può essere così fieri per un record del cazzo e così appesantiti per il resto della vita.

Giulio

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Non credo che avrò mai il coraggio di consegnarti questa lettera...

ci sono tante e troppe cose che non ti ho o non mi hai mai saputo dire! Comunque proverò ad esprimere ciò che sento, consegnando i miei sentimenti alla carta..la nostra storia è lunga... almeno così dicono tutti... ormai è una vita che stiamo insieme... all’inizio era amore... amore quello vero... i miei occhi persi nei tuoi, le tue mille piccole e grandi attenzioni, le dolci coccole... gli abbracci sinceri e calorosi. Eravamo una coppia davvero affiatata: ovunque tu andavi io venivo e qualsiasi cosa facessi (o quasi) tu c’eri... col tempo però... e si sa il tempo distrugge tutto..col tempo però tutto è cambiato. La coppia è diventata sempre più io e te e sempre meno noi... insomma ci siamo persi... non c’è molto da aggiungere... io mi sono fatto grande, ho fatto le mie esperienze... e, anche se probabilmente già lo sai, ho avuto altre donne... anche tu sei cresciuta con me... sei invecchiata..sei più matura! E’ finita l’epoca dei sempre a spasso a passeggiare mano nella mano, dei “Mi aiuti a preparare il pranzo?”, dei carrelli della spesa spinti insieme... non direi che è finito l’amore..quindi non fare quella faccia... però di sicuro ora è qualcosa di diverso... stima e tenerezza... tu forse sei la gelosona di sempre... ma non lo dai neanche più a vedere... fai di tutto per nasconderlo e non ti arrabbi neanche più quando sai benissimo che sto facendo una cazzata! Tanto lo so che anche tu sai che il nostro legame è speciale e che in fondo non ci perderemo mai... so che forse piangerai (come ho fatto io al nostro primo incontro) se mai un giorno leggerai queste parole… ma so anche che tu sarai sempre e solo l’unica... MAMMA!

Antonello

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Caro Francesco,

era il 24 Dicembre del 1995, avevo 13 anni quando andai a vedere con mio padre “Occhio Pinocchio” al cinema Excelsior di Mostacciano, chiuso ormai da anni. Era il pomeriggio di una vigilia di natale, sei persone in tutto nella sala. E due non facevano altro che pomiciare. Un film sfortunato, ma che a me ha cambiato la vita. “Quello voglio fare”, mi dissi. Raccontare storie. Come quella storia, un po’ folle e un po’ dolce. Dicono che quel film è stato il tuo declino. Io da lì ho cominciato a cercarti, a conoscerti tramite i film passati e poi quelli futuri, tanto criticati ma a mio parere così raffinati. Va bé, in realtà questa lettera non la sto scrivendo per lodarti ma per salutarti. Un saluto lontano da uno sconosciuto, o quasi. Visto che un giorno ci incrociammo in un ufficio di produzione. Non eri nel tuo momento migliore, avevi da poco fatto quell’annuncio shock, quel grido d’aiuto tanto onesto e tanto coraggioso. Non eri forma ma eri in piedi. Poi c’è stata la caduta, l’incidente domestico, il buio, l’immobilità. Si legge poco di te e forse è meglio così. Si dice che piano piano ti stai riprendendo, che avevi già pronto un film se non due. Forse non sarai più in grado di gestire un set, di muoverti con la tua insolita e buffa grazia davanti la macchina da presa, ma forse a scrivere si. Tornerai a scrivere film ne sono sicuro, lo spero, lo vorrei tanto insomma. Io solco qualche palcoscenico minore, scrivo storie che vorrei geniali come le tue. Non ho mai vinto al totocalcio, non ho spostato la chiesa e non sono mai stato in Perù ma ti inseguo nei pochi film riproposti in tv, nei dvd mai fatti dei tuoi film, nelle poche notizie sui giornali nei VHS che custodisco in camera. Sarà lunga la tua riabilitazione dicono, come lunga è stata per me l’attesa di un tuo film, uno da vedere al cinema dopo averti scoperto. La pausa da OcchioPinocchio al successivo è stata lunga. Un’attesa per me romantica, avvincente. Torna Nuti al cinema con “Il signor Quindicipalle” ! Avevo sedici anni, e il manifesto del film svettava sopra il campo di calcio su cui mi allenavo. Campo di pozzolana, squadra di periferia, manifesto rivolto verso di me, con quel sorriso beffardo e la scopa in mano come una stecca da biliardo. Aspetto ora come prima un nuovo manifesto, una storia nuova, un ricomparsa improvvisa alle luci della ribalta, tanto accecanti, a volte, per te.Ti penso nei tanti sforzi da compiere, per impedire a me e a tanti altri di sussurrare ripetutamente “Pinocchio non c’è più”.

