Carlo F. Traverso (ePub) - Liber Liber · 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 10 gennaio 1998 INDICE DI...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Discorsi sopra la prima Deca di Tito LivioAUTORE: Machiavelli, NiccolòTRADUTTORE: CURATORE: Martelli, MarioNOTE:CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101116

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: [elaborazione da] "Ritratto di NiccolòMachiavelli" di Santi di Tito (1536-1603). - PalazzoVecchio, Firenze. - http://upload.wikimedia.org/wi-kipedia/commons/e/e2/Portrait_of_Niccol%C3%B2_Ma-chiavelli_by_Santi_di_Tito.jpg. - Pubblico Dominio.

TRATTO DA: Tutte le opere / Niccolò Machiavelli ; acura di Mario Martelli. - Firenze : Sansoni, ©1971.- LXIV, 1282 p. ; 22 cm.. - (Le voci del mondo). -[BNI] 722453.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

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TITOLO: Discorsi sopra la prima Deca di Tito LivioAUTORE: Machiavelli, NiccolòTRADUTTORE: CURATORE: Martelli, MarioNOTE:CODICE ISBN E-BOOK: 9788828101116

DIRITTI D'AUTORE: no

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 10 gennaio 1998

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SOGGETTO:POL010000 SCIENZE POLITICHE / Storia e Teoria

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IMPAGINAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] F. Traverso (ePub)Ugo Santamaria (revisione ePub)

PUBBLICAZIONE:Claudio Paganelli, [email protected] Santamaria

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1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 10 gennaio 1998

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Indice generale

Liber Liber............................................................................. 4Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio......................... 18LIBRO PRIMO.................................................................... 201 Quali siano stati universalmente i principii di qualunquecittà, e quale fusse quello di Roma...................................... 23

2 Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republi-ca romana................................................................................293 Quali accidenti facessono creare in Roma i Tribuni della Ple-be, il che fecela republica più perfetta....................................374 Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece liberae potente quella republica.......................................................395 Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nelPopolo o ne' Grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumul-tuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere...............426 Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via leinimicizie intra il Popolo ed il Senato.....................................467 Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mante-nerla in libertade......................................................................538 Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perni-ziose le calunnie......................................................................589 Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una re-pubblica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini ri-formarla...................................................................................6210 Quanto sono laudabili i fondatori d'una republica o d'unoregno, tanto quelli d'una tirannide sono vituperabili...............6611 Della religione de' Romani.................................................7112 Di quanta importanza sia tenere conto della religione, ecome la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa roma-

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Indice generale

Liber Liber............................................................................. 4Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio......................... 18LIBRO PRIMO.................................................................... 201 Quali siano stati universalmente i principii di qualunquecittà, e quale fusse quello di Roma...................................... 23

2 Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republi-ca romana................................................................................293 Quali accidenti facessono creare in Roma i Tribuni della Ple-be, il che fecela republica più perfetta....................................374 Che la disunione della Plebe e del Senato romano fece liberae potente quella republica.......................................................395 Dove più sicuramente si ponga la guardia della libertà, o nelPopolo o ne' Grandi; e quali hanno maggiore cagione di tumul-tuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere...............426 Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via leinimicizie intra il Popolo ed il Senato.....................................467 Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mante-nerla in libertade......................................................................538 Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perni-ziose le calunnie......................................................................589 Come egli è necessario essere solo a volere ordinare una re-pubblica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoi ordini ri-formarla...................................................................................6210 Quanto sono laudabili i fondatori d'una republica o d'unoregno, tanto quelli d'una tirannide sono vituperabili...............6611 Della religione de' Romani.................................................7112 Di quanta importanza sia tenere conto della religione, ecome la Italia, per esserne mancata mediante la Chiesa roma-

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na, è rovinata...........................................................................7613 Come i Romani si servivono della religione per riordinarela città e seguire le loro imprese e fermare i tumulti...............8014 I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, econ la prudenza mostravano di osservare la religione, quandoforzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la di-spregiava, punivano................................................................8315 I Sanniti, per estremo rimedio alle cose loro afflitte, ricorse-ro alla religione.......................................................................8616 Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualcheaccidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.. . .8817 Uno popolo corrotto, venuto in libertà, si può con difficultàgrandissima mantenere libero.................................................9318 In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere unostato libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo...........9719 Dopo uno eccellente principe si può mantenere uno princi-pe debole; ma, dopo uno debole, non si può con un altro debo-le mantenere alcuno regno....................................................10220 Dua continove successioni di principi virtuosi fanno grandieffetti; e come le republiche bene ordinate hanno di necessitàvirtuose successioni, e però gli acquisti ed augumenti lorosono grandi............................................................................10521 Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica chemanca d'armi proprie.............................................................10622 Quello che sia da notare nel caso de' tre Orazii romani e treCuriazii albani.......................................................................10823 Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e nontutte le forze; e, per questo, spesso il guardare i passi è danno-so...........................................................................................11024 Le republiche bene ordinate costituiscono premii e pene a'loro cittadini, né compensono mai l'uno con l'altro..............11325 Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ri-tenga almeno l'ombra de' modi antichi..................................115

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na, è rovinata...........................................................................7613 Come i Romani si servivono della religione per riordinarela città e seguire le loro imprese e fermare i tumulti...............8014 I Romani interpetravano gli auspizi secondo la necessità, econ la prudenza mostravano di osservare la religione, quandoforzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la di-spregiava, punivano................................................................8315 I Sanniti, per estremo rimedio alle cose loro afflitte, ricorse-ro alla religione.......................................................................8616 Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualcheaccidente diventa libero, con difficultà mantiene la libertà.. . .8817 Uno popolo corrotto, venuto in libertà, si può con difficultàgrandissima mantenere libero.................................................9318 In che modo nelle città corrotte si potesse mantenere unostato libero, essendovi; o, non vi essendo, ordinarvelo...........9719 Dopo uno eccellente principe si può mantenere uno princi-pe debole; ma, dopo uno debole, non si può con un altro debo-le mantenere alcuno regno....................................................10220 Dua continove successioni di principi virtuosi fanno grandieffetti; e come le republiche bene ordinate hanno di necessitàvirtuose successioni, e però gli acquisti ed augumenti lorosono grandi............................................................................10521 Quanto biasimo meriti quel principe e quella republica chemanca d'armi proprie.............................................................10622 Quello che sia da notare nel caso de' tre Orazii romani e treCuriazii albani.......................................................................10823 Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e nontutte le forze; e, per questo, spesso il guardare i passi è danno-so...........................................................................................11024 Le republiche bene ordinate costituiscono premii e pene a'loro cittadini, né compensono mai l'uno con l'altro..............11325 Chi vuole riformare uno stato anticato in una città libera, ri-tenga almeno l'ombra de' modi antichi..................................115

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26 Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui,debbe fare ogni cosa nuova...................................................11727 Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o altutto buoni.............................................................................11928 Per quale cagione i Romani furono meno ingrati contro agliloro cittadini che gli Ateniesi................................................12129 Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe.........12330 Quali modi debbe usare uno principe o una republica perfuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano oquel cittadino per non essere oppresso da quella..................12831 Che i capitani romani per errore commesso non furano maiistraordinariamente puniti; né furano mai ancora puniti quandoper la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro ne fusse segui-ti danni alla republica............................................................13132 Una republica o uno principe non debbe differire a benefi-care gli uomini nelle sue necessitadi.....................................13433 Quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o con-tro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che ur-tarlo.......................................................................................13634 L'autorità dittatoria fece bene, e non danno, alla Republicaromana: e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelleche sono loro dai suffragi liberi date, sono alla vita civile per-niziose...................................................................................14035 La cagione perché la creazione in Roma del Decemvirato funociva alla libertà di quella republica, non ostante che fussecreato per suffragi publici e liberi.........................................14436 Non debbano i cittadini, che hanno avuti i maggiori onori,sdegnarsi de' minori..............................................................14637 Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria: e come fareuna legge in una republica, che riguardi assai indietro, e siacontro a una consuetudine antica della città, è scandolosissimo................................................................................................14838 Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno dili-

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26 Uno principe nuovo, in una città o provincia presa da lui,debbe fare ogni cosa nuova...................................................11727 Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o altutto buoni.............................................................................11928 Per quale cagione i Romani furono meno ingrati contro agliloro cittadini che gli Ateniesi................................................12129 Quale sia più ingrato, o uno popolo o uno principe.........12330 Quali modi debbe usare uno principe o una republica perfuggire questo vizio della ingratitudine; e quali quel capitano oquel cittadino per non essere oppresso da quella..................12831 Che i capitani romani per errore commesso non furano maiistraordinariamente puniti; né furano mai ancora puniti quandoper la ignoranza loro o tristi partiti presi da loro ne fusse segui-ti danni alla republica............................................................13132 Una republica o uno principe non debbe differire a benefi-care gli uomini nelle sue necessitadi.....................................13433 Quando uno inconveniente è cresciuto o in uno stato o con-tro a uno stato, è più salutifero partito temporeggiarlo che ur-tarlo.......................................................................................13634 L'autorità dittatoria fece bene, e non danno, alla Republicaromana: e come le autorità che i cittadini si tolgono, non quelleche sono loro dai suffragi liberi date, sono alla vita civile per-niziose...................................................................................14035 La cagione perché la creazione in Roma del Decemvirato funociva alla libertà di quella republica, non ostante che fussecreato per suffragi publici e liberi.........................................14436 Non debbano i cittadini, che hanno avuti i maggiori onori,sdegnarsi de' minori..............................................................14637 Quali scandoli partorì in Roma la legge agraria: e come fareuna legge in una republica, che riguardi assai indietro, e siacontro a una consuetudine antica della città, è scandolosissimo................................................................................................14838 Le republiche deboli sono male risolute e non si sanno dili-

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berare; e se le pigliano mai alcun partito, nasce più da necessi-tà che da elezione..................................................................15339 In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti................................................................................................15740 La creazione del Decemvirato in Roma, e quello che in essaè da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come sipuò o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica................................................................................................16041 Saltare dalla umiltà alla superbia, dalla piatà alla crudeltà,sanza i debiti mezzi, è cosa imprudente e inutile..................16842 Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere.....16943 Quegli che combattono per la gloria propria, sono buoni efedeli soldati..........................................................................17044 Una moltitudine sanza capo è inutile: e come e' non si deb-be minacciare prima ,e poi chiedere l'autorità.......................17245 È cosa di malo esemplo non osservare una legge fatta, emassime dallo autore d'essa; e rinfrescare ogni dì nuove ingiu-rie in una città, è, a chi la governa, dannosissimo.................17446 Li uomini salgono da una ambizione a un'altra; e prima sicerca non essere offeso, dipoi si offende altrui.....................17747 Gli uomini, come che s'ingannino ne' generali, ne' particula-ri non s'ingannono.................................................................18048 Chi vuole che uno magistrato non sia dato a uno vile o auno cattivo, lo facci domandare o a uno troppo vile e troppocattivo o a uno troppo nobile e troppo buono.......................18549 Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, comeRoma, hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino:quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una im-possibilità..............................................................................18650 Non debba uno consiglio o uno magistrato potere fermarele azioni delle città................................................................19051 Una republica o uno principe debbe mostrare di fare per li-beralità quello a che la necessità lo constringe.....................192

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berare; e se le pigliano mai alcun partito, nasce più da necessi-tà che da elezione..................................................................15339 In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti................................................................................................15740 La creazione del Decemvirato in Roma, e quello che in essaè da notare: dove si considera, intra molte altre cose, come sipuò o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica................................................................................................16041 Saltare dalla umiltà alla superbia, dalla piatà alla crudeltà,sanza i debiti mezzi, è cosa imprudente e inutile..................16842 Quanto gli uomini facilmente si possono corrompere.....16943 Quegli che combattono per la gloria propria, sono buoni efedeli soldati..........................................................................17044 Una moltitudine sanza capo è inutile: e come e' non si deb-be minacciare prima ,e poi chiedere l'autorità.......................17245 È cosa di malo esemplo non osservare una legge fatta, emassime dallo autore d'essa; e rinfrescare ogni dì nuove ingiu-rie in una città, è, a chi la governa, dannosissimo.................17446 Li uomini salgono da una ambizione a un'altra; e prima sicerca non essere offeso, dipoi si offende altrui.....................17747 Gli uomini, come che s'ingannino ne' generali, ne' particula-ri non s'ingannono.................................................................18048 Chi vuole che uno magistrato non sia dato a uno vile o auno cattivo, lo facci domandare o a uno troppo vile e troppocattivo o a uno troppo nobile e troppo buono.......................18549 Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, comeRoma, hanno difficultà a trovare legge che le mantenghino:quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una im-possibilità..............................................................................18650 Non debba uno consiglio o uno magistrato potere fermarele azioni delle città................................................................19051 Una republica o uno principe debbe mostrare di fare per li-beralità quello a che la necessità lo constringe.....................192

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52 A reprimere la insolenzia d'uno che surga in una republicapotente, non vi è più sicuro e meno scandoloso modo, che pre-occuparli quelle vie per le quali viene a quella potenza.......19353 Il popolo molte volte disidera la rovina sua, ingannato dauna falsa spezie di beni: e come le grandi speranze e gagliardepromesse facilmente lo muovono.........................................19654 Quanta autorità abbi uno uomo grave a frenare una moltitu-dine concitata........................................................................20155 Quanto facilmente si conduchino le cose in quella cittàdove la moltitudine non è corrotta: e che, dove è equalità, nonsi può fare principato; e dove la non è, non si può fare republi-ca...........................................................................................20356 Innanzi che seguino i grandi accidenti in una città o in unaprovincia, vengono segni che gli pronosticono, o uomini chegli predicano..........................................................................20957 La Plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole..............21158 La moltitudine è più savia e più costante che uno principe................................................................................................21359 Di quale confederazione o lega altri si può più fidare; o diquella fatta con una republica, o di quella fatta con uno princi-pe...........................................................................................22060 Come il Consolato e qualunque altro magistrato in Roma sidava sanza rispetto di età......................................................223

LIBRO SECONDO........................................................... 2251 Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i roma-ni, o la virtù, o la fortuna.......................................................2302 Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come osti-natamente quegli difendevono la loro libertà........................2353 Roma divenne gran città rovinando le città circunvicine, e ri-cevendo i forestieri facilmente a' suoi onori.........................2434 Le republiche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare......2465 Che la variazione delle sètte e delle lingue, insieme conl'accidente de' diluvii o della peste, spegne le memorie delle

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52 A reprimere la insolenzia d'uno che surga in una republicapotente, non vi è più sicuro e meno scandoloso modo, che pre-occuparli quelle vie per le quali viene a quella potenza.......19353 Il popolo molte volte disidera la rovina sua, ingannato dauna falsa spezie di beni: e come le grandi speranze e gagliardepromesse facilmente lo muovono.........................................19654 Quanta autorità abbi uno uomo grave a frenare una moltitu-dine concitata........................................................................20155 Quanto facilmente si conduchino le cose in quella cittàdove la moltitudine non è corrotta: e che, dove è equalità, nonsi può fare principato; e dove la non è, non si può fare republi-ca...........................................................................................20356 Innanzi che seguino i grandi accidenti in una città o in unaprovincia, vengono segni che gli pronosticono, o uomini chegli predicano..........................................................................20957 La Plebe insieme è gagliarda, di per sé è debole..............21158 La moltitudine è più savia e più costante che uno principe................................................................................................21359 Di quale confederazione o lega altri si può più fidare; o diquella fatta con una republica, o di quella fatta con uno princi-pe...........................................................................................22060 Come il Consolato e qualunque altro magistrato in Roma sidava sanza rispetto di età......................................................223

LIBRO SECONDO........................................................... 2251 Quale fu più cagione dello imperio che acquistarono i roma-ni, o la virtù, o la fortuna.......................................................2302 Con quali popoli i Romani ebbero a combattere, e come osti-natamente quegli difendevono la loro libertà........................2353 Roma divenne gran città rovinando le città circunvicine, e ri-cevendo i forestieri facilmente a' suoi onori.........................2434 Le republiche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare......2465 Che la variazione delle sètte e delle lingue, insieme conl'accidente de' diluvii o della peste, spegne le memorie delle

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cose........................................................................................2526 Come i Romani procedevano nel fare la guerra.................2557 Quanto terreno i Romani davano per colono.....................2588 La cagione perché i popoli si partono da' luoghi patrii, edinondano il paese altrui.........................................................2599 Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra ipotenti....................................................................................26410 I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la co-mune opinione.......................................................................26611 Non è partito prudente fare amicizia con uno principe cheabbia più opinione che forze.................................................27112 S'egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire oaspettare la guerra.................................................................27313 Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude; checon la forza............................................................................27914 Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umiltàvincere la superbia................................................................28215 Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sem-pre le diliberazioni lente sono nocive...................................28416 Quanto i soldati de' nostri tempi si disformino dagli antichiordini.....................................................................................28817 Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne' presenti tempile artiglierie; e se quella opinione, che se ne ha in universale, èvera........................................................................................29418 Come per l'autorità de' Romani, e per lo esemplo della anti-ca milizia, si debba stimare più le fanterie che i cavagli.......30319 Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e chesecondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non adesaltazione di esse.................................................................31020 Quale pericolo porti quel principe o quella republica che sivale della milizia ausiliare o mercenaria...............................31621 Il primo Pretore ch'e' Romani mandarono in alcuno luogo,fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a fare

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cose........................................................................................2526 Come i Romani procedevano nel fare la guerra.................2557 Quanto terreno i Romani davano per colono.....................2588 La cagione perché i popoli si partono da' luoghi patrii, edinondano il paese altrui.........................................................2599 Quali cagioni comunemente faccino nascere le guerre intra ipotenti....................................................................................26410 I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è la co-mune opinione.......................................................................26611 Non è partito prudente fare amicizia con uno principe cheabbia più opinione che forze.................................................27112 S'egli è meglio, temendo di essere assaltato, inferire oaspettare la guerra.................................................................27313 Che si viene di bassa a gran fortuna più con la fraude; checon la forza............................................................................27914 Ingannansi molte volte gli uomini, credendo con la umiltàvincere la superbia................................................................28215 Gli stati deboli sempre fiano ambigui nel risolversi: e sem-pre le diliberazioni lente sono nocive...................................28416 Quanto i soldati de' nostri tempi si disformino dagli antichiordini.....................................................................................28817 Quanto si debbino stimare dagli eserciti ne' presenti tempile artiglierie; e se quella opinione, che se ne ha in universale, èvera........................................................................................29418 Come per l'autorità de' Romani, e per lo esemplo della anti-ca milizia, si debba stimare più le fanterie che i cavagli.......30319 Che gli acquisti nelle republiche non bene ordinate, e chesecondo la romana virtù non procedano, sono a ruina, non adesaltazione di esse.................................................................31020 Quale pericolo porti quel principe o quella republica che sivale della milizia ausiliare o mercenaria...............................31621 Il primo Pretore ch'e' Romani mandarono in alcuno luogo,fu a Capova, dopo quattrocento anni che cominciarono a fare

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guerra....................................................................................31922 Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini nelgiudicare le cose grandi.........................................................32223 Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno acciden-te che necessitasse tale giudizio fuggivano la via del mezzo................................................................................................32624 Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili................................................................................................33125 Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediantela sua disunione, è partito contrario......................................34026 Il vilipendio e l'improperio genera odio contro a coloro chel'usano, sanza alcuna loro utilità...........................................34227 Ai principi e republiche prudenti debbe bastare vincere;perché, il più delle volte, quando e' non basta, si perde........34528 Quanto sia pericoloso a una republica o a uno principe nonvendicare una ingiuria fatta contro al publico o contro al priva-to............................................................................................34929 La fortuna acceca gli animi degli uomini, quando la nonvuole che quegli si opponghino a' disegni suoi.....................35230 Le republiche e gli principi veramente potenti non compe-rono l'amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazionedelle forze..............................................................................35631 Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi.....................36132 In quanti modi i Romani occupavano le terre..................36333 Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti lecommissioni libere................................................................368

LIBRO TERZO................................................................. 3711 A volere che una setta o una republica viva lungamente, ènecessario ritirarla spesso verso il suo principio...................3722 Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia................................................................................................3793 Come egli è necessario, a volere mantenere una libertà ac-quistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto.................382

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guerra....................................................................................31922 Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini nelgiudicare le cose grandi.........................................................32223 Quanto i Romani nel giudicare i sudditi per alcuno acciden-te che necessitasse tale giudizio fuggivano la via del mezzo................................................................................................32624 Le fortezze generalmente sono molto più dannose che utili................................................................................................33125 Che lo assaltare una città disunita, per occuparla mediantela sua disunione, è partito contrario......................................34026 Il vilipendio e l'improperio genera odio contro a coloro chel'usano, sanza alcuna loro utilità...........................................34227 Ai principi e republiche prudenti debbe bastare vincere;perché, il più delle volte, quando e' non basta, si perde........34528 Quanto sia pericoloso a una republica o a uno principe nonvendicare una ingiuria fatta contro al publico o contro al priva-to............................................................................................34929 La fortuna acceca gli animi degli uomini, quando la nonvuole che quegli si opponghino a' disegni suoi.....................35230 Le republiche e gli principi veramente potenti non compe-rono l'amicizie con danari, ma con la virtù e con la riputazionedelle forze..............................................................................35631 Quanto sia pericoloso credere agli sbanditi.....................36132 In quanti modi i Romani occupavano le terre..................36333 Come i Romani davano agli loro capitani degli eserciti lecommissioni libere................................................................368

LIBRO TERZO................................................................. 3711 A volere che una setta o una republica viva lungamente, ènecessario ritirarla spesso verso il suo principio...................3722 Come egli è cosa sapientissima simulare in tempo la pazzia................................................................................................3793 Come egli è necessario, a volere mantenere una libertà ac-quistata di nuovo, ammazzare i figliuoli di Bruto.................382

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4 Non vive sicuro uno principe in uno principato, mentre vivo-no coloro che ne sono stati spogliati.....................................3845 Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia, di quello,ereditario...............................................................................3866 Delle congiure....................................................................3897 Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù, e dal-la servitù alla libertà, alcuna ne è sanza sangue, alcuna ne èpiena......................................................................................4188 Chi vuole alterare una republica, debbe considerare il sug-getto di quella........................................................................4209 Come conviene variare co' tempi volendo sempre avere buo-na fortuna..............................................................................42410 Che uno capitano non può fuggire la giornata, quandol'avversario la vuol fare in ogni modo...................................42711 Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, pureche possa sostenere gli primi impeti, vince...........................43312 Come uno capitano prudente debbe imporre ogni necessitàdi combattere a' suoi soldati, e, a quegli degli inimici, torla.43613 Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che ab-bia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il ca-pitano debole.........................................................................44114 Le invenzioni nuove, che appariscono nel mezzo della zuf-fa, e le voci nuove che si odino, quali effetti facciano..........44415 Che uno e non molti sieno preposti ad uno esercito, e comei più comandatori offendono.................................................44816 Che la vera virtù si va ne' tempi difficili, a trovare; e ne'tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quegli che per ric-chezze o per parentado hanno più grazia..............................45117 Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi inamministrazione e governo d'importanza.............................45518 Nessuna cosa è più degna d'uno capitano, che presentire ipartiti del nimico...................................................................45719 Se a reggere una moltitudine è più necessario l'ossequio che

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4 Non vive sicuro uno principe in uno principato, mentre vivo-no coloro che ne sono stati spogliati.....................................3845 Quello che fa perdere uno regno ad uno re che sia, di quello,ereditario...............................................................................3866 Delle congiure....................................................................3897 Donde nasce che le mutazioni dalla libertà alla servitù, e dal-la servitù alla libertà, alcuna ne è sanza sangue, alcuna ne èpiena......................................................................................4188 Chi vuole alterare una republica, debbe considerare il sug-getto di quella........................................................................4209 Come conviene variare co' tempi volendo sempre avere buo-na fortuna..............................................................................42410 Che uno capitano non può fuggire la giornata, quandol'avversario la vuol fare in ogni modo...................................42711 Che chi ha a fare con assai, ancora che sia inferiore, pureche possa sostenere gli primi impeti, vince...........................43312 Come uno capitano prudente debbe imporre ogni necessitàdi combattere a' suoi soldati, e, a quegli degli inimici, torla.43613 Dove sia più da confidare, o in uno buono capitano che ab-bia lo esercito debole, o in uno buono esercito che abbia il ca-pitano debole.........................................................................44114 Le invenzioni nuove, che appariscono nel mezzo della zuf-fa, e le voci nuove che si odino, quali effetti facciano..........44415 Che uno e non molti sieno preposti ad uno esercito, e comei più comandatori offendono.................................................44816 Che la vera virtù si va ne' tempi difficili, a trovare; e ne'tempi facili, non gli uomini virtuosi, ma quegli che per ric-chezze o per parentado hanno più grazia..............................45117 Che non si offenda uno, e poi quel medesimo si mandi inamministrazione e governo d'importanza.............................45518 Nessuna cosa è più degna d'uno capitano, che presentire ipartiti del nimico...................................................................45719 Se a reggere una moltitudine è più necessario l'ossequio che

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la pena...................................................................................46120 Uno esemplo di umanità appresso i Falisci potette più cheogni forza romana.................................................................46321 Donde nacque che Annibale, con diverso modo di procede-re da Scipione fece quelli medesimi effetti in Italia che quelloin Ispagna..............................................................................46522 Come la durezza di Manlio Torquato e la comità di ValerioCorvino acquistò a ciascuno la medesima gloria..................46923 Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma......47624 La prolungazione degl'imperii fece serva Roma..............47825 Della povertà di Cincinnato e di molti cittadini romani...48026 Come per cagione di femine si rovina uno stato..............48327 Come e' si ha ad unire una città divisa; e come e' non è veraquella opinione, che, a tenere le città, bisogni tenerle divise................................................................................................48528 Che si debbe por mente alle opere de' cittadini, perché mol-te volte sotto una opera pia si nasconde uno principio di tiran-nide........................................................................................48929 Che gli peccati de' popoli nascono dai principi...............49130 A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di suaautorità alcuna opera buona, è necessario, prima, spegnerel'invidia: e come, vedendo il nimico, si ha a ordinare la difesad'una città..............................................................................49331 Le republiche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ognifortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità........49832 Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una pace..........50333 Egli è necessario, a volere vincere una giornata, fare loesercito confidente ed infra loro e con il capitano................50534 Quale fama o voce o opinione fa che il popolo comincia afavorire uno cittadino: e se ei distribuisce i magistrati conmaggiore prudenza che un principe......................................50835 Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare unacosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori peri-

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la pena...................................................................................46120 Uno esemplo di umanità appresso i Falisci potette più cheogni forza romana.................................................................46321 Donde nacque che Annibale, con diverso modo di procede-re da Scipione fece quelli medesimi effetti in Italia che quelloin Ispagna..............................................................................46522 Come la durezza di Manlio Torquato e la comità di ValerioCorvino acquistò a ciascuno la medesima gloria..................46923 Per quale cagione Cammillo fusse cacciato di Roma......47624 La prolungazione degl'imperii fece serva Roma..............47825 Della povertà di Cincinnato e di molti cittadini romani...48026 Come per cagione di femine si rovina uno stato..............48327 Come e' si ha ad unire una città divisa; e come e' non è veraquella opinione, che, a tenere le città, bisogni tenerle divise................................................................................................48528 Che si debbe por mente alle opere de' cittadini, perché mol-te volte sotto una opera pia si nasconde uno principio di tiran-nide........................................................................................48929 Che gli peccati de' popoli nascono dai principi...............49130 A uno cittadino che voglia nella sua republica fare di suaautorità alcuna opera buona, è necessario, prima, spegnerel'invidia: e come, vedendo il nimico, si ha a ordinare la difesad'una città..............................................................................49331 Le republiche forti e gli uomini eccellenti ritengono in ognifortuna il medesimo animo e la loro medesima dignità........49832 Quali modi hanno tenuti alcuni a turbare una pace..........50333 Egli è necessario, a volere vincere una giornata, fare loesercito confidente ed infra loro e con il capitano................50534 Quale fama o voce o opinione fa che il popolo comincia afavorire uno cittadino: e se ei distribuisce i magistrati conmaggiore prudenza che un principe......................................50835 Quali pericoli si portano nel farsi capo a consigliare unacosa; e, quanto ella ha più dello istraordinario, maggiori peri-

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coli vi si corrono...................................................................51336 Le cagioni perché i Franciosi siano stati e siano ancora giu-dicati nelle zuffe, da principio più che uomini......................51737 Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie;e come si debbe fare a conoscere uno inimico nuovo, volendofuggire quelle........................................................................52038 Come debbe essere fatto uno capitano nel quale lo esercitosuo possa confidare...............................................................52439 Che uno capitano debbe essere conoscitore de' siti..........52640 Come usare la fraude nel maneggiare la guerra è cosa glo-riosa.......................................................................................52941 Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con glo-ria; ed in qualunque modo è bene difesa...............................53142 Che le promesse fatte per forza, non si debbono osservare................................................................................................53343 Che gli uomini, che nascono in una provincia, osservino pertutti i tempi quasi quella medesima natura............................53544 E' si ottiene con l'impeto e con l'audacia molte volte quelloche con modi ordinarii non si otterrebbe mai.......................53845 Quale sia migliore partito nelle giornate, o sostenere l'impe-to de' nimici, e, sostenuto, urtargli; ovvero da prima con furiaassaltargli..............................................................................54146 Donde nasce che una famiglia in una città tiene un tempo imedesimi costumi.................................................................54247 Che uno buono cittadino per amore della patria debbe di-menticare le ingiurie private.................................................54448 Quando si vede fare uno errore grande a uno nimico, sidebbe credere che vi sia sotto inganno..................................54549 Una republica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno dìbisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fa-bio fu chiamato Massimo......................................................547

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coli vi si corrono...................................................................51336 Le cagioni perché i Franciosi siano stati e siano ancora giu-dicati nelle zuffe, da principio più che uomini......................51737 Se le piccole battaglie innanzi alla giornata sono necessarie;e come si debbe fare a conoscere uno inimico nuovo, volendofuggire quelle........................................................................52038 Come debbe essere fatto uno capitano nel quale lo esercitosuo possa confidare...............................................................52439 Che uno capitano debbe essere conoscitore de' siti..........52640 Come usare la fraude nel maneggiare la guerra è cosa glo-riosa.......................................................................................52941 Che la patria si debbe difendere o con ignominia o con glo-ria; ed in qualunque modo è bene difesa...............................53142 Che le promesse fatte per forza, non si debbono osservare................................................................................................53343 Che gli uomini, che nascono in una provincia, osservino pertutti i tempi quasi quella medesima natura............................53544 E' si ottiene con l'impeto e con l'audacia molte volte quelloche con modi ordinarii non si otterrebbe mai.......................53845 Quale sia migliore partito nelle giornate, o sostenere l'impe-to de' nimici, e, sostenuto, urtargli; ovvero da prima con furiaassaltargli..............................................................................54146 Donde nasce che una famiglia in una città tiene un tempo imedesimi costumi.................................................................54247 Che uno buono cittadino per amore della patria debbe di-menticare le ingiurie private.................................................54448 Quando si vede fare uno errore grande a uno nimico, sidebbe credere che vi sia sotto inganno..................................54549 Una republica, a volerla mantenere libera, ha ciascuno dìbisogno di nuovi provvedimenti; e per quali meriti Quinto Fa-bio fu chiamato Massimo......................................................547

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Discorsi sopra la prima Decadi Tito Livio

Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli a Zanobi Buondelmonti e CosimoRucellai salute.

Io vi mando uno presente, il quale, se non corrispondeagli obblighi che io ho con voi, è tale, sanza dubbio,quale ha potuto Niccolò Machiavelli mandarvi maggio-re. Perché in quello io ho espresso quanto io so e quantoio ho imparato per una lunga pratica e continua lezionedelle cose del mondo. E non potendo né voi né altri de-siderare da me più, non vi potete dolere se io non vi hodonato più. Bene vi può increscere della povertà delloingegno mio, quando siano queste mie narrazioni pove-re; e della fallacia del giudicio, quando io in molte parte,discorrendo, m'inganni. Il che essendo, non so quale dinoi si abbia ad essere meno obligato all'altro: o io a voi,che mi avete forzato a scrivere quello che io mai per memedesimo non arei scritto; o voi a me, quando, scriven-do non vi abbi sodisfatto. Pigliate, adunque, questo inquello modo che si pigliano tutte le cose degli amici;dove si considera più sempre la intenzione di chi manda,che le qualità della cosa che è mandata. E crediate chein questo io ho una sola satisfazione, quando io penso

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Discorsi sopra la prima Decadi Tito Livio

Niccolò Machiavelli

Niccolò Machiavelli a Zanobi Buondelmonti e CosimoRucellai salute.

Io vi mando uno presente, il quale, se non corrispondeagli obblighi che io ho con voi, è tale, sanza dubbio,quale ha potuto Niccolò Machiavelli mandarvi maggio-re. Perché in quello io ho espresso quanto io so e quantoio ho imparato per una lunga pratica e continua lezionedelle cose del mondo. E non potendo né voi né altri de-siderare da me più, non vi potete dolere se io non vi hodonato più. Bene vi può increscere della povertà delloingegno mio, quando siano queste mie narrazioni pove-re; e della fallacia del giudicio, quando io in molte parte,discorrendo, m'inganni. Il che essendo, non so quale dinoi si abbia ad essere meno obligato all'altro: o io a voi,che mi avete forzato a scrivere quello che io mai per memedesimo non arei scritto; o voi a me, quando, scriven-do non vi abbi sodisfatto. Pigliate, adunque, questo inquello modo che si pigliano tutte le cose degli amici;dove si considera più sempre la intenzione di chi manda,che le qualità della cosa che è mandata. E crediate chein questo io ho una sola satisfazione, quando io penso

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che, sebbene io mi fussi ingannato in molte sue circun-stanzie, in questa sola so ch'io non ho preso errore, diavere eletto voi, ai quali, sopra ogni altri, questi mia Di-scorsi indirizzi: sì perché, faccendo questo, mi pare ave-re mostro qualche gratitudine de' beneficii ricevuti: sìperché e' mi pare essere uscito fuora dell'uso comune dicoloro che scrivono, i quali sogliono sempre le loro ope-re a qualche principe indirizzare; e, accecati dall'ambi-zione e dall'avarizia, laudano quello di tutte le virtuosequalitadi, quando da ogni vituperevole parte doverreb-bono biasimarlo. Onde io, per non incorrere in questoerrore, ho eletti non quelli che sono principi, ma quelliche, per le infinite buone parti loro, meriterebbono diessere; non quelli che potrebbero di gradi, di onori e diricchezze riempiermi, ma quelli che, non potendo, vor-rebbono farlo. Perché gli uomini, volendo giudicare di-rittamente, hanno a stimare quelli che sono, non quelliche possono essere liberali, e così quelli che sanno, nonquelli che, sanza sapere, possono governare uno regno.E gli scrittori laudano più Ierone Siracusano quando egliera privato, che Perse Macedone quando egli era re: per-ché a Ierone ad essere principe non mancava altro che ilprincipato; quell'altro non aveva parte alcuna di re, altroche il regno. Godetevi, pertanto, quel bene o quel maleche voi medesimi avete voluto: e se voi starete in questoerrore, che queste mie opinioni Vi siano grate, non man-cherò di seguire il resto della istoria, secondo che nelprincipio vi promissi. Valete.

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che, sebbene io mi fussi ingannato in molte sue circun-stanzie, in questa sola so ch'io non ho preso errore, diavere eletto voi, ai quali, sopra ogni altri, questi mia Di-scorsi indirizzi: sì perché, faccendo questo, mi pare ave-re mostro qualche gratitudine de' beneficii ricevuti: sìperché e' mi pare essere uscito fuora dell'uso comune dicoloro che scrivono, i quali sogliono sempre le loro ope-re a qualche principe indirizzare; e, accecati dall'ambi-zione e dall'avarizia, laudano quello di tutte le virtuosequalitadi, quando da ogni vituperevole parte doverreb-bono biasimarlo. Onde io, per non incorrere in questoerrore, ho eletti non quelli che sono principi, ma quelliche, per le infinite buone parti loro, meriterebbono diessere; non quelli che potrebbero di gradi, di onori e diricchezze riempiermi, ma quelli che, non potendo, vor-rebbono farlo. Perché gli uomini, volendo giudicare di-rittamente, hanno a stimare quelli che sono, non quelliche possono essere liberali, e così quelli che sanno, nonquelli che, sanza sapere, possono governare uno regno.E gli scrittori laudano più Ierone Siracusano quando egliera privato, che Perse Macedone quando egli era re: per-ché a Ierone ad essere principe non mancava altro che ilprincipato; quell'altro non aveva parte alcuna di re, altroche il regno. Godetevi, pertanto, quel bene o quel maleche voi medesimi avete voluto: e se voi starete in questoerrore, che queste mie opinioni Vi siano grate, non man-cherò di seguire il resto della istoria, secondo che nelprincipio vi promissi. Valete.

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LIBRO PRIMO

Ancora che, per la invida natura degli uomini, sia sem-pre suto non altrimenti periculoso trovare modi ed ordi-ni nuovi, che si fusse cercare acque e terre incognite, peressere quelli più pronti a biasimare che a laudare leazioni d'altri; nondimanco, spinto da quel naturale desi-derio che fu sempre in me di operare, sanza alcuno re-spetto, quelle cose che io creda rechino comune benefi-zio a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la qua-le, non essendo suta ancora da alcuno trita, se la mi arre-cherà fastidio e difficultà, mi potrebbe ancora arrecarepremio, mediante quelli che umanamente di queste miefatiche il fine considerassino. E se lo ingegno povero, lapoca esperienzia delle cose presenti e la debole notiziadelle antique faranno questo mio conato difettivo e dinon molta utilità; daranno almeno la via ad alcuno che,con più virtù, più discorso e iudizio, potrà a questa miaintenzione satisfare: il che, se non mi arrecherà laude,non mi doverebbe partorire biasimo.Considerando adunque quanto onore si attribuiscaall'antiquità, e come molte volte, lasciando andare infi-niti altri esempli, un frammento d'una antiqua statua siasuto comperato gran prezzo, per averlo appresso di sé,onorarne la sua casa e poterlo fare imitare a coloro chedi quella arte si dilettono; e come quegli dipoi con ogni

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LIBRO PRIMO

Ancora che, per la invida natura degli uomini, sia sem-pre suto non altrimenti periculoso trovare modi ed ordi-ni nuovi, che si fusse cercare acque e terre incognite, peressere quelli più pronti a biasimare che a laudare leazioni d'altri; nondimanco, spinto da quel naturale desi-derio che fu sempre in me di operare, sanza alcuno re-spetto, quelle cose che io creda rechino comune benefi-zio a ciascuno, ho deliberato entrare per una via, la qua-le, non essendo suta ancora da alcuno trita, se la mi arre-cherà fastidio e difficultà, mi potrebbe ancora arrecarepremio, mediante quelli che umanamente di queste miefatiche il fine considerassino. E se lo ingegno povero, lapoca esperienzia delle cose presenti e la debole notiziadelle antique faranno questo mio conato difettivo e dinon molta utilità; daranno almeno la via ad alcuno che,con più virtù, più discorso e iudizio, potrà a questa miaintenzione satisfare: il che, se non mi arrecherà laude,non mi doverebbe partorire biasimo.Considerando adunque quanto onore si attribuiscaall'antiquità, e come molte volte, lasciando andare infi-niti altri esempli, un frammento d'una antiqua statua siasuto comperato gran prezzo, per averlo appresso di sé,onorarne la sua casa e poterlo fare imitare a coloro chedi quella arte si dilettono; e come quegli dipoi con ogni

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industria si sforzono in tutte le loro opere rappresentar-lo; e veggiendo, da l'altro canto, le virtuosissime opera-zioni che le storie ci mostrono, che sono state operate daregni e republiche antique, dai re, capitani, cittadini, la-tori di leggi, ed altri che si sono per la loro patria affati-cati, essere più presto ammirate che imitate; anzi, in tan-to da ciascuno in ogni minima cosa fuggite, che di quel-la antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non possofare che insieme non me ne maravigli e dolga. E tantopiù, quanto io veggo nelle diferenzie che intra cittadinicivilmente nascano, o nelle malattie nelle quali li uomi-ni incorrono, essersi sempre ricorso a quelli iudizii o aquelli remedii che dagli antichi sono stati iudicati o or-dinati: perché le leggi civili non sono altro che sentenzedate dagli antiqui iureconsulti, le quali, ridutte in ordine,a' presenti nostri iureconsulti iudicare insegnano. Né an-cora la medicina è altro che esperienze fatte dagli anti-qui medici, sopra le quali fondano e' medici presenti e'loro iudizii. Nondimanco, nello ordinare le republiche,nel mantenere li stati, nel governare e' regni, nello ordi-nare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e'sudditi, nello accrescere l'imperio, non si truova princi-pe né republica che agli esempli delli antiqui ricorra. Ilche credo che nasca non tanto da la debolezza nella qua-le la presente religione ha condotto el mondo, o da quelmale che ha fatto a molte provincie e città cristiane unoambizioso ozio, quanto dal non avere vera cognizionedelle storie, per non trarne, leggendole, quel senso négustare di loro quel sapore che le hanno in sé. Donde

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industria si sforzono in tutte le loro opere rappresentar-lo; e veggiendo, da l'altro canto, le virtuosissime opera-zioni che le storie ci mostrono, che sono state operate daregni e republiche antique, dai re, capitani, cittadini, la-tori di leggi, ed altri che si sono per la loro patria affati-cati, essere più presto ammirate che imitate; anzi, in tan-to da ciascuno in ogni minima cosa fuggite, che di quel-la antiqua virtù non ci è rimasto alcun segno; non possofare che insieme non me ne maravigli e dolga. E tantopiù, quanto io veggo nelle diferenzie che intra cittadinicivilmente nascano, o nelle malattie nelle quali li uomi-ni incorrono, essersi sempre ricorso a quelli iudizii o aquelli remedii che dagli antichi sono stati iudicati o or-dinati: perché le leggi civili non sono altro che sentenzedate dagli antiqui iureconsulti, le quali, ridutte in ordine,a' presenti nostri iureconsulti iudicare insegnano. Né an-cora la medicina è altro che esperienze fatte dagli anti-qui medici, sopra le quali fondano e' medici presenti e'loro iudizii. Nondimanco, nello ordinare le republiche,nel mantenere li stati, nel governare e' regni, nello ordi-nare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e'sudditi, nello accrescere l'imperio, non si truova princi-pe né republica che agli esempli delli antiqui ricorra. Ilche credo che nasca non tanto da la debolezza nella qua-le la presente religione ha condotto el mondo, o da quelmale che ha fatto a molte provincie e città cristiane unoambizioso ozio, quanto dal non avere vera cognizionedelle storie, per non trarne, leggendole, quel senso négustare di loro quel sapore che le hanno in sé. Donde

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nasce che infiniti che le leggono, pigliono piacere diudire quella varietà degli accidenti che in esse si conten-gono, sanza pensare altrimenti di imitarle, iudicando laimitazione non solo difficile ma impossibile; come se ilcielo, il sole, li elementi, li uomini, fussino variati dimoto, di ordine e di potenza, da quello che gli erono an-tiquamente. Volendo, pertanto, trarre li uomini di questoerrore, ho giudicato necessario scrivere, sopra tutti quel-li libri di Tito Livio che dalla malignità de' tempi non cisono stati intercetti, quello che io, secondo le cognizionedelle antique e moderne cose, iudicherò essere necessa-rio per maggiore intelligenzia di essi, a ciò che coloroche leggeranno queste mia declarazioni, possino più fa-cilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cerca-re la cognizione delle istorie. E benché questa impresasia difficile, nondimanco, aiutato da coloro che mi han-no, ad entrare sotto questo peso, confortato, credo por-tarlo in modo, che ad un altro resterà breve cammino acondurlo a loco destinato.

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nasce che infiniti che le leggono, pigliono piacere diudire quella varietà degli accidenti che in esse si conten-gono, sanza pensare altrimenti di imitarle, iudicando laimitazione non solo difficile ma impossibile; come se ilcielo, il sole, li elementi, li uomini, fussino variati dimoto, di ordine e di potenza, da quello che gli erono an-tiquamente. Volendo, pertanto, trarre li uomini di questoerrore, ho giudicato necessario scrivere, sopra tutti quel-li libri di Tito Livio che dalla malignità de' tempi non cisono stati intercetti, quello che io, secondo le cognizionedelle antique e moderne cose, iudicherò essere necessa-rio per maggiore intelligenzia di essi, a ciò che coloroche leggeranno queste mia declarazioni, possino più fa-cilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cerca-re la cognizione delle istorie. E benché questa impresasia difficile, nondimanco, aiutato da coloro che mi han-no, ad entrare sotto questo peso, confortato, credo por-tarlo in modo, che ad un altro resterà breve cammino acondurlo a loco destinato.

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1 Quali siano stati universalmente i principiidi qualunque città, e quale fusse quello di

Roma.

Coloro che leggeranno quale principio fusse quello dellacittà di Roma, e da quali latori di leggi e come ordinato,non si maraviglieranno che tanta virtù si sia per più se-coli mantenuta in quella città; e che dipoi ne sia natoquello imperio al quale quella republica aggiunse. E vo-lendo discorrere prima il nascimento suo, dico che tuttele cittadi sono edificate o dagli uomini natii del luogodove le si edificano o dai forestieri. Il primo caso occor-re quando agli abitatori dispersi in molte e piccole partinon pare vivere securi, non potendo ciascuna per sé, eper il sito e per il piccolo numero, resistere all'impeto dichi le assaltasse; e ad unirsi per loro difensione, venen-do il nimico, non sono a tempo; o quando fussono, con-verrebbe loro lasciare abbandonati molti de' loro ridotti;e così verrebbero ad essere subita preda dei loro inimici:talmente che, per fuggire questi pericoli, mossi o da loromedesimi, o da alcuno che sia infra loro di maggiore au-torità, si ristringono ad abitare insieme in luogo eletto daloro, più commodo a vivere e più facile a difendere.Di queste, infra molte altre, sono state Atene e Vinegia.La prima, sotto l'autorità di Teseo, fu per simili cagionidagli abitatori dispersi edificata; l'altra, sendosi moltipopoli ridotti in certe isolette che erano nella punta delmare Adriatico, per fuggire quelle guerre che ogni dì,

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1 Quali siano stati universalmente i principiidi qualunque città, e quale fusse quello di

Roma.

