Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber...ve insidie contro di lei. I patrizi spaventati, e adunati...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Storia d'Italia dal 1789 al 1814. Tomo IIIAUTORE: Botta, CarloTRADUTTORE:CURATORE:NOTE: Il testo è presente in formato immagine sulsito “The Internet Archive” (https://www.archi-ve.org/). Realizzato in collaborazione con il Pro-ject Gutenberg (https://www.gutenberg.org/) tramiteDistributed Proofreader (https://www.pgdp.net/).

CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101185

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Traité de Leoben, 17avril 1797 (1805)" di Guillaume Guillon Lethière(1760-1832). - Château de Versailles - https://com-mons.wikimedia.org/wiki/File:Guillon_Lethi%C3%A8re_-_Trait%C3%A9_de_Leoben,_17_avril_1797.jpg. - Pubbli-co Dominio.

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TRATTO DA: Storia d'Italia dal 1789 al 1814 / scrit-ta da Carlo Botta – Capolago presso Mendrisio : Ti-pografia Elvetica, 1833-1838 – 6 v. ; 19 cm- Volume3, 1833, 351 p. ; 19 cm

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 2 settembre 2013

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 10: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS020000 STORIA / Europa / Italia

DIGITALIZZAZIONE:Distributed Proofreader, https://www.pgdp.net/

REVISIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 2 settembre 2013

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4LIBRO DECIMO...........................................................9LIBRO UNDECIMO..................................................140LIBRO DUODECIMO...............................................217LIBRO DECIMOTERZO...........................................312INDICE DEL PRESENTE VOLUME.......................354

1797........................................................................3541798........................................................................365

Indice generale

Liber Liber......................................................................4LIBRO DECIMO...........................................................9LIBRO UNDECIMO..................................................140LIBRO DUODECIMO...............................................217LIBRO DECIMOTERZO...........................................312INDICE DEL PRESENTE VOLUME.......................354

1797........................................................................3541798........................................................................365

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STORIA

D'ITALIADAL 1789 AL 1814

SCRITTA

DA CARLO BOTTA

TOMO III

www.liberliber.it

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D'ITALIADAL 1789 AL 1814

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LIBRO DECIMO

SOMMARIOPensieri di Buonaparte dopo le sue vittorie contro Alvinzi.L'Austria manda nuove genti in Italia sotto la condotta dell'arci-duca Carlo. Qualità comparative di Buonaparte e dell'arciduca, elor modo di guerreggiare. S'incomincia una nuova guerra. Contra-sto dei due generali emoli al Tagliamento, e passo di questo fiumeeseguito dai repubblicani. L'arciduca si ritira cauto e rannodato.Sollevazioni dei popoli del Tirolo a favore dell'Austria: Joubert inpericolo; si ritira, secondo gli ordini di Buonaparte, per la valledella Drava, verso Villaco. Passi della Ponteba, e di Tarvisio.Speranze dell'arciduca di vincere a Tarvisio: gli vengono rottedall'insufficiente difesa fattavi da un suo generale. I Francesi en-trano vittoriosi in Villaco, Lubiana, e Clagenfurt. L'arciduca si ri-tira ai passi più montuosi a difesa della metropoli dell'Austria.Modo diverso di guerreggiare dei Francesi e degli Austriaci; eperchè i primi avessero il vantaggio. Buonaparte in qualche peri-colo: pure a Vienna prevale la parte della pace; arrivano plenipo-tenziari al campo Francese; tregua, e preliminari di Leoben. Buo-naparte fatto sicuro dell'Austria si volta contro la repubblica diVenezia; opera rivoluzioni nella terraferma Veneta per aver occa-sione di darla all'Austria. Rivoluzioni di Bergamo, Brescia, e Cre-ma. Insidie contro Verona. Manifesto supposto del provveditorBattaglia. Minacce rabbiose di Buonaparte contro Venezia: paca-ta, e grave risposta del doge. Terribile sollevazione di Verona,chiamata le Pasque Veronesi, sue cagioni, ed effetti. Predicazionisingolari di un frate cappuccino. Verona soggiogata, e come trat-tata. Buonaparte dichiara formalmente la guerra a Venezia. Insi-die tese per fare, che il maggior consiglio riformi l'antica consti-

LIBRO DECIMO

SOMMARIOPensieri di Buonaparte dopo le sue vittorie contro Alvinzi.L'Austria manda nuove genti in Italia sotto la condotta dell'arci-duca Carlo. Qualità comparative di Buonaparte e dell'arciduca, elor modo di guerreggiare. S'incomincia una nuova guerra. Contra-sto dei due generali emoli al Tagliamento, e passo di questo fiumeeseguito dai repubblicani. L'arciduca si ritira cauto e rannodato.Sollevazioni dei popoli del Tirolo a favore dell'Austria: Joubert inpericolo; si ritira, secondo gli ordini di Buonaparte, per la valledella Drava, verso Villaco. Passi della Ponteba, e di Tarvisio.Speranze dell'arciduca di vincere a Tarvisio: gli vengono rottedall'insufficiente difesa fattavi da un suo generale. I Francesi en-trano vittoriosi in Villaco, Lubiana, e Clagenfurt. L'arciduca si ri-tira ai passi più montuosi a difesa della metropoli dell'Austria.Modo diverso di guerreggiare dei Francesi e degli Austriaci; eperchè i primi avessero il vantaggio. Buonaparte in qualche peri-colo: pure a Vienna prevale la parte della pace; arrivano plenipo-tenziari al campo Francese; tregua, e preliminari di Leoben. Buo-naparte fatto sicuro dell'Austria si volta contro la repubblica diVenezia; opera rivoluzioni nella terraferma Veneta per aver occa-sione di darla all'Austria. Rivoluzioni di Bergamo, Brescia, e Cre-ma. Insidie contro Verona. Manifesto supposto del provveditorBattaglia. Minacce rabbiose di Buonaparte contro Venezia: paca-ta, e grave risposta del doge. Terribile sollevazione di Verona,chiamata le Pasque Veronesi, sue cagioni, ed effetti. Predicazionisingolari di un frate cappuccino. Verona soggiogata, e come trat-tata. Buonaparte dichiara formalmente la guerra a Venezia. Insi-die tese per fare, che il maggior consiglio riformi l'antica consti-

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tuzione. Il senato non è propenso a questa innovazione. Consultaparticolare, ed insolita in casa del doge. Il maggior consiglio au-torizza i tre legati della repubblica mandati a Buonaparte a con-sentire la riforma degli ordini antichi con introduzione di qualcheforma democratica. Minacce di Buonaparte al patrizio Giustinia-ni, e generose risposte di questo. Macchinazioni in Venezia; nuo-ve insidie contro di lei. I patrizi spaventati, e adunati in maggiorconsiglio rinunziano alla sovranità, e consentono al governo de-mocratico; il che fu in quel punto la ruina dell'antichissima repub-blica. Trattato sottoscritto in Milano il dì sedici maggio tra Buo-naparte, ed i legati Veneziani. Rivoluzione totale in Venezia, enella terraferma.

Due pensieri operavano massimamente a questo temponella mente di Buonaparte, securo omai di poter fare, obuon grado o mal grado del suo governo, ciò che più vo-lesse. Siccome la fortuna tanto se gli era dimostrata pro-spera, così intendimento suo era, posti in non cale i pen-sieri del re di Sardegna, di creare un nuovo stato inLombardia, acciocchè egli fosse della sua potenza, e delsuo nome testimonio perpetuo. Ma il direttorio, che ave-va anche capriccio in questo nuovo stato, desiderava tut-tavia temporeggiarsi pel desiderio che aveva della pacecon l'imperatore. Così il capitano della repubblica anda-va continuamente moltiplicando in Milano i segni delvoler sottrarre dal dominio dell'Austria il paese percrearne una repubblica, mentre i deputati Milanesi man-dati a Parigi per pregare libertà, riportavano dal diretto-rio solamente parole grate senza effetti. Si proponeva ol-tre a ciò Buonaparte, solito a fabbricare ne' suoi concettigrandissimi disegni, tostochè si diminuisse l'asprezza

tuzione. Il senato non è propenso a questa innovazione. Consultaparticolare, ed insolita in casa del doge. Il maggior consiglio au-torizza i tre legati della repubblica mandati a Buonaparte a con-sentire la riforma degli ordini antichi con introduzione di qualcheforma democratica. Minacce di Buonaparte al patrizio Giustinia-ni, e generose risposte di questo. Macchinazioni in Venezia; nuo-ve insidie contro di lei. I patrizi spaventati, e adunati in maggiorconsiglio rinunziano alla sovranità, e consentono al governo de-mocratico; il che fu in quel punto la ruina dell'antichissima repub-blica. Trattato sottoscritto in Milano il dì sedici maggio tra Buo-naparte, ed i legati Veneziani. Rivoluzione totale in Venezia, enella terraferma.

Due pensieri operavano massimamente a questo temponella mente di Buonaparte, securo omai di poter fare, obuon grado o mal grado del suo governo, ciò che più vo-lesse. Siccome la fortuna tanto se gli era dimostrata pro-spera, così intendimento suo era, posti in non cale i pen-sieri del re di Sardegna, di creare un nuovo stato inLombardia, acciocchè egli fosse della sua potenza, e delsuo nome testimonio perpetuo. Ma il direttorio, che ave-va anche capriccio in questo nuovo stato, desiderava tut-tavia temporeggiarsi pel desiderio che aveva della pacecon l'imperatore. Così il capitano della repubblica anda-va continuamente moltiplicando in Milano i segni delvoler sottrarre dal dominio dell'Austria il paese percrearne una repubblica, mentre i deputati Milanesi man-dati a Parigi per pregare libertà, riportavano dal diretto-rio solamente parole grate senza effetti. Si proponeva ol-tre a ciò Buonaparte, solito a fabbricare ne' suoi concettigrandissimi disegni, tostochè si diminuisse l'asprezza

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della stagione, di varcare con tutto l'esercito le Alpi Giu-lie, e di far sentire le sue armi nel cuore della Germania,a fine di obbligare l'imperatore alla pace, pensiero, chegià aveva concetto fin dai tempi delle sue prime vittoriein Italia, e che solo era stato interrotto dall'incredibilecostanza dell'Austria nel sostituire nuovi eserciti adeserciti vecchi. Confortavano massimamente questa suadeliberazione la singolarità, e la grandezza dell'impresanon più tentata dai Francesi dal secolo di Carlomagno inpoi, l'avere a cimentarsi con l'arciduca Carlo, fratellodell'imperatore, che aveva recentemente combattuto vit-toriosamente le armi repubblicane sulle sponde delMeno e del Reno, e che era stato preposto, come ultimasperanza, all'esercito Italico; il fare finalmente quello,dall'Italia venendo, che non avevano potuto fare Moreaue Jourdan, che avevano guerreggiato sulle terre stessedell'Alemagna; perciocchè o l'imperatore Francesco,sbigottito a quel suono tanto insolito dei Francesi nelcuore degli stati ereditari avrebbe consentito agli accor-di, ed in tale caso acquistava Buonaparte un segnalatofavore in Francia; ovvero il sovrano Alemanno si ostina-va nel voler usare le armi, ed in tale caso il capitano diFrancia distendeva i suoi pensieri sino all'occupazionedi Vienna, impresa anch'essa, che avrebbe fatto il suonome immortale. In questo poi era suo intento di affret-tarsi, sì perchè, credendo di poter fare da se, non volevache Moreau, calandosi per le rive del Danubio, lo aju-tasse, e sì perchè aveva a cuore di assaltare l'arciduca in-nanzi che le genti di nuova leva, che già marciavano,

della stagione, di varcare con tutto l'esercito le Alpi Giu-lie, e di far sentire le sue armi nel cuore della Germania,a fine di obbligare l'imperatore alla pace, pensiero, chegià aveva concetto fin dai tempi delle sue prime vittoriein Italia, e che solo era stato interrotto dall'incredibilecostanza dell'Austria nel sostituire nuovi eserciti adeserciti vecchi. Confortavano massimamente questa suadeliberazione la singolarità, e la grandezza dell'impresanon più tentata dai Francesi dal secolo di Carlomagno inpoi, l'avere a cimentarsi con l'arciduca Carlo, fratellodell'imperatore, che aveva recentemente combattuto vit-toriosamente le armi repubblicane sulle sponde delMeno e del Reno, e che era stato preposto, come ultimasperanza, all'esercito Italico; il fare finalmente quello,dall'Italia venendo, che non avevano potuto fare Moreaue Jourdan, che avevano guerreggiato sulle terre stessedell'Alemagna; perciocchè o l'imperatore Francesco,sbigottito a quel suono tanto insolito dei Francesi nelcuore degli stati ereditari avrebbe consentito agli accor-di, ed in tale caso acquistava Buonaparte un segnalatofavore in Francia; ovvero il sovrano Alemanno si ostina-va nel voler usare le armi, ed in tale caso il capitano diFrancia distendeva i suoi pensieri sino all'occupazionedi Vienna, impresa anch'essa, che avrebbe fatto il suonome immortale. In questo poi era suo intento di affret-tarsi, sì perchè, credendo di poter fare da se, non volevache Moreau, calandosi per le rive del Danubio, lo aju-tasse, e sì perchè aveva a cuore di assaltare l'arciduca in-nanzi che le genti di nuova leva, che già marciavano,

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avessero ingrossato le reliquie dei vinti. A condurre afine queste fazioni due cose principalmente abbisogna-vano, l'una il non lasciarsi nissun sospetto alle spalle,l'altra il procacciarsi maggiori compensi a dare all'impe-ratore, se questi fosse obbligato a rinunziare alla Lom-bardia. L'uno e l'altro fine conseguiva col far rivoluzio-ne nei paesi Veneti.Con questi pensieri si accostava Buonaparte alla guerrad'Alemagna. Reggeva cinquantamila soldati fioritissimi,e veterani tutti dell'esercito Italico, ed a questi si eranocongiunti ventimila venuti dal Reno sotto la condotta diBernadotte. Gli aveva per tal modo distribuiti nelle stan-ze, che l'ala sua sinistra governata da Joubert e grossa dipiù di ventimila soldati molto agguerriti, guardava i pas-si del Tirolo sulla sponda sinistra del Lavisio oltre alTrento, distendendosi da una parte sino ai fontidell'Adda verso Bormio, dall'altra sino a quei dellaBrenta. La mezza schiera condotta da Massena alloggia-va Bassano; l'ala destra, alla quale presiedeva Buonapar-te stesso, e che aveva un novero di trentamila soldati, al-loggiava nel Trivigiano sino alle rive della Piave. Cosìcon le tre schiere sovrastava Buonaparte ai tre passi, chedall'Italia danno l'adito all'Alemagna, primamente aquello, che da Bolzano dà, a traverso del monte Brenner,verso Inspruck, passo aspro e difficile; secondamente aquello, che dalla Ponteba pei fonti del Tagliamento, eper Tarvisio si apre verso Villaco; finalmente al terzo,che per cammino più facile e più diritto porta da Gorizia

avessero ingrossato le reliquie dei vinti. A condurre afine queste fazioni due cose principalmente abbisogna-vano, l'una il non lasciarsi nissun sospetto alle spalle,l'altra il procacciarsi maggiori compensi a dare all'impe-ratore, se questi fosse obbligato a rinunziare alla Lom-bardia. L'uno e l'altro fine conseguiva col far rivoluzio-ne nei paesi Veneti.Con questi pensieri si accostava Buonaparte alla guerrad'Alemagna. Reggeva cinquantamila soldati fioritissimi,e veterani tutti dell'esercito Italico, ed a questi si eranocongiunti ventimila venuti dal Reno sotto la condotta diBernadotte. Gli aveva per tal modo distribuiti nelle stan-ze, che l'ala sua sinistra governata da Joubert e grossa dipiù di ventimila soldati molto agguerriti, guardava i pas-si del Tirolo sulla sponda sinistra del Lavisio oltre alTrento, distendendosi da una parte sino ai fontidell'Adda verso Bormio, dall'altra sino a quei dellaBrenta. La mezza schiera condotta da Massena alloggia-va Bassano; l'ala destra, alla quale presiedeva Buonapar-te stesso, e che aveva un novero di trentamila soldati, al-loggiava nel Trivigiano sino alle rive della Piave. Cosìcon le tre schiere sovrastava Buonaparte ai tre passi, chedall'Italia danno l'adito all'Alemagna, primamente aquello, che da Bolzano dà, a traverso del monte Brenner,verso Inspruck, passo aspro e difficile; secondamente aquello, che dalla Ponteba pei fonti del Tagliamento, eper Tarvisio si apre verso Villaco; finalmente al terzo,che per cammino più facile e più diritto porta da Gorizia

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a Clagenfurt, a Gratz, ed a Vienna. Ma intenzione diBuonaparte era, poichè inoltrandosi verso Vienna avevabisogno di tutte le sue forze, che Massena, occupati pri-ma Feltre e Belluno sulla Piave, s'impadronisse del pas-so della Chiusa, e giunto per tal via nella superior valledel Tagliamento viaggiasse per Ponteba e Tarvisio allavolta di Villaco. Nè ciò bastando al suo disegno, avevaordinato a Joubert, che ove si fosse fatto padrone di Bol-zano e di Brissio, non istesse più a camminare oltre allavolta d'Inspruck, ma che anzi, vinti i Tedeschi, e voltan-dosi a destra marciasse per Bruneca, e Toblaco a Linzosulle rive della Drava, e per tal modo accostasse le suegenti a Villaco ed a Clagenfurt. Per tale guisa, rotta tuttala fronte degli Austriaci, ed adunate tutte le sue gentisulla strada maestra per a Vienna, sperava, che tra la for-za ed il tenore, gli sarebbe venuto fatto o di costringerealla pace l'imperatore, o di conquistare la metropolidell'Austria. Dava nuovo incentivo a questi pensieri ilsapere, che una parte forte in Vienna, fino negl'imperialiconsigli, inclinava alla pace, la quale parte più efficace-mente operando, quando più fosse imminente il perico-lo, avrebbe fatto che l'opinione sua restasse superiore.Questa parte era ajutata dai ministri di Spagna e di Na-poli, che speravano, per mezzo della pace coll'imperato-re, veder vantaggiata la condizione dei sovrani loro. Me-scolavansi in questo maneggio donne di alto legnaggio,alle quali piaceva o l'ambizione d'intromettersi nelle fac-cende di stato, o le parole di libertà, o la gloria di Buo-naparte. Tutti questi umori e diligentemente saputi, e

a Clagenfurt, a Gratz, ed a Vienna. Ma intenzione diBuonaparte era, poichè inoltrandosi verso Vienna avevabisogno di tutte le sue forze, che Massena, occupati pri-ma Feltre e Belluno sulla Piave, s'impadronisse del pas-so della Chiusa, e giunto per tal via nella superior valledel Tagliamento viaggiasse per Ponteba e Tarvisio allavolta di Villaco. Nè ciò bastando al suo disegno, avevaordinato a Joubert, che ove si fosse fatto padrone di Bol-zano e di Brissio, non istesse più a camminare oltre allavolta d'Inspruck, ma che anzi, vinti i Tedeschi, e voltan-dosi a destra marciasse per Bruneca, e Toblaco a Linzosulle rive della Drava, e per tal modo accostasse le suegenti a Villaco ed a Clagenfurt. Per tale guisa, rotta tuttala fronte degli Austriaci, ed adunate tutte le sue gentisulla strada maestra per a Vienna, sperava, che tra la for-za ed il tenore, gli sarebbe venuto fatto o di costringerealla pace l'imperatore, o di conquistare la metropolidell'Austria. Dava nuovo incentivo a questi pensieri ilsapere, che una parte forte in Vienna, fino negl'imperialiconsigli, inclinava alla pace, la quale parte più efficace-mente operando, quando più fosse imminente il perico-lo, avrebbe fatto che l'opinione sua restasse superiore.Questa parte era ajutata dai ministri di Spagna e di Na-poli, che speravano, per mezzo della pace coll'imperato-re, veder vantaggiata la condizione dei sovrani loro. Me-scolavansi in questo maneggio donne di alto legnaggio,alle quali piaceva o l'ambizione d'intromettersi nelle fac-cende di stato, o le parole di libertà, o la gloria di Buo-naparte. Tutti questi umori e diligentemente saputi, e

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studiosamente nutriti dai repubblicani, erano i fonda-menti principali a cui si appoggiavano le speranze deldirettorio, quando mandava Clarke a trattare gli accordiin Italia. A loro si opponeva per la rettitudine dell'animosuo l'imperator Francesco. Opponevasi ancora, e moltogagliardamente Thugut ministro, o che inclinasse allaparte d'Inghilterra, come pubblicavano i repubblicani, oche credesse, come è più verisimile, che la pace fossepiù pericolosa della guerra. Per cagione di questo eraThugut divenuto segno di ogni più vile ingiuria nellegazzette repubblicane di Francia; nè Buonaparte si rista-va, solito a vituperare chi meglio serviva alla patria, chea lui. Mandava anche bandi agli Ungari, affinchè si ri-bellassero contro la casa d'Austria, e si vendicassero inlibertà. Così mescolando le seduzioni alle armi, e learmi alle seduzioni, e niuna cosa santa ed inviolataavendo, s'incamminava a sconvolgere la monarchiad'Austria, e il mondo.Animava i suoi soldati per fargli star saldi alle nuovepruove: badassero, diceva, che già avevano vinto quat-tordici campali battaglie, settanta minori, preso più dicento mila prigionieri, conquistato cinquecento cannonileggieri, due mila grossi, piatte per quattro ponti, si ri-cordassero, avere senza spesa del pubblico vissuto unanno, mandato trenta milioni all'erario; per loro avere ilmuseo di Parigi acquistato quanto di più bello aveva pe-nato trenta secoli l'antica e la moderna Italia a produrre;le più belle contrade d'Europa essere in potestà della re-

studiosamente nutriti dai repubblicani, erano i fonda-menti principali a cui si appoggiavano le speranze deldirettorio, quando mandava Clarke a trattare gli accordiin Italia. A loro si opponeva per la rettitudine dell'animosuo l'imperator Francesco. Opponevasi ancora, e moltogagliardamente Thugut ministro, o che inclinasse allaparte d'Inghilterra, come pubblicavano i repubblicani, oche credesse, come è più verisimile, che la pace fossepiù pericolosa della guerra. Per cagione di questo eraThugut divenuto segno di ogni più vile ingiuria nellegazzette repubblicane di Francia; nè Buonaparte si rista-va, solito a vituperare chi meglio serviva alla patria, chea lui. Mandava anche bandi agli Ungari, affinchè si ri-bellassero contro la casa d'Austria, e si vendicassero inlibertà. Così mescolando le seduzioni alle armi, e learmi alle seduzioni, e niuna cosa santa ed inviolataavendo, s'incamminava a sconvolgere la monarchiad'Austria, e il mondo.Animava i suoi soldati per fargli star saldi alle nuovepruove: badassero, diceva, che già avevano vinto quat-tordici campali battaglie, settanta minori, preso più dicento mila prigionieri, conquistato cinquecento cannonileggieri, due mila grossi, piatte per quattro ponti, si ri-cordassero, avere senza spesa del pubblico vissuto unanno, mandato trenta milioni all'erario; per loro avere ilmuseo di Parigi acquistato quanto di più bello aveva pe-nato trenta secoli l'antica e la moderna Italia a produrre;le più belle contrade d'Europa essere in potestà della re-

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pubblica; a loro obbligate della libertà la Lombarda, e laCispadana repubbliche; vedere per la prima voltal'Adriatico le Francesi insegne; là oltre, e poco distantemostrarsi la Macedonia antica; il re di Sardegna e di Na-poli, il papa, il duca di Parma, abbandonata la lega, ave-re ricerco l'amicizia della repubblica; gl'Inglesi cacciatida Livorno, da Genova, da Corsica essere testimonj delloro valore; molto essersi per loro fatto, molto ancorarestare a farsi; meritassero l'affezione della patria confi-dente nel loro coraggio; solo fra tanti nemici stare in pièed in armi l'imperatore, l'imperatore postosi agli stipendidei mercanti di Londra, dei perfidi isolani d'Inghilterra,che non tocchi dai mali della guerra, non tocchi dai malidel continente trionfavano; avere voluto il direttorio lapace a condizioni oneste; averle rifiutate la vendutaVienna: gissero adunque, esortava, la pace cercando nelcuore stesso degli stati ereditari d'Austria; vedrebberopopoli valorosi fatti infelici dalla guerra col Turco, fattiinfelici dalla guerra con la repubblica; vedrebbero popo-li sdegnati contro ministri corrotti dall'oro d'Inghilterra;la religione onorassero, i costumi rispettassero, le pro-prietà proteggessero, alla prode nazione Ungara la liber-tà recassero; la casa d'Austria venuta in odio ai popolipei violati privilegi, sforzassero a quella pace, ch'essistessi volessero, e la riducessero, a quella condizione diseconda potenza, a cui già si era da se medesima abbas-sata pei ricevuti salari d'Inghilterra. Voci molto incitatri-ci erano queste agli animi di soldati valorosi, vincitori, eche non conoscendo qual fosse in tanta contesa il dritto,

pubblica; a loro obbligate della libertà la Lombarda, e laCispadana repubbliche; vedere per la prima voltal'Adriatico le Francesi insegne; là oltre, e poco distantemostrarsi la Macedonia antica; il re di Sardegna e di Na-poli, il papa, il duca di Parma, abbandonata la lega, ave-re ricerco l'amicizia della repubblica; gl'Inglesi cacciatida Livorno, da Genova, da Corsica essere testimonj delloro valore; molto essersi per loro fatto, molto ancorarestare a farsi; meritassero l'affezione della patria confi-dente nel loro coraggio; solo fra tanti nemici stare in pièed in armi l'imperatore, l'imperatore postosi agli stipendidei mercanti di Londra, dei perfidi isolani d'Inghilterra,che non tocchi dai mali della guerra, non tocchi dai malidel continente trionfavano; avere voluto il direttorio lapace a condizioni oneste; averle rifiutate la vendutaVienna: gissero adunque, esortava, la pace cercando nelcuore stesso degli stati ereditari d'Austria; vedrebberopopoli valorosi fatti infelici dalla guerra col Turco, fattiinfelici dalla guerra con la repubblica; vedrebbero popo-li sdegnati contro ministri corrotti dall'oro d'Inghilterra;la religione onorassero, i costumi rispettassero, le pro-prietà proteggessero, alla prode nazione Ungara la liber-tà recassero; la casa d'Austria venuta in odio ai popolipei violati privilegi, sforzassero a quella pace, ch'essistessi volessero, e la riducessero, a quella condizione diseconda potenza, a cui già si era da se medesima abbas-sata pei ricevuti salari d'Inghilterra. Voci molto incitatri-ci erano queste agli animi di soldati valorosi, vincitori, eche non conoscendo qual fosse in tanta contesa il dritto,

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il giusto, e l'onesto, non altro suono conoscevano, chequello delle armi.Dalla parte dell'Austria, che mal volentieri si disponevaa lasciare del tutto le cose d'Italia abbandonate, le fac-cende passavano con maggior moderazione, ma non conmaggior coraggio, se si guardano le risoluzioni di chireggeva lo stato; imperciocchè, oltre le reliquie dei sol-dati vinti, si mandavano alla volta della Carintia, dellaCarniola, e del Friuli circa trentamila delle genti delReno, nuove leve si ordinavano negli stati ereditari, lanazione Ungara volonterosamente accorreva in ajuto delsovrano pericolante. Una massa di soldati vecchi e nuo-vi alloggiava a Salisburgo pronta a correre ai passidell'Alpi; un campo si ordinava a Neustadt, come ante-murale alla capitale dell'impero. Tutto ciò non si facevasenza necessità, perchè grande era la debolezzadell'esercito Italico, nè era l'animo maggiore delle forze;cinque volte vinto aveva perduto l'antico ardimento; lecompagnìe sceme, i soldati nuovi non usi all'armi, i vec-chi sconfortati dalle sconfitte; nè ordine stabile era fraloro, nè unità di consiglio; perchè mescolate le compa-gnìe, mescolati i soldati, non era più fra loro abitudinecomune, sola madre dell'operare accordato, e della per-fetta disciplina. Deboli le fanterìe, ancora più debole lacavallerìa, nervo tanto principale degli eserciti Austria-ci, perchè il fiore era perito nella Mantovana guerra. Nèi generali, o gli ufficiali fra di loro s'intendevano, perchèlo sbigottimento dà luogo al voler provvedere alla salute

il giusto, e l'onesto, non altro suono conoscevano, chequello delle armi.Dalla parte dell'Austria, che mal volentieri si disponevaa lasciare del tutto le cose d'Italia abbandonate, le fac-cende passavano con maggior moderazione, ma non conmaggior coraggio, se si guardano le risoluzioni di chireggeva lo stato; imperciocchè, oltre le reliquie dei sol-dati vinti, si mandavano alla volta della Carintia, dellaCarniola, e del Friuli circa trentamila delle genti delReno, nuove leve si ordinavano negli stati ereditari, lanazione Ungara volonterosamente accorreva in ajuto delsovrano pericolante. Una massa di soldati vecchi e nuo-vi alloggiava a Salisburgo pronta a correre ai passidell'Alpi; un campo si ordinava a Neustadt, come ante-murale alla capitale dell'impero. Tutto ciò non si facevasenza necessità, perchè grande era la debolezzadell'esercito Italico, nè era l'animo maggiore delle forze;cinque volte vinto aveva perduto l'antico ardimento; lecompagnìe sceme, i soldati nuovi non usi all'armi, i vec-chi sconfortati dalle sconfitte; nè ordine stabile era fraloro, nè unità di consiglio; perchè mescolate le compa-gnìe, mescolati i soldati, non era più fra loro abitudinecomune, sola madre dell'operare accordato, e della per-fetta disciplina. Deboli le fanterìe, ancora più debole lacavallerìa, nervo tanto principale degli eserciti Austria-ci, perchè il fiore era perito nella Mantovana guerra. Nèi generali, o gli ufficiali fra di loro s'intendevano, perchèlo sbigottimento dà luogo al voler provvedere alla salute

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sua ciascuno da se, e perciò il disordine, ed eziandio irimproveri reciproci, come suole accadere nelle disgra-zie, interrompevano l'armonìa. Non ostante in mezzo atanta depressione d'animi e di fortuna, riconfortava lasbattuta oste il pensiero dello avere a guidatore e capodelle nuove imprese l'arciduca Carlo, principe amatissi-mo, che recentemente aveva dato segni di non mediocreperizia, e di singolare ardimento nelle guerre d'Alema-gna. Nondimeno non potevano gli Austriaci per avereogni provvedimento debole, perduta Mantova, il fioredella cavallerìa, e tante battaglie, sperare di riconquista-re i dominj loro in Italia. Solo si confidavano di arresta-re ai passi dell'Alpi verso la Germania i Francesi tantoche, conservato il cuor dell'imperio, potesse Francescoimperatore o difendersi con vantaggio, o convenire cononore.Alloggiavano nel Trentino, nel paese di Feltre, e nellaMarca Trivigiana, distendendo la fronte loro dai montidi Bormio insino alla foce della Piave. Ritirava sul prin-cipio di febbraio l'arciduca il grosso sulla sinistra rivadel Tagliamento, e lo alloggiava nel Friuli e nella Carin-tia, lasciando tre schiere sulla fronte descritta. TrovavasiLiptay con una di esse a guardare lo spazio, che corredalla frontiera dei Grigioni a Salorno, terra posta sullasinistra dell'Adige sopra al Lavisio, e per tal modo stavaa difesa del superiore Tirolo. Spiegava la seconda le sueordinanze da Salorno a Feltre a traverso i monti chespartono le acque dell'Adige da quelle della Piave. Ob-

sua ciascuno da se, e perciò il disordine, ed eziandio irimproveri reciproci, come suole accadere nelle disgra-zie, interrompevano l'armonìa. Non ostante in mezzo atanta depressione d'animi e di fortuna, riconfortava lasbattuta oste il pensiero dello avere a guidatore e capodelle nuove imprese l'arciduca Carlo, principe amatissi-mo, che recentemente aveva dato segni di non mediocreperizia, e di singolare ardimento nelle guerre d'Alema-gna. Nondimeno non potevano gli Austriaci per avereogni provvedimento debole, perduta Mantova, il fioredella cavallerìa, e tante battaglie, sperare di riconquista-re i dominj loro in Italia. Solo si confidavano di arresta-re ai passi dell'Alpi verso la Germania i Francesi tantoche, conservato il cuor dell'imperio, potesse Francescoimperatore o difendersi con vantaggio, o convenire cononore.Alloggiavano nel Trentino, nel paese di Feltre, e nellaMarca Trivigiana, distendendo la fronte loro dai montidi Bormio insino alla foce della Piave. Ritirava sul prin-cipio di febbraio l'arciduca il grosso sulla sinistra rivadel Tagliamento, e lo alloggiava nel Friuli e nella Carin-tia, lasciando tre schiere sulla fronte descritta. TrovavasiLiptay con una di esse a guardare lo spazio, che corredalla frontiera dei Grigioni a Salorno, terra posta sullasinistra dell'Adige sopra al Lavisio, e per tal modo stavaa difesa del superiore Tirolo. Spiegava la seconda le sueordinanze da Salorno a Feltre a traverso i monti chespartono le acque dell'Adige da quelle della Piave. Ob-

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bediva questa al freno di Lusignano, ed era pronta a ve-nire al cimento con quei soldati rischievoli di Massena.Finalmente il principe di Hohenzollern con settemilasoldati custodiva il paese da Feltre, scendendo per la si-nistra della Piave fin dove ella mette in mare. Fermaval'arciduca il suo principal alloggiamento in Udine, capi-tale del Friuli, perchè sapeva, che il più forte sforzodell'inimico si doveva indirizzare verso Gorizia.Dipendevano gli animi degli uomini da espettazione dicose grandi nel vedere due capitani eletti, l'uno negli oc-chi di tutto il mondo per le guerre d'Italia, l'altro perquelle d'Alemagna, ed entrambi pari d'età, entrambi paridi valore, vicini al venire fra di loro al cimentodell'armi. Ma sebbene l'animo, e la perizia nelle cose diguerra nei due emoli si pareggiassero, non era la mede-sima la natura in ambidue, nè la stessa ancora la condi-zione dei tempi e dei luoghi, in cui si ritrovavano. Eral'uno audace ed impetuoso, l'altro temperato e prudente;guidava il primo genti vittoriose, il secondo genti quasitutte vinte; combatteva quegli con l'armi o con le sugge-stioni, combatteva questi con l'armi e con l'antica fede;aveva il repubblicano l'esercito più grosso, il principeminore; andava con la vittoria di Buonaparte la conser-vazione dell'impero francese in Italia, andava con la vit-toria di Carlo la conservazione della monarchìad'Austria, e la messa di lui era maggiore di quelladell'avversario. Da un altro lato erano tutto all'intorno, edietro, più fedeli i popoli al capitano Austriaco, più av-

bediva questa al freno di Lusignano, ed era pronta a ve-nire al cimento con quei soldati rischievoli di Massena.Finalmente il principe di Hohenzollern con settemilasoldati custodiva il paese da Feltre, scendendo per la si-nistra della Piave fin dove ella mette in mare. Fermaval'arciduca il suo principal alloggiamento in Udine, capi-tale del Friuli, perchè sapeva, che il più forte sforzodell'inimico si doveva indirizzare verso Gorizia.Dipendevano gli animi degli uomini da espettazione dicose grandi nel vedere due capitani eletti, l'uno negli oc-chi di tutto il mondo per le guerre d'Italia, l'altro perquelle d'Alemagna, ed entrambi pari d'età, entrambi paridi valore, vicini al venire fra di loro al cimentodell'armi. Ma sebbene l'animo, e la perizia nelle cose diguerra nei due emoli si pareggiassero, non era la mede-sima la natura in ambidue, nè la stessa ancora la condi-zione dei tempi e dei luoghi, in cui si ritrovavano. Eral'uno audace ed impetuoso, l'altro temperato e prudente;guidava il primo genti vittoriose, il secondo genti quasitutte vinte; combatteva quegli con l'armi o con le sugge-stioni, combatteva questi con l'armi e con l'antica fede;aveva il repubblicano l'esercito più grosso, il principeminore; andava con la vittoria di Buonaparte la conser-vazione dell'impero francese in Italia, andava con la vit-toria di Carlo la conservazione della monarchìad'Austria, e la messa di lui era maggiore di quelladell'avversario. Da un altro lato erano tutto all'intorno, edietro, più fedeli i popoli al capitano Austriaco, più av-

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versi al Francese, il che faceva le ritirate più sicure alprimo che al secondo; e se il ritirarsi era più necessarioa quello, era il vincere più necessario a questo. Per laqual cosa altra maniera di guerra doveva seguitare Buo-naparte, ed altra Carlo; perchè la vittoria del primo con-sisteva nella celerità, quella del secondo nell'indugio, edil non vincere fra breve tempo era per quella parte unperdere, sostenere per qualche tempo la guerra era perquesta un vincere. La natura adunque dei tempi conve-niva alla natura d'ambi i giovani emoli, e quello che perl'uno e per l'altro era necessità, era anche inclinazione.Per questo elesse Buonaparte di spignersi frettolosamen-te avanti per condurre alla giornata l'avversario ovunqueil trovasse, mentre prese l'arciduca partito di ritirarsi, difarsi forte ai passi, di tagliare i ritorni, di non tentaresenza necessità la fortuna del combattere, e di operar permodo sì coi soldati che con le popolazioni, che di altrospazio non fosse il Francese padrone, se non di quello incui i suoi soldati insistessero. A questa deliberazione eraanche costretto dal pensare, che, non essendo ancoragiunti tutti, quantunque già fossero in viaggio, i rinforziche dal Reno, dall'Ungheria, e dagli stati ereditari aspet-tava, il tirarsi indietro era avvicinarsi ai medesimi, eperciò diventare ogni ora più grosso, mentre a Buona-parte continuamente scemerebbono le forze in propor-zione dello avanzarsi, a cagione dei presidj che doveva enei luoghi aperti e nei chiusi lasciarsi alle spalle, permantenere le strade sicure verso l'Italia, donde gli veni-vano i sussidi di soldati e di munizioni. Certamente

versi al Francese, il che faceva le ritirate più sicure alprimo che al secondo; e se il ritirarsi era più necessarioa quello, era il vincere più necessario a questo. Per laqual cosa altra maniera di guerra doveva seguitare Buo-naparte, ed altra Carlo; perchè la vittoria del primo con-sisteva nella celerità, quella del secondo nell'indugio, edil non vincere fra breve tempo era per quella parte unperdere, sostenere per qualche tempo la guerra era perquesta un vincere. La natura adunque dei tempi conve-niva alla natura d'ambi i giovani emoli, e quello che perl'uno e per l'altro era necessità, era anche inclinazione.Per questo elesse Buonaparte di spignersi frettolosamen-te avanti per condurre alla giornata l'avversario ovunqueil trovasse, mentre prese l'arciduca partito di ritirarsi, difarsi forte ai passi, di tagliare i ritorni, di non tentaresenza necessità la fortuna del combattere, e di operar permodo sì coi soldati che con le popolazioni, che di altrospazio non fosse il Francese padrone, se non di quello incui i suoi soldati insistessero. A questa deliberazione eraanche costretto dal pensare, che, non essendo ancoragiunti tutti, quantunque già fossero in viaggio, i rinforziche dal Reno, dall'Ungheria, e dagli stati ereditari aspet-tava, il tirarsi indietro era avvicinarsi ai medesimi, eperciò diventare ogni ora più grosso, mentre a Buona-parte continuamente scemerebbono le forze in propor-zione dello avanzarsi, a cagione dei presidj che doveva enei luoghi aperti e nei chiusi lasciarsi alle spalle, permantenere le strade sicure verso l'Italia, donde gli veni-vano i sussidi di soldati e di munizioni. Certamente

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buon modo di guerra intraprendeva Carlo, e mancò piut-tosto l'animo in Vienna, che la prudenza nel difensore.Il primo a dare il segnale delle nuove battaglie fu il ge-nerale di Francia: il dieci marzo si muoveva con la suadestra, e con la mezzana schiera. Era suo primario inten-dimento di entrar fra mezzo agli Alemanni per modoche l'ala loro destra restasse separata dalle altre. Perciòaveva ordinato, che il principale sforzo in questa primamossa fosse fatto dalla mezzana, che raunata sulle rivedella Piave obbediva a Massena; perchè era evidente,che ove egli fosse riuscito ad impadronirsi della Piavesuperiore, occupando il paese di Cadore, era interrotta lastrada dal Tirolo al Friuli. Conseguito questo intento di-veniva più facile a Joubert di cacciarsi avanti gl'imperia-li fino all'ultimo varco di Germania, per quindi condursiper la valle del Puster e della Drava agli ulteriori disegnidi Buonaparte. Nè mancava Massena del debito suo:perchè non così tosto si mosse, che gli Austriaci, abban-donata la fronte del Cardevolo, ed i luoghi più bassi, an-davano a porsi in sito forte oltre Belluno a fine di pro-pulsare l'inimico, se tentasse d'innoltrarsi nella valle diCadore. Seguitavagli tostamente il Francese, e quantun-que Lusignano con grandissimo valore si difendesse,prevalendo i repubblicani di numero, fu alla fine obbli-gato, non giovandogli nè l'avere ordinato i suoi in globoper aprirsi il passo alla salute, nè un bravo menar di ba-ionette, a por giù le armi con tutta la sua schiera, e adarsi in potestà del vincitore. Per tal modo meglio di

buon modo di guerra intraprendeva Carlo, e mancò piut-tosto l'animo in Vienna, che la prudenza nel difensore.Il primo a dare il segnale delle nuove battaglie fu il ge-nerale di Francia: il dieci marzo si muoveva con la suadestra, e con la mezzana schiera. Era suo primario inten-dimento di entrar fra mezzo agli Alemanni per modoche l'ala loro destra restasse separata dalle altre. Perciòaveva ordinato, che il principale sforzo in questa primamossa fosse fatto dalla mezzana, che raunata sulle rivedella Piave obbediva a Massena; perchè era evidente,che ove egli fosse riuscito ad impadronirsi della Piavesuperiore, occupando il paese di Cadore, era interrotta lastrada dal Tirolo al Friuli. Conseguito questo intento di-veniva più facile a Joubert di cacciarsi avanti gl'imperia-li fino all'ultimo varco di Germania, per quindi condursiper la valle del Puster e della Drava agli ulteriori disegnidi Buonaparte. Nè mancava Massena del debito suo:perchè non così tosto si mosse, che gli Austriaci, abban-donata la fronte del Cardevolo, ed i luoghi più bassi, an-davano a porsi in sito forte oltre Belluno a fine di pro-pulsare l'inimico, se tentasse d'innoltrarsi nella valle diCadore. Seguitavagli tostamente il Francese, e quantun-que Lusignano con grandissimo valore si difendesse,prevalendo i repubblicani di numero, fu alla fine obbli-gato, non giovandogli nè l'avere ordinato i suoi in globoper aprirsi il passo alla salute, nè un bravo menar di ba-ionette, a por giù le armi con tutta la sua schiera, e adarsi in potestà del vincitore. Per tal modo meglio di

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seicento soldati, Lusignano con loro, vennero in poterdei Francesi; ma fu maggiore il numero degli Austriaciuccisi in quell'ostinato conflitto. Al tempo medesimoSerrurier e Guyeux varcavano la Piave a Vidoro e adOspidaletto, ed occupato Conegliano e Sacile si avvici-navano al Tagliamento. Aveva l'arciduca munito lasponda sinistra di questo, piuttosto impetuoso torrenteche giusto fiume, di trincee con averle afforzate con ar-tiglierie. Stanziavano anche numerose torme di caval-leggieri pronte a ributtare l'inimico, ove passasse. Maqueste erano meglio dimostrazioni per ritardare, che perarrestare l'inimico, perchè le acque del Tagliamento, nonancora sciolte le nevi sui monti, si potevano guadare inmolti luoghi. Per la qual cosa i Francesi, schivando ipassi muniti, riuscivano facilmente sulla sinistra. Fuvviqualche incontro di cavallerìa assai brava, ma i fanti Te-deschi fecero sperienza di poca virtù, quando la cavalle-rìa dei repubblicani, varcato il fiume, gli ebbe assaltati.Al contrario i primi fanti francesi che avevano passato,percossi vigorosamente dalla cavallerìa tedesca, aveva-no contrastato con molta forza. Fu poco notabile in que-sto fatto la perdita dei repubblicani. Mancaronodegl'imperiali meglio di seicento soldati tra uccisi e pri-gionieri: s'aggiunsero alle conquiste dei vincitori seicannoni. Venne prigione in mano loro il generaleSchultz.Passato il Tagliamento, ed assicurato Buonaparte sullasinistra per la vittoria di Massena, che già da Cadore,

seicento soldati, Lusignano con loro, vennero in poterdei Francesi; ma fu maggiore il numero degli Austriaciuccisi in quell'ostinato conflitto. Al tempo medesimoSerrurier e Guyeux varcavano la Piave a Vidoro e adOspidaletto, ed occupato Conegliano e Sacile si avvici-navano al Tagliamento. Aveva l'arciduca munito lasponda sinistra di questo, piuttosto impetuoso torrenteche giusto fiume, di trincee con averle afforzate con ar-tiglierie. Stanziavano anche numerose torme di caval-leggieri pronte a ributtare l'inimico, ove passasse. Maqueste erano meglio dimostrazioni per ritardare, che perarrestare l'inimico, perchè le acque del Tagliamento, nonancora sciolte le nevi sui monti, si potevano guadare inmolti luoghi. Per la qual cosa i Francesi, schivando ipassi muniti, riuscivano facilmente sulla sinistra. Fuvviqualche incontro di cavallerìa assai brava, ma i fanti Te-deschi fecero sperienza di poca virtù, quando la cavalle-rìa dei repubblicani, varcato il fiume, gli ebbe assaltati.Al contrario i primi fanti francesi che avevano passato,percossi vigorosamente dalla cavallerìa tedesca, aveva-no contrastato con molta forza. Fu poco notabile in que-sto fatto la perdita dei repubblicani. Mancaronodegl'imperiali meglio di seicento soldati tra uccisi e pri-gionieri: s'aggiunsero alle conquiste dei vincitori seicannoni. Venne prigione in mano loro il generaleSchultz.Passato il Tagliamento, ed assicurato Buonaparte sullasinistra per la vittoria di Massena, che già da Cadore,

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valicando dai fonti della Piave a quei del Tagliamento,si accostava con presti alloggiamenti alla Ponteba, sistendeva per tutto il Friuli, cacciandosi avanti verso ilLisonzo le armi Austriache, che debolmente combatten-do facilmente gli cedevano del campo. Già le fortezze diPalmanova e di Gradisca, e già Gorizia erano in potersuo venute. Quindi allargandosi a destra s'impadronivadi Trieste abbandonato da' suoi difensori, e fatta una su-bita correrìa sopra Idria, faceva sue quelle ricche minie-re d'argento vivo, bottino ricchissimo, ma non tantoquanto portò la fama. Verso sinistra, procedendo altresìmolto risolutamente, prendeva Cividale e s'incammina-va a Chiavoretto, perchè voleva consuonare con Masse-na nel carico, che questi aveva d'impossessarsi del passoimportante della Ponteba. Grande era questo suo pensie-ro; conciossiacchè se Massena guadagnava il passo del-la Ponteba, poi quello di Tarvisio, che gli succede, glisarebbe venuto fatto di spuntare il fianco destrodell'arciduca, di separarlo da Kerpen, e da Laudon,d'impedire i rinforzi, che dal Reno gli pervenivano, eforse ancora di giungere a Clagenfurt sulla strada per aVienna innanzi che il generalissimo Austriaco vi arri-vasse. Con ciò conseguiva anche l'altro intento di assi-curarsi la congiunzione delle genti di Joubert, che per lavalle della Drava dovevano venire dal Tirolo. Parte diquesti pensieri recava ad effetto, e parte no, perchè glivenne interrotta dalla celerità e dalla prudenzadell'avversario.

valicando dai fonti della Piave a quei del Tagliamento,si accostava con presti alloggiamenti alla Ponteba, sistendeva per tutto il Friuli, cacciandosi avanti verso ilLisonzo le armi Austriache, che debolmente combatten-do facilmente gli cedevano del campo. Già le fortezze diPalmanova e di Gradisca, e già Gorizia erano in potersuo venute. Quindi allargandosi a destra s'impadronivadi Trieste abbandonato da' suoi difensori, e fatta una su-bita correrìa sopra Idria, faceva sue quelle ricche minie-re d'argento vivo, bottino ricchissimo, ma non tantoquanto portò la fama. Verso sinistra, procedendo altresìmolto risolutamente, prendeva Cividale e s'incammina-va a Chiavoretto, perchè voleva consuonare con Masse-na nel carico, che questi aveva d'impossessarsi del passoimportante della Ponteba. Grande era questo suo pensie-ro; conciossiacchè se Massena guadagnava il passo del-la Ponteba, poi quello di Tarvisio, che gli succede, glisarebbe venuto fatto di spuntare il fianco destrodell'arciduca, di separarlo da Kerpen, e da Laudon,d'impedire i rinforzi, che dal Reno gli pervenivano, eforse ancora di giungere a Clagenfurt sulla strada per aVienna innanzi che il generalissimo Austriaco vi arri-vasse. Con ciò conseguiva anche l'altro intento di assi-curarsi la congiunzione delle genti di Joubert, che per lavalle della Drava dovevano venire dal Tirolo. Parte diquesti pensieri recava ad effetto, e parte no, perchè glivenne interrotta dalla celerità e dalla prudenzadell'avversario.

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Ma prima che raccontiamo le importanti fazioni che neseguirono, necessaria cosa è il descrivere, come le cosepassassero tra Joubert da un canto, e Liptay, Kerpen eLaudon dall'altro nel Tirolo. Come prima ebbe avvisoJoubert dei prosperi fatti accaduti nel Friuli, si mettevaall'ordine per eseguir le imprese, che alla fede, ed al va-lor suo aveva Buonaparte raccomandate. Varcava il La-visio il dì venti di marzo, non ostante che i cacciatori Ti-rolesi posti ai passi, con ispessi tiri ogni opera facesseroper impedirlo: urtava Kerpen, che aveva un forte camposulle alture di Cembra, tentando di accerchiarlo a sini-stra per Cavriana. Al tempo stesso per la strada di Bol-zano, e a destra marciavano Delmas, e Baragueyd'Hilliers. Fu valida, ma non lunga la difesa, pel timoreche ebbe Kerpen di essere circuito sulla destra della suafronte, però con celeri passi si ritirava a San Michele,donde gagliardamente anche combattuto dai Francesiviemmaggiormente indietreggiando, andava a porsi piùsopra a Bolzano. Grave danno patirono in tutti questifatti gli Austriaci, avendo perduto tra uccisi, feriti e pri-gioni circa tre mila soldati. Entravano successivamente,benchè non senza nuove battaglie e molto sangue, iFrancesi in Salorno, in Peza, ed in Newmarket. La ritira-ta tanto presta di Kerpen poneva in grave pericoloLaudon, che alloggiava sulla destra dell'Adige, percioc-chè le raccontate fazioni accadevano sulla sinistra. Nè iFrancesi trasandavano la occasione; anzi, varcato il fiu-me ai ponti di Salorno e di Newmarket, assalivanoLaudon nel suo campo di Tranen, e lo rompevano con

Ma prima che raccontiamo le importanti fazioni che neseguirono, necessaria cosa è il descrivere, come le cosepassassero tra Joubert da un canto, e Liptay, Kerpen eLaudon dall'altro nel Tirolo. Come prima ebbe avvisoJoubert dei prosperi fatti accaduti nel Friuli, si mettevaall'ordine per eseguir le imprese, che alla fede, ed al va-lor suo aveva Buonaparte raccomandate. Varcava il La-visio il dì venti di marzo, non ostante che i cacciatori Ti-rolesi posti ai passi, con ispessi tiri ogni opera facesseroper impedirlo: urtava Kerpen, che aveva un forte camposulle alture di Cembra, tentando di accerchiarlo a sini-stra per Cavriana. Al tempo stesso per la strada di Bol-zano, e a destra marciavano Delmas, e Baragueyd'Hilliers. Fu valida, ma non lunga la difesa, pel timoreche ebbe Kerpen di essere circuito sulla destra della suafronte, però con celeri passi si ritirava a San Michele,donde gagliardamente anche combattuto dai Francesiviemmaggiormente indietreggiando, andava a porsi piùsopra a Bolzano. Grave danno patirono in tutti questifatti gli Austriaci, avendo perduto tra uccisi, feriti e pri-gioni circa tre mila soldati. Entravano successivamente,benchè non senza nuove battaglie e molto sangue, iFrancesi in Salorno, in Peza, ed in Newmarket. La ritira-ta tanto presta di Kerpen poneva in grave pericoloLaudon, che alloggiava sulla destra dell'Adige, percioc-chè le raccontate fazioni accadevano sulla sinistra. Nè iFrancesi trasandavano la occasione; anzi, varcato il fiu-me ai ponti di Salorno e di Newmarket, assalivanoLaudon nel suo campo di Tranen, e lo rompevano con

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uccisione di molti, e con circa novecento prigioni, e pa-recchie artiglierìe prese. Dopo questa rotta, che facevaimpossibile a Laudon di ricongiungersi con Kerpen, nonebbe altro rimedio, che di cercar ricovero nelle parti su-periori della valle di Merano. Quivi stette aspettando,che la fortuna gli offerisse nuova occasione di risorgere.Seguitavano i Francesi il corso della fortuna vincitrice,ed urtato Kerpen che aveva fatto un forte alloggiamentoalla Chiusa, lo avevano sloggiato e percosso di modo,che abbandonato anche Brissio, pensava a ritirarsi aSterzing, luogo molto scosceso, stretto, rotto, difficile, eposto nelle montagne del Brenner presso al sommo gio-go dell'Alpi, dove si spartono le acque dell'Adige edell'OEno, ultima difesa d'Alemagna contro chi vienedalle terre d'Italia. I Francesi lo assaltavano audacemen-te in quel fortissimo alloggiamento; fu dura e sanguino-sa la battaglia; furono costretti a tornarsene indietro, oche l'intoppo fosse troppo forte, o, come pare più proba-bile, che l'intento loro fosse solamente di assicurarsi,non di passare, perchè era pericoloso a Joubert di con-dursi sino ad Inspruck, e non conveniente ai disegni diBuonaparte, che voleva vicina a se, e non lontana, nè se-parata da alte e disagevoli montagne quella schiera.Adunque Joubert si fermava a Brissio, dove poteva asuo grado o stare osservando le cose del Tirolo, o mar-ciare per Bruneca e Toblaco a Linzo, e di là fino a Villa-co per trovarvi Buonaparte. Ma non tardava a fare lafortuna, che quello, che era elezione per lui, diventasse

uccisione di molti, e con circa novecento prigioni, e pa-recchie artiglierìe prese. Dopo questa rotta, che facevaimpossibile a Laudon di ricongiungersi con Kerpen, nonebbe altro rimedio, che di cercar ricovero nelle parti su-periori della valle di Merano. Quivi stette aspettando,che la fortuna gli offerisse nuova occasione di risorgere.Seguitavano i Francesi il corso della fortuna vincitrice,ed urtato Kerpen che aveva fatto un forte alloggiamentoalla Chiusa, lo avevano sloggiato e percosso di modo,che abbandonato anche Brissio, pensava a ritirarsi aSterzing, luogo molto scosceso, stretto, rotto, difficile, eposto nelle montagne del Brenner presso al sommo gio-go dell'Alpi, dove si spartono le acque dell'Adige edell'OEno, ultima difesa d'Alemagna contro chi vienedalle terre d'Italia. I Francesi lo assaltavano audacemen-te in quel fortissimo alloggiamento; fu dura e sanguino-sa la battaglia; furono costretti a tornarsene indietro, oche l'intoppo fosse troppo forte, o, come pare più proba-bile, che l'intento loro fosse solamente di assicurarsi,non di passare, perchè era pericoloso a Joubert di con-dursi sino ad Inspruck, e non conveniente ai disegni diBuonaparte, che voleva vicina a se, e non lontana, nè se-parata da alte e disagevoli montagne quella schiera.Adunque Joubert si fermava a Brissio, dove poteva asuo grado o stare osservando le cose del Tirolo, o mar-ciare per Bruneca e Toblaco a Linzo, e di là fino a Villa-co per trovarvi Buonaparte. Ma non tardava a fare lafortuna, che quello, che era elezione per lui, diventasse

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necessità.Chiamava Laudon i Tirolesi all'armi, gli chiamavaKerpen: secondava con ardenti esortazioni l'opera loro ilconte di Lerback, personaggio di grande autorità, e mol-to potente nelle cose del Tirolo. I bellicosi abitatori diquelle montagne al suono di voci tanto gradite correva-no all'armi bramosamente contro i conculcatori della pa-tria loro: nè il sesso, nè l'età si rimanevano, perchè furo-no veduti e vecchi, e donne, e fanciulli, dato di manoalle armi, che il caso od il furore parava loro davanti,mettersi in piè per difendere le antiche ed amate sediloro. Nè la stagione sinistra, nè le alte nevi, nè i grossied impetuosi torrenti, nè ogni disagio di guerra o di vet-tovaglia gl'impedivano. Passava tant'oltre quest'improv-viso tumulto, che sul principiar di aprile, risuonandoquelle valli d'ogni intorno d'armi e di grida guerriere,meglio di venti mila combattenti erano in pronto controquella gente venuta da lontani paesi per conquistargli.Intanto i generali Tedeschi, che sapevano, che le molti-tudini disordinate sono piuttosto preda, che danno ad unnemico bene ordinato, avevano distribuito in battaglionigiusti quella massa tumultuante, e mescolatovi, per darpolso e regola, alcuni drappelli di regolari. Principalefondamento facevano nell'opera di costoro, perchè que-sti popoli accorsi, sapendo il paese, potevano acconcia-mente ferire alla leggiera, opprimere i traviati, mozzar lestrade, riuscire improvvisi alle spalle, bersagliare dalungi e da luoghi erti, soprapprendere le bagaglie, impe-

necessità.Chiamava Laudon i Tirolesi all'armi, gli chiamavaKerpen: secondava con ardenti esortazioni l'opera loro ilconte di Lerback, personaggio di grande autorità, e mol-to potente nelle cose del Tirolo. I bellicosi abitatori diquelle montagne al suono di voci tanto gradite correva-no all'armi bramosamente contro i conculcatori della pa-tria loro: nè il sesso, nè l'età si rimanevano, perchè furo-no veduti e vecchi, e donne, e fanciulli, dato di manoalle armi, che il caso od il furore parava loro davanti,mettersi in piè per difendere le antiche ed amate sediloro. Nè la stagione sinistra, nè le alte nevi, nè i grossied impetuosi torrenti, nè ogni disagio di guerra o di vet-tovaglia gl'impedivano. Passava tant'oltre quest'improv-viso tumulto, che sul principiar di aprile, risuonandoquelle valli d'ogni intorno d'armi e di grida guerriere,meglio di venti mila combattenti erano in pronto controquella gente venuta da lontani paesi per conquistargli.Intanto i generali Tedeschi, che sapevano, che le molti-tudini disordinate sono piuttosto preda, che danno ad unnemico bene ordinato, avevano distribuito in battaglionigiusti quella massa tumultuante, e mescolatovi, per darpolso e regola, alcuni drappelli di regolari. Principalefondamento facevano nell'opera di costoro, perchè que-sti popoli accorsi, sapendo il paese, potevano acconcia-mente ferire alla leggiera, opprimere i traviati, mozzar lestrade, riuscire improvvisi alle spalle, bersagliare dalungi e da luoghi erti, soprapprendere le bagaglie, impe-

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dire la vettovaglia, insomma fare ogni cosa avanti, a'fianchi, e addietro sospetta e pericolosa.Kerpen e Laudon, fatti forti da questo accalorato stor-mo, ed ingrossati anche da qualche battaglione di rego-lari venuti dall'esercito Renano, si consigliavano di vo-ler cacciare del tutto dal Tirolo i repubblicani. Con que-sto pensiero Laudon, che aveva spogliato d'abitatori lavalle di Merano, ed ordinatigli sotto le insegne, calavaminacciosamente da quei luoghi alti e dirupati, ed anda-va a battere a mezza strada tra Brissio e Bolzano, colfine di tagliar il ritorno ai Francesi alle parti disottanedell'Adige. Gli riusciva l'intento, perchè assaltate conimpeto le vanguardie Francesi, le faceva piegare, es'impadroniva di Bolzano. Fatto poscia più audace dalfortunato successo, saliva per le rive dell'Adige per con-giungersi con Kerpen, e per istringere vieppiù Joubert,che tra l'una schiera e l'altra stanziava a Brissio. Occu-pava la Chiusa, poi Steben, tanto ritirandosi i Francesipiù in su, quanto più s'avvicinava Laudon: già Brissiomedesimo pericolava. Nè se ne stava neghittoso in que-sto mezzo tempo Kerpen, perchè calando con le suegenti miste di Tirolesi e di Tedeschi da Sterzing, rincac-ciava i repubblicani fin sotto le mura di Brissio. Perquesto modo a Joubert accerchiato da tre parti, a tra-montana da Kerpen, a ostro ed a ponente da Laudon,non rimaneva più altro scampo, che a levante per la val-le del Puster, poscia per quella della Drava sino a Villa-co. Partitosi da Brissio il dì cinque aprile, e ritardato

dire la vettovaglia, insomma fare ogni cosa avanti, a'fianchi, e addietro sospetta e pericolosa.Kerpen e Laudon, fatti forti da questo accalorato stor-mo, ed ingrossati anche da qualche battaglione di rego-lari venuti dall'esercito Renano, si consigliavano di vo-ler cacciare del tutto dal Tirolo i repubblicani. Con que-sto pensiero Laudon, che aveva spogliato d'abitatori lavalle di Merano, ed ordinatigli sotto le insegne, calavaminacciosamente da quei luoghi alti e dirupati, ed anda-va a battere a mezza strada tra Brissio e Bolzano, colfine di tagliar il ritorno ai Francesi alle parti disottanedell'Adige. Gli riusciva l'intento, perchè assaltate conimpeto le vanguardie Francesi, le faceva piegare, es'impadroniva di Bolzano. Fatto poscia più audace dalfortunato successo, saliva per le rive dell'Adige per con-giungersi con Kerpen, e per istringere vieppiù Joubert,che tra l'una schiera e l'altra stanziava a Brissio. Occu-pava la Chiusa, poi Steben, tanto ritirandosi i Francesipiù in su, quanto più s'avvicinava Laudon: già Brissiomedesimo pericolava. Nè se ne stava neghittoso in que-sto mezzo tempo Kerpen, perchè calando con le suegenti miste di Tirolesi e di Tedeschi da Sterzing, rincac-ciava i repubblicani fin sotto le mura di Brissio. Perquesto modo a Joubert accerchiato da tre parti, a tra-montana da Kerpen, a ostro ed a ponente da Laudon,non rimaneva più altro scampo, che a levante per la val-le del Puster, poscia per quella della Drava sino a Villa-co. Partitosi da Brissio il dì cinque aprile, e ritardato

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l'impeto di Kerpen, che lo voleva seguitare, con averrotto il ponte sull'Eisaco, arrivava il giorno otto a salva-mento a Linzo, dove trovava alcuni squadroni di caval-leria, che il generalissimo, geloso di quel passo, avevamandati ad incontrarlo. Poscia marciando sollecitamentein giù per le rive della Drava, e rotte alcune squadre col-lettizie all'Ospedale, che volevano serrargli il passo,conduceva ad effetto1 a Villaco la congiunzione dei dueeserciti. Ma Laudon non si ristava; che anzi cacciandoall'ingiù dall'Adige i Francesi, entrava vittorioso inTrento e Roveredo. S'allargava anche sulle sponde dellago a Torbole ed a Riva. Questa mossa, che già facevasentir il romore delle armi Tedesche nella pianura frap-posta fra l'Adige e il Mincio, partoriva effetti importanti,e ne avrebbe partorito degli estremi, se l'imperatoreFrancesco avesse mostrato, in quest' ultima fine, mag-giore costanza, ed il senato Veneziano maggiore ardi-mento.La guerra si avvicinava sugli estremi confini d'Italia peropera di Massena ad un evento terminativo, per quantospetta alla difesa degli stati ereditari d'Austria. Già si èda noi notato, di quanta importanza fosse il passo dellaPonteba. Per questo aveva comandato l'arciduca aOcskay, che lo custodiva, ostinatamente il difendesse.Confidando nel valore de' suoi, veniva in pensiero di so-praccorrere improvvisamente con forze superiori controMassena, e di conculcarlo prima che Buonaparte avesse

1 Nell'originale "ad affetto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

l'impeto di Kerpen, che lo voleva seguitare, con averrotto il ponte sull'Eisaco, arrivava il giorno otto a salva-mento a Linzo, dove trovava alcuni squadroni di caval-leria, che il generalissimo, geloso di quel passo, avevamandati ad incontrarlo. Poscia marciando sollecitamentein giù per le rive della Drava, e rotte alcune squadre col-lettizie all'Ospedale, che volevano serrargli il passo,conduceva ad effetto1 a Villaco la congiunzione dei dueeserciti. Ma Laudon non si ristava; che anzi cacciandoall'ingiù dall'Adige i Francesi, entrava vittorioso inTrento e Roveredo. S'allargava anche sulle sponde dellago a Torbole ed a Riva. Questa mossa, che già facevasentir il romore delle armi Tedesche nella pianura frap-posta fra l'Adige e il Mincio, partoriva effetti importanti,e ne avrebbe partorito degli estremi, se l'imperatoreFrancesco avesse mostrato, in quest' ultima fine, mag-giore costanza, ed il senato Veneziano maggiore ardi-mento.La guerra si avvicinava sugli estremi confini d'Italia peropera di Massena ad un evento terminativo, per quantospetta alla difesa degli stati ereditari d'Austria. Già si èda noi notato, di quanta importanza fosse il passo dellaPonteba. Per questo aveva comandato l'arciduca aOcskay, che lo custodiva, ostinatamente il difendesse.Confidando nel valore de' suoi, veniva in pensiero di so-praccorrere improvvisamente con forze superiori controMassena, e di conculcarlo prima che Buonaparte avesse

1 Nell'originale "ad affetto". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]

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tempo di soccorrerlo. Il quale intento, se avesse avuto ilsuo effetto, l'arciduca avrebbe fatto a Buonaparte quello,che Buonaparte voleva fare a lui, cioè separare l'ala suadestra dalle genti del Tirolo, che erano la sua sinistra. Aquesto fine ebbe tostamente il generale austriaco aduna-to alcune truppe già venute dal Reno, e comandava altempo medesimo ai generali Gontreuil e Bajalitsch,marciassero risolutamente a Tarvisio per a Ponteba; gliseguitava di pari passo, conducendo con se le artiglieriepiù grosse. L'accidente era importante, il momento for-tunoso. Già marciava l'arciduca quasi sicuro della vitto-ria; ma quando più confidava di un prospero fine, gli so-pravvenivano le novelle, certamente ingratissime, cheOcskay, non facendo alla Ponteba contro Massena quel-la sperienza che si aspettava di lui, si era tirato indietrofino a Tarvisio; che anzi velocemente seguitato dal ne-mico, aveva anche abbandonato Tarvisio, ritirandosi piùche di passo verso Wurtzen. Quest'accidente tanto impe-tuoso fece precipitar l'arciduca ai rimedi: comandava aOcskay, che tornasse incontanente, e cacciasse i repub-blicani da Tarvisio. Ma il suo intento non ebbe effetto,perchè Ocskay, troppo accelerando il cammino, già eraarrivato a Wurtzen, terra troppo più lontana che abbiso-gnasse, perché ei potesse giungere a tempo alla fazione.Non si perdeva d'animo per tanto sinistro l'arciduca, e,non lasciata indietro diligenza od opera alcuna, pensavaa ricuperar col valore quello, che la timidità aveva per-duto. A questo fine ordinava a Gontreuil e Bajalitsch,seguitassero a marciare, e restituissero ad ogni modo

tempo di soccorrerlo. Il quale intento, se avesse avuto ilsuo effetto, l'arciduca avrebbe fatto a Buonaparte quello,che Buonaparte voleva fare a lui, cioè separare l'ala suadestra dalle genti del Tirolo, che erano la sua sinistra. Aquesto fine ebbe tostamente il generale austriaco aduna-to alcune truppe già venute dal Reno, e comandava altempo medesimo ai generali Gontreuil e Bajalitsch,marciassero risolutamente a Tarvisio per a Ponteba; gliseguitava di pari passo, conducendo con se le artiglieriepiù grosse. L'accidente era importante, il momento for-tunoso. Già marciava l'arciduca quasi sicuro della vitto-ria; ma quando più confidava di un prospero fine, gli so-pravvenivano le novelle, certamente ingratissime, cheOcskay, non facendo alla Ponteba contro Massena quel-la sperienza che si aspettava di lui, si era tirato indietrofino a Tarvisio; che anzi velocemente seguitato dal ne-mico, aveva anche abbandonato Tarvisio, ritirandosi piùche di passo verso Wurtzen. Quest'accidente tanto impe-tuoso fece precipitar l'arciduca ai rimedi: comandava aOcskay, che tornasse incontanente, e cacciasse i repub-blicani da Tarvisio. Ma il suo intento non ebbe effetto,perchè Ocskay, troppo accelerando il cammino, già eraarrivato a Wurtzen, terra troppo più lontana che abbiso-gnasse, perché ei potesse giungere a tempo alla fazione.Non si perdeva d'animo per tanto sinistro l'arciduca, e,non lasciata indietro diligenza od opera alcuna, pensavaa ricuperar col valore quello, che la timidità aveva per-duto. A questo fine ordinava a Gontreuil e Bajalitsch,seguitassero a marciare, e restituissero ad ogni modo

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alle armi austriache il passo di Tarvisio. Tanto veloce-mente marciò il primo, guidatore dell'antiguardo, che,valicato il colle di Ober-Preth, urtava valorosamente inTarvisio, cacciavane i repubblicani, e perseguitandogli,gli respingeva sin oltre al villaggio di Salfnitz, e se fossestato presto Bajalitsch ad arrivare per fermare i suoi nel-la battaglia, l'impresa aveva il suo compimento. Ma egli,o fosse ritardato dai luoghi aspri, o dagl'impedimentidelle artiglierìe che voleva condurre con se, non potè ar-rivare a tempo alla fazione, per modo che il seguentegiorno, che fu ai ventitre di marzo, Massena, raccolti edadunati i suoi, e già prevalendo di forze controGontreuil rimasto solo, dava dentro, prima a Salnitz, po-scia a Tarvisio, e da ambi i luoghi cacciava gl'imperiali.Nè valsero il valore di Gontreuil, che fu molto notabile,nè quello delle sue genti che combatterono virilmente,nè la presenza dell'arciduca medesimo che era accorso,e fece in questa battaglia le veci non meno di esperto ca-pitano, che di animoso soldato, ad arrestare il corso del-la fortuna contraria; perchè non solamente fu rotto e fe-rito Gontreuil, ma fu cagione, che rotto ancora fossepoco dopo Bajalitsch che arrivava; conciossiachè Mas-sena vittorioso, rivoltatosi contro questa seconda colon-na, le dava l'assalto sui confini di Raibel. Al tempo me-desimo Guyeux, che si era impossessato per una batta-glia di mano del forte passo della Chiusa di Plezzo, ac-costatosi ancor esso, l'assaliva alla coda. La schiera, ur-tata da tutte le parti da un nemico vittorioso, ridotta adun'estrema lassezza pel camminare frettoloso su per

alle armi austriache il passo di Tarvisio. Tanto veloce-mente marciò il primo, guidatore dell'antiguardo, che,valicato il colle di Ober-Preth, urtava valorosamente inTarvisio, cacciavane i repubblicani, e perseguitandogli,gli respingeva sin oltre al villaggio di Salfnitz, e se fossestato presto Bajalitsch ad arrivare per fermare i suoi nel-la battaglia, l'impresa aveva il suo compimento. Ma egli,o fosse ritardato dai luoghi aspri, o dagl'impedimentidelle artiglierìe che voleva condurre con se, non potè ar-rivare a tempo alla fazione, per modo che il seguentegiorno, che fu ai ventitre di marzo, Massena, raccolti edadunati i suoi, e già prevalendo di forze controGontreuil rimasto solo, dava dentro, prima a Salnitz, po-scia a Tarvisio, e da ambi i luoghi cacciava gl'imperiali.Nè valsero il valore di Gontreuil, che fu molto notabile,nè quello delle sue genti che combatterono virilmente,nè la presenza dell'arciduca medesimo che era accorso,e fece in questa battaglia le veci non meno di esperto ca-pitano, che di animoso soldato, ad arrestare il corso del-la fortuna contraria; perchè non solamente fu rotto e fe-rito Gontreuil, ma fu cagione, che rotto ancora fossepoco dopo Bajalitsch che arrivava; conciossiachè Mas-sena vittorioso, rivoltatosi contro questa seconda colon-na, le dava l'assalto sui confini di Raibel. Al tempo me-desimo Guyeux, che si era impossessato per una batta-glia di mano del forte passo della Chiusa di Plezzo, ac-costatosi ancor esso, l'assaliva alla coda. La schiera, ur-tata da tutte le parti da un nemico vittorioso, ridotta adun'estrema lassezza pel camminare frettoloso su per

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quei monti, nè avendo speranza di soccorso, deposte learmi, si arrendeva. Quattro generali, quattromila soldati,venticinque cannoni, quattrocento carri carichi di baga-glie e di munizioni furono i cospicui segni delle vittoriedi Tarvisio e di Raibel. Tali furono i risultamenti dellamal difesa Ponteba, e per aver il nemico preso il vantag-gio dei passi, restò vana la fatica ed il desideriodell'arciduca.Perduta la speranza d'offendere, pensava il generaledell'Austria ad ordinar le difese in modo che fosse fer-mato quel precipizio, e fatto abilità alle genti stanzialidel Reno di arrivare, alle leve di Croazia, di Bosnia,d'Austria e di Ungherìa di ordinarsi, ed al campo diNeustadt di fortificarsi. Schierava a questo fine il gene-rale Seckendorf sulla strada di Lubiana, città chiamatacon vocabolo tedesco Laybach, acciocchè intendessealla difesa della Carniola, e delle rive della Sava;quest'era l'ala sua sinistra. Alloggiava il generale Mer-cantin sulle sponde della Drava per sicurezza di Clagen-furt; quest'era la mezza schiera. Finalmente il principedi Reuss col generale Keim con l'ala destra avevano fer-mato le loro genti a San Vito, e nella valle della Mura.Per tal modo si guardavano i tre principali aditi, per cuisi va dall'Italia nel cuore delle possessioni austriache inAlemagna. Sperava l'arciduca, abborrendo dal lasciarsistringere a far giornata, che questi preparamenti di dife-sa, le genti del Reno che giungevano, i popoli che tu-multuavano tutt'all'intorno, avrebbero dato cagione di

quei monti, nè avendo speranza di soccorso, deposte learmi, si arrendeva. Quattro generali, quattromila soldati,venticinque cannoni, quattrocento carri carichi di baga-glie e di munizioni furono i cospicui segni delle vittoriedi Tarvisio e di Raibel. Tali furono i risultamenti dellamal difesa Ponteba, e per aver il nemico preso il vantag-gio dei passi, restò vana la fatica ed il desideriodell'arciduca.Perduta la speranza d'offendere, pensava il generaledell'Austria ad ordinar le difese in modo che fosse fer-mato quel precipizio, e fatto abilità alle genti stanzialidel Reno di arrivare, alle leve di Croazia, di Bosnia,d'Austria e di Ungherìa di ordinarsi, ed al campo diNeustadt di fortificarsi. Schierava a questo fine il gene-rale Seckendorf sulla strada di Lubiana, città chiamatacon vocabolo tedesco Laybach, acciocchè intendessealla difesa della Carniola, e delle rive della Sava;quest'era l'ala sua sinistra. Alloggiava il generale Mer-cantin sulle sponde della Drava per sicurezza di Clagen-furt; quest'era la mezza schiera. Finalmente il principedi Reuss col generale Keim con l'ala destra avevano fer-mato le loro genti a San Vito, e nella valle della Mura.Per tal modo si guardavano i tre principali aditi, per cuisi va dall'Italia nel cuore delle possessioni austriache inAlemagna. Sperava l'arciduca, abborrendo dal lasciarsistringere a far giornata, che questi preparamenti di dife-sa, le genti del Reno che giungevano, i popoli che tu-multuavano tutt'all'intorno, avrebbero dato cagione di

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pensare a Buonaparte, e frenato la sua audacia del voler-si internare negli stati ereditari. Ma il capitano di Fran-cia, che voleva pure che le sue armi rumoreggiassero inAlemagna, parte per amore di gloria, parte per isperan-za, che chi parteggiava per la pace a Vienna, si mostre-rebbe tanto più vivo quanto più ei fosse vicino, non si ri-maneva, che anzi spingendosi avanti, e già congiuntocon lui Joubert, entrava vittorioso in Villaco, Lobiana eClagenfurt. Così non restava a superarsi più altro osta-colo di luoghi a Buonaparte, perchè sulle sponde delDanubio vicine a Vienna facesse sentire l'impressionedelle sue armi, che la falda settentrionale delle NoricheAlpi, che la Drava dalla Mura dividono, debole impedi-mento per la facilità dei passi.La guerra d'Italia, che prima era piccola parte dei dise-gni Francesi, era divenuta, per tanto segnalate e tanto ef-ficaci vittorie, parte principalissima; ed inaspettatamenteil far forza all'imperatore, che si sperava pel direttoriodall'Alemagna, sorse dall'Italia; opera certamente, che ildirettorio medesimo, nè nissun governo, nè niuna perso-na al mondo, se non forse Buonaparte avrebbe potutonon che credere, immaginare, quando poco più di unanno avanti si combatteva nella riviera di Ponente sottol'umile scoglio di Borghetto. Ma per gli Austriaci com-batteva solamente il valore, pei Francesi l'impeto, peiprimi un voler guadagnar i paesi a palmo a palmo, peisecondi un conquistargli a dirittura, per quelli un guer-reggiare pesato, per questi un guerreggiare audacissimo,

pensare a Buonaparte, e frenato la sua audacia del voler-si internare negli stati ereditari. Ma il capitano di Fran-cia, che voleva pure che le sue armi rumoreggiassero inAlemagna, parte per amore di gloria, parte per isperan-za, che chi parteggiava per la pace a Vienna, si mostre-rebbe tanto più vivo quanto più ei fosse vicino, non si ri-maneva, che anzi spingendosi avanti, e già congiuntocon lui Joubert, entrava vittorioso in Villaco, Lobiana eClagenfurt. Così non restava a superarsi più altro osta-colo di luoghi a Buonaparte, perchè sulle sponde delDanubio vicine a Vienna facesse sentire l'impressionedelle sue armi, che la falda settentrionale delle NoricheAlpi, che la Drava dalla Mura dividono, debole impedi-mento per la facilità dei passi.La guerra d'Italia, che prima era piccola parte dei dise-gni Francesi, era divenuta, per tanto segnalate e tanto ef-ficaci vittorie, parte principalissima; ed inaspettatamenteil far forza all'imperatore, che si sperava pel direttoriodall'Alemagna, sorse dall'Italia; opera certamente, che ildirettorio medesimo, nè nissun governo, nè niuna perso-na al mondo, se non forse Buonaparte avrebbe potutonon che credere, immaginare, quando poco più di unanno avanti si combatteva nella riviera di Ponente sottol'umile scoglio di Borghetto. Ma per gli Austriaci com-batteva solamente il valore, pei Francesi l'impeto, peiprimi un voler guadagnar i paesi a palmo a palmo, peisecondi un conquistargli a dirittura, per quelli un guer-reggiare pesato, per questi un guerreggiare audacissimo,

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per gl'imperiali uno spandere l'esercito per voler esserdappertutto, pei repubblicani un serrarsi in un luogosolo per poter irrumpere grossi ed avventati. Si aggiun-ge, che gli Austriaci non andavano alle fazioni se nonprovvisti di tutto punto, mentre i Francesi vi andavanosprovvisti di ogni cosa, purchè quelle armi avessero checon se portano i soldati: ciò faceva le mosse degli Au-striaci tarde, quelle dei Francesi preste. Molto ancoranocque ai capitani d'Alemagna l'essere, secondo il soli-to, abborrenti dallo spendere per aver le spie; nel cheBuonaparte non guardava a quello che si spendesse. Nègran momento in questo non recò il procedere indepen-dente di Buonaparte, perchè faceva da se, e poco si cu-rava dei disegni e dei comandamenti del direttorio, men-tre i capitani Austriaci erano astretti ai disegni ed agliordini del consiglio di Vienna, lento al deliberare, gelo-so dell'esecuzione: quindi per questi molte buone occa-sioni, che la fortuna parava loro davanti, di vincere, siperdevano, mentre il capitano Francese, che si stimavapadrone di fare ciò che voleva, non ne trasandava nissu-na. Finalmente la celerità sua, veramente mirabile, fucagione principalissima delle sue vittorie, e bene si puòdire con l'esempio di Buonaparte; che se il mondo è dichi se lo piglia, molto ancora più le vittorie sono di chise le piglia. Errò egli qualche volta, ma compensò conl'audacia il suo errare: errarono ancor essi i capitani Te-deschi, e si sgomentarono al loro errare. Quindi ebbeBuonaparte maggiore probabilità di vincere, perchè nonsolo vinceva quando operava bene, ma anche quando

per gl'imperiali uno spandere l'esercito per voler esserdappertutto, pei repubblicani un serrarsi in un luogosolo per poter irrumpere grossi ed avventati. Si aggiun-ge, che gli Austriaci non andavano alle fazioni se nonprovvisti di tutto punto, mentre i Francesi vi andavanosprovvisti di ogni cosa, purchè quelle armi avessero checon se portano i soldati: ciò faceva le mosse degli Au-striaci tarde, quelle dei Francesi preste. Molto ancoranocque ai capitani d'Alemagna l'essere, secondo il soli-to, abborrenti dallo spendere per aver le spie; nel cheBuonaparte non guardava a quello che si spendesse. Nègran momento in questo non recò il procedere indepen-dente di Buonaparte, perchè faceva da se, e poco si cu-rava dei disegni e dei comandamenti del direttorio, men-tre i capitani Austriaci erano astretti ai disegni ed agliordini del consiglio di Vienna, lento al deliberare, gelo-so dell'esecuzione: quindi per questi molte buone occa-sioni, che la fortuna parava loro davanti, di vincere, siperdevano, mentre il capitano Francese, che si stimavapadrone di fare ciò che voleva, non ne trasandava nissu-na. Finalmente la celerità sua, veramente mirabile, fucagione principalissima delle sue vittorie, e bene si puòdire con l'esempio di Buonaparte; che se il mondo è dichi se lo piglia, molto ancora più le vittorie sono di chise le piglia. Errò egli qualche volta, ma compensò conl'audacia il suo errare: errarono ancor essi i capitani Te-deschi, e si sgomentarono al loro errare. Quindi ebbeBuonaparte maggiore probabilità di vincere, perchè nonsolo vinceva quando operava bene, ma anche quando

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operava male, e l'audacia sua, congiunta con un'astuziae con una perizia straordinaria, il fecero, per la guerraoffensiva, il più compiuto capitano che sia stato mai.Giunto a Clagenfurt, ed avuto avviso per modo segreto,che i partigiani della pace a Vienna facevano efficaceopera per venire ai fini loro, pensava di usare il terroreimpresso, perchè la parte loro prevalesse nelle consultedell'imperatore. A questa deliberazione fu anche indottodal sospetto di quello che potesse accadere alle sue spal-le; perchè, sebbene il senato Veneziano fosse debole,erano i popoli della terraferma gagliardi per lo sdegnoconcetto alle conculcazioni fatte dai repubblicani, e mi-nacciavano di far novità contro di loro. Al che erano an-che incitati dalle rivoluzioni di Bergamo e di Brescia ac-cadute per instigazioni segrete e palesi dei Francesi, edei loro partigiani. Da un altro lato, aveva Buonapartesentito i primi romori di Kerpen e di Laudon nel Tirolo;e già la Croazia minacciava Trieste. Nè non gl'importa-va il simulare il desiderio della pace; perciocchè, se lapace seguiva a modo suo, otteneva l'intento, se non se-guiva, sarebbe paruta la guerra opera dell'ostinazione al-trui. Scriveva adunque il dì trentuno marzo all'arciduca,l'Europa sanguinosa desiderar la pace, desiderarla, edaverne fatto dimostrazione il direttorio: solo l'Austriastare armata sul continente per combattere; instigarlal'Inghilterra; dover forse continuar ad uccidersi scambie-volmente Francesi ed Austriaci, perchè si facesse il pia-cer di una nazione non tocca dalle disgrazie della guer-

operava male, e l'audacia sua, congiunta con un'astuziae con una perizia straordinaria, il fecero, per la guerraoffensiva, il più compiuto capitano che sia stato mai.Giunto a Clagenfurt, ed avuto avviso per modo segreto,che i partigiani della pace a Vienna facevano efficaceopera per venire ai fini loro, pensava di usare il terroreimpresso, perchè la parte loro prevalesse nelle consultedell'imperatore. A questa deliberazione fu anche indottodal sospetto di quello che potesse accadere alle sue spal-le; perchè, sebbene il senato Veneziano fosse debole,erano i popoli della terraferma gagliardi per lo sdegnoconcetto alle conculcazioni fatte dai repubblicani, e mi-nacciavano di far novità contro di loro. Al che erano an-che incitati dalle rivoluzioni di Bergamo e di Brescia ac-cadute per instigazioni segrete e palesi dei Francesi, edei loro partigiani. Da un altro lato, aveva Buonapartesentito i primi romori di Kerpen e di Laudon nel Tirolo;e già la Croazia minacciava Trieste. Nè non gl'importa-va il simulare il desiderio della pace; perciocchè, se lapace seguiva a modo suo, otteneva l'intento, se non se-guiva, sarebbe paruta la guerra opera dell'ostinazione al-trui. Scriveva adunque il dì trentuno marzo all'arciduca,l'Europa sanguinosa desiderar la pace, desiderarla, edaverne fatto dimostrazione il direttorio: solo l'Austriastare armata sul continente per combattere; instigarlal'Inghilterra; dover forse continuar ad uccidersi scambie-volmente Francesi ed Austriaci, perchè si facesse il pia-cer di una nazione non tocca dalle disgrazie della guer-

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ra? «Voi foste, diceva all'arciduca, il salvatore dell'Ale-magna, siate anche il benefattore dell'umanità: anchevincendo, non potrete fare che non ne sia lacerata l'Ale-magna: se questa mia proposta fosse per divenir cagio-ne, che la vita di un uomo solo si salvasse, bene sarei iopiù contento della meritata corona civica, che della famaacquistata in ulteriori vittorie». Rispondeva l'arciduca,fare la guerra per debito, desiderare la pace per inclina-zione; a nissuno più che a lui star a cuore la felicità deipopoli, ma non aver mandato per trattare intorno ad unafaccenda di tanta importanza, ed a se non competente;aspetterebbe i comandamenti del suo signore. Data la ri-sposta, mandava gli avvisi a Vienna, già molto turbataper l'avvicinarsi del nemico.Buonaparte intanto si faceva con prestezza avanti, spe-rando di far certo con la vittoria quello, che tuttavia eraincerto. Ma l'arciduca, che si era messo al fermo del vo-ler temporeggiare, fuggendo la necessità del combattere,si tirava indietro, solo ritardando con grosse fazioni delretroguardo il perseguitar del nemico. Ritraevasi da SanVito, da Fraisach, da Newmarket: ritraevasi ancora daUnzmarket sulla Mura, e da Judenburgo. OccupavaBuonaparte i luoghi abbandonati, e si vedeva avanti leacque, che dall'estrema falda dei Norici monti se ne cor-rono per la diritta nel Danubio; già le mura dell'antica edinvita Vienna erano vicine a mostrarsi a' suoi soldativincitori; caso veramente di tanta maraviglia, che damolti secoli addietro non era accaduto l'uguale.

ra? «Voi foste, diceva all'arciduca, il salvatore dell'Ale-magna, siate anche il benefattore dell'umanità: anchevincendo, non potrete fare che non ne sia lacerata l'Ale-magna: se questa mia proposta fosse per divenir cagio-ne, che la vita di un uomo solo si salvasse, bene sarei iopiù contento della meritata corona civica, che della famaacquistata in ulteriori vittorie». Rispondeva l'arciduca,fare la guerra per debito, desiderare la pace per inclina-zione; a nissuno più che a lui star a cuore la felicità deipopoli, ma non aver mandato per trattare intorno ad unafaccenda di tanta importanza, ed a se non competente;aspetterebbe i comandamenti del suo signore. Data la ri-sposta, mandava gli avvisi a Vienna, già molto turbataper l'avvicinarsi del nemico.Buonaparte intanto si faceva con prestezza avanti, spe-rando di far certo con la vittoria quello, che tuttavia eraincerto. Ma l'arciduca, che si era messo al fermo del vo-ler temporeggiare, fuggendo la necessità del combattere,si tirava indietro, solo ritardando con grosse fazioni delretroguardo il perseguitar del nemico. Ritraevasi da SanVito, da Fraisach, da Newmarket: ritraevasi ancora daUnzmarket sulla Mura, e da Judenburgo. OccupavaBuonaparte i luoghi abbandonati, e si vedeva avanti leacque, che dall'estrema falda dei Norici monti se ne cor-rono per la diritta nel Danubio; già le mura dell'antica edinvita Vienna erano vicine a mostrarsi a' suoi soldativincitori; caso veramente di tanta maraviglia, che damolti secoli addietro non era accaduto l'uguale.

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Ma già a Vienna più aveva potuto il timore che la pru-denza, ancorchè la condizione di Buonaparte fosse di-ventata pericolosa per la subita comparsa di Laudon nel-la campagna di Brescia, per l'arrivo di un colonnello Ca-simiro a Trieste mandatovi dall'arciduca, e per essere sulmezzo della fronte l'arciduca medesimo grosso e ranno-dato, e con tutte le popolazioni all'intorno, che dimostra-vano animo stabile nella divozione verso l'antico signo-re. Arrivavano all'alloggiamento di Judenburgo i genera-li Belegarde e Meerfelt con mandato di sospendere leoffese, e di comporre le differenze. Uditi benignamentedal generale di Francia, si accordarono, il giorno setteaprile, che si sospendessero da ambe le parti le offeseper sei giorni. Poi, scoprendosi sempre più inclinatoBuonaparte a volere condizioni vantaggiose perl'Austria con offerire compensi nei territorj Veneti allaperdita dei Paesi Bassi e del Milanese, fu prolungata latregua insino a che fossero accordati i preliminari dipace, che secondo il corso di quei negoziati, si vedevanonon lontani. Infatti, essendosi dato perfezione a tutte lepratiche, si venne fra i plenipotenziari rispettivi allaconclusione dei preliminari nella terra di Leoben il dìdiciotto del medesimo mese. Alcuni dei capitoli furonopalesi, altri segreti. Fra i primi contenevasi, cedessel'imperatore alla Francia i Paesi Bassi, riconoscesse lefrontiere della repubblica, quali le avevano le leggiFrancesi definite, consentisse alla creazione di una re-pubblica in Lombardia. Stipulavano i segreti, desse laFrancia in poter dell'imperatore l'Istria, la Dalmazia, il

Ma già a Vienna più aveva potuto il timore che la pru-denza, ancorchè la condizione di Buonaparte fosse di-ventata pericolosa per la subita comparsa di Laudon nel-la campagna di Brescia, per l'arrivo di un colonnello Ca-simiro a Trieste mandatovi dall'arciduca, e per essere sulmezzo della fronte l'arciduca medesimo grosso e ranno-dato, e con tutte le popolazioni all'intorno, che dimostra-vano animo stabile nella divozione verso l'antico signo-re. Arrivavano all'alloggiamento di Judenburgo i genera-li Belegarde e Meerfelt con mandato di sospendere leoffese, e di comporre le differenze. Uditi benignamentedal generale di Francia, si accordarono, il giorno setteaprile, che si sospendessero da ambe le parti le offeseper sei giorni. Poi, scoprendosi sempre più inclinatoBuonaparte a volere condizioni vantaggiose perl'Austria con offerire compensi nei territorj Veneti allaperdita dei Paesi Bassi e del Milanese, fu prolungata latregua insino a che fossero accordati i preliminari dipace, che secondo il corso di quei negoziati, si vedevanonon lontani. Infatti, essendosi dato perfezione a tutte lepratiche, si venne fra i plenipotenziari rispettivi allaconclusione dei preliminari nella terra di Leoben il dìdiciotto del medesimo mese. Alcuni dei capitoli furonopalesi, altri segreti. Fra i primi contenevasi, cedessel'imperatore alla Francia i Paesi Bassi, riconoscesse lefrontiere della repubblica, quali le avevano le leggiFrancesi definite, consentisse alla creazione di una re-pubblica in Lombardia. Stipulavano i segreti, desse laFrancia in poter dell'imperatore l'Istria, la Dalmazia, il

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Bresciano, il Bergamasco, parte del Veronese. A questofine appunto, e per compir questa fraude, aveva Clarkegià molto avanti esortato l'imperatore ad occuparecoll'armi l'Istria e la Dalmazia, ed aveva Buonaparte,pure molto prima, fatto rivoltar contro il senato Berga-mo, Brescia, e le Veronesi terre: promettevano peraltro ipreliminari, che la repubblica di Venezia si compense-rebbe con le legazioni; il che significava, che si destina-vano, senza saputa e senza consenso del senato Venezia-no, ad altra potenza i suoi dominj, e che gli si offerivanocompensi, prima che si sapesse se a lui erano o conve-nienti od onorevoli; perchè in questo, non solo si spo-gliava Venezia de' suoi stati, ma le si voleva dar com-penso con ispogliar di altri stati una potenza con lei con-giunta di amicizia: ed è anche da considerarsi in questerivolture schifose lo strazio, e lo scherno, che si facevadi quella repubblica Cispadana, che appena nata già sivoleva ridurre sotto la sferza di un governo aristocrati-co, come dicevano, e tirannico, che era una faccendagrave in quei tempi. Ma essendosi stipulato nei prelimi-nari, che Mantova si restituisse all'imperatore, il diretto-rio non volle consentire questa condizione, certamentegravissima in se stessa, e per gli effetti che portava conse; conciossiachè il lasciare un sì forte nido all'Austriain Italia era un fare perpetuamente incerta la repubblicaLombarda, o Transpadana, che la vogliam nominare, an-cora tanto tenera in quei primi principj, ed un necessita-re la presenza continua di un grosso esercito Francesenell'Italia settentrionale. Rendevansi anche per la mede-

Bresciano, il Bergamasco, parte del Veronese. A questofine appunto, e per compir questa fraude, aveva Clarkegià molto avanti esortato l'imperatore ad occuparecoll'armi l'Istria e la Dalmazia, ed aveva Buonaparte,pure molto prima, fatto rivoltar contro il senato Berga-mo, Brescia, e le Veronesi terre: promettevano peraltro ipreliminari, che la repubblica di Venezia si compense-rebbe con le legazioni; il che significava, che si destina-vano, senza saputa e senza consenso del senato Venezia-no, ad altra potenza i suoi dominj, e che gli si offerivanocompensi, prima che si sapesse se a lui erano o conve-nienti od onorevoli; perchè in questo, non solo si spo-gliava Venezia de' suoi stati, ma le si voleva dar com-penso con ispogliar di altri stati una potenza con lei con-giunta di amicizia: ed è anche da considerarsi in questerivolture schifose lo strazio, e lo scherno, che si facevadi quella repubblica Cispadana, che appena nata già sivoleva ridurre sotto la sferza di un governo aristocrati-co, come dicevano, e tirannico, che era una faccendagrave in quei tempi. Ma essendosi stipulato nei prelimi-nari, che Mantova si restituisse all'imperatore, il diretto-rio non volle consentire questa condizione, certamentegravissima in se stessa, e per gli effetti che portava conse; conciossiachè il lasciare un sì forte nido all'Austriain Italia era un fare perpetuamente incerta la repubblicaLombarda, o Transpadana, che la vogliam nominare, an-cora tanto tenera in quei primi principj, ed un necessita-re la presenza continua di un grosso esercito Francesenell'Italia settentrionale. Rendevansi anche per la mede-

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sima cagione incerte tutte le mutazioni di stato, che inItalia avevano fatto i Francesi, e questi stati nuovi, aduna prima presa d'armi, ad un primo romore, ad un pri-mo sospetto, ad una prima sollevazione d'animi, sareb-bero iti tutti sossopra, nè mai avrebbero potuto por radi-ce, per quel segnale importuno dell'Austria vicina e for-te. Il rifiuto del direttorio fe' sorgere nuovi negoziati, peiquali finalmente fu consentita Mantova alla repubblicaTranspadana, ma nacque al tempo stesso la necessità diricompensare quella piazza all'imperatore col restantedello stato Veneto, colla città stessa di Venezia, e colladistruzione totale dell'antico governo Veneziano. Assun-se l'opera barbara e frodolenta il direttorio; s'addossòBuonaparte il carico di mandarla ad effetto, ambi spe-rando di colorire il tradimento ordito contro i Venezianicon fingere tradimenti orditi dai Veneziani contro diloro.Già abbiamo in un precedente libro raccontato, che Ber-gamo era stato occupato da Buonaparte, come istrumen-to potente a volgere a sua divozione l'animo dei popolidella terraferma Veneta. Fu del tutto violento il modo, econtrario a tutti gli usi della neutralità. Entrarono i re-pubblicani in Bergamo, Baraguey d'Hilliers gli guidava,con cannoni ordinati a modo di guerra, con le micce ac-cese, s'impadronirono delle porte, recaronsi in mano leartiglierìe Veneziane, intimarono al podestà Ottolini, fa-cesse sgombrar dalla terra tutte le truppe Venete; se nolfacesse, userebbero la forza. In tale guisa s'insignorirono

sima cagione incerte tutte le mutazioni di stato, che inItalia avevano fatto i Francesi, e questi stati nuovi, aduna prima presa d'armi, ad un primo romore, ad un pri-mo sospetto, ad una prima sollevazione d'animi, sareb-bero iti tutti sossopra, nè mai avrebbero potuto por radi-ce, per quel segnale importuno dell'Austria vicina e for-te. Il rifiuto del direttorio fe' sorgere nuovi negoziati, peiquali finalmente fu consentita Mantova alla repubblicaTranspadana, ma nacque al tempo stesso la necessità diricompensare quella piazza all'imperatore col restantedello stato Veneto, colla città stessa di Venezia, e colladistruzione totale dell'antico governo Veneziano. Assun-se l'opera barbara e frodolenta il direttorio; s'addossòBuonaparte il carico di mandarla ad effetto, ambi spe-rando di colorire il tradimento ordito contro i Venezianicon fingere tradimenti orditi dai Veneziani contro diloro.Già abbiamo in un precedente libro raccontato, che Ber-gamo era stato occupato da Buonaparte, come istrumen-to potente a volgere a sua divozione l'animo dei popolidella terraferma Veneta. Fu del tutto violento il modo, econtrario a tutti gli usi della neutralità. Entrarono i re-pubblicani in Bergamo, Baraguey d'Hilliers gli guidava,con cannoni ordinati a modo di guerra, con le micce ac-cese, s'impadronirono delle porte, recaronsi in mano leartiglierìe Veneziane, intimarono al podestà Ottolini, fa-cesse sgombrar dalla terra tutte le truppe Venete; se nolfacesse, userebbero la forza. In tale guisa s'insignorirono

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di Bergamo coloro, che accusavano Venezia della viola-ta neutralità. Ma questo non era che il principio, ed ilfondamento delle trame che si ordivano. Erasi per operadi Buonaparte creata in Milano una congregazione se-greta, nella quale entravano in gran numero i repubbli-cani Italiani, ed il cui fine era di operare rivoluzioni nelpaese Veneziano. Alcuni Francesi vi erano mescolati,che intendevano ai medesimi fini. Tra questi unLandrieux, capo dello stato maggiore di cavallerìa, erastato eletto dalla congregazione, qual operator principa-le a turbare le cose Venete. Ma egli, o che avesse peronestà di natura realmente in odio quest'opere pestifere,o che per motivo meno sincero, come ne lo sospettòBuonaparte, avesse occulto intendimento con gl'inquisi-tori di stato di Venezia, fe' sapere o per mezzo loro, oimmediatamente ad Ottolini, che, ove una persona fidataa Milano mandasse per conferir con lui, le svelerebbecose, che massimamente importavano alla salute dellarepubblica Veneziana. Mandava il segretario Stefani:trovava in Milano un avvocato Serpieri Romano, trova-va Landrieux, alloggiavanlo segretamente in casa Alba-ni: affermava Landrieux a Stefani, essere onest'uomo,per questo avere in abbominio le rivoluzioni, già averneimpedito una in Ispagna, volere impedire quella dellostato Veneto; a ciò muoverlo l'onore della nazione Fran-cese calpestato da Buonaparte, dal direttorio, dai consi-gli, orrida tutta, come diceva, e facinorosa gente; muo-verlo ancora i benefizj fatti dalla repubblica Venezianaall'esercito di Francia, muoverlo l'umanità, muoverlo il

di Bergamo coloro, che accusavano Venezia della viola-ta neutralità. Ma questo non era che il principio, ed ilfondamento delle trame che si ordivano. Erasi per operadi Buonaparte creata in Milano una congregazione se-greta, nella quale entravano in gran numero i repubbli-cani Italiani, ed il cui fine era di operare rivoluzioni nelpaese Veneziano. Alcuni Francesi vi erano mescolati,che intendevano ai medesimi fini. Tra questi unLandrieux, capo dello stato maggiore di cavallerìa, erastato eletto dalla congregazione, qual operator principa-le a turbare le cose Venete. Ma egli, o che avesse peronestà di natura realmente in odio quest'opere pestifere,o che per motivo meno sincero, come ne lo sospettòBuonaparte, avesse occulto intendimento con gl'inquisi-tori di stato di Venezia, fe' sapere o per mezzo loro, oimmediatamente ad Ottolini, che, ove una persona fidataa Milano mandasse per conferir con lui, le svelerebbecose, che massimamente importavano alla salute dellarepubblica Veneziana. Mandava il segretario Stefani:trovava in Milano un avvocato Serpieri Romano, trova-va Landrieux, alloggiavanlo segretamente in casa Alba-ni: affermava Landrieux a Stefani, essere onest'uomo,per questo avere in abbominio le rivoluzioni, già averneimpedito una in Ispagna, volere impedire quella dellostato Veneto; a ciò muoverlo l'onore della nazione Fran-cese calpestato da Buonaparte, dal direttorio, dai consi-gli, orrida tutta, come diceva, e facinorosa gente; muo-verlo ancora i benefizj fatti dalla repubblica Venezianaall'esercito di Francia, muoverlo l'umanità, muoverlo il

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desiderio della pace: avere fra un mese ad esser pacecon l'Austria, se fosse impedita la rivoluzione degli statiVeneti; nel caso contrario non esservi più modo di con-ciliazione, non aver più freno l'ambizione di Buonapar-te; abbracciare nell'ambizione sua la sovranità d'Italia.Soggiungeva poscia, che la rivoluzione dello stato Vene-to era opera della congregazione segreta di Milano, allaquale partecipavano principalmente Porro Milanese,Lecchi, Gambara, Beccalosi da Brescia, Alessandri, Ca-leppio, Adelasio da Bergamo; dovere lui stesso,Landrieux, essere l'operator principale della rivoluzione,sapere i nomi, le forze, le macchinazioni dei congiurati,dovere aver principio la rivoluzione in Brescia, poi dila-tarsi in Bergamo ed in Crema; uomini apposta, semina-tori di denaro di ribellione, essere sparsi fra i contadinidelle valli, matura non essere ancora la trama, avere adessere fra otto o dieci giorni: erano i nove di marzo.Trattenessesi, esortava, in Milano Stefani, svelasse iltutto per un procaccio fidato a Battaglia, provveditorestraordinario di Brescia; perchè, affermava, impedita larivoluzione in Brescia, s'impedirebbe anche negli altriluoghi; intanto non si facessero carcerazioni di persone,perchè per questo si ritarderebbe, non s'impedirebbel'esito della congiura: sapere il giorno dell'unione di tuttii congiurati, ne avvertirebbe egli, acciocchè tutti ad untratto potessero arrestarsi, e così intieramente si rende-rebbe vana la diabolica cospirazione. Protestatosi dalloStefani, volersene tornare a Bergamo, rispondevaLandrieux, non convenirsi, bensì andare a Brescia. Toc-

desiderio della pace: avere fra un mese ad esser pacecon l'Austria, se fosse impedita la rivoluzione degli statiVeneti; nel caso contrario non esservi più modo di con-ciliazione, non aver più freno l'ambizione di Buonapar-te; abbracciare nell'ambizione sua la sovranità d'Italia.Soggiungeva poscia, che la rivoluzione dello stato Vene-to era opera della congregazione segreta di Milano, allaquale partecipavano principalmente Porro Milanese,Lecchi, Gambara, Beccalosi da Brescia, Alessandri, Ca-leppio, Adelasio da Bergamo; dovere lui stesso,Landrieux, essere l'operator principale della rivoluzione,sapere i nomi, le forze, le macchinazioni dei congiurati,dovere aver principio la rivoluzione in Brescia, poi dila-tarsi in Bergamo ed in Crema; uomini apposta, semina-tori di denaro di ribellione, essere sparsi fra i contadinidelle valli, matura non essere ancora la trama, avere adessere fra otto o dieci giorni: erano i nove di marzo.Trattenessesi, esortava, in Milano Stefani, svelasse iltutto per un procaccio fidato a Battaglia, provveditorestraordinario di Brescia; perchè, affermava, impedita larivoluzione in Brescia, s'impedirebbe anche negli altriluoghi; intanto non si facessero carcerazioni di persone,perchè per questo si ritarderebbe, non s'impedirebbel'esito della congiura: sapere il giorno dell'unione di tuttii congiurati, ne avvertirebbe egli, acciocchè tutti ad untratto potessero arrestarsi, e così intieramente si rende-rebbe vana la diabolica cospirazione. Protestatosi dalloStefani, volersene tornare a Bergamo, rispondevaLandrieux, non convenirsi, bensì andare a Brescia. Toc-

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catasi dal Veneziano la gratitudine della repubblica ri-spondeva il Francese, premio non desiderare per allora,doversi il suo nome tenere segreto, finchè l'esercito fos-se ridotto sulle Alpi per restituirsi in Francia; se Veneziaallora si ricordasse di Landrieux, ciò gli sarebbe a gra-do. Trovava modo Stefani di tornare a Bergamo; ebberaccontato il fatto ad Ottolini. Scriveva il podestà pre-stamente al provveditore straordinario Battaglia. Ma icongiurati, forse per aver avuto sentore, o lingua degliavvisi dati da Landrieux, furono più presti a fare, cheOttolini e Battaglia ad impedire.Era la mattina dei dodici marzo, quando un moto insoli-to si manifestava in Bergamo, i congiurati chiamavano ilpopolo a libertà; predicavano, ajutare i Francesi l'impre-sa; divisi in varie squadre giravano per la città; ferma-vansi tratto tratto ai capi delle strade, poi di nuovo mar-ciavano; guardie Francesi raddoppiate alle porte, canno-ni condotti dal castello in piazza, due rivolti al palazzo;interrogato il comandante Francese dal podestà, checosa volesse significar questo, accusava pattuglie insoli-te di soldati Veneziani e della sbirraglia. Erano in Berga-mo due compagnìe di cavallerìa Croata, due di fantid'oltremare, tre d'Italiani, forse con tutto questo trentasbirri; non montavano fra tutti a quattrocento: i Francesiquattro mila, se non mentivano le polizze, perchè per al-trettanti forniva i viveri la provincia. Di quei pochi, colcastello in mano, con tutte le artiglierie in suo potere te-meva il comandante. Insomma nasceva il romore, atter-

catasi dal Veneziano la gratitudine della repubblica ri-spondeva il Francese, premio non desiderare per allora,doversi il suo nome tenere segreto, finchè l'esercito fos-se ridotto sulle Alpi per restituirsi in Francia; se Veneziaallora si ricordasse di Landrieux, ciò gli sarebbe a gra-do. Trovava modo Stefani di tornare a Bergamo; ebberaccontato il fatto ad Ottolini. Scriveva il podestà pre-stamente al provveditore straordinario Battaglia. Ma icongiurati, forse per aver avuto sentore, o lingua degliavvisi dati da Landrieux, furono più presti a fare, cheOttolini e Battaglia ad impedire.Era la mattina dei dodici marzo, quando un moto insoli-to si manifestava in Bergamo, i congiurati chiamavano ilpopolo a libertà; predicavano, ajutare i Francesi l'impre-sa; divisi in varie squadre giravano per la città; ferma-vansi tratto tratto ai capi delle strade, poi di nuovo mar-ciavano; guardie Francesi raddoppiate alle porte, canno-ni condotti dal castello in piazza, due rivolti al palazzo;interrogato il comandante Francese dal podestà, checosa volesse significar questo, accusava pattuglie insoli-te di soldati Veneziani e della sbirraglia. Erano in Berga-mo due compagnìe di cavallerìa Croata, due di fantid'oltremare, tre d'Italiani, forse con tutto questo trentasbirri; non montavano fra tutti a quattrocento: i Francesiquattro mila, se non mentivano le polizze, perchè per al-trettanti forniva i viveri la provincia. Di quei pochi, colcastello in mano, con tutte le artiglierie in suo potere te-meva il comandante. Insomma nasceva il romore, atter-

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riti gli amatori dello stato vecchio, imbaldanziti gli ama-tori del nuovo. Lefevre, comandante per Francia, fattichiamare a se i deputati alle provvisioni, intimava loro,avessero a sottoscrivere il voto per la libertà, ed unionedel Bergamasco alla repubblica Cispadana: se nol faces-sero, ne anderebbe la vita. In questo mezzo due uffizialirepubblicani, l'Hermite e Boussion, presiedevano ai votiper la libertà, ed unione alla Cispadana. Sottoscriveva-no, alcuni per amore, molti per forza. Era un andare evenire, una confusione, un trambusto incredibile. Scen-deva la notte intanto, e rendeva più terribile l'aspettodelle cose. In questo mentre si creava il municipio; to-glievano i repubblicani lo stendardo Veneto, che ancorasventolava sulle mura del castello. Era ancor libero Ot-tolini, instava presso a Lefevre comandante, della santi-tà dei neutri ammonendolo. Ma Lefevre, deposta in tuttola visiera, faceva udire questo suono, che il popolo diBergamo era libero, che per questo egli aveva fatto torrelo stendardo Veneto, ostacolo alla libertà; che le intra-prese lettere del podestà (quest'erano le lettere con lequali Ottolini mandava agl'inquisitori di stato la nota deicongiurati, e che erano state intercette ed aperte daLefevre) gli servivano di regola; che però egli, Ottolini,avesse a sgombrar tosto da Bergamo; quando no, ilmanderebbe carcerato a Milano. Cacciare dalla propriasede sotto pena di esilio e di carcere un rappresentantepubblico di un governo, è oltraggio tale, che niun altropuò esser maggiore, e solo avrebbe bastato, non sola-mente a giustificare, ma ancora a necessitare qualunque

riti gli amatori dello stato vecchio, imbaldanziti gli ama-tori del nuovo. Lefevre, comandante per Francia, fattichiamare a se i deputati alle provvisioni, intimava loro,avessero a sottoscrivere il voto per la libertà, ed unionedel Bergamasco alla repubblica Cispadana: se nol faces-sero, ne anderebbe la vita. In questo mezzo due uffizialirepubblicani, l'Hermite e Boussion, presiedevano ai votiper la libertà, ed unione alla Cispadana. Sottoscriveva-no, alcuni per amore, molti per forza. Era un andare evenire, una confusione, un trambusto incredibile. Scen-deva la notte intanto, e rendeva più terribile l'aspettodelle cose. In questo mentre si creava il municipio; to-glievano i repubblicani lo stendardo Veneto, che ancorasventolava sulle mura del castello. Era ancor libero Ot-tolini, instava presso a Lefevre comandante, della santi-tà dei neutri ammonendolo. Ma Lefevre, deposta in tuttola visiera, faceva udire questo suono, che il popolo diBergamo era libero, che per questo egli aveva fatto torrelo stendardo Veneto, ostacolo alla libertà; che le intra-prese lettere del podestà (quest'erano le lettere con lequali Ottolini mandava agl'inquisitori di stato la nota deicongiurati, e che erano state intercette ed aperte daLefevre) gli servivano di regola; che però egli, Ottolini,avesse a sgombrar tosto da Bergamo; quando no, ilmanderebbe carcerato a Milano. Cacciare dalla propriasede sotto pena di esilio e di carcere un rappresentantepubblico di un governo, è oltraggio tale, che niun altropuò esser maggiore, e solo avrebbe bastato, non sola-mente a giustificare, ma ancora a necessitare qualunque

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presa d'armi, ed anzi una formale dichiarazione di guer-ra da parte del senato Veneziano contro la Francia, sequesta non satisfacesse, come effettivamente non sati-sfece. Mentre il comandante minacciava Ottolini, so-praggiungevano l'Hermite e Boussion, e con loro i contiPesenti ed Alborghetti, in divisa e nappa Francese. Dibel nuovo intimavano ad Ottolini, partisse subito, o sa-rebbe mandato a Milano. Partiva il podestà alla volta diBrescia, lasciando Bergamo in poter dei novatori, i sol-dati Veneti, prima disarmati, poi mandati a Brescia.Il nuovo magistrato municipale mandava fuori un mani-festo per informare, come diceva, il popolo sovrano, chei municipali erano entrati in ufficio. Scriveva quindi ilgiorno medesimo in nome del popolo sovrano di Berga-mo alla repubblica Cispadana, avere Bergamo conqui-stato la libertà, desiderare collegarla con quella della Ci-spadana; l'accettassero in amicizia, dessergli quella delpopolo Cispadano. «Viviamo, continuavano, combattia-mo, e moriamo, se fia d'uopo, per la causa medesima: almedesimo modo debbono vivere i popoli liberi: viviamoadunque uniti per sempre voi, Francesi, e noi».Pubblicavansi frequenti scritti, parte serj, parte faceti,parte schernevoli sul lione di San Marco, sui piombi diVenezia, sugl'inquisitori di stato, sulla tirannide d'Ottoli-ni, sull'aristocrazia, sull'oligarchia, e simili altre parolegreche; strana occupazione di menti del condannare inaltri ciò che era in se, perchè dei piombi, e degl'inquisi-tori si può domandare, che altra cosa fossero i ministri

presa d'armi, ed anzi una formale dichiarazione di guer-ra da parte del senato Veneziano contro la Francia, sequesta non satisfacesse, come effettivamente non sati-sfece. Mentre il comandante minacciava Ottolini, so-praggiungevano l'Hermite e Boussion, e con loro i contiPesenti ed Alborghetti, in divisa e nappa Francese. Dibel nuovo intimavano ad Ottolini, partisse subito, o sa-rebbe mandato a Milano. Partiva il podestà alla volta diBrescia, lasciando Bergamo in poter dei novatori, i sol-dati Veneti, prima disarmati, poi mandati a Brescia.Il nuovo magistrato municipale mandava fuori un mani-festo per informare, come diceva, il popolo sovrano, chei municipali erano entrati in ufficio. Scriveva quindi ilgiorno medesimo in nome del popolo sovrano di Berga-mo alla repubblica Cispadana, avere Bergamo conqui-stato la libertà, desiderare collegarla con quella della Ci-spadana; l'accettassero in amicizia, dessergli quella delpopolo Cispadano. «Viviamo, continuavano, combattia-mo, e moriamo, se fia d'uopo, per la causa medesima: almedesimo modo debbono vivere i popoli liberi: viviamoadunque uniti per sempre voi, Francesi, e noi».Pubblicavansi frequenti scritti, parte serj, parte faceti,parte schernevoli sul lione di San Marco, sui piombi diVenezia, sugl'inquisitori di stato, sulla tirannide d'Ottoli-ni, sull'aristocrazia, sull'oligarchia, e simili altre parolegreche; strana occupazione di menti del condannare inaltri ciò che era in se, perchè dei piombi, e degl'inquisi-tori si può domandare, che altra cosa fossero i ministri

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di polizia del direttorio e di Buonaparte, se non inquisi-tori di stato, e se non abbiano fatto arrestare, e tener pri-gione senza processo più gente in quindici anni, chegl'inquisitori di Venezia in tre secoli. Si può anche do-mandare, se i castelli di Vincenna, di Ham, e di PietraCastello non fossero piombi, e se il comandante di Mila-no non esercitasse maggior tirannide contro coloro chenon amavano lo stato nuovo, che Ottolini contro queiche non amavano il vecchio. Quanto all'aristocrazia edall'oligarchia, gli uomini dritti, e che non si lascian pren-dere alle grida, sapranno ben essi con qual nome chia-mare uno stato, come quello era di queste estemporaneerepubbliche Italiane, in cui un comandante militare co-mandava a pochi gridatori di libertà, questi pochi mole-stavano con ischerni, con tasse, con prigionie, e con esiljl'universale dei popoli. Io temo che da tutto questo chimi legge creda, ch'io non sia amico della libertà; maqueste cose io dico appunto, perchè sono; imperciocchèil peggior male che si sia fatto alla libertà, è l'aver chia-mato col suo nome la tirannide. Trovomi in questo con-corde col generoso Parini: “ed ancor io”, diceva egli,“amo la libertà, ma non la libertà fescennina”.Intanto i novatori, non essendo senza sospetto sugli abi-tatori delle campagne, mandavano uomini fidati a predi-care la libertà, rizzavano alberi, creavano municipali,gridavano contro l'aristocrazia: i popoli aombravano,non sapendo che cosa queste strane fogge si volesserosignificare. Non si muovevano in favor dello stato nuo-

di polizia del direttorio e di Buonaparte, se non inquisi-tori di stato, e se non abbiano fatto arrestare, e tener pri-gione senza processo più gente in quindici anni, chegl'inquisitori di Venezia in tre secoli. Si può anche do-mandare, se i castelli di Vincenna, di Ham, e di PietraCastello non fossero piombi, e se il comandante di Mila-no non esercitasse maggior tirannide contro coloro chenon amavano lo stato nuovo, che Ottolini contro queiche non amavano il vecchio. Quanto all'aristocrazia edall'oligarchia, gli uomini dritti, e che non si lascian pren-dere alle grida, sapranno ben essi con qual nome chia-mare uno stato, come quello era di queste estemporaneerepubbliche Italiane, in cui un comandante militare co-mandava a pochi gridatori di libertà, questi pochi mole-stavano con ischerni, con tasse, con prigionie, e con esiljl'universale dei popoli. Io temo che da tutto questo chimi legge creda, ch'io non sia amico della libertà; maqueste cose io dico appunto, perchè sono; imperciocchèil peggior male che si sia fatto alla libertà, è l'aver chia-mato col suo nome la tirannide. Trovomi in questo con-corde col generoso Parini: “ed ancor io”, diceva egli,“amo la libertà, ma non la libertà fescennina”.Intanto i novatori, non essendo senza sospetto sugli abi-tatori delle campagne, mandavano uomini fidati a predi-care la libertà, rizzavano alberi, creavano municipali,gridavano contro l'aristocrazia: i popoli aombravano,non sapendo che cosa queste strane fogge si volesserosignificare. Non si muovevano in favor dello stato nuo-

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vo, perchè non l'intendevano, e non vedevano qual beneavesse in se: neppur si muovevano in favor del vecchio,perchè il caso improvviso di Bergamo gli aveva fatti at-toniti e temevano i Francesi che vi erano mescolati. Ar-rivavano poscia Cispadani, Transpadani, Polacchi, ognisorte di patriotti, e facevano un predicare, uno scrivere,un festeggiare incredibile.Quivi non si rimanevano le disgrazie della repubblicaveneziana. Rivoltato Bergamo, volevano far mutazionein Brescia per vieppiù stabilire nella divozione altruiquelle provincie. Non aveva omesso Ottolini, quandoancora era in ufficio, d'informare il provveditore straor-dinario Battaglia della trama che si macchinava controdi questa città e gli aveva mandato il nome dei congiura-ti, dei quali non si era punto ingannato, consigliandoload aspettare che tutti fossero uniti, il che doveva accade-re, secondo gli avvisi di Landrieux, il ventuno del mese,e ad arrestargli, e ad uccidergli. Inoltre il rappresentanteVeneto a Milano Vincenti scriveva continuamente alprovveditore straordinario, stesse avvertito, perchè lacongiura era vicina ad aver effetto; si armasse, non si fi-dasse del comandante Francese del castello di Brescia,perchè s'intendeva coi congiurati. Tutte queste cose tur-bavano l'animo del provveditore, e lo tenevano sospeso,perchè l'uccidere i congiurati non gli pareva sicuro intanta contaminazione di spiriti, massimamente pensandoch'essi appartenevano alle più principali famiglie di Bre-scia. Da un'altra parte il far venire soldati da Verona gli

vo, perchè non l'intendevano, e non vedevano qual beneavesse in se: neppur si muovevano in favor del vecchio,perchè il caso improvviso di Bergamo gli aveva fatti at-toniti e temevano i Francesi che vi erano mescolati. Ar-rivavano poscia Cispadani, Transpadani, Polacchi, ognisorte di patriotti, e facevano un predicare, uno scrivere,un festeggiare incredibile.Quivi non si rimanevano le disgrazie della repubblicaveneziana. Rivoltato Bergamo, volevano far mutazionein Brescia per vieppiù stabilire nella divozione altruiquelle provincie. Non aveva omesso Ottolini, quandoancora era in ufficio, d'informare il provveditore straor-dinario Battaglia della trama che si macchinava controdi questa città e gli aveva mandato il nome dei congiura-ti, dei quali non si era punto ingannato, consigliandoload aspettare che tutti fossero uniti, il che doveva accade-re, secondo gli avvisi di Landrieux, il ventuno del mese,e ad arrestargli, e ad uccidergli. Inoltre il rappresentanteVeneto a Milano Vincenti scriveva continuamente alprovveditore straordinario, stesse avvertito, perchè lacongiura era vicina ad aver effetto; si armasse, non si fi-dasse del comandante Francese del castello di Brescia,perchè s'intendeva coi congiurati. Tutte queste cose tur-bavano l'animo del provveditore, e lo tenevano sospeso,perchè l'uccidere i congiurati non gli pareva sicuro intanta contaminazione di spiriti, massimamente pensandoch'essi appartenevano alle più principali famiglie di Bre-scia. Da un'altra parte il far venire soldati da Verona gli

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pareva dar troppo sospetto, temendo dei Francesi; nèanco quei soldati potevano esser molti. Ristringeva inBrescia le squadre di cavallerìa sparse nel contado; maerano poche genti. Chiamava a se i Lecchi, i Gambara, iFenaroli, e gli altri amatori di novità, e gli accarezzava,ma senza frutto. Non sapeva a qual partito appigliarsi; leartiglierìe in mano dei Francesi; il castello poteva fulmi-nare la città. Scriveva Battaglia a Buonaparte, col qualeaveva qualche entratura d'amicizia, macchinarsi in Bre-scia contro lo stato da gente scellerata sotto nome diprotezione Francese; e stantechè tutte le artiglierìe Ve-nete erano in poter suo, richiederlo, che lo accomodassedi sei od otto, perchè si potesse difendere: richiederlo,oltre a ciò, vietasse ai soldati Lombardi il passo per lacittà, frenasse chi si vantava della protezione di Francia.Dei cannoni nulla rispondeva Buonaparte; dei Lombardie del frenare rescriveva, non doversi perseguitar gli uo-mini in grazia delle loro opinioni, non esser delitto seuno inclinava più ai Francesi che ai Tedeschi, come sein questo caso si trattasse tra Francesi e Tedeschi, e nontra ribelli ed uno stato al quale egli aveva tolto i mezzidi difesa: e come se ancora si trattasse di opinioni e nondi fatti, e di congiure contro lo stato. Desiderava final-mente di veder il provveditore. Accrescevano il pericoloed il terrore la rivoluzione di Bergamo. Le cose si avvi-cinavano all'estremo fine.Ecco la sera dei diciasette marzo arrivare improvvisa-mente le novelle, essere giunti a Cocaglio circa sessanta

pareva dar troppo sospetto, temendo dei Francesi; nèanco quei soldati potevano esser molti. Ristringeva inBrescia le squadre di cavallerìa sparse nel contado; maerano poche genti. Chiamava a se i Lecchi, i Gambara, iFenaroli, e gli altri amatori di novità, e gli accarezzava,ma senza frutto. Non sapeva a qual partito appigliarsi; leartiglierìe in mano dei Francesi; il castello poteva fulmi-nare la città. Scriveva Battaglia a Buonaparte, col qualeaveva qualche entratura d'amicizia, macchinarsi in Bre-scia contro lo stato da gente scellerata sotto nome diprotezione Francese; e stantechè tutte le artiglierìe Ve-nete erano in poter suo, richiederlo, che lo accomodassedi sei od otto, perchè si potesse difendere: richiederlo,oltre a ciò, vietasse ai soldati Lombardi il passo per lacittà, frenasse chi si vantava della protezione di Francia.Dei cannoni nulla rispondeva Buonaparte; dei Lombardie del frenare rescriveva, non doversi perseguitar gli uo-mini in grazia delle loro opinioni, non esser delitto seuno inclinava più ai Francesi che ai Tedeschi, come sein questo caso si trattasse tra Francesi e Tedeschi, e nontra ribelli ed uno stato al quale egli aveva tolto i mezzidi difesa: e come se ancora si trattasse di opinioni e nondi fatti, e di congiure contro lo stato. Desiderava final-mente di veder il provveditore. Accrescevano il pericoloed il terrore la rivoluzione di Bergamo. Le cose si avvi-cinavano all'estremo fine.Ecco la sera dei diciasette marzo arrivare improvvisa-mente le novelle, essere giunti a Cocaglio circa sessanta

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ufficiali Francesi condotti da un Antonio Nicolini, Bre-sciano, ajutante di Kilmaine, ed impedire il passo ad unasquadra di cavallerìa, che da Brescia mandava il provve-ditore a Chiari. S'aggiungevano poco stante altri pertur-batori, perchè una massa di circa cinquecento tra Lom-bardi e Bergamaschi, guidati da capi Francesi, si eranocongiunti coi primi, ed armati con due cannoni, certa-mente avuti dai Francesi, perciocchè portavano lo stem-ma imperiale d'Austria, viaggiavano verso Brescia. Lamattina dei diciotto già erano vicini: il comandante diFrancia faceva in questo punto aprir le cannoniere delcastello, che miravano al palazzo. Dei congiurati, quasitutti nobili, chi si era ritirato in castello, chi andatoall'incontro dei Lombardi, e chi sparso in varj luoghi ec-citava il popolo a ribellarsi. Voleva Mocenigo podestà,che si armassero i soldati della repubblica, e con la forzasi resistesse ai ribelli; Battaglia titubava per paura deiFrancesi, dei nobili, e di tutto: certo, il minor male chesi possa dire di lui, è, che ebbe paura: ma forse l'amici-zia che aveva con Buonaparte nocque alla repubblica.Mandava due uffiziali ai ribelli per udire quello, che sivolessero. Rispondevano, Lecchi il primo, volere peramore o per forza liberare il popolo Bresciano dalla ti-rannide Veneta, aspettare in ajuto loro diecimila soldati,e molti Francesi: badasse bene il provveditore a quelloche si facesse, perchè se resistesse, andrebbe Brescia afuoco ed a sangue. A questo suono Battaglia, non so semi debba dire intimorito, o peggio, raccoglieva tutti isuoi soldati nei quartieri, e dava ordine che non resistes-

ufficiali Francesi condotti da un Antonio Nicolini, Bre-sciano, ajutante di Kilmaine, ed impedire il passo ad unasquadra di cavallerìa, che da Brescia mandava il provve-ditore a Chiari. S'aggiungevano poco stante altri pertur-batori, perchè una massa di circa cinquecento tra Lom-bardi e Bergamaschi, guidati da capi Francesi, si eranocongiunti coi primi, ed armati con due cannoni, certa-mente avuti dai Francesi, perciocchè portavano lo stem-ma imperiale d'Austria, viaggiavano verso Brescia. Lamattina dei diciotto già erano vicini: il comandante diFrancia faceva in questo punto aprir le cannoniere delcastello, che miravano al palazzo. Dei congiurati, quasitutti nobili, chi si era ritirato in castello, chi andatoall'incontro dei Lombardi, e chi sparso in varj luoghi ec-citava il popolo a ribellarsi. Voleva Mocenigo podestà,che si armassero i soldati della repubblica, e con la forzasi resistesse ai ribelli; Battaglia titubava per paura deiFrancesi, dei nobili, e di tutto: certo, il minor male chesi possa dire di lui, è, che ebbe paura: ma forse l'amici-zia che aveva con Buonaparte nocque alla repubblica.Mandava due uffiziali ai ribelli per udire quello, che sivolessero. Rispondevano, Lecchi il primo, volere peramore o per forza liberare il popolo Bresciano dalla ti-rannide Veneta, aspettare in ajuto loro diecimila soldati,e molti Francesi: badasse bene il provveditore a quelloche si facesse, perchè se resistesse, andrebbe Brescia afuoco ed a sangue. A questo suono Battaglia, non so semi debba dire intimorito, o peggio, raccoglieva tutti isuoi soldati nei quartieri, e dava ordine che non resistes-

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sero; licenziava al tempo stesso le guardie del palazzo, esi metteva in tutto a discrezione di coloro che volevanospegnere il dominio di quel principe, che aveva in luicollocato tanta fede. Mocenigo, veduto la terra abbando-nata da quello che poteva più di lui, si fuggiva. Intanto ilpopolo stimolato dai congiurati, e già essendosi avvici-nati alle mura i novatori di fuori, tumultuava, gridandolibertà. Accresceva l'impeto l'apparire di un Pisani, statomolto tempo nei piombi: le grida contro i Veneziani ti-ranni montavano al cielo. Sottomessi gli amatoridell'antica repubblica dal popolo tumultuante, dalla gen-te armata che veniva di fuori, dalla connivenza manife-sta dei repubblicani di Francia, dall'attitudine minaccio-sa del castello pronto a fulminare, poche, chiuse, ed or-dinate a non resistere le soldatesche Veneziane, fu inpoco d'ora Brescia ridotta in potestà dei novatori. Cerca-vano Mocenigo per maltrattarlo; ma non fu trovato. Ar-restavano Battaglia, e per poco stette che non lo ucci-dessero. Lo serravano poscia in castello, dove era custo-dito da soldati Francesi, opera certamente meritevole diogni riprensione; perchè se era brutta cosa il secondarela ribellione, bene era peggiore il farsi complice dei ri-belli col tener carcerato un magistrato principalissimo diuna repubblica, alla quale la Francia continuava a prote-stare amicizia.Udivansi con grandissimo terrore le novelle di Bergamoe di Brescia a Venezia. Scriveva il senato, di cui questecose molto angustiavano l'animo, le sue querele al mini-

sero; licenziava al tempo stesso le guardie del palazzo, esi metteva in tutto a discrezione di coloro che volevanospegnere il dominio di quel principe, che aveva in luicollocato tanta fede. Mocenigo, veduto la terra abbando-nata da quello che poteva più di lui, si fuggiva. Intanto ilpopolo stimolato dai congiurati, e già essendosi avvici-nati alle mura i novatori di fuori, tumultuava, gridandolibertà. Accresceva l'impeto l'apparire di un Pisani, statomolto tempo nei piombi: le grida contro i Veneziani ti-ranni montavano al cielo. Sottomessi gli amatoridell'antica repubblica dal popolo tumultuante, dalla gen-te armata che veniva di fuori, dalla connivenza manife-sta dei repubblicani di Francia, dall'attitudine minaccio-sa del castello pronto a fulminare, poche, chiuse, ed or-dinate a non resistere le soldatesche Veneziane, fu inpoco d'ora Brescia ridotta in potestà dei novatori. Cerca-vano Mocenigo per maltrattarlo; ma non fu trovato. Ar-restavano Battaglia, e per poco stette che non lo ucci-dessero. Lo serravano poscia in castello, dove era custo-dito da soldati Francesi, opera certamente meritevole diogni riprensione; perchè se era brutta cosa il secondarela ribellione, bene era peggiore il farsi complice dei ri-belli col tener carcerato un magistrato principalissimo diuna repubblica, alla quale la Francia continuava a prote-stare amicizia.Udivansi con grandissimo terrore le novelle di Bergamoe di Brescia a Venezia. Scriveva il senato, di cui questecose molto angustiavano l'animo, le sue querele al mini-

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stro Lallemand; le scriveva al nobile Querini in Francia.Si rispondeva, che non si sapeva capire, che i Francesinon s'ingerivano, che la Francia era amica a Venezia,che qualche cosa si doveva pur dare alla natura dellesoldatesche. Ma l'importanza era in Buonaparte, divenu-to padrone della somma delle cose in Italia. Però man-dava il senato appresso a lui i due Savj del collegioFrancesco Pesaro, e Gian Battista Corner, affinchè glidimostrassero, quanto offendessero la neutralità e la so-vranità della repubblica le cose accadute in Bergamo edin Brescia per opera dei comandanti Francesi, e quantofossero contrarie alle protestazioni di amicizia, che larepubblica di Francia continuamente, ed anche recente-mente aveva fatte a quella di Venezia. Oltre a ciò dinuovo, ed asseverantemente protestassero dell'incorrottafede, e della costante amicizia del senato verso la Fran-cia; stringesserlo a disappruovare pubblicamente la con-dotta dei comandanti delle due città ribellate, ed a resti-tuire i due castelli, fonti evidenti della ribellione; richie-desserlo in fine, che consentisse, che il senato con learmi in mano rimettesse sotto l'obbedienza i ribelli. Tro-vato in Gorizia il generale repubblicano, espostogli ilfatto dai legati, rispondeva, non abbastanza ancora esse-re sicure le sorti della guerra, perchè potesse restituirealla repubblica i castelli occupati: potrebbe il senato farequanto gli sarebbe a grado per sottomettere i ribelli, pur-chè le genti Francesi, e gl'interessi loro non ne fosserooffesi: del comandante di Bergamo, perchè questi più diquel di Brescia si era mescolato nella rivoluzione, ordi-

stro Lallemand; le scriveva al nobile Querini in Francia.Si rispondeva, che non si sapeva capire, che i Francesinon s'ingerivano, che la Francia era amica a Venezia,che qualche cosa si doveva pur dare alla natura dellesoldatesche. Ma l'importanza era in Buonaparte, divenu-to padrone della somma delle cose in Italia. Però man-dava il senato appresso a lui i due Savj del collegioFrancesco Pesaro, e Gian Battista Corner, affinchè glidimostrassero, quanto offendessero la neutralità e la so-vranità della repubblica le cose accadute in Bergamo edin Brescia per opera dei comandanti Francesi, e quantofossero contrarie alle protestazioni di amicizia, che larepubblica di Francia continuamente, ed anche recente-mente aveva fatte a quella di Venezia. Oltre a ciò dinuovo, ed asseverantemente protestassero dell'incorrottafede, e della costante amicizia del senato verso la Fran-cia; stringesserlo a disappruovare pubblicamente la con-dotta dei comandanti delle due città ribellate, ed a resti-tuire i due castelli, fonti evidenti della ribellione; richie-desserlo in fine, che consentisse, che il senato con learmi in mano rimettesse sotto l'obbedienza i ribelli. Tro-vato in Gorizia il generale repubblicano, espostogli ilfatto dai legati, rispondeva, non abbastanza ancora esse-re sicure le sorti della guerra, perchè potesse restituirealla repubblica i castelli occupati: potrebbe il senato farequanto gli sarebbe a grado per sottomettere i ribelli, pur-chè le genti Francesi, e gl'interessi loro non ne fosserooffesi: del comandante di Bergamo, perchè questi più diquel di Brescia si era mescolato nella rivoluzione, ordi-

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nerebbe, fosse condotto a Milano e processato; sarebbe,se colpevole, castigato: allegava essere sincera la fededella Francia verso Venezia. Trapassando poscia più ol-tre, si offeriva ad usare le proprie forze per ridurre i no-vatori a divozione del senato, e che ove ne fosse richie-sto, il farebbe. Toccava finalmente, che sarebbe bene,che Venezia più strettamente si congiungesse in amici-zia colla Francia.Covava in tutto questo una insidia: perchè mentre affer-mava Buonaparte, essere in potestà del senato il farequanto gli parrebbe conveniente per ridurre all'ordine iribelli, pubblicava Landrieux a Bergamo, forse volendo,per essersi effettuato quello che forse egli aveva volutoimpedire, ricoprire con mostrar severità i sospetti, chepotevano concepirsi di lui dai repubblicani di Francia ed'Italia, che nissuna gente armata sarebbe lasciata entra-re nè in Brescia, nè in Bergamo, e che se alcuna vi si ap-presentasse, questa avrebbe assalito, come nemico, contutte le sue forze. Ma le cose da più alta sede pendevanoche da Landrieux, perchè visitato a Parigi dal nobileQuerini uno dei cinque del direttorio, e dettogli, che poi-chè i Francesi protestavano, non volersi mescolare nelgoverno interno delle città Venete, doveva riuscire cosaindifferente al direttorio, se il senato rimettesse nel do-vere i Bergamaschi, rispondeva risolutamente il quin-queviro, non lo sperasse, e che finchè fossero in Berga-mo truppe Francesi, non l'avrebbe mai il direttorio per-messo. Replicato dal Querini, che di tale divieto non

nerebbe, fosse condotto a Milano e processato; sarebbe,se colpevole, castigato: allegava essere sincera la fededella Francia verso Venezia. Trapassando poscia più ol-tre, si offeriva ad usare le proprie forze per ridurre i no-vatori a divozione del senato, e che ove ne fosse richie-sto, il farebbe. Toccava finalmente, che sarebbe bene,che Venezia più strettamente si congiungesse in amici-zia colla Francia.Covava in tutto questo una insidia: perchè mentre affer-mava Buonaparte, essere in potestà del senato il farequanto gli parrebbe conveniente per ridurre all'ordine iribelli, pubblicava Landrieux a Bergamo, forse volendo,per essersi effettuato quello che forse egli aveva volutoimpedire, ricoprire con mostrar severità i sospetti, chepotevano concepirsi di lui dai repubblicani di Francia ed'Italia, che nissuna gente armata sarebbe lasciata entra-re nè in Brescia, nè in Bergamo, e che se alcuna vi si ap-presentasse, questa avrebbe assalito, come nemico, contutte le sue forze. Ma le cose da più alta sede pendevanoche da Landrieux, perchè visitato a Parigi dal nobileQuerini uno dei cinque del direttorio, e dettogli, che poi-chè i Francesi protestavano, non volersi mescolare nelgoverno interno delle città Venete, doveva riuscire cosaindifferente al direttorio, se il senato rimettesse nel do-vere i Bergamaschi, rispondeva risolutamente il quin-queviro, non lo sperasse, e che finchè fossero in Berga-mo truppe Francesi, non l'avrebbe mai il direttorio per-messo. Replicato dal Querini, che di tale divieto non

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comprendeva la ragione, soggiungeva il quinqueviro,ciò esser chiaro, perchè i Francesi essendo più forti deiVeneziani, a loro stava a comandare in quei luoghi; lequali voci certamente sono da stimarsi barbare; perchèbene si sa, e pur troppo, che queste cose spesso si sonofatte; ma l'asseverare con tanta fronte, che sia diritto egiusto farle, è nuovo del tutto. Terminava il quinquevirodicendo, che infine non toccava alla repubblica di Vene-zia a comandare alla Francese, e che vedeva bene, che idiscorsi del Quirini dimostravano, che il governo Venetonon si fidava nella lealtà del direttorio, ma che se cosìfosse, avrebbe potuto farlo pentire. Da ciò si vede, qualeconcetto si debba fare della condiscendenza di Buona-parte. In tale modo si sollevavano dai capi dell'esercitorepubblicano i sudditi contro Venezia, ed a Venezia sivietava che gli sottomettesse.Alle gravissime proposte del capitano di Francia siscuotevano i legati, parendo loro, come era veramente,cosa enorme, pericolosa, e di pessimo esempio, che sol-dati forestieri si adoperassero per tornare a divozione iribelli della repubblica. Per la qual cosa negavano la of-ferta, restringendosi con dire, che poichè i castelli eranoin mano dei Francesi, e servivano di appoggio ai turba-tori dell'antico stato, ragion voleva, acciocchè si pareg-giassero le partite, ch' ei facesse qualche dimostrazionepubblica per disappruovare i moti, che si erano suscitati.Al che non consentendo rispondeva, che in mezzoall'ardore di quelle nuove opinioni che molto avevano

comprendeva la ragione, soggiungeva il quinqueviro,ciò esser chiaro, perchè i Francesi essendo più forti deiVeneziani, a loro stava a comandare in quei luoghi; lequali voci certamente sono da stimarsi barbare; perchèbene si sa, e pur troppo, che queste cose spesso si sonofatte; ma l'asseverare con tanta fronte, che sia diritto egiusto farle, è nuovo del tutto. Terminava il quinquevirodicendo, che infine non toccava alla repubblica di Vene-zia a comandare alla Francese, e che vedeva bene, che idiscorsi del Quirini dimostravano, che il governo Venetonon si fidava nella lealtà del direttorio, ma che se cosìfosse, avrebbe potuto farlo pentire. Da ciò si vede, qualeconcetto si debba fare della condiscendenza di Buona-parte. In tale modo si sollevavano dai capi dell'esercitorepubblicano i sudditi contro Venezia, ed a Venezia sivietava che gli sottomettesse.Alle gravissime proposte del capitano di Francia siscuotevano i legati, parendo loro, come era veramente,cosa enorme, pericolosa, e di pessimo esempio, che sol-dati forestieri si adoperassero per tornare a divozione iribelli della repubblica. Per la qual cosa negavano la of-ferta, restringendosi con dire, che poichè i castelli eranoin mano dei Francesi, e servivano di appoggio ai turba-tori dell'antico stato, ragion voleva, acciocchè si pareg-giassero le partite, ch' ei facesse qualche dimostrazionepubblica per disappruovare i moti, che si erano suscitati.Al che non consentendo rispondeva, che in mezzoall'ardore di quelle nuove opinioni che molto avevano

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ajutato le sue armi, sarebbe certamente incolpato, se orasi dimostrasse avverso a coloro, che si erano scopertifautori del nome e delle massime di Francia; che solo aciò fare si sarebbe piegato, quando il direttorio precisa-mente glie l'avesse comandato. Tornava poscia sul par-lare di più stretti vincoli d'amicizia colla Francia, propo-nendo per esempio il re di Sardegna, ed affermava, esserquesto il mezzo migliore per frenar le rivoluzioni. Lequali esibizioni ed esortazioni, chi si farà a considerarefino a qual termine già fossero trascorse le cose, e le of-ferte fatte all'imperatore Francesco, saranno testimoniocerto, ch'elle avevano tutt'altro fine, che la salute di Ve-nezia. Del resto, senza tanti giri di parole, e serbandoanche in sua potestà, per sicurezza del suo esercito, i ca-stelli di Bergamo e di Brescia, bastava bene che il gene-ralissimo ordinasse, o che con un cenno solo significas-se, che Bergamo e Brescia ritornassero all'obbedienza diVenezia, che i magistrati instituiti dai novatori cessasse-ro l'ufficio, e che quei del senato fossero restituiti alloro, perchè tutte queste cose avessero incontanente laloro esecuzione. Anzi il solo dichiarare, ch'egli disap-pruovava quelle due rivoluzioni, e che contro la sua vo-lontà erano state effettuate, avrebbe rintegrato subita-mente nelle due città ribelli il consueto dominio. Il nonaverlo voluto fare dimostra viemaggiormente i disegnisinistri. Strana esibizione di Buonaparte era questa divoler far tornare all'obbedienza quelle terre, ch'egli stes-so aveva incitato a ribellione; imperciocchè, senza andarpiù vagando in questa materia, certa cosa è, che per or-

ajutato le sue armi, sarebbe certamente incolpato, se orasi dimostrasse avverso a coloro, che si erano scopertifautori del nome e delle massime di Francia; che solo aciò fare si sarebbe piegato, quando il direttorio precisa-mente glie l'avesse comandato. Tornava poscia sul par-lare di più stretti vincoli d'amicizia colla Francia, propo-nendo per esempio il re di Sardegna, ed affermava, esserquesto il mezzo migliore per frenar le rivoluzioni. Lequali esibizioni ed esortazioni, chi si farà a considerarefino a qual termine già fossero trascorse le cose, e le of-ferte fatte all'imperatore Francesco, saranno testimoniocerto, ch'elle avevano tutt'altro fine, che la salute di Ve-nezia. Del resto, senza tanti giri di parole, e serbandoanche in sua potestà, per sicurezza del suo esercito, i ca-stelli di Bergamo e di Brescia, bastava bene che il gene-ralissimo ordinasse, o che con un cenno solo significas-se, che Bergamo e Brescia ritornassero all'obbedienza diVenezia, che i magistrati instituiti dai novatori cessasse-ro l'ufficio, e che quei del senato fossero restituiti alloro, perchè tutte queste cose avessero incontanente laloro esecuzione. Anzi il solo dichiarare, ch'egli disap-pruovava quelle due rivoluzioni, e che contro la sua vo-lontà erano state effettuate, avrebbe rintegrato subita-mente nelle due città ribelli il consueto dominio. Il nonaverlo voluto fare dimostra viemaggiormente i disegnisinistri. Strana esibizione di Buonaparte era questa divoler far tornare all'obbedienza quelle terre, ch'egli stes-so aveva incitato a ribellione; imperciocchè, senza andarpiù vagando in questa materia, certa cosa è, che per or-

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dine espresso di lui furono fatte ribellare ai Veneziani lecittà Veneziane, di cui si tratta. Rispondevano i legatidella repubblica, volere il senato l'amicizia di Francia,dell'alleanza risolverebbe quando, ritratta l'Europa daquell'immenso disordine, e ricomposta in quieto stato,potrebbe con sicurezza di consiglio deliberare. A questeparole si alterava gravemente il vincitore; poi tornandosull'antiche querele, acerbamente rimproverava ai Vene-ziani il ricovero dato al conte di Provenza ed al duca diModena, e l'aver ricettato i tesori di Modena e d'Inghil-terra; a questo passo dimostrava voglia di por mano sudi questi tesori; il che palesava, quanto fosse in lui losprezzo della neutralità.Mentre il generalissimo di Francia, parte accarezzava,parte minacciava a Gorizia i legati di Venezia, lusin-ghiere parole pubblicava Kilmaine, generale, che regge-va la Lombardia. Biasimava il comandante di Bergamodel non averlo fatto consapevole degli accidenti seguiti,sperava, non ne fosse partecipe, gli proibiva di mesco-larsene; se il facesse, il punirebbe, essere neutralità frale due repubbliche, volere il generalissimo, volere luistesso, che se le portasse rispetto. Se questa lettera diKilmaine fosse vera o finta, non si sa, perchè è di dataincerta. Del resto l'opera del comandante nell'ajutare laribellione di Bergamo, era notoria, non solo in questacittà, ma ancora in tutta Lombardia, e metterla in dubbioera un'astuzia ridicola; nè il comandante medesimo fumai tradotto in giudizio.

dine espresso di lui furono fatte ribellare ai Veneziani lecittà Veneziane, di cui si tratta. Rispondevano i legatidella repubblica, volere il senato l'amicizia di Francia,dell'alleanza risolverebbe quando, ritratta l'Europa daquell'immenso disordine, e ricomposta in quieto stato,potrebbe con sicurezza di consiglio deliberare. A questeparole si alterava gravemente il vincitore; poi tornandosull'antiche querele, acerbamente rimproverava ai Vene-ziani il ricovero dato al conte di Provenza ed al duca diModena, e l'aver ricettato i tesori di Modena e d'Inghil-terra; a questo passo dimostrava voglia di por mano sudi questi tesori; il che palesava, quanto fosse in lui losprezzo della neutralità.Mentre il generalissimo di Francia, parte accarezzava,parte minacciava a Gorizia i legati di Venezia, lusin-ghiere parole pubblicava Kilmaine, generale, che regge-va la Lombardia. Biasimava il comandante di Bergamodel non averlo fatto consapevole degli accidenti seguiti,sperava, non ne fosse partecipe, gli proibiva di mesco-larsene; se il facesse, il punirebbe, essere neutralità frale due repubbliche, volere il generalissimo, volere luistesso, che se le portasse rispetto. Se questa lettera diKilmaine fosse vera o finta, non si sa, perchè è di dataincerta. Del resto l'opera del comandante nell'ajutare laribellione di Bergamo, era notoria, non solo in questacittà, ma ancora in tutta Lombardia, e metterla in dubbioera un'astuzia ridicola; nè il comandante medesimo fumai tradotto in giudizio.