Mi raccomando, ti aspetto.

Alessandro

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Caro amico immaginario,

è da molto che ti volevo scrivere, come stai ? Sono anni che non ti sento e vedo. Eh si perché c’è stato un momento nella mia vita in cui tu silenziosamente sei entrato nei mie pensieri, nella mia quotidianità.

All’inizio pensavo fosse solo un' impressione, una sensazione, una pura proiezione della mia fantasia. Ma quando ho sentito le tue prime parole chiare, quando ti ho visto per la prima volta e sei apparso nella mia stanza, è stato il momento topico della mia esistenza: per la prima volta non ero solo (son figlio unico)! Potevo non chiedere consigli ai miei genitori. Avevo l’opportunità di non chiedere più nulla a nessuno, avevo te accanto che mi davi l’aiuto che cercavo.

Poi il nostro rapporto è diventato più intimo, non solo mi davi consigli o suggerimenti ma cominciasti a giocare con me, a entrare realmente nella mia vita quotidiana. Insomma a essermi amico. Un amico vero. Cominciammo a giocare. A interagire con il mondo che ci circondava.

Ti ricordi quando facemmo i primi scherzi? Quello alla nonna? Ancora me lo ricordo: mettemmo sotto la porta della camera da letto la lenza da pesca … quando cadde ci mettemmo a ridere a crepapelle … Quante risate. Tutti ridemmo. Tranne Lei. Che si ruppe il femore e dopo mesi di atroci di sofferenza morì.

Allora mi facesti capire che dovevo reagire anche alle punizioni di mamma e di papà. Così un giorno, dopo l’ennesima punizione subita perché insieme bruciammo l’intera scuola elementare, dissi basta! Ancora ho il ricordo di quando aprimmo il gas della cucina e di notte fuggimmo da casa.

Da quando la polizia mi ha arrestato per dei delitti che io non riconosco come tali (o per lo meno c’è un evidente concorso di colpa), tu mi hai abbandonato. Sei scappato. Come sei entrato silenziosamente nella mia vita, allo stesso modo e vigliaccamente sei sparito.

Dove sei ?

Non ti sei degnato nemmeno di starmi accanto durante i processi. Nemmeno una comparsata per chiedermi scusa per tutto quello che mi hai indotto a fare, o farmi semplicemente capire. Io al giudice l’ho detto che non ero solo ma non mi ha creduto.

Ora mi ritrovo qui nuovamente solo, in questa stanza con poca luce, insieme ad altre persone che hanno ritrovato i loro amichetti immaginari. Mi auguro vivamente di rivederti e ritrovare e riprovare quelle sensazioni svanite ormai da anni.

Ora ti lascio perché è l’ora della pasticca rossa, il dottore dice che mi aiuta a trovare ciò che ho perso. Magari ti trovo!Un abbraccio.

Ale

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Lo so, avrei dovuto farlo prima

Non ho trovato le parole, o forse l’occasione per fermarti a parlare. È difficile fermarsi, fermarmi. Nella dolce lentezza di una sera ti parlo stasera, come forse mai prima. Ti ho visto felice, l’ho letto nei tuoi occhi e nelle tue parole. Di quella felicità che non vuoi nascondere, ma solo condividere. Per la prima volta me ne hai parlato senza che te lo chiedessi, e senza la tua dura timidezza. Ti sei innamorato, e questo cambia tutto.

Pensavo ci fossimo persi qualche anno fa. Io nascosto nei miei impegni, tu alla ricerca di un nuovo viaggio, o di una nuova fuga. Forse ci saremmo rivisti per caso, magari sul pianerottolo di casa, ma senza cercarci e con l’imbarazzo del silenzio. Come due conoscenti, ma con l’amarezza dei ricordi.