Coloro che leggeranno quale principio fusse quello dellacittà di Roma, e da quali latori di leggi e come ordinato,non si maraviglieranno che tanta virtù si sia per più se-coli mantenuta in quella città; e che dipoi ne sia natoquello imperio al quale quella republica aggiunse. E vo-lendo discorrere prima il nascimento suo, dico che tuttele cittadi sono edificate o dagli uomini natii del luogodove le si edificano o dai forestieri. Il primo caso occor-re quando agli abitatori dispersi in molte e piccole partinon pare vivere securi, non potendo ciascuna per sé, eper il sito e per il piccolo numero, resistere all'impeto dichi le assaltasse; e ad unirsi per loro difensione, venen-do il nimico, non sono a tempo; o quando fussono, con-verrebbe loro lasciare abbandonati molti de' loro ridotti;e così verrebbero ad essere subita preda dei loro inimici:talmente che, per fuggire questi pericoli, mossi o da loromedesimi, o da alcuno che sia infra loro di maggiore au-torità, si ristringono ad abitare insieme in luogo eletto daloro, più commodo a vivere e più facile a difendere.Di queste, infra molte altre, sono state Atene e Vinegia.La prima, sotto l'autorità di Teseo, fu per simili cagionidagli abitatori dispersi edificata; l'altra, sendosi moltipopoli ridotti in certe isolette che erano nella punta delmare Adriatico, per fuggire quelle guerre che ogni dì,

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per lo avvenimento di nuovi barbari, dopo la declinazio-ne dello Imperio romano, nascevano in Italia, comincia-rono infra loro, sanza altro principe particulare che gliordinasse, a vivere sotto quelle leggi che parevono loropiù atte a mantenerli. Il che successe loro felicementeper il lungo ozio che il sito dette loro, non avendo quelmare uscita, e non avendo quelli popoli, che affliggeva-no Italia, navigli da poterli infestare: talché ogni piccoloprincipio li poté fare venire a quella grandezza nellaquale sono.Il secondo caso, quando da genti forestiere è edificatauna città, nasce o da uomini liberi o che dependono daaltri: come sono le colonie mandate o da una republica oda uno principe per isgravare le loro terre d'abitatori, oper difesa di quel paese che, di nuovo acquistato, vo-gliono sicuramente e sanza ispesa mantenersi; delle qua-li città il Popolo romano ne edificò assai, e per tuttol'imperio suo: ovvero le sono edificate da uno principe,non per abitarvi, ma per sua gloria; come la città diAlessandria, da Alessandro. E per non avere queste cit-tadi la loro origine libera, rade volte occorre che le fac-ciano processi grandi, e possinsi intra i capi dei regninumerare. Simile a queste fu l'edificazione di Firenze,perché (o edificata da' soldati di Silla, o, a caso, dagliabitatori dei monti di Fiesole, i quali, confidatisi in quel-la lunga pace che sotto Ottaviano nacque nel mondo, siridussero ad abitare nel piano sopra Arno) si edificò sot-to l'imperio romano: né poté, ne' principii suoi, fare altri

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per lo avvenimento di nuovi barbari, dopo la declinazio-ne dello Imperio romano, nascevano in Italia, comincia-rono infra loro, sanza altro principe particulare che gliordinasse, a vivere sotto quelle leggi che parevono loropiù atte a mantenerli. Il che successe loro felicementeper il lungo ozio che il sito dette loro, non avendo quelmare uscita, e non avendo quelli popoli, che affliggeva-no Italia, navigli da poterli infestare: talché ogni piccoloprincipio li poté fare venire a quella grandezza nellaquale sono.Il secondo caso, quando da genti forestiere è edificatauna città, nasce o da uomini liberi o che dependono daaltri: come sono le colonie mandate o da una republica oda uno principe per isgravare le loro terre d'abitatori, oper difesa di quel paese che, di nuovo acquistato, vo-gliono sicuramente e sanza ispesa mantenersi; delle qua-li città il Popolo romano ne edificò assai, e per tuttol'imperio suo: ovvero le sono edificate da uno principe,non per abitarvi, ma per sua gloria; come la città diAlessandria, da Alessandro. E per non avere queste cit-tadi la loro origine libera, rade volte occorre che le fac-ciano processi grandi, e possinsi intra i capi dei regninumerare. Simile a queste fu l'edificazione di Firenze,perché (o edificata da' soldati di Silla, o, a caso, dagliabitatori dei monti di Fiesole, i quali, confidatisi in quel-la lunga pace che sotto Ottaviano nacque nel mondo, siridussero ad abitare nel piano sopra Arno) si edificò sot-to l'imperio romano: né poté, ne' principii suoi, fare altri

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augumenti che quelli che per cortesia del principe glierano concessi.Sono liberi gli edificatori delle cittadi, quando alcunipopoli, o sotto uno principe o da per sé, sono constretti,o per morbo o per fame o per guerra, a abbandonare ilpaese patrio, e crearsi nuova sede: questi tali, o egli abi-tano le cittadi che e' truovono ne' paesi ch'egli acquista-no, come fe' Moises; o e' ne edificano di nuovo, comefe' Enea. In questo caso è dove si conosce la virtù delloedificatore, e la fortuna dello edificato: la quale è più omeno maravigliosa, secondo che più o meno è virtuosocolui che ne è stato principio. La virtù del quale si cono-sce in duo modi: il primo è nella elezione del sito; l'altronella ordinazione delle leggi. E perché gli uomini opero-no o per necessità o per elezione; e perché si vede quiviessere maggior virtù dove la elezione ha meno autorità;è da considerare se sarebbe meglio eleggere, per la edi-ficazione delle cittadi, luoghi sterili, acciocché gli uomi-ni, constretti a industriarsi, meno occupati dall'ozio, vi-vessono più uniti avendo, per la povertà del sito, minorecagione di discordie; come interviene in Raugia, e inmolte altre cittadi in simili luoghi edificate: la quale ele-zione sarebbe sanza dubbio più savia e più utile, quandogli uomini fossero contenti a vivere del loro, e non vo-lessono cercare di comandare altrui. Pertanto, non po-tendo gli uomini assicurarsi se non con la potenza, è ne-cessario fuggire questa sterilità del paese, e porsi in luo-ghi fertilissimi; dove, potendo per la ubertà del sito am-

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augumenti che quelli che per cortesia del principe glierano concessi.Sono liberi gli edificatori delle cittadi, quando alcunipopoli, o sotto uno principe o da per sé, sono constretti,o per morbo o per fame o per guerra, a abbandonare ilpaese patrio, e crearsi nuova sede: questi tali, o egli abi-tano le cittadi che e' truovono ne' paesi ch'egli acquista-no, come fe' Moises; o e' ne edificano di nuovo, comefe' Enea. In questo caso è dove si conosce la virtù delloedificatore, e la fortuna dello edificato: la quale è più omeno maravigliosa, secondo che più o meno è virtuosocolui che ne è stato principio. La virtù del quale si cono-sce in duo modi: il primo è nella elezione del sito; l'altronella ordinazione delle leggi. E perché gli uomini opero-no o per necessità o per elezione; e perché si vede quiviessere maggior virtù dove la elezione ha meno autorità;è da considerare se sarebbe meglio eleggere, per la edi-ficazione delle cittadi, luoghi sterili, acciocché gli uomi-ni, constretti a industriarsi, meno occupati dall'ozio, vi-vessono più uniti avendo, per la povertà del sito, minorecagione di discordie; come interviene in Raugia, e inmolte altre cittadi in simili luoghi edificate: la quale ele-zione sarebbe sanza dubbio più savia e più utile, quandogli uomini fossero contenti a vivere del loro, e non vo-lessono cercare di comandare altrui. Pertanto, non po-tendo gli uomini assicurarsi se non con la potenza, è ne-cessario fuggire questa sterilità del paese, e porsi in luo-ghi fertilissimi; dove, potendo per la ubertà del sito am-

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pliare, possa e difendersi da chi l'assaltasse e opprimerequalunque alla grandezza sua si opponesse. E quanto aquell'ozio che le arrecasse il sito, si debbe ordinare che aquelle necessità le leggi la costringhino, che il sito nonla costrignesse, ed imitare quelli che sono stati savi, edhanno abitato in paesi amenissimi e fertilissimi, e atti aprodurre uomini oziosi ed inabili a ogni virtuoso eserci-zio, che, per ovviare a quelli danni i quali l'amenità delpaese, mediante l'ozio, arebbe causati, hanno posto unanecessità di esercizio a quelli che avevano a essere sol-dati; di qualità che, per tale ordine, vi sono diventati mi-gliori soldati che in quelli paesi i quali naturalmentesono stati aspri e sterili. Intra i quali fu il regno degliEgizi, che, non ostante che il paese sia amenissimo, tan-to potette quella necessità, ordinata dalle leggi, che nenacque uomini eccellentissimi; e se li nomi loro nonfussono dalla antichità spenti, si vedrebbe come ei meri-terebbero più laude che Alessandro Magno, e molti altride' quali ancora è la memoria fresca. E chi avesse consi-derato il regno del Soldano, e l'ordine de' Mammalucchie di quella loro milizia, avanti che da Salì, Gran Turco,fusse stata spenta, arebbe veduto in quello molti esercizicirca i soldati, ed averebbe, in fatto, conosciuto quantoessi temevano quell'ozio a che la benignità del paese lipoteva condurre, se non vi avessono con leggi fortissi-me ovviato. Dico, adunque, essere più prudente elezioneporsi in luogo fertile, quando quella fertilità con le leggiinfra i debiti termini si ristringa. Ad Alessandro Magno,volendo edificare una città per sua gloria, venne Dino-

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pliare, possa e difendersi da chi l'assaltasse e opprimerequalunque alla grandezza sua si opponesse. E quanto aquell'ozio che le arrecasse il sito, si debbe ordinare che aquelle necessità le leggi la costringhino, che il sito nonla costrignesse, ed imitare quelli che sono stati savi, edhanno abitato in paesi amenissimi e fertilissimi, e atti aprodurre uomini oziosi ed inabili a ogni virtuoso eserci-zio, che, per ovviare a quelli danni i quali l'amenità delpaese, mediante l'ozio, arebbe causati, hanno posto unanecessità di esercizio a quelli che avevano a essere sol-dati; di qualità che, per tale ordine, vi sono diventati mi-gliori soldati che in quelli paesi i quali naturalmentesono stati aspri e sterili. Intra i quali fu il regno degliEgizi, che, non ostante che il paese sia amenissimo, tan-to potette quella necessità, ordinata dalle leggi, che nenacque uomini eccellentissimi; e se li nomi loro nonfussono dalla antichità spenti, si vedrebbe come ei meri-terebbero più laude che Alessandro Magno, e molti altride' quali ancora è la memoria fresca. E chi avesse consi-derato il regno del Soldano, e l'ordine de' Mammalucchie di quella loro milizia, avanti che da Salì, Gran Turco,fusse stata spenta, arebbe veduto in quello molti esercizicirca i soldati, ed averebbe, in fatto, conosciuto quantoessi temevano quell'ozio a che la benignità del paese lipoteva condurre, se non vi avessono con leggi fortissi-me ovviato. Dico, adunque, essere più prudente elezioneporsi in luogo fertile, quando quella fertilità con le leggiinfra i debiti termini si ristringa. Ad Alessandro Magno,volendo edificare una città per sua gloria, venne Dino-

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crate architetto, e gli mostrò come e' la poteva edificaresopra il monte Atho, il quale luogo, oltre allo essere for-te, potrebbe ridursi in modo che a quella città si darebbeforma umana; il che sarebbe cosa maravigliosa e rara, edegna della sua grandezza. E domandandolo Alessandrodi quello che quelli abitatori viverebbero, rispose non ciavere pensato: di che quello si rise, e, lasciato stare quelmonte, edificò Alessandria, dove gli abitatori avessero astare volentieri per la grassezza del paese, e per la com-modità del mare e del Nilo. Chi esaminerà, adunque, laedificazione di Roma, se si prenderà Enea per suo primoprogenitore, sarà di quelle cittadi edificate da' forestieri;se Romolo di quelle edificate dagli uomini natii del luo-go; ed in qualunque modo, la vedrà avere principio libe-ro, sanza dependere da alcuno: vedrà ancora, come disotto si dirà, a quante necessitadi le leggi fatte da Romo-lo, Numa, e gli altri, la costringessono; talmente che lafertilità del sito, la commodità del mare, le spesse vitto-rie, la grandezza dello imperio, non la potero per moltisecoli corrompere, e la mantennero piena di tanta virtù,di quanta mai fusse alcun'altra città o republica ornata.E perché le cose operate da lei, e che sono da Tito Liviocelebrate, sono seguite o per publico o per privato consi-glio, o dentro o fuori della cittade; io comincerò a di-scorrere sopra quelle cose occorse dentro e per consigliopublico, le quali degne di maggiore annotazione giudi-cherò, aggiungendovi tutto quello che da loro dependes-si; con i quali Discorsi questo primo libro, ovvero que-

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crate architetto, e gli mostrò come e' la poteva edificaresopra il monte Atho, il quale luogo, oltre allo essere for-te, potrebbe ridursi in modo che a quella città si darebbeforma umana; il che sarebbe cosa maravigliosa e rara, edegna della sua grandezza. E domandandolo Alessandrodi quello che quelli abitatori viverebbero, rispose non ciavere pensato: di che quello si rise, e, lasciato stare quelmonte, edificò Alessandria, dove gli abitatori avessero astare volentieri per la grassezza del paese, e per la com-modità del mare e del Nilo. Chi esaminerà, adunque, laedificazione di Roma, se si prenderà Enea per suo primoprogenitore, sarà di quelle cittadi edificate da' forestieri;se Romolo di quelle edificate dagli uomini natii del luo-go; ed in qualunque modo, la vedrà avere principio libe-ro, sanza dependere da alcuno: vedrà ancora, come disotto si dirà, a quante necessitadi le leggi fatte da Romo-lo, Numa, e gli altri, la costringessono; talmente che lafertilità del sito, la commodità del mare, le spesse vitto-rie, la grandezza dello imperio, non la potero per moltisecoli corrompere, e la mantennero piena di tanta virtù,di quanta mai fusse alcun'altra città o republica ornata.E perché le cose operate da lei, e che sono da Tito Liviocelebrate, sono seguite o per publico o per privato consi-glio, o dentro o fuori della cittade; io comincerò a di-scorrere sopra quelle cose occorse dentro e per consigliopublico, le quali degne di maggiore annotazione giudi-cherò, aggiungendovi tutto quello che da loro dependes-si; con i quali Discorsi questo primo libro, ovvero que-

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sta prima parte, si terminerà.

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sta prima parte, si terminerà.

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2 Di quante spezie sono le republiche, e diquale fu la republica romana.

Io voglio porre da parte il ragionare di quelle cittadi chehanno avuto il loro principio sottoposto a altrui; e parle-rò di quelle che hanno avuto il principio lontano da ogniservitù esterna, ma si sono subito governate per loro ar-bitrio, o come republiche o come principato: le qualihanno avuto, come diversi principii, diverse leggi ed or-dini. Perché ad alcune, o nel principio d'esse, o doponon molto tempo, sono state date da uno solo le leggi, ead un tratto; come quelle che furono date da Licurgoagli Spartani: alcune le hanno avute a caso, ed in piùvolte e secondo li accidenti, come ebbe Roma. Talché,felice si può chiamare quella republica, la quale sortisceuno uomo sì prudente, che gli dia leggi ordinate inmodo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possavivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta leosservò più che ottocento anni sanza corromperle, osanza alcuno tumulto pericoloso: e, pel contrario, tienequalche grado d'infelicità quella città, che, non si sendoabbattuta a uno ordinatore prudente, è necessitata da sémedesima riordinarsi. E di queste ancora è più infelicequella che è più discosto dall'ordine; e quella ne è piùdiscosto che co' suoi ordini è al tutto fuori del dirittocammino, che la possa condurre al perfetto e vero fine.Perché quelle che sono in questo grado, è quasi impossi-bile che per qualunque accidente si rassettino: quelle al-

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2 Di quante spezie sono le republiche, e diquale fu la republica romana.

Io voglio porre da parte il ragionare di quelle cittadi chehanno avuto il loro principio sottoposto a altrui; e parle-rò di quelle che hanno avuto il principio lontano da ogniservitù esterna, ma si sono subito governate per loro ar-bitrio, o come republiche o come principato: le qualihanno avuto, come diversi principii, diverse leggi ed or-dini. Perché ad alcune, o nel principio d'esse, o doponon molto tempo, sono state date da uno solo le leggi, ead un tratto; come quelle che furono date da Licurgoagli Spartani: alcune le hanno avute a caso, ed in piùvolte e secondo li accidenti, come ebbe Roma. Talché,felice si può chiamare quella republica, la quale sortisceuno uomo sì prudente, che gli dia leggi ordinate inmodo che, sanza avere bisogno di ricorreggerle, possavivere sicuramente sotto quelle. E si vede che Sparta leosservò più che ottocento anni sanza corromperle, osanza alcuno tumulto pericoloso: e, pel contrario, tienequalche grado d'infelicità quella città, che, non si sendoabbattuta a uno ordinatore prudente, è necessitata da sémedesima riordinarsi. E di queste ancora è più infelicequella che è più discosto dall'ordine; e quella ne è piùdiscosto che co' suoi ordini è al tutto fuori del dirittocammino, che la possa condurre al perfetto e vero fine.Perché quelle che sono in questo grado, è quasi impossi-bile che per qualunque accidente si rassettino: quelle al-

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tre che, se le non hanno l'ordine perfetto, hanno preso ilprincipio buono, e atto a diventare migliore, possono perla occorrenzia degli accidenti diventare perfette. Ma fiabene vero questo, che mai si ordineranno sanza perico-lo; perché gli assai uomini non si accordano mai ad unalegge nuova che riguardi uno nuovo ordine nella città senon è mostro loro da una necessità che bisogni farlo; enon potendo venire questa necessità sanza pericolo, èfacil cosa che quella republica rovini, avanti che la si siacondotta a una perfezione d'ordine. Di che ne fa fede ap-pieno la republica di Firenze, la quale fu dallo accidented'Arezzo, nel dua, riordinata; e da quel di Prato, nel do-dici, disordinata.Volendo, adunque, discorrere quali furono li ordini dellacittà di Roma, e quali accidenti alla sua perfezione lacondussero; dico come alcuni che hanno scritto delle re-publiche dicono essere in quelle uno de' tre stati, chia-mati da loro Principato, Ottimati, e Popolare, e come co-loro che ordinano una città, debbono volgersi ad uno diquesti, secondo pare loro più a proposito. Alcuni altri, e,secondo la opinione di molti, più savi, hanno opinioneche siano di sei ragioni governi: delli quali tre ne sianopessimi tre altri siano buoni in loro medesimi, ma sì fa-cili a corrompersi, che vengono ancora essi a essere per-niziosi. Quelli che sono buoni, sono e' soprascritti tre:quelli che sono rei, sono tre altri, i quali da questi tre di-pendano; e ciascuno d'essi è in modo simile a quello chegli è propinquo, che facilmente saltano dall'uno all'altro:

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tre che, se le non hanno l'ordine perfetto, hanno preso ilprincipio buono, e atto a diventare migliore, possono perla occorrenzia degli accidenti diventare perfette. Ma fiabene vero questo, che mai si ordineranno sanza perico-lo; perché gli assai uomini non si accordano mai ad unalegge nuova che riguardi uno nuovo ordine nella città senon è mostro loro da una necessità che bisogni farlo; enon potendo venire questa necessità sanza pericolo, èfacil cosa che quella republica rovini, avanti che la si siacondotta a una perfezione d'ordine. Di che ne fa fede ap-pieno la republica di Firenze, la quale fu dallo accidented'Arezzo, nel dua, riordinata; e da quel di Prato, nel do-dici, disordinata.Volendo, adunque, discorrere quali furono li ordini dellacittà di Roma, e quali accidenti alla sua perfezione lacondussero; dico come alcuni che hanno scritto delle re-publiche dicono essere in quelle uno de' tre stati, chia-mati da loro Principato, Ottimati, e Popolare, e come co-loro che ordinano una città, debbono volgersi ad uno diquesti, secondo pare loro più a proposito. Alcuni altri, e,secondo la opinione di molti, più savi, hanno opinioneche siano di sei ragioni governi: delli quali tre ne sianopessimi tre altri siano buoni in loro medesimi, ma sì fa-cili a corrompersi, che vengono ancora essi a essere per-niziosi. Quelli che sono buoni, sono e' soprascritti tre:quelli che sono rei, sono tre altri, i quali da questi tre di-pendano; e ciascuno d'essi è in modo simile a quello chegli è propinquo, che facilmente saltano dall'uno all'altro:

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perché il Principato facilmente diventa tirannico; gli Ot-timati con facilità diventano stato di pochi; il Popolaresanza difficultà in licenzioso si converte. Talmente che,se uno ordinatore di republica ordina in una città uno diquelli tre stati, ve lo ordina per poco tempo; perché nes-suno rimedio può farvi, a fare che non sdruccioli nel suocontrario, per la similitudine che ha in questo caso lavirtute ed il vizio.Nacquono queste variazioni de' governi a caso intra gliuomini: perché nel principio del mondo, sendo gli abita-tori radi, vissono un tempo dispersi a similitudine dellebestie; dipoi, moltiplicando la generazione, si ragunaro-no insieme, e, per potersi meglio difendere, cominciaro-no a riguardare infra loro quello che fusse più robusto edi maggiore cuore, e fecionlo come capo, e lo ubediva-no. Da questo nacque la cognizione delle cose oneste ebuone, differenti dalle perniziose e ree: perché, veggen-do che se uno noceva al suo benificatore, ne veniva odioe compassione intra gli uomini, biasimando gl'ingrati edonorando quelli che fussero grati, e pensando ancorache quelle medesime ingiurie potevano essere fatte aloro; per fuggire simile male, si riducevano a fare leggi,ordinare punizioni a chi contrafacessi: donde venne lacognizione della giustizia. La quale cosa faceva che,avendo dipoi a eleggere uno principe, non andavanodietro al più gagliardo, ma a quello che fusse più pru-dente e più giusto. Ma come dipoi si cominciò a fare ilprincipe per successione, e non per elezione, subito co-

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perché il Principato facilmente diventa tirannico; gli Ot-timati con facilità diventano stato di pochi; il Popolaresanza difficultà in licenzioso si converte. Talmente che,se uno ordinatore di republica ordina in una città uno diquelli tre stati, ve lo ordina per poco tempo; perché nes-suno rimedio può farvi, a fare che non sdruccioli nel suocontrario, per la similitudine che ha in questo caso lavirtute ed il vizio.Nacquono queste variazioni de' governi a caso intra gliuomini: perché nel principio del mondo, sendo gli abita-tori radi, vissono un tempo dispersi a similitudine dellebestie; dipoi, moltiplicando la generazione, si ragunaro-no insieme, e, per potersi meglio difendere, cominciaro-no a riguardare infra loro quello che fusse più robusto edi maggiore cuore, e fecionlo come capo, e lo ubediva-no. Da questo nacque la cognizione delle cose oneste ebuone, differenti dalle perniziose e ree: perché, veggen-do che se uno noceva al suo benificatore, ne veniva odioe compassione intra gli uomini, biasimando gl'ingrati edonorando quelli che fussero grati, e pensando ancorache quelle medesime ingiurie potevano essere fatte aloro; per fuggire simile male, si riducevano a fare leggi,ordinare punizioni a chi contrafacessi: donde venne lacognizione della giustizia. La quale cosa faceva che,avendo dipoi a eleggere uno principe, non andavanodietro al più gagliardo, ma a quello che fusse più pru-dente e più giusto. Ma come dipoi si cominciò a fare ilprincipe per successione, e non per elezione, subito co-

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minciarono li eredi a degenerare dai loro antichi; e, la-sciando l'opere virtuose, pensavano che i principi nonavessero a fare altro che superare gli altri di sontuosità edi lascivia e d'ogni altra qualità di licenza: in modo che,cominciando il principe a essere odiato, e per tale odio atemere, e passando tosto dal timore all'offese, ne nasce-va presto una tirannide. Da questo nacquero, appresso, iprincipii delle rovine, e delle conspirazioni e congiurecontro a' principi; non fatte da coloro che fussono o ti-midi o deboli, ma da coloro che, per generosità, gran-dezza d'animo, ricchezza e nobilità, avanzavano gli altri;i quali non potevano sopportare la inonesta vita di quelprincipe. La moltitudine, adunque, seguendo l'autorità diquesti potenti, s'armava contro al principe, e, quellospento, ubbidiva loro come a suoi liberatori. E quelli,avendo in odio il nome d'uno solo capo, constituivano diloro medesimi uno governo; e, nel principio, avendo ri-spetto alla passata tirannide, si governavono secondo leleggi ordinate da loro, posponendo ogni loro commodoalla commune utilità; e le cose private e le publiche consomma diligenzia governavano e conservavano. Venutadipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i qualinon conoscendo la variazione della fortuna, non avendomai provato il male, e non volendo stare contenti alla ci-vile equalità, ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione,alla usurpazione delle donne, feciono che d'uno governod'ottimati diventassi uno governo di pochi, sanza avererispetto ad alcuna civilità, talché, in breve tempo, inter-venne loro come al tiranno; perché, infastidita da' loro

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minciarono li eredi a degenerare dai loro antichi; e, la-sciando l'opere virtuose, pensavano che i principi nonavessero a fare altro che superare gli altri di sontuosità edi lascivia e d'ogni altra qualità di licenza: in modo che,cominciando il principe a essere odiato, e per tale odio atemere, e passando tosto dal timore all'offese, ne nasce-va presto una tirannide. Da questo nacquero, appresso, iprincipii delle rovine, e delle conspirazioni e congiurecontro a' principi; non fatte da coloro che fussono o ti-midi o deboli, ma da coloro che, per generosità, gran-dezza d'animo, ricchezza e nobilità, avanzavano gli altri;i quali non potevano sopportare la inonesta vita di quelprincipe. La moltitudine, adunque, seguendo l'autorità diquesti potenti, s'armava contro al principe, e, quellospento, ubbidiva loro come a suoi liberatori. E quelli,avendo in odio il nome d'uno solo capo, constituivano diloro medesimi uno governo; e, nel principio, avendo ri-spetto alla passata tirannide, si governavono secondo leleggi ordinate da loro, posponendo ogni loro commodoalla commune utilità; e le cose private e le publiche consomma diligenzia governavano e conservavano. Venutadipoi questa amministrazione ai loro figliuoli, i qualinon conoscendo la variazione della fortuna, non avendomai provato il male, e non volendo stare contenti alla ci-vile equalità, ma rivoltisi alla avarizia, alla ambizione,alla usurpazione delle donne, feciono che d'uno governod'ottimati diventassi uno governo di pochi, sanza avererispetto ad alcuna civilità, talché, in breve tempo, inter-venne loro come al tiranno; perché, infastidita da' loro

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governi, la moltitudine si fe' ministra di qualunque dise-gnassi in alcun modo offendere quelli governatori; ecosì si levò presto alcuno che, con l'aiuto della moltitu-dine, li spense. Ed essendo ancora fresca la memoria delprincipe e delle ingiurie ricevute da quello, avendo di-sfatto lo stato de' pochi e non volendo rifare quel delprincipe, si volsero allo stato popolare; e quello ordina-rono in modo, che né i pochi potenti, né uno principe, viavesse autorità alcuna. E perché tutti gli stati nel princi-pio hanno qualche riverenzia, si mantenne questo statopopolare un poco, ma non molto, massime spenta che fuquella generazione che l'aveva ordinato; perché subito sivenne alla licenza, dove non si temevano né gli uominiprivati né i publici; di qualità che, vivendo ciascuno asuo modo, si facevano ogni dì mille ingiurie: talché, co-stretti per necessità, o per suggestione d'alcuno buonouomo, o per fuggire tale licenza, si ritorna di nuovo alprincipato; e da quello, di grado in grado, si riviene ver-so la licenza, ne' modi e per le cagioni dette. E questo èil cerchio nel quale girando tutte le republiche si sonogovernate e si governano: ma rade volte ritornano ne'governi medesimi; perché quasi nessuna republica puòessere di tanta vita, che possa passare molte volte perqueste mutazioni, e rimanere in piede. Ma bene intervie-ne che, nel travagliare, una republica, mancandole sem-pre consiglio e forze, diventa suddita d'uno stato propin-quo, che sia meglio ordinato di lei: ma, posto che questonon fusse, sarebbe atta una republica a rigirarsi infinitotempo in questi governi.

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governi, la moltitudine si fe' ministra di qualunque dise-gnassi in alcun modo offendere quelli governatori; ecosì si levò presto alcuno che, con l'aiuto della moltitu-dine, li spense. Ed essendo ancora fresca la memoria delprincipe e delle ingiurie ricevute da quello, avendo di-sfatto lo stato de' pochi e non volendo rifare quel delprincipe, si volsero allo stato popolare; e quello ordina-rono in modo, che né i pochi potenti, né uno principe, viavesse autorità alcuna. E perché tutti gli stati nel princi-pio hanno qualche riverenzia, si mantenne questo statopopolare un poco, ma non molto, massime spenta che fuquella generazione che l'aveva ordinato; perché subito sivenne alla licenza, dove non si temevano né gli uominiprivati né i publici; di qualità che, vivendo ciascuno asuo modo, si facevano ogni dì mille ingiurie: talché, co-stretti per necessità, o per suggestione d'alcuno buonouomo, o per fuggire tale licenza, si ritorna di nuovo alprincipato; e da quello, di grado in grado, si riviene ver-so la licenza, ne' modi e per le cagioni dette. E questo èil cerchio nel quale girando tutte le republiche si sonogovernate e si governano: ma rade volte ritornano ne'governi medesimi; perché quasi nessuna republica puòessere di tanta vita, che possa passare molte volte perqueste mutazioni, e rimanere in piede. Ma bene intervie-ne che, nel travagliare, una republica, mancandole sem-pre consiglio e forze, diventa suddita d'uno stato propin-quo, che sia meglio ordinato di lei: ma, posto che questonon fusse, sarebbe atta una republica a rigirarsi infinitotempo in questi governi.

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Dico, adunque, che tutti i detti modi sono pestiferi, perla brevità della vita che è ne' tre buoni, e per la maligni-tà che è ne' tre rei. Talché, avendo quelli che prudente-mente ordinano leggi, conosciuto questo difetto, fuggen-do ciascuno di questi modi per sé stesso, ne elessero unoche participasse di tutti, giudicandolo più fermo e piùstabile; perché l'uno guarda l'altro, sendo in una medesi-ma città il Principato, gli Ottimati, e il Governo Popola-re.Intra quelli che hanno per simili constituzioni meritatopiù laude, è Licurgo; il quale ordinò in modo le sue leg-gi in Sparta, che, dando le parti sue ai Re, agli Ottimatie al Popolo, fece uno stato che durò più che ottocentoanni, con somma laude sua e quiete di quella città. Alcontrario intervenne a Solone, il quale ordinò le leggi inAtene; che, per ordinarvi solo lo stato popolare, lo fecedi sì breve vita, che, avanti morisse, vi vide nata la tiran-nide di Pisistrato; e benché, dipoi anni quaranta, ne fus-sero gli eredi suoi cacciati, e ritornasse Atene in libertà,perché la riprese lo stato popolare, secondo gli ordini diSolone, non lo tenne più che cento anni, ancora che permantenerlo facessi molte constituzioni, per le quali sireprimeva la insolenzia de' grandi e la licenza dell'uni-versale, le quali non furono da Solone considerate: nien-tedimeno, perché la non le mescolò con la potenza delPrincipato e con quella degli Ottimati, visse Atene, a ri-spetto di Sparta, brevissimo tempo.Ma vegnamo a Roma; la quale, nonostante che non

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Dico, adunque, che tutti i detti modi sono pestiferi, perla brevità della vita che è ne' tre buoni, e per la maligni-tà che è ne' tre rei. Talché, avendo quelli che prudente-mente ordinano leggi, conosciuto questo difetto, fuggen-do ciascuno di questi modi per sé stesso, ne elessero unoche participasse di tutti, giudicandolo più fermo e piùstabile; perché l'uno guarda l'altro, sendo in una medesi-ma città il Principato, gli Ottimati, e il Governo Popola-re.Intra quelli che hanno per simili constituzioni meritatopiù laude, è Licurgo; il quale ordinò in modo le sue leg-gi in Sparta, che, dando le parti sue ai Re, agli Ottimatie al Popolo, fece uno stato che durò più che ottocentoanni, con somma laude sua e quiete di quella città. Alcontrario intervenne a Solone, il quale ordinò le leggi inAtene; che, per ordinarvi solo lo stato popolare, lo fecedi sì breve vita, che, avanti morisse, vi vide nata la tiran-nide di Pisistrato; e benché, dipoi anni quaranta, ne fus-sero gli eredi suoi cacciati, e ritornasse Atene in libertà,perché la riprese lo stato popolare, secondo gli ordini diSolone, non lo tenne più che cento anni, ancora che permantenerlo facessi molte constituzioni, per le quali sireprimeva la insolenzia de' grandi e la licenza dell'uni-versale, le quali non furono da Solone considerate: nien-tedimeno, perché la non le mescolò con la potenza delPrincipato e con quella degli Ottimati, visse Atene, a ri-spetto di Sparta, brevissimo tempo.Ma vegnamo a Roma; la quale, nonostante che non

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avesse uno Licurgo che la ordinasse in modo, nel princi-pio, che la potesse vivere lungo tempo libera, nondime-no furo tanti gli accidenti che in quella nacquero, per ladisunione che era intra la Plebe ed il Senato, che quelloche non aveva fatto uno ordinatore, lo fece il caso. Per-ché, se Roma non sortì la prima fortuna, sortì la secon-da; perché i primi ordini suoi, se furono difettivi, nondi-meno non deviarono dalla diritta via che li potesse con-durre alla perfezione. Perché Romolo e tutti gli altri refecero molte e buone leggi, conformi ancora al vivere li-bero: ma perché il fine loro fu fondare un regno e nonuna republica, quando quella città rimase libera, vi man-cavano molte cose che era necessario ordinare in favoredella libertà, le quali non erano state da quelli re ordina-te. E avvengaché quelli suoi re perdessono l'imperio, perle cagioni e modi discorsi; nondimeno quelli che li cac-ciarono, ordinandovi subito due Consoli che stessononel luogo de' Re, vennero a cacciare di Roma il nome, enon la potestà regia: talché, essendo in quella republica iConsoli e il Senato, veniva solo a essere mista di duequalità delle tre soprascritte, cioè di Principato e di Otti-mati. Restavale solo a dare luogo al governo popolare:onde, sendo diventata la Nobilità romana insolente perle cagioni che di sotto si diranno si levò il Popolo controdi quella; talché, per non perdere il tutto, fu costrettaconcedere al Popolo la sua parte e, dall'altra parte, il Se-nato e i Consoli restassono con tanta autorità, che potes-sono tenere in quella republica il grado loro. E così nac-que la creazione de' Tribuni della plebe, dopo la quale

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avesse uno Licurgo che la ordinasse in modo, nel princi-pio, che la potesse vivere lungo tempo libera, nondime-no furo tanti gli accidenti che in quella nacquero, per ladisunione che era intra la Plebe ed il Senato, che quelloche non aveva fatto uno ordinatore, lo fece il caso. Per-ché, se Roma non sortì la prima fortuna, sortì la secon-da; perché i primi ordini suoi, se furono difettivi, nondi-meno non deviarono dalla diritta via che li potesse con-durre alla perfezione. Perché Romolo e tutti gli altri refecero molte e buone leggi, conformi ancora al vivere li-bero: ma perché il fine loro fu fondare un regno e nonuna republica, quando quella città rimase libera, vi man-cavano molte cose che era necessario ordinare in favoredella libertà, le quali non erano state da quelli re ordina-te. E avvengaché quelli suoi re perdessono l'imperio, perle cagioni e modi discorsi; nondimeno quelli che li cac-ciarono, ordinandovi subito due Consoli che stessononel luogo de' Re, vennero a cacciare di Roma il nome, enon la potestà regia: talché, essendo in quella republica iConsoli e il Senato, veniva solo a essere mista di duequalità delle tre soprascritte, cioè di Principato e di Otti-mati. Restavale solo a dare luogo al governo popolare:onde, sendo diventata la Nobilità romana insolente perle cagioni che di sotto si diranno si levò il Popolo controdi quella; talché, per non perdere il tutto, fu costrettaconcedere al Popolo la sua parte e, dall'altra parte, il Se-nato e i Consoli restassono con tanta autorità, che potes-sono tenere in quella republica il grado loro. E così nac-que la creazione de' Tribuni della plebe, dopo la quale

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creazione venne a essere più stabilito lo stato di quellarepublica, avendovi tutte le tre qualità di governo la par-te sua. E tanto le fu favorevole la fortuna, che, benché sipassasse dal governo de' Re e delli Ottimati al Popolo,per quelli medesimi gradi e per quelle medesime cagioniche di sopra si sono discorse, nondimeno non si tolsemai, per dare autorità agli Ottimati, tutta l'autorità allequalità regie; ne si diminuì l'autorità in tutto agli Otti-mati, per darla al Popolo; ma rimanendo mista, fece unarepublica perfetta: alla quale perfezione venne per la di-sunione della Plebe e del Senato, come nei dua prossimiseguenti capitoli largamente si dimosterrà.

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creazione venne a essere più stabilito lo stato di quellarepublica, avendovi tutte le tre qualità di governo la par-te sua. E tanto le fu favorevole la fortuna, che, benché sipassasse dal governo de' Re e delli Ottimati al Popolo,per quelli medesimi gradi e per quelle medesime cagioniche di sopra si sono discorse, nondimeno non si tolsemai, per dare autorità agli Ottimati, tutta l'autorità allequalità regie; ne si diminuì l'autorità in tutto agli Otti-mati, per darla al Popolo; ma rimanendo mista, fece unarepublica perfetta: alla quale perfezione venne per la di-sunione della Plebe e del Senato, come nei dua prossimiseguenti capitoli largamente si dimosterrà.

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3 Quali accidenti facessono creare in Roma iTribuni della Plebe, il che fecela republica

più perfetta.

Come dimostrano tutti coloro che ragionano del viverecivile, e come ne è piena di esempli ogni istoria, è ne-cessario a chi dispone una republica, ed ordina leggi inquella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbianosempre a usare la malignità dello animo loro, qualunquevolta ne abbiano libera occasione; e quando alcuna ma-lignità sta occulta un tempo, procede da una occulta ca-gione, che, per non si essere veduta esperienza del con-trario, non si conosce; ma la fa poi scoprire il tempo, ilquale dicono essere padre d'ogni verità.Pareva che fusse in Roma intra la Plebe ed il Senato,cacciati i Tarquini, una unione grandissima; e che i No-bili avessono diposto quella loro superbia, e fossero di-ventati d'animo popolare, e sopportabili da qualunqueancora che infimo. Stette nascoso questo inganno, né sene vide la cagione, infino che i Tarquinii vissero; deiquali temendo la Nobilità, ed avendo paura che la Plebemale trattata non si accostasse loro, si portava umana-mente con quella: ma, come prima ei furono morti i Tar-quinii, e che ai Nobili fu la paura fuggita, cominciaronoa sputare contro alla Plebe quel veleno che si avevanotenuto nel petto, ed in tutti i modi che potevano la offen-devano. La quale cosa fa testimonianza a quello che disopra ho detto che gli uomini non operono mai nulla

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3 Quali accidenti facessono creare in Roma iTribuni della Plebe, il che fecela republica

più perfetta.

Come dimostrano tutti coloro che ragionano del viverecivile, e come ne è piena di esempli ogni istoria, è ne-cessario a chi dispone una republica, ed ordina leggi inquella, presupporre tutti gli uomini rei, e che li abbianosempre a usare la malignità dello animo loro, qualunquevolta ne abbiano libera occasione; e quando alcuna ma-lignità sta occulta un tempo, procede da una occulta ca-gione, che, per non si essere veduta esperienza del con-trario, non si conosce; ma la fa poi scoprire il tempo, ilquale dicono essere padre d'ogni verità.Pareva che fusse in Roma intra la Plebe ed il Senato,cacciati i Tarquini, una unione grandissima; e che i No-bili avessono diposto quella loro superbia, e fossero di-ventati d'animo popolare, e sopportabili da qualunqueancora che infimo. Stette nascoso questo inganno, né sene vide la cagione, infino che i Tarquinii vissero; deiquali temendo la Nobilità, ed avendo paura che la Plebemale trattata non si accostasse loro, si portava umana-mente con quella: ma, come prima ei furono morti i Tar-quinii, e che ai Nobili fu la paura fuggita, cominciaronoa sputare contro alla Plebe quel veleno che si avevanotenuto nel petto, ed in tutti i modi che potevano la offen-devano. La quale cosa fa testimonianza a quello che disopra ho detto che gli uomini non operono mai nulla

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bene, se non per necessità; ma, dove la elezione abonda,e che vi si può usare licenza, si riempie subito ogni cosadi confusione e di disordine. Però si dice che la fame ela povertà fa gli uomini industriosi, e le leggi gli fannobuoni. E dove una cosa per sé medesima sanza la leggeopera bene, non è necessaria la legge; ma quando quellabuona consuetudine manca, è subito la legge necessaria.Però mancati i Tarquinii, che con la paura di loro tene-vano la Nobilità a freno, convenne pensare a uno nuovoordine che facesse quel medesimo effetto che facevano iTarquinii quando erano vivi. E però, dopo molte confu-sioni, romori e pericoli di scandoli, che nacquero intra laPlebe e la Nobilità, si venne, per sicurtà della Plebe, allacreazione de' Tribuni; e quelli ordinarono con tante pre-minenzie e tanta riputazione, che poterono essere sem-pre di poi mezzi intra la Plebe e il Senato, e ovviare allainsolenzia de' Nobili.

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bene, se non per necessità; ma, dove la elezione abonda,e che vi si può usare licenza, si riempie subito ogni cosadi confusione e di disordine. Però si dice che la fame ela povertà fa gli uomini industriosi, e le leggi gli fannobuoni. E dove una cosa per sé medesima sanza la leggeopera bene, non è necessaria la legge; ma quando quellabuona consuetudine manca, è subito la legge necessaria.Però mancati i Tarquinii, che con la paura di loro tene-vano la Nobilità a freno, convenne pensare a uno nuovoordine che facesse quel medesimo effetto che facevano iTarquinii quando erano vivi. E però, dopo molte confu-sioni, romori e pericoli di scandoli, che nacquero intra laPlebe e la Nobilità, si venne, per sicurtà della Plebe, allacreazione de' Tribuni; e quelli ordinarono con tante pre-minenzie e tanta riputazione, che poterono essere sem-pre di poi mezzi intra la Plebe e il Senato, e ovviare allainsolenzia de' Nobili.

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4 Che la disunione della Plebe e del Senatoromano fece libera e potente quella republi-

ca.

Io non voglio mancare di discorrere sopra questi tumultiche furono in Roma dalla morte de' Tarquinii alla crea-zione de' Tribuni; e di poi alcune cose contro la opinio-ne di molti che dicono, Roma essere stata una republicatumultuaria, e piena di tanta confusione che, se la buonafortuna e la virtù militare non avesse sopperito a' lorodifetti, sarebbe stata inferiore a ogni altra republica. Ionon posso negare che la fortuna e la milizia non fosserocagioni dell'imperio romano; ma e' mi pare bene, checostoro non si avegghino, che, dove è buona milizia,conviene che sia buono ordine, e rade volte anco occor-re che non vi sia buona fortuna. Ma vegnamo agli altriparticulari di quella città. Io dico che coloro che danno-no i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasi-mino quelle cose che furono prima causa del tenere libe-ra Roma; e che considerino più a' romori ed alle gridache di tali tumulti nascevano, che a' buoni effetti chequelli partorivano; e che e' non considerino come e'sono in ogni republica due umori diversi, quello del po-polo, e quello de' grandi; e come tutte le leggi che sifanno in favore della libertà, nascano dalla disunioneloro, come facilmente si può vedere essere seguito inRoma; perché da' Tarquinii ai Gracchi, che furano più ditrecento anni, i tumulti di Roma rade volte partorivano

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4 Che la disunione della Plebe e del Senatoromano fece libera e potente quella republi-

ca.

Io non voglio mancare di discorrere sopra questi tumultiche furono in Roma dalla morte de' Tarquinii alla crea-zione de' Tribuni; e di poi alcune cose contro la opinio-ne di molti che dicono, Roma essere stata una republicatumultuaria, e piena di tanta confusione che, se la buonafortuna e la virtù militare non avesse sopperito a' lorodifetti, sarebbe stata inferiore a ogni altra republica. Ionon posso negare che la fortuna e la milizia non fosserocagioni dell'imperio romano; ma e' mi pare bene, checostoro non si avegghino, che, dove è buona milizia,conviene che sia buono ordine, e rade volte anco occor-re che non vi sia buona fortuna. Ma vegnamo agli altriparticulari di quella città. Io dico che coloro che danno-no i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasi-mino quelle cose che furono prima causa del tenere libe-ra Roma; e che considerino più a' romori ed alle gridache di tali tumulti nascevano, che a' buoni effetti chequelli partorivano; e che e' non considerino come e'sono in ogni republica due umori diversi, quello del po-polo, e quello de' grandi; e come tutte le leggi che sifanno in favore della libertà, nascano dalla disunioneloro, come facilmente si può vedere essere seguito inRoma; perché da' Tarquinii ai Gracchi, che furano più ditrecento anni, i tumulti di Roma rade volte partorivano

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esilio e radissime sangue. Né si possano per tanto, giu-dicare questi tomulti nocivi, né una republica divisa, chein tanto tempo per le sue differenzie non mandò in esiliopiù che otto o dieci cittadini, e ne ammazzò pochissimi,e non molti ancora ne condannò in danari. Né si puòchiamare in alcun modo con ragione una republica inor-dinata, dove siano tanti esempli di virtù; perché li buoniesempli nascano dalla buona educazione, la buona edu-cazione, dalle buone leggi; e le buone leggi, da quelli tu-multi che molti inconsideratamente dannano: perché,chi esaminerà bene il fine d'essi, non troverrà ch'egli ab-biano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore delcommune bene, ma leggi e ordini in beneficio della pu-blica libertà. E se alcuno dicessi: i modi erano straordi-narii, e quasi efferati, vedere il popolo insieme gridarecontro al Senato, il Senato contro al Popolo, correre tu-multuariamente per le strade, serrare le botteghe, partirsitutta la plebe di Roma, le quali cose tutte spaventano,non che altro, chi le legge; dico come ogni città debbeavere i suoi modi con i quali il popolo possa sfogarel'ambizione sua, e massime quelle città che nelle coseimportanti si vogliono valere del popolo: intra le quali,la città di Roma aveva questo modo, che, quando il po-polo voleva ottenere una legge, o e' faceva alcuna dellepredette cose, o e' non voleva dare il nome per andarealla guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualcheparte sodisfarli. E i desiderii de' popoli liberi rade voltesono perniziosi alla libertà, perché e' nascono, o da esse-re oppressi, o da suspizione di avere ad essere oppressi.

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esilio e radissime sangue. Né si possano per tanto, giu-dicare questi tomulti nocivi, né una republica divisa, chein tanto tempo per le sue differenzie non mandò in esiliopiù che otto o dieci cittadini, e ne ammazzò pochissimi,e non molti ancora ne condannò in danari. Né si puòchiamare in alcun modo con ragione una republica inor-dinata, dove siano tanti esempli di virtù; perché li buoniesempli nascano dalla buona educazione, la buona edu-cazione, dalle buone leggi; e le buone leggi, da quelli tu-multi che molti inconsideratamente dannano: perché,chi esaminerà bene il fine d'essi, non troverrà ch'egli ab-biano partorito alcuno esilio o violenza in disfavore delcommune bene, ma leggi e ordini in beneficio della pu-blica libertà. E se alcuno dicessi: i modi erano straordi-narii, e quasi efferati, vedere il popolo insieme gridarecontro al Senato, il Senato contro al Popolo, correre tu-multuariamente per le strade, serrare le botteghe, partirsitutta la plebe di Roma, le quali cose tutte spaventano,non che altro, chi le legge; dico come ogni città debbeavere i suoi modi con i quali il popolo possa sfogarel'ambizione sua, e massime quelle città che nelle coseimportanti si vogliono valere del popolo: intra le quali,la città di Roma aveva questo modo, che, quando il po-polo voleva ottenere una legge, o e' faceva alcuna dellepredette cose, o e' non voleva dare il nome per andarealla guerra, tanto che a placarlo bisognava in qualcheparte sodisfarli. E i desiderii de' popoli liberi rade voltesono perniziosi alla libertà, perché e' nascono, o da esse-re oppressi, o da suspizione di avere ad essere oppressi.

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E quando queste opinioni fossero false e' vi è il rimediodelle concioni, che surga qualche uomo da bene, che,orando, dimostri loro come ei s'ingannano: e li popoli,come dice Tullio, benché siano ignoranti, sono capacidella verità, e facilmente cedano, quando da uomo de-gno di fede è detto loro il vero.Debbesi, adunque, più parcamente biasimare il governoromano; e considerare che tanti buoni effetti, quantiuscivano di quella republica, non erano causati se nonda ottime cagioni. E se i tumulti furano cagione dellacreazione de' Tribuni, meritano somma laude, perché,oltre al dare la parte sua all'amministrazione popolare,furano constituiti per guardia della libertà romana, comenel seguente capitolo si mosterrà.

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E quando queste opinioni fossero false e' vi è il rimediodelle concioni, che surga qualche uomo da bene, che,orando, dimostri loro come ei s'ingannano: e li popoli,come dice Tullio, benché siano ignoranti, sono capacidella verità, e facilmente cedano, quando da uomo de-gno di fede è detto loro il vero.Debbesi, adunque, più parcamente biasimare il governoromano; e considerare che tanti buoni effetti, quantiuscivano di quella republica, non erano causati se nonda ottime cagioni. E se i tumulti furano cagione dellacreazione de' Tribuni, meritano somma laude, perché,oltre al dare la parte sua all'amministrazione popolare,furano constituiti per guardia della libertà romana, comenel seguente capitolo si mosterrà.

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5 Dove più sicuramente si ponga la guardiadella libertà, o nel Popolo o ne' Grandi; e

quali hanno maggiore cagione di tumultuare,o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.

Quelli che prudentemente hanno constituita una republi-ca, in tra le più necessarie cose ordinate da loro è statoconstituire una guardia alla libertà: e, secondo che que-sta è bene collocata, dura più o meno quel vivere libero.E perché in ogni republica sono uomini grandi e popola-ri, si è dubitato nelle mani di quali sia meglio collocatadetta guardia. Ed appresso a' Lacedemonii, e, ne' nostritempi, appresso de' Viniziani, la è stata messa nellemani de' Nobili; ma appresso de' Romani fu messa nellemani della Plebe.Pertanto, è necessario esaminare quale di queste republi-che avesse migliore elezione. E se si andasse dietro alleragioni ci è che dire da ogni parte; ma se si esaminasseil fine loro, si piglierebbe la parte de' Nobili, per avereavuta la libertà di Sparta e di Vinegia più lunga vita chequella di Roma. E venendo alle ragioni, dico, pigliandoprima la parte de' Romani, come e' si debbe mettere inguardia coloro d'una cosa, che hanno meno appetito diusurparla. E sanza dubbio, se si considerrà il fine de' no-bili e degli ignobili, si vedrà in quelli desiderio grandedi dominare, ed in questi solo desiderio di non esseredominati; e, per conseguente, maggiore volontà di vive-

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5 Dove più sicuramente si ponga la guardiadella libertà, o nel Popolo o ne' Grandi; e

quali hanno maggiore cagione di tumultuare,o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.

Quelli che prudentemente hanno constituita una republi-ca, in tra le più necessarie cose ordinate da loro è statoconstituire una guardia alla libertà: e, secondo che que-sta è bene collocata, dura più o meno quel vivere libero.E perché in ogni republica sono uomini grandi e popola-ri, si è dubitato nelle mani di quali sia meglio collocatadetta guardia. Ed appresso a' Lacedemonii, e, ne' nostritempi, appresso de' Viniziani, la è stata messa nellemani de' Nobili; ma appresso de' Romani fu messa nellemani della Plebe.Pertanto, è necessario esaminare quale di queste republi-che avesse migliore elezione. E se si andasse dietro alleragioni ci è che dire da ogni parte; ma se si esaminasseil fine loro, si piglierebbe la parte de' Nobili, per avereavuta la libertà di Sparta e di Vinegia più lunga vita chequella di Roma. E venendo alle ragioni, dico, pigliandoprima la parte de' Romani, come e' si debbe mettere inguardia coloro d'una cosa, che hanno meno appetito diusurparla. E sanza dubbio, se si considerrà il fine de' no-bili e degli ignobili, si vedrà in quelli desiderio grandedi dominare, ed in questi solo desiderio di non esseredominati; e, per conseguente, maggiore volontà di vive-

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re liberi, potendo meno sperare di usurparla che nonpossono i grandi: talché essendo i popolari preposti aguardia d'una libertà, è ragionevole ne abbiano più cura;e non la potendo occupare loro, non permettino che altrila occupi. Dall'altra parte, chi difende l'ordine spartano eveneto, dice che coloro che mettono la guardia in manodi potenti fanno due opere buone: l'una, che ei satisfan-no più all'ambizione loro, ed avendo più parte nella re-publica, per avere questo bastone in mano, hanno cagio-ne di contentarsi più; l'altra, che lievono una qualità diautorità dagli animi inquieti della plebe, che è cagioned'infinite dissensioni e scandoli in una republica, e atta aridurre la Nobilità a qualche disperazione, che col tem-po faccia cattivi effetti. E ne dànno per esemplo la me-desima Roma, che, per avere i Tribuni della plebe que-sta autorità nelle mani, non bastò loro avere un Consoloplebeio, che gli vollono avere ambedue. Da questo, eivollono la Censura, il Pretore, e tutti gli altri gradidell'imperio della città: né bastò loro questo, ché, menatidal medesimo furore, cominciorono poi, col tempo, aadorare quelli uomini che vedevano atti a battere la No-bilità; donde nacque la potenza di Mario, e la rovina diRoma. E veramente, chi discorressi bene l'una cosa el'altra, potrebbe stare dubbio, quale da lui fusse elettoper guardia di tale libertà, non sappiendo quale umore diuomini sia più nocivo in una republica, o quello che de-sidera mantenere l'onore già acquistato o quel che desi-dera acquistare quello che non ha.