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Come i fatti rispondessero alle parole di Kilmaine, overe o finte che si fossero, il dimostrava pochi giornidopo la rivoluzione di Crema, opera non solo certa, maanche evidente delle truppe Francesi; perchè il giornoventisette marzo, appresentatasi una squadra di cavalle-rìa di Francia alla porta, chiedeva il comandante l'entra-ta, promettendo di non inferire molestia, e sarebbe di-mani partito per Soncino. Introdotti, si portarono quieta-mente quel giorno. Ma il dì seguente comparivano duecompagnie armate della medesima nazione; una verso laporta Ombriano, l'altra verso quella del Serio, nè cosìtosto si erano avvicinate alle mura, che le truppe di den-tro aprivano le porte, per modo che, dato il varco, e perfar più presto, scalando alcuni le mura, si facevano pa-droni della terra. Correvano quindi a disarmare i soldatiVeneziani: s'impossessavano dei quartieri, occupavano ilpalazzo pubblico, minacciavano nella vita con l'armiinarcate il podestà, e, disarmato, costringevano a di-smettere l'ufficio. Occupavano al tempo stesso la came-ra, il monte, il fondaco, gli uffici, le cancellerie. Taciutetutte le altre iniquità usate a Venezia, se questa sola del-la violenta occupazione di Crema non bastasse per giu-stificare il senato a sorgere subitamente con l'armi inmano contro i Buonapartiani, il diranno tutti coloro, aiquali sta più a cuore la giustizia, che la forza.Arrivava a Crema l'Hermite già partecipe del rivolgi-mento di Bergamo, e si metteva all'atto di blandire il po-destà con parole soavi, dell'ufficio dolcemente esercitato

Come i fatti rispondessero alle parole di Kilmaine, overe o finte che si fossero, il dimostrava pochi giornidopo la rivoluzione di Crema, opera non solo certa, maanche evidente delle truppe Francesi; perchè il giornoventisette marzo, appresentatasi una squadra di cavalle-rìa di Francia alla porta, chiedeva il comandante l'entra-ta, promettendo di non inferire molestia, e sarebbe di-mani partito per Soncino. Introdotti, si portarono quieta-mente quel giorno. Ma il dì seguente comparivano duecompagnie armate della medesima nazione; una verso laporta Ombriano, l'altra verso quella del Serio, nè cosìtosto si erano avvicinate alle mura, che le truppe di den-tro aprivano le porte, per modo che, dato il varco, e perfar più presto, scalando alcuni le mura, si facevano pa-droni della terra. Correvano quindi a disarmare i soldatiVeneziani: s'impossessavano dei quartieri, occupavano ilpalazzo pubblico, minacciavano nella vita con l'armiinarcate il podestà, e, disarmato, costringevano a di-smettere l'ufficio. Occupavano al tempo stesso la came-ra, il monte, il fondaco, gli uffici, le cancellerie. Taciutetutte le altre iniquità usate a Venezia, se questa sola del-la violenta occupazione di Crema non bastasse per giu-stificare il senato a sorgere subitamente con l'armi inmano contro i Buonapartiani, il diranno tutti coloro, aiquali sta più a cuore la giustizia, che la forza.Arrivava a Crema l'Hermite già partecipe del rivolgi-mento di Bergamo, e si metteva all'atto di blandire il po-destà con parole soavi, dell'ufficio dolcemente esercitato

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lodandolo. Somiglianti parole usava l'ufficiale del diret-torio, che, distrutta per forza e per inganno l'autorità so-vrana di Venezia sopra Crema, se ne giva affermando,che i Francesi erano buoni amici della repubblica di Ve-nezia. Mescolaronsi in questo moto pochi uomini delpaese, fra i quali principalmente comparirono il marche-se Gambazocca, ed i conti Asperti, Locatelli, e Rominivenuti da Bergamo. Creavasi il municipio, piantavasil'albero, ballavavisi intorno, appiccavasi una fune al col-lo del lione di San Marco, come se fosse tempo da ride-re; facevasi la luminaria, gridavasi libertà. Il podestà fulasciato partire senza offesa. Così Crema per opera deisoldati Buonapartiani fu ridotta a divozione dei novato-ri. Kilmaine, che aveva scritto la bella lettera pel fatto diBergamo, se ne stette tacendo per quel di Crema.Le rivoluzioni di Bergamo, di Brescia e di Crema face-vano sorgere nuovi pensieri tanto nei capi Francesi,quanto nel senato Veneziano, così come ancora fra isudditi, che si conservavano fedeli. Vedevano i primi,che l'accessione di quelle tre principali città d'Oltremin-cio era di somma importanza ai loro ulteriori disegni;perchè oltre al più facile vivere per la ricchezza di queiterritorj, i novatori, che gli secondavano, divenivano epiù audaci e più numerosi. Faceva in questo loro esem-pio grandissimo frutto, e nuova gente novatrice, sicco-me un nembo ne tira un altro, si accostava. Principalefondamento a tutto questo moto era Brescia, città ricca,popolosa, abbondante d'uomini fieri e bellicosi. Quivi

lodandolo. Somiglianti parole usava l'ufficiale del diret-torio, che, distrutta per forza e per inganno l'autorità so-vrana di Venezia sopra Crema, se ne giva affermando,che i Francesi erano buoni amici della repubblica di Ve-nezia. Mescolaronsi in questo moto pochi uomini delpaese, fra i quali principalmente comparirono il marche-se Gambazocca, ed i conti Asperti, Locatelli, e Rominivenuti da Bergamo. Creavasi il municipio, piantavasil'albero, ballavavisi intorno, appiccavasi una fune al col-lo del lione di San Marco, come se fosse tempo da ride-re; facevasi la luminaria, gridavasi libertà. Il podestà fulasciato partire senza offesa. Così Crema per opera deisoldati Buonapartiani fu ridotta a divozione dei novato-ri. Kilmaine, che aveva scritto la bella lettera pel fatto diBergamo, se ne stette tacendo per quel di Crema.Le rivoluzioni di Bergamo, di Brescia e di Crema face-vano sorgere nuovi pensieri tanto nei capi Francesi,quanto nel senato Veneziano, così come ancora fra isudditi, che si conservavano fedeli. Vedevano i primi,che l'accessione di quelle tre principali città d'Oltremin-cio era di somma importanza ai loro ulteriori disegni;perchè oltre al più facile vivere per la ricchezza di queiterritorj, i novatori, che gli secondavano, divenivano epiù audaci e più numerosi. Faceva in questo loro esem-pio grandissimo frutto, e nuova gente novatrice, sicco-me un nembo ne tira un altro, si accostava. Principalefondamento a tutto questo moto era Brescia, città ricca,popolosa, abbondante d'uomini fieri e bellicosi. Quivi

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ancora gli ottimati, o che amassero la libertà, o cheavessero gelosia contro i patrizi Veneti, o che solamentesi fossero lasciati stravolgere dalla vertigine comune, fa-vorivano la rivoluzione. Nel che Brescia si diversificavada Bergamo, dove i più fra i ricchi si mostravano avver-si. Accorrevano poi a Brescia Dombrowski co' suoi Po-lacchi, Lahoz co' suoi Italiani, e davano incentivi con leparole, animo con le forze, esempio con l'ordinate schie-re. Pavesi, Lodigiani, Milanesi, Bergamaschi, Napolita-ni vi arrivavano continuamente, chi con lingue pronteper orare, chi con penne per iscrivere, chi con armi percombattere. La sollevazione, l'impeto, la concitazioneandavano al colmo; le minacce e gli scherni che faceva-no contro i patrizi, erano incredibili. Già si persuadeva-no, che alla loro prima giunta dovesse andar sossopratutta, ed a ruina la Veneziana repubblica. Lahoz, Gam-bara, Lecchi, ed un Mallet, generale di Francia,anch'egli mescolato in questi moti, trionfavano. Questecose vedevano con gli occhi loro i capi dell'esercitoFrancese, e le passavano: se le sapeva Buonaparte, e lepassava con troppa più sopportazione, che si convenissealla sincera fede.Preparata la strada alla rivoluzione delle altre parti dellaterraferma Veneta situate sulla destra del Mincio, permezzo massimamente della potente Brescia, innalzava-no i sollevati l'animo a maggiori cose, proponendosi diturbare anche i paesi posti sulla riva destra dell'Adige,principalmente Verona tanto importante per la sua gran-

ancora gli ottimati, o che amassero la libertà, o cheavessero gelosia contro i patrizi Veneti, o che solamentesi fossero lasciati stravolgere dalla vertigine comune, fa-vorivano la rivoluzione. Nel che Brescia si diversificavada Bergamo, dove i più fra i ricchi si mostravano avver-si. Accorrevano poi a Brescia Dombrowski co' suoi Po-lacchi, Lahoz co' suoi Italiani, e davano incentivi con leparole, animo con le forze, esempio con l'ordinate schie-re. Pavesi, Lodigiani, Milanesi, Bergamaschi, Napolita-ni vi arrivavano continuamente, chi con lingue pronteper orare, chi con penne per iscrivere, chi con armi percombattere. La sollevazione, l'impeto, la concitazioneandavano al colmo; le minacce e gli scherni che faceva-no contro i patrizi, erano incredibili. Già si persuadeva-no, che alla loro prima giunta dovesse andar sossopratutta, ed a ruina la Veneziana repubblica. Lahoz, Gam-bara, Lecchi, ed un Mallet, generale di Francia,anch'egli mescolato in questi moti, trionfavano. Questecose vedevano con gli occhi loro i capi dell'esercitoFrancese, e le passavano: se le sapeva Buonaparte, e lepassava con troppa più sopportazione, che si convenissealla sincera fede.Preparata la strada alla rivoluzione delle altre parti dellaterraferma Veneta situate sulla destra del Mincio, permezzo massimamente della potente Brescia, innalzava-no i sollevati l'animo a maggiori cose, proponendosi diturbare anche i paesi posti sulla riva destra dell'Adige,principalmente Verona tanto importante per la sua gran-

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dezza, e per essere passo del fiume. Questo era anche ri-solutamente l'intento di Buonaparte; perciocchè più diun mese prima che sorgesse la sollevazione di Verona,aveva dato ordine a' suoi comandanti in questa città, cheprocurassero la rivoluzione medesima con tutte le forze,e con tutte le arti loro. Nel che con maneggi, parte se-greti, parte palesi il secondavano. Mentre tuttiquest'inganni si tramavano, non erano ancora le cose si-cure pei Francesi, che tuttavia si trovavano a frontedell'arciduca sulle rive del Tagliamento. Il capitanoPico, che aveva anche avuto al medesimo tempo caricoda Buonaparte di macchinare in Verona contro i Vene-ziani, gli rappresentava, che il moto in lei sarebbe riu-scito pericoloso, e di esito molto incerto, stantechèl'arciduca gli stava ancora davanti molto poderoso: esor-tava pertanto, aspettasse tempo più propizio. Risponde-va, gisse pure, e sommuovesse Verona. Poi soggiunge-va, che se la sommossa andasse bene sarebbe liberal'Italia, se male, la Cisalpina repubblica (con tal nomedopo la conquista di Mantova aveva chiamato la Trans-padana) almeno resterebbe. Dette queste parole, accom-miatava Pico, raccomandandogli, s'intendesse conBeaupoil e con Kilmaine, e gli desse ragguaglio di tuttoche accadesse: desse intanto ricovero in Mantova ai pa-triotti che fossero in pericolo, e gli rendesse sicuri, chesarebbero liberi. Nè in Brescia stavano oziosi i novatoririspetto a Verona; perchè colà mandavano agenti segreti,parte da Brescia medesima, parte da Desenzano, parteda Lonato, affinchè cooperassero alla sollevazione. Così

dezza, e per essere passo del fiume. Questo era anche ri-solutamente l'intento di Buonaparte; perciocchè più diun mese prima che sorgesse la sollevazione di Verona,aveva dato ordine a' suoi comandanti in questa città, cheprocurassero la rivoluzione medesima con tutte le forze,e con tutte le arti loro. Nel che con maneggi, parte se-greti, parte palesi il secondavano. Mentre tuttiquest'inganni si tramavano, non erano ancora le cose si-cure pei Francesi, che tuttavia si trovavano a frontedell'arciduca sulle rive del Tagliamento. Il capitanoPico, che aveva anche avuto al medesimo tempo caricoda Buonaparte di macchinare in Verona contro i Vene-ziani, gli rappresentava, che il moto in lei sarebbe riu-scito pericoloso, e di esito molto incerto, stantechèl'arciduca gli stava ancora davanti molto poderoso: esor-tava pertanto, aspettasse tempo più propizio. Risponde-va, gisse pure, e sommuovesse Verona. Poi soggiunge-va, che se la sommossa andasse bene sarebbe liberal'Italia, se male, la Cisalpina repubblica (con tal nomedopo la conquista di Mantova aveva chiamato la Trans-padana) almeno resterebbe. Dette queste parole, accom-miatava Pico, raccomandandogli, s'intendesse conBeaupoil e con Kilmaine, e gli desse ragguaglio di tuttoche accadesse: desse intanto ricovero in Mantova ai pa-triotti che fossero in pericolo, e gli rendesse sicuri, chesarebbero liberi. Nè in Brescia stavano oziosi i novatoririspetto a Verona; perchè colà mandavano agenti segreti,parte da Brescia medesima, parte da Desenzano, parteda Lonato, affinchè cooperassero alla sollevazione. Così

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Verona era insidiata da Buonaparte, da' suoi capitani, dainovatori armati, dai novatori non armati, Italiani, Polac-chi, Svizzeri, e Francesi. Non ostante tutto questo il ca-nuto Lallemand, ed il giovane Buonaparte sempre prote-stavano a nome di Francia dell'incontaminata fede, edella sincera amicizia verso la repubblica Veneziana.Le insidie ordite per ribellar Verona erano venute a noti-zia del governo Veneto, non solamente per le dimostra-zioni tanto palesi dei Bresciani sollevati, ma ancora persegreti avvisi di alcuni fra quelli stessi che macchinava-no. Pensava pertanto al rimedio contro sì grave pericolo.Vi mandava, con dar voce di cagioni diverse dai sospet-ti, parecchi reggimenti di Schiavoni: vi mandava dueprovveditori straordinari, Giuseppe Giovanelli, giovaneanimoso e prudente, e Niccolò Erizzo, uomo di naturamolto calda, ed amantissimo del nome Veneziano. Maperchè le radici della forza erano nel paese, dava facoltàamplissima al conte Francesco degli Emilj, personaggioricchissimo e di molto seguito, acciocchè armasse lagente del contado, promettesse e desse soldi, ogni e qua-lunque cosa, che in poter suo fosse, facesse, per isventa-re le macchinazioni dei repubblicani. Accettava volen-tieri il carico il conte Emilio, e tra l'autorità del suonome, e l'efficacia delle sue ricchezze, faceva non pocofrutto, soldando gente, provvedendo armi, ammassandomunizioni, traendo a se buoni e cattivi per tenere in pie-de l'insidiata repubblica. Faceva compagni alla sua im-presa il conte Verità, ed il conte Malenza co' suoi due fi-

Verona era insidiata da Buonaparte, da' suoi capitani, dainovatori armati, dai novatori non armati, Italiani, Polac-chi, Svizzeri, e Francesi. Non ostante tutto questo il ca-nuto Lallemand, ed il giovane Buonaparte sempre prote-stavano a nome di Francia dell'incontaminata fede, edella sincera amicizia verso la repubblica Veneziana.Le insidie ordite per ribellar Verona erano venute a noti-zia del governo Veneto, non solamente per le dimostra-zioni tanto palesi dei Bresciani sollevati, ma ancora persegreti avvisi di alcuni fra quelli stessi che macchinava-no. Pensava pertanto al rimedio contro sì grave pericolo.Vi mandava, con dar voce di cagioni diverse dai sospet-ti, parecchi reggimenti di Schiavoni: vi mandava dueprovveditori straordinari, Giuseppe Giovanelli, giovaneanimoso e prudente, e Niccolò Erizzo, uomo di naturamolto calda, ed amantissimo del nome Veneziano. Maperchè le radici della forza erano nel paese, dava facoltàamplissima al conte Francesco degli Emilj, personaggioricchissimo e di molto seguito, acciocchè armasse lagente del contado, promettesse e desse soldi, ogni e qua-lunque cosa, che in poter suo fosse, facesse, per isventa-re le macchinazioni dei repubblicani. Accettava volen-tieri il carico il conte Emilio, e tra l'autorità del suonome, e l'efficacia delle sue ricchezze, faceva non pocofrutto, soldando gente, provvedendo armi, ammassandomunizioni, traendo a se buoni e cattivi per tenere in pie-de l'insidiata repubblica. Faceva compagni alla sua im-presa il conte Verità, ed il conte Malenza co' suoi due fi-

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gliuoli, uomini anch'essi molto infiammati nel difenderel'antico dominio dei Veneziani. Il secondavano efficace-mente i preti ed i frati con le esortazioni loro, alle qualimaggior forza accrescevano lo strazio testè fatto delpapa, e lo spoglio di Loreto: gli animi già infieriti pertante ingiurie, di maggior veleno s'imbevevano perl'oltraggiata religione. Accresceva lo sdegno l'orribilegoverno, che facevano delle province le truppe repubbli-cane, sì quelle che stanziavano, come quelle che viag-giavano. Vieppiù innaspriva i popoli una ingiustizia ma-nifesta, perchè i bagagli rapiti dai Tedeschi in guerra,eran fatti pagare dai comuni. Quel dei Due Castelli, si-tuato sull'agro Veronese, e composto appena di cinque-cento abitatori, per esservi stato in una sortita da Manto-va rapito dai Tedeschi non so che carro di bagaglio digenerali, fu posto da Buonaparte ad una taglia di cencin-quanta mila franchi, taglia tanto esorbitante per quellopiuttosto casale che villaggio, che era anche ridicola.Perchè poi non la potevano pagare, vi mandava Junotcon un grosso di cavalleria a vivervi a discrezione. Que-ste enormità si moltiplicavano; i popoli, che non vede-vano altra cagione, che una insolenza fantastica, od unasete di rapire insaziabile si riempivano di sdegno. Giura-vano di andar all'incontro di ogni più grave pericolo, disopportare ogni più crudele disgrazia piuttostochè nonvendicarsi, e non tentare di sottrarsi a sì orribile domina-zione. Molto sangue Francese fu certamente versato, epur troppo barbaramente a Verona, e fu sangue, la mag-gior parte, d'innocenti. Ma gli autori veri e primi di sì

gliuoli, uomini anch'essi molto infiammati nel difenderel'antico dominio dei Veneziani. Il secondavano efficace-mente i preti ed i frati con le esortazioni loro, alle qualimaggior forza accrescevano lo strazio testè fatto delpapa, e lo spoglio di Loreto: gli animi già infieriti pertante ingiurie, di maggior veleno s'imbevevano perl'oltraggiata religione. Accresceva lo sdegno l'orribilegoverno, che facevano delle province le truppe repubbli-cane, sì quelle che stanziavano, come quelle che viag-giavano. Vieppiù innaspriva i popoli una ingiustizia ma-nifesta, perchè i bagagli rapiti dai Tedeschi in guerra,eran fatti pagare dai comuni. Quel dei Due Castelli, si-tuato sull'agro Veronese, e composto appena di cinque-cento abitatori, per esservi stato in una sortita da Manto-va rapito dai Tedeschi non so che carro di bagaglio digenerali, fu posto da Buonaparte ad una taglia di cencin-quanta mila franchi, taglia tanto esorbitante per quellopiuttosto casale che villaggio, che era anche ridicola.Perchè poi non la potevano pagare, vi mandava Junotcon un grosso di cavalleria a vivervi a discrezione. Que-ste enormità si moltiplicavano; i popoli, che non vede-vano altra cagione, che una insolenza fantastica, od unasete di rapire insaziabile si riempivano di sdegno. Giura-vano di andar all'incontro di ogni più grave pericolo, disopportare ogni più crudele disgrazia piuttostochè nonvendicarsi, e non tentare di sottrarsi a sì orribile domina-zione. Molto sangue Francese fu certamente versato, epur troppo barbaramente a Verona, e fu sangue, la mag-gior parte, d'innocenti. Ma gli autori veri e primi di sì

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cruda carnificina, non inganneranno punto la giustiziadivina, nè il giudizio dei posteri. Sa Dio, e sapranno iposteri, se contro il Veneziano governo, o contro Buona-parte, se contro i conculcati o contro i conculcatori, secontro il conte Francesco degli Emilj, o contro coloro,che il generalissimo di Francia secondavano nell'operarea prima di far ribellar Verona contro il senato, poi divendere Venezia, se contro chi non voleva essere tradito,o contro chi voleva tradire sia quel sangue sparso, econtro chi gridi vendetta.Dava nuovo animo ai Veronesi il fatto di Salò, perchè,andata contro questa terra una grossa squadra di Bre-sciani, mista di Polacchi e di qualche Francese, fu rottacon non poca strage dai Salodiani, aiutati dagli abitatoridella valle di Sabbia; i quali, siccome quelli che eranomolto affezionati al nome Veneziano, erano accorsi perconservare la città sotto la divozione dell'antico princi-pe. Quest'erano le masse ordinate dall'Ottolini ai tempidel suo ufficio in Bergamo. Lodevole esempio di fedeltàe di ardire dava nella fazione di Salò il provveditoreFrancesco Cicogna; dal che si può argomentare qualemutazione avrebbero fatto le cose di Venezia, se il sena-to avesse permesso, che Ottolini desse dentro, quandoancora era tempo, col suo stormo, e se Battaglia tale fos-se stato quali furono Ottolini e Cicogna. I prigioni fatti aSalò, che arrivarono a più di ducento, furono condotti atrionfo per Verona, i sudditi carcerati, come rei di stato.La vittoria dei Salodiani rinvigoriva gli animi sbigottiti

cruda carnificina, non inganneranno punto la giustiziadivina, nè il giudizio dei posteri. Sa Dio, e sapranno iposteri, se contro il Veneziano governo, o contro Buona-parte, se contro i conculcati o contro i conculcatori, secontro il conte Francesco degli Emilj, o contro coloro,che il generalissimo di Francia secondavano nell'operarea prima di far ribellar Verona contro il senato, poi divendere Venezia, se contro chi non voleva essere tradito,o contro chi voleva tradire sia quel sangue sparso, econtro chi gridi vendetta.Dava nuovo animo ai Veronesi il fatto di Salò, perchè,andata contro questa terra una grossa squadra di Bre-sciani, mista di Polacchi e di qualche Francese, fu rottacon non poca strage dai Salodiani, aiutati dagli abitatoridella valle di Sabbia; i quali, siccome quelli che eranomolto affezionati al nome Veneziano, erano accorsi perconservare la città sotto la divozione dell'antico princi-pe. Quest'erano le masse ordinate dall'Ottolini ai tempidel suo ufficio in Bergamo. Lodevole esempio di fedeltàe di ardire dava nella fazione di Salò il provveditoreFrancesco Cicogna; dal che si può argomentare qualemutazione avrebbero fatto le cose di Venezia, se il sena-to avesse permesso, che Ottolini desse dentro, quandoancora era tempo, col suo stormo, e se Battaglia tale fos-se stato quali furono Ottolini e Cicogna. I prigioni fatti aSalò, che arrivarono a più di ducento, furono condotti atrionfo per Verona, i sudditi carcerati, come rei di stato.La vittoria dei Salodiani rinvigoriva gli animi sbigottiti

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in tutta la terraferma Veneta. Armavansi a gara i popoli,e protestavano della fede loro verso il senato. Questomoto fu apposto a delitto ai Veneziani da Buonaparte, edagli storici adulatori di lui, i quali per altro confessano,che in quel momento stesso, e già da lungo tempo primasi trattava di far indenne l'Austria a spese di Venezia.Adunque doveva Venezia darsi di per se stessa vinta, edisarmata in mano di chi sotto colore di amicizia la tra-diva? Certamente doveva Venezia in quell'estremo fran-gente, in cui era caduta, non per colpa propria, mad'altrui, difendersi: bene gli uomini generosi, gli amatorimassimamente del nome e del costume Italiano le da-ranno eterno biasimo del non essersi abbastanza, ed atempo difesa, e con dolore vedranno nei ricordi dellestorie scritto i posteri, che l'opera della sua distruzionesia stata frutto, tanto della debolezza de' suoi reggitori,quanto della malvagità di amici fraudolenti; poichè fuoridi dubbio è, che, passando anche sotto silenzio le passa-te occasioni, se dopo la vittoria dei Salodiani, le disposi-zioni tanto incitate dei Veronesi, ed i preparamenti fattinell'estuario, in un con le vittorie di Laudon nel Tirolo econ le masse Tirolesi e Croate, avesse il senato fatto unaforte risoluzione coll'unirsi all'Austria, e col dichiararela guerra alla repubblica di Francia, si sarebbe trovatoBuonaparte in gravissimo pericolo, e l'antico dominiodei Veneziani sarebbe stato preservato. Ma l'aver volutoaspettare l'estrema ingiuria, quando già le ingiurie ave-vano oltrepassato l'estremo, e l'aver abbandonato i sud-diti, quando volevano difenderla, fu cagione della ruina

in tutta la terraferma Veneta. Armavansi a gara i popoli,e protestavano della fede loro verso il senato. Questomoto fu apposto a delitto ai Veneziani da Buonaparte, edagli storici adulatori di lui, i quali per altro confessano,che in quel momento stesso, e già da lungo tempo primasi trattava di far indenne l'Austria a spese di Venezia.Adunque doveva Venezia darsi di per se stessa vinta, edisarmata in mano di chi sotto colore di amicizia la tra-diva? Certamente doveva Venezia in quell'estremo fran-gente, in cui era caduta, non per colpa propria, mad'altrui, difendersi: bene gli uomini generosi, gli amatorimassimamente del nome e del costume Italiano le da-ranno eterno biasimo del non essersi abbastanza, ed atempo difesa, e con dolore vedranno nei ricordi dellestorie scritto i posteri, che l'opera della sua distruzionesia stata frutto, tanto della debolezza de' suoi reggitori,quanto della malvagità di amici fraudolenti; poichè fuoridi dubbio è, che, passando anche sotto silenzio le passa-te occasioni, se dopo la vittoria dei Salodiani, le disposi-zioni tanto incitate dei Veronesi, ed i preparamenti fattinell'estuario, in un con le vittorie di Laudon nel Tirolo econ le masse Tirolesi e Croate, avesse il senato fatto unaforte risoluzione coll'unirsi all'Austria, e col dichiararela guerra alla repubblica di Francia, si sarebbe trovatoBuonaparte in gravissimo pericolo, e l'antico dominiodei Veneziani sarebbe stato preservato. Ma l'aver volutoaspettare l'estrema ingiuria, quando già le ingiurie ave-vano oltrepassato l'estremo, e l'aver abbandonato i sud-diti, quando volevano difenderla, fu cagione della ruina

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della repubblica.Le insidie contro Venezia alle raccontate cose non si ri-manevano. I moti della terraferma erano spontanei, esolo cagionati dalla rabbia concetta dai popoli infastiditidelle insolenze, e sdegnati dalle ingiurie dei forestieri.Perciò il senato gli poteva qualificare come opera nonsua, e sempre protestare, quanto spetta alla direzione delgoverno, della perfetta neutralità. Ma i capi delle rivolu-zioni in Italia, secondando il talento proprio, e credendodi far cosa grata al generalissimo, pensarono di fabbri-care una menzogna, ed apponendo un atto falso ad unodei magistrati più principali far in modo, che il governoVeneziano egli medesimo paresse colpevole di ree insti-gazioni contro i Francesi; della qual fraude nissuna sipuò immaginare nè più brutta, nè più diabolica. Inventa-rono adunque e pubblicarono un manifesto, attribuendo-lo a Battaglia, provveditore straordinario per la repub-blica in terraferma, col quale si stimolavano i popoli acorrere contro i Francesi, e ad uccidergli. Fu questo ma-nifesto composto per opera di un Salvadori, novatoremolto operativo di Milano, e rapportatore palese e se-greto di Buonaparte, che poscia creatosi imperatore,l'abbandonò in miseria tale, che gittatosi in fiume a Pari-gi terminò con fine disperato una vita poco onorevole.Tornando al manifesto, fu egli stampato in un giornale aMilano, intitolato il Termometro politico, giornale che siscriveva in casa del Salvadori da patriotti molto miglioridi lui, ma portati ancor essi dalla illusione e dalla verti-

della repubblica.Le insidie contro Venezia alle raccontate cose non si ri-manevano. I moti della terraferma erano spontanei, esolo cagionati dalla rabbia concetta dai popoli infastiditidelle insolenze, e sdegnati dalle ingiurie dei forestieri.Perciò il senato gli poteva qualificare come opera nonsua, e sempre protestare, quanto spetta alla direzione delgoverno, della perfetta neutralità. Ma i capi delle rivolu-zioni in Italia, secondando il talento proprio, e credendodi far cosa grata al generalissimo, pensarono di fabbri-care una menzogna, ed apponendo un atto falso ad unodei magistrati più principali far in modo, che il governoVeneziano egli medesimo paresse colpevole di ree insti-gazioni contro i Francesi; della qual fraude nissuna sipuò immaginare nè più brutta, nè più diabolica. Inventa-rono adunque e pubblicarono un manifesto, attribuendo-lo a Battaglia, provveditore straordinario per la repub-blica in terraferma, col quale si stimolavano i popoli acorrere contro i Francesi, e ad uccidergli. Fu questo ma-nifesto composto per opera di un Salvadori, novatoremolto operativo di Milano, e rapportatore palese e se-greto di Buonaparte, che poscia creatosi imperatore,l'abbandonò in miseria tale, che gittatosi in fiume a Pari-gi terminò con fine disperato una vita poco onorevole.Tornando al manifesto, fu egli stampato in un giornale aMilano, intitolato il Termometro politico, giornale che siscriveva in casa del Salvadori da patriotti molto miglioridi lui, ma portati ancor essi dalla illusione e dalla verti-

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gine di quell'età. Quantunque astutamente gli sia stataapposta la data dei venti marzo, uscì veramente ai cin-que aprile, tempo opportuno perchè Buonaparte arrivatoa Judenburgo a questo tempo, già offeriva gli spogli del-la repubblica, e già fatto sicuro della pace con l'impera-tore, non aveva più timore delle masse Veneziane. Cosìl'incitare contro i Francesi era pretesto di far uccidere iFrancesi dai Veneziani, i Veneziani dai Francesi, e pertrovar compensi all'imperatore a danni di Venezia. Ilnon aver fatto il generalissimo alcun risentimento controgli autori di un fatto tanto grave, e che poteva e dovevacostar la vita a tanti Francesi, pruova ch'ei ne fosse sod-disfatto.Il manifesto era quest'esso:

«Noi Francesco Battaglia per la serenissima re-pubblica di Venezia provveditore straordinario interraferma.

«Un fanatico ardore di alcuni briganti nemicidell'ordine, e delle leggi eccitò la facile nazioneBergamasca a divenir ribelle al proprio legittimosovrano, ed a far correre da una moltitudine di fa-cinorosi prezzolati altre città, e provincie dellostato per sommovere anche quei popoli. Controquesti nemici del principato noi eccitiamo i fede-lissimi sudditi a prendere in massa le armi, e dis-sipargli, e distruggergli, non dando quartiere operdono a nissuno, ancorchè si rendesse prigio-niero, certo che sì tosto gli sarà dal governo data

gine di quell'età. Quantunque astutamente gli sia stataapposta la data dei venti marzo, uscì veramente ai cin-que aprile, tempo opportuno perchè Buonaparte arrivatoa Judenburgo a questo tempo, già offeriva gli spogli del-la repubblica, e già fatto sicuro della pace con l'impera-tore, non aveva più timore delle masse Veneziane. Cosìl'incitare contro i Francesi era pretesto di far uccidere iFrancesi dai Veneziani, i Veneziani dai Francesi, e pertrovar compensi all'imperatore a danni di Venezia. Ilnon aver fatto il generalissimo alcun risentimento controgli autori di un fatto tanto grave, e che poteva e dovevacostar la vita a tanti Francesi, pruova ch'ei ne fosse sod-disfatto.Il manifesto era quest'esso:

«Noi Francesco Battaglia per la serenissima re-pubblica di Venezia provveditore straordinario interraferma.

«Un fanatico ardore di alcuni briganti nemicidell'ordine, e delle leggi eccitò la facile nazioneBergamasca a divenir ribelle al proprio legittimosovrano, ed a far correre da una moltitudine di fa-cinorosi prezzolati altre città, e provincie dellostato per sommovere anche quei popoli. Controquesti nemici del principato noi eccitiamo i fede-lissimi sudditi a prendere in massa le armi, e dis-sipargli, e distruggergli, non dando quartiere operdono a nissuno, ancorchè si rendesse prigio-niero, certo che sì tosto gli sarà dal governo data

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mano, e assistenza con denaro, e truppe Schiavo-ne regolate, che sono già al soldo della repubbli-ca, e preparate all'incontro.

«Non dubiti nissuno dell'esito felice di tale impre-sa, giacchè possiamo assicurare i popoli, chel'esercito Austriaco ha inviluppato, e compiuta-mente battuti i Francesi nel Tirolo e nel Friuli, esono in piena ritirata i pochi avanzi di quelle tor-me sanguinarie e irreligiose, che sotto il pretestodi far la guerra ai nemici devastarono i paesi, econcussero le nazioni della repubblica, che loro siè sempre dimostrata amica sincera e neutrale, evengono perciò i Francesi ad essere impossibilita-ti di prestar mano e soccorso ai ribelli, anzi aspet-tiamo il momento favorevole d'impedire la stessaritirata, alla quale di necessità sono costretti.

«Invitiamo inoltre gli stessi Bergamaschi, rimastifedeli alla repubblica, e le altre nazioni a cacciarei Francesi dalle città e castelli, che contro ogni di-ritto hanno occupato, e a dirigersi ai commissarjnostri Pier Girolamo Zanchi, e dottor fisico PietroLocatelli per avere le opportune instruzioni, e lapaga di lire quattro al giorno per ogni giornata incui militassero.

«Verona, 20 marzo 1797.

«Francesco Battaglia, provveditore straordinarioin terraferma,

mano, e assistenza con denaro, e truppe Schiavo-ne regolate, che sono già al soldo della repubbli-ca, e preparate all'incontro.

«Non dubiti nissuno dell'esito felice di tale impre-sa, giacchè possiamo assicurare i popoli, chel'esercito Austriaco ha inviluppato, e compiuta-mente battuti i Francesi nel Tirolo e nel Friuli, esono in piena ritirata i pochi avanzi di quelle tor-me sanguinarie e irreligiose, che sotto il pretestodi far la guerra ai nemici devastarono i paesi, econcussero le nazioni della repubblica, che loro siè sempre dimostrata amica sincera e neutrale, evengono perciò i Francesi ad essere impossibilita-ti di prestar mano e soccorso ai ribelli, anzi aspet-tiamo il momento favorevole d'impedire la stessaritirata, alla quale di necessità sono costretti.

«Invitiamo inoltre gli stessi Bergamaschi, rimastifedeli alla repubblica, e le altre nazioni a cacciarei Francesi dalle città e castelli, che contro ogni di-ritto hanno occupato, e a dirigersi ai commissarjnostri Pier Girolamo Zanchi, e dottor fisico PietroLocatelli per avere le opportune instruzioni, e lapaga di lire quattro al giorno per ogni giornata incui militassero.

«Verona, 20 marzo 1797.

«Francesco Battaglia, provveditore straordinarioin terraferma,

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«Gian-Maria Allegri, cancelliere di Sua Eccellen-za. Per lo stampatore camerale».

Questo manifesto si spargeva in copia dai patriotti e daicapi Francesi, massimamente da Landrieux. Nè creden-do i macchinatori di questa fraude, che tutto l'operato finqui bastasse, perchè i popoli vi prestassero fede, Lahoz,capo e guida di tutte le genti Lombarde e Polacche, eche mescolato in queste trame di rivoluzione ne cono-sceva bene il fondo, gli avvertiva con bando pubblico,che la neutralità era stata rotta dai tradimenti di Batta-glia, il quale, soggiungeva, pazzamente si era persuaso,che

«Voi altri contadini, privi in tutto di arte militare,sareste i vincitori dei Francesi, la prima nazionedell'universo pel coraggio, e la scienza della guer-ra. Sappiate adunque, che il generale Buonaparteha ordinato, che Battaglia sia messo in ferri, edimpiccato; che saranno pure impiccati coloro, chev'inciteranno alla ribellione; le vostre case saran-no arse, le famiglie desolate: uscite d'errore, epresto, deponete le armi, portatele al comandantedi Brescia; mandategli deputati; quando no, peri-rete tutti».

Queste ingannevoli dimostrazioni si facevano dagli au-tori stessi del manifesto per far credere ai popoli, ch'eifosse vero; e quei ferri, e quelle forche erano trovati bu-giardissimi, perchè Battaglia, trovandosi allora in Vene-

«Gian-Maria Allegri, cancelliere di Sua Eccellen-za. Per lo stampatore camerale».

Questo manifesto si spargeva in copia dai patriotti e daicapi Francesi, massimamente da Landrieux. Nè creden-do i macchinatori di questa fraude, che tutto l'operato finqui bastasse, perchè i popoli vi prestassero fede, Lahoz,capo e guida di tutte le genti Lombarde e Polacche, eche mescolato in queste trame di rivoluzione ne cono-sceva bene il fondo, gli avvertiva con bando pubblico,che la neutralità era stata rotta dai tradimenti di Batta-glia, il quale, soggiungeva, pazzamente si era persuaso,che

«Voi altri contadini, privi in tutto di arte militare,sareste i vincitori dei Francesi, la prima nazionedell'universo pel coraggio, e la scienza della guer-ra. Sappiate adunque, che il generale Buonaparteha ordinato, che Battaglia sia messo in ferri, edimpiccato; che saranno pure impiccati coloro, chev'inciteranno alla ribellione; le vostre case saran-no arse, le famiglie desolate: uscite d'errore, epresto, deponete le armi, portatele al comandantedi Brescia; mandategli deputati; quando no, peri-rete tutti».

Queste ingannevoli dimostrazioni si facevano dagli au-tori stessi del manifesto per far credere ai popoli, ch'eifosse vero; e quei ferri, e quelle forche erano trovati bu-giardissimi, perchè Battaglia, trovandosi allora in Vene-

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zia, non era in potestà di Buonaparte nè di farlo arresta-re, nè di farlo impiccare. La verità della storia richiedeoltre a ciò, che noi scriviamo, che il provveditore nonera nemmeno per venire in potestà del generale; perchèquando Buonaparte distrusse Venezia, domandò la pri-gionia e la morte di tutt'altre persone che di quella diBattaglia, ancorchè egli fosse il più colpevole di tuttiverso i Francesi, se opera sua fosse stato il manifesto:che anzi Buonaparte accarezzò Battaglia, e se lo tennemolto caro. Noi sappiamo, che il provveditore era parti-giano di qualche riforma negli ordini dello stato; ma cheBuonaparte avesse altre cagioni di amarlo, noi non vo-gliamo nè affermare nè negare, ancorchè troviamo scrit-to, che questo Veneziano abbia servito ai disegni del ge-nerale Francese più di quanto la libertà, e l'independen-za della sua patria comportassero.Allontanava da se Battaglia l'infamia del manifesto conismentirlo: lo smentiva solennemente il senato. Ma nullagiovava; perchè i tempi erano più forti delle protestazio-ni, ed era strana veramente, e compassionevole cosa ilvedere, che gl'innocenti cercassero di giustificarsi ap-presso i rei di un delitto, che essi rei contro gl'innocentiavevano commesso, e che a loro per distruggergli impu-tavano; condizione unica per certo, che sia stata al mon-do, e degna veramente della malvagità di quei tempi.Rivoltate le regioni d'oltre Mincio dall'antico dominiodei Veneziani, era a Buonaparte spianata la strada alladistruzione di quel nobile ed innocente stato. Restava,

zia, non era in potestà di Buonaparte nè di farlo arresta-re, nè di farlo impiccare. La verità della storia richiedeoltre a ciò, che noi scriviamo, che il provveditore nonera nemmeno per venire in potestà del generale; perchèquando Buonaparte distrusse Venezia, domandò la pri-gionia e la morte di tutt'altre persone che di quella diBattaglia, ancorchè egli fosse il più colpevole di tuttiverso i Francesi, se opera sua fosse stato il manifesto:che anzi Buonaparte accarezzò Battaglia, e se lo tennemolto caro. Noi sappiamo, che il provveditore era parti-giano di qualche riforma negli ordini dello stato; ma cheBuonaparte avesse altre cagioni di amarlo, noi non vo-gliamo nè affermare nè negare, ancorchè troviamo scrit-to, che questo Veneziano abbia servito ai disegni del ge-nerale Francese più di quanto la libertà, e l'independen-za della sua patria comportassero.Allontanava da se Battaglia l'infamia del manifesto conismentirlo: lo smentiva solennemente il senato. Ma nullagiovava; perchè i tempi erano più forti delle protestazio-ni, ed era strana veramente, e compassionevole cosa ilvedere, che gl'innocenti cercassero di giustificarsi ap-presso i rei di un delitto, che essi rei contro gl'innocentiavevano commesso, e che a loro per distruggergli impu-tavano; condizione unica per certo, che sia stata al mon-do, e degna veramente della malvagità di quei tempi.Rivoltate le regioni d'oltre Mincio dall'antico dominiodei Veneziani, era a Buonaparte spianata la strada alladistruzione di quel nobile ed innocente stato. Restava,

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che le sue condizioni divenissero tanto sicure rispettoagli Austriaci, ch'ei potesse senza pericolo mandar fuoriquello, che già da lungo tempo si era nell'animo concet-to. A questo gli dava occasione la tregua sottoscritta coilegati dell'imperatore il dì sette aprile a Judenburgo; allaquale conclusione non si venne nè da una parte nèdall'altra, se non promessi, ed accettati i compensi a spe-se della repubblica Veneziana. Solo restava all'Austriaqualche residuo di renitenza al consentire, per accomo-dar se, ad accettar le spoglie di un governo, dal qualenon aveva ricevuto alcuna ingiuria, col quale era con-giunta d'amicizia, e che anzi a motivo di questa sua ami-cizia si trovava ridotto a tali compassionevoli strette. Aquesto rimediava Buonaparte col far rivoltare lo statodei Veneziani, anche sulla sinistra del Mincio; perchè seripugnava all'Austria il nuocere a Venezia sotto il gover-no antico, bene sapeva che non le ripugnerebbe il nuo-cerle sotto il nuovo, odioso a lei pei principj, non con-giunto con lei per alcun vincolo di amicizia. Non cosìtosto ebbe sottoscritto la tregua coll'imperatore, che in-cominciò le dimostrazioni ostili contro i Veneziani; ilche mandò ad esecuzione in vari modi, ma che tutti ten-devano al medesimo fine. Primieramente mandò il suoaiutante Junot con amare condizioni a fare un violentoufficio a Venezia non senza grave ferita alla dignità del-la repubblica. Arrivato Junot altieramente richiedeva perparte del generalissimo di essere udito incontanente inpien collegio dal serenissimo principe. Correvano allorai giorni santi; era il sabato, in cui per antico costume

che le sue condizioni divenissero tanto sicure rispettoagli Austriaci, ch'ei potesse senza pericolo mandar fuoriquello, che già da lungo tempo si era nell'animo concet-to. A questo gli dava occasione la tregua sottoscritta coilegati dell'imperatore il dì sette aprile a Judenburgo; allaquale conclusione non si venne nè da una parte nèdall'altra, se non promessi, ed accettati i compensi a spe-se della repubblica Veneziana. Solo restava all'Austriaqualche residuo di renitenza al consentire, per accomo-dar se, ad accettar le spoglie di un governo, dal qualenon aveva ricevuto alcuna ingiuria, col quale era con-giunta d'amicizia, e che anzi a motivo di questa sua ami-cizia si trovava ridotto a tali compassionevoli strette. Aquesto rimediava Buonaparte col far rivoltare lo statodei Veneziani, anche sulla sinistra del Mincio; perchè seripugnava all'Austria il nuocere a Venezia sotto il gover-no antico, bene sapeva che non le ripugnerebbe il nuo-cerle sotto il nuovo, odioso a lei pei principj, non con-giunto con lei per alcun vincolo di amicizia. Non cosìtosto ebbe sottoscritto la tregua coll'imperatore, che in-cominciò le dimostrazioni ostili contro i Veneziani; ilche mandò ad esecuzione in vari modi, ma che tutti ten-devano al medesimo fine. Primieramente mandò il suoaiutante Junot con amare condizioni a fare un violentoufficio a Venezia non senza grave ferita alla dignità del-la repubblica. Arrivato Junot altieramente richiedeva perparte del generalissimo di essere udito incontanente inpien collegio dal serenissimo principe. Correvano allorai giorni santi; era il sabato, in cui per antico costume

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non sedevano i magistrati, intenti in quel giorno a cele-brar nelle chiese i divini misteri. Avvertivanne Junot;ma egli, giovane impaziente mandato da un giovane im-pazientissimo, insisteva dicendo, o l'udissero subito, oappiccherebbe le cedole della guerra ai muri. Credetteroi padri, che il derogare all'uso antico fosse minore scan-dalo di quanto era capace di commettere quel soldato, econsentirono ad udirlo la mattina del sabato. Introdottoin collegio, dov'erano adunati il doge, i suoi sei consi-glieri, i tre capi della quarantia criminale, i sei savi gran-di, i cinque di terraferma, ed i cinque agli ordini, legge-va, con parlare prima timoroso per la sorpresa, poi su-perbissimo per la natura, una lettera, che scriveva Buo-naparte al doge il dì nove aprile da Judenburgo, ed eraquest'essa:

«Tutta la terraferma della serenissima repubblicadi Venezia è in armi: in ogni parte sollevati ed ar-mati gridano i paesani morte ai Francesi, moltecentinaja di soldati dell'esercito Italico già sonostati uccisi; invano voi disappruovate le turbe rac-colte pei vostri ordini. Credete voi, che nel mo-mento in cui mi trovo nel cuore della Germania,io non possa far rispettare il primo popolodell'universo? Credete voi, che le legioni d'Italiasopporteranno pazientemente le stragi, che voieccitate? Il sangue de' miei compagni sarà vendi-cato: a sì nobile ufficio sentirà moltiplicarsi amolti doppi il coraggio ogni battaglione, ogni sol-dato Francese. Con empia perfidia corrispose il

non sedevano i magistrati, intenti in quel giorno a cele-brar nelle chiese i divini misteri. Avvertivanne Junot;ma egli, giovane impaziente mandato da un giovane im-pazientissimo, insisteva dicendo, o l'udissero subito, oappiccherebbe le cedole della guerra ai muri. Credetteroi padri, che il derogare all'uso antico fosse minore scan-dalo di quanto era capace di commettere quel soldato, econsentirono ad udirlo la mattina del sabato. Introdottoin collegio, dov'erano adunati il doge, i suoi sei consi-glieri, i tre capi della quarantia criminale, i sei savi gran-di, i cinque di terraferma, ed i cinque agli ordini, legge-va, con parlare prima timoroso per la sorpresa, poi su-perbissimo per la natura, una lettera, che scriveva Buo-naparte al doge il dì nove aprile da Judenburgo, ed eraquest'essa:

«Tutta la terraferma della serenissima repubblicadi Venezia è in armi: in ogni parte sollevati ed ar-mati gridano i paesani morte ai Francesi, moltecentinaja di soldati dell'esercito Italico già sonostati uccisi; invano voi disappruovate le turbe rac-colte pei vostri ordini. Credete voi, che nel mo-mento in cui mi trovo nel cuore della Germania,io non possa far rispettare il primo popolodell'universo? Credete voi, che le legioni d'Italiasopporteranno pazientemente le stragi, che voieccitate? Il sangue de' miei compagni sarà vendi-cato: a sì nobile ufficio sentirà moltiplicarsi amolti doppi il coraggio ogni battaglione, ogni sol-dato Francese. Con empia perfidia corrispose il

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senato di Venezia ai generosi modi usati da noicon lui. Il mio aiutante, che vi reca la presente, èportatore o di pace, o di guerra. Se voi subito nondissolvete le masse, se non arrestate, e non date inmia mano gli autori degli omicidj, la guerra è di-chiarata. Non è già il Turco sulle frontiere vostre,nissun nemico vi minaccia; d'animo deliberatovoi avete inventato pretesti per giustificar le mas-se armate contro l'esercito; ma ventiquattr'ore ditempo, e non saran più: non siamo più ai tempi diCarlo Ottavo. Se, contro il chiaro intendimentodel governo Francese, voi mi sforzate alla guerra,non pensate per questo, che ad esempio degli as-sassini, che voi avete armati, i soldati Francesisiano per devastar le campagne del popolo inno-cente e sfortunato della terraferma. Io lo proteg-gerò, ed egli benedirà un giorno fino i delitti, cheavranno obbligato l'esercito Francese a liberarlodal vostro tirannico governo».

Qui non è bisogno aggiungere discorsi per giudicare dicosì fatta intimazione. Solo si debbe avvertire che i pae-sani, che difendevano il loro sovrano, non si sarebberomossi, e non avrebbero ucciso i soldati Francesi, segl'insidiatori con mandato espresso del generale di Fran-cia non avessero seminato la ribellione. Del resto alcunipur troppo furono uccisi, ma non a centinaia, come lasolita buonapartiana gonfiezza ebbe allegato. Taccio lavillania di parlare con tali espressioni ad un principe, incui era raccolta tutta la nazione Veneziana. Se questa è

senato di Venezia ai generosi modi usati da noicon lui. Il mio aiutante, che vi reca la presente, èportatore o di pace, o di guerra. Se voi subito nondissolvete le masse, se non arrestate, e non date inmia mano gli autori degli omicidj, la guerra è di-chiarata. Non è già il Turco sulle frontiere vostre,nissun nemico vi minaccia; d'animo deliberatovoi avete inventato pretesti per giustificar le mas-se armate contro l'esercito; ma ventiquattr'ore ditempo, e non saran più: non siamo più ai tempi diCarlo Ottavo. Se, contro il chiaro intendimentodel governo Francese, voi mi sforzate alla guerra,non pensate per questo, che ad esempio degli as-sassini, che voi avete armati, i soldati Francesisiano per devastar le campagne del popolo inno-cente e sfortunato della terraferma. Io lo proteg-gerò, ed egli benedirà un giorno fino i delitti, cheavranno obbligato l'esercito Francese a liberarlodal vostro tirannico governo».

Qui non è bisogno aggiungere discorsi per giudicare dicosì fatta intimazione. Solo si debbe avvertire che i pae-sani, che difendevano il loro sovrano, non si sarebberomossi, e non avrebbero ucciso i soldati Francesi, segl'insidiatori con mandato espresso del generale di Fran-cia non avessero seminato la ribellione. Del resto alcunipur troppo furono uccisi, ma non a centinaia, come lasolita buonapartiana gonfiezza ebbe allegato. Taccio lavillania di parlare con tali espressioni ad un principe, incui era raccolta tutta la nazione Veneziana. Se questa è

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grandezza, come alcuni stimano, io non so che cosa siapiccolezza.A tale vituperio ed a tanta indegnità una sola risposta erada farsi, se pure la umanità e la civiltà l'avessero per-messa, e quest'era di tuffar in mare Junot, e di correresubitamente all'armi per veder quello, che volessero icieli definire. Bene dovevano i Veneziani, non tuffarJunot, ma sì impugnar l'armi; ma nè i tempi nè gli uomi-ni erano abbastanza forti in Venezia. Ridotto il principedi sì antica e nobile repubblica a condizione tanto abiet-ta, rispose pacatamente, delibererebbe il senato; averesempre nodrito sentimenti di lealtà e di amicizia verso lanazione Francese. Intanto le crudeli calunnie, l'incredi-bile insulto, le disgrazie imminenti avevano riempitol'animo dei circostanti d'orrore e di terrore.Acerbe lettere scriveva il dì medesimo dei nove aprile ilgeneralissimo a Lallemand: non potersi più dubitare,che l'armarsi dei Veneziani non avesse per fine di serra-re alle spalle l'esercito di Francia; non aver mai potutorestar capace del come Bergamo, città fra tutte le altredegli stati di Venezia dedita al senato, si fosse armatacontro di lui; meno ancora aver potuto comprenderecome per calmare quel piccolo ammutinamento abbiso-gnassero venticinque mila armati, nè perchè quando siera Pesaro abboccato con lui in Gorizia, avesse rifiutatola mediazione di Francia per ridurre ad obbedienza ipaesi sollevati; gli atti dei provveditori di Brescia, Ber-gamo, e Crema, in cui si affermava, essere la sollevazio-

grandezza, come alcuni stimano, io non so che cosa siapiccolezza.A tale vituperio ed a tanta indegnità una sola risposta erada farsi, se pure la umanità e la civiltà l'avessero per-messa, e quest'era di tuffar in mare Junot, e di correresubitamente all'armi per veder quello, che volessero icieli definire. Bene dovevano i Veneziani, non tuffarJunot, ma sì impugnar l'armi; ma nè i tempi nè gli uomi-ni erano abbastanza forti in Venezia. Ridotto il principedi sì antica e nobile repubblica a condizione tanto abiet-ta, rispose pacatamente, delibererebbe il senato; averesempre nodrito sentimenti di lealtà e di amicizia verso lanazione Francese. Intanto le crudeli calunnie, l'incredi-bile insulto, le disgrazie imminenti avevano riempitol'animo dei circostanti d'orrore e di terrore.Acerbe lettere scriveva il dì medesimo dei nove aprile ilgeneralissimo a Lallemand: non potersi più dubitare,che l'armarsi dei Veneziani non avesse per fine di serra-re alle spalle l'esercito di Francia; non aver mai potutorestar capace del come Bergamo, città fra tutte le altredegli stati di Venezia dedita al senato, si fosse armatacontro di lui; meno ancora aver potuto comprenderecome per calmare quel piccolo ammutinamento abbiso-gnassero venticinque mila armati, nè perchè quando siera Pesaro abboccato con lui in Gorizia, avesse rifiutatola mediazione di Francia per ridurre ad obbedienza ipaesi sollevati; gli atti dei provveditori di Brescia, Ber-gamo, e Crema, in cui si affermava, essere la sollevazio-

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ne opera dei Francesi, essere bugie inventate a disegnoper giustificare in cospetto dell'Europa la perfidia del se-nato Veneziano; avere il senato usato la occasione, incui egli innoltratosi nelle fauci della Carintia, aveva afronte il principe Carlo, per mandar ad effetto una frau-de, che sarebbe prima d'esempio, se non fossero quelleordite contro Carlo Ottavo, ed i Vespri Siciliani; esserestati i Veneziani più accorti di Roma, poichè avevanousato il momento, in cui i soldati erano alle mani con gliAustriaci; ma non aver ad essere i Veneziani più fortu-nati di Roma: la fortuna della repubblica Francese stataa fronte di tutta Europa, non si romperebbe nelle laguneVeneziane.Dette queste cose, annunziava le accuse contro i Vene-ziani: avere una nave Veneziana, a fine di tutelare unaconserva Tedesca, combattuto la fregata Francese laBruna; essere stata arsa la casa del console a Zante, in-sultato il console stesso; averne mostrato allegrezza ilgovernatore; diecimila paesani armati, e pagati dal sena-to avere ucciso tra Milano e Bergamo cinquanta France-si; piene essere, malgrado delle promesse di Pesaro, disoldati Verona, Padova, Treviso; arrestarsi in ogni luogogli amici della Francia; porsi a guida degli assassini gliagenti dell'imperatore; gridarsi per ogni parte morte aiFrancesi; furibondi i predicatori pubblicare da ogni cat-tedra la volontà del senato, stimolare contro la Francia;vera ed effettiva condizione di guerra essere tra Franciae Venezia; saperlo Venezia stessa, che altro modo non

ne opera dei Francesi, essere bugie inventate a disegnoper giustificare in cospetto dell'Europa la perfidia del se-nato Veneziano; avere il senato usato la occasione, incui egli innoltratosi nelle fauci della Carintia, aveva afronte il principe Carlo, per mandar ad effetto una frau-de, che sarebbe prima d'esempio, se non fossero quelleordite contro Carlo Ottavo, ed i Vespri Siciliani; esserestati i Veneziani più accorti di Roma, poichè avevanousato il momento, in cui i soldati erano alle mani con gliAustriaci; ma non aver ad essere i Veneziani più fortu-nati di Roma: la fortuna della repubblica Francese stataa fronte di tutta Europa, non si romperebbe nelle laguneVeneziane.Dette queste cose, annunziava le accuse contro i Vene-ziani: avere una nave Veneziana, a fine di tutelare unaconserva Tedesca, combattuto la fregata Francese laBruna; essere stata arsa la casa del console a Zante, in-sultato il console stesso; averne mostrato allegrezza ilgovernatore; diecimila paesani armati, e pagati dal sena-to avere ucciso tra Milano e Bergamo cinquanta France-si; piene essere, malgrado delle promesse di Pesaro, disoldati Verona, Padova, Treviso; arrestarsi in ogni luogogli amici della Francia; porsi a guida degli assassini gliagenti dell'imperatore; gridarsi per ogni parte morte aiFrancesi; furibondi i predicatori pubblicare da ogni cat-tedra la volontà del senato, stimolare contro la Francia;vera ed effettiva condizione di guerra essere tra Franciae Venezia; saperlo Venezia stessa, che altro modo non

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trovava di giustificarsi, che il disappruovare con parolequelle masse, che coi fatti armava e pagava: domandas-se adunque Lallemand, concludeva, a Venezia, che riso-lutamente rispondesse, se avesse pace o guerra conFrancia: se guerra, partisse incontanente; se pace, do-mandasse che i carcerati per opinione, e di non altro reiche di amare i Francesi, fossero rimessi in libertà; chetutti i presidj, salvo gli ordinarj, quali erano sei mesi pri-ma, uscissero dalle piazze di terraferma; che tutti i pae-sani si disarmassero, e si riducessero alla condizione diun mese prima; provvedesse il senato, che le cose fosse-ro in terraferma tranquille e sicure, e non pensasse soloalle lagune; gl'incenditori della casa del console a Zantesi punissero, e la casa si ristorasse a spese della repub-blica; il capitano che aveva combattuto la Bruna, si pu-nisse, ed il costo della conserva nemica protetta contro ipatti della neutralità, si rimborsasse: quanto alle turba-zioni di Bergamo e di Brescia, offerisse la mediazionedella Francia per ridur di nuovo le cose allo stato quieto.Faceva Lallemand l'ufficio, i comandamenti di Buona-parte al senato rappresentando. Del quale chi vorrà con-siderare il tempo, e le circostanze, non potrà non sentirsicommovere a grave sdegno contro chi il moveva, ed anon poca compassione verso chi era mosso; perchè vi siaccusava la repubblica di Venezia di oltraggi, quandol'estremo oltraggio già era stato, non solo da lungo tem-po meditato, ma recentemente concluso contro di lei,vogliam dire la vendita de' suoi stati; si accusava il sena-

trovava di giustificarsi, che il disappruovare con parolequelle masse, che coi fatti armava e pagava: domandas-se adunque Lallemand, concludeva, a Venezia, che riso-lutamente rispondesse, se avesse pace o guerra conFrancia: se guerra, partisse incontanente; se pace, do-mandasse che i carcerati per opinione, e di non altro reiche di amare i Francesi, fossero rimessi in libertà; chetutti i presidj, salvo gli ordinarj, quali erano sei mesi pri-ma, uscissero dalle piazze di terraferma; che tutti i pae-sani si disarmassero, e si riducessero alla condizione diun mese prima; provvedesse il senato, che le cose fosse-ro in terraferma tranquille e sicure, e non pensasse soloalle lagune; gl'incenditori della casa del console a Zantesi punissero, e la casa si ristorasse a spese della repub-blica; il capitano che aveva combattuto la Bruna, si pu-nisse, ed il costo della conserva nemica protetta contro ipatti della neutralità, si rimborsasse: quanto alle turba-zioni di Bergamo e di Brescia, offerisse la mediazionedella Francia per ridur di nuovo le cose allo stato quieto.Faceva Lallemand l'ufficio, i comandamenti di Buona-parte al senato rappresentando. Del quale chi vorrà con-siderare il tempo, e le circostanze, non potrà non sentirsicommovere a grave sdegno contro chi il moveva, ed anon poca compassione verso chi era mosso; perchè vi siaccusava la repubblica di Venezia di oltraggi, quandol'estremo oltraggio già era stato, non solo da lungo tem-po meditato, ma recentemente concluso contro di lei,vogliam dire la vendita de' suoi stati; si accusava il sena-

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to d'incendj, di omicidj, di tiri di cannone commessi daparticolari uomini, che il senato voleva e riparare e com-pensare all'accusatore, se veramente egli avesse volutoessere riparato e compensato: si offeriva la restituzionedi Bergamo e di Brescia, quando appunto Bergamo eBrescia erano state fatte ribellare dall'offeritore, e nomi-natamente Bergamo e Brescia date in mano all'imperato-re; si comandava che si disarmassero i popoli Veneziani,perchè amavano meglio esser Veneziani che Francesi edAustriaci, ed appunto si comandava che si disarmassero,perchè il comandatore potesse meglio, e più comoda-mente dargli in preda ad un dominio forestiero; muove-vansi lagnanze sui predicatori, come se i predicatoriavessero dovuto inculcare piuttosto la tirannide forestie-ra che la signorìa paesana, e non fosse loro lecito il di-fendere la patria contro un tradimento; si voleva che ilsenato mantenesse la quiete nella terraferma, non conmasse incomposte, ma con genti regolari, e poi quandomandava genti regolari, i comandanti Francesi negavanoloro i passi pei ponti, per le strade, per le fortezze, e gri-davano volere Venezia far guerra alla Francia; si doman-dava finalmente che il senato non pensasse solamentealle lagune, ma avesse cura anche della terraferma,quando già si era accusato, e minacciato il senato, soloperchè aveva armato l'estuario, per modo che l'armareed il non armare era da Buonaparte imputato a delitto alsenato. Insomma chi conosce i patti di Leoben già offe-riti molti mesi prima dal generale del direttorioall'Austria, già concertati nella tregua dei sette, poi so-

to d'incendj, di omicidj, di tiri di cannone commessi daparticolari uomini, che il senato voleva e riparare e com-pensare all'accusatore, se veramente egli avesse volutoessere riparato e compensato: si offeriva la restituzionedi Bergamo e di Brescia, quando appunto Bergamo eBrescia erano state fatte ribellare dall'offeritore, e nomi-natamente Bergamo e Brescia date in mano all'imperato-re; si comandava che si disarmassero i popoli Veneziani,perchè amavano meglio esser Veneziani che Francesi edAustriaci, ed appunto si comandava che si disarmassero,perchè il comandatore potesse meglio, e più comoda-mente dargli in preda ad un dominio forestiero; muove-vansi lagnanze sui predicatori, come se i predicatoriavessero dovuto inculcare piuttosto la tirannide forestie-ra che la signorìa paesana, e non fosse loro lecito il di-fendere la patria contro un tradimento; si voleva che ilsenato mantenesse la quiete nella terraferma, non conmasse incomposte, ma con genti regolari, e poi quandomandava genti regolari, i comandanti Francesi negavanoloro i passi pei ponti, per le strade, per le fortezze, e gri-davano volere Venezia far guerra alla Francia; si doman-dava finalmente che il senato non pensasse solamentealle lagune, ma avesse cura anche della terraferma,quando già si era accusato, e minacciato il senato, soloperchè aveva armato l'estuario, per modo che l'armareed il non armare era da Buonaparte imputato a delitto alsenato. Insomma chi conosce i patti di Leoben già offe-riti molti mesi prima dal generale del direttorioall'Austria, già concertati nella tregua dei sette, poi so-

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lennemente stipulati nei preliminari dei diciotto, cono-scerà facilmente di che sapessero le parole di Buonapar-te. Quel volere poi che si liberassero i carcerati per opi-nione, fra i quali si annoveravano non pochi Bresciani,Bergamaschi e Salodiani, e lo stesso Gambara, presicombattendo con le armi in mano contro il proprio prin-cipe, era oltraggio di sovranità, incentivo di ribellione.Rispondeva per bocca del doge il senato a Buonaparte:

«Nella somma amaritudine che ha sentito il sena-to nel conoscere dalle vostre lettere, avere l'animovostro concetto sinistre impressioni sulla ingenui-tà della nostra condotta, ci riesce di qualche con-forto il vederci aperta la via di poterle pienamentedileguare con le pronte e precise nostre risposte.Vuole il senato, ed ha sempre voluto vivere inpace ed amicizia con la repubblica di Francia, epiacegli in questo punto ratificare solennementequesta sua risolutissima volontà. Nè potrebbe cer-tamente una così aperta, e così solenne dichiara-zione venir oscurata da accidenti, che con lei nonhanno correlazione alcuna: poichè, sorta la fatale,e del tutto inaspettata rivoluzione nelle città no-stre oltre Mincio, la fede e l'amore delle popola-zioni le fece correre spontaneamente all'armi colsolo intento di frenar la ribellione, e di respingerele violenze dei sollevati. A questo unico fine im-plorarono esse dal proprio governo assistenza, epresidj; che se in tanto turbamento di cose sorseroalcuni accidenti disgustosi, alla confusione inevi-

lennemente stipulati nei preliminari dei diciotto, cono-scerà facilmente di che sapessero le parole di Buonapar-te. Quel volere poi che si liberassero i carcerati per opi-nione, fra i quali si annoveravano non pochi Bresciani,Bergamaschi e Salodiani, e lo stesso Gambara, presicombattendo con le armi in mano contro il proprio prin-cipe, era oltraggio di sovranità, incentivo di ribellione.Rispondeva per bocca del doge il senato a Buonaparte:

«Nella somma amaritudine che ha sentito il sena-to nel conoscere dalle vostre lettere, avere l'animovostro concetto sinistre impressioni sulla ingenui-tà della nostra condotta, ci riesce di qualche con-forto il vederci aperta la via di poterle pienamentedileguare con le pronte e precise nostre risposte.Vuole il senato, ed ha sempre voluto vivere inpace ed amicizia con la repubblica di Francia, epiacegli in questo punto ratificare solennementequesta sua risolutissima volontà. Nè potrebbe cer-tamente una così aperta, e così solenne dichiara-zione venir oscurata da accidenti, che con lei nonhanno correlazione alcuna: poichè, sorta la fatale,e del tutto inaspettata rivoluzione nelle città no-stre oltre Mincio, la fede e l'amore delle popola-zioni le fece correre spontaneamente all'armi colsolo intento di frenar la ribellione, e di respingerele violenze dei sollevati. A questo unico fine im-plorarono esse dal proprio governo assistenza, epresidj; che se in tanto turbamento di cose sorseroalcuni accidenti disgustosi, alla confusione inevi-

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tabile debbono unicamente, non alla volontà delgoverno attribuirsi. Tanto è alieno da essi il sena-to, che, per allontanare anche il più rimoto perico-lo, ha con recente manifesto comandato ai suddi-ti, che contro i sollevati non istessero ad usar learmi, se non nel caso della propria difesa. Ma es-sendo noi su tale argomento disposti a secondarecon le opportune risoluzioni i vostri desiderj,bene conoscerà la equità vostra, che al tempo me-desimo diventa necessario che l'amore volontariodelle popolazioni fedeli verso di noi, e la comunenostra tranquillità siano guarentite da insultiesterni, e da perturbazioni interne. Vuole, ed èpronto il senato a soddisfarvi dell'altra richiesta,per castigo e consegna di coloro che han com-messo uccisioni sulle persone dei vostri soldati, esarà per noi diligentemente ordinato, che sianoconosciuti, arrestati e secondo i meriti loro casti-gati. Per conseguire più acconciamente, ed a con-tentezza d'ambe le parti tutti i raccontati effetti,mandiamo due legati a voi, dai quali intenderetela somma compiacenza nostra, e insieme quantograto ci sarebbe, che voi interponeste l'efficacevostra autorità presso al vostro governo per ricon-durre all'ordine, ed al primiero stato le città d'oltreMincio, che si sono da noi allontanate. Con que-sto vi confermiamo di nuovo, e protestiamo la co-stanza, e la sincerità dei nostri sentimenti verso lavostra repubblica, in un con la molta osservanza,in cui abbiamo la vostra illustre e riputata perso-na».

tabile debbono unicamente, non alla volontà delgoverno attribuirsi. Tanto è alieno da essi il sena-to, che, per allontanare anche il più rimoto perico-lo, ha con recente manifesto comandato ai suddi-ti, che contro i sollevati non istessero ad usar learmi, se non nel caso della propria difesa. Ma es-sendo noi su tale argomento disposti a secondarecon le opportune risoluzioni i vostri desiderj,bene conoscerà la equità vostra, che al tempo me-desimo diventa necessario che l'amore volontariodelle popolazioni fedeli verso di noi, e la comunenostra tranquillità siano guarentite da insultiesterni, e da perturbazioni interne. Vuole, ed èpronto il senato a soddisfarvi dell'altra richiesta,per castigo e consegna di coloro che han com-messo uccisioni sulle persone dei vostri soldati, esarà per noi diligentemente ordinato, che sianoconosciuti, arrestati e secondo i meriti loro casti-gati. Per conseguire più acconciamente, ed a con-tentezza d'ambe le parti tutti i raccontati effetti,mandiamo due legati a voi, dai quali intenderetela somma compiacenza nostra, e insieme quantograto ci sarebbe, che voi interponeste l'efficacevostra autorità presso al vostro governo per ricon-durre all'ordine, ed al primiero stato le città d'oltreMincio, che si sono da noi allontanate. Con que-sto vi confermiamo di nuovo, e protestiamo la co-stanza, e la sincerità dei nostri sentimenti verso lavostra repubblica, in un con la molta osservanza,in cui abbiamo la vostra illustre e riputata perso-na».

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Deputava il senato per alleggerire i sospetti, e per intrat-tenere Buonaparte dell'estremo fato della patria, France-sco Donato censore, e Leonardo Giustiniani, savio allascrittura uscito. Intanto funeste novelle consentaneeall'aspetto delle cose presenti, ed annunziatrici di ultimaruina, arrivavano da Vienna e da Parigi. Avvisaval'ambasciador Grimani, apparir segni che la repubblicaavesse ad esser data in preda all'Austria; in questo ado-perarsi la corte di Napoli per istornar la tempesta da lei;adoperarvisi la Spagna, adulatrice di Francia, e deside-rosa che il duca di Parma acquistasse un incremento diterritorio col titolo di re: avervi anche le mani mescolateil re di Sardegna, in cui rimaneva l'antica cupidità di al-largarsi in Italia; affollarsi tutti intorno a Francia, adu-larla, prometterle, esortarla a male opere; non aver piùamici la repubblica debole, esser fatta bersaglio alle po-tenze, bramose tutte di prendersi quel d'altrui; starsenecupa e silenziosa l'Austria; esser disposta ad accettare ilprezzo; pure splendere ancora un raggio di speranza, sesi mantenesse intero ed incorrotto l'antico governo;cambiarlo, aver ad essere la morte della repubblica. Cosìi potentati Italiani stessi, in preda ancor essi alla cupidi-gia del volere appropriarsi quel d'altrui, non giudicavanoquanto fosse a proposito della salute d'Italia il non la-sciar perire Venezia.Simili cose scriveva il nobile Querini da Parigi, macome se velate da maggior dissimulazione alle orecchiesue pervenissero; perchè ora erano minacciose le parole

Deputava il senato per alleggerire i sospetti, e per intrat-tenere Buonaparte dell'estremo fato della patria, France-sco Donato censore, e Leonardo Giustiniani, savio allascrittura uscito. Intanto funeste novelle consentaneeall'aspetto delle cose presenti, ed annunziatrici di ultimaruina, arrivavano da Vienna e da Parigi. Avvisaval'ambasciador Grimani, apparir segni che la repubblicaavesse ad esser data in preda all'Austria; in questo ado-perarsi la corte di Napoli per istornar la tempesta da lei;adoperarvisi la Spagna, adulatrice di Francia, e deside-rosa che il duca di Parma acquistasse un incremento diterritorio col titolo di re: avervi anche le mani mescolateil re di Sardegna, in cui rimaneva l'antica cupidità di al-largarsi in Italia; affollarsi tutti intorno a Francia, adu-larla, prometterle, esortarla a male opere; non aver piùamici la repubblica debole, esser fatta bersaglio alle po-tenze, bramose tutte di prendersi quel d'altrui; starsenecupa e silenziosa l'Austria; esser disposta ad accettare ilprezzo; pure splendere ancora un raggio di speranza, sesi mantenesse intero ed incorrotto l'antico governo;cambiarlo, aver ad essere la morte della repubblica. Cosìi potentati Italiani stessi, in preda ancor essi alla cupidi-gia del volere appropriarsi quel d'altrui, non giudicavanoquanto fosse a proposito della salute d'Italia il non la-sciar perire Venezia.Simili cose scriveva il nobile Querini da Parigi, macome se velate da maggior dissimulazione alle orecchiesue pervenissero; perchè ora erano minacciose le parole

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del direttorio, ed ora dolci; ora accusava Venezia, ed orala scusava, e da tante ambagi niuna cosa certa poteva ri-trarre l'ambasciadore Veneto, se non se che si macchina-va qualche gran trama contro la repubblica, e che era pe-ricolo che l'Austria, per consentimento della Francia, sela rapisse. Ma perchè non mancasse alcuna lagrimevolecondizione in così grave e così vicino pericolo, fu pro-vato da gente vendereccia di sottrarle denaro sotto pro-messa di salute. Un certo Viscovich, di nazione Dalma-ta, si appresentava al nobile Querini, dicendo che era inmano sua il salvare la repubblica; che in quel punto sta-va deliberando il direttorio, se convenisse spegnere le ri-voluzioni della terraferma con dar mano forte al senato,o di condurle a compimento con dare fomento ed ajutoai ribelli; che due direttori erano in favore della repub-blica, due contro, il quinto in pendente; che quello era iltempo di spendere per la salute comune; che ove il sena-to volesse dar sette milioni di franchi, Venezia sarebbepreservata; che di presente abbisognavano seicento milafranchi pel direttore titubante, con altri cento mila peibeveraggi agl'intromettitori. Rispondeva Querini, nonavere autorità di obbligare il pubblico per tanta somma.E brevemente, pressato poi dal Viscovich, che la cosaera alle strette, che quello non era tempo da perdere, chese non prometteva, in quel giorno stesso si statuiva lamorte della repubblica, si lasciava tirare a dir del sì persomma sua divozione verso la patria, e sottoscriveva bi-glietti per seicento mila franchi sopra Pallavicini di Ge-nova, con patto che stessero in deposito, finchè non

del direttorio, ed ora dolci; ora accusava Venezia, ed orala scusava, e da tante ambagi niuna cosa certa poteva ri-trarre l'ambasciadore Veneto, se non se che si macchina-va qualche gran trama contro la repubblica, e che era pe-ricolo che l'Austria, per consentimento della Francia, sela rapisse. Ma perchè non mancasse alcuna lagrimevolecondizione in così grave e così vicino pericolo, fu pro-vato da gente vendereccia di sottrarle denaro sotto pro-messa di salute. Un certo Viscovich, di nazione Dalma-ta, si appresentava al nobile Querini, dicendo che era inmano sua il salvare la repubblica; che in quel punto sta-va deliberando il direttorio, se convenisse spegnere le ri-voluzioni della terraferma con dar mano forte al senato,o di condurle a compimento con dare fomento ed ajutoai ribelli; che due direttori erano in favore della repub-blica, due contro, il quinto in pendente; che quello era iltempo di spendere per la salute comune; che ove il sena-to volesse dar sette milioni di franchi, Venezia sarebbepreservata; che di presente abbisognavano seicento milafranchi pel direttore titubante, con altri cento mila peibeveraggi agl'intromettitori. Rispondeva Querini, nonavere autorità di obbligare il pubblico per tanta somma.E brevemente, pressato poi dal Viscovich, che la cosaera alle strette, che quello non era tempo da perdere, chese non prometteva, in quel giorno stesso si statuiva lamorte della repubblica, si lasciava tirare a dir del sì persomma sua divozione verso la patria, e sottoscriveva bi-glietti per seicento mila franchi sopra Pallavicini di Ge-nova, con patto che stessero in deposito, finchè non

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avesse in sua mano una lettera scritta dal direttorio aBuonaparte, intimatrice del dover frenare i faziosi dellaterraferma, e ridurre le città sotto il dominio. La letteranon potè avere Querini; bensì gli fu consegnata una car-ta col titolo in fronte, e colla marca del direttorio esecu-tivo, e sottoscrizione del segretario di Barras, per cui siaffermava, che la lettera del descritto tenore era statascritta dal direttorio a Buonaparte. Fu il trattato appro-vato dal governo a Venezia: mandavasi al console inGenova, s'intendesse con Pallavicini, perchè obbedissele cambiali del Querini. Stava in aspettazione l'amba-sciatore di quello che avesse a succedere; ma vedendo lecose della terraferma andar sempre di male in peggio, ri-chiedeva Viscovich della restituzione dei biglietti. Nega-va il Dalmata la restituzione. Furono presentati a Queri-ni nel mese di luglio in Venezia, dopo il cambiamentodello stato, acciocchè ne effettuasse il pagamento: gliprotestava; fu carcerato, ed esaminato per ordine del di-rettorio per querela di aver voluto corrompere il governoFrancese. Questa fu veramente un'arte cupa; perchè, sevi fu corruzione, e certamente in qualcheduno fu, ellanon andò già da Querini ad altri, ma da altri a Querini.Intanto un accidente, frutto di una vituperevol fraude dauna parte, accompagnato da una estrema crudeltàdall'altra, famoso al mondo per l'importanza sua, e pelparagone di un altro fatto rinomato nelle storie, era vici-no a sorgere nella principale città della Veneta terrafer-ma. Abbiamo già raccontato, come Buonaparte, perchè

avesse in sua mano una lettera scritta dal direttorio aBuonaparte, intimatrice del dover frenare i faziosi dellaterraferma, e ridurre le città sotto il dominio. La letteranon potè avere Querini; bensì gli fu consegnata una car-ta col titolo in fronte, e colla marca del direttorio esecu-tivo, e sottoscrizione del segretario di Barras, per cui siaffermava, che la lettera del descritto tenore era statascritta dal direttorio a Buonaparte. Fu il trattato appro-vato dal governo a Venezia: mandavasi al console inGenova, s'intendesse con Pallavicini, perchè obbedissele cambiali del Querini. Stava in aspettazione l'amba-sciatore di quello che avesse a succedere; ma vedendo lecose della terraferma andar sempre di male in peggio, ri-chiedeva Viscovich della restituzione dei biglietti. Nega-va il Dalmata la restituzione. Furono presentati a Queri-ni nel mese di luglio in Venezia, dopo il cambiamentodello stato, acciocchè ne effettuasse il pagamento: gliprotestava; fu carcerato, ed esaminato per ordine del di-rettorio per querela di aver voluto corrompere il governoFrancese. Questa fu veramente un'arte cupa; perchè, sevi fu corruzione, e certamente in qualcheduno fu, ellanon andò già da Querini ad altri, ma da altri a Querini.Intanto un accidente, frutto di una vituperevol fraude dauna parte, accompagnato da una estrema crudeltàdall'altra, famoso al mondo per l'importanza sua, e pelparagone di un altro fatto rinomato nelle storie, era vici-no a sorgere nella principale città della Veneta terrafer-ma. Abbiamo già raccontato, come Buonaparte, perchè

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l'Austria accettasse da lui, in ricompensa dei Paesi Bas-si, e del Milanese, lo stato Veneziano, si era messo inpunto di farlo rivoltare contro il senato. Insidiò princi-palmente Verona. I suoi agenti non lasciavano alcunacosa intentata, e la popolazione Veronese contaminava-no con promesse agli avidi, con istimoli agli ambiziosi,con mostra di libertà, con abbominazione di tirannideagli amatori del vivere libero. Il senato all'incontroavendo avuto sentore, anzi certezza delle trame di Vero-na, vi aveva mandato, come già abbiam raccontato,provveditori straordinari, uomini di fede e di virtù, conun forte polso di genti Schiavone. Vi arrivavano, oltre aciò, i villani dei contorni, ai quali erano state messe inmano le armi: erano una massa considerabile. Stavanoambe le parti vigilanti, l'una per impedir gli effetti dellesuggestioni e delle sommossioni d'oltre Mincio, l'altraper ajutarli. Gli animi infiammati dall'un canto, arrab-biati dall'altro, insospettiti tutti, si mostravano pronti,non solo ad usare le prime occasioni gravi, ma ancora aprorompere per le più leggieri, ed una voce, un suono,un segno che uscisse, potevano partorire una generalecommozione. In tanta concitazione reciproca le cagionipotevano nascere ugualmente dall'una e dall'altra parte.Da tutto questo conoscerà il lettore, che poco rileva ilsapere, se si sia incominciato a far sangue dai Francesi,o dai Veronesi, perchè proposito dei capi Francesi era difar rivoluzione in Verona, proposito dei Veronesid'impedirla: i primi volevano darla all'Austria, i secondiconservarla a Venezia; e so ben io ciò, che farebbero i

l'Austria accettasse da lui, in ricompensa dei Paesi Bas-si, e del Milanese, lo stato Veneziano, si era messo inpunto di farlo rivoltare contro il senato. Insidiò princi-palmente Verona. I suoi agenti non lasciavano alcunacosa intentata, e la popolazione Veronese contaminava-no con promesse agli avidi, con istimoli agli ambiziosi,con mostra di libertà, con abbominazione di tirannideagli amatori del vivere libero. Il senato all'incontroavendo avuto sentore, anzi certezza delle trame di Vero-na, vi aveva mandato, come già abbiam raccontato,provveditori straordinari, uomini di fede e di virtù, conun forte polso di genti Schiavone. Vi arrivavano, oltre aciò, i villani dei contorni, ai quali erano state messe inmano le armi: erano una massa considerabile. Stavanoambe le parti vigilanti, l'una per impedir gli effetti dellesuggestioni e delle sommossioni d'oltre Mincio, l'altraper ajutarli. Gli animi infiammati dall'un canto, arrab-biati dall'altro, insospettiti tutti, si mostravano pronti,non solo ad usare le prime occasioni gravi, ma ancora aprorompere per le più leggieri, ed una voce, un suono,un segno che uscisse, potevano partorire una generalecommozione. In tanta concitazione reciproca le cagionipotevano nascere ugualmente dall'una e dall'altra parte.Da tutto questo conoscerà il lettore, che poco rileva ilsapere, se si sia incominciato a far sangue dai Francesi,o dai Veronesi, perchè proposito dei capi Francesi era difar rivoluzione in Verona, proposito dei Veronesid'impedirla: i primi volevano darla all'Austria, i secondiconservarla a Venezia; e so ben io ciò, che farebbero i

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Francesi, o gl'Inglesi, se qualche potenza forestiera ven-desse ad un'altra Lione, o Birmingham.Era debole il presidio Francese in Verona, nè atto per sea tanta mole; perchè il generalissimo aveva avuto biso-gno di tutte le sue forze contro l'Austria, ma si speravanei maneggi secreti, e nell'opera dei novatori, ed oltre aciò incominciava a scoprirsi nel Padovano la schiera diVictor mandata da Buonaparte a rivoltar lo stato nellaterraferma. Si accostava inoltre Lahoz coi Lombardi, ePolacchi, accostavansi le masse repubblicane di Bresciae di Bergamo, ed il forte presidio di Mantova potevadare da luogo vicino nervo all'impresa. Intanto il capita-no Carrere, comandante di Verona, soldato amantissimodella repubblica, ma probo e religioso, vedendo il peri-colo tratteneva ogni Francese che da Francia venisse, odin Francia ritornasse, per modo che riuscì a raccorre cir-ca ottocento soldati. Arrivavano poco stante duecentoCisalpini, valorosa gente, capitanata in gran parte daFrancesi, ed assai disposta a secondargli. Già segni an-nunziatori di quanto doveva succedere si spargevano perle campagne: erano in ogni luogo minacce, mischie, educcisioni. I sollevati dipendenti da Buonaparte uccide-vano i sollevati, che gridavano San Marco; dall'altraparte dei Francesi isolati, coloro, che s'imbattevano ingente più moderata, erano o arrestati, od insultati; quei,che incontravano uomini più sfrenati, erano uccisi. Unprete, figliuolo del conte Malenza, postosi in agguatocon una squadra di mila villani, infestava le strade tra

Francesi, o gl'Inglesi, se qualche potenza forestiera ven-desse ad un'altra Lione, o Birmingham.Era debole il presidio Francese in Verona, nè atto per sea tanta mole; perchè il generalissimo aveva avuto biso-gno di tutte le sue forze contro l'Austria, ma si speravanei maneggi secreti, e nell'opera dei novatori, ed oltre aciò incominciava a scoprirsi nel Padovano la schiera diVictor mandata da Buonaparte a rivoltar lo stato nellaterraferma. Si accostava inoltre Lahoz coi Lombardi, ePolacchi, accostavansi le masse repubblicane di Bresciae di Bergamo, ed il forte presidio di Mantova potevadare da luogo vicino nervo all'impresa. Intanto il capita-no Carrere, comandante di Verona, soldato amantissimodella repubblica, ma probo e religioso, vedendo il peri-colo tratteneva ogni Francese che da Francia venisse, odin Francia ritornasse, per modo che riuscì a raccorre cir-ca ottocento soldati. Arrivavano poco stante duecentoCisalpini, valorosa gente, capitanata in gran parte daFrancesi, ed assai disposta a secondargli. Già segni an-nunziatori di quanto doveva succedere si spargevano perle campagne: erano in ogni luogo minacce, mischie, educcisioni. I sollevati dipendenti da Buonaparte uccide-vano i sollevati, che gridavano San Marco; dall'altraparte dei Francesi isolati, coloro, che s'imbattevano ingente più moderata, erano o arrestati, od insultati; quei,che incontravano uomini più sfrenati, erano uccisi. Unprete, figliuolo del conte Malenza, postosi in agguatocon una squadra di mila villani, infestava le strade tra

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Peschiera e Verona. Incessantemente si predicava, vole-re i Francesi fare una rivoluzione per impadronirsi dellesostanze dei popoli, e singolarmente del monte di pietà,dove erano grandissime ricchezze. Allegavano l'esempiodel monte di pietà di Milano depredato contro le leggidel giusto e dell'onesto. Il fatto era pur troppo vero, e laricordanza di lui produceva una rabbia incredibile inmezzo a quelle popolazioni già tanto concitate. Succe-devano in Verona stessa ad ogni momento minacce traFrancesi e Schiavoni, succedevano altercazioni frequen-ti tra Francesi e Veronesi, ed allora gli Schiavoni si al-lontanavano. Le nappe con l'impronta del Lione, inse-gna della repubblica di Venezia, davansi a chi ne brama-va. Godeva il provveditore nel vedere animi sì pronti, etante difese apprestate. Dava opera ad ordinarle; descri-veva i villani accorsi, raccomandava l'ordine e la quiete,comandava, non offendessero persona; solo stessero ar-mati, e pronti. Così l'agro Veronese suonava tuttoall'intorno d'armi contrarie, ed armi contrarie erano inatto d'affrontarsi dentro le mura stesse di Verona. Prepa-ravansi i magistrati a propulsare qualunque assalto, fattiaccorti dai fatti di Bergamo, Brescia, Crema, ed ancorpiù dalle novelle certe delle intenzioni di Buonaparte. Ilgenerale Balland surrogato a Kilmaine nel governo mili-tare di Verona, sollevato d'animo a tanti romori, scrivevaal provveditore, esortandolo a provvedere, che i disordi-ni cessassero. Rispondeva il Veneziano, che il farebbe,sempre anzi averlo fatto, ma toccava rimproverando imaneggi degl'insidiatori, mandati a posta per sommuo-

Peschiera e Verona. Incessantemente si predicava, vole-re i Francesi fare una rivoluzione per impadronirsi dellesostanze dei popoli, e singolarmente del monte di pietà,dove erano grandissime ricchezze. Allegavano l'esempiodel monte di pietà di Milano depredato contro le leggidel giusto e dell'onesto. Il fatto era pur troppo vero, e laricordanza di lui produceva una rabbia incredibile inmezzo a quelle popolazioni già tanto concitate. Succe-devano in Verona stessa ad ogni momento minacce traFrancesi e Schiavoni, succedevano altercazioni frequen-ti tra Francesi e Veronesi, ed allora gli Schiavoni si al-lontanavano. Le nappe con l'impronta del Lione, inse-gna della repubblica di Venezia, davansi a chi ne brama-va. Godeva il provveditore nel vedere animi sì pronti, etante difese apprestate. Dava opera ad ordinarle; descri-veva i villani accorsi, raccomandava l'ordine e la quiete,comandava, non offendessero persona; solo stessero ar-mati, e pronti. Così l'agro Veronese suonava tuttoall'intorno d'armi contrarie, ed armi contrarie erano inatto d'affrontarsi dentro le mura stesse di Verona. Prepa-ravansi i magistrati a propulsare qualunque assalto, fattiaccorti dai fatti di Bergamo, Brescia, Crema, ed ancorpiù dalle novelle certe delle intenzioni di Buonaparte. Ilgenerale Balland surrogato a Kilmaine nel governo mili-tare di Verona, sollevato d'animo a tanti romori, scrivevaal provveditore, esortandolo a provvedere, che i disordi-ni cessassero. Rispondeva il Veneziano, che il farebbe,sempre anzi averlo fatto, ma toccava rimproverando imaneggi degl'insidiatori, mandati a posta per sommuo-

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vere le province.Era il dì diciasette aprile, secondo giorno di Pasqua delmillesettecentonovantasette, quando alle ore quattro me-ridiane scoppiava ad un tratto la terribil sollevazione Ve-ronese. Incominciava da insulti e da minori fatti dai sol-dati Veneziani e dai Veronesi armati, contro le guardieFrancesi sparse in vari luoghi della città. Il comandanteCarrere, veduto quanto il tempo fosse minaccioso, ri-stringeva i suoi sulla piazza d'armi, pronto a correredove bisogna fosse. In cotal guisa stava armato e raccol-to lo spazio di un'ora, quando Balland fece trarre, eranole cinque della sera, qual segno di guerra, cannonate daicastelli. A quel rimbombo si conduceva spacciatamenteCarrere con la sua schiera nel Castel-Vecchio, contro ilquale già combattevano i Veronesi dalle case vicine. Ilromore inaspettato delle artiglierìe Francesi diè cagionedi credere ai Veronesi già tanto infiammati, che fosse in-tenzione di Balland di trattare ostilmente Verona. Nès'ingannarono punto; perchè poco dopo traeva furiosa-mente contro il palazzo pubblico, che ne fu lacero eguasto in molte parti. Diroccarono al primo trarre le cre-ste del palazzo degli Scaligeri. Cambiavasi in un mo-mento l'aspetto della città; perchè vi sorgeva una rabbia,un gridare, un correre contro i Francesi da non potersiraccontare degnamente con parole. Un suonare di cam-pana a martello continuo e precipitoso accresceva terro-re alla cosa. Dei Francesi, coloro che si trovavano piùvicini ai castelli, massime al Castel-Vecchio, in loro si

vere le province.Era il dì diciasette aprile, secondo giorno di Pasqua delmillesettecentonovantasette, quando alle ore quattro me-ridiane scoppiava ad un tratto la terribil sollevazione Ve-ronese. Incominciava da insulti e da minori fatti dai sol-dati Veneziani e dai Veronesi armati, contro le guardieFrancesi sparse in vari luoghi della città. Il comandanteCarrere, veduto quanto il tempo fosse minaccioso, ri-stringeva i suoi sulla piazza d'armi, pronto a correredove bisogna fosse. In cotal guisa stava armato e raccol-to lo spazio di un'ora, quando Balland fece trarre, eranole cinque della sera, qual segno di guerra, cannonate daicastelli. A quel rimbombo si conduceva spacciatamenteCarrere con la sua schiera nel Castel-Vecchio, contro ilquale già combattevano i Veronesi dalle case vicine. Ilromore inaspettato delle artiglierìe Francesi diè cagionedi credere ai Veronesi già tanto infiammati, che fosse in-tenzione di Balland di trattare ostilmente Verona. Nès'ingannarono punto; perchè poco dopo traeva furiosa-mente contro il palazzo pubblico, che ne fu lacero eguasto in molte parti. Diroccarono al primo trarre le cre-ste del palazzo degli Scaligeri. Cambiavasi in un mo-mento l'aspetto della città; perchè vi sorgeva una rabbia,un gridare, un correre contro i Francesi da non potersiraccontare degnamente con parole. Un suonare di cam-pana a martello continuo e precipitoso accresceva terro-re alla cosa. Dei Francesi, coloro che si trovavano piùvicini ai castelli, massime al Castel-Vecchio, in loro si

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ricoveravano a tutta fretta: ma non fu senza pericolo,perchè rabbiosamente gli seguitava il popolo, che glivoleva ammazzare, e bersagliandogli dalle finestre conpalle, con sassi, con ogni sorte d'armi faceva loro il riti-rarsi difficile e mortale. Il furore aveva preso non sologli uomini ed i forti, ma ancora i vecchi, le donne, i fan-ciulli, ognuno volendo ricompensare con un sangueodiato le ingiurie ed i patimenti. Molti dei Francesi intal modo fuggenti restarono uccisi, plaudendo all'intornoil popolo inferocito. Chi non potè ripararsi a tempo neicastelli, cercava salvezza nei più segreti nascondigli del-le case; ma non però tutte, anzi poche erano loro sicure;perciocchè non pochi, rottasi dai padroni la ospitalità, virestarono miseramente uccisi. Alcuni furon gettati neipozzi, altri trafitti dai pugnali, altri risospinti fuori delleporte, perchè fossero segno alla rabbia popolare, che tut-tavia fra le grida orribili, fra il rimbombo delle artiglie-rìe dei castelli, fra i tocchi incessanti pel suonare a stor-mo andava crescendo. Molti amministratori dell'eserci-to, molte donne, molti fanciulli, molti ammalati erano inVerona, e questi furono, la maggior parte, condotti a mi-serabil morte da un popolo, che pagava con eccessivacrudeltà contro gl'innocenti le ingiurie, le ruberìe, lefraudi, i tradimenti usati da chi aveva contro di lui con-taminato il nome di Francia. Era spettacolo pieno dicompassione e di terrore il vedere malati languenti per-seguitati da sicarj sanguinosi, donne atterrite da donnefuribonde. Noi vedemmo un portico, tutto lurido e stil-lante ancora di sangue di Francesi ammaccati piuttosto

ricoveravano a tutta fretta: ma non fu senza pericolo,perchè rabbiosamente gli seguitava il popolo, che glivoleva ammazzare, e bersagliandogli dalle finestre conpalle, con sassi, con ogni sorte d'armi faceva loro il riti-rarsi difficile e mortale. Il furore aveva preso non sologli uomini ed i forti, ma ancora i vecchi, le donne, i fan-ciulli, ognuno volendo ricompensare con un sangueodiato le ingiurie ed i patimenti. Molti dei Francesi intal modo fuggenti restarono uccisi, plaudendo all'intornoil popolo inferocito. Chi non potè ripararsi a tempo neicastelli, cercava salvezza nei più segreti nascondigli del-le case; ma non però tutte, anzi poche erano loro sicure;perciocchè non pochi, rottasi dai padroni la ospitalità, virestarono miseramente uccisi. Alcuni furon gettati neipozzi, altri trafitti dai pugnali, altri risospinti fuori delleporte, perchè fossero segno alla rabbia popolare, che tut-tavia fra le grida orribili, fra il rimbombo delle artiglie-rìe dei castelli, fra i tocchi incessanti pel suonare a stor-mo andava crescendo. Molti amministratori dell'eserci-to, molte donne, molti fanciulli, molti ammalati erano inVerona, e questi furono, la maggior parte, condotti a mi-serabil morte da un popolo, che pagava con eccessivacrudeltà contro gl'innocenti le ingiurie, le ruberìe, lefraudi, i tradimenti usati da chi aveva contro di lui con-taminato il nome di Francia. Era spettacolo pieno dicompassione e di terrore il vedere malati languenti per-seguitati da sicarj sanguinosi, donne atterrite da donnefuribonde. Noi vedemmo un portico, tutto lurido e stil-lante ancora di sangue di Francesi ammaccati piuttosto

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che trafitti da un immenso furore; noi vedemmo spogliesanguinose tratte da pozzi e da fogne; noi vedemmo mi-serabili vestimenta serbate a gloria dai violenti trucida-tori. Ma la pressa, le minacce, la crudeltà, che il cieloserbi condegno castigo agli autori veri di tanto infinitabarbarie, erano intorno all'ospedal militare. Degli am-malati alcuni furono uccisi, parecchi malconci e spoglia-ti. Nè le preghiere, nè la debolezza, nè l'aspetto medesi-mo della morte già vicina in un ferocissimo morbo pote-vano piegare a misericordia questi uomini, nei qualinull'altra cosa d'uomo restava che il volto. Nè venivameno la crudeltà per la stanchezza, o per lo sfogo; cheanzi sangue chiamava sangue, e le forze, che mancanospesso al ben fare, non mancavano al mal fare. Se perassenza di vittime pareva un poco acquetarsi il furore,tosto si riaccendeva più fiero che prima, ove fosse sco-perto un Francese; e di nuovo si dava mano alle stragi.Non in meno pericolosa condizione si ritrovavano i pa-triotti o Veronesi, o forestieri: che anzi maggiore controdi loro si mostrava la rabbia del popolo, che con più di-ligenza gli cercava, e quanti potè aver nelle mani, tantiuccise. Ma i più si erano ricoverati nei castelli, altri con-ficcati nel nascondigli passarono fra la speranza ed il ti-more parecchi giorni. Ma non tutto fu barbarie in questolagrimevole accidente. Non pochi Veronesi, ed il conteNogarola medesimo, quantunque fosse uno dei capidegl'insorti, conservarono, nascondendogli, a moltiFrancesi la vita, atto tanto più degno di commendazionequanto nel salvare la vita altrui correvano pericolo della

che trafitti da un immenso furore; noi vedemmo spogliesanguinose tratte da pozzi e da fogne; noi vedemmo mi-serabili vestimenta serbate a gloria dai violenti trucida-tori. Ma la pressa, le minacce, la crudeltà, che il cieloserbi condegno castigo agli autori veri di tanto infinitabarbarie, erano intorno all'ospedal militare. Degli am-malati alcuni furono uccisi, parecchi malconci e spoglia-ti. Nè le preghiere, nè la debolezza, nè l'aspetto medesi-mo della morte già vicina in un ferocissimo morbo pote-vano piegare a misericordia questi uomini, nei qualinull'altra cosa d'uomo restava che il volto. Nè venivameno la crudeltà per la stanchezza, o per lo sfogo; cheanzi sangue chiamava sangue, e le forze, che mancanospesso al ben fare, non mancavano al mal fare. Se perassenza di vittime pareva un poco acquetarsi il furore,tosto si riaccendeva più fiero che prima, ove fosse sco-perto un Francese; e di nuovo si dava mano alle stragi.Non in meno pericolosa condizione si ritrovavano i pa-triotti o Veronesi, o forestieri: che anzi maggiore controdi loro si mostrava la rabbia del popolo, che con più di-ligenza gli cercava, e quanti potè aver nelle mani, tantiuccise. Ma i più si erano ricoverati nei castelli, altri con-ficcati nel nascondigli passarono fra la speranza ed il ti-more parecchi giorni. Ma non tutto fu barbarie in questolagrimevole accidente. Non pochi Veronesi, ed il conteNogarola medesimo, quantunque fosse uno dei capidegl'insorti, conservarono, nascondendogli, a moltiFrancesi la vita, atto tanto più degno di commendazionequanto nel salvare la vita altrui correvano pericolo della

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propria; perchè non è da dubitare, che se il popolo sifosse accorto della pietà usata, avrebbe condotto all'ulti-ma fine preservatori e preservati. Spargevasi intanto perle campagne il grido del caso di Verona: incominciavasia toccar lo stormo; i villici accorrevano a torme armatenella tormentata città; e se il vecchio furore già langui-va, l'accostamento del nuovo il rinfrescava. Le grida e lestragi rincominciavano, nè cessarono le uccisioni, senon quando non vi fu più uomo da uccidere. Mancata lamateria dello ammazzare, si veniva in sul saccheggiare.Già il ghetto, essendo gli ebrei, oltre l'antico rancore, ri-putati partigiani di Francia, andava a ruba: già i fonda-chi del pubblico pericolavano, e non fu poco, che i prov-veditori potessero impedire, che coloro, i quali sì feroce-mente combattevano per Venezia, le sostanze pubblichedi Venezia non rubassero. Tanto facilmente passano gliuomini infuriati dalle uccisioni ai latrocinj, dai latrocinjalle uccisioni. Correva il sangue per le case, correva perle contrade, i castelli tuonavano, gli Schiavoni infuria-vano: anzi uniti al popolo volevano dar l'assalto a queinidi, come dicevano, dove si erano confinati i tirannid'Italia. Il maggior pericolo era pel Castel-Vecchio: po-sto essendo vicino alla città, potevano i soldati ed il po-polo assaltarlo più facilmente; nè le sue difese eranoforti, poichè dava adito al castello un ponte chiuso sola-mente da un cancello di ferro, e la porta di debol legnoera anche priva di saracinesca.Il provveditor Giovanelli, in mezzo a tanta confusione e

propria; perchè non è da dubitare, che se il popolo sifosse accorto della pietà usata, avrebbe condotto all'ulti-ma fine preservatori e preservati. Spargevasi intanto perle campagne il grido del caso di Verona: incominciavasia toccar lo stormo; i villici accorrevano a torme armatenella tormentata città; e se il vecchio furore già langui-va, l'accostamento del nuovo il rinfrescava. Le grida e lestragi rincominciavano, nè cessarono le uccisioni, senon quando non vi fu più uomo da uccidere. Mancata lamateria dello ammazzare, si veniva in sul saccheggiare.Già il ghetto, essendo gli ebrei, oltre l'antico rancore, ri-putati partigiani di Francia, andava a ruba: già i fonda-chi del pubblico pericolavano, e non fu poco, che i prov-veditori potessero impedire, che coloro, i quali sì feroce-mente combattevano per Venezia, le sostanze pubblichedi Venezia non rubassero. Tanto facilmente passano gliuomini infuriati dalle uccisioni ai latrocinj, dai latrocinjalle uccisioni. Correva il sangue per le case, correva perle contrade, i castelli tuonavano, gli Schiavoni infuria-vano: anzi uniti al popolo volevano dar l'assalto a queinidi, come dicevano, dove si erano confinati i tirannid'Italia. Il maggior pericolo era pel Castel-Vecchio: po-sto essendo vicino alla città, potevano i soldati ed il po-polo assaltarlo più facilmente; nè le sue difese eranoforti, poichè dava adito al castello un ponte chiuso sola-mente da un cancello di ferro, e la porta di debol legnoera anche priva di saracinesca.Il provveditor Giovanelli, in mezzo a tanta confusione e

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tanti sdegni, avrebbe voluto, non far deporre le armi,perchè nè la tempera degli animi Veronesi, nè il trarrecontinuo dei castelli il permettevano, ma frenare la bar-barie, ed introdurre ordine e misura, là dov'era solamen-te confusione e trascorso. Tanto si adoperava in questolodevole pensiero, che per poco il popolo non l'avevaper sospetto, e si proponeva, posposta l'autorità di lui, divoler fare da se. Importava intanto l'impadronirsi, peraprir l'adito agli aiuti esterni, delle porte, che tuttavia sitrovavano in possessione dei Francesi. Il maggior presi-dio era in quella di San Zeno. Il conte Francesco degliEmilj, che alloggiava nella terra di Castel-Nuovo condue pezzi di cannone, seicento Schiavoni, duemilacin-quecento contadini, e fronteggiava un grosso corpo diFrancesi e d'Italiani, affinchè non corressero contro Ve-rona, udito il pericolo della sua patria, correva subita-mente in suo aiuto, e dopo un sanguinoso conflitto, fattoprigioniero il presidio, recava in sua potestà la porta diSan Zeno, entrando con tutti i suoi, il che dava nuovoanimo ai cittadini. Facevano lo stesso della porta Vesco-vo il capitano Caldogno, e di quella di San Giorgio ilconte Nogarola. Così gli abitatori del contado potevanoentrare liberamente a soccorrere Verona. Giunto il rin-forzo del conte degli Emilj, assalivano i Veronesi piùfortemente i castelli, massimamente il vecchio, e piùfortemente dentro di loro si difendevano i Francesi, certiessendo, che in tanta rabbia popolare, per cui già eranostati morti i non combattenti, da quella difesa non solodipendeva la possessione dei luoghi, ma ancora la salu-

tanti sdegni, avrebbe voluto, non far deporre le armi,perchè nè la tempera degli animi Veronesi, nè il trarrecontinuo dei castelli il permettevano, ma frenare la bar-barie, ed introdurre ordine e misura, là dov'era solamen-te confusione e trascorso. Tanto si adoperava in questolodevole pensiero, che per poco il popolo non l'avevaper sospetto, e si proponeva, posposta l'autorità di lui, divoler fare da se. Importava intanto l'impadronirsi, peraprir l'adito agli aiuti esterni, delle porte, che tuttavia sitrovavano in possessione dei Francesi. Il maggior presi-dio era in quella di San Zeno. Il conte Francesco degliEmilj, che alloggiava nella terra di Castel-Nuovo condue pezzi di cannone, seicento Schiavoni, duemilacin-quecento contadini, e fronteggiava un grosso corpo diFrancesi e d'Italiani, affinchè non corressero contro Ve-rona, udito il pericolo della sua patria, correva subita-mente in suo aiuto, e dopo un sanguinoso conflitto, fattoprigioniero il presidio, recava in sua potestà la porta diSan Zeno, entrando con tutti i suoi, il che dava nuovoanimo ai cittadini. Facevano lo stesso della porta Vesco-vo il capitano Caldogno, e di quella di San Giorgio ilconte Nogarola. Così gli abitatori del contado potevanoentrare liberamente a soccorrere Verona. Giunto il rin-forzo del conte degli Emilj, assalivano i Veronesi piùfortemente i castelli, massimamente il vecchio, e piùfortemente dentro di loro si difendevano i Francesi, certiessendo, che in tanta rabbia popolare, per cui già eranostati morti i non combattenti, da quella difesa non solodipendeva la possessione dei luoghi, ma ancora la salu-

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te, e la vita loro.Il maggior propugnacolo che avessero, era il castellomontano di San Felice. Per questo i Veronesi, principal-mente contadini, avevano fatto un grosso alloggiamentoa Pescantina, luogo opportuno per recarsi a battere quelcastello; che anzi più oltre procedendo, avevano pianta-to due cannoni in san Leonardo, donde, per essere il sitosopraeminente al castello, continuamente il fulminava-no. Dalla parte loro i Francesi uscivano frequentementea combattere fuori dei castelli. Seguivanne stragi, incen-dj e ruine. Ardeva parte della città, perchè da castel SanFelice, Balland fulminava, anche con palle roventi; ar-devano le vicine ville intorno, e la tanto florida un tem-po, ed ora infelice Verona, pareva avvicinarsi ad unestremo sterminio. Intanto i villici, che tanto più s'infie-rivano, quanto più largo sangue vedevano, non confi-dando intieramente nei rimedj, che potessero fare da semedesimi, avevano di volontà propria spedito corrieri algenerale Austriaco Laudon, che, come abbiam narrato,dopo le vittorie acquistate nel Tirolo, era sceso a metterea romore l'alto Bresciano, pregandolo, si calasse subita-mente in soccorso loro. Balland non ometteva di prov-veder all'avvenire, conoscendo di quanta importanzafosse all'esercito il conservare in potestà di Franciaquell'alloggiamento. Però aveva dato avviso a Chabranin Brescia, ed a Kilmaine in Mantova, pregandogli,mandassero sollecitamente gente soccorritrice al presi-dio pericolante. Victor medesimo era stato avvertito da

te, e la vita loro.Il maggior propugnacolo che avessero, era il castellomontano di San Felice. Per questo i Veronesi, principal-mente contadini, avevano fatto un grosso alloggiamentoa Pescantina, luogo opportuno per recarsi a battere quelcastello; che anzi più oltre procedendo, avevano pianta-to due cannoni in san Leonardo, donde, per essere il sitosopraeminente al castello, continuamente il fulminava-no. Dalla parte loro i Francesi uscivano frequentementea combattere fuori dei castelli. Seguivanne stragi, incen-dj e ruine. Ardeva parte della città, perchè da castel SanFelice, Balland fulminava, anche con palle roventi; ar-devano le vicine ville intorno, e la tanto florida un tem-po, ed ora infelice Verona, pareva avvicinarsi ad unestremo sterminio. Intanto i villici, che tanto più s'infie-rivano, quanto più largo sangue vedevano, non confi-dando intieramente nei rimedj, che potessero fare da semedesimi, avevano di volontà propria spedito corrieri algenerale Austriaco Laudon, che, come abbiam narrato,dopo le vittorie acquistate nel Tirolo, era sceso a metterea romore l'alto Bresciano, pregandolo, si calasse subita-mente in soccorso loro. Balland non ometteva di prov-veder all'avvenire, conoscendo di quanta importanzafosse all'esercito il conservare in potestà di Franciaquell'alloggiamento. Però aveva dato avviso a Chabranin Brescia, ed a Kilmaine in Mantova, pregandogli,mandassero sollecitamente gente soccorritrice al presi-dio pericolante. Victor medesimo era stato avvertito da

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Balland del pericolo. Anche da Bologna s'accostava unaschiera per istringere la città combattente. Giovanelli,considerato il nembo che da ogni parte gli veniva addos-so, quantunque Erizzo fosse per arrivare con un rinforzodi genti Schiavone, di armi e di munizioni, aveva apertouna pratica d'accordo con Balland, la quale però nonebbe effetto, perchè il generale di Francia richiedeva,per prima ed indispensabile condizione, che i villani de-ponessero le armi, si riaprissero le strade alle comunica-zioni dell'esercito, il presidio Veneziano alle poche gentidi prima si riducesse. Non erano alieni i magistrati dellarepubblica dall'accettar queste condizioni; ma le turbe dicampagna, tuttavia infiammate, non volevano a pattonessuno udire, che avessero a depor le armi: viemag-giormente s'infuriavano.Nè erano senza frutto le esortazioni degli uomini dichiesa, che rappresentavano, essere mescolata con lacausa dello stato la causa della religione. Rammentasse-ro, dicevano, l'oppressione di Roma, gli scherni di Mila-no, le abbominazioni di Parigi: osservassero con gli oc-chi loro medesimi i preti fuorusciti di Francia, ridottiesuli e poveri da gente incredula e sfrenata, per non avervoluto contaminare con ispergiuri e con bestemmie lafede loro: questa medesima sfrenata ed orribil gente vo-lere adesso fondar l'imperio loro nell'incorrotta Italia:per questo ingannare gli spiriti, per questo pervertire icuori, per questo subornare i magistrati, per questo tra-dire i governi, per questo finalmente avere testè concul-

Balland del pericolo. Anche da Bologna s'accostava unaschiera per istringere la città combattente. Giovanelli,considerato il nembo che da ogni parte gli veniva addos-so, quantunque Erizzo fosse per arrivare con un rinforzodi genti Schiavone, di armi e di munizioni, aveva apertouna pratica d'accordo con Balland, la quale però nonebbe effetto, perchè il generale di Francia richiedeva,per prima ed indispensabile condizione, che i villani de-ponessero le armi, si riaprissero le strade alle comunica-zioni dell'esercito, il presidio Veneziano alle poche gentidi prima si riducesse. Non erano alieni i magistrati dellarepubblica dall'accettar queste condizioni; ma le turbe dicampagna, tuttavia infiammate, non volevano a pattonessuno udire, che avessero a depor le armi: viemag-giormente s'infuriavano.Nè erano senza frutto le esortazioni degli uomini dichiesa, che rappresentavano, essere mescolata con lacausa dello stato la causa della religione. Rammentasse-ro, dicevano, l'oppressione di Roma, gli scherni di Mila-no, le abbominazioni di Parigi: osservassero con gli oc-chi loro medesimi i preti fuorusciti di Francia, ridottiesuli e poveri da gente incredula e sfrenata, per non avervoluto contaminare con ispergiuri e con bestemmie lafede loro: questa medesima sfrenata ed orribil gente vo-lere adesso fondar l'imperio loro nell'incorrotta Italia:per questo ingannare gli spiriti, per questo pervertire icuori, per questo subornare i magistrati, per questo tra-dire i governi, per questo finalmente avere testè concul-

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cato la dignità della sedia apostolica, primo splendored'Italia, e principalissimo fondamento della religione:guardassero qual fosse il seguito dell'irreligiosa gente;uomini malvagi aiutarla con gli spìamenti, con le parole,con le armi, con le aderenze; uomini tutti nemici alla re-ligione, perchè senza fede; nemici alle buone costuman-ze, perchè senza buoni costumi; nemici ai governi prov-vidi, perchè impazienti di ogni freno, che gli rattenganelle male passioni loro. Perciò, sclamavano, difendes-sero fino coll'ultimo sangue, ove d'uopo fosse, la reli-gione protettrice degli oppressi, i governi protettori dellareligione, ed aspettassero per opera sì pia la gloria delmondo caduco, i premj del mondo sempiterno.Generavano questi discorsi effetti incredibili; il furorediveniva zelo, che altro non è che un furore meno fuga-ce. Stupivano massimamente, e s'infiammavano le gentiad uno spettacolo maraviglioso, che sorse in mezzo aquella tanto avviluppata tempesta, e questo fu di un fratecappuccino, che predicava ogni giorno sulla piazza,stando attentissimo il popolo affollato ad ascoltarlo.Non desumeva questo frate i suoi argomenti da motividi religione, ma piuttosto da quanto havvi nella naziona-le indipendenza di più dolce, di più nobile, di più gene-roso; e sebbene le sue parole fossero principalmente di-rette contro i Francesi, erano non ostante generali, echiamando, secondo l'uso antico, barbari tutti i forestie-ri, predicava contro di loro guerra, cacciamento e morte.Preso per testo l'antico adagio, “patientia laesa fit fu-

cato la dignità della sedia apostolica, primo splendored'Italia, e principalissimo fondamento della religione:guardassero qual fosse il seguito dell'irreligiosa gente;uomini malvagi aiutarla con gli spìamenti, con le parole,con le armi, con le aderenze; uomini tutti nemici alla re-ligione, perchè senza fede; nemici alle buone costuman-ze, perchè senza buoni costumi; nemici ai governi prov-vidi, perchè impazienti di ogni freno, che gli rattenganelle male passioni loro. Perciò, sclamavano, difendes-sero fino coll'ultimo sangue, ove d'uopo fosse, la reli-gione protettrice degli oppressi, i governi protettori dellareligione, ed aspettassero per opera sì pia la gloria delmondo caduco, i premj del mondo sempiterno.Generavano questi discorsi effetti incredibili; il furorediveniva zelo, che altro non è che un furore meno fuga-ce. Stupivano massimamente, e s'infiammavano le gentiad uno spettacolo maraviglioso, che sorse in mezzo aquella tanto avviluppata tempesta, e questo fu di un fratecappuccino, che predicava ogni giorno sulla piazza,stando attentissimo il popolo affollato ad ascoltarlo.Non desumeva questo frate i suoi argomenti da motividi religione, ma piuttosto da quanto havvi nella naziona-le indipendenza di più dolce, di più nobile, di più gene-roso; e sebbene le sue parole fossero principalmente di-rette contro i Francesi, erano non ostante generali, echiamando, secondo l'uso antico, barbari tutti i forestie-ri, predicava contro di loro guerra, cacciamento e morte.Preso per testo l'antico adagio, “patientia laesa fit fu-

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ror”:«Italiani, diceva egli, di qualunque paese, di qua-lunque condizione, di qualunque sesso voi siate,impugnate le armi: esse son pur quelle dei Scipio-ni, dei Fabj, dei Camilli; esse son pur quelle degliSforza, degli Alviani, dei Castrucci: Italiani, im-pugnate le armi, impugnate le armi, e non le de-ponete, finchè questi barbari, di qualunque favellaessi siano, non siano cacciati dalle dolci terre Ita-liane. Vedete lo strazio, che fanno di voi? Vedeteche il danno a lor non basta? Vedete, che non soncontenti, se non aggiungono lo scherno? I ruba-menti non saziano questa gente avara; questa gen-te superba vuole gl'improperj, ed il vilipendio.Sonvi le querele imputate a delitto; evvi il silen-zio imputato a congiura: o che serviate, o che nonserviate, vi apprestano gl'insulti, o le mannaie,perchè il servire chiamano viltà, il resistere ribel-lione. Vi accusano di armi nascoste; vi chiamanogente traditrice, come se non fosse maggior viltàal più forte l'usare i fucili ed i cannoni contro ideboli, che ai deboli l'usare contro il più forte glistili e le coltella! Adunque poichè di stili e di col-tella vi accagionano, e poichè un risguardo diDio, protettore degli oppressi, e l'insopportabilesuperbia loro vi hanno ora posto i fucili ed i can-noni in mano, usategli, usategli, e pruovate, cheanche gl'Italiani petti sono forti contro i rimbom-bi, e le guerriere tempeste. Credete voi, che sianocostoro invulnerabili? Credete voi, che siano più

ror”:«Italiani, diceva egli, di qualunque paese, di qua-lunque condizione, di qualunque sesso voi siate,impugnate le armi: esse son pur quelle dei Scipio-ni, dei Fabj, dei Camilli; esse son pur quelle degliSforza, degli Alviani, dei Castrucci: Italiani, im-pugnate le armi, impugnate le armi, e non le de-ponete, finchè questi barbari, di qualunque favellaessi siano, non siano cacciati dalle dolci terre Ita-liane. Vedete lo strazio, che fanno di voi? Vedeteche il danno a lor non basta? Vedete, che non soncontenti, se non aggiungono lo scherno? I ruba-menti non saziano questa gente avara; questa gen-te superba vuole gl'improperj, ed il vilipendio.Sonvi le querele imputate a delitto; evvi il silen-zio imputato a congiura: o che serviate, o che nonserviate, vi apprestano gl'insulti, o le mannaie,perchè il servire chiamano viltà, il resistere ribel-lione. Vi accusano di armi nascoste; vi chiamanogente traditrice, come se non fosse maggior viltàal più forte l'usare i fucili ed i cannoni contro ideboli, che ai deboli l'usare contro il più forte glistili e le coltella! Adunque poichè di stili e di col-tella vi accagionano, e poichè un risguardo diDio, protettore degli oppressi, e l'insopportabilesuperbia loro vi hanno ora posto i fucili ed i can-noni in mano, usategli, usategli, e pruovate, cheanche gl'Italiani petti sono forti contro i rimbom-bi, e le guerriere tempeste. Credete voi, che sianocostoro invulnerabili? Credete voi, che siano più

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valorosi di voi? Per Dio, no, non abbiate sì falsopensiero: i valorosi non son perfidi, ed opera diperfidia sono i fatti recenti. Non sotto spezie diamicizia fu invasa Genova, insidiata Cavi, con-culcato Livorno? Non sotto spezie di amicizia fu-rono da lor prese le Veneziane fortezze? Non daloro si sommovono i popoli contro i governi, nonda loro si usano i governi per tiranneggiare i po-poli? Ma che parlo? Ricordatevi di Brescia, diBergamo e di Crema fatte ribelli al loro signoredai tradimenti di costoro. Non avete voi testè lettoi manifesti nimichevoli contro di voi mandati daquel Landrieux, primario insidiatore, sotto coloredi amicizia, di quelle misere città? Non vedetevoi qui il pubblicato scritto di un Lahoz, pagatoda loro, perchè con mani Italiane versi sangue Ita-liano? Non vi muoveste pure or ora a sdegno nelleggere il manifesto inventato da loro, ed appostoal Battaglia, a quel Battaglia, che, Dio voglia, siatanto puro, quanto la causa è santa? Vero, disse ilmanifesto, e nessuno il sa meglio che chi lo scris -se; ma vera ancora è l'infame fraude, non a libera-re gli oppressi diretta, ma a dar cagione agli op-pressori di tradire gli oppressi; caso veramentescelerato di sommuovere prima i popoli, poi ditradirgli per dargli in mano ad insolite tirannidi.Non ebbimo noi qui nell'innocente Verona i scele-rati subornatori venuti per prezzo da Lonato, daDesenzano, da Brescia? Non abbiamo noi qui ca-pitani vili, mandati espressamente da Buonapartesotto pretesto di reggerla, a contaminar Verona?

valorosi di voi? Per Dio, no, non abbiate sì falsopensiero: i valorosi non son perfidi, ed opera diperfidia sono i fatti recenti. Non sotto spezie diamicizia fu invasa Genova, insidiata Cavi, con-culcato Livorno? Non sotto spezie di amicizia fu-rono da lor prese le Veneziane fortezze? Non daloro si sommovono i popoli contro i governi, nonda loro si usano i governi per tiranneggiare i po-poli? Ma che parlo? Ricordatevi di Brescia, diBergamo e di Crema fatte ribelli al loro signoredai tradimenti di costoro. Non avete voi testè lettoi manifesti nimichevoli contro di voi mandati daquel Landrieux, primario insidiatore, sotto coloredi amicizia, di quelle misere città? Non vedetevoi qui il pubblicato scritto di un Lahoz, pagatoda loro, perchè con mani Italiane versi sangue Ita-liano? Non vi muoveste pure or ora a sdegno nelleggere il manifesto inventato da loro, ed appostoal Battaglia, a quel Battaglia, che, Dio voglia, siatanto puro, quanto la causa è santa? Vero, disse ilmanifesto, e nessuno il sa meglio che chi lo scris -se; ma vera ancora è l'infame fraude, non a libera-re gli oppressi diretta, ma a dar cagione agli op-pressori di tradire gli oppressi; caso veramentescelerato di sommuovere prima i popoli, poi ditradirgli per dargli in mano ad insolite tirannidi.Non ebbimo noi qui nell'innocente Verona i scele-rati subornatori venuti per prezzo da Lonato, daDesenzano, da Brescia? Non abbiamo noi qui ca-pitani vili, mandati espressamente da Buonapartesotto pretesto di reggerla, a contaminar Verona?

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Non è Buonaparte stesso, non solo nido, ma covod'infami fraudi? Vincitore insolente in palese, in-sidiatore scelerato in segreto? Sono questi i valo-rosi, che abbiano a farvi tremare? Tolga Dio que-sta credenza, che il valore è virtù, e la perfidia fa,non soldati valorosi, ma satelliti codardi. Fumanoal cospetto vostro le campagne poc'anzi liete e di-lettose della Brenta, ed ora consumate, ed arse daibarbari. Sono bruttati i tempii, sono spogliate lecase, è ogni opera dell'Italiano ingegno, utile omagnifica, fatta preda di soldatesche sfrenate.Adunque pei barbari travagliarono i Raffaelli, iTiziani, i Paoli? Adunque i Petrarca, gli Ariosti, iTassi scrissero, perchè i testi loro gissero in manodi coloro, che non gl'intendono? Adunque diè ilpovero l'obolo suo alla Casa santa di Loreto, per-chè uomini già fatti ricchi da tanti rubamenti lorapissero, ed in prezzo di meretrici, in prezzo dicorruzione contro gl'Italiani stessi il convertisse-ro? Adunque portò il povero per incorrotta fedenei monti di pietà il risparmiato frutto di tante ve-glie, perchè fosse involato da chi non veglia, chenei bagordi, nei giuochi, nelle fraudi? Ov'è l'Italiaadesso? Il suo fiore è perduto. Dove i costumi?Contaminati da fogge forestiere. Dove le armi?Tradite pria, poscia disperse, o serve. Dove la lin-gua? Lordata da parlari strani. Dove l'arte delloscrivere, già sì famosa al mondo, e maestra ditanti? O tace, o adula, o imita. Scrittoruzzi da in-segne, scrittoruzzi da giornali, scrittoruzzi da li-bercoletti son venuti ad insegnarci lo scrivere, ed

Non è Buonaparte stesso, non solo nido, ma covod'infami fraudi? Vincitore insolente in palese, in-sidiatore scelerato in segreto? Sono questi i valo-rosi, che abbiano a farvi tremare? Tolga Dio que-sta credenza, che il valore è virtù, e la perfidia fa,non soldati valorosi, ma satelliti codardi. Fumanoal cospetto vostro le campagne poc'anzi liete e di-lettose della Brenta, ed ora consumate, ed arse daibarbari. Sono bruttati i tempii, sono spogliate lecase, è ogni opera dell'Italiano ingegno, utile omagnifica, fatta preda di soldatesche sfrenate.Adunque pei barbari travagliarono i Raffaelli, iTiziani, i Paoli? Adunque i Petrarca, gli Ariosti, iTassi scrissero, perchè i testi loro gissero in manodi coloro, che non gl'intendono? Adunque diè ilpovero l'obolo suo alla Casa santa di Loreto, per-chè uomini già fatti ricchi da tanti rubamenti lorapissero, ed in prezzo di meretrici, in prezzo dicorruzione contro gl'Italiani stessi il convertisse-ro? Adunque portò il povero per incorrotta fedenei monti di pietà il risparmiato frutto di tante ve-glie, perchè fosse involato da chi non veglia, chenei bagordi, nei giuochi, nelle fraudi? Ov'è l'Italiaadesso? Il suo fiore è perduto. Dove i costumi?Contaminati da fogge forestiere. Dove le armi?Tradite pria, poscia disperse, o serve. Dove la lin-gua? Lordata da parlari strani. Dove l'arte delloscrivere, già sì famosa al mondo, e maestra ditanti? O tace, o adula, o imita. Scrittoruzzi da in-segne, scrittoruzzi da giornali, scrittoruzzi da li-bercoletti son venuti ad insegnarci lo scrivere, ed

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il pensare! Oh, vergogna nostra sempiterna, secon l'armi non vendichiamo il perduto pregiodell'ingegno! Piangono le Pavesi madri, piangonole Veronesi madri i figli uccisi nelle battaglie con-tro i tiranni; piangono le Italiane madri le figlie,prima ingannate, poscia abbandonate dai vili se-duttori, e si querelano indarno del contaminatoonore. E voi ve ne starete? E voi non brandirete learmi? E voi non spenderete l'ultimo fiato per ven-dicare, per liberare Italia da tanto strazio! La vit-toria vostra è vittoria comune, perchè a tutti puz-za questo barbaro dominio, ed il primo messo ap-portatore delle Veronesi battaglie farà muovere aredenzione tutti i popoli. Sdegnata è Germaniadell'oscurato valor militare, sdegnata Genova del-la perduta indipendenza, sdegnata Roma dell'offe-sa religione, sdegnata Toscana dell'oltraggiataamicizia, sdegnata Napoli dell'esser fatta stro-mento alla servitù d'Italia. Tutti aspettano un va-lor primo, tutti domandano una rizzata insegna;tutti agognan sorgere in aiuto della generosa Ve-rona. La mole intera dell'Italica libertà nelle manivostre sta: perchè molti combatteran contro po-chi, virtuosi contro viziosi, oppressi contro op-pressori, nè mai vano riesce l'ardor della libertà.Vinti i Francesi, qual altro barbaro s'ardiràd'affrontare la vincitrice Italia? Tutti saran caccia-ti; il sole Italiano non splenderà più che su frontiItaliane, l'aria non udirà più le ispide favelle; isolchi di questa terra, tanto ferace madre, nonprodurran più per altri, che per noi i dolci frutti

il pensare! Oh, vergogna nostra sempiterna, secon l'armi non vendichiamo il perduto pregiodell'ingegno! Piangono le Pavesi madri, piangonole Veronesi madri i figli uccisi nelle battaglie con-tro i tiranni; piangono le Italiane madri le figlie,prima ingannate, poscia abbandonate dai vili se-duttori, e si querelano indarno del contaminatoonore. E voi ve ne starete? E voi non brandirete learmi? E voi non spenderete l'ultimo fiato per ven-dicare, per liberare Italia da tanto strazio! La vit-toria vostra è vittoria comune, perchè a tutti puz-za questo barbaro dominio, ed il primo messo ap-portatore delle Veronesi battaglie farà muovere aredenzione tutti i popoli. Sdegnata è Germaniadell'oscurato valor militare, sdegnata Genova del-la perduta indipendenza, sdegnata Roma dell'offe-sa religione, sdegnata Toscana dell'oltraggiataamicizia, sdegnata Napoli dell'esser fatta stro-mento alla servitù d'Italia. Tutti aspettano un va-lor primo, tutti domandano una rizzata insegna;tutti agognan sorgere in aiuto della generosa Ve-rona. La mole intera dell'Italica libertà nelle manivostre sta: perchè molti combatteran contro po-chi, virtuosi contro viziosi, oppressi contro op-pressori, nè mai vano riesce l'ardor della libertà.Vinti i Francesi, qual altro barbaro s'ardiràd'affrontare la vincitrice Italia? Tutti saran caccia-ti; il sole Italiano non splenderà più che su frontiItaliane, l'aria non udirà più le ispide favelle; isolchi di questa terra, tanto ferace madre, nonprodurran più per altri, che per noi i dolci frutti

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loro; le spose intatte non daran più al mondo cheforti, che sinceri, che liberi Italiani. Fu già Vene-zia ricovero ai liberi Italiani contro l'inondazioned'antichi barbari; fia Venezia nuova occasione ailiberi Italiani di cacciare i barbari moderni. Il va-lore libererà l'Italia, l'unione preserveralla, e giàmi s'appresentano alla rallegrata mente nuovi se-coli per quest'antica madre del mondo. Ma io viveggio rossi di sangue! questo è sangue di barba-ri. Deh, fate voi, che sia seme di libertà. Ite, cor -rete, uccidete quest'uomini truculenti: il sangueloro fia segno della salute nostra, nè mai senzasangue s'acquista la libertà. Ha il sommo Iddio,quando ordinò l'universo, voluto, o che i tiranniversassero il sangue degli oppressi, o che la liber -tà versasse il sangue degli oppressori. Ite, e sce-gliete tra le mannaie e gli sparsi fiori, tra la vita ela morte, tra la gloria, e l'ignominia, tra l'indipen-denza e la servitù, tra la libertà e la tirannide. Ilprincipe vostro, il cielo propizio, sorti fortunate,l'amore, il furore, le donne, i padri, i figli, l'inco-minciate battaglie, queste prime vittorie vi chia-mano ad un'alta e non più udita impresa; e poichèla rotta pazienza vi fe' correre all'armi, fate chel'armi non siano impugnate indarno».

Queste parole dette, e replicate più volte, destavano ne-gli animi già tanto concitati degli ascoltanti uno sdegnoincredibile. Provocavansi gli uni gli altri; già i castellistessi parevano debole ritegno al loro furore. Mentre

loro; le spose intatte non daran più al mondo cheforti, che sinceri, che liberi Italiani. Fu già Vene-zia ricovero ai liberi Italiani contro l'inondazioned'antichi barbari; fia Venezia nuova occasione ailiberi Italiani di cacciare i barbari moderni. Il va-lore libererà l'Italia, l'unione preserveralla, e giàmi s'appresentano alla rallegrata mente nuovi se-coli per quest'antica madre del mondo. Ma io viveggio rossi di sangue! questo è sangue di barba-ri. Deh, fate voi, che sia seme di libertà. Ite, cor -rete, uccidete quest'uomini truculenti: il sangueloro fia segno della salute nostra, nè mai senzasangue s'acquista la libertà. Ha il sommo Iddio,quando ordinò l'universo, voluto, o che i tiranniversassero il sangue degli oppressi, o che la liber -tà versasse il sangue degli oppressori. Ite, e sce-gliete tra le mannaie e gli sparsi fiori, tra la vita ela morte, tra la gloria, e l'ignominia, tra l'indipen-denza e la servitù, tra la libertà e la tirannide. Ilprincipe vostro, il cielo propizio, sorti fortunate,l'amore, il furore, le donne, i padri, i figli, l'inco-minciate battaglie, queste prime vittorie vi chia-mano ad un'alta e non più udita impresa; e poichèla rotta pazienza vi fe' correre all'armi, fate chel'armi non siano impugnate indarno».