Una volta c’era intimità nei nostri discorsi, in un’adolescenza complice e sognatrice. Si pensava al domani, ma senza fretta. Ma è bastata una sola estate a farci crescere all’improvviso. Abbiamo scelto strade diverse, lì è cambiato tutto. Forse ti sei sentito tradito e giudicato, in un’incompresa infelicità. Ti sei nascosto, scappavi lontano alla ricerca affannata di niente. E ogni volta tornavi in silenzio, inavvicinabile. Non ti ho capito, forse non sapevo ascoltarti davvero. Non ricordavo più nemmeno l’ultima confidenza, l’ultimo briciolo di verità. Sempre con lo stupido orgoglio di chi ha paura della debolezza, di una naturale umanità. Faceva male restare impotenti a guardarti così.

Stasera voglio dimenticare le cose passate, adesso c’è lei. Ti ha fatto rialzare, sorridere, vivere. Adesso c’è lei che ti prende per mano, che ti apre il cuore. Ho un nuovo sogno stasera caro mio e sono felice. Tu hai trovato l’amore, io ho ritrovato un amico.

Carmine

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LE STRABILIANTI E PROLISSE AVVENTURE DEL BACHECO.

SUPERBACKY ai fiori d'arancio.

PREPARATIVI

Quale migliore testimone di nozze di un supereroe?E' questo che devono aver pensato due novelli sposi amici del nostro mirabolante Backy.Così con barcollante prontezza il Bacheco era felice di lanciarsi in questa nuova avventura ai fiori d'arancio, che lo avrebbe portato a Nord alla volta di La Spezia.Backy, agevolato nelle sue manovre da un roboante mese di malattia e della cacciata della ex sua crucca infame automobile provvidenzialmente sostituita dalla già collauda Lancia Y, per prima cosa dispose una sosta di un giorno a Livorno.Dopo aver trovato i suoi vecchi amici labronici e aver provato con loro un'esperienza di condivisione spirituale e di meditazione sui temi del matrimonio, così da potersi cimentare nella preparazione della sacra unione, al pieno delle sue spinte emozionali e soprattutto al pieno delle sue capacità organizzative, il Bacheco partì da Livorno il sabato alla mezza circa, con il nobile intento di aiutare gli sposi negli ultimissimi, marginali e quasi superflui preparativi.Mentre era giovialmente lanciato verso La Spezia all'altezza di Pisa nord lo sposo chiamò il Bacheco il quale altrettanto giovialmente rispose garantendo la sua presenza nella solare cittadina ligure di lì a mezz'ora. Lo sposo meno giovialmente anzi già discretamente ansioso gli chiese di effettuare un recupero fotografa tarantina coadiuvata da ben due assistenti completi di ingombranti attrezzature ottiche ed audiovisive, all'aeroporto di Pisa.A questo punto, purtroppo, bisogna effettuare una doverosa spiegazione, quello che lo sfrecciante Bacheco non aveva considerato nell'immaginare un festoso e spensierato approntamento del matrimonio era che lo sposo veneto si univa nel sacro vincolo del matrimonio con la sposa siciliana nella suggestiva chiesetta di Portovenere, inoltre per una precisa semplificante scelta della sposa a suggellare l'eterna unione era il parroco del suo paese d'origine (provincia di Catania), per di più ad immortalare il romantico evento era stata prescelta un'abbondante fotografa tarantina (coadiuvata da ben due assistenti completi di ingombranti attrezzature ottiche ed audiovisive), infine i non parenti erano per lo più colleghi della Marina sparsi nelle varie parti dello stivale.Tornando al Bacheco, egli carnevalescamente invertì la marcia e ritornò a sud verso l'aeroporto di Pisa, lì parcheggiò con scioltezza nello spazio riservato alle auto blu completando con la sua Lancia grigia un pokerissimo di Bmw blu notte. Sicuro di individuare la fotografa con la dettagliata descrizione fornitagli dallo sposo che senza assolutamente far trapelare la concitazione di quel giorno, era riuscito a mormorare solamente: «è una tipica tarantina», Don Backy fu costretto ad avventurarsi, dapprima timidamente, poi incominciando a perdere la pazienza, per gli arrivi approcciando sconosciute donne che secondo lui potevano rispecchiare i tipici tratti somatici ionici.Dopo circa venti minuti di infruttuose ricerche il Bacheco veniva raggiunto telefonicamente dal serafico sposo, che appreso del mancato recupero, subito destinò il suo super-testimone in un'altra