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re liberi, potendo meno sperare di usurparla che nonpossono i grandi: talché essendo i popolari preposti aguardia d'una libertà, è ragionevole ne abbiano più cura;e non la potendo occupare loro, non permettino che altrila occupi. Dall'altra parte, chi difende l'ordine spartano eveneto, dice che coloro che mettono la guardia in manodi potenti fanno due opere buone: l'una, che ei satisfan-no più all'ambizione loro, ed avendo più parte nella re-publica, per avere questo bastone in mano, hanno cagio-ne di contentarsi più; l'altra, che lievono una qualità diautorità dagli animi inquieti della plebe, che è cagioned'infinite dissensioni e scandoli in una republica, e atta aridurre la Nobilità a qualche disperazione, che col tem-po faccia cattivi effetti. E ne dànno per esemplo la me-desima Roma, che, per avere i Tribuni della plebe que-sta autorità nelle mani, non bastò loro avere un Consoloplebeio, che gli vollono avere ambedue. Da questo, eivollono la Censura, il Pretore, e tutti gli altri gradidell'imperio della città: né bastò loro questo, ché, menatidal medesimo furore, cominciorono poi, col tempo, aadorare quelli uomini che vedevano atti a battere la No-bilità; donde nacque la potenza di Mario, e la rovina diRoma. E veramente, chi discorressi bene l'una cosa el'altra, potrebbe stare dubbio, quale da lui fusse elettoper guardia di tale libertà, non sappiendo quale umore diuomini sia più nocivo in una republica, o quello che de-sidera mantenere l'onore già acquistato o quel che desi-dera acquistare quello che non ha.

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Ed in fine, chi sottilmente esaminerà tutto, ne farà que-sta conclusione: o tu ragioni d'una republica che vogliafare uno imperio, come Roma; o d'una che le basti man-tenersi. Nel primo caso, gli è necessario fare ogni cosacome Roma; nel secondo, può imitare Vinegia e Sparta,per quelle cagioni e come nel seguente capitolo si dirà.Ma, per tornare a discorrere quali uomini siano in unarepublica più nocivi, o quelli che desiderano d'acquista-re, o quelli che temono di non perdere l'acquistato; dicoche, sendo creato Marco Menenio Dittatore, e MarcoFulvio Maestro de' cavagli, tutti a due plebei, per ricer-care certe congiure che si erano fatte in Capova contro aRoma, fu data ancora loro autorità dal popolo di poterericercare chi in Roma, per ambizione e modi straordina-ri, s'ingegnasse di venire al consolato, ed agli altri onoridella città. E parendo alla Nobilità, che tale autorità fus-se data al Dittatore contro a lei, sparsono per Roma, chenon i nobili erano quelli che cercavano gli onori per am-bizione e modi straordinari ma gl'ignobili, i quali, nonconfidatisi nel sangue e nella virtù loro, cercavano, pervie straordinarie, venire a quelli gradi, e particularmenteaccusavano il Dittatore. E tanto fu potente questa accusache Menenio, fatta una concione e dolutosi delle calun-nie dategli da' Nobili, depose la dittatura, e sottomessesial giudizio che di lui fusse fatto dal Popolo, e dipoi, agi-tata la causa sua, ne fu assoluto: dove si disputò assai,quale sia più ambizioso o quel che vuole mantenere oquel che vuole acquistare; perché facilmente l'uno e

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Ed in fine, chi sottilmente esaminerà tutto, ne farà que-sta conclusione: o tu ragioni d'una republica che vogliafare uno imperio, come Roma; o d'una che le basti man-tenersi. Nel primo caso, gli è necessario fare ogni cosacome Roma; nel secondo, può imitare Vinegia e Sparta,per quelle cagioni e come nel seguente capitolo si dirà.Ma, per tornare a discorrere quali uomini siano in unarepublica più nocivi, o quelli che desiderano d'acquista-re, o quelli che temono di non perdere l'acquistato; dicoche, sendo creato Marco Menenio Dittatore, e MarcoFulvio Maestro de' cavagli, tutti a due plebei, per ricer-care certe congiure che si erano fatte in Capova contro aRoma, fu data ancora loro autorità dal popolo di poterericercare chi in Roma, per ambizione e modi straordina-ri, s'ingegnasse di venire al consolato, ed agli altri onoridella città. E parendo alla Nobilità, che tale autorità fus-se data al Dittatore contro a lei, sparsono per Roma, chenon i nobili erano quelli che cercavano gli onori per am-bizione e modi straordinari ma gl'ignobili, i quali, nonconfidatisi nel sangue e nella virtù loro, cercavano, pervie straordinarie, venire a quelli gradi, e particularmenteaccusavano il Dittatore. E tanto fu potente questa accusache Menenio, fatta una concione e dolutosi delle calun-nie dategli da' Nobili, depose la dittatura, e sottomessesial giudizio che di lui fusse fatto dal Popolo, e dipoi, agi-tata la causa sua, ne fu assoluto: dove si disputò assai,quale sia più ambizioso o quel che vuole mantenere oquel che vuole acquistare; perché facilmente l'uno e

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l'altro appetito può essere cagione di tumulti grandissi-mi. Pur nondimeno, il più delle volte sono causati da chipossiede, perché la paura del perdere genera in loro lemedesime voglie che sono in quelli che desiderano ac-quistare; perché non pare agli uomini possedere sicura-mente quello che l'uomo ha, se non si acquista di nuovodell'altro. E di più vi è, che, possedendo molto, possonocon maggiore potenza e maggiore moto fare alterazione.Ed ancora vi è di più, che gli loro scorretti e ambiziosiportamenti accendano, ne' petti di chi non possiede, vo-glia di possedere, o per vendicarsi contro di loro spo-gliandoli, o per potere ancora loro entrare in quelle ric-chezze e in quelli onori che veggono essere male usatidagli altri.

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l'altro appetito può essere cagione di tumulti grandissi-mi. Pur nondimeno, il più delle volte sono causati da chipossiede, perché la paura del perdere genera in loro lemedesime voglie che sono in quelli che desiderano ac-quistare; perché non pare agli uomini possedere sicura-mente quello che l'uomo ha, se non si acquista di nuovodell'altro. E di più vi è, che, possedendo molto, possonocon maggiore potenza e maggiore moto fare alterazione.Ed ancora vi è di più, che gli loro scorretti e ambiziosiportamenti accendano, ne' petti di chi non possiede, vo-glia di possedere, o per vendicarsi contro di loro spo-gliandoli, o per potere ancora loro entrare in quelle ric-chezze e in quelli onori che veggono essere male usatidagli altri.

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6 Se in Roma si poteva ordinare uno statoche togliesse via le inimicizie intra il Popolo

ed il Senato.

Noi abbiamo discorso, di sopra, gli effetti che facevanole controversie intra il Popolo ed il Senato. Ora, sendoquelle seguitate infino al tempo de' Gracchi, dove furo-no cagione della rovina del vivere libero, potrebbe alcu-no desiderare che Roma avesse fatti gli effetti grandiche la fece, sanza che in quella fussono tali inimicizie.Però mi è parso cosa degna di considerazione, vedere sein Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse viadette controversie. Ed a volere esaminare questo, è ne-cessario ricorrere a quelle republiche le quali sanza tanteinimicizie e tumulti sono state lungamente libere, e ve-dere quale stato era in loro, e se si poteva introdurre inRoma. In esemplo tra gli antichi ci è Sparta, tra i moder-ni Vinegia, state da me di sopra nominate. Sparta feceuno Re, con uno piccolo Senato, che la governasse; Vi-negia non ha diviso il governo con i nomi, ma, sotto unaappellagione, tutti quelli che possono avere amministra-zione si chiamano Gentiluomini. Il quale modo lo detteil caso, più che la prudenza di chi dette loro le leggi:perché, sendosi ridotti in su quegli scogli dove è oraquella città, per le cagioni dette di sopra, molti abitatori,come furano cresciuti in tanto numero, che, a volere vi-vere insieme, bisognasse loro far leggi, ordinarono unaforma di governo; e convenendo spesso insieme ne' con-

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6 Se in Roma si poteva ordinare uno statoche togliesse via le inimicizie intra il Popolo

ed il Senato.

Noi abbiamo discorso, di sopra, gli effetti che facevanole controversie intra il Popolo ed il Senato. Ora, sendoquelle seguitate infino al tempo de' Gracchi, dove furo-no cagione della rovina del vivere libero, potrebbe alcu-no desiderare che Roma avesse fatti gli effetti grandiche la fece, sanza che in quella fussono tali inimicizie.Però mi è parso cosa degna di considerazione, vedere sein Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse viadette controversie. Ed a volere esaminare questo, è ne-cessario ricorrere a quelle republiche le quali sanza tanteinimicizie e tumulti sono state lungamente libere, e ve-dere quale stato era in loro, e se si poteva introdurre inRoma. In esemplo tra gli antichi ci è Sparta, tra i moder-ni Vinegia, state da me di sopra nominate. Sparta feceuno Re, con uno piccolo Senato, che la governasse; Vi-negia non ha diviso il governo con i nomi, ma, sotto unaappellagione, tutti quelli che possono avere amministra-zione si chiamano Gentiluomini. Il quale modo lo detteil caso, più che la prudenza di chi dette loro le leggi:perché, sendosi ridotti in su quegli scogli dove è oraquella città, per le cagioni dette di sopra, molti abitatori,come furano cresciuti in tanto numero, che, a volere vi-vere insieme, bisognasse loro far leggi, ordinarono unaforma di governo; e convenendo spesso insieme ne' con-

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sigli, a diliberare della città, quando parve loro esseretanti che fossero a sufficienza a uno vivere politico,chiusero la via a tutti quelli altri che vi venissono adabitare di nuovo, di potere convenire ne' loro governi; e,col tempo, trovandosi in quello luogo assai abitatorifuori del governo, per dare riputazione a quelli che go-vernavano, gli chiamarono Gentiluomini, e gli altri Po-polani. Potette questo modo nascere e mantenersi senzatumulto, perché, quando e' nacque, qualunque allora abi-tava in Vinegia fu fatto del governo, di modo che nessu-no si poteva dolere; quelli che dipoi vi vennero ad abita-re, trovando lo stato fermo e terminato, non avevano ca-gione né commodità di fare tumulto. La cagione non viera, perché non era stato loro tolto cosa alcuna; la com-modità non vi era, perché chi reggeva li teneva in freno,e non gli adoperava in cose dove e' potessono pigliareautorità. Oltre a di questo, quelli che dipoi vennono adabitare Vinegia non sono stati molti, e di tanto numeroche vi sia disproporzione da chi gli governa a loro chesono governati, perché il numero de' Gentiluomini o egliè equale al loro, o egli è superiore: sicché, per queste ca-gione, Vinegia potette ordinare quello stato, e mantener-lo unito.Sparta, come ho detto, era governata da uno Re e da unostretto Senato. Potette mantenersi così lungo tempo, per-ché, essendo in Sparta pochi abitatori, ed avendo tolta lavia a chi vi venisse ad abitare, ed avendo preso le leggidi Licurgo con riputazione (le quali osservando, levava-

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sigli, a diliberare della città, quando parve loro esseretanti che fossero a sufficienza a uno vivere politico,chiusero la via a tutti quelli altri che vi venissono adabitare di nuovo, di potere convenire ne' loro governi; e,col tempo, trovandosi in quello luogo assai abitatorifuori del governo, per dare riputazione a quelli che go-vernavano, gli chiamarono Gentiluomini, e gli altri Po-polani. Potette questo modo nascere e mantenersi senzatumulto, perché, quando e' nacque, qualunque allora abi-tava in Vinegia fu fatto del governo, di modo che nessu-no si poteva dolere; quelli che dipoi vi vennero ad abita-re, trovando lo stato fermo e terminato, non avevano ca-gione né commodità di fare tumulto. La cagione non viera, perché non era stato loro tolto cosa alcuna; la com-modità non vi era, perché chi reggeva li teneva in freno,e non gli adoperava in cose dove e' potessono pigliareautorità. Oltre a di questo, quelli che dipoi vennono adabitare Vinegia non sono stati molti, e di tanto numeroche vi sia disproporzione da chi gli governa a loro chesono governati, perché il numero de' Gentiluomini o egliè equale al loro, o egli è superiore: sicché, per queste ca-gione, Vinegia potette ordinare quello stato, e mantener-lo unito.Sparta, come ho detto, era governata da uno Re e da unostretto Senato. Potette mantenersi così lungo tempo, per-ché, essendo in Sparta pochi abitatori, ed avendo tolta lavia a chi vi venisse ad abitare, ed avendo preso le leggidi Licurgo con riputazione (le quali osservando, levava-

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no via tutte le cagioni de' tumulti) poterono vivere unitilungo tempo. Perché Licurgo con le sue leggi fece inSparta più equalità di sustanze, e meno equalità di gra-do; perché quivi era una equale povertà, ed i plebei era-no manco ambiziosi, perché i gradi della città si disten-devano in pochi cittadini ed erano tenuti discosto dallaplebe, né gli nobili col trattargli male dettono mai lorodesiderio di avergli. Questo nacque dai Re spartani, iquali, essendo collocati in quel principato e posti inmezzo di quella Nobilità, non avevano il maggiore ri-medio a tenere ferma la loro dignità, che tenere la Plebedifesa da ogni ingiuria: il che faceva che la Plebe nontemeva e non desiderava imperio; e non avendo imperioné temendo, era levata via la gara che la potesse averecon la Nobilità, e la cagione de' tumulti; e poterono vi-vere uniti lungo tempo. Ma due cose principali causaro-no questa unione: l'una essere pochi gli abitatori diSparta, e per questo poterono essere governati da pochi;l'altra, che, non accettando forestieri nella loro republi-ca, non avevano occasione né di corrompersi né di cre-scere in tanto che la fusse insopportabile a quelli pochiche la governavano.Considerando adunque tutte queste cose, si vede come a'legislatori di Roma era necessario fare una delle duecose a volere che Roma stesse quieta come le sopradetterepubliche: o non adoperare la plebe in guerra, come iViniziani; o non aprire la via a' forestieri, come gli Spar-tani. E loro feciono l'una e l'altra; il che dette alla plebe

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no via tutte le cagioni de' tumulti) poterono vivere unitilungo tempo. Perché Licurgo con le sue leggi fece inSparta più equalità di sustanze, e meno equalità di gra-do; perché quivi era una equale povertà, ed i plebei era-no manco ambiziosi, perché i gradi della città si disten-devano in pochi cittadini ed erano tenuti discosto dallaplebe, né gli nobili col trattargli male dettono mai lorodesiderio di avergli. Questo nacque dai Re spartani, iquali, essendo collocati in quel principato e posti inmezzo di quella Nobilità, non avevano il maggiore ri-medio a tenere ferma la loro dignità, che tenere la Plebedifesa da ogni ingiuria: il che faceva che la Plebe nontemeva e non desiderava imperio; e non avendo imperioné temendo, era levata via la gara che la potesse averecon la Nobilità, e la cagione de' tumulti; e poterono vi-vere uniti lungo tempo. Ma due cose principali causaro-no questa unione: l'una essere pochi gli abitatori diSparta, e per questo poterono essere governati da pochi;l'altra, che, non accettando forestieri nella loro republi-ca, non avevano occasione né di corrompersi né di cre-scere in tanto che la fusse insopportabile a quelli pochiche la governavano.Considerando adunque tutte queste cose, si vede come a'legislatori di Roma era necessario fare una delle duecose a volere che Roma stesse quieta come le sopradetterepubliche: o non adoperare la plebe in guerra, come iViniziani; o non aprire la via a' forestieri, come gli Spar-tani. E loro feciono l'una e l'altra; il che dette alla plebe

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forze ed augumento, ed infinite occasioni di tumultuare.Ma venendo lo stato romano a essere più quieto, ne se-guiva questo inconveniente, ch'egli era anche più debile,perché e' gli si troncava la via di potere venire a quellagrandezza dove ei pervenne: in modo che, volendoRoma levare le cagioni de' tumulti, levava ancora le ca-gioni dello ampliare. Ed in tutte le cose umane si vedequesto, chi le esaminerà bene: che non si può mai can-cellare uno inconveniente, che non ne surga un altro. Pertanto, se tu vuoi fare uno popolo numeroso ed armatoper poter fare un grande imperio, lo fai di qualità che tunon lo puoi poi maneggiare a tuo modo: se tu lo mantie-ni o piccolo o disarmato per poter maneggiarlo, se tu ac-quisti dominio, non lo puoi tenere, o ei diventa sì vileche tu sei preda di qualunque ti assalta. E però, in ogninostra diliberazione si debbe considerare dove sonomeno inconvenienti, e pigliare quello per migliore parti-to: perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truovamai. Poteva dunque Roma, a similitudine di Sparta, fareun principe a vita, fare uno Senato piccolo; ma non po-teva, come lei, non crescere il numero de' cittadini suoi,volendo fare un grande imperio: il che faceva che il Rea vita ed il piccolo numero del Senato, quanto alla unio-ne, gli sarebbe giovato poco.Se alcuno volesse, per tanto, ordinare una republica dinuovo, arebbe a esaminare se volesse che ampliasse,come Roma, di dominio e di potenza, ovvero che lastesse dentro a brevi termini. Nel primo caso, è necessa-

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forze ed augumento, ed infinite occasioni di tumultuare.Ma venendo lo stato romano a essere più quieto, ne se-guiva questo inconveniente, ch'egli era anche più debile,perché e' gli si troncava la via di potere venire a quellagrandezza dove ei pervenne: in modo che, volendoRoma levare le cagioni de' tumulti, levava ancora le ca-gioni dello ampliare. Ed in tutte le cose umane si vedequesto, chi le esaminerà bene: che non si può mai can-cellare uno inconveniente, che non ne surga un altro. Pertanto, se tu vuoi fare uno popolo numeroso ed armatoper poter fare un grande imperio, lo fai di qualità che tunon lo puoi poi maneggiare a tuo modo: se tu lo mantie-ni o piccolo o disarmato per poter maneggiarlo, se tu ac-quisti dominio, non lo puoi tenere, o ei diventa sì vileche tu sei preda di qualunque ti assalta. E però, in ogninostra diliberazione si debbe considerare dove sonomeno inconvenienti, e pigliare quello per migliore parti-to: perché tutto netto, tutto sanza sospetto non si truovamai. Poteva dunque Roma, a similitudine di Sparta, fareun principe a vita, fare uno Senato piccolo; ma non po-teva, come lei, non crescere il numero de' cittadini suoi,volendo fare un grande imperio: il che faceva che il Rea vita ed il piccolo numero del Senato, quanto alla unio-ne, gli sarebbe giovato poco.Se alcuno volesse, per tanto, ordinare una republica dinuovo, arebbe a esaminare se volesse che ampliasse,come Roma, di dominio e di potenza, ovvero che lastesse dentro a brevi termini. Nel primo caso, è necessa-

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rio ordinarla come Roma, e dare luogo a' tumulti e alledissensioni universali, il meglio che si può; perché, san-za gran numero di uomini, e bene armati, mai una repu-blica potrà crescere, o, se la crescerà, mantenersi. Nelsecondo caso, la puoi ordinare come Sparta e come Vi-negia: ma perché l'ampliare è il veleno di simili republi-che, debbe, in tutti quelli modi che si può, chi le ordinaproibire loro lo acquistare, perché tali acquisti fondatisopra una republica debole, sono al tutto la rovina sua.Come intervenne a Sparta ed a Vinegia: delle quali laprima, avendosi sottomessa quasi tutta la Grecia, mostròin su uno minimo accidente il debile fondamento suo;perché, seguita la ribellione di Tebe, causata da Pelopi-da, ribellandosi l'altre cittadi, rovinò al tutto quella repu-blica. Similmente Vinegia, avendo occupato gran parted'Italia, e la maggiore parte non con guerra ma con da-nari e con astuzia, come la ebbe a fare pruova delle for-ze sue, perdette in una giornata ogni cosa. Crederreibene, che a fare una republica che durasse lungo tempo,fusse il modo, ordinarla dentro come Sparta o come Vi-negia; porla in luogo forte, e di tale potenza che nessunocredesse poterla subito opprimere; e, dall'altra parte, nonfusse sì grande, che la fusse formidabile a' vicini: e cosìpotrebbe lungamente godersi il suo stato. Perché, perdue cagioni si fa guerra a una republica: l'una, per di-ventarne signore; l'altra, per paura ch'ella non ti occupi.Queste due cagioni il sopraddetto modo quasi in tuttotoglie via; perché, se la è difficile a espugnarsi, come iola presuppongo, sendo bene ordinata alla difesa, rade

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rio ordinarla come Roma, e dare luogo a' tumulti e alledissensioni universali, il meglio che si può; perché, san-za gran numero di uomini, e bene armati, mai una repu-blica potrà crescere, o, se la crescerà, mantenersi. Nelsecondo caso, la puoi ordinare come Sparta e come Vi-negia: ma perché l'ampliare è il veleno di simili republi-che, debbe, in tutti quelli modi che si può, chi le ordinaproibire loro lo acquistare, perché tali acquisti fondatisopra una republica debole, sono al tutto la rovina sua.Come intervenne a Sparta ed a Vinegia: delle quali laprima, avendosi sottomessa quasi tutta la Grecia, mostròin su uno minimo accidente il debile fondamento suo;perché, seguita la ribellione di Tebe, causata da Pelopi-da, ribellandosi l'altre cittadi, rovinò al tutto quella repu-blica. Similmente Vinegia, avendo occupato gran parted'Italia, e la maggiore parte non con guerra ma con da-nari e con astuzia, come la ebbe a fare pruova delle for-ze sue, perdette in una giornata ogni cosa. Crederreibene, che a fare una republica che durasse lungo tempo,fusse il modo, ordinarla dentro come Sparta o come Vi-negia; porla in luogo forte, e di tale potenza che nessunocredesse poterla subito opprimere; e, dall'altra parte, nonfusse sì grande, che la fusse formidabile a' vicini: e cosìpotrebbe lungamente godersi il suo stato. Perché, perdue cagioni si fa guerra a una republica: l'una, per di-ventarne signore; l'altra, per paura ch'ella non ti occupi.Queste due cagioni il sopraddetto modo quasi in tuttotoglie via; perché, se la è difficile a espugnarsi, come iola presuppongo, sendo bene ordinata alla difesa, rade

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volte accaderà, o non mai, che uno possa fare disegno diacquistarla. Se la si starà intra i termini suoi, e veggasi,per esperienza, che in lei non sia ambizione, non occor-rerà mai che uno per paura di sé le faccia guerra: e tantopiù sarebbe questo, se e' fussi in lei constituzione o leg-ge che le proibisse l'ampliare. E sanza dubbio credo,che, potendosi tenere la cosa bilanciata in questo modo,che e' sarebbe il vero vivere politico e la vera quieted'una città. Ma sendo tutte le cose degli uomini in moto,e non potendo stare salde, conviene che le salghino oche le scendino; e a molte cose che la ragione nont'induce, t'induce la necessità: talmente che, avendo or-dinata una republica atta a mantenersi, non ampliando, ela necessità la conducesse ad ampliare, si verrebbe a torvia i fondamenti suoi, ed a farla rovinare più tosto. Così,dall'altra parte, quando il Cielo le fusse sì benigno che lanon avesse a fare guerra, ne nascerebbe che l'ozio la fa-rebbe o effeminata o divisa; le quali due cose insieme, ociascuna per sé, sarebbono cagione della sua rovina.Pertanto, non si potendo, come io credo, bilanciare que-sta cosa, né mantenere questa via del mezzo a punto; bi-sogna, nello ordinare la republica, pensare alle parte piùonorevole; ed ordinarle in modo, che, quando pure lanecessità le inducesse ad ampliare, elle potessono, quel-lo ch'elle avessono occupato, conservare. E, per tornareal primo ragionamento, credo ch'e' sia necessario segui-re l'ordine romano, e non quello dell'altre republiche;perché trovare un modo, mezzo infra l'uno e l'altro, noncredo si possa, e quelle inimicizie che intra il popolo ed

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volte accaderà, o non mai, che uno possa fare disegno diacquistarla. Se la si starà intra i termini suoi, e veggasi,per esperienza, che in lei non sia ambizione, non occor-rerà mai che uno per paura di sé le faccia guerra: e tantopiù sarebbe questo, se e' fussi in lei constituzione o leg-ge che le proibisse l'ampliare. E sanza dubbio credo,che, potendosi tenere la cosa bilanciata in questo modo,che e' sarebbe il vero vivere politico e la vera quieted'una città. Ma sendo tutte le cose degli uomini in moto,e non potendo stare salde, conviene che le salghino oche le scendino; e a molte cose che la ragione nont'induce, t'induce la necessità: talmente che, avendo or-dinata una republica atta a mantenersi, non ampliando, ela necessità la conducesse ad ampliare, si verrebbe a torvia i fondamenti suoi, ed a farla rovinare più tosto. Così,dall'altra parte, quando il Cielo le fusse sì benigno che lanon avesse a fare guerra, ne nascerebbe che l'ozio la fa-rebbe o effeminata o divisa; le quali due cose insieme, ociascuna per sé, sarebbono cagione della sua rovina.Pertanto, non si potendo, come io credo, bilanciare que-sta cosa, né mantenere questa via del mezzo a punto; bi-sogna, nello ordinare la republica, pensare alle parte piùonorevole; ed ordinarle in modo, che, quando pure lanecessità le inducesse ad ampliare, elle potessono, quel-lo ch'elle avessono occupato, conservare. E, per tornareal primo ragionamento, credo ch'e' sia necessario segui-re l'ordine romano, e non quello dell'altre republiche;perché trovare un modo, mezzo infra l'uno e l'altro, noncredo si possa, e quelle inimicizie che intra il popolo ed

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il senato nascessino, tollerarle, pigliandole per uno in-conveniente necessario a pervenire alla romana grandez-za. Perché, oltre all'altre ragioni allegate, dove si dimo-stra l'autorità tribunizia essere stata necessaria per laguardia della libertà, si può facilmente considerare il be-neficio che fa nelle republiche l'autorità dello accusare,la quale era, intra gli altri, commessa a' Tribuni; comenel seguente capitolo si discorrerà.

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il senato nascessino, tollerarle, pigliandole per uno in-conveniente necessario a pervenire alla romana grandez-za. Perché, oltre all'altre ragioni allegate, dove si dimo-stra l'autorità tribunizia essere stata necessaria per laguardia della libertà, si può facilmente considerare il be-neficio che fa nelle republiche l'autorità dello accusare,la quale era, intra gli altri, commessa a' Tribuni; comenel seguente capitolo si discorrerà.

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7 Quanto siano in una republica necessariele accuse a mantenerla in libertade.

A coloro che in una città sono preposti per guardia dellasua libertà, non si può dare autorità più utile e necessa-ria, quanto è quella di potere accusare i cittadini al po-polo, o a qualunque magistrato o consiglio, quando pec-cassono in alcuna cosa contro allo stato libero. Questoordine fa dua effetti utilissimi a una republica. Il primo èche i cittadini, per paura di non essere accusati, non ten-tano cose contro allo stato; e tentandole, sono, inconti-nente e sanza rispetto, oppressi. L'altro è che si dà ondesfogare a quegli omori che crescono nelle cittadi, inqualunque modo, contro a qualunque cittadino: e quan-do questi omori non hanno onde sfogarsi ordinariamen-te, ricorrono a' modi straordinari, che fanno rovinare tut-ta una republica. E però non è cosa che faccia tanto sta-bile e ferma una republica, quanto ordinare quella inmodo che l'alterazione di quegli omori che l'agitano, ab-bia una via da sfogarsi ordinata dalle leggi. Il che si puòper molti esempli dimostrare, e massime per quello cheadduce Tito Livio, di Coriolano, dove dice, che, essendoirritata contro alla Plebe la Nobilità romana, per parerleche la Plebe avessi troppa autorità, mediante la creazio-ne de' Tribuni che la difendevano; ed essendo Roma,come avviene, venuta in penuria grande di vettovaglie,ed avendo il Senato mandato per grani in Sicilia; Corio-lano, inimico alla fazione popolare, consigliò come egli

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7 Quanto siano in una republica necessariele accuse a mantenerla in libertade.

A coloro che in una città sono preposti per guardia dellasua libertà, non si può dare autorità più utile e necessa-ria, quanto è quella di potere accusare i cittadini al po-polo, o a qualunque magistrato o consiglio, quando pec-cassono in alcuna cosa contro allo stato libero. Questoordine fa dua effetti utilissimi a una republica. Il primo èche i cittadini, per paura di non essere accusati, non ten-tano cose contro allo stato; e tentandole, sono, inconti-nente e sanza rispetto, oppressi. L'altro è che si dà ondesfogare a quegli omori che crescono nelle cittadi, inqualunque modo, contro a qualunque cittadino: e quan-do questi omori non hanno onde sfogarsi ordinariamen-te, ricorrono a' modi straordinari, che fanno rovinare tut-ta una republica. E però non è cosa che faccia tanto sta-bile e ferma una republica, quanto ordinare quella inmodo che l'alterazione di quegli omori che l'agitano, ab-bia una via da sfogarsi ordinata dalle leggi. Il che si puòper molti esempli dimostrare, e massime per quello cheadduce Tito Livio, di Coriolano, dove dice, che, essendoirritata contro alla Plebe la Nobilità romana, per parerleche la Plebe avessi troppa autorità, mediante la creazio-ne de' Tribuni che la difendevano; ed essendo Roma,come avviene, venuta in penuria grande di vettovaglie,ed avendo il Senato mandato per grani in Sicilia; Corio-lano, inimico alla fazione popolare, consigliò come egli

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era venuto il tempo da potere gastigare la Plebe, e torlequella autorità che ella si aveva in pregiudicio della No-bilità presa; tenendola affamata, e non gli distribuendo ilfrumento: la quale sentenzia sendo venuta agli orecchidel Popolo, venne in tanta indegnazione contro a Corio-lano, che allo uscire del Senato lo arebbero tumultuaria-mente morto, se gli Tribuni non lo avessero citato acomparire, a difendere la causa sua. Sopra il quale acci-dente, si nota quello che di sopra si è detto, quanto siautile e necessario che le republiche con le leggi loro,diano onde sfogarsi all'ira che concepe la universalitàcontro a uno cittadino: perché quando questi modi ordi-nari non vi siano, si ricorre agli straordinari; e sanzadubbio questi fanno molto peggiori effetti che non fannoquelli.Perché, se ordinariamente uno cittadino è oppresso, an-cora che li fusse fatto torto, ne séguita o poco o nessunodisordine in la republica; perché la esecuzione si fa san-za forze private, e sanza forze forestieri, che sono quelleche rovinano il vivere libero; ma si fa con forze ed ordi-ni pubblici, che hanno i termini loro particulari, né tra-scendono a cosa che rovini la republica. E quanto a cor-roborare questa opinione con gli esempli, voglio che de-gli antiqui mi basti questo di Coriolano; sopra il qualeciascuno consideri, quanto male saria risultato alla repu-blica romana, se tumultuariamente ei fusse stato morto:perché ne nasceva offesa da privati a privati, la quale of-fesa genera paura; la paura cerca difesa; per la difesa si

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era venuto il tempo da potere gastigare la Plebe, e torlequella autorità che ella si aveva in pregiudicio della No-bilità presa; tenendola affamata, e non gli distribuendo ilfrumento: la quale sentenzia sendo venuta agli orecchidel Popolo, venne in tanta indegnazione contro a Corio-lano, che allo uscire del Senato lo arebbero tumultuaria-mente morto, se gli Tribuni non lo avessero citato acomparire, a difendere la causa sua. Sopra il quale acci-dente, si nota quello che di sopra si è detto, quanto siautile e necessario che le republiche con le leggi loro,diano onde sfogarsi all'ira che concepe la universalitàcontro a uno cittadino: perché quando questi modi ordi-nari non vi siano, si ricorre agli straordinari; e sanzadubbio questi fanno molto peggiori effetti che non fannoquelli.Perché, se ordinariamente uno cittadino è oppresso, an-cora che li fusse fatto torto, ne séguita o poco o nessunodisordine in la republica; perché la esecuzione si fa san-za forze private, e sanza forze forestieri, che sono quelleche rovinano il vivere libero; ma si fa con forze ed ordi-ni pubblici, che hanno i termini loro particulari, né tra-scendono a cosa che rovini la republica. E quanto a cor-roborare questa opinione con gli esempli, voglio che de-gli antiqui mi basti questo di Coriolano; sopra il qualeciascuno consideri, quanto male saria risultato alla repu-blica romana, se tumultuariamente ei fusse stato morto:perché ne nasceva offesa da privati a privati, la quale of-fesa genera paura; la paura cerca difesa; per la difesa si

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procacciano partigiani; da' partigiani nascono le partinelle cittadi, dalle parti la rovina di quelle. Ma sendosigovernata la cosa mediante chi ne aveva autorità si ven-nero a tor via tutti quelli mali che ne potevano nasceregovernandola con autorità privata.Noi avemo visto ne' nostri tempi quale novità ha fattoalla republica di Firenze non potere la moltitudine sfo-gare l'animo suo ordinariamente contro a un suo cittadi-no, come accadde ne' tempi che Francesco Valori eracome principe della città; il quale sendo giudicato ambi-zioso da molti, e uomo che volesse con la sua audacia eanimosità transcendere il vivere civile; e non essendonella republica via a potergli resistere se non con unasetta contraria alla sua; ne nacque che, non avendo pau-ra quello se non di modi straordinari, si cominciò a farefautori che lo difendessono; dall'altra parte, quelli che looppugnavano non avendo via ordinaria a reprimerlo,pensarono alle vie straordinarie: intanto che si vennealle armi. E dove, quando per l'ordinario si fusse potutoopporsegli, sarebbe la sua autorità spenta con suo dannosolo; avendosi a spegnere per lo straordinario, seguì condanno non solamente suo, ma di molti altri nobili citta-dini. Potrebbesi ancora allegare, in sostentamento dellasoprascritta conclusione, l'accidente seguito pur in Fi-renze sopra Piero Soderini, il quale al tutto seguì pernon essere in quella republica alcuno modo di accusecontro alla ambizione de' potenti cittadini. Perché lo ac-cusare uno potente a otto giudici in una republica, non

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procacciano partigiani; da' partigiani nascono le partinelle cittadi, dalle parti la rovina di quelle. Ma sendosigovernata la cosa mediante chi ne aveva autorità si ven-nero a tor via tutti quelli mali che ne potevano nasceregovernandola con autorità privata.Noi avemo visto ne' nostri tempi quale novità ha fattoalla republica di Firenze non potere la moltitudine sfo-gare l'animo suo ordinariamente contro a un suo cittadi-no, come accadde ne' tempi che Francesco Valori eracome principe della città; il quale sendo giudicato ambi-zioso da molti, e uomo che volesse con la sua audacia eanimosità transcendere il vivere civile; e non essendonella republica via a potergli resistere se non con unasetta contraria alla sua; ne nacque che, non avendo pau-ra quello se non di modi straordinari, si cominciò a farefautori che lo difendessono; dall'altra parte, quelli che looppugnavano non avendo via ordinaria a reprimerlo,pensarono alle vie straordinarie: intanto che si vennealle armi. E dove, quando per l'ordinario si fusse potutoopporsegli, sarebbe la sua autorità spenta con suo dannosolo; avendosi a spegnere per lo straordinario, seguì condanno non solamente suo, ma di molti altri nobili citta-dini. Potrebbesi ancora allegare, in sostentamento dellasoprascritta conclusione, l'accidente seguito pur in Fi-renze sopra Piero Soderini, il quale al tutto seguì pernon essere in quella republica alcuno modo di accusecontro alla ambizione de' potenti cittadini. Perché lo ac-cusare uno potente a otto giudici in una republica, non

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basta: bisogna che i giudici siano assai, perché i pochisempre fanno a modo de' pochi. Tanto che, se tali modivi fussono stati, o i cittadini lo arebbero accusato, viven-do lui male; e per tale mezzo, sanza far venire l'esercitospagnuolo, arebbono sfogato l'animo loro; o, non viven-do male, non arebbono avuto ardire operargli contro, perpaura di non essere accusati essi: e così sarebbe da ogniparte cessato quello appetito che fu cagione di scandolo.Tanto che si può conchiudere questo, che, qualunquevolta si vede che le forze estranee siano chiamate da unaparte di uomini che vivono in una città, si può crederenasca da' cattivi ordini di quella, per non essere, dentro aquel cerchio, ordine da potere, sanza modi istraordinari,sfogare i maligni omori che nascono negli uomini: a chesi provede al tutto con ordinarvi le accuse agli assai giu-dici, e dare riputazione a quelle. I quali modi furono inRoma sì bene ordinati, che, in tante dissensioni dellaPlebe e del Senato, mai o il Senato o la Plebe o alcunoparticulare cittadino disegnò valersi di forze esterne;perché, avendo il rimedio in casa, non erano necessitatiandare per quello fuori. E benché gli esempli soprascrit-ti siano assai sufficienti a provarlo, nondimeno ne vo-glio addurre un altro, recitato da Tito Livio nella suaistoria: il quale riferisce come, sendo stato in Chiusi, cit-tà in quelli tempi nobilissima in Toscana, da uno Lucu-mone violata una sorella di Arunte, e non potendo Arun-te vendicarsi per la potenza del violatore, se n'andò atrovare i Franciosi, che allora regnavano in quello luogo

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basta: bisogna che i giudici siano assai, perché i pochisempre fanno a modo de' pochi. Tanto che, se tali modivi fussono stati, o i cittadini lo arebbero accusato, viven-do lui male; e per tale mezzo, sanza far venire l'esercitospagnuolo, arebbono sfogato l'animo loro; o, non viven-do male, non arebbono avuto ardire operargli contro, perpaura di non essere accusati essi: e così sarebbe da ogniparte cessato quello appetito che fu cagione di scandolo.Tanto che si può conchiudere questo, che, qualunquevolta si vede che le forze estranee siano chiamate da unaparte di uomini che vivono in una città, si può crederenasca da' cattivi ordini di quella, per non essere, dentro aquel cerchio, ordine da potere, sanza modi istraordinari,sfogare i maligni omori che nascono negli uomini: a chesi provede al tutto con ordinarvi le accuse agli assai giu-dici, e dare riputazione a quelle. I quali modi furono inRoma sì bene ordinati, che, in tante dissensioni dellaPlebe e del Senato, mai o il Senato o la Plebe o alcunoparticulare cittadino disegnò valersi di forze esterne;perché, avendo il rimedio in casa, non erano necessitatiandare per quello fuori. E benché gli esempli soprascrit-ti siano assai sufficienti a provarlo, nondimeno ne vo-glio addurre un altro, recitato da Tito Livio nella suaistoria: il quale riferisce come, sendo stato in Chiusi, cit-tà in quelli tempi nobilissima in Toscana, da uno Lucu-mone violata una sorella di Arunte, e non potendo Arun-te vendicarsi per la potenza del violatore, se n'andò atrovare i Franciosi, che allora regnavano in quello luogo

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che oggi si chiama Lombardia; e quelli confortò a veni-re con armata mano a Chiusi, mostrando loro come conloro utile lo potevano vendicare della ingiuria ricevuta:che se Arunte avesse veduto potersi vendicare con imodi della città, non arebbe cerco le forze barbare. Macome queste accuse sono utili in una republica, cosìsono inutili e dannose le calunnie, come nel capitolo se-guente discorreremo.

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che oggi si chiama Lombardia; e quelli confortò a veni-re con armata mano a Chiusi, mostrando loro come conloro utile lo potevano vendicare della ingiuria ricevuta:che se Arunte avesse veduto potersi vendicare con imodi della città, non arebbe cerco le forze barbare. Macome queste accuse sono utili in una republica, cosìsono inutili e dannose le calunnie, come nel capitolo se-guente discorreremo.

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8 Quanto le accuse sono utili alle republiche,tanto sono perniziose le calunnie.

Non ostante che la virtù di Furio Cammillo, poi ch'egliebbe libera Roma dalla oppressione de' Franciosi, aves-se fatto che tutti i cittadini romani, sanza parere loro tor-si riputazione o grado, cedevano a quello; nondimancoManlio Capitolino non poteva sopportare che gli fusseattribuito tanto onore e tanta gloria; parendogli, quantoalla salute di Roma, per avere salvato il Campidoglio,avere meritato quanto Cammillo; e, quanto all'altre bel-liche laude, non essere inferiore a lui. Di modo che, ca-rico d'invidia, non potendo quietarsi per la gloria diquello, e veggendo non potere seminare discordia infra iPadri, si volse alla Plebe, seminando varie opinioni sini-stre intra quella. E intra le altre cose che diceva, eracome il tesoro il quale si era adunato insieme per dare aiFranciosi, e poi non dato loro, era stato usurpato da pri-vati cittadini; e, quando si riavesse, si poteva convertirloin publica utilità, alleggerendo la Plebe da' tributi, o daqualche privato debito. Queste parole poterono assainella Plebe; talché cominciò a avere concorso, ed a farea sua posta dimolti tumulti nella città: la quale cosa di-spiacendo al Senato, e parendogli di momento e perico-losa, creò uno Dittatore, perché ci riconoscesse questocaso, e frenasse lo empito di Manlio. Onde è che subitoil Dittatore lo fece citare, e condussonsi in publicoall'incontro l'uno dell'altro; il Dittatore in mezzo de' No-

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8 Quanto le accuse sono utili alle republiche,tanto sono perniziose le calunnie.

Non ostante che la virtù di Furio Cammillo, poi ch'egliebbe libera Roma dalla oppressione de' Franciosi, aves-se fatto che tutti i cittadini romani, sanza parere loro tor-si riputazione o grado, cedevano a quello; nondimancoManlio Capitolino non poteva sopportare che gli fusseattribuito tanto onore e tanta gloria; parendogli, quantoalla salute di Roma, per avere salvato il Campidoglio,avere meritato quanto Cammillo; e, quanto all'altre bel-liche laude, non essere inferiore a lui. Di modo che, ca-rico d'invidia, non potendo quietarsi per la gloria diquello, e veggendo non potere seminare discordia infra iPadri, si volse alla Plebe, seminando varie opinioni sini-stre intra quella. E intra le altre cose che diceva, eracome il tesoro il quale si era adunato insieme per dare aiFranciosi, e poi non dato loro, era stato usurpato da pri-vati cittadini; e, quando si riavesse, si poteva convertirloin publica utilità, alleggerendo la Plebe da' tributi, o daqualche privato debito. Queste parole poterono assainella Plebe; talché cominciò a avere concorso, ed a farea sua posta dimolti tumulti nella città: la quale cosa di-spiacendo al Senato, e parendogli di momento e perico-losa, creò uno Dittatore, perché ci riconoscesse questocaso, e frenasse lo empito di Manlio. Onde è che subitoil Dittatore lo fece citare, e condussonsi in publicoall'incontro l'uno dell'altro; il Dittatore in mezzo de' No-

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bili, e Manlio nel mezzo della Plebe. Fu domandatoManlio che dovesse dire, appresso a chi fusse questo te-soro ch'e' diceva, perché n'era così desideroso il Senato,d'intenderlo, come la Plebe: a che Manlio non risponde-va particularmente; ma, andando sfuggendo, dicevacome non era necessario dire loro quello che si sapeva-no: tanto che il Dittatore lo fece mettere in carcere.È da notare, per questo testo, quanto siano nelle città li-bere, ed in ogni altro modo di vivere, detestabili le ca-lunnie; e come, per reprimerle, si debba non perdonare aordine alcuno che vi faccia a proposito. Né può esseremigliore ordine, a torle via, che aprire assai luoghi alleaccuse; perché, quanto le accuse giovano alle republi-che, tanto le calunnie nuocono: e dall'una all'altra parteè questa differenza, che le calunnie non hanno bisognoné di testimone né di alcuno altro particulare riscontro aprovarle, in modo che ciascuno e da ciascuno può esserecalunniato; ma non può già essere accusato, avendo leaccuse bisogno di riscontri veri e di circunstanze chemostrino la verità dell'accusa. Accusansi gli uomini a'magistrati, a' popoli, a' consigli; calunnionsi per le piaz-ze e per le logge. Usasi più questa calunnia dove si usameno l'accusa, e dove le città sono meno ordinate a rice-verle. Però, un ordinatore d'una republica debbe ordina-re che si possa in quella accusare ogni cittadino, sanzaalcuna paura o sanza alcuno rispetto; e fatto questo, ebene osservato, debbe punire acremente i calunniatori: iquali non si possono dolere quando siano puniti, avendo

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bili, e Manlio nel mezzo della Plebe. Fu domandatoManlio che dovesse dire, appresso a chi fusse questo te-soro ch'e' diceva, perché n'era così desideroso il Senato,d'intenderlo, come la Plebe: a che Manlio non risponde-va particularmente; ma, andando sfuggendo, dicevacome non era necessario dire loro quello che si sapeva-no: tanto che il Dittatore lo fece mettere in carcere.È da notare, per questo testo, quanto siano nelle città li-bere, ed in ogni altro modo di vivere, detestabili le ca-lunnie; e come, per reprimerle, si debba non perdonare aordine alcuno che vi faccia a proposito. Né può esseremigliore ordine, a torle via, che aprire assai luoghi alleaccuse; perché, quanto le accuse giovano alle republi-che, tanto le calunnie nuocono: e dall'una all'altra parteè questa differenza, che le calunnie non hanno bisognoné di testimone né di alcuno altro particulare riscontro aprovarle, in modo che ciascuno e da ciascuno può esserecalunniato; ma non può già essere accusato, avendo leaccuse bisogno di riscontri veri e di circunstanze chemostrino la verità dell'accusa. Accusansi gli uomini a'magistrati, a' popoli, a' consigli; calunnionsi per le piaz-ze e per le logge. Usasi più questa calunnia dove si usameno l'accusa, e dove le città sono meno ordinate a rice-verle. Però, un ordinatore d'una republica debbe ordina-re che si possa in quella accusare ogni cittadino, sanzaalcuna paura o sanza alcuno rispetto; e fatto questo, ebene osservato, debbe punire acremente i calunniatori: iquali non si possono dolere quando siano puniti, avendo

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i luoghi aperti a udire le accuse di colui che gli avesseper le logge calunniato. E dove non è bene ordinata que-sta parte, seguitano sempre disordini grandi: perché lecalunnie irritano, e non castigano i cittadini; e gli irritatipensano di valersi, odiando più presto, che temendo, lecose che si dicano contro a loro.Questa parte, come è detto, era bene ordinata in Roma;ed è stata sempre male ordinata nella nostra città di Fi-renze. E come a Roma questo ordine fece molto bene, aFirenze questo disordine fece molto male. E chi legge leistorie di questa città, vedrà quante calunnie sono statein ogni tempo date a' suoi cittadini, che si sono adopera-ti nelle cose importanti di quella. Dell'uno dicevano,ch'egli aveva rubato i danari al Comune; dell'altro, chenon aveva vinta una impresa per essere stato corrotto; eche quell'altro per sua ambizione aveva fatto il tale ed iltale inconveniente. Di che ne nasceva che da ogni partene surgeva odio: donde si veniva alla divisione, dalla di-visione alle sètte, dalle sètte alla rovina. Che se fussestato in Firenze ordine d'accusare i cittadini, e punire icalunniatori, non seguivano infiniti scandoli che sonoseguiti; perché quelli cittadini, o condannati o assolutiche fussono, non arebbono potuto nuocere alla città, esarebbeno stati accusati meno assai che non ne erano ca-lunniati, non si potendo, come ho detto, accusare comecalunniare ciascuno. Ed intra l'altre cose di che si è va-luto alcun cittadino per venire alla grandezza sua, sonostate queste calunnie: le quali venendo contro a cittadini

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i luoghi aperti a udire le accuse di colui che gli avesseper le logge calunniato. E dove non è bene ordinata que-sta parte, seguitano sempre disordini grandi: perché lecalunnie irritano, e non castigano i cittadini; e gli irritatipensano di valersi, odiando più presto, che temendo, lecose che si dicano contro a loro.Questa parte, come è detto, era bene ordinata in Roma;ed è stata sempre male ordinata nella nostra città di Fi-renze. E come a Roma questo ordine fece molto bene, aFirenze questo disordine fece molto male. E chi legge leistorie di questa città, vedrà quante calunnie sono statein ogni tempo date a' suoi cittadini, che si sono adopera-ti nelle cose importanti di quella. Dell'uno dicevano,ch'egli aveva rubato i danari al Comune; dell'altro, chenon aveva vinta una impresa per essere stato corrotto; eche quell'altro per sua ambizione aveva fatto il tale ed iltale inconveniente. Di che ne nasceva che da ogni partene surgeva odio: donde si veniva alla divisione, dalla di-visione alle sètte, dalle sètte alla rovina. Che se fussestato in Firenze ordine d'accusare i cittadini, e punire icalunniatori, non seguivano infiniti scandoli che sonoseguiti; perché quelli cittadini, o condannati o assolutiche fussono, non arebbono potuto nuocere alla città, esarebbeno stati accusati meno assai che non ne erano ca-lunniati, non si potendo, come ho detto, accusare comecalunniare ciascuno. Ed intra l'altre cose di che si è va-luto alcun cittadino per venire alla grandezza sua, sonostate queste calunnie: le quali venendo contro a cittadini

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potenti che all'appetito suo si opponevano, facevono as-sai per quello; perché, pigliando la parte del Popolo, econfermandolo nella mala opinione ch'egli aveva diloro, se lo fece amico. E benché se ne potessi addurreassai esempli, voglio essere contento solo d'uno. Era loesercito fiorentino a campo a Lucca, comandato da mes-ser Giovanni Guicciardini, commessario di quello. Vol-lono o i cattivi suoi governi o la cattiva sua fortuna chela espugnazione di quella città non seguisse: pure, co-munque il caso stesse, ne fu incolpato messer Giovanni,dicendo com'egli era stato corrotto da' Lucchesi: la qua-le calunnia sendo favorita dagl'inimici suoi, condussemesser Giovanni quasi in ultima disperazione. E ben-ché, per giustificarsi, e' si volessi mettere nelle mani delCapitano; nondimeno non si potette mai giustificare, pernon essere modi in quella republica da poterlo fare. Diche ne nacque assai sdegni intra gli amici di messerGiovanni, che erano la maggior parte degli uomini gran-di ed infra coloro che desideravano fare novità in Firen-ze. La quale cosa, e per questa e per altre simili cagioni,tanto crebbe che ne seguì la rovina di quella republica.Era adunque Manlio Capitolino calunniatore, e non ac-cusatore; ed i Romani mostrarono, in questo caso ap-punto, come i calunniatori si debbono punire. Perché sidebbe farli diventare accusatori; e quando l'accusa si ri-scontri vera, o premiarli o non punirli: ma quando lanon si riscontri vera, punirli, come fu punito Manlio.