Queste parole dette, e replicate più volte, destavano ne-gli animi già tanto concitati degli ascoltanti uno sdegnoincredibile. Provocavansi gli uni gli altri; già i castellistessi parevano debole ritegno al loro furore. Mentre

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tanto disperatamente si combatteva in Verona, succede-va in Venezia un caso pieno d'insolenza ad un tempo, edi crudele risentimento, e che se non fu espressamenteordinato da Buonaparte, come da alcuni fu scritto, servìperò molto mirabilmente a' suoi disegni contro l'inno-cente repubblica. Aveva il senato comandato, seguendoun antichissimo instituto, ed a cagione dei romori pre-senti, che nissuna nave forestiera, che fosse armata, po-tesse entrare nell'estuario; il quale divieto era stato si-gnificato a tutti i ministri delle potenze estere residentiin Venezia, ed il Francese ne aveva, come tutti gli altri,avuto notizia. Eranvisi uniformati gl'Inglesi stessi, pa-rendo a tutti giusta e conveniente cosa, come era vera-mente, che non si dovesse turbare con la presenza diarmi forestiere la sede del governo. Ma ecco la sera deiventi aprile, avvicinarsi al Lido di san Niccolò un legnoarmato in forma di corsaro con intenzione evidente dientrar nel porto. Si scoverse legno Francese condottodal capitano Laugier. Domenico Pizzamano, deputatoalla custodia del Lido, gli mandava significando il divie-to del senato, e lo esortava a non rompere una legge so-vrana, alla quale l'Inghilterra medesima aveva obbedito.Il capitano o per insolenza propria, o per comandamentoaltrui, non curando le esortazioni del Pizzamano, e se-guitando il suo cammino, sforzava la bocca del porto, evi poneva l'ancora con violazione manifesta di una leggeVeneziana in Venezia. Mentre passava per la bocca,traeva di nove colpi di cannone, i Veneziani narrano, peringaggiar battaglia, il che non è nè vero, nè verisimile,

tanto disperatamente si combatteva in Verona, succede-va in Venezia un caso pieno d'insolenza ad un tempo, edi crudele risentimento, e che se non fu espressamenteordinato da Buonaparte, come da alcuni fu scritto, servìperò molto mirabilmente a' suoi disegni contro l'inno-cente repubblica. Aveva il senato comandato, seguendoun antichissimo instituto, ed a cagione dei romori pre-senti, che nissuna nave forestiera, che fosse armata, po-tesse entrare nell'estuario; il quale divieto era stato si-gnificato a tutti i ministri delle potenze estere residentiin Venezia, ed il Francese ne aveva, come tutti gli altri,avuto notizia. Eranvisi uniformati gl'Inglesi stessi, pa-rendo a tutti giusta e conveniente cosa, come era vera-mente, che non si dovesse turbare con la presenza diarmi forestiere la sede del governo. Ma ecco la sera deiventi aprile, avvicinarsi al Lido di san Niccolò un legnoarmato in forma di corsaro con intenzione evidente dientrar nel porto. Si scoverse legno Francese condottodal capitano Laugier. Domenico Pizzamano, deputatoalla custodia del Lido, gli mandava significando il divie-to del senato, e lo esortava a non rompere una legge so-vrana, alla quale l'Inghilterra medesima aveva obbedito.Il capitano o per insolenza propria, o per comandamentoaltrui, non curando le esortazioni del Pizzamano, e se-guitando il suo cammino, sforzava la bocca del porto, evi poneva l'ancora con violazione manifesta di una leggeVeneziana in Venezia. Mentre passava per la bocca,traeva di nove colpi di cannone, i Veneziani narrano, peringaggiar battaglia, il che non è nè vero, nè verisimile,

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ma bensì per salutare, secondo gli usi di mare, la ban-diera Veneziana, pensiero veramente strano del volerecon pubblica dimostrazione rendere onore ad una poten-za nel momento stesso, in cui sotto gli occhi del suoprincipe la sua sovranità si oltraggiava, ed una sua prin-cipalissima legge apertamente si violava. Il tiro dei can-noni Francesi, giunto alla violenta entrata nel porto, dièmotivo di credere al comandante Veneziano, che si co-vasse qualche macchinazione o dentro o fuori. Perloc-chè, allestiti ancor esso i suoi cannoni, traeva, rendendofuoco per fuoco, contro il legno Francese. Insino a que-sto punto il torto essere stato dal canto del capitanoFrancese sarà confessato da tutti, eccettuato da quelliche credono, che i forestieri debbono esser padroni incasa altrui; e se i Veneziani fossero stati contentiall'arrestar il legno, e ad obbligarlo, senza fargli altrodanno, ad uscir dal porto, nissun diritto uomo è, cred'io,che non fosse per istimare la condotta loro, non solo nonbiasimevole, ma ancora lodevole e necessaria. Ma lecose non si rimasero a queste prime dimostrazioni, nèpoteva essere, ch'elleno più oltre non procedessero a ca-gione degl'incredibili sdegni, che allora passavano trauna nazione e l'altra; imperciocchè trovatosi Laugier tralegni di Schiavoni, gente avversa al nome di Francia, edevota a Venezia, giunto il trarre nimichevole tra il le-gno ed il forte Sant'Andrea, assaltavano con grandissimaforza, e con arma bianca la nave del capitano Francese,nella quale sfogando troppo più che all'umanità si con-verrebbe, l'odio loro, commettevano atti di un'estrema

ma bensì per salutare, secondo gli usi di mare, la ban-diera Veneziana, pensiero veramente strano del volerecon pubblica dimostrazione rendere onore ad una poten-za nel momento stesso, in cui sotto gli occhi del suoprincipe la sua sovranità si oltraggiava, ed una sua prin-cipalissima legge apertamente si violava. Il tiro dei can-noni Francesi, giunto alla violenta entrata nel porto, dièmotivo di credere al comandante Veneziano, che si co-vasse qualche macchinazione o dentro o fuori. Perloc-chè, allestiti ancor esso i suoi cannoni, traeva, rendendofuoco per fuoco, contro il legno Francese. Insino a que-sto punto il torto essere stato dal canto del capitanoFrancese sarà confessato da tutti, eccettuato da quelliche credono, che i forestieri debbono esser padroni incasa altrui; e se i Veneziani fossero stati contentiall'arrestar il legno, e ad obbligarlo, senza fargli altrodanno, ad uscir dal porto, nissun diritto uomo è, cred'io,che non fosse per istimare la condotta loro, non solo nonbiasimevole, ma ancora lodevole e necessaria. Ma lecose non si rimasero a queste prime dimostrazioni, nèpoteva essere, ch'elleno più oltre non procedessero a ca-gione degl'incredibili sdegni, che allora passavano trauna nazione e l'altra; imperciocchè trovatosi Laugier tralegni di Schiavoni, gente avversa al nome di Francia, edevota a Venezia, giunto il trarre nimichevole tra il le-gno ed il forte Sant'Andrea, assaltavano con grandissimaforza, e con arma bianca la nave del capitano Francese,nella quale sfogando troppo più che all'umanità si con-verrebbe, l'odio loro, commettevano atti di un'estrema

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ferocia. Morirono in questa sanguinosa avvisaglia cin-que Francesi, fra i quali il capitano medesimo. Otto re-starono feriti; che anzi, se gli uffiziali degli Schiavoninon avessero frenato il furore dei soldati loro, i marinaridel legno sarebbero stati fino all'estremo uccisi. Il legnodivenne preda degli assalitori. Lodava il senato con pub-blico decreto Pizzamano, e gli uffiziali; largiva di un ca-posoldo i gregari; mandava un sunto del fatto ai legatiDonato, e Giustiniani, acciocchè il rappresentassero aBuonaparte, temendo, non senza cagione, che da altri glifosse annunziato con esagerati rapportamenti. Il mini-stro di Francia, mostrandosi sdegnato, ricercava il sena-to, che carcerasse Pizzamano, arrestasse i complici, re-stituisse gli arnesi, risarcisse il legno. Restituissi, risar-cissi; delle carcerazioni si soprassedè sino alla rispostadi Buonaparte.Terrore era in Venezia, e terrore in Verona. Le cose inquest'ultima si avvicinavano da un funesto mezzo aduna funesta conclusione. Combattevano tuttavìa i Vero-nesi col medesimo ardore; ma appunto perchèquest'ardore era estremo, si doveva temere, che non tar-dasse a raffreddarsi. Già i Francesi ingrossavano tuttoall'intorno. S'accostava Kilmaine venuto da Mantova,Chabran compariva sotto le mura verso la porta di SanZeno, le prime squadre di Victor arrivavano in luogo,donde presto potevano cooperare alla vittoria. La treguadi Judenburgo toglieva ogni speranza di Laudon. Si ri-solvevano adunque i provveditori a venire a parlamento,

ferocia. Morirono in questa sanguinosa avvisaglia cin-que Francesi, fra i quali il capitano medesimo. Otto re-starono feriti; che anzi, se gli uffiziali degli Schiavoninon avessero frenato il furore dei soldati loro, i marinaridel legno sarebbero stati fino all'estremo uccisi. Il legnodivenne preda degli assalitori. Lodava il senato con pub-blico decreto Pizzamano, e gli uffiziali; largiva di un ca-posoldo i gregari; mandava un sunto del fatto ai legatiDonato, e Giustiniani, acciocchè il rappresentassero aBuonaparte, temendo, non senza cagione, che da altri glifosse annunziato con esagerati rapportamenti. Il mini-stro di Francia, mostrandosi sdegnato, ricercava il sena-to, che carcerasse Pizzamano, arrestasse i complici, re-stituisse gli arnesi, risarcisse il legno. Restituissi, risar-cissi; delle carcerazioni si soprassedè sino alla rispostadi Buonaparte.Terrore era in Venezia, e terrore in Verona. Le cose inquest'ultima si avvicinavano da un funesto mezzo aduna funesta conclusione. Combattevano tuttavìa i Vero-nesi col medesimo ardore; ma appunto perchèquest'ardore era estremo, si doveva temere, che non tar-dasse a raffreddarsi. Già i Francesi ingrossavano tuttoall'intorno. S'accostava Kilmaine venuto da Mantova,Chabran compariva sotto le mura verso la porta di SanZeno, le prime squadre di Victor arrivavano in luogo,donde presto potevano cooperare alla vittoria. La treguadi Judenburgo toglieva ogni speranza di Laudon. Si ri-solvevano adunque i provveditori a venire a parlamento,

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prima con Balland per mezzo del colonnello Beaupoil:ma la pratica non ebbe perfezione, perchè il popolo nonvolle udire che avesse a depor le armi, e non fosseroesclusi i Francesi dai castelli; poi con Chabran, col qua-le andava ad abboccarsi fuori della porta San Zeno ilprovveditore Giovanelli. Erano col primo il generaleChevalier, e Landrieux, col secondo il conte degli Emilj,il conte Giusti, ed un Merighi, personaggio molto amatodai San Zenati. Pervenivano intanto le novelle, cheLahoz con una banda di due mila soldati tra Italiani ePolacchi al soldo della repubblica Cisalpina, aveva traPeschiera e Verona conseguito una vittoria contro leleve campagnuole di quel distretto.Fu l'abboccamento pieno di risentimento da ambe leparti. Rimproverava Chabran a Giovanelli i villani ar-mati per disegno espresso del governo Veneto contro iFrancesi, quando stavano a fronte di un nemico potente;che per questo era stato costretto Buonaparte a fare latregua, che i Veneziani se ne pentirebbero. AggiungevaLandrieux, e qui lascio che il lettore pensi da se, che irei disegni del senato contro i Francesi erano pruovatidal manifesto di Battaglia. Rispondeva Giovanelli alle-gando l'amicizia de' Veneziani dimostrata a tante pruo-ve; solo essersi armati i sudditi per amore verso il prin-cipe, e per opporsi ai ribelli apertamente incitati, e pro-tetti dai Francesi; l'intervenzione dei Francesi in tuttiquesti moti viemaggiormente dimostrarsi da ciò, che iturbatori della pace pubblica si ricoveravano in casa del

prima con Balland per mezzo del colonnello Beaupoil:ma la pratica non ebbe perfezione, perchè il popolo nonvolle udire che avesse a depor le armi, e non fosseroesclusi i Francesi dai castelli; poi con Chabran, col qua-le andava ad abboccarsi fuori della porta San Zeno ilprovveditore Giovanelli. Erano col primo il generaleChevalier, e Landrieux, col secondo il conte degli Emilj,il conte Giusti, ed un Merighi, personaggio molto amatodai San Zenati. Pervenivano intanto le novelle, cheLahoz con una banda di due mila soldati tra Italiani ePolacchi al soldo della repubblica Cisalpina, aveva traPeschiera e Verona conseguito una vittoria contro leleve campagnuole di quel distretto.Fu l'abboccamento pieno di risentimento da ambe leparti. Rimproverava Chabran a Giovanelli i villani ar-mati per disegno espresso del governo Veneto contro iFrancesi, quando stavano a fronte di un nemico potente;che per questo era stato costretto Buonaparte a fare latregua, che i Veneziani se ne pentirebbero. AggiungevaLandrieux, e qui lascio che il lettore pensi da se, che irei disegni del senato contro i Francesi erano pruovatidal manifesto di Battaglia. Rispondeva Giovanelli alle-gando l'amicizia de' Veneziani dimostrata a tante pruo-ve; solo essersi armati i sudditi per amore verso il prin-cipe, e per opporsi ai ribelli apertamente incitati, e pro-tetti dai Francesi; l'intervenzione dei Francesi in tuttiquesti moti viemaggiormente dimostrarsi da ciò, che iturbatori della pace pubblica si ricoveravano in casa del

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generale Balland, come in luogo di sicurezza; quando lacittà era quieta, avere contro di lei tratto, prima a polve-re, poscia a palla i castelli; per questo aver voluto i Ve-ronesi difendere le sedi loro, e vendicare il loro principein tale violenta guisa oltraggiato. Passavano dai risenti-menti ai negoziati; non si trovava modo di concordia.Chabran sdegnato minacciava, che entrerebbe per forza,arderebbe, e saccheggerebbe Verona. Già s'impadronivadi San Leonardo, con che assicurava il castello San Feli-ce: già batteva fortemente la porta di San Zeno, dovesolo il fosso il separava dal corpo della piazza. Instava-no al tempo medesimo i castelli contro la porta di SanGiorgio; e dal Castel-Vecchio uscivano spesso i Francesicon gran terrore e ruina dei cittadini. Kilmaine si ap-prossimava da Mantova, sbaragliando le turbe armate,che gli contrastavano il passo. Già il romore della Victo-riana schiera ormai vicina si udiva nella desolata città. Iprimi corridori di Lahoz si facevano vedere alle porteesteriori del Castel-Vecchio, e niuna cosa poteva impe-dire che vi entrassero.Ebbersi in quel momento le novelle dei preliminari dipace; il quale accidente faceva abilità a Buonaparte dicorrere con tutto il suo esercito contro lo stato Venezia-no. Accresceva il terrore la sconfitta delle genti stanzialigovernate dal Maffei, e che poste alla Croce Bianca, eda San Massimo vietavano da quella parte il passo al ne-mico. Da tutto questo si vedeva, che era già vinta Vero-na, quando ancora combatteva. Perlochè i provveditori

generale Balland, come in luogo di sicurezza; quando lacittà era quieta, avere contro di lei tratto, prima a polve-re, poscia a palla i castelli; per questo aver voluto i Ve-ronesi difendere le sedi loro, e vendicare il loro principein tale violenta guisa oltraggiato. Passavano dai risenti-menti ai negoziati; non si trovava modo di concordia.Chabran sdegnato minacciava, che entrerebbe per forza,arderebbe, e saccheggerebbe Verona. Già s'impadronivadi San Leonardo, con che assicurava il castello San Feli-ce: già batteva fortemente la porta di San Zeno, dovesolo il fosso il separava dal corpo della piazza. Instava-no al tempo medesimo i castelli contro la porta di SanGiorgio; e dal Castel-Vecchio uscivano spesso i Francesicon gran terrore e ruina dei cittadini. Kilmaine si ap-prossimava da Mantova, sbaragliando le turbe armate,che gli contrastavano il passo. Già il romore della Victo-riana schiera ormai vicina si udiva nella desolata città. Iprimi corridori di Lahoz si facevano vedere alle porteesteriori del Castel-Vecchio, e niuna cosa poteva impe-dire che vi entrassero.Ebbersi in quel momento le novelle dei preliminari dipace; il quale accidente faceva abilità a Buonaparte dicorrere con tutto il suo esercito contro lo stato Venezia-no. Accresceva il terrore la sconfitta delle genti stanzialigovernate dal Maffei, e che poste alla Croce Bianca, eda San Massimo vietavano da quella parte il passo al ne-mico. Da tutto questo si vedeva, che era già vinta Vero-na, quando ancora combatteva. Perlochè i provveditori

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pensarono ad accordarsi ad ogni modo. Convenivasidelle seguenti condizioni: deponessero i villani le armi,e sgombrassero da Verona; i Francesi la occupassero;tutte le armi e munizioni si dessero in mano loro: fosse-ro consegnati in castello, come ostaggi per la sicurtà deipatti, Giovanelli, Erizzo, Giuliari, Emilj, il vescovo,Maffei, i quattro fratelli Miniscalchi, Filiberi, i due fra-telli Carlotti, San-Fermo, e Garavetta: eseguiti i capitoli,si rendessero gli ostaggi. Volevano i provveditori ag-giungere il capitolo, che fossero salve le vite e le pro-prietà dei Veronesi, delle truppe, e dei capi loro; maKilmaine, che era sopraggiunto, non volle ratificarlo. Eperò, sebbene fossero accettati gli altri capitoli, si rende-va Verona quasi a discrezione. La qual cosa vedutasi daiprovveditori, si deliberarono di ritirarsi a Padova, la-sciando che i magistrati municipali, quanto fosse in po-ter loro, alla salute di lei provvedessero. Fu grande inquesti negoziati il dolore, e lo spavento dei provveditori;perchè non solamente vedevano una popolazione fedeleal nome Veneziano abbandonata a discrezione di un ne-mico offeso, ma udivano anche parole espresse, e fune-ste della vicina distruzione della repubblica; perciocchèBeaupoil, dalle solite ambagi uscendo, ed almeno piùsincerità degli altri mostrando, disse apertamente, che larepubblica di Venezia aveva sussistito bastantemente perquattordici secoli, e che conveniva adattarsi ai tempi,che l'assistenza prestata alle rivoluzioni di Bergamo e diBrescia non poteva derivare dal solo arbitrio dei coman-danti Francesi, ma bensì da un espresso comando del

pensarono ad accordarsi ad ogni modo. Convenivasidelle seguenti condizioni: deponessero i villani le armi,e sgombrassero da Verona; i Francesi la occupassero;tutte le armi e munizioni si dessero in mano loro: fosse-ro consegnati in castello, come ostaggi per la sicurtà deipatti, Giovanelli, Erizzo, Giuliari, Emilj, il vescovo,Maffei, i quattro fratelli Miniscalchi, Filiberi, i due fra-telli Carlotti, San-Fermo, e Garavetta: eseguiti i capitoli,si rendessero gli ostaggi. Volevano i provveditori ag-giungere il capitolo, che fossero salve le vite e le pro-prietà dei Veronesi, delle truppe, e dei capi loro; maKilmaine, che era sopraggiunto, non volle ratificarlo. Eperò, sebbene fossero accettati gli altri capitoli, si rende-va Verona quasi a discrezione. La qual cosa vedutasi daiprovveditori, si deliberarono di ritirarsi a Padova, la-sciando che i magistrati municipali, quanto fosse in po-ter loro, alla salute di lei provvedessero. Fu grande inquesti negoziati il dolore, e lo spavento dei provveditori;perchè non solamente vedevano una popolazione fedeleal nome Veneziano abbandonata a discrezione di un ne-mico offeso, ma udivano anche parole espresse, e fune-ste della vicina distruzione della repubblica; perciocchèBeaupoil, dalle solite ambagi uscendo, ed almeno piùsincerità degli altri mostrando, disse apertamente, che larepubblica di Venezia aveva sussistito bastantemente perquattordici secoli, e che conveniva adattarsi ai tempi,che l'assistenza prestata alle rivoluzioni di Bergamo e diBrescia non poteva derivare dal solo arbitrio dei coman-danti Francesi, ma bensì da un espresso comando del

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generale Buonaparte.Entravano i Francesi nella sanguinosa Verona. Io nonso, se mi debba raccontare un fatto orribile, e quest'è,che i patriotti Italiani, che pretendevano parole di liber-tà, e d'indipendenza alle imprese loro, cercavano dili-gentemente, secondando il furore dei capi repubblicanidi Francia, per le case gli autori della resistenza Verone-se, e trovati, gli davano loro in mano, perchè fosseropercossi coll'ultimo supplizio. Scoprivano fra gli altri ilfrate cappuccino, e lo consegnavano ai percussori. Glitrovavano in casa la predica, la quale, siccome parevascritta in istile più pulito, che a cappuccino si apparte-nesse, veniva attribuita al vescovo di Parma Turchi, cheera allora in grido di predicatore eccellente. Creossi unconsiglio militare per giudicarlo. Sostenne il frate in co-spetto de' suoi giudici la medesima sentenza. Condanna-to nel capo, incontrò la morte con quella medesima co-stanza, con la quale aveva vissuto. Conservò la storia ilnome di questo forte Italiano, quantunque per la malva-gità dei tempi sia stata la sua morte piuttosto apposta adignominia, che ad onore. Si chiamava frate Luigi Collo-redo, e dopo la venuta dei Tedeschi gli fu posta nella suachiesa dei cappuccini una lapida tramandatrice ai posteridella sua eroica costanza. Furono con lui condotti amorte i conti Francesco degli Emilj, Verità, e Malenzacon alcuni altri di minor nome. Tale fu l'esito della Ve-ronese sollevazione: la chiamarono le pasque Veronesi aconfronto dei vespri Siciliani; ma se ugualmente crudi

generale Buonaparte.Entravano i Francesi nella sanguinosa Verona. Io nonso, se mi debba raccontare un fatto orribile, e quest'è,che i patriotti Italiani, che pretendevano parole di liber-tà, e d'indipendenza alle imprese loro, cercavano dili-gentemente, secondando il furore dei capi repubblicanidi Francia, per le case gli autori della resistenza Verone-se, e trovati, gli davano loro in mano, perchè fosseropercossi coll'ultimo supplizio. Scoprivano fra gli altri ilfrate cappuccino, e lo consegnavano ai percussori. Glitrovavano in casa la predica, la quale, siccome parevascritta in istile più pulito, che a cappuccino si apparte-nesse, veniva attribuita al vescovo di Parma Turchi, cheera allora in grido di predicatore eccellente. Creossi unconsiglio militare per giudicarlo. Sostenne il frate in co-spetto de' suoi giudici la medesima sentenza. Condanna-to nel capo, incontrò la morte con quella medesima co-stanza, con la quale aveva vissuto. Conservò la storia ilnome di questo forte Italiano, quantunque per la malva-gità dei tempi sia stata la sua morte piuttosto apposta adignominia, che ad onore. Si chiamava frate Luigi Collo-redo, e dopo la venuta dei Tedeschi gli fu posta nella suachiesa dei cappuccini una lapida tramandatrice ai posteridella sua eroica costanza. Furono con lui condotti amorte i conti Francesco degli Emilj, Verità, e Malenzacon alcuni altri di minor nome. Tale fu l'esito della Ve-ronese sollevazione: la chiamarono le pasque Veronesi aconfronto dei vespri Siciliani; ma se ugualmente crudi

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ne furono gli effetti, bene le cagioni ne furono peggiori;perchè a Verona s'aggiunse la perfidia alla tirannide.Era la città esposta alla vendetta del vincitore. Le si to-glievano le armi, seguitavano minacce crudeli, e fattipeggiori; si viveva dai soldati a discrezione; fu espilatoil monte di pietà; le più preziose gioie mandate al gene-ralissimo. Gridavano i popoli a fatti tanto sacrileghi;Buonaparte ordinava, si restituissero i pegni di minorprezzo; ma fu indarno, perchè i più erano involati, e chifu preposto alla bisogna, per render meno, ne accoppia-va due in uno: nè si perdonava alle doti delle figliuolepovere, perchè anche queste furono preda dei rapitori. Ilcommissario di guerra Bouquet, eletto commissario so-pra il monte, fu carcerato, e condotto in Francia per es-sere processato, ma non si udì mai di pena, o perchè fos-se innocente, o perchè avesse operato per ordine di chipoteva più di lui. Decretava Buonaparte, pagasse Veronacentoventimila zecchini, e di più cinquantamila per ca-posoldo ai soldati dei castelli, risarcisse i danni dei sol-dati e degli ospedali, i cavalli dei Veronesi si desseroalle artiglierie ed alla cavallerìa; ancora desse Veronanel più breve spazio fornimenti da vestire i soldati inquantità considerabile; gli ori e gli argenti sì delle chie-se, che del pubblico si confiscassero in pro della repub-blica; i quadri, gli erbari, i musei tanto del pubblico,quanto dei particolari fossero ancor essi posti al fiscodella repubblica; i privati, che meritassero di esser fattiindenni, si compensassero coi beni dei condannati.

ne furono gli effetti, bene le cagioni ne furono peggiori;perchè a Verona s'aggiunse la perfidia alla tirannide.Era la città esposta alla vendetta del vincitore. Le si to-glievano le armi, seguitavano minacce crudeli, e fattipeggiori; si viveva dai soldati a discrezione; fu espilatoil monte di pietà; le più preziose gioie mandate al gene-ralissimo. Gridavano i popoli a fatti tanto sacrileghi;Buonaparte ordinava, si restituissero i pegni di minorprezzo; ma fu indarno, perchè i più erano involati, e chifu preposto alla bisogna, per render meno, ne accoppia-va due in uno: nè si perdonava alle doti delle figliuolepovere, perchè anche queste furono preda dei rapitori. Ilcommissario di guerra Bouquet, eletto commissario so-pra il monte, fu carcerato, e condotto in Francia per es-sere processato, ma non si udì mai di pena, o perchè fos-se innocente, o perchè avesse operato per ordine di chipoteva più di lui. Decretava Buonaparte, pagasse Veronacentoventimila zecchini, e di più cinquantamila per ca-posoldo ai soldati dei castelli, risarcisse i danni dei sol-dati e degli ospedali, i cavalli dei Veronesi si desseroalle artiglierie ed alla cavallerìa; ancora desse Veronanel più breve spazio fornimenti da vestire i soldati inquantità considerabile; gli ori e gli argenti sì delle chie-se, che del pubblico si confiscassero in pro della repub-blica; i quadri, gli erbari, i musei tanto del pubblico,quanto dei particolari fossero ancor essi posti al fiscodella repubblica; i privati, che meritassero di esser fattiindenni, si compensassero coi beni dei condannati.

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Ma già la espilazione, prima che si eseguisse per ordine,era stata mandata ad effetto per disordine. ScrivevaAugereau, la confusione dei poteri, l'esercizio abusivofattone da parecchi ufficiali superiori avere colmol'anarchia e la dissipazione; infatti il monte di pietà diVerona, in cui erano più di cinquanta milioni di preziosesuppellettili, e così ancora quel di Vicenza (Lahoz avevafatto rivoltar Vicenza) essere stati con tale prestezzavuotati, che gli espilatori impazienti all'indugio delloaprir le porte, le avevano sforzate: e vero fu, quantunqueAugereau non lo scriva, che vi entrarono con le scuri, ecoi sacchi. Sapere, continuava a scrivere, che Victoraveva fatto arrestare il commissario Bouquet, autore diquesto dilapidare; non dubitare, che se si venisse a pro-cesso contro di lui, non mettesse in compromesso citta-dini, che erano nei superiori gradi dell'esercito; non es-sere le campagne in miglior condizione della città;gl'incendj, i furti, le rapine generali, e particolari fatted'arbitrio, e senza legale autorità avere spopolato parec-chi villaggi, e ridotto famiglie ad errare disperatamentealla ventura; giunta essere a tal colmo questa peste, cheufficiali adescati dall'amor del sacco si erano fatti co-mandanti di piazza da se medesimi, ed avevano com-messo atti, cui la giustizia, l'onore, e la severità della di-sciplina militare condannavano; gli arbitrj di Verona es-sere ancora più orribili: tolte sforzate esservi state fatteper iscritto sino a franchi sessantamila, e negate le rice-vute; rubatevi per otto giorni interi le botteghe; regnarviil terrore; esservi cessato ogni commercio, essere Vero-

Ma già la espilazione, prima che si eseguisse per ordine,era stata mandata ad effetto per disordine. ScrivevaAugereau, la confusione dei poteri, l'esercizio abusivofattone da parecchi ufficiali superiori avere colmol'anarchia e la dissipazione; infatti il monte di pietà diVerona, in cui erano più di cinquanta milioni di preziosesuppellettili, e così ancora quel di Vicenza (Lahoz avevafatto rivoltar Vicenza) essere stati con tale prestezzavuotati, che gli espilatori impazienti all'indugio delloaprir le porte, le avevano sforzate: e vero fu, quantunqueAugereau non lo scriva, che vi entrarono con le scuri, ecoi sacchi. Sapere, continuava a scrivere, che Victoraveva fatto arrestare il commissario Bouquet, autore diquesto dilapidare; non dubitare, che se si venisse a pro-cesso contro di lui, non mettesse in compromesso citta-dini, che erano nei superiori gradi dell'esercito; non es-sere le campagne in miglior condizione della città;gl'incendj, i furti, le rapine generali, e particolari fatted'arbitrio, e senza legale autorità avere spopolato parec-chi villaggi, e ridotto famiglie ad errare disperatamentealla ventura; giunta essere a tal colmo questa peste, cheufficiali adescati dall'amor del sacco si erano fatti co-mandanti di piazza da se medesimi, ed avevano com-messo atti, cui la giustizia, l'onore, e la severità della di-sciplina militare condannavano; gli arbitrj di Verona es-sere ancora più orribili: tolte sforzate esservi state fatteper iscritto sino a franchi sessantamila, e negate le rice-vute; rubatevi per otto giorni interi le botteghe; regnarviil terrore; esservi cessato ogni commercio, essere Vero-

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na deserta; alcuni ufficiali essersi impadroniti di mercispettanti a' negozianti, sotto colore che calasser perl'Adige; le migliori case saccheggiate attestare il furoredei saccheggiatori. Nissuno più di lui, continuavaAugereau, odiare i Veneziani, nissuno più di lui bramardi vendicare il sangue Francese, ma nissuno più di luiodiare l'ingiustizia e la persecuzione; se i Francesi eranostati rei d'ingiustizia e di persecuzione a lui toccare ilconsolare i Veneziani, a lui toccar fare, ch'essi dimenti-cassero, ch'erano obbligati di una parte dei loro mali a'suoi compatriotti. Fatte queste querele richiedevaAugereau da Buonaparte, moderasse le contribuzioni, nerendesse il contado partecipe.Da chi avrà attentamente considerato le cose fin qui danoi raccontate, sarà facilmente scorto, che nissuno buonpartito restava a pigliarsi alla repubblica di Venezia, sealcuno restava, era quello dell'armi. Forse i Veneziani,armando vieppiù fortemente l'estuario, e difendendo Ve-nezia con quell'istessa costanza, colla quale i loro mag-giori avevano una volta difeso Padova contro l'impera-tor Massimiliano, avrebbero ancor potuto far sorgere inEuropa qualche spiraglio di salute; perchè ancoral'Inghilterra era intera, e l'imperatore consentiva per for-za ai patti di Leoben, non che non gli piacesse l'acquistodegli stati Veneziani, ma perchè abbominava i principjsovvertitori di ogni vecchio stato, sui quali si fondava larepubblica di Francia. Ma qualunque fosse l'evento, erapiù onorevole partito per Venezia il perire con l'armi in

na deserta; alcuni ufficiali essersi impadroniti di mercispettanti a' negozianti, sotto colore che calasser perl'Adige; le migliori case saccheggiate attestare il furoredei saccheggiatori. Nissuno più di lui, continuavaAugereau, odiare i Veneziani, nissuno più di lui bramardi vendicare il sangue Francese, ma nissuno più di luiodiare l'ingiustizia e la persecuzione; se i Francesi eranostati rei d'ingiustizia e di persecuzione a lui toccare ilconsolare i Veneziani, a lui toccar fare, ch'essi dimenti-cassero, ch'erano obbligati di una parte dei loro mali a'suoi compatriotti. Fatte queste querele richiedevaAugereau da Buonaparte, moderasse le contribuzioni, nerendesse il contado partecipe.Da chi avrà attentamente considerato le cose fin qui danoi raccontate, sarà facilmente scorto, che nissuno buonpartito restava a pigliarsi alla repubblica di Venezia, sealcuno restava, era quello dell'armi. Forse i Veneziani,armando vieppiù fortemente l'estuario, e difendendo Ve-nezia con quell'istessa costanza, colla quale i loro mag-giori avevano una volta difeso Padova contro l'impera-tor Massimiliano, avrebbero ancor potuto far sorgere inEuropa qualche spiraglio di salute; perchè ancoral'Inghilterra era intera, e l'imperatore consentiva per for-za ai patti di Leoben, non che non gli piacesse l'acquistodegli stati Veneziani, ma perchè abbominava i principjsovvertitori di ogni vecchio stato, sui quali si fondava larepubblica di Francia. Ma qualunque fosse l'evento, erapiù onorevole partito per Venezia il perire con l'armi in

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mano, che con negoziati già conosciuti inutili prima ches'intavolassero.Giunte a Buonaparte le novelle di Verona e del Lido,fingeva un grandissimo sdegno con acerbissime parolelamentandosi del sangue Francese sparso, e protestandovolerne aver vendetta. Adunque vedendo, che era venu-to il tempo prefisso, e con tant'arte preparato, scriveva alministro Lallemand queste furibonde parole: «S'insulta-no a Venezia i colori nazionali, e voi vi siete ancora!Pubblicamente vi si assassinano i Francesi, e voi vi sieteancora! Per me, io dichiaro, e protesto non voler udireproposta di conciliazione, se prima non sono arrestati itre inquisitori di stato, ed il comandante del Lido: si car-cerino, e poi venite a trovarmi».Faceva Lallemand l'ufficio. La serva Venezia arrestava itre inquisitori, ed il comandante; posersi in fortezza inuna delle isole delle lagune; gli avogadori del comuneincominciavano a far loro il processo. Liberavansi (per-chè anche questo esigeva il generalissimo) i carceratiper opinioni, o fatti politici, fra gli altri i ribelli di Salò,Verona, Bergamo, Brescia e Padova. PartivaneLallemand, partivanne i Francesi, solo restava Villetard,segretario della legazione, come agente eletto ad operarela mutazione di governo.Viaggiavano intanto i due legati Francesco Donato, eLeonardo Giustiniani alla volta degli alloggiamenti diBuonaparte. Il trovarono in Gradisca: introdotti escusa-

mano, che con negoziati già conosciuti inutili prima ches'intavolassero.Giunte a Buonaparte le novelle di Verona e del Lido,fingeva un grandissimo sdegno con acerbissime parolelamentandosi del sangue Francese sparso, e protestandovolerne aver vendetta. Adunque vedendo, che era venu-to il tempo prefisso, e con tant'arte preparato, scriveva alministro Lallemand queste furibonde parole: «S'insulta-no a Venezia i colori nazionali, e voi vi siete ancora!Pubblicamente vi si assassinano i Francesi, e voi vi sieteancora! Per me, io dichiaro, e protesto non voler udireproposta di conciliazione, se prima non sono arrestati itre inquisitori di stato, ed il comandante del Lido: si car-cerino, e poi venite a trovarmi».Faceva Lallemand l'ufficio. La serva Venezia arrestava itre inquisitori, ed il comandante; posersi in fortezza inuna delle isole delle lagune; gli avogadori del comuneincominciavano a far loro il processo. Liberavansi (per-chè anche questo esigeva il generalissimo) i carceratiper opinioni, o fatti politici, fra gli altri i ribelli di Salò,Verona, Bergamo, Brescia e Padova. PartivaneLallemand, partivanne i Francesi, solo restava Villetard,segretario della legazione, come agente eletto ad operarela mutazione di governo.Viaggiavano intanto i due legati Francesco Donato, eLeonardo Giustiniani alla volta degli alloggiamenti diBuonaparte. Il trovarono in Gradisca: introdotti escusa-

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vano la repubblica: aver voluto Venezia amicizia collaFrancia repubblicana già prima che gli eserciti di leiinondassero l'Italia; averla riconosciuta, quand'era peri-colo il riconoscerla; avere costantemente rifiutato ogniproposta fattale dai confederati ai danni della Francia;avere aperto spontaneamente agli eserciti di lei, e senzache a ciò fosse astretta da alcun trattato, come era conl'imperatore, gli stati suoi; averle fatto copia delle suefortezze, delle armi, delle munizioni; avere obbligato isudditi a somministrare per somme grandissime quantofosse necessario al vivere dei soldati, ed avere in questoanche sopperito l'erario. Come esser probabile, afferma-vano, che uno stato illanguidito da danni sì gravosi, con-sumato da dispendio sì enorme, mutilato per l'alterazio-ne di tante città, volesse far guerra alla Francia tanto po-tente, ora ch'ella aveva obbligato alla pace quasi tuttal'Europa: volere il Veneziano governo la pace, ma benenon volerla i sediziosi ed i ribelli, perchè trovavano nel-la guerra immensi profitti, ed il compimento dei loro fa-tali disegni: da ciò derivare le tante invenzioni di suppo-sti fatti, le carte false, come quella di Battaglia, le gelo-sie dei comandanti Francesi, l'alterazione dei popoli.Del rimanente non venir loro per muover querele, mabensì per purgarle, e fare tutte quelle opere, che s'appar-tenevano all'incorrotta fede: ad ogni sua richiesta pruo-verebbero, tutti i sospetti dei comandanti esser opera deiraggiri, e delle fraudi dei sollevati: rispetto poi all'avve-nire, esser pronto il senato a punire i rei d'assassinio,purchè gli fossero dati indizi dei fatti, dei luoghi, e delle

vano la repubblica: aver voluto Venezia amicizia collaFrancia repubblicana già prima che gli eserciti di leiinondassero l'Italia; averla riconosciuta, quand'era peri-colo il riconoscerla; avere costantemente rifiutato ogniproposta fattale dai confederati ai danni della Francia;avere aperto spontaneamente agli eserciti di lei, e senzache a ciò fosse astretta da alcun trattato, come era conl'imperatore, gli stati suoi; averle fatto copia delle suefortezze, delle armi, delle munizioni; avere obbligato isudditi a somministrare per somme grandissime quantofosse necessario al vivere dei soldati, ed avere in questoanche sopperito l'erario. Come esser probabile, afferma-vano, che uno stato illanguidito da danni sì gravosi, con-sumato da dispendio sì enorme, mutilato per l'alterazio-ne di tante città, volesse far guerra alla Francia tanto po-tente, ora ch'ella aveva obbligato alla pace quasi tuttal'Europa: volere il Veneziano governo la pace, ma benenon volerla i sediziosi ed i ribelli, perchè trovavano nel-la guerra immensi profitti, ed il compimento dei loro fa-tali disegni: da ciò derivare le tante invenzioni di suppo-sti fatti, le carte false, come quella di Battaglia, le gelo-sie dei comandanti Francesi, l'alterazione dei popoli.Del rimanente non venir loro per muover querele, mabensì per purgarle, e fare tutte quelle opere, che s'appar-tenevano all'incorrotta fede: ad ogni sua richiesta pruo-verebbero, tutti i sospetti dei comandanti esser opera deiraggiri, e delle fraudi dei sollevati: rispetto poi all'avve-nire, esser pronto il senato a punire i rei d'assassinio,purchè gli fossero dati indizi dei fatti, dei luoghi, e delle

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persone: essere ugualmente pronto ad accettar la media-zione per ridurre le città ribellate all'obbedienza, e a di-sarmare i sudditi, purchè si disarmassero anche le popo-lazioni sollevate, e si preservassero le fedeli dagl'insultiloro.Non valsero le escusazioni, e le profferte a vincere ladurezza del generalissimo. Rispose, che voleva, che tuttii carcerati si liberassero, anche quei di Verona perchèerano addetti a Francia, che non voleva più piombi, edandrebbe egli a rompergli; che non voleva più inquisi-zione, barbarie dei tempi antichi; che le opinioni dove-vano esser libere; che i Francesi erano stati assassinatiin Venezia, e nella terraferma, e che i Veneziani gli ave-vano fatti assassinare; che i soldati gridavano vendetta,e ch'ei la voleva fare; che bene aveva il senato tante spieche bastassero per potere scoprire i rei; che se il senatonon aveva mezzi per frenare i popoli, era imbecille, enon doveva più sussistere; che non voleva alleanze conVenezia, nè progetti; che voleva comandare; che non te-meva gli Schiavoni; che sarebbe andato in Dalmazia;che insomma, se il senato non puniva i rei, non cacciavail ministro d'Inghilterra, non disarmava i popoli, non li-berava i prigioni, non eleggeva tra Francia ed Inghilter-ra, egl'intimerebbe la guerra a Venezia; che al postutto inobili di provincia dovevano partecipare nell'autorità su-prema; che il governo Veneziano era vecchio, e dovevacessare; ch'ei sarebbe un Attila per lo stato Veneto; senon avevano altro a dire, se n'andassero.

persone: essere ugualmente pronto ad accettar la media-zione per ridurre le città ribellate all'obbedienza, e a di-sarmare i sudditi, purchè si disarmassero anche le popo-lazioni sollevate, e si preservassero le fedeli dagl'insultiloro.Non valsero le escusazioni, e le profferte a vincere ladurezza del generalissimo. Rispose, che voleva, che tuttii carcerati si liberassero, anche quei di Verona perchèerano addetti a Francia, che non voleva più piombi, edandrebbe egli a rompergli; che non voleva più inquisi-zione, barbarie dei tempi antichi; che le opinioni dove-vano esser libere; che i Francesi erano stati assassinatiin Venezia, e nella terraferma, e che i Veneziani gli ave-vano fatti assassinare; che i soldati gridavano vendetta,e ch'ei la voleva fare; che bene aveva il senato tante spieche bastassero per potere scoprire i rei; che se il senatonon aveva mezzi per frenare i popoli, era imbecille, enon doveva più sussistere; che non voleva alleanze conVenezia, nè progetti; che voleva comandare; che non te-meva gli Schiavoni; che sarebbe andato in Dalmazia;che insomma, se il senato non puniva i rei, non cacciavail ministro d'Inghilterra, non disarmava i popoli, non li-berava i prigioni, non eleggeva tra Francia ed Inghilter-ra, egl'intimerebbe la guerra a Venezia; che al postutto inobili di provincia dovevano partecipare nell'autorità su-prema; che il governo Veneziano era vecchio, e dovevacessare; ch'ei sarebbe un Attila per lo stato Veneto; senon avevano altro a dire, se n'andassero.

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Udivano per soprassoma delle angustie loro in questotempo i legati le novelle del fatto del Lido, e con acco-modate parole il rappresentarono a Buonaparte. Rispon-deva, che non gli voleva vedere, che non gli voleva udi-re, bruttati com'erano di sangue Francese, se prima nongli davano in mano l'ammiraglio, il comandante delLido, e gl'inquisitori di stato. Aggiungeva, che eranomentitori per aver cercato di colorir con menzogne unfatto atroce: se gli togliessero d'avanti, sgombrassero to-sto dalla terraferma; quando no, avrebbero a far con lui.Adunque l'antico insidiatore della Veneziana repubblicadichiarava, il dì secondo di maggio, la guerra a Venezia.Avere, intimava, il governo Veneto usato l'occasionedella settimana santa, mentre l'esercito Francese era im-pegnato nelle fauci della Stiria, per mettere in armi, ecol fine di tagliargli le strade, quarantamila Schiavoni;mandar Venezia armi, e commissari straordinari in terra-ferma, arrestare gli amici di Francia, fomentare i nemici;risuonare le piazze, i caffè, ogni luogo pubblico di maleparole, e di mali fatti contro i Francesi; chiamarvisi gia-cobini, regicidi, atei; avere ordine i popoli di Padova,Vicenza, e Verona di armarsi a stormo per rinnovare ivespri Siciliani: gridare gli ufficiali Veneti, che si appar-teneva al Lione Veneto di verificare il proverbio, chel'Italia fosse la tomba dei Francesi; predicare i preti daipulpiti, gli scrittori con le stampe la crociata; assassinar-si i Francesi in Padova, assassinarsi in Castiglione deiMori, assassinarsi sulle strade postali da Mantova a Le-

Udivano per soprassoma delle angustie loro in questotempo i legati le novelle del fatto del Lido, e con acco-modate parole il rappresentarono a Buonaparte. Rispon-deva, che non gli voleva vedere, che non gli voleva udi-re, bruttati com'erano di sangue Francese, se prima nongli davano in mano l'ammiraglio, il comandante delLido, e gl'inquisitori di stato. Aggiungeva, che eranomentitori per aver cercato di colorir con menzogne unfatto atroce: se gli togliessero d'avanti, sgombrassero to-sto dalla terraferma; quando no, avrebbero a far con lui.Adunque l'antico insidiatore della Veneziana repubblicadichiarava, il dì secondo di maggio, la guerra a Venezia.Avere, intimava, il governo Veneto usato l'occasionedella settimana santa, mentre l'esercito Francese era im-pegnato nelle fauci della Stiria, per mettere in armi, ecol fine di tagliargli le strade, quarantamila Schiavoni;mandar Venezia armi, e commissari straordinari in terra-ferma, arrestare gli amici di Francia, fomentare i nemici;risuonare le piazze, i caffè, ogni luogo pubblico di maleparole, e di mali fatti contro i Francesi; chiamarvisi gia-cobini, regicidi, atei; avere ordine i popoli di Padova,Vicenza, e Verona di armarsi a stormo per rinnovare ivespri Siciliani: gridare gli ufficiali Veneti, che si appar-teneva al Lione Veneto di verificare il proverbio, chel'Italia fosse la tomba dei Francesi; predicare i preti daipulpiti, gli scrittori con le stampe la crociata; assassinar-si i Francesi in Padova, assassinarsi in Castiglione deiMori, assassinarsi sulle strade postali da Mantova a Le-

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gnago, da Cassano a Verona; impedire i soldati Veneti illibero passo alle truppe della Francia, suonarsi campanaa martello a Verona, trucidarvisi i convalescenti; assalta-re i Veronesi con l'armi in mano i presidj Francesi ritiratiai castelli; ardersi la casa del console a Zante; trarsi dauna nave Veneta contro la fregata di Francia la Brunaper salvare una conserva Austriaca; fumare il Lido diVenezia del sangue del giovine Laugier. Per tutte questecose voleva, ed ordinava, che il ministro di Francia par-tisse da Venezia; che gli agenti di Venezia sgombrasserodalla Lombardia e dalla terraferma; che i suoi generalitrattassero come nemiche le truppe Veneziane, ed atter-rassero il Lione di San Marco da tutte le città della terra-ferma.A tutte queste querele chi dritto mirava, ed amava lagiustizia, rispondeva pei Veneziani, che, eccettuati gliassassinj non mai escusabili, opera dei particolari, nondel governo, e frutto in gran parte delle insolenze solda-tesche, essendo la vendetta passione innata all'uomo,Venezia, tacendo anche le ribellioni suscitate a postanella terraferma, era autorizzata a far peggio dal drittodelle genti a cagione dei patti di Leoben, venditori dellarepubblica. Aggiungevano, che solo era da biasimarsidel non aver dichiarato, e fatto la guerra con tutte le sueforze alla Francia, guerra della quale aveva tante, e sìgiuste cagioni. Gli autori, cui muove piuttosto la parzia-lità che la giustizia, scrivono, che Venezia fu traditrice;certo ella fu, ma di se stessa, non d'altrui.

gnago, da Cassano a Verona; impedire i soldati Veneti illibero passo alle truppe della Francia, suonarsi campanaa martello a Verona, trucidarvisi i convalescenti; assalta-re i Veronesi con l'armi in mano i presidj Francesi ritiratiai castelli; ardersi la casa del console a Zante; trarsi dauna nave Veneta contro la fregata di Francia la Brunaper salvare una conserva Austriaca; fumare il Lido diVenezia del sangue del giovine Laugier. Per tutte questecose voleva, ed ordinava, che il ministro di Francia par-tisse da Venezia; che gli agenti di Venezia sgombrasserodalla Lombardia e dalla terraferma; che i suoi generalitrattassero come nemiche le truppe Veneziane, ed atter-rassero il Lione di San Marco da tutte le città della terra-ferma.A tutte queste querele chi dritto mirava, ed amava lagiustizia, rispondeva pei Veneziani, che, eccettuati gliassassinj non mai escusabili, opera dei particolari, nondel governo, e frutto in gran parte delle insolenze solda-tesche, essendo la vendetta passione innata all'uomo,Venezia, tacendo anche le ribellioni suscitate a postanella terraferma, era autorizzata a far peggio dal drittodelle genti a cagione dei patti di Leoben, venditori dellarepubblica. Aggiungevano, che solo era da biasimarsidel non aver dichiarato, e fatto la guerra con tutte le sueforze alla Francia, guerra della quale aveva tante, e sìgiuste cagioni. Gli autori, cui muove piuttosto la parzia-lità che la giustizia, scrivono, che Venezia fu traditrice;certo ella fu, ma di se stessa, non d'altrui.

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La dichiarazione di guerra fatta da Buonaparte, non pa-reva a lui poter bastare per arrivare al suo fine del cam-biar la forma del governo Veneziano. Per arrivarvi ave-va con tanto veementi parole intimorito i legati Venezia-ni, toccato loro il capitolo del cambiamento di governo:a questo medesimo fine aveva ordinato a Baragueyd'Hilliers, che si accostasse coi soldati alle rivedell'estuario, e d'ogni intorno tempestasse, come se vo-lesse farsi strada alla sede stessa della repubblica: a que-sto fine ancora Villetard, e gli altri repubblicani rimastiin Venezia, menavano un romore incredibile contro l'ari-stocrazìa, come se ella fosse la maggior peste che sia almondo, esaltavano la democrazia, accennavano che ilsolo mezzo di placare lo sdegno di Buonaparte era di ri-durre il governo alla democrazìa: a questo fine altresìdai medesimi continuamente si animavano, e si concita-vano contro le antiche forme gli amatori di novità, edeglino confortati dall'aspetto delle cose ai disegni lorotanto favorevoli, più apertamente insidiavano, e minac-ciavano lo stato: al medesimo intento finalmente si spar-gevano ad arte voci di congreghe segrete, di congiureocculte, di armi preparate. Il terrore era grande, le fazio-ni accese, i malvagi trionfavano; dei buoni, i più si rista-vano per timor dell'avvenire, volendo accomodarsi alcambiamento, che si vedeva in aria; pochi coraggiosiprocuravano la salute della repubblica.Non ostante tutto questo, le trame ordite facevano pocofrutto nel senato, in cui sedeva la somma dell'autorità,

La dichiarazione di guerra fatta da Buonaparte, non pa-reva a lui poter bastare per arrivare al suo fine del cam-biar la forma del governo Veneziano. Per arrivarvi ave-va con tanto veementi parole intimorito i legati Venezia-ni, toccato loro il capitolo del cambiamento di governo:a questo medesimo fine aveva ordinato a Baragueyd'Hilliers, che si accostasse coi soldati alle rivedell'estuario, e d'ogni intorno tempestasse, come se vo-lesse farsi strada alla sede stessa della repubblica: a que-sto fine ancora Villetard, e gli altri repubblicani rimastiin Venezia, menavano un romore incredibile contro l'ari-stocrazìa, come se ella fosse la maggior peste che sia almondo, esaltavano la democrazia, accennavano che ilsolo mezzo di placare lo sdegno di Buonaparte era di ri-durre il governo alla democrazìa: a questo fine altresìdai medesimi continuamente si animavano, e si concita-vano contro le antiche forme gli amatori di novità, edeglino confortati dall'aspetto delle cose ai disegni lorotanto favorevoli, più apertamente insidiavano, e minac-ciavano lo stato: al medesimo intento finalmente si spar-gevano ad arte voci di congreghe segrete, di congiureocculte, di armi preparate. Il terrore era grande, le fazio-ni accese, i malvagi trionfavano; dei buoni, i più si rista-vano per timor dell'avvenire, volendo accomodarsi alcambiamento, che si vedeva in aria; pochi coraggiosiprocuravano la salute della repubblica.Non ostante tutto questo, le trame ordite facevano pocofrutto nel senato, in cui sedeva la somma dell'autorità,

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perchè egli era o per prudenza, o per consuetudine, o perostinazione risoluto a voler perseverare nelle massimedell'antico stato; già aveva ordinato, che diligentemente,e fortemente si munisse l'estuario. Prevedevano i nova-tori, che ove fosse commesso al senato di proporre alte-razioni negli antichi ordini della constituzione al consi-glio grande, in cui si era investita la sovranità, e dal qua-le solo simili alterazioni dipendevano, non mai il senatovi si sarebbe risoluto. Per la qual cosa coloro, che indi-rizzavano tutti questi consigli segreti, si deliberarono ditrovar modo per evitare l'autorità del senato, allegando,che ad accidenti straordinari abbisognavano rimedjstraordinari. I savi attuali, dei quali Pietro Donato avevaqualche entratura con Villetard, operarono in modo chesi facesse un'adunanza illegale, e contraria agli ordinidella repubblica nelle stanze private del doge, la sera deitrenta aprile. Interveniva il doge Manin, i suoi consiglie-ri, i tre capi delle quarantie, i savi attuali, i savi di terra-ferma, i savi usciti, ed i tre capi del consiglio dei Dieci.Si trattava in quest'adunanza di ciò, che si convenissefare in sì luttuosa occorrenza per la salute della repub-blica. Il principal fine era di rappresentar le cose in ma-niera, che il consiglio grande autorizzasse l'alterazionedegli ordini antichi.Il doge venezianamente favellando, cominciava il suodiscorso in questi termini: «La gravità, e l'angustia dellepresenti circostanze chiama tutte elle a proponer el mi-glior mezzo possibile per presentar al supremo maggior

perchè egli era o per prudenza, o per consuetudine, o perostinazione risoluto a voler perseverare nelle massimedell'antico stato; già aveva ordinato, che diligentemente,e fortemente si munisse l'estuario. Prevedevano i nova-tori, che ove fosse commesso al senato di proporre alte-razioni negli antichi ordini della constituzione al consi-glio grande, in cui si era investita la sovranità, e dal qua-le solo simili alterazioni dipendevano, non mai il senatovi si sarebbe risoluto. Per la qual cosa coloro, che indi-rizzavano tutti questi consigli segreti, si deliberarono ditrovar modo per evitare l'autorità del senato, allegando,che ad accidenti straordinari abbisognavano rimedjstraordinari. I savi attuali, dei quali Pietro Donato avevaqualche entratura con Villetard, operarono in modo chesi facesse un'adunanza illegale, e contraria agli ordinidella repubblica nelle stanze private del doge, la sera deitrenta aprile. Interveniva il doge Manin, i suoi consiglie-ri, i tre capi delle quarantie, i savi attuali, i savi di terra-ferma, i savi usciti, ed i tre capi del consiglio dei Dieci.Si trattava in quest'adunanza di ciò, che si convenissefare in sì luttuosa occorrenza per la salute della repub-blica. Il principal fine era di rappresentar le cose in ma-niera, che il consiglio grande autorizzasse l'alterazionedegli ordini antichi.Il doge venezianamente favellando, cominciava il suodiscorso in questi termini: «La gravità, e l'angustia dellepresenti circostanze chiama tutte elle a proponer el mi-glior mezzo possibile per presentar al supremo maggior

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conseio el stato, nel qual se trovemo per le notizie, chesta sera ne avanza Alessandro Marcello, savio de setti-mana. Prima peraltro, ch'elle fazza palese la loro opi-nion, le abbia la bontà de raccoglier brevemente quelche xe per esponerghe el cavalier Dolfin».Assumendo le parole il cavalier Dolfin, ragionava, chefosse molto a proposito alle cose della repubblical'obbligarsi Haller, col quale egli aveva amicizia, ed era,secondo che egli opinava, molto innanzi nell'animo diBuonaparte, per mitigare il vincitore. La quale propostadimostra a quanto abbassamento fosse condottaquell'antica, e gloriosa repubblica; poichè era parere diuno dei principali statuali, già ambasciadore in Parigi,che si aspettasse la sua salute in sì ponderoso momentodall'intercessione di un pubblicano.Non erano ancora gli animi dei circostanti tanto abietti,che non deridessero la vanità del partito posto dal Dol-fin. Seguitavano diversi pareri. Voleva Francesco Pesa-ro, generosamente opinando, che non si alterasse amodo alcuno la constituzione, e si facessero le più effi-caci risoluzioni per difender fino all'estremo quell'ulti-mo ridotto della potenza Veneziana. Disputava dall'altraparte Zaccaria Vallaresso, si desse autorità ai legati ditrattare con Buonaparte dell'alterazione degli ordini.Mentre si stavano esaminando i partiti posti, ecco perTommaso Condulmer, sopraintendente alle difesedell'estuario, arrivar novelle, che già i Francesi dallerive dell'estuario tentavano di avvicinarsi a Venezia.

conseio el stato, nel qual se trovemo per le notizie, chesta sera ne avanza Alessandro Marcello, savio de setti-mana. Prima peraltro, ch'elle fazza palese la loro opi-nion, le abbia la bontà de raccoglier brevemente quelche xe per esponerghe el cavalier Dolfin».Assumendo le parole il cavalier Dolfin, ragionava, chefosse molto a proposito alle cose della repubblical'obbligarsi Haller, col quale egli aveva amicizia, ed era,secondo che egli opinava, molto innanzi nell'animo diBuonaparte, per mitigare il vincitore. La quale propostadimostra a quanto abbassamento fosse condottaquell'antica, e gloriosa repubblica; poichè era parere diuno dei principali statuali, già ambasciadore in Parigi,che si aspettasse la sua salute in sì ponderoso momentodall'intercessione di un pubblicano.Non erano ancora gli animi dei circostanti tanto abietti,che non deridessero la vanità del partito posto dal Dol-fin. Seguitavano diversi pareri. Voleva Francesco Pesa-ro, generosamente opinando, che non si alterasse amodo alcuno la constituzione, e si facessero le più effi-caci risoluzioni per difender fino all'estremo quell'ulti-mo ridotto della potenza Veneziana. Disputava dall'altraparte Zaccaria Vallaresso, si desse autorità ai legati ditrattare con Buonaparte dell'alterazione degli ordini.Mentre si stavano esaminando i partiti posti, ecco perTommaso Condulmer, sopraintendente alle difesedell'estuario, arrivar novelle, che già i Francesi dallerive dell'estuario tentavano di avvicinarsi a Venezia.

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Parve, s'udisse il romor dei cannoni. Si suscitava granterrore fra gli adunati: il serenissimo principe, tutto pa-ventoso più volte su e giù per la camera passeggiando,lasciava intendere queste parole: “sta notte no semo si-curi nè anche nel nostro letto”. Per poco stava, che persuggerimento di Pietro Donato, e di Antonio Ruzzini,non si cedesse, e non si trattasse della dedizione; cosa,che farebbe credere, che i Veneziani fossero divenutimeno che uomini, se veramente in questo fatto solo ope-rava la paura. Vinceva peraltro ancora in questo la fortu-na della repubblica; perchè opponendosi gagliardamenteal partito Giuseppe Priuli, e Niccolò Erizzo, si mandavaal Condulmer resistesse alla forza con la forza. Nonostante, operando il timore e le instanze dei novatori, fupreso partito, che il doge medesimo esponesse al mag-gior consiglio la condizione della repubblica; propones-se la facoltà di alterar la constituzione, si convocasse ilmaggior consiglio il dì seguente primo di maggio. Fattaquesta risoluzione, desiderio principale di Buonaparte, ementre ella tuttavia si stava dal segretario Alberti disten-dendo, il procurator Pesaro lagrimando disse in dialettoVeneziano queste memorande parole: “vedo, che per lamia patria le xe finìa: mi non posso sicuramente prestar-ghe verun ajuto: ogni paese per un galantuomo xe pa-tria, nei Svizzeri se pol facilmente occuparse”. Poi cesseda Venezia, sapendo, che Buonaparte domandava la suamorte. Felice Francesco Pesaro, se, come disse, cosìavesse fatto, e se trapassando ritirato e dolente la restan-te sua vita nell'Elvetiche montagne, avesse lasciato al

Parve, s'udisse il romor dei cannoni. Si suscitava granterrore fra gli adunati: il serenissimo principe, tutto pa-ventoso più volte su e giù per la camera passeggiando,lasciava intendere queste parole: “sta notte no semo si-curi nè anche nel nostro letto”. Per poco stava, che persuggerimento di Pietro Donato, e di Antonio Ruzzini,non si cedesse, e non si trattasse della dedizione; cosa,che farebbe credere, che i Veneziani fossero divenutimeno che uomini, se veramente in questo fatto solo ope-rava la paura. Vinceva peraltro ancora in questo la fortu-na della repubblica; perchè opponendosi gagliardamenteal partito Giuseppe Priuli, e Niccolò Erizzo, si mandavaal Condulmer resistesse alla forza con la forza. Nonostante, operando il timore e le instanze dei novatori, fupreso partito, che il doge medesimo esponesse al mag-gior consiglio la condizione della repubblica; propones-se la facoltà di alterar la constituzione, si convocasse ilmaggior consiglio il dì seguente primo di maggio. Fattaquesta risoluzione, desiderio principale di Buonaparte, ementre ella tuttavia si stava dal segretario Alberti disten-dendo, il procurator Pesaro lagrimando disse in dialettoVeneziano queste memorande parole: “vedo, che per lamia patria le xe finìa: mi non posso sicuramente prestar-ghe verun ajuto: ogni paese per un galantuomo xe pa-tria, nei Svizzeri se pol facilmente occuparse”. Poi cesseda Venezia, sapendo, che Buonaparte domandava la suamorte. Felice Francesco Pesaro, se, come disse, cosìavesse fatto, e se trapassando ritirato e dolente la restan-te sua vita nell'Elvetiche montagne, avesse lasciato al

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mondo l'esempio di un amore di patria, scevro da ambi-zione, che se stesso, Venezia, Italia avrebbe perpetua-mente onorato!Era la mattina del primo maggio, quando la repubblicaVeneziana doveva cadere da per se stessa nell'agguato,che le era teso. Era il palazzo pubblico circondato perogni parte da genti armate, i cannoni presti, le micce ac-cese, apparato insolito da tanti secoli in quella quieta re-pubblica. Custodivano per antico rito gli arsenalotti leinteriori stanze del palazzo: i capi di strada pienid'uomini in armi. Si maravigliava il popolo, ignaro dellacagione, a quel romor soldatesco; la città tutta occupavaun grandissimo terrore: quei luoghi medesimi, che persapienza di governo, per benignità di cielo, per fortezzadi sito erano stati sempre pieni di gente allegrissima pernatura, civilissima per costumi, ora risuonavano d'armi ed'armati, e quelle armi, e quegli armati accennavano,non a salvamento, ma a distruzione della patria.Convocati i padri al suono delle solite campane (nonsenza lagrime io queste cose racconto) e adunatisi inmaggior consiglio, rappresentava con gravissime paroleil doge la funesta condizione, a cui era ridotta la repub-blica, infelicissima, ma innocente; avere ella sempre,dappoichè la rivoluzione Francese aveva spaventato ilmondo, vissuto in uguali termini d'amicizia con tutti; nèmai aver voluto pendere più da questa parte, che daquella; ciò aver richiesto da lei l'antica sua consuetudi-ne; ciò gl'interessi suoi più preziosi, perchè se si fosse

mondo l'esempio di un amore di patria, scevro da ambi-zione, che se stesso, Venezia, Italia avrebbe perpetua-mente onorato!Era la mattina del primo maggio, quando la repubblicaVeneziana doveva cadere da per se stessa nell'agguato,che le era teso. Era il palazzo pubblico circondato perogni parte da genti armate, i cannoni presti, le micce ac-cese, apparato insolito da tanti secoli in quella quieta re-pubblica. Custodivano per antico rito gli arsenalotti leinteriori stanze del palazzo: i capi di strada pienid'uomini in armi. Si maravigliava il popolo, ignaro dellacagione, a quel romor soldatesco; la città tutta occupavaun grandissimo terrore: quei luoghi medesimi, che persapienza di governo, per benignità di cielo, per fortezzadi sito erano stati sempre pieni di gente allegrissima pernatura, civilissima per costumi, ora risuonavano d'armi ed'armati, e quelle armi, e quegli armati accennavano,non a salvamento, ma a distruzione della patria.Convocati i padri al suono delle solite campane (nonsenza lagrime io queste cose racconto) e adunatisi inmaggior consiglio, rappresentava con gravissime paroleil doge la funesta condizione, a cui era ridotta la repub-blica, infelicissima, ma innocente; avere ella sempre,dappoichè la rivoluzione Francese aveva spaventato ilmondo, vissuto in uguali termini d'amicizia con tutti; nèmai aver voluto pendere più da questa parte, che daquella; ciò aver richiesto da lei l'antica sua consuetudi-ne; ciò gl'interessi suoi più preziosi, perchè se si fosse

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fatta aderente ai principi confederati contro la Francia,le navi Francesi avrebbero messo a ruba il commerciotanto florido dei Veneziani, e se avesse prestato le orec-chie alle proposte Francesi, la potentissima casad'Austria confinante con Venezia per terra e per mare,da Crema fino all'Albanìa, avrebbe potuto occupar glistati dell'imprudente repubblica, sarebbesi in ambi i casiturbata quella quiete, per cui tanto fiorivano l'agricolturaed il commercio: essersi avuto speranza, che le forzeunite dell'Austria stessa, del re di Sardegna, e degli ausi-liari Napolitani impedissero la venuta dei Francesi inItalia, e però non essersi seguitati gli esempi dei mag-giori dell'apprestar armi ed armati per allontanar dalleprovince Venete perturbazioni, che non si mostravanoprobabili. A questa medesima risoluzione aver dato for-za lo stato dell'erario, ancor consunto dalla guerra colTurco, dalle tre neutralità armate in Italia, dai contagi diDalmazia, dalle riparazioni dei fiumi, dalla spedizionecontro Tunisi: essersi creduto pericoloso l'impor nuovegravezze in un tempo massimamente, in cui ognuno sifaceva lecito di esaminare, e di censurare ogni azione dichi comanda: da questi fondamenti essere derivate le ri-soluzioni fatte, la blandizie usata, il riconoscimento del-la repubblica Francese, l'avere accolto un suo ministro aVenezia, e mandato un ministro Veneziano a Parigi, leprovvisioni apprestate agli eserciti d'ambe le parti; daimedesimi essere anche proceduta la moderazione racco-mandata ai sudditi, anche in mezzo a tante cagioni disdegno, quando già i Francesi, rotta ogni barriera, ave-

fatta aderente ai principi confederati contro la Francia,le navi Francesi avrebbero messo a ruba il commerciotanto florido dei Veneziani, e se avesse prestato le orec-chie alle proposte Francesi, la potentissima casad'Austria confinante con Venezia per terra e per mare,da Crema fino all'Albanìa, avrebbe potuto occupar glistati dell'imprudente repubblica, sarebbesi in ambi i casiturbata quella quiete, per cui tanto fiorivano l'agricolturaed il commercio: essersi avuto speranza, che le forzeunite dell'Austria stessa, del re di Sardegna, e degli ausi-liari Napolitani impedissero la venuta dei Francesi inItalia, e però non essersi seguitati gli esempi dei mag-giori dell'apprestar armi ed armati per allontanar dalleprovince Venete perturbazioni, che non si mostravanoprobabili. A questa medesima risoluzione aver dato for-za lo stato dell'erario, ancor consunto dalla guerra colTurco, dalle tre neutralità armate in Italia, dai contagi diDalmazia, dalle riparazioni dei fiumi, dalla spedizionecontro Tunisi: essersi creduto pericoloso l'impor nuovegravezze in un tempo massimamente, in cui ognuno sifaceva lecito di esaminare, e di censurare ogni azione dichi comanda: da questi fondamenti essere derivate le ri-soluzioni fatte, la blandizie usata, il riconoscimento del-la repubblica Francese, l'avere accolto un suo ministro aVenezia, e mandato un ministro Veneziano a Parigi, leprovvisioni apprestate agli eserciti d'ambe le parti; daimedesimi essere anche proceduta la moderazione racco-mandata ai sudditi, anche in mezzo a tante cagioni disdegno, quando già i Francesi, rotta ogni barriera, ave-

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vano inondato le terre della repubblica: per questo averemandato sovente al supremo comandante dei Francesiragguardevoli cittadini, acciocchè il tenessero bene edi-ficato, e difendessero la repubblica presso a lui contro leaccuse, e le minacce continue de' suoi soldati. Qui, alte-ratasi dal dolore la voce del serenissimo principe, fu dalui continuato a dirsi, essere oramai giunto il fatale mo-mento, in cui la Francia, cacciati con replicate vittoriegli Austriaci dall'Italia, e costrettigli alla pace, chiusi iporti del Mediterraneo agl'Inglesi per mezzo della pacecon Napoli, trionfato sul Reno, avendo per alleate laOlanda e la Spagna, poteva senza risguardo alcuno, esenza diversione usare tutte le sue forze contro i Vene-ziani: debole, ed umile nazione essere i Veneziani a pa-ragone di tante altre nazioni vinte, e soggiogate dallaFrancia: quando bene il profondo segreto, in cui si tene-vano i preliminari di Leoben, non desse giusta cagionedi sospettare di qualche grande calamità contro gli statidella repubblica, non potere lei ingannar se stessa a se-gno di sperare potersi difendere o contro assalti vivi, ocontro lungo assedio; già stringersi per mare Venezia,già legni armati Francesi correre l'Adriatico; invano cre-dersi, le difese apprestate nell'estuario, avutosi anche ri-guardo al sito naturale di Venezia, quando ogni sussidio,ogni soccorso da ogni parte mancasse, potessero durarlungo tempo contro un nemico tanto audace e tanto for-tunato; una resa inevitabile dover concludere un assediolungo, e misto di mali estremi per un popolo avvezzo adabbondar di tutto. Tale essere la condizione della repub-

vano inondato le terre della repubblica: per questo averemandato sovente al supremo comandante dei Francesiragguardevoli cittadini, acciocchè il tenessero bene edi-ficato, e difendessero la repubblica presso a lui contro leaccuse, e le minacce continue de' suoi soldati. Qui, alte-ratasi dal dolore la voce del serenissimo principe, fu dalui continuato a dirsi, essere oramai giunto il fatale mo-mento, in cui la Francia, cacciati con replicate vittoriegli Austriaci dall'Italia, e costrettigli alla pace, chiusi iporti del Mediterraneo agl'Inglesi per mezzo della pacecon Napoli, trionfato sul Reno, avendo per alleate laOlanda e la Spagna, poteva senza risguardo alcuno, esenza diversione usare tutte le sue forze contro i Vene-ziani: debole, ed umile nazione essere i Veneziani a pa-ragone di tante altre nazioni vinte, e soggiogate dallaFrancia: quando bene il profondo segreto, in cui si tene-vano i preliminari di Leoben, non desse giusta cagionedi sospettare di qualche grande calamità contro gli statidella repubblica, non potere lei ingannar se stessa a se-gno di sperare potersi difendere o contro assalti vivi, ocontro lungo assedio; già stringersi per mare Venezia,già legni armati Francesi correre l'Adriatico; invano cre-dersi, le difese apprestate nell'estuario, avutosi anche ri-guardo al sito naturale di Venezia, quando ogni sussidio,ogni soccorso da ogni parte mancasse, potessero durarlungo tempo contro un nemico tanto audace e tanto for-tunato; una resa inevitabile dover concludere un assediolungo, e misto di mali estremi per un popolo avvezzo adabbondar di tutto. Tale essere la condizione della repub-

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blica, combattuta da un amico divenuto nemico dopotanta ospitalità usata verso di lui, appetita da un amico,per cui si erano sofferte tante disgrazie, insidiata forseda cittadini perversi, per cui il sovvertire era uso, piace-re, massima, e speranza; essersi abbattuta in un secolo,in cui l'innocenza è derisa, la fede non creduta, i dirittinulla, la forza tutto; solo le stragi e le vittorie aversi inonore; la virtù non attendersi, se non per contaminarla.Che potere Venezia, a cui solo erano scudo l'innocenza ela virtù? Cedessero adunque, cedessero, esortava, ad unanecessità ineluttabile, e poichè l'estremo dei tempi eragiunto, in quell'estremo tempo pensassero, che meglioera recidere qualche ramo, sebbene essenziale, chel'albero tutto; che cosa di poco momento era una modifi-cazione, purchè si conservasse la repubblica; che biso-gnava a guisa di provvidi marinari far getto di una partedel carico per salvar la nave. Gli pregava pertanto, escongiurava, per quanto avessero cara la patria, perquanto avessero care le famiglie, per quelle mura stessetanto magnifiche e tanto dilette, per la nobile Venezia,per la salute di lei, per quanto aveva in se di dolce,d'augusto, e di reverendo un'antica congiunzione d'amo-re e d'interessi, udissero benignamente quello, che eranoper proporre alla sapienza loro i savi a fine di far abilitàai zelanti legati eletti a trattare col supremo dispositoredelle cose Francesi in Italia, di qualche alterazione negliordini fondamentali della repubblica.Queste compassionevoli parole del doge ingenerarono

blica, combattuta da un amico divenuto nemico dopotanta ospitalità usata verso di lui, appetita da un amico,per cui si erano sofferte tante disgrazie, insidiata forseda cittadini perversi, per cui il sovvertire era uso, piace-re, massima, e speranza; essersi abbattuta in un secolo,in cui l'innocenza è derisa, la fede non creduta, i dirittinulla, la forza tutto; solo le stragi e le vittorie aversi inonore; la virtù non attendersi, se non per contaminarla.Che potere Venezia, a cui solo erano scudo l'innocenza ela virtù? Cedessero adunque, cedessero, esortava, ad unanecessità ineluttabile, e poichè l'estremo dei tempi eragiunto, in quell'estremo tempo pensassero, che meglioera recidere qualche ramo, sebbene essenziale, chel'albero tutto; che cosa di poco momento era una modifi-cazione, purchè si conservasse la repubblica; che biso-gnava a guisa di provvidi marinari far getto di una partedel carico per salvar la nave. Gli pregava pertanto, escongiurava, per quanto avessero cara la patria, perquanto avessero care le famiglie, per quelle mura stessetanto magnifiche e tanto dilette, per la nobile Venezia,per la salute di lei, per quanto aveva in se di dolce,d'augusto, e di reverendo un'antica congiunzione d'amo-re e d'interessi, udissero benignamente quello, che eranoper proporre alla sapienza loro i savi a fine di far abilitàai zelanti legati eletti a trattare col supremo dispositoredelle cose Francesi in Italia, di qualche alterazione negliordini fondamentali della repubblica.Queste compassionevoli parole del doge ingenerarono

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terrore, dolore, e pianto negli ascoltanti. Favellava nellamedesima sentenza Pietro Antonio Bembo, che fu poiuno dei municipali eletti da Villetard. Posto il partito, eraccolti i voti, fu appruovato con cinquecento novantot-to favorevoli, e ventuno contrari. Lodava il doge la virtùdel maggior consiglio, esortava ad aver costanza, a nondisperare della repubblica, a tener credenza del partitodeliberato: poscia tra il dolore, la mestizia, ed il terribileaspetto dell'avvenire si scioglieva il consiglio.Il crudo capitano intanto perseguitava Venezia. CalavaBuonaparte furibondo dalle noriche Alpi, e la circuivad'ogni intorno. Villetard, ed i suoi aderenti l'insidiavanodentro. Piacemi in tanta depressione di spiriti e viltàd'animi, il raccontare, la costanza mostrata in Treviso incospetto del generalissimo da Angelo Giustiniani, prov-veditore di quella provincia. Sdegnato il generalissimoaccusava i Veneziani di perfidie, di tradimenti, di assas-sinj; minacciava sterminio, domandava il sangue di Pe-saro, degl'inquisitori, del comandante del Lido. Rispon-deva Giustiniani, le enormità d'oltremincio e di Veronaessere state provocate dalle insolenze de' suoi soldati,sempre essere stata passiva Venezia, e con somma gene-rosità, e con insopportabile dispendio avere mantenutoper sì lungo tempo l'esercito di Francia; amico fedele,non avere mai usato tante occasioni propizie per con-giungersi con gli eserciti dell'imperatore a danno deiFrancesi; non che avesse concitato i sudditi contro i sol-dati di Francia, avergli anzi sempre tenuti in freno, an-

terrore, dolore, e pianto negli ascoltanti. Favellava nellamedesima sentenza Pietro Antonio Bembo, che fu poiuno dei municipali eletti da Villetard. Posto il partito, eraccolti i voti, fu appruovato con cinquecento novantot-to favorevoli, e ventuno contrari. Lodava il doge la virtùdel maggior consiglio, esortava ad aver costanza, a nondisperare della repubblica, a tener credenza del partitodeliberato: poscia tra il dolore, la mestizia, ed il terribileaspetto dell'avvenire si scioglieva il consiglio.Il crudo capitano intanto perseguitava Venezia. CalavaBuonaparte furibondo dalle noriche Alpi, e la circuivad'ogni intorno. Villetard, ed i suoi aderenti l'insidiavanodentro. Piacemi in tanta depressione di spiriti e viltàd'animi, il raccontare, la costanza mostrata in Treviso incospetto del generalissimo da Angelo Giustiniani, prov-veditore di quella provincia. Sdegnato il generalissimoaccusava i Veneziani di perfidie, di tradimenti, di assas-sinj; minacciava sterminio, domandava il sangue di Pe-saro, degl'inquisitori, del comandante del Lido. Rispon-deva Giustiniani, le enormità d'oltremincio e di Veronaessere state provocate dalle insolenze de' suoi soldati,sempre essere stata passiva Venezia, e con somma gene-rosità, e con insopportabile dispendio avere mantenutoper sì lungo tempo l'esercito di Francia; amico fedele,non avere mai usato tante occasioni propizie per con-giungersi con gli eserciti dell'imperatore a danno deiFrancesi; non che avesse concitato i sudditi contro i sol-dati di Francia, avergli anzi sempre tenuti in freno, an-

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che quando la fortuna si mostrava favorevole alle armiTedesche; di ciò far fede la esperienza, di ciò gli ordinidel senato inculcatori sempre di pazienza, di moderazio-ne, di assistenza verso le genti Francesi; del fatto delLido essere stata cagione la impertinenza dell'armatore,rompitore superbo delle municipali leggi, la resistenzamedesima si sarebbe usata contro un armatore di qua-lunque altra nazione, che a disprezzo tanto insolentedella sovranità fosse trascorso.A queste risposte Buonaparte, in atto di furioso Giusti-niani guardando, gl'intimava, se gli togliesse davanti,sgombrasse dalla terraferma; se no, l'avrebbe fatto am-mazzare.Replicava Giustiniani, il senato avere commesso allasua fede Treviso, non potere, nè volere partir da Treviso,se non per ordine del senato; che non lo spaventava ilmorire; che, poichè egli aveva sete di Veneziano sangue,pigliassesi il suo, ed il restante risparmiasse. Tanta fer-mezza faceva, secondo il solito, piegare Buonaparte.Entrava in sull'accarezzarlo, dicendogli, che sapeva,ch'egli aveva governato con integrità e dolcezza il Trivi-giano: veniva finalmente sul promettergli, che nella or-dinata distruzione delle proprietà, e delle case dei nobiliVeneziani, le sue sarebbero preservate, offerta certamen-te vile in un'occorrenza tanto miserabile della patria Ve-neziana, e degna di chi la faceva. Non si rimaneva perquesto il Veneziano, imputandosi ad ingiuria la promes-sa mansuetudine. Generosamente pertanto al capitano di

che quando la fortuna si mostrava favorevole alle armiTedesche; di ciò far fede la esperienza, di ciò gli ordinidel senato inculcatori sempre di pazienza, di moderazio-ne, di assistenza verso le genti Francesi; del fatto delLido essere stata cagione la impertinenza dell'armatore,rompitore superbo delle municipali leggi, la resistenzamedesima si sarebbe usata contro un armatore di qua-lunque altra nazione, che a disprezzo tanto insolentedella sovranità fosse trascorso.A queste risposte Buonaparte, in atto di furioso Giusti-niani guardando, gl'intimava, se gli togliesse davanti,sgombrasse dalla terraferma; se no, l'avrebbe fatto am-mazzare.Replicava Giustiniani, il senato avere commesso allasua fede Treviso, non potere, nè volere partir da Treviso,se non per ordine del senato; che non lo spaventava ilmorire; che, poichè egli aveva sete di Veneziano sangue,pigliassesi il suo, ed il restante risparmiasse. Tanta fer-mezza faceva, secondo il solito, piegare Buonaparte.Entrava in sull'accarezzarlo, dicendogli, che sapeva,ch'egli aveva governato con integrità e dolcezza il Trivi-giano: veniva finalmente sul promettergli, che nella or-dinata distruzione delle proprietà, e delle case dei nobiliVeneziani, le sue sarebbero preservate, offerta certamen-te vile in un'occorrenza tanto miserabile della patria Ve-neziana, e degna di chi la faceva. Non si rimaneva perquesto il Veneziano, imputandosi ad ingiuria la promes-sa mansuetudine. Generosamente pertanto al capitano di

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Francia parlando, gli dichiarava, che, poichè egli trova-va lui e la sua condotta immune di colpa, confessasseancora, essere innocente il senato, dai comandamentidel quale, qual riverente figliuolo, riconosceva quantoaveva fatto; ch'egli era stato amico dei Francesi, perchèil senato era; che se loro fosse stato nemico il senato,anch'egli sarebbe stato; conciossiachè egli era semprestato, e sarebbe fedele esecutore dei voleri della sua pa-tria, per pruovare l'innocenza della quale con documentiirrefragabili, gli si offeriva in ostaggio in qualunque luo-go gli piacesse mandarlo. Aggiungeva, che non sarebbeeroe Buonaparte, se non l'accettasse. Quanto alla immu-nità offerta de' suoi beni: rifiutare sdegnosamente l'infa-me dono, poichè, perduta la patria, tutto era perduto perlui, ed eterno rossore avrebbe, se le proprietà sue fra leceneri fumanti de' suoi concittadini illese restassero.Quivi scignendosi la spada, la metteva a' piè del conqui-statore. Buonaparte già fin d'allora uso ad avere intornoadulatori, nè sapendo che cosa volesse dir Giustinianicon quel suo amor di giustizia e di patria, tra attonito,beffardo e dispettoso, lo lasciava andare. Atto, e parlaregeneroso fu questo di Angelo Giustiniani, e degno chetrapassi alla posterità mediante l'instrumento delle lette-re. Pure il secolo vile griderà Buonaparte grande, Giusti-niani matto.Intanto i macchinatori non si ristavano in Venezia, noncontenti al cambiamento parziale autorizzato dal consi-glio grande. Spargevano voci insidiose, non potersi resi-

Francia parlando, gli dichiarava, che, poichè egli trova-va lui e la sua condotta immune di colpa, confessasseancora, essere innocente il senato, dai comandamentidel quale, qual riverente figliuolo, riconosceva quantoaveva fatto; ch'egli era stato amico dei Francesi, perchèil senato era; che se loro fosse stato nemico il senato,anch'egli sarebbe stato; conciossiachè egli era semprestato, e sarebbe fedele esecutore dei voleri della sua pa-tria, per pruovare l'innocenza della quale con documentiirrefragabili, gli si offeriva in ostaggio in qualunque luo-go gli piacesse mandarlo. Aggiungeva, che non sarebbeeroe Buonaparte, se non l'accettasse. Quanto alla immu-nità offerta de' suoi beni: rifiutare sdegnosamente l'infa-me dono, poichè, perduta la patria, tutto era perduto perlui, ed eterno rossore avrebbe, se le proprietà sue fra leceneri fumanti de' suoi concittadini illese restassero.Quivi scignendosi la spada, la metteva a' piè del conqui-statore. Buonaparte già fin d'allora uso ad avere intornoadulatori, nè sapendo che cosa volesse dir Giustinianicon quel suo amor di giustizia e di patria, tra attonito,beffardo e dispettoso, lo lasciava andare. Atto, e parlaregeneroso fu questo di Angelo Giustiniani, e degno chetrapassi alla posterità mediante l'instrumento delle lette-re. Pure il secolo vile griderà Buonaparte grande, Giusti-niani matto.Intanto i macchinatori non si ristavano in Venezia, noncontenti al cambiamento parziale autorizzato dal consi-glio grande. Spargevano voci insidiose, non potersi resi-

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stere, dovere lo stato accomodarsi al secolo con un tota-le cambiamento negli ordini primitivi; potere Veneziavivere ancora gloriosa lungo tempo; antiquate essere lesue forme, alcune inutili, alcune dannose, alcune ridico-le; popolo, popolo vuol essere; non patriziato, non ari-stocrazia; la ragione avere a governar gli stati; i dirittiessere per natura uguali, dover essere uguale l'autorità;nuovi secoli sorgere alla rigenerata umanità; nuova li-bertà nascere, non di pochi potenti, comandanti a moltischiavi, ma di tutti sovrani comandanti a nissuno schia-vo. Quindi la cosa ritraevano a Venezia: detestavanoPietro Gradenigo, lodavano Baiamonte Tiepolo; i piom-bi, i molinelli, il canale Orfano con frequenti discorsimemoravano, gl'inquisitori di stato abbominavano. Capia costoro erano un Giovanni Andrea Spada, di frescouscito dai piombi, antico daziero, e come trovo scrittoda alcuni, antico esploratore e rapportatore degl'inquisi-tori, ed un Tommaso Pietro Zorzi, di professione dro-ghiere. Seguitavano, ma più celatamente, e più con desi-derii dimostrati che con opere attive, un Gallino da Pa-dova, un Giuliani da Desenzano, un Sordina da Corfù,finalmente un Dandolo da Venezia, uomo assai chiaroper fama, per dottrina, per eloquenza, e per un certosplendore d'animo e di corpo, che molto il rendevanoosservabile. S'aggiungevano, come suol avvenire, donneamatrici di una politica libertà, che non intendevano; masiccome elle avevano l'animo volto al bene, così forma-vano nelle facili fantasie loro una immagine di libertà,piena di ogni bene, spoglia di ogni male.

stere, dovere lo stato accomodarsi al secolo con un tota-le cambiamento negli ordini primitivi; potere Veneziavivere ancora gloriosa lungo tempo; antiquate essere lesue forme, alcune inutili, alcune dannose, alcune ridico-le; popolo, popolo vuol essere; non patriziato, non ari-stocrazia; la ragione avere a governar gli stati; i dirittiessere per natura uguali, dover essere uguale l'autorità;nuovi secoli sorgere alla rigenerata umanità; nuova li-bertà nascere, non di pochi potenti, comandanti a moltischiavi, ma di tutti sovrani comandanti a nissuno schia-vo. Quindi la cosa ritraevano a Venezia: detestavanoPietro Gradenigo, lodavano Baiamonte Tiepolo; i piom-bi, i molinelli, il canale Orfano con frequenti discorsimemoravano, gl'inquisitori di stato abbominavano. Capia costoro erano un Giovanni Andrea Spada, di frescouscito dai piombi, antico daziero, e come trovo scrittoda alcuni, antico esploratore e rapportatore degl'inquisi-tori, ed un Tommaso Pietro Zorzi, di professione dro-ghiere. Seguitavano, ma più celatamente, e più con desi-derii dimostrati che con opere attive, un Gallino da Pa-dova, un Giuliani da Desenzano, un Sordina da Corfù,finalmente un Dandolo da Venezia, uomo assai chiaroper fama, per dottrina, per eloquenza, e per un certosplendore d'animo e di corpo, che molto il rendevanoosservabile. S'aggiungevano, come suol avvenire, donneamatrici di una politica libertà, che non intendevano; masiccome elle avevano l'animo volto al bene, così forma-vano nelle facili fantasie loro una immagine di libertà,piena di ogni bene, spoglia di ogni male.

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Ma trattando di coloro, che tenevano lo stato, alcuni perdebolezza non erano capaci di risoluzione generosa, edobbedivano al tempo: tal era il doge Manin, fievole pernatura, perduto di consiglio. Altri per ambizione, o peropinione secondavano il moto. Notavansi principalmen-te fra costoro Pietro Donato, conferente eletto ad abboc-carsi coi ministri esteri dopo la partenza di Pesaro, eFrancesco Battaglia, stato provveditore in terraferma, euno degli avogadori del comune. Quale pro sperassequest'ultimo poter derivare da coloro, che gli avevanousato quel tratto del manifesto, io non lo so. Andavanocon Donato e Battaglia, Alessandro Marcello, AntonioRuzzini, Zaccaria Vallaresso, Alvise Pisani, GiacomoGrimani, Pietro Bembo, Daniel Dolfino, ed altri fra isavi attuali ed usciti. Nè da loro dissentiva TommasoCondulmer, sopraintendente alle difese delle lagune,grande fondamento alle macchinazioni loro, perchè ave-va la forza in mano, e le chiavi di Venezia. S'accostava-no a tutti questi promotori di novità, parte ingannati,parte ingannatori, non pochi altri che credevano, cheuna mutazione nelle forme politiche avesse a ritrar la re-pubblica da quell'abisso in cui era precipitata; gente sin-cera e semplice, che non aveva giudicato ciò che signifi-cassero gli avvenimenti dati da Vienna e da Parigi pergli ambasciadori Grimani e Querini, le ribellioni di ter-raferma, la necessità di compensar l'Austria, le fraudinon troppo coperte di coloro che governavano lo stato inFrancia, le armi in Italia. Aveva contrastato a tutti questigagliardamente Francesco Pesaro; poi quando cesse dal-

Ma trattando di coloro, che tenevano lo stato, alcuni perdebolezza non erano capaci di risoluzione generosa, edobbedivano al tempo: tal era il doge Manin, fievole pernatura, perduto di consiglio. Altri per ambizione, o peropinione secondavano il moto. Notavansi principalmen-te fra costoro Pietro Donato, conferente eletto ad abboc-carsi coi ministri esteri dopo la partenza di Pesaro, eFrancesco Battaglia, stato provveditore in terraferma, euno degli avogadori del comune. Quale pro sperassequest'ultimo poter derivare da coloro, che gli avevanousato quel tratto del manifesto, io non lo so. Andavanocon Donato e Battaglia, Alessandro Marcello, AntonioRuzzini, Zaccaria Vallaresso, Alvise Pisani, GiacomoGrimani, Pietro Bembo, Daniel Dolfino, ed altri fra isavi attuali ed usciti. Nè da loro dissentiva TommasoCondulmer, sopraintendente alle difese delle lagune,grande fondamento alle macchinazioni loro, perchè ave-va la forza in mano, e le chiavi di Venezia. S'accostava-no a tutti questi promotori di novità, parte ingannati,parte ingannatori, non pochi altri che credevano, cheuna mutazione nelle forme politiche avesse a ritrar la re-pubblica da quell'abisso in cui era precipitata; gente sin-cera e semplice, che non aveva giudicato ciò che signifi-cassero gli avvenimenti dati da Vienna e da Parigi pergli ambasciadori Grimani e Querini, le ribellioni di ter-raferma, la necessità di compensar l'Austria, le fraudinon troppo coperte di coloro che governavano lo stato inFrancia, le armi in Italia. Aveva contrastato a tutti questigagliardamente Francesco Pesaro; poi quando cesse dal-

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le faccende della patria, anzi dalla patria stessa, e cheBattaglia per piacere a Buonaparte domandava il suosangue, contrastavano la maggior parte dei savj di terra-ferma. Fra di loro più animosi si mostravano, e più viviGiuseppe Priuli e Niccolò Erizzo, i cui nomi sarannosempre cari a chi sono care la patria e la indipendenza.Principalissimo fondamento ai disegni dei novatori eraVilletard, segretario del ministro di Francia, il quale,sebbene fosse stata dal generalissimo intimata solenne-mente la guerra ai Veneziani, continuava a starsene,come persona pubblica, a Venezia; ed anzi teneva alzatoalla sua porta lo stemma della repubblica di Francia, te-stimonianza sensibile della rotta irregolarità di quei tem-pi, e della debolezza del governo Veneziano. EraVilletard giovane molto infiammato nelle opinioni diquei tempi, ma d'animo integerrimo, ed amico vero dellalibertà: i suoi maneggi in Venezia piuttosto da un grandeerrore di mente, che da perversità di cuore procedevano;perciocchè certo è, ch'ei si muoveva a voler cambiare ilgoverno Veneto, perchè credeva in ciò servire alla liber-tà, in una forma collocandola, con la quale non potevasussistere: le geometrie politiche gli avevano stravoltol'intelletto; ma certamente, s'egli avesse penetrato, o permeglio dire creduto o vero o possibile il disegno di Buo-naparte di cambiar Venezia per poterla dare in predaall'imperatore, ne sarebbe stato abborrente, come abbor-renti ne sarebbero anche stati i novatori Italiani, che siadoperavano nel procurar queste mutazioni.

le faccende della patria, anzi dalla patria stessa, e cheBattaglia per piacere a Buonaparte domandava il suosangue, contrastavano la maggior parte dei savj di terra-ferma. Fra di loro più animosi si mostravano, e più viviGiuseppe Priuli e Niccolò Erizzo, i cui nomi sarannosempre cari a chi sono care la patria e la indipendenza.Principalissimo fondamento ai disegni dei novatori eraVilletard, segretario del ministro di Francia, il quale,sebbene fosse stata dal generalissimo intimata solenne-mente la guerra ai Veneziani, continuava a starsene,come persona pubblica, a Venezia; ed anzi teneva alzatoalla sua porta lo stemma della repubblica di Francia, te-stimonianza sensibile della rotta irregolarità di quei tem-pi, e della debolezza del governo Veneziano. EraVilletard giovane molto infiammato nelle opinioni diquei tempi, ma d'animo integerrimo, ed amico vero dellalibertà: i suoi maneggi in Venezia piuttosto da un grandeerrore di mente, che da perversità di cuore procedevano;perciocchè certo è, ch'ei si muoveva a voler cambiare ilgoverno Veneto, perchè credeva in ciò servire alla liber-tà, in una forma collocandola, con la quale non potevasussistere: le geometrie politiche gli avevano stravoltol'intelletto; ma certamente, s'egli avesse penetrato, o permeglio dire creduto o vero o possibile il disegno di Buo-naparte di cambiar Venezia per poterla dare in predaall'imperatore, ne sarebbe stato abborrente, come abbor-renti ne sarebbero anche stati i novatori Italiani, che siadoperavano nel procurar queste mutazioni.

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Adunati, ed ordinati per tal modo tutti gli amminicoli didistruzione, restava ad ordinarsi il modo di usargli, per-chè sortissero l'effetto proposto; del che i capi non ista-vano lungo tempo in forse. Villetard, Donato e Battagliacontinuamente instavano presso il governo, acciocchè,riformando gli ordini, e riducendogli alla forma demo-cratica, pensasse finalmente alla salute sua. Spaventava-no rapportando, che il numero degli scontenti, e dei no-vatori era incredibile, che cresceva ogni dì più, che giàerano sedicimila, e che già si congiurava a rovina dellostato. Di ciò d'ogni intorno apparire segni; già vedersigirare le nappe tricolorite; già udirsi voci e nascoste, epalesi di libertà; già dal vicino continente, da Padovamassimamente, arrivare gli scritti incitatori, ed annun-ziatori di sinistri eventi; cambiate già essere in fondo dauna fortuna insuperabile le parti estreme, e circonvicinedella Veneta repubblica; doversi ancora, gridavano,cambiare il cuore, ed agli ordini nuovi delle parti estre-me uniformarlo.Tutte queste rapportazioni partorivano effetti maravi-gliosi in animi ammolliti da lunga pace, ed insoliti a sìterribili rimescolamenti. I raggiratori, veduto il tempopropizio, e temendo che la riforma si arrestasse a mezzastrada, e che solo il governo si allargasse, ma non scen-desse fino alla forma democratica, si misero in sul faremaggiori spaventi, ed in sul volere, che del tutto il patri-ziato si abolisse; tal era la mossa data dal generalissimo.Di questo negozio arrivavano cenni da Milano, dove

Adunati, ed ordinati per tal modo tutti gli amminicoli didistruzione, restava ad ordinarsi il modo di usargli, per-chè sortissero l'effetto proposto; del che i capi non ista-vano lungo tempo in forse. Villetard, Donato e Battagliacontinuamente instavano presso il governo, acciocchè,riformando gli ordini, e riducendogli alla forma demo-cratica, pensasse finalmente alla salute sua. Spaventava-no rapportando, che il numero degli scontenti, e dei no-vatori era incredibile, che cresceva ogni dì più, che giàerano sedicimila, e che già si congiurava a rovina dellostato. Di ciò d'ogni intorno apparire segni; già vedersigirare le nappe tricolorite; già udirsi voci e nascoste, epalesi di libertà; già dal vicino continente, da Padovamassimamente, arrivare gli scritti incitatori, ed annun-ziatori di sinistri eventi; cambiate già essere in fondo dauna fortuna insuperabile le parti estreme, e circonvicinedella Veneta repubblica; doversi ancora, gridavano,cambiare il cuore, ed agli ordini nuovi delle parti estre-me uniformarlo.Tutte queste rapportazioni partorivano effetti maravi-gliosi in animi ammolliti da lunga pace, ed insoliti a sìterribili rimescolamenti. I raggiratori, veduto il tempopropizio, e temendo che la riforma si arrestasse a mezzastrada, e che solo il governo si allargasse, ma non scen-desse fino alla forma democratica, si misero in sul faremaggiori spaventi, ed in sul volere, che del tutto il patri-ziato si abolisse; tal era la mossa data dal generalissimo.Di questo negozio arrivavano cenni da Milano, dove

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Buonaparte si era condotto coi due legati Veneti, ai qualiera stato aggiunto per terzo Alvise Mocenigo. Recavanole Milanesi novelle, la salute della repubblica consisterenell'abolizione del patriziato, e nella creazione della de-mocrazia pura. Di questo scrivevano, come di volontàassoluta di Buonaparte, i Veneti legati; di questoquell'Haller, che si era fatto da pubblicano uomo di sta-to. Perchè poi non mancasse a questa fraude anche laparte del ladroneccio, si dava voce, che seimila zecchinidi beveraggio, senza dir per chi, avrebbero fatto granforza. Adunque tra gli spaventi e le speranze, tra le mi-nacce e le promesse, si piegava la consulta del doge, econ lei il maggior consiglio ad ampliare il mandato ailegati, acciocchè potessero consentire all'annullamentodel patriziato, ed alla creazione della democrazia. Fu an-che fatto abilità al Savio cassiere di rimettere all'ebreoVivante, perchè gli trasmettesse a Milano, i sei mila zec-chini in tante paste d'oro e d'argento, che ancora si ritro-vavano nella zecca. Se tutte queste insidie, e rapine fattea Venezia nell'ultima fine della sua vita da uomini frau-dolenti ed avari, non muovono a sdegno ed a compas-sione, bisognerà confessare, che la natura nostra sia deltutto diversa da quella, di cui si vanta.Avendo Venezia ceduto, vieppiù insorgeva Buonaparte.Non si soddisfaceva del tutto del mandato fatto ai legatidi consentire al cambiamento totale della forma del go-verno: desiderava, che il maggior consiglio di per sestesso rinunziasse alla sovranità, abolisse il patriziato, e

Buonaparte si era condotto coi due legati Veneti, ai qualiera stato aggiunto per terzo Alvise Mocenigo. Recavanole Milanesi novelle, la salute della repubblica consisterenell'abolizione del patriziato, e nella creazione della de-mocrazia pura. Di questo scrivevano, come di volontàassoluta di Buonaparte, i Veneti legati; di questoquell'Haller, che si era fatto da pubblicano uomo di sta-to. Perchè poi non mancasse a questa fraude anche laparte del ladroneccio, si dava voce, che seimila zecchinidi beveraggio, senza dir per chi, avrebbero fatto granforza. Adunque tra gli spaventi e le speranze, tra le mi-nacce e le promesse, si piegava la consulta del doge, econ lei il maggior consiglio ad ampliare il mandato ailegati, acciocchè potessero consentire all'annullamentodel patriziato, ed alla creazione della democrazia. Fu an-che fatto abilità al Savio cassiere di rimettere all'ebreoVivante, perchè gli trasmettesse a Milano, i sei mila zec-chini in tante paste d'oro e d'argento, che ancora si ritro-vavano nella zecca. Se tutte queste insidie, e rapine fattea Venezia nell'ultima fine della sua vita da uomini frau-dolenti ed avari, non muovono a sdegno ed a compas-sione, bisognerà confessare, che la natura nostra sia deltutto diversa da quella, di cui si vanta.Avendo Venezia ceduto, vieppiù insorgeva Buonaparte.Non si soddisfaceva del tutto del mandato fatto ai legatidi consentire al cambiamento totale della forma del go-verno: desiderava, che il maggior consiglio di per sestesso rinunziasse alla sovranità, abolisse il patriziato, e

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creasse la democrazìa. Gli pareva questa mutazione piùsolenne, e più sicura. Desiderava al tempo stesso di oc-cupare co' suoi soldati Venezia, e far apparire, chel'occupazione di una città tanto nobile e tanto importantein Europa fosse spontaneamente chiamata da dentro,non violentemente prodotta da fuori. In questo si propo-neva anche altri fini di non poco momento, ed eranol'entrare di queto, l'avere intiero ed intatto l'arsenale, etutto, che fosse del pubblico, il poter volgere tutte le for-ze del territorio Veneto contro l'imperatore, se la pacenon si effettuasse, e contro l'Inghilterra, che tuttavia per-severava in condizione ostile; finalmente il poter traffi-care della città stessa con l'Austria, dandogliela in vecedi Mantova e di Magonza, che ad ogni modo la Franciavoleva conservare in sua possessione. Per la qual cosa,mentre Villetard, e chi operava con lui tendevano insidieal governo in Venezia per ispegnerlo, Buonaparte nego-ziava molto apertamente fra i conviti e le feste, un trat-tato coi legati della repubblica in Milano.All'indurre il gran consiglio a cambiare lui medesimo laforma del governo, ed all'introduzione di un presidioFrancese indirizzavano Villetard, ed i Veneti che il se-condavano, tutti i loro pensieri. Per questo si rendevanecessario il privare Venezia delle sue difese con disar-mare i legni, e con allontanare gli Schiavoni, che vi al-loggiavano in numero circa di dodicimila. Per questoMorosini, che aveva il carico di preservare quell'anticasede della sua patria, spargeva, che i congiurati cresce-

creasse la democrazìa. Gli pareva questa mutazione piùsolenne, e più sicura. Desiderava al tempo stesso di oc-cupare co' suoi soldati Venezia, e far apparire, chel'occupazione di una città tanto nobile e tanto importantein Europa fosse spontaneamente chiamata da dentro,non violentemente prodotta da fuori. In questo si propo-neva anche altri fini di non poco momento, ed eranol'entrare di queto, l'avere intiero ed intatto l'arsenale, etutto, che fosse del pubblico, il poter volgere tutte le for-ze del territorio Veneto contro l'imperatore, se la pacenon si effettuasse, e contro l'Inghilterra, che tuttavia per-severava in condizione ostile; finalmente il poter traffi-care della città stessa con l'Austria, dandogliela in vecedi Mantova e di Magonza, che ad ogni modo la Franciavoleva conservare in sua possessione. Per la qual cosa,mentre Villetard, e chi operava con lui tendevano insidieal governo in Venezia per ispegnerlo, Buonaparte nego-ziava molto apertamente fra i conviti e le feste, un trat-tato coi legati della repubblica in Milano.All'indurre il gran consiglio a cambiare lui medesimo laforma del governo, ed all'introduzione di un presidioFrancese indirizzavano Villetard, ed i Veneti che il se-condavano, tutti i loro pensieri. Per questo si rendevanecessario il privare Venezia delle sue difese con disar-mare i legni, e con allontanare gli Schiavoni, che vi al-loggiavano in numero circa di dodicimila. Per questoMorosini, che aveva il carico di preservare quell'anticasede della sua patria, spargeva, che i congiurati cresce-

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vano di numero e di forza, che oggimai non si potevanopiù frenare, che nuovi soldati abbisognavano. Intanto dapersone a posta si accusava la fede degli Schiavoni, siaffermava, voler loro far un moto per saccheggiare.Dava favore a questi spaventi Condulmer, affermando,non essere le difese apprestate nelle lagune abili ad arre-star i Francesi, ove si risolvessero a passarle per assaltarVenezia; già esser grossi a Mestre, già da Fucina minac-ciare, già Brondolo, e Chioggia pericolare dalle armiloro.Quando più operava nell'animo dei patrizi il terrore, pa-rendo ai congiurati, che fosse il momento propizio, siappresentavano, per suggestione di Villetard, alle came-re del doge Spada e Zorzi, facendo una gran pressa diessere uditi per cosa che, come dicevano, importava allasalute della repubblica. Furono destinati ad udirgli Pie-tro Donato, e Francesco Battaglia. Quest'era un concer-to, perchè Donato, e Battaglia avevano avuto colloquiocon Villetard al tempo medesimo dei due congiuratiSpada e Zorzi, e sapevano quanto a narrare avessero.Rapportavano, essere stati con Villetard, avere udito dalui, che niun altro rimedio restava alla repubblica, chequello di cambiare incontanente la forma del governocon l'abolizione del patriziato. Si ordinava dal consesso,contrastanti però Erizzo e Priuli, e la maggior parte deiSavi di terraferma, a Donato, ed a Battaglia, visitasseroil segretario di Francia, e intendessero da lui quello, chevero fosse dei detti di Spada, e di Zorzi. Tornati, riferi-

vano di numero e di forza, che oggimai non si potevanopiù frenare, che nuovi soldati abbisognavano. Intanto dapersone a posta si accusava la fede degli Schiavoni, siaffermava, voler loro far un moto per saccheggiare.Dava favore a questi spaventi Condulmer, affermando,non essere le difese apprestate nelle lagune abili ad arre-star i Francesi, ove si risolvessero a passarle per assaltarVenezia; già esser grossi a Mestre, già da Fucina minac-ciare, già Brondolo, e Chioggia pericolare dalle armiloro.Quando più operava nell'animo dei patrizi il terrore, pa-rendo ai congiurati, che fosse il momento propizio, siappresentavano, per suggestione di Villetard, alle came-re del doge Spada e Zorzi, facendo una gran pressa diessere uditi per cosa che, come dicevano, importava allasalute della repubblica. Furono destinati ad udirgli Pie-tro Donato, e Francesco Battaglia. Quest'era un concer-to, perchè Donato, e Battaglia avevano avuto colloquiocon Villetard al tempo medesimo dei due congiuratiSpada e Zorzi, e sapevano quanto a narrare avessero.Rapportavano, essere stati con Villetard, avere udito dalui, che niun altro rimedio restava alla repubblica, chequello di cambiare incontanente la forma del governocon l'abolizione del patriziato. Si ordinava dal consesso,contrastanti però Erizzo e Priuli, e la maggior parte deiSavi di terraferma, a Donato, ed a Battaglia, visitasseroil segretario di Francia, e intendessero da lui quello, chevero fosse dei detti di Spada, e di Zorzi. Tornati, riferi-

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vano, Villetard, non per modo di richiesta, ma di consi-glio, avere dimostrato, importare alla salute della repub-blica, come intenzione espressa di Buonaparte, che siabolisse nel giorno stesso il patriziato, s'instituisse la de-mocrazìa, e di più le seguenti condizioni si effettuasse-ro: si carcerasse il conte d'Entraigues, agente del re Lui-gi, e tutti i suoi ricordi si dessero in mano del generalis-simo; si liberassero i carcerati per opinione; gli Schiavo-ni partissero; si surrogasse una guardia nazionale; sipubblicasse un manifesto per voce del governo; si creas-se un municipio di trentasei Veneziani di ogni classe; lecittà di terraferma, e dell'isole Venete s'invitassero amandar deputati in Venezia a fine di comporvi un con-sesso generale di governo temporaneo; tutti i delitti poli-tici si condonassero; vi fosse libertà di stampare, sì vera-mente che del passato nè quanto alle persone, nè quantoal governo non si parlasse; si chiamassero i Francesi apresidiar la città con quattromila soldati, ed occupasserol'arsenale, il castello Sant'Andrea, Chiozza, e tutte leisole circonvicine, che fossero a grado del generalissi-mo; con questo l'assedio si togliesse; la guardia naziona-le custodisse la camera, ed altri posti d'onore. Il dogeManin fosse presidente del municipio, Andrea Spadavice-presidente; Querini si richiamasse da Parigi; simandassero deputati a Buonaparte per annunziar la nuo-va forma del governo; si spacciasse col fine medesimoalle repubbliche Batava, Cispadana, Transpadana, e Ge-novese.

vano, Villetard, non per modo di richiesta, ma di consi-glio, avere dimostrato, importare alla salute della repub-blica, come intenzione espressa di Buonaparte, che siabolisse nel giorno stesso il patriziato, s'instituisse la de-mocrazìa, e di più le seguenti condizioni si effettuasse-ro: si carcerasse il conte d'Entraigues, agente del re Lui-gi, e tutti i suoi ricordi si dessero in mano del generalis-simo; si liberassero i carcerati per opinione; gli Schiavo-ni partissero; si surrogasse una guardia nazionale; sipubblicasse un manifesto per voce del governo; si creas-se un municipio di trentasei Veneziani di ogni classe; lecittà di terraferma, e dell'isole Venete s'invitassero amandar deputati in Venezia a fine di comporvi un con-sesso generale di governo temporaneo; tutti i delitti poli-tici si condonassero; vi fosse libertà di stampare, sì vera-mente che del passato nè quanto alle persone, nè quantoal governo non si parlasse; si chiamassero i Francesi apresidiar la città con quattromila soldati, ed occupasserol'arsenale, il castello Sant'Andrea, Chiozza, e tutte leisole circonvicine, che fossero a grado del generalissi-mo; con questo l'assedio si togliesse; la guardia naziona-le custodisse la camera, ed altri posti d'onore. Il dogeManin fosse presidente del municipio, Andrea Spadavice-presidente; Querini si richiamasse da Parigi; simandassero deputati a Buonaparte per annunziar la nuo-va forma del governo; si spacciasse col fine medesimoalle repubbliche Batava, Cispadana, Transpadana, e Ge-novese.

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A questi capitoli aveva voluto aggiungere Villetardl'abolizione della pena di morte; ma contrastato da Bat-taglia, se ne rimase. Altre condizioni aveva anche pro-posto Villetard, come giovane, e molto vivo in questefaccende, si aprissero i piombi a vista di popolo, l'alberodi libertà si piantasse in piazza San Marco, si ardesseroai suoi piedi le insegne dell'antico governo. Ma Batta-glia più prudente, e meglio avveduto delle cose delmondo, considerato che l'importanza del fatto consiste-va nel ridurre il governo alla democrazìa, e nell'occupa-zione di Venezia dai Francesi, e che le dimostrazioniproposte più futili che utili, avrebbero potuto contrariarela deliberazione nel maggior consiglio, lo dissuase.Accordati tutti questi capitoli fra i deputati della consul-ta del doge, ed il segretario di Francia, restava, che ilmaggior consiglio gli approvasse. Per questo Donato, eBattaglia avevano persuaso a Villetard, il quale voleva,che senza soprastamento si mettesse mano all'opera,aspettasse tre o quattro giorni, affinchè potessero fare lepratiche necessarie per indurre il maggior consiglio allarisoluzione. Incominciavano il maneggio con le solitepromesse, e coi soliti spaventi: fra le altre insidie simandava attorno una lettera di Haller, apportatrice dellerisoluzioni di Buonaparte, che cessassero i dritti eredita-rj, che si creasse la democrazìa, che si fondasse il gover-no rappresentativo: se nol facessero volontariamente,verrebbe egli a farlo per forza. Di notte tempo Spadasvegliava all'improvviso Battaglia (quest'era una mac-

A questi capitoli aveva voluto aggiungere Villetardl'abolizione della pena di morte; ma contrastato da Bat-taglia, se ne rimase. Altre condizioni aveva anche pro-posto Villetard, come giovane, e molto vivo in questefaccende, si aprissero i piombi a vista di popolo, l'alberodi libertà si piantasse in piazza San Marco, si ardesseroai suoi piedi le insegne dell'antico governo. Ma Batta-glia più prudente, e meglio avveduto delle cose delmondo, considerato che l'importanza del fatto consiste-va nel ridurre il governo alla democrazìa, e nell'occupa-zione di Venezia dai Francesi, e che le dimostrazioniproposte più futili che utili, avrebbero potuto contrariarela deliberazione nel maggior consiglio, lo dissuase.Accordati tutti questi capitoli fra i deputati della consul-ta del doge, ed il segretario di Francia, restava, che ilmaggior consiglio gli approvasse. Per questo Donato, eBattaglia avevano persuaso a Villetard, il quale voleva,che senza soprastamento si mettesse mano all'opera,aspettasse tre o quattro giorni, affinchè potessero fare lepratiche necessarie per indurre il maggior consiglio allarisoluzione. Incominciavano il maneggio con le solitepromesse, e coi soliti spaventi: fra le altre insidie simandava attorno una lettera di Haller, apportatrice dellerisoluzioni di Buonaparte, che cessassero i dritti eredita-rj, che si creasse la democrazìa, che si fondasse il gover-no rappresentativo: se nol facessero volontariamente,verrebbe egli a farlo per forza. Di notte tempo Spadasvegliava all'improvviso Battaglia (quest'era una mac-

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china concertata) gli mostrava la lettera, la mattina mol-to per tempo la recava alla signorìa. Il perchè la signorìanon abbia fatto gettar in canale lo Spada, che contro leleggi della repubblica andava, e veniva da un ministroestero, fu perchè la signorìa, e la consulta straordinariadel doge era parte debole, parte ingannata, parte d'accor-do coi novatori. Intanto gli Schiavoni, sola sicurezzacontro gli assalti e forestieri ed interni, erano stati fattiimbarcare, e già se ne stavano sulle navi, aspettando ilvento prospero per alla volta di Zara; le lagune disarma-te da Condulmer. Così Venezia, che aveva conquistatoCostantinopoli, cacciato d'Italia un re di Francia, ed unimperatore d'Alemagna, ridotta ora inerme, ed abbando-nata, collocava la sua fede, e la sua speranza in un nemi-co, che sotto spezie di amicizia la tradiva.Era il giorno dodici di maggio destinato da chi reggequeste umane cose alla distruzione della Veneziana re-pubblica. Era adunato il maggior consiglio, gli arsena-lotti, ma pochi, il custodivano; le navi difenditrici ritira-te dall'estuario si accostavano vuote al Lido; si vedevaun avviluppamento degli ultimi Schiavoni, che s'imbar-cavano; il popolo atterrito, nè ben sapendo che signifi-cassero quei sinistri presagi, si raccoglieva in folla intor-no al palazzo: i congiurati di dentro discorrevano per ri-durre il maggior consiglio a spegnere l'antico governo; icongiurati di fuori spargevano mali semi. Aiutava lefraudi loro la risoluzione del primo maggio favorevoleal modificare le antiche forme. La setta democratica

china concertata) gli mostrava la lettera, la mattina mol-to per tempo la recava alla signorìa. Il perchè la signorìanon abbia fatto gettar in canale lo Spada, che contro leleggi della repubblica andava, e veniva da un ministroestero, fu perchè la signorìa, e la consulta straordinariadel doge era parte debole, parte ingannata, parte d'accor-do coi novatori. Intanto gli Schiavoni, sola sicurezzacontro gli assalti e forestieri ed interni, erano stati fattiimbarcare, e già se ne stavano sulle navi, aspettando ilvento prospero per alla volta di Zara; le lagune disarma-te da Condulmer. Così Venezia, che aveva conquistatoCostantinopoli, cacciato d'Italia un re di Francia, ed unimperatore d'Alemagna, ridotta ora inerme, ed abbando-nata, collocava la sua fede, e la sua speranza in un nemi-co, che sotto spezie di amicizia la tradiva.Era il giorno dodici di maggio destinato da chi reggequeste umane cose alla distruzione della Veneziana re-pubblica. Era adunato il maggior consiglio, gli arsena-lotti, ma pochi, il custodivano; le navi difenditrici ritira-te dall'estuario si accostavano vuote al Lido; si vedevaun avviluppamento degli ultimi Schiavoni, che s'imbar-cavano; il popolo atterrito, nè ben sapendo che signifi-cassero quei sinistri presagi, si raccoglieva in folla intor-no al palazzo: i congiurati di dentro discorrevano per ri-durre il maggior consiglio a spegnere l'antico governo; icongiurati di fuori spargevano mali semi. Aiutava lefraudi loro la risoluzione del primo maggio favorevoleal modificare le antiche forme. La setta democratica

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trionfava.Orava il doge pallido, e tremante sui pericoli presenti:parlava delle congiure, dei desiderj di Buonaparte,dell'inutile resistenza e delle promesse date, se si rifor-masse: proponeva infine il governo rappresentativo.Mentre si stava deliberando, ecco udirsi improvvisa-mente alcune scariche d'archibusi fatte per festa, e performa di saluto nell'atto del partire degli Schiavoni, chenel sottoposto canale s'imbarcavano; rispondevano,ugualmente per festa, e per forma di saluto coi tiri loro iBocchesi alloggiati a san Zaccaria. Un subito spaventoprendeva gli adunati padri; credettero, che fossero i con-giurati intenti ad ammazzare il doge, e tutto il ceto patri-zio, siccome n'era corsa la fama per le congiure; si aggi-ravano per la sala privi d'animo e di consiglio. Gridava-no confusamente, e con gran pressa, “parte parte”, chein lingua Veneziana significava, “squittinisi, squittinisi”.Posto il partito, si vinceva con cinquecento dodici votifavorevoli, venti contrari, cinque non sinceri. A fine dipreservare incolumi, diceva il decreto, la religione, levite, e le sostanze degli amatissimi sudditi della città diVenezia, e di allontanare l'imminente pericolo di novitàviolente, ed altresì sulla fede, che fossero i giusti riguar-di avuti verso il ceto patrizio, e verso tutti i partecipidello stato, e con questo che la sicurtà della zecca e delbanco fosse guarentita, conforme ai partiti già presi ilprimo, e quarto giorno di maggio; accettava il maggiorconsiglio il governo rappresentativo, purchè a questo

trionfava.Orava il doge pallido, e tremante sui pericoli presenti:parlava delle congiure, dei desiderj di Buonaparte,dell'inutile resistenza e delle promesse date, se si rifor-masse: proponeva infine il governo rappresentativo.Mentre si stava deliberando, ecco udirsi improvvisa-mente alcune scariche d'archibusi fatte per festa, e performa di saluto nell'atto del partire degli Schiavoni, chenel sottoposto canale s'imbarcavano; rispondevano,ugualmente per festa, e per forma di saluto coi tiri loro iBocchesi alloggiati a san Zaccaria. Un subito spaventoprendeva gli adunati padri; credettero, che fossero i con-giurati intenti ad ammazzare il doge, e tutto il ceto patri-zio, siccome n'era corsa la fama per le congiure; si aggi-ravano per la sala privi d'animo e di consiglio. Gridava-no confusamente, e con gran pressa, “parte parte”, chein lingua Veneziana significava, “squittinisi, squittinisi”.Posto il partito, si vinceva con cinquecento dodici votifavorevoli, venti contrari, cinque non sinceri. A fine dipreservare incolumi, diceva il decreto, la religione, levite, e le sostanze degli amatissimi sudditi della città diVenezia, e di allontanare l'imminente pericolo di novitàviolente, ed altresì sulla fede, che fossero i giusti riguar-di avuti verso il ceto patrizio, e verso tutti i partecipidello stato, e con questo che la sicurtà della zecca e delbanco fosse guarentita, conforme ai partiti già presi ilprimo, e quarto giorno di maggio; accettava il maggiorconsiglio il governo rappresentativo, purchè a questo

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fossero conformi i desiderj del generalissimo di Francia;ed importando, che in nissun momento senza tutela lapatria comune restasse, si faceva carico ai magistrati diprovvedervi. A questo modo i patrizi Veneti dell'anti-chissima loro autorità si dispogliarono, non con dignitàin una tanta disgrazia, ma minacciati da due sudditid'oscuro nome, ed aggirati da due colleghi infedeli; nonper armi perirono, ma per insidie; non per imprudenzaanimosa, ma per imprudenza debole; non per assalto diun nemico aperto, ma per fraude di un amico disleale.Non mancò il popolo al governo, ma il governo al popo-lo, e morì una pianta con le radici buone, perchè era latesta guasta, nè ebbero i patrizi il conforto dello averperduto lo stato per virtù soperchiata, perchè coraggionon mostrarono, e la cautela fu vizio. Epperò, se i buoniebbero compassione a Venezia pel destino, la biasimaro-no per la debolezza; i tristi la schernirono. Ma certamen-te esempio terribile fu, e di funestissimi presagi pieno,quel tradire gli stati per prepararne la rapina. Il lagrime-vole caso di Venezia turbò tutto il gius pubblico d'Euro-pa, e fu peggiore di quel di Polonia, perchè in questo fupiù violenza che fraude, in quello più fraude che violen-za. I popoli presteranno difficilmente fede ai principi,quando ei dicono di essere i restitutori dei dritti, e deglistati legittimi, se prima non restituiscono Venezia. Forsealcuno dirà, che conviene all'Austria l'avere Venezia, edal re dei Paesi Bassi l'avere il Brabante Austriaco: a que-sto sto cheto. Quanto all'Italia, perì con Venezia il prin-cipale fondamento della sua indipendenza, ed il più for-

fossero conformi i desiderj del generalissimo di Francia;ed importando, che in nissun momento senza tutela lapatria comune restasse, si faceva carico ai magistrati diprovvedervi. A questo modo i patrizi Veneti dell'anti-chissima loro autorità si dispogliarono, non con dignitàin una tanta disgrazia, ma minacciati da due sudditid'oscuro nome, ed aggirati da due colleghi infedeli; nonper armi perirono, ma per insidie; non per imprudenzaanimosa, ma per imprudenza debole; non per assalto diun nemico aperto, ma per fraude di un amico disleale.Non mancò il popolo al governo, ma il governo al popo-lo, e morì una pianta con le radici buone, perchè era latesta guasta, nè ebbero i patrizi il conforto dello averperduto lo stato per virtù soperchiata, perchè coraggionon mostrarono, e la cautela fu vizio. Epperò, se i buoniebbero compassione a Venezia pel destino, la biasimaro-no per la debolezza; i tristi la schernirono. Ma certamen-te esempio terribile fu, e di funestissimi presagi pieno,quel tradire gli stati per prepararne la rapina. Il lagrime-vole caso di Venezia turbò tutto il gius pubblico d'Euro-pa, e fu peggiore di quel di Polonia, perchè in questo fupiù violenza che fraude, in quello più fraude che violen-za. I popoli presteranno difficilmente fede ai principi,quando ei dicono di essere i restitutori dei dritti, e deglistati legittimi, se prima non restituiscono Venezia. Forsealcuno dirà, che conviene all'Austria l'avere Venezia, edal re dei Paesi Bassi l'avere il Brabante Austriaco: a que-sto sto cheto. Quanto all'Italia, perì con Venezia il prin-cipale fondamento della sua indipendenza, ed il più for-

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te propugnacolo contro la potenza Alemanna. Era Vene-zia contro l'Alemagna quello, che era il re di Sardegnacontro la Francia. Quella perì per fraude, questo per for-za: si perdè l'indipendenza, non s'acquistò la libertà,l'Italia fu serva.Poichè i patrizi ebbero preso il partito di rinunziareall'autorità propria, e di rimettere lo stato nelle mani diBuonaparte, tale un timore gli assalse in quelle stanzepiene tuttavia delle immagini dei loro forti antenati, e diquanto fu da essi fatto di grande, e di glorioso sì in paceche in guerra, che non sapendo più nè dove restassero,nè dove gissero, si abbandonarono, come perduti, adogni affetto più disperato. Si ritraevano alcuni alle stan-ze private del doge, che tutto smarrito aveva dato ordi-ne, che di tutti i ducali segni si dispogliassero: altri usci-ti all'aperto per ritirarsi alle case loro, lagrimando, e gri-dando, “non è più Venezia, non è più san Marco”, face-vano uno spettacolo miserabile in mezzo alle turbe af-follate, che ancora non ben sapevano, quale e quantasciagura sovrastasse alla patria loro. I novatori, che pen-savano, essere avvenuto quello che aspettavano, e traquesti un vecchio generale Salimbeni, soldato della re-pubblica, trepidando dall'allegrezza gridavano: “viva lalibertà”. Ma il popolo, che prima era stato incerto, nèpoteva recarsi nell'animo tanta abbiezione dalla partedei patrizi, saputo il fatto, si accendeva di una furia in-credibile ed incominciava minaccioso a fare una grantumultuazione, chiamando unitamente il nome di san

te propugnacolo contro la potenza Alemanna. Era Vene-zia contro l'Alemagna quello, che era il re di Sardegnacontro la Francia. Quella perì per fraude, questo per for-za: si perdè l'indipendenza, non s'acquistò la libertà,l'Italia fu serva.Poichè i patrizi ebbero preso il partito di rinunziareall'autorità propria, e di rimettere lo stato nelle mani diBuonaparte, tale un timore gli assalse in quelle stanzepiene tuttavia delle immagini dei loro forti antenati, e diquanto fu da essi fatto di grande, e di glorioso sì in paceche in guerra, che non sapendo più nè dove restassero,nè dove gissero, si abbandonarono, come perduti, adogni affetto più disperato. Si ritraevano alcuni alle stan-ze private del doge, che tutto smarrito aveva dato ordi-ne, che di tutti i ducali segni si dispogliassero: altri usci-ti all'aperto per ritirarsi alle case loro, lagrimando, e gri-dando, “non è più Venezia, non è più san Marco”, face-vano uno spettacolo miserabile in mezzo alle turbe af-follate, che ancora non ben sapevano, quale e quantasciagura sovrastasse alla patria loro. I novatori, che pen-savano, essere avvenuto quello che aspettavano, e traquesti un vecchio generale Salimbeni, soldato della re-pubblica, trepidando dall'allegrezza gridavano: “viva lalibertà”. Ma il popolo, che prima era stato incerto, nèpoteva recarsi nell'animo tanta abbiezione dalla partedei patrizi, saputo il fatto, si accendeva di una furia in-credibile ed incominciava minaccioso a fare una grantumultuazione, chiamando unitamente il nome di san

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Marco. Cresceva la folla, a cui si erano fatti compagnipochi Dalmati non ancora imbarcati. Accorrevano ledonne, i vecchi, ed i fanciulli, e con le voci davano gliultimi segni del loro amore verso l'antica, e venerandapatria. Sventolavansi dalle finestre le bandiere di sanMarco; tre si rizzavano sulle antenne piantate in cospet-to alla chiesa di san Marco. Cominciavano le turbe rab-biose a correre gridando, e schiamazzando, e dove pas-savano, mettevansi a grado a grado fuori delle finestre ledilette bandiere. Ma non può il popolo sollevato starlungo tempo sui generali, anzi tosto dà nei particolari od'amore, o d'odio. Avvertito, che in una delle contradeper alla piazza abitava un pizzicagnolo, che aveva fattocerte dimostrazioni a favor di un uscito dai piombi, cor-reva alle sue case, ed in men che non si dice, sperdeva,o rompeva ogni mobile: poi trovatagli una nappa di trecolori addosso, gliela conficcava in fronte; già unoSchiavone stava in atto di mozzargli il capo, quando ilmal arrivato, per iscampo della vita, prometteva di pale-sare i rei delle congiure. Nè così tosto usciva dalla suabocca il nome di qualcuno, che una mano di popolo par-tiva per mettere a sacco la casa del nominato. Saccheg-giavansi per tale modo Zorzi, Gallino, Spada, Zatta li-braio. Fu avuto rispetto ai palazzi dei ministri, anche aquello di Francia. Villetard, non sapendo fino a qual ter-mine potesse trascorrere quel furor popolare, si era na-scosto dal ministro di Spagna. Là scriveva a quel gover-no, ch'egli medesimo aveva distrutto, che frenassequell'impeto; là scriveva, la sollevazione essere opera

Marco. Cresceva la folla, a cui si erano fatti compagnipochi Dalmati non ancora imbarcati. Accorrevano ledonne, i vecchi, ed i fanciulli, e con le voci davano gliultimi segni del loro amore verso l'antica, e venerandapatria. Sventolavansi dalle finestre le bandiere di sanMarco; tre si rizzavano sulle antenne piantate in cospet-to alla chiesa di san Marco. Cominciavano le turbe rab-biose a correre gridando, e schiamazzando, e dove pas-savano, mettevansi a grado a grado fuori delle finestre ledilette bandiere. Ma non può il popolo sollevato starlungo tempo sui generali, anzi tosto dà nei particolari od'amore, o d'odio. Avvertito, che in una delle contradeper alla piazza abitava un pizzicagnolo, che aveva fattocerte dimostrazioni a favor di un uscito dai piombi, cor-reva alle sue case, ed in men che non si dice, sperdeva,o rompeva ogni mobile: poi trovatagli una nappa di trecolori addosso, gliela conficcava in fronte; già unoSchiavone stava in atto di mozzargli il capo, quando ilmal arrivato, per iscampo della vita, prometteva di pale-sare i rei delle congiure. Nè così tosto usciva dalla suabocca il nome di qualcuno, che una mano di popolo par-tiva per mettere a sacco la casa del nominato. Saccheg-giavansi per tale modo Zorzi, Gallino, Spada, Zatta li-braio. Fu avuto rispetto ai palazzi dei ministri, anche aquello di Francia. Villetard, non sapendo fino a qual ter-mine potesse trascorrere quel furor popolare, si era na-scosto dal ministro di Spagna. Là scriveva a quel gover-no, ch'egli medesimo aveva distrutto, che frenassequell'impeto; là scriveva, la sollevazione essere opera

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degli agenti d'Inghilterra e di Russia, massimamente diEntraigues, quantunque nè l'Inghilterra, nè la Russia, nèEntraigues non vi avessero a fare cosa del mondo: la ca-gione era la distruzione del governo Veneziano procura-ta da Villetard medesimo; e bastavano bene le ingiuriefatte ai Veneziani, senza che vi fosse bisogno degli sti-moli di Russia e d'Inghilterra. Villetard e Donato, aiquali più di ogni altro importava il calmar quel furore,facevano opera, che si adunassero alcune compagnie disoldati Italiani, e presidiavanne il ponte di Rialto. Viconduceva Bernardino Reynier due cannoni, coi qualitratto, ed ucciso tre o quattro popolani, poneva fine aquell'incomposto accidente. Usavano Villetard, Donatoe Battaglia la occasione, e preparato e mandato il navilioa Mestre la notte dal sedici al diciassette maggio, leva-vano, sotto il comandamento di Baraguey d'Hilliers,quattromila soldati Francesi. La mattina molto per tem-po si scoprivano schierati sulla piazza di san Marco: sol-dati ed armi forestiere non mai viste in Venezia da quin-dici secoli. Creossi il municipio, si promisero cose, chenon si attennero, lusingossi con le parole, gravitossi coifatti, e tanto si continuò l'inganno, che la ricca e potenteVenezia fu data, spogliata ed inerme, in preda all'impe-rator d'Alemagna. Da questo imparino i popoli, che lagiustizia non è più fra gli uomini, che gli stati non sipossono preservare che con le armi, e che il credere allelusingherie ed alle promesse dei forestieri è un volereingannarsi da se, per essere non solo preda, ma ancorascherno e segno di calunnie da parte dei forestieri mede-

degli agenti d'Inghilterra e di Russia, massimamente diEntraigues, quantunque nè l'Inghilterra, nè la Russia, nèEntraigues non vi avessero a fare cosa del mondo: la ca-gione era la distruzione del governo Veneziano procura-ta da Villetard medesimo; e bastavano bene le ingiuriefatte ai Veneziani, senza che vi fosse bisogno degli sti-moli di Russia e d'Inghilterra. Villetard e Donato, aiquali più di ogni altro importava il calmar quel furore,facevano opera, che si adunassero alcune compagnie disoldati Italiani, e presidiavanne il ponte di Rialto. Viconduceva Bernardino Reynier due cannoni, coi qualitratto, ed ucciso tre o quattro popolani, poneva fine aquell'incomposto accidente. Usavano Villetard, Donatoe Battaglia la occasione, e preparato e mandato il navilioa Mestre la notte dal sedici al diciassette maggio, leva-vano, sotto il comandamento di Baraguey d'Hilliers,quattromila soldati Francesi. La mattina molto per tem-po si scoprivano schierati sulla piazza di san Marco: sol-dati ed armi forestiere non mai viste in Venezia da quin-dici secoli. Creossi il municipio, si promisero cose, chenon si attennero, lusingossi con le parole, gravitossi coifatti, e tanto si continuò l'inganno, che la ricca e potenteVenezia fu data, spogliata ed inerme, in preda all'impe-rator d'Alemagna. Da questo imparino i popoli, che lagiustizia non è più fra gli uomini, che gli stati non sipossono preservare che con le armi, e che il credere allelusingherie ed alle promesse dei forestieri è un volereingannarsi da se, per essere non solo preda, ma ancorascherno e segno di calunnie da parte dei forestieri mede-

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simi.Avevano Buonaparte, ed i legati Veneziani, ai quali,come abbiam narrato, erano state ampliate le commis-sioni, in Milano le preste novelle degli accidenti di Ve-nezia, specialmente della rinunzia fatta nel giorno dodicidai patrizi, e della dissoluzione dell'antico governo ari-stocratico. Evidente cosa era, che avendo cessato di sus-sistere chi aveva dato il mandato, non vi era più luogonè a negoziati, nè a conclusione di trattato. Ciò non dimeno le pratiche si continuarono, dal canto dei Venezia-ni, perchè pareva loro, che una solenne asseverazione diBuonaparte di voler confermare la repubblica non potes-se essere senza qualche effetto, dal canto del generale,perchè paresse del tutto volontaria, anzi richiesta la oc-cupazione di Venezia.Adunque con questi due diversi fini si stipulava daambe le parti il giorno sedici maggio in Milano un trat-tato di pace e d'amicizia, tra la repubblica Francese e laVeneziana; cessassero tra di loro tutte le offese; rinun-ziasse da parte sua il gran consiglio al suo diritto di so-vranità, ordinasse l'annullazione dell'aristocrazìa eredi-taria, riconoscesse la sovranità dello stato consisterenell'universalità dei cittadini: a tutte queste cose consen-tisse con patto che il nuovo governo guarentisse il debi-to pubblico, il vivere dei patrizi poveri, le provvisioni avita: la repubblica Francese concedesse, siccome ne erastata richiesta, una schiera di soldati a Venezia, accioc-chè vi conservasse intero l'ordine e la tranquillità, vi tu-

simi.Avevano Buonaparte, ed i legati Veneziani, ai quali,come abbiam narrato, erano state ampliate le commis-sioni, in Milano le preste novelle degli accidenti di Ve-nezia, specialmente della rinunzia fatta nel giorno dodicidai patrizi, e della dissoluzione dell'antico governo ari-stocratico. Evidente cosa era, che avendo cessato di sus-sistere chi aveva dato il mandato, non vi era più luogonè a negoziati, nè a conclusione di trattato. Ciò non dimeno le pratiche si continuarono, dal canto dei Venezia-ni, perchè pareva loro, che una solenne asseverazione diBuonaparte di voler confermare la repubblica non potes-se essere senza qualche effetto, dal canto del generale,perchè paresse del tutto volontaria, anzi richiesta la oc-cupazione di Venezia.Adunque con questi due diversi fini si stipulava daambe le parti il giorno sedici maggio in Milano un trat-tato di pace e d'amicizia, tra la repubblica Francese e laVeneziana; cessassero tra di loro tutte le offese; rinun-ziasse da parte sua il gran consiglio al suo diritto di so-vranità, ordinasse l'annullazione dell'aristocrazìa eredi-taria, riconoscesse la sovranità dello stato consisterenell'universalità dei cittadini: a tutte queste cose consen-tisse con patto che il nuovo governo guarentisse il debi-to pubblico, il vivere dei patrizi poveri, le provvisioni avita: la repubblica Francese concedesse, siccome ne erastata richiesta, una schiera di soldati a Venezia, accioc-chè vi conservasse intero l'ordine e la tranquillità, vi tu-

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telasse le persone e le proprietà, procurasse la esecuzio-ne delle prime risoluzioni del governo nuovo; questi sol-dati partissero da Venezia, tostochè il nuovo governo di-chiarasse non averne più bisogno; le altre truppe France-si sgombrassero gli altri territori Veneti, tostochè la pacedel continente fosse conclusa: si facesse sollecitamenteil processo agl'inquisitori di stato, ed al comandante delLido; la repubblica Francese perdonasse ad ogni altroVeneziano. Questi erano i capitoli mostrabili: i segreticontenevano altri effetti importanti: si accorderebbero ledue repubbliche pel cambio di territorj, la Veneziana pa-gasse alla Francese tre milioni di tornesi, somministras-se una valuta di altrettanti in arnesi di marinerìa, le des-se tre navi di fila con due fregate fornite di tutto punto,consegnasse a' commissari a ciò destinati venti quadri, ecinquecento manoscritti a scelta del generalissimo: larepubblica Francese s'interponesse a pace comune tra laVeneziana, e la reggenza di Algeri.Di tale forma furono i capitoli del trattato concluso inMilano tra Buonaparte, e i Veneziani. A loro fu aggiuntoquest'altro, e ciò se ancora resta luogo alla maraviglia,farà certamente maravigliare il lettore, che le due partiratificassero nel più breve spazio il trattato. Il ratificaro-no intatti i municipali di Venezia, persuadendosi, non sivede come, nè perchè, che tutta l'autorità della repubbli-ca, e del maggior consiglio in loro fosse investita. Nega-va Buonaparte la ratificazione, allegando, essere da par-te dei mandatari Veneziani cessato il mandato, perchè

telasse le persone e le proprietà, procurasse la esecuzio-ne delle prime risoluzioni del governo nuovo; questi sol-dati partissero da Venezia, tostochè il nuovo governo di-chiarasse non averne più bisogno; le altre truppe France-si sgombrassero gli altri territori Veneti, tostochè la pacedel continente fosse conclusa: si facesse sollecitamenteil processo agl'inquisitori di stato, ed al comandante delLido; la repubblica Francese perdonasse ad ogni altroVeneziano. Questi erano i capitoli mostrabili: i segreticontenevano altri effetti importanti: si accorderebbero ledue repubbliche pel cambio di territorj, la Veneziana pa-gasse alla Francese tre milioni di tornesi, somministras-se una valuta di altrettanti in arnesi di marinerìa, le des-se tre navi di fila con due fregate fornite di tutto punto,consegnasse a' commissari a ciò destinati venti quadri, ecinquecento manoscritti a scelta del generalissimo: larepubblica Francese s'interponesse a pace comune tra laVeneziana, e la reggenza di Algeri.Di tale forma furono i capitoli del trattato concluso inMilano tra Buonaparte, e i Veneziani. A loro fu aggiuntoquest'altro, e ciò se ancora resta luogo alla maraviglia,farà certamente maravigliare il lettore, che le due partiratificassero nel più breve spazio il trattato. Il ratificaro-no intatti i municipali di Venezia, persuadendosi, non sivede come, nè perchè, che tutta l'autorità della repubbli-ca, e del maggior consiglio in loro fosse investita. Nega-va Buonaparte la ratificazione, allegando, essere da par-te dei mandatari Veneziani cessato il mandato, perchè

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era estinto il mandatore, il che era vero. Ma siccome giàsapeva, quando stipulava, che era spento il mandatore,fu il suo stipulare fraude, per fare che i Veneziani am-mettessero in Venezia i suoi soldati. Ma questi già es-sendo entrati, e l'antico governo, col quale l'Austria ave-va congiunzione di amicizia, già essendo spento, il cheera l'importanza del tutto, ei rifiutò la ratifica per non le-garsi a niuna obbligazione col nuovo.

era estinto il mandatore, il che era vero. Ma siccome giàsapeva, quando stipulava, che era spento il mandatore,fu il suo stipulare fraude, per fare che i Veneziani am-mettessero in Venezia i suoi soldati. Ma questi già es-sendo entrati, e l'antico governo, col quale l'Austria ave-va congiunzione di amicizia, già essendo spento, il cheera l'importanza del tutto, ei rifiutò la ratifica per non le-garsi a niuna obbligazione col nuovo.

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LIBRO UNDECIMO

SOMMARIOInsidie contro Genova. Grave sedizione in questa città per operadei novatori. I carbonari, ed altra parte del popolo insorgono con-tro i novatori, e gli vincono. Sdegno, e risposte funeste di Buona-parte: manda generali, e soldati per intimorir il governo col finedi obbligarlo a cambiare l'antica forma dello stato. Si fa la muta-zione: legati Genovesi vanno a trovar Buonaparte per accordarecon lui il modo del nuovo reggimento. Si crea un governo tempo-raneo. Umori, e sette in Genova. Constituzione foggiata a mododi quella di Francia. Mala contentezza dei popoli: terribile som-mossa nel Bisagno, e nella Polcevera. Condizioni del Piemonte. Ilre fa nuove dimostrazioni d'amicizia verso la Francia. Astute insi-nuazioni, e progetti d'ordinazione politica dell'Italia fattidall'ambasciador Piemontese a Parigi. Trattato di alleanza tra ilre, e la repubblica Francese. Moti sediziosi, e supplizi in Piemon-te: morte lagrimevole di Carlo Tenivelli, storico insigne: sue lodi.