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ardua impresa: ritirare la divisa da gala che lo sposo avrebbe dovuto indossare il grande (successivo) giorno.Questa divisa era da un furioso sarto, che aveva già ricevuto una clamorosa buca dallo sposo. Il sarto esercitava in quel di Livorno e doveva essere raggiunto prima delle 15 anche perché sia a causa della buca precedente sia per la concomitante partita di serie B Livorno-Pisa (derby sentitissimo da ambo le parti) l'irato tessile non era disposto ad aspettare un minuto in più.Il Bacheco riuscì ad arrivare con ben sei minuti di anticipo e dopo aver subito una decina di minuti di immeritati rimproveri da parte dell'inviperito professionista, ringraziò la spasmodica attesa della partitissima dell'Armando Picchi che lo cavò d'impaccio.Terminata la spedizione il Bacheco telefonò allo sposo per tranquillizzarlo e fornirgli un dettagliato rapporto dell'accaduto, ma non appena lo sposo sentì della perfetta riuscita dell'operazione non volle sentire altro e immediatamente comunicò al suo supereroe-amico-testimone di raggiungerlo all'aeroporto per terminare la missione recupero fotografa tarantina coadiuvata da ben due assistenti completi di ingombranti attrezzature ottiche ed audiovisive.Repentinamente Don Backy risaliva sulla sua grandiosa automobile e come un razzo partiva per... partiva... no... non partiva, la sua grandiosa auto non ripartiva a causa della batteria. Il Bacheco totalmente impegnato nell'assolvimento dei suoi doveri con il sarto, aveva dimenticato l'autoradio accesa, ma grazie allo spontaneo intervento di due passanti livornesi (popolazione da sempre vicina al nostro supereroe) che si offrirono di spingere, al terzo tentativo il destriero meccanizzato ripartì a razzo alla volta dell'aerostazione pisana.Arrivato lì ritrovo il suo parcheggio riservato tra le bmw, e incontrò finalmente lo sposo con l'altro suo testimone e la fotografa tarantina coadiuvata da ben due assistenti completi di ingombranti attrezzature ottiche ed audiovisive. Fu così che il Bacheco scoprì che la tipica tarantina era molto mora, molto bassa e molto grossa.Caricati numero uno testimone, numero uno assistente e numero due valigie ripiene di attrezzature ed effetti personali, il Bacheco pago delle sue imprese ripartì per l'esotica La Spezia.Durante il tragitto l'assistente dello scricciolo fotografa, tentò di mettere alla prova il soddisfatto autista, con domande del tipo: «Ma Luca non ti aveva detto che eravamo arrivati?» e ancora «Era un po' che aspettavamo ma non ci trovavate?» e addirittura «Come mai questo ritardo?». Ma il Bacheco non cadde in quelle meschine provocazioni e fece lo gnorri, anzi il sordo e non c'è peggior sordo di chi non vuole rotture di coglioni e quando il silenzio si fece imbarazzante intervenne l'altro testimone che magistralmente cambiò discorso.Arrivati a La Spezia lasciarono la fotografa tarantina coadiuvata da ben due assistenti e le loro ingombranti attrezzature ottiche ed audiovisive, all'albergo e si recarono alla casa degli sposi.Lì Bacheco incominciò a rendersi conto che gli ultimi marginali e quasi superflui preparativi, erano in realtà copiosi e quasi vitali, questo dopo un dettagliatissimo piano dello sposo, che don Backy non ascoltò nemmeno interamente, ma dal quale intuì l'antifona.Prima fermata fu la casa dei novelli sposi, situata su uno dei seni del tropicale golfo di La Spezia a circa una decina di chilometri dal centro. Nella casa, dove sembrava scoppiata una bomba il backy, lo sposo e Paolo -l'altro testimone- recuperarono circa una dozzina di casse di vino che dovevano portare al ristorante che si trovava dall'altra parte del golfo sempre a circa una decina di chilometri dal centro, ma purtroppo nella direzione opposta rispetto alla casa.Festosamente ripartirono sempre con due macchine, nell'intento di consegnare il vino e successivamente recarsi dalla sposa impegnata dall'estetista comodamente scelto a Lerici (km 20 da La Spezia), durante il tragitto le urla della sposa, che il Bacheco grazie ai suoi superpoteri sentiva sebbene fosse nell'altra macchina, dirottarono il convoglio subito a Lerici dall'imbufalita innamorata.