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potenti che all'appetito suo si opponevano, facevono as-sai per quello; perché, pigliando la parte del Popolo, econfermandolo nella mala opinione ch'egli aveva diloro, se lo fece amico. E benché se ne potessi addurreassai esempli, voglio essere contento solo d'uno. Era loesercito fiorentino a campo a Lucca, comandato da mes-ser Giovanni Guicciardini, commessario di quello. Vol-lono o i cattivi suoi governi o la cattiva sua fortuna chela espugnazione di quella città non seguisse: pure, co-munque il caso stesse, ne fu incolpato messer Giovanni,dicendo com'egli era stato corrotto da' Lucchesi: la qua-le calunnia sendo favorita dagl'inimici suoi, condussemesser Giovanni quasi in ultima disperazione. E ben-ché, per giustificarsi, e' si volessi mettere nelle mani delCapitano; nondimeno non si potette mai giustificare, pernon essere modi in quella republica da poterlo fare. Diche ne nacque assai sdegni intra gli amici di messerGiovanni, che erano la maggior parte degli uomini gran-di ed infra coloro che desideravano fare novità in Firen-ze. La quale cosa, e per questa e per altre simili cagioni,tanto crebbe che ne seguì la rovina di quella republica.Era adunque Manlio Capitolino calunniatore, e non ac-cusatore; ed i Romani mostrarono, in questo caso ap-punto, come i calunniatori si debbono punire. Perché sidebbe farli diventare accusatori; e quando l'accusa si ri-scontri vera, o premiarli o non punirli: ma quando lanon si riscontri vera, punirli, come fu punito Manlio.

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9 Come egli è necessario essere solo a volereordinare una repubblica di nuovo, o al tutto

fuor degli antichi suoi ordini riformarla.

Ei parrà forse ad alcuno, che io sia troppo trascorso den-tro nella istoria romana, non avendo fatto alcuna men-zione ancora degli ordinatori di quella republica, né diquelli ordini che alla religione o alla milizia riguardasse-ro. E però, non volendo tenere più sospesi gli animi dicoloro che sopra questa parte volessono intendere alcu-ne cose; dico come molti per avventura giudicherannodi cattivo esemplo, che uno fondatore d'un vivere civile,quale fu Romolo, abbia prima morto un suo fratello, di-poi consentito alla morte di Tito Tazio Sabino, eletto dalui compagno nel regno; giudicando, per questo, che glisuoi cittadini potessono con l'autorità del loro principe,per ambizione e desiderio di comandare, offendere quel-li che alla loro autorità si opponessero. La quale opinio-ne sarebbe vera, quando non si considerasse che fine loavesse indotto a fare tal omicidio.E debbesi pigliare questo per una regola generale: chemai o rado occorre che alcuna republica o regno sia, daprincipio, ordinato bene, o al tutto di nuovo, fuora degliordini vecchi, riformato, se non è ordinato da uno; anziè necessario che uno solo sia quello che dia il modo, edalla cui mente dependa qualunque simile ordinazione.Però, uno prudente ordinatore d'una republica, e che ab-bia questo animo, di volere giovare non a sé ma al bene

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9 Come egli è necessario essere solo a volereordinare una repubblica di nuovo, o al tutto

fuor degli antichi suoi ordini riformarla.

Ei parrà forse ad alcuno, che io sia troppo trascorso den-tro nella istoria romana, non avendo fatto alcuna men-zione ancora degli ordinatori di quella republica, né diquelli ordini che alla religione o alla milizia riguardasse-ro. E però, non volendo tenere più sospesi gli animi dicoloro che sopra questa parte volessono intendere alcu-ne cose; dico come molti per avventura giudicherannodi cattivo esemplo, che uno fondatore d'un vivere civile,quale fu Romolo, abbia prima morto un suo fratello, di-poi consentito alla morte di Tito Tazio Sabino, eletto dalui compagno nel regno; giudicando, per questo, che glisuoi cittadini potessono con l'autorità del loro principe,per ambizione e desiderio di comandare, offendere quel-li che alla loro autorità si opponessero. La quale opinio-ne sarebbe vera, quando non si considerasse che fine loavesse indotto a fare tal omicidio.E debbesi pigliare questo per una regola generale: chemai o rado occorre che alcuna republica o regno sia, daprincipio, ordinato bene, o al tutto di nuovo, fuora degliordini vecchi, riformato, se non è ordinato da uno; anziè necessario che uno solo sia quello che dia il modo, edalla cui mente dependa qualunque simile ordinazione.Però, uno prudente ordinatore d'una republica, e che ab-bia questo animo, di volere giovare non a sé ma al bene

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comune, non alla sua propria successione ma alla comu-ne patria, debbe ingegnarsi di avere l'autorità, solo; némai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azio-ne straordinaria, che, per ordinare un regno o constituireuna republica, usasse. Conviene bene, che, accusandoloil fatto, lo effetto lo scusi; e quando sia buono, comequello di Romolo, sempre lo scuserà: perché colui che èviolento per guastare, non quello che è per racconciare,si debbe riprendere. Debbi bene in tanto essere prudentee virtuoso, che quella autorità che si ha presa non la la-sci ereditaria a un altro: perché, sendo gli uomini piùproni al male che al bene, potrebbe il suo successoreusare ambiziosamente quello che virtuosamente da luifusse stato usato. Oltre a di questo, se uno è atto a ordi-nare, non è la cosa ordinata per durare molto, quando larimanga sopra le spalle d'uno; ma sì bene, quando la ri-mane alla cura di molti e che a molti stia il mantenerla.Perché, così come molti non sono atti a ordinare unacosa, per non conoscere il bene di quella, causato dallediverse opinioni che sono fra loro; così, conosciuto chelo hanno, non si accordano a lasciarlo. E che Romolofusse di quelli che nella morte del fratello e del compa-gno meritasse scusa, e che quello che fece, fusse per ilbene comune, e non per ambizione propria, lo dimostralo avere quello, subito ordinato uno Senato, con il qualesi consigliasse, e secondo la opinione del quale delibe-rasse. E chi considerrà bene l'autorità che Romolo si ri-serbò, vedrà non se ne essere riserbata alcun'altra checomandare agli eserciti quando si era deliberata la guer-

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comune, non alla sua propria successione ma alla comu-ne patria, debbe ingegnarsi di avere l'autorità, solo; némai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azio-ne straordinaria, che, per ordinare un regno o constituireuna republica, usasse. Conviene bene, che, accusandoloil fatto, lo effetto lo scusi; e quando sia buono, comequello di Romolo, sempre lo scuserà: perché colui che èviolento per guastare, non quello che è per racconciare,si debbe riprendere. Debbi bene in tanto essere prudentee virtuoso, che quella autorità che si ha presa non la la-sci ereditaria a un altro: perché, sendo gli uomini piùproni al male che al bene, potrebbe il suo successoreusare ambiziosamente quello che virtuosamente da luifusse stato usato. Oltre a di questo, se uno è atto a ordi-nare, non è la cosa ordinata per durare molto, quando larimanga sopra le spalle d'uno; ma sì bene, quando la ri-mane alla cura di molti e che a molti stia il mantenerla.Perché, così come molti non sono atti a ordinare unacosa, per non conoscere il bene di quella, causato dallediverse opinioni che sono fra loro; così, conosciuto chelo hanno, non si accordano a lasciarlo. E che Romolofusse di quelli che nella morte del fratello e del compa-gno meritasse scusa, e che quello che fece, fusse per ilbene comune, e non per ambizione propria, lo dimostralo avere quello, subito ordinato uno Senato, con il qualesi consigliasse, e secondo la opinione del quale delibe-rasse. E chi considerrà bene l'autorità che Romolo si ri-serbò, vedrà non se ne essere riserbata alcun'altra checomandare agli eserciti quando si era deliberata la guer-

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ra e di ragunare il Senato. Il che si vide poi, quandoRoma divenne libera per la cacciata de' Tarquini, doveda' Romani non fu innovato alcun ordine dello antico, senon che, in luogo d'uno Re perpetuo, fossero due Con-soli annuali; il che testifica, tutti gli ordini primi di quel-la città essere stati più conformi a uno vivere civile e li-bero, che a uno assoluto e tirannico.Potrebbesi dare in sostentamento delle cose soprascritteinfiniti esempli; come Moises, Licurgo, Solone, ed altrifondatori di regni e di republiche, e' quali poterono, peraversi attribuito un'autorità, formare leggi a propositodel bene comune: ma li voglio lasciare indietro, comecosa nota. Addurronne solamente uno, non sì celebre,ma da considerarsi per coloro che desiderassono esseredi buone leggi ordinatori: il quale è, che, desiderandoAgide re di Sparta ridurre gli Spartani intra quelli termi-ni che le leggi di Licurgo gli avevano rinchiusi, paren-dogli che, per esserne in parte deviati, la sua città avesseperduto assai di quella antica virtù, e, per consequente,di forze e d'imperio, fu, ne' suoi primi principii, ammaz-zato dagli Efori spartani, come uomo che volesse occu-pare la tirannide. Ma succedendo dopo di lui nel regnoCleomene, e nascendogli il medesimo desiderio per gliricordi e scritti ch'egli aveva trovati d'Agide, dove si ve-deva quale era la mente ed intenzione sua, conobbe nonpotere fare questo bene alla sua patria se non diventavasolo di autorità; parendogli, per l'ambizione degli uomi-ni, non potere fare utile a molti contro alla voglia di po-

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ra e di ragunare il Senato. Il che si vide poi, quandoRoma divenne libera per la cacciata de' Tarquini, doveda' Romani non fu innovato alcun ordine dello antico, senon che, in luogo d'uno Re perpetuo, fossero due Con-soli annuali; il che testifica, tutti gli ordini primi di quel-la città essere stati più conformi a uno vivere civile e li-bero, che a uno assoluto e tirannico.Potrebbesi dare in sostentamento delle cose soprascritteinfiniti esempli; come Moises, Licurgo, Solone, ed altrifondatori di regni e di republiche, e' quali poterono, peraversi attribuito un'autorità, formare leggi a propositodel bene comune: ma li voglio lasciare indietro, comecosa nota. Addurronne solamente uno, non sì celebre,ma da considerarsi per coloro che desiderassono esseredi buone leggi ordinatori: il quale è, che, desiderandoAgide re di Sparta ridurre gli Spartani intra quelli termi-ni che le leggi di Licurgo gli avevano rinchiusi, paren-dogli che, per esserne in parte deviati, la sua città avesseperduto assai di quella antica virtù, e, per consequente,di forze e d'imperio, fu, ne' suoi primi principii, ammaz-zato dagli Efori spartani, come uomo che volesse occu-pare la tirannide. Ma succedendo dopo di lui nel regnoCleomene, e nascendogli il medesimo desiderio per gliricordi e scritti ch'egli aveva trovati d'Agide, dove si ve-deva quale era la mente ed intenzione sua, conobbe nonpotere fare questo bene alla sua patria se non diventavasolo di autorità; parendogli, per l'ambizione degli uomi-ni, non potere fare utile a molti contro alla voglia di po-

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chi: e presa occasione conveniente, fece ammazzare tuttigli Efori, e qualunque altro gli potesse contrastare; dipoirinnovò in tutto le leggi di Licurgo. La quale dilibera-zione era atta a fare risuscitare Sparta, e dare a Cleome-ne quella riputazione che ebbe Licurgo, se non fusse sta-ta la potenza de' Macedoni, e la debolezza delle altre re-publiche greche. Perché, essendo, dopo tale ordine, as-saltato da' Macedoni, e trovandosi per sé stesso inferioredi forze, e non avendo a chi rifuggire, fu vinto; e restòquel suo disegno, quantunque giusto e laudabile, imper-fetto.Considerato adunque tutte queste cose, conchiudo, comea ordinare una republica è necessario essere solo; e Ro-molo, per la morte di Remo e di Tito Tazio, meritareiscusa e non biasimo.

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chi: e presa occasione conveniente, fece ammazzare tuttigli Efori, e qualunque altro gli potesse contrastare; dipoirinnovò in tutto le leggi di Licurgo. La quale dilibera-zione era atta a fare risuscitare Sparta, e dare a Cleome-ne quella riputazione che ebbe Licurgo, se non fusse sta-ta la potenza de' Macedoni, e la debolezza delle altre re-publiche greche. Perché, essendo, dopo tale ordine, as-saltato da' Macedoni, e trovandosi per sé stesso inferioredi forze, e non avendo a chi rifuggire, fu vinto; e restòquel suo disegno, quantunque giusto e laudabile, imper-fetto.Considerato adunque tutte queste cose, conchiudo, comea ordinare una republica è necessario essere solo; e Ro-molo, per la morte di Remo e di Tito Tazio, meritareiscusa e non biasimo.

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10 Quanto sono laudabili i fondatori d'unarepublica o d'uno regno, tanto quelli d'una

tirannide sono vituperabili.

Intra tutti gli uomini laudati sono i laudatissimi quelliche sono stati capi e ordinatori delle religioni. Appresso,dipoi, quelli che hanno fondato o republiche o regni.Dopo a costoro, sono celebri quelli che, preposti aglieserciti, hanno ampliato o il regno loro o quello dellapatria. A questi si aggiungono gli uomini litterati. E per-ché questi sono di più ragioni, sono celebrati, ciascunod'essi, secondo il grado suo. A qualunque altro uomo, ilnumero de' quali è infinito, si attribuisce qualche partedi laude, la quale gli arreca l'arte e lo esercizio suo.Sono pel contrario, infami e detestabili gli uomini di-struttori delle religioni, dissipatori de' regni e delle repu-bliche, inimici delle virtù, delle lettere, e d'ogni altraarte che arrechi utilità e onore alla umana generazione;come sono gl'impii, i violenti, gl'ignoranti, i dappochi,gli oziosi, i vili. E nessuno sarà mai sì pazzo o sì savio,sì tristo o sì buono, che, prepostagli la elezione delle duequalità d'uomini, non laudi quella che è da laudare, ebiasimi quella che è da biasimare: nientedimeno, dipoi,quasi tutti, ingannati da uno falso bene e da una falsagloria, si lasciono andare, o voluntariamente o ignoran-temente, nei gradi di coloro che meritano più biasimoche laude; e potendo fare, con perpetuo loro onore, ouna republica o uno regno, si volgono alla tirannide: né

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10 Quanto sono laudabili i fondatori d'unarepublica o d'uno regno, tanto quelli d'una

tirannide sono vituperabili.

Intra tutti gli uomini laudati sono i laudatissimi quelliche sono stati capi e ordinatori delle religioni. Appresso,dipoi, quelli che hanno fondato o republiche o regni.Dopo a costoro, sono celebri quelli che, preposti aglieserciti, hanno ampliato o il regno loro o quello dellapatria. A questi si aggiungono gli uomini litterati. E per-ché questi sono di più ragioni, sono celebrati, ciascunod'essi, secondo il grado suo. A qualunque altro uomo, ilnumero de' quali è infinito, si attribuisce qualche partedi laude, la quale gli arreca l'arte e lo esercizio suo.Sono pel contrario, infami e detestabili gli uomini di-struttori delle religioni, dissipatori de' regni e delle repu-bliche, inimici delle virtù, delle lettere, e d'ogni altraarte che arrechi utilità e onore alla umana generazione;come sono gl'impii, i violenti, gl'ignoranti, i dappochi,gli oziosi, i vili. E nessuno sarà mai sì pazzo o sì savio,sì tristo o sì buono, che, prepostagli la elezione delle duequalità d'uomini, non laudi quella che è da laudare, ebiasimi quella che è da biasimare: nientedimeno, dipoi,quasi tutti, ingannati da uno falso bene e da una falsagloria, si lasciono andare, o voluntariamente o ignoran-temente, nei gradi di coloro che meritano più biasimoche laude; e potendo fare, con perpetuo loro onore, ouna republica o uno regno, si volgono alla tirannide: né

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si avveggono per questo partito quanta fama, quantagloria, quanto onore, sicurtà, quiete, con sodisfazioned'animo, ei fuggono; e in quanta infamia, vituperio, bia-simo, pericolo e inquietudine, incorrono.Ed è impossibile che quelli che in stato privato vivonoin una republica, o che per fortuna o per virtù ne diven-tono principi, se leggessono le istorie, e delle memoriedelle antiche cose facessono capitale, che non volesseroquelli tali privati vivere nella loro patria più tosto Sci-pioni che Cesari; e quelli che sono principi, più tostoAgesilai, Timoleoni, Dioni, che Nabidi, Falari e Dioni-sii: perché vedrebbono questi essere sommamente vitu-perati, e quelli eccessivamente laudati. Vedrebbero an-cora come Timoleone e gli altri non ebbono nella patrialoro meno autorità che si avessono Dionisio e Falari, mavedrebbono di lunga avervi avuta più sicurtà. Né sia al-cuno che s'inganni, per la gloria di Cesare, sentendolo,massime, celebrare dagli scrittori: perché quegli che lolaudano, sono corrotti dalla fortuna sua, e spauriti dallalunghezza dello imperio, il quale, reggendosi sotto quelnome, non permetteva che gli scrittori parlassono libera-mente di lui. Ma chi vuole conoscere quello che gliscrittori liberi ne direbbono, vegga quello che dicono diCatilina. E tanto è più biasimevole Cesare, quanto più èda biasimare quello che ha fatto, che quello che ha volu-to fare un male. Vegga ancora con quante laude ei cele-brano Bruto; talché, non potendo biasimare quello, perla sua potenza, ei celebravano il nimico suo.

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si avveggono per questo partito quanta fama, quantagloria, quanto onore, sicurtà, quiete, con sodisfazioned'animo, ei fuggono; e in quanta infamia, vituperio, bia-simo, pericolo e inquietudine, incorrono.Ed è impossibile che quelli che in stato privato vivonoin una republica, o che per fortuna o per virtù ne diven-tono principi, se leggessono le istorie, e delle memoriedelle antiche cose facessono capitale, che non volesseroquelli tali privati vivere nella loro patria più tosto Sci-pioni che Cesari; e quelli che sono principi, più tostoAgesilai, Timoleoni, Dioni, che Nabidi, Falari e Dioni-sii: perché vedrebbono questi essere sommamente vitu-perati, e quelli eccessivamente laudati. Vedrebbero an-cora come Timoleone e gli altri non ebbono nella patrialoro meno autorità che si avessono Dionisio e Falari, mavedrebbono di lunga avervi avuta più sicurtà. Né sia al-cuno che s'inganni, per la gloria di Cesare, sentendolo,massime, celebrare dagli scrittori: perché quegli che lolaudano, sono corrotti dalla fortuna sua, e spauriti dallalunghezza dello imperio, il quale, reggendosi sotto quelnome, non permetteva che gli scrittori parlassono libera-mente di lui. Ma chi vuole conoscere quello che gliscrittori liberi ne direbbono, vegga quello che dicono diCatilina. E tanto è più biasimevole Cesare, quanto più èda biasimare quello che ha fatto, che quello che ha volu-to fare un male. Vegga ancora con quante laude ei cele-brano Bruto; talché, non potendo biasimare quello, perla sua potenza, ei celebravano il nimico suo.

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Consideri ancora quello che è diventato principe in unarepublica, quanta laude, poiché Roma fu diventata Im-perio, meritarono più quelli imperadori che vissero sottole leggi e come principi buoni, che quelli che vissero alcontrario: e vedrà come a Tito Nerva, Traiano, Adriano,Antonino e Marco, non erano necessari i soldati preto-riani né la moltitudine delle legioni a difenderli, perché icostumi loro, la benivolenza del Popolo, l'amore del Se-nato, gli difendeva. Vedrà ancora come a Caligola, Ne-rone, Vitellio, ed a tanti altri scelerati imperadori, nonbastarono gli eserciti orientali ed occidentali a salvarlicontro a quelli inimici che li loro rei costumi, la loromalvagia vita, aveva loro generati. E se la istoria di co-storo fusse bene considerata, sarebbe assai ammaestra-mento a qualunque principe, a mostrargli la via dellagloria o del biasimo, e della sicurtà o del timore suo.Perché, di ventisei imperadori che furono da Cesare aMassimino, sedici ne furono ammazzati, dieci morironoordinariamente e se di quelli che furono morti ne fu al-cun buono come Galba e Pertinace, fu morto da quellacorruzione che lo antecessore suo aveva lasciata nei sol-dati. E se tra quelli che morirono ordinariamente ve nefu alcuno scelerato, come Severo, nacque da una suagrandissima fortuna e virtù; le quali due cose pochi uo-mini accompagnano. Vedrà ancora, per la lezione diquesta istoria, come si può ordinare un regno buono:perché tutti gl'imperadori che succederono all'imperioper eredità, eccetto Tito, furono cattivi, quelli che peradozione, furono tutti buoni come furono quei cinque da

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Consideri ancora quello che è diventato principe in unarepublica, quanta laude, poiché Roma fu diventata Im-perio, meritarono più quelli imperadori che vissero sottole leggi e come principi buoni, che quelli che vissero alcontrario: e vedrà come a Tito Nerva, Traiano, Adriano,Antonino e Marco, non erano necessari i soldati preto-riani né la moltitudine delle legioni a difenderli, perché icostumi loro, la benivolenza del Popolo, l'amore del Se-nato, gli difendeva. Vedrà ancora come a Caligola, Ne-rone, Vitellio, ed a tanti altri scelerati imperadori, nonbastarono gli eserciti orientali ed occidentali a salvarlicontro a quelli inimici che li loro rei costumi, la loromalvagia vita, aveva loro generati. E se la istoria di co-storo fusse bene considerata, sarebbe assai ammaestra-mento a qualunque principe, a mostrargli la via dellagloria o del biasimo, e della sicurtà o del timore suo.Perché, di ventisei imperadori che furono da Cesare aMassimino, sedici ne furono ammazzati, dieci morironoordinariamente e se di quelli che furono morti ne fu al-cun buono come Galba e Pertinace, fu morto da quellacorruzione che lo antecessore suo aveva lasciata nei sol-dati. E se tra quelli che morirono ordinariamente ve nefu alcuno scelerato, come Severo, nacque da una suagrandissima fortuna e virtù; le quali due cose pochi uo-mini accompagnano. Vedrà ancora, per la lezione diquesta istoria, come si può ordinare un regno buono:perché tutti gl'imperadori che succederono all'imperioper eredità, eccetto Tito, furono cattivi, quelli che peradozione, furono tutti buoni come furono quei cinque da

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Nerva a Marco: e come l'imperio cadde negli eredi, e' ri-tornò nella sua rovina.Pongasi, adunque, innanzi un principe i tempi da Nervaa Marco, e conferiscagli con quelli che erano stati primae che furono poi; e dipoi elegga in quali volesse esserenato, o a quali volesse essere preposto. Perché, in quelligovernati da' buoni, vedrà un principe sicuro in mezzode' suoi sicuri cittadini, ripieno di pace e di giustizia ilmondo; vedrà il Senato con la sua autorità, i magistratico' suoi onori; godersi i cittadini ricchi le loro ricchezze,la nobilità e la virtù esaltata; vedrà ogni quiete ed ognibene; e, dall'altra parte, ogni rancore, ogni licenza, cor-ruzione e ambizione spenta; vedrà i tempi aurei, doveciascuno può tenere e difendere quella opinione chevuole. Vedrà, in fine, trionfare il mondo; pieno di rive-renza e di gloria il principe, d'amore e sicurtà i popoli.Se considererà, dipoi, tritamente i tempi degli altri im-peradori, gli vedrà atroci per le guerre, discordi per lesedizioni, nella pace e nella guerra crudeli: tanti principimorti col ferro, tante guerre civili, tante esterne; l'Italiaafflitta, e piena di nuovi infortunii; rovinate e saccheg-giate le cittadi di quella. Vedrà Roma arsa, il Campido-glio da' suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi,corrotte le cerimonie, ripiene le città di adulterii: vedràil mare pieno di esilii, gli scogli pieni di sangue. Vedràin Roma seguire innumerabili crudeltadi e la nobilità, lericchezze, i passati onori, e sopra tutto la virtù, essereimputate a peccato capitale. Vedrà premiare gli calun-

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Nerva a Marco: e come l'imperio cadde negli eredi, e' ri-tornò nella sua rovina.Pongasi, adunque, innanzi un principe i tempi da Nervaa Marco, e conferiscagli con quelli che erano stati primae che furono poi; e dipoi elegga in quali volesse esserenato, o a quali volesse essere preposto. Perché, in quelligovernati da' buoni, vedrà un principe sicuro in mezzode' suoi sicuri cittadini, ripieno di pace e di giustizia ilmondo; vedrà il Senato con la sua autorità, i magistratico' suoi onori; godersi i cittadini ricchi le loro ricchezze,la nobilità e la virtù esaltata; vedrà ogni quiete ed ognibene; e, dall'altra parte, ogni rancore, ogni licenza, cor-ruzione e ambizione spenta; vedrà i tempi aurei, doveciascuno può tenere e difendere quella opinione chevuole. Vedrà, in fine, trionfare il mondo; pieno di rive-renza e di gloria il principe, d'amore e sicurtà i popoli.Se considererà, dipoi, tritamente i tempi degli altri im-peradori, gli vedrà atroci per le guerre, discordi per lesedizioni, nella pace e nella guerra crudeli: tanti principimorti col ferro, tante guerre civili, tante esterne; l'Italiaafflitta, e piena di nuovi infortunii; rovinate e saccheg-giate le cittadi di quella. Vedrà Roma arsa, il Campido-glio da' suoi cittadini disfatto, desolati gli antichi templi,corrotte le cerimonie, ripiene le città di adulterii: vedràil mare pieno di esilii, gli scogli pieni di sangue. Vedràin Roma seguire innumerabili crudeltadi e la nobilità, lericchezze, i passati onori, e sopra tutto la virtù, essereimputate a peccato capitale. Vedrà premiare gli calun-

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niatori, essere corrotti i servi contro al signore, i liberticontro al padrone; e quelli a chi fussero mancati inimici,essere oppressi dagli amici. E conoscerà allora benissi-mo quanti oblighi Roma, l'Italia, e il mondo, abbia conCesare.E sanza dubbio, se e' sarà nato d'uomo, si sbigottirà daogni imitazione de' tempi cattivi, ed accenderassi d'unoimmenso desiderio di seguire i buoni. E veramente, cer-cando un principe la gloria del mondo, doverrebbe desi-derare di possedere una città corrotta, non per guastarlain tutto come Cesare, ma per riordinarla come Romolo.E veramente i cieli non possono dare agli uomini mag-giore occasione di gloria, né gli uomini la possono mag-giore desiderare. E se, a volere ordinare bene una città,si avesse di necessità a diporre il principato, meritereb-be, quello che non la ordinasse per non cadere di quelgrado, qualche scusa: ma potendosi tenere il principatoed ordinarla, non si merita scusa alcuna. E, in somma,considerino quelli a chi i cieli dànno tale occasione,come ei sono loro preposte due vie: l'una che li fa viveresicuri, e dopo la morte li rende gloriosi; l'altra li fa vive-re in continove angustie, e, dopo la morte, lasciare di séuna sempiterna infamia.

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niatori, essere corrotti i servi contro al signore, i liberticontro al padrone; e quelli a chi fussero mancati inimici,essere oppressi dagli amici. E conoscerà allora benissi-mo quanti oblighi Roma, l'Italia, e il mondo, abbia conCesare.E sanza dubbio, se e' sarà nato d'uomo, si sbigottirà daogni imitazione de' tempi cattivi, ed accenderassi d'unoimmenso desiderio di seguire i buoni. E veramente, cer-cando un principe la gloria del mondo, doverrebbe desi-derare di possedere una città corrotta, non per guastarlain tutto come Cesare, ma per riordinarla come Romolo.E veramente i cieli non possono dare agli uomini mag-giore occasione di gloria, né gli uomini la possono mag-giore desiderare. E se, a volere ordinare bene una città,si avesse di necessità a diporre il principato, meritereb-be, quello che non la ordinasse per non cadere di quelgrado, qualche scusa: ma potendosi tenere il principatoed ordinarla, non si merita scusa alcuna. E, in somma,considerino quelli a chi i cieli dànno tale occasione,come ei sono loro preposte due vie: l'una che li fa viveresicuri, e dopo la morte li rende gloriosi; l'altra li fa vive-re in continove angustie, e, dopo la morte, lasciare di séuna sempiterna infamia.

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11 Della religione de' Romani.

Avvenga che Roma avesse il primo suo ordinatore Ro-molo, e che da quello abbi a riconoscere, come figliuola,il nascimento e la educazione sua, nondimeno, giudican-do i cieli che gli ordini di Romolo non bastassero a tantoimperio, inspirarono nel petto del Senato romano dieleggere Numa Pompilio per successore a Romolo, ac-ciocché quelle cose che da lui fossero state lasciate in-dietro, fossero da Numa ordinate. Il quale, trovando unopopolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienzecivili con le arti della pace, si volse alla religione, comecosa al tutto necessaria a volere mantenere una civiltà; ela constituì in modo, che per più secoli non fu mai tantotimore di Dio quanto in quella republica; il che facilitòqualunque impresa che il Senato o quelli grandi uominiromani disegnassero fare. E chi discorrerà infinite azio-ni, e del popolo di Roma tutto insieme, e di molti de'Romani di per sé, vedrà come quelli cittadini temevonopiù assai rompere il giuramento che le leggi; come colo-ro che stimavano più la potenza di Dio, che quella degliuomini: come si vede manifestamente per gli esempli diScipione e di Manlio Torquato. Perché, dopo la rotta cheAnnibale aveva dato ai Romani a Canne, molti cittadinisi erano adunati insieme, e, sbigottiti della patria, si era-no convenuti abbandonare la Italia, e girsene in Sicilia;il che sentendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferroignudo in mano li costrinse a giurare di non abbandona-

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11 Della religione de' Romani.

Avvenga che Roma avesse il primo suo ordinatore Ro-molo, e che da quello abbi a riconoscere, come figliuola,il nascimento e la educazione sua, nondimeno, giudican-do i cieli che gli ordini di Romolo non bastassero a tantoimperio, inspirarono nel petto del Senato romano dieleggere Numa Pompilio per successore a Romolo, ac-ciocché quelle cose che da lui fossero state lasciate in-dietro, fossero da Numa ordinate. Il quale, trovando unopopolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienzecivili con le arti della pace, si volse alla religione, comecosa al tutto necessaria a volere mantenere una civiltà; ela constituì in modo, che per più secoli non fu mai tantotimore di Dio quanto in quella republica; il che facilitòqualunque impresa che il Senato o quelli grandi uominiromani disegnassero fare. E chi discorrerà infinite azio-ni, e del popolo di Roma tutto insieme, e di molti de'Romani di per sé, vedrà come quelli cittadini temevonopiù assai rompere il giuramento che le leggi; come colo-ro che stimavano più la potenza di Dio, che quella degliuomini: come si vede manifestamente per gli esempli diScipione e di Manlio Torquato. Perché, dopo la rotta cheAnnibale aveva dato ai Romani a Canne, molti cittadinisi erano adunati insieme, e, sbigottiti della patria, si era-no convenuti abbandonare la Italia, e girsene in Sicilia;il che sentendo Scipione, gli andò a trovare, e col ferroignudo in mano li costrinse a giurare di non abbandona-

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re la patria. Lucio Manlio, padre di Tito Manlio, che fudipoi chiamato Torquato, era stato accusato da MarcoPomponio, Tribuno della plebe, ed innanzi che venisse ildì del giudizio, Tito andò a trovare Marco, e, minaccian-do di ammazzarlo se non giurava di levare l'accusa alpadre, lo costrinse al giuramento; e quello, per timoreavendo giurato, gli levò l'accusa. E così quelli cittadini iquali lo amore della patria, le leggi di quella, non ritene-vano in Italia, vi furono ritenuti da un giuramento chefurano forzati a pigliare; e quel Tribuno pose da partel'odio che egli aveva col padre, la ingiuria che gli aveafatto il figliuolo, e l'onore suo, per ubbidire al giuramen-to preso: il che non nacque da altro, che da quella reli-gione che Numa aveva introdotta in quella città.E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quantoserviva la religione a comandare gli eserciti, a animire laPlebe, a mantenere gli uomini buoni, a fare vergognare irei. Talché, se si avesse a disputare a quale principeRoma fusse più obligata, o a Romolo o a Numa, credopiù tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché, doveè religione, facilmente si possono introdurre l'armi edove sono l'armi e non religione, con difficultà si puòintrodurre quella. E si vede che a Romolo, per ordinareil Senato, e per fare altri ordini civili e militari, non glifu necessario dell'autorità di Dio; ma fu bene necessarioa Numa, il quale simulò di avere domestichezza con unaNinfa, la quale lo consigliava di quello ch'egli avesse aconsigliare il popolo: e tutto nasceva perché voleva met-

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re la patria. Lucio Manlio, padre di Tito Manlio, che fudipoi chiamato Torquato, era stato accusato da MarcoPomponio, Tribuno della plebe, ed innanzi che venisse ildì del giudizio, Tito andò a trovare Marco, e, minaccian-do di ammazzarlo se non giurava di levare l'accusa alpadre, lo costrinse al giuramento; e quello, per timoreavendo giurato, gli levò l'accusa. E così quelli cittadini iquali lo amore della patria, le leggi di quella, non ritene-vano in Italia, vi furono ritenuti da un giuramento chefurano forzati a pigliare; e quel Tribuno pose da partel'odio che egli aveva col padre, la ingiuria che gli aveafatto il figliuolo, e l'onore suo, per ubbidire al giuramen-to preso: il che non nacque da altro, che da quella reli-gione che Numa aveva introdotta in quella città.E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quantoserviva la religione a comandare gli eserciti, a animire laPlebe, a mantenere gli uomini buoni, a fare vergognare irei. Talché, se si avesse a disputare a quale principeRoma fusse più obligata, o a Romolo o a Numa, credopiù tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché, doveè religione, facilmente si possono introdurre l'armi edove sono l'armi e non religione, con difficultà si puòintrodurre quella. E si vede che a Romolo, per ordinareil Senato, e per fare altri ordini civili e militari, non glifu necessario dell'autorità di Dio; ma fu bene necessarioa Numa, il quale simulò di avere domestichezza con unaNinfa, la quale lo consigliava di quello ch'egli avesse aconsigliare il popolo: e tutto nasceva perché voleva met-

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tere ordini nuovi ed inusitati in quella città, e dubitavache la sua autorità non bastasse.E veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordi-narie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perché al-trimente non sarebbero accettate: perché sono molti ibeni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in séragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Però gliuomini savi, che vogliono tôrre questa difficultà, ricor-rono a Dio. Così fece Licurgo, così Solone, così moltialtri che hanno avuto il medesimo fine di loro. Maravi-gliando, adunque, il Popolo romano la bontà e la pru-denza sua, cedeva ad ogni sua diliberazione. Ben è veroche l'essere quelli tempi pieni di religione, e quegli uo-mini, con i quali egli aveva a travagliare, grossi, gli det-tono facilità grande a conseguire i disegni suoi, potendoimprimere in loro facilmente qualunque nuova forma. Esanza dubbio, chi volesse ne' presenti tempi fare una re-publica più facilità troverrebbe negli uomini montanari,dove non è alcuna civilità, che in quelli che sono usi avivere nelle cittadi, dove la civilità è corrotta: ed unoscultore trarrà più facilmente una bella statua d'un mar-mo rozzo, che d'uno male abbozzato da altrui.Considerato adunque tutto, conchiudo che la religioneintrodotta da Numa fu intra le prime cagioni della felici-tà di quella città: perché quella causò buoni ordini; ibuoni ordini fanno buona fortuna; e dalla buona fortunanacquero i felici successi delle imprese. E come la os-servanza del culto divino è cagione della grandezza del-

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tere ordini nuovi ed inusitati in quella città, e dubitavache la sua autorità non bastasse.E veramente, mai fu alcuno ordinatore di leggi straordi-narie in uno popolo che non ricorresse a Dio; perché al-trimente non sarebbero accettate: perché sono molti ibeni conosciuti da uno prudente, i quali non hanno in séragioni evidenti da poterli persuadere a altrui. Però gliuomini savi, che vogliono tôrre questa difficultà, ricor-rono a Dio. Così fece Licurgo, così Solone, così moltialtri che hanno avuto il medesimo fine di loro. Maravi-gliando, adunque, il Popolo romano la bontà e la pru-denza sua, cedeva ad ogni sua diliberazione. Ben è veroche l'essere quelli tempi pieni di religione, e quegli uo-mini, con i quali egli aveva a travagliare, grossi, gli det-tono facilità grande a conseguire i disegni suoi, potendoimprimere in loro facilmente qualunque nuova forma. Esanza dubbio, chi volesse ne' presenti tempi fare una re-publica più facilità troverrebbe negli uomini montanari,dove non è alcuna civilità, che in quelli che sono usi avivere nelle cittadi, dove la civilità è corrotta: ed unoscultore trarrà più facilmente una bella statua d'un mar-mo rozzo, che d'uno male abbozzato da altrui.Considerato adunque tutto, conchiudo che la religioneintrodotta da Numa fu intra le prime cagioni della felici-tà di quella città: perché quella causò buoni ordini; ibuoni ordini fanno buona fortuna; e dalla buona fortunanacquero i felici successi delle imprese. E come la os-servanza del culto divino è cagione della grandezza del-

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le republiche, così il dispregio di quello è cagione dellarovina d'esse. Perché, dove manca il timore di Dio, con-viene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal ti-more d'uno principe che sopperisca a' difetti della reli-gione. E perché i principi sono di corta vita, convieneche quel regno manchi presto, secondo che manca lavirtù d'esso. Donde nasce che gli regni i quali dipendonosolo dalla virtù d'uno uomo, sono poco durabili, perchéquella virtù manca con la vita di quello e rade volte ac-cade che la sia rinfrescata con la successione, come pru-dentemente Dante dice:

Rade volte discende per li ramiL'umana probitate; e questo vuoleQuel che la dà, perché da lui si chiami.

Non è, adunque, la salute di una republica o d'uno regnoavere uno principe che prudentemente governi mentrevive; ma uno che l'ordini in modo, che, morendo ancora,la si mantenga. E benché agli uomini rozzi più facilmen-te si persuada uno ordine o una opinione nuova, non èperò per questo impossibile persuaderla ancora agli uo-mini civili e che presumono non essere rozzi. Al popolodi Firenze non pare essere né ignorante né rozzo: nondi-meno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che par-lava con Dio. Io non voglio giudicare s'egli era vero ono, perché d'uno tanto uomo se ne debbe parlare con ri-verenza: ma io dico bene, che infiniti lo credevono san-za avere visto cosa nessuna straordinaria, da farlo lorocredere; perché la vita sua la dottrina e il suggetto che

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le republiche, così il dispregio di quello è cagione dellarovina d'esse. Perché, dove manca il timore di Dio, con-viene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal ti-more d'uno principe che sopperisca a' difetti della reli-gione. E perché i principi sono di corta vita, convieneche quel regno manchi presto, secondo che manca lavirtù d'esso. Donde nasce che gli regni i quali dipendonosolo dalla virtù d'uno uomo, sono poco durabili, perchéquella virtù manca con la vita di quello e rade volte ac-cade che la sia rinfrescata con la successione, come pru-dentemente Dante dice:

Rade volte discende per li ramiL'umana probitate; e questo vuoleQuel che la dà, perché da lui si chiami.

Non è, adunque, la salute di una republica o d'uno regnoavere uno principe che prudentemente governi mentrevive; ma uno che l'ordini in modo, che, morendo ancora,la si mantenga. E benché agli uomini rozzi più facilmen-te si persuada uno ordine o una opinione nuova, non èperò per questo impossibile persuaderla ancora agli uo-mini civili e che presumono non essere rozzi. Al popolodi Firenze non pare essere né ignorante né rozzo: nondi-meno da frate Girolamo Savonarola fu persuaso che par-lava con Dio. Io non voglio giudicare s'egli era vero ono, perché d'uno tanto uomo se ne debbe parlare con ri-verenza: ma io dico bene, che infiniti lo credevono san-za avere visto cosa nessuna straordinaria, da farlo lorocredere; perché la vita sua la dottrina e il suggetto che

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prese, erano sufficienti a fargli prestare fede. Non sia,pertanto, nessuno che si sbigottisca di non potere conse-guire quel che è stato conseguito da altri; perché gli uo-mini, come nella prefazione nostra si disse, nacquero,vissero e morirono, sempre, con uno medesimo ordine.

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prese, erano sufficienti a fargli prestare fede. Non sia,pertanto, nessuno che si sbigottisca di non potere conse-guire quel che è stato conseguito da altri; perché gli uo-mini, come nella prefazione nostra si disse, nacquero,vissero e morirono, sempre, con uno medesimo ordine.

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12 Di quanta importanza sia tenere contodella religione, e come la Italia, per essernemancata mediante la Chiesa romana, è rovi-

nata.

Quelli principi o quelle republiche, le quali si voglionomantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa amantenere incorrotte le cerimonie della loro religione, etenerle sempre nella loro venerazione; perché nessunomaggiore indizio si puote avere della rovina d'una pro-vincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo èfacile a intendere, conosciuto che si è in su che sia fon-data la religione dove l'uomo è nato; perché ogni reli-gione ha il fondamento della vita sua in su qualche prin-cipale ordine suo. La vita della religione Gentile erafondata sopra i responsi degli oracoli e sopra la setta de-gli indovini e degli aruspici: tutte le altre loro cerimoniesacrifici e riti, dependevano da queste perché loro facil-mente credevono che quello Iddio che ti poteva predireil tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potessi anco-ra concedere. Di qui nascevano i templi, di qui i sacrifi-ci, di qui le supplicazioni, ed ogni altra cerimonia in ve-nerarli: perché l'oracolo di Delo, il tempio di Giove Am-mone, ed altri celebri oracoli, i quali riempivano il mon-do di ammirazione e divozione. Come costoro comin-ciarono dipoi a parlare a modo de' potenti, e che questafalsità si fu scoperta ne' popoli, diventarono gli uominiincreduli, ed atti a perturbare ogni ordine buono. Debbo-

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12 Di quanta importanza sia tenere contodella religione, e come la Italia, per essernemancata mediante la Chiesa romana, è rovi-

nata.

Quelli principi o quelle republiche, le quali si voglionomantenere incorrotte, hanno sopra ogni altra cosa amantenere incorrotte le cerimonie della loro religione, etenerle sempre nella loro venerazione; perché nessunomaggiore indizio si puote avere della rovina d'una pro-vincia, che vedere dispregiato il culto divino. Questo èfacile a intendere, conosciuto che si è in su che sia fon-data la religione dove l'uomo è nato; perché ogni reli-gione ha il fondamento della vita sua in su qualche prin-cipale ordine suo. La vita della religione Gentile erafondata sopra i responsi degli oracoli e sopra la setta de-gli indovini e degli aruspici: tutte le altre loro cerimoniesacrifici e riti, dependevano da queste perché loro facil-mente credevono che quello Iddio che ti poteva predireil tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potessi anco-ra concedere. Di qui nascevano i templi, di qui i sacrifi-ci, di qui le supplicazioni, ed ogni altra cerimonia in ve-nerarli: perché l'oracolo di Delo, il tempio di Giove Am-mone, ed altri celebri oracoli, i quali riempivano il mon-do di ammirazione e divozione. Come costoro comin-ciarono dipoi a parlare a modo de' potenti, e che questafalsità si fu scoperta ne' popoli, diventarono gli uominiincreduli, ed atti a perturbare ogni ordine buono. Debbo-

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no, adunque i principi d'una republica o d'uno regno, ifondamenti della religione che loro tengono, mantener-gli; e fatto questo sarà loro facil cosa mantenere la lororepublica religiosa, e, per conseguente buona e unita. Edebbono, tutte le cose che nascano in favore di quellacome che le giudicassono false, favorirle e accrescerle; etanto più lo debbono fare quanto più prudenti sono, equanto più conoscitori delle cose naturali. E perché que-sto modo è stato osservato dagli uomini savi, ne è natol'opinione dei miracoli, che si celebrano nelle religionieziandio false; perché i prudenti gli augumentano, daqualunque principio e' si nascano; e l'autorità loro dà poia quelli fede appresso a qualunque. Di questi miracoline fu a Roma assai; intra i quali fu, che, saccheggiando isoldati romani la città de' Veienti, alcuni di loro entraro-no nel tempio di Giunone, ed accostandosi alla imaginedi quella, e dicendole: «Vis venire Romam?» parve a al-cuno vedere che la accennasse, a alcuno altro che la di-cesse di sì. Perché sendo quegli uomini ripieni di reli-gione (il che dimostra Tito Livio, perché, nello entrarenel tempio, vi entrarono sanza tumulto, tutti devoti epieni di riverenza), parve loro udire quella risposta chealla domanda loro per avventura si avevano presuppo-sta: la quale opinione e credulità da Cammillo a dagli al-tri principi della città fu al tutto favorita ed accresciuta.La quale religione se ne' principi della republica cristia-na si fusse mantenuta, secondo che dal datore d'essa nefu ordinato, sarebbero gli stati e le republiche cristianepiù unite, più felici assai, che le non sono. Né si può

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no, adunque i principi d'una republica o d'uno regno, ifondamenti della religione che loro tengono, mantener-gli; e fatto questo sarà loro facil cosa mantenere la lororepublica religiosa, e, per conseguente buona e unita. Edebbono, tutte le cose che nascano in favore di quellacome che le giudicassono false, favorirle e accrescerle; etanto più lo debbono fare quanto più prudenti sono, equanto più conoscitori delle cose naturali. E perché que-sto modo è stato osservato dagli uomini savi, ne è natol'opinione dei miracoli, che si celebrano nelle religionieziandio false; perché i prudenti gli augumentano, daqualunque principio e' si nascano; e l'autorità loro dà poia quelli fede appresso a qualunque. Di questi miracoline fu a Roma assai; intra i quali fu, che, saccheggiando isoldati romani la città de' Veienti, alcuni di loro entraro-no nel tempio di Giunone, ed accostandosi alla imaginedi quella, e dicendole: «Vis venire Romam?» parve a al-cuno vedere che la accennasse, a alcuno altro che la di-cesse di sì. Perché sendo quegli uomini ripieni di reli-gione (il che dimostra Tito Livio, perché, nello entrarenel tempio, vi entrarono sanza tumulto, tutti devoti epieni di riverenza), parve loro udire quella risposta chealla domanda loro per avventura si avevano presuppo-sta: la quale opinione e credulità da Cammillo a dagli al-tri principi della città fu al tutto favorita ed accresciuta.La quale religione se ne' principi della republica cristia-na si fusse mantenuta, secondo che dal datore d'essa nefu ordinato, sarebbero gli stati e le republiche cristianepiù unite, più felici assai, che le non sono. Né si può

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fare altra maggiore coniettura della declinazione d'essa,quanto è vedere come quelli popoli che sono più propin-qui alla Chiesa romana, capo della religione nostra han-no meno religione. E chi considerasse i fondamenti suoi,e vedesse l'uso presente quanto è diverso da quelli, giu-dicherebbe essere propinquo, sanza dubbio, o la rovinao il fragello.E perché molti sono d'opinione, che il bene essere dellecittà d'Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio, contro aessa, discorrere quelle ragioni che mi occorrono: e ne al-legherò due potentissime ragioni le quali, secondo me,non hanno repugnanzia. La prima è, che, per gli esemplirei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni di-vozione e ogni religione: il che si tira dietro infiniti in-convenienti e infiniti disordini; perché, così come doveè religione si presuppone ogni bene, così, dove quellamanca, si presuppone il contrario. Abbiamo, adunque,con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obli-go, di essere diventati sanza religione e cattivi: ma neabbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda ca-gione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha te-nuto e tiene questa provincia divisa. E veramente, alcu-na provincia non fu mai unita o felice, se la non vienetutta alla ubbidienza d'una republica o d'uno principe,come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagio-ne che la Italia non sia in quel medesimo termine, né ab-bia anch'ella o una republica o uno principe che la go-verni, è solamente la Chiesa: perché, avendovi quella

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fare altra maggiore coniettura della declinazione d'essa,quanto è vedere come quelli popoli che sono più propin-qui alla Chiesa romana, capo della religione nostra han-no meno religione. E chi considerasse i fondamenti suoi,e vedesse l'uso presente quanto è diverso da quelli, giu-dicherebbe essere propinquo, sanza dubbio, o la rovinao il fragello.E perché molti sono d'opinione, che il bene essere dellecittà d'Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio, contro aessa, discorrere quelle ragioni che mi occorrono: e ne al-legherò due potentissime ragioni le quali, secondo me,non hanno repugnanzia. La prima è, che, per gli esemplirei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni di-vozione e ogni religione: il che si tira dietro infiniti in-convenienti e infiniti disordini; perché, così come doveè religione si presuppone ogni bene, così, dove quellamanca, si presuppone il contrario. Abbiamo, adunque,con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obli-go, di essere diventati sanza religione e cattivi: ma neabbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda ca-gione della rovina nostra. Questo è che la Chiesa ha te-nuto e tiene questa provincia divisa. E veramente, alcu-na provincia non fu mai unita o felice, se la non vienetutta alla ubbidienza d'una republica o d'uno principe,come è avvenuto alla Francia ed alla Spagna. E la cagio-ne che la Italia non sia in quel medesimo termine, né ab-bia anch'ella o una republica o uno principe che la go-verni, è solamente la Chiesa: perché, avendovi quella

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abitato e tenuto imperio temporale, non è stata sì potentené di tanta virtù che l'abbia potuto occupare la tirannided'Italia e farsene principe; e non è stata, dall'altra parte,sì debole, che, per paura di non perdere il dominio dellesue cose temporali, la non abbia potuto convocare unopotente che la difenda contro a quello che in Italia fussediventato troppo potente: come si è veduto anticamenteper assai esperienze, quando, mediante Carlo Magno, lane cacciò i Longobardi, ch'erano già quasi re di tutta Ita-lia; e quando ne' tempi nostri ella tolse la potenza a' Vi-niziani con l'aiuto di Francia; di poi ne cacciò i Francio-si con l'aiuto de' Svizzeri. Non essendo, adunque, statala Chiesa potente da potere occupare la Italia, né avendopermesso che un altro la occupi, è stata cagione che lanon è potuta venire sotto uno capo; ma è stata sotto piùprincipi e signori, da' quali è nata tanta disunione e tantadebolezza, che la si è condotta a essere stata preda, nonsolamente de' barbari potenti, ma di qualunque l'assalta.Di che noi altri Italiani abbiamo obbligo con la Chiesa,e non con altri. E chi ne volesse per esperienza certa ve-dere più pronta la verità, bisognerebbe che fusse di tantapotenza che mandasse ad abitare la corte romana, conl'autorità che l'ha in Italia, in le terre de' Svizzeri; i qualioggi sono, solo, popoli che vivono, e quanto alla religio-ne e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi: evedrebbe che in poco tempo farebbero più disordine inquella provincia i rei costumi di quella corte, che qua-lunque altro accidente che in qualunque tempo vi potes-se surgere.