La forza aveva insidiato Venezia; le chimere di una li-bertà fallace le diedero il tracollo. La medesima forza, ele chimere medesime usando Buonaparte contro Geno-va, la tirava ancor essa all'ultimo eccidio. Vedevano, esentivano il governo, ed il generale di Francia, che a vo-ler diminuire l'autorità dell'Austria in Italia, era necessa-rio il cambiare i governi antichi in nuovi; perchè giudi-cavano, che i primi avrebbero consuonato con Austria, isecondi con Francia. Tale necessità diveniva agli occhiloro tanto maggiore, quanto più, fatta l'Austria padrona

LIBRO UNDECIMO

SOMMARIOInsidie contro Genova. Grave sedizione in questa città per operadei novatori. I carbonari, ed altra parte del popolo insorgono con-tro i novatori, e gli vincono. Sdegno, e risposte funeste di Buona-parte: manda generali, e soldati per intimorir il governo col finedi obbligarlo a cambiare l'antica forma dello stato. Si fa la muta-zione: legati Genovesi vanno a trovar Buonaparte per accordarecon lui il modo del nuovo reggimento. Si crea un governo tempo-raneo. Umori, e sette in Genova. Constituzione foggiata a mododi quella di Francia. Mala contentezza dei popoli: terribile som-mossa nel Bisagno, e nella Polcevera. Condizioni del Piemonte. Ilre fa nuove dimostrazioni d'amicizia verso la Francia. Astute insi-nuazioni, e progetti d'ordinazione politica dell'Italia fattidall'ambasciador Piemontese a Parigi. Trattato di alleanza tra ilre, e la repubblica Francese. Moti sediziosi, e supplizi in Piemon-te: morte lagrimevole di Carlo Tenivelli, storico insigne: sue lodi.

La forza aveva insidiato Venezia; le chimere di una li-bertà fallace le diedero il tracollo. La medesima forza, ele chimere medesime usando Buonaparte contro Geno-va, la tirava ancor essa all'ultimo eccidio. Vedevano, esentivano il governo, ed il generale di Francia, che a vo-ler diminuire l'autorità dell'Austria in Italia, era necessa-rio il cambiare i governi antichi in nuovi; perchè giudi-cavano, che i primi avrebbero consuonato con Austria, isecondi con Francia. Tale necessità diveniva agli occhiloro tanto maggiore, quanto più, fatta l'Austria padrona

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dello stato Veneto, aveva modo d'ingerirsi, e di trava-gliare più efficacemente l'Italia. Poi a qualunque modoera sorto l'uso di sovvertir gli stati parte per capriccio,parte per ischerno, e parte anche, credo, per modo ditrattenimento. Per tutte queste ragioni, non ancora ter-minata, ma già prossima a terminarsi la tragedia di Ve-nezia, scriveva Buonaparte a Faipoult, ministro di Fran-cia a Genova, ed operatore attivo dei disegni del genera-le, che la rovina di Venezia doveva partorire necessaria-mente la rovina dell'aristocrazìa di Genova; ma che an-cora non era tempo di scoprirsi, usando in questo, se-condo il suo solito, la natura della volpe prima di quelladel lione. Sapeva, che il governo Genovese non avrebbegagliardamente contrastato, quantunque in lui fosse piùvigore, che in quello di Venezia, sì perchè alcuni fra isenatori erano abbacinati dai fantasmi dei tempi, e sìperchè nel ceto medio era molta opinione contraria, cre-dendo molti, che la democrazìa fosse da anteporsiall'aristocrazìa, come se i modi di reggimento politicoindotti in Italia a quei tempi fossero democratici. Ag-giungevansi i capitali Genovesi investiti in gran parte inFrancia, ed i traffichi tra Francia e Genova frequentissi-mi, cose molto tenere, e capaci a far calare i Genovesiad un primo romore d'armi. Infine pei passi frequentidelle genti di Francia sulle riviere, erano sorte in esse leopinioni nuove. Savona titubava e per questo, e per leantiche emolazioni. Alcune fortezze, e molti siti del Ge-novesato erano in mano dei Buonapartiani. Nè a questocontenti il direttorio, e Buonaparte, avevano operato,

dello stato Veneto, aveva modo d'ingerirsi, e di trava-gliare più efficacemente l'Italia. Poi a qualunque modoera sorto l'uso di sovvertir gli stati parte per capriccio,parte per ischerno, e parte anche, credo, per modo ditrattenimento. Per tutte queste ragioni, non ancora ter-minata, ma già prossima a terminarsi la tragedia di Ve-nezia, scriveva Buonaparte a Faipoult, ministro di Fran-cia a Genova, ed operatore attivo dei disegni del genera-le, che la rovina di Venezia doveva partorire necessaria-mente la rovina dell'aristocrazìa di Genova; ma che an-cora non era tempo di scoprirsi, usando in questo, se-condo il suo solito, la natura della volpe prima di quelladel lione. Sapeva, che il governo Genovese non avrebbegagliardamente contrastato, quantunque in lui fosse piùvigore, che in quello di Venezia, sì perchè alcuni fra isenatori erano abbacinati dai fantasmi dei tempi, e sìperchè nel ceto medio era molta opinione contraria, cre-dendo molti, che la democrazìa fosse da anteporsiall'aristocrazìa, come se i modi di reggimento politicoindotti in Italia a quei tempi fossero democratici. Ag-giungevansi i capitali Genovesi investiti in gran parte inFrancia, ed i traffichi tra Francia e Genova frequentissi-mi, cose molto tenere, e capaci a far calare i Genovesiad un primo romore d'armi. Infine pei passi frequentidelle genti di Francia sulle riviere, erano sorte in esse leopinioni nuove. Savona titubava e per questo, e per leantiche emolazioni. Alcune fortezze, e molti siti del Ge-novesato erano in mano dei Buonapartiani. Nè a questocontenti il direttorio, e Buonaparte, avevano operato,

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che Rusca e Serrurier appoco appoco, e sotto altri colorile schiere loro accostassero a Genova, e che l'ammira-glio Brueys comparisse con navi grosse e sottili nelleacque delle riviere.Genova pericolava; ma molte erano le insidie interne.Spargevansi artifiziosamente voci, che la Francia volevadare la riviera di ponente al re di Sardegna, e si afferma-va, che una tale calamità solo si poteva allontanare conridurre il governo a forma più consimile a quella diFrancia. Queste voci Faipoult, magnificando la fede del-la sua repubblica, e quasi sdegnandosi, asseverava esse-re false e calunniose. Buonaparte ed egli richiedevanonuovi presti di parecchi milioni alla signorìa, consumataed odiosa ai popoli, se gli concedesse, accusata d'inimi-cizia verso Francia, se gli negasse. Il farla vile fu ancheparte dell'insidia; perchè un consiglio militare Franceseadunatosi nella sede stessa della repubblica processava,e condannava al bando da tutti i territorj di Genova ilmarchese Agostino Spinola, come reo delle turbazionisorte contro i Francesi nei feudi imperiali. Non era piùsovranità dove un tribunale forestiero dannava un citta-dino: mancava col buon concetto la forza dello stato. Nèl'opera dei novatori di dentro si trascurava. A questi era-no capi alcuni Genovesi, alcuni forestieri. Fra i primiosservabile era massimamente lo speziale Morando,uomo precipitoso, e di estremi pensieri, e che credevache ogni cosa fosse lecita per arrivare a quella libertàch'ei si figurava in mente. Fra i secondi più vivo e più

che Rusca e Serrurier appoco appoco, e sotto altri colorile schiere loro accostassero a Genova, e che l'ammira-glio Brueys comparisse con navi grosse e sottili nelleacque delle riviere.Genova pericolava; ma molte erano le insidie interne.Spargevansi artifiziosamente voci, che la Francia volevadare la riviera di ponente al re di Sardegna, e si afferma-va, che una tale calamità solo si poteva allontanare conridurre il governo a forma più consimile a quella diFrancia. Queste voci Faipoult, magnificando la fede del-la sua repubblica, e quasi sdegnandosi, asseverava esse-re false e calunniose. Buonaparte ed egli richiedevanonuovi presti di parecchi milioni alla signorìa, consumataed odiosa ai popoli, se gli concedesse, accusata d'inimi-cizia verso Francia, se gli negasse. Il farla vile fu ancheparte dell'insidia; perchè un consiglio militare Franceseadunatosi nella sede stessa della repubblica processava,e condannava al bando da tutti i territorj di Genova ilmarchese Agostino Spinola, come reo delle turbazionisorte contro i Francesi nei feudi imperiali. Non era piùsovranità dove un tribunale forestiero dannava un citta-dino: mancava col buon concetto la forza dello stato. Nèl'opera dei novatori di dentro si trascurava. A questi era-no capi alcuni Genovesi, alcuni forestieri. Fra i primiosservabile era massimamente lo speziale Morando,uomo precipitoso, e di estremi pensieri, e che credevache ogni cosa fosse lecita per arrivare a quella libertàch'ei si figurava in mente. Fra i secondi più vivo e più

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operativo si mostrava un Vitaliani da Napoli, il quale,sebbene non tanto veemente fosse, quanto Morando, eranon pertanto assai più di lui pericoloso, perchè aveva fa-cile favella alla Napolitana, efficacia a persuadere mara-vigliosa, bel porgere, e bella persona, ed era entrantemolto e manieroso. Forestiero si mescolava nelle coseGenovesi a dissoluzione della repubblica, e con patented'impiegato dell'ambascerìa di Francia tendeva agguatiad una potenza, a cui la Francia protestava amicizia.Erano costoro favoriti da Faipoult più nascostamenteper la sua qualità pubblica, da Saliceti a questi fini ve-nuto a Genova, più apertamente. Vociferava Saliceti, do-versi, poichè l'aristocrazia di Venezia si era spenta, spe-gnere anche quella di Genova. I novatori sicuri omaidell'esito, s'adunavano, s'indettavano, s'accordavano,s'apprestavano; più il termine s'avvicinava, e più palese-mente operavano. Incitamenti continui andavanodall'ambasciata di Francia a Morando, e solo si aspetta-va che Venezia fosse perita del tutto per far perir Geno-va. Avvertito il governo, creava inquisitori di stato conampia facoltà, e per opera loro carcerava Vitaliani. Se nerisentiva gravemente Faipoult, richiedeva la sua inden-nità, come di Francese. Per tal modo non solamente sivoleva che si macchinasse, ma ancora, che si macchi-nasse impunemente. La signorìa essendo sforzata, rimet-teva il Napolitano in libertà. Vitaliani e Morando consomma attività si adoperavano. A loro si faceva compa-gno un Filippo Doria o per ambizione, o per opinione.Tutto era contaminato, l'esca apprestata, le occasioni si

operativo si mostrava un Vitaliani da Napoli, il quale,sebbene non tanto veemente fosse, quanto Morando, eranon pertanto assai più di lui pericoloso, perchè aveva fa-cile favella alla Napolitana, efficacia a persuadere mara-vigliosa, bel porgere, e bella persona, ed era entrantemolto e manieroso. Forestiero si mescolava nelle coseGenovesi a dissoluzione della repubblica, e con patented'impiegato dell'ambascerìa di Francia tendeva agguatiad una potenza, a cui la Francia protestava amicizia.Erano costoro favoriti da Faipoult più nascostamenteper la sua qualità pubblica, da Saliceti a questi fini ve-nuto a Genova, più apertamente. Vociferava Saliceti, do-versi, poichè l'aristocrazia di Venezia si era spenta, spe-gnere anche quella di Genova. I novatori sicuri omaidell'esito, s'adunavano, s'indettavano, s'accordavano,s'apprestavano; più il termine s'avvicinava, e più palese-mente operavano. Incitamenti continui andavanodall'ambasciata di Francia a Morando, e solo si aspetta-va che Venezia fosse perita del tutto per far perir Geno-va. Avvertito il governo, creava inquisitori di stato conampia facoltà, e per opera loro carcerava Vitaliani. Se nerisentiva gravemente Faipoult, richiedeva la sua inden-nità, come di Francese. Per tal modo non solamente sivoleva che si macchinasse, ma ancora, che si macchi-nasse impunemente. La signorìa essendo sforzata, rimet-teva il Napolitano in libertà. Vitaliani e Morando consomma attività si adoperavano. A loro si faceva compa-gno un Filippo Doria o per ambizione, o per opinione.Tutto era contaminato, l'esca apprestata, le occasioni si

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aspettavano. I giornali di Milano, comandando ciò, opermettendo Buonaparte, continuamente straziavanol'aristocrazìa Genovese, e con infiammate parole provo-cavano i popoli contro di lei. Di tanta mole era per chitanto poteva, il distruggere la piccola repubblica di Ge-nova. Si pruovava nell'estremo caso ad insorgere,gl'inquisitori di stato facevano carcerare due dei più au-daci e temerari novatori, sperando, che il timore potessefrenare quella gente incitatrice. Fu indarno, poichè tantofavore l'ajutava dentro e fuori. Questa fu scintilla a su-scitare ad incendio il fuoco che covava. Non così tostogiungeva ai congiurati la novella della carcerazione deicompagni, che furiosamente dato all'armi o proprie, od aquesto fine apprestate in casa Morando ed avendo Mo-rando medesimo con Vitaliani e con Filippo Doria a gui-da, facevano improvvisamente, era il giorno ventuno dimaggio, un tumulto terribile. Si rallegrava Faipoult, chela rivoluzione nascesse in Genova per opera dei Geno-vesi, perchè in quella rivoluzione ei voleva ben essere,ma non parere. Essere, scriveva a Buonaparte, creato unfilo a poter muovere facilmente i collegi, i consigli, e adoperare la riforma inevitabile di Genova più o menoprestamente, secondochè meglio o come a Buonaparte siconvenisse, o per modo che il mondo vedesse, che laFrancia, non ingerentesi nella constituzione politica diun popolo amico ed independente, non vi aveva postomano che come protettrice della quiete di questo popolostesso, e per allontanare da lui tutte le disgrazie di unarivoluzione. Venuti da Faipoult due legati del senato,

aspettavano. I giornali di Milano, comandando ciò, opermettendo Buonaparte, continuamente straziavanol'aristocrazìa Genovese, e con infiammate parole provo-cavano i popoli contro di lei. Di tanta mole era per chitanto poteva, il distruggere la piccola repubblica di Ge-nova. Si pruovava nell'estremo caso ad insorgere,gl'inquisitori di stato facevano carcerare due dei più au-daci e temerari novatori, sperando, che il timore potessefrenare quella gente incitatrice. Fu indarno, poichè tantofavore l'ajutava dentro e fuori. Questa fu scintilla a su-scitare ad incendio il fuoco che covava. Non così tostogiungeva ai congiurati la novella della carcerazione deicompagni, che furiosamente dato all'armi o proprie, od aquesto fine apprestate in casa Morando ed avendo Mo-rando medesimo con Vitaliani e con Filippo Doria a gui-da, facevano improvvisamente, era il giorno ventuno dimaggio, un tumulto terribile. Si rallegrava Faipoult, chela rivoluzione nascesse in Genova per opera dei Geno-vesi, perchè in quella rivoluzione ei voleva ben essere,ma non parere. Essere, scriveva a Buonaparte, creato unfilo a poter muovere facilmente i collegi, i consigli, e adoperare la riforma inevitabile di Genova più o menoprestamente, secondochè meglio o come a Buonaparte siconvenisse, o per modo che il mondo vedesse, che laFrancia, non ingerentesi nella constituzione politica diun popolo amico ed independente, non vi aveva postomano che come protettrice della quiete di questo popolostesso, e per allontanare da lui tutte le disgrazie di unarivoluzione. Venuti da Faipoult due legati del senato,

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Gian Luca Durazzo, e Francesco Cataneo, il pregavano,che facesse dimostrazione di non secondare i novatori,ed operasse, che la frenesìa dei giornali Milanesi controGenova cessasse. Dava loro la volta sotto sulla prima ri-chiesta, speranza per la seconda. Si metteva posciasull'esortargli a riformare essi medesimi lo stato, ed abiasimargli dei tridui e delle novene, come di dimostra-zioni dirette ad odio dei Francesi: cercava infine di tem-poreggiare, perchè gli accidenti di Venezia finissero. Icongiurati con ischiamazzi orribili, e con grida spaven-tose, cantando a tratto tratto la marsigliese (fu questauna canzone con musica molto espressiva, che incitòpotentemente in quell'età gli spiriti ad opere straordina-rie) s'incamminavano al palazzo ducale. Aggiungevansiper istrada, come suole avvenire, nuovi congiurati, e frail popolo i più tristi, e chi più ambiva il sangue o il sac-co. A tanto romore si adunava una calca incredibile fraquelle strette vie di Genova; serravansi a furia le botte-ghe; i buoni fuggivano, od erano tratti dalla tempesta.La folla tumultuosa giunta al palazzo, dov'era raccolto ilsenato, con minacciose grida addomandava i carcerati.Rispondevano con molta costanza i padri, a buona ra-gione sostenersi, si farebbe giustizia, fra breve palese-rebbero al popolo l'intento loro. I sollevati avrebberovoluto sforzare il palazzo; il vietavano le guardie; si ri-manevano, perchè in quel primo impeto non avevano nèarmi sufficienti, nè accordo, nè numero che bastasse.Traevano alle case del ministro di Francia, sperando chegli ajuterebbe. Gli confortava dicendo, s'interporrebbe, e

Gian Luca Durazzo, e Francesco Cataneo, il pregavano,che facesse dimostrazione di non secondare i novatori,ed operasse, che la frenesìa dei giornali Milanesi controGenova cessasse. Dava loro la volta sotto sulla prima ri-chiesta, speranza per la seconda. Si metteva posciasull'esortargli a riformare essi medesimi lo stato, ed abiasimargli dei tridui e delle novene, come di dimostra-zioni dirette ad odio dei Francesi: cercava infine di tem-poreggiare, perchè gli accidenti di Venezia finissero. Icongiurati con ischiamazzi orribili, e con grida spaven-tose, cantando a tratto tratto la marsigliese (fu questauna canzone con musica molto espressiva, che incitòpotentemente in quell'età gli spiriti ad opere straordina-rie) s'incamminavano al palazzo ducale. Aggiungevansiper istrada, come suole avvenire, nuovi congiurati, e frail popolo i più tristi, e chi più ambiva il sangue o il sac-co. A tanto romore si adunava una calca incredibile fraquelle strette vie di Genova; serravansi a furia le botte-ghe; i buoni fuggivano, od erano tratti dalla tempesta.La folla tumultuosa giunta al palazzo, dov'era raccolto ilsenato, con minacciose grida addomandava i carcerati.Rispondevano con molta costanza i padri, a buona ra-gione sostenersi, si farebbe giustizia, fra breve palese-rebbero al popolo l'intento loro. I sollevati avrebberovoluto sforzare il palazzo; il vietavano le guardie; si ri-manevano, perchè in quel primo impeto non avevano nèarmi sufficienti, nè accordo, nè numero che bastasse.Traevano alle case del ministro di Francia, sperando chegli ajuterebbe. Gli confortava dicendo, s'interporrebbe, e

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le dimande loro al senato esporrebbe. Fatti più sicuricambiavano il furore in allegrezza, e sparsi per le piaz-ze, e nei ritrovi sì pubblici che privati, facevano grandifesteggiamenti. La sera, sforzato il teatro, vi commette-vano remore, anche con oltraggi dei pacifici cittadini.Riscaldati dal vino e dalle cose fatte, passavano la notte,che era una delle estreme della loro antica e venerandapatria, fra l'allegrezza dei piaceri presenti, e la cupidigiadei tumulti avvenire.Sorgeva ai ventidue l'alba, che doveva addurre a Genovaun giorno funestissimo. Prorompevano dai ritrovi loro icongiurati, e ad ogni momento, e ad ogni passo ingros-sandosi per l'accostamento di nuovi compagni, facevanouna turba assai numerosa. S'aggiungevano ai Genovesinon pochi Lombardi, venuti ancor essi all'alito delle ri-voluzioni; nè mancavano Francesi, ancorchè fossero inminor numero. Inalberavano, perchè non mancasse aifatti anche il segno della ribellione, sui cappelli chi lanappa Lombarda, e chi la Francese, ambedue tricolorite,questa col turchino, quella col verde. Gridavano, viva ilpopolo, viva la libertà. S'avviavano al palazzo diFaipoult, dove ammassati diventavano più terribili perimpeto, e per numero. Il senato senza difesa pel casoimprovviso, si era perduto d'animo, ed aspettava, invecedi operare.Il popolo fedele al principe non si muoveva, perchè sor-preso a quell'accidente insolito non aveva ancor ripresogli spiriti, e forse non credeva, che i sollevati volessero

le dimande loro al senato esporrebbe. Fatti più sicuricambiavano il furore in allegrezza, e sparsi per le piaz-ze, e nei ritrovi sì pubblici che privati, facevano grandifesteggiamenti. La sera, sforzato il teatro, vi commette-vano remore, anche con oltraggi dei pacifici cittadini.Riscaldati dal vino e dalle cose fatte, passavano la notte,che era una delle estreme della loro antica e venerandapatria, fra l'allegrezza dei piaceri presenti, e la cupidigiadei tumulti avvenire.Sorgeva ai ventidue l'alba, che doveva addurre a Genovaun giorno funestissimo. Prorompevano dai ritrovi loro icongiurati, e ad ogni momento, e ad ogni passo ingros-sandosi per l'accostamento di nuovi compagni, facevanouna turba assai numerosa. S'aggiungevano ai Genovesinon pochi Lombardi, venuti ancor essi all'alito delle ri-voluzioni; nè mancavano Francesi, ancorchè fossero inminor numero. Inalberavano, perchè non mancasse aifatti anche il segno della ribellione, sui cappelli chi lanappa Lombarda, e chi la Francese, ambedue tricolorite,questa col turchino, quella col verde. Gridavano, viva ilpopolo, viva la libertà. S'avviavano al palazzo diFaipoult, dove ammassati diventavano più terribili perimpeto, e per numero. Il senato senza difesa pel casoimprovviso, si era perduto d'animo, ed aspettava, invecedi operare.Il popolo fedele al principe non si muoveva, perchè sor-preso a quell'accidente insolito non aveva ancor ripresogli spiriti, e forse non credeva, che i sollevati volessero

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trascorrere agli estremi. Andando loro il moto a secon-da, ardivano cose maggiori, ed orrende. Traevano alleprigioni della mal paga, sentina infame d'indebitati e difalliti, e rotte le porte non senza qualche violenza san-guinosa, e liberati ed armati i prigionieri, se gli facevanocompagni ai disegni loro. Cresceva il furore: quel chedava la massima dell'esser lecito tutto per acquistar la li-bertà, secondava la natura sempre precipitosa del maleal peggio. Impadronitisi della darsena, davano la libertàai condannati, e poste loro le armi in mano correvanocon l'infame satellizio di ladri, e d'assassini a disfareuno dei più illustri governi del mondo: tempi atroci, incui la misera Genova era insidiata occultamente dai po-tenti dominatori d'Italia, ed impugnata apertamente daisuoi cittadini misti ai mancatori di fede, ed ai galeotti!esempio da piangersi eternamente che si sia cercata lalibertà non solo coi rei propositi, ma ancora con opera-tori scelerati.Tornando alle opere Morandiane, fatto i sollevati con-corso sulla piazza, e preso maggior animo da quei primisuccessi, bandivano con allegria, e romore incredibile,essere spenta l'aristocrazìa, Genova libera, i poveri esen-ti dai tributi, cassi gli antichi magistrati, creati i nuovi.Ma ancora temevano le porte in mano del governo, ed ipopoli del Bisagno e della Polcevera deditissimi alnome del principe ed all'antica repubblica. Però creden-do non esser compiuta l'opera, se allo aver acquistatol'interno non aggiungevano l'assicurarsi delle porte delle

trascorrere agli estremi. Andando loro il moto a secon-da, ardivano cose maggiori, ed orrende. Traevano alleprigioni della mal paga, sentina infame d'indebitati e difalliti, e rotte le porte non senza qualche violenza san-guinosa, e liberati ed armati i prigionieri, se gli facevanocompagni ai disegni loro. Cresceva il furore: quel chedava la massima dell'esser lecito tutto per acquistar la li-bertà, secondava la natura sempre precipitosa del maleal peggio. Impadronitisi della darsena, davano la libertàai condannati, e poste loro le armi in mano correvanocon l'infame satellizio di ladri, e d'assassini a disfareuno dei più illustri governi del mondo: tempi atroci, incui la misera Genova era insidiata occultamente dai po-tenti dominatori d'Italia, ed impugnata apertamente daisuoi cittadini misti ai mancatori di fede, ed ai galeotti!esempio da piangersi eternamente che si sia cercata lalibertà non solo coi rei propositi, ma ancora con opera-tori scelerati.Tornando alle opere Morandiane, fatto i sollevati con-corso sulla piazza, e preso maggior animo da quei primisuccessi, bandivano con allegria, e romore incredibile,essere spenta l'aristocrazìa, Genova libera, i poveri esen-ti dai tributi, cassi gli antichi magistrati, creati i nuovi.Ma ancora temevano le porte in mano del governo, ed ipopoli del Bisagno e della Polcevera deditissimi alnome del principe ed all'antica repubblica. Però creden-do non esser compiuta l'opera, se allo aver acquistatol'interno non aggiungevano l'assicurarsi delle porte delle

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mura, spedivano, a ciò consigliati da Morando e da Do-ria, i più audaci ed i meglio armati, ad occupar l'arsena-le, il ponte reale, la lanterna, le porte di San Tommaso edi San Benigno. Il che veniva loro agevolmente fatto,sorpresi essendo e pochi i difensori.Intanto s'era il senato raccolto timoroso, e non pari atanto estremo. Consultavano discordi, statuivano spa-ventati. Mandavano legati a Faipoult, perchè lo pregas-sero, s'interponesse a concordia, ed offerissero riformenegli ordini antichi. Piaceva la profferta al Francese, peressergli aperta l'occasione, e condottosi al senato, conefficacissime parole esortava i padri, cedessero al tem-po, s'accomodassero al secolo, riformassero lo stato,verso gli ordini democratici l'allargassero, questa solavia di salute restare. Stanziavano, poichè oggimai eratolto ogni modo di deliberare sanamente, si traesseroquattro patrizi, i quali convenendo con quattro deputatidel popolo, fra di loro accordassero come e quanto laforma antica dovesse scendere alla democrazìa. S'eleg-gevano i patrizi, gli eletti del popolo non comparivano;riuscì vano il tentativo. La massa dei novatori infuriatacorreva al ducale palazzo, e contro di lui piantava uncannone, sforzandosi di entrarvi; ma cessava vedutoloben custodito. Risuonavano intanto le grida, viva la li-bertà, morte agli aristocrati; pareva ormai spenta l'anticarepubblica. Trionfavano Vitaliani, Morando, Doria, nèpareva che vi fosse più rimedio per reprimere la ribellio-ne.

mura, spedivano, a ciò consigliati da Morando e da Do-ria, i più audaci ed i meglio armati, ad occupar l'arsena-le, il ponte reale, la lanterna, le porte di San Tommaso edi San Benigno. Il che veniva loro agevolmente fatto,sorpresi essendo e pochi i difensori.Intanto s'era il senato raccolto timoroso, e non pari atanto estremo. Consultavano discordi, statuivano spa-ventati. Mandavano legati a Faipoult, perchè lo pregas-sero, s'interponesse a concordia, ed offerissero riformenegli ordini antichi. Piaceva la profferta al Francese, peressergli aperta l'occasione, e condottosi al senato, conefficacissime parole esortava i padri, cedessero al tem-po, s'accomodassero al secolo, riformassero lo stato,verso gli ordini democratici l'allargassero, questa solavia di salute restare. Stanziavano, poichè oggimai eratolto ogni modo di deliberare sanamente, si traesseroquattro patrizi, i quali convenendo con quattro deputatidel popolo, fra di loro accordassero come e quanto laforma antica dovesse scendere alla democrazìa. S'eleg-gevano i patrizi, gli eletti del popolo non comparivano;riuscì vano il tentativo. La massa dei novatori infuriatacorreva al ducale palazzo, e contro di lui piantava uncannone, sforzandosi di entrarvi; ma cessava vedutoloben custodito. Risuonavano intanto le grida, viva la li-bertà, morte agli aristocrati; pareva ormai spenta l'anticarepubblica. Trionfavano Vitaliani, Morando, Doria, nèpareva che vi fosse più rimedio per reprimere la ribellio-ne.

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Ma ciò, che non aveva fatto il senato senz'animo e senzaforza, il faceva il popolo, parte per odio contro i novato-ri, parte per amore verso l'antico stato, parte per riveren-za alla religione, perchè temevano lei aversi ad oltrag-giare in Genova, come credevano esser stata oltraggiatain Francia. Si adunava, correndo da ogni lato, principal-mente dal porto, una gran massa di popolo minuto, car-bonari e facchini massimamente, ed opponendoall'improvviso grida a grida, nappe a nappe, armi adarmi, rendevano dubbia una vittoria, che già pareva cer-ta. Facevano risuonare per tutta la città voci festose adun tempo, e minacciose, gridando viva Maria, viva ilprincipe, viva la religione, morte ai giacobini, che conquesto nome chiamavano i novatori: rizzavano intantosui cappelli per nappa una piccola immagine di Maria:per questo chiamava Buonaparte i preti genovesi vile escelerata gente. Solo lodava l'arcivescovo. Gli amatoridel governo antico, siccome quelli che avevano a com-battere coi libertini bene armati, anche di artiglierìe acagione della presa dell'arsenale, avvisavano d'impadro-nirsi dell'armerìa, nella quale essendo entrati, distribuitea ciascuno le armi, con ardore inestimabile si mettevanoa correre contro la parte contraria. A loro si accostavanoi soldati regolari rimasti fedeli alla repubblica, e fra que-sti alcuni, che sapevano maneggiar le artiglierìe. Infelicecittà, che vedeva rinnovarsi nel suo grembo, le spente dalungo tempo, e sempre feroci fazioni. Si attaccava unabattaglia asprissima, dove i padri combattevano contro ifigliuoli, i fratelli contro i fratelli; ed il suono delle armi

Ma ciò, che non aveva fatto il senato senz'animo e senzaforza, il faceva il popolo, parte per odio contro i novato-ri, parte per amore verso l'antico stato, parte per riveren-za alla religione, perchè temevano lei aversi ad oltrag-giare in Genova, come credevano esser stata oltraggiatain Francia. Si adunava, correndo da ogni lato, principal-mente dal porto, una gran massa di popolo minuto, car-bonari e facchini massimamente, ed opponendoall'improvviso grida a grida, nappe a nappe, armi adarmi, rendevano dubbia una vittoria, che già pareva cer-ta. Facevano risuonare per tutta la città voci festose adun tempo, e minacciose, gridando viva Maria, viva ilprincipe, viva la religione, morte ai giacobini, che conquesto nome chiamavano i novatori: rizzavano intantosui cappelli per nappa una piccola immagine di Maria:per questo chiamava Buonaparte i preti genovesi vile escelerata gente. Solo lodava l'arcivescovo. Gli amatoridel governo antico, siccome quelli che avevano a com-battere coi libertini bene armati, anche di artiglierìe acagione della presa dell'arsenale, avvisavano d'impadro-nirsi dell'armerìa, nella quale essendo entrati, distribuitea ciascuno le armi, con ardore inestimabile si mettevanoa correre contro la parte contraria. A loro si accostavanoi soldati regolari rimasti fedeli alla repubblica, e fra que-sti alcuni, che sapevano maneggiar le artiglierìe. Infelicecittà, che vedeva rinnovarsi nel suo grembo, le spente dalungo tempo, e sempre feroci fazioni. Si attaccava unabattaglia asprissima, dove i padri combattevano contro ifigliuoli, i fratelli contro i fratelli; ed il suono delle armi

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civili, già da lungo tempo insolito, si udiva da lungi neipiù secreti recessi dei liguri Apennini. Traevano le arti-glierìe furiosamente, si mescolava l'archibuserìa; da vi-cino si ammazzavano coi ferri, e quando non avevanoferro, con le mani. Maggiore era la pressa nei luoghi oc-cupati dai libertini, perchè gli avversari, essendo nellapossessione di essi posta tutta l'importanza del fatto, glivolevano a tutta forza sloggiare, massime alle porte,all'arsenale, ed al ponte reale, dove Filippo Doria com-batteva valorosissimamente. Durava la battaglia parec-chie ore: prevaleva finalmente la parte del senato, ricu-perati, non senza molta fatica e sangue, dagli uomini fe-deli a lui tutti i posti. Il quale fatto saputosi dai Moran-diani, era cagione che precipitosamente abbandonasserol'impresa. La maggior parte fuggirono, o nelle privatecase si nascosero: i più animosi ristrettisi insieme, si fa-cevano sforzatamente strada al ponte reale, che si tenevaancora per loro mediante il valore di Filippo Doria. Gliseguitavano i vincitori, e s'accendeva a questo ponte unabattaglia ostinatissima, combattendo dall'un de' lati ladisperazione, dall'altro il furore, ed il numero ognor cre-scente delle genti. Erano finalmente oppressi i Moran-diani con ferite, e morte di molti: morì Doria medesimo.Usavano i vincitori molta crudeltà, come nelle guerre ci-vili. Il cadavere del Doria fu lunga pezza ludibrio a que-gli uomini infieriti. Nacquero fra questo sanguinososcompiglio fatti parte tremendi, parte ridicoli. Unoschiavo turco, che i novatori avevano liberato, quando sierano impadroniti della darsena, e condotto con loro, ed

civili, già da lungo tempo insolito, si udiva da lungi neipiù secreti recessi dei liguri Apennini. Traevano le arti-glierìe furiosamente, si mescolava l'archibuserìa; da vi-cino si ammazzavano coi ferri, e quando non avevanoferro, con le mani. Maggiore era la pressa nei luoghi oc-cupati dai libertini, perchè gli avversari, essendo nellapossessione di essi posta tutta l'importanza del fatto, glivolevano a tutta forza sloggiare, massime alle porte,all'arsenale, ed al ponte reale, dove Filippo Doria com-batteva valorosissimamente. Durava la battaglia parec-chie ore: prevaleva finalmente la parte del senato, ricu-perati, non senza molta fatica e sangue, dagli uomini fe-deli a lui tutti i posti. Il quale fatto saputosi dai Moran-diani, era cagione che precipitosamente abbandonasserol'impresa. La maggior parte fuggirono, o nelle privatecase si nascosero: i più animosi ristrettisi insieme, si fa-cevano sforzatamente strada al ponte reale, che si tenevaancora per loro mediante il valore di Filippo Doria. Gliseguitavano i vincitori, e s'accendeva a questo ponte unabattaglia ostinatissima, combattendo dall'un de' lati ladisperazione, dall'altro il furore, ed il numero ognor cre-scente delle genti. Erano finalmente oppressi i Moran-diani con ferite, e morte di molti: morì Doria medesimo.Usavano i vincitori molta crudeltà, come nelle guerre ci-vili. Il cadavere del Doria fu lunga pezza ludibrio a que-gli uomini infieriti. Nacquero fra questo sanguinososcompiglio fatti parte tremendi, parte ridicoli. Unoschiavo turco, che i novatori avevano liberato, quando sierano impadroniti della darsena, e condotto con loro, ed

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ammaestrato a gridar “viva il popolo”, incontratosi inuna folla di carbonari, e non sapendo più oltre, diede talgrido, e ne fu malconcio orribilmente. Gli dissero, chebisognava gridar “viva Maria”, ed ei si mise a gridare,“viva Maria”; ma trovatosi di nuovo fra quel garbuglioin mezzo ad una truppa di novatori, questi, sentito il“viva Maria”, il maltrattarono per forma che per poconon l'amazzarono. Il pover uomo tutto pesto, nè sapendoconnettere accidenti tanto strani, andava gridando, che icristiani erano diventati matti, ed avea ragione. Perironoin mezzo a quella furia parecchi Francesi, parte mesco-lati coi sollevati, parte non mescolati, perchè avendo iMorandiani inalberato chi la nappa Francese, chi laLombarda, di lontano simile alla Francese, erano tenuticomplici, ed ammazzati dagli avversari tutti coloro cheportavano le nappe tricolorite. Ciò fu in mal punto, per-chè Buonaparte ne prese occasione per disfar il governo.Del resto i Morandiani fecero da se, e messi su dai fore-stieri; i carbonari da se, e solo spinti da odio e da fedel-tà: ma più da odio che da fedeltà: nè nel fatto loro il se-nato ebbe ingerenza alcuna, salvato piuttosto dal popo-lo, che da se. Si vegliava la notte fra il dolore dei morti,il terrore dei vivi: s'accendevano i lumi alle case da chiper gioia, da chi per paura, perchè i carbonari minaccia-vano. Il senato vincitore per opera altrui, di nuovo s'adu-nava per consultare sulle turbate cose. Mostravasi Gia-como Brignole doge al popolo, da cui era veduto, e salu-tato con grandissimi segni di allegrezza. Faipoult, vedu-to che la forza dei novatori era stata indarno, tornava

ammaestrato a gridar “viva il popolo”, incontratosi inuna folla di carbonari, e non sapendo più oltre, diede talgrido, e ne fu malconcio orribilmente. Gli dissero, chebisognava gridar “viva Maria”, ed ei si mise a gridare,“viva Maria”; ma trovatosi di nuovo fra quel garbuglioin mezzo ad una truppa di novatori, questi, sentito il“viva Maria”, il maltrattarono per forma che per poconon l'amazzarono. Il pover uomo tutto pesto, nè sapendoconnettere accidenti tanto strani, andava gridando, che icristiani erano diventati matti, ed avea ragione. Perironoin mezzo a quella furia parecchi Francesi, parte mesco-lati coi sollevati, parte non mescolati, perchè avendo iMorandiani inalberato chi la nappa Francese, chi laLombarda, di lontano simile alla Francese, erano tenuticomplici, ed ammazzati dagli avversari tutti coloro cheportavano le nappe tricolorite. Ciò fu in mal punto, per-chè Buonaparte ne prese occasione per disfar il governo.Del resto i Morandiani fecero da se, e messi su dai fore-stieri; i carbonari da se, e solo spinti da odio e da fedel-tà: ma più da odio che da fedeltà: nè nel fatto loro il se-nato ebbe ingerenza alcuna, salvato piuttosto dal popo-lo, che da se. Si vegliava la notte fra il dolore dei morti,il terrore dei vivi: s'accendevano i lumi alle case da chiper gioia, da chi per paura, perchè i carbonari minaccia-vano. Il senato vincitore per opera altrui, di nuovo s'adu-nava per consultare sulle turbate cose. Mostravasi Gia-como Brignole doge al popolo, da cui era veduto, e salu-tato con grandissimi segni di allegrezza. Faipoult, vedu-to che la forza dei novatori era stata indarno, tornava

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sull'esortare, e più accesamente di prima insisteva sullanecessità delle riforme.Si stava intanto per la signorìa in grandissima appren-sione del come l'avrebbe sentita Buonaparte; perciocchèpresso a lui stando il dominio di tutta Italia, a volontàsua vivevano, o morivano gli stati. Gli scriveva il dogein nome del senato lettere molto sommesse di rammari-co, e di scusa pei Francesi uccisi. Arrivavano, portate daLavallette, aiutante del generalissimo, risposte funestis-sime: Buonaparte non era uomo da non usar bene la oc-casione; non potere, scriveva, la repubblica Francesetollerare gli assassinj, e le vie di fatto di ogni sorte com-messe contro i Francesi in Genova da un popolo senzafreno, suscitato da coloro, che avevano fatto ardere laModesta, e maltrattare i cittadini Francesi; se fra venti-quattr'ore i carcerati non si liberassero, se coloro, che ilpopolo contro di loro avevano provocato, non si carce-rassero, se la feccia di quel popolazzo non disarmasse,aver vissuto la Genovese aristocrazìa, e partirsi da Ge-nova il ministro della repubblica: stare la vita dei sena-tori per quella dei Francesi in Genova, tutto lo stato perle proprietà loro. Con queste parole superbe ed oltrag-giose parlava Buonaparte ad un governo venerabile perl'antichità, e capo di un popolo ingegnoso e forte. Ma icarbonari non avrebbero uccisi i Francesi, se i Moran-diani, il capo dei quali era stato munito di patente Fran-cese dal ministro di Francia, non avessero essi primiera-mente incominciato la ribellione e la uccisione degli uo-

sull'esortare, e più accesamente di prima insisteva sullanecessità delle riforme.Si stava intanto per la signorìa in grandissima appren-sione del come l'avrebbe sentita Buonaparte; perciocchèpresso a lui stando il dominio di tutta Italia, a volontàsua vivevano, o morivano gli stati. Gli scriveva il dogein nome del senato lettere molto sommesse di rammari-co, e di scusa pei Francesi uccisi. Arrivavano, portate daLavallette, aiutante del generalissimo, risposte funestis-sime: Buonaparte non era uomo da non usar bene la oc-casione; non potere, scriveva, la repubblica Francesetollerare gli assassinj, e le vie di fatto di ogni sorte com-messe contro i Francesi in Genova da un popolo senzafreno, suscitato da coloro, che avevano fatto ardere laModesta, e maltrattare i cittadini Francesi; se fra venti-quattr'ore i carcerati non si liberassero, se coloro, che ilpopolo contro di loro avevano provocato, non si carce-rassero, se la feccia di quel popolazzo non disarmasse,aver vissuto la Genovese aristocrazìa, e partirsi da Ge-nova il ministro della repubblica: stare la vita dei sena-tori per quella dei Francesi in Genova, tutto lo stato perle proprietà loro. Con queste parole superbe ed oltrag-giose parlava Buonaparte ad un governo venerabile perl'antichità, e capo di un popolo ingegnoso e forte. Ma icarbonari non avrebbero uccisi i Francesi, se i Moran-diani, il capo dei quali era stato munito di patente Fran-cese dal ministro di Francia, non avessero essi primiera-mente incominciato la ribellione e la uccisione degli uo-

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mini fedeli all'antico stato. Quel ritoccar poi della Mo-desta in questo fatto, era cosa del tutto insopportabile.Del resto, tale fu la forza della verità, che Faipoult atte-stava ed affermava a Buonaparte, che il governo Geno-vese aveva fatto in quell'accidente quanto per lui si erapotuto, per evitar i disordini; che in facoltà sua non eradi comandare a coloro, che, non che gli obbedissero, glicomandavano e li difendevano: che delle uccisioni deiFrancesi i patriotti erano stati cagione per aver inalbera-to i tre colori; che senza questa insolenza democraticaniun Francese avrebbe perduto la vita; che i democratisoli avevano messo in pericolo i Francesi; ch'essi aveva-no fatto oltraggio alla repubblica Francese per averusurpato i suoi colori nazionali; ch'essi finalmente ave-vano operato pazzamente per l'impeto sregolato, infa-memente per l'apertura delle carceri e delle galere. Datutto questo si vede, che Genova era del tutto innocentedel sangue Francese, e che la collera di Buonaparte,vera o finta che si fosse, per la morte dei Francesi, noncontro di lei, ma contro quelli che avevano voluto farela rivoluzione, avrebbe dovuto sfogarsi.Quest'era la condizione di Genova. Il senato sbigottito, eservo della moltitudine, e diviso per le opinioni, perchèla parte Francese, che desiderava le riforme, aveva ac-quistato maggior favore per gli accidenti presenti. Inol-tre ei si trovava tra il non poter inveire contro il popolo,perchè lo avea salvato, ed il dover inveire, perchè gliagenti del direttorio gridavano vendetta. La moltitudine

mini fedeli all'antico stato. Quel ritoccar poi della Mo-desta in questo fatto, era cosa del tutto insopportabile.Del resto, tale fu la forza della verità, che Faipoult atte-stava ed affermava a Buonaparte, che il governo Geno-vese aveva fatto in quell'accidente quanto per lui si erapotuto, per evitar i disordini; che in facoltà sua non eradi comandare a coloro, che, non che gli obbedissero, glicomandavano e li difendevano: che delle uccisioni deiFrancesi i patriotti erano stati cagione per aver inalbera-to i tre colori; che senza questa insolenza democraticaniun Francese avrebbe perduto la vita; che i democratisoli avevano messo in pericolo i Francesi; ch'essi aveva-no fatto oltraggio alla repubblica Francese per averusurpato i suoi colori nazionali; ch'essi finalmente ave-vano operato pazzamente per l'impeto sregolato, infa-memente per l'apertura delle carceri e delle galere. Datutto questo si vede, che Genova era del tutto innocentedel sangue Francese, e che la collera di Buonaparte,vera o finta che si fosse, per la morte dei Francesi, noncontro di lei, ma contro quelli che avevano voluto farela rivoluzione, avrebbe dovuto sfogarsi.Quest'era la condizione di Genova. Il senato sbigottito, eservo della moltitudine, e diviso per le opinioni, perchèla parte Francese, che desiderava le riforme, aveva ac-quistato maggior favore per gli accidenti presenti. Inol-tre ei si trovava tra il non poter inveire contro il popolo,perchè lo avea salvato, ed il dover inveire, perchè gliagenti del direttorio gridavano vendetta. La moltitudine

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armata, fatta la buona opera di redimere il principe, pro-rompeva, come suole, in opere ree, oltraggiando e ma-nomettendo gli onesti cittadini, solo perchè gli avevaper sospetti. Taccio, che la casa di Morando spogliaronoda capo in fondo; ma già incominciavano a spogliar lecase, non solo degl'innocenti, ma ancora dei benemeriti;ogni cosa piena di terrore. Insisteva più acerbo che maiFaipoult, perchè si scarcerassero i Francesi, si arrestas-sero gli uccisori, si dichiarasse, non aver i Francesi avu-to parte nella ribellione. Temendo poi che solo si punis-sero gl'infimi assenti, e si salvassero i capi presenti, ri-chiedeva con imperio insolente dal senato, forse non ri-cordandosi, o fors'anche ricordandosi di avere scritto aBuonaparte, che era innocente, carcerasse, e ad arbitriodi Buonaparte serbasse Francesco Maria Spinola, Fran-cesco Grimaldi, inquisitori di stato, e Niccolò Cataneopatrizio, per avere provocato, secondo le allegazioni diLavallette, in ogni possibil modo gli atroci fatti contro iFrancesi, e per essere stati autori principali delle risolu-zioni prese negli ultimi tempi; sconce ambagi, che colo-ro, cui Faipoult aveva dichiarato un giorno prima inno-centi, fossero dichiarati un giorno dopo rei. Certamenteerano Spinola, Grimaldi e Cataneo rei, non d'alcunamorte di Francesi, ma bene dell'amare la patria loro, edel volerla preservare dalla tirannide forestiera. Infuria-va Lavallette, e secondava Faipoult. Affermava, che icarbonari erano stati pagati, perchè uccidessero i Fran-cesi, e che i Francesi per ordine espresso erano stati as-sassinati. La qual cosa se fosse tanto vera, quanto è fal-

armata, fatta la buona opera di redimere il principe, pro-rompeva, come suole, in opere ree, oltraggiando e ma-nomettendo gli onesti cittadini, solo perchè gli avevaper sospetti. Taccio, che la casa di Morando spogliaronoda capo in fondo; ma già incominciavano a spogliar lecase, non solo degl'innocenti, ma ancora dei benemeriti;ogni cosa piena di terrore. Insisteva più acerbo che maiFaipoult, perchè si scarcerassero i Francesi, si arrestas-sero gli uccisori, si dichiarasse, non aver i Francesi avu-to parte nella ribellione. Temendo poi che solo si punis-sero gl'infimi assenti, e si salvassero i capi presenti, ri-chiedeva con imperio insolente dal senato, forse non ri-cordandosi, o fors'anche ricordandosi di avere scritto aBuonaparte, che era innocente, carcerasse, e ad arbitriodi Buonaparte serbasse Francesco Maria Spinola, Fran-cesco Grimaldi, inquisitori di stato, e Niccolò Cataneopatrizio, per avere provocato, secondo le allegazioni diLavallette, in ogni possibil modo gli atroci fatti contro iFrancesi, e per essere stati autori principali delle risolu-zioni prese negli ultimi tempi; sconce ambagi, che colo-ro, cui Faipoult aveva dichiarato un giorno prima inno-centi, fossero dichiarati un giorno dopo rei. Certamenteerano Spinola, Grimaldi e Cataneo rei, non d'alcunamorte di Francesi, ma bene dell'amare la patria loro, edel volerla preservare dalla tirannide forestiera. Infuria-va Lavallette, e secondava Faipoult. Affermava, che icarbonari erano stati pagati, perchè uccidessero i Fran-cesi, e che i Francesi per ordine espresso erano stati as-sassinati. La qual cosa se fosse tanto vera, quanto è fal-

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sa, pruoverebbe, che gl'inquisitori di Genova fosseropiuttosto pazzi, che feroci; perchè in tanta potenza dellaFrancia in tutta Europa, principalmente in Italia, non sivede che cosa importasse la morte di cinque o sei Fran-cesi isolati ed inermi, se non a far sobbissar Genova. Ilversar sangue poi solo pel piacere di versarlo, s'impara-va solamente alla scuola di Buonaparte. Orrore, dolore,terrore prendeva i senatori alla richiesta. Resistevano inprima, poi spinti dall'ultima necessità, arrendendosi fa-cilmente quei della parte Francese, a loro malgrado con-sentirono.Dell'altra richiesta dei prigioni fu soddisfatto senza mol-to contrasto a Buonaparte; liberavansi i Francesi. Mapiù cedeva Genova, e più Faipoult moltiplicava le do-mande: ottenuta la libertà dei compatriotti, addomanda-va quella dei Lombardi, non per altro venuti, che persovvertire lo stato, e presi con le armi in mano mescolaticoi ribelli. Consentiva per forza il senato: portarongli icompagni a trionfo per quella città, che testè avevanobruttato di sangue. Del disarmamento, faccenda tantonecessaria, quanto difficile, consentiva facilmente, edava anche un premio di due lire a chi portasse le armiall'armerìa del pubblico. Restava, che a petizione diFaipoult pubblicamente dichiarasse, non essere stati iFrancesi mescolati nella ribellione; al che non si lascia-va piegare. Bene mandava fuori un manifesto esortato-rio ai popoli, acciocchè avessero i Francesi in grado diamici, affermando, che la salute di Genova dall'amicizia

sa, pruoverebbe, che gl'inquisitori di Genova fosseropiuttosto pazzi, che feroci; perchè in tanta potenza dellaFrancia in tutta Europa, principalmente in Italia, non sivede che cosa importasse la morte di cinque o sei Fran-cesi isolati ed inermi, se non a far sobbissar Genova. Ilversar sangue poi solo pel piacere di versarlo, s'impara-va solamente alla scuola di Buonaparte. Orrore, dolore,terrore prendeva i senatori alla richiesta. Resistevano inprima, poi spinti dall'ultima necessità, arrendendosi fa-cilmente quei della parte Francese, a loro malgrado con-sentirono.Dell'altra richiesta dei prigioni fu soddisfatto senza mol-to contrasto a Buonaparte; liberavansi i Francesi. Mapiù cedeva Genova, e più Faipoult moltiplicava le do-mande: ottenuta la libertà dei compatriotti, addomanda-va quella dei Lombardi, non per altro venuti, che persovvertire lo stato, e presi con le armi in mano mescolaticoi ribelli. Consentiva per forza il senato: portarongli icompagni a trionfo per quella città, che testè avevanobruttato di sangue. Del disarmamento, faccenda tantonecessaria, quanto difficile, consentiva facilmente, edava anche un premio di due lire a chi portasse le armiall'armerìa del pubblico. Restava, che a petizione diFaipoult pubblicamente dichiarasse, non essere stati iFrancesi mescolati nella ribellione; al che non si lascia-va piegare. Bene mandava fuori un manifesto esortato-rio ai popoli, acciocchè avessero i Francesi in grado diamici, affermando, che la salute di Genova dall'amicizia

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di Francia si poteva solo, ed unicamente aspettare. Laquale esortazione dispiacque oltre modo al popolo, chesoltanto vedeva le trame, e non conosceva il modo dipassarle per la politica.Il fine principale a cui miravano tante arti, spaventi eminacce, non era punto nè la liberazione di pochi carce-rati, nè l'incarcerazione di pochi magistrati, cose tutte nèstimate da Buonaparte d'importanza, nè usate se non permezzi. Bensì ei voleva la mutazione, affinchè dalla nuo-va forma fossero esclusi gli amatori dell'indipendenza, egli aderenti dell'Austria, ed inclusi i partigiani di Fran-cia. Perlochè, vintesi dagli agenti del generalissimo leprime domande, insorgevano con maggior calore, ri-chiedendo il senato, riducesse lo stato a forma più de-mocratica, e facesse abilità ai legati che si volevanomandar al generalissimo, di accordar con lui il cambia-mento che si desiderava. Rappresentavano, non altromodo esservi di quietare gli spiriti, se non quello dichiamare anche i popolari al dominio; considerassero,con quanta fatica e quanto sangue s'era poc'anzi l'anticaforma potuta conservare, solo perchè non era più con-sentanea alle opinioni dei più; doversi dare sfogo a que-sti nuovi umori, se non si voleva che inondassero conrovina della repubblica; per questo solo atto acquiste-rebbe il senato nella liberata Italia somma autorità, e lo-derebbe Milano Genova, quel Milano, che allora lascherniva; con questo solo atto si renderebbe sicura laintegrità della repubblica, che allora era dubbia; ciò de-

di Francia si poteva solo, ed unicamente aspettare. Laquale esortazione dispiacque oltre modo al popolo, chesoltanto vedeva le trame, e non conosceva il modo dipassarle per la politica.Il fine principale a cui miravano tante arti, spaventi eminacce, non era punto nè la liberazione di pochi carce-rati, nè l'incarcerazione di pochi magistrati, cose tutte nèstimate da Buonaparte d'importanza, nè usate se non permezzi. Bensì ei voleva la mutazione, affinchè dalla nuo-va forma fossero esclusi gli amatori dell'indipendenza, egli aderenti dell'Austria, ed inclusi i partigiani di Fran-cia. Perlochè, vintesi dagli agenti del generalissimo leprime domande, insorgevano con maggior calore, ri-chiedendo il senato, riducesse lo stato a forma più de-mocratica, e facesse abilità ai legati che si volevanomandar al generalissimo, di accordar con lui il cambia-mento che si desiderava. Rappresentavano, non altromodo esservi di quietare gli spiriti, se non quello dichiamare anche i popolari al dominio; considerassero,con quanta fatica e quanto sangue s'era poc'anzi l'anticaforma potuta conservare, solo perchè non era più con-sentanea alle opinioni dei più; doversi dare sfogo a que-sti nuovi umori, se non si voleva che inondassero conrovina della repubblica; per questo solo atto acquiste-rebbe il senato nella liberata Italia somma autorità, e lo-derebbe Milano Genova, quel Milano, che allora lascherniva; con questo solo atto si renderebbe sicura laintegrità della repubblica, che allora era dubbia; ciò de-

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siderare la repubblica Francese, ciò volere Buonaparte;ciò fatto, sperimenterebbegli Genova così facili ed ami-chevoli, come allora gli trovava ritrosi ed avversi; dive-nuti essere odiosi i privilegi; il rinunziarvi, e l'accomu-narsi esser da savio, perciocchè altro non era che perde-re una chimera con acquistare una realtà; parecchie vol-te aver Genova mutato modo nel corso dei secoli, ora al-largandolo al popolare, ora restrignendolo all'aristocrati-co secondo i tempi; che ora tornasse al popolare, esserenon solo necessario, ma ancora non insolito: cedesseroadunque, ed in quella sola risoluzione vedessero la salu-te della repubblica.Queste esortazioni fortissime in se stesse, operavano ga-gliardamente. Pure trovavano non poca difficoltà; per-chè molti dei senatori vedevano in quei reggimenti de-mocratici non amore, nè gratitudine per la rinunziazionedei privilegi, ma scherni e persecuzione, nè cambiandoera andare dall'aristocrazìa alla democrazìa, ma bensìdal dominio consueto al dominio di una parte prepoten-te. Atterriva anche l'esempio di Venezia, che già si vede-va passare, pel cambiamento fatto, non alla libertà edalla concordia, ma prima alla servitù di una parte, poialla servitù forestiera. Così si stava in pendente, e, comeaccade nei casi dubbj e pericolosi, si amava lo stare,solo perchè lo stare era consueto.Mentre si deliberava nel piccolo consiglio di quanto sidovesse fare in quella occorrenza di suprema, anzi diunica importanza per la patria, comparivano le prime

siderare la repubblica Francese, ciò volere Buonaparte;ciò fatto, sperimenterebbegli Genova così facili ed ami-chevoli, come allora gli trovava ritrosi ed avversi; dive-nuti essere odiosi i privilegi; il rinunziarvi, e l'accomu-narsi esser da savio, perciocchè altro non era che perde-re una chimera con acquistare una realtà; parecchie vol-te aver Genova mutato modo nel corso dei secoli, ora al-largandolo al popolare, ora restrignendolo all'aristocrati-co secondo i tempi; che ora tornasse al popolare, esserenon solo necessario, ma ancora non insolito: cedesseroadunque, ed in quella sola risoluzione vedessero la salu-te della repubblica.Queste esortazioni fortissime in se stesse, operavano ga-gliardamente. Pure trovavano non poca difficoltà; per-chè molti dei senatori vedevano in quei reggimenti de-mocratici non amore, nè gratitudine per la rinunziazionedei privilegi, ma scherni e persecuzione, nè cambiandoera andare dall'aristocrazìa alla democrazìa, ma bensìdal dominio consueto al dominio di una parte prepoten-te. Atterriva anche l'esempio di Venezia, che già si vede-va passare, pel cambiamento fatto, non alla libertà edalla concordia, ma prima alla servitù di una parte, poialla servitù forestiera. Così si stava in pendente, e, comeaccade nei casi dubbj e pericolosi, si amava lo stare,solo perchè lo stare era consueto.Mentre si deliberava nel piccolo consiglio di quanto sidovesse fare in quella occorrenza di suprema, anzi diunica importanza per la patria, comparivano le prime

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squadre di Rusca, le quali, sparsesi prima per la Polce-vera, si distendevano poscia insino alle porte di Genova.Si udiva eziandìo, che Serrurier poco lontano succedevacon le sue, e che da Cremona si muovevano nuovi sol-dati per dar rinforzo a Rusca ed a Serrurier, ove da perse non bastassero. Erasi appresentata alcuni giorni in-nanzi alla bocca del porto l'armata di Brueys; ma per laistanza del senato, e per la tempera del popolo, che nonl'avrebbe lasciata entrare quietamente, aveva Faipoultoperato, che l'ammiraglio se ne tornasse verso Tolone;del che, qual debole e timoroso, fu poscia aspramentebiasimato da Buonaparte. Sebbene però l'armata France-se si fosse ritirata, si sapeva, che andava volteggiandosiora a vista, ed ora poco lontana dalla riviera di ponente,e poteva dar animo, e fare spalla facilmente ai novatoridella riviera, ed a quei della metropoli. Nè fu l'esito di-verso dal prevedere; perchè tra la presenza di Rusca nel-la Polcevera, alcune squadre di soldati Francesi sparsinella riviera, e la prossimità di Brueys, si tumultuava invari luoghi, non senza sangue; gli abitatori delle ville edelle montagne combattevano acremente i novatori. Ciònon ostante questi ultimi erano rimasti superiori in Sa-vona, città principale in quelle piagge, e già in ella, e nelFinale, e nel porto Maurizio avevano piantato l'albero,che chiamavano della libertà. Il senato minacciato dauna setta potente nella sua sede medesima, attorniato dasoldati forestieri, lacerato dalla guerra civile, strettocontinuamente dagli agenti di Francia, che sempre par-lavano dello sdegno del direttorio, e di Buonaparte, non

squadre di Rusca, le quali, sparsesi prima per la Polce-vera, si distendevano poscia insino alle porte di Genova.Si udiva eziandìo, che Serrurier poco lontano succedevacon le sue, e che da Cremona si muovevano nuovi sol-dati per dar rinforzo a Rusca ed a Serrurier, ove da perse non bastassero. Erasi appresentata alcuni giorni in-nanzi alla bocca del porto l'armata di Brueys; ma per laistanza del senato, e per la tempera del popolo, che nonl'avrebbe lasciata entrare quietamente, aveva Faipoultoperato, che l'ammiraglio se ne tornasse verso Tolone;del che, qual debole e timoroso, fu poscia aspramentebiasimato da Buonaparte. Sebbene però l'armata France-se si fosse ritirata, si sapeva, che andava volteggiandosiora a vista, ed ora poco lontana dalla riviera di ponente,e poteva dar animo, e fare spalla facilmente ai novatoridella riviera, ed a quei della metropoli. Nè fu l'esito di-verso dal prevedere; perchè tra la presenza di Rusca nel-la Polcevera, alcune squadre di soldati Francesi sparsinella riviera, e la prossimità di Brueys, si tumultuava invari luoghi, non senza sangue; gli abitatori delle ville edelle montagne combattevano acremente i novatori. Ciònon ostante questi ultimi erano rimasti superiori in Sa-vona, città principale in quelle piagge, e già in ella, e nelFinale, e nel porto Maurizio avevano piantato l'albero,che chiamavano della libertà. Il senato minacciato dauna setta potente nella sua sede medesima, attorniato dasoldati forestieri, lacerato dalla guerra civile, strettocontinuamente dagli agenti di Francia, che sempre par-lavano dello sdegno del direttorio, e di Buonaparte, non

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aveva più libertà di deliberare.Cedevano i padri, perchè il contrastare era impossibile.Statuivano, si riformerebbe lo stato; la mutazione, quan-tunque in termini generali, al popolo si annunzierebbe.Mandavano poi legali a Buonaparte, con facoltà di ac-cordare con lui la forma futura degli ordini politici, i no-bili Michel Agnolo Cambiaso, Luigi Carbonara, Gerola-mo Serra, i due primi amatori di un governo popolarepiù largo, l'ultimo di uno più stretto, ma uomini tutti disingolare ingegno, ed anche di natura buona e forte, sefati migliori avessero conceduto, che la bontà e la for-tezza potessero giovare alla patria. Partivano i deputatiper Montebello, alloggiamento di Buonaparte. Partivanoanche, conseguito l'intento, alla volta medesimaFaipoult e Lavallette, per informar il generale dell'adem-pimento delle commissioni loro, e per consigliarlo intor-no alle persone, che per gl'interessi di Francia si conve-nisse introdurre nel nuovo reggimento.Il doge, i governatori, ed i procuratori della repubblicaavvertivano il pubblico, mandarsi legati a Buonaparte,perchè ai pericoli esterni, ed alle turbazioni interne diGenova provvedesse. Lodavano la lealtà di Faipoult,conforme, dicevano, a quella della gran nazione; spera-re, con l'ajuto della divina provvidenza, poter facilmentecompire un'opera conducente a conservazione della re-pubblica, ed a contentamento di tutti, e sulla quale atempo debito si sarebbe chiamata a consiglio tutta la na-zione: se ne vivessero intanto quieti, esortavano, e non

aveva più libertà di deliberare.Cedevano i padri, perchè il contrastare era impossibile.Statuivano, si riformerebbe lo stato; la mutazione, quan-tunque in termini generali, al popolo si annunzierebbe.Mandavano poi legali a Buonaparte, con facoltà di ac-cordare con lui la forma futura degli ordini politici, i no-bili Michel Agnolo Cambiaso, Luigi Carbonara, Gerola-mo Serra, i due primi amatori di un governo popolarepiù largo, l'ultimo di uno più stretto, ma uomini tutti disingolare ingegno, ed anche di natura buona e forte, sefati migliori avessero conceduto, che la bontà e la for-tezza potessero giovare alla patria. Partivano i deputatiper Montebello, alloggiamento di Buonaparte. Partivanoanche, conseguito l'intento, alla volta medesimaFaipoult e Lavallette, per informar il generale dell'adem-pimento delle commissioni loro, e per consigliarlo intor-no alle persone, che per gl'interessi di Francia si conve-nisse introdurre nel nuovo reggimento.Il doge, i governatori, ed i procuratori della repubblicaavvertivano il pubblico, mandarsi legati a Buonaparte,perchè ai pericoli esterni, ed alle turbazioni interne diGenova provvedesse. Lodavano la lealtà di Faipoult,conforme, dicevano, a quella della gran nazione; spera-re, con l'ajuto della divina provvidenza, poter facilmentecompire un'opera conducente a conservazione della re-pubblica, ed a contentamento di tutti, e sulla quale atempo debito si sarebbe chiamata a consiglio tutta la na-zione: se ne vivessero intanto quieti, esortavano, e non

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corrompessero con moti inopportuni una occasione, dal-la quale dipendevano il riposo, e la felicità di tutti.Spedivano al tempo stesso il nobile Stefano Rivarola aParigi, comandandogli, in una faccenda di tanto mo-mento per la repubblica, s'ingegnasse con ogni possibilmodo di fare, che la forma antica, il meno che fate si po-tesse, si alterasse, e la integrità dei territorj in sicuro siponesse.Il direttorio di Francia era per le cose d'Italia piuttostoservo, che padrone di Buonaparte, e però a Montebellopiuttosto che a Parigi si doveva definire il destino di Ge-nova. Combattevano a questo tempo in Buonaparte duediversi pensieri, la necessità delle cose, e la volontà disecondare, pe'suoi fini particolari, i desiderj dei principi.Il primo lo sforzava a far le rivoluzioni, perchè l'operaresenza posa era per lui mezzo di non lasciar illanguidirela fama, che si era acquistata; il secondo lo spingeva afar sicure le monarchie, a rivoltar solo le repubbliche, equeste o spegnere, o lasciarle dare nella democrazìameno che potesse. Questi consigli operando in lui effi-cacemente, erano cagione, che, cambiando gli antichiordinamenti di Genova, non gli lasciasse scendere sinoalla pura ed inquieta democrazìa, e che la somma dellecose confidasse, non a gente fanatica e spaventevole aire, ma bensì a uomini temperati e savi, che o per neces-sità consentivano al cambiamento, o volevano la demo-crazìa mista e con leggi, non pura e senza leggi. Questipensieri consuonavano con quelli dei legati, ed anche la

corrompessero con moti inopportuni una occasione, dal-la quale dipendevano il riposo, e la felicità di tutti.Spedivano al tempo stesso il nobile Stefano Rivarola aParigi, comandandogli, in una faccenda di tanto mo-mento per la repubblica, s'ingegnasse con ogni possibilmodo di fare, che la forma antica, il meno che fate si po-tesse, si alterasse, e la integrità dei territorj in sicuro siponesse.Il direttorio di Francia era per le cose d'Italia piuttostoservo, che padrone di Buonaparte, e però a Montebellopiuttosto che a Parigi si doveva definire il destino di Ge-nova. Combattevano a questo tempo in Buonaparte duediversi pensieri, la necessità delle cose, e la volontà disecondare, pe'suoi fini particolari, i desiderj dei principi.Il primo lo sforzava a far le rivoluzioni, perchè l'operaresenza posa era per lui mezzo di non lasciar illanguidirela fama, che si era acquistata; il secondo lo spingeva afar sicure le monarchie, a rivoltar solo le repubbliche, equeste o spegnere, o lasciarle dare nella democrazìameno che potesse. Questi consigli operando in lui effi-cacemente, erano cagione, che, cambiando gli antichiordinamenti di Genova, non gli lasciasse scendere sinoalla pura ed inquieta democrazìa, e che la somma dellecose confidasse, non a gente fanatica e spaventevole aire, ma bensì a uomini temperati e savi, che o per neces-sità consentivano al cambiamento, o volevano la demo-crazìa mista e con leggi, non pura e senza leggi. Questipensieri consuonavano con quelli dei legati, ed anche la

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volontà del vincitor Buonaparte non era contrastabile.Per la qual cosa non fu lungo il negoziare, e addì cinquegiugno si concludeva un accordo per mezzo loro tra larepubblica di Francia, e quella di Genova, pei principalicapitoli del quale si statuiva, che il governo rimettessealla nazione, così richiedendo la felicità della medesima,il deposito della sovranità, che gli aveva confidato; ch'eiriconoscesse, la sovranità stare nell'universalità dei cit-tadini; che l'autorità legislativa si commettesse a dueconsigli rappresentativi, uno di trecento, l'altro di cen-cinquanta consiglieri; che la potestà esecutiva fosse in-vestita in un senato di dodici, e a cui presiedesse undoge; il doge, ed i senatori dai consigli si eleggessero;ogni comune avesse ad esser retto da ufficiali municipa-li, ogni distretto da ufficiali distrettuali; le potestà giudi-ziali e militari, e così pure le divisioni dei territorj se-condo il modello da farsi da una congregazione a postasi ordinassero, con ciò però, che la religione cattolicasalva ed intera si serbasse; i debiti del pubblico si gua-rentissero; il porto franco, ed il banco di San Giorgio siconservassero; ai nobili poveri, per quanto possibil fos-se, si provvedesse; che ogni privilegio per abolito siavesse; che intanto si creasse un reggimento temporaneodi ventidue, ed a cui il doge presiedesse; che questo reg-gimento prendesse il magistrato il dì quattordici di giu-gno. Statuisse delle indennità dei Francesi offesi neigiorni ventidue e ventitrè maggio; finalmente la repub-blica Francese perdonasse a tutti, che l'avessero offesanei giorni suddetti, e mantenesse l'integrità dei territorj

volontà del vincitor Buonaparte non era contrastabile.Per la qual cosa non fu lungo il negoziare, e addì cinquegiugno si concludeva un accordo per mezzo loro tra larepubblica di Francia, e quella di Genova, pei principalicapitoli del quale si statuiva, che il governo rimettessealla nazione, così richiedendo la felicità della medesima,il deposito della sovranità, che gli aveva confidato; ch'eiriconoscesse, la sovranità stare nell'universalità dei cit-tadini; che l'autorità legislativa si commettesse a dueconsigli rappresentativi, uno di trecento, l'altro di cen-cinquanta consiglieri; che la potestà esecutiva fosse in-vestita in un senato di dodici, e a cui presiedesse undoge; il doge, ed i senatori dai consigli si eleggessero;ogni comune avesse ad esser retto da ufficiali municipa-li, ogni distretto da ufficiali distrettuali; le potestà giudi-ziali e militari, e così pure le divisioni dei territorj se-condo il modello da farsi da una congregazione a postasi ordinassero, con ciò però, che la religione cattolicasalva ed intera si serbasse; i debiti del pubblico si gua-rentissero; il porto franco, ed il banco di San Giorgio siconservassero; ai nobili poveri, per quanto possibil fos-se, si provvedesse; che ogni privilegio per abolito siavesse; che intanto si creasse un reggimento temporaneodi ventidue, ed a cui il doge presiedesse; che questo reg-gimento prendesse il magistrato il dì quattordici di giu-gno. Statuisse delle indennità dei Francesi offesi neigiorni ventidue e ventitrè maggio; finalmente la repub-blica Francese perdonasse a tutti, che l'avessero offesanei giorni suddetti, e mantenesse l'integrità dei territorj

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della repubblica Genovese.Mandava Buonaparte questi capitoli al doge con lettereportatrici di dolci parole, mostrando molta affezioneverso la repubblica, e consigliando, fossero savj, fosserouniti, e non dubitassero della protezione della Francia.Eleggeva al reggimento temporaneo Giacomo Brignole,doge, Carlo Cambiaso, Luigi Carbonara, Gian CarloSerra, Francesco Cataneo, Giuseppe Assereto da Rapal-lo, Stefano Carega, Luca Gentile, Agostino Pareto, Lui-gi Corvetto, Francesco Maria Ruzza, Emanuele Balbi,Gian Battista Durand del porto Maurizio, capitano Ruf-fino di Ovada, Agostino Maglione, Gian Antonio Mon-giardini, Francesco Pezzi, Bertuccioni, Gian BattistaRossi, Luigi Lupi, Gian Maria de Alberti, Bacigalupi,Marco Federici della Spezia.Quando il generalissimo di Francia creava questa nuovasignorìa, aveva in pensiero, non solamente di dare auto-rità a uomini prudenti, e lontani da voglie estreme, maancora mescolando uomini di diverse condizioni, di mo-strare che la sovranità non cadeva più in pochi, ma bensìin tutti, cosa che avrebbe dovuto far quietare, contentan-do le ambizioni, molti umori. Ma nelle rivoluzioni leambizioni sono incontentabili, e come se le faccendepubbliche potessero maneggiarsi continuamente dallamoltitudine, il restringerle in pochi magistrati era riputa-to aristocrazìa: gli esclusi gridavano tirannide, gente pe-ricolosissima, perchè pretendeva parole di amore di pa-tria.

della repubblica Genovese.Mandava Buonaparte questi capitoli al doge con lettereportatrici di dolci parole, mostrando molta affezioneverso la repubblica, e consigliando, fossero savj, fosserouniti, e non dubitassero della protezione della Francia.Eleggeva al reggimento temporaneo Giacomo Brignole,doge, Carlo Cambiaso, Luigi Carbonara, Gian CarloSerra, Francesco Cataneo, Giuseppe Assereto da Rapal-lo, Stefano Carega, Luca Gentile, Agostino Pareto, Lui-gi Corvetto, Francesco Maria Ruzza, Emanuele Balbi,Gian Battista Durand del porto Maurizio, capitano Ruf-fino di Ovada, Agostino Maglione, Gian Antonio Mon-giardini, Francesco Pezzi, Bertuccioni, Gian BattistaRossi, Luigi Lupi, Gian Maria de Alberti, Bacigalupi,Marco Federici della Spezia.Quando il generalissimo di Francia creava questa nuovasignorìa, aveva in pensiero, non solamente di dare auto-rità a uomini prudenti, e lontani da voglie estreme, maancora mescolando uomini di diverse condizioni, di mo-strare che la sovranità non cadeva più in pochi, ma bensìin tutti, cosa che avrebbe dovuto far quietare, contentan-do le ambizioni, molti umori. Ma nelle rivoluzioni leambizioni sono incontentabili, e come se le faccendepubbliche potessero maneggiarsi continuamente dallamoltitudine, il restringerle in pochi magistrati era riputa-to aristocrazìa: gli esclusi gridavano tirannide, gente pe-ricolosissima, perchè pretendeva parole di amore di pa-tria.

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Incominciava appena a farsi giorno, che già le piazze ele contrade erano piene di gente, accorrendo da una par-te il popolo tratto dalla novità del caso, dall'altra i liber-tini portati dall'allegrezza, e dal desiderio di far certe di-mostrazioni, che credevano libertà, ed erano vanità inse, scherno ad una parte dei loro concittadini, imitazioneservile dei forestieri, segni di tirannide, semi di futurediscordie. Il popolo stesso, solito a seguitare così il benecome il male ad un posto segnale, se prima traeva percuriosità, dopo, e visto il giubbilar dei libertini, inco-minciava a trarre per allegrezza, ed era uno spettacolomirabile il vedere tutta quella città mossa a gioia, cheancora non faceva un mese, si era veduta mossa a san-gue. “Viva la libertà, muoja l'aristocrazìa, viva Francia,viva Buonaparte”, gridavano le Genovesi voci: gli alberidella libertà non solo sulle piazze e principali contrade,ma ancora sulle piazzuole e nei vicoli a tutta fretta sipiantavano; i balli, canti, ed i discorsi che si facevanoloro intorno, erano eccessivi. A questo, alcune donne, enon delle infime, certi berrettini di libertà, che così glichiamavano, che avevano tessuti nascostamente, di trecolori nei giorni precedenti, distribuivano in pubblico,ed i libertini con molto romore se gli appiccavano sulpetto. Le quali cose se abbiano mosso a riso Buonapartetanto astuto conoscitore e tanto cupo sprezzatoredell'umana natura, non è da domandare: godeva in se delcompito inganno. Morando era fuori di se dalla conten-tezza, sebbene non del tutto si soddisfacesse dei membridel governo temporaneo, parendogli aristocrati anzi che

Incominciava appena a farsi giorno, che già le piazze ele contrade erano piene di gente, accorrendo da una par-te il popolo tratto dalla novità del caso, dall'altra i liber-tini portati dall'allegrezza, e dal desiderio di far certe di-mostrazioni, che credevano libertà, ed erano vanità inse, scherno ad una parte dei loro concittadini, imitazioneservile dei forestieri, segni di tirannide, semi di futurediscordie. Il popolo stesso, solito a seguitare così il benecome il male ad un posto segnale, se prima traeva percuriosità, dopo, e visto il giubbilar dei libertini, inco-minciava a trarre per allegrezza, ed era uno spettacolomirabile il vedere tutta quella città mossa a gioia, cheancora non faceva un mese, si era veduta mossa a san-gue. “Viva la libertà, muoja l'aristocrazìa, viva Francia,viva Buonaparte”, gridavano le Genovesi voci: gli alberidella libertà non solo sulle piazze e principali contrade,ma ancora sulle piazzuole e nei vicoli a tutta fretta sipiantavano; i balli, canti, ed i discorsi che si facevanoloro intorno, erano eccessivi. A questo, alcune donne, enon delle infime, certi berrettini di libertà, che così glichiamavano, che avevano tessuti nascostamente, di trecolori nei giorni precedenti, distribuivano in pubblico,ed i libertini con molto romore se gli appiccavano sulpetto. Le quali cose se abbiano mosso a riso Buonapartetanto astuto conoscitore e tanto cupo sprezzatoredell'umana natura, non è da domandare: godeva in se delcompito inganno. Morando era fuori di se dalla conten-tezza, sebbene non del tutto si soddisfacesse dei membridel governo temporaneo, parendogli aristocrati anzi che

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no. Vitaliani predicava, e per gridar forte che facesse ilpopolo, non gli pareva mai, che gridasse abbastanza. Inobili o si nascondevano nelle più segrete case, o fuggi-vano dalla città, e ne avevano ben anche il perchè; chead un primo trarre, il popolo mosso, e stimolato dai no-vatori più vivi, gli avrebbe manomessi. In mezzo a tantofracasso poteva nascer bene, come male, ma più facil-mente male che bene. I patriotti scrivevano nel gergogonfio, servile, e schifoso di quei tempi, che «superbodei riacquistati diritti scorreva per le vie il genio dellaLiguria, e scrivea sulla fronte ai liberi cittadini la bellaimmagine di un fortunato avvenire». Ed ancora: «Oh,sublime maestoso spettacolo d'un popolo intero, chedopo aver trascorso dei secoli di servitù, curvo, ed umi-liato sotto un giogo di ferro, si leva subitamente ritto suipiedi, e scosso l'infame peso delle irrugginite catene negetta i rotti avanzi in faccia ai detronizzati tiranni!» Cosìparlavano: Buonaparte ne faceva le risa a Montebello, egli chiamava pazzi da legare. Gian Carlo Serra, e suofratello Gerolamo, che non erano uomini da riscaldarsitroppo, ed avevano l'animo piuttosto da storico che dapoeta, s'erano lasciati ancor essi trasportare all'entusia-smo, e scrivevano cose di fuoco a Buonaparte.La servile imitazione verso le tragicomedie della rivolu-zione Francese dominava; ed ecco una calca di gentetrarre con grida al ducale palazzo, i patriotti la guidava-no, con animo di levarne il libro d'oro, infame catalogo,come dicevano, volume esecrato dell'antica aristocrazìa.

no. Vitaliani predicava, e per gridar forte che facesse ilpopolo, non gli pareva mai, che gridasse abbastanza. Inobili o si nascondevano nelle più segrete case, o fuggi-vano dalla città, e ne avevano ben anche il perchè; chead un primo trarre, il popolo mosso, e stimolato dai no-vatori più vivi, gli avrebbe manomessi. In mezzo a tantofracasso poteva nascer bene, come male, ma più facil-mente male che bene. I patriotti scrivevano nel gergogonfio, servile, e schifoso di quei tempi, che «superbodei riacquistati diritti scorreva per le vie il genio dellaLiguria, e scrivea sulla fronte ai liberi cittadini la bellaimmagine di un fortunato avvenire». Ed ancora: «Oh,sublime maestoso spettacolo d'un popolo intero, chedopo aver trascorso dei secoli di servitù, curvo, ed umi-liato sotto un giogo di ferro, si leva subitamente ritto suipiedi, e scosso l'infame peso delle irrugginite catene negetta i rotti avanzi in faccia ai detronizzati tiranni!» Cosìparlavano: Buonaparte ne faceva le risa a Montebello, egli chiamava pazzi da legare. Gian Carlo Serra, e suofratello Gerolamo, che non erano uomini da riscaldarsitroppo, ed avevano l'animo piuttosto da storico che dapoeta, s'erano lasciati ancor essi trasportare all'entusia-smo, e scrivevano cose di fuoco a Buonaparte.La servile imitazione verso le tragicomedie della rivolu-zione Francese dominava; ed ecco una calca di gentetrarre con grida al ducale palazzo, i patriotti la guidava-no, con animo di levarne il libro d'oro, infame catalogo,come dicevano, volume esecrato dell'antica aristocrazìa.

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Si custodiva il libro assai gelosamente in un luogo ap-partato del palazzo d'onde non si estraeva se non quandoil nome di qualche nuova famiglia, chiamata a nobiltà,vi si scriveva. La plebe, rotte a forza le porte dell'archi-vio, se lo portava con incredibili scede e giullerìe sullapiazza dell'acquaverde, e quivi acceso un fuoco, lo arde-va, e le grida, e le risa, e gli scherni furono molti. Nonpochi, perchè non mancassero neanche le puerilità, feri-vano a punta di bajonetta o di sciabola l'odiato libro, econ questo si credevano di aver morto l'aristocrazìa: icircostanti applaudivano. Insomma il popolo mosso, senon fa tragedie, vuol comedie. Ardevano col libro d'oroanche la bussola del doge, e l'urna, dove s'imborsavano inomi dei senatori per gli squittinj. Vi si arrosero altristemmi gentilizj raccolti a furia di popolo da diversi luo-ghi; cose tutte, che si facevano piuttosto per ingiuria dipersone, che per amore di libertà: poi piantavano sulleceneri delle reliquie aristocratiche, come dicevano, il so-lito fusto, e gli applausi, e le musiche, e i discorsi anda-vano al colmo.Arso il libro d'oro, trascorreva il popolo, anche i carbo-nari vi si mescolavano, ad un atto assai più biasimevole,e questo fu di rompere, ed atterrare la statua di AndreaDoria, che per memoria ed onore delle sue virtù, e de'suoi meriti verso la patria i Genovesi antichi avevanoeretta nella corte del palazzo ducale; e se chi stava den-tro a guardia fosse stato men pronto a serrare le portecontro l'invasata moltitudine, avrebbe rotto anche le al-

Si custodiva il libro assai gelosamente in un luogo ap-partato del palazzo d'onde non si estraeva se non quandoil nome di qualche nuova famiglia, chiamata a nobiltà,vi si scriveva. La plebe, rotte a forza le porte dell'archi-vio, se lo portava con incredibili scede e giullerìe sullapiazza dell'acquaverde, e quivi acceso un fuoco, lo arde-va, e le grida, e le risa, e gli scherni furono molti. Nonpochi, perchè non mancassero neanche le puerilità, feri-vano a punta di bajonetta o di sciabola l'odiato libro, econ questo si credevano di aver morto l'aristocrazìa: icircostanti applaudivano. Insomma il popolo mosso, senon fa tragedie, vuol comedie. Ardevano col libro d'oroanche la bussola del doge, e l'urna, dove s'imborsavano inomi dei senatori per gli squittinj. Vi si arrosero altristemmi gentilizj raccolti a furia di popolo da diversi luo-ghi; cose tutte, che si facevano piuttosto per ingiuria dipersone, che per amore di libertà: poi piantavano sulleceneri delle reliquie aristocratiche, come dicevano, il so-lito fusto, e gli applausi, e le musiche, e i discorsi anda-vano al colmo.Arso il libro d'oro, trascorreva il popolo, anche i carbo-nari vi si mescolavano, ad un atto assai più biasimevole,e questo fu di rompere, ed atterrare la statua di AndreaDoria, che per memoria ed onore delle sue virtù, e de'suoi meriti verso la patria i Genovesi antichi avevanoeretta nella corte del palazzo ducale; e se chi stava den-tro a guardia fosse stato men pronto a serrare le portecontro l'invasata moltitudine, avrebbe rotto anche le al-

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tre statue del Doria, che si vedevano nella sala del granconsiglio. Che cosa poi pretendessero le ingiurie fatte aimorti illustri, ed il disprezzo di servigi eminenti fatti allapatria, ciascuno potrà da per se stesso giudicare, ed era-no novatori noti solamente per parole ed incapricciti dicerti governi geometrici non ancora pruovati, o pruovatisoltanto per esilj, per persecuzioni, e per morti crudeli,che un Andrea Doria oltraggiavano.Dalle ingiurie si trapassava ad insolenze criminose; per-chè sospettando, che fossero ancora sostenuti nelle car-ceri alcuni fra coloro, che erano stati arrestati nei giorniventidue e ventitrè maggio, vi correvano a folla, edavendole sforzate, davano comodità di fuggirsi a parec-chi malfattori, contaminando in questo modo il nuovogoverno con lo stesso fatto, col quale avevano già assal-tato l'antico; tristi principj di libertà, e di stato civile.Tal era la condizione di Genova, che il governo, compo-sto la maggior parte di uomini buoni e savj, dipendevada Buonaparte, anche serviva alle opinioni dei tempi;dal che nasceva, che voleva ordinare, non la libertà chesi convenisse a Genova, ma quella che era foggiata amodo di Francia, come se nissun'altra forma buona divivere libero potesse essere, se non quella dei forestieri.Era oltre a questo, una parte assai viva, che chiamavanodei patriotti, la quale non contenta ad un vivere modera-to, avrebbe voluto, piuttosto, credo per imitazione servi-le, che per malvagità di natura, ma certamente per pen-sieri immoderati, non la forma ordinata in Francia col

tre statue del Doria, che si vedevano nella sala del granconsiglio. Che cosa poi pretendessero le ingiurie fatte aimorti illustri, ed il disprezzo di servigi eminenti fatti allapatria, ciascuno potrà da per se stesso giudicare, ed era-no novatori noti solamente per parole ed incapricciti dicerti governi geometrici non ancora pruovati, o pruovatisoltanto per esilj, per persecuzioni, e per morti crudeli,che un Andrea Doria oltraggiavano.Dalle ingiurie si trapassava ad insolenze criminose; per-chè sospettando, che fossero ancora sostenuti nelle car-ceri alcuni fra coloro, che erano stati arrestati nei giorniventidue e ventitrè maggio, vi correvano a folla, edavendole sforzate, davano comodità di fuggirsi a parec-chi malfattori, contaminando in questo modo il nuovogoverno con lo stesso fatto, col quale avevano già assal-tato l'antico; tristi principj di libertà, e di stato civile.Tal era la condizione di Genova, che il governo, compo-sto la maggior parte di uomini buoni e savj, dipendevada Buonaparte, anche serviva alle opinioni dei tempi;dal che nasceva, che voleva ordinare, non la libertà chesi convenisse a Genova, ma quella che era foggiata amodo di Francia, come se nissun'altra forma buona divivere libero potesse essere, se non quella dei forestieri.Era oltre a questo, una parte assai viva, che chiamavanodei patriotti, la quale non contenta ad un vivere modera-to, avrebbe voluto, piuttosto, credo per imitazione servi-le, che per malvagità di natura, ma certamente per pen-sieri immoderati, non la forma ordinata in Francia col

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direttorio, ma la precedente. Erano costoro intoppo insu-perabile ad ogni forma buona, siccome quelli, che ognireggimento regolare libero o non libero, ma più se libe-ro, laceravano con gl'improperj insidiavano con le con-giure, assaltavano con le sollevazioni. Mescolavasi fi-nalmente a questi umori la parte aristocratica vinta, laquale, impotente a far moto d'importanza a cagione del-la forza Francese presente, e del nome di Buonaparte,teneva non pertanto con le molte sue dipendenze gli ani-mi di non pochi sospesi, ed avversi allo stato nuovo. Siaccostavano a questa parte i più fra le genti di chiesa,che argomentando, da quello che si era fatto in Francia,a quello che si farebbe in Genova, o della religione, odell'autorità, o dei beni loro temevano.Come prima ebbero i nuovi magistrati preso l'ufficio,mandavano fuori un manifesto, ringraziando Buonapartedella benevolenza mostrata verso la repubblica, lodandoi privilegiati della rinunziazione dei privilegi, commen-dando i preti dello aver usato l'autorità loro a stabili-mento della libertà; invitavano i popoli della riviera adunirsi, e ad affratellarsi con Genova; esortavano tutti avivere quieti e concordi; allegavano, sperare, potere conl'ajuto divino rendere più felici le condizioni del popolo,e perchè il popolo potesse giudicare per se del buon ani-mo loro, promettevano di palesare al pubblico le labo-riose loro occupazioni. Venivano a congratularsi, ed aparlare encomj dell'acquistata libertà le città principalidelle riviere; l'allegrezza si diffondeva; la fratellanza e

direttorio, ma la precedente. Erano costoro intoppo insu-perabile ad ogni forma buona, siccome quelli, che ognireggimento regolare libero o non libero, ma più se libe-ro, laceravano con gl'improperj insidiavano con le con-giure, assaltavano con le sollevazioni. Mescolavasi fi-nalmente a questi umori la parte aristocratica vinta, laquale, impotente a far moto d'importanza a cagione del-la forza Francese presente, e del nome di Buonaparte,teneva non pertanto con le molte sue dipendenze gli ani-mi di non pochi sospesi, ed avversi allo stato nuovo. Siaccostavano a questa parte i più fra le genti di chiesa,che argomentando, da quello che si era fatto in Francia,a quello che si farebbe in Genova, o della religione, odell'autorità, o dei beni loro temevano.Come prima ebbero i nuovi magistrati preso l'ufficio,mandavano fuori un manifesto, ringraziando Buonapartedella benevolenza mostrata verso la repubblica, lodandoi privilegiati della rinunziazione dei privilegi, commen-dando i preti dello aver usato l'autorità loro a stabili-mento della libertà; invitavano i popoli della riviera adunirsi, e ad affratellarsi con Genova; esortavano tutti avivere quieti e concordi; allegavano, sperare, potere conl'ajuto divino rendere più felici le condizioni del popolo,e perchè il popolo potesse giudicare per se del buon ani-mo loro, promettevano di palesare al pubblico le labo-riose loro occupazioni. Venivano a congratularsi, ed aparlare encomj dell'acquistata libertà le città principalidelle riviere; l'allegrezza si diffondeva; la fratellanza e

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la concordia fra le varie parti della dizione Genoveseparevano pigliar radice. Accresceva l'allegrezza il senti-re, che i feudi imperiali avevano fatto dedizione di semedesimi a Genova, e mandato deputati. Poi per esserodioso quel nome di feudi, gli chiamarono Monti Liguri.Erano volentieri accettati nella società Genovese, lodati,e ringraziati i deputati.Ordinavasi intanto il corpo municipale di Genova, sog-getto molto geloso, perchè i municipj delle metropoli,ad esempio di quello di Parigi, volevano far a gara, econtrastare di potenza coi governi. I capi dell'esercitorepubblicano, talvolta per capriccio, talvolta per altrifini più reconditi, soffiavano su di queste faville: semitutti di discordia, e di anarchìa. Prendevano i municipaliil magistrato il dì primo di luglio con non mediocre ap-parato, e non mancavano i soliti discorsi. Un prete Cu-neo, che procedeva con molto calore in queste faccende,ed era stato mescolato nei moti precedenti, diceva loro:«Oh, Bruto, mio caro Bruto, prestami, io te ne prego,prestami per un momento il tuo pugnale grondante an-cora del sangue del tiranno, onde scriver possa sulle pa-reti di questa sala, sotto gli occhi del governo provviso-rio, i nomi santi di libertà, e d'uguaglianza». Poscia ilprete lodava i municipali. E' bisognerà bene che i leggi-tori d'oggidì mi comportino la libertà di dire tutto quel-lo, che si disse, perchè l'intento mio è di scrivere storie,non tacere, nè parlare per adulazione.L'affare più importante, che si esaminava nelle consulte

la concordia fra le varie parti della dizione Genoveseparevano pigliar radice. Accresceva l'allegrezza il senti-re, che i feudi imperiali avevano fatto dedizione di semedesimi a Genova, e mandato deputati. Poi per esserodioso quel nome di feudi, gli chiamarono Monti Liguri.Erano volentieri accettati nella società Genovese, lodati,e ringraziati i deputati.Ordinavasi intanto il corpo municipale di Genova, sog-getto molto geloso, perchè i municipj delle metropoli,ad esempio di quello di Parigi, volevano far a gara, econtrastare di potenza coi governi. I capi dell'esercitorepubblicano, talvolta per capriccio, talvolta per altrifini più reconditi, soffiavano su di queste faville: semitutti di discordia, e di anarchìa. Prendevano i municipaliil magistrato il dì primo di luglio con non mediocre ap-parato, e non mancavano i soliti discorsi. Un prete Cu-neo, che procedeva con molto calore in queste faccende,ed era stato mescolato nei moti precedenti, diceva loro:«Oh, Bruto, mio caro Bruto, prestami, io te ne prego,prestami per un momento il tuo pugnale grondante an-cora del sangue del tiranno, onde scriver possa sulle pa-reti di questa sala, sotto gli occhi del governo provviso-rio, i nomi santi di libertà, e d'uguaglianza». Poscia ilprete lodava i municipali. E' bisognerà bene che i leggi-tori d'oggidì mi comportino la libertà di dire tutto quel-lo, che si disse, perchè l'intento mio è di scrivere storie,non tacere, nè parlare per adulazione.L'affare più importante, che si esaminava nelle consulte

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Genovesi, era quello di formar il modello della nuovaconstituzione. Perlocchè, conformandosi ai patti diMontebello, creava il governo la congregazione, chequesto modello dovesse ordinare. A questo fine si chia-mavano e dalla città, e dalla riviera, e d'oltremonti uo-mini di riputato valore. Gottardo Solari, Benedetto Sola-ri vescovo di Noli, Gian Carlo Serra, TommasoLanglade, Giuseppe Cavagnaro, Sebastiano Biaggini,abbate Niccolò Mangini, Leonardo Benza, abbate Giu-seppe Levreri, Gian Battista Rebecco, Filippo Busseti.S'adunavano bene spesso, ma servilmente procedendomodellavano alla Francese, e secondo i comandamentidi Buonaparte. Serra s'intendeva col generalissimo, edaveva più dominio degli altri. N'era imputato dai patriot-ti, che incominciavano a mostrarsi mal soddisfatti di lui,chiamandolo aristocrata. Pure la sentiva bene e savia-mente. Voleva, che non si offendesse la religione, che siallargasse il senato, come troppo poco numeroso, che sirestringessero i consigli, come troppo numerosi; che nonsi perseguitasse nissuno nè in fatti, nè in parole per opi-nioni antiche, che gli esagerati si frenassero; che nissunritrovo pubblico e politico si tollerasse, salvo il caso, incui si volesse scuoter gli animi a congiungere in un solcorpo tutte le parti d'Italia; al quale fatto come cosa de-gna del suo gran nome esortava il generalissimo. Manon se ne soddisfaceva Buonaparte, nemico, come il di-rettorio, dell'unione Italica. Gli piacevano gli altri pen-sieri di Serra, e come se fossero suoi, ne scriveva lettereal governo Genovese. Della qual cosa molto il lodava

Genovesi, era quello di formar il modello della nuovaconstituzione. Perlocchè, conformandosi ai patti diMontebello, creava il governo la congregazione, chequesto modello dovesse ordinare. A questo fine si chia-mavano e dalla città, e dalla riviera, e d'oltremonti uo-mini di riputato valore. Gottardo Solari, Benedetto Sola-ri vescovo di Noli, Gian Carlo Serra, TommasoLanglade, Giuseppe Cavagnaro, Sebastiano Biaggini,abbate Niccolò Mangini, Leonardo Benza, abbate Giu-seppe Levreri, Gian Battista Rebecco, Filippo Busseti.S'adunavano bene spesso, ma servilmente procedendomodellavano alla Francese, e secondo i comandamentidi Buonaparte. Serra s'intendeva col generalissimo, edaveva più dominio degli altri. N'era imputato dai patriot-ti, che incominciavano a mostrarsi mal soddisfatti di lui,chiamandolo aristocrata. Pure la sentiva bene e savia-mente. Voleva, che non si offendesse la religione, che siallargasse il senato, come troppo poco numeroso, che sirestringessero i consigli, come troppo numerosi; che nonsi perseguitasse nissuno nè in fatti, nè in parole per opi-nioni antiche, che gli esagerati si frenassero; che nissunritrovo pubblico e politico si tollerasse, salvo il caso, incui si volesse scuoter gli animi a congiungere in un solcorpo tutte le parti d'Italia; al quale fatto come cosa de-gna del suo gran nome esortava il generalissimo. Manon se ne soddisfaceva Buonaparte, nemico, come il di-rettorio, dell'unione Italica. Gli piacevano gli altri pen-sieri di Serra, e come se fossero suoi, ne scriveva lettereal governo Genovese. Della qual cosa molto il lodava

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Serra stesso, desiderosissimo di scrivere la storia diBuonaparte; alla quale opera non gli mancava già l'inge-gno, che anzi l'aveva molto capace, ma bene la libertàdell'animo; imperciocchè quella gloria Buonapartianagliel'aveva offuscato.Incominciavano a prepararsi i semi delle future discor-die. Si faceva principio dalla religione, non che toccas-sero le opinioni dogmatiche, ma soltanto la disciplina. Ipopoli confondevano l'una cosa coll'altra, i cherici nonche gli disingannassero, gli mantenevano nel falso con-cetto. Prevalevano i desiderj delle riforme Leopoldine, aciò stimolando il Solari, vescovo di Noli, personaggiod'autorità pel grado, per la dottrina, pei costumi, e moltoardente nelle sentenze Pistojesi. Comandava il governo,che non fosse lecito ai vescovi di promuovere, senza sualicenza, alcuno agli ordini sacri, se non coloro, che giàsuddiaconi, o diaconi essendo, desiderassero ricevere ildiaconato, od il pretato, e parimente senza suo benepla-cito, nessuno potesse, o uomo o donna si fosse, vestirl'abito di nessuna regola di frati o di monache; ordina-menti certamente molto prudenti, ma presi in mala partedai più, perchè la setta contraria al nuovo stato se neprevaleva. Poi decretava, che ogni cherico o regolare, osecolare che si fosse, se forestiero, dovesse fra certo ter-mine, e con certe condizioni uscire dai territorj. Pareva-no questi stanziamenti molto insoliti in tanto e sì lungodominio delle potestà ecclesiastiche; ma bene più insoli-to e più strano appariva quell'altro precetto, che fu pen-

Serra stesso, desiderosissimo di scrivere la storia diBuonaparte; alla quale opera non gli mancava già l'inge-gno, che anzi l'aveva molto capace, ma bene la libertàdell'animo; imperciocchè quella gloria Buonapartianagliel'aveva offuscato.Incominciavano a prepararsi i semi delle future discor-die. Si faceva principio dalla religione, non che toccas-sero le opinioni dogmatiche, ma soltanto la disciplina. Ipopoli confondevano l'una cosa coll'altra, i cherici nonche gli disingannassero, gli mantenevano nel falso con-cetto. Prevalevano i desiderj delle riforme Leopoldine, aciò stimolando il Solari, vescovo di Noli, personaggiod'autorità pel grado, per la dottrina, pei costumi, e moltoardente nelle sentenze Pistojesi. Comandava il governo,che non fosse lecito ai vescovi di promuovere, senza sualicenza, alcuno agli ordini sacri, se non coloro, che giàsuddiaconi, o diaconi essendo, desiderassero ricevere ildiaconato, od il pretato, e parimente senza suo benepla-cito, nessuno potesse, o uomo o donna si fosse, vestirl'abito di nessuna regola di frati o di monache; ordina-menti certamente molto prudenti, ma presi in mala partedai più, perchè la setta contraria al nuovo stato se neprevaleva. Poi decretava, che ogni cherico o regolare, osecolare che si fosse, se forestiero, dovesse fra certo ter-mine, e con certe condizioni uscire dai territorj. Pareva-no questi stanziamenti molto insoliti in tanto e sì lungodominio delle potestà ecclesiastiche; ma bene più insoli-to e più strano appariva quell'altro precetto, che fu pen-

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siero di Serra, col quale si ordinava, che uomini deputatidal governo a tempo, e dopo i divini ufficj, predicasserola democrazia alle genti. Fu questo un gran tentativo;non succedeva bene, perchè in molti luoghi i deputatinon fecero frutto, in altri furono scherniti, in alcuniscacciati. Si sollevarono universalmente gli animi reli-giosi contro questa novità; i nemici dello stato cresceva-no: novello argomento, che nelle umane faccende chivuol far troppo, fa poco.Questo quanto alla religione: si moltiplicavano per altreragioni gli sdegni. Oltrechè con gl'incessabili discorsi escritti non si lasciavano mai quietare i nobili, fu presodecreto, che si mandasse a Parigi, come ministro dellarepubblica, l'avvocato Boccardi, e si richiamasse Stefa-no Rivarola, si richiamasse ancora Cristoforo Spinola,ministro a Londra: se non obbedissero, i beni loro fosse-ro posti al fisco; intanto si sequestrassero. Il motivo fu,che Rivarola e Spinola, in ciò gittando grida incredibili ipatriotti, erano stimati agenti, e spie della spenta aristo-crazìa; e di più si opponeva loro lo aver fatto stampareper mezzo di Lacretelle in un giornale di Parigi acerbeinvettive contro i fatti accaduti in Genova nel giornoventidue di maggio. L'atto rigoroso offendeva i nobili,vieppiù gli animi s'innasprivano. Questo era riprensibile,ma bene del tutto intollerabile fu un altro atto, con cui siordinava, che i principali autori della convenzione fattaa Parigi da Vincenzo Spinola, per la quale la repubblicasi era obbligata a pagare quattro milioni di tornesi alla

siero di Serra, col quale si ordinava, che uomini deputatidal governo a tempo, e dopo i divini ufficj, predicasserola democrazia alle genti. Fu questo un gran tentativo;non succedeva bene, perchè in molti luoghi i deputatinon fecero frutto, in altri furono scherniti, in alcuniscacciati. Si sollevarono universalmente gli animi reli-giosi contro questa novità; i nemici dello stato cresceva-no: novello argomento, che nelle umane faccende chivuol far troppo, fa poco.Questo quanto alla religione: si moltiplicavano per altreragioni gli sdegni. Oltrechè con gl'incessabili discorsi escritti non si lasciavano mai quietare i nobili, fu presodecreto, che si mandasse a Parigi, come ministro dellarepubblica, l'avvocato Boccardi, e si richiamasse Stefa-no Rivarola, si richiamasse ancora Cristoforo Spinola,ministro a Londra: se non obbedissero, i beni loro fosse-ro posti al fisco; intanto si sequestrassero. Il motivo fu,che Rivarola e Spinola, in ciò gittando grida incredibili ipatriotti, erano stimati agenti, e spie della spenta aristo-crazìa; e di più si opponeva loro lo aver fatto stampareper mezzo di Lacretelle in un giornale di Parigi acerbeinvettive contro i fatti accaduti in Genova nel giornoventidue di maggio. L'atto rigoroso offendeva i nobili,vieppiù gli animi s'innasprivano. Questo era riprensibile,ma bene del tutto intollerabile fu un altro atto, con cui siordinava, che i principali autori della convenzione fattaa Parigi da Vincenzo Spinola, per la quale la repubblicasi era obbligata a pagare quattro milioni di tornesi alla

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Francia, fossero tenuti in solido a restituire la detta som-ma all'erario, e se non la restituissero, fossero i beni loroposti al fisco. Erano in questa faccenda interessate leprincipali famiglie, specialmente i Doria, i Pallavicini, iDurazzo, i Fieschi, i Gentili, i Carega, gli Spinola, i Lo-mellini, i Grimaldi, i Catanei, personaggi che tiravanocon loro una dipendenza grandissima. Decreto fu questoveramente incomportabile, perchè chi aveva fatto, edappruovato quella convenzione (perciocchè anche il mi-nor consiglio l'aveva ratificata) aveva facoltà di farla, equel far guardar la legge indietro è cosa contro ogni giu-stizia, e di pessimo esempio. Tant'è, che sebbene il de-creto sia stato preso tardi, si vociferava nel pubblico,che si volesse prendere, e gli scapestrati democrati me-navano un romore senza fine, perchè si prendesse. Ciòfaceva maggiormente inviperire gli animi degli sconten-ti, i quali vedendo di non trovare dopo la mutazione al-cun riposo nè per le sostanze, nè per le persone, pensa-vano a vendicarsi, non che si consigliassero di far con-giure, e moti popolari, perchè troppo erano sbigottiti avoler ciò tentare, ma spargevano ad arte voci sinistre nelpopolo, ed aspettavano le prime occasioni per insorgere.Mescolavano il falso col vero: vero era, che Buonaparteaveva domandato parecchi milioni pel vivere delle suegenti: questo anzi era stato uno dei principali motivi del-la mutazione. Il governo poi, trovandosi ancor debole inquei principj, e non avendo altre radici che i discorsivani dei democrati, ed il patrocinio forestiero, andavalento alle tasse, e perciò aveva trovato il rimedio di

Francia, fossero tenuti in solido a restituire la detta som-ma all'erario, e se non la restituissero, fossero i beni loroposti al fisco. Erano in questa faccenda interessate leprincipali famiglie, specialmente i Doria, i Pallavicini, iDurazzo, i Fieschi, i Gentili, i Carega, gli Spinola, i Lo-mellini, i Grimaldi, i Catanei, personaggi che tiravanocon loro una dipendenza grandissima. Decreto fu questoveramente incomportabile, perchè chi aveva fatto, edappruovato quella convenzione (perciocchè anche il mi-nor consiglio l'aveva ratificata) aveva facoltà di farla, equel far guardar la legge indietro è cosa contro ogni giu-stizia, e di pessimo esempio. Tant'è, che sebbene il de-creto sia stato preso tardi, si vociferava nel pubblico,che si volesse prendere, e gli scapestrati democrati me-navano un romore senza fine, perchè si prendesse. Ciòfaceva maggiormente inviperire gli animi degli sconten-ti, i quali vedendo di non trovare dopo la mutazione al-cun riposo nè per le sostanze, nè per le persone, pensa-vano a vendicarsi, non che si consigliassero di far con-giure, e moti popolari, perchè troppo erano sbigottiti avoler ciò tentare, ma spargevano ad arte voci sinistre nelpopolo, ed aspettavano le prime occasioni per insorgere.Mescolavano il falso col vero: vero era, che Buonaparteaveva domandato parecchi milioni pel vivere delle suegenti: questo anzi era stato uno dei principali motivi del-la mutazione. Il governo poi, trovandosi ancor debole inquei principj, e non avendo altre radici che i discorsivani dei democrati, ed il patrocinio forestiero, andavalento alle tasse, e perciò aveva trovato il rimedio di

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quell'iniquo balzello. Genova per tal modo aveva pagatoper comperar quiete quattro milioni, ed aveva trovatosovvertimento: poi si era fatto restituire da uomini pri-vati i quattro milioni per comperar di nuovo quiete, poi-chè i primi a nulla erano valsi. Qual quiete poi si siacomperata questa seconda volta, diranlo a suo luogo lepresenti storie.A tutto questo si aggiungevano le rapine dei Barbareschitanto più moleste, quanto più si aveva avuto la speranzadata espressamente, che cambiato il reggimento, laFrancia avrebbe tutelato dagli assalti dei Barbari le navi-gazioni dei Genovesi. A questo modo, sclamavano, lanuova repubblica vive? A questo modo preservano iFrancesi Genova? Gonfie parole, ed esili fatti son dun-que tutto, che si è acquistato? Francesi dentro, Algerinifuori! a che pro servire a Faipoult, a che pro servire aBuonaparte, se l'Africano ci assassina? Questi discorsi,che toccavano l'intimo delle sostanze Genovesi a cagio-ne dell'interruzione del commercio, accrescevano ogniora più la mala contentezza, e già, come suol avvenire,tornando indietro col pensiero, desideravano l'antico sta-to.Motivo potente di mal umore era altresì quello, che duegenerali Francesi, Casabianca e Duphot, fossero venutia reggere, e ad ordinare i soldati, segno certo, essere pe-rita la independenza. Ciò significava inoltre, che Buona-parte o non si fidava dei Genovesi, o gli stimava inabilialle cose militari; dal che nasceva, che chi pensava alta-

quell'iniquo balzello. Genova per tal modo aveva pagatoper comperar quiete quattro milioni, ed aveva trovatosovvertimento: poi si era fatto restituire da uomini pri-vati i quattro milioni per comperar di nuovo quiete, poi-chè i primi a nulla erano valsi. Qual quiete poi si siacomperata questa seconda volta, diranlo a suo luogo lepresenti storie.A tutto questo si aggiungevano le rapine dei Barbareschitanto più moleste, quanto più si aveva avuto la speranzadata espressamente, che cambiato il reggimento, laFrancia avrebbe tutelato dagli assalti dei Barbari le navi-gazioni dei Genovesi. A questo modo, sclamavano, lanuova repubblica vive? A questo modo preservano iFrancesi Genova? Gonfie parole, ed esili fatti son dun-que tutto, che si è acquistato? Francesi dentro, Algerinifuori! a che pro servire a Faipoult, a che pro servire aBuonaparte, se l'Africano ci assassina? Questi discorsi,che toccavano l'intimo delle sostanze Genovesi a cagio-ne dell'interruzione del commercio, accrescevano ogniora più la mala contentezza, e già, come suol avvenire,tornando indietro col pensiero, desideravano l'antico sta-to.Motivo potente di mal umore era altresì quello, che duegenerali Francesi, Casabianca e Duphot, fossero venutia reggere, e ad ordinare i soldati, segno certo, essere pe-rita la independenza. Ciò significava inoltre, che Buona-parte o non si fidava dei Genovesi, o gli stimava inabilialle cose militari; dal che nasceva, che chi pensava alta-

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mente, si teneva mal soddisfatto. I nemici degli ordinipresenti se ne prevalevano, mostrando la patria perduta,e serva. Dava maggior forza alle insinuazioni lorol'essersi udito, che si voleva, si smantellassero le fortez-ze di Savona e di San Remo, soli propugnacoli dell'inde-pendenza verso Francia. Vedevano anche levarsi i can-noni dalle porte della metropoli, il che interpretavanocome di voglia di aprir l'adito più facile, e più sicuro aiforestieri per invadere il cuore stesso della repubblica.Gridavano, doversi insorgere contro reggitori fatti servidei forestieri. I nobili, i preti, e gli aderenti loro, che nonerano pochi, fomentavano questi mali umori. Nel chetanto più alla sicura si adoperavano, quanto più si eranodati a credere, avere appoggio nel grembo stessodell'autorità suprema; la qual opinione dall'un de' latidava loro maggior ardire, dall'altro aumentava la debo-lezza di chi reggeva. Erano allora i reggitori divisi indue sette, dell'una delle quali compariva capo Serra,dell'altra Corvetto, Ruzza, e Carbonara. Amava Serra unreggimento più stretto, e pendente all'aristocrazìa, vole-va, che meglio si rispettassero i preti, faceva professionedi amatore ardente dell'indipendenza del paese, forse,come affermava la setta contraria, per ambizione, si mo-strava avverso ai patriotti invasati di pensieri estremi,Faipoult nè corteggiava, nè amava, nè lodava, voleva ti-rar a se tutte le affezioni aristocratiche, ed aggiungerviquelle di una moderata libertà, sopra tutto amava Geno-va più che la Francia. Gli avversarj s'intendevano me-glio con Faipoult, alcuni per ambizione, preferendo il

mente, si teneva mal soddisfatto. I nemici degli ordinipresenti se ne prevalevano, mostrando la patria perduta,e serva. Dava maggior forza alle insinuazioni lorol'essersi udito, che si voleva, si smantellassero le fortez-ze di Savona e di San Remo, soli propugnacoli dell'inde-pendenza verso Francia. Vedevano anche levarsi i can-noni dalle porte della metropoli, il che interpretavanocome di voglia di aprir l'adito più facile, e più sicuro aiforestieri per invadere il cuore stesso della repubblica.Gridavano, doversi insorgere contro reggitori fatti servidei forestieri. I nobili, i preti, e gli aderenti loro, che nonerano pochi, fomentavano questi mali umori. Nel chetanto più alla sicura si adoperavano, quanto più si eranodati a credere, avere appoggio nel grembo stessodell'autorità suprema; la qual opinione dall'un de' latidava loro maggior ardire, dall'altro aumentava la debo-lezza di chi reggeva. Erano allora i reggitori divisi indue sette, dell'una delle quali compariva capo Serra,dell'altra Corvetto, Ruzza, e Carbonara. Amava Serra unreggimento più stretto, e pendente all'aristocrazìa, vole-va, che meglio si rispettassero i preti, faceva professionedi amatore ardente dell'indipendenza del paese, forse,come affermava la setta contraria, per ambizione, si mo-strava avverso ai patriotti invasati di pensieri estremi,Faipoult nè corteggiava, nè amava, nè lodava, voleva ti-rar a se tutte le affezioni aristocratiche, ed aggiungerviquelle di una moderata libertà, sopra tutto amava Geno-va più che la Francia. Gli avversarj s'intendevano me-glio con Faipoult, alcuni per ambizione, preferendo il

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dominare con l'appoggio dei forestieri alla libertà dellapatria, altri a buon fine credendo, che, poichè i cieli ave-vano destinato che i Francesi divenissero padroni di Ge-nova, miglior partito era per arrivar a bene il vezzeg-giargli, che l'aspreggiarli, perchè, volere o non volere, iFrancesi dominavano. Ma la maggior dipendenza diquesta parte verso Francia, dall'un canto la faceva odio-sa, dall'altro la rendeva dipendente più che non sarebbestato necessario, dai democrati più ardenti, i quali nonamavano Serra, anzi il chiamavano tiranno, e nuovoduca d'Orleans. Questi semi pestiferi erano pullulati, neprendevano animo i nemici della mutazione, e si appre-stavano a far novità. Già si udivano sinistri suoni dallevalli di Bisagno, e di Polcevera. Era la cagione, od ilpretesto la nuova constituzione, violatrice, come sparge-vano, della religione, e che, come si era data intenzione,si doveva accettare il dì quattordici settembre. Per farposar gli animi, annunziavano, essere prorogata l'accet-tazione, e si torrebbe quanto potesse offender la coscien-za dei fedeli.In questo mezzo tempo Corvetto e Ruzza erano statimandati a Buonaparte per consultar con lui degli artico-li, che avevano fatto adombrare i popoli. Ma gli umoripopolari più presto si muovono, che s'arrestano. Davaloro l'ultima pinta l'essersi fatti arrestare tanto in città,quanto nel contado alcuni nobili, che si credevano peri-colosi, cinque Durazzi, due Doria, due Pallavicini, treSpinola, un Ferrari, uomini per nome e per ricchezze di

dominare con l'appoggio dei forestieri alla libertà dellapatria, altri a buon fine credendo, che, poichè i cieli ave-vano destinato che i Francesi divenissero padroni di Ge-nova, miglior partito era per arrivar a bene il vezzeg-giargli, che l'aspreggiarli, perchè, volere o non volere, iFrancesi dominavano. Ma la maggior dipendenza diquesta parte verso Francia, dall'un canto la faceva odio-sa, dall'altro la rendeva dipendente più che non sarebbestato necessario, dai democrati più ardenti, i quali nonamavano Serra, anzi il chiamavano tiranno, e nuovoduca d'Orleans. Questi semi pestiferi erano pullulati, neprendevano animo i nemici della mutazione, e si appre-stavano a far novità. Già si udivano sinistri suoni dallevalli di Bisagno, e di Polcevera. Era la cagione, od ilpretesto la nuova constituzione, violatrice, come sparge-vano, della religione, e che, come si era data intenzione,si doveva accettare il dì quattordici settembre. Per farposar gli animi, annunziavano, essere prorogata l'accet-tazione, e si torrebbe quanto potesse offender la coscien-za dei fedeli.In questo mezzo tempo Corvetto e Ruzza erano statimandati a Buonaparte per consultar con lui degli artico-li, che avevano fatto adombrare i popoli. Ma gli umoripopolari più presto si muovono, che s'arrestano. Davaloro l'ultima pinta l'essersi fatti arrestare tanto in città,quanto nel contado alcuni nobili, che si credevano peri-colosi, cinque Durazzi, due Doria, due Pallavicini, treSpinola, un Ferrari, uomini per nome e per ricchezze di

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molta dipendenza. Incominciavano il dì quattro settem-bre a tumultuare le popolazioni di Bisagno. Suonavanole campane a martello, i curati esortavano, e guidavano isollevati, si facevano adunanze nelle ville dei nobili; poicrescendo il numero ed il furore, armati di armi diverse,ma con animi concordi fatta una gran massa, s'incammi-navano infuriati verso la capitale. L'accidente portavacon se molto pericolo, perchè si temeva, che avesse cor-rispondenza viva dentro le mura; non era tempo da star-si. Duphot con una squadra di Francesi e di democratiandava loro all'incontro: il principal nervo consistevanelle artiglierìe, di cui i sollevati mancavano, ed essecompensavano il minor numero. Seguitava una mischiamolto aspra in Albaro. Vi si perdevano di molte vite daambe le parti, ma più da quella dei villici, perchè in loroera minore l'arte delle battaglie, e la scaglia gli strazia-va. Pure resistevano lungo tempo con molta rabbia; unfrate Pezzuolo, ed un Marcantonio da Sori, giovane ani-mosissimo, gli guidavano, ed incoraggivano. Quest'eraguerra civile, e della peggiore spezie, perchè i forestierivi si mescolavano. Prevalevano finalmente l'arte e la di-sciplina contro il numero ed il furore: andavano in fuga isollevati; alcuni furono presi, altri in mezzo alla mesco-lata fuga crudelmente uccisi. Tornavano i soldati diDuphot in Genova vincitori, sanguinosi, e non senzapreda.Non era ancora del tutto spenta la sedizione di Bisagno,che un nuovo romore di guerra già si faceva sentire dal-

molta dipendenza. Incominciavano il dì quattro settem-bre a tumultuare le popolazioni di Bisagno. Suonavanole campane a martello, i curati esortavano, e guidavano isollevati, si facevano adunanze nelle ville dei nobili; poicrescendo il numero ed il furore, armati di armi diverse,ma con animi concordi fatta una gran massa, s'incammi-navano infuriati verso la capitale. L'accidente portavacon se molto pericolo, perchè si temeva, che avesse cor-rispondenza viva dentro le mura; non era tempo da star-si. Duphot con una squadra di Francesi e di democratiandava loro all'incontro: il principal nervo consistevanelle artiglierìe, di cui i sollevati mancavano, ed essecompensavano il minor numero. Seguitava una mischiamolto aspra in Albaro. Vi si perdevano di molte vite daambe le parti, ma più da quella dei villici, perchè in loroera minore l'arte delle battaglie, e la scaglia gli strazia-va. Pure resistevano lungo tempo con molta rabbia; unfrate Pezzuolo, ed un Marcantonio da Sori, giovane ani-mosissimo, gli guidavano, ed incoraggivano. Quest'eraguerra civile, e della peggiore spezie, perchè i forestierivi si mescolavano. Prevalevano finalmente l'arte e la di-sciplina contro il numero ed il furore: andavano in fuga isollevati; alcuni furono presi, altri in mezzo alla mesco-lata fuga crudelmente uccisi. Tornavano i soldati diDuphot in Genova vincitori, sanguinosi, e non senzapreda.Non era ancora del tutto spenta la sedizione di Bisagno,che un nuovo romore di guerra già si faceva sentire dal-

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la Polcevera. Gli abitatori di questa valle, mossidall'esempio dei Bisagnani, e dalle instigazioni di alcuniecclesiastici, si levavano ancor essi in gran numero, ecorrevano contro la capitale. Poi a loro si accostavanonon pochi fra coloro, che avanzati alle stragi di Bisagno,passando per luoghi montuosi, si erano condotti in Pol-cevera per ajutare quel secondo moto, che credevanoaver a riuscire a miglior fine che il loro. Il pericolo ap-pariva grave. Già la moltitudine armata, assai più nume-rosa di quella dei Bisagnani, accostatasi, s'impadronivaper una battaglia di mano del forte della Sperona, cheposto in sito eminente signoreggia Genova, ed è comeun freno parato contro di lei. Poi più avanti procedendo,occupava tutto il secondo cinto delle mura, restandosolo esente la batterìa di San Benigno. Una prima squa-dra di soldati Liguri e Francesi mandata in quel primotumulto contro di loro, vedutogli bene armati, e benefortificati, se ne rimaneva, e tornavasene. Il timore assa-liva chi reggeva, pareva vicina la dedizione; perchè an-che dentro, essendovi poco presidio, principiavano ascoprirsi i segni della sedizione. Mandava il governoquattro legati ad intendere che cosa volessero, ed a trat-tar con loro di un accordo. Vi si arrogevano GerolamoDurazzo, e Luigi Corvetto, personaggi di grande autori-tà presso i Polceveresi. L'arcivescovo eziandio ad esor-tazione dei capi dello stato, pubblicava una lettera pa-storale, con la quale spiegava ai popoli, che a niun modosi aveva intenzione di offendere la religione o di pregiu-dicare ai preti. Furono i legati coi deputati eletti dai sol-

la Polcevera. Gli abitatori di questa valle, mossidall'esempio dei Bisagnani, e dalle instigazioni di alcuniecclesiastici, si levavano ancor essi in gran numero, ecorrevano contro la capitale. Poi a loro si accostavanonon pochi fra coloro, che avanzati alle stragi di Bisagno,passando per luoghi montuosi, si erano condotti in Pol-cevera per ajutare quel secondo moto, che credevanoaver a riuscire a miglior fine che il loro. Il pericolo ap-pariva grave. Già la moltitudine armata, assai più nume-rosa di quella dei Bisagnani, accostatasi, s'impadronivaper una battaglia di mano del forte della Sperona, cheposto in sito eminente signoreggia Genova, ed è comeun freno parato contro di lei. Poi più avanti procedendo,occupava tutto il secondo cinto delle mura, restandosolo esente la batterìa di San Benigno. Una prima squa-dra di soldati Liguri e Francesi mandata in quel primotumulto contro di loro, vedutogli bene armati, e benefortificati, se ne rimaneva, e tornavasene. Il timore assa-liva chi reggeva, pareva vicina la dedizione; perchè an-che dentro, essendovi poco presidio, principiavano ascoprirsi i segni della sedizione. Mandava il governoquattro legati ad intendere che cosa volessero, ed a trat-tar con loro di un accordo. Vi si arrogevano GerolamoDurazzo, e Luigi Corvetto, personaggi di grande autori-tà presso i Polceveresi. L'arcivescovo eziandio ad esor-tazione dei capi dello stato, pubblicava una lettera pa-storale, con la quale spiegava ai popoli, che a niun modosi aveva intenzione di offendere la religione o di pregiu-dicare ai preti. Furono i legati coi deputati eletti dai sol-

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levati, e concludevano un accordo in tre capitoli, per cuisi statuiva, che sarebbe la religione cattolica, apostolicae romana conservata, che si serberebbero intatti i benidella chiesa, che si perdonerebbe ogni offesa ai solleva-ti, che si rimetterebbero in libertà i carcerati: con questopromettevano i Polceverini di tornarsene quietamentealle case loro. Presa questa speranza, cessava il governoogni apparato di guerra. Ma ecco che dai più ardentiPolceverini si spargeva, che i giacobini erano gente infi-da, e che solo avevano promesso il perdono per megliofar le vendette. Novellamente s'inferocivano e prese im-petuosamente le armi, assaltavano il posto principalissi-mo di San Benigno. In questo punto Duphot, vincitoredi Albaro, che per l'indugiarsi del trattato, aveva avutotempo di raccorre, e di ordinare tutti i suoi, ajutato forte-mente dal colonnello Seras, soldato molto animoso, tra-versava la città, e correva contro la turba degl'insorti.Seguitava una feroce mischia, come di guerra civile.Combattevano valorosamente Duphot e Seras, vecchisoldati: non resistevano meno valorosamente i paesani,nuovi soldati; durava quattr'ore la battaglia; furono nonpochi i morti, non pochi i feriti: superava infine la vete-rana disciplina: i paesani cacciati dai posti, voltavano lespalle, e seguitati con molta pressa dai repubblicani per-devano gran gente. Cinquecento, essendo presi, empie-vano le carceri di Genova.La fama della doppia vittoria di Albaro, e di San Beni-gno, e le forze mandate sedavano i moti, che già erano

levati, e concludevano un accordo in tre capitoli, per cuisi statuiva, che sarebbe la religione cattolica, apostolicae romana conservata, che si serberebbero intatti i benidella chiesa, che si perdonerebbe ogni offesa ai solleva-ti, che si rimetterebbero in libertà i carcerati: con questopromettevano i Polceverini di tornarsene quietamentealle case loro. Presa questa speranza, cessava il governoogni apparato di guerra. Ma ecco che dai più ardentiPolceverini si spargeva, che i giacobini erano gente infi-da, e che solo avevano promesso il perdono per megliofar le vendette. Novellamente s'inferocivano e prese im-petuosamente le armi, assaltavano il posto principalissi-mo di San Benigno. In questo punto Duphot, vincitoredi Albaro, che per l'indugiarsi del trattato, aveva avutotempo di raccorre, e di ordinare tutti i suoi, ajutato forte-mente dal colonnello Seras, soldato molto animoso, tra-versava la città, e correva contro la turba degl'insorti.Seguitava una feroce mischia, come di guerra civile.Combattevano valorosamente Duphot e Seras, vecchisoldati: non resistevano meno valorosamente i paesani,nuovi soldati; durava quattr'ore la battaglia; furono nonpochi i morti, non pochi i feriti: superava infine la vete-rana disciplina: i paesani cacciati dai posti, voltavano lespalle, e seguitati con molta pressa dai repubblicani per-devano gran gente. Cinquecento, essendo presi, empie-vano le carceri di Genova.La fama della doppia vittoria di Albaro, e di San Beni-gno, e le forze mandate sedavano i moti, che già erano

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sorti a Chiavari, ed in altre terre della riviera di levante,come altresì nei feudi imperiali, o Monti Liguri, che glivogliam nominare. Ogni cosa si ricomponeva in quiete,ma per terrore, non per amore; ma truce e minacciosa,non lieta e consenziente.Avuta la vittoria, si pensava alla vendetta. Creavasi unconsiglio militare, perchè nelle forme più pronte e piùsommarie avesse a giudicare i ribelli. Sette od otto, madi oscuro nome, dannati a morte, tignevano col sangueloro il suolo dell'atterrita Genova: non pochi erano man-dati al remo. Si apprestava il destino medesimo ad altri:Faipoult avvertiva Buonaparte, che si dannavano soltan-to gl'ignobili; osservava specialmente, che per decretodei reggitori era stato sospeso avanti il tribunale militareil processo di un Brignole, figliuolo dell'ultimo doge,sospetto di qualche accordo coi sollevati. QualificavaSerra per sospetto di mali pensieri, e di patrocinio versoi rei di non riconoscere i meriti di Duphot, e d'impedire ifornimenti dei soldati. Accennava in somma, ch'ei fosseavverso in ogni cosa ai Francesi, e persuasore, che si an-dasse grettamente nel pagar le liste di Duphot, e de' suoiufficiali per la spedizione contro i ribelli. Chiamavalouomo pericoloso, dissimulatore, ambizioso: stimava laquiete del pubblico in pericolo, finchè Serra stesse algoverno. I due Serra, giuntosi Gerolamo col fratello, dalcanto loro accusavano Faipoult e Duphot di essersi fattiprotettori di una parte turbatrice, e pervertitrice di ognibuon ordine politico, e d'impedire che la quiete tornasse

sorti a Chiavari, ed in altre terre della riviera di levante,come altresì nei feudi imperiali, o Monti Liguri, che glivogliam nominare. Ogni cosa si ricomponeva in quiete,ma per terrore, non per amore; ma truce e minacciosa,non lieta e consenziente.Avuta la vittoria, si pensava alla vendetta. Creavasi unconsiglio militare, perchè nelle forme più pronte e piùsommarie avesse a giudicare i ribelli. Sette od otto, madi oscuro nome, dannati a morte, tignevano col sangueloro il suolo dell'atterrita Genova: non pochi erano man-dati al remo. Si apprestava il destino medesimo ad altri:Faipoult avvertiva Buonaparte, che si dannavano soltan-to gl'ignobili; osservava specialmente, che per decretodei reggitori era stato sospeso avanti il tribunale militareil processo di un Brignole, figliuolo dell'ultimo doge,sospetto di qualche accordo coi sollevati. QualificavaSerra per sospetto di mali pensieri, e di patrocinio versoi rei di non riconoscere i meriti di Duphot, e d'impedire ifornimenti dei soldati. Accennava in somma, ch'ei fosseavverso in ogni cosa ai Francesi, e persuasore, che si an-dasse grettamente nel pagar le liste di Duphot, e de' suoiufficiali per la spedizione contro i ribelli. Chiamavalouomo pericoloso, dissimulatore, ambizioso: stimava laquiete del pubblico in pericolo, finchè Serra stesse algoverno. I due Serra, giuntosi Gerolamo col fratello, dalcanto loro accusavano Faipoult e Duphot di essersi fattiprotettori di una parte turbatrice, e pervertitrice di ognibuon ordine politico, e d'impedire che la quiete tornasse

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alla travagliata Genova. Già le mannaje dei sicarj, dice-vano, stare sul collo degli uomini dabbene; già volereFaipoult vietare, che il consiglio militare termini al piùpresto i giudizj, acciocchè quell'apparato di terrore lun-go tempo ancora sovrasti così ai buoni, come ai cattivi,e niuno possa vivere sicuro dopo le calamità recenti; vo-lere Faipoult, che si tenessero i nobili in carcere, ancheinnocenti; niun altro mezzo di salute e di riposo esservi,che quello di mandar via Duphot, e di contenere nellefunzioni del suo ufficio Faipoult; senza ciò nascerebberonecessariamente la debolezza dello stato, l'anarchia, i di-sordini, il sangue. Per tale guisa gli animi s'inveleniva-no; ed era vero che Faipoult addomandava imperiosa-mente al governo, che annullasse il decreto, pel qualeaveva ordinato, che la commissione militare terminasseal più presto le sue operazioni. Addomandava oltre a ciòche i nobili carcerati, anche innocenti, quali ostaggi siconducessero nel castello di Milano. Il qual ultimo desi-derio a me pare, che sappia molto della naturadegl'inquisitori tanto lacerati di Venezia; ma il biasimaregli altri dei propri difetti fu vizio dell'età.In questo arrivava a Genova con nuovi soldati mandatida Buonaparte, a cui le turbazioni Genovesi davano so-spetto, il generale Lannes, il quale non curandosi nè digoverno, nè di Faipoult, nè di preti, nè di frati, nè di no-bili, nè di plebei, nè di patriotti, nè di aristocrati, e soloalla forza mirando, si alloggiava alla soldatesca nellacittà, e se ne faceva padrone.

alla travagliata Genova. Già le mannaje dei sicarj, dice-vano, stare sul collo degli uomini dabbene; già volereFaipoult vietare, che il consiglio militare termini al piùpresto i giudizj, acciocchè quell'apparato di terrore lun-go tempo ancora sovrasti così ai buoni, come ai cattivi,e niuno possa vivere sicuro dopo le calamità recenti; vo-lere Faipoult, che si tenessero i nobili in carcere, ancheinnocenti; niun altro mezzo di salute e di riposo esservi,che quello di mandar via Duphot, e di contenere nellefunzioni del suo ufficio Faipoult; senza ciò nascerebberonecessariamente la debolezza dello stato, l'anarchia, i di-sordini, il sangue. Per tale guisa gli animi s'inveleniva-no; ed era vero che Faipoult addomandava imperiosa-mente al governo, che annullasse il decreto, pel qualeaveva ordinato, che la commissione militare terminasseal più presto le sue operazioni. Addomandava oltre a ciòche i nobili carcerati, anche innocenti, quali ostaggi siconducessero nel castello di Milano. Il qual ultimo desi-derio a me pare, che sappia molto della naturadegl'inquisitori tanto lacerati di Venezia; ma il biasimaregli altri dei propri difetti fu vizio dell'età.In questo arrivava a Genova con nuovi soldati mandatida Buonaparte, a cui le turbazioni Genovesi davano so-spetto, il generale Lannes, il quale non curandosi nè digoverno, nè di Faipoult, nè di preti, nè di frati, nè di no-bili, nè di plebei, nè di patriotti, nè di aristocrati, e soloalla forza mirando, si alloggiava alla soldatesca nellacittà, e se ne faceva padrone.