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Arrivati lì Bacheco stentò a riconoscere la sposa che presentava un'innaturale colorito paonazzo, occhi iniettati di sangue e terrificante fumo dal naso.Mentre la sposa con razionalità spiegava allo sposo (madido di sudore) che non era possibile che dovesse fare tutto lei (aveva ragione visto che quel giorno era riuscita finanche a conciliare l'appuntamento con l'estetista con quello dal parrucchiere) e che addirittura egli arrivasse anche in ritardo a consegnargli la macchina con la quale doveva andare a festeggiare il suo addio al nubilato, il Bacheco contando i parenti presenti e le macchine disponibili ebbe chiaro che la stoica Lancia Y avrebbe dovuto caricarsi cinque persone oltre alla dozzina di casse di vino e le divise dello sposo già presenti nell'auto.Con una magia degna di Mago Merlino il supereroe fece entrare tutto e tutti in quella che doveva essere un'utilitaria solo nei progetti di qualche uomo privo d'immaginazione e si lanciarono all'albergo dove alloggiavano gli invitati, il Bacheco incominciava a chiedersi però quando avrebbe potuto scaricare le casse che martirizzavano la sua automobile.L'albergo si trovava ad una quindicina di chilometri dalla bollente La Spezia, nell'entroterra, quindi equidistante sia dalla casa sia dal ristorante qui però l'allegra combriccola scaricò due persone e le divise dello sposo, con sollievo del Bacheco che su una ripida salita affrontata stirando la seconda aveva sudato freddo. Nell'albergo inoltre il nostro eroe ebbe il piacere di conoscere tutti i parenti dello sposo, al termine delle presentazioni Backy apprese da Paolo che lo sposo (che continuava ripetutamente a telefonare e asciugarsi il sudore con i fazzoletti provvidenzialmente regalatigli dal Bacheco) per giustificarsi del mostruoso ritardo con i suoi parenti li aveva coinvolti usandoli come capro espiratorio.Incassando con disinvoltura la figura di merda incolpevolmente effettuata vergognandosi per la prima volta in quella giornata del suo occhio nero (si il nostro eroe purtroppo portava sul volto i recenti segni di una battaglia calcistica combattuta con onore difendendo i colori di Rev), Backy risalutò tutti i parenti, si scusò per il ritardo e ripartì vorticosamente con lo sposo, ormai privo di fazzoletti e Paolo andando a consegnare quella maledetta, anzi sporca dozzina di casse di vino al ristorante.Al ristorante lo sposo non scese per paura che il ristoratore potesse chiedergli i menu.Si perché i menu per una acuta scelta della sposa era stato deciso che fossero prodotti dallo sposo con l'intervento artistico della sorella della sposa molto pratica di acquerelli. In effetti il ristoratore dopo aver preso per il culo il nostro supereroe per il suo occhio nero, reclamò i menu e il Bacheco con una sublime arte dell'incartare le cose assecondò, disse una cazzata clamorosa ed infine svagò, finirono di scaricare il vino ed ripartirono alla volta della casa dove i fantastici menu li attendevano. Essendo le undici di sera e non avendo il Bacheco ancora incontrato l'amica che lo ospitava a casa si defilò e andò a nutrirsi e rinfrescarsi, rimasero d'accordo però che non appena Paolo e lo sposo avessero terminato con i menu Don Backy sarebbe corso a prenderli per portarli in albergo dove alloggiavano tutti tranne il Bacheco che per non gravare sul bilancio degli sposi si era fatto ospitare da questa amica.A mezzanotte Don Backy fu richiamato, andò a prenderli a casa li riportò in albergo ed estenuato all'una andò a dormire.

CONTINUA...

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La copertina Caro amico ti scrivo è stata realizzata da Alessandra Scamurra

Le foto nelle lettere Non credo che avrò mai il coraggio di consegnarti questa lettera... e Lo so, avrei dovuto farlo prima sono di Francesca Minnone

Grazie a:

Hanno partecipato al numero 20 di Rev

Alessandro CorazziIvan Cusella

Carmine FiumeFederico VergariLorenzo GalieniAlessandro IbbaValerio Nasetti

Antonella Di DomenicoFrancesca MinnoneClaudia Piacentini

Alessandra Scamurra