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abitato e tenuto imperio temporale, non è stata sì potentené di tanta virtù che l'abbia potuto occupare la tirannided'Italia e farsene principe; e non è stata, dall'altra parte,sì debole, che, per paura di non perdere il dominio dellesue cose temporali, la non abbia potuto convocare unopotente che la difenda contro a quello che in Italia fussediventato troppo potente: come si è veduto anticamenteper assai esperienze, quando, mediante Carlo Magno, lane cacciò i Longobardi, ch'erano già quasi re di tutta Ita-lia; e quando ne' tempi nostri ella tolse la potenza a' Vi-niziani con l'aiuto di Francia; di poi ne cacciò i Francio-si con l'aiuto de' Svizzeri. Non essendo, adunque, statala Chiesa potente da potere occupare la Italia, né avendopermesso che un altro la occupi, è stata cagione che lanon è potuta venire sotto uno capo; ma è stata sotto piùprincipi e signori, da' quali è nata tanta disunione e tantadebolezza, che la si è condotta a essere stata preda, nonsolamente de' barbari potenti, ma di qualunque l'assalta.Di che noi altri Italiani abbiamo obbligo con la Chiesa,e non con altri. E chi ne volesse per esperienza certa ve-dere più pronta la verità, bisognerebbe che fusse di tantapotenza che mandasse ad abitare la corte romana, conl'autorità che l'ha in Italia, in le terre de' Svizzeri; i qualioggi sono, solo, popoli che vivono, e quanto alla religio-ne e quanto agli ordini militari, secondo gli antichi: evedrebbe che in poco tempo farebbero più disordine inquella provincia i rei costumi di quella corte, che qua-lunque altro accidente che in qualunque tempo vi potes-se surgere.

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13 Come i Romani si servivono della religio-ne per riordinare la città e seguire le loro im-

prese e fermare i tumulti.

Ei non mi pare fuora di proposito addurre alcuno esem-plo dove i Romani si servivono della religione per rior-dinare la città, e per seguire le imprese loro; e quantun-que in Tito Livio ne siano molti, nondimeno voglio es-sere contento a questi. Avendo creato il Popolo romano iTribuni di potestà consolare, e, fuora che uno, tutti ple-bei; ed essendo occorso, quello anno, peste e fame, e ve-nuto certi prodigi, usorono questa occasione i Nobilinella nuova creazione de' Tribuni, dicendo che gl'Iddiierano adirati per avere Roma male usato la maiestà delsuo imperio, e che non era altro rimedio a placaregl'Iddii che ridurre la elezione de' Tribuni nel luogo suo:di che nacque che la plebe, sbigottita da questa religio-ne, creò i Tribuni tutti nobili. Vedesi ancora, nella espu-gnazione della città de' Veienti, come i capitani deglieserciti si valevano della religione per tenergli disposti auna impresa; che, essendo il lago Albano, quello anno,cresciuto mirabilmente, ed essendo i soldati romani in-fastiditi per la lunga ossidione, e volendo tornarsene aRoma, trovarono i Romani come Apollo e certi altri ri-sponsi dicevano che quello anno si espugnerebbe la cittàde' Veienti, che si derivassi il lago Albano: la quale cosafece ai soldati sopportare i fastidi della ossidione, presida questa speranza di espugnare la terra: e stettono con-

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13 Come i Romani si servivono della religio-ne per riordinare la città e seguire le loro im-

prese e fermare i tumulti.

Ei non mi pare fuora di proposito addurre alcuno esem-plo dove i Romani si servivono della religione per rior-dinare la città, e per seguire le imprese loro; e quantun-que in Tito Livio ne siano molti, nondimeno voglio es-sere contento a questi. Avendo creato il Popolo romano iTribuni di potestà consolare, e, fuora che uno, tutti ple-bei; ed essendo occorso, quello anno, peste e fame, e ve-nuto certi prodigi, usorono questa occasione i Nobilinella nuova creazione de' Tribuni, dicendo che gl'Iddiierano adirati per avere Roma male usato la maiestà delsuo imperio, e che non era altro rimedio a placaregl'Iddii che ridurre la elezione de' Tribuni nel luogo suo:di che nacque che la plebe, sbigottita da questa religio-ne, creò i Tribuni tutti nobili. Vedesi ancora, nella espu-gnazione della città de' Veienti, come i capitani deglieserciti si valevano della religione per tenergli disposti auna impresa; che, essendo il lago Albano, quello anno,cresciuto mirabilmente, ed essendo i soldati romani in-fastiditi per la lunga ossidione, e volendo tornarsene aRoma, trovarono i Romani come Apollo e certi altri ri-sponsi dicevano che quello anno si espugnerebbe la cittàde' Veienti, che si derivassi il lago Albano: la quale cosafece ai soldati sopportare i fastidi della ossidione, presida questa speranza di espugnare la terra: e stettono con-

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tenti a seguire la impresa, tanto che Cammillo fatto Dit-tatore espugnò detta città, dopo dieci anni che la era sta-ta assediata. E così la religione, usata bene, giovò e perla espugnazione di quella città, e per la restituzione delTribunato nella Nobilità che, sanza detto mezzo, difficil-mente si sarebbe condotto e l'uno e l'altro.Non voglio mancare di addurre a questo proposito un al-tro esemplo. Erano nati in Roma assai tumulti per cagio-ne di Terentillo tribuno, volendo lui proporre certa leg-ge, per le cagioni che di sotto, nel suo luogo, si diranno;e tra i primi rimedi che vi usò la Nobilità, fu la religio-ne, della quale si servirono in due modi. Nel primo, fe-cero vedere i libri Sibillini, e rispondere come alla città,mediante la civile sedizione, soprastavano quello annopericoli di non perdere la libertà: la quale cosa, ancorache fusse scoperta da' tribuni, nondimeno messe tantoterrore ne' petti della plebe, che la raffreddò nel seguirli.L'altro modo fu che, avendo un Appio Erdonio, con unamoltitudine di sbanditi e di servi, in numero di quattro-mila uomini, occupato di notte il Campidoglio, in tantoche si poteva temere che, se gli Equi e i Volsci, perpetuiinimici al nome romano, ne fossero venuti a Roma, laarebbono espugnata; e non cessando i tribuni, per que-sto, continovare nella pertinacia loro, di proporre la leg-ge Terentilla, dicendo che quello insulto era simulato enon vero; uscì fuori del Senato un Publio Ruberio, citta-dino grave e di autorità, con parole, parte amorevoli,parte minaccianti, mostrandogli i pericoli della città, e la

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tenti a seguire la impresa, tanto che Cammillo fatto Dit-tatore espugnò detta città, dopo dieci anni che la era sta-ta assediata. E così la religione, usata bene, giovò e perla espugnazione di quella città, e per la restituzione delTribunato nella Nobilità che, sanza detto mezzo, difficil-mente si sarebbe condotto e l'uno e l'altro.Non voglio mancare di addurre a questo proposito un al-tro esemplo. Erano nati in Roma assai tumulti per cagio-ne di Terentillo tribuno, volendo lui proporre certa leg-ge, per le cagioni che di sotto, nel suo luogo, si diranno;e tra i primi rimedi che vi usò la Nobilità, fu la religio-ne, della quale si servirono in due modi. Nel primo, fe-cero vedere i libri Sibillini, e rispondere come alla città,mediante la civile sedizione, soprastavano quello annopericoli di non perdere la libertà: la quale cosa, ancorache fusse scoperta da' tribuni, nondimeno messe tantoterrore ne' petti della plebe, che la raffreddò nel seguirli.L'altro modo fu che, avendo un Appio Erdonio, con unamoltitudine di sbanditi e di servi, in numero di quattro-mila uomini, occupato di notte il Campidoglio, in tantoche si poteva temere che, se gli Equi e i Volsci, perpetuiinimici al nome romano, ne fossero venuti a Roma, laarebbono espugnata; e non cessando i tribuni, per que-sto, continovare nella pertinacia loro, di proporre la leg-ge Terentilla, dicendo che quello insulto era simulato enon vero; uscì fuori del Senato un Publio Ruberio, citta-dino grave e di autorità, con parole, parte amorevoli,parte minaccianti, mostrandogli i pericoli della città, e la

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intempestiva domanda loro; tanto ch'ei costrinse la ple-be a giurare di non si partire dalla voglia del consolo:tanto che la plebe, ubbidiente, per forza ricuperò ilCampidoglio. Ma essendo in tale espugnazione mortoPublio Valerio consolo, subito fu rifatto consolo TitoQuinzio, il quale, per non lasciare riposare la plebe, nédarle spazio a pensare alla legge Terentilla, le comandòs'uscisse di Roma per andare contro ai Volsci, dicendoche per quel giuramento aveva fatto di non abbandonareil consolo, era obligata a seguirlo: a che i tribuni si op-ponevano, dicendo come quel giuramento s'era dato alconsolo morto, e non a lui. Nondimeno Tito Livio mo-stra come la Plebe, per paura della religione, volle piùtosto ubbidire al consolo, che credere a' tribuni, dicendoin favore della antica religione queste parole: «Nondumhaec, quae nunc tenet saeculum, negligentia Deum ve-nerat, nec interpretando sibi quisque jusjurandum et le-ges aptas faciebat». Per la quale cosa dubitando i Tribu-ni di non perdere allora tutta la lor dignità, si accordaro-no col consolo di stare alla ubbidienza di quello; e cheper uno anno non si ragionasse della legge Terentilla, edi Consoli per uno anno non potessero trarre fuori la ple-be alla guerra. E così la religione fece al Senato vincerequelle difficultà, che, sanza essa, mai averebbe vinte.

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intempestiva domanda loro; tanto ch'ei costrinse la ple-be a giurare di non si partire dalla voglia del consolo:tanto che la plebe, ubbidiente, per forza ricuperò ilCampidoglio. Ma essendo in tale espugnazione mortoPublio Valerio consolo, subito fu rifatto consolo TitoQuinzio, il quale, per non lasciare riposare la plebe, nédarle spazio a pensare alla legge Terentilla, le comandòs'uscisse di Roma per andare contro ai Volsci, dicendoche per quel giuramento aveva fatto di non abbandonareil consolo, era obligata a seguirlo: a che i tribuni si op-ponevano, dicendo come quel giuramento s'era dato alconsolo morto, e non a lui. Nondimeno Tito Livio mo-stra come la Plebe, per paura della religione, volle piùtosto ubbidire al consolo, che credere a' tribuni, dicendoin favore della antica religione queste parole: «Nondumhaec, quae nunc tenet saeculum, negligentia Deum ve-nerat, nec interpretando sibi quisque jusjurandum et le-ges aptas faciebat». Per la quale cosa dubitando i Tribu-ni di non perdere allora tutta la lor dignità, si accordaro-no col consolo di stare alla ubbidienza di quello; e cheper uno anno non si ragionasse della legge Terentilla, edi Consoli per uno anno non potessero trarre fuori la ple-be alla guerra. E così la religione fece al Senato vincerequelle difficultà, che, sanza essa, mai averebbe vinte.

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14 I Romani interpetravano gli auspizi se-condo la necessità, e con la prudenza mostra-vano di osservare la religione, quando forzati

non la osservavano; e se alcuno temeraria-mente la dispregiava, punivano.

Non solamente gli augurii, come di sopra si è discorso,erano il fondamento, in buona parte, dell'antica religionede' Gentili, ma ancora erano quelli che erano cagionedel bene essere della Republica romana. Donde i Roma-ni ne avevano più cura che di alcuno altro ordine diquella; ed usavongli ne' comizi consolari, nel principiarele imprese, nel trar fuora gli eserciti, nel fare le giornate,ed in ogni azione loro importante, o civile o militare; némai sarebbono iti ad una espedizione, che non avessonopersuaso ai soldati che gli Dei promettevano loro la vit-toria. Ed in fra gli altri auspicii, avevano negli eserciticerti ordini di aruspici, ch'e' chiamavano pullarii: e qua-lunque volta eglino ordinavano di fare la giornata con ilnimico, ei volevano che i pullarii facessono i loro auspi-cii; e, beccando i polli, combattevono con buono augu-rio, non beccando, si astenevano dalla zuffa. Nondime-no, quando la ragione mostrava loro una cosa doversifare, non ostante che gli auspicii fossero avversi, la fa-cevano in ogni modo; ma rivoltavanla con termini emodi tanto attamente, che non paresse che la facessinocon dispregio della religione.

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14 I Romani interpetravano gli auspizi se-condo la necessità, e con la prudenza mostra-vano di osservare la religione, quando forzati

non la osservavano; e se alcuno temeraria-mente la dispregiava, punivano.

Non solamente gli augurii, come di sopra si è discorso,erano il fondamento, in buona parte, dell'antica religionede' Gentili, ma ancora erano quelli che erano cagionedel bene essere della Republica romana. Donde i Roma-ni ne avevano più cura che di alcuno altro ordine diquella; ed usavongli ne' comizi consolari, nel principiarele imprese, nel trar fuora gli eserciti, nel fare le giornate,ed in ogni azione loro importante, o civile o militare; némai sarebbono iti ad una espedizione, che non avessonopersuaso ai soldati che gli Dei promettevano loro la vit-toria. Ed in fra gli altri auspicii, avevano negli eserciticerti ordini di aruspici, ch'e' chiamavano pullarii: e qua-lunque volta eglino ordinavano di fare la giornata con ilnimico, ei volevano che i pullarii facessono i loro auspi-cii; e, beccando i polli, combattevono con buono augu-rio, non beccando, si astenevano dalla zuffa. Nondime-no, quando la ragione mostrava loro una cosa doversifare, non ostante che gli auspicii fossero avversi, la fa-cevano in ogni modo; ma rivoltavanla con termini emodi tanto attamente, che non paresse che la facessinocon dispregio della religione.

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Il quale termine fu usato da Papirio consolo in una zuffache ei fece importantissima coi Sanniti, dopo la qualerestarono in tutto deboli ed afflitti. Perché, sendo Papi-rio in su' campi rincontro ai Sanniti, e parendogli averenella zuffa la vittoria certa, e volendo per questo fare lagiornata, comandò ai pullarii che facessono i loro auspi-cii; ma non beccando i polli, e veggendo il principe de'pullarii la gran disposizione dello esercito di combatte-re, e la opinione che era nel capitano ed in tutti i soldatidi vincere, per non tôrre occasione di bene operare aquello esercito, riferì al consolo come gli auspicii proce-devono bene: talché Papirio, ordinando le squadre, edessendo da alcuni de' pullarii detto a certi soldati, i pollinon avere beccato, quelli lo dissono a Spurio Papirio ne-pote del consolo; e quello riferendolo al consolo, risposesubito, ch'egli attendessi a fare l'ufficio suo bene; che,quanto a lui ed allo esercito, gli auspicii erano buoni; ese il pullario aveva detto le bugie, le tornerebbono inpregiudizio suo. E perché lo effetto corrispondesse alpronostico, comandò ai legati che constituissono i pulla-rii nella prima fronte della zuffa. Onde nacque che, an-dando contro a' nimici, sendo da un soldato romano trat-to uno dardo, a caso ammazzò il principe de' pullarii: laquale cosa udita, il consolo disse come ogni cosa proce-deva bene, e col favore degli Dei; perché lo esercito conla morte di quel bugiardo s'era purgato da ogni colpa eda ogni ira che quelli avessono presa contro a di lui. Ecosì, col sapere bene accomodare i disegni suoi agli au-spicii, prese partito di azzuffarsi, sanza che quello eser-

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Il quale termine fu usato da Papirio consolo in una zuffache ei fece importantissima coi Sanniti, dopo la qualerestarono in tutto deboli ed afflitti. Perché, sendo Papi-rio in su' campi rincontro ai Sanniti, e parendogli averenella zuffa la vittoria certa, e volendo per questo fare lagiornata, comandò ai pullarii che facessono i loro auspi-cii; ma non beccando i polli, e veggendo il principe de'pullarii la gran disposizione dello esercito di combatte-re, e la opinione che era nel capitano ed in tutti i soldatidi vincere, per non tôrre occasione di bene operare aquello esercito, riferì al consolo come gli auspicii proce-devono bene: talché Papirio, ordinando le squadre, edessendo da alcuni de' pullarii detto a certi soldati, i pollinon avere beccato, quelli lo dissono a Spurio Papirio ne-pote del consolo; e quello riferendolo al consolo, risposesubito, ch'egli attendessi a fare l'ufficio suo bene; che,quanto a lui ed allo esercito, gli auspicii erano buoni; ese il pullario aveva detto le bugie, le tornerebbono inpregiudizio suo. E perché lo effetto corrispondesse alpronostico, comandò ai legati che constituissono i pulla-rii nella prima fronte della zuffa. Onde nacque che, an-dando contro a' nimici, sendo da un soldato romano trat-to uno dardo, a caso ammazzò il principe de' pullarii: laquale cosa udita, il consolo disse come ogni cosa proce-deva bene, e col favore degli Dei; perché lo esercito conla morte di quel bugiardo s'era purgato da ogni colpa eda ogni ira che quelli avessono presa contro a di lui. Ecosì, col sapere bene accomodare i disegni suoi agli au-spicii, prese partito di azzuffarsi, sanza che quello eser-

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cito si avvedesse che in alcuna parte quello avesse ne-gletti gli ordini della loro religione.Al contrario fece Appio Pulcro in Sicilia, nella primaguerra punica: che, volendo azzuffarsi con l'esercito car-taginese, fece fare gli auspicii a' pullarii; e riferendogliquelli, come i polli non beccavano, disse: - Veggiamo sevolessero bere! - e gli fece gittare in mare. Donde cheazzuffandosi, perdé la giornata: di che egli fu a Romacondannato, e Papirio onorato, non tanto per avere l'unovinto, e l'altro perduto, quanto per avere l'uno fatto con-tro agli auspicii prudentemente, e l'altro temerariamente.Né ad altro fine tendeva questo modo dello aruspicare,che di fare i soldati confidentemente ire alla zuffa; dallaquale confidenza quasi sempre nasce la vittoria. La qualcosa fu non solamente usata dai Romani, ma dagli ester-ni: di che mi pare da addurne uno esemplo nel seguentecapitolo.

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cito si avvedesse che in alcuna parte quello avesse ne-gletti gli ordini della loro religione.Al contrario fece Appio Pulcro in Sicilia, nella primaguerra punica: che, volendo azzuffarsi con l'esercito car-taginese, fece fare gli auspicii a' pullarii; e riferendogliquelli, come i polli non beccavano, disse: - Veggiamo sevolessero bere! - e gli fece gittare in mare. Donde cheazzuffandosi, perdé la giornata: di che egli fu a Romacondannato, e Papirio onorato, non tanto per avere l'unovinto, e l'altro perduto, quanto per avere l'uno fatto con-tro agli auspicii prudentemente, e l'altro temerariamente.Né ad altro fine tendeva questo modo dello aruspicare,che di fare i soldati confidentemente ire alla zuffa; dallaquale confidenza quasi sempre nasce la vittoria. La qualcosa fu non solamente usata dai Romani, ma dagli ester-ni: di che mi pare da addurne uno esemplo nel seguentecapitolo.

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15 I Sanniti, per estremo rimedio alle coseloro afflitte, ricorsero alla religione.

Avendo i Sanniti avute più rotte da' Romani, ed essendostati per ultimo distrutti in Toscana, e morti i loro eserci-ti e gli loro capitani; ed essendo stati vinti i loro compa-gni, come Toscani, Franciosi ed Umbri; «nec suis necexternis viribus jam stare poterant, tamen bello non ab-stinebant adeo ne infeliciter quidem defensae libertatistaedebat, et vinci, quam non tentare victoriam, male-bant». Onde deliberarono fare l'ultima prova: e perché eisapevano che, a volere vincere, era necessario indurreostinazione negli animi de' soldati, e che a indurvela nonera migliore mezzo che la religione; pensarono di ripete-re uno antico loro sacrificio, mediante Ovio Paccio, lorosacerdote. Il quale ordinarono in questa forma: che, fattoil sacrificio solenne e fatto, intra le vittime morte e glialtari accesi, giurare tutti i capi dell'esercito di non ab-bandonare mai la zuffa, citorono i soldati ad uno ad uno:ed intra quegli altari, nel mezzo di più centurioni con lespade nude in mano gli facevano prima giurare che nonridirebbono cosa che vedessono o sentissono; dipoi, conparole esecrabili e versi pieni di spavento, gli facevanopromettere agli Dei, d'essere presti dove gl'imperadorigli mandassono, e di non si fuggire mai dalla zuffa, ed'ammazzare qualunque ei vedessono che si fuggisse: laquale cosa non osservata, tornassi sopra il capo della suafamiglia e della sua stirpe. Ed essendo sbigottiti alcuni

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15 I Sanniti, per estremo rimedio alle coseloro afflitte, ricorsero alla religione.

Avendo i Sanniti avute più rotte da' Romani, ed essendostati per ultimo distrutti in Toscana, e morti i loro eserci-ti e gli loro capitani; ed essendo stati vinti i loro compa-gni, come Toscani, Franciosi ed Umbri; «nec suis necexternis viribus jam stare poterant, tamen bello non ab-stinebant adeo ne infeliciter quidem defensae libertatistaedebat, et vinci, quam non tentare victoriam, male-bant». Onde deliberarono fare l'ultima prova: e perché eisapevano che, a volere vincere, era necessario indurreostinazione negli animi de' soldati, e che a indurvela nonera migliore mezzo che la religione; pensarono di ripete-re uno antico loro sacrificio, mediante Ovio Paccio, lorosacerdote. Il quale ordinarono in questa forma: che, fattoil sacrificio solenne e fatto, intra le vittime morte e glialtari accesi, giurare tutti i capi dell'esercito di non ab-bandonare mai la zuffa, citorono i soldati ad uno ad uno:ed intra quegli altari, nel mezzo di più centurioni con lespade nude in mano gli facevano prima giurare che nonridirebbono cosa che vedessono o sentissono; dipoi, conparole esecrabili e versi pieni di spavento, gli facevanopromettere agli Dei, d'essere presti dove gl'imperadorigli mandassono, e di non si fuggire mai dalla zuffa, ed'ammazzare qualunque ei vedessono che si fuggisse: laquale cosa non osservata, tornassi sopra il capo della suafamiglia e della sua stirpe. Ed essendo sbigottiti alcuni

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di loro, non volendo giurare, subito da' loro centurionierano morti, talché gli altri che succedevono poi, impau-riti dalla ferocità dello spettacolo, giurarono tutti. E perfare questo loro assembramento più magnifico, sendoquarantamila uomini, ne vestirono la metà di pannibianchi, con creste e pennacchi sopra le celate; e cosìordinati si posero presso ad Aquilonia. Contro a costorovenne Papirio; il quale, nel confortare i suoi soldati, dis-se: «non enim cristas vulnera facere, et picta atque aura-ta scuta transire romanum pilum». E per debilitare laopinione che avevono i suoi soldati de' nimici per il giu-ramento preso, disse che quello era a timore non a for-tezza loro; perché in quel medesimo tempo gli avevanoavere paura de' cittadini, degl'Iddii, e de' nimici. E venu-ti al conflitto, furono superati i Sanniti; perché la virtùromana, e il timore conceputo per le passate rotte, supe-rò qualunque ostinazione ei potessero avere presa pervirtù della religione e per il giuramento preso. Nondi-meno si vede come a loro non parve potere avere altrorifugio, né tentare altro rimedio a potere pigliare speran-za di ricuperare la perduta virtù. Il che testifica appieno,quanta confidenza si possa avere mediante la religionebene usata. E benché questa parte più tosto, per avven-tura, si richiederebbe essere posta intra le cose estrinse-che; nondimeno, dependendo da uno ordine de' più im-portanti della Republica di Roma, mi è parso da connet-terlo in questo luogo, per non dividere questa materia eaverci a ritornare più volte.

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di loro, non volendo giurare, subito da' loro centurionierano morti, talché gli altri che succedevono poi, impau-riti dalla ferocità dello spettacolo, giurarono tutti. E perfare questo loro assembramento più magnifico, sendoquarantamila uomini, ne vestirono la metà di pannibianchi, con creste e pennacchi sopra le celate; e cosìordinati si posero presso ad Aquilonia. Contro a costorovenne Papirio; il quale, nel confortare i suoi soldati, dis-se: «non enim cristas vulnera facere, et picta atque aura-ta scuta transire romanum pilum». E per debilitare laopinione che avevono i suoi soldati de' nimici per il giu-ramento preso, disse che quello era a timore non a for-tezza loro; perché in quel medesimo tempo gli avevanoavere paura de' cittadini, degl'Iddii, e de' nimici. E venu-ti al conflitto, furono superati i Sanniti; perché la virtùromana, e il timore conceputo per le passate rotte, supe-rò qualunque ostinazione ei potessero avere presa pervirtù della religione e per il giuramento preso. Nondi-meno si vede come a loro non parve potere avere altrorifugio, né tentare altro rimedio a potere pigliare speran-za di ricuperare la perduta virtù. Il che testifica appieno,quanta confidenza si possa avere mediante la religionebene usata. E benché questa parte più tosto, per avven-tura, si richiederebbe essere posta intra le cose estrinse-che; nondimeno, dependendo da uno ordine de' più im-portanti della Republica di Roma, mi è parso da connet-terlo in questo luogo, per non dividere questa materia eaverci a ritornare più volte.

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16 Uno popolo, uso a vivere sotto uno princi-pe, se per qualche accidente diventa libero,

con difficultà mantiene la libertà.

Quanta difficultà sia a uno popolo, uso a vivere sottouno principe, perservare dipoi la libertà, se per alcunoaccidente l'acquista, come l'acquistò Roma dopo la cac-ciata de' Tarquinii, lo dimostrono infiniti esempli che sileggono nelle memorie delle antiche istorie. E tale diffi-cultà è ragionevole; perché quel popolo è non altrimentiche un animale bruto, il quale, ancora che di natura fero-ce e silvestre, sia stato nutrito sempre in carcere ed inservitù; che dipoi lasciato a sorte in una campagna libe-ro, non essendo uso a pascersi, né sappiendo i luoghidove si abbia a rifuggire, diventa preda del primo checerca rincatenarlo.Questo medesimo interviene a uno popolo, il quale, sen-do uso a vivere sotto i governi d'altri, non sappiendo ra-gionare né delle difese o offese pubbliche, non cono-scendo i principi né essendo conosciuto da loro, ritornapresto sotto uno giogo, il quale il più delle volte è piùgrave che quello che, poco inanzi, si aveva levato d'insul collo: e trovasi in queste difficultà, quantunque chela materia non sia corrotta. Perché un popolo dove intutto è entrata la corruzione, non può, non che piccoltempo, ma punto vivere libero come di sotto si discorre-rà: e però i ragionamenti nostri sono di quelli popolidove la corruzione non sia ampliata assai, e dove sia più

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16 Uno popolo, uso a vivere sotto uno princi-pe, se per qualche accidente diventa libero,

con difficultà mantiene la libertà.

Quanta difficultà sia a uno popolo, uso a vivere sottouno principe, perservare dipoi la libertà, se per alcunoaccidente l'acquista, come l'acquistò Roma dopo la cac-ciata de' Tarquinii, lo dimostrono infiniti esempli che sileggono nelle memorie delle antiche istorie. E tale diffi-cultà è ragionevole; perché quel popolo è non altrimentiche un animale bruto, il quale, ancora che di natura fero-ce e silvestre, sia stato nutrito sempre in carcere ed inservitù; che dipoi lasciato a sorte in una campagna libe-ro, non essendo uso a pascersi, né sappiendo i luoghidove si abbia a rifuggire, diventa preda del primo checerca rincatenarlo.Questo medesimo interviene a uno popolo, il quale, sen-do uso a vivere sotto i governi d'altri, non sappiendo ra-gionare né delle difese o offese pubbliche, non cono-scendo i principi né essendo conosciuto da loro, ritornapresto sotto uno giogo, il quale il più delle volte è piùgrave che quello che, poco inanzi, si aveva levato d'insul collo: e trovasi in queste difficultà, quantunque chela materia non sia corrotta. Perché un popolo dove intutto è entrata la corruzione, non può, non che piccoltempo, ma punto vivere libero come di sotto si discorre-rà: e però i ragionamenti nostri sono di quelli popolidove la corruzione non sia ampliata assai, e dove sia più

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del buono che del guasto.Aggiungesi alla soprascritta un'altra difficultà, la qualeè, che lo stato che diventa libero si fa partigiani inimici,e non partigiani amici. Partigiani inimici gli diventonotutti coloro che dello stato tirannico si prevalevono, pa-scendosi delle ricchezze del principe; a' quali sendo toltala facultà del valersi, non possono vivere contenti, esono forzati ciascuno di tentare di ripigliare la tirannide,per ritornare nell'autorità loro. Non si acquista, come hodetto, partigiani amici; perché il vivere libero preponeonori e premii, mediante alcune oneste e determinate ca-gioni, e fuora di quelle non premia né onora alcuno, equando uno ha quegli onori e quegli utili che gli paremeritare, non confessa avere obligo con coloro che lo ri-munerano. Oltre a di questo, quella comune utilità chedel vivere libero si trae, non è da alcuno, mentre che ellasi possiede conosciuta: la quale è di potere godere libe-ramente le cose sue sanza alcuno sospetto, non dubitaredell'onore delle donne, di quel de' figliuoli, non temeredi sé; perché nessuno confesserà mai avere obligo conuno che non l'offenda.Però, come di sopra si dice, viene ad avere, lo stato libe-ro e che di nuovo surge, partigiani inimici, e non parti-giani amici. E volendo rimediare a questi inconvenienti,e a quegli disordini che le soprascritte difficultà arreche-rebbono seco, non ci è più potente rimedio, né più vali-do né più sicuro né più necessario, che ammazzare i fi-gliuoli di Bruto: i quali, come la istoria mostra, non fu-

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del buono che del guasto.Aggiungesi alla soprascritta un'altra difficultà, la qualeè, che lo stato che diventa libero si fa partigiani inimici,e non partigiani amici. Partigiani inimici gli diventonotutti coloro che dello stato tirannico si prevalevono, pa-scendosi delle ricchezze del principe; a' quali sendo toltala facultà del valersi, non possono vivere contenti, esono forzati ciascuno di tentare di ripigliare la tirannide,per ritornare nell'autorità loro. Non si acquista, come hodetto, partigiani amici; perché il vivere libero preponeonori e premii, mediante alcune oneste e determinate ca-gioni, e fuora di quelle non premia né onora alcuno, equando uno ha quegli onori e quegli utili che gli paremeritare, non confessa avere obligo con coloro che lo ri-munerano. Oltre a di questo, quella comune utilità chedel vivere libero si trae, non è da alcuno, mentre che ellasi possiede conosciuta: la quale è di potere godere libe-ramente le cose sue sanza alcuno sospetto, non dubitaredell'onore delle donne, di quel de' figliuoli, non temeredi sé; perché nessuno confesserà mai avere obligo conuno che non l'offenda.Però, come di sopra si dice, viene ad avere, lo stato libe-ro e che di nuovo surge, partigiani inimici, e non parti-giani amici. E volendo rimediare a questi inconvenienti,e a quegli disordini che le soprascritte difficultà arreche-rebbono seco, non ci è più potente rimedio, né più vali-do né più sicuro né più necessario, che ammazzare i fi-gliuoli di Bruto: i quali, come la istoria mostra, non fu-

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rono indotti, insieme con altri giovani romani, a congiu-rare contro alla patria per altro, se non perché non si po-tevono valere straordinariamente sotto i consoli comesotto i re; in modo che la libertà di quel popolo parevache fosse diventata la loro servitù. E chi prende a gover-nare una moltitudine, o per via di libertà o per via diprincipato, e non si assicura di coloro che a quell'ordinenuovo sono inimici, fa uno stato di poca vita. Vero è cheio giudico infelici quelli principi che, per assicurare lostato loro hanno a tenere vie straordinarie, avendo pernimici la moltitudine: perché quello che ha per nimici ipochi, facilmente e sanza molti scandoli, si assicura, machi ha per nimico l'universale non si assicura mai, equanta più crudeltà usa tanto più debole diventa il suoprincipato. Talché il maggiore rimedio che ci abbia, ècercare di farsi il popolo amico.E benché questo discorso sia disforme dal soprascritto,parlando qui d'uno principe e quivi d'una republica;nondimeno, per non avere a tornare più in su questa ma-teria, ne voglio parlare brevemente. Volendo, pertanto,uno principe guadagnarsi uno popolo che gli fosse ini-mico, parlando di quelli principi che sono diventati dellaloro patria tiranni, dico ch'ei debbe esaminare primaquello che il popolo desidera, e troverrà sempre che de-sidera due cose: l'una, vendicarsi contro a coloro chesono cagione che sia servo; l'altra, di riavere la sua li-bertà. Al primo desiderio il principe può sodisfare in tut-to, al secondo in parte. Quanto al primo, ce n'è lo esem-

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rono indotti, insieme con altri giovani romani, a congiu-rare contro alla patria per altro, se non perché non si po-tevono valere straordinariamente sotto i consoli comesotto i re; in modo che la libertà di quel popolo parevache fosse diventata la loro servitù. E chi prende a gover-nare una moltitudine, o per via di libertà o per via diprincipato, e non si assicura di coloro che a quell'ordinenuovo sono inimici, fa uno stato di poca vita. Vero è cheio giudico infelici quelli principi che, per assicurare lostato loro hanno a tenere vie straordinarie, avendo pernimici la moltitudine: perché quello che ha per nimici ipochi, facilmente e sanza molti scandoli, si assicura, machi ha per nimico l'universale non si assicura mai, equanta più crudeltà usa tanto più debole diventa il suoprincipato. Talché il maggiore rimedio che ci abbia, ècercare di farsi il popolo amico.E benché questo discorso sia disforme dal soprascritto,parlando qui d'uno principe e quivi d'una republica;nondimeno, per non avere a tornare più in su questa ma-teria, ne voglio parlare brevemente. Volendo, pertanto,uno principe guadagnarsi uno popolo che gli fosse ini-mico, parlando di quelli principi che sono diventati dellaloro patria tiranni, dico ch'ei debbe esaminare primaquello che il popolo desidera, e troverrà sempre che de-sidera due cose: l'una, vendicarsi contro a coloro chesono cagione che sia servo; l'altra, di riavere la sua li-bertà. Al primo desiderio il principe può sodisfare in tut-to, al secondo in parte. Quanto al primo, ce n'è lo esem-

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plo appunto. Clearco, tiranno di Eraclea, sendo in esilio,occorse che, per controversia venuta intra il popolo e gliottimati di Eraclea, che, veggendosi gli ottimati inferio-ri, si volsono a favorire Clearco e congiuratisi seco lomissono, contro alla disposizione popolare, in Eraclea etolsono la libertà al popolo. In modo che, trovandosiClearco intra la insolenzia degli ottimati, i quali non po-teva in alcuno modo né contentare né correggere, e larabbia de' popolari, che non potevano sopportare lo ave-re perduta la libertà, diliberò a un tratto liberarsi dal fa-stidio de' grandi, e guadagnarsi il popolo. E presa, sopr'aquesto, conveniente occasione, tagliò a pezzi tutti gli ot-timati, con una estrema sodisfazione de' popolari. E cosìegli per questa via sodisfece a una delle voglie che han-no i popoli, cioè di vendicarsi. Ma quanto all'altro popo-lare desiderio, di riavere la sua libertà, non potendo ilprincipe sodisfargli, debbe esaminare quali cagioni sonoquelle che gli fanno desiderare d'essere liberi; e troverràche una piccola parte di loro desidera di essere liberaper comandare; ma tutti gli altri, che sono infiniti, desi-derano la libertà per vivere sicuri. Perché in tutte le re-publiche, in qualunque modo ordinate, ai gradi del co-mandare non aggiungono mai quaranta o cinquanta cit-tadini: e perché questo è piccolo numero, è facil cosa as-sicurarsene, o con levargli via, o con fare loro parte ditanti onori, che, secondo le condizioni loro, e' si abbinoin buona parte a contentare. Quelli altri, ai quali bastavivere sicuri, si sodisfanno facilmente, faccendo ordini eleggi, dove insieme con la potenza sua si comprenda la

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plo appunto. Clearco, tiranno di Eraclea, sendo in esilio,occorse che, per controversia venuta intra il popolo e gliottimati di Eraclea, che, veggendosi gli ottimati inferio-ri, si volsono a favorire Clearco e congiuratisi seco lomissono, contro alla disposizione popolare, in Eraclea etolsono la libertà al popolo. In modo che, trovandosiClearco intra la insolenzia degli ottimati, i quali non po-teva in alcuno modo né contentare né correggere, e larabbia de' popolari, che non potevano sopportare lo ave-re perduta la libertà, diliberò a un tratto liberarsi dal fa-stidio de' grandi, e guadagnarsi il popolo. E presa, sopr'aquesto, conveniente occasione, tagliò a pezzi tutti gli ot-timati, con una estrema sodisfazione de' popolari. E cosìegli per questa via sodisfece a una delle voglie che han-no i popoli, cioè di vendicarsi. Ma quanto all'altro popo-lare desiderio, di riavere la sua libertà, non potendo ilprincipe sodisfargli, debbe esaminare quali cagioni sonoquelle che gli fanno desiderare d'essere liberi; e troverràche una piccola parte di loro desidera di essere liberaper comandare; ma tutti gli altri, che sono infiniti, desi-derano la libertà per vivere sicuri. Perché in tutte le re-publiche, in qualunque modo ordinate, ai gradi del co-mandare non aggiungono mai quaranta o cinquanta cit-tadini: e perché questo è piccolo numero, è facil cosa as-sicurarsene, o con levargli via, o con fare loro parte ditanti onori, che, secondo le condizioni loro, e' si abbinoin buona parte a contentare. Quelli altri, ai quali bastavivere sicuri, si sodisfanno facilmente, faccendo ordini eleggi, dove insieme con la potenza sua si comprenda la

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sicurtà universale. E quando uno principe faccia questo,e che il popolo vegga che, per accidente nessuno, ei nonrompa tali leggi, comincerà in breve tempo a vivere si-curo e contento. In esemplo ci è il regno di Francia, ilquale non vive sicuro per altro che per essersi quelli reobligati a infinite leggi, nelle quali si comprende la si-curtà di tutti i suoi popoli. E chi ordinò quello stato, vol-le che quelli re, dell'armi e del danaio facessero a loromodo, ma che d'ogni altra cosa non ne potessono altri-menti disporre che le leggi si ordinassero. Quello princi-pe, adunque, o quella republica che non si assicura nelprincipio dello stato suo, conviene che si assicuri nellaprima occasione, come fecero i Romani. Chi lascia pas-sare quella, si pente tardi di non avere fatto quello chedoveva fare.Sendo, pertanto, il popolo romano ancora non corrottoquando ei ricuperò la libertà, potette mantenerla, morti ifigliuoli di Bruto e spenti i Tarquinii, con tutti quellimodi ed ordini che altra volta si sono discorsi. Ma sefusse stato quel popolo corrotto, né in Roma né altrovesi truova rimedi validi a mantenerla; come nel seguentecapitolo mosterreno.

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sicurtà universale. E quando uno principe faccia questo,e che il popolo vegga che, per accidente nessuno, ei nonrompa tali leggi, comincerà in breve tempo a vivere si-curo e contento. In esemplo ci è il regno di Francia, ilquale non vive sicuro per altro che per essersi quelli reobligati a infinite leggi, nelle quali si comprende la si-curtà di tutti i suoi popoli. E chi ordinò quello stato, vol-le che quelli re, dell'armi e del danaio facessero a loromodo, ma che d'ogni altra cosa non ne potessono altri-menti disporre che le leggi si ordinassero. Quello princi-pe, adunque, o quella republica che non si assicura nelprincipio dello stato suo, conviene che si assicuri nellaprima occasione, come fecero i Romani. Chi lascia pas-sare quella, si pente tardi di non avere fatto quello chedoveva fare.Sendo, pertanto, il popolo romano ancora non corrottoquando ei ricuperò la libertà, potette mantenerla, morti ifigliuoli di Bruto e spenti i Tarquinii, con tutti quellimodi ed ordini che altra volta si sono discorsi. Ma sefusse stato quel popolo corrotto, né in Roma né altrovesi truova rimedi validi a mantenerla; come nel seguentecapitolo mosterreno.

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17 Uno popolo corrotto, venuto in libertà, sipuò con difficultà grandissima mantenere li-

bero.

Io giudico ch'egli era necessario, o che i re si estingues-sono in Roma, o che Roma in brevissimo tempo dive-nisse debole e di nessuno valore; perché, considerando aquanta corruzione erano venuti quelli re, se fossero se-guitati così due o tre successioni, e che quella corruzio-ne, che era in loro, si fosse cominciata ad istendere perle membra, come le membra fossero state corrotte, eraimpossibile mai più riformarla. Ma perdendo il capoquando il busto era intero, poterono facilmente ridursi avivere liberi ed ordinati. E debbesi presupporre per cosaverissima, che una città corrotta che viva sotto uno prin-cipe, come che quel principe con tutta la sua stirpe sispenga, mai non si può ridurre libera, anzi conviene chel'un principe spenga l'altro: e sanza creazione d'uno nuo-vo signore non si posa mai, se già la bontà d'uno, insie-me con la virtù, non la tenesse libera; ma durerà tantoquella libertà, quanto durerà la vita di quello: come in-tervenne, a Siracusa, di Dione e di Timoleone: la virtùde' quali in diversi tempi, mentre vissono, tenne liberaquella città; morti che furono, si ritornò nell'antica tiran-nide. Ma non si vede il più forte esemplo che quello diRoma; la quale, cacciati i Tarquinii, poté subito prende-re e mantenere quella libertà; ma, morto Cesare, mortoCaio Caligola, morto Nerone, spenta tutta la stirpe cesa-

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17 Uno popolo corrotto, venuto in libertà, sipuò con difficultà grandissima mantenere li-

bero.

Io giudico ch'egli era necessario, o che i re si estingues-sono in Roma, o che Roma in brevissimo tempo dive-nisse debole e di nessuno valore; perché, considerando aquanta corruzione erano venuti quelli re, se fossero se-guitati così due o tre successioni, e che quella corruzio-ne, che era in loro, si fosse cominciata ad istendere perle membra, come le membra fossero state corrotte, eraimpossibile mai più riformarla. Ma perdendo il capoquando il busto era intero, poterono facilmente ridursi avivere liberi ed ordinati. E debbesi presupporre per cosaverissima, che una città corrotta che viva sotto uno prin-cipe, come che quel principe con tutta la sua stirpe sispenga, mai non si può ridurre libera, anzi conviene chel'un principe spenga l'altro: e sanza creazione d'uno nuo-vo signore non si posa mai, se già la bontà d'uno, insie-me con la virtù, non la tenesse libera; ma durerà tantoquella libertà, quanto durerà la vita di quello: come in-tervenne, a Siracusa, di Dione e di Timoleone: la virtùde' quali in diversi tempi, mentre vissono, tenne liberaquella città; morti che furono, si ritornò nell'antica tiran-nide. Ma non si vede il più forte esemplo che quello diRoma; la quale, cacciati i Tarquinii, poté subito prende-re e mantenere quella libertà; ma, morto Cesare, mortoCaio Caligola, morto Nerone, spenta tutta la stirpe cesa-

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rea, non poté mai, non solamente mantenere, ma puredar principio alla libertà. Né tanta diversità di evento inuna medesima città nacque da altro, se non da non esse-re ne' tempi de' Tarquinii il popolo romano ancora cor-rotto, ed in questi ultimi tempi essere corrottissimo. Per-ché allora, a mantenerlo saldo e disposto a fuggire i re,bastò solo farlo giurare che non consentirebbe mai che aRoma alcuno regnasse; e negli altri tempi non bastòl'autorità e severità di Bruto, con tutte le legioni orienta-li, a tenerlo disposto a volere mantenersi quella libertàche esso, a similitudine del primo Bruto, gli aveva ren-duta. Il che nacque da quella corruzione che le parti ma-riane avevano messa nel popolo; delle quali sendo capoCesare, potette accecare quella moltitudine, ch'ella nonconobbe il giogo che da sé medesima si metteva in sulcollo.E benché questo esemplo di Roma sia da preporre aqualunque altro esemplo, nondimeno voglio a questoproposito addurre innanzi popoli conosciuti ne' nostritempi. Pertanto dico, che nessuno accidente, benché gra-ve e violento, potrebbe ridurre mai Milano o Napoli li-beri, per essere quelle membra tutte corrotte. Il che sivide dopo la morte di Filippo Visconti; che, volendosiridurre Milano alla libertà, non potette e non seppe man-tenerla. Però, fu felicità grande quella di Roma, che que-sti rediventassero corrotti presto, acciò ne fussono cac-ciati, ed innanzi che la loro corruzione fusse passata nel-le viscere di quella città: la quale incorruzione fu cagio-

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rea, non poté mai, non solamente mantenere, ma puredar principio alla libertà. Né tanta diversità di evento inuna medesima città nacque da altro, se non da non esse-re ne' tempi de' Tarquinii il popolo romano ancora cor-rotto, ed in questi ultimi tempi essere corrottissimo. Per-ché allora, a mantenerlo saldo e disposto a fuggire i re,bastò solo farlo giurare che non consentirebbe mai che aRoma alcuno regnasse; e negli altri tempi non bastòl'autorità e severità di Bruto, con tutte le legioni orienta-li, a tenerlo disposto a volere mantenersi quella libertàche esso, a similitudine del primo Bruto, gli aveva ren-duta. Il che nacque da quella corruzione che le parti ma-riane avevano messa nel popolo; delle quali sendo capoCesare, potette accecare quella moltitudine, ch'ella nonconobbe il giogo che da sé medesima si metteva in sulcollo.E benché questo esemplo di Roma sia da preporre aqualunque altro esemplo, nondimeno voglio a questoproposito addurre innanzi popoli conosciuti ne' nostritempi. Pertanto dico, che nessuno accidente, benché gra-ve e violento, potrebbe ridurre mai Milano o Napoli li-beri, per essere quelle membra tutte corrotte. Il che sivide dopo la morte di Filippo Visconti; che, volendosiridurre Milano alla libertà, non potette e non seppe man-tenerla. Però, fu felicità grande quella di Roma, che que-sti rediventassero corrotti presto, acciò ne fussono cac-ciati, ed innanzi che la loro corruzione fusse passata nel-le viscere di quella città: la quale incorruzione fu cagio-

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ne che gl'infiniti tumulti che furono in Roma, avendo gliuomini il fine buono, non nocerono, anzi giovorono, allaRepublica.E si può fare questa conclusione, che, dove la materianon è corrotta, i tumulti ed altri scandoli non nuocono:dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non giovano, segià le non sono mosse da uno che con una estrema forzale faccia osservare, tanto che la materia diventi buona. Ilche non so se si è mai intervenuto o se fusse possibilech'egli intervenisse: perché e' si vede, come poco di so-pra dissi, che una città venuta in declinazione per corru-zione di materia, se mai occorre che la si rilievi, occorreper la virtù d'uno uomo che è vivo allora, non per la vir-tù dello universale che sostenga gli ordini buoni; e subi-to che quel tale è morto, la si ritorna nel suo pristinoabito: come intervenne a Tebe, la quale, per la virtù diEpaminonda, mentre lui visse, potette tenere forma direpublica e di imperio; ma, morto quello, la si ritornò ne'primi disordini suoi. La cagione è, che non può essereuno uomo di tanta vita, che 'l tempo basti ad avvezzarebene una città lungo tempo male avvezza. E se unod'una lunghissima vita, o due successione virtuose conti-nue, non la dispongano; come la manca di loro, come disopra è detto, rovina, se già con dimolti pericoli e di-molto sangue e' non la facesse rinascere. Perché talecorruzione e poca attitudine alla vita libera, nasce dauna inequalità che è in quella città: e volendola ridurreequale, è necessario usare grandissimi straordinari, i

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ne che gl'infiniti tumulti che furono in Roma, avendo gliuomini il fine buono, non nocerono, anzi giovorono, allaRepublica.E si può fare questa conclusione, che, dove la materianon è corrotta, i tumulti ed altri scandoli non nuocono:dove la è corrotta, le leggi bene ordinate non giovano, segià le non sono mosse da uno che con una estrema forzale faccia osservare, tanto che la materia diventi buona. Ilche non so se si è mai intervenuto o se fusse possibilech'egli intervenisse: perché e' si vede, come poco di so-pra dissi, che una città venuta in declinazione per corru-zione di materia, se mai occorre che la si rilievi, occorreper la virtù d'uno uomo che è vivo allora, non per la vir-tù dello universale che sostenga gli ordini buoni; e subi-to che quel tale è morto, la si ritorna nel suo pristinoabito: come intervenne a Tebe, la quale, per la virtù diEpaminonda, mentre lui visse, potette tenere forma direpublica e di imperio; ma, morto quello, la si ritornò ne'primi disordini suoi. La cagione è, che non può essereuno uomo di tanta vita, che 'l tempo basti ad avvezzarebene una città lungo tempo male avvezza. E se unod'una lunghissima vita, o due successione virtuose conti-nue, non la dispongano; come la manca di loro, come disopra è detto, rovina, se già con dimolti pericoli e di-molto sangue e' non la facesse rinascere. Perché talecorruzione e poca attitudine alla vita libera, nasce dauna inequalità che è in quella città: e volendola ridurreequale, è necessario usare grandissimi straordinari, i

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quali pochi sanno o vogliono usare; come in altro luogopiù particularmente si dirà.