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Intanto i legati accordatisi con Buonaparte intorno aicambiamenti della constituzione della repubblica Ligu-re, la conducevano a compimento, e lui permettente, erapubblicata. Fossevi un consiglio dei giovani, uno deglianziani, e un direttorio; dividessesi la repubblica inquindici spartimenti, che chiamavano del Centro, di Bi-sagno, del Golfo Tigulio, della Cerusa, del Lemmo, deiMonti Liguri orientali, dei Monti Liguri occidentali, del-le Palme, dell'Entella, della Vara, del Letimbro, dellaMaremola, della Spezia, del Capo Verde, e della Polce-vera; dei magistrati giudiziali, distrettuali, e municipalisi statuisse a modo di Francia. Era questo un modellotutto Francese. Nè occorreva, stantechè solo il copiareera permesso, che il signor di Talleyrand, ministro degliaffari esteri in Francia, prendesse cura, come ne aveva ilpensiero di mandare ad insegnar in Italia l'arte dello sta-to, uomini politici di grido, e fra gli altri un BeniaminoConstant, giovine per verità di molto ingegno, ma checredeva, la libertà non poter consistere, che nelle formedi quei tempi. A tanto di umiltà era condotta l'Italia dalsuperbo vincitore, che voleva mandare ad ammaestrarlagiovani scrittori, che privi d'esperienza, volevano appli-care certi modelli astratti di fogge politiche ad ogni sor-te di nazioni, non considerando le diversità che sorgonodalla diversità dell'indole, degli usi, dei costumi, delleopinioni, e delle abitudini. In somma la Genovese con-stituzione fu data, non presa. Pure fra le armi serrate, edi soldati apprestati fu sottoposta ai comizj popolari.L'appruovavano centomila voti favorevoli, diciassette-

Intanto i legati accordatisi con Buonaparte intorno aicambiamenti della constituzione della repubblica Ligu-re, la conducevano a compimento, e lui permettente, erapubblicata. Fossevi un consiglio dei giovani, uno deglianziani, e un direttorio; dividessesi la repubblica inquindici spartimenti, che chiamavano del Centro, di Bi-sagno, del Golfo Tigulio, della Cerusa, del Lemmo, deiMonti Liguri orientali, dei Monti Liguri occidentali, del-le Palme, dell'Entella, della Vara, del Letimbro, dellaMaremola, della Spezia, del Capo Verde, e della Polce-vera; dei magistrati giudiziali, distrettuali, e municipalisi statuisse a modo di Francia. Era questo un modellotutto Francese. Nè occorreva, stantechè solo il copiareera permesso, che il signor di Talleyrand, ministro degliaffari esteri in Francia, prendesse cura, come ne aveva ilpensiero di mandare ad insegnar in Italia l'arte dello sta-to, uomini politici di grido, e fra gli altri un BeniaminoConstant, giovine per verità di molto ingegno, ma checredeva, la libertà non poter consistere, che nelle formedi quei tempi. A tanto di umiltà era condotta l'Italia dalsuperbo vincitore, che voleva mandare ad ammaestrarlagiovani scrittori, che privi d'esperienza, volevano appli-care certi modelli astratti di fogge politiche ad ogni sor-te di nazioni, non considerando le diversità che sorgonodalla diversità dell'indole, degli usi, dei costumi, delleopinioni, e delle abitudini. In somma la Genovese con-stituzione fu data, non presa. Pure fra le armi serrate, edi soldati apprestati fu sottoposta ai comizj popolari.L'appruovavano centomila voti favorevoli, diciassette-

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mila contrarj. Facevansi feste, cantavansi inni, erano nelteatro allegrìe assai. Nominavansi i due consigli, e daiconsigli il direttorio. Eleggevansi a questo Luigi Corvet-to, Agostino Maglione, Niccolò Littardi, AmbrogioMolfino, Paolo Costa; creavano Corvetto presidente.Era Corvetto, siccome Italiano, ingegnoso, e giusto esti-matore delle cose del mondo; il che constituisce la pru-denza, fra tutte le virtù più necessaria in chi è chiamatoa governar gli uomini. Era in lui la natura dolcissima,ma che però non ricusava quanto la sicurezza dello statorichiedesse. Continente di quel del pubblico, beneficodel suo verso gli amici, era Corvetto uomo piuttosto daessere ricerco nei tempi buoni, che degno di servire neitempi tristi. Sul principiare dell'anno seguente prendeva-no il magistrato tutti i nuovi ordini, e s'instituiva la con-stituzione. Poi partitosi Faipoult, gli veniva sostituito unSottin. A questo modo periva l'antica repubblica di Ge-nova, feroce, animosa, sanguinosa, ed impaziente, nonmolle, non umile, non lacrimosa, come la Veneziana.Era certamente il fato ineluttabile; ma bene è eterna-mente da piangersi, che la perdita dell'indipendenza Ita-liana sia stata aiutata dalle mani d'uomini Italiani. So,che alcuni dicono, che coloro i quali in queste faccendesi mescolarono, non solo in Genova, ma ancora in tuttele altre parti d'Italia, rattemperavano con le speranze diun felice avvenire la tristizia dei fatti presenti; il che èvero, nè io sarò per dannargli mai; anzi molti fra di loro,i quali puri furono ed innocenti, pregio e lodo somma-mente, e predico, come uomini virtuosissimi e coraggio-

mila contrarj. Facevansi feste, cantavansi inni, erano nelteatro allegrìe assai. Nominavansi i due consigli, e daiconsigli il direttorio. Eleggevansi a questo Luigi Corvet-to, Agostino Maglione, Niccolò Littardi, AmbrogioMolfino, Paolo Costa; creavano Corvetto presidente.Era Corvetto, siccome Italiano, ingegnoso, e giusto esti-matore delle cose del mondo; il che constituisce la pru-denza, fra tutte le virtù più necessaria in chi è chiamatoa governar gli uomini. Era in lui la natura dolcissima,ma che però non ricusava quanto la sicurezza dello statorichiedesse. Continente di quel del pubblico, beneficodel suo verso gli amici, era Corvetto uomo piuttosto daessere ricerco nei tempi buoni, che degno di servire neitempi tristi. Sul principiare dell'anno seguente prendeva-no il magistrato tutti i nuovi ordini, e s'instituiva la con-stituzione. Poi partitosi Faipoult, gli veniva sostituito unSottin. A questo modo periva l'antica repubblica di Ge-nova, feroce, animosa, sanguinosa, ed impaziente, nonmolle, non umile, non lacrimosa, come la Veneziana.Era certamente il fato ineluttabile; ma bene è eterna-mente da piangersi, che la perdita dell'indipendenza Ita-liana sia stata aiutata dalle mani d'uomini Italiani. So,che alcuni dicono, che coloro i quali in queste faccendesi mescolarono, non solo in Genova, ma ancora in tuttele altre parti d'Italia, rattemperavano con le speranze diun felice avvenire la tristizia dei fatti presenti; il che èvero, nè io sarò per dannargli mai; anzi molti fra di loro,i quali puri furono ed innocenti, pregio e lodo somma-mente, e predico, come uomini virtuosissimi e coraggio-

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sissimi, per non aver disperato della patria in casi tantoluttuosi, e per aver dato alla salute di lei, per quanta sa-lute potesse essere in sì lontane e deboli speranze, il ri-poso loro, le fatiche dei migliori anni, e quel che più im-porta, perfino l'illibata fama, corrotta in mezzo a tantoavviluppamento da schifose calunnie; ma so ancora chenon pochi camminavano con troppo affetto verso i fore-stieri, e che invece di obbedir loro con sopportevole di-gnità, gli ajutavano con eccessiva condiscendenza.Periva per mano dei vincitori Genova, perchè ricca, econ pochi soldati; si conservava il Piemonte, perchè po-vero, e con soldati. Essendo ancora le cose dubbiecoll'imperatore, importava alla Francia l'avere in suo fa-vore i soldati del re, se di nuovo si dovesse tornare sull'armi. Poi, quantunque il direttorio molto l'avesse inodio, Buonaparte se ne compiaceva, invaghito per indo-le propria dei governi assoluti, ed allettato dalle adula-zioni dei nobili Piemontesi, i quali avevano bene pene-trato la sua natura, e sapevano in qual modo si potesse,non che mansuefare, inlacciare quel soldato indomito.Pure non era possibile, che le massime che correvano, irivoltamenti della vicina Genova, i giornali, le predica-zioni, le trame di Milano non partorissero in Piemonteeffetti pregiudiziali alla quiete dello stato.Quando prima fu fermata la tregua di Cherasco tra laFrancia ed il Piemonte, i ministri del re, ed il re medesi-mo, anteponendo la salute dello stato all'inclinazionepropria posero ogni cura nel nodrire l'amicizia con Fran-

sissimi, per non aver disperato della patria in casi tantoluttuosi, e per aver dato alla salute di lei, per quanta sa-lute potesse essere in sì lontane e deboli speranze, il ri-poso loro, le fatiche dei migliori anni, e quel che più im-porta, perfino l'illibata fama, corrotta in mezzo a tantoavviluppamento da schifose calunnie; ma so ancora chenon pochi camminavano con troppo affetto verso i fore-stieri, e che invece di obbedir loro con sopportevole di-gnità, gli ajutavano con eccessiva condiscendenza.Periva per mano dei vincitori Genova, perchè ricca, econ pochi soldati; si conservava il Piemonte, perchè po-vero, e con soldati. Essendo ancora le cose dubbiecoll'imperatore, importava alla Francia l'avere in suo fa-vore i soldati del re, se di nuovo si dovesse tornare sull'armi. Poi, quantunque il direttorio molto l'avesse inodio, Buonaparte se ne compiaceva, invaghito per indo-le propria dei governi assoluti, ed allettato dalle adula-zioni dei nobili Piemontesi, i quali avevano bene pene-trato la sua natura, e sapevano in qual modo si potesse,non che mansuefare, inlacciare quel soldato indomito.Pure non era possibile, che le massime che correvano, irivoltamenti della vicina Genova, i giornali, le predica-zioni, le trame di Milano non partorissero in Piemonteeffetti pregiudiziali alla quiete dello stato.Quando prima fu fermata la tregua di Cherasco tra laFrancia ed il Piemonte, i ministri del re, ed il re medesi-mo, anteponendo la salute dello stato all'inclinazionepropria posero ogni cura nel nodrire l'amicizia con Fran-

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cia, ed a questo fine indirizzarono tutti i loro pensieri.Per questo il duca d'Aosta tratteneva con lettere amiche-voli Buonaparte: per questo si mandavano San Marsano,e Bossi per tenerlo bene edificato a Milano. Per questomedesimo nell'atto stesso della tregua di Cherasco, e peraverla sborsava il re più di trecento mila lire. Nè furonovane le pratiche, poichè sussisteva il re, mentre i vicinirovinavano. La principale difficoltà a superarsi in questabisogna, perchè quel, che si era conseguito per un tem-po, divenisse durabile, in questo consisteva, che si per-suadesse al direttorio, che il re per interesse proprio do-veva star aderente alla Francia, e che la Francia ancheper interesse proprio doveva avere per aderente il re.A questo fine, e perchè un trattato di alleanza si stipulas-se, aveva, come già abbiam narrato, Carlo Emanuelemandato suo ambasciadore a Parigi il conte Balbo. Per-chè poi potesse il conte più facilmente entrar di sottoaveva fra le mani molto denaro, o mandato a Parigi dal-la zecca, o voltato a quella città dai banchieri più ricchidi Torino. Delle quali cose molto sagacemente valendo-si, si aveva acquistato molta entratura. Poi facendosiavanti con progetti politici, massimamente di ordina-menti delle cose Italiane, insisteva e dimostrava che, avolere che la potenza e l'autorità dell'Austria fossero persempre allontanate dall'Italia, desiderio principale dellaFrancia, era necessario contentare il re di Sardegna,compensargli con nuovi acquisti Savoia e Nizza, farloinsomma potente e grande; ma perchè non fosse scema-

cia, ed a questo fine indirizzarono tutti i loro pensieri.Per questo il duca d'Aosta tratteneva con lettere amiche-voli Buonaparte: per questo si mandavano San Marsano,e Bossi per tenerlo bene edificato a Milano. Per questomedesimo nell'atto stesso della tregua di Cherasco, e peraverla sborsava il re più di trecento mila lire. Nè furonovane le pratiche, poichè sussisteva il re, mentre i vicinirovinavano. La principale difficoltà a superarsi in questabisogna, perchè quel, che si era conseguito per un tem-po, divenisse durabile, in questo consisteva, che si per-suadesse al direttorio, che il re per interesse proprio do-veva star aderente alla Francia, e che la Francia ancheper interesse proprio doveva avere per aderente il re.A questo fine, e perchè un trattato di alleanza si stipulas-se, aveva, come già abbiam narrato, Carlo Emanuelemandato suo ambasciadore a Parigi il conte Balbo. Per-chè poi potesse il conte più facilmente entrar di sottoaveva fra le mani molto denaro, o mandato a Parigi dal-la zecca, o voltato a quella città dai banchieri più ricchidi Torino. Delle quali cose molto sagacemente valendo-si, si aveva acquistato molta entratura. Poi facendosiavanti con progetti politici, massimamente di ordina-menti delle cose Italiane, insisteva e dimostrava che, avolere che la potenza e l'autorità dell'Austria fossero persempre allontanate dall'Italia, desiderio principale dellaFrancia, era necessario contentare il re di Sardegna,compensargli con nuovi acquisti Savoia e Nizza, farloinsomma potente e grande; ma perchè non fosse scema-

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ta autorità alle sue parole, come d'uomo che parlasse perse, aveva operato, che Francesi dei primi coi quali si eraaccordato, queste medesime cose per bocca, e come permotivo proprio rappresentassero. Per tal modo si propo-neva al direttorio, fra gli altri, per mossa del Balbo, maper mezzo di Francesi che avevano parte nello stato, unordinamento per l'Italia superiore, pel quale l'Austria sa-rebbe stata o esclusa perpetuamente dall'Italia, o frenatain quei termini che le si stabilissero per la pace. Cedes-sero Vintimiglia, la Bordighera, e San Remo col mar-chesato di Dolceacqua in potestà della Francia; si avesseil re Finale, Savona, Parma, e Piacenza; acquistasse larepubblica Ligure Carosio, i feudi imperiali, Pontremolie Fivizzano, Pietrasanta, Fordinovo, Massa e Carrara;dessesi alla repubblica Cisalpina il ducato di Guastalla,al duca di Parma la Toscana; finalmente il gran duca diToscana si compensasse con un elettorato ecclesiasticoin Germania. A questo modo, si discorreva, il diparti-mento dell'Alpi Marittime acquisterebbe grandezza, epopolazione proporzionate a quelle degli altri diparti-menti, e limiti più naturali, e frontiera assai più facile adessere difesa: Savona essere il porto naturale del Pie-monte; male aver pensato, e contro natura i Genovesinell'avere colmato questo porto; con ciò aver essi fattopregiudizio al commercio di tutte le nazioni, massima-mente a quel della Francia: se quel porto si concedesseal Piemonte, potrebbero facilmente il riso, le canape, eprincipalmente le sete Piemontesi arrivar per mare aMarsiglia, e quinci pel Rodano con pochissima spesa a

ta autorità alle sue parole, come d'uomo che parlasse perse, aveva operato, che Francesi dei primi coi quali si eraaccordato, queste medesime cose per bocca, e come permotivo proprio rappresentassero. Per tal modo si propo-neva al direttorio, fra gli altri, per mossa del Balbo, maper mezzo di Francesi che avevano parte nello stato, unordinamento per l'Italia superiore, pel quale l'Austria sa-rebbe stata o esclusa perpetuamente dall'Italia, o frenatain quei termini che le si stabilissero per la pace. Cedes-sero Vintimiglia, la Bordighera, e San Remo col mar-chesato di Dolceacqua in potestà della Francia; si avesseil re Finale, Savona, Parma, e Piacenza; acquistasse larepubblica Ligure Carosio, i feudi imperiali, Pontremolie Fivizzano, Pietrasanta, Fordinovo, Massa e Carrara;dessesi alla repubblica Cisalpina il ducato di Guastalla,al duca di Parma la Toscana; finalmente il gran duca diToscana si compensasse con un elettorato ecclesiasticoin Germania. A questo modo, si discorreva, il diparti-mento dell'Alpi Marittime acquisterebbe grandezza, epopolazione proporzionate a quelle degli altri diparti-menti, e limiti più naturali, e frontiera assai più facile adessere difesa: Savona essere il porto naturale del Pie-monte; male aver pensato, e contro natura i Genovesinell'avere colmato questo porto; con ciò aver essi fattopregiudizio al commercio di tutte le nazioni, massima-mente a quel della Francia: se quel porto si concedesseal Piemonte, potrebbero facilmente il riso, le canape, eprincipalmente le sete Piemontesi arrivar per mare aMarsiglia, e quinci pel Rodano con pochissima spesa a

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Lione, e si schiverebbero in tal modo i trasporti semprecostosi, spesso pericolosi per le Alpi: che se ai casi diguerra si pensasse, potere facilmente Savona se fosse inmano di uno stato tanto debole, quanto Genova era vera-mente, divenir preda dell'Austria ad un primo suo impe-to nella Cisalpina; che se pel contrario al re fosse data,si potrebbe da lui difendere, e perciò diventerebbel'antemurale dell'Alpi Marittime con compire la frontie-ra militare di Cuneo. Mondovì e Ceva, che nulla potevacontro la Francia per essere quelle fortezze, una voltainespugnabili, ora smantellate, ma molto potrebbe per laFrancia contro l'Austria, se questa un dì ritornasse tantopotente in Italia, che facesse suo servo il re di Sardegna,caso, che la Francia con tutti i suoi pensieri, e con tuttele sue forze doveva impedire. In questa guisa, compen-sato il re delle perdite fatte, quieterebbe l'animo, e torna-to potente come prima, avrebbe un esercito in pace diquarantamila soldati, in guerra di sessantamila, con que-sta differenza, che se innanzi dipendeva dall'Austria,dopo dipenderebbe dalla Francia, e suo necessario natu-rale alleato sarebbe, per essere i suoi stati tutti aperti, edindifesi verso di lei. Da un altro lato essere la repubblicaCisalpina un composto di elementi eterogenei, e divisain parti: la parte Austriaca esservi più numerosa, e piùforte di quella dei patriotti; avere la Cisalpina al suo go-verno uomini nuovi e senza energia; senz'armi buone,senza spirito militare, senza concordia, troppo più debo-le impedimento, che si converrebbe, essere contro i pen-sieri ambiziosi dell'Austria; pentirebbesi la Francia dello

Lione, e si schiverebbero in tal modo i trasporti semprecostosi, spesso pericolosi per le Alpi: che se ai casi diguerra si pensasse, potere facilmente Savona se fosse inmano di uno stato tanto debole, quanto Genova era vera-mente, divenir preda dell'Austria ad un primo suo impe-to nella Cisalpina; che se pel contrario al re fosse data,si potrebbe da lui difendere, e perciò diventerebbel'antemurale dell'Alpi Marittime con compire la frontie-ra militare di Cuneo. Mondovì e Ceva, che nulla potevacontro la Francia per essere quelle fortezze, una voltainespugnabili, ora smantellate, ma molto potrebbe per laFrancia contro l'Austria, se questa un dì ritornasse tantopotente in Italia, che facesse suo servo il re di Sardegna,caso, che la Francia con tutti i suoi pensieri, e con tuttele sue forze doveva impedire. In questa guisa, compen-sato il re delle perdite fatte, quieterebbe l'animo, e torna-to potente come prima, avrebbe un esercito in pace diquarantamila soldati, in guerra di sessantamila, con que-sta differenza, che se innanzi dipendeva dall'Austria,dopo dipenderebbe dalla Francia, e suo necessario natu-rale alleato sarebbe, per essere i suoi stati tutti aperti, edindifesi verso di lei. Da un altro lato essere la repubblicaCisalpina un composto di elementi eterogenei, e divisain parti: la parte Austriaca esservi più numerosa, e piùforte di quella dei patriotti; avere la Cisalpina al suo go-verno uomini nuovi e senza energia; senz'armi buone,senza spirito militare, senza concordia, troppo più debo-le impedimento, che si converrebbe, essere contro i pen-sieri ambiziosi dell'Austria; pentirebbesi la Francia dello

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aver indebolito il Piemonte, vera e naturale difesa, verocinto esteriore della Francia contro la potenzadell'Austria. Di ciò far fede Buonaparte medesimo, con-tinuamente scrivendo che la repubblica Cisalpina nonsarebbe in grado di resistere ad un solo reggimento dicavallerìa Piemontese, e che il re con un solo de' suoibattaglioni, ed uno de' suoi squadroni era più forte ditutta la Cisalpina unita.Nè apparire che cosa importasse l'aggrandire la Cisalpi-na, perciocchè più s'accrescono i corpi eterogenei, emaggiori diventano le probabilità della dissoluzione.Ciò risguardare principalmente gli stati di Parma, i qua-li, se si unissero alla Cisalpina, siccome all'unione moltoripugnanti, altro effetto non partorirebbe che quello diavvantaggiare le sorti dell'Austria, e preparare la servitùd'Italia sotto il dominio dell'imperiale scettro di Germa-nia. La libertà d'Italia dover nascere dall'esclusione de-gli Austriaci, nemici naturali della Francia, nondall'indebolire gli stati neutri, ed alleati naturali di lei.Restare adunque inutile il dare il ducato di Parma allaCisalpina; doversi dare a chi non è forte abbastanza perdar timore agli amici della Francia, a chi è forte abba-stanza per farsi portar rispetto; perdere, è vero, Genovaqualche territorio, ma conseguirne altri alla sua integritàmeglio conducenti, ed uscire oltre acciò da ogni servitùimperiale, ed acquistare titoli più sicuri sui feudi impe-riali; non potersi, senza sollevar tutta Europa, unir Ge-nova alla Cisalpina, non potersi per la ragione medesi-

aver indebolito il Piemonte, vera e naturale difesa, verocinto esteriore della Francia contro la potenzadell'Austria. Di ciò far fede Buonaparte medesimo, con-tinuamente scrivendo che la repubblica Cisalpina nonsarebbe in grado di resistere ad un solo reggimento dicavallerìa Piemontese, e che il re con un solo de' suoibattaglioni, ed uno de' suoi squadroni era più forte ditutta la Cisalpina unita.Nè apparire che cosa importasse l'aggrandire la Cisalpi-na, perciocchè più s'accrescono i corpi eterogenei, emaggiori diventano le probabilità della dissoluzione.Ciò risguardare principalmente gli stati di Parma, i qua-li, se si unissero alla Cisalpina, siccome all'unione moltoripugnanti, altro effetto non partorirebbe che quello diavvantaggiare le sorti dell'Austria, e preparare la servitùd'Italia sotto il dominio dell'imperiale scettro di Germa-nia. La libertà d'Italia dover nascere dall'esclusione de-gli Austriaci, nemici naturali della Francia, nondall'indebolire gli stati neutri, ed alleati naturali di lei.Restare adunque inutile il dare il ducato di Parma allaCisalpina; doversi dare a chi non è forte abbastanza perdar timore agli amici della Francia, a chi è forte abba-stanza per farsi portar rispetto; perdere, è vero, Genovaqualche territorio, ma conseguirne altri alla sua integritàmeglio conducenti, ed uscire oltre acciò da ogni servitùimperiale, ed acquistare titoli più sicuri sui feudi impe-riali; non potersi, senza sollevar tutta Europa, unir Ge-nova alla Cisalpina, non potersi per la ragione medesi-

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ma, nè senza pregiudizio degl'interessi commerciali, nèsenza far forza ai limiti naturali unirla alla Francia,quantunque a questo partito spignessero gli aristocratiscontenti allo essere esclusi per la nuova costituzionedai primi luoghi dello stato; doversi pertanto, ove Geno-va si volesse disfare, darne parte al re di Sardegna, partealla Francia, o tutta darla al re, che cederebbe in iscam-bio alla Francia l'isola di Sardegna; opportunissima es-sere al dominio Francese la Sardegna, ricca per se, ric-chissima, se venisse in mano di Francia. Di nissun mo-mento essere Massa e Carrara alla Cisalpina, per esserespiaggia importuosa, e solamente povero rifugio di bar-che pescherecchie, di grande Guastalla per essere a ca-vallo del Po, per signoreggiare la navigazione del fiume,e per far sicura la comunicazione fra le due parti dellarepubblica situate sulle due opposte rive; torsele conse-guentemente una misera parte, unita a lei per poca terra,darsele una parte ricca, opportuna, ed a lei per limiti na-turali congiunta; sottomettere al dominio del duca diParma la Toscana piacere alla Spagna, principalmentealla regina, di sangue Parmense. Per esso pareggiarsivieppiù la potenza delle due emole prosapie di Parma edi Napoli, offerirsi alla prima la occasione di riguada-gnarsi lo stato dei Presidj, internati nella Toscana, e suiquali pretendeva Napoli sovranità; soddisfarsi Madriddelle condizioni stipulate nel trattato d'alleanza, ed avereperciò la Francia più fondata ragione di richiedere dal reCarlo, facesse maggiori sforzi, acconsentisse più volen-tieri ad ulteriori accordi; quel tumore delle menti Spa-

ma, nè senza pregiudizio degl'interessi commerciali, nèsenza far forza ai limiti naturali unirla alla Francia,quantunque a questo partito spignessero gli aristocratiscontenti allo essere esclusi per la nuova costituzionedai primi luoghi dello stato; doversi pertanto, ove Geno-va si volesse disfare, darne parte al re di Sardegna, partealla Francia, o tutta darla al re, che cederebbe in iscam-bio alla Francia l'isola di Sardegna; opportunissima es-sere al dominio Francese la Sardegna, ricca per se, ric-chissima, se venisse in mano di Francia. Di nissun mo-mento essere Massa e Carrara alla Cisalpina, per esserespiaggia importuosa, e solamente povero rifugio di bar-che pescherecchie, di grande Guastalla per essere a ca-vallo del Po, per signoreggiare la navigazione del fiume,e per far sicura la comunicazione fra le due parti dellarepubblica situate sulle due opposte rive; torsele conse-guentemente una misera parte, unita a lei per poca terra,darsele una parte ricca, opportuna, ed a lei per limiti na-turali congiunta; sottomettere al dominio del duca diParma la Toscana piacere alla Spagna, principalmentealla regina, di sangue Parmense. Per esso pareggiarsivieppiù la potenza delle due emole prosapie di Parma edi Napoli, offerirsi alla prima la occasione di riguada-gnarsi lo stato dei Presidj, internati nella Toscana, e suiquali pretendeva Napoli sovranità; soddisfarsi Madriddelle condizioni stipulate nel trattato d'alleanza, ed avereperciò la Francia più fondata ragione di richiedere dal reCarlo, facesse maggiori sforzi, acconsentisse più volen-tieri ad ulteriori accordi; quel tumore delle menti Spa-

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gnuole avere a compiacersi di un più alto titolo; e seRoma fosse per cambiar di sovrano, doversi lei darepiuttosto ad un principe di parte Spagnuola, e per conse-guente unito alla Francia, che al re di Napoli, ed al granduca di Toscana tanto congiunti di sangue, o di parente-la, o d'opinione colla parte Austriaca. Ragionavasi anco-ra, che con questo si verrebbe a torre all'imperiod'Inghilterra il porto tanto importante di Livorno. Oltre atutto ciò toccava il conte Balbo, e chi parlava per lui,che l'avere l'Austria acquistato il paese Veneto, la facevapiù grande in Italia; essere perciò necessario crearvinuova potenza contro nuova potenza, con dare alla re-pubblica Cisalpina un governo savio e forte, e con allon-tanare dall'Italia il principe Austriaco di Toscana, e consostituire a lui un principe, che potesse entrar nella legaItalica destinata a frenare in Italia la potenza dell'impe-ratore; parere somigliante al vero, che avessero a soppri-mersi in Alemagna gli elettorati ecclesiastici, e crearsiin luogo loro tre elettorati laici, dei quali uno sarebbeprobabilmente protestante; da ciò ne nascerebbe, chel'Austria pruoverebbe l'autorità sua diminuita nel corpoGermanico, e volentieri vedrebbe, che uno degli eletto-rati nuovi cedesse in capo di un principe del suo sangue:il quale ordine crescerebbe il numero degli elettorati in-sino a nove, come erano innanzi che i due della casa pa-latina si riunissero in un solo. Pure per questo non ac-quisterebbe l'Austria la pluralità dei voti, che restar do-veva in avvenire in favore della Francia. Meglio ancorasarebbe se l'elettorato di Colonia a questo ramo

gnuole avere a compiacersi di un più alto titolo; e seRoma fosse per cambiar di sovrano, doversi lei darepiuttosto ad un principe di parte Spagnuola, e per conse-guente unito alla Francia, che al re di Napoli, ed al granduca di Toscana tanto congiunti di sangue, o di parente-la, o d'opinione colla parte Austriaca. Ragionavasi anco-ra, che con questo si verrebbe a torre all'imperiod'Inghilterra il porto tanto importante di Livorno. Oltre atutto ciò toccava il conte Balbo, e chi parlava per lui,che l'avere l'Austria acquistato il paese Veneto, la facevapiù grande in Italia; essere perciò necessario crearvinuova potenza contro nuova potenza, con dare alla re-pubblica Cisalpina un governo savio e forte, e con allon-tanare dall'Italia il principe Austriaco di Toscana, e consostituire a lui un principe, che potesse entrar nella legaItalica destinata a frenare in Italia la potenza dell'impe-ratore; parere somigliante al vero, che avessero a soppri-mersi in Alemagna gli elettorati ecclesiastici, e crearsiin luogo loro tre elettorati laici, dei quali uno sarebbeprobabilmente protestante; da ciò ne nascerebbe, chel'Austria pruoverebbe l'autorità sua diminuita nel corpoGermanico, e volentieri vedrebbe, che uno degli eletto-rati nuovi cedesse in capo di un principe del suo sangue:il quale ordine crescerebbe il numero degli elettorati in-sino a nove, come erano innanzi che i due della casa pa-latina si riunissero in un solo. Pure per questo non ac-quisterebbe l'Austria la pluralità dei voti, che restar do-veva in avvenire in favore della Francia. Meglio ancorasarebbe se l'elettorato di Colonia a questo ramo

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d'Austria, cioè al gran duca di Toscana, si concedesse,perciocchè la Francia avrebbe in tal caso sulla sinistrasponda del Reno un pegno, che in accidente di guerrapotrebbe agevolmente occupare.L'ambasciadore Piemontese, avendo trovato la materiatenera, e volendo dimostrare, che con la grandezza delre era congiunta la sicurtà e il beneficio di Francia, pro-cedeva più avanti, forse poco prudentemente, perchè inciò andava a ferire l'edifizio prediletto di Buonaparte.Argomentava, e certamente con verità, che le nuove re-pubbliche Italiane non potevano di per se stesse sussi-stere; che la parte dell'Austria vi era la più forte, ch'essaproromperebbe tostochè i Francesi levassero le forzeloro, che erano il solo freno che la tenesse lontana daquei paesi: che forse la parte stessa democratica eraprezzolata dall'Austria per impedire, che la Lombardianon fosse data al re di Sardegna; che se l'Austria condu-cesse i suoi disegni a compimento, sarebbe il re cassodal novero delle potenze d'Europa, e la Francia avrebbe,in vece di un amico fedele e che anche fatto più potentenon potrebbe pregiudicarle, un vicino pericoloso, e ne-mico naturale del nome Francese. Necessaria cosa esse-re adunque, che si compensassero al re le perdite fatte, eche se gli assicurassero gli stati; il che meglio e più fer-mamente non si poteva fare che col metterlo in possessodella Lombardìa: offerire il re alla Francia un testimonioirrefragabile della sincerità sua, e della sua avversioneverso il giogo Austriaco in questo, che dappoichè, dopo

d'Austria, cioè al gran duca di Toscana, si concedesse,perciocchè la Francia avrebbe in tal caso sulla sinistrasponda del Reno un pegno, che in accidente di guerrapotrebbe agevolmente occupare.L'ambasciadore Piemontese, avendo trovato la materiatenera, e volendo dimostrare, che con la grandezza delre era congiunta la sicurtà e il beneficio di Francia, pro-cedeva più avanti, forse poco prudentemente, perchè inciò andava a ferire l'edifizio prediletto di Buonaparte.Argomentava, e certamente con verità, che le nuove re-pubbliche Italiane non potevano di per se stesse sussi-stere; che la parte dell'Austria vi era la più forte, ch'essaproromperebbe tostochè i Francesi levassero le forzeloro, che erano il solo freno che la tenesse lontana daquei paesi: che forse la parte stessa democratica eraprezzolata dall'Austria per impedire, che la Lombardianon fosse data al re di Sardegna; che se l'Austria condu-cesse i suoi disegni a compimento, sarebbe il re cassodal novero delle potenze d'Europa, e la Francia avrebbe,in vece di un amico fedele e che anche fatto più potentenon potrebbe pregiudicarle, un vicino pericoloso, e ne-mico naturale del nome Francese. Necessaria cosa esse-re adunque, che si compensassero al re le perdite fatte, eche se gli assicurassero gli stati; il che meglio e più fer-mamente non si poteva fare che col metterlo in possessodella Lombardìa: offerire il re alla Francia un testimonioirrefragabile della sincerità sua, e della sua avversioneverso il giogo Austriaco in questo, che dappoichè, dopo

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gl'inutili tentativi di ben quattro anni, erano i Francesipenetrati in Piemonte, ed era stato il re liberato dalla do-minazione Austriaca, aveva egli tostamente fatto la riso-luzione di gettarsi alla parte Francese, e presto l'Italia in-tiera era venuta in potestà loro: se il re non avesse giudi-cato conveniente di fidar tutte le cose sue ad un'intimaconnessione dei veri e reali interessi della Francia co'suoi, se per questa ragione non avesse accettato le duris-sime condizioni, alle quali fu posto; e se solamente,come poteva, perchè intatte ancora, e fornite di tuttopunto erano, avesse atteso a difendere le sue fortezze, nèl'abilità, nè la fortuna di Buonaparte, nè il valore de'suoi soldati sarebbero stati bastanti a fare, che la vittoriaalle armi Francesi si assicurasse; il che esser vero Buo-naparte stesso pensava, e l'aveva affermato più volte.Queste Piemontesi insinuazioni, che tendevano, secondoil costume dei tempi, a spodestare altrui, erano astutissi-me, siccome quelle che sempre toccavano quel tastoprediletto alle orecchie dei Francesi tanto desiderosi del-la declinazione dell'Austria in Italia, e dell'aumento del-la potenza propria. Perciò erano udite volentieri, non giàdal direttorio, sempre invasato da' suoi pensieri di rivo-luzione, ma da chi stava a lato a lui, e molto con lui po-teva. Le avvalorava anche con sue lettere Buonaparte.Scriveva egli al ministro degli affari esteri, male cono-scersi i popoli Cisalpini a Parigi; non portar la spesa,che si facessero ammazzare quaranta mila Francesi perloro; errare il ministro in pensando, che la libertà potes-

gl'inutili tentativi di ben quattro anni, erano i Francesipenetrati in Piemonte, ed era stato il re liberato dalla do-minazione Austriaca, aveva egli tostamente fatto la riso-luzione di gettarsi alla parte Francese, e presto l'Italia in-tiera era venuta in potestà loro: se il re non avesse giudi-cato conveniente di fidar tutte le cose sue ad un'intimaconnessione dei veri e reali interessi della Francia co'suoi, se per questa ragione non avesse accettato le duris-sime condizioni, alle quali fu posto; e se solamente,come poteva, perchè intatte ancora, e fornite di tuttopunto erano, avesse atteso a difendere le sue fortezze, nèl'abilità, nè la fortuna di Buonaparte, nè il valore de'suoi soldati sarebbero stati bastanti a fare, che la vittoriaalle armi Francesi si assicurasse; il che esser vero Buo-naparte stesso pensava, e l'aveva affermato più volte.Queste Piemontesi insinuazioni, che tendevano, secondoil costume dei tempi, a spodestare altrui, erano astutissi-me, siccome quelle che sempre toccavano quel tastoprediletto alle orecchie dei Francesi tanto desiderosi del-la declinazione dell'Austria in Italia, e dell'aumento del-la potenza propria. Perciò erano udite volentieri, non giàdal direttorio, sempre invasato da' suoi pensieri di rivo-luzione, ma da chi stava a lato a lui, e molto con lui po-teva. Le avvalorava anche con sue lettere Buonaparte.Scriveva egli al ministro degli affari esteri, male cono-scersi i popoli Cisalpini a Parigi; non portar la spesa,che si facessero ammazzare quaranta mila Francesi perloro; errare il ministro in pensando, che la libertà potes-

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se far fare gran cose ad un popolo, come affermava,molle, superstizioso, commediajo, e vile; volere il mini-stro, ch'egli, Buonaparte, facesse miracoli; ma non sa-perne fare, non avere nel suo esercito un solo Italiano,se non forse quindici centinaja di piazzaruoli raggranel-lati a stento sulle piazze di diverse città d'Italia, ribalda-glia piuttosto atta a rubare, che a far guerra: il re di Sar-degna solo con un suo reggimento esser più forte di tuttala Cisalpina; non permettesse, diceva, che qualche av-venturiere, o fors'anche qualche ministro gli desse a cre-dere, che ottanta mila Italiani fossero in armi; bugiardiessere i giornalisti Parigini, bugiarda la opinione inFrancia rispetto agl'Italiani: se i ministri Cisalpini gli di-cessero, aggiungeva Buonaparte, ch'egli avesse all'eser-cito più di quindici centinaja dei loro, e più di due miladestinati a mantener il buon ordine in Milano, rispon-desse loro, che dicevano bugia, e gli sgridasse, che lomeritavano; certe cose esser buone a dirsi nei caffè, enei discorsi, ma non ai governi: romanzi esser quelle,che son buone a dirsi nei manifesti, e nei discorsi stam-pati; doversi ai governi parlar di un altro suono, perchèle falsità gli sviano, e le male strade gli fan rovinare;non l'amore degl'Italiani per la libertà e per l'equalitàaver ajutato i Francesi in Italia, ma sì la disciplinadell'esercito, il valore dei soldati, il rispetto per la repub-blica, il contenere i sospetti, il castigare gli avversi; ave-re ad essere un abile legislatore quello, che potesse in-vogliar dell'armi i Cisalpini; esser loro una nazione sner-vata e codarda: forse col tempo si ordinerebbe bene la

se far fare gran cose ad un popolo, come affermava,molle, superstizioso, commediajo, e vile; volere il mini-stro, ch'egli, Buonaparte, facesse miracoli; ma non sa-perne fare, non avere nel suo esercito un solo Italiano,se non forse quindici centinaja di piazzaruoli raggranel-lati a stento sulle piazze di diverse città d'Italia, ribalda-glia piuttosto atta a rubare, che a far guerra: il re di Sar-degna solo con un suo reggimento esser più forte di tuttala Cisalpina; non permettesse, diceva, che qualche av-venturiere, o fors'anche qualche ministro gli desse a cre-dere, che ottanta mila Italiani fossero in armi; bugiardiessere i giornalisti Parigini, bugiarda la opinione inFrancia rispetto agl'Italiani: se i ministri Cisalpini gli di-cessero, aggiungeva Buonaparte, ch'egli avesse all'eser-cito più di quindici centinaja dei loro, e più di due miladestinati a mantener il buon ordine in Milano, rispon-desse loro, che dicevano bugia, e gli sgridasse, che lomeritavano; certe cose esser buone a dirsi nei caffè, enei discorsi, ma non ai governi: romanzi esser quelle,che son buone a dirsi nei manifesti, e nei discorsi stam-pati; doversi ai governi parlar di un altro suono, perchèle falsità gli sviano, e le male strade gli fan rovinare;non l'amore degl'Italiani per la libertà e per l'equalitàaver ajutato i Francesi in Italia, ma sì la disciplinadell'esercito, il valore dei soldati, il rispetto per la repub-blica, il contenere i sospetti, il castigare gli avversi; ave-re ad essere un abile legislatore quello, che potesse in-vogliar dell'armi i Cisalpini; esser loro una nazione sner-vata e codarda: forse col tempo si ordinerebbe bene la

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loro repubblica insino a metter su trenta mila soldati ditollerabil gente, massime se conducessero qualche polsodi Svizzeri, ma per allora non vi si potere far su fonda-mento. Nè maggior capitale potersi fare dei patrioti Ci-salpini e Genovesi doversi aver per certo, che se i Fran-cesi se ne gissero, il popolo gli ammazzarebbe tutti.Adunque, concludeva, se ausiliarj di niun conto sono eGenovesi e Cisalpini, nissun miglior partito restare allaFrancia per avere un ausiliario buono in Italia a diminu-zione della potenza Austriaca, che lo stringere amiciziacol re di Sardegna, e fermare con lui un trattato d'allean-za.Infatti un trattato di tal sorte tra Francia e Sardegna giàsi era negoziato, quando ancora l'imperatore combattevain Italia, e tuttavia erano gli eventi della guerra dubbj.Infine era stato concluso il dì cinque aprile da parte del-la Francia pel generale Clarke, da quella della Sardegnapel ministro Priocca. I primi e principali capitoli erano,fosse l'alleanza offensiva e difensiva prima della pacedel continente, solamente difensiva dopo; non obbligas-se il re a far guerra ad altro principe, che all'imperatoredi Germania, ed il re se ne stesse neutrale con l'Inghil-terra; guarentivansi reciprocamente le due parti i lorostati d'Europa, e si obbligavano a non dar soccorso ainemici sì esterni che interni, fornisse il re nove mila fan-ti, mille cavalli, quaranta cannoni; obbedissero questisoldati al generalissimo di Francia; partecipassero nelletaglie poste sui paesi vinti in proporzione del numero

loro repubblica insino a metter su trenta mila soldati ditollerabil gente, massime se conducessero qualche polsodi Svizzeri, ma per allora non vi si potere far su fonda-mento. Nè maggior capitale potersi fare dei patrioti Ci-salpini e Genovesi doversi aver per certo, che se i Fran-cesi se ne gissero, il popolo gli ammazzarebbe tutti.Adunque, concludeva, se ausiliarj di niun conto sono eGenovesi e Cisalpini, nissun miglior partito restare allaFrancia per avere un ausiliario buono in Italia a diminu-zione della potenza Austriaca, che lo stringere amiciziacol re di Sardegna, e fermare con lui un trattato d'allean-za.Infatti un trattato di tal sorte tra Francia e Sardegna giàsi era negoziato, quando ancora l'imperatore combattevain Italia, e tuttavia erano gli eventi della guerra dubbj.Infine era stato concluso il dì cinque aprile da parte del-la Francia pel generale Clarke, da quella della Sardegnapel ministro Priocca. I primi e principali capitoli erano,fosse l'alleanza offensiva e difensiva prima della pacedel continente, solamente difensiva dopo; non obbligas-se il re a far guerra ad altro principe, che all'imperatoredi Germania, ed il re se ne stesse neutrale con l'Inghil-terra; guarentivansi reciprocamente le due parti i lorostati d'Europa, e si obbligavano a non dar soccorso ainemici sì esterni che interni, fornisse il re nove mila fan-ti, mille cavalli, quaranta cannoni; obbedissero questisoldati al generalissimo di Francia; partecipassero nelletaglie poste sui paesi vinti in proporzione del numero

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loro: quelle poste sugli stati del re cessassero; niuna par-te potesse fare accordo col nemico comune, se non co-mune; si stipulasse un trattato di commercio; la repub-blica di Francia, come più possibil fosse, avvantaggias-se, alla pace generale, o del continente le condizioni delre di Sardegna.Questo trattato, che prometteva giorni più lieti e più si-curi al Piemonte, ed avrebbegli anche adotti, se menoperversi fossero stati gli uomini, o meno avversi i tempi,conteneva una condizione principalissima, e di tutto mo-mento pel re, e quest'era la guarantigia degli stati controi nemici sì esterni che interni, gli uni e gli altri pericolo-si, i primi per la forza, i secondi per quella sequela dellecose Milanesi e Genovesi. Debbono i Piemontesi averneuna perpetua gratitudine a Priocca per aver saputo farsorgere di mezzo a tanta tempesta una speranza cosìgrande di salute; perchè, se il vantaggio dello avere perausiliari diecimila Piemontesi non era da sprezzarsi perla repubblica di Francia, bene era molto maggiore pelsovrano del Piemonte la stipulata sicurezza degli stati, eper questa parte era il trattato più glorioso al principe,che alla repubblica. Restava, che i consigli di Franciaratificassero il trattato, perchè già il direttorio l'avevaappruovato. Qui sorsero parecchie cagioni d'indugio,prima da parte del governo regio, che desiderava, che laratificazione fosse susseguente alla pace con Roma, eche il suo ministro a Vienna ne fosse uscito e condottoin salvo, poi per parte della Francia, perchè a questo

loro: quelle poste sugli stati del re cessassero; niuna par-te potesse fare accordo col nemico comune, se non co-mune; si stipulasse un trattato di commercio; la repub-blica di Francia, come più possibil fosse, avvantaggias-se, alla pace generale, o del continente le condizioni delre di Sardegna.Questo trattato, che prometteva giorni più lieti e più si-curi al Piemonte, ed avrebbegli anche adotti, se menoperversi fossero stati gli uomini, o meno avversi i tempi,conteneva una condizione principalissima, e di tutto mo-mento pel re, e quest'era la guarantigia degli stati controi nemici sì esterni che interni, gli uni e gli altri pericolo-si, i primi per la forza, i secondi per quella sequela dellecose Milanesi e Genovesi. Debbono i Piemontesi averneuna perpetua gratitudine a Priocca per aver saputo farsorgere di mezzo a tanta tempesta una speranza cosìgrande di salute; perchè, se il vantaggio dello avere perausiliari diecimila Piemontesi non era da sprezzarsi perla repubblica di Francia, bene era molto maggiore pelsovrano del Piemonte la stipulata sicurezza degli stati, eper questa parte era il trattato più glorioso al principe,che alla repubblica. Restava, che i consigli di Franciaratificassero il trattato, perchè già il direttorio l'avevaappruovato. Qui sorsero parecchie cagioni d'indugio,prima da parte del governo regio, che desiderava, che laratificazione fosse susseguente alla pace con Roma, eche il suo ministro a Vienna ne fosse uscito e condottoin salvo, poi per parte della Francia, perchè a questo

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tempo stesso erano stati fermati i preliminari di Leoben;e siccome la principal condizione dell'alleanza consiste-va nel far guerra di concerto contro l'Austria, pareva,che il ratificare, ed il pubblicare il trattato potesse stur-bare le pratiche di fresco aperte con l'imperatore. Ma ilre, sentiti i preliminari di Leoben, insisteva ostinatissi-mamente per la ratificazione, perchè aveva timore delleturbazioni interne, e sospettava, giacchè l'imperatore erastato costretto a chiedere i patti, che il direttorio si riti-rasse da lui, e si stipulassero nei sorti negoziati cosecontrarie ai suoi interessi. Temeva di restar solo espostoai risentimenti dell'Austria, tanto più formidabili, quantoegli con maggiore sincerità e calore si era gettato allaparte Francese. Per questo Balbo usava ogni opera a Pa-rigi, e con ragioni forti, e con mezzi più forti ancora chele ragioni, acciocchè il trattato si appresentasse per la ra-tificazione dal direttorio ai consigli. Secondava Buona-parte con le lettere i tentativi del conte. Badassero bene,scriveva, non essere punto sicure le cose coll'imperato-re; ad ogni momento potersi rompere la guerra; se nonratificasse al trattato, per questo solo diventerebbe il redi Sardegna nemico, perchè si persuaderebbe, e con ra-gione, che la Francia volesse al tutto la sua rovina; perla medesima ragione, e dovendo tenere il re in grado diavverso alla Francia, sarebbe egli, Buonaparte, necessi-tato a mettere un presidio di due mila soldati in Cuneo,altrettanti in Tortona, altrettanti in Alessandria; avereconseguentemente l'esercito ad esser diminuito di seimila combattenti necessari a custodire le piazze Pie-

tempo stesso erano stati fermati i preliminari di Leoben;e siccome la principal condizione dell'alleanza consiste-va nel far guerra di concerto contro l'Austria, pareva,che il ratificare, ed il pubblicare il trattato potesse stur-bare le pratiche di fresco aperte con l'imperatore. Ma ilre, sentiti i preliminari di Leoben, insisteva ostinatissi-mamente per la ratificazione, perchè aveva timore delleturbazioni interne, e sospettava, giacchè l'imperatore erastato costretto a chiedere i patti, che il direttorio si riti-rasse da lui, e si stipulassero nei sorti negoziati cosecontrarie ai suoi interessi. Temeva di restar solo espostoai risentimenti dell'Austria, tanto più formidabili, quantoegli con maggiore sincerità e calore si era gettato allaparte Francese. Per questo Balbo usava ogni opera a Pa-rigi, e con ragioni forti, e con mezzi più forti ancora chele ragioni, acciocchè il trattato si appresentasse per la ra-tificazione dal direttorio ai consigli. Secondava Buona-parte con le lettere i tentativi del conte. Badassero bene,scriveva, non essere punto sicure le cose coll'imperato-re; ad ogni momento potersi rompere la guerra; se nonratificasse al trattato, per questo solo diventerebbe il redi Sardegna nemico, perchè si persuaderebbe, e con ra-gione, che la Francia volesse al tutto la sua rovina; perla medesima ragione, e dovendo tenere il re in grado diavverso alla Francia, sarebbe egli, Buonaparte, necessi-tato a mettere un presidio di due mila soldati in Cuneo,altrettanti in Tortona, altrettanti in Alessandria; avereconseguentemente l'esercito ad esser diminuito di seimila combattenti necessari a custodire le piazze Pie-

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montesi, e di più, di altri sei mila necessari a guernire leMilanesi: quest'erano i castelli di Milano e di Pavia, e lafortezza di Pizzighettone. Per tal modo, se non si ratifi-casse per parte della Francia il trattato, si perderebberodieci mila Piemontesi, ottimi soldati, e dieci mila Fran-cesi, destinati a tener sicure le spalle dell'esercito Italico,e ad allontanare accidenti sinistri in caso di sconfitta.Perchè non voler mandare ad effetto quello, che si erastipulato? Forse per lo scrupolo di collegarsi con un re?Essersi bene la Francia collegata coi re di Spagna e diPrussia. Forse il desiderio di sovvertire il Piemonte? Maperciò fare senza strepito, senza mancar di fede al tratta-to, anche senza offendere la buona creanza, migliormezzo essere (quest'era veramente pensiero Buonapar-tiano) il mescolare ai soldati di Francia diecimila soldatiPiemontesi, fiore e parte eletta della nazione, e farglipartecipi delle vittorie Francesi; sei mesi dopo sarebbe ilre di Piemonte detruso dal trono. Stringere la Franciacon le sue forti braccia, qual gigante, e serrare, e soffo-care un pigmeo: tal essere la necessità delle condizioniPiemontesi. Se ciò non s'intendesse, soggiungeva, nonsaper che farci, e se alla politica savia e vera, che si con-veniva ad una grande nazione chiamata a gran destino, eche ha a fronte nemici potentissimi, si sostituissero leciarle democratiche, non saper che farci, e niuna cosapotersi fare, che buona fosse.A queste cose vere, e con sincerità fraudolenta dette daBuonaparte, rispondeva dal canto suo cose vere, e con

montesi, e di più, di altri sei mila necessari a guernire leMilanesi: quest'erano i castelli di Milano e di Pavia, e lafortezza di Pizzighettone. Per tal modo, se non si ratifi-casse per parte della Francia il trattato, si perderebberodieci mila Piemontesi, ottimi soldati, e dieci mila Fran-cesi, destinati a tener sicure le spalle dell'esercito Italico,e ad allontanare accidenti sinistri in caso di sconfitta.Perchè non voler mandare ad effetto quello, che si erastipulato? Forse per lo scrupolo di collegarsi con un re?Essersi bene la Francia collegata coi re di Spagna e diPrussia. Forse il desiderio di sovvertire il Piemonte? Maperciò fare senza strepito, senza mancar di fede al tratta-to, anche senza offendere la buona creanza, migliormezzo essere (quest'era veramente pensiero Buonapar-tiano) il mescolare ai soldati di Francia diecimila soldatiPiemontesi, fiore e parte eletta della nazione, e farglipartecipi delle vittorie Francesi; sei mesi dopo sarebbe ilre di Piemonte detruso dal trono. Stringere la Franciacon le sue forti braccia, qual gigante, e serrare, e soffo-care un pigmeo: tal essere la necessità delle condizioniPiemontesi. Se ciò non s'intendesse, soggiungeva, nonsaper che farci, e se alla politica savia e vera, che si con-veniva ad una grande nazione chiamata a gran destino, eche ha a fronte nemici potentissimi, si sostituissero leciarle democratiche, non saper che farci, e niuna cosapotersi fare, che buona fosse.A queste cose vere, e con sincerità fraudolenta dette daBuonaparte, rispondeva dal canto suo cose vere, e con

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sincerità apparente dette, Carlo Maurizio di Talleyrand:non volere il direttorio ratificare il trattato concluso colre di Sardegna; implicar contraddizione il far patti so-lenni con una monarchia, la di cui prossima distruzionepotrebbe esser l'effetto di quanto la Francia aveva opera-to in Italia: sarebbene il direttorio accusato dello stessoprocedere machiavellico, col quale aveva proceduto il redi Prussia verso la Polonia. Di più, il capitolo del tratta-to, che più stava a cuore al re di Sardegna, quello essere,per cui se gli faceva sicurtà del suo regno; ma non pote-re la Francia dare ai re questa sicurtà contro i popoli; untale patto condurrebbe la Francia a far la guerra a quellistessi principj pei quali aveva essa combattuto sino allo-ra, ed ai quali era della maggior parte delle sue vittorieobbligata; diventerebbe il Piemonte posto tra la Franciae l'Italia, ambedue libere, quello che il suo destino vo-lesse: ma non poter altro in ciò fare la Francia, che la-sciare andar le cose al loro naturale corso. Conseguitar-ne da tutto questo, che l'esercito Italico non avrebbe idiecimila Piemontesi; ma niuna cosa poter impedire, cheBuonaparte avesse dal Piemonte quanti soldati volesse;non mancarvi uomini disposti a combattere per la libertàsotto le insegne Buonapartiane; tutti i novatori, tutti isovvertitori accorrerebbero, solo che Buonaparte muo-vesse la Cisalpina ad arruolargli, a soldargli, a fornirgli:avrebbesi a questo modo, continuava a dire Talleyrand,il piccolo esercito, che il re dovrebbe dare in virtù deltrattato, e nissun obbligo si avrebbe ad un principe dicasa Borbone (scrivo Borbone, perchè così trovo scrit-

sincerità apparente dette, Carlo Maurizio di Talleyrand:non volere il direttorio ratificare il trattato concluso colre di Sardegna; implicar contraddizione il far patti so-lenni con una monarchia, la di cui prossima distruzionepotrebbe esser l'effetto di quanto la Francia aveva opera-to in Italia: sarebbene il direttorio accusato dello stessoprocedere machiavellico, col quale aveva proceduto il redi Prussia verso la Polonia. Di più, il capitolo del tratta-to, che più stava a cuore al re di Sardegna, quello essere,per cui se gli faceva sicurtà del suo regno; ma non pote-re la Francia dare ai re questa sicurtà contro i popoli; untale patto condurrebbe la Francia a far la guerra a quellistessi principj pei quali aveva essa combattuto sino allo-ra, ed ai quali era della maggior parte delle sue vittorieobbligata; diventerebbe il Piemonte posto tra la Franciae l'Italia, ambedue libere, quello che il suo destino vo-lesse: ma non poter altro in ciò fare la Francia, che la-sciare andar le cose al loro naturale corso. Conseguitar-ne da tutto questo, che l'esercito Italico non avrebbe idiecimila Piemontesi; ma niuna cosa poter impedire, cheBuonaparte avesse dal Piemonte quanti soldati volesse;non mancarvi uomini disposti a combattere per la libertàsotto le insegne Buonapartiane; tutti i novatori, tutti isovvertitori accorrerebbero, solo che Buonaparte muo-vesse la Cisalpina ad arruolargli, a soldargli, a fornirgli:avrebbesi a questo modo, continuava a dire Talleyrand,il piccolo esercito, che il re dovrebbe dare in virtù deltrattato, e nissun obbligo si avrebbe ad un principe dicasa Borbone (scrivo Borbone, perchè così trovo scrit-

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to). Forse il re medesimo si compiacerebbe di questechiamate, siccome di quelle, che lo libererebbero dagente inquieta e pericolosa: questo consiglio utile allaFrancia ritarderebbe la rivoluzione Piemontese: ma nonimportare, sì veramente che la Cisalpina pagasse: pagargià molto la Cisalpina, ma all'ultimo non esser che dena-ro: aver bene la Francia comprato la libertà più caroprezzo.Ma o che Balbo avesse trovato modo di ammollire que-ste durezze, forse mostrate appunto, perchè ei trovassemodo di ammollirle, o che le cose di guerra pressassero,e prevedesse il direttorio una nuova rottura coll'Austria,il trattato d'alleanza con la Sardegna era mandato dal di-rettorio ai consigli, e questi il ratificarono. Così, rescri-veva un quinqueviro di Parigi a Buonaparte, avrebbeadempiti i suoi desiderj, e potrebbe stare a sicurtà sulletruppe Sarde; potrebbe mandar ad effetto i disegni, chesopra di esse aveva concetto, dar loro nuovi ufficiali, epreparare per tal mezzo quello, che in altro modo biso-gnerebbe effettuare, se la pace si facesse; conciossiachèin quest'ultimo caso, continuava a discorrere il quinque-viro, sarebbe forse incomodo impaccio, se il governoFrancese si trovasse vincolato per una ratificazione, allaquale avrebbe acconsentito pel solo rispetto della guer-ra. Quest'era la lealtà del direttorio nel momento stesso,in cui stringeva, non che amicizia, alleanza col re di Sar-degna. Che fede fosse questa io non lo so; questo sobene, che non era fede Italica. Da questo si vede, in qua-

to). Forse il re medesimo si compiacerebbe di questechiamate, siccome di quelle, che lo libererebbero dagente inquieta e pericolosa: questo consiglio utile allaFrancia ritarderebbe la rivoluzione Piemontese: ma nonimportare, sì veramente che la Cisalpina pagasse: pagargià molto la Cisalpina, ma all'ultimo non esser che dena-ro: aver bene la Francia comprato la libertà più caroprezzo.Ma o che Balbo avesse trovato modo di ammollire que-ste durezze, forse mostrate appunto, perchè ei trovassemodo di ammollirle, o che le cose di guerra pressassero,e prevedesse il direttorio una nuova rottura coll'Austria,il trattato d'alleanza con la Sardegna era mandato dal di-rettorio ai consigli, e questi il ratificarono. Così, rescri-veva un quinqueviro di Parigi a Buonaparte, avrebbeadempiti i suoi desiderj, e potrebbe stare a sicurtà sulletruppe Sarde; potrebbe mandar ad effetto i disegni, chesopra di esse aveva concetto, dar loro nuovi ufficiali, epreparare per tal mezzo quello, che in altro modo biso-gnerebbe effettuare, se la pace si facesse; conciossiachèin quest'ultimo caso, continuava a discorrere il quinque-viro, sarebbe forse incomodo impaccio, se il governoFrancese si trovasse vincolato per una ratificazione, allaquale avrebbe acconsentito pel solo rispetto della guer-ra. Quest'era la lealtà del direttorio nel momento stesso,in cui stringeva, non che amicizia, alleanza col re di Sar-degna. Che fede fosse questa io non lo so; questo sobene, che non era fede Italica. Da questo si vede, in qua-

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le conto si debbano tenere le protestazioni di lealtà, chein nome del direttorio andavano facendo, nelle loro allo-cuzioncelle accademiche, i suoi ministri in occasionedegl'introiti loro ai re d'Italia, e principalmente a quel diSardegna.Mentre così, come abbiam raccontato, il governo repub-blicano di Francia studiava modo di usare le forze del redi Sardegna durante la guerra, e di distruggerlo durantela pace, i semi venuti di Francia, e pullulati con tanto vi-gore in Milano ed in Genova, incominciavano a partori-re i frutti loro in Piemonte. Principiavasi dalle congiuresegrete, procedevasi alle ribellioni aperte. Davano in-centivo a queste mosse, oltre le opinioni dei tempi, lecondizioni infelici di quel paese; imposizioni gravissi-me, quantità esorbitante di carta moneta, che scapitavadel cinquanta per cento, moneta erosomista anch'essa incopia eccessiva, e disavanzante del dieci per cento; aquesto i gravami dei soldati repubblicani o di stanza nelpaese, o di passo, le leve di genti, sì pei regolari che perle milizie molto onerose, l'orgoglioso procedere dei no-bili, certamente intempestivo, stantechè da lui principal-mente nasceva la mala contentezza dei popoli, e controdi loro specialmente si dirizzavano le opinioni. A tuttoquesto non portava rimedio nè la natura temperata delre, nè la santità della regina, nè i consigli prudenti deiministri. Era la quiete di Torino raccomandata al contedi Castellengo, uomo tanto deforme di corpo, quantosvegliato d'animo. Amatore del bene solo pel buon ordi-

le conto si debbano tenere le protestazioni di lealtà, chein nome del direttorio andavano facendo, nelle loro allo-cuzioncelle accademiche, i suoi ministri in occasionedegl'introiti loro ai re d'Italia, e principalmente a quel diSardegna.Mentre così, come abbiam raccontato, il governo repub-blicano di Francia studiava modo di usare le forze del redi Sardegna durante la guerra, e di distruggerlo durantela pace, i semi venuti di Francia, e pullulati con tanto vi-gore in Milano ed in Genova, incominciavano a partori-re i frutti loro in Piemonte. Principiavasi dalle congiuresegrete, procedevasi alle ribellioni aperte. Davano in-centivo a queste mosse, oltre le opinioni dei tempi, lecondizioni infelici di quel paese; imposizioni gravissi-me, quantità esorbitante di carta moneta, che scapitavadel cinquanta per cento, moneta erosomista anch'essa incopia eccessiva, e disavanzante del dieci per cento; aquesto i gravami dei soldati repubblicani o di stanza nelpaese, o di passo, le leve di genti, sì pei regolari che perle milizie molto onerose, l'orgoglioso procedere dei no-bili, certamente intempestivo, stantechè da lui principal-mente nasceva la mala contentezza dei popoli, e controdi loro specialmente si dirizzavano le opinioni. A tuttoquesto non portava rimedio nè la natura temperata delre, nè la santità della regina, nè i consigli prudenti deiministri. Era la quiete di Torino raccomandata al contedi Castellengo, uomo tanto deforme di corpo, quantosvegliato d'animo. Amatore del bene solo pel buon ordi-

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ne, odiatore del male solo pel mal ordine, indovinava gliuomini, e gli sapeva frenare. Cercatore di mercati assi-duo, esploratore notturno di conventicoli, scopritoreacutissimo di volti infinti, si vedeva che in lui più pote-va la natura che l'arte, ancorachè l'arte potesse moltissi-mo, e se per debito spiava, spiava molto più per inclina-zione. Della nobiltà non si curava, dei re poco, della li-bertà si rideva, della non libertà parimente, i patriottiperseguitava piuttosto per vanagloria dell'arte, che peropinione. Insomma ei fu uomo, non dirò già più tristodei tempi, ma bene tanto astuto, quanto i tempi avvilup-pati, e se campo più largo alle abilità sue avesse avuto,che il Piemonte non era, avrebbe lasciato una gran pruo-va di quanto possa a far muover gli uomini a postad'uomo il conoscergli. Fu accusato di sangue, di ruberìe,di ricchezze illecite. Punì qualcheduno, ma sospinto dal-la rabbia altrui; fu continente da quel d'altri, morì coibeni paterni non aumentati. Un Bonino, cameriere delmarchese di Cravanzana, ed un Pasio, materassajo, furo-no sostenuti, come di aver voluto assaltare a mano ar-mata il re sulla strada per alla Venerìa a fine di fare unarivoluzione. Credevano trovar molta gente, trovarononissuno. Si disse, un Santini, spia di Castellengo, averglimessi su, poi traditi; ma non fu vero, e Castellengo nonera uomo da simili giuochi, non che avesse scrupolo,che veramente non aveva, ma gli parevano inezie san-guinose per niente. Intanto l'astio delle due parti vieppiùs'inacerbiva. Insolentivano i soldati regj a Novara conlacerar di forza certe nappe d'oro, che i giovani Novaresi

ne, odiatore del male solo pel mal ordine, indovinava gliuomini, e gli sapeva frenare. Cercatore di mercati assi-duo, esploratore notturno di conventicoli, scopritoreacutissimo di volti infinti, si vedeva che in lui più pote-va la natura che l'arte, ancorachè l'arte potesse moltissi-mo, e se per debito spiava, spiava molto più per inclina-zione. Della nobiltà non si curava, dei re poco, della li-bertà si rideva, della non libertà parimente, i patriottiperseguitava piuttosto per vanagloria dell'arte, che peropinione. Insomma ei fu uomo, non dirò già più tristodei tempi, ma bene tanto astuto, quanto i tempi avvilup-pati, e se campo più largo alle abilità sue avesse avuto,che il Piemonte non era, avrebbe lasciato una gran pruo-va di quanto possa a far muover gli uomini a postad'uomo il conoscergli. Fu accusato di sangue, di ruberìe,di ricchezze illecite. Punì qualcheduno, ma sospinto dal-la rabbia altrui; fu continente da quel d'altri, morì coibeni paterni non aumentati. Un Bonino, cameriere delmarchese di Cravanzana, ed un Pasio, materassajo, furo-no sostenuti, come di aver voluto assaltare a mano ar-mata il re sulla strada per alla Venerìa a fine di fare unarivoluzione. Credevano trovar molta gente, trovarononissuno. Si disse, un Santini, spia di Castellengo, averglimessi su, poi traditi; ma non fu vero, e Castellengo nonera uomo da simili giuochi, non che avesse scrupolo,che veramente non aveva, ma gli parevano inezie san-guinose per niente. Intanto l'astio delle due parti vieppiùs'inacerbiva. Insolentivano i soldati regj a Novara conlacerar di forza certe nappe d'oro, che i giovani Novaresi

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portavano sui cappelli: fuvvi gran tumulto, e qualche fe-rita. Tumultuava il popolo a Fossano, pretendendo ilcaro dei viveri, e faceva oltraggio alle case del conteSan Paolo, uomo dotto e buono, ma lo chiamavano usu-rajo: poi i sollevati prendevano certi cannoni; il che nonera più tumulto per le vettovaglie, ma ribellione: a Tori-no s'incominciava a gridar il nome di libertà, preso prin-cipio dalla bottega di un panattiere, che non voleva ven-der pane. Questi erano cattivi segni di un peggior avve-nire; ed appunto in Genova era nata la rivoluzione. Ac-cresceva il terrore ed il livore un caso molto lagrimevo-le; che un medico Boyer con un compagno Berteux siarrestavano come rei di congiure. Era Boyer giovanevirtuoso, e di famiglia ornata ancor essa di tutte le virtù,che possono capire in mortali uomini. Era egli certa-mente amico di libertà, ma per lei, non per lui: aveval'animo innocente, e dell'innocenza prima; il mal fareodiava più che la morte, ed il mal fare degli altri il muo-veva piuttosto a compassione che a odio; tanto era la na-tura sua dolce e comportevole. Amici e nemici piange-vano le sue disgrazie. Egli solo, come se l'animo suo al-bergasse in altra miglior regione che questa non è, nonrimetteva dalla dolcezza e serenità consuete. Eppuretanto amore lasciava nell'estremo supplizio!I tumulti intanto si dilatavano. Già Racconigi, Carigna-no, Chieri e Moretta, terre vicine a Torino, contro il do-minio regio si muovevano. In Asti soprattutto succedevaun fatto terribile, perchè i novatori, prese improvvisa-

portavano sui cappelli: fuvvi gran tumulto, e qualche fe-rita. Tumultuava il popolo a Fossano, pretendendo ilcaro dei viveri, e faceva oltraggio alle case del conteSan Paolo, uomo dotto e buono, ma lo chiamavano usu-rajo: poi i sollevati prendevano certi cannoni; il che nonera più tumulto per le vettovaglie, ma ribellione: a Tori-no s'incominciava a gridar il nome di libertà, preso prin-cipio dalla bottega di un panattiere, che non voleva ven-der pane. Questi erano cattivi segni di un peggior avve-nire; ed appunto in Genova era nata la rivoluzione. Ac-cresceva il terrore ed il livore un caso molto lagrimevo-le; che un medico Boyer con un compagno Berteux siarrestavano come rei di congiure. Era Boyer giovanevirtuoso, e di famiglia ornata ancor essa di tutte le virtù,che possono capire in mortali uomini. Era egli certa-mente amico di libertà, ma per lei, non per lui: aveval'animo innocente, e dell'innocenza prima; il mal fareodiava più che la morte, ed il mal fare degli altri il muo-veva piuttosto a compassione che a odio; tanto era la na-tura sua dolce e comportevole. Amici e nemici piange-vano le sue disgrazie. Egli solo, come se l'animo suo al-bergasse in altra miglior regione che questa non è, nonrimetteva dalla dolcezza e serenità consuete. Eppuretanto amore lasciava nell'estremo supplizio!I tumulti intanto si dilatavano. Già Racconigi, Carigna-no, Chieri e Moretta, terre vicine a Torino, contro il do-minio regio si muovevano. In Asti soprattutto succedevaun fatto terribile, perchè i novatori, prese improvvisa-

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mente le armi, combattevano i soldati regj, che in nume-ro di mila cinquecento vi stanziavano, e gli facevanoprigioni con insignorirsi intieramente, non solo della cit-tà, ma ancora del castello. Poi chiamavano a libertà leterre vicine, in aiuto i patriotti lontani: Canale ed Albaromoreggiavano da vicino, Mondovì da lontano. Pocostante si udiva di nuovi romori a Biella, che oppugnatada una banda di novatori guidati da un conte Avogadro,e venuti parte da Cambursano e da Pollone, parte dallavalle di Mosso, fu tosto ridotta in estremo pericolo; per-chè mentre i soldati regj combattevano gli assalitori dauna parte, gli altri sforzavano il comandante ad arren-dersi con dare in mano loro armi, e vettovaglie. Al tem-po medesimo nella già tentata Novara prevalevano iregj, ma fu più insidia che onorevole vittoria; concios-siachè i soldati a ciò spinti da parecchi ufficiali, andava-no facendo molte grida di libertà per fare scoprir i liber-tini: un solo fu colto all'agguato, perchè gridò, e noncosì tosto ebbe gridato, che restò ucciso. Nissun altro siscopriva, perchè avevano conosciuto l'inganno. Ma ilmoto, come suole avvenire, non poteva terminarsi dileggieri: i soldati correndo alla scapestrata incomincia-vano a mettere a sacco le case di coloro, che erano invoce di desiderar le novità; poi saccheggiavano le casedegli aristocrati, e stava per poco che la città non andas-se tutta a ruba. Un Seminoli, che fabbricava orologi, unMartinez gioielliere ne andavano con la peggio. Ho pertestimonj uomini gravi, i quali raccontano, essersi vedu-to il dì seguente un ufficiale portar in dito l'anello della

mente le armi, combattevano i soldati regj, che in nume-ro di mila cinquecento vi stanziavano, e gli facevanoprigioni con insignorirsi intieramente, non solo della cit-tà, ma ancora del castello. Poi chiamavano a libertà leterre vicine, in aiuto i patriotti lontani: Canale ed Albaromoreggiavano da vicino, Mondovì da lontano. Pocostante si udiva di nuovi romori a Biella, che oppugnatada una banda di novatori guidati da un conte Avogadro,e venuti parte da Cambursano e da Pollone, parte dallavalle di Mosso, fu tosto ridotta in estremo pericolo; per-chè mentre i soldati regj combattevano gli assalitori dauna parte, gli altri sforzavano il comandante ad arren-dersi con dare in mano loro armi, e vettovaglie. Al tem-po medesimo nella già tentata Novara prevalevano iregj, ma fu più insidia che onorevole vittoria; concios-siachè i soldati a ciò spinti da parecchi ufficiali, andava-no facendo molte grida di libertà per fare scoprir i liber-tini: un solo fu colto all'agguato, perchè gridò, e noncosì tosto ebbe gridato, che restò ucciso. Nissun altro siscopriva, perchè avevano conosciuto l'inganno. Ma ilmoto, come suole avvenire, non poteva terminarsi dileggieri: i soldati correndo alla scapestrata incomincia-vano a mettere a sacco le case di coloro, che erano invoce di desiderar le novità; poi saccheggiavano le casedegli aristocrati, e stava per poco che la città non andas-se tutta a ruba. Un Seminoli, che fabbricava orologi, unMartinez gioielliere ne andavano con la peggio. Ho pertestimonj uomini gravi, i quali raccontano, essersi vedu-to il dì seguente un ufficiale portar in dito l'anello della

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moglie del saccheggiato Martinez. La qual cosa io nè af-fermo, nè nego; basta bene, che il farlo veramente, ed ildirlo falsamente erano degni ugualmente di quei tempi.Così con varia fortuna ardeva la guerra civile in Pie-monte, accesa dal popolo pel timore delle vettovaglie,dai novatori per amore di libertà, o per odio dei nobili,dai nobili per fede verso il re, o per odio contro i nova-tori. Si trepidava in ogni luogo, perchè in ogni luogo sifaceva sangue, o si temeva che si facesse. Già si sospet-tava di Torino; ma ottomila fanti, e duemila cavalli chia-mati in fretta per sussidio della regia sede, e posti acampo sullo spaldo della cittadella minacciosamente,erano mantenitori di quiete. Ed ecco sulle porte stessedella città regia udirsi un romor confuso d'armi ed'armati: erano i Moncalieresi, che levatisi a romore, esovvertita in Moncalieri l'autorità regia, già si mostrava-no sulle rive del Sangone con animo di andar più oltre atentar Torino. Eransi i Moncalieresi a ciò mossi princi-palmente dai romori di Asti e di Carignano, e dalla stret-ta dei viveri, parte vera, parte esagerata dagli spaventipopolari, parte con vivi colori descritta dai novatori, le-vati a sedizione, e corsi sulla piazza per cui si ascende alcastello, creavano tumultuariamente una immagine direggimento popolare, non conoscendo bene nè che cosasi volessero, nè qual pericolo portassero in tanta vici-nanza della sede della metropoli ottimamente munitad'armi e di munizioni. Sogliono i popoli sollevati neiprimi impeti loro, prima che i tristi abbiano fatto i loro

moglie del saccheggiato Martinez. La qual cosa io nè af-fermo, nè nego; basta bene, che il farlo veramente, ed ildirlo falsamente erano degni ugualmente di quei tempi.Così con varia fortuna ardeva la guerra civile in Pie-monte, accesa dal popolo pel timore delle vettovaglie,dai novatori per amore di libertà, o per odio dei nobili,dai nobili per fede verso il re, o per odio contro i nova-tori. Si trepidava in ogni luogo, perchè in ogni luogo sifaceva sangue, o si temeva che si facesse. Già si sospet-tava di Torino; ma ottomila fanti, e duemila cavalli chia-mati in fretta per sussidio della regia sede, e posti acampo sullo spaldo della cittadella minacciosamente,erano mantenitori di quiete. Ed ecco sulle porte stessedella città regia udirsi un romor confuso d'armi ed'armati: erano i Moncalieresi, che levatisi a romore, esovvertita in Moncalieri l'autorità regia, già si mostrava-no sulle rive del Sangone con animo di andar più oltre atentar Torino. Eransi i Moncalieresi a ciò mossi princi-palmente dai romori di Asti e di Carignano, e dalla stret-ta dei viveri, parte vera, parte esagerata dagli spaventipopolari, parte con vivi colori descritta dai novatori, le-vati a sedizione, e corsi sulla piazza per cui si ascende alcastello, creavano tumultuariamente una immagine direggimento popolare, non conoscendo bene nè che cosasi volessero, nè qual pericolo portassero in tanta vici-nanza della sede della metropoli ottimamente munitad'armi e di munizioni. Sogliono i popoli sollevati neiprimi impeti loro, prima che i tristi abbiano fatto i loro

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maneggi per tirar le cose a se, ricorrere, e far capo a per-sonaggi autorevoli per dottrina e per virtù; il che lasciapoi la solita coda dei martirj dei buoni, non solo abban-donati, ma ancora dati in mano ai persecutori da queipopoli medesimi, che gli avevano fatti capi delle impre-se loro. Viveva a questi tempi in Moncalieri un uomodottissimo, e tanto buono quanto dotto, dico Carlo Teni-velli, autore elegante di storie Piemontesi. Questi, alienodalle opinioni dei tempi, avverso per natura, siccomequegli che Italianissimo era, da quanto venisse d'oltreAlpi, ed oltre a ciò di costume molto indolente e non cu-rante, non avendo attività alcuna se non per iscriverestorie, non aveva a niun modo mente a muover cosenuove, e molto meno quelle che si assomigliassero alleFrancesi. Divoto alla casa di Savoja, dedito, anche consingolare compiacenza, ai nobili, non era uomo, non chea fare, a sognar rivoluzioni. Per me, quando considero lanatura sua, e quella del La Fontaine, celebrato favolato-re di Francia, mi pare, che non mai chi crea tutto, abbiacreato due nature tanto l'una all'altra somiglianti, quantoquelle di Tenivelli e di La Fontaine, solo ed unicamentein ciò differenziandogli, che l'uno era formato per averad essere uno storico egregio, l'altro un favolatore eccel-lente. Suonavano l'armi e le grida tutto all'intorno, edentro della mossa Moncalieri, che Tenivelli non se neaddava, tutto con la mente immerso nelle solite lucubra-zioni. Ma i sollevati avvisandosi, che il buon Tenivellitornasse in acconcio di ciò che desideravano, tanto buo-no egli era, ed alla mano con tutti, lo andavano a levare

maneggi per tirar le cose a se, ricorrere, e far capo a per-sonaggi autorevoli per dottrina e per virtù; il che lasciapoi la solita coda dei martirj dei buoni, non solo abban-donati, ma ancora dati in mano ai persecutori da queipopoli medesimi, che gli avevano fatti capi delle impre-se loro. Viveva a questi tempi in Moncalieri un uomodottissimo, e tanto buono quanto dotto, dico Carlo Teni-velli, autore elegante di storie Piemontesi. Questi, alienodalle opinioni dei tempi, avverso per natura, siccomequegli che Italianissimo era, da quanto venisse d'oltreAlpi, ed oltre a ciò di costume molto indolente e non cu-rante, non avendo attività alcuna se non per iscriverestorie, non aveva a niun modo mente a muover cosenuove, e molto meno quelle che si assomigliassero alleFrancesi. Divoto alla casa di Savoja, dedito, anche consingolare compiacenza, ai nobili, non era uomo, non chea fare, a sognar rivoluzioni. Per me, quando considero lanatura sua, e quella del La Fontaine, celebrato favolato-re di Francia, mi pare, che non mai chi crea tutto, abbiacreato due nature tanto l'una all'altra somiglianti, quantoquelle di Tenivelli e di La Fontaine, solo ed unicamentein ciò differenziandogli, che l'uno era formato per averad essere uno storico egregio, l'altro un favolatore eccel-lente. Suonavano l'armi e le grida tutto all'intorno, edentro della mossa Moncalieri, che Tenivelli non se neaddava, tutto con la mente immerso nelle solite lucubra-zioni. Ma i sollevati avvisandosi, che il buon Tenivellitornasse in acconcio di ciò che desideravano, tanto buo-no egli era, ed alla mano con tutti, lo andavano a levare

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di casa, e per forza il portavano in piazza, senza che egliancora si avvedesse, che cosa volesse significare tantanovità. Insomma condottolo sulla piazza, e fattolo mon-tar sulle panche, gli dicevano: “Fa, Tenivelli un discorsoin lode del popolo”, ed egli, che eloquentissimo era, fa-ceva un discorso in lode del popolo: poi gli dicevano:“Tenivelli tassa le grasce, che son troppo care”, ed eitassava le grasce con tanta bontà, con tanta innocenza,che mi vien le lagrime in pensando al fine, che il fato gliapprestava. Tassate le grasce, ed usatosene anche copio-samente dai sollevati, s'incamminavano, come dicem-mo, verso il Sangone per alla volta di Torino. Scrivonoalcuni, che Tenivelli gli guidasse, ma non fu vero; e sefosse stato, sarebbe certamente stato guida poco accon-cia, siccome quegli, che mezzo cieco essendo, appenavedeva lume.In sì pericoloso frangente, in cui quasi tutto il Piemonteromoreggiava per la guerra civile, e che il suonodell'armi contrarie si udiva per fin dalle mura della realTorino, il governo non si perdeva d'animo, scoprendosiin questo, qual differenza sia fra uno stato enervato, qualera quel di Venezia, uno stato male armato, qual era queldi Genova, ed uno stato forte e bene armato, qual eraquel del Piemonte. Il giorno stesso, in cui Moncalieri simuoveva contro Torino, creava il re con un'apposita leg-ge, giunte militari, le quali con l'assistenza dei giudiciordinari sommariamente e militarmente giudicassero iribelli. Poi premendo che si mettesse tosto il piede su

di casa, e per forza il portavano in piazza, senza che egliancora si avvedesse, che cosa volesse significare tantanovità. Insomma condottolo sulla piazza, e fattolo mon-tar sulle panche, gli dicevano: “Fa, Tenivelli un discorsoin lode del popolo”, ed egli, che eloquentissimo era, fa-ceva un discorso in lode del popolo: poi gli dicevano:“Tenivelli tassa le grasce, che son troppo care”, ed eitassava le grasce con tanta bontà, con tanta innocenza,che mi vien le lagrime in pensando al fine, che il fato gliapprestava. Tassate le grasce, ed usatosene anche copio-samente dai sollevati, s'incamminavano, come dicem-mo, verso il Sangone per alla volta di Torino. Scrivonoalcuni, che Tenivelli gli guidasse, ma non fu vero; e sefosse stato, sarebbe certamente stato guida poco accon-cia, siccome quegli, che mezzo cieco essendo, appenavedeva lume.In sì pericoloso frangente, in cui quasi tutto il Piemonteromoreggiava per la guerra civile, e che il suonodell'armi contrarie si udiva per fin dalle mura della realTorino, il governo non si perdeva d'animo, scoprendosiin questo, qual differenza sia fra uno stato enervato, qualera quel di Venezia, uno stato male armato, qual era queldi Genova, ed uno stato forte e bene armato, qual eraquel del Piemonte. Il giorno stesso, in cui Moncalieri simuoveva contro Torino, creava il re con un'apposita leg-ge, giunte militari, le quali con l'assistenza dei giudiciordinari sommariamente e militarmente giudicassero iribelli. Poi premendo che si mettesse tosto il piede su

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quelle prime faville di Moncalieri, il che era più facile, epiù pronto per la vicinanza, e pel gagliardo presidio chealloggiava nella capitale, ordinava ai soldati, in ciò insi-stendo massimamente il conte di Sant'Andrea, recente-mente creato governator di Torino, buon soldato, e chesapeva quanto i buoni soldati valessero contro i popolitumultuanti, andassero contro i ribelli, e gli vincessero.Non poterono i sollevati sostenere l'impeto delle compa-gnìe regie, e in poco d'ora si disperdettero; tornavaMoncalieri sotto la consueta divozione.Il buon Tenivelli, non solo non pensando, ma nemmenosospettando, che quel che aveva fatto, fosse male, nonche delitto, se ne veniva quietamente in Torino, e quivitornava sui soliti studj, come se gli accidenti di Monca-lieri fossero cose dell'altro mondo, o di un altro secolo.Passava arrivando tra file di soldati minacciosi, che nolconoscevano, e grande era la sicurtà sua: tanta era in luil'astrazione e la fissazione negli studj, tanta la bontà,tanta l'ignoranza degli affari di questo mondo. Ma gliamici gli dicevano: “Tenivelli, che hai fatto? o fuggi, oti nascondi, se no, tu sei morto”. Non la sapeva capire:tornava nella solita astrazione. In fine il nascondevanoin casa di un soldato Urbano, che faceva professione dilibertà; il soldato per prezzo di trecento lire il tradiva.Fu arrestato, condotto a Moncalieri, e condannato a mo-rire dalla giunta militare. Lettagli la sentenza, non cam-biava nè viso, nè parole. L'innocenza della vita il con-fortava, non era coraggio il suo, perchè il coraggio sup-

quelle prime faville di Moncalieri, il che era più facile, epiù pronto per la vicinanza, e pel gagliardo presidio chealloggiava nella capitale, ordinava ai soldati, in ciò insi-stendo massimamente il conte di Sant'Andrea, recente-mente creato governator di Torino, buon soldato, e chesapeva quanto i buoni soldati valessero contro i popolitumultuanti, andassero contro i ribelli, e gli vincessero.Non poterono i sollevati sostenere l'impeto delle compa-gnìe regie, e in poco d'ora si disperdettero; tornavaMoncalieri sotto la consueta divozione.Il buon Tenivelli, non solo non pensando, ma nemmenosospettando, che quel che aveva fatto, fosse male, nonche delitto, se ne veniva quietamente in Torino, e quivitornava sui soliti studj, come se gli accidenti di Monca-lieri fossero cose dell'altro mondo, o di un altro secolo.Passava arrivando tra file di soldati minacciosi, che nolconoscevano, e grande era la sicurtà sua: tanta era in luil'astrazione e la fissazione negli studj, tanta la bontà,tanta l'ignoranza degli affari di questo mondo. Ma gliamici gli dicevano: “Tenivelli, che hai fatto? o fuggi, oti nascondi, se no, tu sei morto”. Non la sapeva capire:tornava nella solita astrazione. In fine il nascondevanoin casa di un soldato Urbano, che faceva professione dilibertà; il soldato per prezzo di trecento lire il tradiva.Fu arrestato, condotto a Moncalieri, e condannato a mo-rire dalla giunta militare. Lettagli la sentenza, non cam-biava nè viso, nè parole. L'innocenza della vita il con-fortava, non era coraggio il suo, perchè il coraggio sup-

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pone uno sforzo, ma una mansuetudine, una equalitàd'animo, tali che l'aspetto della vicina morte in modo al-cuno non turbava. Introdotti gli amici piangevano, ed eigli confortava. Raccoltosi, scriveva una lettera a sua so-rella, il suo unico e diletto figliuolo Carlo, ancor fan-ciullo, raccomandandole. Poi con la verità paragonandoil fallo che gli era imputato, e che a sì cruda ed a sì acer-ba morte il traeva, ed in mente recandosi tutta la vitasua, e quel che aveva fatto, e quel che aveva scritto, epiù ancora quello che aveva in animo di fare e di scrive-re ad onore del re e dei nobili, ed a gloria di una patria,che già aveva illustrato con gli scritti ed onorato con levirtù, rimetteva alquanto, in sì estrema sventura, dallaconsueta mansuetudine, e scriveva, un'ora prima che an-dasse a morte, un sonetto pieno di spirito poetico, di pie-tà verso Dio, di sdegno contro i suoi percussori. Condot-to sulla piazza di Moncalieri, gli fu rotto l'intemeratopetto dalle palle soldatesche.Va, mio maestro, che conforto emmi della tua morte ilpoter raccontare ai posteri le tue virtù, e se nell'altra vitaconservano le anime presso il pietoso Iddio memoria,siccome credo, di quanto hanno operato nella presente,non tu ti pentirai, spero, dello avermi ammaestrato, nè iomi pentirò dello aver collocato nella più intima, e più ri-cordevol parte dell'animo mio i tuoi puri e santi erudi-menti; imperciocchè ama il cielo, e ricompensa cosìl'amore dei maestri, come la gratitudine dei discepoli.Tu mi desti più che i parenti miei non mi diedero, poi-

pone uno sforzo, ma una mansuetudine, una equalitàd'animo, tali che l'aspetto della vicina morte in modo al-cuno non turbava. Introdotti gli amici piangevano, ed eigli confortava. Raccoltosi, scriveva una lettera a sua so-rella, il suo unico e diletto figliuolo Carlo, ancor fan-ciullo, raccomandandole. Poi con la verità paragonandoil fallo che gli era imputato, e che a sì cruda ed a sì acer-ba morte il traeva, ed in mente recandosi tutta la vitasua, e quel che aveva fatto, e quel che aveva scritto, epiù ancora quello che aveva in animo di fare e di scrive-re ad onore del re e dei nobili, ed a gloria di una patria,che già aveva illustrato con gli scritti ed onorato con levirtù, rimetteva alquanto, in sì estrema sventura, dallaconsueta mansuetudine, e scriveva, un'ora prima che an-dasse a morte, un sonetto pieno di spirito poetico, di pie-tà verso Dio, di sdegno contro i suoi percussori. Condot-to sulla piazza di Moncalieri, gli fu rotto l'intemeratopetto dalle palle soldatesche.Va, mio maestro, che conforto emmi della tua morte ilpoter raccontare ai posteri le tue virtù, e se nell'altra vitaconservano le anime presso il pietoso Iddio memoria,siccome credo, di quanto hanno operato nella presente,non tu ti pentirai, spero, dello avermi ammaestrato, nè iomi pentirò dello aver collocato nella più intima, e più ri-cordevol parte dell'animo mio i tuoi puri e santi erudi-menti; imperciocchè ama il cielo, e ricompensa cosìl'amore dei maestri, come la gratitudine dei discepoli.Tu mi desti più che i parenti miei non mi diedero, poi-

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chè non la vita del corpo, ma quella dell'anima coi civiliinsegnamenti mi desti; e morendo ancora per atrocecaso, mi mostrasti, come si possa concludere una inno-cente vita con una generosa morte. Così e vivendo emorendo a me fosti di utili precetti, gli uni pur troppoamorevoli, gli altri pur troppo funesti, fonte, ond'io du-rante questo mortal corso apprendessi nella prosperafortuna a temperarmi, nell'avversa a confortarmi, e sechi leggerà queste mie storie, potrà giudicare, ch'io nonmi sia del tutto indegno discepolo di un tanto maestro,tu ne goderai nel celeste tuo seggio, ed io mi crederò dinon aver impiegato indarno il tempo e le fatiche mie.Continuavano intanto nelle città sommosse gl'insulti algoverno regio. Il re, per rimediare ad un male tanto peri-coloso, e per temperare un furore che ogni ora più anda-va crescendo, comandava, volendo dar adito al penti-mento, e forza contro i renitenti, che si perdonassero leoffese a chi ritornasse alla quiete ed alla fedeltà, e che isudditi si armassero contro i ribelli. Riusciva questo ri-medio utile per l'effetto, feroce per l'esecuzione: perchèi contadini, gente ignorante e fanatica, commettevanoenormità degne di eterne lagrime, non portando più ri-spetto agli aristocrati che ai democrati, nè più ai nobiliche ai plebei. Sanguinosa era per ogni parte la terra delPiemonte. Pure da questo editto conseguiva il governogran parte dell'intento; perchè i novatori, interrotte lestrade, non potevano più nè accordarsi, nè accorrere gliuni in ajuto degli altri.

chè non la vita del corpo, ma quella dell'anima coi civiliinsegnamenti mi desti; e morendo ancora per atrocecaso, mi mostrasti, come si possa concludere una inno-cente vita con una generosa morte. Così e vivendo emorendo a me fosti di utili precetti, gli uni pur troppoamorevoli, gli altri pur troppo funesti, fonte, ond'io du-rante questo mortal corso apprendessi nella prosperafortuna a temperarmi, nell'avversa a confortarmi, e sechi leggerà queste mie storie, potrà giudicare, ch'io nonmi sia del tutto indegno discepolo di un tanto maestro,tu ne goderai nel celeste tuo seggio, ed io mi crederò dinon aver impiegato indarno il tempo e le fatiche mie.Continuavano intanto nelle città sommosse gl'insulti algoverno regio. Il re, per rimediare ad un male tanto peri-coloso, e per temperare un furore che ogni ora più anda-va crescendo, comandava, volendo dar adito al penti-mento, e forza contro i renitenti, che si perdonassero leoffese a chi ritornasse alla quiete ed alla fedeltà, e che isudditi si armassero contro i ribelli. Riusciva questo ri-medio utile per l'effetto, feroce per l'esecuzione: perchèi contadini, gente ignorante e fanatica, commettevanoenormità degne di eterne lagrime, non portando più ri-spetto agli aristocrati che ai democrati, nè più ai nobiliche ai plebei. Sanguinosa era per ogni parte la terra delPiemonte. Pure da questo editto conseguiva il governogran parte dell'intento; perchè i novatori, interrotte lestrade, non potevano più nè accordarsi, nè accorrere gliuni in ajuto degli altri.

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Siccome poi per pretesto principale di tanti movimentisfrenati si allegava la carestia dei viveri, ed anche eraandata la stagione molto sinistra pel grano e per le bia-de, si facevano provvisioni sull'annona, e fra le altre,che nissuno potesse negar grano, o qualunque biada alpubblico, ove le volesse comprare al prezzo comune:ancora, che gli affitti dei terreni coltivati a riso le dieci-mila lire, que' dei terreni coltivati a grano e ad altre bia-de, le cinquemila non potessero passare; il qual consi-glio era diretto ad impedire i monopolj, fonti di caro neiviveri, di sdegno nei popoli.Oltre la scarsezza, principal cagione del caro che sipruovava, era il disavanzo dei biglietti di credito versole finanze, e della cartamoneta, e così ancora quello del-la moneta erosa ed erosomista, gli uni e le altre cresciutein quantità soprabbondante, vera peste del Piemonte. Sisforzava il governo, premendo tanto i tempi, a rimediaread un pregiudizio sì grave con obbligare, insino allasomma di cento milioni, con pubblico editto ai posses-sori dei biglietti, per sicurezza del loro credito, i benidegli ordini di Malta, di San Maurizio e Lazzaro, e queidel clero sì secolare che regolare, eccettuati i benefizjvescovili e parrocchiali. Nè questo bastando a tanta per-nicie, diminuiva, poco dopo, il valore della moneta ero-sa ed erosomista, e al tempo medesimo creava, con au-torità del papa, una tassa di cinquanta milioni sul clero;sopprimeva, pure con autorità del pontefice, i piccoliconventi, e le chiese collegiali. Ordinava inoltre, che si

Siccome poi per pretesto principale di tanti movimentisfrenati si allegava la carestia dei viveri, ed anche eraandata la stagione molto sinistra pel grano e per le bia-de, si facevano provvisioni sull'annona, e fra le altre,che nissuno potesse negar grano, o qualunque biada alpubblico, ove le volesse comprare al prezzo comune:ancora, che gli affitti dei terreni coltivati a riso le dieci-mila lire, que' dei terreni coltivati a grano e ad altre bia-de, le cinquemila non potessero passare; il qual consi-glio era diretto ad impedire i monopolj, fonti di caro neiviveri, di sdegno nei popoli.Oltre la scarsezza, principal cagione del caro che sipruovava, era il disavanzo dei biglietti di credito versole finanze, e della cartamoneta, e così ancora quello del-la moneta erosa ed erosomista, gli uni e le altre cresciutein quantità soprabbondante, vera peste del Piemonte. Sisforzava il governo, premendo tanto i tempi, a rimediaread un pregiudizio sì grave con obbligare, insino allasomma di cento milioni, con pubblico editto ai posses-sori dei biglietti, per sicurezza del loro credito, i benidegli ordini di Malta, di San Maurizio e Lazzaro, e queidel clero sì secolare che regolare, eccettuati i benefizjvescovili e parrocchiali. Nè questo bastando a tanta per-nicie, diminuiva, poco dopo, il valore della moneta ero-sa ed erosomista, e al tempo medesimo creava, con au-torità del papa, una tassa di cinquanta milioni sul clero;sopprimeva, pure con autorità del pontefice, i piccoliconventi, e le chiese collegiali. Ordinava inoltre, che si

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esponessero all'asta pubblica le abbazìe, ed altri benefizjdi patronato regio, e che i fondi di commercio pagasseroil dieci per centinajo, gli stabili il quattro. Poi la tassasul clero, insolito a portar i carichi dello stato, non ri-scuotendosi, ordinava che la sesta parte dei beni eccle-siastici e militari forzatamente si vendesse. Dai rimedjstessi si può argomentare della grandezza del male. Purepochi credevano, che fossero per bastare, e forse nem-meno quelli che gli usavano.Miravano questi provvedimenti alle rendite dello stato,ed al far tollerabile il vitto del popolo; altri se ne faceva-no per mansuefar le opinioni, buoni in se perchè giusti,ma insufficienti perchè i novatori a niuna cosa, che ve-nisse dal re, volevano star contenti. Toglieva il re connuovo editto a' nobili la facoltà che avevano di nomina-re i giudici delle terre, e voleva che le spese dei processicriminali, che prima delle sentenze erano a carico loro,abuso enormissimo, si addossassero alle finanze. Statui-va ancora, che le bandite, ed i forni costretti fossero, edintendessersi soppressi, e così ancora fossero, ed inten-dessersi soppresse le primogeniture ed i fidecommissi, eche i beni feudatarj si convertissero in allodiali, e si sog-gettassero alle tasse. Creava infine nuovi luoghi di mon-ti, volendo che in loro si potessero investire i biglietti dicredito, e la moneta erosomista.Con tali consigli sperava di poter fare appoggio allo sta-to che pericolava. Ma due rimedj assai più efficaci diquesti gli apprestava il cielo, che per istrano destino vo-

esponessero all'asta pubblica le abbazìe, ed altri benefizjdi patronato regio, e che i fondi di commercio pagasseroil dieci per centinajo, gli stabili il quattro. Poi la tassasul clero, insolito a portar i carichi dello stato, non ri-scuotendosi, ordinava che la sesta parte dei beni eccle-siastici e militari forzatamente si vendesse. Dai rimedjstessi si può argomentare della grandezza del male. Purepochi credevano, che fossero per bastare, e forse nem-meno quelli che gli usavano.Miravano questi provvedimenti alle rendite dello stato,ed al far tollerabile il vitto del popolo; altri se ne faceva-no per mansuefar le opinioni, buoni in se perchè giusti,ma insufficienti perchè i novatori a niuna cosa, che ve-nisse dal re, volevano star contenti. Toglieva il re connuovo editto a' nobili la facoltà che avevano di nomina-re i giudici delle terre, e voleva che le spese dei processicriminali, che prima delle sentenze erano a carico loro,abuso enormissimo, si addossassero alle finanze. Statui-va ancora, che le bandite, ed i forni costretti fossero, edintendessersi soppressi, e così ancora fossero, ed inten-dessersi soppresse le primogeniture ed i fidecommissi, eche i beni feudatarj si convertissero in allodiali, e si sog-gettassero alle tasse. Creava infine nuovi luoghi di mon-ti, volendo che in loro si potessero investire i biglietti dicredito, e la moneta erosomista.Con tali consigli sperava di poter fare appoggio allo sta-to che pericolava. Ma due rimedj assai più efficaci diquesti gli apprestava il cielo, che per istrano destino vo-

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leva che la monarchìa Piemontese non cadesse, se nondopo che avesse pruovato tutte le amarezze di una lungae penosa agonìa. Fu il primo l'ajuto dei propri soldati,l'altro l'amicizia di Buonaparte. Le truppe regie viril-mente combattendo, e condotte dal conte Frinco, ricupe-ravano Asti. Già Biella, Alba, Mondovì, Fossano, eRacconigi nell'antica obbedienza rimettevano: già Cari-gnano, Moretta, ed altri luoghi vicini a Torino ritornava-no per forza al consueto dominio, e già non si aveva piùtimore, che le valli di Pinerolo abitate dai Valdesi, sullequali non si stava senza qualche sospetto, tumultuasse-ro, solo alcune teste di novatori più ostinati o più corag-giosi, facevano qua e là qualche resistenza. Ma toglieva-no loro intieramente l'animo le lettere di Buonapartescritte al marchese di San Marsano mandato a Milanoad implorare ajuto alle cose pericolanti, e che a conside-rato fine furono pubblicate dal governo regio. Recavanole Buonapartiane lettere, che la repubblica di Francia,era soddisfattissima del governo del re, che non sola-mente non doveva sua maestà aver timore della Francia,ma che il generalissimo era parato a fare quanto sapessedesiderare per assicurarla, e per restituir la quiete ad unacorte, che aveva dato testimonianze vere de' suoi buonisentimenti verso la Francia; che alcun pensiero non ave-va di mandar in Piemonte la legione Lombarda, di cui ilre temeva per esservi dentro molti novatori Piemontesi,e che si mostrava incitatrice a cose nuove; che solo ave-va in animo di mandar un battaglione Polacco, ma cheneanco questo manderebbe, se al re dispiacesse; che già

leva che la monarchìa Piemontese non cadesse, se nondopo che avesse pruovato tutte le amarezze di una lungae penosa agonìa. Fu il primo l'ajuto dei propri soldati,l'altro l'amicizia di Buonaparte. Le truppe regie viril-mente combattendo, e condotte dal conte Frinco, ricupe-ravano Asti. Già Biella, Alba, Mondovì, Fossano, eRacconigi nell'antica obbedienza rimettevano: già Cari-gnano, Moretta, ed altri luoghi vicini a Torino ritornava-no per forza al consueto dominio, e già non si aveva piùtimore, che le valli di Pinerolo abitate dai Valdesi, sullequali non si stava senza qualche sospetto, tumultuasse-ro, solo alcune teste di novatori più ostinati o più corag-giosi, facevano qua e là qualche resistenza. Ma toglieva-no loro intieramente l'animo le lettere di Buonapartescritte al marchese di San Marsano mandato a Milanoad implorare ajuto alle cose pericolanti, e che a conside-rato fine furono pubblicate dal governo regio. Recavanole Buonapartiane lettere, che la repubblica di Francia,era soddisfattissima del governo del re, che non sola-mente non doveva sua maestà aver timore della Francia,ma che il generalissimo era parato a fare quanto sapessedesiderare per assicurarla, e per restituir la quiete ad unacorte, che aveva dato testimonianze vere de' suoi buonisentimenti verso la Francia; che alcun pensiero non ave-va di mandar in Piemonte la legione Lombarda, di cui ilre temeva per esservi dentro molti novatori Piemontesi,e che si mostrava incitatrice a cose nuove; che solo ave-va in animo di mandar un battaglione Polacco, ma cheneanco questo manderebbe, se al re dispiacesse; che già

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quel Ranza, promovitore di scandali in Piemonte coisuoi scritti, aveva fatto arrestare; che finalmente era de-sideroso di testimoniare a sua maestà l'amicizia, che larepubblica di Francia aveva per lei, ed il desiderio suoproprio in contribuire che ella vivesse contenta e felice.Così Buonaparte diede volentieri al re di Sardegna quelsussidio, che con pretesti vani aveva ostinatamente ne-gato a Venezia. Della quale differenza la cagione siamanifesta a chi si farà a considerare le cose da noi finqui raccontate.Qual fosse l'amicizia della repubblica di Francia verso ilre di Sardegna, di sopra si è veduto, e si vedrà anchemaggiormente in appresso. Quanto all'ufficio di Buona-parte, era buono e lodevole, e sarebbe stato anche più,se prima che entrasse in Piemonte, e dopo che vi era en-trato, non avesse, secondando le intenzioni del diretto-rio, con parole ed esortazioni efficacissime stimolato idemocrati a muoversi, ed a far rivoltar lo stato, mostran-do anche loro lettere di un quinqueviro che risolutamen-te affermavano, non essere mai la repubblica di Franciaper far la pace col re, ed anzi essere intenzione di lei ditorgli lo stato. Queste furono le parole del generalissi-mo, questi gli scritti del quinqueviro: per le une e per glialtri avevano dato i democrati Piemontesi il denaro loroal capitano di Francia per ajutare il suo ingresso in Pie-monte, ed ei se lo aveva preso, e ne aveva fornito i sol-dati delle cose più necessarie. Intanto le lettere di Buo-naparte partorirono l'effetto che se ne aspettava. I nova-

quel Ranza, promovitore di scandali in Piemonte coisuoi scritti, aveva fatto arrestare; che finalmente era de-sideroso di testimoniare a sua maestà l'amicizia, che larepubblica di Francia aveva per lei, ed il desiderio suoproprio in contribuire che ella vivesse contenta e felice.Così Buonaparte diede volentieri al re di Sardegna quelsussidio, che con pretesti vani aveva ostinatamente ne-gato a Venezia. Della quale differenza la cagione siamanifesta a chi si farà a considerare le cose da noi finqui raccontate.Qual fosse l'amicizia della repubblica di Francia verso ilre di Sardegna, di sopra si è veduto, e si vedrà anchemaggiormente in appresso. Quanto all'ufficio di Buona-parte, era buono e lodevole, e sarebbe stato anche più,se prima che entrasse in Piemonte, e dopo che vi era en-trato, non avesse, secondando le intenzioni del diretto-rio, con parole ed esortazioni efficacissime stimolato idemocrati a muoversi, ed a far rivoltar lo stato, mostran-do anche loro lettere di un quinqueviro che risolutamen-te affermavano, non essere mai la repubblica di Franciaper far la pace col re, ed anzi essere intenzione di lei ditorgli lo stato. Queste furono le parole del generalissi-mo, questi gli scritti del quinqueviro: per le une e per glialtri avevano dato i democrati Piemontesi il denaro loroal capitano di Francia per ajutare il suo ingresso in Pie-monte, ed ei se lo aveva preso, e ne aveva fornito i sol-dati delle cose più necessarie. Intanto le lettere di Buo-naparte partorirono l'effetto che se ne aspettava. I nova-

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tori, già rotti dai soldati regj, ed ora caduti dalle speran-ze degli ajuti di Francia, posarono intieramente. Domatii democrati, si faceva passo dalle battaglie ai supplizj:erano giusti, perchè contro i ribelli, ma sì frequenti, cheparevano piuttosto vendetta che giustizia. Di quattordicisi prendeva l'estremo supplizio a Biella; un abbate Boffafu del numero; di più di trenta in Asti, degli avvocati Te-sta, ed Arò, dei fratelli Berruti, e di un Celotto di menchiaro nome; nè Moncalieri stava senza sangue, oltrequel di Tenivelli. Vidersi più di dieci giustiziati a Racco-nigi; poi si soprastava per intercessione del principe diCarignano, dolente di veder quella sua terra piena disangue. Notossi fra i giustiziati un giovane Goveano dinatali onesti, ed apparentato con famiglie di buona con-dizione. A questo tratto fu molto biasimato, anzi lacera-to il governo, come di una cosa enorme, e questa fu, cheil re avendo ordinato, che si perdonassero ed in dimenti-canza si mandassero i fatti di Racconigi, fu il suppliziosusseguente al perdono. Affermavano in contrario i di-fensori del giudizio, che Goveano, non per delitti politi-ci, ma per comuni era stato condannato dal consiglio diguerra. Ma questi delitti comuni, alla realtà dei quali dauna parte ripugna la natura onesta del giovane, dall'altradà fede l'autorità di una sentenza, in occasione dei delittipolitici, e per loro erano nati, e con loro talmente me-scolati, che meramente politici e formanti con essi unmedesimo corpo avrebbero dovuto stimarsi da chi aves-se più mirato ad una giusta sopportazione, che al rigore;e le perdonanze si debbono piuttosto allargare che restri-

tori, già rotti dai soldati regj, ed ora caduti dalle speran-ze degli ajuti di Francia, posarono intieramente. Domatii democrati, si faceva passo dalle battaglie ai supplizj:erano giusti, perchè contro i ribelli, ma sì frequenti, cheparevano piuttosto vendetta che giustizia. Di quattordicisi prendeva l'estremo supplizio a Biella; un abbate Boffafu del numero; di più di trenta in Asti, degli avvocati Te-sta, ed Arò, dei fratelli Berruti, e di un Celotto di menchiaro nome; nè Moncalieri stava senza sangue, oltrequel di Tenivelli. Vidersi più di dieci giustiziati a Racco-nigi; poi si soprastava per intercessione del principe diCarignano, dolente di veder quella sua terra piena disangue. Notossi fra i giustiziati un giovane Goveano dinatali onesti, ed apparentato con famiglie di buona con-dizione. A questo tratto fu molto biasimato, anzi lacera-to il governo, come di una cosa enorme, e questa fu, cheil re avendo ordinato, che si perdonassero ed in dimenti-canza si mandassero i fatti di Racconigi, fu il suppliziosusseguente al perdono. Affermavano in contrario i di-fensori del giudizio, che Goveano, non per delitti politi-ci, ma per comuni era stato condannato dal consiglio diguerra. Ma questi delitti comuni, alla realtà dei quali dauna parte ripugna la natura onesta del giovane, dall'altradà fede l'autorità di una sentenza, in occasione dei delittipolitici, e per loro erano nati, e con loro talmente me-scolati, che meramente politici e formanti con essi unmedesimo corpo avrebbero dovuto stimarsi da chi aves-se più mirato ad una giusta sopportazione, che al rigore;e le perdonanze si debbono piuttosto allargare che restri-

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gnere. Certamente il fatto di Goveano portò con se ungran terrore, ed una gran compassione, e la fede moltomeglio si sarebbe serbata, se si fosse perdonato a Go-veano; imperciocchè tra delitti politici e non politicicommessi a Racconigi, non si era fatta distinzionenell'editto del perdono, e l'infelice giovane già ridottosiin Francia sui primi fervori, si era, per sua fidanza nellereali parole, restituito nella sua patria. Certo fu Goveanocolpevole di grandi enormità contro lo stato, poichè erastato capo di ribelli; ma la fede di un monarcadebb'esser più forte di qualunque reato. Il peggio che sipotesse giustamente fargli, era, poichè sulla fede del reera venuto, che sulla fede medesima là fosse, dond'eravenuto, ricondotto. A Chieri le palle soldatesche am-mazzarono venti persone in un giorno; l'avvocato Roc-cavilla fu fatto passar per l'armi a Saluzzo, l'avvocatoFuggiani a Moncalieri. Tanti supplizj frenavano pel pre-sente, preparavano rivoluzioni per l'avvenire; avrebberoraffermo uno stato intatto, indebolivano uno stato scos-so, insidiato, e circondato da ogni parte da esempj pesti-feri.La moltiplicità dei supplizj non isvolgeva gli animidall'infelice Boyer, perchè chiaro per la santità dei co-stumi, chiaro per le dipendenze della famiglia, facevatutta la generazione intenta a lui. Una giunta mezzanatra militare e civile il processava. Pareva a tutti, essendoi soldati fedeli, incredibile che due giovani, se non fos-sero del tutto scemi, avessero concetto il disegno

gnere. Certamente il fatto di Goveano portò con se ungran terrore, ed una gran compassione, e la fede moltomeglio si sarebbe serbata, se si fosse perdonato a Go-veano; imperciocchè tra delitti politici e non politicicommessi a Racconigi, non si era fatta distinzionenell'editto del perdono, e l'infelice giovane già ridottosiin Francia sui primi fervori, si era, per sua fidanza nellereali parole, restituito nella sua patria. Certo fu Goveanocolpevole di grandi enormità contro lo stato, poichè erastato capo di ribelli; ma la fede di un monarcadebb'esser più forte di qualunque reato. Il peggio che sipotesse giustamente fargli, era, poichè sulla fede del reera venuto, che sulla fede medesima là fosse, dond'eravenuto, ricondotto. A Chieri le palle soldatesche am-mazzarono venti persone in un giorno; l'avvocato Roc-cavilla fu fatto passar per l'armi a Saluzzo, l'avvocatoFuggiani a Moncalieri. Tanti supplizj frenavano pel pre-sente, preparavano rivoluzioni per l'avvenire; avrebberoraffermo uno stato intatto, indebolivano uno stato scos-so, insidiato, e circondato da ogni parte da esempj pesti-feri.La moltiplicità dei supplizj non isvolgeva gli animidall'infelice Boyer, perchè chiaro per la santità dei co-stumi, chiaro per le dipendenze della famiglia, facevatutta la generazione intenta a lui. Una giunta mezzanatra militare e civile il processava. Pareva a tutti, essendoi soldati fedeli, incredibile che due giovani, se non fos-sero del tutto scemi, avessero concetto il disegno

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d'impadronirsi, come n'erano imputati, nella capitalestessa del regno delle armerìe reali e della cittadella.S'offerivano testimonj pronti al carcere per le difese, in-sistevano per pruovare, essere impossibile il delitto.Non furono ammessi, perchè si sospettava, che i testi-monj amassero meglio servire alle amicizie ed alle opi-nioni, che alla verità. Pure quell'avere negato le difeseparve a tutti, se non se agli arrabbiati, ed era veramentecosa incomportabile. Fu il condannar più crudele perl'occasione offerta di salvar un giovane, al quale tutti in-clinavano con amor singolare. Castellengo fra i giudici,Priocca fra i ministri opinavano per la mansuetudine, ilprimo, perchè gli pareva che il sangue di quel giovanenon importasse, il secondo per questo stesso ed ancheper compassione. Fu Boyer col suo compagno Berteuxsentenziato a morte: ambidue giustiziati sugli spaldi del-la cittadella. Leggo nei ricordi dei tempi, che il conte diSant'Andrea, governatore di Torino, pascesse da unacasa vicina la sua vista del giovane moriente: il che, nonavendone certezza, lascio in dubbio. Se non fosse deitempi, affermerei esser falso, perchè Sant'Andrea nonera uomo di desiderj immani. Bene fu vero, che alcunedame e cavalieri, a tanto di durezza conducono le civildiscordie, si lasciarono trasportare al volersi godere unpiacer tanto crudo. La morte del Boyer contristava tuttala città, e la rendeva attonita e paventosa lungo tempo.

d'impadronirsi, come n'erano imputati, nella capitalestessa del regno delle armerìe reali e della cittadella.S'offerivano testimonj pronti al carcere per le difese, in-sistevano per pruovare, essere impossibile il delitto.Non furono ammessi, perchè si sospettava, che i testi-monj amassero meglio servire alle amicizie ed alle opi-nioni, che alla verità. Pure quell'avere negato le difeseparve a tutti, se non se agli arrabbiati, ed era veramentecosa incomportabile. Fu il condannar più crudele perl'occasione offerta di salvar un giovane, al quale tutti in-clinavano con amor singolare. Castellengo fra i giudici,Priocca fra i ministri opinavano per la mansuetudine, ilprimo, perchè gli pareva che il sangue di quel giovanenon importasse, il secondo per questo stesso ed ancheper compassione. Fu Boyer col suo compagno Berteuxsentenziato a morte: ambidue giustiziati sugli spaldi del-la cittadella. Leggo nei ricordi dei tempi, che il conte diSant'Andrea, governatore di Torino, pascesse da unacasa vicina la sua vista del giovane moriente: il che, nonavendone certezza, lascio in dubbio. Se non fosse deitempi, affermerei esser falso, perchè Sant'Andrea nonera uomo di desiderj immani. Bene fu vero, che alcunedame e cavalieri, a tanto di durezza conducono le civildiscordie, si lasciarono trasportare al volersi godere unpiacer tanto crudo. La morte del Boyer contristava tuttala città, e la rendeva attonita e paventosa lungo tempo.

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LIBRO DUODECIMO

SOMMARIOPensieri di Buonaparte. Parti ed illusioni in Milano. Creazionedella repubblica Cisalpina. Società di pubblica instruzione, e di-scorsi che vi si fanno. Il generalissimo dà una constituzione allaCisalpina. Magnifica festa celebrata nel campo del Lazzaretto aMilano. Le potenze riconoscono la nuova repubblica. Omelìa delcardinal Chiaramonti, vescovo d'Imola, in lode della democrazìa.Visconti, ambasciatore della Cisalpina a Parigi, suo discorso al di-rettorio, risposta del presidente. Ultimo vale di Buonaparte allaCisalpina. Cupezze di lui, e come inganna i potenti per arrivarealla somma dell'autorità in Francia. Trattato di Campoformio. Mi-serie d'Italia. Stato di Venezia democratica. Le truppe dell'impera-tore occupano l'Istria, la Dalmazia, e l'Albania Veneta. Fraudi diBuonaparte per impadronirsi del navilio Veneziano, e dell'isoledel mare Ionio. Spedizione dei Francesi in Levante. Espilazione,e spoglio dei paesi Veneti. Festa giojosa ad un tempo, e compas-sionevole in Venezia. Congresso in Bassano per la unione dellecittà Venete, inutile, e perchè. Brutta proposizione fatta da Buona-parte ai municipali di Venezia. Generosi sentimenti dei municipa-li, e di Villetard, segretario della legazione di Francia; sdegnobarbaro di Buonaparte. Venezia consegnata dai repubblicaniagl'imperiali.

Buonaparte vincitore dell'Italia e dell'Austria, desidera-va, che un testimonio solenne si fondasse in Italia, ilquale, oltre gli scritti, che morti sono, tramandasse aiposteri la memoria viva de' suoi illustri fatti, e del suovalore. Quest'era, come abbiam narrato, uno stato nuo-

LIBRO DUODECIMO

SOMMARIOPensieri di Buonaparte. Parti ed illusioni in Milano. Creazionedella repubblica Cisalpina. Società di pubblica instruzione, e di-scorsi che vi si fanno. Il generalissimo dà una constituzione allaCisalpina. Magnifica festa celebrata nel campo del Lazzaretto aMilano. Le potenze riconoscono la nuova repubblica. Omelìa delcardinal Chiaramonti, vescovo d'Imola, in lode della democrazìa.Visconti, ambasciatore della Cisalpina a Parigi, suo discorso al di-rettorio, risposta del presidente. Ultimo vale di Buonaparte allaCisalpina. Cupezze di lui, e come inganna i potenti per arrivarealla somma dell'autorità in Francia. Trattato di Campoformio. Mi-serie d'Italia. Stato di Venezia democratica. Le truppe dell'impera-tore occupano l'Istria, la Dalmazia, e l'Albania Veneta. Fraudi diBuonaparte per impadronirsi del navilio Veneziano, e dell'isoledel mare Ionio. Spedizione dei Francesi in Levante. Espilazione,e spoglio dei paesi Veneti. Festa giojosa ad un tempo, e compas-sionevole in Venezia. Congresso in Bassano per la unione dellecittà Venete, inutile, e perchè. Brutta proposizione fatta da Buona-parte ai municipali di Venezia. Generosi sentimenti dei municipa-li, e di Villetard, segretario della legazione di Francia; sdegnobarbaro di Buonaparte. Venezia consegnata dai repubblicaniagl'imperiali.

Buonaparte vincitore dell'Italia e dell'Austria, desidera-va, che un testimonio solenne si fondasse in Italia, ilquale, oltre gli scritti, che morti sono, tramandasse aiposteri la memoria viva de' suoi illustri fatti, e del suovalore. Quest'era, come abbiam narrato, uno stato nuo-

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vo, che fosse a lui obbligato della sua origine, e dellasua conservazione. Oltre a ciò, non essendo ancora lecose della pace del tutto ferme, poichè ad ogni momentosi poteva prorompere nuovamente all'armi, voleva, chesorgesse in mezzo alle monarchìe d'Italia, e control'imperatore medesimo una repubblica, che fondata suiprincipj nuovi, desse loro cagione continua di spavento.Parevagli ancora, che la fondazione della nuova repub-blica avesse, nella opinione dei popoli, a compensare ladistruzione di una vecchia, e che la Cisalpina potessecancellare il biasimo incorso per la Veneziana. Forse intutto questo, oltre la gloria e le minacce, covava un pen-siero più recondito nel caso, in cui per opera o d'altrui, osua, venisse a mutarsi la forma del governo in Francia,riducendosi di nuovo all'antica, cioè alla monarchìa;poichè quel nuovo stato Italiano avrebbe potuto divenireper esso lui, o asilo, o ricompensa; conciossiachè il tor-nare al grado privato stimava contro la fama, ed era cer-tamente contro la natura sua, checchè in contrario affer-masse in certi momenti di dispetto, al direttorio. I Cin-cinnati, ed i Washington erano stimati da lui uomini dibassi pensieri, d'animo poco generoso, siccome quelli iquali collocavano la patria fuori di loro, ed in altrui,mentr'ei la collocava tutta in se.Per le quali cose, come prima ebbe fermato i patti diLeoben, e dato ordine a quanto più pressava nel suoesercito, se n'era tornato a Montebello, donde poteva evegliar le pratiche della pace, e dar moto alle faccende

vo, che fosse a lui obbligato della sua origine, e dellasua conservazione. Oltre a ciò, non essendo ancora lecose della pace del tutto ferme, poichè ad ogni momentosi poteva prorompere nuovamente all'armi, voleva, chesorgesse in mezzo alle monarchìe d'Italia, e control'imperatore medesimo una repubblica, che fondata suiprincipj nuovi, desse loro cagione continua di spavento.Parevagli ancora, che la fondazione della nuova repub-blica avesse, nella opinione dei popoli, a compensare ladistruzione di una vecchia, e che la Cisalpina potessecancellare il biasimo incorso per la Veneziana. Forse intutto questo, oltre la gloria e le minacce, covava un pen-siero più recondito nel caso, in cui per opera o d'altrui, osua, venisse a mutarsi la forma del governo in Francia,riducendosi di nuovo all'antica, cioè alla monarchìa;poichè quel nuovo stato Italiano avrebbe potuto divenireper esso lui, o asilo, o ricompensa; conciossiachè il tor-nare al grado privato stimava contro la fama, ed era cer-tamente contro la natura sua, checchè in contrario affer-masse in certi momenti di dispetto, al direttorio. I Cin-cinnati, ed i Washington erano stimati da lui uomini dibassi pensieri, d'animo poco generoso, siccome quelli iquali collocavano la patria fuori di loro, ed in altrui,mentr'ei la collocava tutta in se.Per le quali cose, come prima ebbe fermato i patti diLeoben, e dato ordine a quanto più pressava nel suoesercito, se n'era tornato a Montebello, donde poteva evegliar le pratiche della pace, e dar moto alle faccende

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Cisalpine. Continuavano nella Cisalpina le provocazionidi moti incomposti nei paesi circonvicini, le quali erano,o palesi nei giornali, nei ritrovi politici, nelle condotte aisoldi Cisalpini di soldati Piemontesi, Austriaci, Polac-chi, Papali, e Napolitani, che nelle legioni Lombarda ePolacca si descrivevano, o segrete per gli uomini man-dati a posta, per lettere, per arti di ogni sorte, in cui vi-vamente si travagliavano i fuorusciti di ogni contradad'Italia, massimamente i Piemontesi ed i Napolitani, iprimi pericolosi per la natura tenace, i secondi pericolo-si per la natura loquace. Le cose che si scrivevano a queitempi in Milano contro i re e contro il papa, sarebbe lun-ga faccenda raccontare. Quel Salvadori, ed un Porro chefu poi ministro di polizia, e morì due anni dopo nellamorìa di Nizza, erano i capi delle arti provocatrici, e sti-molavano scrittori, che anche senza stimolo andavanovolentieri a questo cammino. Fra i giornali Italiani ilTermometro politico era il primo, e ciò, ch'ei scrisse sul-la rivoluzione di Genova, e su i moti del Piemonte, èfuori d'ogni moderazione. Diede negli eccessi principal-mente quando con infiammatissime parole esortava, chesi gettassero al vento le ceneri dei reali di Savoja serratenelle tombe di Superga, con surrogarvi quelle dei pa-triotti morti nell'Astigiana rivoluzione. Queste eranoesorbitanze pazze e stravaganti; l'esagerazione stessaserviva di rimedio. Ma era in Milano un motivo assaipiù efficace, e quest'era un ritrovo pubblico, che chia-mavano società di pubblica instruzione, dove con appo-siti discorsi si ammaestravano i popoli, che concorreva-

Cisalpine. Continuavano nella Cisalpina le provocazionidi moti incomposti nei paesi circonvicini, le quali erano,o palesi nei giornali, nei ritrovi politici, nelle condotte aisoldi Cisalpini di soldati Piemontesi, Austriaci, Polac-chi, Papali, e Napolitani, che nelle legioni Lombarda ePolacca si descrivevano, o segrete per gli uomini man-dati a posta, per lettere, per arti di ogni sorte, in cui vi-vamente si travagliavano i fuorusciti di ogni contradad'Italia, massimamente i Piemontesi ed i Napolitani, iprimi pericolosi per la natura tenace, i secondi pericolo-si per la natura loquace. Le cose che si scrivevano a queitempi in Milano contro i re e contro il papa, sarebbe lun-ga faccenda raccontare. Quel Salvadori, ed un Porro chefu poi ministro di polizia, e morì due anni dopo nellamorìa di Nizza, erano i capi delle arti provocatrici, e sti-molavano scrittori, che anche senza stimolo andavanovolentieri a questo cammino. Fra i giornali Italiani ilTermometro politico era il primo, e ciò, ch'ei scrisse sul-la rivoluzione di Genova, e su i moti del Piemonte, èfuori d'ogni moderazione. Diede negli eccessi principal-mente quando con infiammatissime parole esortava, chesi gettassero al vento le ceneri dei reali di Savoja serratenelle tombe di Superga, con surrogarvi quelle dei pa-triotti morti nell'Astigiana rivoluzione. Queste eranoesorbitanze pazze e stravaganti; l'esagerazione stessaserviva di rimedio. Ma era in Milano un motivo assaipiù efficace, e quest'era un ritrovo pubblico, che chia-mavano società di pubblica instruzione, dove con appo-siti discorsi si ammaestravano i popoli, che concorreva-

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no ad ascoltare, nelle nuove dottrine, e donde scritti in-numerevoli partivano al medesimo fine e nella Cisalpinalargamente si diffondevano. Apparivano, e risplendeva-no molto principalmente in questo ritrovo politico uomi-ni dotti, e leali operatori per fin di bene, ma servi ancoressi delle illusioni dei tempi. Piacemi in questo riferireun solo discorso, poichè l'andar particolarizzando sareb-be troppo lunga narrazione, e fia quello di un giovanedotto, ed amico sincero di libertà: aveva egli l'animobuono, e come buono, non sospettava in altrui quel maleche non aveva in se. Esposti prima con molto acume,per cui massimamente valeva, i modi con cui gli uominis'aggregano primitivamente in società, giva per tale for-ma nella sala della società della pubblica instruzione ladomenica dei sette maggio favellando.

«Sì, popoli della nuova Gallia Cisalpina, voi se-gnate negli annali del mondo un'epoca singolare,un'epoca, per cui le città dell'Italia non avrannopiù ad invidiare a quelle della Grecia la sorte, cheportò nel loro seno la libertà. Gli Eraclidi, que'barbari di Tessaglia, che si aprirono strada nel Pe-loponneso, non scesero già per liberare, ma perispogliare ed opprimere i popoli Greci. Forzatiquesti ad armarsi per resistere al nemico esterno,poterono bensì rovesciare i troni dei loro re, maciò non seguì che a costo di lunghi e gravi pati-menti. Non fu che per la morte di Xanto e di Co-dro, che Tebe ed Atene si resero libere. Non fuche per una serie di eccessivi malori, che tutte le

no ad ascoltare, nelle nuove dottrine, e donde scritti in-numerevoli partivano al medesimo fine e nella Cisalpinalargamente si diffondevano. Apparivano, e risplendeva-no molto principalmente in questo ritrovo politico uomi-ni dotti, e leali operatori per fin di bene, ma servi ancoressi delle illusioni dei tempi. Piacemi in questo riferireun solo discorso, poichè l'andar particolarizzando sareb-be troppo lunga narrazione, e fia quello di un giovanedotto, ed amico sincero di libertà: aveva egli l'animobuono, e come buono, non sospettava in altrui quel maleche non aveva in se. Esposti prima con molto acume,per cui massimamente valeva, i modi con cui gli uominis'aggregano primitivamente in società, giva per tale for-ma nella sala della società della pubblica instruzione ladomenica dei sette maggio favellando.

«Sì, popoli della nuova Gallia Cisalpina, voi se-gnate negli annali del mondo un'epoca singolare,un'epoca, per cui le città dell'Italia non avrannopiù ad invidiare a quelle della Grecia la sorte, cheportò nel loro seno la libertà. Gli Eraclidi, que'barbari di Tessaglia, che si aprirono strada nel Pe-loponneso, non scesero già per liberare, ma perispogliare ed opprimere i popoli Greci. Forzatiquesti ad armarsi per resistere al nemico esterno,poterono bensì rovesciare i troni dei loro re, maciò non seguì che a costo di lunghi e gravi pati-menti. Non fu che per la morte di Xanto e di Co-dro, che Tebe ed Atene si resero libere. Non fuche per una serie di eccessivi malori, che tutte le

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città cospirarono alla rovina dei despoti, si uniro-no tutte per sostenersi a vicenda, e guarentirsi lalibertà, e sorse il mal ragionato federalismo dellarepubblica Acaica; e non fu che dopo una fatalecontinuata esperienza, che le buone leggi compar-vero in Sparta, ed Atene; poichè all'epoca della ri-voluzione mancarono di Licurghi, e di Soloniquelle città.

«Ora confronta tu stesso, Insubre popolo, conquella di Grecia la tua rigenerazione. Quanto èpiù fortunata, e più lieta! le armate Francesi nonsono già state le orde rapaci degli Eraclidi; nonsono già elleno discese dall'Alpi per devastare lenostre terre, per abbattere le nostre mura, per di-struggerci col ferro e col fuoco. Sono esse com-parse nelle pianure ridenti d'Italia per fraternizza-re coi popoli, per rovesciare i troni dei nostri ti-ranni, per allontanare da questi lidi i veri Eraclidi,i barbari del Nord, che non ebbero, e non potran-no avere giammai, nè il diritto di farsi occupatorinostri, nè il merito di unirsi a noi. La naturale loroposizione, i costumi, le leggi, la lingua, gli stessiloro ceffi gli divideranno sempre da noi, e gliconserveranno eterno obietto dell'odio nostro. Noinon siamo stati sforzati ad armarci, ed a combat-tere nemmeno contro gli schiavi della tirannide; ivalorosi repubblicani di Francia hanno combattu-to, e vinto per noi. Sulle tracce della constituzioneFrancese, o per dir meglio, del codice di natura,noi sapremo meglio forse di Licurgo e di Solone

città cospirarono alla rovina dei despoti, si uniro-no tutte per sostenersi a vicenda, e guarentirsi lalibertà, e sorse il mal ragionato federalismo dellarepubblica Acaica; e non fu che dopo una fatalecontinuata esperienza, che le buone leggi compar-vero in Sparta, ed Atene; poichè all'epoca della ri-voluzione mancarono di Licurghi, e di Soloniquelle città.

«Ora confronta tu stesso, Insubre popolo, conquella di Grecia la tua rigenerazione. Quanto èpiù fortunata, e più lieta! le armate Francesi nonsono già state le orde rapaci degli Eraclidi; nonsono già elleno discese dall'Alpi per devastare lenostre terre, per abbattere le nostre mura, per di-struggerci col ferro e col fuoco. Sono esse com-parse nelle pianure ridenti d'Italia per fraternizza-re coi popoli, per rovesciare i troni dei nostri ti-ranni, per allontanare da questi lidi i veri Eraclidi,i barbari del Nord, che non ebbero, e non potran-no avere giammai, nè il diritto di farsi occupatorinostri, nè il merito di unirsi a noi. La naturale loroposizione, i costumi, le leggi, la lingua, gli stessiloro ceffi gli divideranno sempre da noi, e gliconserveranno eterno obietto dell'odio nostro. Noinon siamo stati sforzati ad armarci, ed a combat-tere nemmeno contro gli schiavi della tirannide; ivalorosi repubblicani di Francia hanno combattu-to, e vinto per noi. Sulle tracce della constituzioneFrancese, o per dir meglio, del codice di natura,noi sapremo meglio forse di Licurgo e di Solone

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donarci in breve le nostre leggi. Avremo in ap-presso noi pure i nostri Milziadi, i Leonida, i Te-mistocli, i Cimoni, la gloria dei quali è già stataoscurata dai capitani Francesi, e sapremo rinno-vare noi pure le già tante volte dalle Franche fa-langi ripetute giornate di Maratona, delle Termo-pili, di Salamina. Più grande di Publicola il con-dottiere dell'armata d'Italia ha ben meritato di ot-tenere fra le tue mura l'onore del trionfo; ma letue allegrezze non verran funestate dai funerali diBruto; nè tarderanno a sorgere fra' tuoi soldati iServilj, i Fabricj, i Papirj, i Scipioni: che più? LeClelie animose, le ferme Virginie si moltipliche-ranno pure nelle tue donzelle».

Poi questo buon Italiano, descritta la libertà Sicilianadata da Timoleonte, ed esortati gl'Italiani a vivere lonta-ni dall'ozio e dalle discordie, con queste voci la sua ora-zione terminava:

«Conosci, o popolo, la tua forza; la lega chedagl'Italiani si organizzò contro Brenno, e controil Barbarossa, te ne darà l'idea vantaggiosa. Vivialla libertà, a quella libertà, che, abbandonate leamene sponde del Cefiso e del Peneo, e fermatasiper qualche secolo sulle mal sicure rive del Tebro,dopo essere stata sì lungamente ne' boschi e ne'deserti nascosta, comparve di nuovo per grandeg-giar sulla Senna, e per brillar con successo intor-no al Po, da dove tutto scorrerà un giorno il belpaese, che Apennin parte, e 'l mar circonda e

donarci in breve le nostre leggi. Avremo in ap-presso noi pure i nostri Milziadi, i Leonida, i Te-mistocli, i Cimoni, la gloria dei quali è già stataoscurata dai capitani Francesi, e sapremo rinno-vare noi pure le già tante volte dalle Franche fa-langi ripetute giornate di Maratona, delle Termo-pili, di Salamina. Più grande di Publicola il con-dottiere dell'armata d'Italia ha ben meritato di ot-tenere fra le tue mura l'onore del trionfo; ma letue allegrezze non verran funestate dai funerali diBruto; nè tarderanno a sorgere fra' tuoi soldati iServilj, i Fabricj, i Papirj, i Scipioni: che più? LeClelie animose, le ferme Virginie si moltipliche-ranno pure nelle tue donzelle».

Poi questo buon Italiano, descritta la libertà Sicilianadata da Timoleonte, ed esortati gl'Italiani a vivere lonta-ni dall'ozio e dalle discordie, con queste voci la sua ora-zione terminava:

«Conosci, o popolo, la tua forza; la lega chedagl'Italiani si organizzò contro Brenno, e controil Barbarossa, te ne darà l'idea vantaggiosa. Vivialla libertà, a quella libertà, che, abbandonate leamene sponde del Cefiso e del Peneo, e fermatasiper qualche secolo sulle mal sicure rive del Tebro,dopo essere stata sì lungamente ne' boschi e ne'deserti nascosta, comparve di nuovo per grandeg-giar sulla Senna, e per brillar con successo intor-no al Po, da dove tutto scorrerà un giorno il belpaese, che Apennin parte, e 'l mar circonda e

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l'Alpe».

A queste parole applaudivano romorosamente i buoniMilanesi, maravigliando, che fra loro avessero a nascerecosì presto i Temistocli, i Scipioni, e massimamente leClelie e le Virginie. Quest'erano appunto le cose, che,come diceva Buonaparte, il quale aveva il cervello fer-mo, mentre girava agli altri, son buone a mettersi nei ro-manzi.Quali effetti partorissero questi incentivi in Piemonte enel Genovesato, già abbiam raccontato. Il ducato di Par-ma a grave stento si manteneva per la protezione di Spa-gna, alla quale per allora la Francia non voleva pregiudi-car. Continuava la Toscana nel suo tranquillo stato, seb-bene la presenza dei soldati repubblicani, la pressa inso-lita per le contribuzioni, e le arti Cisalpine vi avesseroprodotto qualche impressione. Lucca, corrotti con dena-ri, e fattisi benevoli alcuni agenti repubblicani dei primi,si manteneva negli ordini antichi, non senza grandissimequerele dei patriotti Cisalpini, che quell'aristocrazìa ar-dentemente detestavano. Del resto si contaminava Romastessa, dove si scoversero congiure per cangiar lo stato,ed in cui si mescolarono francesi ed Italiani, nobili eplebei, cristiani ed ebrei. Condotti dall'occupamento delsecolo avevano parlato molte cose, e nessuna operato,per modo che Giuseppe Buonaparte, che a quei tempisedeva in Roma, gli ebbe a chiamare Bruti in pensiero,femminelle in atto. Certo non avevano nè seguito suffi-

l'Alpe».

A queste parole applaudivano romorosamente i buoniMilanesi, maravigliando, che fra loro avessero a nascerecosì presto i Temistocli, i Scipioni, e massimamente leClelie e le Virginie. Quest'erano appunto le cose, che,come diceva Buonaparte, il quale aveva il cervello fer-mo, mentre girava agli altri, son buone a mettersi nei ro-manzi.Quali effetti partorissero questi incentivi in Piemonte enel Genovesato, già abbiam raccontato. Il ducato di Par-ma a grave stento si manteneva per la protezione di Spa-gna, alla quale per allora la Francia non voleva pregiudi-car. Continuava la Toscana nel suo tranquillo stato, seb-bene la presenza dei soldati repubblicani, la pressa inso-lita per le contribuzioni, e le arti Cisalpine vi avesseroprodotto qualche impressione. Lucca, corrotti con dena-ri, e fattisi benevoli alcuni agenti repubblicani dei primi,si manteneva negli ordini antichi, non senza grandissimequerele dei patriotti Cisalpini, che quell'aristocrazìa ar-dentemente detestavano. Del resto si contaminava Romastessa, dove si scoversero congiure per cangiar lo stato,ed in cui si mescolarono francesi ed Italiani, nobili eplebei, cristiani ed ebrei. Condotti dall'occupamento delsecolo avevano parlato molte cose, e nessuna operato,per modo che Giuseppe Buonaparte, che a quei tempisedeva in Roma, gli ebbe a chiamare Bruti in pensiero,femminelle in atto. Certo non avevano nè seguito suffi-

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ciente, nè mezzo di esecuzione. Nondimeno il pontificiogoverno se ne sbigottiva, e gli animi si sollevavano. ANapoli covavano crudi fatti sotto velame quieto: oltreac-ciò mandavansi truppe di soldati verso le frontiere Ro-mane: il governo macchinava ingrandimento; percioc-chè vedendo, che si faceva vendita di stati, Napoli nevoleva per se, e domandava con molta instanza ai Fran-cesi Fermo ed Ancona in Italia, Corfù, Cefalonia, e Zan-te nella Grecia. Le quali richieste erano non senza risoudite dal direttorio e da Buonaparte, più inclinati a sov-vertire gli stati deboli, che ad ingrandirgli. Da ciò sivede che la sete del prendersi quel d'altrui era venutanon solo alle repubbliche, ma ancora alle monarchìe.Nella Valtellina, provincia suddita ai Grigioni, nasceva-no più che parole, o congiure o desiderj; i popoli vi tu-multuavano a mano armata, protestando voler essereuniti alla Cisalpina. Fuvvi qualche sangue: poi dai Gri-gioni, e dai Valtellini fu fatto compromesso nella repub-blica Francese. Pronunziò Buonaparte il lodo, stante chenon erano comparsi a dir le loro ragioni i legati dei Gri-gioni, che avessero i popoli della Valtellina a divenirparte della Cisalpina. Per tale sentenza Chiavenna, Son-drio, Morbegno, Tirano e Bormio, terre principali diquella valle, con tutti i distretti, sottratte dalla divozionedi gente Tedesca, si congiungevano con gente Italiana.Così dalla parte d'Italia si apriva ai repubblicani la stra-da nelle sedi più recondite delle nazioni Elvetiche, gran-de ajuto ai disegni che si avevano.

ciente, nè mezzo di esecuzione. Nondimeno il pontificiogoverno se ne sbigottiva, e gli animi si sollevavano. ANapoli covavano crudi fatti sotto velame quieto: oltreac-ciò mandavansi truppe di soldati verso le frontiere Ro-mane: il governo macchinava ingrandimento; percioc-chè vedendo, che si faceva vendita di stati, Napoli nevoleva per se, e domandava con molta instanza ai Fran-cesi Fermo ed Ancona in Italia, Corfù, Cefalonia, e Zan-te nella Grecia. Le quali richieste erano non senza risoudite dal direttorio e da Buonaparte, più inclinati a sov-vertire gli stati deboli, che ad ingrandirgli. Da ciò sivede che la sete del prendersi quel d'altrui era venutanon solo alle repubbliche, ma ancora alle monarchìe.Nella Valtellina, provincia suddita ai Grigioni, nasceva-no più che parole, o congiure o desiderj; i popoli vi tu-multuavano a mano armata, protestando voler essereuniti alla Cisalpina. Fuvvi qualche sangue: poi dai Gri-gioni, e dai Valtellini fu fatto compromesso nella repub-blica Francese. Pronunziò Buonaparte il lodo, stante chenon erano comparsi a dir le loro ragioni i legati dei Gri-gioni, che avessero i popoli della Valtellina a divenirparte della Cisalpina. Per tale sentenza Chiavenna, Son-drio, Morbegno, Tirano e Bormio, terre principali diquella valle, con tutti i distretti, sottratte dalla divozionedi gente Tedesca, si congiungevano con gente Italiana.Così dalla parte d'Italia si apriva ai repubblicani la stra-da nelle sedi più recondite delle nazioni Elvetiche, gran-de ajuto ai disegni che si avevano.

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Buonaparte intanto, al quale piacevano le dicerìe dei pa-triotti per sommuovere gli stati altrui, ma non eranougualmente a grado per fondare un suo governo, perchèsapeva che con modi di simil forma non si reggono i po-poli, aveva applicato l'animo ad ordinare la Cisalpinacon una constituzione regolare. Erasi fino allora retta laLombardia col freno di un'amministrazione generale,potestà non solo serva del generalissimo, ma ancora diqualunque più sottoposto commissario o comandante,ed il raccontare tutte le sue condiscendenze sarebbetroppo lunga bisogna. Non era padrona dei tempi, ma itempi la dominavano: il frenare i democrati era stimatataccia aristocratica, il non frenargli tornava in diminu-zione della sua autorità, ed in fonte di licenza. Nelle di-verse città i comandanti forestieri facevano a modo loro,e secondochè avevano natura più o meno quieta, od opi-nioni più o meno sregolate, in questo luogo tenevano, inquell'altro allargavano la briglia, e lo stato si reggevapiù strettamente, o più largamente. Laonde quello nonera governo nè civile, nè libero, nè comune, ma bensì unreggimento incomposto, difforme, ed a volontà di fore-stieri. Dal che ne conseguita, che poco più poteval'amministrazione generale, che empir con le tasse ordi-narie e straordinarie l'erario dell'esercito Buonapartiano,e dare caposoldi, e piatti costosi ai generali ed ai coman-danti: perciò era veduta non senza disprezzo e indegna-zione dai popoli.Buonaparte, che era solito a gettar via gli stromenti, che

Buonaparte intanto, al quale piacevano le dicerìe dei pa-triotti per sommuovere gli stati altrui, ma non eranougualmente a grado per fondare un suo governo, perchèsapeva che con modi di simil forma non si reggono i po-poli, aveva applicato l'animo ad ordinare la Cisalpinacon una constituzione regolare. Erasi fino allora retta laLombardia col freno di un'amministrazione generale,potestà non solo serva del generalissimo, ma ancora diqualunque più sottoposto commissario o comandante,ed il raccontare tutte le sue condiscendenze sarebbetroppo lunga bisogna. Non era padrona dei tempi, ma itempi la dominavano: il frenare i democrati era stimatataccia aristocratica, il non frenargli tornava in diminu-zione della sua autorità, ed in fonte di licenza. Nelle di-verse città i comandanti forestieri facevano a modo loro,e secondochè avevano natura più o meno quieta, od opi-nioni più o meno sregolate, in questo luogo tenevano, inquell'altro allargavano la briglia, e lo stato si reggevapiù strettamente, o più largamente. Laonde quello nonera governo nè civile, nè libero, nè comune, ma bensì unreggimento incomposto, difforme, ed a volontà di fore-stieri. Dal che ne conseguita, che poco più poteval'amministrazione generale, che empir con le tasse ordi-narie e straordinarie l'erario dell'esercito Buonapartiano,e dare caposoldi, e piatti costosi ai generali ed ai coman-danti: perciò era veduta non senza disprezzo e indegna-zione dai popoli.Buonaparte, che era solito a gettar via gli stromenti, che

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per servir lui, erano divenuti odiosi, si risolveva a farmutazione. Oltrechè gl'importava massimamente, a vo-lere che la Cisalpina fosse uno stato da se, e conosciutodagli altri stati d'Europa, che il reggimento temporaneovi cessasse, e vi s'introducesse il durevole ed il consti-tuito, per quanto a quei tempi conseguire si potesse. Perla qual cosa avendo dato vita alla Cisalpina nei patti diLeoben, le volle dar ordine con leggi a Montebello. Pri-mieramente creava una congregazione di dieci perso-naggi rinomati per sapienza e per costume, a cui com-metteva il carico di formare il modello della constituzio-ne Cisalpina. Notavansi fra gli eletti cinque Milanesi, unCremonese, un Reggiano, un Modenese, un Bergama-sco. Vi aggiungeva un Tirolese da lungo tempo profes-sore in Pavia. Questi era il Padre Gregorio Fontana,uomo maraviglioso per la profondità e la vastità delladottrina, e certamente fra i dotti dottissimo. Non amavaegli travagliarsi dello stato, non avendo ambizione, maBuonaparte lo cercava per vanagloria, e per un suo fine,volendo farsi scabello dei nomi più chiari per salire aquell'altezza che ambiva. Interveniva spesso alla con-gregazione. Pareva, che dovesse sorgere qualche granfatto da un Buonaparte, e da un Fontana. Ne usciva unacopia della constituzione Francese con poche mutazioni,e di niun momento; opera degna di copisti, non di quegliuomini eletti. Per tale forma si consumava l'autorità deinomi senza frutto, e gli stromenti dell'introdurre un vi-vere ben composto si corrompevano. Restava, che quel-lo che si era fatto in nome, si recasse in atto. Eleggeva

per servir lui, erano divenuti odiosi, si risolveva a farmutazione. Oltrechè gl'importava massimamente, a vo-lere che la Cisalpina fosse uno stato da se, e conosciutodagli altri stati d'Europa, che il reggimento temporaneovi cessasse, e vi s'introducesse il durevole ed il consti-tuito, per quanto a quei tempi conseguire si potesse. Perla qual cosa avendo dato vita alla Cisalpina nei patti diLeoben, le volle dar ordine con leggi a Montebello. Pri-mieramente creava una congregazione di dieci perso-naggi rinomati per sapienza e per costume, a cui com-metteva il carico di formare il modello della constituzio-ne Cisalpina. Notavansi fra gli eletti cinque Milanesi, unCremonese, un Reggiano, un Modenese, un Bergama-sco. Vi aggiungeva un Tirolese da lungo tempo profes-sore in Pavia. Questi era il Padre Gregorio Fontana,uomo maraviglioso per la profondità e la vastità delladottrina, e certamente fra i dotti dottissimo. Non amavaegli travagliarsi dello stato, non avendo ambizione, maBuonaparte lo cercava per vanagloria, e per un suo fine,volendo farsi scabello dei nomi più chiari per salire aquell'altezza che ambiva. Interveniva spesso alla con-gregazione. Pareva, che dovesse sorgere qualche granfatto da un Buonaparte, e da un Fontana. Ne usciva unacopia della constituzione Francese con poche mutazioni,e di niun momento; opera degna di copisti, non di quegliuomini eletti. Per tale forma si consumava l'autorità deinomi senza frutto, e gli stromenti dell'introdurre un vi-vere ben composto si corrompevano. Restava, che quel-lo che si era fatto in nome, si recasse in atto. Eleggeva

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Buonaparte quattro Cisalpini al direttorio: furonoquest'essi: Serbelloni, che fu duca, e che camminava conmolto affetto in queste novità, Moscati, medico compi-tissimo, e non ostante tanto compito in ogni altro generedi filosofia, quanto in medicina, Paradisi, autore assaicelebrato per bello scrivere, e malveduto dagli Austriaciper aver voce di essersi mescolato attivamente nei motidi Reggio; finalmente Alessandri, operatore principaledelle mutazioni nelle terre Veneziane oltre Mincio. Sic-come poi non si potevano così presto eleggere i rappre-sentanti, che nei due consigli legislativi dovevano sede-re, creava Buonaparte quattro congregazioni, l'una diconstituzione con Fontana, Mascheroni, Longo, Oliva,Loschi, Goldaniga; l'altra di giurisprudenza con Bazetta,Negri, Taverna, Spannocchi, Villa, Perseguiti; la terza difinanze con Melzi, Vandelli, Formigini, Nicoli, Forni,Carissimi; la quarta di guerra con Visconti, Lahoz, Por-ta, Triulzi, Gazzari, Caleppi, uomini, se non tutti, certa-mente la maggior parte, migliori dei tempi. Conservas-sero, voleva, il mandato insino a che fossero creati, edentrassero in ufficio i consigli legislativi. Finalmente percompir quanto ai supremi ordini politici dello stato siapparteneva, il capitano di Francia chiamava ministro dipolizia Porro, di guerra Birago, di finanza Ricci, di giu-stizia Luosi, di affari esteri Testi. Al tempo medesimonominava segretario del direttorio Sommariva.Tessuto con parole di molta superiorità pubblicava unmanifesto da servir per principio alla Cisalpina repub-

Buonaparte quattro Cisalpini al direttorio: furonoquest'essi: Serbelloni, che fu duca, e che camminava conmolto affetto in queste novità, Moscati, medico compi-tissimo, e non ostante tanto compito in ogni altro generedi filosofia, quanto in medicina, Paradisi, autore assaicelebrato per bello scrivere, e malveduto dagli Austriaciper aver voce di essersi mescolato attivamente nei motidi Reggio; finalmente Alessandri, operatore principaledelle mutazioni nelle terre Veneziane oltre Mincio. Sic-come poi non si potevano così presto eleggere i rappre-sentanti, che nei due consigli legislativi dovevano sede-re, creava Buonaparte quattro congregazioni, l'una diconstituzione con Fontana, Mascheroni, Longo, Oliva,Loschi, Goldaniga; l'altra di giurisprudenza con Bazetta,Negri, Taverna, Spannocchi, Villa, Perseguiti; la terza difinanze con Melzi, Vandelli, Formigini, Nicoli, Forni,Carissimi; la quarta di guerra con Visconti, Lahoz, Por-ta, Triulzi, Gazzari, Caleppi, uomini, se non tutti, certa-mente la maggior parte, migliori dei tempi. Conservas-sero, voleva, il mandato insino a che fossero creati, edentrassero in ufficio i consigli legislativi. Finalmente percompir quanto ai supremi ordini politici dello stato siapparteneva, il capitano di Francia chiamava ministro dipolizia Porro, di guerra Birago, di finanza Ricci, di giu-stizia Luosi, di affari esteri Testi. Al tempo medesimonominava segretario del direttorio Sommariva.Tessuto con parole di molta superiorità pubblicava unmanifesto da servir per principio alla Cisalpina repub-

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blica. La repubblica Cisalpina, andava ragionando, esse-re stata lunghi anni sotto l'imperio dell'Austria, averlacontro l'Austria conquistata la repubblica Francese; ep-pure rinunziare lei la conquista, e volere, che la Cisalpi-na fosse libera, independente, riconosciuta dalla Franciae dall'Austria, riconosciuta da tutta l'Europa; nè conten-to il direttorio esecutivo della repubblica Francese alloaver usato l'autorità sua, e le vittorie dei soldati repub-blicani, perchè sorgesse, e sicura vivesse, volere ancoraper singolar tratto della sua amorevolezza, e per preser-varla dalle rivoluzioni dare al popolo Cisalpino la pro-pria constituzione, parto prediletto di una nazione illu-minatissima; essere la libertà il maggior bene, le rivolu-zioni il maggior male; dovere adunque il popolo Cisal-pino far passo da un reggimento soldatesco ad un reggi-mento civile; perchè questo passo senza discordie fosse,e senza sedizioni, avere il direttorio esecutivo giudicatodovere per suo mezzo, e per questa volta nominarsi imagistrati supremi della repubblica nuova, insino a che,trascorso un anno, il popolo stesso secondo gli ordinidella constituzione gli nominasse; già da secoli non es-sere più buone repubbliche in Italia, l'amore sacro dellalibertà esservi spento, la più bella parte dell'Europa vi-vere serva dei forestieri; esser debito della repubblicaCisalpina il dimostrare col senno, e col vigor suo, e coibuoni ordini de' suoi eserciti, non avere la moderna Ita-lia degenerato dall'antica, e vivere ancora in lei spiritidegni della libertà, per questo avere lui nominato e lequattro congregazioni, e il direttorio, e i ministri.

blica. La repubblica Cisalpina, andava ragionando, esse-re stata lunghi anni sotto l'imperio dell'Austria, averlacontro l'Austria conquistata la repubblica Francese; ep-pure rinunziare lei la conquista, e volere, che la Cisalpi-na fosse libera, independente, riconosciuta dalla Franciae dall'Austria, riconosciuta da tutta l'Europa; nè conten-to il direttorio esecutivo della repubblica Francese alloaver usato l'autorità sua, e le vittorie dei soldati repub-blicani, perchè sorgesse, e sicura vivesse, volere ancoraper singolar tratto della sua amorevolezza, e per preser-varla dalle rivoluzioni dare al popolo Cisalpino la pro-pria constituzione, parto prediletto di una nazione illu-minatissima; essere la libertà il maggior bene, le rivolu-zioni il maggior male; dovere adunque il popolo Cisal-pino far passo da un reggimento soldatesco ad un reggi-mento civile; perchè questo passo senza discordie fosse,e senza sedizioni, avere il direttorio esecutivo giudicatodovere per suo mezzo, e per questa volta nominarsi imagistrati supremi della repubblica nuova, insino a che,trascorso un anno, il popolo stesso secondo gli ordinidella constituzione gli nominasse; già da secoli non es-sere più buone repubbliche in Italia, l'amore sacro dellalibertà esservi spento, la più bella parte dell'Europa vi-vere serva dei forestieri; esser debito della repubblicaCisalpina il dimostrare col senno, e col vigor suo, e coibuoni ordini de' suoi eserciti, non avere la moderna Ita-lia degenerato dall'antica, e vivere ancora in lei spiritidegni della libertà, per questo avere lui nominato e lequattro congregazioni, e il direttorio, e i ministri.

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Destinavansi il dì nove luglio, ed il campo del Lazzaret-to fuori di porta Orientale, vasto e magnifico, al pubbli-co e solenne ingresso della Cisalpina repubblica. Accor-revano chiamati alla solennità piena di tanti augurj i de-putati di tutti i municipj, di tutti i drappelli delle guardienazionali, di tutti i reggimenti assoldati della repubblica.Era nei giorni, che precedevano la festa, in tutta la cittàuna folla, ed un andar e venire di popoli contenti; pare-va, che non solo la nobile Milano, ma ancora tutta l'Ita-lia a nuovo destino andasse. Aprivasi alle nove del de-stinato giorno il campo della Confederazione (che cosìdal fatto chiamarono il Lazzaretto) e vi accorrevano giu-livamente, ed a pressa meglio di quattrocentomila citta-dini. Suonavano le campane a gloria, tiravano i cannonia festa; innumerevoli bandiere tricolorite col turchino, ocol verde sventolavansi all'aria, e le grida, e il tumulto, ele esultazioni per l'infinita contentezza andavano al col-mo. I democrati non capivano in se dall'allegrezza, e di-cevano le più strane cose del mondo. Pareva, ed era ve-ramente un gran passo da quella vita morta dei Tedeschia quella vita viva dei Francesi; la magnifica Milano, cit-tà di per se stessa e per naturale indole allegrissima, oratutta più che fatto non avesse mai, sin dall'intimo fondosuo si commuoveva, e si rallegrava. Entrava nel campoil direttorio coll'abito verde ricamato d'argento alla Ci-salpina: il seguitavano i magistrati, e gli uomini elettidella città; gli uni e gli altri magnifico spettacolo. Nelpunto dell'ingresso spesseggiavano vieppiù con le salvele artiglierìe, i popoli applaudivano, le bandiere si sven-

Destinavansi il dì nove luglio, ed il campo del Lazzaret-to fuori di porta Orientale, vasto e magnifico, al pubbli-co e solenne ingresso della Cisalpina repubblica. Accor-revano chiamati alla solennità piena di tanti augurj i de-putati di tutti i municipj, di tutti i drappelli delle guardienazionali, di tutti i reggimenti assoldati della repubblica.Era nei giorni, che precedevano la festa, in tutta la cittàuna folla, ed un andar e venire di popoli contenti; pare-va, che non solo la nobile Milano, ma ancora tutta l'Ita-lia a nuovo destino andasse. Aprivasi alle nove del de-stinato giorno il campo della Confederazione (che cosìdal fatto chiamarono il Lazzaretto) e vi accorrevano giu-livamente, ed a pressa meglio di quattrocentomila citta-dini. Suonavano le campane a gloria, tiravano i cannonia festa; innumerevoli bandiere tricolorite col turchino, ocol verde sventolavansi all'aria, e le grida, e il tumulto, ele esultazioni per l'infinita contentezza andavano al col-mo. I democrati non capivano in se dall'allegrezza, e di-cevano le più strane cose del mondo. Pareva, ed era ve-ramente un gran passo da quella vita morta dei Tedeschia quella vita viva dei Francesi; la magnifica Milano, cit-tà di per se stessa e per naturale indole allegrissima, oratutta più che fatto non avesse mai, sin dall'intimo fondosuo si commuoveva, e si rallegrava. Entrava nel campoil direttorio coll'abito verde ricamato d'argento alla Ci-salpina: il seguitavano i magistrati, e gli uomini elettidella città; gli uni e gli altri magnifico spettacolo. Nelpunto dell'ingresso spesseggiavano vieppiù con le salvele artiglierìe, i popoli applaudivano, le bandiere si sven-

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tolavano: celebrava l'arcivescovo sull'altare apposito lamessa; in questo mentre a quando a quando rimbomba-vano le artiglierìe. Dopo il santo sacrificio benedival'arcivescovo ad una ad una le presentate bandiere. Se-guitava un concerto strepitosissimo, e pure melodiosod'inni, di suoni, di “viva repubblicani”. Sorgeva in mez-zo l'altare della patria; aveva sui lati iscrizioni secondoil tempo: sopra, un fuoco acceso, simboleggiatoredell'amore della patria, a' piedi urne con motti dimostra-tivi del desiderio e della gratitudine verso i soldati Fran-cesi, e Cisalpini morti nelle battaglie per la salute dellarepubblica. Quest'erano le Cisalpine allegrezze e ceri-monie. Assisteva Buonaparte seduto in ispecial seggioalla festa, al quale, come a vincitore di tante guerre, ed afondatore della repubblica, risguardavano principalmen-te i popoli circostanti. Nè piccola parte dell'onesto spet-tacolo erano gli uomini delegati di Ferrara, di Bologna,dell'Emilia, di Mantova stessa, ancorchè non ancora fos-se unita alla repubblica, venuti ad esser presenti a quellasolennità, non solo inconsueta, ma non vista mai nelcorso dei secoli, grande testimonianza d'amore, e di con-cordia Italiana.Serbelloni, presidente del direttorio, dal luogo suo leva-tosi, e sopra un più elevato seggio postosi, in cotalmodo, fattosi silenzio in mezzo agli adunati popoli, a fa-vellare incominciava:

«Noi fummo un tempo liberi, e queste medesimeterre repubblicane furono: la diversità fatale delle

tolavano: celebrava l'arcivescovo sull'altare apposito lamessa; in questo mentre a quando a quando rimbomba-vano le artiglierìe. Dopo il santo sacrificio benedival'arcivescovo ad una ad una le presentate bandiere. Se-guitava un concerto strepitosissimo, e pure melodiosod'inni, di suoni, di “viva repubblicani”. Sorgeva in mez-zo l'altare della patria; aveva sui lati iscrizioni secondoil tempo: sopra, un fuoco acceso, simboleggiatoredell'amore della patria, a' piedi urne con motti dimostra-tivi del desiderio e della gratitudine verso i soldati Fran-cesi, e Cisalpini morti nelle battaglie per la salute dellarepubblica. Quest'erano le Cisalpine allegrezze e ceri-monie. Assisteva Buonaparte seduto in ispecial seggioalla festa, al quale, come a vincitore di tante guerre, ed afondatore della repubblica, risguardavano principalmen-te i popoli circostanti. Nè piccola parte dell'onesto spet-tacolo erano gli uomini delegati di Ferrara, di Bologna,dell'Emilia, di Mantova stessa, ancorchè non ancora fos-se unita alla repubblica, venuti ad esser presenti a quellasolennità, non solo inconsueta, ma non vista mai nelcorso dei secoli, grande testimonianza d'amore, e di con-cordia Italiana.Serbelloni, presidente del direttorio, dal luogo suo leva-tosi, e sopra un più elevato seggio postosi, in cotalmodo, fattosi silenzio in mezzo agli adunati popoli, a fa-vellare incominciava:

«Noi fummo un tempo liberi, e queste medesimeterre repubblicane furono: la diversità fatale delle

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troppo facili opinioni ci ridusse, e ci mantenneper molti secoli in estera e spesso variata servitù.Rammentiamoci, o cittadini, la lunga serie deicessati infortunj, ed il passato ci sia d'utile esem-pio per l'avvenire. Sparisca, come lampo, ognispirito di parte, che finora possa averci divisi, eperfino gli odiosi nomi, fonte inesausta di civilidiscordie, siano mandati in dimenticanza. Serbia-mo con indelebile memoria pel ricevuto benefiziouna gratitudine eterna verso la Francese repubbli-ca, che col valore, e col sangue de' suoi soldati ciprocurava la libertà, e gratitudine ancora eternasia in noi verso l'immortale Buonaparte, che emo-lo dell'Africano Scipione, ci tolse con le sue vitto-rie a servitù, e diè forma con la vastità de' suoilumi politici al nostro libero governo. Ciò credia-mo, ciò inculchiamo nel più profondo degli animinostri, che a voler mantenere, e conservare la pro-sperità di una repubblica democratica, ha ad esse-re fra di noi virtù nei padri, educazione nei fi-gliuoli, costume e costanza d'animo nei cittadini,leggi ed interessi in tutto il territorio uniformi.Accendiamoci di un amor santo di patria, giuria-mo concordemente di viver liberi, o di morire. Ildirettorio della Cisalpina repubblica lo giura ilprimo, e ve ne dà l'esempio».

A questo passo il presidente, sguainata la spada, ed isuoi colleghi, levati i cappelli, ad alta voce giuravano.Giuravano al tempo stesso gli uomini deputati, giurava-no i capi dei reggimenti, giurava l'adunato popolo intie-

troppo facili opinioni ci ridusse, e ci mantenneper molti secoli in estera e spesso variata servitù.Rammentiamoci, o cittadini, la lunga serie deicessati infortunj, ed il passato ci sia d'utile esem-pio per l'avvenire. Sparisca, come lampo, ognispirito di parte, che finora possa averci divisi, eperfino gli odiosi nomi, fonte inesausta di civilidiscordie, siano mandati in dimenticanza. Serbia-mo con indelebile memoria pel ricevuto benefiziouna gratitudine eterna verso la Francese repubbli-ca, che col valore, e col sangue de' suoi soldati ciprocurava la libertà, e gratitudine ancora eternasia in noi verso l'immortale Buonaparte, che emo-lo dell'Africano Scipione, ci tolse con le sue vitto-rie a servitù, e diè forma con la vastità de' suoilumi politici al nostro libero governo. Ciò credia-mo, ciò inculchiamo nel più profondo degli animinostri, che a voler mantenere, e conservare la pro-sperità di una repubblica democratica, ha ad esse-re fra di noi virtù nei padri, educazione nei fi-gliuoli, costume e costanza d'animo nei cittadini,leggi ed interessi in tutto il territorio uniformi.Accendiamoci di un amor santo di patria, giuria-mo concordemente di viver liberi, o di morire. Ildirettorio della Cisalpina repubblica lo giura ilprimo, e ve ne dà l'esempio».

A questo passo il presidente, sguainata la spada, ed isuoi colleghi, levati i cappelli, ad alta voce giuravano.Giuravano al tempo stesso gli uomini deputati, giurava-no i capi dei reggimenti, giurava l'adunato popolo intie-

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ro: i viva, le grida, i plausi, il batter delle mani, il lancia-re i cappelli, lo sventolar delle bandiere facevano unospettacolo misto, romoroso ed allegro.Ciò detto, continuava orando il presidente,

«manterrebbe col sangue, e con la vita, se fossed'uopo, il direttorio la constituzione e le leggi.Sovvengavi, terminava, o cittadini, sovvengavi,che questa terra che abitiamo, è la terra dei Curzj,degli Scevola, dei Catoni; imitiamo quelle grandianime, in ogni umano caso imitiamole, e lascinoogni speranza di vincerci i nostri nemici, e insie-me l'Europa s'accorga, che qui l'antica Roma rina-sce».

Qui rincominciavano i plausi, ed i cannoni strepitavano.A questo modo s'instituiva la repubblica Cisalpina, man-data da un principio che pareva eterno, ad un dubbio ecorto avvenire. Furonvi tutto il giorno corse di carri e dicavalli, suoni, balli, festini in ogni canto, poi la sera bel-lissime luminarie sì dentro, che fuori del teatro. Insom-ma fu una grande e solenne allegrezza; e queste festenon in altra città del mondo riescono tanto liete e tantomagnifiche, quanto nella bella, e splendida Milano.Perchè poi la memoria di un giorno tanto solenne nellamente dei posteri si conservasse, decretava il direttorio,che si rizzassero nel campo della Confederazione adonore di ciascuna schiera dell'esercito Francese otto pi-ramidi quadrangolari; sur un lato di ciascuna piramide si

ro: i viva, le grida, i plausi, il batter delle mani, il lancia-re i cappelli, lo sventolar delle bandiere facevano unospettacolo misto, romoroso ed allegro.Ciò detto, continuava orando il presidente,

«manterrebbe col sangue, e con la vita, se fossed'uopo, il direttorio la constituzione e le leggi.Sovvengavi, terminava, o cittadini, sovvengavi,che questa terra che abitiamo, è la terra dei Curzj,degli Scevola, dei Catoni; imitiamo quelle grandianime, in ogni umano caso imitiamole, e lascinoogni speranza di vincerci i nostri nemici, e insie-me l'Europa s'accorga, che qui l'antica Roma rina-sce».

Qui rincominciavano i plausi, ed i cannoni strepitavano.A questo modo s'instituiva la repubblica Cisalpina, man-data da un principio che pareva eterno, ad un dubbio ecorto avvenire. Furonvi tutto il giorno corse di carri e dicavalli, suoni, balli, festini in ogni canto, poi la sera bel-lissime luminarie sì dentro, che fuori del teatro. Insom-ma fu una grande e solenne allegrezza; e queste festenon in altra città del mondo riescono tanto liete e tantomagnifiche, quanto nella bella, e splendida Milano.Perchè poi la memoria di un giorno tanto solenne nellamente dei posteri si conservasse, decretava il direttorio,che si rizzassero nel campo della Confederazione adonore di ciascuna schiera dell'esercito Francese otto pi-ramidi quadrangolari; sur un lato di ciascuna piramide si

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scolpisse un segno eterno della gratitudine e dell'amici-zia del popolo Cisalpino verso la repubblica Francese, el'esercito d'Italia; s'inscrivessero su due altri lati i nomidi quei forti uomini, che avevano dato la vita per la pa-tria loro, e per la libertà Cisalpina nelle battaglie; chel'ultimo lato si serbasse intatto per iscolpirvi, ove fossevenuto il tempo, i nomi di quei prodi cittadini, che forte-mente combattendo avrebbero procurato col sangue lorosalute, e libertà alla patria Cisalpina.Contaminava l'allegrezza dei patriotti l'essersi fatta ser-rare dal direttorio la società di pubblica instruzione. Sitrovò pretesto dell'essere contraria agli ordini della con-stituzione.Continuava Buonaparte ad usare l'autorità suprema perordinare la repubblica. Nominava i giudici, gli ammini-stratori dei distretti o dei dipartimenti, e que' dei munici-pj. Si faceva poi più tardi ad eleggere i membri dei dueconsigli, cioè del consiglio grande, o dei giovani, e delconsiglio dei seniori, o degli anziani.I popoli all'intorno, che se ne vivevano o con governideboli, o con governi temporanei e tumultuarj, veduto leforme più regolari e più promettenti della Cisalpina, equell'affezione particolare che il capitano invitto le por-tava, si davano a lei l'uno dopo l'altro. Bologna, Imola eFerrara furono le prime a mostrar desiderio dell'unione,le due ultime più ardentemente per invidia a Bologna, laprima più a rilento per la memoria dell'antica superiori-

scolpisse un segno eterno della gratitudine e dell'amici-zia del popolo Cisalpino verso la repubblica Francese, el'esercito d'Italia; s'inscrivessero su due altri lati i nomidi quei forti uomini, che avevano dato la vita per la pa-tria loro, e per la libertà Cisalpina nelle battaglie; chel'ultimo lato si serbasse intatto per iscolpirvi, ove fossevenuto il tempo, i nomi di quei prodi cittadini, che forte-mente combattendo avrebbero procurato col sangue lorosalute, e libertà alla patria Cisalpina.Contaminava l'allegrezza dei patriotti l'essersi fatta ser-rare dal direttorio la società di pubblica instruzione. Sitrovò pretesto dell'essere contraria agli ordini della con-stituzione.Continuava Buonaparte ad usare l'autorità suprema perordinare la repubblica. Nominava i giudici, gli ammini-stratori dei distretti o dei dipartimenti, e que' dei munici-pj. Si faceva poi più tardi ad eleggere i membri dei dueconsigli, cioè del consiglio grande, o dei giovani, e delconsiglio dei seniori, o degli anziani.I popoli all'intorno, che se ne vivevano o con governideboli, o con governi temporanei e tumultuarj, veduto leforme più regolari e più promettenti della Cisalpina, equell'affezione particolare che il capitano invitto le por-tava, si davano a lei l'uno dopo l'altro. Bologna, Imola eFerrara furono le prime a mostrar desiderio dell'unione,le due ultime più ardentemente per invidia a Bologna, laprima più a rilento per la memoria dell'antica superiori-

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tà. La giunta Bolognese titubava; ma tanti furono i ma-neggi dei patriotti più accesi, e l'intromettersi dei Cisal-pini, che ne fu vinta la sua durezza, ed accedevaanch'essa alla prediletta repubblica; accostamento digrandissima importanza, perchè era Bologna città gros-sa, e piena d'uomini forti e generosi. Unite le legazioni,pensava Buonaparte a compire il direttorio, vi chiamavaper quinto un Costabili Containi di Ferrara.Principalmente accrebbe la grandezza Cisalpina l'unionedella forte Brescia, membro tanto principale della terra-ferma Veneta. Fu tratto presidente del consiglio grandeFenaroli, nativo di questa città, il quale, avuta principalparte nelle precedenti mutazioni, si mostrava molto ar-dente per la conservazione dello stato nuovo.Mantova, perchè ancora di destino incerto, se ne stavain pendente di quello che si avesse a fare. Ma poi quan-do si seppe, che pel trattato di Campoformio l'Austria sispogliava della sua sovranità sopra di lei, s'incorporavacon animo pronto anch'essa alla Cisalpina. I Cisalpinipoi, fatto di per se stessi impeto nell'oltre Po Piacentino,consentendo facilmente i popoli, l'aggregavano alla lorosocietà.Ampliata la repubblica per tutte queste aggiunte, Buona-parte la divideva in venti spartimenti, che chiamavadell'Olona con Milano, città capitale, del Ticino con Pa-via, del Lario con Como, del Verbano con Varese, dellaMontagna con Lecco, del Serio con Bergamo, dell'Adda

tà. La giunta Bolognese titubava; ma tanti furono i ma-neggi dei patriotti più accesi, e l'intromettersi dei Cisal-pini, che ne fu vinta la sua durezza, ed accedevaanch'essa alla prediletta repubblica; accostamento digrandissima importanza, perchè era Bologna città gros-sa, e piena d'uomini forti e generosi. Unite le legazioni,pensava Buonaparte a compire il direttorio, vi chiamavaper quinto un Costabili Containi di Ferrara.Principalmente accrebbe la grandezza Cisalpina l'unionedella forte Brescia, membro tanto principale della terra-ferma Veneta. Fu tratto presidente del consiglio grandeFenaroli, nativo di questa città, il quale, avuta principalparte nelle precedenti mutazioni, si mostrava molto ar-dente per la conservazione dello stato nuovo.Mantova, perchè ancora di destino incerto, se ne stavain pendente di quello che si avesse a fare. Ma poi quan-do si seppe, che pel trattato di Campoformio l'Austria sispogliava della sua sovranità sopra di lei, s'incorporavacon animo pronto anch'essa alla Cisalpina. I Cisalpinipoi, fatto di per se stessi impeto nell'oltre Po Piacentino,consentendo facilmente i popoli, l'aggregavano alla lorosocietà.Ampliata la repubblica per tutte queste aggiunte, Buona-parte la divideva in venti spartimenti, che chiamavadell'Olona con Milano, città capitale, del Ticino con Pa-via, del Lario con Como, del Verbano con Varese, dellaMontagna con Lecco, del Serio con Bergamo, dell'Adda

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ed Oglio con Sondrio, del Mela con Brescia, del Benacocon Desenzano, del Mincio con Mantova, dell'Adda conLodi, del Crostolo con Reggio, del Panaro con Modena,dell'Alpi Apuane con Massa, del Reno con Bologna,dell'Alta Padusa con Cento, del Basso Po con Ferrara,del Lamone con Faenza, del Rubicone con Rimini. Pertal modo in men che non faceva cinque mesi dappoichèera stata creata, in questa larghezza si distendeva la Ci-salpina, che conteneva in se la Lombardia Austriaca, iducati di Mantova, di Modena e di Reggio, Massa eCarrara, Bergamo, Brescia, e Crema coi territorj loro, laValtellina, e le tre legazioni di Bologna, di Ferrara edell'Emilia, parte del Veronese, e l'oltre Po Piacentino.Poco dopo Pesaro, città della Romagna, fatta mutazione,si dava alla Cisalpina. Per questo fatto i Romani confinisi restrignevano.L'unione delle legazioni alla Cisalpina aveva in se nonpoca malagevolezza, perchè questi popoli, soliti a viveresotto il dominio della Chiesa, ripugnavano alle innova-zioni, che loro pareva che fossero state fatte nelle coseattinenti alla religione. Questa mala contentezza si eravieppiù dilatata, quando si domandarono i giuramenti aimagistrati. Fu loro imposto di giurare osservanza invio-labile alla constituzione, odio eterno al governo dei re,degli aristocrati, ed oligarchi, di non soffrire giammaialcun giogo straniero, e di contribuire, con tutte le forzeal sostegno della libertà ed uguaglianza, ed alla conser-vazione e prosperità della repubblica. Per mitigare le

ed Oglio con Sondrio, del Mela con Brescia, del Benacocon Desenzano, del Mincio con Mantova, dell'Adda conLodi, del Crostolo con Reggio, del Panaro con Modena,dell'Alpi Apuane con Massa, del Reno con Bologna,dell'Alta Padusa con Cento, del Basso Po con Ferrara,del Lamone con Faenza, del Rubicone con Rimini. Pertal modo in men che non faceva cinque mesi dappoichèera stata creata, in questa larghezza si distendeva la Ci-salpina, che conteneva in se la Lombardia Austriaca, iducati di Mantova, di Modena e di Reggio, Massa eCarrara, Bergamo, Brescia, e Crema coi territorj loro, laValtellina, e le tre legazioni di Bologna, di Ferrara edell'Emilia, parte del Veronese, e l'oltre Po Piacentino.Poco dopo Pesaro, città della Romagna, fatta mutazione,si dava alla Cisalpina. Per questo fatto i Romani confinisi restrignevano.L'unione delle legazioni alla Cisalpina aveva in se nonpoca malagevolezza, perchè questi popoli, soliti a viveresotto il dominio della Chiesa, ripugnavano alle innova-zioni, che loro pareva che fossero state fatte nelle coseattinenti alla religione. Questa mala contentezza si eravieppiù dilatata, quando si domandarono i giuramenti aimagistrati. Fu loro imposto di giurare osservanza invio-labile alla constituzione, odio eterno al governo dei re,degli aristocrati, ed oligarchi, di non soffrire giammaialcun giogo straniero, e di contribuire, con tutte le forzeal sostegno della libertà ed uguaglianza, ed alla conser-vazione e prosperità della repubblica. Per mitigare le

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impressioni contrarie concette dal popolo, intendevano imagistrati alle persuasioni, ma come d'uomini la mag-gior parte troppo dediti alle nuove opinioni, elle faceva-no poco frutto. Tentaronsi gli ecclesiastici, e fra gli altriil cardinale Chiaramonti, vescovo d'Imola, che poi fupapa sotto nome di Pio settimo. Il suo testimonio, e lesue esortazioni, come d'uomo di vita integerrima e reli-giosa, erano di molto momento. Pubblicò egli adunqueil giorno del Natale del presente anno un'omelìa, in cuiparlava in questa guisa ai fedeli della sua diocesi:

«La libertà, cara a Dio ed agli uomini, è una fa-coltà che fu donata all'uomo, è un dominio di po-ter fare o non fare, ma sempre sotto la legge divi-na ed umana. Non esercita ragionevolmente lasua libertà chi si oppone alla legge baldanzoso eribelle; non esercita ragionevolmente la sua liber-tà chi contraddice a Dio, ed alla temporale sovra-nità, chi vuol seguire il piacere e lasciare l'onestà,chi si attiene al vizio ed abbandona la virtù.... Laforma di governo democratico adottata fra di noi,o dilettissimi fratelli, no, non è in opposizionecolle massime fin qui esposte, nè ripugna al van-gelo: esige anzi tutte quelle sublimi virtù, che nons'imparano che alla scuola di Gesù Cristo, e lequali, se saranno da voi religiosamente praticate,formeranno la vostra felicità, la gloria, e lo splen-dore della vostra repubblica».

Fatto poscia un vivo elogio delle virtù degli antichi Ro-mani, il cardinale passa a dire:

impressioni contrarie concette dal popolo, intendevano imagistrati alle persuasioni, ma come d'uomini la mag-gior parte troppo dediti alle nuove opinioni, elle faceva-no poco frutto. Tentaronsi gli ecclesiastici, e fra gli altriil cardinale Chiaramonti, vescovo d'Imola, che poi fupapa sotto nome di Pio settimo. Il suo testimonio, e lesue esortazioni, come d'uomo di vita integerrima e reli-giosa, erano di molto momento. Pubblicò egli adunqueil giorno del Natale del presente anno un'omelìa, in cuiparlava in questa guisa ai fedeli della sua diocesi:

«La libertà, cara a Dio ed agli uomini, è una fa-coltà che fu donata all'uomo, è un dominio di po-ter fare o non fare, ma sempre sotto la legge divi-na ed umana. Non esercita ragionevolmente lasua libertà chi si oppone alla legge baldanzoso eribelle; non esercita ragionevolmente la sua liber-tà chi contraddice a Dio, ed alla temporale sovra-nità, chi vuol seguire il piacere e lasciare l'onestà,chi si attiene al vizio ed abbandona la virtù.... Laforma di governo democratico adottata fra di noi,o dilettissimi fratelli, no, non è in opposizionecolle massime fin qui esposte, nè ripugna al van-gelo: esige anzi tutte quelle sublimi virtù, che nons'imparano che alla scuola di Gesù Cristo, e lequali, se saranno da voi religiosamente praticate,formeranno la vostra felicità, la gloria, e lo splen-dore della vostra repubblica».

Fatto poscia un vivo elogio delle virtù degli antichi Ro-mani, il cardinale passa a dire:

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«Se le morali virtù così resero cospicua la latinalibertà, con quanta maggior ragione dobbiamo noiriputar necessaria la virtù nella presente democra-zìa, noi, che non viviamo invescati dal lezzo, edall'ambizione di sognar deità, noi che santificò ilVerbo di Dio fatto uomo.... Le morali virtù, chenon sono poi altro, che l'ordine dell'amore, ci fa-ranno buoni democratici, ma di una democrazìaretta, e che altro non cura, che la comune felicità,lontana dagli odj, dall'infedeltà, dall'ambizione,dall'arrogarsi gli altrui diritti, e dal mancare aipropri doveri. Quindi ci conserveranno l'ugua-glianza intesa nel suo retto significato, la qualedimostrando, che la legge si estende a tuttigl'individui della società e nel diriggergli, e nelproteggergli, e nel punirgli, ci dimostra ancora infaccia alla legge divina ed umana, quale propor-zione debba tenere ogni individuo nella democra-zìa tanto rapporto a Dio, quanto rapporto a sestesso ed ai suoi simili.

«Ma i perfetti doveri dell'uomo non si possonocompire nella sola virtù morale, e l'uguaglianza,che fa l'armonia e il bene della società, desideraaltre molle per la sua sussistenza, e per la sua per-fezione. Il Vangelo di Gesù Cristo ci fu dato comeun complesso di leggi, onde rendere gli uominiveramente perfetti anche in società, onde sistema-re quell'uguaglianza che ci faccia felici nel pre-sente giro dei giorni mortali, e più felicinell'aspettata eternità. La storia della filosofia ci

«Se le morali virtù così resero cospicua la latinalibertà, con quanta maggior ragione dobbiamo noiriputar necessaria la virtù nella presente democra-zìa, noi, che non viviamo invescati dal lezzo, edall'ambizione di sognar deità, noi che santificò ilVerbo di Dio fatto uomo.... Le morali virtù, chenon sono poi altro, che l'ordine dell'amore, ci fa-ranno buoni democratici, ma di una democrazìaretta, e che altro non cura, che la comune felicità,lontana dagli odj, dall'infedeltà, dall'ambizione,dall'arrogarsi gli altrui diritti, e dal mancare aipropri doveri. Quindi ci conserveranno l'ugua-glianza intesa nel suo retto significato, la qualedimostrando, che la legge si estende a tuttigl'individui della società e nel diriggergli, e nelproteggergli, e nel punirgli, ci dimostra ancora infaccia alla legge divina ed umana, quale propor-zione debba tenere ogni individuo nella democra-zìa tanto rapporto a Dio, quanto rapporto a sestesso ed ai suoi simili.

«Ma i perfetti doveri dell'uomo non si possonocompire nella sola virtù morale, e l'uguaglianza,che fa l'armonia e il bene della società, desideraaltre molle per la sua sussistenza, e per la sua per-fezione. Il Vangelo di Gesù Cristo ci fu dato comeun complesso di leggi, onde rendere gli uominiveramente perfetti anche in società, onde sistema-re quell'uguaglianza che ci faccia felici nel pre-sente giro dei giorni mortali, e più felicinell'aspettata eternità. La storia della filosofia ci

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dimostra la mancanza di tal progetto, la storia delVangelo ce ne dimostra l'esecuzione e il compi-mento....

«Decidete quanto conferiscano i precetti del Van-gelo, le tradizioni degli apostoli, e dei gran filoso-fi padri, e dottori cristiani a conservare la pace, afar risplendere la vera grandezza dello stato de-mocratico, a fare di tanti uomini, dirò così, tantieroi di umiltà, di prudenza nel governare, di caritànel fraternizzare fra loro stessi, e con Gesù Cri-sto.... Il luminoso oggetto della nostra democrazìadev'essere di stabilire la massima possibile unionedi sentimenti, di cuori, di forze fisiche e morali,onde ne derivi una soave fratellanza nella socie-tà....

«Eccovi, o dilettissimi fratelli, uno sparuto abboz-zo degli evangelici dettami. Vedete ivi quale pos-sanza, qual influsso risplenda per la massima vir-tù dell'uomo, per la civile uguaglianza, per la re-golata libertà, per quell'unione insomma d'amoree di tranquillità, che fa la sussistenza, e l'onoredella democrazìa. Forse per la durevole felicitàdegli altri governi basterà una virtù comune, manella democrazìa studiatevi di essere della massi-ma possibile virtù, e sarete i veri democratici: stu-diate, ed eseguite il Vangelo, e sarete la gioja del -la repubblica;... la religione cattolica sia l'oggettopiù prezioso del vostro cuore, della vostra divo-zione, e di ogni altro vostro sentimento. Non cre-

dimostra la mancanza di tal progetto, la storia delVangelo ce ne dimostra l'esecuzione e il compi-mento....

«Decidete quanto conferiscano i precetti del Van-gelo, le tradizioni degli apostoli, e dei gran filoso-fi padri, e dottori cristiani a conservare la pace, afar risplendere la vera grandezza dello stato de-mocratico, a fare di tanti uomini, dirò così, tantieroi di umiltà, di prudenza nel governare, di caritànel fraternizzare fra loro stessi, e con Gesù Cri-sto.... Il luminoso oggetto della nostra democrazìadev'essere di stabilire la massima possibile unionedi sentimenti, di cuori, di forze fisiche e morali,onde ne derivi una soave fratellanza nella socie-tà....

«Eccovi, o dilettissimi fratelli, uno sparuto abboz-zo degli evangelici dettami. Vedete ivi quale pos-sanza, qual influsso risplenda per la massima vir-tù dell'uomo, per la civile uguaglianza, per la re-golata libertà, per quell'unione insomma d'amoree di tranquillità, che fa la sussistenza, e l'onoredella democrazìa. Forse per la durevole felicitàdegli altri governi basterà una virtù comune, manella democrazìa studiatevi di essere della massi-ma possibile virtù, e sarete i veri democratici: stu-diate, ed eseguite il Vangelo, e sarete la gioja del -la repubblica;... la religione cattolica sia l'oggettopiù prezioso del vostro cuore, della vostra divo-zione, e di ogni altro vostro sentimento. Non cre-

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diate, che ella si opponga alla forma del governodemocratico. In questo stato vivendo uniti al vo-stro divin Salvatore, potete concepire una giustafiducia dell'eterna salute, potete operare la felicitàtemporale di voi stessi, e dei vostri simili, e pro-curare la gloria della repubblica e delle autoritàconstituite.... Sì, miei cari fratelli, siate buoni cri-stiani, e sarete ottimi democratici».

Queste parole con tanta soavità dette da un uomo cosìeminente per dignità, e così venerato per la santità deicostumi, calmavano gli spiriti, raddolcivano i cuori, epreparavano radici al nuovo stato.Ordinata la Cisalpina, restava che le potenze amiche allaFrancia la riconoscessero in solenne modo, come poten-tato Europeo. Vi si adoperava Buonaparte cupidamente,recando a gloria propria che non solo vivesse la creazio-ne sua, ma ancora assumesse la condizione di vero stato.In questa bisogna il mezzo più facile era anche il più ef-ficace; quest'era che la Francia riconoscesse quella suafigliuola primogenita, come la chiamavano.A questo fine mandava il direttorio Cisalpino per suoambasciadore a Parigi un Visconti, che stato prima unodell'amministrazione generale di Lombardia, ed amatoda Buonaparte, ma stimato da lui troppo vivo nelle opi-nioni dei tempi, non era stato eletto fra i quinqueviri, nèfra i magistrati subalterni; pure pareva, che in grado pri-vato più non potesse vivere.

diate, che ella si opponga alla forma del governodemocratico. In questo stato vivendo uniti al vo-stro divin Salvatore, potete concepire una giustafiducia dell'eterna salute, potete operare la felicitàtemporale di voi stessi, e dei vostri simili, e pro-curare la gloria della repubblica e delle autoritàconstituite.... Sì, miei cari fratelli, siate buoni cri-stiani, e sarete ottimi democratici».

Queste parole con tanta soavità dette da un uomo cosìeminente per dignità, e così venerato per la santità deicostumi, calmavano gli spiriti, raddolcivano i cuori, epreparavano radici al nuovo stato.Ordinata la Cisalpina, restava che le potenze amiche allaFrancia la riconoscessero in solenne modo, come poten-tato Europeo. Vi si adoperava Buonaparte cupidamente,recando a gloria propria che non solo vivesse la creazio-ne sua, ma ancora assumesse la condizione di vero stato.In questa bisogna il mezzo più facile era anche il più ef-ficace; quest'era che la Francia riconoscesse quella suafigliuola primogenita, come la chiamavano.A questo fine mandava il direttorio Cisalpino per suoambasciadore a Parigi un Visconti, che stato prima unodell'amministrazione generale di Lombardia, ed amatoda Buonaparte, ma stimato da lui troppo vivo nelle opi-nioni dei tempi, non era stato eletto fra i quinqueviri, nèfra i magistrati subalterni; pure pareva, che in grado pri-vato più non potesse vivere.

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Fu veduto a Parigi molto volentieri il Visconti, ed inpubblica udienza, presenti tutti i ministri di Francia, egli ambasciadori delle potenze amiche, il dì venzetteagosto, solennemente udito. Parlava magnificamente deibenefizj della repubblica Francese, della gratitudine del-la Cisalpina; esprimeva, unico, e primo desiderio dei Ci-salpini essere il farsi degni della illustre nazione France-se; di loro non potere aver ella amici nè più affezionati,nè più fedeli; comune avere le due repubbliche la vita,comuni gl'interessi, comune ancora dover avere la felici-tà, nè senza i Francesi volere, o poter essere i Cisalpinifelici; le vittorie del trionfator Buonaparte già aver pro-curato pace, e quiete alla Cisalpina; desiderare, che laFrancia ancor essa quella pace si godesse, e quella feli-cità gustasse, che le sue vittorie, e la sublime di lei con-stituzione le promettevano. Queste cose scritte in Fran-cese, poi tradotte in pessimo Italiano nei giornali deitempi, diceva Visconti. A cui magnificamente, ed anchetumidamente, secondo i tempi, rispondeva il presidentedel direttorio, piacere alla repubblica Francese la crea-zione, e l'amicizia della Cisalpina; non dubitasse, che vi-verebbe libera e felice lungo tempo. Poi parlava di ser-penti, che mordevano Buonaparte, quindi di maschereportate prima, poi deposte dai nemici delle due repub-bliche. Sapere il direttorio, che quest'uomini velenosi, eperfidi volevano distruggere la libertà sulla terra; ma laFrancia esser sana e forte, e fortificarsi ogni giorno piùper una corona intorno di popoli liberi, e governati daleggi consimili. Appresso parlava il presidente di mode-

Fu veduto a Parigi molto volentieri il Visconti, ed inpubblica udienza, presenti tutti i ministri di Francia, egli ambasciadori delle potenze amiche, il dì venzetteagosto, solennemente udito. Parlava magnificamente deibenefizj della repubblica Francese, della gratitudine del-la Cisalpina; esprimeva, unico, e primo desiderio dei Ci-salpini essere il farsi degni della illustre nazione France-se; di loro non potere aver ella amici nè più affezionati,nè più fedeli; comune avere le due repubbliche la vita,comuni gl'interessi, comune ancora dover avere la felici-tà, nè senza i Francesi volere, o poter essere i Cisalpinifelici; le vittorie del trionfator Buonaparte già aver pro-curato pace, e quiete alla Cisalpina; desiderare, che laFrancia ancor essa quella pace si godesse, e quella feli-cità gustasse, che le sue vittorie, e la sublime di lei con-stituzione le promettevano. Queste cose scritte in Fran-cese, poi tradotte in pessimo Italiano nei giornali deitempi, diceva Visconti. A cui magnificamente, ed anchetumidamente, secondo i tempi, rispondeva il presidentedel direttorio, piacere alla repubblica Francese la crea-zione, e l'amicizia della Cisalpina; non dubitasse, che vi-verebbe libera e felice lungo tempo. Poi parlava di ser-penti, che mordevano Buonaparte, quindi di maschereportate prima, poi deposte dai nemici delle due repub-bliche. Sapere il direttorio, che quest'uomini velenosi, eperfidi volevano distruggere la libertà sulla terra; ma laFrancia esser sana e forte, e fortificarsi ogni giorno piùper una corona intorno di popoli liberi, e governati daleggi consimili. Appresso parlava il presidente di mode-

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razione e di temperanza, non di quelle degli animi vili, etimorosi, ma di quelle degli animi ben composti, e forti.

«No, prorompeva, immortali guerrieri, non fia,che l'opera vostra accompagnata da tanti miracoli,e da tanta gloria, non lasci un segno durevole inItalia nella conservazione di uno stato libero, e diun alleato fedele della vostra patria. No, popolidella Cisalpina, voi non avrete gustato i primifrutti della vostra indipendenza per tornar a vive-re in servitù. Il destino vostro non girerà a mododi coloro, che con male parole, e con discorsi bu-giardi insidiano alla libertà. Il serpe frodolentoromperà i denti sulla lima, nè il pigmeo distrug-gerà l'opera del gigante. In Italia sono gli esercitivincitori, sonvi i forti generali, evvi il trionfatorBuonaparte. Il direttorio amico alla Cisalpinavuol fondare con ogni suo sforzo, a malgrado del-le congiure e delle calunnie, la libertà di lei; stes-sero pur sicuri i Cisalpini, e confidassero nellagrandezza e nella lealtà della nazione Francese,nel coraggio e nel valore dei suoi soldati, nellarettitudine e nella costanza del direttorio: niunopiù acceso, niuno più ardente desiderio avere ildirettorio di questo, che i Cisalpini vivessero feli-ci, e liberi».

Questi detti minacciosi toccavano l'Austria, che nei ne-goziati di pace, che allora pendevano, veduto che Buo-naparte aveva ritratto l'esercito, ed avendo lei stessa connuove leve ricomposto le sue genti, stava sul tirato, e

razione e di temperanza, non di quelle degli animi vili, etimorosi, ma di quelle degli animi ben composti, e forti.

«No, prorompeva, immortali guerrieri, non fia,che l'opera vostra accompagnata da tanti miracoli,e da tanta gloria, non lasci un segno durevole inItalia nella conservazione di uno stato libero, e diun alleato fedele della vostra patria. No, popolidella Cisalpina, voi non avrete gustato i primifrutti della vostra indipendenza per tornar a vive-re in servitù. Il destino vostro non girerà a mododi coloro, che con male parole, e con discorsi bu-giardi insidiano alla libertà. Il serpe frodolentoromperà i denti sulla lima, nè il pigmeo distrug-gerà l'opera del gigante. In Italia sono gli esercitivincitori, sonvi i forti generali, evvi il trionfatorBuonaparte. Il direttorio amico alla Cisalpinavuol fondare con ogni suo sforzo, a malgrado del-le congiure e delle calunnie, la libertà di lei; stes-sero pur sicuri i Cisalpini, e confidassero nellagrandezza e nella lealtà della nazione Francese,nel coraggio e nel valore dei suoi soldati, nellarettitudine e nella costanza del direttorio: niunopiù acceso, niuno più ardente desiderio avere ildirettorio di questo, che i Cisalpini vivessero feli-ci, e liberi».

Questi detti minacciosi toccavano l'Austria, che nei ne-goziati di pace, che allora pendevano, veduto che Buo-naparte aveva ritratto l'esercito, ed avendo lei stessa connuove leve ricomposto le sue genti, stava sul tirato, e

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metteva in mezzo condizioni, che parevano esorbitanti,massimamente quella di volersi ricuperar Mantova.Un parlare tanto risoluto sbigottiva le potenze minori,che, o già serve del tutto della repubblica di Francia, oda lei interamente dipendenti, non avevano altra elezio-ne che quella di obbedire. Per la qual cosa non esitavanoil re di Spagna, quei di Napoli e di Sardegna, il granduca di Toscana, la repubblica Ligure, ed il duca di Par-ma a mandar ambasciatori, o ministri, o simili altriagenti a Milano, acciocchè tenessero bene edificato, ebene inclinato quel nuovo stato tanto prediletto di Buo-naparte. In questo ancora ponevano l'animo allo investi-gare in mezzo a tante gelosìe ed a tanti timori, quello,che succedesse a Milano in pro od in pregiudizio deglistati loro; perchè a Milano si volgevano allora le sorti ditutti gli stati d'Italia. Perciò i patriotti gridavano, chequesti ministri erano spie per rapportare, stromenti persubornare. Gli laceravano con gli scritti, gli oltraggiava-no con le parole, talvolta ancora coi fatti gli maltrattava-no; esorbitanze insopportabili. Principalmente i fuoru-sciti delle diverse parti d'Italia, raccolti in gran numeroin Milano, non si potevano tenere. Buonaparte se nesdegnava, e dava loro spesso sulla voce, e talvolta sullemani, ma essi ripullulavano, e straboccavano più mole-sti da un altro lato, per forma che non vi era requie conloro.Introdotti al direttorio Cisalpino oravano i ministri estericon parole di pace e d'amicizia, a cui secondo il solito,

metteva in mezzo condizioni, che parevano esorbitanti,massimamente quella di volersi ricuperar Mantova.Un parlare tanto risoluto sbigottiva le potenze minori,che, o già serve del tutto della repubblica di Francia, oda lei interamente dipendenti, non avevano altra elezio-ne che quella di obbedire. Per la qual cosa non esitavanoil re di Spagna, quei di Napoli e di Sardegna, il granduca di Toscana, la repubblica Ligure, ed il duca di Par-ma a mandar ambasciatori, o ministri, o simili altriagenti a Milano, acciocchè tenessero bene edificato, ebene inclinato quel nuovo stato tanto prediletto di Buo-naparte. In questo ancora ponevano l'animo allo investi-gare in mezzo a tante gelosìe ed a tanti timori, quello,che succedesse a Milano in pro od in pregiudizio deglistati loro; perchè a Milano si volgevano allora le sorti ditutti gli stati d'Italia. Perciò i patriotti gridavano, chequesti ministri erano spie per rapportare, stromenti persubornare. Gli laceravano con gli scritti, gli oltraggiava-no con le parole, talvolta ancora coi fatti gli maltrattava-no; esorbitanze insopportabili. Principalmente i fuoru-sciti delle diverse parti d'Italia, raccolti in gran numeroin Milano, non si potevano tenere. Buonaparte se nesdegnava, e dava loro spesso sulla voce, e talvolta sullemani, ma essi ripullulavano, e straboccavano più mole-sti da un altro lato, per forma che non vi era requie conloro.Introdotti al direttorio Cisalpino oravano i ministri estericon parole di pace e d'amicizia, a cui secondo il solito,

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ed anche meno del solito credeva nè chi le diceva nè chile udiva: così con questi inorpellamenti s'ingannavano avicenda, o piuttosto non s'ingannavano, perchè gli uni egli altri ottimamente sapevano, che cosa ci fosse sotto.Esitava il papa al mandare un ministro, perchè gli pare-va, che i Cisalpini avessero posta la falce nella messereligiosa. Ma dettesi certe parole da Buonaparte, e fatto-gli un motivo addosso dai Cisalpini, che armatamente sierano impadroniti della fortezza di San Leo, e minaccia-vano di andar più avanti con l'armi pericolose, e coi ma-nifesti più pericolosi ancora, si piegava ancor egli.L'Austria, riputando che fosse dignità l'indugiare, nons'inclinava a mandar un ambasciatore a Milano, preten-dendo, ed allegando ciò che era vero, che la Cisalpina,anche come già si trovava constituita legalmente in re-pubblica ordinata, non era stato franco, e indipendente,perchè e le sue fortezze erano in mano dei Francesi, ed icomandanti Francesi pubblicavano di propria autorità intutta la Cisalpina, e nella sede stessa di Milano ordini, emanifesti, ed anzi i magistrati nissun ordine e manifestopubblicavano, se non dopo che fossero veduti ed ap-pruovati dai comandanti Francesi.Accettati i ministri delle potenze estere, aveva il diretto-rio Cisalpino mandato i suoi agenti politici a sederepresso le potenze medesime, e coi medesimi fini di ono-rare con le parole, e di spiare coi fatti. Vedevano Torino,Napoli, Roma, Firenze, Genova, Parma i legati Cisalpi-ni. Bene pe' suoi fini aveva scelto gli uomini suoi la Ci-

ed anche meno del solito credeva nè chi le diceva nè chile udiva: così con questi inorpellamenti s'ingannavano avicenda, o piuttosto non s'ingannavano, perchè gli uni egli altri ottimamente sapevano, che cosa ci fosse sotto.Esitava il papa al mandare un ministro, perchè gli pare-va, che i Cisalpini avessero posta la falce nella messereligiosa. Ma dettesi certe parole da Buonaparte, e fatto-gli un motivo addosso dai Cisalpini, che armatamente sierano impadroniti della fortezza di San Leo, e minaccia-vano di andar più avanti con l'armi pericolose, e coi ma-nifesti più pericolosi ancora, si piegava ancor egli.L'Austria, riputando che fosse dignità l'indugiare, nons'inclinava a mandar un ambasciatore a Milano, preten-dendo, ed allegando ciò che era vero, che la Cisalpina,anche come già si trovava constituita legalmente in re-pubblica ordinata, non era stato franco, e indipendente,perchè e le sue fortezze erano in mano dei Francesi, ed icomandanti Francesi pubblicavano di propria autorità intutta la Cisalpina, e nella sede stessa di Milano ordini, emanifesti, ed anzi i magistrati nissun ordine e manifestopubblicavano, se non dopo che fossero veduti ed ap-pruovati dai comandanti Francesi.Accettati i ministri delle potenze estere, aveva il diretto-rio Cisalpino mandato i suoi agenti politici a sederepresso le potenze medesime, e coi medesimi fini di ono-rare con le parole, e di spiare coi fatti. Vedevano Torino,Napoli, Roma, Firenze, Genova, Parma i legati Cisalpi-ni. Bene pe' suoi fini aveva scelto gli uomini suoi la Ci-

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salpina, perchè erano tutti, o la maggior parte, giovani dispiriti vivi, ed accesi nelle opinioni che correvano, mapure, se non prudenti, almeno astuti, e senza intermis-sione operativi. L'aggiunta di tante nuove provincie alcentro Cisalpino aveva dato nuova forza al disegnodell'unione Italica, ed i ministri Cisalpini fomentavanoquesto disegno medesimo con ogni arte negli stati Italia-ni, presso cui risiedevano. Solo Marescalchi, di famigliaprincipalissima di Bologna, che era stato mandato am-basciadore a Vienna, non faceva frutto, perchè nèl'imperatore l'aveva voluto riconoscere nella sua qualitàpubblica, nè era d'animo volto al propagare; perchè glipiaceva una libertà placida e molle, non una libertà in-quieta e sdegnosa, ed anche, quantunque fosse d'inge-gno non molto acuto, sapeva misurare le cose, non conla immaginazione, ma con la ragione. Serviva piuttostoper evitar il non servire, che per servire, uomo da essertirato, non da tirare altrui.Soprastava ad arrivare il ministro di Francia a Milano,non perchè non fosse il direttorio Francese amico, maperchè l'inviato doveva arrivarvi con molta materia ap-prestata, come sarem per narrare in appresso.Chiamava intanto Buonaparte, oramai vicino ad avercompito con gli ordinamenti politici quell'opera, che conle armi aveva fondato, i legislatori Cisalpini, centoses-santa pel consiglio grande, ottanta per quello degli an-ziani. Onorati nomi vi risplendevano per sapere, per an-tichità, per ricchezze, per amore di libertà. Eranvi un

salpina, perchè erano tutti, o la maggior parte, giovani dispiriti vivi, ed accesi nelle opinioni che correvano, mapure, se non prudenti, almeno astuti, e senza intermis-sione operativi. L'aggiunta di tante nuove provincie alcentro Cisalpino aveva dato nuova forza al disegnodell'unione Italica, ed i ministri Cisalpini fomentavanoquesto disegno medesimo con ogni arte negli stati Italia-ni, presso cui risiedevano. Solo Marescalchi, di famigliaprincipalissima di Bologna, che era stato mandato am-basciadore a Vienna, non faceva frutto, perchè nèl'imperatore l'aveva voluto riconoscere nella sua qualitàpubblica, nè era d'animo volto al propagare; perchè glipiaceva una libertà placida e molle, non una libertà in-quieta e sdegnosa, ed anche, quantunque fosse d'inge-gno non molto acuto, sapeva misurare le cose, non conla immaginazione, ma con la ragione. Serviva piuttostoper evitar il non servire, che per servire, uomo da essertirato, non da tirare altrui.Soprastava ad arrivare il ministro di Francia a Milano,non perchè non fosse il direttorio Francese amico, maperchè l'inviato doveva arrivarvi con molta materia ap-prestata, come sarem per narrare in appresso.Chiamava intanto Buonaparte, oramai vicino ad avercompito con gli ordinamenti politici quell'opera, che conle armi aveva fondato, i legislatori Cisalpini, centoses-santa pel consiglio grande, ottanta per quello degli an-ziani. Onorati nomi vi risplendevano per sapere, per an-tichità, per ricchezze, per amore di libertà. Eranvi un

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Quadrio, un Giovio, un Melzi, un Birago, un Cicognara,un Compagnoni, un Savoldi, un Cagnoli, un Monga, unVenturi, un Lamberti, un Polfranceschi, un Martinengo,un Fenaroli, un Lecchi, un Lattanzi, un Colonia Ebreo,un Arese, un Reina, un Beccaria, un Somaglia, un Bossi,un Castiglione, un Tassoni, un Cavedoni, un Aldini, unGuglielmini, un Aldrovandi, un Mascheroni, un Mangi-li, un Bellisomi, un Malaspina, un Alpruni, un Fontana,uno Scarpa, tutti tre professori molto celebrati di Pavia,un Castelbarco, un Pallavicini.A tutti questi aggiungeva Francesco Gianni, giovane disingolare spirito poetico dotato, e cantor suo favoritissi-mo. Era il poeta nato in Roma; ma la Cisalpina, conside-rato, quest'esse furono le parole della legge, che il citta-dino Francesco Gianni aveva principalmente applicato ipoetici suoi talenti a celebrare il genio della libertà Ita-liana, ed encomiare l'invitta armata Francese, con chenelle attuali circostanze si veniva a vieppiù promuoverelo spirito pubblico, gli dava con solenne ed apposita leg-ge la naturalità.I consigli adunati ardentemente procedendo, si accosta-vano alle opinioni dei democrati più vivi, il che, dall'unde' lati dispiaceva a Buonaparte a cagione della naturasua inclinata allo stringere, dall'altro gli piaceva per dartimore all'Austria, che pareva allora voler prendere no-velli spiriti.Ordinata al modo che abbiam narrato la Cisalpina, il ca-

Quadrio, un Giovio, un Melzi, un Birago, un Cicognara,un Compagnoni, un Savoldi, un Cagnoli, un Monga, unVenturi, un Lamberti, un Polfranceschi, un Martinengo,un Fenaroli, un Lecchi, un Lattanzi, un Colonia Ebreo,un Arese, un Reina, un Beccaria, un Somaglia, un Bossi,un Castiglione, un Tassoni, un Cavedoni, un Aldini, unGuglielmini, un Aldrovandi, un Mascheroni, un Mangi-li, un Bellisomi, un Malaspina, un Alpruni, un Fontana,uno Scarpa, tutti tre professori molto celebrati di Pavia,un Castelbarco, un Pallavicini.A tutti questi aggiungeva Francesco Gianni, giovane disingolare spirito poetico dotato, e cantor suo favoritissi-mo. Era il poeta nato in Roma; ma la Cisalpina, conside-rato, quest'esse furono le parole della legge, che il citta-dino Francesco Gianni aveva principalmente applicato ipoetici suoi talenti a celebrare il genio della libertà Ita-liana, ed encomiare l'invitta armata Francese, con chenelle attuali circostanze si veniva a vieppiù promuoverelo spirito pubblico, gli dava con solenne ed apposita leg-ge la naturalità.I consigli adunati ardentemente procedendo, si accosta-vano alle opinioni dei democrati più vivi, il che, dall'unde' lati dispiaceva a Buonaparte a cagione della naturasua inclinata allo stringere, dall'altro gli piaceva per dartimore all'Austria, che pareva allora voler prendere no-velli spiriti.Ordinata al modo che abbiam narrato la Cisalpina, il ca-

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pitano vincitore scriveva le seguenti parole per ultimovale a' suoi popoli,

«Il dì ventuno novembre fia pienamente in atto lavostra constituzione; e saranno altresì organizzatiil vostro direttorio, il corpo legislativo, il tribuna-le di cassazione, e le altre amministrazioni subal-terne. Voi siete fra tutti i popoli il primo, che sen-za fazioni, senza rivoluzioni, senza stragi liberodivenga. Noi vi diemmo la libertà; voi sappiateconservarla. Voi siete, trattone solo la Francia, lapiù popolata, la più ricca repubblica; vi chiama ildestin vostro a gran cose in Europa: secondate levostre sorti con far leggi savie e moderate, coneseguirle con forza e con vigore; propagate ledottrine, rispettate la religione. Riempite i vostribattaglioni, non già di vagabondi, ma sì di cittadi-ni nodriti nei principj della repubblica, ed amatoridella sua prosperità. Imbevetevi, che ancor neavete bisogno, del sentimento della vostra forza, edella dignità, che ad uomo libero si appartiene.Divisi fra di voi, domi per tanti anni da un'impor-tuna tirannide, voi non avreste mai potuto da voistessi conquistare la libertà, ma fra pochi anni po-trete anche soli difenderla contro ogni nemicoqual ch'egli sia; proteggeravvi intanto contro gliassalti dei vostri vicini la gran nazione; col nostrosarà lo stato vostro congiunto. Se il popolo Ro-mano avesse usato la sua forza, come la sua ilFrancese, ancora sul Campidoglio si anniderebbe-ro le Romane aquile, nè diciotto secoli di schiavi-

pitano vincitore scriveva le seguenti parole per ultimovale a' suoi popoli,

«Il dì ventuno novembre fia pienamente in atto lavostra constituzione; e saranno altresì organizzatiil vostro direttorio, il corpo legislativo, il tribuna-le di cassazione, e le altre amministrazioni subal-terne. Voi siete fra tutti i popoli il primo, che sen-za fazioni, senza rivoluzioni, senza stragi liberodivenga. Noi vi diemmo la libertà; voi sappiateconservarla. Voi siete, trattone solo la Francia, lapiù popolata, la più ricca repubblica; vi chiama ildestin vostro a gran cose in Europa: secondate levostre sorti con far leggi savie e moderate, coneseguirle con forza e con vigore; propagate ledottrine, rispettate la religione. Riempite i vostribattaglioni, non già di vagabondi, ma sì di cittadi-ni nodriti nei principj della repubblica, ed amatoridella sua prosperità. Imbevetevi, che ancor neavete bisogno, del sentimento della vostra forza, edella dignità, che ad uomo libero si appartiene.Divisi fra di voi, domi per tanti anni da un'impor-tuna tirannide, voi non avreste mai potuto da voistessi conquistare la libertà, ma fra pochi anni po-trete anche soli difenderla contro ogni nemicoqual ch'egli sia; proteggeravvi intanto contro gliassalti dei vostri vicini la gran nazione; col nostrosarà lo stato vostro congiunto. Se il popolo Ro-mano avesse usato la sua forza, come la sua ilFrancese, ancora sul Campidoglio si anniderebbe-ro le Romane aquile, nè diciotto secoli di schiavi-

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tù e di tirannia avrebbero fatte vili e disonorate leumane generazioni. Per consolidare la libertà vo-stra, e mosso unicamente dal desiderio della vo-stra felicità, io feci quello, che altri han fatto perambizione, e per la sfrenata voglia del comanda-re. Io feci la elezione di tutti i magistrati, e sonmimesso a pericolo di dimenticare l'uomo probo conposporlo all'ambizioso; ma peggio sarebbe stato,se aveste fatto voi stessi le elezioni, perchè gli or-dini vostri non ancora erano compiti. Fra pochigiorni vi lascio. Tornerommene fra di voi, quandoun ordine del mio governo, od i pericoli vostri mirichiameranno. Ma qualunque sia il luogo, a cuisiano ora per chiamarmi i comandamenti dellamia patria, questo vi potete promettere di me, chesono, e sempre sarommi ardente amatore della fe-licità, e della gloria della vostra repubblica».

Queste dolci parole del capitano invitto molto riscalda-vano gli animi. Parevano veramente altri tempi, pareva-no altri destini. Quest'erano le operazioni palesi di Buo-naparte: altre di uguale, anzi di maggiore importanza sene stava macchinando in segreto. Erano a quei tempi almondo quattro cose, che a tutte le altre sovrastavano, lagloria molto risplendente di Buonaparte, il timore, cheavevano i re, che quella repubblica Francese non gliconducesse tutti a ruina, la repubblica Francese stessafondata in una nazione, che per la natura sua non può vi-vere in repubblica, e finalmente una casa di Borbone,esule sì, ma con molte radici in Francia, fatte ancor più

tù e di tirannia avrebbero fatte vili e disonorate leumane generazioni. Per consolidare la libertà vo-stra, e mosso unicamente dal desiderio della vo-stra felicità, io feci quello, che altri han fatto perambizione, e per la sfrenata voglia del comanda-re. Io feci la elezione di tutti i magistrati, e sonmimesso a pericolo di dimenticare l'uomo probo conposporlo all'ambizioso; ma peggio sarebbe stato,se aveste fatto voi stessi le elezioni, perchè gli or-dini vostri non ancora erano compiti. Fra pochigiorni vi lascio. Tornerommene fra di voi, quandoun ordine del mio governo, od i pericoli vostri mirichiameranno. Ma qualunque sia il luogo, a cuisiano ora per chiamarmi i comandamenti dellamia patria, questo vi potete promettere di me, chesono, e sempre sarommi ardente amatore della fe-licità, e della gloria della vostra repubblica».

Queste dolci parole del capitano invitto molto riscalda-vano gli animi. Parevano veramente altri tempi, pareva-no altri destini. Quest'erano le operazioni palesi di Buo-naparte: altre di uguale, anzi di maggiore importanza sene stava macchinando in segreto. Erano a quei tempi almondo quattro cose, che a tutte le altre sovrastavano, lagloria molto risplendente di Buonaparte, il timore, cheavevano i re, che quella repubblica Francese non gliconducesse tutti a ruina, la repubblica Francese stessafondata in una nazione, che per la natura sua non può vi-vere in repubblica, e finalmente una casa di Borbone,esule sì, ma con molte radici in Francia, fatte ancor più

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tenaci, e più profonde per le enormità dell'insolita re-pubblica. Si desiderava pertanto e dentro della Franciada non pochi uomini temperati, e fuori da tutte le poten-ze, che la repubblica si spegnesse, ed il consueto reggi-mento, per quanto gl'interessi nuovi il permettessero, colmezzo dei Borboni si ristorasse. Nè essendosi questofine potuto conseguire coll'armi civili delle Vendea, nècoll'armi esterne di tutta l'Europa, perchè la nazioneFrancese, che forte ed animosa è, non aveva voluto la-sciarsi sforzare, si pensava, che i maneggi segreti, lepromesse, le corruttele, e le adulazioni potessero averemaggior efficacia. A questo fine, e con questi mezzi siera operato che le nuove elezioni ai consigli legislativicadessero in uomini, che amassero meglio la monarchìadei Borboni, che la repubblica, ed in ciò si era fatto nonpoco effetto. Siccome poi a tutti i moti è necessario uncapo di chiaro nome, così avevano al consiglio dei gio-vani eletto il generale Pichegru, capitano rinomato perle sue vittorie in Alemagna ed in Olanda. Con lui con-correvano molti altri personaggi famosi o per armi o perdottrina, o per segnalati fatti nelle rivoluzioni politichedi Francia. Nel direttorio stesso Barthelemi favoriva ildisegno per natura e per opinione, ed i desiderj suoi finoai Borboni si estendevano; che certamente aveva datoquesti segni di se nella sua ambascerìa in Isvizzera. Ilfavoriva, siccome pare, anche Carnot, o che volesse lamonarchìa dei Borboni, il che è incerto, o che solamentedisegnasse, come uomo di acutissimo pensiero, ridurre,spenti gli uomini immoderati, quello stato di repubblica

tenaci, e più profonde per le enormità dell'insolita re-pubblica. Si desiderava pertanto e dentro della Franciada non pochi uomini temperati, e fuori da tutte le poten-ze, che la repubblica si spegnesse, ed il consueto reggi-mento, per quanto gl'interessi nuovi il permettessero, colmezzo dei Borboni si ristorasse. Nè essendosi questofine potuto conseguire coll'armi civili delle Vendea, nècoll'armi esterne di tutta l'Europa, perchè la nazioneFrancese, che forte ed animosa è, non aveva voluto la-sciarsi sforzare, si pensava, che i maneggi segreti, lepromesse, le corruttele, e le adulazioni potessero averemaggior efficacia. A questo fine, e con questi mezzi siera operato che le nuove elezioni ai consigli legislativicadessero in uomini, che amassero meglio la monarchìadei Borboni, che la repubblica, ed in ciò si era fatto nonpoco effetto. Siccome poi a tutti i moti è necessario uncapo di chiaro nome, così avevano al consiglio dei gio-vani eletto il generale Pichegru, capitano rinomato perle sue vittorie in Alemagna ed in Olanda. Con lui con-correvano molti altri personaggi famosi o per armi o perdottrina, o per segnalati fatti nelle rivoluzioni politichedi Francia. Nel direttorio stesso Barthelemi favoriva ildisegno per natura e per opinione, ed i desiderj suoi finoai Borboni si estendevano; che certamente aveva datoquesti segni di se nella sua ambascerìa in Isvizzera. Ilfavoriva, siccome pare, anche Carnot, o che volesse lamonarchìa dei Borboni, il che è incerto, o che solamentedisegnasse, come uomo di acutissimo pensiero, ridurre,spenti gli uomini immoderati, quello stato di repubblica

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scorretta e tumultuaria a forma più stretta e più ordinata.Seppesi questo maneggio dai tre quinqueviri, che non vierano mescolati, e si misero all'ordine per isturbarlo,perchè amavano la repubblica, e temevano la monar-chìa. È quivi per altro debito nostro riferire, che a questotempo alcune pratiche segrete si erano introdotte traBarras, uno dei tre, ed alcuni agenti di Luigi decimotta-vo, per le quali il quinqueviro aveva dato speranza, es'era anche obbligato a favorire la rinstaurazione deiBorboni sotto condizione di dimenticanza del passato, epromessa di premio in denaro; ma con la medesima sin-cerità procedendo, dobbiamo notare, che sebbene siavero, che queste pratiche siano esistite, Barras sdegno-samente, e con termini molto espressivi negò d'aver vo-luto procurare la mutazione del governo allora sussi-stente, ed asseverò, avere prestato orecchio agli agentidei Borboni col solo fine di conoscere, e sventar le lorotrame: vogliono anzi alcuni, che gli volesse condurre inluogo dove potessero essere arrestati. Pubblicò di più,aver ciò fatto con saputa e consentimento espresso de'suoi colleghi del direttorio, ai quali a questo fine avevacomunicato il negozio. Dà verisimile colore a quest'ulti-ma allegazione l'averla lui pubblicata quando gli sareb-be stato utile dire il contrario, se fosse stato vero, ed ilcitare, per pruova della verità del fatto, il testimonio deiministri di quel tempo, de' suoi colleghi del direttorio,ed anzi i registri segreti di questo magistrato supremodella repubblica, in cui, siccome affermò, vi era un de-creto che l'autorizzava a condurre queste pratiche. Co-

scorretta e tumultuaria a forma più stretta e più ordinata.Seppesi questo maneggio dai tre quinqueviri, che non vierano mescolati, e si misero all'ordine per isturbarlo,perchè amavano la repubblica, e temevano la monar-chìa. È quivi per altro debito nostro riferire, che a questotempo alcune pratiche segrete si erano introdotte traBarras, uno dei tre, ed alcuni agenti di Luigi decimotta-vo, per le quali il quinqueviro aveva dato speranza, es'era anche obbligato a favorire la rinstaurazione deiBorboni sotto condizione di dimenticanza del passato, epromessa di premio in denaro; ma con la medesima sin-cerità procedendo, dobbiamo notare, che sebbene siavero, che queste pratiche siano esistite, Barras sdegno-samente, e con termini molto espressivi negò d'aver vo-luto procurare la mutazione del governo allora sussi-stente, ed asseverò, avere prestato orecchio agli agentidei Borboni col solo fine di conoscere, e sventar le lorotrame: vogliono anzi alcuni, che gli volesse condurre inluogo dove potessero essere arrestati. Pubblicò di più,aver ciò fatto con saputa e consentimento espresso de'suoi colleghi del direttorio, ai quali a questo fine avevacomunicato il negozio. Dà verisimile colore a quest'ulti-ma allegazione l'averla lui pubblicata quando gli sareb-be stato utile dire il contrario, se fosse stato vero, ed ilcitare, per pruova della verità del fatto, il testimonio deiministri di quel tempo, de' suoi colleghi del direttorio,ed anzi i registri segreti di questo magistrato supremodella repubblica, in cui, siccome affermò, vi era un de-creto che l'autorizzava a condurre queste pratiche. Co-

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munque ciò sia, era allora l'esercito d'Italia in bocca ditutti, e quanto da lui veniva era ricevuto in Francia congrandissimo o amore o terrore, secondo le opinioni e lepassioni, per la qual cosa coloro, che contrastavano aquesto proposito, facevano avviso, che le mosse contra-rie dovessero aver principio dall'esercito Italico. A que-sto dava favore Buonaparte per la sua emolazione versoPichegru, prevedendo nell'esaltazione del vincitoredell'Olanda la depressione del vincitore dell'Italia. Pertutte queste ragioni uscivano dalle diverse schieredell'Italico minacce fierissime contro i nemici della li-bertà, come gli chiamavano, contro gli amatori del nomereale, contro i minacciatori della constituzione. Parlava-no del voler marciare in Francia con le armi vincitriciper castigare i ribelli, descrivevano con patetiche parolele orribili congiure ordite nella patria loro contro la li-bertà, mentre essi col sangue, e con disagi innumerevolila libertà, e la patria difendevano. Non isperassero, mi-nacciavano, che il sangue sparso, che le acquistate vitto-rie, che la conseguita gloria fossero indarno; quellemani stesse, che avevano vinto l'Austria, vincerebberofacilmente, e farebbero tornar in nulla quei branchi difaziosi. Al solo mostrarsi degl'Italici soldati oltre l'Alpi,presi di spavento si disperderebbero quei vili sommovi-tori di congiure. Non dubitasse punto il governo, chel'esercito Italico tanto amasse la libertà, quanto la gloria,e che la prima con la medesima costanza, col medesimovalore difendesse, coi quali aveva acquistato la seconda:verrebbero, vedrebbero, ed anche senza battaglie vince-

munque ciò sia, era allora l'esercito d'Italia in bocca ditutti, e quanto da lui veniva era ricevuto in Francia congrandissimo o amore o terrore, secondo le opinioni e lepassioni, per la qual cosa coloro, che contrastavano aquesto proposito, facevano avviso, che le mosse contra-rie dovessero aver principio dall'esercito Italico. A que-sto dava favore Buonaparte per la sua emolazione versoPichegru, prevedendo nell'esaltazione del vincitoredell'Olanda la depressione del vincitore dell'Italia. Pertutte queste ragioni uscivano dalle diverse schieredell'Italico minacce fierissime contro i nemici della li-bertà, come gli chiamavano, contro gli amatori del nomereale, contro i minacciatori della constituzione. Parlava-no del voler marciare in Francia con le armi vincitriciper castigare i ribelli, descrivevano con patetiche parolele orribili congiure ordite nella patria loro contro la li-bertà, mentre essi col sangue, e con disagi innumerevolila libertà, e la patria difendevano. Non isperassero, mi-nacciavano, che il sangue sparso, che le acquistate vitto-rie, che la conseguita gloria fossero indarno; quellemani stesse, che avevano vinto l'Austria, vincerebberofacilmente, e farebbero tornar in nulla quei branchi difaziosi. Al solo mostrarsi degl'Italici soldati oltre l'Alpi,presi di spavento si disperderebbero quei vili sommovi-tori di congiure. Non dubitasse punto il governo, chel'esercito Italico tanto amasse la libertà, quanto la gloria,e che la prima con la medesima costanza, col medesimovalore difendesse, coi quali aveva acquistato la seconda:verrebbero, vedrebbero, ed anche senza battaglie vince-

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rebbero.Da questi conforti, e da questo appoggio fatto sicuro ildirettorio, veniva a quelle risoluzioni, che resero tantofamoso il dì diciotto fruttidoro, anno quinto della repub-blica, o il dì quattro settembre del novantasette: per essesi carceravano, ed in istrane e pestilenziali regioni simandavano Barthelemi, Pichegru, e gli altri capi dellacongiura. Alcuni, e fra questi Carnot, fuggiti alla dili-genza dei cercatori, trovarono in forestiere terre scampocontro chi gli chiamava a prigione ed a morte. Questo fuil moto di fruttidoro, pel quale affortificatosi il direttoriocoll'esclusione dei dissidenti, e coll'unione dei consen-zienti, e fattosi padrone dei consigli, recava in sua manola somma delle cose, e pareva, che vieppiù avesse con-fermato la repubblica.Tornato vano questo tentativo, i confederati, massima-mente l'Austria, che si trovava più vicina all'incendio, eche, essendo alle strette con Buonaparte, aveva meglioconosciuto la sua natura, si gettarono ad un altro cammi-no per arrivare al fine della distruzione della formidabilerepubblica. Si negoziava a questo tempo la pacecoll'Austria; gli agenti Austriaci vennero dicendo a Buo-naparte, guardasse le ruine d'Europa, e della sua patriastessa; una repubblica fondata solo con le mannaje, con-servata solo con le bajonette, sopportatrice dei malvagi,perseguitatrice dei buoni; non isperasse di fuggir eglistesso la repubblicana invidia; più illustri erano i fattisuoi, più magnifici i benefizj verso la patria, e più inevi-

rebbero.Da questi conforti, e da questo appoggio fatto sicuro ildirettorio, veniva a quelle risoluzioni, che resero tantofamoso il dì diciotto fruttidoro, anno quinto della repub-blica, o il dì quattro settembre del novantasette: per essesi carceravano, ed in istrane e pestilenziali regioni simandavano Barthelemi, Pichegru, e gli altri capi dellacongiura. Alcuni, e fra questi Carnot, fuggiti alla dili-genza dei cercatori, trovarono in forestiere terre scampocontro chi gli chiamava a prigione ed a morte. Questo fuil moto di fruttidoro, pel quale affortificatosi il direttoriocoll'esclusione dei dissidenti, e coll'unione dei consen-zienti, e fattosi padrone dei consigli, recava in sua manola somma delle cose, e pareva, che vieppiù avesse con-fermato la repubblica.Tornato vano questo tentativo, i confederati, massima-mente l'Austria, che si trovava più vicina all'incendio, eche, essendo alle strette con Buonaparte, aveva meglioconosciuto la sua natura, si gettarono ad un altro cammi-no per arrivare al fine della distruzione della formidabilerepubblica. Si negoziava a questo tempo la pacecoll'Austria; gli agenti Austriaci vennero dicendo a Buo-naparte, guardasse le ruine d'Europa, e della sua patriastessa; una repubblica fondata solo con le mannaje, con-servata solo con le bajonette, sopportatrice dei malvagi,perseguitatrice dei buoni; non isperasse di fuggir eglistesso la repubblicana invidia; più illustri erano i fattisuoi, più magnifici i benefizj verso la patria, e più inevi-

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tabile credesse l'atroce fine che l'aspettava. Consideras-se, che sono inesorabili le repubblicane emolazioni, eche sempre la gratitudine delle repubbliche è l'ingratitu-dine. Se i più chiari cittadini erano stati all'estrema finecondotti in Francia, solo perchè chiari erano, che sareb-be del più chiaro fra tutti? Ricordassesi le recenti trameordite contro di lui, le proprie querele, ed il livore deldirettorio già vicino a prorompere, quand'era ancoral'opera sua necessaria in guerra: che sarebbe in pace?Forse era nato egli e fatto per essere stromento di fazio-si, e mentecatti? Forse a servir ad avvocati, e notaruzziambiziosi? Con le grida, e coi patiboli s'hanno a gover-nar gli stati? Guardassesi intorno, entrasse in se, si para-gonasse ad altri, e vedrebbe, che siccome era unica lasua gloria al mondo, così unico doveva essere il fine,che a se doveva proporre, che già dalle volgari vie mili-tari si era discostato nelle faccende di guerra, e che de-bito gli era di discostarsi dalle volgari vie anche nellefaccende civili: a ciò chiamarlo, lacera e rotta tuttal'Europa; a ciò medesimo chiamarlo la misera umanitàingannata dalle lusingherìe, straziata dai delitti: vedevaegli certamente, ed anche più volte aveva accennato, es-sere la repubblica un governo impossibile in Francia. Ache dunque dubitare, a che indugiare? l'Europa infelice,la Francia infelicissima domandare da lui altre sorti, do-mandare da lui la rinstaurazione dell'antica monarchìadei Borboni, domandare la rintegrazione dei diritti Euro-pei: assai avere spaziato la forza, assai la usurpazione,assai l'anarchìa: domare questi mostri esser suo destino:

tabile credesse l'atroce fine che l'aspettava. Consideras-se, che sono inesorabili le repubblicane emolazioni, eche sempre la gratitudine delle repubbliche è l'ingratitu-dine. Se i più chiari cittadini erano stati all'estrema finecondotti in Francia, solo perchè chiari erano, che sareb-be del più chiaro fra tutti? Ricordassesi le recenti trameordite contro di lui, le proprie querele, ed il livore deldirettorio già vicino a prorompere, quand'era ancoral'opera sua necessaria in guerra: che sarebbe in pace?Forse era nato egli e fatto per essere stromento di fazio-si, e mentecatti? Forse a servir ad avvocati, e notaruzziambiziosi? Con le grida, e coi patiboli s'hanno a gover-nar gli stati? Guardassesi intorno, entrasse in se, si para-gonasse ad altri, e vedrebbe, che siccome era unica lasua gloria al mondo, così unico doveva essere il fine,che a se doveva proporre, che già dalle volgari vie mili-tari si era discostato nelle faccende di guerra, e che de-bito gli era di discostarsi dalle volgari vie anche nellefaccende civili: a ciò chiamarlo, lacera e rotta tuttal'Europa; a ciò medesimo chiamarlo la misera umanitàingannata dalle lusingherìe, straziata dai delitti: vedevaegli certamente, ed anche più volte aveva accennato, es-sere la repubblica un governo impossibile in Francia. Ache dunque dubitare, a che indugiare? l'Europa infelice,la Francia infelicissima domandare da lui altre sorti, do-mandare da lui la rinstaurazione dell'antica monarchìadei Borboni, domandare la rintegrazione dei diritti Euro-pei: assai avere spaziato la forza, assai la usurpazione,assai l'anarchìa: domare questi mostri esser suo destino:

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al solo segnale dei Borboni, quando l'opportuno instantefosse venuto, seguiterebbonlo in Francia tutti i buoni,seguiterebbonlo tutti gli sdegnati, seguiterebbonlo tuttigl'infelici condotti all'ultimo caso dalla presente tiranni-de. Favorirebbelo l'Europa tutta, tirata da sì grande im-presa, mossa da sì bella speranza dopo tanto conquasso.Seconderebbonlo i principi, l'Austria la prima, e la Rus-sia tanto attiva fomentatrice dei Borboni. Parlare di ri-compense a chi già aveva acquistato maggior gloria, chealtr'uomo avesse acquistato mai, e che solo con un grancivile fatto poteva la propria gloria ampliare, essere su-perflua, e fors'anche offenditrice cosa: pure o che in gra-do privato la venerazione, o che in grado pubblicol'autorità desiderasse, ciò gli sarebbe, e più ampiamente,che non desiderasse, conceduto. Desse pertanto opera adimpadronirsi della somma delle cose in Francia; che aciò l'ajuterebbero i potentati, solo che promettesse difare la gran rimessa all'antico e legittimo signore. Muo-vessesi adunque Buonaparte unico ad opera unica; ri-spondesse col fatto al destinato dalla provvidenza, po-sciachè non senza intervento divino tante volte avevanosuonato le armi sue vincitrici.Queste esortazioni muovevano quell'animo ambizioso.Ma da Borboni a repubblica ei non faceva divario, gliuni e l'altra aveva ugualmente in dispregio, ed anche lafelicità, o le disgrazie umane nol toccavano. Bensì, sic-come quegli che sagacissimo era, e di prontissimo intel-letto, avvisava in un subito, che quello, che gli si offeri-

al solo segnale dei Borboni, quando l'opportuno instantefosse venuto, seguiterebbonlo in Francia tutti i buoni,seguiterebbonlo tutti gli sdegnati, seguiterebbonlo tuttigl'infelici condotti all'ultimo caso dalla presente tiranni-de. Favorirebbelo l'Europa tutta, tirata da sì grande im-presa, mossa da sì bella speranza dopo tanto conquasso.Seconderebbonlo i principi, l'Austria la prima, e la Rus-sia tanto attiva fomentatrice dei Borboni. Parlare di ri-compense a chi già aveva acquistato maggior gloria, chealtr'uomo avesse acquistato mai, e che solo con un grancivile fatto poteva la propria gloria ampliare, essere su-perflua, e fors'anche offenditrice cosa: pure o che in gra-do privato la venerazione, o che in grado pubblicol'autorità desiderasse, ciò gli sarebbe, e più ampiamente,che non desiderasse, conceduto. Desse pertanto opera adimpadronirsi della somma delle cose in Francia; che aciò l'ajuterebbero i potentati, solo che promettesse difare la gran rimessa all'antico e legittimo signore. Muo-vessesi adunque Buonaparte unico ad opera unica; ri-spondesse col fatto al destinato dalla provvidenza, po-sciachè non senza intervento divino tante volte avevanosuonato le armi sue vincitrici.Queste esortazioni muovevano quell'animo ambizioso.Ma da Borboni a repubblica ei non faceva divario, gliuni e l'altra aveva ugualmente in dispregio, ed anche lafelicità, o le disgrazie umane nol toccavano. Bensì, sic-come quegli che sagacissimo era, e di prontissimo intel-letto, avvisava in un subito, che quello, che gli si offeri-

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va, poteva aprirgli la strada all'altissime sue cupidità. Simostrava pertanto disposto a fare quanto si richiedevada lui, proponendosi nell'animo, e questo fu il più solen-ne inganno, che mai sia stato fra gli uomini, di favorirsidel consentimento e cooperazione dei principi, per arri-vare alla potestà suprema in Francia; non già per dispo-gliarsene in favor di chicchessia, ma per serbarla ed anzivieppiù consolidarla in se medesimo, ed ampliarla.Vogliono alcuni, che Barras quinqueviro avesse l'animovolto a favor dei Borboni già insin da quando aveva pro-curato la elezione di Buonaparte al governo supremodell'esercito Italico, e che a questo fine appunto l'abbiaprocurata, argomentando, che il giovane di Corsica, incui egli aveva scoperto mente atta a qualunque più ar-dua impresa, e natura nemica ai reggimenti popolari, ildovesse secondare nel mandar ad effetto il suo intendi-mento. Danno corpo a questa opinione le pubblicazionifatte dagli agenti dei Borboni, la contraddicono quellefatte da Barras: le une e le altre noi abbiamo rapportate,affinchè chi ci legge, possa dalle medesime prender con-ghiettura della verità in cose tanto avviluppate quantoimportanti.Dato in tal modo intenzione ai confederati, ed accorda-tosi con loro del ristaurare in Francia l'antico governodei Borboni, non formidabile ai principi per essere con-forme ai loro proprj, cominciava Buonaparte a farequalche dimostrazione, che della sua sincerità potessefar testimonianza. Avea egli fatto arrestare contro ogni

va, poteva aprirgli la strada all'altissime sue cupidità. Simostrava pertanto disposto a fare quanto si richiedevada lui, proponendosi nell'animo, e questo fu il più solen-ne inganno, che mai sia stato fra gli uomini, di favorirsidel consentimento e cooperazione dei principi, per arri-vare alla potestà suprema in Francia; non già per dispo-gliarsene in favor di chicchessia, ma per serbarla ed anzivieppiù consolidarla in se medesimo, ed ampliarla.Vogliono alcuni, che Barras quinqueviro avesse l'animovolto a favor dei Borboni già insin da quando aveva pro-curato la elezione di Buonaparte al governo supremodell'esercito Italico, e che a questo fine appunto l'abbiaprocurata, argomentando, che il giovane di Corsica, incui egli aveva scoperto mente atta a qualunque più ar-dua impresa, e natura nemica ai reggimenti popolari, ildovesse secondare nel mandar ad effetto il suo intendi-mento. Danno corpo a questa opinione le pubblicazionifatte dagli agenti dei Borboni, la contraddicono quellefatte da Barras: le une e le altre noi abbiamo rapportate,affinchè chi ci legge, possa dalle medesime prender con-ghiettura della verità in cose tanto avviluppate quantoimportanti.Dato in tal modo intenzione ai confederati, ed accorda-tosi con loro del ristaurare in Francia l'antico governodei Borboni, non formidabile ai principi per essere con-forme ai loro proprj, cominciava Buonaparte a farequalche dimostrazione, che della sua sincerità potessefar testimonianza. Avea egli fatto arrestare contro ogni

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dritto delle genti in Trieste, e condurre gelosissimamen-te custodito nel castello di Milano il conte d'Entraigues,agente molto fidato di Luigi decimottavo. Parlavano aquei tempi tutti i giornali della carcerazione del conte, ene favellavano come di cosa, che sommamente impor-tasse alla salute della repubblica. Gli trovavano, sicco-me fu pubblicato per opera di Buonaparte, scritti, chediscoprivano le macchinazioni di Pichegru, e degli altriamatori del nome reale. Inoltre si facevano constare perun rigoroso esame dato al conte, sebbene egli il verbalecostantemente sempre abbia negato, molto maggioricose in pregiudizio della repubblica, ed in pro dei Bor-boni, che gli scritti non palesavano. Tal era il rigore diquell'età, che, se non ci fosse stato di mezzo qualchegrave motivo, avrebbe tosto Buonaparte dato a giudicaread un consiglio militare, o mandato il conte in Francia,dove sarebbe stato o sottoposto all'ultimo supplizio, ocarcerato per sempre. Ma quando ognuno temeva di ve-der il conte giunto all'estrema fine, diede ammirazioneagli uomini l'udire, che il generalissimo aveva comanda-to a Berthier, che il facesse comodamente alloggiare nelcastello, e che la moglie il potesse visitare. Gli coman-dava ancora, che se non trovasse stanza comoda nel ca-stello, il lasciasse sotto buona guardia in città, e gli ren-desse tutti gli scritti, salvo quelli, che toccavano gli affa-ri politici: questi erano le congiure di Pichegru. La ma-raviglia più si cambiava in istupore per coloro, che nonconoscevano l'intrinseco del fatto, e le cagioni, quandosi seppe, che il conte si era fuggito dal castello, e più an-

dritto delle genti in Trieste, e condurre gelosissimamen-te custodito nel castello di Milano il conte d'Entraigues,agente molto fidato di Luigi decimottavo. Parlavano aquei tempi tutti i giornali della carcerazione del conte, ene favellavano come di cosa, che sommamente impor-tasse alla salute della repubblica. Gli trovavano, sicco-me fu pubblicato per opera di Buonaparte, scritti, chediscoprivano le macchinazioni di Pichegru, e degli altriamatori del nome reale. Inoltre si facevano constare perun rigoroso esame dato al conte, sebbene egli il verbalecostantemente sempre abbia negato, molto maggioricose in pregiudizio della repubblica, ed in pro dei Bor-boni, che gli scritti non palesavano. Tal era il rigore diquell'età, che, se non ci fosse stato di mezzo qualchegrave motivo, avrebbe tosto Buonaparte dato a giudicaread un consiglio militare, o mandato il conte in Francia,dove sarebbe stato o sottoposto all'ultimo supplizio, ocarcerato per sempre. Ma quando ognuno temeva di ve-der il conte giunto all'estrema fine, diede ammirazioneagli uomini l'udire, che il generalissimo aveva comanda-to a Berthier, che il facesse comodamente alloggiare nelcastello, e che la moglie il potesse visitare. Gli coman-dava ancora, che se non trovasse stanza comoda nel ca-stello, il lasciasse sotto buona guardia in città, e gli ren-desse tutti gli scritti, salvo quelli, che toccavano gli affa-ri politici: questi erano le congiure di Pichegru. La ma-raviglia più si cambiava in istupore per coloro, che nonconoscevano l'intrinseco del fatto, e le cagioni, quandosi seppe, che il conte si era fuggito dal castello, e più an-

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cora, quando portò la fama, ch'ei fosse già arrivato confelice viaggio nelle terre dell'imperatore Paolo di Rus-sia, succeduto alla sua madre Caterina. La verità del fat-to fu, che Buonaparte desideroso di far chiari gli alleatidella sincerità sua col fidare le cose segrete trattate aMontebello ad uomo confidente della Russia, e di Luigidecimottavo, aveva procurato la libertà ad Entraigues, emandatolo in Russia portatore delle sue promesse. Infat-ti a queste novelle si piegava Paolo con divenire moltomeno acerbo verso la Francia. Al tempo stesso i nego-ziati di Udine e di Montebello si fecero assai più morbi-di, per modo che non tardarono ad avvicinarsi alla con-clusione; conciossiachè i principi credevano, facilitandoil sentiero a Buonaparte per arrivare alla somma potenzain Francia, abilitarlo a mandar ad effetto le cose, che dalui si promettevano. Tutti questi disegni molto gli arri-devano, e quantunque fosse uomo di natura molto co-perta, e di pensieri cupissimi, tuttavìa si lasciava diquando in quando uscir di bocca certi motti, che disvela-vano la sua intenzione, e le fatte macchinazioni. Ed ioho udito parecchie volte raccontare a Villetard, giovanecandidissimo, che trovandosi a passeggiare a Montebel-lo con Buonaparte, e con Dupuis, che poi fu morto ge-nerale in Egitto nella sommossa del Cairo, sostando im-provvisamente dal passeggiare, il generalissimo avevaloro detto: “che direste voi s'io diventassi re diFrancia?” Al che, siccome a me raccontava il medesimoVilletard, rispondeva Dupuis, che professava un ardentedesiderio dello stato repubblicano, che sarebbe il primo

cora, quando portò la fama, ch'ei fosse già arrivato confelice viaggio nelle terre dell'imperatore Paolo di Rus-sia, succeduto alla sua madre Caterina. La verità del fat-to fu, che Buonaparte desideroso di far chiari gli alleatidella sincerità sua col fidare le cose segrete trattate aMontebello ad uomo confidente della Russia, e di Luigidecimottavo, aveva procurato la libertà ad Entraigues, emandatolo in Russia portatore delle sue promesse. Infat-ti a queste novelle si piegava Paolo con divenire moltomeno acerbo verso la Francia. Al tempo stesso i nego-ziati di Udine e di Montebello si fecero assai più morbi-di, per modo che non tardarono ad avvicinarsi alla con-clusione; conciossiachè i principi credevano, facilitandoil sentiero a Buonaparte per arrivare alla somma potenzain Francia, abilitarlo a mandar ad effetto le cose, che dalui si promettevano. Tutti questi disegni molto gli arri-devano, e quantunque fosse uomo di natura molto co-perta, e di pensieri cupissimi, tuttavìa si lasciava diquando in quando uscir di bocca certi motti, che disvela-vano la sua intenzione, e le fatte macchinazioni. Ed ioho udito parecchie volte raccontare a Villetard, giovanecandidissimo, che trovandosi a passeggiare a Montebel-lo con Buonaparte, e con Dupuis, che poi fu morto ge-nerale in Egitto nella sommossa del Cairo, sostando im-provvisamente dal passeggiare, il generalissimo avevaloro detto: “che direste voi s'io diventassi re diFrancia?” Al che, siccome a me raccontava il medesimoVilletard, rispondeva Dupuis, che professava un ardentedesiderio dello stato repubblicano, che sarebbe il primo

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a piantargli un coltello nel petto; il quale tratto non fuudito senza riso da Buonaparte.Nè questi erano i soli segni delle meditate cose. Sorge-vano a Montebello i costumi, e le abitudini regie: ivi leudienze altiere da una parte, umili dall'altra; ivi le adula-zioni smoderate, ed il silenzio rispettoso, non interrottoche dalle interrogazioni; ivi le sorelle del vincitore cor-teggiate a modo di corte, ivi i ministri dei principi esteri,e quei della Cisalpina accolti alla reale. Certamentenull'altro mancava di re che il nome, e questo nomestesso veniva naturalmente sulle labbra dei cortigiani,ma vi periva per amore o per timore, ma piuttosto per ti-more, che per amore della repubblica. A chi era uso ascrutare le umane vicende, appariva manifestamente, es-sere in Buonaparte natura a volere, e ad usare l'imperio,nè ciò con leggi, ma sopra le leggi, non come cittadino,ma come padrone: il fato il fece per l'età, e l'età per lui.Frattanto le promesse segrete, ch'egli aveva fatte, e lanecessità, in cui si trovava il direttorio di rammollirecon un solenne fatto i risentimenti nati in Francia per laterribile rivoluzione dei quattro settembre, operavano dimodo che, rimosse da ambe le parti tutte le durezze, siveniva il giorno diciassette ottobre alla conclusione nel-la villa di Campoformio, di un trattato di pace, in cui ungoverno nuovo distruggeva un governo antico, ed ungoverno antico consentiva, e s'arricchiva delle spoglie diun governo antico ed amico, disonoratosi l'uno per averrapito, poco onoratosi l'altro per aver accettato le rapine,

a piantargli un coltello nel petto; il quale tratto non fuudito senza riso da Buonaparte.Nè questi erano i soli segni delle meditate cose. Sorge-vano a Montebello i costumi, e le abitudini regie: ivi leudienze altiere da una parte, umili dall'altra; ivi le adula-zioni smoderate, ed il silenzio rispettoso, non interrottoche dalle interrogazioni; ivi le sorelle del vincitore cor-teggiate a modo di corte, ivi i ministri dei principi esteri,e quei della Cisalpina accolti alla reale. Certamentenull'altro mancava di re che il nome, e questo nomestesso veniva naturalmente sulle labbra dei cortigiani,ma vi periva per amore o per timore, ma piuttosto per ti-more, che per amore della repubblica. A chi era uso ascrutare le umane vicende, appariva manifestamente, es-sere in Buonaparte natura a volere, e ad usare l'imperio,nè ciò con leggi, ma sopra le leggi, non come cittadino,ma come padrone: il fato il fece per l'età, e l'età per lui.Frattanto le promesse segrete, ch'egli aveva fatte, e lanecessità, in cui si trovava il direttorio di rammollirecon un solenne fatto i risentimenti nati in Francia per laterribile rivoluzione dei quattro settembre, operavano dimodo che, rimosse da ambe le parti tutte le durezze, siveniva il giorno diciassette ottobre alla conclusione nel-la villa di Campoformio, di un trattato di pace, in cui ungoverno nuovo distruggeva un governo antico, ed ungoverno antico consentiva, e s'arricchiva delle spoglie diun governo antico ed amico, disonoratosi l'uno per averrapito, poco onoratosi l'altro per aver accettato le rapine,

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se però non iscusano quest'ultimo le affermazioni ma-gnifiche del primo dell'averlo ridotto alla necessità diaccettar la pace, qualunque ella fosse. Oltre a ciò lascia-va l'Austria in libera preda della repubblica Francese,non dirò il Piemonte, perchè forse ella se ne teneva malesoddisfatta per la stretta congiunzione di lui con la Fran-cia dopo la tregua di Cherasco, e la pace di Parigi, mabensì il papa, ed il re di Napoli, che in nessun modol'avevano offesa, e che anzi si trovavano condotti indure strette, ed in gravissimo pericolo per avere sinoagli estremi seguitato la sua parte. Certamente nissunasicurezza stipulava l'Austria nel trattato nè pel papa, nèper Napoli. Fu il trattato di Campoformio principio diquelle brutte e crudeli stipulazioni, che desolarono poiper circa vent'anni la miseranda Europa con l'esempio disommuovere prima i popoli, poi di dargli in preda ad in-solite signorìe.Fermarono fra di loro l'Austria e Buonaparte, che la re-pubblica Francese si avesse i Paesi Bassi, che l'impera-tore consentisse, che le isole Venete dell'Arcipelago, edell'Ionio, e così ancora tutte le possessioni della Venetarepubblica in Albanìa, cadessero in potestà della Fran-cia; che la repubblica Francese consentisse, che l'impe-ratore possedesse con piena potestà la città di Venezia,l'Istria, la Dalmazia, le isole Venete dell'Adriatico, lebocche di Cattaro, e tutti i paesi situati fra i suoi statiereditarj, ed il mezzo del lago di Garda, poi la sinistrasponda dell'Adige insino a Porto-Legnago, e finalmente

se però non iscusano quest'ultimo le affermazioni ma-gnifiche del primo dell'averlo ridotto alla necessità diaccettar la pace, qualunque ella fosse. Oltre a ciò lascia-va l'Austria in libera preda della repubblica Francese,non dirò il Piemonte, perchè forse ella se ne teneva malesoddisfatta per la stretta congiunzione di lui con la Fran-cia dopo la tregua di Cherasco, e la pace di Parigi, mabensì il papa, ed il re di Napoli, che in nessun modol'avevano offesa, e che anzi si trovavano condotti indure strette, ed in gravissimo pericolo per avere sinoagli estremi seguitato la sua parte. Certamente nissunasicurezza stipulava l'Austria nel trattato nè pel papa, nèper Napoli. Fu il trattato di Campoformio principio diquelle brutte e crudeli stipulazioni, che desolarono poiper circa vent'anni la miseranda Europa con l'esempio disommuovere prima i popoli, poi di dargli in preda ad in-solite signorìe.Fermarono fra di loro l'Austria e Buonaparte, che la re-pubblica Francese si avesse i Paesi Bassi, che l'impera-tore consentisse, che le isole Venete dell'Arcipelago, edell'Ionio, e così ancora tutte le possessioni della Venetarepubblica in Albanìa, cadessero in potestà della Fran-cia; che la repubblica Francese consentisse, che l'impe-ratore possedesse con piena potestà la città di Venezia,l'Istria, la Dalmazia, le isole Venete dell'Adriatico, lebocche di Cattaro, e tutti i paesi situati fra i suoi statiereditarj, ed il mezzo del lago di Garda, poi la sinistrasponda dell'Adige insino a Porto-Legnago, e finalmente

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la sinistra sponda del Po; che la repubblica Cisalpinacomprendesse la Lombardia Austriaca, il Bergamasco, ilBresciano, il Cremasco, la città e fortezza di Mantova,Peschiera, e tutta la parte degli stati Veneti, che è posta aponente e ad ostro dei confini sovra descritti; che si des-se nella Brisgovia un conveniente ricompenso al duca diModena; che finalmente i plenipotenziarj di Francia ed'Austria convenissero in Rastadt per accordare gl'inte-ressi dell'imperio d'Alemagna.A questi articoli palesi altri furono aggiunti di non pocaimportanza, pei quali l'imperatore consentiva, che laFrancia acquistasse certi territorj Germanici insino alReno, e dalla parte sua prometteva la Francia di adope-rarsi, acciocchè l'Austria aggiungesse a' suoi dominj unaparte del circolo di Baviera; il che non si poteva effet-tuare se non con pregiudizio del duca.Fu il trattato di Campoformio pieno di rapina, ma non fumeno pieno di scherno, ancor peggiore della rapina;conciossiachè di che sappiano quelle parole, che la re-pubblica Francese consentiva, che l'imperatore posse-desse Venezia, vedranlo non senza sdegno coloro, checonsidereranno, se sarebbe stato possibile ai Venezianidi non diventar imperiali, e se la Francia avrebbe per-messo, che imperiali non diventassero, e se i generali,ed i soldati di Buonaparte abbiano, sì o no, consegnatoeglino medesimi con le proprie mani la compassionevo-le Venezia nuda ed inerme, ai generali ed ai soldatidell'imperatore. Questo essere e non voler parere, parrà

la sinistra sponda del Po; che la repubblica Cisalpinacomprendesse la Lombardia Austriaca, il Bergamasco, ilBresciano, il Cremasco, la città e fortezza di Mantova,Peschiera, e tutta la parte degli stati Veneti, che è posta aponente e ad ostro dei confini sovra descritti; che si des-se nella Brisgovia un conveniente ricompenso al duca diModena; che finalmente i plenipotenziarj di Francia ed'Austria convenissero in Rastadt per accordare gl'inte-ressi dell'imperio d'Alemagna.A questi articoli palesi altri furono aggiunti di non pocaimportanza, pei quali l'imperatore consentiva, che laFrancia acquistasse certi territorj Germanici insino alReno, e dalla parte sua prometteva la Francia di adope-rarsi, acciocchè l'Austria aggiungesse a' suoi dominj unaparte del circolo di Baviera; il che non si poteva effet-tuare se non con pregiudizio del duca.Fu il trattato di Campoformio pieno di rapina, ma non fumeno pieno di scherno, ancor peggiore della rapina;conciossiachè di che sappiano quelle parole, che la re-pubblica Francese consentiva, che l'imperatore posse-desse Venezia, vedranlo non senza sdegno coloro, checonsidereranno, se sarebbe stato possibile ai Venezianidi non diventar imperiali, e se la Francia avrebbe per-messo, che imperiali non diventassero, e se i generali,ed i soldati di Buonaparte abbiano, sì o no, consegnatoeglino medesimi con le proprie mani la compassionevo-le Venezia nuda ed inerme, ai generali ed ai soldatidell'imperatore. Questo essere e non voler parere, parrà

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a tutti, come pare a me, un pudore molto ipocrito.Pure questa è quella pace, di cui favellando Carlo Mau-rizio Talleyrand, tutto ammirativo sclamava: “questa èuna pace da Buonaparte”; il che gli sarà da ognuno fa-cilmente conceduto. Poi non potendo Talleyrand mede-simo capire in se stesso per l'ammirazione, per l'amici-zia, pel rispetto, per la riconoscenza, come diceva, versoBuonaparte, e se qualche altra più efficace cosa possonosignificare le più ammirative parole, scriveva: “forseavremo qualche improntitudine d'Italiani, ma è tuttuno”;brutto, incivile, e crudele scherno! Certamente coloro,cui Buonaparte tradiva, e Talleyrand scherniva, erano, ipiù, uomini ricchi di nome, di sostanze, e di virtù, i qua-li cedendo agli stimoli, e credendo alle promesse degliagenti di Francia, s'erano in tal condizione posti, chenella patria loro spenta non potevano più dimorare senzapericolo, e nel duro esilio trovavano gl'insulti di chi eracagione del loro infortunio. Parlare poi con tanta legge-rezza di un caso di tanto momento, quale si era quellodella distruzione di uno stato così antico, così principa-le, ed a cui l'Europa era obbligata di gran parte della suaciviltà, e della sua preservazione dalla barbarie Ottoma-na, qual era veramente quel di Venezia, dimostra una to-tale indifferenza verso il bello ed il brutto, il buono ed ilcattivo, il decente e l'indecente.Fatto il trattato di Campoformio, ed ordinata a suo modola Cisalpina, se ne partiva Buonaparte dall'Italia per an-dare a Rastadt. Quale, e quanto da quella diversa la la-

a tutti, come pare a me, un pudore molto ipocrito.Pure questa è quella pace, di cui favellando Carlo Mau-rizio Talleyrand, tutto ammirativo sclamava: “questa èuna pace da Buonaparte”; il che gli sarà da ognuno fa-cilmente conceduto. Poi non potendo Talleyrand mede-simo capire in se stesso per l'ammirazione, per l'amici-zia, pel rispetto, per la riconoscenza, come diceva, versoBuonaparte, e se qualche altra più efficace cosa possonosignificare le più ammirative parole, scriveva: “forseavremo qualche improntitudine d'Italiani, ma è tuttuno”;brutto, incivile, e crudele scherno! Certamente coloro,cui Buonaparte tradiva, e Talleyrand scherniva, erano, ipiù, uomini ricchi di nome, di sostanze, e di virtù, i qua-li cedendo agli stimoli, e credendo alle promesse degliagenti di Francia, s'erano in tal condizione posti, chenella patria loro spenta non potevano più dimorare senzapericolo, e nel duro esilio trovavano gl'insulti di chi eracagione del loro infortunio. Parlare poi con tanta legge-rezza di un caso di tanto momento, quale si era quellodella distruzione di uno stato così antico, così principa-le, ed a cui l'Europa era obbligata di gran parte della suaciviltà, e della sua preservazione dalla barbarie Ottoma-na, qual era veramente quel di Venezia, dimostra una to-tale indifferenza verso il bello ed il brutto, il buono ed ilcattivo, il decente e l'indecente.Fatto il trattato di Campoformio, ed ordinata a suo modola Cisalpina, se ne partiva Buonaparte dall'Italia per an-dare a Rastadt. Quale, e quanto da quella diversa la la-

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sciasse, che nel suo primo ingresso l'aveva trovata, facil-mente concepirà colui, che nella mente andrà riandandoi compassionevoli casi nei precedenti libri da noi rac-contati. Le difese dell'Alpi prostrate; un re di Sardegna,prima libero, ora servo; una repubblica di Genova, pri-ma independente per istato, ricca per commercio, ora di-sfatto, ed in licenza convertito l'antichissimo governo,fatta provincia, e sensale di Francia; un duca di Parmaingannato dalle speranze di Spagna, e taglieggiato daagenti oscurissimi: un duca di Modena, prima cacciato,poi rubato; un papa schernito, e spogliato; un regno diNapoli poco sicuro, e per poca sicurezza crudo; un'anti-chissima repubblica di Venezia, già lume del mondo, egran parte della civiltà moderna, condotta all'ultimafine, prima dagl'inganni, poi dalla forza; il mansueto egeneroso governo di Firmian cambiato in un governosoldatesco, servo di soldati forestieri, tributario di go-verno forestiero, e là, dove una volta addottrinavano legenti con dolci e sublimi precetti filosofici i Beccaria,ed i Verri, farla da maestri i Beauvinais, ed i Prelli. Aquesto le opere di Tiziano e di Raffaello rapite; i nobiliabituri fatti stanze deformi di soldati strani; una linguabellissima contaminata con un gergo schifoso; tuttigl'ingegni volti all'adulazione, le ambizioni svegliate, levirtù schernite, i vizi lodati, e per arrota, il che fu il pes-simo dei mali, uomini virtuosi perdenti la buona famaper essersi mescolati, o per forza o per un generoso de-dicarsi alle patrie loro, nelle opere malvage dei tempi. Intanto male nissun lume di bene; perchè nè quei governi

sciasse, che nel suo primo ingresso l'aveva trovata, facil-mente concepirà colui, che nella mente andrà riandandoi compassionevoli casi nei precedenti libri da noi rac-contati. Le difese dell'Alpi prostrate; un re di Sardegna,prima libero, ora servo; una repubblica di Genova, pri-ma independente per istato, ricca per commercio, ora di-sfatto, ed in licenza convertito l'antichissimo governo,fatta provincia, e sensale di Francia; un duca di Parmaingannato dalle speranze di Spagna, e taglieggiato daagenti oscurissimi: un duca di Modena, prima cacciato,poi rubato; un papa schernito, e spogliato; un regno diNapoli poco sicuro, e per poca sicurezza crudo; un'anti-chissima repubblica di Venezia, già lume del mondo, egran parte della civiltà moderna, condotta all'ultimafine, prima dagl'inganni, poi dalla forza; il mansueto egeneroso governo di Firmian cambiato in un governosoldatesco, servo di soldati forestieri, tributario di go-verno forestiero, e là, dove una volta addottrinavano legenti con dolci e sublimi precetti filosofici i Beccaria,ed i Verri, farla da maestri i Beauvinais, ed i Prelli. Aquesto le opere di Tiziano e di Raffaello rapite; i nobiliabituri fatti stanze deformi di soldati strani; una linguabellissima contaminata con un gergo schifoso; tuttigl'ingegni volti all'adulazione, le ambizioni svegliate, levirtù schernite, i vizi lodati, e per arrota, il che fu il pes-simo dei mali, uomini virtuosi perdenti la buona famaper essersi mescolati, o per forza o per un generoso de-dicarsi alle patrie loro, nelle opere malvage dei tempi. Intanto male nissun lume di bene; perchè nè quei governi

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potevano durare, nè a quali governi avessero a dar luogosi vedeva, perchè i fondamenti privati erano corrotti, ifondamenti pubblici forestieri, e se fosse mancata o lamano Francese, o la mano Tedesca, nissuno poteva con-getturare, che cosa fosse per sorgere, di modo che non siscorgeva, se la independenza non fosse per diventarecondizione peggiore della servitù. A tal era condottal'Italia, che lo stare per se senza anarchìa, lo stare coi fo-restieri senza servitù non poteva. Così corrotte le spe-ranze, e cambiati i tempi, erano succeduti ai benefizj diGiuseppe, di Leopoldo, di Beccaria, e di Filangieri unarapina incredibile, una tirannide soldatesca, un sovverti-mento confuso, un dolore acerbissimo di vedere, forseper sempre, allontanato quel bene, che essi avevano tan-to vicino, e tanto soave alle menti nostre rappresentato.In somma fu la bella Italia contaminata, e peggio, chechi le faceva le membra rotte, e sanguinose, le laceravaanche la fama. In somma la giustizia e l'innocenza nonson più buone ad altro, in questo pazzo ed ingannatoremondo, che a farsi soperchiare dai più potenti, e chi nonha montagne di cannoni, di sciabole, e di soldati,s'aspetti ad essere oppresso, rubato, e calunniato. Con lesue belle parole sepolcro imbianchito è la vecchia Euro-pa.Restava, che le stipulazioni di Campoformio circa Vene-zia si recassero ad effetto. Ma prima di raccontare lagran consegna fatta di quella nobil sede dai repubblicanidi Francia ad un principe Alemanno, sarà bene andar

potevano durare, nè a quali governi avessero a dar luogosi vedeva, perchè i fondamenti privati erano corrotti, ifondamenti pubblici forestieri, e se fosse mancata o lamano Francese, o la mano Tedesca, nissuno poteva con-getturare, che cosa fosse per sorgere, di modo che non siscorgeva, se la independenza non fosse per diventarecondizione peggiore della servitù. A tal era condottal'Italia, che lo stare per se senza anarchìa, lo stare coi fo-restieri senza servitù non poteva. Così corrotte le spe-ranze, e cambiati i tempi, erano succeduti ai benefizj diGiuseppe, di Leopoldo, di Beccaria, e di Filangieri unarapina incredibile, una tirannide soldatesca, un sovverti-mento confuso, un dolore acerbissimo di vedere, forseper sempre, allontanato quel bene, che essi avevano tan-to vicino, e tanto soave alle menti nostre rappresentato.In somma fu la bella Italia contaminata, e peggio, chechi le faceva le membra rotte, e sanguinose, le laceravaanche la fama. In somma la giustizia e l'innocenza nonson più buone ad altro, in questo pazzo ed ingannatoremondo, che a farsi soperchiare dai più potenti, e chi nonha montagne di cannoni, di sciabole, e di soldati,s'aspetti ad essere oppresso, rubato, e calunniato. Con lesue belle parole sepolcro imbianchito è la vecchia Euro-pa.Restava, che le stipulazioni di Campoformio circa Vene-zia si recassero ad effetto. Ma prima di raccontare lagran consegna fatta di quella nobil sede dai repubblicanidi Francia ad un principe Alemanno, sarà bene andar

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rammemorando, quali accidenti, quali umori, quali dise-gni sorgessero nelle varie parti dell'antico stato Veneto,e nella metropoli stessa, innanzichè i patti di Campofor-mio si pubblicassero, e dappoichè, spento l'antico gover-no aristocratico, vi si era introdotto il nuovo, al qualenon so qual nome dare, se non quello di tirannico e diservo. Non così tosto furono instituiti i municipali di Ve-nezia, che divisi fra di loro per servile imitazione anchenelle discordie, si davano alle parti, chi seguitando imodi dei democrati Francesi più ardenti ai tempi dellarivoluzione, e chi accostandosi a pensieri più miti e piùtemperati. Capi ai primi erano Giuliani e Dandolo. So-vrastavano fra i secondi per ricchezze, e per carità patriaVidiman e Joblovitz: quelli si chiamavano da alcuni veripatriotti, da altri giacobini; i secondi presso alcuni ave-vano nome di veri amatori della libertà, presso altri ari-stocrati. Giuliani e Dandolo, massimamente il primo,continuamente spingevano il magistrato a determinazio-ni rigorose contro i nobili. Giuliani più rottamente pro-cedendo non risparmiava nemmeno i Francesi, verso iquali non mostrava mai adulazione di sorte alcuna, men-tre Dandolo andava loro a versi, e gli accarezzava. Ilbuono e virtuoso Vidiman, lontano del pari dall'adula-zione verso i forestieri, che dalla persecuzione contro icompatriotti, mirava solamente al giusto ed all'onesto.Seguitavano queste parti i Veneziani, pochi con Giulianie Dandolo consentendo, molti, fra i quali i nobili, per lominor male si accostavano a Vidiman ed a Joblovitz. Se-devano i municipali pubblicamente nella sala del gran

rammemorando, quali accidenti, quali umori, quali dise-gni sorgessero nelle varie parti dell'antico stato Veneto,e nella metropoli stessa, innanzichè i patti di Campofor-mio si pubblicassero, e dappoichè, spento l'antico gover-no aristocratico, vi si era introdotto il nuovo, al qualenon so qual nome dare, se non quello di tirannico e diservo. Non così tosto furono instituiti i municipali di Ve-nezia, che divisi fra di loro per servile imitazione anchenelle discordie, si davano alle parti, chi seguitando imodi dei democrati Francesi più ardenti ai tempi dellarivoluzione, e chi accostandosi a pensieri più miti e piùtemperati. Capi ai primi erano Giuliani e Dandolo. So-vrastavano fra i secondi per ricchezze, e per carità patriaVidiman e Joblovitz: quelli si chiamavano da alcuni veripatriotti, da altri giacobini; i secondi presso alcuni ave-vano nome di veri amatori della libertà, presso altri ari-stocrati. Giuliani e Dandolo, massimamente il primo,continuamente spingevano il magistrato a determinazio-ni rigorose contro i nobili. Giuliani più rottamente pro-cedendo non risparmiava nemmeno i Francesi, verso iquali non mostrava mai adulazione di sorte alcuna, men-tre Dandolo andava loro a versi, e gli accarezzava. Ilbuono e virtuoso Vidiman, lontano del pari dall'adula-zione verso i forestieri, che dalla persecuzione contro icompatriotti, mirava solamente al giusto ed all'onesto.Seguitavano queste parti i Veneziani, pochi con Giulianie Dandolo consentendo, molti, fra i quali i nobili, per lominor male si accostavano a Vidiman ed a Joblovitz. Se-devano i municipali pubblicamente nella sala del gran

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consiglio, dove le discussioni, e le contese erano granditra l'una parte e l'altra, e trascorrevano qualche volta amanifesta contenzione. Così Venezia anche posta al gio-go forestiero parteggiava; tutti però in questo consenti-vano, ch'ella intiera si conservasse. A questo fine si ren-deva necessario, che le provincie di terraferma, e quelledell'oltremare non si separassero dall'antica madre; eperciò, come prima i municipali ebbero preso il magi-strato, spedivano delegati, e lettere a tutte le città del do-minio Veneto, dando loro parte della felice rivoluzione,come la chiamavano, sorta in Venezia, ed invitandole adaccomunarsi, ed incorporarsi con esso lei. Ma i patriottidella terraferma, attribuendo a Venezia cambiata le me-desime mire, che si attribuivano a Venezia antica, echiamandola tiranna, e dominatrice avida ed insolente,ricusavano le sue proposte. Pei maneggi loro le cittàprotestavano, questa di voler andar unita alla Cisalpina,quella di voler restare da se. E stantechè Venezia avevaconservato, sebbene nel libro aperto dell'Evangelistaavesse fatto scrivere i diritti dell'uomo, l'antico stemmadel lione, gl'insulti, gli scherni, le esecrazioni della gen-te matta democratica della terraferma andavano all'infi-nito. Insomma una nimistà generale, piuttostochè desi-derio di unione, prevaleva in tutta la terraferma controVenezia. Godeva Buonaparte, godevanne i suoi agenti,perchè vedevano nella discordia altrui la più facile ese-cuzione dei pensieri loro contro quelle miserande reli-quie della repubblica Veneziana; anzi quelle faville conogni mezzo fomentavano. Perchè poi gli odj già tanto

consiglio, dove le discussioni, e le contese erano granditra l'una parte e l'altra, e trascorrevano qualche volta amanifesta contenzione. Così Venezia anche posta al gio-go forestiero parteggiava; tutti però in questo consenti-vano, ch'ella intiera si conservasse. A questo fine si ren-deva necessario, che le provincie di terraferma, e quelledell'oltremare non si separassero dall'antica madre; eperciò, come prima i municipali ebbero preso il magi-strato, spedivano delegati, e lettere a tutte le città del do-minio Veneto, dando loro parte della felice rivoluzione,come la chiamavano, sorta in Venezia, ed invitandole adaccomunarsi, ed incorporarsi con esso lei. Ma i patriottidella terraferma, attribuendo a Venezia cambiata le me-desime mire, che si attribuivano a Venezia antica, echiamandola tiranna, e dominatrice avida ed insolente,ricusavano le sue proposte. Pei maneggi loro le cittàprotestavano, questa di voler andar unita alla Cisalpina,quella di voler restare da se. E stantechè Venezia avevaconservato, sebbene nel libro aperto dell'Evangelistaavesse fatto scrivere i diritti dell'uomo, l'antico stemmadel lione, gl'insulti, gli scherni, le esecrazioni della gen-te matta democratica della terraferma andavano all'infi-nito. Insomma una nimistà generale, piuttostochè desi-derio di unione, prevaleva in tutta la terraferma controVenezia. Godeva Buonaparte, godevanne i suoi agenti,perchè vedevano nella discordia altrui la più facile ese-cuzione dei pensieri loro contro quelle miserande reli-quie della repubblica Veneziana; anzi quelle faville conogni mezzo fomentavano. Perchè poi gli odj già tanto

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intensi vieppiù s'invelenissero, gli rinfiammavano nonsolo colle parole, ma ancora con gli scritti. Victor gene-rale, che aveva le sue stanze in Padova, esortava con let-tere pubbliche, e con parole molto veementi i municipalidi questa città a far atterrare le insegne di San Marco, eda diffidarsi dei municipali di Venezia, a cui attribuiva in-tenzioni molto sinistre, accusandogli di trame aristocra-tiche.I democrati, massime un Savonarola, che procedeva conpiù calore degli altri, facevano quello, e più di quello, ache gli aveva esortati Victor, tutte le immagini di SanMarco col leone, avessero o no fra le rampe i dirittidell'uomo, sdegnosamente mandando in pezzi, e conquesto si andavano persuadendo di aver acquistato la li-bertà. Nè a frenare un furore tanto pazzo bastavano le ri-soluzioni dei municipali Veneziani, i quali decretavano,che si cambiasse del tutto l'antico stemma della repub-blica, il leone si annullasse, e le insegne della modernalibertà in luogo suo vi campeggiassero. Avevano questecondiscendenze l'effetto solito di quelle, che soglionofarsi per forza, e negli estremi casi; che pruovando nelconceditore più debolezza che volontà, non sono maiprese a grado, e l'autorità di lui fanno andar in diminu-zione. Ma appoco appoco vieppiù crescendo il furorecontro Venezia, si lacerava senza posa il suo nome nellegazzette Cisalpine; anzi i Padovani trascorrevanotant'oltre, che si consigliarono di voler torre ai Venezianil'uso delle acque dolci dei loro territorj, cosa, che solo

intensi vieppiù s'invelenissero, gli rinfiammavano nonsolo colle parole, ma ancora con gli scritti. Victor gene-rale, che aveva le sue stanze in Padova, esortava con let-tere pubbliche, e con parole molto veementi i municipalidi questa città a far atterrare le insegne di San Marco, eda diffidarsi dei municipali di Venezia, a cui attribuiva in-tenzioni molto sinistre, accusandogli di trame aristocra-tiche.I democrati, massime un Savonarola, che procedeva conpiù calore degli altri, facevano quello, e più di quello, ache gli aveva esortati Victor, tutte le immagini di SanMarco col leone, avessero o no fra le rampe i dirittidell'uomo, sdegnosamente mandando in pezzi, e conquesto si andavano persuadendo di aver acquistato la li-bertà. Nè a frenare un furore tanto pazzo bastavano le ri-soluzioni dei municipali Veneziani, i quali decretavano,che si cambiasse del tutto l'antico stemma della repub-blica, il leone si annullasse, e le insegne della modernalibertà in luogo suo vi campeggiassero. Avevano questecondiscendenze l'effetto solito di quelle, che soglionofarsi per forza, e negli estremi casi; che pruovando nelconceditore più debolezza che volontà, non sono maiprese a grado, e l'autorità di lui fanno andar in diminu-zione. Ma appoco appoco vieppiù crescendo il furorecontro Venezia, si lacerava senza posa il suo nome nellegazzette Cisalpine; anzi i Padovani trascorrevanotant'oltre, che si consigliarono di voler torre ai Venezianil'uso delle acque dolci dei loro territorj, cosa, che solo

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contro ad un nemico, e forse nemmeno contro a chi fos-se nemico in guerra, non si sarebbe usata.Diminuiva Venezia, ad onta delle orazioni democratichedel Giuliani e del Dandolo, di riputazione; ma ancor piùdi potenza, essendole occupati o sotto spezie di sicurez-za di stati, o sotto spezie di amicizia i suoi dominj versolevante. Marciava l'Alemanno da Trieste per virtù deipatti segreti di Leoben, e degli accordi oramai fatti, eche in formale trattato si stipularono poscia in Campo-formio, ad occupare le Venete province dell'Istria e dellaDalmazia. Ordinava sul principiar di giugno il Terzi, ge-neralissimo dell'Austria interiore, al generale Klenau,occupasse nell'Istria Pirano, Umago, Cittanova, Paren-zo, Ossero, e Rovigno; al colonnello Casimiro, capitanodi nome pel fatto della presa di Trieste, presidiasse tutti iluoghi d'importanza del littorale Istriaco, e di più dellevicine isole di Veglia, Cherso, Arbo, e Pago s'impadro-nisse. Ad ambidue veniva di leggieri fatta l'occupazione,perchè gl'Istriotti a quelle novità democratiche non sierano potuti accomodare, ed ancorchè fossero affeziona-ti al nome Veneziano, si piegavano facilmente all'obbe-dienza Austriaca, perchè l'imperio Francese, sotto ilquale era caduta l'antica patria loro, stimavano odioso.Parlarono con pubblici bandi i commissarj imperiali del-la bontà di Francesco imperatore, dell'obbligo suo dipreservar i suoi stati da moti insoliti, del suo desideriodi allontanar dall'Istria l'inquieto vivere dell'anarchìa.Proteggerebbe i quieti, punirebbe gli scandalosi, manter-

contro ad un nemico, e forse nemmeno contro a chi fos-se nemico in guerra, non si sarebbe usata.Diminuiva Venezia, ad onta delle orazioni democratichedel Giuliani e del Dandolo, di riputazione; ma ancor piùdi potenza, essendole occupati o sotto spezie di sicurez-za di stati, o sotto spezie di amicizia i suoi dominj versolevante. Marciava l'Alemanno da Trieste per virtù deipatti segreti di Leoben, e degli accordi oramai fatti, eche in formale trattato si stipularono poscia in Campo-formio, ad occupare le Venete province dell'Istria e dellaDalmazia. Ordinava sul principiar di giugno il Terzi, ge-neralissimo dell'Austria interiore, al generale Klenau,occupasse nell'Istria Pirano, Umago, Cittanova, Paren-zo, Ossero, e Rovigno; al colonnello Casimiro, capitanodi nome pel fatto della presa di Trieste, presidiasse tutti iluoghi d'importanza del littorale Istriaco, e di più dellevicine isole di Veglia, Cherso, Arbo, e Pago s'impadro-nisse. Ad ambidue veniva di leggieri fatta l'occupazione,perchè gl'Istriotti a quelle novità democratiche non sierano potuti accomodare, ed ancorchè fossero affeziona-ti al nome Veneziano, si piegavano facilmente all'obbe-dienza Austriaca, perchè l'imperio Francese, sotto ilquale era caduta l'antica patria loro, stimavano odioso.Parlarono con pubblici bandi i commissarj imperiali del-la bontà di Francesco imperatore, dell'obbligo suo dipreservar i suoi stati da moti insoliti, del suo desideriodi allontanar dall'Istria l'inquieto vivere dell'anarchìa.Proteggerebbe i quieti, punirebbe gli scandalosi, manter-

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rebbe a tutti le persone, e le proprietà sicure.Mentre queste cose succedevano nell'Istria, sanguinosiaccidenti atterrivano la Dalmazia. Erano i popoli di que-sta provincia avversi per antica consuetudine al nomeFrancese, e dalle nuove opinioni per lontananza, e perpoco commercio di lettere molto alieni. Erano anchegiunte a loro con veri e forti colori dipinte le espilazioni,e le ruine d'Italia, onde all'odio antico si veniva a con-giungere uno sdegno recente. A questo si aggiungeva,che i soldati della loro nazione, che in Verona, ed in Ve-nezia, ed in altre piazze Venete erano stati di presidio, siricordavano della poca stima, anzi delle derisioni, cheverso di loro avevano usato i repubblicani troppo intem-peranti nella vittoria. Udite poi le Veneziane cose, ecome e quanto i municipali di Venezia trascorresseronelle opinioni, e nei costumi nuovi, si erano concitati agravissimo sdegno, dichiarando apertamente, che nonavrebbero più comportato, che s'ingerissero nelle lorofaccende. Già minacce annunziatrici di crudeli fatti sor-gevano in ogni luogo contro gli aderenti o veri o suppo-sti dei reggimenti nuovi. I primi a muoversi furono i vil-lani, ed i montanari di Trauno e di Sebenico, i quali, sce-si a furia, commettevano atti di un'estrema barbarie.Quei, che fungeva le veci di console di Francia, quan-tunque fosse Dalmata, era crudelmente ucciso, e con luitutta la sua famiglia. Le case di un Calafatti e di un Ga-vagnini, deputati eletti dai municipali di Venezia ad or-dinare a modo nuovo la Dalmazia, erano saccheggiate; i

rebbe a tutti le persone, e le proprietà sicure.Mentre queste cose succedevano nell'Istria, sanguinosiaccidenti atterrivano la Dalmazia. Erano i popoli di que-sta provincia avversi per antica consuetudine al nomeFrancese, e dalle nuove opinioni per lontananza, e perpoco commercio di lettere molto alieni. Erano anchegiunte a loro con veri e forti colori dipinte le espilazioni,e le ruine d'Italia, onde all'odio antico si veniva a con-giungere uno sdegno recente. A questo si aggiungeva,che i soldati della loro nazione, che in Verona, ed in Ve-nezia, ed in altre piazze Venete erano stati di presidio, siricordavano della poca stima, anzi delle derisioni, cheverso di loro avevano usato i repubblicani troppo intem-peranti nella vittoria. Udite poi le Veneziane cose, ecome e quanto i municipali di Venezia trascorresseronelle opinioni, e nei costumi nuovi, si erano concitati agravissimo sdegno, dichiarando apertamente, che nonavrebbero più comportato, che s'ingerissero nelle lorofaccende. Già minacce annunziatrici di crudeli fatti sor-gevano in ogni luogo contro gli aderenti o veri o suppo-sti dei reggimenti nuovi. I primi a muoversi furono i vil-lani, ed i montanari di Trauno e di Sebenico, i quali, sce-si a furia, commettevano atti di un'estrema barbarie.Quei, che fungeva le veci di console di Francia, quan-tunque fosse Dalmata, era crudelmente ucciso, e con luitutta la sua famiglia. Le case di un Calafatti e di un Ga-vagnini, deputati eletti dai municipali di Venezia ad or-dinare a modo nuovo la Dalmazia, erano saccheggiate; i

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parenti dei delegati perseguitati, e parte uccisi. Nè più siguardava a nobili, o a preti, od a soldati, che ad altri,perchè solo che fossero in voce di essere aderenti aiFrancesi, erano ammazzati. La mala usanza si propaga-va dal continente nelle isole vicine, ed ogni luogo erapieno di terrore, di ferite, di uccisioni, e di sangue. Nèpoteva frenare il corso di tanta barbarie Querini gover-natore, per l'antica Venezia, della provincia, quantunquemolto vi fosse amato, perchè più poteva il furore, che leesortazioni, ed i suoi soldati, non che fossero stromentidel dominare, s'erano fatti compagni al popolo per con-culcare. Partivano da Trieste e da Fiume alla volta diZara quattromila soldati imperiali condotti da Roccavi-na, Lusignano e Casimiro. Trattenevano i venti per qual-che tempo Roccavina, ma Casimiro con prospera navi-gazione arrivava a Zara sul finire di giugno, poi sul co-minciar di luglio s'accostava a lui con le altre genti diRoccavina. Accettavano lietamente i Zaratini gli Au-striaci, parte per opinione, parte per sicurtà control'anarchìa. S'impadronivano gl'imperiali dei forti, abbas-savano le bandiere Venete, inalberavano le proprie. Pro-metteva l'imperatore con pubblico bando pace, e sicurtàa tutti, minacciava i turbolenti, affermava, venire perispegnere l'anarchìa, e per mettere in sicuro gli antichied irrefragabili suoi diritti sopra la provincia. Giuravanofede all'imperatore tutti i magistrati, e circa due milasoldati Veneti, che si trovavano in quella fortezza perpresidio. Quivi si vedeva uno spettacolo generoso e la-grimevole; poichè allorquando si venne all'atto del con-

parenti dei delegati perseguitati, e parte uccisi. Nè più siguardava a nobili, o a preti, od a soldati, che ad altri,perchè solo che fossero in voce di essere aderenti aiFrancesi, erano ammazzati. La mala usanza si propaga-va dal continente nelle isole vicine, ed ogni luogo erapieno di terrore, di ferite, di uccisioni, e di sangue. Nèpoteva frenare il corso di tanta barbarie Querini gover-natore, per l'antica Venezia, della provincia, quantunquemolto vi fosse amato, perchè più poteva il furore, che leesortazioni, ed i suoi soldati, non che fossero stromentidel dominare, s'erano fatti compagni al popolo per con-culcare. Partivano da Trieste e da Fiume alla volta diZara quattromila soldati imperiali condotti da Roccavi-na, Lusignano e Casimiro. Trattenevano i venti per qual-che tempo Roccavina, ma Casimiro con prospera navi-gazione arrivava a Zara sul finire di giugno, poi sul co-minciar di luglio s'accostava a lui con le altre genti diRoccavina. Accettavano lietamente i Zaratini gli Au-striaci, parte per opinione, parte per sicurtà control'anarchìa. S'impadronivano gl'imperiali dei forti, abbas-savano le bandiere Venete, inalberavano le proprie. Pro-metteva l'imperatore con pubblico bando pace, e sicurtàa tutti, minacciava i turbolenti, affermava, venire perispegnere l'anarchìa, e per mettere in sicuro gli antichied irrefragabili suoi diritti sopra la provincia. Giuravanofede all'imperatore tutti i magistrati, e circa due milasoldati Veneti, che si trovavano in quella fortezza perpresidio. Quivi si vedeva uno spettacolo generoso e la-grimevole; poichè allorquando si venne all'atto del con-

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segnarsi dai soldati il vessillo di San Marco in mano delgenerale Austriaco, prorompevano in dirotto pianto: aloro rispondevano con altrettante lagrime i circostanti.Alcuni furono visti in quell'estremo atto baciarlo, ed ab-bracciarlo sospirosamente più volte; i Panduri, fra gli al-tri, gente creduta barbara, davano tanti segni di dolore edi disperazione, come trovo scritto, che i capitani Au-striaci concedevano loro di poter continuare nell'uso an-tico di portarsi i Veneziani vessilli. Per tal modo, mentreuomini civili ed ammaestrati con gentili dottrine, la pa-tria loro non solo adducevano in forestiera servitù, maancora nell'estremo suo caso con improperj più che bar-bari schernivano, uomini idioti e da nissuna civile disci-plina informati, la patria stessa infelice e spenta, con do-lore e con lagrime proseguivano.Spento a Zara il governo Veneto, restava, che nella ri-manente provincia si annullasse. A questo fine partitose-ne per la via di terra Casimiro, occupava Spalatro, Clis-sa, e Singo. Roccavina per quella di mare entrava in Se-benico, dove era accolto con molta allegrezza, perchè laferocia dei villani scesi dalla montagna vi aveva più chealtrove infuriato, e ad ogni ora faceva le viste d'infuriarevieppiù. Scendeva quindi dai monti con una mano diUngari e di Transilvani il conte di Warstensleben, e siuniva col Roccavina. Allora gl'imperiali, fatti più forti, econdotti da Roccavina medesimo si avviavano a farsi si-gnori dei siti importantissimi delle Bocche di Cattaro,stati anche ceduti da Buonaparte a nome della Francia.

segnarsi dai soldati il vessillo di San Marco in mano delgenerale Austriaco, prorompevano in dirotto pianto: aloro rispondevano con altrettante lagrime i circostanti.Alcuni furono visti in quell'estremo atto baciarlo, ed ab-bracciarlo sospirosamente più volte; i Panduri, fra gli al-tri, gente creduta barbara, davano tanti segni di dolore edi disperazione, come trovo scritto, che i capitani Au-striaci concedevano loro di poter continuare nell'uso an-tico di portarsi i Veneziani vessilli. Per tal modo, mentreuomini civili ed ammaestrati con gentili dottrine, la pa-tria loro non solo adducevano in forestiera servitù, maancora nell'estremo suo caso con improperj più che bar-bari schernivano, uomini idioti e da nissuna civile disci-plina informati, la patria stessa infelice e spenta, con do-lore e con lagrime proseguivano.Spento a Zara il governo Veneto, restava, che nella ri-manente provincia si annullasse. A questo fine partitose-ne per la via di terra Casimiro, occupava Spalatro, Clis-sa, e Singo. Roccavina per quella di mare entrava in Se-benico, dove era accolto con molta allegrezza, perchè laferocia dei villani scesi dalla montagna vi aveva più chealtrove infuriato, e ad ogni ora faceva le viste d'infuriarevieppiù. Scendeva quindi dai monti con una mano diUngari e di Transilvani il conte di Warstensleben, e siuniva col Roccavina. Allora gl'imperiali, fatti più forti, econdotti da Roccavina medesimo si avviavano a farsi si-gnori dei siti importantissimi delle Bocche di Cattaro,stati anche ceduti da Buonaparte a nome della Francia.