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quali pochi sanno o vogliono usare; come in altro luogopiù particularmente si dirà.

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18 In che modo nelle città corrotte si potessemantenere uno stato libero, essendovi; o, non

vi essendo, ordinarvelo.

Io credo che non sia fuora di proposito, né disforme dalsoprascritto discorso, considerare se in una città corrottasi può mantenere lo stato libero, sendovi; o quando e'non vi fusse, se vi si può ordinare. Sopra la quale cosa,dico, come gli è molto difficile fare o l'uno o l'altro: ebenché sia quasi impossibile darne regola, perché sareb-be necessario procedere secondo i gradi della corruzio-ne; nondimanco, essendo bene ragionare d'ogni cosa,non voglio lasciare questa indietro. E presupporrò unacittà corrottissima, donde verrò ad accrescere più taledifficultà; perché non si truovano né leggi né ordini chebastino a frenare una universale corruzione. Perché, cosìcome gli buoni costumi, per mantenersi, hanno bisognodelle leggi; così le leggi, per osservarsi, hanno bisognode' buoni costumi. Oltre a di questo, gli ordini e le leggifatte in una republica nel nascimento suo, quando eranogli uomini buoni, non sono dipoi più a proposito, dive-nuti che ei sono rei. E se le leggi secondo gli accidentiin una città variano, non variano mai, o rade volte, gliordini suoi: il che fa che le nuove leggi non bastano,perché gli ordini, che stanno saldi, le corrompono.E per dare ad intendere meglio questa parte, dico comein Roma era l'ordine del governo, o vero dello stato; e leleggi dipoi, che con i magistrati frenavano i cittadini.

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18 In che modo nelle città corrotte si potessemantenere uno stato libero, essendovi; o, non

vi essendo, ordinarvelo.

Io credo che non sia fuora di proposito, né disforme dalsoprascritto discorso, considerare se in una città corrottasi può mantenere lo stato libero, sendovi; o quando e'non vi fusse, se vi si può ordinare. Sopra la quale cosa,dico, come gli è molto difficile fare o l'uno o l'altro: ebenché sia quasi impossibile darne regola, perché sareb-be necessario procedere secondo i gradi della corruzio-ne; nondimanco, essendo bene ragionare d'ogni cosa,non voglio lasciare questa indietro. E presupporrò unacittà corrottissima, donde verrò ad accrescere più taledifficultà; perché non si truovano né leggi né ordini chebastino a frenare una universale corruzione. Perché, cosìcome gli buoni costumi, per mantenersi, hanno bisognodelle leggi; così le leggi, per osservarsi, hanno bisognode' buoni costumi. Oltre a di questo, gli ordini e le leggifatte in una republica nel nascimento suo, quando eranogli uomini buoni, non sono dipoi più a proposito, dive-nuti che ei sono rei. E se le leggi secondo gli accidentiin una città variano, non variano mai, o rade volte, gliordini suoi: il che fa che le nuove leggi non bastano,perché gli ordini, che stanno saldi, le corrompono.E per dare ad intendere meglio questa parte, dico comein Roma era l'ordine del governo, o vero dello stato; e leleggi dipoi, che con i magistrati frenavano i cittadini.

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L'ordine dello stato era l'autorità del Popolo, del Senato,de' Tribuni, de' Consoli, il modo di chiedere e del crearei magistrati, ed il modo di fare le leggi. Questi ordinipoco o nulla variarono negli accidenti. Variarono le leg-gi che frenavano i cittadini; come fu la legge degli adul-terii, la suntuaria, quella della ambizione, e molte altre;secondo che di mano in mano i cittadini diventavanocorrotti. Ma tenendo fermi gli ordini dello stato, che nel-la corruzione non erano più buoni, quelle legge, che sirinnovavano, non bastavano a mantenere gli uominibuoni, ma sarebbono bene giovate, se con la innovazio-ne delle leggi si fussero rimutati gli ordini.E che sia il vero, che tali ordini nella città corrotta nonfussero buoni, si vede espresso in doi capi principali,quanto al creare i magistrati e le leggi. Non dava il po-polo romano il consolato, e gli altri primi gradi della cit-tà, se non a quelli che lo domandavano. Questo ordinefu, nel principio, buono, perché e' non gli domandavanose non quelli cittadini che se ne giudicavano degni edaverne la repulsa era ignominioso sì che, per essernegiudicati degni, ciascuno operava bene. Diventò questomodo, poi, nella città corrotta, perniziosissimo; perchénon quelli che avevano più virtù, ma quelli che avevanopiù potenza domandavano i magistrati; e gl'impotenti,comecché virtuosi, se ne astenevano di domandarli, perpaura. Vennesi a questo inconveniente, non a un tratto,ma per i mezzi, come si cade in tutti gli altri inconve-nienti: perché avendo i Romani domata l'Africa e l'Asia,

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L'ordine dello stato era l'autorità del Popolo, del Senato,de' Tribuni, de' Consoli, il modo di chiedere e del crearei magistrati, ed il modo di fare le leggi. Questi ordinipoco o nulla variarono negli accidenti. Variarono le leg-gi che frenavano i cittadini; come fu la legge degli adul-terii, la suntuaria, quella della ambizione, e molte altre;secondo che di mano in mano i cittadini diventavanocorrotti. Ma tenendo fermi gli ordini dello stato, che nel-la corruzione non erano più buoni, quelle legge, che sirinnovavano, non bastavano a mantenere gli uominibuoni, ma sarebbono bene giovate, se con la innovazio-ne delle leggi si fussero rimutati gli ordini.E che sia il vero, che tali ordini nella città corrotta nonfussero buoni, si vede espresso in doi capi principali,quanto al creare i magistrati e le leggi. Non dava il po-polo romano il consolato, e gli altri primi gradi della cit-tà, se non a quelli che lo domandavano. Questo ordinefu, nel principio, buono, perché e' non gli domandavanose non quelli cittadini che se ne giudicavano degni edaverne la repulsa era ignominioso sì che, per essernegiudicati degni, ciascuno operava bene. Diventò questomodo, poi, nella città corrotta, perniziosissimo; perchénon quelli che avevano più virtù, ma quelli che avevanopiù potenza domandavano i magistrati; e gl'impotenti,comecché virtuosi, se ne astenevano di domandarli, perpaura. Vennesi a questo inconveniente, non a un tratto,ma per i mezzi, come si cade in tutti gli altri inconve-nienti: perché avendo i Romani domata l'Africa e l'Asia,

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e ridotta quasi tutta la Grecia a sua ubbidienza, erano di-venuti sicuri della libertà loro, né pareva loro avere piùnimici che dovessono fare loro paura. Questa sicurtà equesta debolezza de' nimici fece che il popolo romano,nel dare il consolato, non riguardava più la virtù, ma lagrazia; tirando a quel grado quelli che meglio sapevanointrattenere gli uomini, non quelli che sapevano megliovincere i nimici: dipoi da quelli che avevano più grazia,ei discesono a darlo a quegli che avevano più potenza;talché i buoni, per difetto di tale ordine, ne rimasero altutto esclusi. Poteva uno tribuno, e qualunque altro citta-dino, preporre al Popolo una legge; sopra la quale ognicittadino poteva parlare, o in favore o incontro, innanziche la si deliberasse. Era questo ordine buono, quando icittadini erano buoni; perché sempre fu bene che ciascu-no che intende uno bene per il publico lo possa prepor-re; ed è bene che ciascuno sopra quello possa dire l'opi-nione sua, acciocché il popolo, inteso ciascuno, possapoi eleggere il meglio. Ma diventati i cittadini cattivi,diventò tale ordine pessimo; perché solo i potenti propo-nevono leggi, non per la comune libertà, ma per la po-tenza loro; e contro a quelle non poteva parlare alcuno,per paura di quelli: talché il popolo veniva o ingannato osforzato a diliberare la sua rovina.Era necessario, pertanto, a volere che Roma nella corru-zione si mantenesse libera, che, così come aveva nelprocesso del vivere suo fatto nuove leggi, l'avesse fattonuovi ordini: perché altri ordini e modi di vivere si deb-

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e ridotta quasi tutta la Grecia a sua ubbidienza, erano di-venuti sicuri della libertà loro, né pareva loro avere piùnimici che dovessono fare loro paura. Questa sicurtà equesta debolezza de' nimici fece che il popolo romano,nel dare il consolato, non riguardava più la virtù, ma lagrazia; tirando a quel grado quelli che meglio sapevanointrattenere gli uomini, non quelli che sapevano megliovincere i nimici: dipoi da quelli che avevano più grazia,ei discesono a darlo a quegli che avevano più potenza;talché i buoni, per difetto di tale ordine, ne rimasero altutto esclusi. Poteva uno tribuno, e qualunque altro citta-dino, preporre al Popolo una legge; sopra la quale ognicittadino poteva parlare, o in favore o incontro, innanziche la si deliberasse. Era questo ordine buono, quando icittadini erano buoni; perché sempre fu bene che ciascu-no che intende uno bene per il publico lo possa prepor-re; ed è bene che ciascuno sopra quello possa dire l'opi-nione sua, acciocché il popolo, inteso ciascuno, possapoi eleggere il meglio. Ma diventati i cittadini cattivi,diventò tale ordine pessimo; perché solo i potenti propo-nevono leggi, non per la comune libertà, ma per la po-tenza loro; e contro a quelle non poteva parlare alcuno,per paura di quelli: talché il popolo veniva o ingannato osforzato a diliberare la sua rovina.Era necessario, pertanto, a volere che Roma nella corru-zione si mantenesse libera, che, così come aveva nelprocesso del vivere suo fatto nuove leggi, l'avesse fattonuovi ordini: perché altri ordini e modi di vivere si deb-

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be ordinare in uno suggetto cattivo, che in uno buono;né può essere la forma simile in una materia al tuttocontraria. Ma perché questi ordini, o e' si hanno a rinno-vare tutti a un tratto, scoperti che sono non essere piùbuoni, o a poco a poco, in prima che si conoschino perciascuno; dico che l'una e l'altra di queste due cose èquasi impossibile. Perché, a volergli rinnovare a poco apoco, conviene che ne sia cagione uno prudente, chevegga questo inconveniente assai discosto, e quando e'nasce. Di questi tali è facilissima cosa che in una cittànon ne surga mai nessuno: e quando pure ve ne surgessi,non potrebbe persuadere mai a altrui quello che egliproprio intendesse; perché gli uomini, usi a vivere in unmodo, non lo vogliono variare; e tanto più non veggen-do il male in viso, ma avendo a essere loro mostro perconiettura. Quanto all'innovare questi ordini a un tratto,quando ciascuno conosce che non son buoni, dico chequesta inutilità, che facilmente si conosce, è difficile aricorreggerla; perché, a fare questo, non basta usare ter-mini ordinari, essendo modi ordinari cattivi; ma è neces-sario venire allo straordinario, come è alla violenza edall'armi, e diventare innanzi a ogni cosa principe diquella città, e poterne disporre a suo modo. E perché ilriordinare una città al vivere politico presuppone unouomo buono, e il diventare per violenza principe di unarepublica presuppone uno uomo cattivo; per questo sitroverrà che radissime volte accaggia che uno buono,per vie cattive, ancora che il fine suo fusse buono, vo-glia diventare principe; e che uno reo, divenuto principe,

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be ordinare in uno suggetto cattivo, che in uno buono;né può essere la forma simile in una materia al tuttocontraria. Ma perché questi ordini, o e' si hanno a rinno-vare tutti a un tratto, scoperti che sono non essere piùbuoni, o a poco a poco, in prima che si conoschino perciascuno; dico che l'una e l'altra di queste due cose èquasi impossibile. Perché, a volergli rinnovare a poco apoco, conviene che ne sia cagione uno prudente, chevegga questo inconveniente assai discosto, e quando e'nasce. Di questi tali è facilissima cosa che in una cittànon ne surga mai nessuno: e quando pure ve ne surgessi,non potrebbe persuadere mai a altrui quello che egliproprio intendesse; perché gli uomini, usi a vivere in unmodo, non lo vogliono variare; e tanto più non veggen-do il male in viso, ma avendo a essere loro mostro perconiettura. Quanto all'innovare questi ordini a un tratto,quando ciascuno conosce che non son buoni, dico chequesta inutilità, che facilmente si conosce, è difficile aricorreggerla; perché, a fare questo, non basta usare ter-mini ordinari, essendo modi ordinari cattivi; ma è neces-sario venire allo straordinario, come è alla violenza edall'armi, e diventare innanzi a ogni cosa principe diquella città, e poterne disporre a suo modo. E perché ilriordinare una città al vivere politico presuppone unouomo buono, e il diventare per violenza principe di unarepublica presuppone uno uomo cattivo; per questo sitroverrà che radissime volte accaggia che uno buono,per vie cattive, ancora che il fine suo fusse buono, vo-glia diventare principe; e che uno reo, divenuto principe,

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voglia operare bene, e che gli caggia mai nello animousare quella autorità bene, che gli ha male acquistata.Da tutte le soprascritte cose nasce la difficultà, o impos-sibilità, che è nelle città corrotte, a mantenervi una repu-blica, o a crearvela di nuovo. E quando pure la vi siavesse a creare o a mantenere, sarebbe necessario ridur-la più verso lo stato regio, che verso lo stato popolare;acciocché quegli uomini i quali dalle leggi, per la loroinsolenzia, non possono essere corretti, fussero da unapodestà quasi regia in qualche modo frenati. E a volerglifare per altre vie diventare buoni, sarebbe o crudelissi-ma impresa o al tutto impossibile; come io dissi, di so-pra, che fece Cleomene: il quale se, per essere solo, am-mazzò gli Efori; e se Romolo, per le medesime cagioni,ammazzò il fratello e Tito Tazio Sabino, e dipoi usaronobene quella loro autorità; nondimeno si debbe avvertireche l'uno e l'altro di costoro non aveano il suggetto diquella corruzione macchiato, della quale in questo capi-tolo ragioniamo, e però poterono volere, e, volendo, co-lorire il disegno loro.

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voglia operare bene, e che gli caggia mai nello animousare quella autorità bene, che gli ha male acquistata.Da tutte le soprascritte cose nasce la difficultà, o impos-sibilità, che è nelle città corrotte, a mantenervi una repu-blica, o a crearvela di nuovo. E quando pure la vi siavesse a creare o a mantenere, sarebbe necessario ridur-la più verso lo stato regio, che verso lo stato popolare;acciocché quegli uomini i quali dalle leggi, per la loroinsolenzia, non possono essere corretti, fussero da unapodestà quasi regia in qualche modo frenati. E a volerglifare per altre vie diventare buoni, sarebbe o crudelissi-ma impresa o al tutto impossibile; come io dissi, di so-pra, che fece Cleomene: il quale se, per essere solo, am-mazzò gli Efori; e se Romolo, per le medesime cagioni,ammazzò il fratello e Tito Tazio Sabino, e dipoi usaronobene quella loro autorità; nondimeno si debbe avvertireche l'uno e l'altro di costoro non aveano il suggetto diquella corruzione macchiato, della quale in questo capi-tolo ragioniamo, e però poterono volere, e, volendo, co-lorire il disegno loro.

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19 Dopo uno eccellente principe si può man-tenere uno principe debole; ma, dopo uno de-bole, non si può con un altro debole mante-

nere alcuno regno.

Considerato la virtù ed il modo del procedere di Romo-lo, Numa e di Tullo, i primi tre re romani, si vede comeRoma sortì una fortuna grandissima, avendo il primo referocissimo e bellicoso, l'altro quieto e religioso, il terzosimile di ferocità a Romolo, e più amatore della guerrache della pace. Perché in Roma era necessario che sur-gesse ne' primi principii suoi un ordinatore del vivere ci-vile, ma era bene poi necessario che gli altri re ripiglias-sero la virtù di Romolo; altrimenti quella città sarebbediventata effeminata, e preda de' suoi vicini. Donde sipuò notare che uno successore, non di tanta virtù quantoil primo, può mantenere uno stato per la virtù di coluiche lo ha retto innanzi, e si può godere le sue fatiche:ma s'egli avviene o che sia di lunga vita, o che dopo luinon surga un altro che ripigli la virtù di quel primo, ènecessitato quel regno a rovinare. Così, per il contrario,se dua, l'uno dopo l'altro, sono di gran virtù, si vedespesso che fanno cose grandissime, e che ne vanno conla fama in fino al cielo.Davit, sanza dubbio, fu un uomo, per arme, per dottrina,per giudizio, eccellentissimo; e fu tanta la sua virtù, che,avendo vinti e battuti tutti i suoi vicini, lasciò a Salomo-

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19 Dopo uno eccellente principe si può man-tenere uno principe debole; ma, dopo uno de-bole, non si può con un altro debole mante-

nere alcuno regno.

Considerato la virtù ed il modo del procedere di Romo-lo, Numa e di Tullo, i primi tre re romani, si vede comeRoma sortì una fortuna grandissima, avendo il primo referocissimo e bellicoso, l'altro quieto e religioso, il terzosimile di ferocità a Romolo, e più amatore della guerrache della pace. Perché in Roma era necessario che sur-gesse ne' primi principii suoi un ordinatore del vivere ci-vile, ma era bene poi necessario che gli altri re ripiglias-sero la virtù di Romolo; altrimenti quella città sarebbediventata effeminata, e preda de' suoi vicini. Donde sipuò notare che uno successore, non di tanta virtù quantoil primo, può mantenere uno stato per la virtù di coluiche lo ha retto innanzi, e si può godere le sue fatiche:ma s'egli avviene o che sia di lunga vita, o che dopo luinon surga un altro che ripigli la virtù di quel primo, ènecessitato quel regno a rovinare. Così, per il contrario,se dua, l'uno dopo l'altro, sono di gran virtù, si vedespesso che fanno cose grandissime, e che ne vanno conla fama in fino al cielo.Davit, sanza dubbio, fu un uomo, per arme, per dottrina,per giudizio, eccellentissimo; e fu tanta la sua virtù, che,avendo vinti e battuti tutti i suoi vicini, lasciò a Salomo-

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ne suo figliuolo uno regno pacifico: quale egli si potettecon l'arte della pace, e non con la guerra, conservare; esi potette godere felicemente la virtù di suo padre. Manon potette già lasciarlo a Roboam suo figliuolo; il qua-le, non essendo per virtù simile allo avolo, né per fortu-na simile al padre, rimase con fatica erede della sestaparte del regno. Baisit, sultan de' Turchi, come che fussipiù amatore della pace che della guerra, potette godersile fatiche di Maumetto suo padre; il quale avendo, comeDavit, battuto i suoi vicini, gli lasciò un regno fermo, eda poterlo con l'arte della pace facilmente conservare.Ma se il figliuolo suo Salì, presente signore, fusse statosimile al padre, e non all'avolo, quel regno rovinava; mae' si vede costui essere per superare la gloria dell'avolo.Dico pertanto con questi esempli, che, dopo uno eccel-lente principe, si può mantenere uno principe debole;ma, dopo un debole, non si può, con un altro debole,mantenere alcun regno, se già e' non fusse come quellodi Francia, che gli ordini suoi antichi lo mantenessero: equelli principi sono deboli, che non stanno in su la guer-ra.Conchiudo pertanto, con questo discorso, che la virtù diRomolo fu tanta, che la potette dare spazio a NumaPompilio di potere molti anni con l'arte della pace reg-gere Roma: ma dopo lui successe Tullo, il quale per lasua ferocità riprese la riputazione di Romolo: dopo ilquale venne Anco, in modo dalla natura dotato, che po-teva usare la pace e sopportare la guerra. E prima si di-

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ne suo figliuolo uno regno pacifico: quale egli si potettecon l'arte della pace, e non con la guerra, conservare; esi potette godere felicemente la virtù di suo padre. Manon potette già lasciarlo a Roboam suo figliuolo; il qua-le, non essendo per virtù simile allo avolo, né per fortu-na simile al padre, rimase con fatica erede della sestaparte del regno. Baisit, sultan de' Turchi, come che fussipiù amatore della pace che della guerra, potette godersile fatiche di Maumetto suo padre; il quale avendo, comeDavit, battuto i suoi vicini, gli lasciò un regno fermo, eda poterlo con l'arte della pace facilmente conservare.Ma se il figliuolo suo Salì, presente signore, fusse statosimile al padre, e non all'avolo, quel regno rovinava; mae' si vede costui essere per superare la gloria dell'avolo.Dico pertanto con questi esempli, che, dopo uno eccel-lente principe, si può mantenere uno principe debole;ma, dopo un debole, non si può, con un altro debole,mantenere alcun regno, se già e' non fusse come quellodi Francia, che gli ordini suoi antichi lo mantenessero: equelli principi sono deboli, che non stanno in su la guer-ra.Conchiudo pertanto, con questo discorso, che la virtù diRomolo fu tanta, che la potette dare spazio a NumaPompilio di potere molti anni con l'arte della pace reg-gere Roma: ma dopo lui successe Tullo, il quale per lasua ferocità riprese la riputazione di Romolo: dopo ilquale venne Anco, in modo dalla natura dotato, che po-teva usare la pace e sopportare la guerra. E prima si di-

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rizzò a volere tenere la via della pace, ma subito conob-be come i vicini, giudicandolo effeminato, lo stimavanopoco: talmente che pensò che, a volere mantenereRoma, bisognava volgersi alla guerra, e somigliare Ro-molo, e non Numa.Da questo piglino esemplo tutti i principi che tengonostato; che chi somiglierà Numa, lo terrà o non terrà, se-condo che i tempi o la fortuna gli girerà sotto; ma chisomiglierà Romolo, e fia come esso armato di prudenzae d'armi, lo terrà in ogni modo, se da una ostinata ed ec-cessiva forza non gli è tolto. E certamente si può stimareche, se Roma sortiva per terzo suo re un uomo che nonsapesse con le armi renderle la sua riputazione non areb-be mai poi, o con grandissima difficultà, potuto pigliarepiede, né fare quegli effetti ch'ella fece. E così, in men-tre che la visse sotto i re la portò questi pericoli di rovi-nare sotto uno re o debole o malvagio.

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rizzò a volere tenere la via della pace, ma subito conob-be come i vicini, giudicandolo effeminato, lo stimavanopoco: talmente che pensò che, a volere mantenereRoma, bisognava volgersi alla guerra, e somigliare Ro-molo, e non Numa.Da questo piglino esemplo tutti i principi che tengonostato; che chi somiglierà Numa, lo terrà o non terrà, se-condo che i tempi o la fortuna gli girerà sotto; ma chisomiglierà Romolo, e fia come esso armato di prudenzae d'armi, lo terrà in ogni modo, se da una ostinata ed ec-cessiva forza non gli è tolto. E certamente si può stimareche, se Roma sortiva per terzo suo re un uomo che nonsapesse con le armi renderle la sua riputazione non areb-be mai poi, o con grandissima difficultà, potuto pigliarepiede, né fare quegli effetti ch'ella fece. E così, in men-tre che la visse sotto i re la portò questi pericoli di rovi-nare sotto uno re o debole o malvagio.

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20 Dua continove successioni di principi vir-tuosi fanno grandi effetti; e come le republi-

che bene ordinate hanno di necessità virtuosesuccessioni, e però gli acquisti ed augumenti

loro sono grandi.

Poiché Roma ebbe cacciati i re, mancò di quelli pericoli,i quali di sopra sono detti che la portava succedendo inlei uno re o debole o cattivo. Perché la somma dello im-perio si ridusse ne' consoli, i quali, non per eredità o peringanni o per ambizione violenta, ma per suffragi liberivenivano a quello imperio, ed erono sempre uomini ec-cellentissimi: de' quali godendosi Roma la virtù, e lafortuna di tempo in tempo, poté venire a quella sua ulti-ma grandezza in altrettanti anni che la era stata sotto ire. Perché si vede, come due continove successioni diprincipi virtuosi sono sufficienti ad acquistare il mondo:come furano Filippo di Macedonia ed Alessandro Ma-gno. Il che tanto più debba fare una republica, avendoper il modo dello eleggere non solamente due successio-ni ma infiniti principi virtuosissimi che sono l'unodell'altro successori: la quale virtuosa successione fiasempre in ogni republica bene ordinata.

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20 Dua continove successioni di principi vir-tuosi fanno grandi effetti; e come le republi-

che bene ordinate hanno di necessità virtuosesuccessioni, e però gli acquisti ed augumenti

loro sono grandi.

Poiché Roma ebbe cacciati i re, mancò di quelli pericoli,i quali di sopra sono detti che la portava succedendo inlei uno re o debole o cattivo. Perché la somma dello im-perio si ridusse ne' consoli, i quali, non per eredità o peringanni o per ambizione violenta, ma per suffragi liberivenivano a quello imperio, ed erono sempre uomini ec-cellentissimi: de' quali godendosi Roma la virtù, e lafortuna di tempo in tempo, poté venire a quella sua ulti-ma grandezza in altrettanti anni che la era stata sotto ire. Perché si vede, come due continove successioni diprincipi virtuosi sono sufficienti ad acquistare il mondo:come furano Filippo di Macedonia ed Alessandro Ma-gno. Il che tanto più debba fare una republica, avendoper il modo dello eleggere non solamente due successio-ni ma infiniti principi virtuosissimi che sono l'unodell'altro successori: la quale virtuosa successione fiasempre in ogni republica bene ordinata.

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21 Quanto biasimo meriti quel principe equella republica che manca d'armi proprie.

Debbono i presenti principi e le moderne republiche, lequali circa le difese ed offese mancano di soldati propri,vergognarsi di loro medesime; e pensare con lo esemplodi Tullo, tale difetto essere, non per mancamento di uo-mini atti alla milizia, ma per colpa sua, che non han sa-puto fare i suoi uomini militari. Perché Tullo, sendo sta-ta Roma in pace quarant'anni, non trovò, succedendoegli nel regno, uomo che fusse stato mai in guerra: non-dimeno, disegnando esso fare guerra, non pensò valersiné de' Sanniti, né de' Toscani, né di altri che fusseroconsueti stare nell'armi, ma diliberò, come uomo pru-dentissimo, di valersi de' suoi. E fu tanta la sua virtù,che in un tratto, sotto il suo governo gli poté fare soldatieccellentissimi. Ed è più vero che alcuna altra verità,che, se dove è uomini non è soldati, nasce per difetto delprincipe, e non per altro difetto o di sito o di natura. Di che ce n'è un esemplo freschissimo. Perché ognunosa, come ne' prossimi tempi il re d'Inghilterra assaltò ilregno di Francia, né prese altri soldati che popoli suoi;e, per essere stato quel regno più che trenta anni sanzafare guerra, non aveva né soldati né capitano che avessemai militato: nondimeno, non dubitò con quelli assaltareuno regno pieno di capitani e di buoni eserciti, i qualierano stati continovamente sotto l'armi nelle guerred'Italia. Tutto nacque da essere quel re prudente uomo, e

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21 Quanto biasimo meriti quel principe equella republica che manca d'armi proprie.

Debbono i presenti principi e le moderne republiche, lequali circa le difese ed offese mancano di soldati propri,vergognarsi di loro medesime; e pensare con lo esemplodi Tullo, tale difetto essere, non per mancamento di uo-mini atti alla milizia, ma per colpa sua, che non han sa-puto fare i suoi uomini militari. Perché Tullo, sendo sta-ta Roma in pace quarant'anni, non trovò, succedendoegli nel regno, uomo che fusse stato mai in guerra: non-dimeno, disegnando esso fare guerra, non pensò valersiné de' Sanniti, né de' Toscani, né di altri che fusseroconsueti stare nell'armi, ma diliberò, come uomo pru-dentissimo, di valersi de' suoi. E fu tanta la sua virtù,che in un tratto, sotto il suo governo gli poté fare soldatieccellentissimi. Ed è più vero che alcuna altra verità,che, se dove è uomini non è soldati, nasce per difetto delprincipe, e non per altro difetto o di sito o di natura. Di che ce n'è un esemplo freschissimo. Perché ognunosa, come ne' prossimi tempi il re d'Inghilterra assaltò ilregno di Francia, né prese altri soldati che popoli suoi;e, per essere stato quel regno più che trenta anni sanzafare guerra, non aveva né soldati né capitano che avessemai militato: nondimeno, non dubitò con quelli assaltareuno regno pieno di capitani e di buoni eserciti, i qualierano stati continovamente sotto l'armi nelle guerred'Italia. Tutto nacque da essere quel re prudente uomo, e

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quel regno bene ordinato; il quale nel tempo della pacenon intermette gli ordini della guerra.Pelopida ed Epaminonda tebani, poiché gli ebbero liberaTebe, e trattala della servitù dello imperio spartano, tro-vandosi in una città usa a servire, ed in mezzo di popolieffeminati; non dubitarono, tanta era la virtù loro, di ri-durgli sotto l'armi, e con quelli andare a trovare allacampagna gli eserciti spartani, e vincergli: e chi ne scri-ve, dice come questi duoi in brieve tempo mostraronoche non solamente in Lacedemonia nascevano gli uomi-ni da guerra, ma in ogni altra parte dove nascessi uomi-ni, pure che si trovasse chi li sapesse indirizzare alla mi-lizia, come si vede che Tullo seppe indirizzare i Roma-ni. E Virgilio non potrebbe meglio esprimere questa opi-nione, né con altre parole mostrare di accostarsi a quel-la, dove dice:

Desidesque movebitTullus in arma viros.

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quel regno bene ordinato; il quale nel tempo della pacenon intermette gli ordini della guerra.Pelopida ed Epaminonda tebani, poiché gli ebbero liberaTebe, e trattala della servitù dello imperio spartano, tro-vandosi in una città usa a servire, ed in mezzo di popolieffeminati; non dubitarono, tanta era la virtù loro, di ri-durgli sotto l'armi, e con quelli andare a trovare allacampagna gli eserciti spartani, e vincergli: e chi ne scri-ve, dice come questi duoi in brieve tempo mostraronoche non solamente in Lacedemonia nascevano gli uomi-ni da guerra, ma in ogni altra parte dove nascessi uomi-ni, pure che si trovasse chi li sapesse indirizzare alla mi-lizia, come si vede che Tullo seppe indirizzare i Roma-ni. E Virgilio non potrebbe meglio esprimere questa opi-nione, né con altre parole mostrare di accostarsi a quel-la, dove dice:

Desidesque movebitTullus in arma viros.

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22 Quello che sia da notare nel caso de' treOrazii romani e tre Curiazii albani.

Tullo re di Roma, e Mezio, re di Alba, convennero chequello popolo fusse signore dell'altro, di cui i soprascrit-ti tre uomini vincessero. Furono morti tutti i Curiazii al-bani, restò vivo uno degli Orazii romani: e per questorestò Mezio re albano, con il suo popolo suggetto a' Ro-mani. E tornando quello Orazio vincitore in Roma,scontrando una sua sorella, che era a uno de' tre Curiaziimorti maritata, che piangeva la morte del marito,l'ammazzò. Donde quello Orazio per questo fallo fumesso in giudizio, e dopo molte dispute fu libero, piùper li prieghi del padre, che per li suoi meriti. Dovesono da notare tre cose: l'una, che mai non si debbe conparte delle sue forze arrischiare tutta la sua fortuna;l'altra, che non mai in una città bene ordinata le colpecon gli meriti si ricompensano; la terza, che non maisono i partiti savi, dove si debba o possa dubitare dellainosservanza. Perché, gl'importa tanto a una città lo es-sere serva, che mai non si doveva credere che alcuno diquelli re o di quelli popoli stessero contenti che tre lorocittadini gli avessero sottomessi: come si vide che vollefare Mezio, il quale, benché subito dopo la vittoria de'Romani si confessassi vinto, e promettessi la ubbidienzaa Tullo, nondimeno nella prima espedizione che gli eb-bero a convenire contro a' Veienti, si vide come ei cercòd'ingannarlo; come quello che tardi si era avveduto della

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22 Quello che sia da notare nel caso de' treOrazii romani e tre Curiazii albani.

Tullo re di Roma, e Mezio, re di Alba, convennero chequello popolo fusse signore dell'altro, di cui i soprascrit-ti tre uomini vincessero. Furono morti tutti i Curiazii al-bani, restò vivo uno degli Orazii romani: e per questorestò Mezio re albano, con il suo popolo suggetto a' Ro-mani. E tornando quello Orazio vincitore in Roma,scontrando una sua sorella, che era a uno de' tre Curiaziimorti maritata, che piangeva la morte del marito,l'ammazzò. Donde quello Orazio per questo fallo fumesso in giudizio, e dopo molte dispute fu libero, piùper li prieghi del padre, che per li suoi meriti. Dovesono da notare tre cose: l'una, che mai non si debbe conparte delle sue forze arrischiare tutta la sua fortuna;l'altra, che non mai in una città bene ordinata le colpecon gli meriti si ricompensano; la terza, che non maisono i partiti savi, dove si debba o possa dubitare dellainosservanza. Perché, gl'importa tanto a una città lo es-sere serva, che mai non si doveva credere che alcuno diquelli re o di quelli popoli stessero contenti che tre lorocittadini gli avessero sottomessi: come si vide che vollefare Mezio, il quale, benché subito dopo la vittoria de'Romani si confessassi vinto, e promettessi la ubbidienzaa Tullo, nondimeno nella prima espedizione che gli eb-bero a convenire contro a' Veienti, si vide come ei cercòd'ingannarlo; come quello che tardi si era avveduto della

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temerità del partito preso da lui. E perché di questo ter-zo notabile se n'è parlato assai, parlereno solo degli altridue ne' seguenti duoi capitoli.

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temerità del partito preso da lui. E perché di questo ter-zo notabile se n'è parlato assai, parlereno solo degli altridue ne' seguenti duoi capitoli.

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23 Che non si debbe mettere a pericolo tuttala fortuna e non tutte le forze; e, per questo,

spesso il guardare i passi è dannoso.

Non fu mai giudicato partito savio mettere a pericolotutta la fortuna tua e non tutte le forze. Questo si fa inpiù modi. L'uno è faccendo come Tullo e Mezio, quandoe' commissono la fortuna tutta della patria loro, e la vir-tù di tanti uomini quanti aveva l'uno e l'altro di costoronegli eserciti suoi alla virtù e fortuna di tre de' loro citta-dini, che veniva a essere una minima parte delle forze diciascuno di loro. Né si avvidono, come per questo parti-to tutta la fatica che avevano durata i loro antecessorinell'ordinare la republica, per farla vivere lungamente li-bera e per fare i suoi cittadini difensori della loro libertà,era quasi che stata vana, stando nella potenza di sì pochia perderla. La quale cosa da quelli re non poté esserepeggio considerata.Cadesi ancora in questo inconveniente quasi sempre percoloro, che, venendo il nimico, disegnano di tenere iluoghi difficili, e guardare i passi: perché quasi semprequesta diliberazione sarà dannosa, se già in quello luogodifficile commodamente tu non potesse tenere tutte leforze tue. In questo caso, tale partito è da prendere; masendo il luogo aspro, e non vi potendo tenere tutte leforze, il partito è dannoso. Questo mi fa giudicare cosìlo esemplo di coloro, che, essendo assaltati da un inimi-co potente, ed essendo il paese loro circundato da' monti

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23 Che non si debbe mettere a pericolo tuttala fortuna e non tutte le forze; e, per questo,

spesso il guardare i passi è dannoso.

Non fu mai giudicato partito savio mettere a pericolotutta la fortuna tua e non tutte le forze. Questo si fa inpiù modi. L'uno è faccendo come Tullo e Mezio, quandoe' commissono la fortuna tutta della patria loro, e la vir-tù di tanti uomini quanti aveva l'uno e l'altro di costoronegli eserciti suoi alla virtù e fortuna di tre de' loro citta-dini, che veniva a essere una minima parte delle forze diciascuno di loro. Né si avvidono, come per questo parti-to tutta la fatica che avevano durata i loro antecessorinell'ordinare la republica, per farla vivere lungamente li-bera e per fare i suoi cittadini difensori della loro libertà,era quasi che stata vana, stando nella potenza di sì pochia perderla. La quale cosa da quelli re non poté esserepeggio considerata.Cadesi ancora in questo inconveniente quasi sempre percoloro, che, venendo il nimico, disegnano di tenere iluoghi difficili, e guardare i passi: perché quasi semprequesta diliberazione sarà dannosa, se già in quello luogodifficile commodamente tu non potesse tenere tutte leforze tue. In questo caso, tale partito è da prendere; masendo il luogo aspro, e non vi potendo tenere tutte leforze, il partito è dannoso. Questo mi fa giudicare cosìlo esemplo di coloro, che, essendo assaltati da un inimi-co potente, ed essendo il paese loro circundato da' monti

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e luoghi alpestri, non hanno mai tentato di combattere ilnimico in su' passi ed in su' monti, ma sono iti a rincon-trarlo di là da essi; o, quando non hanno voluto fare que-sto, lo hanno aspettato dentro a essi monti, in luoghi be-nigni e non alpestri. E la cagione ne è stata la preallega-ta: perché, non si potendo condurre alla guardia de' luo-ghi alpestri molti uomini, sì per non vi potere viverelungo tempo, sì per essere i luoghi stretti e capaci di po-chi, non è possibile sostenere uno inimico che vengagrosso a urtarti: ed al nimico è facile il venire grossoperché la intenzione sua è passare, e non fermarsi, ed achi l'aspetta è impossibile aspettarlo grosso, avendo adalloggiarsi per più tempo, non sappiendo quando il ni-mico voglia passare in luoghi, come io ho detto, stretti esterili. Perdendo, adunque, quel passo che tu ti avevipresupposto tenere, e nel quale i tuoi popoli e lo esercitotuo confidava, entra il più delle volte ne' popoli e nel re-siduo delle genti tua tanto terrore, che, sanza potereesperimentare la virtù d'esse, rimani perdente; e cosìvieni a avere perduta tutta la tua fortuna con parte delletue forze.Ciascuno sa con quanta difficultà Annibale passassel'alpe che dividono la Lombardia dalla Francia, e conquanta difficultà passasse quelle che dividono la Lom-bardia dalla Toscana: nondimeno i Romani l'aspettaronoprima in sul Tesino, e dipoi nel piano d'Arezzo: e vol-lon, più tosto, che il loro esercito fusse consumato da ilnimico nelli luoghi dove poteva vincere, che condurlo

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e luoghi alpestri, non hanno mai tentato di combattere ilnimico in su' passi ed in su' monti, ma sono iti a rincon-trarlo di là da essi; o, quando non hanno voluto fare que-sto, lo hanno aspettato dentro a essi monti, in luoghi be-nigni e non alpestri. E la cagione ne è stata la preallega-ta: perché, non si potendo condurre alla guardia de' luo-ghi alpestri molti uomini, sì per non vi potere viverelungo tempo, sì per essere i luoghi stretti e capaci di po-chi, non è possibile sostenere uno inimico che vengagrosso a urtarti: ed al nimico è facile il venire grossoperché la intenzione sua è passare, e non fermarsi, ed achi l'aspetta è impossibile aspettarlo grosso, avendo adalloggiarsi per più tempo, non sappiendo quando il ni-mico voglia passare in luoghi, come io ho detto, stretti esterili. Perdendo, adunque, quel passo che tu ti avevipresupposto tenere, e nel quale i tuoi popoli e lo esercitotuo confidava, entra il più delle volte ne' popoli e nel re-siduo delle genti tua tanto terrore, che, sanza potereesperimentare la virtù d'esse, rimani perdente; e cosìvieni a avere perduta tutta la tua fortuna con parte delletue forze.Ciascuno sa con quanta difficultà Annibale passassel'alpe che dividono la Lombardia dalla Francia, e conquanta difficultà passasse quelle che dividono la Lom-bardia dalla Toscana: nondimeno i Romani l'aspettaronoprima in sul Tesino, e dipoi nel piano d'Arezzo: e vol-lon, più tosto, che il loro esercito fusse consumato da ilnimico nelli luoghi dove poteva vincere, che condurlo

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su per l'alpe a essere distrutto dalla malignità del sito.E chi leggerà sensatamente tutte le istorie, troverrà po-chissimi virtuosi capitani avere tentato di tenere similipassi, e per le ragioni dette, e perché e' non si possonochiudere tutti, sendo i monti come campagne, ed avendonon solamente le vie consuete e frequentate, ma moltealtre le quali, se non sono note a' forestieri, sono note apaesani; con l'aiuto de' quali sempre sarai condotto inqualunque luogo, contro alla voglia di chi ti si oppone.Di che se ne può addurre uno freschissimo esemplo, nel1515. Quando Francesco re di Francia disegnava passa-re in Italia per la recuperazione dello stato di Lombar-dia, il maggior fondamento che facevono coloro ch'era-no alla sua impresa contrari, era che gli Svizzeri lo ter-rebbono a' passi in su' monti. E, come per esperienza poisi vidde, quel loro fondamento restò vano: perché, la-sciato quel Re da parte dua o tre luoghi guardati da loro,se ne venne per un'altra via incognita; e fu prima in Ita-lia, e loro apresso, che lo avessono presentito. Talchéloro sbigottiti si ritirarono in Milano, e tutti i popoli diLombardia si accostarono alle genti franciose; sendomancati di quella opinione avevano, che i Franciosi de-vessono essere ritenuti in su' monti.

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su per l'alpe a essere distrutto dalla malignità del sito.E chi leggerà sensatamente tutte le istorie, troverrà po-chissimi virtuosi capitani avere tentato di tenere similipassi, e per le ragioni dette, e perché e' non si possonochiudere tutti, sendo i monti come campagne, ed avendonon solamente le vie consuete e frequentate, ma moltealtre le quali, se non sono note a' forestieri, sono note apaesani; con l'aiuto de' quali sempre sarai condotto inqualunque luogo, contro alla voglia di chi ti si oppone.Di che se ne può addurre uno freschissimo esemplo, nel1515. Quando Francesco re di Francia disegnava passa-re in Italia per la recuperazione dello stato di Lombar-dia, il maggior fondamento che facevono coloro ch'era-no alla sua impresa contrari, era che gli Svizzeri lo ter-rebbono a' passi in su' monti. E, come per esperienza poisi vidde, quel loro fondamento restò vano: perché, la-sciato quel Re da parte dua o tre luoghi guardati da loro,se ne venne per un'altra via incognita; e fu prima in Ita-lia, e loro apresso, che lo avessono presentito. Talchéloro sbigottiti si ritirarono in Milano, e tutti i popoli diLombardia si accostarono alle genti franciose; sendomancati di quella opinione avevano, che i Franciosi de-vessono essere ritenuti in su' monti.

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24 Le republiche bene ordinate costituisconopremii e pene a' loro cittadini, né compenso-

no mai l'uno con l'altro.

Erano stati i meriti di Orazio grandissimi, avendo con lasua virtù vinti i Curiazii: era stato il fallo suo atroce,avendo morto la sorella: nondimeno dispiacque tantotale omicidio a' Romani, che lo condussono a disputaredella vita, non ostante che gli meriti suoi fossero tantograndi e sì freschi. La quale cosa, a chi superficialmentela considerasse, parrebbe un esemplo d'ingratitudine po-polare: nondimeno, chi la esamina meglio e con miglio-re considerazione ricerca quali debbono essere gli ordinidelle republiche, biasimerà quel popolo più tosto peraverlo assoluto che per averlo voluto condannare. E laragione è questa, che nessuna republica bene ordinatanon mai cancellò i demeriti con gli meriti de' suoi citta-dini; ma avendo ordinati i premii a una buona opera e lepene a una cattiva ed avendo premiato uno per averebene operato, se quel medesimo opera dipoi male, lo ga-stiga, sanza avere riguardo alcuno alle sue buone opere.E quando questi ordini sono bene osservati, una cittàvive libera molto tempo: altrimenti sempre rovinerà to-sto. Perché, se a un cittadino che abbia fatto qualcheegregia opera per la città, si aggiugne, oltre alla riputa-zione che quella cosa gli arreca, una audacia e confiden-za di poter, senza temere pena, fare qualche opera nonbuona, diventerà in brieve tempo tanto insolente che si

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24 Le republiche bene ordinate costituisconopremii e pene a' loro cittadini, né compenso-

no mai l'uno con l'altro.

Erano stati i meriti di Orazio grandissimi, avendo con lasua virtù vinti i Curiazii: era stato il fallo suo atroce,avendo morto la sorella: nondimeno dispiacque tantotale omicidio a' Romani, che lo condussono a disputaredella vita, non ostante che gli meriti suoi fossero tantograndi e sì freschi. La quale cosa, a chi superficialmentela considerasse, parrebbe un esemplo d'ingratitudine po-polare: nondimeno, chi la esamina meglio e con miglio-re considerazione ricerca quali debbono essere gli ordinidelle republiche, biasimerà quel popolo più tosto peraverlo assoluto che per averlo voluto condannare. E laragione è questa, che nessuna republica bene ordinatanon mai cancellò i demeriti con gli meriti de' suoi citta-dini; ma avendo ordinati i premii a una buona opera e lepene a una cattiva ed avendo premiato uno per averebene operato, se quel medesimo opera dipoi male, lo ga-stiga, sanza avere riguardo alcuno alle sue buone opere.E quando questi ordini sono bene osservati, una cittàvive libera molto tempo: altrimenti sempre rovinerà to-sto. Perché, se a un cittadino che abbia fatto qualcheegregia opera per la città, si aggiugne, oltre alla riputa-zione che quella cosa gli arreca, una audacia e confiden-za di poter, senza temere pena, fare qualche opera nonbuona, diventerà in brieve tempo tanto insolente che si

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risolverà ogni civilità.È bene necessario, volendo che sia tenuta la pena per lemalvagie opere, osservare i premii per le buone, come sivide che fece Roma. E benché una republica sia povera,e possa dare poco, debbe da quel poco non astenersi,perché sempre ogni piccol dono, dato ad alcuno per ri-compenso di bene ancora che grande, sarà stimato, dachi lo riceve, onorevole e grandissimo. È notissima laistoria di Orazio Cocle, e quella di Muzio Scevola:come l'uno sostenne i nimici sopra un ponte, tanto che sitagliasse; l'altro si arse la mano, che aveva errato, volen-do ammazzare Porsenna, re degli Toscani. A costoro perqueste due opere tanto egregie fu donato dal pubblicodue staiora di terra per ciascuno. È nota ancora la istoriadi Manlio Capitolino. A costui, per avere salvato ilCampidoglio da' Franciosi che vi erano a campo, fudato, da quelli che insieme con lui vi erano assediatidentro, una piccola misura di farina. Il quale premio, se-condo la fortuna che allora correva in Roma fu grande; edi qualità che, mosso poi Manlio o da invidia o dalla suacattiva natura, a fare nascere sedizione in Roma e cer-cando guadagnarsi il popolo, fu, sanza rispetto alcunode' suoi meriti, gittato precipite da quello Campidoglioche esso prima, con tanta sua gloria, avea salvo.