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S'accomodavano quietamente i Bocchesi, non però sen-za dimostrazioni di vivo desiderio dell'antico governo,alle nuove sorti. La Dalmazia tutta, e l'Albania Venetaentravano sotto il dominio dell'imperatore, importanteaccessione a' suoi stati per l'opportunità dei porti, perl'abbondanza del commercio, per l'indole bellicosa degliabitatori, e finalmente per la perizia loro nelle faccendedi mare. Solo Perasto, Risano, e Geganowich, comunidei Bocchesi, facevano qualche resistenza, ma sopraffat-ti dalla superiorità Austriaca cedevano, e si sottomette-vano. A questo modo si andava sfasciando appoco appo-co, e con universale ruina, l'antichissimo imperio deiVeneziani.A novità di tanto momento, quale si era la occupazionedelle provincie del Levante, si risentivano i municipalidi Venezia, e facevano instanze presso a Buonaparte, eal direttorio per sapere che cosa volesse significare, edomandando, che la Francia intercedesse, perchè l'anti-co dominio si restituisse; il che a chi fosse contar le sueragioni, il lettore potrà da se stesso indovinare. Querela-vasene con Buonaparte Battaglia, imperciocchè è da sa-persi, che quest'antico provveditore di Brescia era statochiamato con la solita superiorità da Buonaparte ai mu-nicipali Veneziani, acciocchè appresso a lui risiedessequale ministro loro. Della missione di questo nobile Ve-neziano al generalissimo ne facevano molti stridori imunicipali Dandolo e Giuliani; ma il generale era piùforte di loro, e voleva quel che voleva. Querelavasi an-

S'accomodavano quietamente i Bocchesi, non però sen-za dimostrazioni di vivo desiderio dell'antico governo,alle nuove sorti. La Dalmazia tutta, e l'Albania Venetaentravano sotto il dominio dell'imperatore, importanteaccessione a' suoi stati per l'opportunità dei porti, perl'abbondanza del commercio, per l'indole bellicosa degliabitatori, e finalmente per la perizia loro nelle faccendedi mare. Solo Perasto, Risano, e Geganowich, comunidei Bocchesi, facevano qualche resistenza, ma sopraffat-ti dalla superiorità Austriaca cedevano, e si sottomette-vano. A questo modo si andava sfasciando appoco appo-co, e con universale ruina, l'antichissimo imperio deiVeneziani.A novità di tanto momento, quale si era la occupazionedelle provincie del Levante, si risentivano i municipalidi Venezia, e facevano instanze presso a Buonaparte, eal direttorio per sapere che cosa volesse significare, edomandando, che la Francia intercedesse, perchè l'anti-co dominio si restituisse; il che a chi fosse contar le sueragioni, il lettore potrà da se stesso indovinare. Querela-vasene con Buonaparte Battaglia, imperciocchè è da sa-persi, che quest'antico provveditore di Brescia era statochiamato con la solita superiorità da Buonaparte ai mu-nicipali Veneziani, acciocchè appresso a lui risiedessequale ministro loro. Della missione di questo nobile Ve-neziano al generalissimo ne facevano molti stridori imunicipali Dandolo e Giuliani; ma il generale era piùforte di loro, e voleva quel che voleva. Querelavasi an-

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che gravemente della Dalmata rapina San Fermo man-dato dai municipali, anche per opera di Buonaparte, asedere presso il direttorio a Parigi. Ne ottenevano en-trambi buone parole: non dubitassero, o che la Franciasforzerebbe con le armi l'Austria a rilasciare le provincieoccupate, o procurerebbe coi trattati, che Venezia connuove possessioni si compensasse, ora dando speranza,che i paesi della terraferma, anche quei d'oltre Mincio,le si restituirebbero, ed ora che le sarebbero date incompenso le legazioni. A comprendere quale nuova spe-zie di lealtà fosse questa, avrà bastato il raccontarla;conciossiachè a Montebello già si fosse convenuto il dìventisei di maggio coi plenipotenziari imperiali Buona-parte di dar Venezia all'imperatore; al che aveva consen-tito il direttorio il dì tre di giugno. Intanto Battaglia eSan Fermo scrivevano buone nuove, ed i municipali sele credevano, o facevano vista di crederle, e ne dimo-stravano grandi allegrezze.Era necessario, a volere che si spianasse la strada allaesecuzione dei patti di Campoformio, già prima che fos-sero fermati in debita forma, che le isole del LevanteVeneto venissero in potestà dei Francesi. Per la qualcosa Buonaparte aveva operato, che con accordo deimunicipali si facesse una spedizione di forze navali eterrestri a Corfù, isola per la grandezza e per la fortezzamolto principale in quelle spiagge; e perchè una forzapreponderante vi fosse, ed anche perchè vi erano forni-menti di marinerìa di molta importanza, aveva, per mez-

che gravemente della Dalmata rapina San Fermo man-dato dai municipali, anche per opera di Buonaparte, asedere presso il direttorio a Parigi. Ne ottenevano en-trambi buone parole: non dubitassero, o che la Franciasforzerebbe con le armi l'Austria a rilasciare le provincieoccupate, o procurerebbe coi trattati, che Venezia connuove possessioni si compensasse, ora dando speranza,che i paesi della terraferma, anche quei d'oltre Mincio,le si restituirebbero, ed ora che le sarebbero date incompenso le legazioni. A comprendere quale nuova spe-zie di lealtà fosse questa, avrà bastato il raccontarla;conciossiachè a Montebello già si fosse convenuto il dìventisei di maggio coi plenipotenziari imperiali Buona-parte di dar Venezia all'imperatore; al che aveva consen-tito il direttorio il dì tre di giugno. Intanto Battaglia eSan Fermo scrivevano buone nuove, ed i municipali sele credevano, o facevano vista di crederle, e ne dimo-stravano grandi allegrezze.Era necessario, a volere che si spianasse la strada allaesecuzione dei patti di Campoformio, già prima che fos-sero fermati in debita forma, che le isole del LevanteVeneto venissero in potestà dei Francesi. Per la qualcosa Buonaparte aveva operato, che con accordo deimunicipali si facesse una spedizione di forze navali eterrestri a Corfù, isola per la grandezza e per la fortezzamolto principale in quelle spiagge; e perchè una forzapreponderante vi fosse, ed anche perchè vi erano forni-menti di marinerìa di molta importanza, aveva, per mez-

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zo del direttorio, dato ordine, che al tempo medesimo daTolone l'ammiraglio Brueys si avviasse all'isola stessacon la sua armata. Erano a quei tempi le isole del Le-vante Veneto rette con dolce e giusto freno dal nobileVidiman, fratello del municipale, e come egli, di vera epiù che ordinaria carità fornito verso la Veneziana pa-tria: uomo certamente per virtù cittadina molto singola-re; umano con gli avversi, dolce con gli amici, giustocon tutti, ritraeva il suo procedere più dell'antico, chedel moderno, ed aveva con tanta efficacia, e senza alcu-no sforzo, ma solamente pel suo buon naturale operato,che quelle immaginazioni greche tanto vivaci e mobili,malgrado delle parole incentive che suonavano da Fran-cia e da Italia, fermamente si conservassero affezionateal nome Veneziano. Quando poi i tempi già tanto strettiandavano per Venezia a cagione della presenza dei re-pubblicani negli stati di terraferma, prima però chel'antico governo fosse annullato, penuriando l'erario didenaro, nè potendo supplire alle spese sì civili che mili-tari delle isole, offeriva, e dava Vidiman del suo alla re-pubblica, oltre tutto il suo vasellame d'argento, otto miladucati Veneti, del che gli rendeva il senato pubbliche esolenni grazie. Nè questi bastando al grosso dispendiosoldava a benefizio del pubblico con privato obbligo al-tri quaranta mila ducati, e con questi si andava sosten-tando in quei tempi difficili lo stato delle isole. Quandopoi incominciavano ad arrivare a Corfù i romori delcambiamento succeduto a Venezia, ancorchè grandissi-ma molestia ne ricevesse, siccome quegli che per opi-

zo del direttorio, dato ordine, che al tempo medesimo daTolone l'ammiraglio Brueys si avviasse all'isola stessacon la sua armata. Erano a quei tempi le isole del Le-vante Veneto rette con dolce e giusto freno dal nobileVidiman, fratello del municipale, e come egli, di vera epiù che ordinaria carità fornito verso la Veneziana pa-tria: uomo certamente per virtù cittadina molto singola-re; umano con gli avversi, dolce con gli amici, giustocon tutti, ritraeva il suo procedere più dell'antico, chedel moderno, ed aveva con tanta efficacia, e senza alcu-no sforzo, ma solamente pel suo buon naturale operato,che quelle immaginazioni greche tanto vivaci e mobili,malgrado delle parole incentive che suonavano da Fran-cia e da Italia, fermamente si conservassero affezionateal nome Veneziano. Quando poi i tempi già tanto strettiandavano per Venezia a cagione della presenza dei re-pubblicani negli stati di terraferma, prima però chel'antico governo fosse annullato, penuriando l'erario didenaro, nè potendo supplire alle spese sì civili che mili-tari delle isole, offeriva, e dava Vidiman del suo alla re-pubblica, oltre tutto il suo vasellame d'argento, otto miladucati Veneti, del che gli rendeva il senato pubbliche esolenni grazie. Nè questi bastando al grosso dispendiosoldava a benefizio del pubblico con privato obbligo al-tri quaranta mila ducati, e con questi si andava sosten-tando in quei tempi difficili lo stato delle isole. Quandopoi incominciavano ad arrivare a Corfù i romori delcambiamento succeduto a Venezia, ancorchè grandissi-ma molestia ne ricevesse, siccome quegli che per opi-

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nione e per consuetudine era dedito all'antica repubbli-ca, nondimeno pensando, che se era perduto lo statovecchio, gli rimaneva, se non una patria, almeno un pae-se, al quale era suo debito servire, s'ingegnava con ognisforzo di calmare gli spiriti, per fargli perseverare nellaloro fede ed affezione verso Venezia, qualunque avessead essere il suo destino. Nel che faceva grandissimofrutto a cagione dell'amore, che generalmente gli eraportato.Finalmente per la via di Otranto gli pervenivano letteredei municipali di Venezia, che recavano le novelle dellarivoluzione, dell'essersi distrutta l'aristocrazìa, ed allar-gato il governo alla democrazìa. Aggiungevano, nomi-nerebbe un dì il popolo i suoi rappresentanti; ma che in-tanto, per impedire la cessazione dei magistrati, si eracreato nei municipali un governo a tempo; avrebbero imunicipali gli abitatori delle isole, e dei luoghi del Le-vante in luogo di fratelli; manderebbero due commissariper metter all'ordine il nuovo stato; Vidiman sarebbe ilterzo; verrebbero con una forte armata, e con sei milasoldati. Tacevano se i soldati avessero ad essere Vene-ziani, o Francesi. Preparasse adunque, esortavano, conla prudenza e destrezza sua gli animi; spiasse bene, eraffrenasse coloro che fossero di genio aristocratico;usasse a quiete di tutti l'opera delle persone prudenti ereligiose di ogni rito; sopratutto impedisse, che gli uo-mini inquieti e torbidi prorompessero in qualche discor-dia o tumulto: in lui riposarsi, terminavano, con animo

nione e per consuetudine era dedito all'antica repubbli-ca, nondimeno pensando, che se era perduto lo statovecchio, gli rimaneva, se non una patria, almeno un pae-se, al quale era suo debito servire, s'ingegnava con ognisforzo di calmare gli spiriti, per fargli perseverare nellaloro fede ed affezione verso Venezia, qualunque avessead essere il suo destino. Nel che faceva grandissimofrutto a cagione dell'amore, che generalmente gli eraportato.Finalmente per la via di Otranto gli pervenivano letteredei municipali di Venezia, che recavano le novelle dellarivoluzione, dell'essersi distrutta l'aristocrazìa, ed allar-gato il governo alla democrazìa. Aggiungevano, nomi-nerebbe un dì il popolo i suoi rappresentanti; ma che in-tanto, per impedire la cessazione dei magistrati, si eracreato nei municipali un governo a tempo; avrebbero imunicipali gli abitatori delle isole, e dei luoghi del Le-vante in luogo di fratelli; manderebbero due commissariper metter all'ordine il nuovo stato; Vidiman sarebbe ilterzo; verrebbero con una forte armata, e con sei milasoldati. Tacevano se i soldati avessero ad essere Vene-ziani, o Francesi. Preparasse adunque, esortavano, conla prudenza e destrezza sua gli animi; spiasse bene, eraffrenasse coloro che fossero di genio aristocratico;usasse a quiete di tutti l'opera delle persone prudenti ereligiose di ogni rito; sopratutto impedisse, che gli uo-mini inquieti e torbidi prorompessero in qualche discor-dia o tumulto: in lui riposarsi, terminavano, con animo

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tranquillo i municipali, ed intieramente rimettersi nellafermezza, nell'avvedutezza, nella temperanza e nellaesperienza sua. In sì solenne e tanto terminativo acci-dente di quanto egli aveva di più caro e più onorato suquesta terra, adunava Vidiman i primari magistrati sì ci-vili che militari, e leggeva loro il municipale dispaccio,esortandogli alla sopportazione ed all'obbedienza. Fu-ronvi rammarichi ed alte querele; ma mostrarono rasse-gnazione, ignari ancora a che cosa gli serbassero i fati.Frattanto si facevano a Venezia gli apparecchj necessariper la spedizione di Levante. Il fondamento era da partedel direttorio di spirar tanta confidenza ai municipali,che credessero, mandarsi le forze Francesi per mantenerquelle possessioni nella divozione di Venezia, e per riac-quistar anche, ove fosse venuto il tempo proprio, la Dal-mazia: con queste coperte intendevano Buonaparte e ildirettorio al far uscire da Venezia, col fine d'impadronir-sene, quella parte dell'armata Veneziana, che sull'ancorese ne stava nel porto. Perlocchè si appresentavaBaraguey d'Hilliers con tutti gli ufficiali Francesi damare, che dovevano governare l'armata, in una solenneadunata, ai municipali, con parole meliflue protestandodell'amicizia del direttorio, chiamando la repubblica colsuo nuovo governo sorella, e promettendo, che tutte leforze Francesi si adoprerebbero, perchè ella fosse resti-tuita all'antica sua grandezza. Qui lascio, che gli storiciBuonapartiani lodino a posta loro, e saria bene, che cispiegassero, quale offesa da questo momento in poi ab-

tranquillo i municipali, ed intieramente rimettersi nellafermezza, nell'avvedutezza, nella temperanza e nellaesperienza sua. In sì solenne e tanto terminativo acci-dente di quanto egli aveva di più caro e più onorato suquesta terra, adunava Vidiman i primari magistrati sì ci-vili che militari, e leggeva loro il municipale dispaccio,esortandogli alla sopportazione ed all'obbedienza. Fu-ronvi rammarichi ed alte querele; ma mostrarono rasse-gnazione, ignari ancora a che cosa gli serbassero i fati.Frattanto si facevano a Venezia gli apparecchj necessariper la spedizione di Levante. Il fondamento era da partedel direttorio di spirar tanta confidenza ai municipali,che credessero, mandarsi le forze Francesi per mantenerquelle possessioni nella divozione di Venezia, e per riac-quistar anche, ove fosse venuto il tempo proprio, la Dal-mazia: con queste coperte intendevano Buonaparte e ildirettorio al far uscire da Venezia, col fine d'impadronir-sene, quella parte dell'armata Veneziana, che sull'ancorese ne stava nel porto. Perlocchè si appresentavaBaraguey d'Hilliers con tutti gli ufficiali Francesi damare, che dovevano governare l'armata, in una solenneadunata, ai municipali, con parole meliflue protestandodell'amicizia del direttorio, chiamando la repubblica colsuo nuovo governo sorella, e promettendo, che tutte leforze Francesi si adoprerebbero, perchè ella fosse resti-tuita all'antica sua grandezza. Qui lascio, che gli storiciBuonapartiani lodino a posta loro, e saria bene, che cispiegassero, quale offesa da questo momento in poi ab-

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bia fatto Venezia a Francia, perchè meditasse di esserespenta, e data in preda all'imperatore. Si destinava a go-vernar le genti da terra il generale Gentili. Obbedival'armata al capitano di nave Bourdè, uomo assai perito, enon di pensieri immoderati, e molto amato da Buona-parte. Consisteva l'armata in due navi di fila Venete, duefregate pure Venete, e due brigantini Francesi. Moltenavi atte a trasportar soldati l'accompagnavano; furonoempiute di Francesi, la maggior parte della settuagesimanona, soldati tanto valorosi, quanto bene disciplinati, eche modestamente portandosi in Corfù temperarono infavor del nome Francese l'acerbità del dominio forestie-ro. Volle Buonaparte, poichè si trattava di andar in Gre-cia, che s'imbarcasse Arnauld, letterato di grido, il qualevenuto in Italia per veder il paese, ed esaminare quellerivoluzioni, dopo di essersi qualche tempo dimorato inVenezia, era divenuto vago di visitare la Grecia. In luiaveva il generalissimo posto molta fede per avere i rap-porti sulle antichità dei paesi, sui costumi e sulle leggidei popoli. Ancora, se discoprisse qualche cosa di genti-le e di vago, o quadro fosse, o statua, o manoscritto, sìl'indicasse acciò se lo potesse rapire.Sapevano i municipali a quali angustie fosse ridotto Vi-diman a Corfù per la mancanza del denaro, e credendoanche allettare i popoli, se arrivando i primi agenti dellamutata Venezia, portassero con se denaro per dar le pa-ghe già da tanto tempo corse, imbarcavano a governodegli amministratori, che mandavano nelle isole, seimila

bia fatto Venezia a Francia, perchè meditasse di esserespenta, e data in preda all'imperatore. Si destinava a go-vernar le genti da terra il generale Gentili. Obbedival'armata al capitano di nave Bourdè, uomo assai perito, enon di pensieri immoderati, e molto amato da Buona-parte. Consisteva l'armata in due navi di fila Venete, duefregate pure Venete, e due brigantini Francesi. Moltenavi atte a trasportar soldati l'accompagnavano; furonoempiute di Francesi, la maggior parte della settuagesimanona, soldati tanto valorosi, quanto bene disciplinati, eche modestamente portandosi in Corfù temperarono infavor del nome Francese l'acerbità del dominio forestie-ro. Volle Buonaparte, poichè si trattava di andar in Gre-cia, che s'imbarcasse Arnauld, letterato di grido, il qualevenuto in Italia per veder il paese, ed esaminare quellerivoluzioni, dopo di essersi qualche tempo dimorato inVenezia, era divenuto vago di visitare la Grecia. In luiaveva il generalissimo posto molta fede per avere i rap-porti sulle antichità dei paesi, sui costumi e sulle leggidei popoli. Ancora, se discoprisse qualche cosa di genti-le e di vago, o quadro fosse, o statua, o manoscritto, sìl'indicasse acciò se lo potesse rapire.Sapevano i municipali a quali angustie fosse ridotto Vi-diman a Corfù per la mancanza del denaro, e credendoanche allettare i popoli, se arrivando i primi agenti dellamutata Venezia, portassero con se denaro per dar le pa-ghe già da tanto tempo corse, imbarcavano a governodegli amministratori, che mandavano nelle isole, seimila

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zecchini.Appariva il dì ventotto giugno nel porto dei Corfiottil'armata apportatrice dei soldati stranieri. Vidiman, egl'Isolani molto si maravigliarono al vedere insegne eduomini Francesi, in luogo d'insegne e d'uomini Venezia-ni: pareva loro, che altro suonassero le parole, ed altro ifatti, nè sapevano intendere un caso tanto strano. Gentiliscriveva dalla nave capitana a Vidiman, essere venuto, aciò richiesto dai municipali di Venezia, a rinforzar leguernigioni, ad assicurare Corfù e le altre isole del le-vante, a trattare con esso lui delle cose risguardanti la si-curezza e la quiete dello stato. Il ricercava intanto, pre-parasse in fortezza gli alloggiamenti pe' suoi soldati,quelle Greche isole per la prima volta venivano in pos-sessione di Francia.Suonavano a festa il dì ventinove di giugno gli stromen-ti da guerra; i nuovi repubblicani sbarcavano. Quegliuomini Greci si maravigliavano in veder quegli uomininuovi, e tanto guerrieri. Venivano i magistrati a far rive-renza agl'insoliti signori. Il vescovo Greco, (che la mag-gior parte di quegl'isolani sono di questo rito), in cotalguisa parlava a Gentili:

«Francesi, voi trovate in quest'isola un popoloignorante delle scienze e delle arti, che illustranole nazioni; ma non l'abbiate per questo a vile: eglipuò tornare qual fu un tempo; apprendete, e ciòdicendo sporgeva la Odissea, apprendete da que-sto libro, disse, in qual conto voi dobbiate tener-

zecchini.Appariva il dì ventotto giugno nel porto dei Corfiottil'armata apportatrice dei soldati stranieri. Vidiman, egl'Isolani molto si maravigliarono al vedere insegne eduomini Francesi, in luogo d'insegne e d'uomini Venezia-ni: pareva loro, che altro suonassero le parole, ed altro ifatti, nè sapevano intendere un caso tanto strano. Gentiliscriveva dalla nave capitana a Vidiman, essere venuto, aciò richiesto dai municipali di Venezia, a rinforzar leguernigioni, ad assicurare Corfù e le altre isole del le-vante, a trattare con esso lui delle cose risguardanti la si-curezza e la quiete dello stato. Il ricercava intanto, pre-parasse in fortezza gli alloggiamenti pe' suoi soldati,quelle Greche isole per la prima volta venivano in pos-sessione di Francia.Suonavano a festa il dì ventinove di giugno gli stromen-ti da guerra; i nuovi repubblicani sbarcavano. Quegliuomini Greci si maravigliavano in veder quegli uomininuovi, e tanto guerrieri. Venivano i magistrati a far rive-renza agl'insoliti signori. Il vescovo Greco, (che la mag-gior parte di quegl'isolani sono di questo rito), in cotalguisa parlava a Gentili:

«Francesi, voi trovate in quest'isola un popoloignorante delle scienze e delle arti, che illustranole nazioni; ma non l'abbiate per questo a vile: eglipuò tornare qual fu un tempo; apprendete, e ciòdicendo sporgeva la Odissea, apprendete da que-sto libro, disse, in qual conto voi dobbiate tener-

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lo».

Non così tosto ebbe Gentili sbarcato le sue genti, che lealloggiava nella fortezza, e così recava in sua mano lafacoltà di fare a sua volontà qualunque cosa ei volesse.Poi non da alleato, ma da padrone procedendo, s'impa-droniva dei magazzini del pubblico, e di tutte le artiglie-rìe, che erano belle, ed in numero considerabile. Megliodi cinquecento cannoni, la maggior parte di bronzo, ven-ti obici, petrai, e mortaj o di bronzo o di ferro centoven-tuno, cinquanta migliaja di polvere, venti casse di fucili,palle e bombe in proporzione, ricchissima preda.A Gentili succedeva Bourdè, che poneva le mani addos-so ai magazzini di mare, ed a sei navi di fila, e tre frega-te Veneziane, due buone, il Volcano, e la Fama, le altrein cattivo arnese. Gentili intanto i seimila zecchini man-dati da Venezia per soccorre alle cose Veneziane nelleisole, recava in suo potere per dar le paghe a' suoi solda-ti, ed agli amministratori venuti con lui.Posto il piede, e confermato il dominio Francesenell'isola principale di Corfù, mandavano Gentili eBourdè forze di terra e da mare, a prender possesso diCefalonia e di Zante, e dell'isola più lontana di Cerigo,che fu l'antica Citera, certo molto difforme dallo statoantico, perchè poco altro ella è ora, che uno scoglio ari-do e deserto. Poi Gentili ed Arnauld, fattisi dar liste dicandidati dai primari abitanti, creavano i municipali diCorfù, fra i quali per un'arte, che sa piuttosto di derisio-

lo».

Non così tosto ebbe Gentili sbarcato le sue genti, che lealloggiava nella fortezza, e così recava in sua mano lafacoltà di fare a sua volontà qualunque cosa ei volesse.Poi non da alleato, ma da padrone procedendo, s'impa-droniva dei magazzini del pubblico, e di tutte le artiglie-rìe, che erano belle, ed in numero considerabile. Megliodi cinquecento cannoni, la maggior parte di bronzo, ven-ti obici, petrai, e mortaj o di bronzo o di ferro centoven-tuno, cinquanta migliaja di polvere, venti casse di fucili,palle e bombe in proporzione, ricchissima preda.A Gentili succedeva Bourdè, che poneva le mani addos-so ai magazzini di mare, ed a sei navi di fila, e tre frega-te Veneziane, due buone, il Volcano, e la Fama, le altrein cattivo arnese. Gentili intanto i seimila zecchini man-dati da Venezia per soccorre alle cose Veneziane nelleisole, recava in suo potere per dar le paghe a' suoi solda-ti, ed agli amministratori venuti con lui.Posto il piede, e confermato il dominio Francesenell'isola principale di Corfù, mandavano Gentili eBourdè forze di terra e da mare, a prender possesso diCefalonia e di Zante, e dell'isola più lontana di Cerigo,che fu l'antica Citera, certo molto difforme dallo statoantico, perchè poco altro ella è ora, che uno scoglio ari-do e deserto. Poi Gentili ed Arnauld, fattisi dar liste dicandidati dai primari abitanti, creavano i municipali diCorfù, fra i quali per un'arte, che sa piuttosto di derisio-

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ne, e già l'avevano usata col doge di Venezia, nominava-no Vidiman, già spogliato di ogni altra autorità. Cosìcon disfare ogni vestigio di governo Veneto, con diverti-re ad uso dei soldati Francesi la pecunia pubblica, contorre a Venezia quanto aveva nelle isole di ricchezza e diforza, pretendevano gli agenti del direttorio e di Buona-parte di conservarle quelle possessioni. A questo modoancora si eseguivano i comandamenti di Buonaparte, ilquale scrivendo a Bourdè nel mese di giugno, gli ordi-nava, si appresentasse con Baraguey d'Hilliers, e col mi-nistro di Francia ai municipali di Venezia, e loro dices-se, che la conformità dei principj che a quei dì reggeva-no la repubblica Francese e quella di Venezia, e la manoforte, che la prima dava alla seconda, richiedevano, cheprontamente le forze marittime di Venezia si allestisse-ro, perchè di concerto le due repubbliche si potesseromantener in possessione dell'Adriatico, e dell'isole delLevante, e tutelassero il loro comercio; e che già a que-sto fine egli aveva mandato genti per assicurare alla re-pubblica Veneziana la possessione di Corfù. Gli avver-tisse finalmente, che quello era il tempo di mettere inpronto, e di armare virilmente il navilio Veneziano.Queste ed altre simili cose voleva Buonaparte, cheBourdè accompagnato da solenne apparato dicesse. Lequali chi mi leggerà, considerando, e così ancora le sti-pulazioni di Montebello del ventisei di maggio di soprada noi accennate, verrà facilmente a conoscere qualfraude fosse questa di gettare in quel tempo parole diconservazione per Venezia. Ma la fraude era doppia,

ne, e già l'avevano usata col doge di Venezia, nominava-no Vidiman, già spogliato di ogni altra autorità. Cosìcon disfare ogni vestigio di governo Veneto, con diverti-re ad uso dei soldati Francesi la pecunia pubblica, contorre a Venezia quanto aveva nelle isole di ricchezza e diforza, pretendevano gli agenti del direttorio e di Buona-parte di conservarle quelle possessioni. A questo modoancora si eseguivano i comandamenti di Buonaparte, ilquale scrivendo a Bourdè nel mese di giugno, gli ordi-nava, si appresentasse con Baraguey d'Hilliers, e col mi-nistro di Francia ai municipali di Venezia, e loro dices-se, che la conformità dei principj che a quei dì reggeva-no la repubblica Francese e quella di Venezia, e la manoforte, che la prima dava alla seconda, richiedevano, cheprontamente le forze marittime di Venezia si allestisse-ro, perchè di concerto le due repubbliche si potesseromantener in possessione dell'Adriatico, e dell'isole delLevante, e tutelassero il loro comercio; e che già a que-sto fine egli aveva mandato genti per assicurare alla re-pubblica Veneziana la possessione di Corfù. Gli avver-tisse finalmente, che quello era il tempo di mettere inpronto, e di armare virilmente il navilio Veneziano.Queste ed altre simili cose voleva Buonaparte, cheBourdè accompagnato da solenne apparato dicesse. Lequali chi mi leggerà, considerando, e così ancora le sti-pulazioni di Montebello del ventisei di maggio di soprada noi accennate, verrà facilmente a conoscere qualfraude fosse questa di gettare in quel tempo parole diconservazione per Venezia. Ma la fraude era doppia,

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perchè al momento stesso comandava a Bourdè, che conquesto pretesto, e con procurare tuttavia di vivere inbuon accordo, s'impadronisse di ogni cosa, e tirasse aiservigi di Francia i marinari, e gl'impiegati della marine-rìa Veneziana. Imponeva finalmente al medesimoBourdè, che mettesse in pronto tutte le navi Veneziane sìgrosse che sottili, e le incorporasse all'armata Francese,e mandasse a Tolone ogni qualunque provvisione Vene-ta. Così Venezia era rapita in Venezia medesima, in ter-raferma Italiana e Slava, e nelle isole sì dell'Adriatico,che dell'Ionio e dell'Egeo.Stabilitasi nel modo raccontato la dominazione Francesein Corfù, vi nascevano più vive, che mai vi fossero sta-te, le parti; perchè alcuni fomentavano lo stato nuovo,altri si conservavano addetti al vecchio. Capi dei primierano i Teotochi, massimamente il vecchio, personaggiovenerabile per l'età e per le virtù, e di molto seguitonell'isola; capo ai secondi si mostrava l'avvocato Scor-dilli, uomo ancor esso risplendente per virtù e per inge-gno. E siccome gli odj nelle isole sono molto gravi, cosìgli aderenti di una parte non risparmiavano nissuna pa-rola, che fosse ingiuriosa contro la parte avversaria. Sa-rebbero anche molto volentieri venuti ai fatti, se la forzaFrancese preponderante non gli avesse raffrenati.Intanto Gentili, recatasi la somma delle cose in mano,continuava, quantunque fosse assai cagionevole dellapersona, a starsene a Corfù; Bourdè se ne tornava con lesue navi a Venezia. Arnauld, visto che non poteva ese-

perchè al momento stesso comandava a Bourdè, che conquesto pretesto, e con procurare tuttavia di vivere inbuon accordo, s'impadronisse di ogni cosa, e tirasse aiservigi di Francia i marinari, e gl'impiegati della marine-rìa Veneziana. Imponeva finalmente al medesimoBourdè, che mettesse in pronto tutte le navi Veneziane sìgrosse che sottili, e le incorporasse all'armata Francese,e mandasse a Tolone ogni qualunque provvisione Vene-ta. Così Venezia era rapita in Venezia medesima, in ter-raferma Italiana e Slava, e nelle isole sì dell'Adriatico,che dell'Ionio e dell'Egeo.Stabilitasi nel modo raccontato la dominazione Francesein Corfù, vi nascevano più vive, che mai vi fossero sta-te, le parti; perchè alcuni fomentavano lo stato nuovo,altri si conservavano addetti al vecchio. Capi dei primierano i Teotochi, massimamente il vecchio, personaggiovenerabile per l'età e per le virtù, e di molto seguitonell'isola; capo ai secondi si mostrava l'avvocato Scor-dilli, uomo ancor esso risplendente per virtù e per inge-gno. E siccome gli odj nelle isole sono molto gravi, cosìgli aderenti di una parte non risparmiavano nissuna pa-rola, che fosse ingiuriosa contro la parte avversaria. Sa-rebbero anche molto volentieri venuti ai fatti, se la forzaFrancese preponderante non gli avesse raffrenati.Intanto Gentili, recatasi la somma delle cose in mano,continuava, quantunque fosse assai cagionevole dellapersona, a starsene a Corfù; Bourdè se ne tornava con lesue navi a Venezia. Arnauld, visto che non poteva ese-

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guire il mandato di Buonaparte dell'indicar gli spoglidelle chiese, dei musei e delle librerìe pubbliche, perchèstatue, quadri, manoscritti preziosi non ve n'erano, visi-tati, come scriveva, i giardini di Alcinoo, e la pietra la-vandaja di Nausicae, chiamati i Corfiotti superstiziosi,ignoranti e vili, ed i Greci ladri, perfidi ed inospitali, ec-cettuando solamente i Mainotti, forse perchè sapeva cheBuonaparte gli accarezzava, scritto finalmente che la li-bertà aveva solo settatori fra il popolo tiranno, cioè fra iTurchi, se ne partiva per l'Italia per andarsene a visitarela tomba di Virgilio. Così Arnauld giudicò i Greci nèamatori, nè degni di libertà: solo aveva per la libertàqualche speranza nei Turchi.Con magistrati temporanei si governavano le cose inCorfù fino alla pace di Campoformio. Poi vi fu mandatoda Buonaparte un Corbigny, che ordinava le isole amodo di Francia, partendole in tre spartimenti, dei qualiquello di Corfù chiamava di Corcira, quello di Cefalo-nia, d'Itaca, e quello di Zante, del mar Egeo. Alla presadel magistrato orava in piazza il Teotochi, presidenteeletto del magistrato distrettuale, con qualche veemenzasulle cose nuove. L'emolo Scordilli lo chiamava vecchiopazzo.La presenza dei Francesi in Corfù vi partoriva due effet-ti molto notabili. Il primo fu, che i Corfiotti non si am-mazzavano più fra di loro, come eran soliti fare quasiogni giorno innanzi che i Francesi vi arrivassero, il se-condo, che i soldati Francesi, temperatamente portando-

guire il mandato di Buonaparte dell'indicar gli spoglidelle chiese, dei musei e delle librerìe pubbliche, perchèstatue, quadri, manoscritti preziosi non ve n'erano, visi-tati, come scriveva, i giardini di Alcinoo, e la pietra la-vandaja di Nausicae, chiamati i Corfiotti superstiziosi,ignoranti e vili, ed i Greci ladri, perfidi ed inospitali, ec-cettuando solamente i Mainotti, forse perchè sapeva cheBuonaparte gli accarezzava, scritto finalmente che la li-bertà aveva solo settatori fra il popolo tiranno, cioè fra iTurchi, se ne partiva per l'Italia per andarsene a visitarela tomba di Virgilio. Così Arnauld giudicò i Greci nèamatori, nè degni di libertà: solo aveva per la libertàqualche speranza nei Turchi.Con magistrati temporanei si governavano le cose inCorfù fino alla pace di Campoformio. Poi vi fu mandatoda Buonaparte un Corbigny, che ordinava le isole amodo di Francia, partendole in tre spartimenti, dei qualiquello di Corfù chiamava di Corcira, quello di Cefalo-nia, d'Itaca, e quello di Zante, del mar Egeo. Alla presadel magistrato orava in piazza il Teotochi, presidenteeletto del magistrato distrettuale, con qualche veemenzasulle cose nuove. L'emolo Scordilli lo chiamava vecchiopazzo.La presenza dei Francesi in Corfù vi partoriva due effet-ti molto notabili. Il primo fu, che i Corfiotti non si am-mazzavano più fra di loro, come eran soliti fare quasiogni giorno innanzi che i Francesi vi arrivassero, il se-condo, che i soldati Francesi, temperatamente portando-

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si, si accomunavano con gl'isolani, e cambiavano in af-fezione l'odio, che prima avevano contro il nome Fran-cese. Imparavano i Corfiotti l'industria, e le singolariarti; si facevano maritaggi, mezzo sempre d'intimo con-giungimento fra le nazioni; ed io ho veduto, ed udito unsoldato Francese, già imparata la lingua del paese, orare,non senza facondia, in greco volgare in cospetto dei tri-bunali contro la sua moglie greca, donna bellissima, chesi voleva separare da lui per divorzio: vinceva, e serba-vasi con molta contentezza la donna. In tale mansuetaforma si viveva in Corfù con utile degl'isolani, finchè vivenne Sordina, municipale di Venezia, a metter su i ri-trovi politici, e ad orare, ed a far romore in tribuna; ilche accrebbe i risentimenti, e rinvigoriva gli odj, perchèla gente savia vedeva in quei ritrovi le consuetudini tu-multuarie e sanguinose di Francia, quantunque vi favel-lasse spesso, ed a buon fine, e con parole temperate ungenerale Francese per nome Villelongue, uomo tantodotto ed eloquente, quanto gentile ed onesto.Venezia già serva di Francia era destinata a divenir frabreve serva d'Austria. Ma prima che raccontiamo ilcompimento delle macchinazioni ordite, è per noi neces-sario narrare quanto antecedentemente in essa sia acca-duto. Dominava con imperio assoluto Baragueyd'Hilliers, parte da se, parte in conformità degli ordini diBuonaparte. Alloggiava in casa Pisani con fasto grande,e con carico gravissimo di quella famiglia; i municipalinon deliberavano, se non sentito lui; i posti principali

si, si accomunavano con gl'isolani, e cambiavano in af-fezione l'odio, che prima avevano contro il nome Fran-cese. Imparavano i Corfiotti l'industria, e le singolariarti; si facevano maritaggi, mezzo sempre d'intimo con-giungimento fra le nazioni; ed io ho veduto, ed udito unsoldato Francese, già imparata la lingua del paese, orare,non senza facondia, in greco volgare in cospetto dei tri-bunali contro la sua moglie greca, donna bellissima, chesi voleva separare da lui per divorzio: vinceva, e serba-vasi con molta contentezza la donna. In tale mansuetaforma si viveva in Corfù con utile degl'isolani, finchè vivenne Sordina, municipale di Venezia, a metter su i ri-trovi politici, e ad orare, ed a far romore in tribuna; ilche accrebbe i risentimenti, e rinvigoriva gli odj, perchèla gente savia vedeva in quei ritrovi le consuetudini tu-multuarie e sanguinose di Francia, quantunque vi favel-lasse spesso, ed a buon fine, e con parole temperate ungenerale Francese per nome Villelongue, uomo tantodotto ed eloquente, quanto gentile ed onesto.Venezia già serva di Francia era destinata a divenir frabreve serva d'Austria. Ma prima che raccontiamo ilcompimento delle macchinazioni ordite, è per noi neces-sario narrare quanto antecedentemente in essa sia acca-duto. Dominava con imperio assoluto Baragueyd'Hilliers, parte da se, parte in conformità degli ordini diBuonaparte. Alloggiava in casa Pisani con fasto grande,e con carico gravissimo di quella famiglia; i municipalinon deliberavano, se non sentito lui; i posti principali

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erano custoditi dai Francesi; i municipali, chi per forza,chi per prudenza, chi per adulazione servivano aBaraguey. Villetard, siccome giovane e confidente, sitravagliava per ordinare il nuovo governo democratico,ed in ciò si trovava posto in difficile condizione; perchègli spogli scemavano autorità alle sue parole, e pareva atutti, come era veramente, che cattivo principio di liber-tà fosse quello che si vedeva. Ne sentiva egli doloregrandissimo, perchè ed amava la libertà, e camminavain quelle bisogne con animo sincero. S'incominciava adar mano agli spogli delle opere gentili insino a tantoche arrivasse tempo al toccare le più utili. Quanto di piùbello e di più prezioso avevano prodotto gli scarpelli, odi pennelli, o le penne greche, latine ed italiane, era rapi-to dagli strani amici. Le gallerìe, le librerìe, i tempj, imusei sì pubblici che privati diligentemente si scrutava-no, e violentemente si sfioravano. A questo modo novechiese in Venezia, una in Verona, parecchie in altri luo-ghi della terraferma restarono stampate dei vestigj dellacupidità forestiera.Il palazzo pubblico di Venezia, massimamente in quellestanze stesse, dove con tanta prudenza, e per tanti secolidei negozj attinenti alla patria avevano deliberato i pa-dri, e dove allora i municipali vantavano la libertà di Ve-nezia, e la generosità del vincitore, fu dei più preziosiornamenti espilato. Con pari rabbia fu la gallerìa privatadei nobili Bevilacqua in Verona da mani violente tocca espogliata. Le opere di Bassano, di Paolo Veronese, di Ti-

erano custoditi dai Francesi; i municipali, chi per forza,chi per prudenza, chi per adulazione servivano aBaraguey. Villetard, siccome giovane e confidente, sitravagliava per ordinare il nuovo governo democratico,ed in ciò si trovava posto in difficile condizione; perchègli spogli scemavano autorità alle sue parole, e pareva atutti, come era veramente, che cattivo principio di liber-tà fosse quello che si vedeva. Ne sentiva egli doloregrandissimo, perchè ed amava la libertà, e camminavain quelle bisogne con animo sincero. S'incominciava adar mano agli spogli delle opere gentili insino a tantoche arrivasse tempo al toccare le più utili. Quanto di piùbello e di più prezioso avevano prodotto gli scarpelli, odi pennelli, o le penne greche, latine ed italiane, era rapi-to dagli strani amici. Le gallerìe, le librerìe, i tempj, imusei sì pubblici che privati diligentemente si scrutava-no, e violentemente si sfioravano. A questo modo novechiese in Venezia, una in Verona, parecchie in altri luo-ghi della terraferma restarono stampate dei vestigj dellacupidità forestiera.Il palazzo pubblico di Venezia, massimamente in quellestanze stesse, dove con tanta prudenza, e per tanti secolidei negozj attinenti alla patria avevano deliberato i pa-dri, e dove allora i municipali vantavano la libertà di Ve-nezia, e la generosità del vincitore, fu dei più preziosiornamenti espilato. Con pari rabbia fu la gallerìa privatadei nobili Bevilacqua in Verona da mani violente tocca espogliata. Le opere di Bassano, di Paolo Veronese, di Ti-

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ziano, di Tintoretto, di Pordenone, di Bellini, di Mante-gna tanto care ai Veneziani e per bellezza propria, e peressere di mano di artisti paesani, dai luoghi loro depostese ne andavano ad ornare forestieri, e lontani lidi. ManiItaliane furono costrette dalla forza ad ajutare lo spogliod'Italia. Molte statue e bassi rilievi antichi, sì di marmoche di bronzo, di grandissimo pregio, e tre vasi etruschidi egregio lavoro erano tolti dalla librerìa pubblica diVenezia, e della gallerìa Bevilacqua. Nè i camei, operepreziose, si risparmiavano; e fra di loro quello tanto fa-moso, che rappresentava Giove Egeo. Sessantanove me-daglie greche o romane, parte in argento, parte in bronzoerano levate dai privati musei dei Muselli, e dei Veritàdi Verona. Dei manoscritti con grandissimo doloredegl'Italiani dalla sola libreria di Venezia più di duecen-to greci, o latini, o italiani, o arabi, o in carta pergame-na, o in carta usuale, o in carta di seta saziavano le vo-glie dei repubblicani d'oltremonti. Pregiavano principal-mente i Veneziani due manoscritti arabi in carta di seta,perchè dati in dono dal cardinal Bessarione alla repub-blica, e questi ancora piansero e desiderarono, in fore-stiera terra trasportati. Sentivano la comune spogliagio-ne le librerìe pregiatissime dei monasteri di Venezia, diTreviso, e di San Daniele in Friuli, dai quali atti dellemani vincitrici mancarono settantasei testi a penna pre-ziosissimi, fra i quali otto anteriori al secolo decimoter-zo. Alle medesime espilazioni andavano soggette lestampe tenute tanto care degli Aldi, la Magontina nomi-natamente, opera del 1459, le quali con somma gelosìa

ziano, di Tintoretto, di Pordenone, di Bellini, di Mante-gna tanto care ai Veneziani e per bellezza propria, e peressere di mano di artisti paesani, dai luoghi loro depostese ne andavano ad ornare forestieri, e lontani lidi. ManiItaliane furono costrette dalla forza ad ajutare lo spogliod'Italia. Molte statue e bassi rilievi antichi, sì di marmoche di bronzo, di grandissimo pregio, e tre vasi etruschidi egregio lavoro erano tolti dalla librerìa pubblica diVenezia, e della gallerìa Bevilacqua. Nè i camei, operepreziose, si risparmiavano; e fra di loro quello tanto fa-moso, che rappresentava Giove Egeo. Sessantanove me-daglie greche o romane, parte in argento, parte in bronzoerano levate dai privati musei dei Muselli, e dei Veritàdi Verona. Dei manoscritti con grandissimo doloredegl'Italiani dalla sola libreria di Venezia più di duecen-to greci, o latini, o italiani, o arabi, o in carta pergame-na, o in carta usuale, o in carta di seta saziavano le vo-glie dei repubblicani d'oltremonti. Pregiavano principal-mente i Veneziani due manoscritti arabi in carta di seta,perchè dati in dono dal cardinal Bessarione alla repub-blica, e questi ancora piansero e desiderarono, in fore-stiera terra trasportati. Sentivano la comune spogliagio-ne le librerìe pregiatissime dei monasteri di Venezia, diTreviso, e di San Daniele in Friuli, dai quali atti dellemani vincitrici mancarono settantasei testi a penna pre-ziosissimi, fra i quali otto anteriori al secolo decimoter-zo. Alle medesime espilazioni andavano soggette lestampe tenute tanto care degli Aldi, la Magontina nomi-natamente, opera del 1459, le quali con somma gelosìa

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si custodivano nelle librerìe di Venezia, Treviso, Pado-va, Verona e San Daniele. I carri e le barche Venezianeerano piene di Veneziane spoglie. Queste preziosità era-no state tolte dalle interiori mura dei tempj, dei musei, edelle librerìe. Restava il più bello e più glorioso segnodella grandezza Veneziana, che sull'anteriore faccia delprincipal tempio di Venezia dimostrava, quale fosse sta-to anticamente il valore di quella generosa nazione. I ca-valli di bronzo, opera, come si narra, di Lisippo, datiprima in dono a Nerone da Tiridate, re d'Armenia, poitrasportati da Costantino a Bisanzio, e conquistati final-mente pel valore dei Veneziani congiunti ai Francesi,che ebbero in sorte altre Costantinopolitane spoglie, emandati a Venezia dal doge Pietro Zani, accrescevano,involati essendo, il dolore pubblico della gente Venezia-na. Spiaceva al letterato Arnauld, che questi cavalli re-stassero a Venezia: spiacevagli altresì, che i leoni con-quistati dal valore del Morosini nel Pireo, continuasseroa starsene nella sede loro, segni della Veneziana gloria.Ne gli spiacque, e ne scrisse a Buonaparte. Cavalli, eleoni furono per suo comandamento condotti in Francia.Il che venne fatto in cospetto dei Veneziani con tantodolore loro, che, instupidite le menti, parevano piuttostoattonite che dolorose. Come queste cose Arnauld, chefaceva professione di amare la libertà e l'independenzadella sua patria, suggerisse a Buonaparte, io non ne pos-so restar capace, perchè a me pare, che nissuno possasinceramente amare la libertà e la indipendenza dellapropria patria, se non porta rispetto alla libertà ed

si custodivano nelle librerìe di Venezia, Treviso, Pado-va, Verona e San Daniele. I carri e le barche Venezianeerano piene di Veneziane spoglie. Queste preziosità era-no state tolte dalle interiori mura dei tempj, dei musei, edelle librerìe. Restava il più bello e più glorioso segnodella grandezza Veneziana, che sull'anteriore faccia delprincipal tempio di Venezia dimostrava, quale fosse sta-to anticamente il valore di quella generosa nazione. I ca-valli di bronzo, opera, come si narra, di Lisippo, datiprima in dono a Nerone da Tiridate, re d'Armenia, poitrasportati da Costantino a Bisanzio, e conquistati final-mente pel valore dei Veneziani congiunti ai Francesi,che ebbero in sorte altre Costantinopolitane spoglie, emandati a Venezia dal doge Pietro Zani, accrescevano,involati essendo, il dolore pubblico della gente Venezia-na. Spiaceva al letterato Arnauld, che questi cavalli re-stassero a Venezia: spiacevagli altresì, che i leoni con-quistati dal valore del Morosini nel Pireo, continuasseroa starsene nella sede loro, segni della Veneziana gloria.Ne gli spiacque, e ne scrisse a Buonaparte. Cavalli, eleoni furono per suo comandamento condotti in Francia.Il che venne fatto in cospetto dei Veneziani con tantodolore loro, che, instupidite le menti, parevano piuttostoattonite che dolorose. Come queste cose Arnauld, chefaceva professione di amare la libertà e l'independenzadella sua patria, suggerisse a Buonaparte, io non ne pos-so restar capace, perchè a me pare, che nissuno possasinceramente amare la libertà e la indipendenza dellapropria patria, se non porta rispetto alla libertà ed

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all'independenza delle patrie altrui. So, che alcuni dice-vano, e tuttavia dicono, che questi spogli si eseguivanoin virtù del trattato di Milano. Ma Buonaparte non avevavoluto ratificare questo trattato, e perciò la Francia lodoveva aver per nullo. Che se poi ad ogni modo si vole-va aver per valido, bel modo di eseguirlo certamente eraquello di mandar ad effetto tutte le sue peggiori condi-zioni contro Venezia, e di non osservar quelle che eranoin suo favore, massimamente la sua conservazione, con-dizione che era pure la più principale, anzi la sostanzialedel trattato, perciocchè non si possono stipular trattaticon una potenza, che si crede nulla, nè accordare condi-zioni di futura esecuzione con una potenza, che si vuoldistruggere.Non solo gli ornamenti e le ricchezze Veneziane si tra-sportavano, ma quelle ancora commesse alla fede deineutri avidamente s'involavano. Erasi il duca di Mode-na, come abbiamo detto, fuggendo la furia dei repubbli-cani, ricoverato in Venezia; poi già romoreggiando learmi loro d'ogn'intorno, e prevedendo la dedizione, siera per sua sicurezza ritirato sulle terre d'Austria. Ma la-sciava un suo tesoro, perchè credeva, in ciò scostandosidalla sua solita provvidenza, che o non sarebbe scover-to, o se scoverto, sarebbe tenuto inviolato per la neutra-lità del luogo. Occupata Venezia dai Buonapartiani, gliagenti del direttorio ebbero sentore del deposito, e pa-rendo loro che fosse lor venuto un bel destro, alla famadi quei zecchini nascosti tostamente si calavano, e cir-

all'independenza delle patrie altrui. So, che alcuni dice-vano, e tuttavia dicono, che questi spogli si eseguivanoin virtù del trattato di Milano. Ma Buonaparte non avevavoluto ratificare questo trattato, e perciò la Francia lodoveva aver per nullo. Che se poi ad ogni modo si vole-va aver per valido, bel modo di eseguirlo certamente eraquello di mandar ad effetto tutte le sue peggiori condi-zioni contro Venezia, e di non osservar quelle che eranoin suo favore, massimamente la sua conservazione, con-dizione che era pure la più principale, anzi la sostanzialedel trattato, perciocchè non si possono stipular trattaticon una potenza, che si crede nulla, nè accordare condi-zioni di futura esecuzione con una potenza, che si vuoldistruggere.Non solo gli ornamenti e le ricchezze Veneziane si tra-sportavano, ma quelle ancora commesse alla fede deineutri avidamente s'involavano. Erasi il duca di Mode-na, come abbiamo detto, fuggendo la furia dei repubbli-cani, ricoverato in Venezia; poi già romoreggiando learmi loro d'ogn'intorno, e prevedendo la dedizione, siera per sua sicurezza ritirato sulle terre d'Austria. Ma la-sciava un suo tesoro, perchè credeva, in ciò scostandosidalla sua solita provvidenza, che o non sarebbe scover-to, o se scoverto, sarebbe tenuto inviolato per la neutra-lità del luogo. Occupata Venezia dai Buonapartiani, gliagenti del direttorio ebbero sentore del deposito, e pa-rendo loro che fosse lor venuto un bel destro, alla famadi quei zecchini nascosti tostamente si calavano, e cir-

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condato improvvisamente con soldatesche armate il pa-lazzo in San Pantaleone, dove aveva abitato il duca, cer-carono il tesoro, in ogni parte diligentemente investigan-do. Ciò fu indarno; perchè era stato deposto in casa delministro d'Austria. Perlochè, fatto armatamano improv-viso insulto contro di essa, e ricercato in ogni canto, tro-varono il denaro, e via se lo portavano: furono, comeportò la fama, circa duecentomila zecchini. I Modenesierano venuti a Venezia per averselo; ma e' furon novelle.Gli agenti gli serbarono, dissero, per la cassa militare.Le espilazioni delle opere d'ingegno si effettuavano congrande apparato di soldati, perchè sebbene fossero i pièdei Veneziani in ceppi, si temeva, che ad un bel levarsi,il popolo prorompesse, e rivendicasse alla patria conqualche solenne precipizio degl'involatori le gloriosespoglie. Accresceva il timore il pensare, che le rapine diVenezia rinfrescavano la memoria delle altre rapined'Italia. Per ogni lato si fremeva nel vedere questi spo-gli. Pubblicavasi a questi giorni in Italia con le stampeun libro, che aveva in titolo i Romani in Grecia e che fugeneralmente creduto opera di un Barzoni. In questoscritto l'autore, sotto spezie dei Romani in Grecia sim-boleggiando i Francesi in Italia, e così paragonando latirannide di Flaminio a quella di Buonaparte, eccitava ipopoli Italiani allo sdegno, alla vendetta, alla rivendica-zione. Ne riceveva molta molestia il generalissimo, e necercava per ogni dove l'autore e le copie. Ma più il per-seguitava, e più era letto, e non pochi tra i Francesi, che

condato improvvisamente con soldatesche armate il pa-lazzo in San Pantaleone, dove aveva abitato il duca, cer-carono il tesoro, in ogni parte diligentemente investigan-do. Ciò fu indarno; perchè era stato deposto in casa delministro d'Austria. Perlochè, fatto armatamano improv-viso insulto contro di essa, e ricercato in ogni canto, tro-varono il denaro, e via se lo portavano: furono, comeportò la fama, circa duecentomila zecchini. I Modenesierano venuti a Venezia per averselo; ma e' furon novelle.Gli agenti gli serbarono, dissero, per la cassa militare.Le espilazioni delle opere d'ingegno si effettuavano congrande apparato di soldati, perchè sebbene fossero i pièdei Veneziani in ceppi, si temeva, che ad un bel levarsi,il popolo prorompesse, e rivendicasse alla patria conqualche solenne precipizio degl'involatori le gloriosespoglie. Accresceva il timore il pensare, che le rapine diVenezia rinfrescavano la memoria delle altre rapined'Italia. Per ogni lato si fremeva nel vedere questi spo-gli. Pubblicavasi a questi giorni in Italia con le stampeun libro, che aveva in titolo i Romani in Grecia e che fugeneralmente creduto opera di un Barzoni. In questoscritto l'autore, sotto spezie dei Romani in Grecia sim-boleggiando i Francesi in Italia, e così paragonando latirannide di Flaminio a quella di Buonaparte, eccitava ipopoli Italiani allo sdegno, alla vendetta, alla rivendica-zione. Ne riceveva molta molestia il generalissimo, e necercava per ogni dove l'autore e le copie. Ma più il per-seguitava, e più era letto, e non pochi tra i Francesi, che

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avversavano Buonaparte, o per generosità naturale, oper odio, o per invidia, lodavano e promuovevano loscritto. Villetard fra gli altri il chiamava pieno pur trop-po di allusioni veridiche sui ladronecci commessi da al-cuni individui indegni del nome Francese. Girava attor-no lo scritto al momento degli spogli, e siccome quelloche accusava i municipali del caro del pane, che parago-nava l'Italia ad un vasto cimitero tutto squallido e brutta-to d'infiniti cadaveri, e che stimolava i popoli a correrearmati contro i Francesi, partoriva un effetto incredibile.Se ne querelava Villetard coi municipali; se la passaronocon dire, che la stampa era libera, e, quanto alle ingiuriecontro a loro, che le avevano in dispregio. Ma Buona-parte non l'intendeva a questo modo: voleva, che l'auto-re si rinvenisse. Si viveva pertanto fra la rabbia ed il ti-more, quando dimorandosi una sera Villetard in caffèsotto le quarantìe, se gli faceva avanti in un atto amicoBarzoni. L'allontanava da se con aspre parole il France-se, dicendo, maravigliarsi, che colui, che chiamava amorte i Francesi, avesse fronte di accostarsi amichevol-mente a chi gli rappresentava in Venezia. In questo Bar-zoni, trattosi di seno una pistola, e contro Villetard diriz-zatola, lo voleva uccidere. Nasceva pel fatto in quel ri-trovo un gridare, un fuggire, un accorrere incredibile. Siritirava o intimorito, o sbalordito Barzoni, e vi fu calca:furono presto i soldati ad accorrere a quel romore inopi-nato. Per ammansare lo sdegno di Buonaparte, scrivevaVilletard a Monge, scusasse il fatto col generalissimo,allegando, che il povero Barzoni, preso da un ardente ed

avversavano Buonaparte, o per generosità naturale, oper odio, o per invidia, lodavano e promuovevano loscritto. Villetard fra gli altri il chiamava pieno pur trop-po di allusioni veridiche sui ladronecci commessi da al-cuni individui indegni del nome Francese. Girava attor-no lo scritto al momento degli spogli, e siccome quelloche accusava i municipali del caro del pane, che parago-nava l'Italia ad un vasto cimitero tutto squallido e brutta-to d'infiniti cadaveri, e che stimolava i popoli a correrearmati contro i Francesi, partoriva un effetto incredibile.Se ne querelava Villetard coi municipali; se la passaronocon dire, che la stampa era libera, e, quanto alle ingiuriecontro a loro, che le avevano in dispregio. Ma Buona-parte non l'intendeva a questo modo: voleva, che l'auto-re si rinvenisse. Si viveva pertanto fra la rabbia ed il ti-more, quando dimorandosi una sera Villetard in caffèsotto le quarantìe, se gli faceva avanti in un atto amicoBarzoni. L'allontanava da se con aspre parole il France-se, dicendo, maravigliarsi, che colui, che chiamava amorte i Francesi, avesse fronte di accostarsi amichevol-mente a chi gli rappresentava in Venezia. In questo Bar-zoni, trattosi di seno una pistola, e contro Villetard diriz-zatola, lo voleva uccidere. Nasceva pel fatto in quel ri-trovo un gridare, un fuggire, un accorrere incredibile. Siritirava o intimorito, o sbalordito Barzoni, e vi fu calca:furono presto i soldati ad accorrere a quel romore inopi-nato. Per ammansare lo sdegno di Buonaparte, scrivevaVilletard a Monge, scusasse il fatto col generalissimo,allegando, che il povero Barzoni, preso da un ardente ed

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infelice amore per una giovane gentildonna, era fuori dimente. Il pregava altresì, tanto era buono quel Villetard,operasse presso al generalissimo, onde si contentasse,ch'ei desse un passaporto a Barzoni, acciocchè se ne an-dasse a passare in paesi forestieri quella sua ira tantogonfia contro i Francesi. Rescriveva furiosamente Buo-naparte, essere un assassinamento; volere, che il reo sicastigasse. Non ostante gli dava Villetard il passaporto:il giovane Barzoni fuggendo in paesi esteri la collera dichi tanto poteva, si riduceva per ultimo nell'isola di Mal-ta, quando ella venne in potestà degl'Inglesi, e quivi sistette lungo tempo, scrivendo un giornale contro la ti-rannide Buonapartiana. Asperava questo fatto vieppiùgli animi da ambo le parti: insino ai municipali era ve-nuto in odio quel forestiero dominio.Cercavasi intanto di coprire con segni di allegrezza leapparenze tristi e funeste. Esita l'animo nostro a raccon-tare una festa solenne ordinata, e festeggiata da coloro,che sapevano qual fato sovrastasse a Venezia. Pure laracconterò per impietosire i posteri, se essi saranno mi-gliori di noi; conciossiachè niuna cosa più muova acompassione che un'allegrezza procurata a chi è destina-to a morte. Correva il dì della Pentecoste, quando lapiazza di San Marco si vedeva tutt'addobbata a festa pelpiantamento dell'albero della libertà. Mani Venezianeavevano eretto a capo della piazza dalla parte opposta aSan Marco un'ampia loggia, a cui si saliva per due scalelaterali ornate di vaghi fiori, e di arbusti odoriferi. Era la

infelice amore per una giovane gentildonna, era fuori dimente. Il pregava altresì, tanto era buono quel Villetard,operasse presso al generalissimo, onde si contentasse,ch'ei desse un passaporto a Barzoni, acciocchè se ne an-dasse a passare in paesi forestieri quella sua ira tantogonfia contro i Francesi. Rescriveva furiosamente Buo-naparte, essere un assassinamento; volere, che il reo sicastigasse. Non ostante gli dava Villetard il passaporto:il giovane Barzoni fuggendo in paesi esteri la collera dichi tanto poteva, si riduceva per ultimo nell'isola di Mal-ta, quando ella venne in potestà degl'Inglesi, e quivi sistette lungo tempo, scrivendo un giornale contro la ti-rannide Buonapartiana. Asperava questo fatto vieppiùgli animi da ambo le parti: insino ai municipali era ve-nuto in odio quel forestiero dominio.Cercavasi intanto di coprire con segni di allegrezza leapparenze tristi e funeste. Esita l'animo nostro a raccon-tare una festa solenne ordinata, e festeggiata da coloro,che sapevano qual fato sovrastasse a Venezia. Pure laracconterò per impietosire i posteri, se essi saranno mi-gliori di noi; conciossiachè niuna cosa più muova acompassione che un'allegrezza procurata a chi è destina-to a morte. Correva il dì della Pentecoste, quando lapiazza di San Marco si vedeva tutt'addobbata a festa pelpiantamento dell'albero della libertà. Mani Venezianeavevano eretto a capo della piazza dalla parte opposta aSan Marco un'ampia loggia, a cui si saliva per due scalelaterali ornate di vaghi fiori, e di arbusti odoriferi. Era la

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facciata della loggia un magnifico colonnato d'ordineToscano con doppie cornici, e belle statue corredato. Daambi i lati della loggia sorgevano due adorni palchi concolonne, con ghirlande, con insegne repubblicane. Quividovevano sedere i musici della cappella ducale, dismes-si dal celebrare le antiche glorie della repubblica libera,chiamati ora a celebrare i vergognosi principj della re-pubblica serva. Due altre logge adorne, e belle si vede-vano in mezzo alla piazza, e davanti alle procuratìe, conorchestre pure a lato; i fregi, gli arazzi, le divise, gli em-blemi, conformi ai tempi. Gli archi delle procuratìe, ecosì ancora la chiesa di San Marco comparivano alla vi-sta dei circostanti carchi ed adorni di festoni tricolorati.In vedere un tanto apparato non pochi erano i motti diquegli ameni e spiritosi Veneziani, dimentichi, fra mez-zo a quelle illusioni festevoli, dei tanti infortunj loro.Steso a terra in mezzo della piazza giaceva il fusto ancorfronzuto dell'albero, che non so come, nè perchè colnome della libertà si chiamava. Ed ecco alle diciassetteItaliane comparire con solenne comitiva di tutti i suoiufficiali Baraguey d'Hilliers. L'incontravano i municipa-li in abito, coi cappelli, con le sciabole di moda. Quinciposcia essendosi congiunti col corteggio del generale, siordinavano a processione. Le campane tintinnivano, glistrumenti suonavano, i democrati dall'allegrezza grida-vano: che cosa si pensasse Baraguey d'Hilliers, che sa-peva l'avvenire, io non lo so. Intanto giva la processio-ne; soldati Italiani precedevano, seguitavano due fan-ciulli vagamente vestiti, poi una coppia di un giovane e

facciata della loggia un magnifico colonnato d'ordineToscano con doppie cornici, e belle statue corredato. Daambi i lati della loggia sorgevano due adorni palchi concolonne, con ghirlande, con insegne repubblicane. Quividovevano sedere i musici della cappella ducale, dismes-si dal celebrare le antiche glorie della repubblica libera,chiamati ora a celebrare i vergognosi principj della re-pubblica serva. Due altre logge adorne, e belle si vede-vano in mezzo alla piazza, e davanti alle procuratìe, conorchestre pure a lato; i fregi, gli arazzi, le divise, gli em-blemi, conformi ai tempi. Gli archi delle procuratìe, ecosì ancora la chiesa di San Marco comparivano alla vi-sta dei circostanti carchi ed adorni di festoni tricolorati.In vedere un tanto apparato non pochi erano i motti diquegli ameni e spiritosi Veneziani, dimentichi, fra mez-zo a quelle illusioni festevoli, dei tanti infortunj loro.Steso a terra in mezzo della piazza giaceva il fusto ancorfronzuto dell'albero, che non so come, nè perchè colnome della libertà si chiamava. Ed ecco alle diciassetteItaliane comparire con solenne comitiva di tutti i suoiufficiali Baraguey d'Hilliers. L'incontravano i municipa-li in abito, coi cappelli, con le sciabole di moda. Quinciposcia essendosi congiunti col corteggio del generale, siordinavano a processione. Le campane tintinnivano, glistrumenti suonavano, i democrati dall'allegrezza grida-vano: che cosa si pensasse Baraguey d'Hilliers, che sa-peva l'avvenire, io non lo so. Intanto giva la processio-ne; soldati Italiani precedevano, seguitavano due fan-ciulli vagamente vestiti, poi una coppia di un giovane e

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di una giovane, che si dovevano sposare, poi un vecchioed una vecchia con istromenti d'agricoltura. Veniva die-tro la guardia nazionale in addobbo; indi Baraguey inaddobbo ancor esso, e i consoli delle nazioni, e i magi-strati sì civili che militari, e i capi delle arti coi simbolidelle arti loro. Mostravansi alla coda del corteggio, se-guitati da musica militare i municipali. Toccavano i duefanciulli il fusto, ed in un batter d'occhio fra le grida ed isuoni festivi era rizzato nelle sue radici in mezzo allapiazza: sopra le radici deponevano i due vecchi i ruralistrumenti. Compariva in questo una berretta rossa sullapunta dell'albero, e la moltitudine applaudiva. Io vidi,trovandomi allora a sedere nella destra loggia,Baraguey, ed il presidente dei municipali gettare terra, eversar acqua sulle radici dell'innalzato albero, ed aquell'atto, tanto il cielo mi fu amico, che non proruppi,benchè ne avessi voglia, perchè mi erano in abbomina-zione i tradimenti. Le orchestre suonavano, le musichemilitari rispondevano, le campane rimbombavano, i can-noni tuonavano, le tricolorite bandiere si sventolavano.Fatto silenzio, orava l'arciprete Valier municipale, conmagnifiche parole commendando la generosità France-se, e la rigenerazione Veneziana. Poscia entrati in SanMarco, cantavano l'inno delle grazie, e facevano il mari-taggio del giovane e della giovane. Restava, che ad ono-re dello stato nuovo si vilipendesse il vecchio. Per laqual cosa, uscito il corteggio da San Marco ed in piazzatornatosi, dove promiscuamente e Francesi, e Venezianiintorno all'albero già ballavano, ardevano il libro d'oro,

di una giovane, che si dovevano sposare, poi un vecchioed una vecchia con istromenti d'agricoltura. Veniva die-tro la guardia nazionale in addobbo; indi Baraguey inaddobbo ancor esso, e i consoli delle nazioni, e i magi-strati sì civili che militari, e i capi delle arti coi simbolidelle arti loro. Mostravansi alla coda del corteggio, se-guitati da musica militare i municipali. Toccavano i duefanciulli il fusto, ed in un batter d'occhio fra le grida ed isuoni festivi era rizzato nelle sue radici in mezzo allapiazza: sopra le radici deponevano i due vecchi i ruralistrumenti. Compariva in questo una berretta rossa sullapunta dell'albero, e la moltitudine applaudiva. Io vidi,trovandomi allora a sedere nella destra loggia,Baraguey, ed il presidente dei municipali gettare terra, eversar acqua sulle radici dell'innalzato albero, ed aquell'atto, tanto il cielo mi fu amico, che non proruppi,benchè ne avessi voglia, perchè mi erano in abbomina-zione i tradimenti. Le orchestre suonavano, le musichemilitari rispondevano, le campane rimbombavano, i can-noni tuonavano, le tricolorite bandiere si sventolavano.Fatto silenzio, orava l'arciprete Valier municipale, conmagnifiche parole commendando la generosità France-se, e la rigenerazione Veneziana. Poscia entrati in SanMarco, cantavano l'inno delle grazie, e facevano il mari-taggio del giovane e della giovane. Restava, che ad ono-re dello stato nuovo si vilipendesse il vecchio. Per laqual cosa, uscito il corteggio da San Marco ed in piazzatornatosi, dove promiscuamente e Francesi, e Venezianiintorno all'albero già ballavano, ardevano il libro d'oro,

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e le altre insegne ducali: in quel mentre orava enfatica-mente l'abbate Collalto: l'albero della libertà al salutife-ro legno della croce paragonando. Continuossi a ballareil giorno, ballossi ancora la notte; si recitava in musicauna bella, e magnifica opera nel bellissimo teatro dellaFenice. Il cuore umano non ha affetto, nè l'immagina-zione figura, nè la lingua espressione per rappresentaredegnamente quello, che si dovrebbe rappresentare pen-sando, quale materia covasse sotto tali rallegramenti.Certo, feste e rallegramenti più crudeli di questi non fu-rono al mondo mai. Ricordomi, e fia l'ultima volta chein queste lagrimevoli storie io favelli di me, che trovan-domi in palco di una nobile donna Contarini, se la me-moria non falla, sposata ad un Correr di Santa Fosca,che fu almirante delle navi, ed a casa il quale io mi go-deva a quei giorni una dolce e cordiale ospitalità, in ve-dere quelle apparenze ed in pensare al fatto, sentiimicome quasi dividere, a lacerare in due dentro me stesso,e paragonaimi a quell'orrendo accoppiamento di corpivivi e di cadaveri, che per supplizio di rei e di innocentifaceva, a guisa di diporto, quel tiranno dell'antichità.Pure m'infinsi, perchè il discoprirmi sarebbe stato peri-coloso; e forse da coloro, con cui mi conversava, noncreduto.Per tal modo si piantava l'albero in Venezia da Baragueyd'Hilliers. Al tempo stesso Bernadotte, che conosceva ache fosse serbata Venezia, proibiva con animo sincero,che in Udine si piantasse. Guyeux al contrario metteva

e le altre insegne ducali: in quel mentre orava enfatica-mente l'abbate Collalto: l'albero della libertà al salutife-ro legno della croce paragonando. Continuossi a ballareil giorno, ballossi ancora la notte; si recitava in musicauna bella, e magnifica opera nel bellissimo teatro dellaFenice. Il cuore umano non ha affetto, nè l'immagina-zione figura, nè la lingua espressione per rappresentaredegnamente quello, che si dovrebbe rappresentare pen-sando, quale materia covasse sotto tali rallegramenti.Certo, feste e rallegramenti più crudeli di questi non fu-rono al mondo mai. Ricordomi, e fia l'ultima volta chein queste lagrimevoli storie io favelli di me, che trovan-domi in palco di una nobile donna Contarini, se la me-moria non falla, sposata ad un Correr di Santa Fosca,che fu almirante delle navi, ed a casa il quale io mi go-deva a quei giorni una dolce e cordiale ospitalità, in ve-dere quelle apparenze ed in pensare al fatto, sentiimicome quasi dividere, a lacerare in due dentro me stesso,e paragonaimi a quell'orrendo accoppiamento di corpivivi e di cadaveri, che per supplizio di rei e di innocentifaceva, a guisa di diporto, quel tiranno dell'antichità.Pure m'infinsi, perchè il discoprirmi sarebbe stato peri-coloso; e forse da coloro, con cui mi conversava, noncreduto.Per tal modo si piantava l'albero in Venezia da Baragueyd'Hilliers. Al tempo stesso Bernadotte, che conosceva ache fosse serbata Venezia, proibiva con animo sincero,che in Udine si piantasse. Guyeux al contrario metteva

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una taglia di centomila lire sur un piccolo comune delPadovano, sotto pretesto, che l'albero vi fosse stato ta-gliato; doloroso avviluppamento d'accidenti strani perl'infelice Venezia, a cui in proposito di un medesimo fu-sto figurativo la sincerità dell'uno non giovava,l'improntitudine degli altri pregiudicava.Continuava Buonaparte nelle sue arti di mostrarsi pro-penso ai Veneziani, e di dar loro speranza della conser-vazione del dominio. Nè contento alle chimere, con cuiandava pascendo il legato Battaglia, e Dandolo, e Zorzi,e gli altri municipali, che andavano e venivano da lui,volle fare una dimostrazione tanto più brutta, quantoella era di civiltà, e di cortesìa. Dimostrava non potere,per le molte e gravi faccende che il travagliavano, visi-tare, come desiderava, per se stesso Venezia, ma man-darvi la donna sua, perchè in lei vedessero i Veneziani,così appunto si spiegava, quanta fosse l'affezione cheloro portava. Veniva la moglie in Venezia: le adulazionidei repubblicani di quei tempi sì Veneziani, che France-si, furono oltre misura. Traevano per comandamento delgeneralissimo i cannoni a festa, e ad onore di privatadonna, e queste cose non solamente si comportavano,ma ancora si lodavano; potevano i prudenti uomini au-gurar dell'avvenire. Accolta nella sala dei municipali erasegno d'applausi infiniti: deputavano due dei loro ad in-trattenerla, ed a farle onoranza. Furonvi festini, balli,canti, allegrezze di ogni sorte: alla Giudecca una grancena, al canal grande una luminaria, nè mancovvi la re-

una taglia di centomila lire sur un piccolo comune delPadovano, sotto pretesto, che l'albero vi fosse stato ta-gliato; doloroso avviluppamento d'accidenti strani perl'infelice Venezia, a cui in proposito di un medesimo fu-sto figurativo la sincerità dell'uno non giovava,l'improntitudine degli altri pregiudicava.Continuava Buonaparte nelle sue arti di mostrarsi pro-penso ai Veneziani, e di dar loro speranza della conser-vazione del dominio. Nè contento alle chimere, con cuiandava pascendo il legato Battaglia, e Dandolo, e Zorzi,e gli altri municipali, che andavano e venivano da lui,volle fare una dimostrazione tanto più brutta, quantoella era di civiltà, e di cortesìa. Dimostrava non potere,per le molte e gravi faccende che il travagliavano, visi-tare, come desiderava, per se stesso Venezia, ma man-darvi la donna sua, perchè in lei vedessero i Veneziani,così appunto si spiegava, quanta fosse l'affezione cheloro portava. Veniva la moglie in Venezia: le adulazionidei repubblicani di quei tempi sì Veneziani, che France-si, furono oltre misura. Traevano per comandamento delgeneralissimo i cannoni a festa, e ad onore di privatadonna, e queste cose non solamente si comportavano,ma ancora si lodavano; potevano i prudenti uomini au-gurar dell'avvenire. Accolta nella sala dei municipali erasegno d'applausi infiniti: deputavano due dei loro ad in-trattenerla, ed a farle onoranza. Furonvi festini, balli,canti, allegrezze di ogni sorte: alla Giudecca una grancena, al canal grande una luminaria, nè mancovvi la re-

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gata, spettacolo gradito dei Veneziani. Credevano i mu-nicipali di aver vinto la pruova, perchè la donna davaparole dolci, e pareva loro Buonaparte non avrebbemandato una persona gradita in una città tradita. Mas'ingannavano, perchè nol conoscevano, o nol volevanoconoscere. Dandolo, e gli altri municipali trionfavano, esempre stavano accanto alla donna, e dal suo volto pen-devano. Solo Giuliani repubblicano se ne stava bieco, edalla traversa. Infine, dimoratasi quattro giorni, il quintose ne partiva con assai ricchi presenti. Io non affermerò,perchè non lo so di certo, che le sia stata data una colla-na ricchissima di grosse perle, tratta espressamente daltesoro di San Marco, in cui era custodita ad uso sacro.Nondimeno l'ho dovuto avvertire, perchè lo trovo scrittonegli annali dei tempi. Certamente se non questo, ebbesied accettò la donna di molti altri presenti. Fu brutto ildare, fu ancor più brutto l'accettare, non dico dal cantodi lei, perchè forse ignorava le insidie del marito controVenezia, ma dal canto di lui che le sapeva, e che ordiva.Non ostante tutte le promesse e le dimostrazioni favore-voli, non vivevano coloro, che avevano in mano la som-ma delle cose in Venezia, senza qualche sospetto, peròoltre i maneggi ed i denari, trattavano di unirsi stretta-mente alle città di terraferma, che, come abbiam narrato,molto ripugnavano al dominio Veneziano. Laonde ope-ravano, che le principali mandassero deputati a Bassanoper trattar dell'unione. Vi mandava Verona un Monga,Padova un Savonarola, Brescia un Beccalozzi: vi man-

gata, spettacolo gradito dei Veneziani. Credevano i mu-nicipali di aver vinto la pruova, perchè la donna davaparole dolci, e pareva loro Buonaparte non avrebbemandato una persona gradita in una città tradita. Mas'ingannavano, perchè nol conoscevano, o nol volevanoconoscere. Dandolo, e gli altri municipali trionfavano, esempre stavano accanto alla donna, e dal suo volto pen-devano. Solo Giuliani repubblicano se ne stava bieco, edalla traversa. Infine, dimoratasi quattro giorni, il quintose ne partiva con assai ricchi presenti. Io non affermerò,perchè non lo so di certo, che le sia stata data una colla-na ricchissima di grosse perle, tratta espressamente daltesoro di San Marco, in cui era custodita ad uso sacro.Nondimeno l'ho dovuto avvertire, perchè lo trovo scrittonegli annali dei tempi. Certamente se non questo, ebbesied accettò la donna di molti altri presenti. Fu brutto ildare, fu ancor più brutto l'accettare, non dico dal cantodi lei, perchè forse ignorava le insidie del marito controVenezia, ma dal canto di lui che le sapeva, e che ordiva.Non ostante tutte le promesse e le dimostrazioni favore-voli, non vivevano coloro, che avevano in mano la som-ma delle cose in Venezia, senza qualche sospetto, peròoltre i maneggi ed i denari, trattavano di unirsi stretta-mente alle città di terraferma, che, come abbiam narrato,molto ripugnavano al dominio Veneziano. Laonde ope-ravano, che le principali mandassero deputati a Bassanoper trattar dell'unione. Vi mandava Verona un Monga,Padova un Savonarola, Brescia un Beccalozzi: vi man-

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dava Venezia Giuliani, perchè essendo natìo di Desenza-no, si sperava, che potesse più facilmente conciliarsi edaccomunar i dissidenti. Non arrivavano i deputati diUdine, perchè Bernadotte, per umanità e sincerità, impe-diva che deputasse. Vi mandava Buonaparte, che insembianza favoriva il disegno, Berthier, affinchè e pre-siedesse il congresso, e con arte distornasse il progettod'unione. Vi furono molte parole e contenzioni. Veronavoleva esser capo della terraferma, Padova andava allamedesima volta, i Bassanesi piuttosto ai Padovani aderi-vano che ai Veronesi, i Vicentini piuttosto ai Veronesiche ai Padovani, Treviso stava in favor dei Veneziani, ideputati d'Oltremincio propendevano verso la Cisalpina.Non ostante si vedeva tra mezzo a questi dispareri, cheper la necessità del caso, i deputati sarebbero finalmenterestati d'accordi sull'unione. Però Berthier, che non ave-va potuto turbare il disegno con le arti, il rompeva conl'autorità, disciogliendo il congresso, e pubblicando, checirca l'unione i deputati non si erano potuti accordare; ilche era vero, ma era colpa di lui, non di loro.Riuscito vano questo tentativo, pensavano i Veneziani aricercare il direttorio e Buonaparte della unione loro allaCisalpina; ne facevano anche inchiesta formale al diret-torio Cisalpino. Davano i primi buone parole; Battagliae San Fermo le scrivevano ai municipali, confortandoper tal modo i Veneziani con la speranza di aversene al-meno a restar Italiani. Rispondeva il direttorio Cisalpinocon ambagi e con superbia; barbaro, e stolido insulto

dava Venezia Giuliani, perchè essendo natìo di Desenza-no, si sperava, che potesse più facilmente conciliarsi edaccomunar i dissidenti. Non arrivavano i deputati diUdine, perchè Bernadotte, per umanità e sincerità, impe-diva che deputasse. Vi mandava Buonaparte, che insembianza favoriva il disegno, Berthier, affinchè e pre-siedesse il congresso, e con arte distornasse il progettod'unione. Vi furono molte parole e contenzioni. Veronavoleva esser capo della terraferma, Padova andava allamedesima volta, i Bassanesi piuttosto ai Padovani aderi-vano che ai Veronesi, i Vicentini piuttosto ai Veronesiche ai Padovani, Treviso stava in favor dei Veneziani, ideputati d'Oltremincio propendevano verso la Cisalpina.Non ostante si vedeva tra mezzo a questi dispareri, cheper la necessità del caso, i deputati sarebbero finalmenterestati d'accordi sull'unione. Però Berthier, che non ave-va potuto turbare il disegno con le arti, il rompeva conl'autorità, disciogliendo il congresso, e pubblicando, checirca l'unione i deputati non si erano potuti accordare; ilche era vero, ma era colpa di lui, non di loro.Riuscito vano questo tentativo, pensavano i Veneziani aricercare il direttorio e Buonaparte della unione loro allaCisalpina; ne facevano anche inchiesta formale al diret-torio Cisalpino. Davano i primi buone parole; Battagliae San Fermo le scrivevano ai municipali, confortandoper tal modo i Veneziani con la speranza di aversene al-meno a restar Italiani. Rispondeva il direttorio Cisalpinocon ambagi e con superbia; barbaro, e stolido insulto

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alla compassionevole Venezia.In questo mentre si era concluso il trattato di Campofor-mio; Buonaparte se ne tornava a Milano. Il suo parlardiverso, e le voci che già si levavano, atterrivano i popo-li. Interrogato a Vicenza, qual fosse il destino dei Veneti,rispondeva, nè la Francia nè lui avere alcun diritto sopradi loro. Qui soggiungeva un Tiene Vicentino, che sareb-bero pronti a spendere ogni più preziosa cosa per con-servar l'indipendenza. Replicava, nulla ancora essere de-ciso; nè la Francia, nè egli non sarebbero mai per opera-re cosa alcuna contro di loro, nè per disporre di un po-polo, sopra del quale non avevano nissun diritto. Magiunto a Verona, già più vicino al suo sicuro nido di Mi-lano, e perchè si credeva che la parte Austriaca vi fossepotente, interrogato delle Veneziane sorti da un De An-geli, presidente del governo, faceva sentire questo suo-no, che Verona era ceduta all'Austria. Dissegli allora ilpresidente, “perchè non lasciarci piuttosto sotto i Vene-ziani? Perchè dopo tante promesse di libertà venderciall'Austria?” A questo tratto rispondeva il capitano atro-ce a uomini, ai quali egli aveva tolte le armi: “ebbene,difendetevi”. Riprendeva il presidente le parole, e ma-gnanimamente rispondendo, tuonava a questo modo:“Vattene, traditore, e sgombra da queste terre: rendici learmi che ci hai tolte, e ci difenderemo”. Taceva il barba-ro a tale rincalzata attonito, e si ritirava non vergognoso,ma avvilito, in altra camera. Spargevasi intanto il grido;la città piena di dolore, di trepidazione e di spavento.

alla compassionevole Venezia.In questo mentre si era concluso il trattato di Campofor-mio; Buonaparte se ne tornava a Milano. Il suo parlardiverso, e le voci che già si levavano, atterrivano i popo-li. Interrogato a Vicenza, qual fosse il destino dei Veneti,rispondeva, nè la Francia nè lui avere alcun diritto sopradi loro. Qui soggiungeva un Tiene Vicentino, che sareb-bero pronti a spendere ogni più preziosa cosa per con-servar l'indipendenza. Replicava, nulla ancora essere de-ciso; nè la Francia, nè egli non sarebbero mai per opera-re cosa alcuna contro di loro, nè per disporre di un po-polo, sopra del quale non avevano nissun diritto. Magiunto a Verona, già più vicino al suo sicuro nido di Mi-lano, e perchè si credeva che la parte Austriaca vi fossepotente, interrogato delle Veneziane sorti da un De An-geli, presidente del governo, faceva sentire questo suo-no, che Verona era ceduta all'Austria. Dissegli allora ilpresidente, “perchè non lasciarci piuttosto sotto i Vene-ziani? Perchè dopo tante promesse di libertà venderciall'Austria?” A questo tratto rispondeva il capitano atro-ce a uomini, ai quali egli aveva tolte le armi: “ebbene,difendetevi”. Riprendeva il presidente le parole, e ma-gnanimamente rispondendo, tuonava a questo modo:“Vattene, traditore, e sgombra da queste terre: rendici learmi che ci hai tolte, e ci difenderemo”. Taceva il barba-ro a tale rincalzata attonito, e si ritirava non vergognoso,ma avvilito, in altra camera. Spargevasi intanto il grido;la città piena di dolore, di trepidazione e di spavento.

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Udiva le grida disperate dei cittadini dolenti il vendito-re; se ne partiva frettoloso per Milano.L'ora estrema di Venezia era giunta. Scriveva da MilanoBuonaparte a Villetard: pel trattato di pace essere i Fran-cesi obbligati a vuotare la città di Venezia, e perciò po-tersene l'imperatore impadronire; ma non doverla vuota-re che venti, o trenta giorni dopo le ratificazioni; poteretutti i patriotti, che volessero, spatriarsi, ricoverarsi nellarepubblica Cisalpina, in cui godrebbero dei diritti di cit-tadinatico; avere facoltà per tre anni di vendere i beniloro; essere indispensabile, che si creasse un fondo, ilquale potesse alimentare quelli fra i patriotti, che si ri-solvessero a lasciar il paese loro, e non avessero facoltàsufficienti per vivere; essere la repubblica Francese pa-rata a soccorrergli, se ne avessero bisogno, con la vendi-ta dei beni d'allodio che possedeva nella Cisalpina; es-servi a Venezia molte munizioni navali, o di guerra, o dicommercio, che appartenevano al governo Veneziano;essere indispensabile, che la congregazione di salutepubblica, (quest'era una congregazione di municipali), letrasportasse, più presto il meglio, a Ferrara, perchè quivipotessero essere vendute in pro dei fuorusciti; quantofosse per esser utile alle opere navali di Tolone, tostos'imbarcasse per Corfù, e se ne facesse stima, onde delritratto si soccorressero i fuorusciti; i cannoni e le polve-ri si vendessero alla Cisalpina; accordassesi Villetardcon un Roubault, e con un Forfait, e con la congregazio-ne di salute pubblica per vedere a qual pro si potessero

Udiva le grida disperate dei cittadini dolenti il vendito-re; se ne partiva frettoloso per Milano.L'ora estrema di Venezia era giunta. Scriveva da MilanoBuonaparte a Villetard: pel trattato di pace essere i Fran-cesi obbligati a vuotare la città di Venezia, e perciò po-tersene l'imperatore impadronire; ma non doverla vuota-re che venti, o trenta giorni dopo le ratificazioni; poteretutti i patriotti, che volessero, spatriarsi, ricoverarsi nellarepubblica Cisalpina, in cui godrebbero dei diritti di cit-tadinatico; avere facoltà per tre anni di vendere i beniloro; essere indispensabile, che si creasse un fondo, ilquale potesse alimentare quelli fra i patriotti, che si ri-solvessero a lasciar il paese loro, e non avessero facoltàsufficienti per vivere; essere la repubblica Francese pa-rata a soccorrergli, se ne avessero bisogno, con la vendi-ta dei beni d'allodio che possedeva nella Cisalpina; es-servi a Venezia molte munizioni navali, o di guerra, o dicommercio, che appartenevano al governo Veneziano;essere indispensabile, che la congregazione di salutepubblica, (quest'era una congregazione di municipali), letrasportasse, più presto il meglio, a Ferrara, perchè quivipotessero essere vendute in pro dei fuorusciti; quantofosse per esser utile alle opere navali di Tolone, tostos'imbarcasse per Corfù, e se ne facesse stima, onde delritratto si soccorressero i fuorusciti; i cannoni e le polve-ri si vendessero alla Cisalpina; accordassesi Villetardcon un Roubault, e con un Forfait, e con la congregazio-ne di salute pubblica per vedere a qual pro si potessero

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condurre una nave, ed una fregata recentemente disar-mate, otto galeotte, sei cannoniere, un argano da inalbe-rare, le piatte, il Bucintoro, e le barche dorate, i barconi,i palischermi grossi, e sei navi da guerra, sei fregate, seibrigantini, sei cannoniere, e tre galere sui cavalletti.Aggiungeva Buonaparte a Villetard, badasse bene a trecose: la prima, lasciar nulla, che potesse servireall'imperatore per creare un navilio; la seconda, traspor-tar in Francia quanto fosse utile alla nazione; la terza,usare quanto si vendesse, nel miglior modo possibile,perchè più fosse profittevole ai fuorusciti: insommaogni altra opera facesse, che il tempo e l'occorrenza ri-chiedessero per assicurar le sorti dei Veneziani, che sivolessero ricoverare in Cisalpina: finalmente fosse suoobbligo di pensare, di concerto con la congregazione disalute pubblica, e coi deputati delle città di terraferma,alla salute dei fuorusciti loro.Avuto Villetard questo mandalo, duro per lui per esserestato autore della rivoluzione Veneziana, duro pei Vene-ziani per la perduta patria, nella sala delle adunanze re-catosi, e ragionato prima delle condizioni dell'Europa,che, secondo lui, rendevano pericolosa alla Francia unanuova guerra sul continente, in cotale guisa ai municipa-li favellava:

«Cittadini, voi già anteponeste all'interesse vostrol'interesse della patria: un altro maggiore sforzo,un altro più nobile sacrifizio vi resta a fare, equest'è il dare l'interesse della vostra patria stessa

condurre una nave, ed una fregata recentemente disar-mate, otto galeotte, sei cannoniere, un argano da inalbe-rare, le piatte, il Bucintoro, e le barche dorate, i barconi,i palischermi grossi, e sei navi da guerra, sei fregate, seibrigantini, sei cannoniere, e tre galere sui cavalletti.Aggiungeva Buonaparte a Villetard, badasse bene a trecose: la prima, lasciar nulla, che potesse servireall'imperatore per creare un navilio; la seconda, traspor-tar in Francia quanto fosse utile alla nazione; la terza,usare quanto si vendesse, nel miglior modo possibile,perchè più fosse profittevole ai fuorusciti: insommaogni altra opera facesse, che il tempo e l'occorrenza ri-chiedessero per assicurar le sorti dei Veneziani, che sivolessero ricoverare in Cisalpina: finalmente fosse suoobbligo di pensare, di concerto con la congregazione disalute pubblica, e coi deputati delle città di terraferma,alla salute dei fuorusciti loro.Avuto Villetard questo mandalo, duro per lui per esserestato autore della rivoluzione Veneziana, duro pei Vene-ziani per la perduta patria, nella sala delle adunanze re-catosi, e ragionato prima delle condizioni dell'Europa,che, secondo lui, rendevano pericolosa alla Francia unanuova guerra sul continente, in cotale guisa ai municipa-li favellava:

«Cittadini, voi già anteponeste all'interesse vostrol'interesse della patria: un altro maggiore sforzo,un altro più nobile sacrifizio vi resta a fare, equest'è il dare l'interesse della vostra patria stessa

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all'interesse di tutta l'Europa. Già udiste le funestevoci sollecitamente sparse dai nemici vostri: esserisparmiano almeno ai vostri amici, che questo in-fausto mandato ricevuto hanno, il dolore di adem-pirlo con altro, che con lagrime. Ma, cittadini, inemici vostri sono anche nemici nostri; essi ca-lunniato hanno la Francia, come se ella trafficassedi carne umana, affinchè voi contro la libertà, econtro i difenditori suoi parte di quell'odio volta-ste, che alla tirannide, ed a' suoi sostenitori porta-te. No, per Dio, no; che la Francese repubblicaquesta vendita infame lascia ai re: ella perseguitai re, ella protegge gli uomini liberi, ovunque glitrovi. Ma la sua protezione, e la sua vendetta làdebbono terminarsi, dove nascerebbe la offesa deisuoi propri concittadini. I soldati della repubblicaora troppo sparsi, meglio fomenteranno ristrettinella Cisalpina, la novella libertà. I territorj Vene-ti, forse la città stessa di Venezia resteranno apertialle imperiali genti, fors'elleno gli occuperanno.Alcuni fra di voi, come gli Ottomani fanno, sonopronti a piegar il collo al fato inesorabile. Altri,come i Veneti, gloriosi avoli loro, sonsi risoluti alasciar le insensate mura per trasportar sulle navila patria, ed ogni uomo libero con lei. Evvi final-mente chi elegge il morire sotto le mura diroccatepiuttosto che lasciarle in mano degli strani. Nonio presumerò di giudicare qual fia il meglio frauna rassegnanza stoica, fra una ritirata onorevole,fra un sacrificio generoso. Bene ho a dirvi, dopodi aver purgato la mia patria dal veleno della ca-

all'interesse di tutta l'Europa. Già udiste le funestevoci sollecitamente sparse dai nemici vostri: esserisparmiano almeno ai vostri amici, che questo in-fausto mandato ricevuto hanno, il dolore di adem-pirlo con altro, che con lagrime. Ma, cittadini, inemici vostri sono anche nemici nostri; essi ca-lunniato hanno la Francia, come se ella trafficassedi carne umana, affinchè voi contro la libertà, econtro i difenditori suoi parte di quell'odio volta-ste, che alla tirannide, ed a' suoi sostenitori porta-te. No, per Dio, no; che la Francese repubblicaquesta vendita infame lascia ai re: ella perseguitai re, ella protegge gli uomini liberi, ovunque glitrovi. Ma la sua protezione, e la sua vendetta làdebbono terminarsi, dove nascerebbe la offesa deisuoi propri concittadini. I soldati della repubblicaora troppo sparsi, meglio fomenteranno ristrettinella Cisalpina, la novella libertà. I territorj Vene-ti, forse la città stessa di Venezia resteranno apertialle imperiali genti, fors'elleno gli occuperanno.Alcuni fra di voi, come gli Ottomani fanno, sonopronti a piegar il collo al fato inesorabile. Altri,come i Veneti, gloriosi avoli loro, sonsi risoluti alasciar le insensate mura per trasportar sulle navila patria, ed ogni uomo libero con lei. Evvi final-mente chi elegge il morire sotto le mura diroccatepiuttosto che lasciarle in mano degli strani. Nonio presumerò di giudicare qual fia il meglio frauna rassegnanza stoica, fra una ritirata onorevole,fra un sacrificio generoso. Bene ho a dirvi, dopodi aver purgato la mia patria dal veleno della ca-

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lunnia, ch'ella offre ricovero, ed asilo a coloro,che perduta l'antica Venezia vorranno fondarneuna nuova su lidi inaccessi alla tirannide. La Ci-salpina repubblica per intercessione della Francia,e per amore della libertà vi apre il grembo; ivi iltitolo di cittadini avrete, ivi una sede alla novellaVenezia, o che vi piaccia presso alle terre forti, onelle popolose città, o sotto gli umili tuguri, doveabitano gli uomini virtuosi e liberi, fondarla: po-trete i Veneziani beni con voi Veneziani trasporta-re, che così a favor vostro stipulava la potentissi -ma repubblica. Per tale guisa la generosa Francia,non potendo in tanta lontananza assicurare il libe-ro stato ai Veneziani in Venezia, assicurava alme-no il viver libero a coloro, che preferiscono la li-bertà alle lagune!»

Dette queste parole il giovane Villetard, pallido, treman-te e lagrimoso si tacque. Poi gli esortava, in nome anchedi Buonaparte, che ordinassero quanto era necessario,perchè Venezia sottentrasse intera e salva al nuovo do-minio. La rabbia, l'indegnazione, il furore agitavano ilconsenso. Ora era il silenzio, ora mormori di maledizio-ne. Il buon Vidiman, che già il cuore funesto aveva perla morte del fratello, antico governatore delle isole, chenon aveva potuto sopravvivere alle rapine Corciresi, vi-sto accostarsi la morte della patria a quella del fratello,se ne stava un pezzo attonito e sbattuto. Poi ritrovandoin se quella forza d'animo, che più gli uomini temperatihanno, che gli sfrenati, faceva risoluzione di andarsene

lunnia, ch'ella offre ricovero, ed asilo a coloro,che perduta l'antica Venezia vorranno fondarneuna nuova su lidi inaccessi alla tirannide. La Ci-salpina repubblica per intercessione della Francia,e per amore della libertà vi apre il grembo; ivi iltitolo di cittadini avrete, ivi una sede alla novellaVenezia, o che vi piaccia presso alle terre forti, onelle popolose città, o sotto gli umili tuguri, doveabitano gli uomini virtuosi e liberi, fondarla: po-trete i Veneziani beni con voi Veneziani trasporta-re, che così a favor vostro stipulava la potentissi -ma repubblica. Per tale guisa la generosa Francia,non potendo in tanta lontananza assicurare il libe-ro stato ai Veneziani in Venezia, assicurava alme-no il viver libero a coloro, che preferiscono la li-bertà alle lagune!»

Dette queste parole il giovane Villetard, pallido, treman-te e lagrimoso si tacque. Poi gli esortava, in nome anchedi Buonaparte, che ordinassero quanto era necessario,perchè Venezia sottentrasse intera e salva al nuovo do-minio. La rabbia, l'indegnazione, il furore agitavano ilconsenso. Ora era il silenzio, ora mormori di maledizio-ne. Il buon Vidiman, che già il cuore funesto aveva perla morte del fratello, antico governatore delle isole, chenon aveva potuto sopravvivere alle rapine Corciresi, vi-sto accostarsi la morte della patria a quella del fratello,se ne stava un pezzo attonito e sbattuto. Poi ritrovandoin se quella forza d'animo, che più gli uomini temperatihanno, che gli sfrenati, faceva risoluzione di andarsene

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all'esilio, non già per adular Buonaparte, o per correrdietro a nuove ambizioni, ma per viversene umile edignoto, là dove ancora virtù si pregiasse. Fortunato Ve-neziano, anche nelle disgrazie, poichè la virtù non soloconsola, ma a gran misura felicità, da te impareranno iposteri, se avranno vita queste carte ch'io vergo, e divo-zione verso la patria, ed integrità di costume, ed amoredella libertà, e costanza nell'esilio; e forse tempo verrà,che essi anteporranno l'esule ed umile Vidiman al glo-rioso Buonaparte, distruttore di patrie innocenti.Riprendeva le parole Villetard, ed offeriva in nome delgeneralissimo, ed a scampo della loro vita nel vicinoesilio, le Veneziane spoglie. A questa offerta veramenteBuonapartiana la natura Italiana si scosse, e mostrossiintiera. Ritenessesi, rispondevano concordi, gl'infamidoni; non essi aver consentito a governare un dì la patrialoro in tempi infelicissimi per dividersene le spoglie; sa-pere, come si preferisca la povertà all'infamia, gli esem-pi che correvano, non avere fin là contaminato le animeVeneziane: poter esser traditi, perchè per tradire basta lapotenza, ma non avviliti, perchè per non essere avvilitobasta la virtù, intrinseco e durevol pregio, non esterioree caduco, come la potenza; prendessesi pure la Franciale Veneziane spoglie, ma non cercasse di chiamar a par-te del furto i Veneziani; aver essi perduto la patria, nonvoler anco perdere l'onore; se si pascevano i potenti del-le rubate ricchezze, volere gli esuli pascersi della buonacoscienza, nè non esser mai per consentire, che quelle

all'esilio, non già per adular Buonaparte, o per correrdietro a nuove ambizioni, ma per viversene umile edignoto, là dove ancora virtù si pregiasse. Fortunato Ve-neziano, anche nelle disgrazie, poichè la virtù non soloconsola, ma a gran misura felicità, da te impareranno iposteri, se avranno vita queste carte ch'io vergo, e divo-zione verso la patria, ed integrità di costume, ed amoredella libertà, e costanza nell'esilio; e forse tempo verrà,che essi anteporranno l'esule ed umile Vidiman al glo-rioso Buonaparte, distruttore di patrie innocenti.Riprendeva le parole Villetard, ed offeriva in nome delgeneralissimo, ed a scampo della loro vita nel vicinoesilio, le Veneziane spoglie. A questa offerta veramenteBuonapartiana la natura Italiana si scosse, e mostrossiintiera. Ritenessesi, rispondevano concordi, gl'infamidoni; non essi aver consentito a governare un dì la patrialoro in tempi infelicissimi per dividersene le spoglie; sa-pere, come si preferisca la povertà all'infamia, gli esem-pi che correvano, non avere fin là contaminato le animeVeneziane: poter esser traditi, perchè per tradire basta lapotenza, ma non avviliti, perchè per non essere avvilitobasta la virtù, intrinseco e durevol pregio, non esterioree caduco, come la potenza; prendessesi pure la Franciale Veneziane spoglie, ma non cercasse di chiamar a par-te del furto i Veneziani; aver essi perduto la patria, nonvoler anco perdere l'onore; se si pascevano i potenti del-le rubate ricchezze, volere gli esuli pascersi della buonacoscienza, nè non esser mai per consentire, che quelle

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mura e quelle acque, tante volte testimonj di virtuosi fat-ti, gli vedessero far fardelli di Veneziane ricchezze; sa-pere, per aver voluto servire alla Francia ed alla patria,aver incorso l'odio di molti compatriotti, ma sperare, chequest'ultimo atto della vita pubblica loro, gli purghereb-be, ed a tutti dimostrerebbe, che se furono troppo confi-denti, non furono almeno colpevoli. Ciò detto, se ne sta-vano fremendo con segni di grandissima indegnazione.Di questo sdegno, e di questo rifiuto scriveva Villetard aBuonaparte con la seguente lettera, la quale io sono,come un'altra scritta dal medesimo Villetard, obbligatodi riferire alla distesa, perchè un recente autore di unastoria di Venezia, badando piuttosto a scusare Buonapar-te del fatto di Venezia, che a rendere a ciascuno il suodebito secondo il vizio o la virtù, le passò sotto silenzio,contentandosi di rapportare la lettera del generalissimo,la quale anche qui sotto si troverà trascritta. Della qualeomissione io non posso restar capace, perchè, se deside-rio dello storico era il non lodar Italiani di un fatto chedinotava magnanimità, mi pare, che almeno avrebbe do-vuto lodare il Francese Villetard di un procedere, che sestesso e la Francia sua patria in sì brutto accidente ono-rava.

«E' bisogna, scriveva Villetard al generalissimo,ch'io avessi tanta fermezza stoica, quanto amorpatrio, perchè io il doloroso carico, che mi deste,accettassi. Era presto, per quanto in me fosse, diadempirlo; ma bene io meco stesso mi rallegro al-

mura e quelle acque, tante volte testimonj di virtuosi fat-ti, gli vedessero far fardelli di Veneziane ricchezze; sa-pere, per aver voluto servire alla Francia ed alla patria,aver incorso l'odio di molti compatriotti, ma sperare, chequest'ultimo atto della vita pubblica loro, gli purghereb-be, ed a tutti dimostrerebbe, che se furono troppo confi-denti, non furono almeno colpevoli. Ciò detto, se ne sta-vano fremendo con segni di grandissima indegnazione.Di questo sdegno, e di questo rifiuto scriveva Villetard aBuonaparte con la seguente lettera, la quale io sono,come un'altra scritta dal medesimo Villetard, obbligatodi riferire alla distesa, perchè un recente autore di unastoria di Venezia, badando piuttosto a scusare Buonapar-te del fatto di Venezia, che a rendere a ciascuno il suodebito secondo il vizio o la virtù, le passò sotto silenzio,contentandosi di rapportare la lettera del generalissimo,la quale anche qui sotto si troverà trascritta. Della qualeomissione io non posso restar capace, perchè, se deside-rio dello storico era il non lodar Italiani di un fatto chedinotava magnanimità, mi pare, che almeno avrebbe do-vuto lodare il Francese Villetard di un procedere, che sestesso e la Francia sua patria in sì brutto accidente ono-rava.

«E' bisogna, scriveva Villetard al generalissimo,ch'io avessi tanta fermezza stoica, quanto amorpatrio, perchè io il doloroso carico, che mi deste,accettassi. Era presto, per quanto in me fosse, diadempirlo; ma bene io meco stesso mi rallegro al-

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meno, di aver trovato nei municipali di Veneziaanimi troppo alti per voler cooperare a quello, cheper mezzo mio loro avete proposto. Cercherannoeglino altrove una libera terra, ma preferiranno,se necessario fia, la povertà all'infamia. Non con-sentiranno, che altri possa dir di loro, che abbianodurante alcuni giorni, usurpato la sovranità dellanazione loro per metterla in preda. Per un tal pro-cedere pruoveranno almeno, che non meritano iceppi che si stan loro preparando. Gemono, èvero, su cotesti ceppi, bestemmiano, è vero, la na-zion Francese: un rifiuto unanime di volere nellaruina della loro patria mescolar le mani, seguitavai vostri comandamenti. Gemono, perchè otto annidi rivoluzione non ancora gli hanno assuefatti alledisgrazie, bestemmiano, perchè ancora non hannoimparato le dottrine Machiavelliche; non s'ardi-scono, perchè ancora non sono tanto corrotti chenon abbominino la sfrontatezza politica. Pure edil titolo di cittadini della Cisalpina, ed i benefizjdella nazione Francese recheransi ad onore; senon fia lor d'uopo comperargli per quello che alor pare un delitto, e voi siete troppo grande pernon fare giusta stima di questa loro scrupolosità.Non resta adunque, o generale, altro modo di gio-var loro che di ordinare in Venezia il governo me-ramente militare, pel quale voi a nome della Fran-cia richiederete quello, ch'eglino a nome della so-vranità del popolo, che in loro aveva la sua fedeposta, ricusano di fare».

meno, di aver trovato nei municipali di Veneziaanimi troppo alti per voler cooperare a quello, cheper mezzo mio loro avete proposto. Cercherannoeglino altrove una libera terra, ma preferiranno,se necessario fia, la povertà all'infamia. Non con-sentiranno, che altri possa dir di loro, che abbianodurante alcuni giorni, usurpato la sovranità dellanazione loro per metterla in preda. Per un tal pro-cedere pruoveranno almeno, che non meritano iceppi che si stan loro preparando. Gemono, èvero, su cotesti ceppi, bestemmiano, è vero, la na-zion Francese: un rifiuto unanime di volere nellaruina della loro patria mescolar le mani, seguitavai vostri comandamenti. Gemono, perchè otto annidi rivoluzione non ancora gli hanno assuefatti alledisgrazie, bestemmiano, perchè ancora non hannoimparato le dottrine Machiavelliche; non s'ardi-scono, perchè ancora non sono tanto corrotti chenon abbominino la sfrontatezza politica. Pure edil titolo di cittadini della Cisalpina, ed i benefizjdella nazione Francese recheransi ad onore; senon fia lor d'uopo comperargli per quello che alor pare un delitto, e voi siete troppo grande pernon fare giusta stima di questa loro scrupolosità.Non resta adunque, o generale, altro modo di gio-var loro che di ordinare in Venezia il governo me-ramente militare, pel quale voi a nome della Fran-cia richiederete quello, ch'eglino a nome della so-vranità del popolo, che in loro aveva la sua fedeposta, ricusano di fare».

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Buonaparte, il quale tanto meno comportava di esserbiasimato del male, quanto più amava di farlo, e paren-dogli, che fosse piuttosto pazzìa che altro il non volerrubare la propria patria, nè consegnarla in mano dei fo-restieri, rescriveva a Villetard queste rabbiose e barbareparole.

«Ebbi, cittadino, la vostra lettera dei tre annebbia-tore; nulla compresi al suo contenuto. Forse nonbene i miei concetti vi spiegai. Non ha la repub-blica Francese vincolo alcuno di trattato, che ciobblighi di anteporre ai nostri interessi, ed ai no-stri vantaggi quei della congregazione di salutepubblica, o di verun altro uomo di Venezia. Nonmai la repubblica Francese fece la risoluzione difar la guerra per gli altri popoli. Vorrei sapere,qual sia il precetto o di filosofia, o di morale, checomandi, che si sacrifichino quarantamila France-si contro il desiderio espresso della nazione, el'interesse vero della repubblica Francese. So, esento, che nulla costa ad un branco di ciarloni,che meglio contrassegnerei chiamandogli pazzi,di volere la repubblica universale. Vorrei, chequesti signori facessero con me una guerrad'inverno. Inoltre la nazione Veneziana più non è.Divisi in tanti interessi, effeminati e corrotti, tantocodardi quanto ipocriti, i popoli d'Italia, e spezial-mente il Veneziano, poco son fatti per la libertà.Se il Veneziano è in grado di pregiarla, la occa-sione gli è aperta per pruovarlo: ch'ei la difenda.Non ebbe nemmeno il coraggio di conquistarla

Buonaparte, il quale tanto meno comportava di esserbiasimato del male, quanto più amava di farlo, e paren-dogli, che fosse piuttosto pazzìa che altro il non volerrubare la propria patria, nè consegnarla in mano dei fo-restieri, rescriveva a Villetard queste rabbiose e barbareparole.

«Ebbi, cittadino, la vostra lettera dei tre annebbia-tore; nulla compresi al suo contenuto. Forse nonbene i miei concetti vi spiegai. Non ha la repub-blica Francese vincolo alcuno di trattato, che ciobblighi di anteporre ai nostri interessi, ed ai no-stri vantaggi quei della congregazione di salutepubblica, o di verun altro uomo di Venezia. Nonmai la repubblica Francese fece la risoluzione difar la guerra per gli altri popoli. Vorrei sapere,qual sia il precetto o di filosofia, o di morale, checomandi, che si sacrifichino quarantamila France-si contro il desiderio espresso della nazione, el'interesse vero della repubblica Francese. So, esento, che nulla costa ad un branco di ciarloni,che meglio contrassegnerei chiamandogli pazzi,di volere la repubblica universale. Vorrei, chequesti signori facessero con me una guerrad'inverno. Inoltre la nazione Veneziana più non è.Divisi in tanti interessi, effeminati e corrotti, tantocodardi quanto ipocriti, i popoli d'Italia, e spezial-mente il Veneziano, poco son fatti per la libertà.Se il Veneziano è in grado di pregiarla, la occa-sione gli è aperta per pruovarlo: ch'ei la difenda.Non ebbe nemmeno il coraggio di conquistarla

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contro alcuni vili oligarchi; non seppe per qual-che tempo difenderla nella città di Zara, e forse,se in Alemagna fosse entrato l'esercito, noi avres-simo veduto, se non rinnovellarsi le tragedie diVerona, almeno moltiplicarsi gli assassinj chesull'esercito i medesimi effetti partoriscono. Delrimanente la repubblica Francese non può dare,come par che si creda, gli stati Veneziani; non ègià punto perchè questi stati per dritto di conqui-sta non appartengono in realtà alla Francia, maperchè non è massima del governo Francese didare alcun popolo. Adunque allora quando l'eser-cito Francese sgombrerà il paese, potranno i di-versi suoi governi fare quelle risoluzioni, che piùcrederanno utili alla patria loro. Vi diedi carico diconferire con la congregazione di salute pubblicaintorno alla evacuazione, che è possibile, chel'esercito faccia, acciocchè potessero appigliarsiai partiti più utili e pel paese, e per gl'individuiche eleggessero ritirarsi nei paesi uniti alla repub-blica Cisalpina, e riconosciuti, e guarentiti dallaFrancese. Voi parimente avete lor fatto a sapere,che coloro, i quali amassero seguitare l'esercitoFrancese, avrebbero tutto il tempo necessario,perchè possano vendere i loro beni, qualunqueabbia ad essere il destino del loro paese, e di più,ch'io sapeva, che era intento della repubblica Ci-salpina di conferir loro il titolo di cittadini. Ilmandato vostro là debbe terminarsi. Del resto, eifaranno a posta loro quanto vorran fare. Voi aveteloro abbastanza detto, perchè sentano che tutto

contro alcuni vili oligarchi; non seppe per qual-che tempo difenderla nella città di Zara, e forse,se in Alemagna fosse entrato l'esercito, noi avres-simo veduto, se non rinnovellarsi le tragedie diVerona, almeno moltiplicarsi gli assassinj chesull'esercito i medesimi effetti partoriscono. Delrimanente la repubblica Francese non può dare,come par che si creda, gli stati Veneziani; non ègià punto perchè questi stati per dritto di conqui-sta non appartengono in realtà alla Francia, maperchè non è massima del governo Francese didare alcun popolo. Adunque allora quando l'eser-cito Francese sgombrerà il paese, potranno i di-versi suoi governi fare quelle risoluzioni, che piùcrederanno utili alla patria loro. Vi diedi carico diconferire con la congregazione di salute pubblicaintorno alla evacuazione, che è possibile, chel'esercito faccia, acciocchè potessero appigliarsiai partiti più utili e pel paese, e per gl'individuiche eleggessero ritirarsi nei paesi uniti alla repub-blica Cisalpina, e riconosciuti, e guarentiti dallaFrancese. Voi parimente avete lor fatto a sapere,che coloro, i quali amassero seguitare l'esercitoFrancese, avrebbero tutto il tempo necessario,perchè possano vendere i loro beni, qualunqueabbia ad essere il destino del loro paese, e di più,ch'io sapeva, che era intento della repubblica Ci-salpina di conferir loro il titolo di cittadini. Ilmandato vostro là debbe terminarsi. Del resto, eifaranno a posta loro quanto vorran fare. Voi aveteloro abbastanza detto, perchè sentano che tutto

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ancora non è perduto, che quanto accadeva eral'effetto di un gran disegno: che se gli esercitiFrancesi continuassero a far la guerra prospera-mente contro una potenza, che è stata il nervo edil cofano di tutta la lega, forse Venezia col tempopotrebbe divenire unita alla Cisalpina. Ma veggoche son codardi, e che non san far altro che fuggi-re: ebbene, che e' fuggano; non ho bisogno diloro».

A questo modo parlava Buonaparte di coloro, che percagione di lui perdevano un'antica e nobil patria, che percagione di lui andavano raminghi ed esuli, che per ca-gione di lui avevano in tempi tanto sinistri accettato ildoloroso carico di servire al paese loro ed alla Francia.A questo modo parlava di loro, solo perchè avevano ri-fiutato le offerte sue infami, ed abborrito dal contami-narsi le mani nella dazione, e nell'ultimo ladronecciodella infelice patria loro. Da tutto questo anche si vede,con quale sincerità abbia narrato questo accidente l'auto-re della recente storia Veneziana, poichè non al rifiuto diappropriarsi le spoglie della patria, e di consegnarla essistessi in poter dell'imperatore, come avrebbe dovuto di-chiarare apertamente, ma non so quale altra protestazio-ne dei Veneziani, senza spiegare qual ella fosse, egli at-tribuisce la collera di Buonaparte. Quando non si adora-no le opere generose, e non si ha un orror santo per levili, non so perchè si scrivano storie.Rispondeva il generoso Villetard alla lettera del furibon-

ancora non è perduto, che quanto accadeva eral'effetto di un gran disegno: che se gli esercitiFrancesi continuassero a far la guerra prospera-mente contro una potenza, che è stata il nervo edil cofano di tutta la lega, forse Venezia col tempopotrebbe divenire unita alla Cisalpina. Ma veggoche son codardi, e che non san far altro che fuggi-re: ebbene, che e' fuggano; non ho bisogno diloro».

A questo modo parlava Buonaparte di coloro, che percagione di lui perdevano un'antica e nobil patria, che percagione di lui andavano raminghi ed esuli, che per ca-gione di lui avevano in tempi tanto sinistri accettato ildoloroso carico di servire al paese loro ed alla Francia.A questo modo parlava di loro, solo perchè avevano ri-fiutato le offerte sue infami, ed abborrito dal contami-narsi le mani nella dazione, e nell'ultimo ladronecciodella infelice patria loro. Da tutto questo anche si vede,con quale sincerità abbia narrato questo accidente l'auto-re della recente storia Veneziana, poichè non al rifiuto diappropriarsi le spoglie della patria, e di consegnarla essistessi in poter dell'imperatore, come avrebbe dovuto di-chiarare apertamente, ma non so quale altra protestazio-ne dei Veneziani, senza spiegare qual ella fosse, egli at-tribuisce la collera di Buonaparte. Quando non si adora-no le opere generose, e non si ha un orror santo per levili, non so perchè si scrivano storie.Rispondeva il generoso Villetard alla lettera del furibon-

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do Buonaparte queste nobili parole:«Non loquaci, non pazzi, non vili, o codardi uo-mini sono coloro, dei quali nell'ultima mia vi fa-vellava; nè voglion essi che col sangue Francesesi faccia loro una repubblica universale. Conosco,come voi, le frasi, conosco la politica, conosco ilcoraggio di questi sognatori di universali repub-bliche: ma parecchi padri di famiglia sono, mavecchi uomini sono, ma negozianti sono, che at-territi dalla novella della evacuazione del paeseloro, e dell'invasione dei soldati dell'imperatore,che ne debbe seguitare, creduto hanno di non averpiù diritto di governare quando governare più nonpotevano che a loro proprio profitto, e che diun'autorità temporanea, non confermata ancoradalla nazione, investiti solamente si conoscevano.Abbiate del resto per certo, che da radice di pro-bità e di altezza d'animo, pur troppo a' nostri gior-ni rare, procede il rifiuto di espilare a profitto del-la parte democratica la Veneziana nazione».

Ma per toccare il fondo della risposta di Buonaparte, senon aveva la Francia nissun obbligo di trattato verso Ve-nezia, non si vede perchè il generalissimo invocasse untrattato quando si trattava di rubarla; perchè, se non piùonorevole, almeno più sincero sarebbe stato il chiamarrubare il rubare, e non chiamarlo pigliarsi le cose pro-messe dai trattati. Da un altro canto s'intende benissimo,che Buonaparte non era obbligato a far ammazzare qua-rantamila Francesi per conservar Venezia libera; ma

do Buonaparte queste nobili parole:«Non loquaci, non pazzi, non vili, o codardi uo-mini sono coloro, dei quali nell'ultima mia vi fa-vellava; nè voglion essi che col sangue Francesesi faccia loro una repubblica universale. Conosco,come voi, le frasi, conosco la politica, conosco ilcoraggio di questi sognatori di universali repub-bliche: ma parecchi padri di famiglia sono, mavecchi uomini sono, ma negozianti sono, che at-territi dalla novella della evacuazione del paeseloro, e dell'invasione dei soldati dell'imperatore,che ne debbe seguitare, creduto hanno di non averpiù diritto di governare quando governare più nonpotevano che a loro proprio profitto, e che diun'autorità temporanea, non confermata ancoradalla nazione, investiti solamente si conoscevano.Abbiate del resto per certo, che da radice di pro-bità e di altezza d'animo, pur troppo a' nostri gior-ni rare, procede il rifiuto di espilare a profitto del-la parte democratica la Veneziana nazione».

Ma per toccare il fondo della risposta di Buonaparte, senon aveva la Francia nissun obbligo di trattato verso Ve-nezia, non si vede perchè il generalissimo invocasse untrattato quando si trattava di rubarla; perchè, se non piùonorevole, almeno più sincero sarebbe stato il chiamarrubare il rubare, e non chiamarlo pigliarsi le cose pro-messe dai trattati. Da un altro canto s'intende benissimo,che Buonaparte non era obbligato a far ammazzare qua-rantamila Francesi per conservar Venezia libera; ma

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s'intende anche benissimo, che non era colpa dei Vene-ziani, se la Francia voleva serbar per se i Paesi Bassi, ela sponda sinistra del Reno, e Magonza, e la LombardìaAustriaca, e Mantova, e Corfù. Che Venezia pagasse peraltri si vede, perchè pagò; ma che vi fosse obbligata, èargomento nuovo, e degno dei tempi. Taccio gl'incentividati ai Veneziani verso la libertà dal direttorio, da Buo-naparte, e dai suoi generali, ed agenti, perchè sono vitu-perj a chi voleva dar Venezia in preda all'imperatore. Ri-voltare per tradire era certamente opera nefanda.In tanto precipizio dell'antica patria, pensarono i munici-pali, poichè la forza dominava, che la volontà almeno siesprimesse. Adunarono i popolari comizj, affinchè deli-berassero, se i Veneziani volevano conservar la libertà.Nissun oratore parlò in cospetto del popolo; i soli desi-derj spontanei operavano, soli sacerdoti raccolsero ivoti: fu il voto per la libertà. I municipali deputavanoSordina, Carminati, Dandolo e Giuliani, acciocchè an-dassero a Parigi, portassero al direttorio il voto, e lo pre-gassero, che permettesse, che i Veneziani s'armasseroper difendere la libertà. Coi medesimi fini mandavanoun'altra deputazione a Buonaparte a Milano; ma ei fecearrestar in viaggio i deputati, orribile comandamento.Così, se i Veneziani non s'armavano, gli chiamava vili,se volevano armarsi, gli trattava da rei, e si vede di chefosse pregno quel capitolo inserito nel trattato di Cam-poformio, che la repubblica Francese consentiva, chel'imperatore d'Alemagna possedesse Venezia. Il dir con-

s'intende anche benissimo, che non era colpa dei Vene-ziani, se la Francia voleva serbar per se i Paesi Bassi, ela sponda sinistra del Reno, e Magonza, e la LombardìaAustriaca, e Mantova, e Corfù. Che Venezia pagasse peraltri si vede, perchè pagò; ma che vi fosse obbligata, èargomento nuovo, e degno dei tempi. Taccio gl'incentividati ai Veneziani verso la libertà dal direttorio, da Buo-naparte, e dai suoi generali, ed agenti, perchè sono vitu-perj a chi voleva dar Venezia in preda all'imperatore. Ri-voltare per tradire era certamente opera nefanda.In tanto precipizio dell'antica patria, pensarono i munici-pali, poichè la forza dominava, che la volontà almeno siesprimesse. Adunarono i popolari comizj, affinchè deli-berassero, se i Veneziani volevano conservar la libertà.Nissun oratore parlò in cospetto del popolo; i soli desi-derj spontanei operavano, soli sacerdoti raccolsero ivoti: fu il voto per la libertà. I municipali deputavanoSordina, Carminati, Dandolo e Giuliani, acciocchè an-dassero a Parigi, portassero al direttorio il voto, e lo pre-gassero, che permettesse, che i Veneziani s'armasseroper difendere la libertà. Coi medesimi fini mandavanoun'altra deputazione a Buonaparte a Milano; ma ei fecearrestar in viaggio i deputati, orribile comandamento.Così, se i Veneziani non s'armavano, gli chiamava vili,se volevano armarsi, gli trattava da rei, e si vede di chefosse pregno quel capitolo inserito nel trattato di Cam-poformio, che la repubblica Francese consentiva, chel'imperatore d'Alemagna possedesse Venezia. Il dir con-

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sentire, quando si sforza, mi pare un'astuzia piuttosto ri-dicola e stomacosa, che altro.Serrurier, non temendo di maculare lo splendore de' suoifatti, accettata da Buonaparte la suprema autorità in Ve-nezia, ed il mandato di fare la gran consegna, svaligiatiprima, secondo i comandamenti avuti, i fondachi pub-blici del sale, e del biscotto, spogliato avarissimamentel'arsenale, rotte o mutilate le statue bellissime, che in luisi miravano, fatto salpare le grosse navi, affondate leminori, rotte a suon di scuri le incominciate, arso in SanGiorgio, a fine di cavarne le dorature, il Bucentoro, reli-quia veneranda per la memoria dell'antiche cose, e per leopere eccellenti di scoltura che l'adornavano, rovinata edeserta ogni cosa che allo stato appartenesse, consegna-va agli Alemanni, lietissimi di tanto maravigliosa con-quista, la città di Venezia. Faceva il popolazzo qualcheallegrezza, onde si accresceva il dolore universale; i de-mocrati, o fuggiti, o nascosti; dei patrizi, i più piangeva-no, alcuni andavano alle ambizioni nuove. FrancescoPesaro, mi vergogno, e mi sento addolorare in dirlo perla contaminata fama di lui, riceveva, come commissarioimperiale, i giuramenti.Così perì Venezia. Ora, quando si dirà Venezia, s'inten-derà di Venezia serva: e tempo verrà, e forse non è lon-tano, in cui, quando si dirà Venezia, s'intenderà di rotta-mi e d'alghe marine, là dove sorgeva una città magnifi-ca, maraviglia del mondo. Tali sono le opere Buonapar-tiane.

sentire, quando si sforza, mi pare un'astuzia piuttosto ri-dicola e stomacosa, che altro.Serrurier, non temendo di maculare lo splendore de' suoifatti, accettata da Buonaparte la suprema autorità in Ve-nezia, ed il mandato di fare la gran consegna, svaligiatiprima, secondo i comandamenti avuti, i fondachi pub-blici del sale, e del biscotto, spogliato avarissimamentel'arsenale, rotte o mutilate le statue bellissime, che in luisi miravano, fatto salpare le grosse navi, affondate leminori, rotte a suon di scuri le incominciate, arso in SanGiorgio, a fine di cavarne le dorature, il Bucentoro, reli-quia veneranda per la memoria dell'antiche cose, e per leopere eccellenti di scoltura che l'adornavano, rovinata edeserta ogni cosa che allo stato appartenesse, consegna-va agli Alemanni, lietissimi di tanto maravigliosa con-quista, la città di Venezia. Faceva il popolazzo qualcheallegrezza, onde si accresceva il dolore universale; i de-mocrati, o fuggiti, o nascosti; dei patrizi, i più piangeva-no, alcuni andavano alle ambizioni nuove. FrancescoPesaro, mi vergogno, e mi sento addolorare in dirlo perla contaminata fama di lui, riceveva, come commissarioimperiale, i giuramenti.Così perì Venezia. Ora, quando si dirà Venezia, s'inten-derà di Venezia serva: e tempo verrà, e forse non è lon-tano, in cui, quando si dirà Venezia, s'intenderà di rotta-mi e d'alghe marine, là dove sorgeva una città magnifi-ca, maraviglia del mondo. Tali sono le opere Buonapar-tiane.

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LIBRO DECIMOTERZO

SOMMARIOLa tempesta si volge contro il papa: macchinazioni in Roma perfarvi una rivoluzione. Caso funestissimo dell'uccisione del gene-rale Duphot. La Francia dichiara la guerra al pontefice. Berthiermarcia contro Roma, e se ne impadronisce. Atto rogato dal popo-lo Romano in Campo Vaccino per vendicarsi in libertà. Pio Sestoesposto a indegni scherni. I repubblicani lo sforzano a lasciarRoma, e lo conducono in Toscana. Espilazioni, e spogli di Roma.Risentimenti armati, che ne fanno i Romani. Risentimenti e que-rele, che ne fanno gli ufficiali Francesi gelosi dell'onore dell'eser-cito. Si bandisce la repubblica Romana, e le si dà una costituzio-ne. Provvisioni di Pio Sesto circa i giuramenti.

Gli eccidj si moltiplicavano; continuavasi a spogliarRoma in virtù del trattato di Tolentino; nella quale biso-gna con molta efficacia si travagliavano i commissarjdel direttorio. E perchè non mancasse in mezzo agli spo-gli l'adulazione, essendo venuto a notizia loro, che lamoglie di Buonaparte desiderava per se alcune belle sta-tue di bronzo, le comperarono, e con le involate a gradodi lei le incassarono. Succedeva ad una adulazione dicortesia un'adulazione lagrimevole; perchè, saputisi dalpapa il desiderio, e la compera, ne pagava tosto il prez-zo, che furono tremila e settecento scudi Romani, per-chè la donna se le avesse senza costo. Oltre a ciò il mi-sero papa, oramai vicino alla sua ora estrema, credendo,certamente con molta semplicità, di aver a fare con uo-

LIBRO DECIMOTERZO

SOMMARIOLa tempesta si volge contro il papa: macchinazioni in Roma perfarvi una rivoluzione. Caso funestissimo dell'uccisione del gene-rale Duphot. La Francia dichiara la guerra al pontefice. Berthiermarcia contro Roma, e se ne impadronisce. Atto rogato dal popo-lo Romano in Campo Vaccino per vendicarsi in libertà. Pio Sestoesposto a indegni scherni. I repubblicani lo sforzano a lasciarRoma, e lo conducono in Toscana. Espilazioni, e spogli di Roma.Risentimenti armati, che ne fanno i Romani. Risentimenti e que-rele, che ne fanno gli ufficiali Francesi gelosi dell'onore dell'eser-cito. Si bandisce la repubblica Romana, e le si dà una costituzio-ne. Provvisioni di Pio Sesto circa i giuramenti.