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risolverà ogni civilità.È bene necessario, volendo che sia tenuta la pena per lemalvagie opere, osservare i premii per le buone, come sivide che fece Roma. E benché una republica sia povera,e possa dare poco, debbe da quel poco non astenersi,perché sempre ogni piccol dono, dato ad alcuno per ri-compenso di bene ancora che grande, sarà stimato, dachi lo riceve, onorevole e grandissimo. È notissima laistoria di Orazio Cocle, e quella di Muzio Scevola:come l'uno sostenne i nimici sopra un ponte, tanto che sitagliasse; l'altro si arse la mano, che aveva errato, volen-do ammazzare Porsenna, re degli Toscani. A costoro perqueste due opere tanto egregie fu donato dal pubblicodue staiora di terra per ciascuno. È nota ancora la istoriadi Manlio Capitolino. A costui, per avere salvato ilCampidoglio da' Franciosi che vi erano a campo, fudato, da quelli che insieme con lui vi erano assediatidentro, una piccola misura di farina. Il quale premio, se-condo la fortuna che allora correva in Roma fu grande; edi qualità che, mosso poi Manlio o da invidia o dalla suacattiva natura, a fare nascere sedizione in Roma e cer-cando guadagnarsi il popolo, fu, sanza rispetto alcunode' suoi meriti, gittato precipite da quello Campidoglioche esso prima, con tanta sua gloria, avea salvo.

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25 Chi vuole riformare uno stato anticato inuna città libera, ritenga almeno l'ombra de'

modi antichi.

Colui che desidera o che vuole riformare uno stato d'unacittà, a volere che sia accetto, e poterlo con satisfazionedi ciascuno mantenere, è necessitato a ritenere l'ombraalmanco de' modi antichi, acciò che a' popoli non paiaavere mutato ordine, ancorché, in fatto, gli ordini nuovifussero al tutto alieni dai passati; perché lo universaledegli uomini si pascono così di quel che pare come diquello che è: anzi, molte volte si muovono più per lecose che paiono che per quelle che sono. Per questa ca-gione i Romani, conoscendo nel principio del loro vive-re libero questa necessità, avendo in cambio d'uno recreati duoi consoli, non vollono ch'egli avessono più chedodici littori, per non passare il numero di quelli che mi-nistravano ai re. Oltre a di questo, faccendosi in Romauno sacrificio anniversario, il quale non poteva esserefatto se non dalla persona del re, e volendo i Romaniche quel popolo non avesse a desiderare per la assenziadegli re alcuna cosa delle antiche; crearono uno capo didetto sacrificio, il quale loro chiamarono Re Sacrificulo,e sottomessonlo al sommo Sacerdote: talmente che quelpopolo per questa via venne a sodisfarsi di quel sacrifi-cio, e non avere mai cagione, per mancamento di esso,di disiderare la ritornata de' re. E questo si debbe osser-vare da tutti coloro che vogliono scancellare un antico

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25 Chi vuole riformare uno stato anticato inuna città libera, ritenga almeno l'ombra de'

modi antichi.

Colui che desidera o che vuole riformare uno stato d'unacittà, a volere che sia accetto, e poterlo con satisfazionedi ciascuno mantenere, è necessitato a ritenere l'ombraalmanco de' modi antichi, acciò che a' popoli non paiaavere mutato ordine, ancorché, in fatto, gli ordini nuovifussero al tutto alieni dai passati; perché lo universaledegli uomini si pascono così di quel che pare come diquello che è: anzi, molte volte si muovono più per lecose che paiono che per quelle che sono. Per questa ca-gione i Romani, conoscendo nel principio del loro vive-re libero questa necessità, avendo in cambio d'uno recreati duoi consoli, non vollono ch'egli avessono più chedodici littori, per non passare il numero di quelli che mi-nistravano ai re. Oltre a di questo, faccendosi in Romauno sacrificio anniversario, il quale non poteva esserefatto se non dalla persona del re, e volendo i Romaniche quel popolo non avesse a desiderare per la assenziadegli re alcuna cosa delle antiche; crearono uno capo didetto sacrificio, il quale loro chiamarono Re Sacrificulo,e sottomessonlo al sommo Sacerdote: talmente che quelpopolo per questa via venne a sodisfarsi di quel sacrifi-cio, e non avere mai cagione, per mancamento di esso,di disiderare la ritornata de' re. E questo si debbe osser-vare da tutti coloro che vogliono scancellare un antico

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vivere in una città, e ridurla a uno vivere nuovo e libero:perché, alterando le cose nuove le menti degli uomini, tidebbi ingegnare che quelle alterazioni ritenghino piùdello antico sia possibile; e se i magistrati variano, e dinumero e d'autorità e di tempo, degli antichi, che alme-no ritenghino il nome. E questo, come ho detto, debbeosservare colui che vuole ordinare uno vivere politico, oper via di republica o di regno: ma quello che vuole fareuna potestà assoluta, la quale dagli autori è chiamata ti-rannide, debbe rinnovare ogni cosa, come nel seguentecapitolo si dirà.

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vivere in una città, e ridurla a uno vivere nuovo e libero:perché, alterando le cose nuove le menti degli uomini, tidebbi ingegnare che quelle alterazioni ritenghino piùdello antico sia possibile; e se i magistrati variano, e dinumero e d'autorità e di tempo, degli antichi, che alme-no ritenghino il nome. E questo, come ho detto, debbeosservare colui che vuole ordinare uno vivere politico, oper via di republica o di regno: ma quello che vuole fareuna potestà assoluta, la quale dagli autori è chiamata ti-rannide, debbe rinnovare ogni cosa, come nel seguentecapitolo si dirà.

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26 Uno principe nuovo, in una città o provin-cia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.

Qualunque diventa principe o d'una città o d'uno stato, etanto più quando i fondamenti suoi fussono deboli e nonsi volga o per via di regno o di republica alla vita civile,il megliore rimedio che egli abbia, a tenere quel princi-pato, è, sendo egli nuovo principe, fare ogni cosa, inquello stato, di nuovo: come è, nelle città, fare nuovi go-verni con nuovi nomi, con nuove autorità, con nuovi uo-mini; fare i ricchi poveri, i poveri ricchi come fece Da-vit quando ei diventò re: «qui esurientes implevit bonis,et divites dimisit inanes»; edificare, oltra di questo, nuo-ve città, disfare delle edificate, cambiare gli abitatori daun luogo a un altro; ed in somma, non lasciare cosa niu-na intatta in quella provincia e che non vi sia né grado,né ordine né stato, né ricchezza, che chi la tiene non lariconosca da te; e pigliare per sua mira Filippo di Mace-donia, padre di Alessandro, il quale, con questi modi, dipiccol re, diventò principe di Grecia. E chi scrive di lui,dice che tramutava gli uomini di provincia in provincia,come e' mandriani tramutano le mandrie loro. Sono que-sti modi crudelissimi, e nimici d'ogni vivere, non sola-mente cristiano, ma umano; e debbegli qualunque uomofuggire, e volere piuttosto vivere privato, che re con tan-ta rovina degli uomini; nondimeno, colui che non vuolepigliare quella prima via del bene, quando si vogliamantenere conviene che entri in questo male. Ma gli uo-

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26 Uno principe nuovo, in una città o provin-cia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.

Qualunque diventa principe o d'una città o d'uno stato, etanto più quando i fondamenti suoi fussono deboli e nonsi volga o per via di regno o di republica alla vita civile,il megliore rimedio che egli abbia, a tenere quel princi-pato, è, sendo egli nuovo principe, fare ogni cosa, inquello stato, di nuovo: come è, nelle città, fare nuovi go-verni con nuovi nomi, con nuove autorità, con nuovi uo-mini; fare i ricchi poveri, i poveri ricchi come fece Da-vit quando ei diventò re: «qui esurientes implevit bonis,et divites dimisit inanes»; edificare, oltra di questo, nuo-ve città, disfare delle edificate, cambiare gli abitatori daun luogo a un altro; ed in somma, non lasciare cosa niu-na intatta in quella provincia e che non vi sia né grado,né ordine né stato, né ricchezza, che chi la tiene non lariconosca da te; e pigliare per sua mira Filippo di Mace-donia, padre di Alessandro, il quale, con questi modi, dipiccol re, diventò principe di Grecia. E chi scrive di lui,dice che tramutava gli uomini di provincia in provincia,come e' mandriani tramutano le mandrie loro. Sono que-sti modi crudelissimi, e nimici d'ogni vivere, non sola-mente cristiano, ma umano; e debbegli qualunque uomofuggire, e volere piuttosto vivere privato, che re con tan-ta rovina degli uomini; nondimeno, colui che non vuolepigliare quella prima via del bene, quando si vogliamantenere conviene che entri in questo male. Ma gli uo-

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mini pigliono certe vie del mezzo, che sono dannosissi-me; perché non sanno essere né tutti cattivi né tutti buo-ni: come nel seguente capitolo, per esemplo, si moster-rà.

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mini pigliono certe vie del mezzo, che sono dannosissi-me; perché non sanno essere né tutti cattivi né tutti buo-ni: come nel seguente capitolo, per esemplo, si moster-rà.

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27 Sanno rarissime volte gli uomini essere altutto cattivi o al tutto buoni.

Papa Iulio secondo, andando nel 1505 a Bologna, percacciare di quello stato la casa de' Bentivogli, la qualeaveva tenuto il principato di quella città cento anni, vo-leva ancora trarre Giovampagolo Baglioni di Perugia,della quale era tiranno, come quello che aveva congiura-to contro a tutti i tiranni che occupavano le terre dellaChiesa. E pervenuto presso a Perugia con questo animoe deliberazione, nota a ciascuno, non aspettò di entrarein quella città con lo esercito suo, che lo guardasse, mavi entrò disarmato, non ostante vi fusse drento Giovam-pagolo con gente assai, quale per difesa di sé aveva ra-gunata. Sì che, portato da quel furore con il quale gover-nava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimissenelle mani del nimico; il quale dipoi ne menò seco, la-sciando un governatore in quella città, che rendesse ra-gione per la Chiesa. Fu notata, dagli uomini prudentiche col papa erano, la temerità del papa e la viltà di Gio-vampagolo; né potevono estimare donde si venisse chequello non avesse, con sua perpetua fama, oppresso adun tratto il nimico suo, e sé arricchito di preda, sendocol papa tutti li cardinali, con tutte le loro delizie. Né sipoteva credere si fusse astenuto o per bontà o per con-scienza che lo ritenesse; perché in uno petto d'un uomofacinoroso, che si teneva la sorella, che aveva morti icugini e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcun

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27 Sanno rarissime volte gli uomini essere altutto cattivi o al tutto buoni.

Papa Iulio secondo, andando nel 1505 a Bologna, percacciare di quello stato la casa de' Bentivogli, la qualeaveva tenuto il principato di quella città cento anni, vo-leva ancora trarre Giovampagolo Baglioni di Perugia,della quale era tiranno, come quello che aveva congiura-to contro a tutti i tiranni che occupavano le terre dellaChiesa. E pervenuto presso a Perugia con questo animoe deliberazione, nota a ciascuno, non aspettò di entrarein quella città con lo esercito suo, che lo guardasse, mavi entrò disarmato, non ostante vi fusse drento Giovam-pagolo con gente assai, quale per difesa di sé aveva ra-gunata. Sì che, portato da quel furore con il quale gover-nava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimissenelle mani del nimico; il quale dipoi ne menò seco, la-sciando un governatore in quella città, che rendesse ra-gione per la Chiesa. Fu notata, dagli uomini prudentiche col papa erano, la temerità del papa e la viltà di Gio-vampagolo; né potevono estimare donde si venisse chequello non avesse, con sua perpetua fama, oppresso adun tratto il nimico suo, e sé arricchito di preda, sendocol papa tutti li cardinali, con tutte le loro delizie. Né sipoteva credere si fusse astenuto o per bontà o per con-scienza che lo ritenesse; perché in uno petto d'un uomofacinoroso, che si teneva la sorella, che aveva morti icugini e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcun

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pietoso rispetto: ma si conchiuse, nascesse che gli uomi-ni non sanno essere onorevolmente cattivi, o perfetta-mente buoni, e, come una malizia ha in sé grandezza, oè in alcuna parte generosa, e' non vi sanno entrare. CosìGiovampagolo, il quale non stimava essere incesto e pu-blico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì,avendone giusta occasione, fare una impresa, dove cia-scuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé la-sciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimo-stro a' prelati, quanto sia da stimare poco chi vive e re-gna come loro ed avessi fatto una cosa, la cui grandezzaavesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che daquella potesse dependere.

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pietoso rispetto: ma si conchiuse, nascesse che gli uomi-ni non sanno essere onorevolmente cattivi, o perfetta-mente buoni, e, come una malizia ha in sé grandezza, oè in alcuna parte generosa, e' non vi sanno entrare. CosìGiovampagolo, il quale non stimava essere incesto e pu-blico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì,avendone giusta occasione, fare una impresa, dove cia-scuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé la-sciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimo-stro a' prelati, quanto sia da stimare poco chi vive e re-gna come loro ed avessi fatto una cosa, la cui grandezzaavesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che daquella potesse dependere.

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28 Per quale cagione i Romani furono menoingrati contro agli loro cittadini che gli Ate-

niesi.

Qualunque legge le cose fatte dalle republiche, troverràin tutte qualche spezie d'ingratitudine contro a' suoi cit-tadini: ma ne troverrà meno in Roma che in Atene, e peravventura in qualunque altra republica. E ricercando lacagione di questo, parlando di Roma e d'Atene credo ac-cadessi perché i Romani avevano meno cagione di so-spettare de' suoi cittadini, che gli Ateniesi. Perché aRoma, ragionando di lei dalla cacciata de' Re infino aSilla e Mario, non fu mai tolta la libertà da alcuno suocittadino in modo che in lei non era grande cagione disospettare di loro, e, per conseguente, di offendergli in-consideratamente. Intervenne bene ad Atene il contra-rio; perché, sendogli tolta la libertà da Pisistrato nel suopiù florido tempo, e sotto uno inganno di bontà; comeprima la diventò poi libera, ricordandosi delle ingiuriericevute e della passata servitù, diventò prontissima ven-dicatrice, non solamente degli errori, ma della ombradegli errori de' suoi cittadini. Quinci nacque lo esilio ela morte di tanti eccellenti uomini, quinci l'ordinedell'ostracismo, ed ogni altra violenza che contro a' suoiottimati in varii tempi da quella città fu fatta. Ed è veris-simo quello che dicono questi scrittori della civilità: chei popoli mordono più fieramente poi ch'egli hanno recu-perata la libertà, che poi che l'hanno conservata. Chi

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28 Per quale cagione i Romani furono menoingrati contro agli loro cittadini che gli Ate-

niesi.

Qualunque legge le cose fatte dalle republiche, troverràin tutte qualche spezie d'ingratitudine contro a' suoi cit-tadini: ma ne troverrà meno in Roma che in Atene, e peravventura in qualunque altra republica. E ricercando lacagione di questo, parlando di Roma e d'Atene credo ac-cadessi perché i Romani avevano meno cagione di so-spettare de' suoi cittadini, che gli Ateniesi. Perché aRoma, ragionando di lei dalla cacciata de' Re infino aSilla e Mario, non fu mai tolta la libertà da alcuno suocittadino in modo che in lei non era grande cagione disospettare di loro, e, per conseguente, di offendergli in-consideratamente. Intervenne bene ad Atene il contra-rio; perché, sendogli tolta la libertà da Pisistrato nel suopiù florido tempo, e sotto uno inganno di bontà; comeprima la diventò poi libera, ricordandosi delle ingiuriericevute e della passata servitù, diventò prontissima ven-dicatrice, non solamente degli errori, ma della ombradegli errori de' suoi cittadini. Quinci nacque lo esilio ela morte di tanti eccellenti uomini, quinci l'ordinedell'ostracismo, ed ogni altra violenza che contro a' suoiottimati in varii tempi da quella città fu fatta. Ed è veris-simo quello che dicono questi scrittori della civilità: chei popoli mordono più fieramente poi ch'egli hanno recu-perata la libertà, che poi che l'hanno conservata. Chi

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considererà, adunque, quanto è detto, non biasimerà inquesto Atene, né lauderà Roma; ma ne accuserà solo lanecessità, per la diversità degli accidenti che in questecittà nacquero. Perché si vedrà, chi considererà le cosesottilmente che, se a Roma fusse stata tolta la libertàcome a Atene, non sarebbe stata Roma più pia verso isuoi cittadini, che si fusse quella. Di che si può fare ve-rissima coniettura per quello che occorse, dopo la cac-ciata de' re, contro a Collatino ed a Publio Valerio: de'quali il primo, ancora che si trovasse a liberare Roma, fumandato in esilio non per altra cagione che per tenere ilnome de' Tarquinii; l'altro, avendo solo dato di sé so-spetto per edificare una casa in sul monte Celio, fu an-cora per esser fatto esule. Talché si può stimare, vedutoquanto Roma fu in questi due sospettosa e severa, chel'arebbe usata la ingratitudine come Atene, se da' suoicittadini come quella, ne' primi tempi ed innanzi allo au-gumento suo, fusse stata ingiuriata. E per non avere atornare più sopra questa materia della ingratitudine, nedirò, quello ne occorrerà, nel seguente capitolo.

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considererà, adunque, quanto è detto, non biasimerà inquesto Atene, né lauderà Roma; ma ne accuserà solo lanecessità, per la diversità degli accidenti che in questecittà nacquero. Perché si vedrà, chi considererà le cosesottilmente che, se a Roma fusse stata tolta la libertàcome a Atene, non sarebbe stata Roma più pia verso isuoi cittadini, che si fusse quella. Di che si può fare ve-rissima coniettura per quello che occorse, dopo la cac-ciata de' re, contro a Collatino ed a Publio Valerio: de'quali il primo, ancora che si trovasse a liberare Roma, fumandato in esilio non per altra cagione che per tenere ilnome de' Tarquinii; l'altro, avendo solo dato di sé so-spetto per edificare una casa in sul monte Celio, fu an-cora per esser fatto esule. Talché si può stimare, vedutoquanto Roma fu in questi due sospettosa e severa, chel'arebbe usata la ingratitudine come Atene, se da' suoicittadini come quella, ne' primi tempi ed innanzi allo au-gumento suo, fusse stata ingiuriata. E per non avere atornare più sopra questa materia della ingratitudine, nedirò, quello ne occorrerà, nel seguente capitolo.

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29 Quale sia più ingrato, o uno popolo o unoprincipe.

Egli mi pare, a proposito della soprascritta materia, dadiscorrere quale usi con maggiori esempli questa ingra-titudine, o uno popolo o uno principe. E per disputaremeglio questa parte, dico, come questo vizio della ingra-titudine nasce o dall'avarizia o da il sospetto. Perché,quando o uno popolo o uno principe ha mandato fuoriuno suo capitano in una espedizione importante, dovequel capitano, vincendola, ne abbi acquistata assai glo-ria, quel principe o quel popolo è tenuto allo incontro apremiarlo: e se, in cambio di premio, o e' lo disonora oe' l'offende, mosso dall'avarizia, non volendo, ritenutoda questa cupidità, satisfarli; fa uno errore che non hascusa, anzi si tira dietro una infamia eterna. Pure si truo-va molti principi che ci peccono. E Cornelio Tacito dice,con questa sentenzia, la cagione: «Proclivius est iniu-riae, quam beneficio vicem exsolvere, quia gratia oneri,ultio in questu habetur». Ma quando ei non lo premia, o,a dir meglio, l'offende, non mosso da avarizia ma da so-spetto, allora merita, e il popolo e il principe, qualchescusa. E di queste ingratitudini, usate per tale cagione,se ne legge assai: perché quello capitano il quale virtuo-samente ha acquistato uno imperio al suo signore, supe-rando i nimici, e riempiendo sé di gloria e gli suoi solda-ti di ricchezze, di necessità, e con i soldati suoi, e con inimici, e con i sudditi propri di quel principe, acquista

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29 Quale sia più ingrato, o uno popolo o unoprincipe.

Egli mi pare, a proposito della soprascritta materia, dadiscorrere quale usi con maggiori esempli questa ingra-titudine, o uno popolo o uno principe. E per disputaremeglio questa parte, dico, come questo vizio della ingra-titudine nasce o dall'avarizia o da il sospetto. Perché,quando o uno popolo o uno principe ha mandato fuoriuno suo capitano in una espedizione importante, dovequel capitano, vincendola, ne abbi acquistata assai glo-ria, quel principe o quel popolo è tenuto allo incontro apremiarlo: e se, in cambio di premio, o e' lo disonora oe' l'offende, mosso dall'avarizia, non volendo, ritenutoda questa cupidità, satisfarli; fa uno errore che non hascusa, anzi si tira dietro una infamia eterna. Pure si truo-va molti principi che ci peccono. E Cornelio Tacito dice,con questa sentenzia, la cagione: «Proclivius est iniu-riae, quam beneficio vicem exsolvere, quia gratia oneri,ultio in questu habetur». Ma quando ei non lo premia, o,a dir meglio, l'offende, non mosso da avarizia ma da so-spetto, allora merita, e il popolo e il principe, qualchescusa. E di queste ingratitudini, usate per tale cagione,se ne legge assai: perché quello capitano il quale virtuo-samente ha acquistato uno imperio al suo signore, supe-rando i nimici, e riempiendo sé di gloria e gli suoi solda-ti di ricchezze, di necessità, e con i soldati suoi, e con inimici, e con i sudditi propri di quel principe, acquista

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tanta riputazione, che quella vittoria non può sapere dibuono a quel signore che lo ha mandato. E perché la na-tura degli uomini è ambiziosa e sospettosa, e non sa por-re modo a nessuna sua fortuna, è impossibile che quelsospetto che subito nasce nel principe dopo la vittoria diquel suo capitano, non sia da quel medesimo accresciutoper qualche suo modo o termine usato insolentemente.Talché il principe non può pensare a altro che assicurar-sene: e, per fare questo, ei pensa o di farlo morire o ditorgli la riputazione, che si ha guadagnata nel suo eser-cito o ne' suoi popoli; e con ogni industria mostrare chequella vittoria è nata non per la virtù di quello ma perfortuna, o per viltà de' nimici, o per prudenza degli altricapi che sono stati seco in tale fazione. Poiché Vespasia-no, sendo in Giudea fu dichiarato dal suo esercito impe-radore, Antonio Primo, che si trovava con un altro eser-cito in Illiria, prese le parti sue, e vennene in Italia con-tro a Vitellio, quale regnava a Roma, e virtuosissima-mente ruppe dua eserciti Vitelliani, e occupò Roma, tal-ché Muziano, mandato da Vespasiano, trovò, per la virtùd'Antonio, acquistato il tutto, e vinta ogni difficultà. Ilpremio che Antonio ne riportò, fu che Muziano gli tolsesubito la ubbidienza dello esercito, e a poco a poco lo ri-dusse in Roma sanza alcuna autorità: talché Antonio neandò a trovare Vespasiano, quale era ancora in Asia, dalquale fu in modo ricevuto, che, in breve tempo, ridottoin nessuno grado, quasi disperato morì. E di questiesempli ne sono piene le istorie. Ne' nostri tempi, cia-scuno che al presente vive, sa con quanta industria e vir-

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tanta riputazione, che quella vittoria non può sapere dibuono a quel signore che lo ha mandato. E perché la na-tura degli uomini è ambiziosa e sospettosa, e non sa por-re modo a nessuna sua fortuna, è impossibile che quelsospetto che subito nasce nel principe dopo la vittoria diquel suo capitano, non sia da quel medesimo accresciutoper qualche suo modo o termine usato insolentemente.Talché il principe non può pensare a altro che assicurar-sene: e, per fare questo, ei pensa o di farlo morire o ditorgli la riputazione, che si ha guadagnata nel suo eser-cito o ne' suoi popoli; e con ogni industria mostrare chequella vittoria è nata non per la virtù di quello ma perfortuna, o per viltà de' nimici, o per prudenza degli altricapi che sono stati seco in tale fazione. Poiché Vespasia-no, sendo in Giudea fu dichiarato dal suo esercito impe-radore, Antonio Primo, che si trovava con un altro eser-cito in Illiria, prese le parti sue, e vennene in Italia con-tro a Vitellio, quale regnava a Roma, e virtuosissima-mente ruppe dua eserciti Vitelliani, e occupò Roma, tal-ché Muziano, mandato da Vespasiano, trovò, per la virtùd'Antonio, acquistato il tutto, e vinta ogni difficultà. Ilpremio che Antonio ne riportò, fu che Muziano gli tolsesubito la ubbidienza dello esercito, e a poco a poco lo ri-dusse in Roma sanza alcuna autorità: talché Antonio neandò a trovare Vespasiano, quale era ancora in Asia, dalquale fu in modo ricevuto, che, in breve tempo, ridottoin nessuno grado, quasi disperato morì. E di questiesempli ne sono piene le istorie. Ne' nostri tempi, cia-scuno che al presente vive, sa con quanta industria e vir-

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tù Consalvo Ferrante, militando nel regno di Napolicontro a' Franciosi, per Ferrando re di Ragona, conqui-stassi e vincessi quel regno; e come, per premio di vitto-ria, ne riportò che Ferrando si partì da Ragona, e, venutoa Napoli, in prima gli levò la ubbidienza delle gentid'armi, dipoi gli tolse le fortezze, ed appresso lo menòseco in Spagna; dove, poco tempo poi, inonorato, morì.È tanto, dunque, naturale questo sospetto ne' principi,che non se ne possono difendere; ed è impossibilech'egli usino gratitudine a quelli che con vittoria hannofatto, sotto le insegne loro, grandi acquisti.E da quello che non si difende un principe, non è mira-colo, né cosa degna di maggior memoria, se uno popolonon se ne difende. Perché, avendo una città che vive li-bera, duoi fini, l'uno lo acquistare, l'altro il mantenersilibera; conviene che nell'una cosa e nell'altra per troppoamore erri. Quanto agli errori nello acquistare, se nedirà nel luogo suo. Quanto agli errori per mantenersi li-bera, sono, intra gli altri, questi: di offendere quegli cit-tadini che la doverrebbe premiare; avere sospetto diquegli in cui la si doverrebbe confidare. E benché questimodi in una republica venuta alla corruzione sieno ca-gione di gran mali, e che molte volte piuttosto la vienealla tirannide, come intervenne a Roma di Cesare, cheper forza si tolse quello che la ingratitudine gli negava;nondimeno in una republica non corrotta sono cagionedi gran beni, e fanno che la ne vive libera; più mante-nendosi, per paura di punizione, gli uomini migliori e

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tù Consalvo Ferrante, militando nel regno di Napolicontro a' Franciosi, per Ferrando re di Ragona, conqui-stassi e vincessi quel regno; e come, per premio di vitto-ria, ne riportò che Ferrando si partì da Ragona, e, venutoa Napoli, in prima gli levò la ubbidienza delle gentid'armi, dipoi gli tolse le fortezze, ed appresso lo menòseco in Spagna; dove, poco tempo poi, inonorato, morì.È tanto, dunque, naturale questo sospetto ne' principi,che non se ne possono difendere; ed è impossibilech'egli usino gratitudine a quelli che con vittoria hannofatto, sotto le insegne loro, grandi acquisti.E da quello che non si difende un principe, non è mira-colo, né cosa degna di maggior memoria, se uno popolonon se ne difende. Perché, avendo una città che vive li-bera, duoi fini, l'uno lo acquistare, l'altro il mantenersilibera; conviene che nell'una cosa e nell'altra per troppoamore erri. Quanto agli errori nello acquistare, se nedirà nel luogo suo. Quanto agli errori per mantenersi li-bera, sono, intra gli altri, questi: di offendere quegli cit-tadini che la doverrebbe premiare; avere sospetto diquegli in cui la si doverrebbe confidare. E benché questimodi in una republica venuta alla corruzione sieno ca-gione di gran mali, e che molte volte piuttosto la vienealla tirannide, come intervenne a Roma di Cesare, cheper forza si tolse quello che la ingratitudine gli negava;nondimeno in una republica non corrotta sono cagionedi gran beni, e fanno che la ne vive libera; più mante-nendosi, per paura di punizione, gli uomini migliori e

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meno ambiziosi. Vero è che infra tutti i popoli che maiebbero imperio, per le cagioni di sopra discorse, Romafu la meno ingrata: perché della sua ingratitudine si puòdire che non ci sia altro esemplo che quello di Scipione;perché Coriolano e Cammillo furono fatti esuli per in-giuria che l'uno e l'altro avea fatto alla plebe. Ma all'unonon fu perdonato, per aversi sempre riserbato contro alpopolo l'animo inimico; l'altro, non solamente fu richia-mato, ma per tutti i tempi della sua vita adorato comeprincipe. Ma la ingratitudine usata a Scipione nacque dauno sospetto che i cittadini cominciarono avere di lui,che degli altri non si era avuto: il quale nacque dallagrandezza del nimico che Scipione aveva vinto, dalla ri-putazione che gli aveva data la vittoria di sì lunga e pe-ricolosa guerra, dalla celerità di essa, dai favori che lagioventù, la prudenza, e le altre sue memorabili virtudigli acquistavano. Le quali cose furono tante, che, nonche altro, i magistrati di Roma temevano della sua auto-rità: la quale cosa dispiaceva agli uomini savi, comecosa inusitata in Roma. E parve tanto straordinario il vi-vere suo, che Catone Prisco, riputato santo, fu il primo afargli contro; e a dire che una città non si poteva chia-mare libera, dove era uno cittadino che fusse temuto daimagistrati. Talché se il popolo di Roma seguì in questocaso la opinione di Catone, merita quella scusa che disopra ho detto meritare quegli popoli e quegli principiche per sospetto sono ingrati. Conchiudendo adunquequesto discorso, dico che, usandosi questo vizio dellaingratitudine o per avarizia o per sospetto, si vedrà come

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meno ambiziosi. Vero è che infra tutti i popoli che maiebbero imperio, per le cagioni di sopra discorse, Romafu la meno ingrata: perché della sua ingratitudine si puòdire che non ci sia altro esemplo che quello di Scipione;perché Coriolano e Cammillo furono fatti esuli per in-giuria che l'uno e l'altro avea fatto alla plebe. Ma all'unonon fu perdonato, per aversi sempre riserbato contro alpopolo l'animo inimico; l'altro, non solamente fu richia-mato, ma per tutti i tempi della sua vita adorato comeprincipe. Ma la ingratitudine usata a Scipione nacque dauno sospetto che i cittadini cominciarono avere di lui,che degli altri non si era avuto: il quale nacque dallagrandezza del nimico che Scipione aveva vinto, dalla ri-putazione che gli aveva data la vittoria di sì lunga e pe-ricolosa guerra, dalla celerità di essa, dai favori che lagioventù, la prudenza, e le altre sue memorabili virtudigli acquistavano. Le quali cose furono tante, che, nonche altro, i magistrati di Roma temevano della sua auto-rità: la quale cosa dispiaceva agli uomini savi, comecosa inusitata in Roma. E parve tanto straordinario il vi-vere suo, che Catone Prisco, riputato santo, fu il primo afargli contro; e a dire che una città non si poteva chia-mare libera, dove era uno cittadino che fusse temuto daimagistrati. Talché se il popolo di Roma seguì in questocaso la opinione di Catone, merita quella scusa che disopra ho detto meritare quegli popoli e quegli principiche per sospetto sono ingrati. Conchiudendo adunquequesto discorso, dico che, usandosi questo vizio dellaingratitudine o per avarizia o per sospetto, si vedrà come

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i popoli non mai per avarizia la usarono, e per sospettoassai manco che i principi, avendo meno cagione di so-spettare: come di sotto si dirà.

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i popoli non mai per avarizia la usarono, e per sospettoassai manco che i principi, avendo meno cagione di so-spettare: come di sotto si dirà.

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30 Quali modi debbe usare uno principe ouna republica per fuggire questo vizio dellaingratitudine; e quali quel capitano o quel

cittadino per non essere oppresso da quella.

Uno principe, per fuggire questa necessità di avere a vi-vere con sospetto, o essere ingrato, debbe personalmen-te andare nelle espedizioni, come facevono nel principioquegli imperadori romani, come fa ne' tempi nostri ilTurco, e come hanno fatto e fanno quegli che sono vir-tuosi. Perché, vincendo, la gloria e lo acquisto è tuttoloro, e quando ei non vi sono, sendo la gloria d'altrui,non par loro potere usare quello acquisto, se non spen-gano in altrui quella gloria che loro non hanno saputoguadagnarsi; e diventono ingrati ed ingiusti: e sanzadubbio è maggiore la loro perdita che il guadagno. Maquando, o per negligenza o per poca prudenza, e' si ri-mangono a casa oziosi, e mandano uno capitano; io nonho che precetto dare loro, altro che quello che per loromedesimi si sanno. Ma dico bene a quel capitano, giudi-cando io che non possa fuggire i morsi della ingratitudi-ne, che facci una delle due cose: o subito dopo la vitto-ria lasci lo esercito, e rimettasi nelle mani del suo prin-cipe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso,acciocché quello, spogliato d'ogni sospetto, abbia cagio-ne o di premiarlo o di non lo offendere; o, quando que-sto non gli paia di fare, prenda animosamente la partecontraria, e tenga tutti quelli modi per li quali creda che

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30 Quali modi debbe usare uno principe ouna republica per fuggire questo vizio dellaingratitudine; e quali quel capitano o quel

cittadino per non essere oppresso da quella.

Uno principe, per fuggire questa necessità di avere a vi-vere con sospetto, o essere ingrato, debbe personalmen-te andare nelle espedizioni, come facevono nel principioquegli imperadori romani, come fa ne' tempi nostri ilTurco, e come hanno fatto e fanno quegli che sono vir-tuosi. Perché, vincendo, la gloria e lo acquisto è tuttoloro, e quando ei non vi sono, sendo la gloria d'altrui,non par loro potere usare quello acquisto, se non spen-gano in altrui quella gloria che loro non hanno saputoguadagnarsi; e diventono ingrati ed ingiusti: e sanzadubbio è maggiore la loro perdita che il guadagno. Maquando, o per negligenza o per poca prudenza, e' si ri-mangono a casa oziosi, e mandano uno capitano; io nonho che precetto dare loro, altro che quello che per loromedesimi si sanno. Ma dico bene a quel capitano, giudi-cando io che non possa fuggire i morsi della ingratitudi-ne, che facci una delle due cose: o subito dopo la vitto-ria lasci lo esercito, e rimettasi nelle mani del suo prin-cipe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso,acciocché quello, spogliato d'ogni sospetto, abbia cagio-ne o di premiarlo o di non lo offendere; o, quando que-sto non gli paia di fare, prenda animosamente la partecontraria, e tenga tutti quelli modi per li quali creda che

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quello acquisto sia suo proprio e non del principe suo,faccendosi benivoli i soldati ed i sudditi; e facci nuoveamicizie co' vicini, occupi con li suoi uomini le fortezze,corrompa i principi del suo esercito, e di quelli che nonpuò corrompere si assicuri; e per questi modi cerchi dipunire il suo signore di quella ingratitudine che esso gliuserebbe. Altre vie non ci sono: ma, come di sopra sidisse, gli uomini non sanno essere né al tutto tristi, né altutto buoni; e sempre interviene che, subito dopo la vit-toria, lasciare lo esercito non vogliono, portarsi mode-stamente non possono, usare termini violenti e che ab-biano in sé l'onorevole non sanno; talché, stando ambi-gui, intra quella loro dimora ed ambiguità, sono oppres-si.Quanto a una republica, volendo fuggire questo viziodello ingrato, non si può dare il medesimo rimedio cheal principe; cioè che vadia, e non mandi, nelle espedi-zioni sue, sendo necessitata a mandare uno suo cittadi-no. Conviene, pertanto, che per rimedio io le dia, che latenga i medesimi modi che tenne la Republica romana aessere meno ingrata che l'altre. Il che nacque dai modidel suo governo. Perché, adoperandosi tutta la città, e glinobili e gli ignobili, nella guerra, surgeva sempre inRoma in ogni età tanti uomini virtuosi, ed ornati di varievittorie, che il popolo non aveva cagione di dubitared'alcuno di loro, sendo assai, e guardando l'uno l'altro. Ein tanto si mantenevano interi e respettivi di non dareombra di alcuna ambizione né cagione al popolo, come

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quello acquisto sia suo proprio e non del principe suo,faccendosi benivoli i soldati ed i sudditi; e facci nuoveamicizie co' vicini, occupi con li suoi uomini le fortezze,corrompa i principi del suo esercito, e di quelli che nonpuò corrompere si assicuri; e per questi modi cerchi dipunire il suo signore di quella ingratitudine che esso gliuserebbe. Altre vie non ci sono: ma, come di sopra sidisse, gli uomini non sanno essere né al tutto tristi, né altutto buoni; e sempre interviene che, subito dopo la vit-toria, lasciare lo esercito non vogliono, portarsi mode-stamente non possono, usare termini violenti e che ab-biano in sé l'onorevole non sanno; talché, stando ambi-gui, intra quella loro dimora ed ambiguità, sono oppres-si.Quanto a una republica, volendo fuggire questo viziodello ingrato, non si può dare il medesimo rimedio cheal principe; cioè che vadia, e non mandi, nelle espedi-zioni sue, sendo necessitata a mandare uno suo cittadi-no. Conviene, pertanto, che per rimedio io le dia, che latenga i medesimi modi che tenne la Republica romana aessere meno ingrata che l'altre. Il che nacque dai modidel suo governo. Perché, adoperandosi tutta la città, e glinobili e gli ignobili, nella guerra, surgeva sempre inRoma in ogni età tanti uomini virtuosi, ed ornati di varievittorie, che il popolo non aveva cagione di dubitared'alcuno di loro, sendo assai, e guardando l'uno l'altro. Ein tanto si mantenevano interi e respettivi di non dareombra di alcuna ambizione né cagione al popolo, come

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ambiziosi, l'offendergli, che, venendo alla dittatura quel-lo maggiore gloria ne riportava che più tosto la dipone-va. E così, non potendo simili modi generare sospetto,non generavano ingratitudine. In modo che, una republi-ca che non voglia avere cagione d'essere ingrata, si deb-ba governare come Roma, e uno cittadino che vogliafuggire quelli suoi morsi, debbe osservare i termini os-servati da' cittadini romani.

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ambiziosi, l'offendergli, che, venendo alla dittatura quel-lo maggiore gloria ne riportava che più tosto la dipone-va. E così, non potendo simili modi generare sospetto,non generavano ingratitudine. In modo che, una republi-ca che non voglia avere cagione d'essere ingrata, si deb-ba governare come Roma, e uno cittadino che vogliafuggire quelli suoi morsi, debbe osservare i termini os-servati da' cittadini romani.

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31 Che i capitani romani per errore commes-so non furano mai istraordinariamente puni-ti; né furano mai ancora puniti quando perla ignoranza loro o tristi partiti presi da loro

ne fusse seguiti danni alla republica.

I Romani non solamente, come di sopra avemo discorso,furano manco ingrati che l'altre republiche, ma ancorafurano più pii e più rispettivi nella punizione de' loro ca-pitani degli eserciti che alcuna altra. Perché se il loro er-rore fusse stato per malizia, e' lo gastigavano umana-mente; se gli era per ignoranza, non che lo punissono, e'lo premiavano ed onoravano. Questo modo del procede-re era bene considerato da loro: perché e' giudicavanoche fusse di tanta importanza, a quelli che governavanogli eserciti loro, lo avere l'animo libero ed espedito, esanza altri estrinseci rispetti nel pigliare i partiti, chenon volevono aggiugnere, a una cosa per sé stessa diffi-cile e pericolosa, nuove difficultà e pericoli; pensandoche, aggiugnendoveli, nessuno potessi essere che ope-rassi mai virtuosamente. Verbigrazia, e' mandavano unoesercito in Grecia contro a Filippo di Macedonia, o inItalia contro a Annibale, o contro a quelli popoli chevinsono prima. Era, questo capitano che era preposto atale espedizione, angustiato da tutte quelle cure che siarrecavano dietro quelle faccende, le quali sono gravi eimportantissime. Ora, se a tali cure si fussi aggiunto più

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31 Che i capitani romani per errore commes-so non furano mai istraordinariamente puni-ti; né furano mai ancora puniti quando perla ignoranza loro o tristi partiti presi da loro

ne fusse seguiti danni alla republica.

I Romani non solamente, come di sopra avemo discorso,furano manco ingrati che l'altre republiche, ma ancorafurano più pii e più rispettivi nella punizione de' loro ca-pitani degli eserciti che alcuna altra. Perché se il loro er-rore fusse stato per malizia, e' lo gastigavano umana-mente; se gli era per ignoranza, non che lo punissono, e'lo premiavano ed onoravano. Questo modo del procede-re era bene considerato da loro: perché e' giudicavanoche fusse di tanta importanza, a quelli che governavanogli eserciti loro, lo avere l'animo libero ed espedito, esanza altri estrinseci rispetti nel pigliare i partiti, chenon volevono aggiugnere, a una cosa per sé stessa diffi-cile e pericolosa, nuove difficultà e pericoli; pensandoche, aggiugnendoveli, nessuno potessi essere che ope-rassi mai virtuosamente. Verbigrazia, e' mandavano unoesercito in Grecia contro a Filippo di Macedonia, o inItalia contro a Annibale, o contro a quelli popoli chevinsono prima. Era, questo capitano che era preposto atale espedizione, angustiato da tutte quelle cure che siarrecavano dietro quelle faccende, le quali sono gravi eimportantissime. Ora, se a tali cure si fussi aggiunto più

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esempli de' Romani ch'eglino avessono crucifissi o altri-menti morti quelli che avessono perdute le giornate, egliera inpossibile che quello capitano intra tanti sospettipotessi deliberare strenuamente. Però, giudicando essiche a questi tali fusse assai pena la ignominia dello ave-re perduto, non li vollono con altra maggiore pena sbi-gottire.Uno esemplo ci è, quanto allo errore commesso non perignoranza. Erano Sergio e Virginio a campo a Veio, cia-scuno preposto a una parte dello esercito; de' quali Ser-gio era all'incontro donde potevono venire i Toscani, eVirginio dall'altra parte. Occorse che, sendo assaltatoSergio da' Falisci e da altri popoli, sopportò di essererotto e fugato prima che mandare per aiuto a Virginio. Edall'altra parte Virginio, aspettando che si umiliasse,volle più tosto vedere il disonore della patria sua e la ro-vina di quello esercito, che soccorrerlo. Caso veramentemalvagio e degno d'essere notato, e da fare non buonaconiettura della Republica romana, se l'uno o l'altro nonfussono stati gastigati. Vero è che, dove un'altra republi-ca gli averebbe puniti di pena capitale, quella gli punì indenari. Il che nacque non perché i peccati loro non meri-tassono maggiore punizione, ma perché gli Romani vol-lono in questo caso, per le ragioni già dette, manteneregli antichi costumi loro. E quando agli errori per igno-ranza, non ci è il più bello esemplo che quello di Varro-ne: per la temerità del quale sendo rotti i Romani a Can-ne da Annibale, dove quella Republica portò pericolo

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esempli de' Romani ch'eglino avessono crucifissi o altri-menti morti quelli che avessono perdute le giornate, egliera inpossibile che quello capitano intra tanti sospettipotessi deliberare strenuamente. Però, giudicando essiche a questi tali fusse assai pena la ignominia dello ave-re perduto, non li vollono con altra maggiore pena sbi-gottire.Uno esemplo ci è, quanto allo errore commesso non perignoranza. Erano Sergio e Virginio a campo a Veio, cia-scuno preposto a una parte dello esercito; de' quali Ser-gio era all'incontro donde potevono venire i Toscani, eVirginio dall'altra parte. Occorse che, sendo assaltatoSergio da' Falisci e da altri popoli, sopportò di essererotto e fugato prima che mandare per aiuto a Virginio. Edall'altra parte Virginio, aspettando che si umiliasse,volle più tosto vedere il disonore della patria sua e la ro-vina di quello esercito, che soccorrerlo. Caso veramentemalvagio e degno d'essere notato, e da fare non buonaconiettura della Republica romana, se l'uno o l'altro nonfussono stati gastigati. Vero è che, dove un'altra republi-ca gli averebbe puniti di pena capitale, quella gli punì indenari. Il che nacque non perché i peccati loro non meri-tassono maggiore punizione, ma perché gli Romani vol-lono in questo caso, per le ragioni già dette, manteneregli antichi costumi loro. E quando agli errori per igno-ranza, non ci è il più bello esemplo che quello di Varro-ne: per la temerità del quale sendo rotti i Romani a Can-ne da Annibale, dove quella Republica portò pericolo

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della sua libertà; nondimeno, perché vi fu ignoranza enon malizia, non solamente non lo gastigarono ma loonorarono; e gli andò incontro, nella tornata sua inRoma, tutto l'ordine senatorio: e non lo potendo ringra-ziare della zuffa, lo ringraziarono ch'egli era tornato inRoma, e non si era disperato delle cose romane. QuandoPapirio Cursore voleva fare morire Fabio, per avere,contro al suo comandamento, combattuto co' Sanniti; in-tra le altre ragioni che dal padre di Fabio erano assegna-te contro alla ostinazione del dittatore, era che il popoloromano in alcuna perdita de' suoi capitani non aveva fat-to mai quello che Papirio nelle vittorie voleva fare.

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della sua libertà; nondimeno, perché vi fu ignoranza enon malizia, non solamente non lo gastigarono ma loonorarono; e gli andò incontro, nella tornata sua inRoma, tutto l'ordine senatorio: e non lo potendo ringra-ziare della zuffa, lo ringraziarono ch'egli era tornato inRoma, e non si era disperato delle cose romane. QuandoPapirio Cursore voleva fare morire Fabio, per avere,contro al suo comandamento, combattuto co' Sanniti; in-tra le altre ragioni che dal padre di Fabio erano assegna-te contro alla ostinazione del dittatore, era che il popoloromano in alcuna perdita de' suoi capitani non aveva fat-to mai quello che Papirio nelle vittorie voleva fare.

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32 Una republica o uno principe non debbedifferire a beneficare gli uomini nelle sue ne-

cessitadi.

Ancora che ai Romani succedesse felicemente essere li-berali al popolo, sopravvenendo il pericolo, quando Por-senna venne a assaltare Roma per rimettere i Tarquinii;dove il Senato, dubitando della plebe, che la non volessepiù tosto accettare i re che sostenere la guerra, per assi-curarsene la sgravò delle gabelle del sale, e d'ogni gra-vezza, dicendo come i poveri assai operavano in benefi-cio publico se ei nutrivono i loro figliuoli; e che perquesto beneficio quel popolo si esponessi a sopportareossidione, fame e guerra; non sia alcuno che, confidatosiin questo esemplo, differisca ne' tempi de' pericoli aguadagnarsi il popolo; però che mai gli riuscirà quelloche riuscì ai Romani. Perché l'universale giudicherà nonavere quel bene da te, ma dagli avversari tuoi, e doven-do temere che, passata la necessità, tu ritolga loro quelloche hai forzatamente loro dato, non arà teco obligo alcu-no. E la cagione perché a' Romani tornò bene questopartito, fu perché lo stato era nuovo, e non per ancorafermo; e aveva veduto quel popolo, come innanzi si era-no fatte leggi in beneficio suo, come quella dell'appella-gione alla plebe; in modo che ei potette persuadersi chequel bene gli era fatto, non era tanto causato dalla venu-ta dei nimici, quanto dalla disposizione del Senato in be-neficarli. Oltre a questo, la memoria dei re era fresca,

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32 Una republica o uno principe non debbedifferire a beneficare gli uomini nelle sue ne-

cessitadi.

Ancora che ai Romani succedesse felicemente essere li-berali al popolo, sopravvenendo il pericolo, quando Por-senna venne a assaltare Roma per rimettere i Tarquinii;dove il Senato, dubitando della plebe, che la non volessepiù tosto accettare i re che sostenere la guerra, per assi-curarsene la sgravò delle gabelle del sale, e d'ogni gra-vezza, dicendo come i poveri assai operavano in benefi-cio publico se ei nutrivono i loro figliuoli; e che perquesto beneficio quel popolo si esponessi a sopportareossidione, fame e guerra; non sia alcuno che, confidatosiin questo esemplo, differisca ne' tempi de' pericoli aguadagnarsi il popolo; però che mai gli riuscirà quelloche riuscì ai Romani. Perché l'universale giudicherà nonavere quel bene da te, ma dagli avversari tuoi, e doven-do temere che, passata la necessità, tu ritolga loro quelloche hai forzatamente loro dato, non arà teco obligo alcu-no. E la cagione perché a' Romani tornò bene questopartito, fu perché lo stato era nuovo, e non per ancorafermo; e aveva veduto quel popolo, come innanzi si era-no fatte leggi in beneficio suo, come quella dell'appella-gione alla plebe; in modo che ei potette persuadersi chequel bene gli era fatto, non era tanto causato dalla venu-ta dei nimici, quanto dalla disposizione del Senato in be-neficarli. Oltre a questo, la memoria dei re era fresca,

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dai quali erano stati in molti modi vilipesi e ingiuriati. Eperché simili cagioni accaggiono rade volte, occorreràancora rade volte che simili rimedi giovino. Però, debbequalunque tiene stato, così republica come principe,considerare innanzi, quali tempi gli possono venire ad-dosso contrari, e di quali uomini ne' tempi avversi si puòavere di bisogno; e dipoi vivere con loro in quello modoche giudica, sopravvegnente qualunque caso, essere ne-cessitato vivere. E quello che altrimenti si governa, oprincipe o republica, e massime un principe, e poi in sulfatto crede, quando il pericolo sopravviene, con i benefi-cii riguadagnarsi gli uomini, se ne inganna: perché, nonsolamente non se ne assicura, ma accelera la sua rovina.