Gli eccidj si moltiplicavano; continuavasi a spogliarRoma in virtù del trattato di Tolentino; nella quale biso-gna con molta efficacia si travagliavano i commissarjdel direttorio. E perchè non mancasse in mezzo agli spo-gli l'adulazione, essendo venuto a notizia loro, che lamoglie di Buonaparte desiderava per se alcune belle sta-tue di bronzo, le comperarono, e con le involate a gradodi lei le incassarono. Succedeva ad una adulazione dicortesia un'adulazione lagrimevole; perchè, saputisi dalpapa il desiderio, e la compera, ne pagava tosto il prez-zo, che furono tremila e settecento scudi Romani, per-chè la donna se le avesse senza costo. Oltre a ciò il mi-sero papa, oramai vicino alla sua ora estrema, credendo,certamente con molta semplicità, di aver a fare con uo-

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mini esorabili, apparecchiava una collana di preziosi ca-mei, perchè fosse offerta da sua parte in dono alla signo-ra. Parvero queste cortesie, e questi omaggi fatti in unmomento, in cui ogni cosa era a un di presso giunta alsuo fine in Roma, nobili al Cacault, ministro del diretto-rio. Forse era nobile l'offerirgli, ma se fosse nobilel'accettargli in quel momento, lascio giudicar a coloro,che conoscono la civiltà e l'onestà del procedere. Le cas-se intanto piene delle Romane spoglie poste sui carri,partivano dalla desolata Roma. Se le vedeva il popoloRomano, e le rimirava con grandissima indegnazione.Il romano erario era casso pel pagamento delle contribu-zioni stipulate nel trattato di Tolentino; le romane cedolescapitavano dei due terzi per centinaio, e non v'era fineal disavanzo che ogni dì cresceva: ogni cosa in iscompi-glio, si avvicinava la dissoluzione. Sapevaselo Cacault eper questo non voleva che si facesse una rivoluzioneviolenta per ispegnere il governo papale, ma bensì, chesi lasciasse andare di per se stesso alla distruzione. Sologli doleva il pensare, che nella borsa segreta e particola-re del papa, e del suo nipote, vi fossero ancor denari; eperò s'ingegnava a fare, che il pontefice comperasse pertre milioni la terra della Mesola, sperando, come scrive-va a Buonaparte, che il trarre quel denaro dallo stato ec-clesiastico avesse ad esser cagione, che il fallimento to-tale delle cedole, che ne seguirebbe, partorirebbe unagran ruina, e necessariamente opererebbe una rivoluzio-ne. I democrati non incitava Cacault, nè aveva parteci-

mini esorabili, apparecchiava una collana di preziosi ca-mei, perchè fosse offerta da sua parte in dono alla signo-ra. Parvero queste cortesie, e questi omaggi fatti in unmomento, in cui ogni cosa era a un di presso giunta alsuo fine in Roma, nobili al Cacault, ministro del diretto-rio. Forse era nobile l'offerirgli, ma se fosse nobilel'accettargli in quel momento, lascio giudicar a coloro,che conoscono la civiltà e l'onestà del procedere. Le cas-se intanto piene delle Romane spoglie poste sui carri,partivano dalla desolata Roma. Se le vedeva il popoloRomano, e le rimirava con grandissima indegnazione.Il romano erario era casso pel pagamento delle contribu-zioni stipulate nel trattato di Tolentino; le romane cedolescapitavano dei due terzi per centinaio, e non v'era fineal disavanzo che ogni dì cresceva: ogni cosa in iscompi-glio, si avvicinava la dissoluzione. Sapevaselo Cacault eper questo non voleva che si facesse una rivoluzioneviolenta per ispegnere il governo papale, ma bensì, chesi lasciasse andare di per se stesso alla distruzione. Sologli doleva il pensare, che nella borsa segreta e particola-re del papa, e del suo nipote, vi fossero ancor denari; eperò s'ingegnava a fare, che il pontefice comperasse pertre milioni la terra della Mesola, sperando, come scrive-va a Buonaparte, che il trarre quel denaro dallo stato ec-clesiastico avesse ad esser cagione, che il fallimento to-tale delle cedole, che ne seguirebbe, partorirebbe unagran ruina, e necessariamente opererebbe una rivoluzio-ne. I democrati non incitava Cacault, nè aveva parteci-

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pazione nelle loro macchinazioni, perchè gli stimavagente dappoco, e credeva che il popolo non gli volesse.Bensì ricercava il papa della libertà dei carcerati; il cheveniva in grande diminuzione della riputazione del go-verno pontificio, condizione funestissima, perchè il tol-lerargli era pericoloso per l'esempio, il carcerargli peri-coloso per la necessità del liberargli. Crescevano la pe-nuria, ed il caro delle vettovaglie; i popoli male si soddi-sfacevano. A questo contribuivano non poco le tratte deigrani, che il papa era sforzato, perchè richiesto con im-perio, a concedere ad alcuni fra gli agenti sì militari checivili della repubblica. Erano queste tratte cose moltopregne, perchè portavano con se assai guadagno. Ilpapa, oltre la sua età cadente, si trovava infermo di para-lisia. S'aggiungevano spaventi, come se il cielo fossesdegnato contro Roma. La polveriera del castelSant'Angelo s'accendeva la vigilia di San Pietro con or-ribile fracasso; furonvi molte morti, e parecchi edifizjrovinati, il Vaticano sì fortemente scosso, che la voltadella cappella Sistina fe' di molti peli, e parte diroccavacon danno considerabile del famoso Giudizio di Miche-lagnolo.S'incominciavano i cavilli, annunziatori di distruzione.Aveva il pontefice fatto disegno di condurre a' suoi soldiil generale Provera. A ciò fecero tosto un gran tempesta-re gli agenti del direttorio, richiedendo con supremo co-mandamento, e pena la guerra, dal pontefice, che licen-ziasse incontanente, e fuori de' suoi stati mandasse il ge-

pazione nelle loro macchinazioni, perchè gli stimavagente dappoco, e credeva che il popolo non gli volesse.Bensì ricercava il papa della libertà dei carcerati; il cheveniva in grande diminuzione della riputazione del go-verno pontificio, condizione funestissima, perchè il tol-lerargli era pericoloso per l'esempio, il carcerargli peri-coloso per la necessità del liberargli. Crescevano la pe-nuria, ed il caro delle vettovaglie; i popoli male si soddi-sfacevano. A questo contribuivano non poco le tratte deigrani, che il papa era sforzato, perchè richiesto con im-perio, a concedere ad alcuni fra gli agenti sì militari checivili della repubblica. Erano queste tratte cose moltopregne, perchè portavano con se assai guadagno. Ilpapa, oltre la sua età cadente, si trovava infermo di para-lisia. S'aggiungevano spaventi, come se il cielo fossesdegnato contro Roma. La polveriera del castelSant'Angelo s'accendeva la vigilia di San Pietro con or-ribile fracasso; furonvi molte morti, e parecchi edifizjrovinati, il Vaticano sì fortemente scosso, che la voltadella cappella Sistina fe' di molti peli, e parte diroccavacon danno considerabile del famoso Giudizio di Miche-lagnolo.S'incominciavano i cavilli, annunziatori di distruzione.Aveva il pontefice fatto disegno di condurre a' suoi soldiil generale Provera. A ciò fecero tosto un gran tempesta-re gli agenti del direttorio, richiedendo con supremo co-mandamento, e pena la guerra, dal pontefice, che licen-ziasse incontanente, e fuori de' suoi stati mandasse il ge-

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nerale Austriaco. Tal era il rispetto, che il direttorio vin-citore portava all'independenza di uno stato sovrano, ecol quale aveva congiunzione d'amicizia pel trattato diTolentino.Alle cagioni politiche, le quali operavano contro il papa,se ne aggiungeva una di una natura molto singolare, equest'era il pensiero nato in Francia, del voler fondare lareligione naturale, che col nome di teofilantropìa chia-mavano. Fu a quei tempi questo pensiero attribuito spe-cialmente al quinqueviro Lareveliere Lepeaux; ma seb-bene ei l'appruovasse, come mezzo conducente a risve-gliare nel cuore degli uomini gli affetti dolci e sociabili,non ne fu però il principale autore. I fautori di questonovello rito miravano ad allontanare la necessità dellareligione rivelata, e principalmente della cattolica; ilperchè si mostravano avversi al papa, come capo e diret-tor supremo di quanto a quest'ultima religione s'appar-tiene, e con tutti gli sforzi loro la di lui rovina procura-vano.Era a Cacault succeduto nell'ufficio di ministro di Fran-cia a Roma, Giuseppe Buonaparte, fratello maggiore delgenerale, uomo di natura assai rimessa, ma siccome in-dolente e debole, così facile a lasciarsi aggirare da chivoleva piuttosto fare, che aspettare la rivoluzione. Inol-tre sapeva qual fosse il desiderio del suo governo, ed an-che ebbene mandato espresso, di mutar lo stato inRoma, con questo però, ch'ei facesse le viste di non pa-rervi mescolato. Per la qual cosa era la sua casa piena

nerale Austriaco. Tal era il rispetto, che il direttorio vin-citore portava all'independenza di uno stato sovrano, ecol quale aveva congiunzione d'amicizia pel trattato diTolentino.Alle cagioni politiche, le quali operavano contro il papa,se ne aggiungeva una di una natura molto singolare, equest'era il pensiero nato in Francia, del voler fondare lareligione naturale, che col nome di teofilantropìa chia-mavano. Fu a quei tempi questo pensiero attribuito spe-cialmente al quinqueviro Lareveliere Lepeaux; ma seb-bene ei l'appruovasse, come mezzo conducente a risve-gliare nel cuore degli uomini gli affetti dolci e sociabili,non ne fu però il principale autore. I fautori di questonovello rito miravano ad allontanare la necessità dellareligione rivelata, e principalmente della cattolica; ilperchè si mostravano avversi al papa, come capo e diret-tor supremo di quanto a quest'ultima religione s'appar-tiene, e con tutti gli sforzi loro la di lui rovina procura-vano.Era a Cacault succeduto nell'ufficio di ministro di Fran-cia a Roma, Giuseppe Buonaparte, fratello maggiore delgenerale, uomo di natura assai rimessa, ma siccome in-dolente e debole, così facile a lasciarsi aggirare da chivoleva piuttosto fare, che aspettare la rivoluzione. Inol-tre sapeva qual fosse il desiderio del suo governo, ed an-che ebbene mandato espresso, di mutar lo stato inRoma, con questo però, ch'ei facesse le viste di non pa-rervi mescolato. Per la qual cosa era la sua casa piena

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continuamente di novatori, ai quali dava segrete speran-ze. Ma siccome nè era soldato, nè d'indole risoluta,mandarono, per dargli spirito, ed ajutarlo a perturbarRoma, i generali Duphot e Sherlock, il primo dei qualisi era mostrato assai vivo in quelle faccende dei sovver-timenti Genovesi. Aveva il governo papale avviso delletrame che si macchinavano; e però faceva correre, prin-cipalmente di nottetempo, le contrade di Roma da spes-se pattuglie, e teneva diligentissime guardie. Ma era fa-tale, che i tempi soverchiassero la prudenza, e dacchè iministri di potenze estere, il cui nome suona pace edamicizia, divenivano seminatori di ribellione, non si po-tevano più pareggiare le partite. S'avvicinava l'anno mi-lasettecentonovantasette al suo fine, quando nasceva inRoma un caso funestissimo, dal quale scorsero improv-visamente con precipitosa piena quelle acque, che giàtanto soprabbondando minacciavano di allagare. La not-te dei venzette decembre i soldati urbani givano diligen-temente osservando, che cosa accadesse o non accades-se. Trovavano qua e là raccolti in cerchiellini uomini ap-postati, che portavano nappe alla Francese, la maggiorparte sudditi del papa; pure Francesi ancora vi si trova-vano, ma in picciol numero. I soldati prudentementeusando, intimavano loro di sgombrare: erano obbediti.Parve il caso d'importanza al governator di Roma. Ordi-nava più diligenti e più grosse guardie; comandava atutti i corpi, vegliassero. A notte più buja incontravanole guardie un'altra affollata di genti armate; erano i de-mocrati. Dissero loro, si separassero. Qui nascevano

continuamente di novatori, ai quali dava segrete speran-ze. Ma siccome nè era soldato, nè d'indole risoluta,mandarono, per dargli spirito, ed ajutarlo a perturbarRoma, i generali Duphot e Sherlock, il primo dei qualisi era mostrato assai vivo in quelle faccende dei sovver-timenti Genovesi. Aveva il governo papale avviso delletrame che si macchinavano; e però faceva correre, prin-cipalmente di nottetempo, le contrade di Roma da spes-se pattuglie, e teneva diligentissime guardie. Ma era fa-tale, che i tempi soverchiassero la prudenza, e dacchè iministri di potenze estere, il cui nome suona pace edamicizia, divenivano seminatori di ribellione, non si po-tevano più pareggiare le partite. S'avvicinava l'anno mi-lasettecentonovantasette al suo fine, quando nasceva inRoma un caso funestissimo, dal quale scorsero improv-visamente con precipitosa piena quelle acque, che giàtanto soprabbondando minacciavano di allagare. La not-te dei venzette decembre i soldati urbani givano diligen-temente osservando, che cosa accadesse o non accades-se. Trovavano qua e là raccolti in cerchiellini uomini ap-postati, che portavano nappe alla Francese, la maggiorparte sudditi del papa; pure Francesi ancora vi si trova-vano, ma in picciol numero. I soldati prudentementeusando, intimavano loro di sgombrare: erano obbediti.Parve il caso d'importanza al governator di Roma. Ordi-nava più diligenti e più grosse guardie; comandava atutti i corpi, vegliassero. A notte più buja incontravanole guardie un'altra affollata di genti armate; erano i de-mocrati. Dissero loro, si separassero. Qui nascevano

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dalla parte degli affollati minacce e derisioni. Seguitavauna mischia confusa; un democrato fu morto, due urbaniferiti. Il sangue chiama sangue, il terrore già dominavala città. Faceva motto di cotesto il segretario di statoall'ambasciadore Giuseppe, che in quel mentre si diver-tiva ad una festa di ballo. Rispondeva, farebbe, che isuoi non si mescolassero in quei tumulti, ma non giova-va; perchè, o il volesse egli, o nol volesse, si adunavanoil dì ventotto nella villa Medici circa trecento democrati,cui ancora non avevano fatti accorti nè la vendita Vene-ziana, nè la servitù Cisalpina. Era Duphot fra di loro, econ la voce, e coi gesti, e coll'alzar il cappello gli ani-mava a novità: inalberavano l'insegna tricolorita, e face-vano un gridare, ed un tramestìo incredibile. Sapeva ilgoverno l'accidente, e per rimedio mandava bande difanti e di cavalli, che tanto più facilmente disperdevanoquegli uomini riscaldati dalle opinioni e dal vino, poichèavevano desinato in copia, quanto altri democrati, checon esso loro dovevano congiungersi, trattenuti da unordine contrario di Sherlock, non potevano arrivare.Correvano i dispersi, come a luogo sicuro, e come a fon-te d'allettamenti al palazzo Corsini, dove aveva le suestanze l'ambasciatore di Francia. In esso, e nei luoghi vi-cini si ricoveravano, donde fatti più baldanzosi chiama-vano ad alta voce la libertà, e gridavano di volerne pian-tar le insegne sul Campidoglio.Roma tutta si spaventava. Mandava il papa contro quel-la gente fanatica i suoi soldati, i quali, prese le strade

dalla parte degli affollati minacce e derisioni. Seguitavauna mischia confusa; un democrato fu morto, due urbaniferiti. Il sangue chiama sangue, il terrore già dominavala città. Faceva motto di cotesto il segretario di statoall'ambasciadore Giuseppe, che in quel mentre si diver-tiva ad una festa di ballo. Rispondeva, farebbe, che isuoi non si mescolassero in quei tumulti, ma non giova-va; perchè, o il volesse egli, o nol volesse, si adunavanoil dì ventotto nella villa Medici circa trecento democrati,cui ancora non avevano fatti accorti nè la vendita Vene-ziana, nè la servitù Cisalpina. Era Duphot fra di loro, econ la voce, e coi gesti, e coll'alzar il cappello gli ani-mava a novità: inalberavano l'insegna tricolorita, e face-vano un gridare, ed un tramestìo incredibile. Sapeva ilgoverno l'accidente, e per rimedio mandava bande difanti e di cavalli, che tanto più facilmente disperdevanoquegli uomini riscaldati dalle opinioni e dal vino, poichèavevano desinato in copia, quanto altri democrati, checon esso loro dovevano congiungersi, trattenuti da unordine contrario di Sherlock, non potevano arrivare.Correvano i dispersi, come a luogo sicuro, e come a fon-te d'allettamenti al palazzo Corsini, dove aveva le suestanze l'ambasciatore di Francia. In esso, e nei luoghi vi-cini si ricoveravano, donde fatti più baldanzosi chiama-vano ad alta voce la libertà, e gridavano di volerne pian-tar le insegne sul Campidoglio.Roma tutta si spaventava. Mandava il papa contro quel-la gente fanatica i suoi soldati, i quali, prese le strade

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per al palazzo Corsini, rincacciavano verso di lui a luo-go a luogo i resistenti novatori. Fra quella mischia ipontificj traendo d'archibuso, ferivano alcuni democrati.Il terrore gli occupava: cercavano rifugio nel palazzodell'ambasciatore, ne empievano il cortile, gli atrj, lescale. Si formavano, così comandati essendo, i soldatidel pontefice per rispetto a quell'asilo fatto sicuro dal di-ritto delle genti. Ma i capi mandavano pregando l'amba-sciadore, che sulle somme scale era comparso, frenasseomai quei ribelli, e gli esortasse a partirsene. Qui, o chel'ambasciatore non potesse, o che non volesse fare piùefficace dimostrazione, si conteneva dicendo: a lui sa-rebbero tenuti di quanto occorresse, ma non gli confor-tava a partire. I democrati intanto, prevalendosi della si-curezza del luogo, con parole e con gesti agl'irati soldatiinsultavano. Pure non ancora questi prorompevano. Ar-rivava un reggimento di dragoni mandato dal ponteficeper sussidio a tanto tumulto. Questa nuova gente, nonpotendo più tollerare le ingiurie, fatto impeto, entrava aprecipizio nel cortile del palazzo, minacciando con learmi impugnate morte a chiunque incontanente nonisloggiasse. Nasceva una mischia, un gridare, un freme-re misto, che meglio si può immaginare che descrivere.A sì feroce strepito l'ambasciatore, cui accompagnavanoDuphot e Sherlock, mostratosi, s'ingegnava di calmarecon le parole, e coi gesti il tumulto: chiamava a parla-mento i capi dei soldati. Ma nè i democrati cessavanodagli oltraggi, nè i dragoni pontificj, siccome quelli chesi erano infieriti, potevano pazientemente udire cosa al-

per al palazzo Corsini, rincacciavano verso di lui a luo-go a luogo i resistenti novatori. Fra quella mischia ipontificj traendo d'archibuso, ferivano alcuni democrati.Il terrore gli occupava: cercavano rifugio nel palazzodell'ambasciatore, ne empievano il cortile, gli atrj, lescale. Si formavano, così comandati essendo, i soldatidel pontefice per rispetto a quell'asilo fatto sicuro dal di-ritto delle genti. Ma i capi mandavano pregando l'amba-sciadore, che sulle somme scale era comparso, frenasseomai quei ribelli, e gli esortasse a partirsene. Qui, o chel'ambasciatore non potesse, o che non volesse fare piùefficace dimostrazione, si conteneva dicendo: a lui sa-rebbero tenuti di quanto occorresse, ma non gli confor-tava a partire. I democrati intanto, prevalendosi della si-curezza del luogo, con parole e con gesti agl'irati soldatiinsultavano. Pure non ancora questi prorompevano. Ar-rivava un reggimento di dragoni mandato dal ponteficeper sussidio a tanto tumulto. Questa nuova gente, nonpotendo più tollerare le ingiurie, fatto impeto, entrava aprecipizio nel cortile del palazzo, minacciando con learmi impugnate morte a chiunque incontanente nonisloggiasse. Nasceva una mischia, un gridare, un freme-re misto, che meglio si può immaginare che descrivere.A sì feroce strepito l'ambasciatore, cui accompagnavanoDuphot e Sherlock, mostratosi, s'ingegnava di calmarecon le parole, e coi gesti il tumulto: chiamava a parla-mento i capi dei soldati. Ma nè i democrati cessavanodagli oltraggi, nè i dragoni pontificj, siccome quelli chesi erano infieriti, potevano pazientemente udire cosa al-

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cuna: rispondevano, non volere altro accordo, se nonquello, che i ribelli incontanente sgombrassero dal pa-lazzo. Preso allora Duphot da empito sconsigliato, sic-come quegli che giovane subito ed animoso era, sguai-nata la spada, si precipitava dalle scale, e messosi coidemocrati gli animava a volere scacciar i soldati pontifi-cj dal cortile. In tale forte punto (a questo serbavano icieli l'infelice Roma, che un fortuito e provocato acci-dente ponesse cagione della sua distruzione), i dragoniviemmaggiormente inferociti, traevano. Morivano pa-recchi furiosi, ne riportava Duphot una ferita mortale,per cui dopo morì. Dei democrati, udito il suono dellearmi, e veduto il sangue sparso, i più si salvavano fug-gendo pel giardino del palazzo; i più audaci restavano.Era il cortile squallido, e funesto per la presenza dei fe-riti e degli uccisi. Caso veramente fatale fu questo; per-chè rei certamente verso il governo papale erano coloro,che avevano permesso, e forse macchinato espressa-mente, che la sede dell'ambasciata di Francia diventasseun fomite di ribellione contro di lui, ma del pari inescu-sabili sono i dragoni pontificj dello avervi fatto impetodentro, e se il papa avesse subito fatto arrestare i capi diquesto reggimento, per me non so di che l'ambasciatoresi avrebbe potuto dolere. Bene dovevano i soldati cir-condare il palazzo, ma non entrarvi armatamente, e farvisangue; perciocchè, se chi v'era dentro mancava di fede,e violava la santità del luogo, non era per questo auto-rizzato il governo pontificio a violarla: bene soltanto cisi doveva assicurare con farvi stanziare tante truppe

cuna: rispondevano, non volere altro accordo, se nonquello, che i ribelli incontanente sgombrassero dal pa-lazzo. Preso allora Duphot da empito sconsigliato, sic-come quegli che giovane subito ed animoso era, sguai-nata la spada, si precipitava dalle scale, e messosi coidemocrati gli animava a volere scacciar i soldati pontifi-cj dal cortile. In tale forte punto (a questo serbavano icieli l'infelice Roma, che un fortuito e provocato acci-dente ponesse cagione della sua distruzione), i dragoniviemmaggiormente inferociti, traevano. Morivano pa-recchi furiosi, ne riportava Duphot una ferita mortale,per cui dopo morì. Dei democrati, udito il suono dellearmi, e veduto il sangue sparso, i più si salvavano fug-gendo pel giardino del palazzo; i più audaci restavano.Era il cortile squallido, e funesto per la presenza dei fe-riti e degli uccisi. Caso veramente fatale fu questo; per-chè rei certamente verso il governo papale erano coloro,che avevano permesso, e forse macchinato espressa-mente, che la sede dell'ambasciata di Francia diventasseun fomite di ribellione contro di lui, ma del pari inescu-sabili sono i dragoni pontificj dello avervi fatto impetodentro, e se il papa avesse subito fatto arrestare i capi diquesto reggimento, per me non so di che l'ambasciatoresi avrebbe potuto dolere. Bene dovevano i soldati cir-condare il palazzo, ma non entrarvi armatamente, e farvisangue; perciocchè, se chi v'era dentro mancava di fede,e violava la santità del luogo, non era per questo auto-rizzato il governo pontificio a violarla: bene soltanto cisi doveva assicurare con farvi stanziare tante truppe

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all'intorno, che bastassero, e negoziare al tempo stessocon l'ambasciatore per allontanare i ribelli.Scriveva risolutamente l'ambasciatore al cardinale se-gretario di stato, comandasse ai soldati, che si ritirasserodai contorni del palazzo. Rispondeva rappresentando,quanto fosse difficile la condizione, in cui versava il go-verno del papa, poichè il ritirare, ed il non ritirare i sol-dati era ugualmente pericoloso, quello pei ribelli, chenelle stanze del palazzo di Francia se ne stavano tuttaviaminacciando, questo per l'intimata nimicizia di Francia:l'ambasciador solo poter cambiar le sorti; sperarlo il car-dinale, perchè generosa era la nazione, cui l'ambascia-dore con tanta dignità rappresentava; avere il cardinalemedesimo per ben dodici anni in mezzo a lei vissuto, enissuno meglio di lui averla e conosciuta, ed apprezzata.Fuvvi chi tentando di mitigare l'animo dell'ambasciato-re, il voleva indurre a far uscire dalla sua sede i nemicidel governo, alla quale richiesta non solamente non vol-le acconsentire, cagionando, che essi l'avevano preser-vato contro una nuova tragedia Basviliana, ma ancora,più sdegnato che mai, rescriveva, doversi alfin sapere,se coloro, che indirizzavano segretamente i Romaniconsigli, avessero ancora a macchinar tradimenti sottol'ombra della pace contro la repubblica; a loro non im-portare, perchè avevano saputo evitargli, tanti infortunjdel popolo Romano generati dalla guerra fatta controFrancia; spirare ancora, e nelle pontificali truppe avergrado gli assassini di Basville; punisse il Romano go-

all'intorno, che bastassero, e negoziare al tempo stessocon l'ambasciatore per allontanare i ribelli.Scriveva risolutamente l'ambasciatore al cardinale se-gretario di stato, comandasse ai soldati, che si ritirasserodai contorni del palazzo. Rispondeva rappresentando,quanto fosse difficile la condizione, in cui versava il go-verno del papa, poichè il ritirare, ed il non ritirare i sol-dati era ugualmente pericoloso, quello pei ribelli, chenelle stanze del palazzo di Francia se ne stavano tuttaviaminacciando, questo per l'intimata nimicizia di Francia:l'ambasciador solo poter cambiar le sorti; sperarlo il car-dinale, perchè generosa era la nazione, cui l'ambascia-dore con tanta dignità rappresentava; avere il cardinalemedesimo per ben dodici anni in mezzo a lei vissuto, enissuno meglio di lui averla e conosciuta, ed apprezzata.Fuvvi chi tentando di mitigare l'animo dell'ambasciato-re, il voleva indurre a far uscire dalla sua sede i nemicidel governo, alla quale richiesta non solamente non vol-le acconsentire, cagionando, che essi l'avevano preser-vato contro una nuova tragedia Basviliana, ma ancora,più sdegnato che mai, rescriveva, doversi alfin sapere,se coloro, che indirizzavano segretamente i Romaniconsigli, avessero ancora a macchinar tradimenti sottol'ombra della pace contro la repubblica; a loro non im-portare, perchè avevano saputo evitargli, tanti infortunjdel popolo Romano generati dalla guerra fatta controFrancia; spirare ancora, e nelle pontificali truppe avergrado gli assassini di Basville; punisse il Romano go-

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verno gli autori dei Romani disastri, punisse gli assassi-ni di Basville; a questi soli segni potere Francia cono-scere la Romana fede; per questi soli potersi tra Franciae Roma conservare l'amicizia: badasse il cardinale se-gretario all'acclusa lista; leggerebbevi i nomi degli as-sassini di Basville, un abate Beltrami, autor principaledella Basviliana tragedia, un Pulcini caporale, che lo fe-riva di bajonetta, un barbiere che lo feriva di stilo; abita-re in Roma tuttavia, comparire alla luce impunementequest'insanguinati sicarj.Il governo di Roma, oramai ridotto ad un passo, in cuiera del pari pericoloso il ricusare con giustizia, od ilconsentire con ingiustizia, si atteneva alla parte miglio-re, rispondendo, che Roma non aveva mai seguitato iconsigli dei nemici della Francia; che il primo suo pen-siero, il più efficace suo desiderio era di vivere con leiin termini d'amicizia; che quanto agli uccisori diBasville, se n'era a tempo debito fatto processo; che co-loro, che erano stati per giudizio convinti rei del fatto,avevano pagato col debito supplizio le pene, e che final-mente coloro, che l'ambasciatore notava nella sua lista,o in Roma non dimoravano, o erano stati per esami giu-ridici, e per sentenze solenni conosciuti innocenti.Si turbava fortemente a queste parole l'ambasciatore, e,chiesti i passaporti, protestava di volersene partire; ilche era segno di guerra. Offeriva in sì estremo frangenteil governo pontificio con sommesse parole di satisfareper l'accidente occorso (protestando però di nuovo, e ri-

verno gli autori dei Romani disastri, punisse gli assassi-ni di Basville; a questi soli segni potere Francia cono-scere la Romana fede; per questi soli potersi tra Franciae Roma conservare l'amicizia: badasse il cardinale se-gretario all'acclusa lista; leggerebbevi i nomi degli as-sassini di Basville, un abate Beltrami, autor principaledella Basviliana tragedia, un Pulcini caporale, che lo fe-riva di bajonetta, un barbiere che lo feriva di stilo; abita-re in Roma tuttavia, comparire alla luce impunementequest'insanguinati sicarj.Il governo di Roma, oramai ridotto ad un passo, in cuiera del pari pericoloso il ricusare con giustizia, od ilconsentire con ingiustizia, si atteneva alla parte miglio-re, rispondendo, che Roma non aveva mai seguitato iconsigli dei nemici della Francia; che il primo suo pen-siero, il più efficace suo desiderio era di vivere con leiin termini d'amicizia; che quanto agli uccisori diBasville, se n'era a tempo debito fatto processo; che co-loro, che erano stati per giudizio convinti rei del fatto,avevano pagato col debito supplizio le pene, e che final-mente coloro, che l'ambasciatore notava nella sua lista,o in Roma non dimoravano, o erano stati per esami giu-ridici, e per sentenze solenni conosciuti innocenti.Si turbava fortemente a queste parole l'ambasciatore, e,chiesti i passaporti, protestava di volersene partire; ilche era segno di guerra. Offeriva in sì estremo frangenteil governo pontificio con sommesse parole di satisfareper l'accidente occorso (protestando però di nuovo, e ri-

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solutamente affermando, non avervi colpa), alla repub-blica Francese, in quel modo ch'ella stessa avrebbe po-tuto e chiedere e desiderare. Aggiungeva il cardinale se-gretario, pregare l'ambasciadore a considerare, che inmano sua era posta la conservazione di quanto il genera-lissimo suo fratello aveva generosamente conceduto allaRomana corte. Ma l'ambasciadore, non avuto risguardoalle offerte di satisfazione, nè alle preghiere del papa, nèdeponendo il pensiero di fare una dimostrazione ostile,tutto sdegnato, o che il fosse, o che il facesse, se ne par-tiva pei cavalli delle poste in tutta fretta verso Toscana.Sclamava, viaggio facendo, in ogni luogo contro i tradi-menti Romani, come gli chiamava, parlava di vendetteterribili, incitava i popoli a ribellione. Come poi giunge-va a Parigi, rapportato il fatto nel modo più conforme alsuo intento, ed a quello del direttorio, stimolava la Fran-cia alla guerra contro Roma. Ordinava il pontefice rime-di spirituali di preghiere, di digiuni, di penitenze per ov-viare alla ruina imminente: apprestava il direttorio learmi. Già un nido di ribellione contro il pontefice eraformato per opera dei repubblicani in Ancona, cosa, cheda per se sola avrebbe potuto rendere il pontefice giusti-ficato, se avesse, già molto prima, significato la guerraalle due repubbliche, Francese e Cisalpina, perciocchèin quell'alzata delle Anconitane bandiere contro il papaavevano posto le mani sì i presidj Francesi, che i Cisal-pini. Già Pesaro si ribellava, già Sinigaglia, ed altre terrevicine tumultuavano, e già il grido della repubblica An-conitana, infelice cagione di sommosse, di ribellioni, di

solutamente affermando, non avervi colpa), alla repub-blica Francese, in quel modo ch'ella stessa avrebbe po-tuto e chiedere e desiderare. Aggiungeva il cardinale se-gretario, pregare l'ambasciadore a considerare, che inmano sua era posta la conservazione di quanto il genera-lissimo suo fratello aveva generosamente conceduto allaRomana corte. Ma l'ambasciadore, non avuto risguardoalle offerte di satisfazione, nè alle preghiere del papa, nèdeponendo il pensiero di fare una dimostrazione ostile,tutto sdegnato, o che il fosse, o che il facesse, se ne par-tiva pei cavalli delle poste in tutta fretta verso Toscana.Sclamava, viaggio facendo, in ogni luogo contro i tradi-menti Romani, come gli chiamava, parlava di vendetteterribili, incitava i popoli a ribellione. Come poi giunge-va a Parigi, rapportato il fatto nel modo più conforme alsuo intento, ed a quello del direttorio, stimolava la Fran-cia alla guerra contro Roma. Ordinava il pontefice rime-di spirituali di preghiere, di digiuni, di penitenze per ov-viare alla ruina imminente: apprestava il direttorio learmi. Già un nido di ribellione contro il pontefice eraformato per opera dei repubblicani in Ancona, cosa, cheda per se sola avrebbe potuto rendere il pontefice giusti-ficato, se avesse, già molto prima, significato la guerraalle due repubbliche, Francese e Cisalpina, perciocchèin quell'alzata delle Anconitane bandiere contro il papaavevano posto le mani sì i presidj Francesi, che i Cisal-pini. Già Pesaro si ribellava, già Sinigaglia, ed altre terrevicine tumultuavano, e già il grido della repubblica An-conitana, infelice cagione di sommosse, di ribellioni, di

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repubblichette loquaci e serve, spesseggiava sui fianchidell'orientale Apennino. Se n'era il pontefice doluto coldirettorio; ma le sue querele furono passate di leggierida coloro, che perseverando nella loro pessima intenzio-ne, volevano, non la conservazione, ma la distruzionesua. Parigi intanto veniva fulminando: il sangue diBasville e di Duphot chiamar vendetta; doversi disfarequel nido di assassini; l'ultima ora esser giunta della Ro-mana tirannide; a quest'opera d'umanità esser serbata laFrancia; vedrebbe il mondo, quanto avesse la repubblicaa cura i suoi cittadini, che vivi gli proteggeva, uccisi glivendicava. Tali erano le amplificazioni dei tempi, e leturbe seguitavano. Ma a chi vorrà bene considerare lacosa, parrà certamente, che pur troppo atroce fatto ful'uccisione di Duphot, e da essere pianto eternamente;ma gli parrà ugualmente, che l'accagionarne il governodel papa, e farne pretesto di sua distruzione, fosse nè ra-gionevole nè giusto, perchè io non ho mai, nè credo chealtr'uomo che sia stato o sia al mondo, abbia udito dire,che Pio Sesto, ed il cardinale Doria Pamfili, suo segreta-rio di stato, fossero assassini, e l'accusargli di assassinioera cosa non solamente enorme, ma iniqua. Il direttorio,imputando a disegno espresso del pontefice ciò, che eral'effetto fortuito di provocazioni straordinarie, mandavacomandando a Berthier, marciasse incontanente con tut-to l'esercito a passi presti contro Roma.Avutisi da Berthier questi comandamenti, quantunque sene vivesse molto di mala voglia per essergli venute a

repubblichette loquaci e serve, spesseggiava sui fianchidell'orientale Apennino. Se n'era il pontefice doluto coldirettorio; ma le sue querele furono passate di leggierida coloro, che perseverando nella loro pessima intenzio-ne, volevano, non la conservazione, ma la distruzionesua. Parigi intanto veniva fulminando: il sangue diBasville e di Duphot chiamar vendetta; doversi disfarequel nido di assassini; l'ultima ora esser giunta della Ro-mana tirannide; a quest'opera d'umanità esser serbata laFrancia; vedrebbe il mondo, quanto avesse la repubblicaa cura i suoi cittadini, che vivi gli proteggeva, uccisi glivendicava. Tali erano le amplificazioni dei tempi, e leturbe seguitavano. Ma a chi vorrà bene considerare lacosa, parrà certamente, che pur troppo atroce fatto ful'uccisione di Duphot, e da essere pianto eternamente;ma gli parrà ugualmente, che l'accagionarne il governodel papa, e farne pretesto di sua distruzione, fosse nè ra-gionevole nè giusto, perchè io non ho mai, nè credo chealtr'uomo che sia stato o sia al mondo, abbia udito dire,che Pio Sesto, ed il cardinale Doria Pamfili, suo segreta-rio di stato, fossero assassini, e l'accusargli di assassinioera cosa non solamente enorme, ma iniqua. Il direttorio,imputando a disegno espresso del pontefice ciò, che eral'effetto fortuito di provocazioni straordinarie, mandavacomandando a Berthier, marciasse incontanente con tut-to l'esercito a passi presti contro Roma.Avutisi da Berthier questi comandamenti, quantunque sene vivesse molto di mala voglia per essergli venute a

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noja le rivoluzioni, si metteva in assetto per mandargliad esecuzione. Commesso l'antiguardo a Cervoni, che,come di nazione Corso, sapeva la lingua del paese, glicomandava che si alloggiasse in Macerata: dava il go-verno della battaglia a Dalemagne per modo che d'unsolo alloggiamento si tenesse discosto dall'antiguardo.Alloggiava il retroguardo a Tolentino con Rey, con man-dato di osservare le bocche d'Ascoli, per le quali si vanel regno di Napoli, e di fare sicure le strade degliApennini fra Tolentino e Foligno. Lasciava finalmentecon grosso presidio in Ancona Dessolles con avverti-mento di sopravvedere con bande sparse il paese, e te-nerlo purgato dai contadini Urbinati, che portando gran-de affezione alla sedia apostolica, erano sempre inclinatia far moto in suo favore. Metteva alle stanze di Riminiquattromila Polacchi sotto la condotta di Dombrowski, econ questi anche le legioni Cisalpine, le quali nessunacosa santa ed inviolata avendo, commisero atti, di cuiquei popoli si erano mossi a grandissimo sdegno: leavrebbero anche condotte all'ultima uccisione, se nonfosse sopraggiunto Berthier coi soldati di Francia. Cosìil sacco, e la rapina erano usati in Italia non solamentedai forestieri, ma ancora dagl'Italiani.Incamminandosi alla distruzione del governo pontificio,mandava fuori Berthier da Ancona il dì ventinove gen-najo un manifesto con queste parole: che già le rive delTevere si godevano le dolcezze di una pace, che avevaconcluso una crudele guerra, ma che l'implacabile ed in-

noja le rivoluzioni, si metteva in assetto per mandargliad esecuzione. Commesso l'antiguardo a Cervoni, che,come di nazione Corso, sapeva la lingua del paese, glicomandava che si alloggiasse in Macerata: dava il go-verno della battaglia a Dalemagne per modo che d'unsolo alloggiamento si tenesse discosto dall'antiguardo.Alloggiava il retroguardo a Tolentino con Rey, con man-dato di osservare le bocche d'Ascoli, per le quali si vanel regno di Napoli, e di fare sicure le strade degliApennini fra Tolentino e Foligno. Lasciava finalmentecon grosso presidio in Ancona Dessolles con avverti-mento di sopravvedere con bande sparse il paese, e te-nerlo purgato dai contadini Urbinati, che portando gran-de affezione alla sedia apostolica, erano sempre inclinatia far moto in suo favore. Metteva alle stanze di Riminiquattromila Polacchi sotto la condotta di Dombrowski, econ questi anche le legioni Cisalpine, le quali nessunacosa santa ed inviolata avendo, commisero atti, di cuiquei popoli si erano mossi a grandissimo sdegno: leavrebbero anche condotte all'ultima uccisione, se nonfosse sopraggiunto Berthier coi soldati di Francia. Cosìil sacco, e la rapina erano usati in Italia non solamentedai forestieri, ma ancora dagl'Italiani.Incamminandosi alla distruzione del governo pontificio,mandava fuori Berthier da Ancona il dì ventinove gen-najo un manifesto con queste parole: che già le rive delTevere si godevano le dolcezze di una pace, che avevaconcluso una crudele guerra, ma che l'implacabile ed in-

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gannevole governo di Roma cospirava cercando di tur-bare la quiete delle nazioni, e per arra dei futuri malicommetteva un vilissimo delitto; che egli insultava allamoderazione ed alla generosità mostrata dalla repubbli-ca nel trattato di Tolentino; ch'ei doveva pertanto conatto uguale alla sua perfidia satisfare alla repubblica;che un esercito Francese si muoveva ora contro Roma,ma che solo si muoveva per punire gli assassini del pro-de Duphot, che solo si muoveva per punire quegli assas-sini medesimi ancor rossi del sangue dell'infeliceBasville; che solo si muoveva per castigar coloro, che sierano arditi disprezzare il carattere e la personadell'ambasciadore di Francia; che la Francia sapeva, es-sere il popolo Romano innocente di tanta immanità eperfidia; che l'esercito di Francia il terrebbe indenne, esicuro da ogni oltraggio.Poscia Berthier, rivoltosi al soldati, solennemente gliammoniva, che solo marciavano per vendicare i delitticommessi contro la repubblica, per punire il governo diRoma, ed i suoi vili assassini; considerassero, che comegiusta, così immaculata doveva essere la vendetta; av-vertissero, che il popolo Romano non si era mescolatonelle sceleraggini di chi il reggeva; l'amassero pertanto,il proteggessero; sapessero, che la repubblica comanda-va loro, che rispettassero le persone, le proprietà, i riti,ed i tempj di Roma; darebbersi pene asprissime a chi sidesse al sacco; degni di Francia, degni di repubblica, de-gni di loro medesimi si dimostrassero.

gannevole governo di Roma cospirava cercando di tur-bare la quiete delle nazioni, e per arra dei futuri malicommetteva un vilissimo delitto; che egli insultava allamoderazione ed alla generosità mostrata dalla repubbli-ca nel trattato di Tolentino; ch'ei doveva pertanto conatto uguale alla sua perfidia satisfare alla repubblica;che un esercito Francese si muoveva ora contro Roma,ma che solo si muoveva per punire gli assassini del pro-de Duphot, che solo si muoveva per punire quegli assas-sini medesimi ancor rossi del sangue dell'infeliceBasville; che solo si muoveva per castigar coloro, che sierano arditi disprezzare il carattere e la personadell'ambasciadore di Francia; che la Francia sapeva, es-sere il popolo Romano innocente di tanta immanità eperfidia; che l'esercito di Francia il terrebbe indenne, esicuro da ogni oltraggio.Poscia Berthier, rivoltosi al soldati, solennemente gliammoniva, che solo marciavano per vendicare i delitticommessi contro la repubblica, per punire il governo diRoma, ed i suoi vili assassini; considerassero, che comegiusta, così immaculata doveva essere la vendetta; av-vertissero, che il popolo Romano non si era mescolatonelle sceleraggini di chi il reggeva; l'amassero pertanto,il proteggessero; sapessero, che la repubblica comanda-va loro, che rispettassero le persone, le proprietà, i riti,ed i tempj di Roma; darebbersi pene asprissime a chi sidesse al sacco; degni di Francia, degni di repubblica, de-gni di loro medesimi si dimostrassero.

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Ciò detto, muoveva le schiere al destino loro. Per talmodo la potentissima repubblica si scagliava contro lareligiosa Roma, e contro un papa già quasi disarmato, ecui faceva sicuro piuttosto la venerazione che la forza.Le genti repubblicane, preso Loreto, con aver fatto pri-gioniero il presidio pontificio, e commessovi qualchesacco, posto a taglia Osimo, che si era levato a favor delpapa, varcati prestamente gli Apennini, all'appetitaRoma si approssimavano. Era in questo estremo puntol'aspetto della città vario, e per ogni parte pericoloso: al-cune condizioni risguardavano le passate cose, alcune lepresenti; generavansi sette ed umori molto diversi. Iltrattato di Tolentino con avere spogliato il papa dellamiglior parte de' suoi stati, e con averlo sforzato a con-sentire a certe moderazioni nelle discipline ecclesiasti-che, gli aveva tolto gran parte della riputazione e dellariverenza, che prima gli portavano, considerato massi-mamente che tali concessioni aveva fatte ad un governo,che con tanto ardore e pertinacia aveva perseguitato conl'armi sì spirituali che temporali. Il vedere poi la magni-fica Roma spogliata, per soddisfare al vincitore, de' suoiornamenti più preziosi, partoriva sdegno ne' suoi popoli,non solamente contro gli spogliatori, ma ancora controil pontefice, giudicando essi sempre dagli effetti, nondalle cagioni, siccome quello, che pareva loro, che aves-se o con imprudenza provocato, o non con prudenzacontentato un nemico irresistibile. Oltre a tutto questo sitrovava il pontefice ridotto alla necessità, per le stipula-zioni del trattato, ad aggravare con nuove tasse i sudditi

Ciò detto, muoveva le schiere al destino loro. Per talmodo la potentissima repubblica si scagliava contro lareligiosa Roma, e contro un papa già quasi disarmato, ecui faceva sicuro piuttosto la venerazione che la forza.Le genti repubblicane, preso Loreto, con aver fatto pri-gioniero il presidio pontificio, e commessovi qualchesacco, posto a taglia Osimo, che si era levato a favor delpapa, varcati prestamente gli Apennini, all'appetitaRoma si approssimavano. Era in questo estremo puntol'aspetto della città vario, e per ogni parte pericoloso: al-cune condizioni risguardavano le passate cose, alcune lepresenti; generavansi sette ed umori molto diversi. Iltrattato di Tolentino con avere spogliato il papa dellamiglior parte de' suoi stati, e con averlo sforzato a con-sentire a certe moderazioni nelle discipline ecclesiasti-che, gli aveva tolto gran parte della riputazione e dellariverenza, che prima gli portavano, considerato massi-mamente che tali concessioni aveva fatte ad un governo,che con tanto ardore e pertinacia aveva perseguitato conl'armi sì spirituali che temporali. Il vedere poi la magni-fica Roma spogliata, per soddisfare al vincitore, de' suoiornamenti più preziosi, partoriva sdegno ne' suoi popoli,non solamente contro gli spogliatori, ma ancora controil pontefice, giudicando essi sempre dagli effetti, nondalle cagioni, siccome quello, che pareva loro, che aves-se o con imprudenza provocato, o non con prudenzacontentato un nemico irresistibile. Oltre a tutto questo sitrovava il pontefice ridotto alla necessità, per le stipula-zioni del trattato, ad aggravare con nuove tasse i sudditi

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a fine di poter bastare alle somme esorbitanti che era te-nuto di sborsare alla repubblica. Quindi ne era nato, chespeso tutto il tesoro di San Pietro, si era dovuto pormano negli ori ed argenti dei privati, gittar nuove cedolecon maggiore scapito così delle vecchie come delle nuo-ve, ed ordinare una tassa del cinque per centinajo su tut-ti i beni. Cagione principalissima poi di mal umore, an-che negli aderenti del pontefice e delle Romane opinionifu questa, che si venne alla vendita del quinto dei beniecclesiastici, il che parve gran attentato contro le immu-nità ecclesiastiche. Si lamentavano i cherici, che il pon-tefice avesse commesso ne' suoi stati quel medesimo,che con sì solenni parole aveva condannato, ed in Fran-cia, ed in Cisalpina, ed in altri paesi, in cui si era postala falce in questa messe. Fu questa risoluzione moltodannosa al pontefice, perchè gli tolse il favor di coloro,sui quali principalmente si fondava la sua potenza. Lacasse piene di gentilezze antiche, quelle, che conteneva-no i denari estorti con tanta difficoltà dal pubblico e dalprivato, da Roma continuamente partendo, e la sembian-za, e il fatto di uno spoglio indefesso ai Romani rappre-sentando, accrescevano la mala contentezza, e rendeva-no il papa spregiato ed odioso. Nè era nascosto, che legioje stesse per la valuta di parecchi milioni, perchè conla pecunia numerata non si era potuto soddisfare ai pattidi Tolentino, erano state poste in balìa del vincitore.Procedeva dalle angustie dell'erario, che il papa avevamolto rimesso da quelle pompe, e da quella magnificen-za, con le quali era stato solito vivere, e che gli avevano

a fine di poter bastare alle somme esorbitanti che era te-nuto di sborsare alla repubblica. Quindi ne era nato, chespeso tutto il tesoro di San Pietro, si era dovuto pormano negli ori ed argenti dei privati, gittar nuove cedolecon maggiore scapito così delle vecchie come delle nuo-ve, ed ordinare una tassa del cinque per centinajo su tut-ti i beni. Cagione principalissima poi di mal umore, an-che negli aderenti del pontefice e delle Romane opinionifu questa, che si venne alla vendita del quinto dei beniecclesiastici, il che parve gran attentato contro le immu-nità ecclesiastiche. Si lamentavano i cherici, che il pon-tefice avesse commesso ne' suoi stati quel medesimo,che con sì solenni parole aveva condannato, ed in Fran-cia, ed in Cisalpina, ed in altri paesi, in cui si era postala falce in questa messe. Fu questa risoluzione moltodannosa al pontefice, perchè gli tolse il favor di coloro,sui quali principalmente si fondava la sua potenza. Lacasse piene di gentilezze antiche, quelle, che conteneva-no i denari estorti con tanta difficoltà dal pubblico e dalprivato, da Roma continuamente partendo, e la sembian-za, e il fatto di uno spoglio indefesso ai Romani rappre-sentando, accrescevano la mala contentezza, e rendeva-no il papa spregiato ed odioso. Nè era nascosto, che legioje stesse per la valuta di parecchi milioni, perchè conla pecunia numerata non si era potuto soddisfare ai pattidi Tolentino, erano state poste in balìa del vincitore.Procedeva dalle angustie dell'erario, che il papa avevamolto rimesso da quelle pompe, e da quella magnificen-za, con le quali era stato solito vivere, e che gli avevano

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conciliato l'affezione ed il rispetto delle popolazioni.Mancato questo splendore, da cui piuttosto, e molto piùche dalla virtù e santità della vita misurano i Romani laeccellenza del principe, si cambiava l'affetto in disprez-zo.Meritava egli certamente il pontefice più compassioneche odio; ma sogliono i popoli solamente compassiona-re i principi nelle estreme miserie di cacciamenti o diprigionìe, e quando la compassione è divenuta inutile:finchè regnano, quand'anche infelicemente regnano, ildisprezzo o l'odio, piuttostochè la pietà pubblica, glipersegue; perciocchè il disprezzare o l'odiare i principi èstimato dai popoli compenso dell'obbedire. In tanta mu-tazione d'animi le antiche querele si rinnovavano. Delduca Braschi, nipote del pontefice, si motivava, arricchi-to oltre modo con monipolj contro il pubblico, con ispo-gliamenti contro i privati: memoravasi la parsimonia diGanganelli verso i suoi nipoti, e con la prodigalità diBraschi verso i propri paragonavasi, e quello a questo digran lunga anteponevano. Meglio fora stato, esclamava-no, contenersi nella temperanza Ganganelliana, che vi-vere, prima profusa vita per elezione, poi misera per ne-cessità. I servitori soprattutto, di cui tanto abbondaRoma, diminuiti i salarj, si lamentavano: e siccomequelli, che, secondo il solito, senza freno sono, facevanoun parlare perniziosissimo. Tanto più essi erano di per-duta speranza, quanto più le magnificenze Braschesche,le quali si erano dilatate in tutta la corte, ne avevano ol-

conciliato l'affezione ed il rispetto delle popolazioni.Mancato questo splendore, da cui piuttosto, e molto piùche dalla virtù e santità della vita misurano i Romani laeccellenza del principe, si cambiava l'affetto in disprez-zo.Meritava egli certamente il pontefice più compassioneche odio; ma sogliono i popoli solamente compassiona-re i principi nelle estreme miserie di cacciamenti o diprigionìe, e quando la compassione è divenuta inutile:finchè regnano, quand'anche infelicemente regnano, ildisprezzo o l'odio, piuttostochè la pietà pubblica, glipersegue; perciocchè il disprezzare o l'odiare i principi èstimato dai popoli compenso dell'obbedire. In tanta mu-tazione d'animi le antiche querele si rinnovavano. Delduca Braschi, nipote del pontefice, si motivava, arricchi-to oltre modo con monipolj contro il pubblico, con ispo-gliamenti contro i privati: memoravasi la parsimonia diGanganelli verso i suoi nipoti, e con la prodigalità diBraschi verso i propri paragonavasi, e quello a questo digran lunga anteponevano. Meglio fora stato, esclamava-no, contenersi nella temperanza Ganganelliana, che vi-vere, prima profusa vita per elezione, poi misera per ne-cessità. I servitori soprattutto, di cui tanto abbondaRoma, diminuiti i salarj, si lamentavano: e siccomequelli, che, secondo il solito, senza freno sono, facevanoun parlare perniziosissimo. Tanto più essi erano di per-duta speranza, quanto più le magnificenze Braschesche,le quali si erano dilatate in tutta la corte, ne avevano ol-

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tre modo accresciuto il numero, e più erano sprofondatinell'ozio, più si trovavano lontani dal far la risoluzionedi guadagnarsi con onorate fatiche un'onorata vita. Si ar-rogavano i discorsi dei politici, e degli amatori dell'anti-ca disciplina della chiesa. Argomentavano i primi dallanecessità di avere in tempi difficili e pericolosi un go-verno d'uomini prudenti, e conoscitori delle umane cose,non di preti soliti a giudicarne con le preoccupazioni, econ le astrazioni religiose. Affermavano, poichè si eragiunto a tale che le armi spirituali, perduta l'efficacialoro, più non giovavano, doversi lo stato commettere alfreno di coloro, che attamente delle passioni umane giu-dicando, sapevano per uso adoperare prudentemente i ri-medj politici e temporali degli stati infermi: se Romaspirituale periva, vociferavano, doversi almeno salvareRoma temporale. I secondi dimostravano a che avevacondotto lo stato Romano la potenza spirituale eccessi-va, e temerariamente usurpata, ed ambiziosamente usatadai pontefici, e l'esser loro stati esaltati alla potenza ter-rena. Andavano dicendo, essere tempo di usare il tempoper ridurre i costumi trascorsi della chiesa alla semplici-tà antica, e la potenza dei papi ai limiti primitivi, perreintegrare i vescovi in quella pienezza di potestà, cheviene loro dal fondatore stesso della religione, per resti-tuire ai principi l'independenza, che a loro s'appartienedi diritto, e che tanto è necessaria pel buon governo de-gli stati; questo benefizio aver a nascere da tanti sovver-timenti, nè senza un pietoso fine avere l'infinita sapienzaaggravato la mano sui popoli della terra. Le dottrine Pi-

tre modo accresciuto il numero, e più erano sprofondatinell'ozio, più si trovavano lontani dal far la risoluzionedi guadagnarsi con onorate fatiche un'onorata vita. Si ar-rogavano i discorsi dei politici, e degli amatori dell'anti-ca disciplina della chiesa. Argomentavano i primi dallanecessità di avere in tempi difficili e pericolosi un go-verno d'uomini prudenti, e conoscitori delle umane cose,non di preti soliti a giudicarne con le preoccupazioni, econ le astrazioni religiose. Affermavano, poichè si eragiunto a tale che le armi spirituali, perduta l'efficacialoro, più non giovavano, doversi lo stato commettere alfreno di coloro, che attamente delle passioni umane giu-dicando, sapevano per uso adoperare prudentemente i ri-medj politici e temporali degli stati infermi: se Romaspirituale periva, vociferavano, doversi almeno salvareRoma temporale. I secondi dimostravano a che avevacondotto lo stato Romano la potenza spirituale eccessi-va, e temerariamente usurpata, ed ambiziosamente usatadai pontefici, e l'esser loro stati esaltati alla potenza ter-rena. Andavano dicendo, essere tempo di usare il tempoper ridurre i costumi trascorsi della chiesa alla semplici-tà antica, e la potenza dei papi ai limiti primitivi, perreintegrare i vescovi in quella pienezza di potestà, cheviene loro dal fondatore stesso della religione, per resti-tuire ai principi l'independenza, che a loro s'appartienedi diritto, e che tanto è necessaria pel buon governo de-gli stati; questo benefizio aver a nascere da tanti sovver-timenti, nè senza un pietoso fine avere l'infinita sapienzaaggravato la mano sui popoli della terra. Le dottrine Pi-

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stojesi, mostrandosi più apertamente, acquistavano mag-gior credito, ed i fautori loro nutrivano speranza, che lostato della chiesa si avesse a ridurre in similitudine aitempi che furono prossimi a quei degli Apostoli. Ma idemocrati, che non amavano meglio una religione rifor-mata, che uno stato regolato, confortati da apparenzetanto nemiche al papa, ed avendo ardente desiderio dellavittoria dei Francesi, pigliavano novelli spiriti, e più vi-vamente operando, minacciavano prossima ruina al reg-gimento antico. Sentivano, e vedevano i reggitori dellaturbata Roma queste cose, ma meglio desideravano, chepotessero porvi rimedio. Pure mandavano fuori provvi-sioni contro lo sparlare, ma il tempo era più forte diloro, e la proibizione accresceva la licenza. Aveva lungotempo in Roma la maldicenza tenuto luogo di libertà, edi Romani cuori umilmente obbedivano, purchè le Roma-ne lingue si potesser sfogare: sicchè gridavano, essertolta loro quella libertà, di cui avevano goduto sino aitempi, e sin dai tempi strettissimi di Alessandro e di Si-sto, crescere la tirannide con la miseria, pagare i popolicon la servitù gli errori del governo, diventata essere lacondizione Romana insopportabile. A queste voci i fe-deli s'intimorivano, gli avversi s'incoraggivano, gli odjs'inviperivano. Così lo stringere, e rallentare il freno eraparimente esiziale al papa, crollavasi lo stato già primache Francia gli desse l'ultima pinta. Il misero ponteficeabbandonato su quei primi romori da quasi tutti i cardi-nali, trovava un debole conforto di parole nel cardinaleLorenzana, protettore del reame di Spagna, nel principe

stojesi, mostrandosi più apertamente, acquistavano mag-gior credito, ed i fautori loro nutrivano speranza, che lostato della chiesa si avesse a ridurre in similitudine aitempi che furono prossimi a quei degli Apostoli. Ma idemocrati, che non amavano meglio una religione rifor-mata, che uno stato regolato, confortati da apparenzetanto nemiche al papa, ed avendo ardente desiderio dellavittoria dei Francesi, pigliavano novelli spiriti, e più vi-vamente operando, minacciavano prossima ruina al reg-gimento antico. Sentivano, e vedevano i reggitori dellaturbata Roma queste cose, ma meglio desideravano, chepotessero porvi rimedio. Pure mandavano fuori provvi-sioni contro lo sparlare, ma il tempo era più forte diloro, e la proibizione accresceva la licenza. Aveva lungotempo in Roma la maldicenza tenuto luogo di libertà, edi Romani cuori umilmente obbedivano, purchè le Roma-ne lingue si potesser sfogare: sicchè gridavano, essertolta loro quella libertà, di cui avevano goduto sino aitempi, e sin dai tempi strettissimi di Alessandro e di Si-sto, crescere la tirannide con la miseria, pagare i popolicon la servitù gli errori del governo, diventata essere lacondizione Romana insopportabile. A queste voci i fe-deli s'intimorivano, gli avversi s'incoraggivano, gli odjs'inviperivano. Così lo stringere, e rallentare il freno eraparimente esiziale al papa, crollavasi lo stato già primache Francia gli desse l'ultima pinta. Il misero ponteficeabbandonato su quei primi romori da quasi tutti i cardi-nali, trovava un debole conforto di parole nel cardinaleLorenzana, protettore del reame di Spagna, nel principe

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Belmonte Pignatelli mandato a lui dal re di Napoli, e fi-nalmente nel cavaliere Azara, ministro di Spagna, solitoa creare con efficacia nei governi di quei tempi inclina-zioni verso la repubblica di Francia, poi ad intromettersisenza frutto, quando il momento era giunto della distru-zione loro. Vedutasi dal papa la ruina inevitabile, ordi-nava ai capi de' suoi soldati, facessero nissun moto diresistenza, e si ritirassero con quel passo, con cui i Fran-cesi si avvicinavano; pensava intanto alla quiete diRoma, ingrossando il presidio, perchè non voleva, chel'anarchìa precedesse la conquista.Il dì dieci febbrajo molto per tempo si mostravano i re-pubblicani sui Romani colli: ammiravano una tanta cit-tà. Tagliavano trincee, piantavano cannoni. Per accordostipulato per parte del papa da Azara, e da alcuni cardi-nali, entravano nella magnifica Roma il giorno medesi-mo, e fatto sloggiare, il che fu uno spettacolo miseran-do, dal castel Sant'Angelo il presidio pontificio, l'occu-pavano. Prendevano anche, condotti da Cervoni, i prin-cipali posti della città. Poi, accompagnato da' suoi primiuffiziali, e scortato da grosse squadre di cavallerìa, en-trava il dì undici trionfando Berthier. Al tempo medesi-mo i manifesti promettitori di rispetto alle persone, allesostanze, ai riti, alla religione si affiggevano su per lemura; dei quali, se più speranza o timore concepissero iRomani, è dubbio. Alloggiava Berthier nel Quirinale,mandava Cervoni al Vaticano per far riverenza al ponte-fice, assicurandolo della persona e dell'antica sovranità.

Belmonte Pignatelli mandato a lui dal re di Napoli, e fi-nalmente nel cavaliere Azara, ministro di Spagna, solitoa creare con efficacia nei governi di quei tempi inclina-zioni verso la repubblica di Francia, poi ad intromettersisenza frutto, quando il momento era giunto della distru-zione loro. Vedutasi dal papa la ruina inevitabile, ordi-nava ai capi de' suoi soldati, facessero nissun moto diresistenza, e si ritirassero con quel passo, con cui i Fran-cesi si avvicinavano; pensava intanto alla quiete diRoma, ingrossando il presidio, perchè non voleva, chel'anarchìa precedesse la conquista.Il dì dieci febbrajo molto per tempo si mostravano i re-pubblicani sui Romani colli: ammiravano una tanta cit-tà. Tagliavano trincee, piantavano cannoni. Per accordostipulato per parte del papa da Azara, e da alcuni cardi-nali, entravano nella magnifica Roma il giorno medesi-mo, e fatto sloggiare, il che fu uno spettacolo miseran-do, dal castel Sant'Angelo il presidio pontificio, l'occu-pavano. Prendevano anche, condotti da Cervoni, i prin-cipali posti della città. Poi, accompagnato da' suoi primiuffiziali, e scortato da grosse squadre di cavallerìa, en-trava il dì undici trionfando Berthier. Al tempo medesi-mo i manifesti promettitori di rispetto alle persone, allesostanze, ai riti, alla religione si affiggevano su per lemura; dei quali, se più speranza o timore concepissero iRomani, è dubbio. Alloggiava Berthier nel Quirinale,mandava Cervoni al Vaticano per far riverenza al ponte-fice, assicurandolo della persona e dell'antica sovranità.

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Scriveva il dì medesimo del suo ingresso a Buonaparte,che un terrore profondissimo occupava Roma, e chelume nissuno di libertà appariva da nissun canto; che unsolo democrata era venuto a trovarlo, offerendogli di darlibertà a due mila galeotti. Dava speranze, e faceva pro-messe d'ajuto ai novatori, piuttosto per ordine che pervoglia. Queste promesse, e questi incitamenti sortivanol'effetto; il giorno quindici di febbrajo, correndo l'anni-versario dell'incoronazione del pontefice, che a quel dìmedesimo compiva ventitrè anni di regno, si levava su-bitamente per tutta Roma un moto grandissimo di gente,che chiamava la libertà, e mossa fin su quel primo prin-cipio da servile imitazione, traendo seco non so qual fu-sto di pino, s'incamminava a calca verso Campo Vacci-no. La folla, le grida, la veemenza crescevano ad ognipasso. Molti correvano per vedere, alcuni per aiutare,nissuno per contrastare; perchè le pattuglie repubblicaneche giravano, impedivano ogni moto contrario. Giuntache fu quella immensa tratta dirimpetto al Campidoglio,crescendo vieppiù le grida e lo schiamazzo, a fronte delfamoso colle rizzava l'albero con una berretta in cima, eviemaggiormente infiammandosi a tale vista, gridava“libertà, libertà”! Nè contenti a questo, i capi givano adalta voce interrogando gli astanti, se volessero viver li-beri: risuonava tutto Campo Vaccino del sì. Seguitavanoi capi a domandare, “è volontà questa del popolo Roma-no”? Di nuovo risuonava Campo Vaccino del sì. Cinquenotai richiesti rogavano l'atto, siccome il popolo Roma-no sovrano e libero aveva rivendicato i suoi diritti, che

Scriveva il dì medesimo del suo ingresso a Buonaparte,che un terrore profondissimo occupava Roma, e chelume nissuno di libertà appariva da nissun canto; che unsolo democrata era venuto a trovarlo, offerendogli di darlibertà a due mila galeotti. Dava speranze, e faceva pro-messe d'ajuto ai novatori, piuttosto per ordine che pervoglia. Queste promesse, e questi incitamenti sortivanol'effetto; il giorno quindici di febbrajo, correndo l'anni-versario dell'incoronazione del pontefice, che a quel dìmedesimo compiva ventitrè anni di regno, si levava su-bitamente per tutta Roma un moto grandissimo di gente,che chiamava la libertà, e mossa fin su quel primo prin-cipio da servile imitazione, traendo seco non so qual fu-sto di pino, s'incamminava a calca verso Campo Vacci-no. La folla, le grida, la veemenza crescevano ad ognipasso. Molti correvano per vedere, alcuni per aiutare,nissuno per contrastare; perchè le pattuglie repubblicaneche giravano, impedivano ogni moto contrario. Giuntache fu quella immensa tratta dirimpetto al Campidoglio,crescendo vieppiù le grida e lo schiamazzo, a fronte delfamoso colle rizzava l'albero con una berretta in cima, eviemaggiormente infiammandosi a tale vista, gridava“libertà, libertà”! Nè contenti a questo, i capi givano adalta voce interrogando gli astanti, se volessero viver li-beri: risuonava tutto Campo Vaccino del sì. Seguitavanoi capi a domandare, “è volontà questa del popolo Roma-no”? Di nuovo risuonava Campo Vaccino del sì. Cinquenotai richiesti rogavano l'atto, siccome il popolo Roma-no sovrano e libero aveva rivendicato i suoi diritti, che

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libero e franco si dichiarava, che al governo del papa ri-nunziava, che in repubblica voleva libero vivere, e libe-ro morire. Qui le grida, gli strepiti, il gittar dei cappelli,l'abbracciarsi, il confortarsi, il pianger dalla gioia, il ri-dere per pazzia, che sorsero, non son cose che da umanapenna si possano agevolmente descrivere. Poi i motticontro i preti, contro il papa, e contro i cardinali, e leipotiposi sui vizi, parte veri, parte anco esagerati dellacorte Romana, andavano all'eccesso. Gli atti e gli scher-zi che si fecero, non son da raccontarsi. Solo dirò, cheun padre di due bellissime fanciulle, venuto con lorosulla piazza pubblica, si toglieva primieramente, romo-reggiando dalla gioia il popolo all'intorno, il proprionome, con quello di Tesifonte chiamandosi; poscia leproprie figliuole sbattezzava. Ambiva quindi, e volevaessere chiamato “cittadino Tesifonte”; disordinati segnidi più disordinato avvenire.Rogato l'atto, scritto in ischifosa e servil lingua Italiana,tradotta dal Francese, si eleggevano dal popolo convo-cato uomini a posta, perchè l'atto medesimo portassero aBerthier, e gli raccomandassero la novella repubblica.Eravi solennità: entrava a guisa di trionfatore per la por-ta del Popolo il generale di Francia, con magnifico cor-teggio dietro ed intorno di splendidi ufficiali, e di centocavalli eletti da ciascun reggimento. Suonavano congrandissimo strepito gli stromenti della musica militare;l'affollato popolo applaudiva. Non così tosto comparivaalla porta del Popolo, che era presentato di una corona

libero e franco si dichiarava, che al governo del papa ri-nunziava, che in repubblica voleva libero vivere, e libe-ro morire. Qui le grida, gli strepiti, il gittar dei cappelli,l'abbracciarsi, il confortarsi, il pianger dalla gioia, il ri-dere per pazzia, che sorsero, non son cose che da umanapenna si possano agevolmente descrivere. Poi i motticontro i preti, contro il papa, e contro i cardinali, e leipotiposi sui vizi, parte veri, parte anco esagerati dellacorte Romana, andavano all'eccesso. Gli atti e gli scher-zi che si fecero, non son da raccontarsi. Solo dirò, cheun padre di due bellissime fanciulle, venuto con lorosulla piazza pubblica, si toglieva primieramente, romo-reggiando dalla gioia il popolo all'intorno, il proprionome, con quello di Tesifonte chiamandosi; poscia leproprie figliuole sbattezzava. Ambiva quindi, e volevaessere chiamato “cittadino Tesifonte”; disordinati segnidi più disordinato avvenire.Rogato l'atto, scritto in ischifosa e servil lingua Italiana,tradotta dal Francese, si eleggevano dal popolo convo-cato uomini a posta, perchè l'atto medesimo portassero aBerthier, e gli raccomandassero la novella repubblica.Eravi solennità: entrava a guisa di trionfatore per la por-ta del Popolo il generale di Francia, con magnifico cor-teggio dietro ed intorno di splendidi ufficiali, e di centocavalli eletti da ciascun reggimento. Suonavano congrandissimo strepito gli stromenti della musica militare;l'affollato popolo applaudiva. Non così tosto comparivaalla porta del Popolo, che era presentato di una corona

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dai capi in nome del popolo Romano. L'accettava, prote-stando ch'ella di ragione apparteneva a Buonaparte, lecui magnanime imprese avevano preparato la libertàRomana; che per lui la riceveva, che per lui la serbereb-be, e che a lui in nome del popolo Romano la mandereb-be. Salito in Campidoglio bandiva la repubblica Roma-na solennemente, la riconosceva in nome della Francia,lodava la libertà, chiamava i Romani figliuoli di Bruto edi Scipione. Queste cose si facevano, veggendo edudendo dalle stanze del deserto Vaticano il canuto ed in-fermo pontefice. Erano tutto il restante giorno, e la se-guente notte canti, balli, e rallegramenti di ogni forma.La Cisalpina repubblica a questi sovvertimenti si ralle-grava. Scriveva il direttorio nella solita lingua servileper mezzo del presidente, ai legislatori Cisalpini, che lapatria di Bruto era libera, che i suoi discendenti avevanosolennemente proclamati i diritti dell'uomo, che il sacroalbero rigeneratore dei popoli aveva messo le sue radicisul Campidoglio, che la ragione era stata vendicata de'suoi oltraggi, che Roma finalmente non aveva più tiran-ni; che vi si era creato un governo provvisorio compostodi bravi, ed illuminati repubblicani; che il vescovo diRoma era guardato dalle truppe Francesi, e che il popoloquanto inebbriato del sentimento della sua libertà, altret-tanto si manteneva dignitoso, saggio e tranquillo.Quest'erano le poesie, o per parlare con Buonaparte, iromanzi dei tempi.Fra mezzo a tanta mina continuava a starsene nelle sue

dai capi in nome del popolo Romano. L'accettava, prote-stando ch'ella di ragione apparteneva a Buonaparte, lecui magnanime imprese avevano preparato la libertàRomana; che per lui la riceveva, che per lui la serbereb-be, e che a lui in nome del popolo Romano la mandereb-be. Salito in Campidoglio bandiva la repubblica Roma-na solennemente, la riconosceva in nome della Francia,lodava la libertà, chiamava i Romani figliuoli di Bruto edi Scipione. Queste cose si facevano, veggendo edudendo dalle stanze del deserto Vaticano il canuto ed in-fermo pontefice. Erano tutto il restante giorno, e la se-guente notte canti, balli, e rallegramenti di ogni forma.La Cisalpina repubblica a questi sovvertimenti si ralle-grava. Scriveva il direttorio nella solita lingua servileper mezzo del presidente, ai legislatori Cisalpini, che lapatria di Bruto era libera, che i suoi discendenti avevanosolennemente proclamati i diritti dell'uomo, che il sacroalbero rigeneratore dei popoli aveva messo le sue radicisul Campidoglio, che la ragione era stata vendicata de'suoi oltraggi, che Roma finalmente non aveva più tiran-ni; che vi si era creato un governo provvisorio compostodi bravi, ed illuminati repubblicani; che il vescovo diRoma era guardato dalle truppe Francesi, e che il popoloquanto inebbriato del sentimento della sua libertà, altret-tanto si manteneva dignitoso, saggio e tranquillo.Quest'erano le poesie, o per parlare con Buonaparte, iromanzi dei tempi.Fra mezzo a tanta mina continuava a starsene nelle sue

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stanze del Vaticano papa Pio Sesto con qualche apparatodi sovranità, tuttochè già servo fosse; conciossiachè edusava la sua spirituale potestà, ed i ministri celebravanogli uffici divini, e gli ufficiali di casa il servivano, e leguardie Svizzere il custodivano. Ma in quella stato diRoma non poteva più un papa sussistere, nè per lui perle dignità, nè pei repubblicani per la sicurezza. Inoltrel'opera del direttorio doveva consumarsi intiera. S'inco-minciavano a mandar carcerati in Castel Sant'Angelo, oconfinati nelle proprie case alcuni cardinali, ed altri per-sonaggi di nome e d'autorità. Toglievasi quindi dal Vati-cano la guardia Svizzera con dolore vivissimo del pon-tefice, che non se ne poteva dar pace; vi surrogavano laguardia Francese. Qui io vorrei tacermi: ma l'amore del-la verità mi sforza a dire, che il venerando Pio, ridotto incaso di sì estremo abbassamento, non andava esente, daparte di alcuni repubblicani di Francia, da scherni tali,che l'ammazzarlo sarebbe stato poco maggior manca-mento. Agli scherni succedeva l'esilio: Cervoni, avutonecomandamento da Berthier, introdottosi nelle stanze delpontefice, in nome della repubblica Francese gl'intima-va, che si dispogliasse della sovranità temporale, si con-tentasse della spirituale. Rispondeva Pio, avere la suatemporale sovranità ricevuto da Dio, e per libera elezio-ne degli uomini, non potere, nè volere rinunziarvi; allaetà sua di ottant'anni potersi bene fare mali grossi, manon lunghi; essere parato a qualunque strazio; esserestato creato papa con piena potestà; volere per quanto inlui fosse, papa morire con piena potestà; usassero la for-

stanze del Vaticano papa Pio Sesto con qualche apparatodi sovranità, tuttochè già servo fosse; conciossiachè edusava la sua spirituale potestà, ed i ministri celebravanogli uffici divini, e gli ufficiali di casa il servivano, e leguardie Svizzere il custodivano. Ma in quella stato diRoma non poteva più un papa sussistere, nè per lui perle dignità, nè pei repubblicani per la sicurezza. Inoltrel'opera del direttorio doveva consumarsi intiera. S'inco-minciavano a mandar carcerati in Castel Sant'Angelo, oconfinati nelle proprie case alcuni cardinali, ed altri per-sonaggi di nome e d'autorità. Toglievasi quindi dal Vati-cano la guardia Svizzera con dolore vivissimo del pon-tefice, che non se ne poteva dar pace; vi surrogavano laguardia Francese. Qui io vorrei tacermi: ma l'amore del-la verità mi sforza a dire, che il venerando Pio, ridotto incaso di sì estremo abbassamento, non andava esente, daparte di alcuni repubblicani di Francia, da scherni tali,che l'ammazzarlo sarebbe stato poco maggior manca-mento. Agli scherni succedeva l'esilio: Cervoni, avutonecomandamento da Berthier, introdottosi nelle stanze delpontefice, in nome della repubblica Francese gl'intima-va, che si dispogliasse della sovranità temporale, si con-tentasse della spirituale. Rispondeva Pio, avere la suatemporale sovranità ricevuto da Dio, e per libera elezio-ne degli uomini, non potere, nè volere rinunziarvi; allaetà sua di ottant'anni potersi bene fare mali grossi, manon lunghi; essere parato a qualunque strazio; esserestato creato papa con piena potestà; volere per quanto inlui fosse, papa morire con piena potestà; usassero la for-

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za, poichè in mano l'avevano, ma avvertissero che seavevano in poter loro il corpo, non avevano parimentel'animo, il quale in più libera regione spaziando, di acci-denti umani non temeva; esservi un'altra vita per lui og-gimai vicina; in lei nulla gli empi, nulla i prepotenti po-trebbero.Restava, poichè l'animo non avevan potuto vincere, chevincessero il corpo. Il pubblicano dell'esercito, che alsuono delle Romane finanze era prestamente accorso,appresentatosi al pontefice, gl'intimava, tempo due gior-ni, da Roma si partisse. Rispondeva Pio, non potere resi-stere alla forza; ma volere, che il mondo sapesse, chesforzato il proprio gregge abbandonava. Strane venturedi tempi, che i repubblicani andassero a Roma predican-do di voler punire gli assassini di Basville e di Duphot, econservare il papa, e che gli assassini non punissero, edil papa non conservassero; conciossiachè del castigo de-gli uccisori di Basville e di Duphot, occupata Roma,non si fece più parola.Il dì venti febbrajo sforzavano i repubblicani il papa apartire. Lasciava Pio l'antica sede, cui non era per rive-dere più mai. L'accompagnavano solamente, miserandereliquie di corte tanto sontuosa, oltre alcuni addetti aiservigi domestici, monsignor Inico Caracciolo di Marti-na, suo maestro di camera, e l'abbate Marotti, professordi rettorica nel collegio Romano, suo segretario eletto.Uscito da porta Angelica s'incamminava verso Toscana.Lo scortavano e guardavano diligentemente soldati re-

za, poichè in mano l'avevano, ma avvertissero che seavevano in poter loro il corpo, non avevano parimentel'animo, il quale in più libera regione spaziando, di acci-denti umani non temeva; esservi un'altra vita per lui og-gimai vicina; in lei nulla gli empi, nulla i prepotenti po-trebbero.Restava, poichè l'animo non avevan potuto vincere, chevincessero il corpo. Il pubblicano dell'esercito, che alsuono delle Romane finanze era prestamente accorso,appresentatosi al pontefice, gl'intimava, tempo due gior-ni, da Roma si partisse. Rispondeva Pio, non potere resi-stere alla forza; ma volere, che il mondo sapesse, chesforzato il proprio gregge abbandonava. Strane venturedi tempi, che i repubblicani andassero a Roma predican-do di voler punire gli assassini di Basville e di Duphot, econservare il papa, e che gli assassini non punissero, edil papa non conservassero; conciossiachè del castigo de-gli uccisori di Basville e di Duphot, occupata Roma,non si fece più parola.Il dì venti febbrajo sforzavano i repubblicani il papa apartire. Lasciava Pio l'antica sede, cui non era per rive-dere più mai. L'accompagnavano solamente, miserandereliquie di corte tanto sontuosa, oltre alcuni addetti aiservigi domestici, monsignor Inico Caracciolo di Marti-na, suo maestro di camera, e l'abbate Marotti, professordi rettorica nel collegio Romano, suo segretario eletto.Uscito da porta Angelica s'incamminava verso Toscana.Lo scortavano e guardavano diligentemente soldati re-

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pubblicani a cavallo. Accorrevano dai luoghi vicini edai lontani i popoli riverenti ad inchinare il ponteficecaptivo: muovevangli a rispetto ed a compassione la di-gnità, l'età, la malattia, la sventura. Per tal modo vec-chio, infermo e prigioniero lasciava Pio Roma, caso nonpiù veduto, dappoichè Borbone ne cacciava Clemente;lasciava Roma, cui aveva abbellito con opere magnifi-che, e che doveva fra breve essere spogliata di quanto ladurezza dei patti Tolentiniani vi aveva lasciato d'intero ed'intatto; lasciava Roma, già padrona per opinione delmondo, ora serva per opinione, e per bajonette di nuoverepubbliche. Singolare città, che, o padrona o serva, omagnifica o saccheggiata, ebbe sempre per destino diprovare i due estremi, in cui gli umani casi si concludo-no. Trovava il pontefice ricovero, contuttochè sempregelosamente fosse custodito, nel convento degli Agosti-niani di Siena, e conforto negli ossequj del gran duca, enelle lettere consolatorie scrittegli da tutta la cristianità.Si dimostrarono in questo pietoso ufficio singolari i ve-scovi fuorusciti di Francia, massimamente quelli che di-moravano in Inghilterra. Il tentavano spesso i repubbli-cani, perchè rinunziasse alla potestà temporale; il cheegli constantissimamente sempre ebbe negato. Per que-sta cagione si ordinava, che più strettamente si custodis-se, e se gli ristringeva la facoltà di veder gente: rigoretanto più da condannarsi, quanto più era di nissun frutto,ed aveva per fine una rinunzia per forza. Succedeva po-scia un caso spaventoso, che tremava per terremoto ilconvento, come se Dio volesse provare sino all'ultimo la

pubblicani a cavallo. Accorrevano dai luoghi vicini edai lontani i popoli riverenti ad inchinare il ponteficecaptivo: muovevangli a rispetto ed a compassione la di-gnità, l'età, la malattia, la sventura. Per tal modo vec-chio, infermo e prigioniero lasciava Pio Roma, caso nonpiù veduto, dappoichè Borbone ne cacciava Clemente;lasciava Roma, cui aveva abbellito con opere magnifi-che, e che doveva fra breve essere spogliata di quanto ladurezza dei patti Tolentiniani vi aveva lasciato d'intero ed'intatto; lasciava Roma, già padrona per opinione delmondo, ora serva per opinione, e per bajonette di nuoverepubbliche. Singolare città, che, o padrona o serva, omagnifica o saccheggiata, ebbe sempre per destino diprovare i due estremi, in cui gli umani casi si concludo-no. Trovava il pontefice ricovero, contuttochè sempregelosamente fosse custodito, nel convento degli Agosti-niani di Siena, e conforto negli ossequj del gran duca, enelle lettere consolatorie scrittegli da tutta la cristianità.Si dimostrarono in questo pietoso ufficio singolari i ve-scovi fuorusciti di Francia, massimamente quelli che di-moravano in Inghilterra. Il tentavano spesso i repubbli-cani, perchè rinunziasse alla potestà temporale; il cheegli constantissimamente sempre ebbe negato. Per que-sta cagione si ordinava, che più strettamente si custodis-se, e se gli ristringeva la facoltà di veder gente: rigoretanto più da condannarsi, quanto più era di nissun frutto,ed aveva per fine una rinunzia per forza. Succedeva po-scia un caso spaventoso, che tremava per terremoto ilconvento, come se Dio volesse provare sino all'ultimo la

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costanza del desolato pontefice; piombavano a crosciole volte, le mura si sfasciavano, distrutta parte dellacasa, gli fu forza sloggiare: raccolto prima nel palazzoVenturi, poi nella villa Sergardi, si riduceva finalmentead abitare nella Certosa di Firenze. Ma la sua presenzasul continente, particolarmente in paese sì vicino aRoma, dava sospetto ai repubblicani. Perlochè ordinava-no, che si trasferisse in Cagliari di Sardegna. Rappresen-tavano le benigne persone che continuavano ad avergliaffezione, che nè la sua età, nè le infermità permetteva-no, che a quel viaggio marittimo si accomodasse. Ancheil re di Sardegna che abborriva dal divenir custode di unpapa, custodia ed odiosa in se, e pericolosa per l'amici-zia che aveva allora con Francia, faceva opera di esi-mersi. Infine era Pio lasciato stare nella Certosa insinoc-chè, venuti in Italia tempi pericolosi pei repubblicani, lotrasferivano in Francia.Roma, priva del pontefice, perdeva anche per sacco,parte violento parte frodolento, le sostanze e gli orna-menti più preziosi del suo stato. Nè in questo gli spo-gliatori portavano più rispetto alle sacre che alle profanecose, alle private che alle pubbliche, perchè le une e lealtre involavano con uguale cupidigia, nè le rapine dura-vano solamente, come le antiche, tre o quattro giorni,che anzi non si terminarono se non con le stanze dei re-pubblicani; o per meglio dire neanco allora, perchè ve-nute dopo di loro le truppe regie di Napoli, rinnovaronocon brutta imitazione le rapine ed il sacco. Ma per favel-

costanza del desolato pontefice; piombavano a crosciole volte, le mura si sfasciavano, distrutta parte dellacasa, gli fu forza sloggiare: raccolto prima nel palazzoVenturi, poi nella villa Sergardi, si riduceva finalmentead abitare nella Certosa di Firenze. Ma la sua presenzasul continente, particolarmente in paese sì vicino aRoma, dava sospetto ai repubblicani. Perlochè ordinava-no, che si trasferisse in Cagliari di Sardegna. Rappresen-tavano le benigne persone che continuavano ad avergliaffezione, che nè la sua età, nè le infermità permetteva-no, che a quel viaggio marittimo si accomodasse. Ancheil re di Sardegna che abborriva dal divenir custode di unpapa, custodia ed odiosa in se, e pericolosa per l'amici-zia che aveva allora con Francia, faceva opera di esi-mersi. Infine era Pio lasciato stare nella Certosa insinoc-chè, venuti in Italia tempi pericolosi pei repubblicani, lotrasferivano in Francia.Roma, priva del pontefice, perdeva anche per sacco,parte violento parte frodolento, le sostanze e gli orna-menti più preziosi del suo stato. Nè in questo gli spo-gliatori portavano più rispetto alle sacre che alle profanecose, alle private che alle pubbliche, perchè le une e lealtre involavano con uguale cupidigia, nè le rapine dura-vano solamente, come le antiche, tre o quattro giorni,che anzi non si terminarono se non con le stanze dei re-pubblicani; o per meglio dire neanco allora, perchè ve-nute dopo di loro le truppe regie di Napoli, rinnovaronocon brutta imitazione le rapine ed il sacco. Ma per favel-

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lar dei repubblicani, che a questo tempo erano signori diRoma, cominciava lo spoglio da alcuni capi sì militariche civili; scendeva per l'esempio nei soldati. Solo in-corrotti si mantennero la maggior parte degli ufficiali dimezzo, i quali, come si dirà, a conservazione dell'onoreoffeso, ne fecero un solenne risentimento. Giravanoall'arrivo dei Francesi nello stato Romano ventisette mi-lioni di cedole, peso incomodissimo, e vera peste sì delprivato, che del pubblico avere. Fu ridotto al quarto ilvalore loro, dolorosa, ma salutifera ferita a chi le avevain sua possessione. Sarebbe stata questa una legge da lo-darsi per ogni parte, se subito dopo non fosse stata pro-mulgata, che gli agenti del direttorio avevano speso perle loro provvisioni sì pubbliche che private, quella copiadi cedole, che avevano trovato nelle casse papali, e chenon era di poco momento. Aggiungesi da alcuni, e severo fu, come pare, sarebbe il caso molto più enorme,che poco innanzi alla promulgazione della legge, equando già si era fatto risoluzione di promulgarla, furo-no stampate a fretta cedole per un valsente di sei milio-ni, e tostamente, per compre fatte, gittate nel pubblico.Che maneggi fossero questi, il lettore lo penserà da se.Si levava un grido universale contro gli autori di sì vitu-peroso inganno; ma le armi erano più forti dei gridi, echi più poteva, tutto ardiva.Oltre le cedole, le Romane finanze consistevano in unaquantità di beni assai considerabile, che appartenevanoallo stato, e questi in nome della repubblica Francese

lar dei repubblicani, che a questo tempo erano signori diRoma, cominciava lo spoglio da alcuni capi sì militariche civili; scendeva per l'esempio nei soldati. Solo in-corrotti si mantennero la maggior parte degli ufficiali dimezzo, i quali, come si dirà, a conservazione dell'onoreoffeso, ne fecero un solenne risentimento. Giravanoall'arrivo dei Francesi nello stato Romano ventisette mi-lioni di cedole, peso incomodissimo, e vera peste sì delprivato, che del pubblico avere. Fu ridotto al quarto ilvalore loro, dolorosa, ma salutifera ferita a chi le avevain sua possessione. Sarebbe stata questa una legge da lo-darsi per ogni parte, se subito dopo non fosse stata pro-mulgata, che gli agenti del direttorio avevano speso perle loro provvisioni sì pubbliche che private, quella copiadi cedole, che avevano trovato nelle casse papali, e chenon era di poco momento. Aggiungesi da alcuni, e severo fu, come pare, sarebbe il caso molto più enorme,che poco innanzi alla promulgazione della legge, equando già si era fatto risoluzione di promulgarla, furo-no stampate a fretta cedole per un valsente di sei milio-ni, e tostamente, per compre fatte, gittate nel pubblico.Che maneggi fossero questi, il lettore lo penserà da se.Si levava un grido universale contro gli autori di sì vitu-peroso inganno; ma le armi erano più forti dei gridi, echi più poteva, tutto ardiva.Oltre le cedole, le Romane finanze consistevano in unaquantità di beni assai considerabile, che appartenevanoallo stato, e questi in nome della repubblica Francese

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occupavano i suoi agenti, non che quelli, che per esseredi privato patrimonio di papa Pio, potevano, se non conragione, almeno con pretesto cadere in potestà di Fran-cia; conciossiachè il direttorio si protestava solamentenemico del papa, non dello stato Romano, al quale anziprofessava amicizia. Ponevansi al fisco della repubblica,deliberazione certamente enorme, i beni del collegiodella Propaganda, quelli del Sant'Officio e dell'Accade-mia ecclesiastica, le Paludi Pontine, le tenute della Ca-mera apostolica. Ciò spettava agli stabili; ma i mobilinon si risparmiavano: qui fuvvi, non che confiscazione,sacco. Quanto di più nobile e di più prezioso adornava ipalazzi del Vaticano, e del Quirinale, fu involato. Fu lacupidigia degli agenti del direttorio veramente barbara.Dal Vaticano, edifizio magnifico per undicimila camere,furono tolti, non solamente tutto il mobile a servigio dipersone, ricca e preziosa suppellettile, non solamente gliarredi mirabili di busti, di quadri, di statue, di camei, dimarmi, di colonne, ma perfino i serrami ed i chiodi, performa che l'Instituto nazionale di Roma, che per non soqual derisione fu poco poscia creato, volendo sedervidentro, ebbe a pensare a far rimettere e porte, e toppe, echiodi dove un appetito insaziabile gli aveva tolti. Cosìquella sede nobilissima di Romani pontefici, quella ve-neranda depositerìa delle opere di Raffaello e di Miche-lagnolo, quell'ornatissimo ricovero di quanto Grecia edItalia avevano prodotto di più prezioso, di più gentile, dipiù grazioso, si appresentava agli occhi dei risguardantiatterriti quale deserto e saccheggiato abituro. E queste

occupavano i suoi agenti, non che quelli, che per esseredi privato patrimonio di papa Pio, potevano, se non conragione, almeno con pretesto cadere in potestà di Fran-cia; conciossiachè il direttorio si protestava solamentenemico del papa, non dello stato Romano, al quale anziprofessava amicizia. Ponevansi al fisco della repubblica,deliberazione certamente enorme, i beni del collegiodella Propaganda, quelli del Sant'Officio e dell'Accade-mia ecclesiastica, le Paludi Pontine, le tenute della Ca-mera apostolica. Ciò spettava agli stabili; ma i mobilinon si risparmiavano: qui fuvvi, non che confiscazione,sacco. Quanto di più nobile e di più prezioso adornava ipalazzi del Vaticano, e del Quirinale, fu involato. Fu lacupidigia degli agenti del direttorio veramente barbara.Dal Vaticano, edifizio magnifico per undicimila camere,furono tolti, non solamente tutto il mobile a servigio dipersone, ricca e preziosa suppellettile, non solamente gliarredi mirabili di busti, di quadri, di statue, di camei, dimarmi, di colonne, ma perfino i serrami ed i chiodi, performa che l'Instituto nazionale di Roma, che per non soqual derisione fu poco poscia creato, volendo sedervidentro, ebbe a pensare a far rimettere e porte, e toppe, echiodi dove un appetito insaziabile gli aveva tolti. Cosìquella sede nobilissima di Romani pontefici, quella ve-neranda depositerìa delle opere di Raffaello e di Miche-lagnolo, quell'ornatissimo ricovero di quanto Grecia edItalia avevano prodotto di più prezioso, di più gentile, dipiù grazioso, si appresentava agli occhi dei risguardantiatterriti quale deserto e saccheggiato abituro. E queste

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cose faceva, non la guerra ma la pace, non la nimiciziama l'amicizia, non la barbarie ma una vantata civiltà.Seguitava sempre i passi dell'esercito una compagnìa disensali, che s'intendeva coi rapaci pubblicani, ed erapronta a pagare a loro per vile prezzo le ricchezze acqui-state, sicchè le nazioni vinte s'impoverivano, la Franciavincitrice non s'arricchiva, i soldati non avevano le pa-ghe, e ad ogni tratto sdegnosi minacciavano di ammuti-narsi. Ma i rapitori chiamavano in aiuto la militar disci-plina, come se più i soldati fossero obbligati all'obbedi-re, che i pubblicani all'onestà. Le masserizie più vili,alle quali i capi non abbadavano, si vendevano agii ebreinon per pattuito, ma per imposto prezzo.Fu, come il Vaticano, spogliato Montecavallo, fu spo-gliato Castel Gandolfo, fu spogliata la nobil sede di Ter-racina. Come gli arnesi più squisiti, così il più miserovasellame di cucina furono involati, nè più risparmiati isacri che i profani arredi, perchè i vasi sacri della cap-pella Sistina, e delle altre cappelle pontificie ebbero apruovare i toccamenti dei profani involatori; gli abiti sa-cerdotali stessi si diedero alle fiamme per cavarne i me-talli preziosi, coi quali erano tessuti. Passava il sacco daipalazzi dello stato e del papa a quei de' suoi parenti, edanzi a quelli di coloro, o principi Romani o cardinali chesi fossero, che più si erano dimostrati costanti nel far ar-gine alle dottrine, che avevano servito di mossa, e tutta-via servivano di fondamento alla rivoluzione. Il palazzodi città, quei del principe, e del cardinale Braschi, quello

cose faceva, non la guerra ma la pace, non la nimiciziama l'amicizia, non la barbarie ma una vantata civiltà.Seguitava sempre i passi dell'esercito una compagnìa disensali, che s'intendeva coi rapaci pubblicani, ed erapronta a pagare a loro per vile prezzo le ricchezze acqui-state, sicchè le nazioni vinte s'impoverivano, la Franciavincitrice non s'arricchiva, i soldati non avevano le pa-ghe, e ad ogni tratto sdegnosi minacciavano di ammuti-narsi. Ma i rapitori chiamavano in aiuto la militar disci-plina, come se più i soldati fossero obbligati all'obbedi-re, che i pubblicani all'onestà. Le masserizie più vili,alle quali i capi non abbadavano, si vendevano agii ebreinon per pattuito, ma per imposto prezzo.Fu, come il Vaticano, spogliato Montecavallo, fu spo-gliato Castel Gandolfo, fu spogliata la nobil sede di Ter-racina. Come gli arnesi più squisiti, così il più miserovasellame di cucina furono involati, nè più risparmiati isacri che i profani arredi, perchè i vasi sacri della cap-pella Sistina, e delle altre cappelle pontificie ebbero apruovare i toccamenti dei profani involatori; gli abiti sa-cerdotali stessi si diedero alle fiamme per cavarne i me-talli preziosi, coi quali erano tessuti. Passava il sacco daipalazzi dello stato e del papa a quei de' suoi parenti, edanzi a quelli di coloro, o principi Romani o cardinali chesi fossero, che più si erano dimostrati costanti nel far ar-gine alle dottrine, che avevano servito di mossa, e tutta-via servivano di fondamento alla rivoluzione. Il palazzodi città, quei del principe, e del cardinale Braschi, quello

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del cardinale York furono con uguale avarizia depredati.Soprattutto miseramente guasto e devastato fu quellodella villa Albani, di cui era signore il cardinale, e prin-cipe di questo nome. Quanto in lui si trovava di più pre-zioso per materia o per lavoro, fu tocco e rapito dalleavare mani dei forestieri: contro Albani si scagliavanoparticolarmente, perchè l'avevano conosciuto affeziona-to al pontefice, e mantenitore della opinione, che piùnell'Austria che nella Francia, che più nell'imperatoreFrancesco, che nel direttorio, il papa avesse a fidarsi,come se nelle faccende di uno stato indipendente nonavessero ad esser libere le opinioni di chi consiglia, seperò non si voglia dire, che si amano meglio i traditoriche i fedeli, meglio chi consiglia con perfidia che chicon sincerità. Il giardino stesso dell'Albani fu guasto edeserto; gli aranci, e le altre piante odorifere o rare ven-dute a vile prezzo. Quest'era più furto che conquista;perchè Albani era persona privata, e non certamente nèpapa, nè stato, e con qual diritto avesse ad essere svali-giato, sarebbe bene, che gli addottrinanti di quel secoloce l'insegnassero. Non posso io già, nè voglio passarsotto silenzio una rapina, che gli avari pubblicani prepo-sti dal direttorio alle finanze d'Italia volevano ad ognimodo fare di un ricchissimo ostensorio, tutto tempestatodi diamanti, che di proprietà privata essendo di casa Do-ria, in Sant'Agnese, chiesa di giuspatronato della mede-sima famiglia, ogni anno all'adorazione dei fedeli siesponeva; lo stimavano ottantamila scudi. E perchè ilgenerale Saint-Cyr, che aveva l'animo tanto ornato di

del cardinale York furono con uguale avarizia depredati.Soprattutto miseramente guasto e devastato fu quellodella villa Albani, di cui era signore il cardinale, e prin-cipe di questo nome. Quanto in lui si trovava di più pre-zioso per materia o per lavoro, fu tocco e rapito dalleavare mani dei forestieri: contro Albani si scagliavanoparticolarmente, perchè l'avevano conosciuto affeziona-to al pontefice, e mantenitore della opinione, che piùnell'Austria che nella Francia, che più nell'imperatoreFrancesco, che nel direttorio, il papa avesse a fidarsi,come se nelle faccende di uno stato indipendente nonavessero ad esser libere le opinioni di chi consiglia, seperò non si voglia dire, che si amano meglio i traditoriche i fedeli, meglio chi consiglia con perfidia che chicon sincerità. Il giardino stesso dell'Albani fu guasto edeserto; gli aranci, e le altre piante odorifere o rare ven-dute a vile prezzo. Quest'era più furto che conquista;perchè Albani era persona privata, e non certamente nèpapa, nè stato, e con qual diritto avesse ad essere svali-giato, sarebbe bene, che gli addottrinanti di quel secoloce l'insegnassero. Non posso io già, nè voglio passarsotto silenzio una rapina, che gli avari pubblicani prepo-sti dal direttorio alle finanze d'Italia volevano ad ognimodo fare di un ricchissimo ostensorio, tutto tempestatodi diamanti, che di proprietà privata essendo di casa Do-ria, in Sant'Agnese, chiesa di giuspatronato della mede-sima famiglia, ogni anno all'adorazione dei fedeli siesponeva; lo stimavano ottantamila scudi. E perchè ilgenerale Saint-Cyr, che aveva l'animo tanto ornato di

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temperanza, quanto alcuni altri l'avevano contaminato diavarizia, si era opposto, ne ebbe le male parole, e fu an-che richiamato dal direttorio. La rapacità che si usava inRoma e nei contorni, si dilatava in tutto lo stato Roma-no, ed ogni sostanza sì pubblica che privata vi era postaa mercato. Sorse fra gli altri un caso miserando, che fa-cendosi il giorno ventitre febbraio le esequie solennidell'ucciso Duphot per tutta la città, alcune pattuglie re-pubblicane, dico alcune, perchè le più si serbarono con-tinenti, rotto ogni freno di onestà e di disciplina, e nonconsiderato, che l'ufficio a loro imposto era di conservarintatti il buon ordine e le sostanze, entrarono nelle chie-se, e da loro involarono i vasi e gli arredi destinati allacelebrazione degli uffizi divini. Nè dal sacco andaronoesenti le chiese appartenenti alle nazioni Spagnuola edAustriaca, sebbene l'una alleata, l'altra amica della re-pubblica vivessero a quel tempo. Perchè poi nissunaspezie di miseria e di compassione mancasse a Roma inquesto giorno, vi fu la sera gran luminaria alla cupola enella piazza del Vaticano; ballossi allegramente al Quiri-nale. Uditosi nelle province della Romana dizione ilsacco delle chiese di Roma, alcune delle provincialichiese furono ancor esse al modo medesimo poste inpreda. Al sacco succedevano le tasse, le quali qualchevolta si convertivano in sacco segreto assai più vile delprimo. Erano enormi, ma vi era modo di riscatto nasco-sto, e qualche volta a bella posta si mettevano, perchè imodi del riscatto si usassero. Si tassava la sola famigliaChigi di più di ducentomila scudi; l'incisore Volpato di

temperanza, quanto alcuni altri l'avevano contaminato diavarizia, si era opposto, ne ebbe le male parole, e fu an-che richiamato dal direttorio. La rapacità che si usava inRoma e nei contorni, si dilatava in tutto lo stato Roma-no, ed ogni sostanza sì pubblica che privata vi era postaa mercato. Sorse fra gli altri un caso miserando, che fa-cendosi il giorno ventitre febbraio le esequie solennidell'ucciso Duphot per tutta la città, alcune pattuglie re-pubblicane, dico alcune, perchè le più si serbarono con-tinenti, rotto ogni freno di onestà e di disciplina, e nonconsiderato, che l'ufficio a loro imposto era di conservarintatti il buon ordine e le sostanze, entrarono nelle chie-se, e da loro involarono i vasi e gli arredi destinati allacelebrazione degli uffizi divini. Nè dal sacco andaronoesenti le chiese appartenenti alle nazioni Spagnuola edAustriaca, sebbene l'una alleata, l'altra amica della re-pubblica vivessero a quel tempo. Perchè poi nissunaspezie di miseria e di compassione mancasse a Roma inquesto giorno, vi fu la sera gran luminaria alla cupola enella piazza del Vaticano; ballossi allegramente al Quiri-nale. Uditosi nelle province della Romana dizione ilsacco delle chiese di Roma, alcune delle provincialichiese furono ancor esse al modo medesimo poste inpreda. Al sacco succedevano le tasse, le quali qualchevolta si convertivano in sacco segreto assai più vile delprimo. Erano enormi, ma vi era modo di riscatto nasco-sto, e qualche volta a bella posta si mettevano, perchè imodi del riscatto si usassero. Si tassava la sola famigliaChigi di più di ducentomila scudi; l'incisore Volpato di

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più di dodicimila, e fra dodici ore avesse a pagargli. Tal-volta si minacciavano le confische per aver denaro; tal-volta si addomandava denaro per avere o quadri, o sta-tue, od altre simili gentilezze preziose. Per tal modoRoma, già consumata dal trattato di Tolentino, fu deltutto spogliata per la presenza dei repubblicani.Non ostante tanti spogli e tante rapine, se ne viveval'esercito bisognoso di ogni cosa, e mentre le cassettepiene di cose preziose, che appartenevano agli agentidel direttorio, s'incamminavano alla volta di Francia, osegretamente, od anche apertamente, perchè a tale disfrontatezza si era venuto, i soldati non avevano le pa-ghe corse da molti mesi, e laceri, e scalzi, e privi di ognibene, accusavano l'ingordigia di coloro, che preposti alvitto, ed al vestimento loro, credevano, dover convertirein benefizio proprio le ricchezze dei paesi conquistaticon le fatiche, e col sangue loro. Gli ufficiali subalterni,ai quali stava a cuore l'onore di Francia, ed infinitamen-te cuocevano i raccontati disordini, accordatisi fra diloro ed in gran numero nella chiesa della Rotonda adu-natisi, facevano un forte scritto, e l'indirizzarono a Mas-sena, surrogato a Berthier. Addomandavano i soldi corsidei soldati, chiamavano vendetta contro i depredatori,per l'onore dell'esercito offeso. Lo sdegno loro princi-palmente mirava contro Massena per le estorsioni da luifatte, come dicevano, in tutti i paesi Italiani venuti sottoil di lui governo, massimamente nel Padovano. Nè mi-nor avversione mostravano contro Haller, cui principal-

più di dodicimila, e fra dodici ore avesse a pagargli. Tal-volta si minacciavano le confische per aver denaro; tal-volta si addomandava denaro per avere o quadri, o sta-tue, od altre simili gentilezze preziose. Per tal modoRoma, già consumata dal trattato di Tolentino, fu deltutto spogliata per la presenza dei repubblicani.Non ostante tanti spogli e tante rapine, se ne viveval'esercito bisognoso di ogni cosa, e mentre le cassettepiene di cose preziose, che appartenevano agli agentidel direttorio, s'incamminavano alla volta di Francia, osegretamente, od anche apertamente, perchè a tale disfrontatezza si era venuto, i soldati non avevano le pa-ghe corse da molti mesi, e laceri, e scalzi, e privi di ognibene, accusavano l'ingordigia di coloro, che preposti alvitto, ed al vestimento loro, credevano, dover convertirein benefizio proprio le ricchezze dei paesi conquistaticon le fatiche, e col sangue loro. Gli ufficiali subalterni,ai quali stava a cuore l'onore di Francia, ed infinitamen-te cuocevano i raccontati disordini, accordatisi fra diloro ed in gran numero nella chiesa della Rotonda adu-natisi, facevano un forte scritto, e l'indirizzarono a Mas-sena, surrogato a Berthier. Addomandavano i soldi corsidei soldati, chiamavano vendetta contro i depredatori,per l'onore dell'esercito offeso. Lo sdegno loro princi-palmente mirava contro Massena per le estorsioni da luifatte, come dicevano, in tutti i paesi Italiani venuti sottoil di lui governo, massimamente nel Padovano. Nè mi-nor avversione mostravano contro Haller, cui principal-

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mente accusavano dell'Italiane espilazioni, e della Fran-cese miseria. Fecero anche risoluzione di arrestarlo, e diporre a sigillo le sue carte. Massena, siccome quegli chenon soleva portare pazientemente, non che le accuse, icontrasti, facendosi scudo della disciplina, intimava agliufficiali adunati che incontanente si segregassero: quan-do no, gli costringerebbe con la forza. Rispondevano,preferir la morte all'infamia, prender Dio in testimoniodella purità delle intenzioni loro. Mandavano nuovi de-putati a Massena. Non fecero frutto, perchè il generalepiù aspramente che prima rimproverandogli dell'averrotto l'obbedienza, gli minacciava di forza e di castigo. Ipubblicani, vedendo quel nembo, o fuggivano, o si na-scondevano, e per ogni forma si consigliavano di salvaril bottino. Gli ufficiali, ai quali questa volta si erano ac-costati alcuni generali dei primi, gelosi parimentedell'onore dell'esercito, di nuovo si adunavano il dì settemarzo nella chiesa medesima della Rotonda, e con piùforti parole dimostravano al generale, doversi giustificarl'esercito dei ladronecci commessi, e dar le paghe ai sol-dati.Massena intanto era uscito di Roma ordinando, lasciatosolamente un presidio di tremila soldati in CastelSant'Angelo, ed in altri luoghi forti, che tutto l'esercito ilseguitasse. Sperava partendo, e distribuendo in diversestanze i soldati alla campagna, di poter far risolverel'intelligenza degli uffiziali. Obbedivano, ma ciascuncorpo creava uffiziali eletti, con mandato di vegliare, ac-

mente accusavano dell'Italiane espilazioni, e della Fran-cese miseria. Fecero anche risoluzione di arrestarlo, e diporre a sigillo le sue carte. Massena, siccome quegli chenon soleva portare pazientemente, non che le accuse, icontrasti, facendosi scudo della disciplina, intimava agliufficiali adunati che incontanente si segregassero: quan-do no, gli costringerebbe con la forza. Rispondevano,preferir la morte all'infamia, prender Dio in testimoniodella purità delle intenzioni loro. Mandavano nuovi de-putati a Massena. Non fecero frutto, perchè il generalepiù aspramente che prima rimproverandogli dell'averrotto l'obbedienza, gli minacciava di forza e di castigo. Ipubblicani, vedendo quel nembo, o fuggivano, o si na-scondevano, e per ogni forma si consigliavano di salvaril bottino. Gli ufficiali, ai quali questa volta si erano ac-costati alcuni generali dei primi, gelosi parimentedell'onore dell'esercito, di nuovo si adunavano il dì settemarzo nella chiesa medesima della Rotonda, e con piùforti parole dimostravano al generale, doversi giustificarl'esercito dei ladronecci commessi, e dar le paghe ai sol-dati.Massena intanto era uscito di Roma ordinando, lasciatosolamente un presidio di tremila soldati in CastelSant'Angelo, ed in altri luoghi forti, che tutto l'esercito ilseguitasse. Sperava partendo, e distribuendo in diversestanze i soldati alla campagna, di poter far risolverel'intelligenza degli uffiziali. Obbedivano, ma ciascuncorpo creava uffiziali eletti, con mandato di vegliare, ac-

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ciocchè gl'interessi loro non ricevessero danno. Gli uffi-ziali eletti, raccoltisi in Campidoglio, scrivevano letterea Berthier, pregandolo di ripigliare il freno delle genti, eprotestavano a Massena di non volergli più obbedire.Fece ogni opera, ma invano, per riguadagnarsi l'affezio-ne loro. Laonde, vedendosi in voce di tutti, nè più po-tendo comandare a coloro che il chiamiavano coi piùodiosi nomi, pensò al ritirarsi, e se ne andava, lasciato ilgoverno a Saint-Cyr, e a Dallemagne, in Ancona, dondetutto dolente, e sconfortato scriveva a Buonaparte, pre-gandolo a dargli favore presso il direttorio, affinchè lomandasse ambasciatore a qualche potenza.I Romani, osservato lo scompiglio delle genti Francesi,ed essendo sdegnati per tante vessazioni, nè potendo piùoltre portare sì dura servitù, perchè ora mai un popolo diquasi due milioni di anime era ridotto alla fame, tenta-vano un movimento più temerario che considerato. I pri-mi a romoreggiare furono i Transteverini, gridando“viva Maria”. Avviatisi verso San Pietro in grosso nu-mero, uccidevano una guardia Francese, s'impadroniva-no di Ponte Sisto, e delle strade, che mettono capo inesso. Al tempo medesimo le campagne tumultuavano;Velletri, Albano, Marino, Cività di Castello si muoveva-no; la mossa era grave. Già i Francesi erano uccisi allaspicciolata, e già le più grosse squadre si trovavano inpericolo. Ma essendo gente valorosa, usa all'armi ed aitumulti improvvisi, poste dall'un de' lati le dissensioniloro, muovendogli il pericolo comune, si ordinavano to-

ciocchè gl'interessi loro non ricevessero danno. Gli uffi-ziali eletti, raccoltisi in Campidoglio, scrivevano letterea Berthier, pregandolo di ripigliare il freno delle genti, eprotestavano a Massena di non volergli più obbedire.Fece ogni opera, ma invano, per riguadagnarsi l'affezio-ne loro. Laonde, vedendosi in voce di tutti, nè più po-tendo comandare a coloro che il chiamiavano coi piùodiosi nomi, pensò al ritirarsi, e se ne andava, lasciato ilgoverno a Saint-Cyr, e a Dallemagne, in Ancona, dondetutto dolente, e sconfortato scriveva a Buonaparte, pre-gandolo a dargli favore presso il direttorio, affinchè lomandasse ambasciatore a qualche potenza.I Romani, osservato lo scompiglio delle genti Francesi,ed essendo sdegnati per tante vessazioni, nè potendo piùoltre portare sì dura servitù, perchè ora mai un popolo diquasi due milioni di anime era ridotto alla fame, tenta-vano un movimento più temerario che considerato. I pri-mi a romoreggiare furono i Transteverini, gridando“viva Maria”. Avviatisi verso San Pietro in grosso nu-mero, uccidevano una guardia Francese, s'impadroniva-no di Ponte Sisto, e delle strade, che mettono capo inesso. Al tempo medesimo le campagne tumultuavano;Velletri, Albano, Marino, Cività di Castello si muoveva-no; la mossa era grave. Già i Francesi erano uccisi allaspicciolata, e già le più grosse squadre si trovavano inpericolo. Ma essendo gente valorosa, usa all'armi ed aitumulti improvvisi, poste dall'un de' lati le dissensioniloro, muovendogli il pericolo comune, si ordinavano to-

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stamente alle battaglie contro quei popoli spinti piutto-sto da furore, che da disegno bene ordinato. Vial muo-vevasi contro la gente tumultuaria in Roma, Murat con-tro quella del contado. Fu fatto in queste battaglie moltosangue, perchè i Francesi coi loro squadroni agguerriticombattevano virilmente, ed i Romani, mossi da furoree da zelo religioso, menavano ancor essi la mani aspra-mente. Infine prevalendo la disciplina e l'opera delle ar-tiglierìe bene governate dai repubblicani, di cui manca-vano i Romani, acquistarono i primi con molta prepon-deranza il vantaggio. Dispergevansi gli avversarj, e sinascondevano chi per le case, e chi per le campagne. Fe-cero i contadini ritiratisi ai monti una testa grossa; maMurat, penetrando coi soldati armati alla leggiera inquei riposti ricoveri, gli sperperava. Di cencinquantaprigioni, parte furono mandati al remo, parte giustiziaticon le palle soldatesche. Roma piena di terrore, d'orroree di sangue, lagrimosamente si querelava. Si toglievanocon diligente cura le armi ai popoli. Accagionaronsi,come fautori di questo moto, o fosse verità o pretesto, icardinali, ed altri prelati sospetti d'affezione verso ilpapa. S'intimò ai primi, o rinunziassero alla dignità car-dinalizia, o andassero carcerati. Rinunziarono Antici edAltieri; ricusarono Antonelli, Giuseppe Doria, Borgia,Roverella, la Somaglia, Carandini, Archetti, Mauri,Mattei; fu dato bando ai due ultimi dalle terre della re-pubblica Romana. Gli altri, prima posti in carcere, poicondotti a Civita vecchia, ed imbarcati su navi sdrucite,furono mandati a cercar ricovero in paesi stranieri. Il

stamente alle battaglie contro quei popoli spinti piutto-sto da furore, che da disegno bene ordinato. Vial muo-vevasi contro la gente tumultuaria in Roma, Murat con-tro quella del contado. Fu fatto in queste battaglie moltosangue, perchè i Francesi coi loro squadroni agguerriticombattevano virilmente, ed i Romani, mossi da furoree da zelo religioso, menavano ancor essi la mani aspra-mente. Infine prevalendo la disciplina e l'opera delle ar-tiglierìe bene governate dai repubblicani, di cui manca-vano i Romani, acquistarono i primi con molta prepon-deranza il vantaggio. Dispergevansi gli avversarj, e sinascondevano chi per le case, e chi per le campagne. Fe-cero i contadini ritiratisi ai monti una testa grossa; maMurat, penetrando coi soldati armati alla leggiera inquei riposti ricoveri, gli sperperava. Di cencinquantaprigioni, parte furono mandati al remo, parte giustiziaticon le palle soldatesche. Roma piena di terrore, d'orroree di sangue, lagrimosamente si querelava. Si toglievanocon diligente cura le armi ai popoli. Accagionaronsi,come fautori di questo moto, o fosse verità o pretesto, icardinali, ed altri prelati sospetti d'affezione verso ilpapa. S'intimò ai primi, o rinunziassero alla dignità car-dinalizia, o andassero carcerati. Rinunziarono Antici edAltieri; ricusarono Antonelli, Giuseppe Doria, Borgia,Roverella, la Somaglia, Carandini, Archetti, Mauri,Mattei; fu dato bando ai due ultimi dalle terre della re-pubblica Romana. Gli altri, prima posti in carcere, poicondotti a Civita vecchia, ed imbarcati su navi sdrucite,furono mandati a cercar ricovero in paesi stranieri. Il

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cardinal Rezzonico, come infermo di mal di morte, fulasciato stare: Albani, che più d'ogni altro desideravanodi avere in poter loro, fu fatto correre dai cavalli leggie-ri, che il seguitavano, ma giunse a salvamento nel regno.In questo modo quanto aveva la chiesa cattolica di vene-rando per età, per dignità, per dottrina, era disperso ecalpestato. Non solo enormi, ma pazze cose erano que-ste, perchè il torre rispetto a uomini rispettati portavacon se, quando che fosse, il vilipendio di coloro che nongli rispettavano, perchè la licenza è male contagioso, esi appicca facilmente dagli uni agli altri.Gli accidenti Romani fin qui narrati sapevano di tumultoe di confusione, siccome quelli, che sulle prime succe-devano alla militare conquista. Restava, che la oppres-sione e la servitù si ordinassero sotto ingannevole formadi governo regolare, come se fosse intento dei conqui-statori di fare scherno alla libertà, e di metterla in odio atutti coloro che l'amavano. A questo fine aveva il diret-torio mandato a Roma quattro suoi commissarj, che fu-rono Faipoult, Florent, Daunou, e Monge, uomini, chefacevano professione di amare la libertà. Deliberaronofra di loro di dar una constituzione alla repubblica Ro-mana. Pareva un gran caso quel delle leggi, che avesse-ro da uscire da una Francia per una Roma per mezzo diuomini rinomati e mandati a bella posta da Parigi, mas-sime da Daunou e da Monge, ambidue venerandi per in-gegno, per dottrina e per virtù. Ed ecco pubblicarsi uncorpo di constituzione, il quale altro non era, che sotto

cardinal Rezzonico, come infermo di mal di morte, fulasciato stare: Albani, che più d'ogni altro desideravanodi avere in poter loro, fu fatto correre dai cavalli leggie-ri, che il seguitavano, ma giunse a salvamento nel regno.In questo modo quanto aveva la chiesa cattolica di vene-rando per età, per dignità, per dottrina, era disperso ecalpestato. Non solo enormi, ma pazze cose erano que-ste, perchè il torre rispetto a uomini rispettati portavacon se, quando che fosse, il vilipendio di coloro che nongli rispettavano, perchè la licenza è male contagioso, esi appicca facilmente dagli uni agli altri.Gli accidenti Romani fin qui narrati sapevano di tumultoe di confusione, siccome quelli, che sulle prime succe-devano alla militare conquista. Restava, che la oppres-sione e la servitù si ordinassero sotto ingannevole formadi governo regolare, come se fosse intento dei conqui-statori di fare scherno alla libertà, e di metterla in odio atutti coloro che l'amavano. A questo fine aveva il diret-torio mandato a Roma quattro suoi commissarj, che fu-rono Faipoult, Florent, Daunou, e Monge, uomini, chefacevano professione di amare la libertà. Deliberaronofra di loro di dar una constituzione alla repubblica Ro-mana. Pareva un gran caso quel delle leggi, che avesse-ro da uscire da una Francia per una Roma per mezzo diuomini rinomati e mandati a bella posta da Parigi, mas-sime da Daunou e da Monge, ambidue venerandi per in-gegno, per dottrina e per virtù. Ed ecco pubblicarsi uncorpo di constituzione, il quale altro non era, che sotto

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nomi Romani la constituzione Francese; imperciocchèsotto nome di consolato, di senato, di tribunato, di tribu-nale di alta pretura a di alta questura, vi era un diretto-rio, un consiglio degli anziani, un consiglio dei giovani,un tribunal di cassazione, e commissarj dei conti. A que-sti si aggiungevano gli altri fastidj servili delle ammini-strazioni centrali per ciascuno spartimento della repub-blica, e di una amministrazione centrale per ogni canto-ne. Si noverarono otto spartimenti, del Tevere, del Cimi-no, del Circeo, del Clitunno, del Metauro, del Musone,del Trasimeno, e del Tronto. Avevano per capitaliRoma, Anagni, Viterbo, Spoleto, Macerata, Sinigaglia,Perugia, e Fermo. Erano questi i magistrati; le leggi,come quella di Francia. Nel che, oltre il copiar servile,gli uomini prudenti osserveranno, quanto inetto fosse ildare nomi medesimi a cose diverse, e quanto dannosoalla libertà il servirsi di nomi antichi, che suonavano po-tenza e libertà, in uno stato di oppressione, e di servitù.Ne fu tolta autorità a parole venerate. Dalle leggi passa-va l'imitazione insino agli abiti; perchè i magistrati furo-no ordinati vestirsi alla francese, mutato solo pei conso-li, senatori, e tribuni il color rosso in nero; la forma si-mile a quella dei quinqueviri, degli anziani, dei cinque-cento di Francia.Si crearono consoli per la prima volta Liborio Angeluccida Roma, Ennio Quirino Visconte da Roma, GiacomoDematteis da Frosinone, Panazzi d'Ancona, Reppid'Ancona. Ma variarono molto nella breve vita della re-

nomi Romani la constituzione Francese; imperciocchèsotto nome di consolato, di senato, di tribunato, di tribu-nale di alta pretura a di alta questura, vi era un diretto-rio, un consiglio degli anziani, un consiglio dei giovani,un tribunal di cassazione, e commissarj dei conti. A que-sti si aggiungevano gli altri fastidj servili delle ammini-strazioni centrali per ciascuno spartimento della repub-blica, e di una amministrazione centrale per ogni canto-ne. Si noverarono otto spartimenti, del Tevere, del Cimi-no, del Circeo, del Clitunno, del Metauro, del Musone,del Trasimeno, e del Tronto. Avevano per capitaliRoma, Anagni, Viterbo, Spoleto, Macerata, Sinigaglia,Perugia, e Fermo. Erano questi i magistrati; le leggi,come quella di Francia. Nel che, oltre il copiar servile,gli uomini prudenti osserveranno, quanto inetto fosse ildare nomi medesimi a cose diverse, e quanto dannosoalla libertà il servirsi di nomi antichi, che suonavano po-tenza e libertà, in uno stato di oppressione, e di servitù.Ne fu tolta autorità a parole venerate. Dalle leggi passa-va l'imitazione insino agli abiti; perchè i magistrati furo-no ordinati vestirsi alla francese, mutato solo pei conso-li, senatori, e tribuni il color rosso in nero; la forma si-mile a quella dei quinqueviri, degli anziani, dei cinque-cento di Francia.Si crearono consoli per la prima volta Liborio Angeluccida Roma, Ennio Quirino Visconte da Roma, GiacomoDematteis da Frosinone, Panazzi d'Ancona, Reppid'Ancona. Ma variarono molto nella breve vita della re-

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pubblica Romana i consoli, perchè si scambiavano adun primo capriccio del generale, o del commissario diFrancia. Fu instituito segretario del consolato un Bassal,il quale già mandato da Buonaparte a fomentare la rivo-luzione di Venezia, se n'era ora venuto a fomentar quelladi Roma. Chiamaronsi ministri un Torriglioni, un Ca-millo Corona, un Mariotti, un Bremond Francese.Come se gli spogli, le tasse violente, i comandamentinon solo imperiosi, ma ancora capricciosi abbastanzanon avvertissero i Romani della servitù, inserirono iquattro commissarj nella constituzione Romana questocapitolo, che fu il trecentesimo sessagesimonono, che siavesse a fare, al più presto, un trattato d'alleanza tra larepubblica Romana e la Francese; che insino a che que-sto trattato fosse ratificato, tutte le leggi fatte dai duecorpi legislativi Romani non potessero essere nè pubbli-cate, nè eseguite senza l'approvazione del generale Fran-cese che stava al governo di Roma; che il generale me-desimo potesse di sua propria autorità fare tutte quelleleggi, che a lui paressero necessarie, conformandosi nonostante alle instruzioni del direttorio.La constituzione Romana aveva posto a difficile partitocoloro, che occupavano le cariche ancora sussistenti delgoverno precedente, e generalmente tutti coloro, che,sentendo tuttavìa a norma delle antiche massime, eranopure obbligati, per le necessità loro, a servire allo statonuovo. Era nella constituzione un capitolo, che ordinavadi giurar odio alla monarchìa, fedeltà ed attaccamento

pubblica Romana i consoli, perchè si scambiavano adun primo capriccio del generale, o del commissario diFrancia. Fu instituito segretario del consolato un Bassal,il quale già mandato da Buonaparte a fomentare la rivo-luzione di Venezia, se n'era ora venuto a fomentar quelladi Roma. Chiamaronsi ministri un Torriglioni, un Ca-millo Corona, un Mariotti, un Bremond Francese.Come se gli spogli, le tasse violente, i comandamentinon solo imperiosi, ma ancora capricciosi abbastanzanon avvertissero i Romani della servitù, inserirono iquattro commissarj nella constituzione Romana questocapitolo, che fu il trecentesimo sessagesimonono, che siavesse a fare, al più presto, un trattato d'alleanza tra larepubblica Romana e la Francese; che insino a che que-sto trattato fosse ratificato, tutte le leggi fatte dai duecorpi legislativi Romani non potessero essere nè pubbli-cate, nè eseguite senza l'approvazione del generale Fran-cese che stava al governo di Roma; che il generale me-desimo potesse di sua propria autorità fare tutte quelleleggi, che a lui paressero necessarie, conformandosi nonostante alle instruzioni del direttorio.La constituzione Romana aveva posto a difficile partitocoloro, che occupavano le cariche ancora sussistenti delgoverno precedente, e generalmente tutti coloro, che,sentendo tuttavìa a norma delle antiche massime, eranopure obbligati, per le necessità loro, a servire allo statonuovo. Era nella constituzione un capitolo, che ordinavadi giurar odio alla monarchìa, fedeltà ed attaccamento

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alla repubblica. Papa Pio aveva udito dal suo secessodella Certosa di Firenze, che il governo della repubblicaesigeva questo giuramento da tutto il clero, e dai parochidi Roma. Volendo per regola delle coscienze definirequesta materia, e parendogli, che non si convenisse aiministri della religione il giurar odio ad alcuna forma digoverno, scrisse un breve a monsignor Passeri, vice ge-rente di Roma, ammonendolo non esser lecito prestarpuramente, e semplicemente il giuramento suddetto, edordinandogli di notificare agi'intimati questa sua deci-sione pontificia e di avvertire, che l'eseguissero. Ma sic-come, continuava a discorrere, interessava anche moltis-simo, che la repubblica fosse persuasa della rettitudinedelle massime del clero di Roma relativamente al repub-blicano governo conformi in tutto agl'insegnamenti dellacattolica religione, così statuiva, che ciascuno potessecon sicura coscienza giurar fedeltà e soggezione alla re-pubblica, che attualmente comandava, essendo statounanime insegnamento de' Santi Padri, e della chiesa,che sia dovuta fedeltà e subordinazione a chi, secondo levarietà dei tempi, ha in mano le redini del governo, o siaa chi attualmente comanda. Definì inoltre, che ciascunopotesse giurare di non prender parte in qualsivoglia con-giura, trama, o sedizione pel ristabilimento della monar-chìa, e contro la repubblica; e potesse altresì giurareodio all'anarchìa, essendo questa uno stato di disordine.Finalmente deliberò, che si potesse giurare fedeltà ed at-taccamento alla constituzione, salva peraltro la cattolicareligione. Pensava papa Pio, che i magistrati della re-

alla repubblica. Papa Pio aveva udito dal suo secessodella Certosa di Firenze, che il governo della repubblicaesigeva questo giuramento da tutto il clero, e dai parochidi Roma. Volendo per regola delle coscienze definirequesta materia, e parendogli, che non si convenisse aiministri della religione il giurar odio ad alcuna forma digoverno, scrisse un breve a monsignor Passeri, vice ge-rente di Roma, ammonendolo non esser lecito prestarpuramente, e semplicemente il giuramento suddetto, edordinandogli di notificare agi'intimati questa sua deci-sione pontificia e di avvertire, che l'eseguissero. Ma sic-come, continuava a discorrere, interessava anche moltis-simo, che la repubblica fosse persuasa della rettitudinedelle massime del clero di Roma relativamente al repub-blicano governo conformi in tutto agl'insegnamenti dellacattolica religione, così statuiva, che ciascuno potessecon sicura coscienza giurar fedeltà e soggezione alla re-pubblica, che attualmente comandava, essendo statounanime insegnamento de' Santi Padri, e della chiesa,che sia dovuta fedeltà e subordinazione a chi, secondo levarietà dei tempi, ha in mano le redini del governo, o siaa chi attualmente comanda. Definì inoltre, che ciascunopotesse giurare di non prender parte in qualsivoglia con-giura, trama, o sedizione pel ristabilimento della monar-chìa, e contro la repubblica; e potesse altresì giurareodio all'anarchìa, essendo questa uno stato di disordine.Finalmente deliberò, che si potesse giurare fedeltà ed at-taccamento alla constituzione, salva peraltro la cattolicareligione. Pensava papa Pio, che i magistrati della re-

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pubblica non avrebbero rigettato questa formola, giac-chè era in tutto conforme, come si esprimeva, all'atto delpopolo sovrano dei quindici febbrajo del 1798, con cuiil popolo riunito innanzi a Dio, ed al mondo tutto, conun sol animo, ed una sola voce aveva dichiarato, volersalva la religione, quale di presente venerava ed osser-vava, cioè la religione cattolica. Ma partito da Romamonsignor Passeri, e succedutogli nella carica di vicegerente l'arcivescovo di Nassanzio, quest'ultimo di pro-pria autorità, e contro le intenzioni del papa, diede unaseconda instruzione, per cui i professori del collegio Ro-mano e della sapienza si credettero autorizzati a presta-re, come fecero, il giuramento tale qual era prescritodalla constituzione, solo facendo verbalmente qualcheprotestazione. Udì gravemente il papa quest'accidente, erescrivendo all'arcivescovo, lo ammonì di nuovo dellesue intenzioni, gli comandò, richiamasse la seconda in-struzione, e si lamentò, che per lei, e per l'esempio deiprofessori soprannominati sembrasse, che Roma giàmaestra di verità, si fosse fatta maestra dell'errore. Sa-vie, prudenti, e conducevoli alla quiete dello stato eranoqueste sentenze di Pio. Da loro si può dedurre un utileammaestramento, e quest'è, che la religione è, edebb'essere tutta spirituale, e che non le è lecito l'inge-rirsi nella forma del governo politico delle nazioni. In-tanto questa faccenda dei giuramenti, per l'ordinario tan-to gelosa, si rammorbidì facilmente sì per la prudenzadel papa, come per la sopportazione dei magistrati dellarepubblica, nè produsse, come si temeva, o movimenti,

pubblica non avrebbero rigettato questa formola, giac-chè era in tutto conforme, come si esprimeva, all'atto delpopolo sovrano dei quindici febbrajo del 1798, con cuiil popolo riunito innanzi a Dio, ed al mondo tutto, conun sol animo, ed una sola voce aveva dichiarato, volersalva la religione, quale di presente venerava ed osser-vava, cioè la religione cattolica. Ma partito da Romamonsignor Passeri, e succedutogli nella carica di vicegerente l'arcivescovo di Nassanzio, quest'ultimo di pro-pria autorità, e contro le intenzioni del papa, diede unaseconda instruzione, per cui i professori del collegio Ro-mano e della sapienza si credettero autorizzati a presta-re, come fecero, il giuramento tale qual era prescritodalla constituzione, solo facendo verbalmente qualcheprotestazione. Udì gravemente il papa quest'accidente, erescrivendo all'arcivescovo, lo ammonì di nuovo dellesue intenzioni, gli comandò, richiamasse la seconda in-struzione, e si lamentò, che per lei, e per l'esempio deiprofessori soprannominati sembrasse, che Roma giàmaestra di verità, si fosse fatta maestra dell'errore. Sa-vie, prudenti, e conducevoli alla quiete dello stato eranoqueste sentenze di Pio. Da loro si può dedurre un utileammaestramento, e quest'è, che la religione è, edebb'essere tutta spirituale, e che non le è lecito l'inge-rirsi nella forma del governo politico delle nazioni. In-tanto questa faccenda dei giuramenti, per l'ordinario tan-to gelosa, si rammorbidì facilmente sì per la prudenzadel papa, come per la sopportazione dei magistrati dellarepubblica, nè produsse, come si temeva, o movimenti,

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o persecuzioni d'importanza.Creata la repubblica Romana, si spegneva l'Anconitana,la quale non era stata mai altro, che un appicco contro ilpapa, l suoi territorj, salvo San Leo, s'incorporarono allaRomana.Il dì venti marzo si celebrava nella vastissima piazza delVaticano, la confederazione della repubblica Romana aguisa di quella, che fu da noi descritta della Cisalpina.Furonvi archi trionfali, sinfonìe, illuminazioni, canti,balli; magnifica festa, ma con molto schiamazzo, e mol-te satire alla Romanesca. Saliva con grande apparato sulCampidoglio Dallemagne, chiamava i senatori, apriva ilsenato, spiegava al vento la Romana bandiera. Poi insti-tuiva il tribunato, quindi i consoli sulla piazza del Vati-cano; bandiva la constituzione, dichiarava Roma libera;i consoli dall'alto della scalea giuravano. Si coniava po-scia, pure Romanescamente al solito, la medaglia adula-toria, bella assai, e con questi motti: “Berthier restitutorurbis”, e “Gallici salus generis humani”.

FINE DEL TOMO III

o persecuzioni d'importanza.Creata la repubblica Romana, si spegneva l'Anconitana,la quale non era stata mai altro, che un appicco contro ilpapa, l suoi territorj, salvo San Leo, s'incorporarono allaRomana.Il dì venti marzo si celebrava nella vastissima piazza delVaticano, la confederazione della repubblica Romana aguisa di quella, che fu da noi descritta della Cisalpina.Furonvi archi trionfali, sinfonìe, illuminazioni, canti,balli; magnifica festa, ma con molto schiamazzo, e mol-te satire alla Romanesca. Saliva con grande apparato sulCampidoglio Dallemagne, chiamava i senatori, apriva ilsenato, spiegava al vento la Romana bandiera. Poi insti-tuiva il tribunato, quindi i consoli sulla piazza del Vati-cano; bandiva la constituzione, dichiarava Roma libera;i consoli dall'alto della scalea giuravano. Si coniava po-scia, pure Romanescamente al solito, la medaglia adula-toria, bella assai, e con questi motti: “Berthier restitutorurbis”, e “Gallici salus generis humani”.

FINE DEL TOMO III

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INDICE DEL PRESENTE VOLUME

1797

Nuovi pensieri di BuonaparteSi accosta all'AlemagnaThugut, ministro AustriacoParole di Buonaparte ai soldatiDisposizioni dell'AustriaDebolezza morale del suo esercitoCarlo arciduca viene in ItaliaDisposizione dell'esercito AustriacoDifferenza tra Carlo e BuonaparteLusignano si arrende prigione ai FrancesiFrancesi passano la PiaveE il TagliamentoSchulz generale prigionieroJoubert in TiroloRompe LaudonKerpen si ritira a SterzingJoubert prende BrissioTirolesi all'armiProgressi di LaudonJoubert si ritira a LinzoLaudon prende Trento e RoveredoOcskay custodisce male la Ponteba

INDICE DEL PRESENTE VOLUME

1797

Nuovi pensieri di BuonaparteSi accosta all'AlemagnaThugut, ministro AustriacoParole di Buonaparte ai soldatiDisposizioni dell'AustriaDebolezza morale del suo esercitoCarlo arciduca viene in ItaliaDisposizione dell'esercito AustriacoDifferenza tra Carlo e BuonaparteLusignano si arrende prigione ai FrancesiFrancesi passano la PiaveE il TagliamentoSchulz generale prigionieroJoubert in TiroloRompe LaudonKerpen si ritira a SterzingJoubert prende BrissioTirolesi all'armiProgressi di LaudonJoubert si ritira a LinzoLaudon prende Trento e RoveredoOcskay custodisce male la Ponteba

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È battuto da MassenaVittoria di Tarvisio e di RaibelL'arciduca pensa a difendersiDifferenza nel combattere de' Francesi e TedeschiBuonaparte a ClagenfurtScrive all'arciducaRisposta che ne riceveTrattato di LeobenClarke a che avesse esortato l'imperatoreTradimento che si ordisce contro VeneziaBaraguay d'Hilliers s'impadronisce di BergamoPodestà OttoliniCongregazione segreta in MilanoLandrieuxSegretario StefaniAvvocato SerpieriMembri della congregazione segretaBattaglia provveditoreRivoluzione in BergamoLefevre comandanteScaccia Ottolini da BergamoRivoluzione di BresciaVincentiIncertezze del BattagliaScrive a BuonaparteAntonio Niccolini conduce gente contro BresciaMocenigo podestàMinaccie di LecchiBattaglia cede

È battuto da MassenaVittoria di Tarvisio e di RaibelL'arciduca pensa a difendersiDifferenza nel combattere de' Francesi e TedeschiBuonaparte a ClagenfurtScrive all'arciducaRisposta che ne riceveTrattato di LeobenClarke a che avesse esortato l'imperatoreTradimento che si ordisce contro VeneziaBaraguay d'Hilliers s'impadronisce di BergamoPodestà OttoliniCongregazione segreta in MilanoLandrieuxSegretario StefaniAvvocato SerpieriMembri della congregazione segretaBattaglia provveditoreRivoluzione in BergamoLefevre comandanteScaccia Ottolini da BergamoRivoluzione di BresciaVincentiIncertezze del BattagliaScrive a BuonaparteAntonio Niccolini conduce gente contro BresciaMocenigo podestàMinaccie di LecchiBattaglia cede

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Mocenigo fuggePisani stato molto tempo nei piombiQuerele del SenatoPesaro e Corner mandati a BuonaparteRisposta di questiMinaccia di LandrieuxRisposta di uno del direttorio al nobile QueriniLusinghe di KilmaineRivoluzione di CremaL'Hermite a CremaGambazocca, Asperti, Locatelli, RominiDifferenza tra Brescia e BergamoInsidie contro VeronaIl capitano PicoSchiavoni mandati a VeronaGiovanelli ed Erizzo provveditoriConte Francesco degli EmiliConte Verità e conte ValenzaDue Castelli come taglieggiatoFatto di SalòCicogna provveditoreI popoli Veneti si armanoFalso manifesto attribuito al BattagliaSalvadori n'è l'autoreTermometro politico, giornaleMinaccie di LahozDimostrazioni ostili di Buonaparte contro VeneziaJunot mandato a VeneziaLettera di Buonaparte al doge

Mocenigo fuggePisani stato molto tempo nei piombiQuerele del SenatoPesaro e Corner mandati a BuonaparteRisposta di questiMinaccia di LandrieuxRisposta di uno del direttorio al nobile QueriniLusinghe di KilmaineRivoluzione di CremaL'Hermite a CremaGambazocca, Asperti, Locatelli, RominiDifferenza tra Brescia e BergamoInsidie contro VeronaIl capitano PicoSchiavoni mandati a VeronaGiovanelli ed Erizzo provveditoriConte Francesco degli EmiliConte Verità e conte ValenzaDue Castelli come taglieggiatoFatto di SalòCicogna provveditoreI popoli Veneti si armanoFalso manifesto attribuito al BattagliaSalvadori n'è l'autoreTermometro politico, giornaleMinaccie di LahozDimostrazioni ostili di Buonaparte contro VeneziaJunot mandato a VeneziaLettera di Buonaparte al doge

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Risposta del dogeAltre insolenti calunnie di BuonaparteSue proposte alla repubblica fatte da LallemandRisposta del senatoFrancesco Donato e Leonardo Giustiniani mandati a BuonaparteAvvisi dell'ambasciatore GrimaniAltri del QueriniVissovich e sue fraudiIngiustizia del direttorio contro QueriniFermenti nel VeroneseCapitano CarrerePrete MalenzaGenerale BallandSollevazione di VeronaGiovanelli provveditoreCapitano Caldogno e conte NogarolaPredica di Luigi Colloredo cappuccinoLaugier vuole entrare con legno armato nel porto di VeneziaDomenico PizzamanoIl legno Francese assaltato dagli SchiavoniTrattative per VeronaVerona si arrendeIl cappuccino Colloredo decapitatoRapine dei Francesi in VeronaBouquets commissario di guerraVerona taglieggiataLahoz fa rivoltar Vicenza

Risposta del dogeAltre insolenti calunnie di BuonaparteSue proposte alla repubblica fatte da LallemandRisposta del senatoFrancesco Donato e Leonardo Giustiniani mandati a BuonaparteAvvisi dell'ambasciatore GrimaniAltri del QueriniVissovich e sue fraudiIngiustizia del direttorio contro QueriniFermenti nel VeroneseCapitano CarrerePrete MalenzaGenerale BallandSollevazione di VeronaGiovanelli provveditoreCapitano Caldogno e conte NogarolaPredica di Luigi Colloredo cappuccinoLaugier vuole entrare con legno armato nel porto di VeneziaDomenico PizzamanoIl legno Francese assaltato dagli SchiavoniTrattative per VeronaVerona si arrendeIl cappuccino Colloredo decapitatoRapine dei Francesi in VeronaBouquets commissario di guerraVerona taglieggiataLahoz fa rivoltar Vicenza

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Furibonda lettera di BuonaparteI tre inquisitori e il comandante del Lido carceratiDonato e Giustiniani a BuonaparteRisposta che loro dàIntima guerra a VeneziaApprestamenti di VeneziaAdunanza in casa del doge ManinParole del dogeIl cavalier DolfinFrancesco PesaroZaccaria VallaressoGiuseppe Priuli e Niccolò ErizzoParole del procurator PesaroIl doge in gran consiglioPietro Antonio BemboFermezza di Angelo GiustinianiCommozioni in VeneziaGiovan Andrea SpadaTommaso Pietro ZorziGallino, Giuliani, Sordina, DandoloDoge ManinPietro DonatoFrancesco BattagliaTommaso CondulmerPriuli, ErizzoVilletard mette astio in VeneziaPerfidia di BuonaparteCapitoli di VeneziaTerrore nel gran consiglio

Furibonda lettera di BuonaparteI tre inquisitori e il comandante del Lido carceratiDonato e Giustiniani a BuonaparteRisposta che loro dàIntima guerra a VeneziaApprestamenti di VeneziaAdunanza in casa del doge ManinParole del dogeIl cavalier DolfinFrancesco PesaroZaccaria VallaressoGiuseppe Priuli e Niccolò ErizzoParole del procurator PesaroIl doge in gran consiglioPietro Antonio BemboFermezza di Angelo GiustinianiCommozioni in VeneziaGiovan Andrea SpadaTommaso Pietro ZorziGallino, Giuliani, Sordina, DandoloDoge ManinPietro DonatoFrancesco BattagliaTommaso CondulmerPriuli, ErizzoVilletard mette astio in VeneziaPerfidia di BuonaparteCapitoli di VeneziaTerrore nel gran consiglio

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L'aristocrazìa abolita in VeneziaDolore del popoloSorte di un pizzicagnoloI Francesi in VeneziaTrattato di pace tra la repub. Francese e VenezianaBuonaparte scrive a Faipoult a GenovaRusca, Serrurier, Brueys si accostano a GenovaGenova in pericoloAgostino Spinola banditoSpeziale MorandoVitaliani da NapoliSaliceti a GenovaFilippo DoriaTumulto in GenovaLe prigioni dischiuseSollevazione del popoloCaso di uno schiavo turcoGiacomo Brignole dogeIntimazioni di Buonaparte a GenovaRidomanda la mutazione del governoRusca verso GenovaSerrurierBrueys dinanzi al portoCambiaso, Carbonara e Serra a BuonapartePensieri di BuonaparteCapitoli tra Francia e GenovaCapi del nuovo governoVitaliani predica la libertàI nobili si nascondono

L'aristocrazìa abolita in VeneziaDolore del popoloSorte di un pizzicagnoloI Francesi in VeneziaTrattato di pace tra la repub. Francese e VenezianaBuonaparte scrive a Faipoult a GenovaRusca, Serrurier, Brueys si accostano a GenovaGenova in pericoloAgostino Spinola banditoSpeziale MorandoVitaliani da NapoliSaliceti a GenovaFilippo DoriaTumulto in GenovaLe prigioni dischiuseSollevazione del popoloCaso di uno schiavo turcoGiacomo Brignole dogeIntimazioni di Buonaparte a GenovaRidomanda la mutazione del governoRusca verso GenovaSerrurierBrueys dinanzi al portoCambiaso, Carbonara e Serra a BuonapartePensieri di BuonaparteCapitoli tra Francia e GenovaCapi del nuovo governoVitaliani predica la libertàI nobili si nascondono

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Giancarlo e Gerolamo SerraLibro d'oro abbruciatoStatua di Andrea DoriaCondizione di GenovaFeudi imperiali chiamati Monti LiguriPrete CuneoPersone chiamate a comporre la CostituzioneSolari, vescovo di NoliRiforme religiose in GenovaAvvocato Boccardi mandato a ParigiRivarola e Spinola richiamati da Parigi e da LondraDecreto estorsivo come sentitoRapine de' Barbareschi contro GenovaCasabianca e Duphot generali Francesi in GenovaSette in GenovaNobili arrestatiPopolazioni di Bisagno si levanoDuphot va ad incontrarliFrate Pezzuolo e Marcantonio da SoriSollevazione in PolceveraIl governo tratta coi sollevatiI sollevati sono battuti da Duphot e SerasFaipoult accusa Serra a Buonaparte e Serra accusa Faipoult e DuphotGenerale Lannes a GenovaNuova costituzione di GenovaBeniamino ConstantSottin sostituito a FaipoultFaccende di Piemonte

Giancarlo e Gerolamo SerraLibro d'oro abbruciatoStatua di Andrea DoriaCondizione di GenovaFeudi imperiali chiamati Monti LiguriPrete CuneoPersone chiamate a comporre la CostituzioneSolari, vescovo di NoliRiforme religiose in GenovaAvvocato Boccardi mandato a ParigiRivarola e Spinola richiamati da Parigi e da LondraDecreto estorsivo come sentitoRapine de' Barbareschi contro GenovaCasabianca e Duphot generali Francesi in GenovaSette in GenovaNobili arrestatiPopolazioni di Bisagno si levanoDuphot va ad incontrarliFrate Pezzuolo e Marcantonio da SoriSollevazione in PolceveraIl governo tratta coi sollevatiI sollevati sono battuti da Duphot e SerasFaipoult accusa Serra a Buonaparte e Serra accusa Faipoult e DuphotGenerale Lannes a GenovaNuova costituzione di GenovaBeniamino ConstantSottin sostituito a FaipoultFaccende di Piemonte

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Insinuazioni del conte Balbo a ParigiLettere di Buonaparte sugli ItalianiTrattato tra Francia e Sardegna e opposizioni che incontraTalleyrandConte di CastellengoDonino e Pasio arrestatiMoti a Novara e a FossanoBoyer e Berteux arrestatiAltri moti in Racconigi, Carignano, Chiari e MorettaE in AstiConte Avogadro a BiellaMoncalieri si sollevaCarlo Tenivelli, storico, suoi casiCondannato a morteProvvisioni sul caro dei viveriDiritti feudali soppressiI sollevati rimessi in obbedienzaLettere di BuonaparteRanza arrestatoSupplizj in PiemonteGoveano fatto morire contro la fedeBeyer e Berteux mandati al supplizioPensieri di BuonaparteMoti tra i Cisalpini, Termometro politicoSocietà di pubblica istruzioneDiscorsi che vi si fannoCondizione degli stati d'ItaliaGiuseppe Buonaparte e suo detto sui Romani

Insinuazioni del conte Balbo a ParigiLettere di Buonaparte sugli ItalianiTrattato tra Francia e Sardegna e opposizioni che incontraTalleyrandConte di CastellengoDonino e Pasio arrestatiMoti a Novara e a FossanoBoyer e Berteux arrestatiAltri moti in Racconigi, Carignano, Chiari e MorettaE in AstiConte Avogadro a BiellaMoncalieri si sollevaCarlo Tenivelli, storico, suoi casiCondannato a morteProvvisioni sul caro dei viveriDiritti feudali soppressiI sollevati rimessi in obbedienzaLettere di BuonaparteRanza arrestatoSupplizj in PiemonteGoveano fatto morire contro la fedeBeyer e Berteux mandati al supplizioPensieri di BuonaparteMoti tra i Cisalpini, Termometro politicoSocietà di pubblica istruzioneDiscorsi che vi si fannoCondizione degli stati d'ItaliaGiuseppe Buonaparte e suo detto sui Romani

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Tumulti in ValtellinaBuonaparte dà una costituzione alla CisalpinaPadre Gregorio FontanaSerbelloni, Moscati, Paradisi e Alessandri preposti al governo della CisalpinaAltre persone e corpi governativiFesta nel LazzarettoParole di SerbelloniGiuramento dei popoliDecreto del direttorio CisalpinoSocietà di pubblica instruzione fatta chiudereBologna, Imola, Ferrara si uniscono alla CisalpinaAltre aggregazioniCardinal ChiaramontiPredica in favore della democrazìaVisconti ambasciatore della Cisalpina a ParigiLa Cisalpina riconosciuta da varj statiMarescalchi mandato a ViennaConsigli della Cisalpina da chi compostiFrancesco GianniLettera di Buonaparte alla CisalpinaInsidie dei re contro la FranciaPichegruBarthelemì, CarnotBarrasIl diciotto fruttidoro, i congiurati o fugati, o mandati in esilioL'Austria tenta BuonaparteBuonaparte inganna i principi

Tumulti in ValtellinaBuonaparte dà una costituzione alla CisalpinaPadre Gregorio FontanaSerbelloni, Moscati, Paradisi e Alessandri preposti al governo della CisalpinaAltre persone e corpi governativiFesta nel LazzarettoParole di SerbelloniGiuramento dei popoliDecreto del direttorio CisalpinoSocietà di pubblica instruzione fatta chiudereBologna, Imola, Ferrara si uniscono alla CisalpinaAltre aggregazioniCardinal ChiaramontiPredica in favore della democrazìaVisconti ambasciatore della Cisalpina a ParigiLa Cisalpina riconosciuta da varj statiMarescalchi mandato a ViennaConsigli della Cisalpina da chi compostiFrancesco GianniLettera di Buonaparte alla CisalpinaInsidie dei re contro la FranciaPichegruBarthelemì, CarnotBarrasIl diciotto fruttidoro, i congiurati o fugati, o mandati in esilioL'Austria tenta BuonaparteBuonaparte inganna i principi

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Disegni di BarrasConte d'Entraigues arrestatoFugge da MilanoEspressione di Buonaparte che discuopre la sua ambizioneTrattato di CampoformioImpertinenti detti di TalleyrandCondizione di VeneziaGiuliani e DandoloVidiman e JablovitzVictor generaleSavonarolaPadovani negano l'acqua dolce a VeneziaI Tedeschi s'impadroniscono dell'IstriaMoti in DalmaziaSollevazione di Traù e di SebenicoQueriniZara in mano degli AustriaciAffezione de' soldati al vessillo di san MarcoTutta la Dalmazia in potere de' TedeschiQuerele dei municipaliI Francesi pensano ad aversi le isole JonicheBrueysVidiman governatore di CorfùBaraguey d'HilliersGenerale GentiliBourdè, capitano di naveArnauldFrancesi sbarcano a Corfù

Disegni di BarrasConte d'Entraigues arrestatoFugge da MilanoEspressione di Buonaparte che discuopre la sua ambizioneTrattato di CampoformioImpertinenti detti di TalleyrandCondizione di VeneziaGiuliani e DandoloVidiman e JablovitzVictor generaleSavonarolaPadovani negano l'acqua dolce a VeneziaI Tedeschi s'impadroniscono dell'IstriaMoti in DalmaziaSollevazione di Traù e di SebenicoQueriniZara in mano degli AustriaciAffezione de' soldati al vessillo di san MarcoTutta la Dalmazia in potere de' TedeschiQuerele dei municipaliI Francesi pensano ad aversi le isole JonicheBrueysVidiman governatore di CorfùBaraguey d'HilliersGenerale GentiliBourdè, capitano di naveArnauldFrancesi sbarcano a Corfù

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RapineLe altre isole in poter dei FrancesiSchifose menzogne di BuonaparteTeotochi e Scordilli capi di parteRapporto di ArnauldEffetti dell'arrivo dei Francesi in CorfùSordina, arriva a CorfùBaraguey d'Hilliers domina in VeneziaVenezia spogliata dai FrancesiCavalli di LisippoLeoni del PireoTesoro del duca di ModenaI Romani in Grecia del BarzoniBarzoni vuole uccidere VilletardGenerosità di VilletardFesta funerea a VeneziaLa stessa festa proibita da Bernadotte in Udine e perchèCrudeltà di GuyeuxGiuseppina Buonaparte a VeneziaPratiche dei Veneziani per unirsi colla terrafermaBerthier rompe il congressoVenezia vuole unirsi alla CisalpinaDetti obliqui di BuonaparteTiene VicentinoDe Angeli e BuonaparteLa vendita di Venezia fatta manifestaGenerosa risoluzione di VidimanLettera di Villetard a BuonaparteRisposta di Buonaparte

RapineLe altre isole in poter dei FrancesiSchifose menzogne di BuonaparteTeotochi e Scordilli capi di parteRapporto di ArnauldEffetti dell'arrivo dei Francesi in CorfùSordina, arriva a CorfùBaraguey d'Hilliers domina in VeneziaVenezia spogliata dai FrancesiCavalli di LisippoLeoni del PireoTesoro del duca di ModenaI Romani in Grecia del BarzoniBarzoni vuole uccidere VilletardGenerosità di VilletardFesta funerea a VeneziaLa stessa festa proibita da Bernadotte in Udine e perchèCrudeltà di GuyeuxGiuseppina Buonaparte a VeneziaPratiche dei Veneziani per unirsi colla terrafermaBerthier rompe il congressoVenezia vuole unirsi alla CisalpinaDetti obliqui di BuonaparteTiene VicentinoDe Angeli e BuonaparteLa vendita di Venezia fatta manifestaGenerosa risoluzione di VidimanLettera di Villetard a BuonaparteRisposta di Buonaparte

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Altra lettera di VilletardDeliberazione dei VenezianiSerrurier e suoi atti barbariConsegna Venezia agli AustriaciSpogliazioni di RomaCacault, ministro del direttorio in RomaIl papa vuol condurre a' suoi soldi il generale ProveraTeofilantropia cosa fosseGiuseppe Buonaparte ministro a RomaDuphot e SherlockTumulto in RomaDuphot uccisoGiuseppe Buonaparte parte da RomaIl direttorio dichiara la guerra al papa

1798

Berthier marcia contro RomaSuo manifestoUmori in RomaDuca BraschiCardinale LorenzanaPrincipe Belmonte PignatelliCavaliere AzaraI repubblicani entrano in RomaAlbero della libertà in Campo VaccinoAtto del popolo Romano che si dichiara liberoCondizione del ponteficeE menato prigioniero

Altra lettera di VilletardDeliberazione dei VenezianiSerrurier e suoi atti barbariConsegna Venezia agli AustriaciSpogliazioni di RomaCacault, ministro del direttorio in RomaIl papa vuol condurre a' suoi soldi il generale ProveraTeofilantropia cosa fosseGiuseppe Buonaparte ministro a RomaDuphot e SherlockTumulto in RomaDuphot uccisoGiuseppe Buonaparte parte da RomaIl direttorio dichiara la guerra al papa

1798

Berthier marcia contro RomaSuo manifestoUmori in RomaDuca BraschiCardinale LorenzanaPrincipe Belmonte PignatelliCavaliere AzaraI repubblicani entrano in RomaAlbero della libertà in Campo VaccinoAtto del popolo Romano che si dichiara liberoCondizione del ponteficeE menato prigioniero

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Terremoto in SienaRapine in Roma e nei contorniVilla Albani saccheggiataOstensorio ricchissimoEsequie a DuphotMiserie dell'esercitoEstorsioni di Massena e di Haller accusateRipiego di MassenaGli ufficiali gli negano obbedienzaInsurrezione dei RomaniCardinali perseguitatiCommissarj Francesi a RomaCostituzione RomanaBreve lodevolissimo del papaL'arcivescovo di Nassanzio cambia di sua autorità il breveFesta della confederazione in Roma

FINE DELL'INDICE

PUBBLICATOIL 16 AGOSTO 1833

Terremoto in SienaRapine in Roma e nei contorniVilla Albani saccheggiataOstensorio ricchissimoEsequie a DuphotMiserie dell'esercitoEstorsioni di Massena e di Haller accusateRipiego di MassenaGli ufficiali gli negano obbedienzaInsurrezione dei RomaniCardinali perseguitatiCommissarj Francesi a RomaCostituzione RomanaBreve lodevolissimo del papaL'arcivescovo di Nassanzio cambia di sua autorità il breveFesta della confederazione in Roma

FINE DELL'INDICE

PUBBLICATOIL 16 AGOSTO 1833