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dai quali erano stati in molti modi vilipesi e ingiuriati. Eperché simili cagioni accaggiono rade volte, occorreràancora rade volte che simili rimedi giovino. Però, debbequalunque tiene stato, così republica come principe,considerare innanzi, quali tempi gli possono venire ad-dosso contrari, e di quali uomini ne' tempi avversi si puòavere di bisogno; e dipoi vivere con loro in quello modoche giudica, sopravvegnente qualunque caso, essere ne-cessitato vivere. E quello che altrimenti si governa, oprincipe o republica, e massime un principe, e poi in sulfatto crede, quando il pericolo sopravviene, con i benefi-cii riguadagnarsi gli uomini, se ne inganna: perché, nonsolamente non se ne assicura, ma accelera la sua rovina.

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33 Quando uno inconveniente è cresciuto oin uno stato o contro a uno stato, è più saluti-

fero partito temporeggiarlo che urtarlo.

Crescendo la Republica romana in riputazione, forze edimperio, i vicini, i quali prima non avevano pensatoquanto quella nuova republica potesse arrecare loro didanno, cominciarono, ma tardi, a conoscere lo erroreloro; e volendo rimediare a quello che prima non aveanorimediato, congiurarono bene quaranta popoli contro aRoma: donde i Romani intra gli altri rimedii soliti farsida loro negli urgenti pericoli, si volsono a creare il Dit-tatore, cioè dare potestà a uno uomo che sanza alcunaconsulta potesse diliberare, e sanza alcuna appellagionepotesse esequire le sue diliberazioni. Il quale rimedio,come allora fu utile, e fu cagione che vincessero i sopra-stanti pericoli, così fu sempre utilissimo in tutti quegliaccidenti che, nello augumento dello imperio, in qualun-que tempo surgessono contro alla Republica.Sopra il quale accidente è da discorrere prima, come,quando uno inconveniente, che surga o in una republicao contro a una republica, causato da cagione intrinseca oestrinseca, è diventato tanto grande che e' cominci a farepaura a ciascuno, è molto più sicuro partito temporeg-giarsi con quello, che tentare di estinguerlo. Perché,quasi sempre, coloro che tentano di ammorzarlo fannole sue forze maggiori, e fanno accelerare quel male cheda quello si sospettava. E di questi simili accidenti ne

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33 Quando uno inconveniente è cresciuto oin uno stato o contro a uno stato, è più saluti-

fero partito temporeggiarlo che urtarlo.

Crescendo la Republica romana in riputazione, forze edimperio, i vicini, i quali prima non avevano pensatoquanto quella nuova republica potesse arrecare loro didanno, cominciarono, ma tardi, a conoscere lo erroreloro; e volendo rimediare a quello che prima non aveanorimediato, congiurarono bene quaranta popoli contro aRoma: donde i Romani intra gli altri rimedii soliti farsida loro negli urgenti pericoli, si volsono a creare il Dit-tatore, cioè dare potestà a uno uomo che sanza alcunaconsulta potesse diliberare, e sanza alcuna appellagionepotesse esequire le sue diliberazioni. Il quale rimedio,come allora fu utile, e fu cagione che vincessero i sopra-stanti pericoli, così fu sempre utilissimo in tutti quegliaccidenti che, nello augumento dello imperio, in qualun-que tempo surgessono contro alla Republica.Sopra il quale accidente è da discorrere prima, come,quando uno inconveniente, che surga o in una republicao contro a una republica, causato da cagione intrinseca oestrinseca, è diventato tanto grande che e' cominci a farepaura a ciascuno, è molto più sicuro partito temporeg-giarsi con quello, che tentare di estinguerlo. Perché,quasi sempre, coloro che tentano di ammorzarlo fannole sue forze maggiori, e fanno accelerare quel male cheda quello si sospettava. E di questi simili accidenti ne

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nasce nella republica più spesso per cagione intrinsecache estrinseca: dove molte volte, o e' si lascia pigliare aduno cittadino più forze che non è ragionevole, o e' si co-mincia a corrompere una legge, la quale è il nervo e lavita del vivere libero; e lasciasi trascorrere questo errorein tanto, che gli è più dannoso partito il volere rimediareche lasciarlo seguire. E tanto è più difficile il conoscerequesti inconvenienti quando e' nascono, quanto e' parepiù naturale agli uomini favorire sempre i principii dellecose: e tali favori possano, più che in alcuna altra cosa,nelle opere che paiano che abbiano in sé qualche virtù esiano operate da' giovani. Perché se in una republica sivede surgere uno giovane nobile, quale abbia in sé virtùistraordinaria, tutti gli occhi de' cittadini si cominciono avoltare verso lui e concorrere, sanza alcuno rispetto, aonorarlo; in modo che, se in quello è punto d'ambizione,accozzati i favori che gli dà la natura e questo accidente,viene subito in luogo che, quando i cittadini si avveggo-no dello errore loro, hanno pochi rimedi ad ovviarvi evolendo quegli tanti ch'egli hanno, operarli, non fannoaltro che accelerare la potenza sua.Di questo se ne potrebbe addurre assai esempli, ma ione voglio solamente dare uno della città nostra. Cosimode' Medici, dal quale la casa de' Medici in la nostra cittàebbe il principio della sua grandezza, venne in tanta ri-putazione col favore che gli dette la sua prudenza e laignoranza degli altri cittadini, che ei cominciò a farepaura allo stato, in modo che gli altri cittadini giudica-

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nasce nella republica più spesso per cagione intrinsecache estrinseca: dove molte volte, o e' si lascia pigliare aduno cittadino più forze che non è ragionevole, o e' si co-mincia a corrompere una legge, la quale è il nervo e lavita del vivere libero; e lasciasi trascorrere questo errorein tanto, che gli è più dannoso partito il volere rimediareche lasciarlo seguire. E tanto è più difficile il conoscerequesti inconvenienti quando e' nascono, quanto e' parepiù naturale agli uomini favorire sempre i principii dellecose: e tali favori possano, più che in alcuna altra cosa,nelle opere che paiano che abbiano in sé qualche virtù esiano operate da' giovani. Perché se in una republica sivede surgere uno giovane nobile, quale abbia in sé virtùistraordinaria, tutti gli occhi de' cittadini si cominciono avoltare verso lui e concorrere, sanza alcuno rispetto, aonorarlo; in modo che, se in quello è punto d'ambizione,accozzati i favori che gli dà la natura e questo accidente,viene subito in luogo che, quando i cittadini si avveggo-no dello errore loro, hanno pochi rimedi ad ovviarvi evolendo quegli tanti ch'egli hanno, operarli, non fannoaltro che accelerare la potenza sua.Di questo se ne potrebbe addurre assai esempli, ma ione voglio solamente dare uno della città nostra. Cosimode' Medici, dal quale la casa de' Medici in la nostra cittàebbe il principio della sua grandezza, venne in tanta ri-putazione col favore che gli dette la sua prudenza e laignoranza degli altri cittadini, che ei cominciò a farepaura allo stato, in modo che gli altri cittadini giudica-

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vano l'offenderlo pericoloso ed il lasciarlo stare così, pe-ricolosissimo. Ma vivendo in quei tempi Niccolò da Uz-zano, il quale nelle cose civili era tenuto uomo espertis-simo, ed avendo fatto il primo errore di non conoscere ipericoli che dalla riputazione di Cosimo potevano na-scere; mentre che visse, non permesse mai che si facesseil secondo, cioè che si tentasse di volerlo spegnere; giu-dicando tale tentazione essere al tutto la rovina dellostato loro; come si vide in fatto, che fu, dopo la sua mor-te: perché, non osservando quegli cittadini che rimaso-no, questo suo consiglio, si feciono forti contro a Cosi-mo, e lo cacciorono da Firenze. Donde ne nacque che lasua parte, per questa ingiuria risentitasi, poco di poi lorichiamò, e lo fece principe della republica: a il qualegrado sanza quella manifesta opposizione non sarebbemai potuto salire.Questo medesimo intervenne a Roma con Cesare, che,favorita da Pompeio e dagli altri quella sua virtù, si con-vertì poco dipoi quel favore in paura: di che fa testimo-ne Cicerone, dicendo che Pompeio aveva tardi comin-ciato a temere Cesare. La quale paura fece che pensaro-no ai rimedi; e gli rimedi che fecero, accelerarono la ro-vina della loro Republica.Dico, adunque, che poi che gli è difficile conoscere que-sti mali quando ei surgano, causata questa difficultà dauno inganno che ti fanno le cose in principio, è più saviopartito il temporeggiarle poi che le si conoscono, chel'oppugnarle: perché, temporeggiandole, o per loro me-

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vano l'offenderlo pericoloso ed il lasciarlo stare così, pe-ricolosissimo. Ma vivendo in quei tempi Niccolò da Uz-zano, il quale nelle cose civili era tenuto uomo espertis-simo, ed avendo fatto il primo errore di non conoscere ipericoli che dalla riputazione di Cosimo potevano na-scere; mentre che visse, non permesse mai che si facesseil secondo, cioè che si tentasse di volerlo spegnere; giu-dicando tale tentazione essere al tutto la rovina dellostato loro; come si vide in fatto, che fu, dopo la sua mor-te: perché, non osservando quegli cittadini che rimaso-no, questo suo consiglio, si feciono forti contro a Cosi-mo, e lo cacciorono da Firenze. Donde ne nacque che lasua parte, per questa ingiuria risentitasi, poco di poi lorichiamò, e lo fece principe della republica: a il qualegrado sanza quella manifesta opposizione non sarebbemai potuto salire.Questo medesimo intervenne a Roma con Cesare, che,favorita da Pompeio e dagli altri quella sua virtù, si con-vertì poco dipoi quel favore in paura: di che fa testimo-ne Cicerone, dicendo che Pompeio aveva tardi comin-ciato a temere Cesare. La quale paura fece che pensaro-no ai rimedi; e gli rimedi che fecero, accelerarono la ro-vina della loro Republica.Dico, adunque, che poi che gli è difficile conoscere que-sti mali quando ei surgano, causata questa difficultà dauno inganno che ti fanno le cose in principio, è più saviopartito il temporeggiarle poi che le si conoscono, chel'oppugnarle: perché, temporeggiandole, o per loro me-

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desime si spengono, o almeno il male si differisce in piùlungo tempo. E in tutte le cose debbono aprire gli occhii principi che disegnano cancellarle o alle forze ed im-peto loro opporsi; di non dare loro, in cambio di detri-mento, augumento; e, credendo sospingere una cosa, ti-rarsela dietro, ovvero suffocare una pianta a annaffiarla.Ma si debbano considerare bene le forze del malore, equando ti vedi sufficiente a sanare quello, mettervitisanza rispetto; altrimenti lasciarlo stare, né in alcunmodo tentarlo. Perché interverrebbe, come di sopra sidiscorre, come intervenne a' vicini di Roma: ai quali,poiché Roma era cresciuta in tanta potenza, era più salu-tifero con gli modi della pace cercare di placarla e rite-nerla addietro, che coi modi della guerra farle pensare ainuovi ordini e alle nuove difese. Perché quella loro con-giura non fece altro che farli più uniti, più gagliardi, epensare a modi nuovi, mediante i quali in più breve tem-po ampliarono la potenza loro. Intra i quali fu la crea-zione del Dittatore; per lo quale nuovo ordine, non sola-mente superarono i soprastanti pericoli ma fu cagione diovviare a infiniti mali, ne' quali sanza quello rimedioquella republica sarebbe incorsa.

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desime si spengono, o almeno il male si differisce in piùlungo tempo. E in tutte le cose debbono aprire gli occhii principi che disegnano cancellarle o alle forze ed im-peto loro opporsi; di non dare loro, in cambio di detri-mento, augumento; e, credendo sospingere una cosa, ti-rarsela dietro, ovvero suffocare una pianta a annaffiarla.Ma si debbano considerare bene le forze del malore, equando ti vedi sufficiente a sanare quello, mettervitisanza rispetto; altrimenti lasciarlo stare, né in alcunmodo tentarlo. Perché interverrebbe, come di sopra sidiscorre, come intervenne a' vicini di Roma: ai quali,poiché Roma era cresciuta in tanta potenza, era più salu-tifero con gli modi della pace cercare di placarla e rite-nerla addietro, che coi modi della guerra farle pensare ainuovi ordini e alle nuove difese. Perché quella loro con-giura non fece altro che farli più uniti, più gagliardi, epensare a modi nuovi, mediante i quali in più breve tem-po ampliarono la potenza loro. Intra i quali fu la crea-zione del Dittatore; per lo quale nuovo ordine, non sola-mente superarono i soprastanti pericoli ma fu cagione diovviare a infiniti mali, ne' quali sanza quello rimedioquella republica sarebbe incorsa.

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34 L'autorità dittatoria fece bene, e non dan-no, alla Republica romana: e come le autori-tà che i cittadini si tolgono, non quelle chesono loro dai suffragi liberi date, sono alla

vita civile perniziose.

E' sono stati dannati da alcuno scrittore quelli Romaniche trovarono in quella città modo di creare il Dittatore,come cosa che fosse cagione, col tempo, della tirannidedi Roma; allegando, come il primo tiranno che fosse inquella città la comandò sotto questo titolo dittatorio; di-cendo che, se non vi fusse stato questo Cesare non areb-be potuto sotto alcuno titolo publico adonestare la suatirannide. La quale cosa non fu bene, da colui che tienequesta opinione, esaminata, e fu fuori d'ogni ragionecreduta. Perché, e' non fu il nome né il grado del Ditta-tore che facesse serva Roma, ma fu l'autorità presa daicittadini per la lunghezza dello imperio: e se in Romafusse mancato il nome dittatorio, ne arebbono preso unaltro; perché e' sono le forze che facilmente si acquista-no i nomi, non i nomi le forze. E si vede che 'l Dittatore,mentre fu dato secondo gli ordini publici, e non per au-torità propria, fece sempre bene alla città. Perché e' nuo-cono alle republiche i magistrati che si fanno e l'autori-tadi che si dànno per vie istraordinarie, non quelle chevengono per vie ordinarie: come si vede che seguì inRoma, in tanto processo di tempo, che mai alcuno Ditta-

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34 L'autorità dittatoria fece bene, e non dan-no, alla Republica romana: e come le autori-tà che i cittadini si tolgono, non quelle chesono loro dai suffragi liberi date, sono alla

vita civile perniziose.

E' sono stati dannati da alcuno scrittore quelli Romaniche trovarono in quella città modo di creare il Dittatore,come cosa che fosse cagione, col tempo, della tirannidedi Roma; allegando, come il primo tiranno che fosse inquella città la comandò sotto questo titolo dittatorio; di-cendo che, se non vi fusse stato questo Cesare non areb-be potuto sotto alcuno titolo publico adonestare la suatirannide. La quale cosa non fu bene, da colui che tienequesta opinione, esaminata, e fu fuori d'ogni ragionecreduta. Perché, e' non fu il nome né il grado del Ditta-tore che facesse serva Roma, ma fu l'autorità presa daicittadini per la lunghezza dello imperio: e se in Romafusse mancato il nome dittatorio, ne arebbono preso unaltro; perché e' sono le forze che facilmente si acquista-no i nomi, non i nomi le forze. E si vede che 'l Dittatore,mentre fu dato secondo gli ordini publici, e non per au-torità propria, fece sempre bene alla città. Perché e' nuo-cono alle republiche i magistrati che si fanno e l'autori-tadi che si dànno per vie istraordinarie, non quelle chevengono per vie ordinarie: come si vede che seguì inRoma, in tanto processo di tempo, che mai alcuno Ditta-

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tore fece se non bene alla Republica.Di che ce ne sono ragioni evidentissime. Prima, perchéa volere che un cittadino possa offendere, e pigliarsi au-torità istraordinaria, conviene ch'egli abbia molte quali-tà, le quali in una republica non corrotta non può maiavere: perché gli bisogna essere ricchissimo, ed avereassai aderenti e partigiani, i quali non può avere dove leleggi si osservano; e quando pure ve gli avessi, similiuomini sono in modo formidabili, che i suffragi liberinon concorrano in quelli. Oltra di questo, il Dittatore erafatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamen-te a quella cagione mediante la quale era creato; e la suaautorità si estendeva in potere diliberare per sé stessocirca i rimedi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosasanza consulta, e punire ciascuno sanza appellagione:ma non poteva fare cosa che fussi in diminuzione dellostato; come sarebbe stato tôrre autorità al Senato o alPopolo, disfare gli ordini vecchi della città, e farne de'nuovi. In modo che, raccozzato il breve tempo della suadittatura, e le autorità limitate che egli aveva, ed il popo-lo romano non corrotto; era impossibile ch'egli uscissede' termini suoi, e nocessi alla città: e per esperienza sivede che sempre mai giovò.E veramente, infra gli altri ordini romani, questo è unoche merita essere considerato e numerato infra quegliche furono cagione della grandezza di tanto imperio;perché sanza uno simile ordine le cittadi con difficultàusciranno degli accidenti istraordinari. Perché gli ordini

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tore fece se non bene alla Republica.Di che ce ne sono ragioni evidentissime. Prima, perchéa volere che un cittadino possa offendere, e pigliarsi au-torità istraordinaria, conviene ch'egli abbia molte quali-tà, le quali in una republica non corrotta non può maiavere: perché gli bisogna essere ricchissimo, ed avereassai aderenti e partigiani, i quali non può avere dove leleggi si osservano; e quando pure ve gli avessi, similiuomini sono in modo formidabili, che i suffragi liberinon concorrano in quelli. Oltra di questo, il Dittatore erafatto a tempo, e non in perpetuo, e per ovviare solamen-te a quella cagione mediante la quale era creato; e la suaautorità si estendeva in potere diliberare per sé stessocirca i rimedi di quello urgente pericolo, e fare ogni cosasanza consulta, e punire ciascuno sanza appellagione:ma non poteva fare cosa che fussi in diminuzione dellostato; come sarebbe stato tôrre autorità al Senato o alPopolo, disfare gli ordini vecchi della città, e farne de'nuovi. In modo che, raccozzato il breve tempo della suadittatura, e le autorità limitate che egli aveva, ed il popo-lo romano non corrotto; era impossibile ch'egli uscissede' termini suoi, e nocessi alla città: e per esperienza sivede che sempre mai giovò.E veramente, infra gli altri ordini romani, questo è unoche merita essere considerato e numerato infra quegliche furono cagione della grandezza di tanto imperio;perché sanza uno simile ordine le cittadi con difficultàusciranno degli accidenti istraordinari. Perché gli ordini

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consueti nelle republiche hanno il moto tardo (non po-tendo alcuno consiglio né alcuno magistrato per sé stes-so operare ogni cosa, ma avendo in molte cose bisognol'uno dell'altro, e perché nel raccozzare insieme questivoleri va tempo) sono i rimedi loro pericolosissimi,quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspet-ti tempo. E però le republiche debbano intra loro ordiniavere uno simile modo: e la Republica viniziana, la qua-le intra le moderne republiche è eccellente, ha riservatoautorità a pochi cittadini, che ne' bisogni urgenti, sanzamaggiore consulta, tutti d'accordo possino deliberare.Perché, quando in una republica manca uno similemodo, è necessario, o, servando gli ordini, rovinare, o,per non ruinare, rompergli. Ed in una republica non vor-rebbe mai accadere cosa che con modi straordinari siavesse a governare. Perché, ancora che il modo straordi-nario per allora facesse bene, nondimeno lo esemplo famale; perché si mette una usanza di rompere gli ordiniper bene, che poi, sotto quel colore, si rompono permale. Talché mai fia perfetta una republica, se con leleggi sue non ha provisto a tutto, e ad ogni accidente po-sto il rimedio, e dato il modo a governarlo. E però, con-chiudendo, dico che quelle republiche, le quali negli ur-genti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a similiautoritadi, sempre ne' gravi accidenti rovineranno. È danotare in questo nuovo ordine il modo dello eleggerlo,quanto dai Romani fu saviamente provisto. Perché, sen-do la creazione del Dittatore con qualche vergogna deiConsoli, avendo, di capi della città, a divenire sotto una

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consueti nelle republiche hanno il moto tardo (non po-tendo alcuno consiglio né alcuno magistrato per sé stes-so operare ogni cosa, ma avendo in molte cose bisognol'uno dell'altro, e perché nel raccozzare insieme questivoleri va tempo) sono i rimedi loro pericolosissimi,quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspet-ti tempo. E però le republiche debbano intra loro ordiniavere uno simile modo: e la Republica viniziana, la qua-le intra le moderne republiche è eccellente, ha riservatoautorità a pochi cittadini, che ne' bisogni urgenti, sanzamaggiore consulta, tutti d'accordo possino deliberare.Perché, quando in una republica manca uno similemodo, è necessario, o, servando gli ordini, rovinare, o,per non ruinare, rompergli. Ed in una republica non vor-rebbe mai accadere cosa che con modi straordinari siavesse a governare. Perché, ancora che il modo straordi-nario per allora facesse bene, nondimeno lo esemplo famale; perché si mette una usanza di rompere gli ordiniper bene, che poi, sotto quel colore, si rompono permale. Talché mai fia perfetta una republica, se con leleggi sue non ha provisto a tutto, e ad ogni accidente po-sto il rimedio, e dato il modo a governarlo. E però, con-chiudendo, dico che quelle republiche, le quali negli ur-genti pericoli non hanno rifugio o al Dittatore o a similiautoritadi, sempre ne' gravi accidenti rovineranno. È danotare in questo nuovo ordine il modo dello eleggerlo,quanto dai Romani fu saviamente provisto. Perché, sen-do la creazione del Dittatore con qualche vergogna deiConsoli, avendo, di capi della città, a divenire sotto una

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ubbidienza come gli altri; e presupponendo che di que-sto avessi a nascere isdegno fra' cittadini; vollono chel'autorità dello eleggerlo fosse nei Consoli: pensandoche, quando l'accidente venisse che Roma avesse biso-gno di questa regia potestà, ei lo avessono a fare volen-tieri e facendolo loro, che dolesse loro meno. Perché leferite ed ogni altro male che l'uomo si fa da sé sponta-neamente e per elezione, dolgano di gran lunga meno,che quelle che ti sono fatte da altrui. Ancora che poi ne-gli ultimi tempi i Romani usassono, in cambio del Ditta-tore, di dare tale autorità al Console, con queste parole:«Videat Consul, ne Respublica quid detrimenti capiat».E per tornare alla materia nostra, conchiudo, come i vi-cini di Roma, cercando opprimergli, gli fecerono ordina-re, non solamente a potersi difendere, ma a potere, conpiù forza, più consiglio e più autorità, offendere loro.

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ubbidienza come gli altri; e presupponendo che di que-sto avessi a nascere isdegno fra' cittadini; vollono chel'autorità dello eleggerlo fosse nei Consoli: pensandoche, quando l'accidente venisse che Roma avesse biso-gno di questa regia potestà, ei lo avessono a fare volen-tieri e facendolo loro, che dolesse loro meno. Perché leferite ed ogni altro male che l'uomo si fa da sé sponta-neamente e per elezione, dolgano di gran lunga meno,che quelle che ti sono fatte da altrui. Ancora che poi ne-gli ultimi tempi i Romani usassono, in cambio del Ditta-tore, di dare tale autorità al Console, con queste parole:«Videat Consul, ne Respublica quid detrimenti capiat».E per tornare alla materia nostra, conchiudo, come i vi-cini di Roma, cercando opprimergli, gli fecerono ordina-re, non solamente a potersi difendere, ma a potere, conpiù forza, più consiglio e più autorità, offendere loro.

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35 La cagione perché la creazione in Romadel Decemvirato fu nociva alla libertà di

quella republica, non ostante che fusse crea-to per suffragi publici e liberi.

E' pare contrario a quel che di sopra è discorso, chequella autorità che si occupa con violenza, non quellach'è data con gli suffragi, nuoce alle republiche, la ele-zione dei dieci cittadini creati dal Popolo romano perfare le leggi in Roma: i quali ne diventarono con il tem-po tiranni, e sanza alcuno rispetto occuparono la libertàdi quella. Dove si debbe considerare i modi del darel'autorità e il tempo per che la si dà. E quando e' si diaautorità libera, col tempo lungo, chiamando il tempolungo uno anno o più, sempre fia pericolosa, e farà glieffetti o buoni o rei, secondo che siano rei o buoni colo-ro a chi la sarà data. E se si considerrà l'autorità che eb-bero i Dieci, e quella che avevano i Dittatori, si vedrà,sanza comparazione, quella de' Dieci maggiore. Perché,creato il Dittatore, rimanevano i Tribuni, i Consoli, ilSenato, con la loro autorità; né il Dittatore la poteva tôr-re loro: e s'egli avessi potuto privare, uno del Consolato,uno del Senato, ei non poteva annullare l'ordine senato-rio, e fare nuove leggi. In modo che il Senato, i Consoli,i Tribuni, restando con l'autorità loro, venivano a esserecome sua guardia, a farlo non uscire della via diritta. Manella creazione de' Dieci occorse tutto il contrario: per-ché gli annullorono i Consoli ed i Tribuni; dettero loro

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35 La cagione perché la creazione in Romadel Decemvirato fu nociva alla libertà di

quella republica, non ostante che fusse crea-to per suffragi publici e liberi.

E' pare contrario a quel che di sopra è discorso, chequella autorità che si occupa con violenza, non quellach'è data con gli suffragi, nuoce alle republiche, la ele-zione dei dieci cittadini creati dal Popolo romano perfare le leggi in Roma: i quali ne diventarono con il tem-po tiranni, e sanza alcuno rispetto occuparono la libertàdi quella. Dove si debbe considerare i modi del darel'autorità e il tempo per che la si dà. E quando e' si diaautorità libera, col tempo lungo, chiamando il tempolungo uno anno o più, sempre fia pericolosa, e farà glieffetti o buoni o rei, secondo che siano rei o buoni colo-ro a chi la sarà data. E se si considerrà l'autorità che eb-bero i Dieci, e quella che avevano i Dittatori, si vedrà,sanza comparazione, quella de' Dieci maggiore. Perché,creato il Dittatore, rimanevano i Tribuni, i Consoli, ilSenato, con la loro autorità; né il Dittatore la poteva tôr-re loro: e s'egli avessi potuto privare, uno del Consolato,uno del Senato, ei non poteva annullare l'ordine senato-rio, e fare nuove leggi. In modo che il Senato, i Consoli,i Tribuni, restando con l'autorità loro, venivano a esserecome sua guardia, a farlo non uscire della via diritta. Manella creazione de' Dieci occorse tutto il contrario: per-ché gli annullorono i Consoli ed i Tribuni; dettero loro

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autorità di fare legge, ed ogni altra cosa, come il Popoloromano. Talché, trovandosi soli, sanza Consoli, sanzaTribuni, sanza appellagione al Popolo; e per questo nonvenendo ad avere chi gli osservasse ei poterono, il se-condo anno, mossi dall'ambizione di Appio, diventareinsolenti. E per questo si debbe notare, che, quando e' siè detto che una autorità, data da' suffragi liberi, non of-fese mai alcuna republica, si presuppone che un popolonon si conduca mai a darla, se non con le debite circun-stanze e ne' debiti tempi: ma quando, o per essere ingan-nato, o per qualche altra cagione che lo accecasse, e' siconducesse a darla imprudentemente, e nel modo che ilPopolo romano la dette a' Dieci gl'interverrà semprecome a quello. Questo si prova facilmente, consideran-do quali cagioni mantenessero i Dittatori buoni, e qualifacessero i Dieci cattivi; e considerando ancora, comehanno fatto quelle republiche che sono state tenute beneordinate, nel dare l'autorità per lungo tempo, come dava-no gli Spartani agli loro Re, e come dànno i Viniziani ailoro Duci: perché si vedrà, all'uno ed all'altro modo dicostoro essere poste guardie, che facevano che ei nonpotevano usare male quella autorità. Né giova, in questocaso, che la materia non sia corrotta; perché una autoritàassoluta in brevissimo tempo corrompe la materia e si faamici e partigiani. Né gli nuoce, o essere povero, o nonavere parenti; perché le ricchezze ed ogni altro favoresubito gli corre dietro: come particularmente nella crea-zione de' detti Dieci discorrereno.

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autorità di fare legge, ed ogni altra cosa, come il Popoloromano. Talché, trovandosi soli, sanza Consoli, sanzaTribuni, sanza appellagione al Popolo; e per questo nonvenendo ad avere chi gli osservasse ei poterono, il se-condo anno, mossi dall'ambizione di Appio, diventareinsolenti. E per questo si debbe notare, che, quando e' siè detto che una autorità, data da' suffragi liberi, non of-fese mai alcuna republica, si presuppone che un popolonon si conduca mai a darla, se non con le debite circun-stanze e ne' debiti tempi: ma quando, o per essere ingan-nato, o per qualche altra cagione che lo accecasse, e' siconducesse a darla imprudentemente, e nel modo che ilPopolo romano la dette a' Dieci gl'interverrà semprecome a quello. Questo si prova facilmente, consideran-do quali cagioni mantenessero i Dittatori buoni, e qualifacessero i Dieci cattivi; e considerando ancora, comehanno fatto quelle republiche che sono state tenute beneordinate, nel dare l'autorità per lungo tempo, come dava-no gli Spartani agli loro Re, e come dànno i Viniziani ailoro Duci: perché si vedrà, all'uno ed all'altro modo dicostoro essere poste guardie, che facevano che ei nonpotevano usare male quella autorità. Né giova, in questocaso, che la materia non sia corrotta; perché una autoritàassoluta in brevissimo tempo corrompe la materia e si faamici e partigiani. Né gli nuoce, o essere povero, o nonavere parenti; perché le ricchezze ed ogni altro favoresubito gli corre dietro: come particularmente nella crea-zione de' detti Dieci discorrereno.

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36 Non debbano i cittadini, che hanno avuti imaggiori onori, sdegnarsi de' minori.

Avevano i Romani fatto Marco Fabio e G. Manilio con-soli, e vinta una gloriosissima giornata contro a' Veientie gli Etruschi; nella quale fu morto Quinto Fabio, fratel-lo del consolo, quale lo anno davanti era stato consolo.Dove si debbe considerare quanto gli ordini di quellacittà erano atti a farla grande; e quanto le altre republi-che, che si discostono da' modi suoi, s'ingannino. Per-ché, ancora che i Romani fossono amatori grandi dellagloria, nondimeno non stimavano così disonorevole ub-bidire ora a chi altra volta essi avevano comandato, etrovarsi a servire in quello esercito del quale erano statiprincipi. Il quale costume è contrario alla opinione, ordi-ni e modi de' cittadini de' tempi nostri: ed in Vinegia èancora questo errore, che uno cittadino, avendo avuto ungrado grande, si vergogni di accettarne uno minore; e lacittà gli consenta che se ne possa discostare. La qualecosa, quando fusse onorevole per il privato, è al tuttoinutile per il publico. Perché più speranza debbe avereuna republica, e più confidare in uno cittadino che dauno grado grande scenda a governare uno minore che inquello che da uno minore salga a governare uno mag-giore. Perché a costui non può ragionevolmente credere,se non gli vede uomini intorno, i quali siano di tanta ri-verenza o di tanta virtù che la novità di colui possa esse-re, con il consiglio ed autorità loro, moderata. E quando

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36 Non debbano i cittadini, che hanno avuti imaggiori onori, sdegnarsi de' minori.

Avevano i Romani fatto Marco Fabio e G. Manilio con-soli, e vinta una gloriosissima giornata contro a' Veientie gli Etruschi; nella quale fu morto Quinto Fabio, fratel-lo del consolo, quale lo anno davanti era stato consolo.Dove si debbe considerare quanto gli ordini di quellacittà erano atti a farla grande; e quanto le altre republi-che, che si discostono da' modi suoi, s'ingannino. Per-ché, ancora che i Romani fossono amatori grandi dellagloria, nondimeno non stimavano così disonorevole ub-bidire ora a chi altra volta essi avevano comandato, etrovarsi a servire in quello esercito del quale erano statiprincipi. Il quale costume è contrario alla opinione, ordi-ni e modi de' cittadini de' tempi nostri: ed in Vinegia èancora questo errore, che uno cittadino, avendo avuto ungrado grande, si vergogni di accettarne uno minore; e lacittà gli consenta che se ne possa discostare. La qualecosa, quando fusse onorevole per il privato, è al tuttoinutile per il publico. Perché più speranza debbe avereuna republica, e più confidare in uno cittadino che dauno grado grande scenda a governare uno minore che inquello che da uno minore salga a governare uno mag-giore. Perché a costui non può ragionevolmente credere,se non gli vede uomini intorno, i quali siano di tanta ri-verenza o di tanta virtù che la novità di colui possa esse-re, con il consiglio ed autorità loro, moderata. E quando

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in Roma fosse stata la consuetudine quale è a Vinegia enell'altre republiche e regni moderni, che chi era statouna volta Consolo non volesse mai più andare neglieserciti se non Consolo, ne sarebbero nate infinite cosein disfavore del vivere libero; e per gli errori che areb-bon fatti gli uomini nuovi, e per l'ambizione che loroarebbono potuta usare meglio, non avendo uomini intor-no, nel cospetto de' quali ei temessono errare; e così sa-rebbero venuti a essere più sciolti: il che sarebbe tornatotutto in detrimento publico.

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in Roma fosse stata la consuetudine quale è a Vinegia enell'altre republiche e regni moderni, che chi era statouna volta Consolo non volesse mai più andare neglieserciti se non Consolo, ne sarebbero nate infinite cosein disfavore del vivere libero; e per gli errori che areb-bon fatti gli uomini nuovi, e per l'ambizione che loroarebbono potuta usare meglio, non avendo uomini intor-no, nel cospetto de' quali ei temessono errare; e così sa-rebbero venuti a essere più sciolti: il che sarebbe tornatotutto in detrimento publico.

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37 Quali scandoli partorì in Roma la leggeagraria: e come fare una legge in una repu-

blica, che riguardi assai indietro, e sia controa una consuetudine antica della città, è scan-

dolosissimo.

Egli è sentenzia degli antichi scrittori, come gli uominisogliono affliggersi nel male e stuccarsi nel bene; ecome dall'una e dall'altra di queste due passioni nascanoi medesimi effetti. Perché, qualunque volta è tolto agliuomini il combattere per necessità, combattono per am-bizione; la quale è tanto potente ne' petti umani, chemai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. Lacagione è, perché la natura ha creati gli uomini in modoche possono desiderare ogni cosa, e non possono conse-guire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il de-siderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la malacontentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfa-zione d'esso. Da questo nasce il variare della fortunaloro: perché, disiderando gli uomini, parte di avere più,parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alleinimicizie ed alla guerra; dalla quale nasce la rovina diquella provincia e la esaltazione di quell'altra. Questodiscorso ho fatto, perché alla Plebe romana non bastòassicurarsi de' nobili per la creazione de' Tribuni, al qua-le desiderio fu costretta per necessità; che lei, subito, ot-tenuto quello, cominciò a combattere per ambizione, e

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37 Quali scandoli partorì in Roma la leggeagraria: e come fare una legge in una repu-

blica, che riguardi assai indietro, e sia controa una consuetudine antica della città, è scan-

dolosissimo.

Egli è sentenzia degli antichi scrittori, come gli uominisogliono affliggersi nel male e stuccarsi nel bene; ecome dall'una e dall'altra di queste due passioni nascanoi medesimi effetti. Perché, qualunque volta è tolto agliuomini il combattere per necessità, combattono per am-bizione; la quale è tanto potente ne' petti umani, chemai, a qualunque grado si salgano, gli abbandona. Lacagione è, perché la natura ha creati gli uomini in modoche possono desiderare ogni cosa, e non possono conse-guire ogni cosa: talché, essendo sempre maggiore il de-siderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la malacontentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfa-zione d'esso. Da questo nasce il variare della fortunaloro: perché, disiderando gli uomini, parte di avere più,parte temendo di non perdere lo acquistato, si viene alleinimicizie ed alla guerra; dalla quale nasce la rovina diquella provincia e la esaltazione di quell'altra. Questodiscorso ho fatto, perché alla Plebe romana non bastòassicurarsi de' nobili per la creazione de' Tribuni, al qua-le desiderio fu costretta per necessità; che lei, subito, ot-tenuto quello, cominciò a combattere per ambizione, e

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volere con la Nobiltà dividere gli onori e le sustanze,come cosa stimata più dagli uomini. Da questo nacque ilmorbo che partorì la contenzione della legge agraria,che infine fu causa della distruzione della Republica. Eperché le republiche bene ordinate hanno a tenere riccoil publico e gli loro cittadini, poveri, convenne che fussenella città di Roma difetto in questa legge: la quale onon fusse fatta nel principio in modo che la non si aves-se ogni dì a ritrattare, o che si differisse tanto in farla,che fosse scandoloso il riguardarsi indietro o, sendo or-dinata bene da prima, era stata poi dall'uso corrotta, tal-ché in qualunque modo si fusse, mai non si parlò di que-sta legge in Roma, che quella città non andasse sottoso-pra.Aveva questa legge due capi principali. Per l'uno si di-sponeva che non si potesse possedere per alcuno cittadi-no più che tanti iugeri di terra; per l'altro, che i campi diche si privavano i nimici, si dividessono intra il popoloromano. Veniva pertanto a fare di dua sorte offese ai no-bili: perché quegli che possedevano più beni non per-metteva la legge (quali erano la maggiore parte de' nobi-li), ne avevano a essere privi, e dividendosi intra la ple-be i beni de' nimici, si toglieva a quegli la via dello ar-ricchire. Sicché, venendo a essere queste offese contro auomini potenti, e, che pareva loro, contrastandola, di-fendere il publico, qualunque volta, come è detto, si ri-cordava, andava sottosopra tutta quella città: e i nobilicon pazienza ed industria la temporeggiavano o con

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volere con la Nobiltà dividere gli onori e le sustanze,come cosa stimata più dagli uomini. Da questo nacque ilmorbo che partorì la contenzione della legge agraria,che infine fu causa della distruzione della Republica. Eperché le republiche bene ordinate hanno a tenere riccoil publico e gli loro cittadini, poveri, convenne che fussenella città di Roma difetto in questa legge: la quale onon fusse fatta nel principio in modo che la non si aves-se ogni dì a ritrattare, o che si differisse tanto in farla,che fosse scandoloso il riguardarsi indietro o, sendo or-dinata bene da prima, era stata poi dall'uso corrotta, tal-ché in qualunque modo si fusse, mai non si parlò di que-sta legge in Roma, che quella città non andasse sottoso-pra.Aveva questa legge due capi principali. Per l'uno si di-sponeva che non si potesse possedere per alcuno cittadi-no più che tanti iugeri di terra; per l'altro, che i campi diche si privavano i nimici, si dividessono intra il popoloromano. Veniva pertanto a fare di dua sorte offese ai no-bili: perché quegli che possedevano più beni non per-metteva la legge (quali erano la maggiore parte de' nobi-li), ne avevano a essere privi, e dividendosi intra la ple-be i beni de' nimici, si toglieva a quegli la via dello ar-ricchire. Sicché, venendo a essere queste offese contro auomini potenti, e, che pareva loro, contrastandola, di-fendere il publico, qualunque volta, come è detto, si ri-cordava, andava sottosopra tutta quella città: e i nobilicon pazienza ed industria la temporeggiavano o con

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trarre fuora uno esercito o che a quel Tribuno che la pro-poneva si opponesse un altro Tribuno, o talvolta cederneparte, ovvero mandare una colonia in quel luogo che siavesse a distribuire: come intervenne del contado di An-zio, per il quale surgendo questa disputa della legge, simandò in quel luogo una colonia, tratta di Roma, allaquale si consegnasse detto contado. Dove Tito Livio usaun termine notabile, dicendo che con difficultà si trovòin Roma chi desse il nome per ire in detta colonia: tantoera quella plebe più pronta a volere desiderare le cose inRoma, che a possederle in Anzio. Andò questo omore diquesta legge, così, travagliandosi un tempo, tanto chegli Romani cominciarono a condurre le loro armi nelleestreme parti di Italia, o fuori di Italia; dopo al qualetempo parve che la cessassi. Il che nacque perché i cam-pi che possedevano i nimici di Roma essendo discostiagli occhi della plebe, ed in luogo dove non gli era faci-le il cultivargli, veniva a essere meno desiderosa di que-gli: e ancora i Romani erano meno punitori de' loro ni-mici in simil modo; e quando pure spogliavano alcunaterra del suo contado, vi distribuivano colonie. Tantoche, per tali cagioni, questa legge stette come addor-mentata infino ai Gracchi; da' quali essendo poi sveglia-ta, rovinò al tutto la libertà romana; perché la trovò rad-doppiata la potenza de' suoi avversari, e si accese, perquesto, tanto odio intra la Plebe ed il Senato, che si ven-ne nelle armi ed al sangue, fuori d'ogni modo e costumecivile. Talché, non potendo i publici magistrati rimediar-vi, né sperando più alcuna delle fazioni in quegli, si ri-

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trarre fuora uno esercito o che a quel Tribuno che la pro-poneva si opponesse un altro Tribuno, o talvolta cederneparte, ovvero mandare una colonia in quel luogo che siavesse a distribuire: come intervenne del contado di An-zio, per il quale surgendo questa disputa della legge, simandò in quel luogo una colonia, tratta di Roma, allaquale si consegnasse detto contado. Dove Tito Livio usaun termine notabile, dicendo che con difficultà si trovòin Roma chi desse il nome per ire in detta colonia: tantoera quella plebe più pronta a volere desiderare le cose inRoma, che a possederle in Anzio. Andò questo omore diquesta legge, così, travagliandosi un tempo, tanto chegli Romani cominciarono a condurre le loro armi nelleestreme parti di Italia, o fuori di Italia; dopo al qualetempo parve che la cessassi. Il che nacque perché i cam-pi che possedevano i nimici di Roma essendo discostiagli occhi della plebe, ed in luogo dove non gli era faci-le il cultivargli, veniva a essere meno desiderosa di que-gli: e ancora i Romani erano meno punitori de' loro ni-mici in simil modo; e quando pure spogliavano alcunaterra del suo contado, vi distribuivano colonie. Tantoche, per tali cagioni, questa legge stette come addor-mentata infino ai Gracchi; da' quali essendo poi sveglia-ta, rovinò al tutto la libertà romana; perché la trovò rad-doppiata la potenza de' suoi avversari, e si accese, perquesto, tanto odio intra la Plebe ed il Senato, che si ven-ne nelle armi ed al sangue, fuori d'ogni modo e costumecivile. Talché, non potendo i publici magistrati rimediar-vi, né sperando più alcuna delle fazioni in quegli, si ri-

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corse ai rimedi privati, e ciascuna delle parti pensò difarsi uno capo che la difendesse. Prevenne in questoscandolo e disordine la plebe, e volse la sua riputazionea Mario tanto che la lo fece quattro volte consule; ed intanto continovò con pochi intervalli il suo consolato,che si potette per sé stesso far consulo tre altre volte.Contro alla quale peste non avendo la Nobilità alcunorimedio, si volse a favorire Silla; e fatto, quello, capodella parte sua, vennero alle guerre civili; e, dopo moltosangue e variare di fortuna, rimase superiore la Nobilità.Risuscitarono poi questi omori a tempo di Cesare e diPompeio; perché, fattosi Cesare capo della parte di Ma-rio, e Pompeio di quella di Silla, venendo alle mani, ri-mase superiore Cesare: il quale fu primo tiranno inRoma; talché mai fu poi libera quella città.Tale, adunque, principio e fine ebbe la legge agraria. Ebenché noi mostrassimo altrove, come le inimicizie diRoma intra il Senato e la Plebe mantenessero liberaRoma, per nascerne, da quelle, leggi in favore della li-bertà, e per questo paia disforme a tale conclusione ilfine di questa legge agraria; dico come, per questo, ionon mi rimuovo da tale opinione: perché gli è tantal'ambizione de' grandi, che, se per varie vie ed in varimodi ella non è in una città sbattuta, tosto riduce quellacittà alla rovina sua. In modo che, se la contenzione del-la legge agraria penò trecento anni a fare Roma serva, sisarebbe condotta, per avventura, molto più tosto in ser-vitù quando la plebe, e con questa legge e con altri suoi

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corse ai rimedi privati, e ciascuna delle parti pensò difarsi uno capo che la difendesse. Prevenne in questoscandolo e disordine la plebe, e volse la sua riputazionea Mario tanto che la lo fece quattro volte consule; ed intanto continovò con pochi intervalli il suo consolato,che si potette per sé stesso far consulo tre altre volte.Contro alla quale peste non avendo la Nobilità alcunorimedio, si volse a favorire Silla; e fatto, quello, capodella parte sua, vennero alle guerre civili; e, dopo moltosangue e variare di fortuna, rimase superiore la Nobilità.Risuscitarono poi questi omori a tempo di Cesare e diPompeio; perché, fattosi Cesare capo della parte di Ma-rio, e Pompeio di quella di Silla, venendo alle mani, ri-mase superiore Cesare: il quale fu primo tiranno inRoma; talché mai fu poi libera quella città.Tale, adunque, principio e fine ebbe la legge agraria. Ebenché noi mostrassimo altrove, come le inimicizie diRoma intra il Senato e la Plebe mantenessero liberaRoma, per nascerne, da quelle, leggi in favore della li-bertà, e per questo paia disforme a tale conclusione ilfine di questa legge agraria; dico come, per questo, ionon mi rimuovo da tale opinione: perché gli è tantal'ambizione de' grandi, che, se per varie vie ed in varimodi ella non è in una città sbattuta, tosto riduce quellacittà alla rovina sua. In modo che, se la contenzione del-la legge agraria penò trecento anni a fare Roma serva, sisarebbe condotta, per avventura, molto più tosto in ser-vitù quando la plebe, e con questa legge e con altri suoi

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appetiti, non avesse sempre frenato l'ambizione de' no-bili. Vedesi per questo ancora, quanto gli uomini stima-no più la roba che gli onori. Perché la Nobilità romanasempre negli onori cede sanza scandoli straordinari allaplebe; ma come si venne alla roba fu tanta la ostinazionesua nel difenderla, che la plebe ricorse, per isfogarel'appetito suo, a quegli straordinari che di sopra si di-scorrono. Del quale disordine furono motori i Gracchi,de' quali si debbe laudare più la intenzione che la pru-denzia. Perché, a volere levar via uno disordine cresciu-to in una republica, e per questo fare una legge che ri-guardi assai indietro, è partito male considerato; e, comedi sopra largamente si discorse, non si fa altro che acce-lerare quel male, a che quel disordine ti conduce: ma,temporeggiandolo, o il male viene più tardo, o per sémedesimo col tempo avanti che venga al fine suo, sispegne.

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appetiti, non avesse sempre frenato l'ambizione de' no-bili. Vedesi per questo ancora, quanto gli uomini stima-no più la roba che gli onori. Perché la Nobilità romanasempre negli onori cede sanza scandoli straordinari allaplebe; ma come si venne alla roba fu tanta la ostinazionesua nel difenderla, che la plebe ricorse, per isfogarel'appetito suo, a quegli straordinari che di sopra si di-scorrono. Del quale disordine furono motori i Gracchi,de' quali si debbe laudare più la intenzione che la pru-denzia. Perché, a volere levar via uno disordine cresciu-to in una republica, e per questo fare una legge che ri-guardi assai indietro, è partito male considerato; e, comedi sopra largamente si discorse, non si fa altro che acce-lerare quel male, a che quel disordine ti conduce: ma,temporeggiandolo, o il male viene più tardo, o per sémedesimo col tempo avanti che venga al fine suo, sispegne.

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38 Le republiche deboli sono male risolute enon si sanno diliberare; e se le pigliano maialcun partito, nasce più da necessità che da

elezione.

Essendo in Roma una gravissima pestilenza, e parendoper questo agli Volsci ed agli Equi che fusse venuto iltempo di potere oppressare Roma, fatto questi due po-poli uno grossissimo esercito, assaltarono i Latini e gliErnici; e guastando il loro paese, furono costretti i Latinie gli Ernici farlo intendere a Roma, e pregare che fosse-ro difesi da' Romani: ai quali, sendo i Romani gravatidal morbo, risposero che pigliassero partito di difendersida loro medesimi e con le loro armi, perché essi non glipotevano difendere. Dove si conosce la generosità eprudenza di quel Senato, e come sempre in ogni fortunavolle essere quello che fusse principe delle diliberazioniche avessero a pigliare i suoi; né si vergognò mai dilibe-rare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivereo ad altre diliberazioni fatte da lui, quando la necessitàgliene comandava.Questo dico, perché altre volte il medesimo Senato ave-va vietato ai detti popoli l'armarsi e difendersi; talché auno Senato meno prudente di questo sarebbe paruto ca-dere del grado suo a concedere loro tale difensione. Maquello sempre giudicò le cose come si debbano giudica-re, e sempre prese il meno reo partito per migliore: per-

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38 Le republiche deboli sono male risolute enon si sanno diliberare; e se le pigliano maialcun partito, nasce più da necessità che da

elezione.

Essendo in Roma una gravissima pestilenza, e parendoper questo agli Volsci ed agli Equi che fusse venuto iltempo di potere oppressare Roma, fatto questi due po-poli uno grossissimo esercito, assaltarono i Latini e gliErnici; e guastando il loro paese, furono costretti i Latinie gli Ernici farlo intendere a Roma, e pregare che fosse-ro difesi da' Romani: ai quali, sendo i Romani gravatidal morbo, risposero che pigliassero partito di difendersida loro medesimi e con le loro armi, perché essi non glipotevano difendere. Dove si conosce la generosità eprudenza di quel Senato, e come sempre in ogni fortunavolle essere quello che fusse principe delle diliberazioniche avessero a pigliare i suoi; né si vergognò mai dilibe-rare una cosa che fusse contraria al suo modo di vivereo ad altre diliberazioni fatte da lui, quando la necessitàgliene comandava.Questo dico, perché altre volte il medesimo Senato ave-va vietato ai detti popoli l'armarsi e difendersi; talché auno Senato meno prudente di questo sarebbe paruto ca-dere del grado suo a concedere loro tale difensione. Maquello sempre giudicò le cose come si debbano giudica-re, e sempre prese il meno reo partito per migliore: per-

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ché male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi,male gli sapeva che si armassero sanza loro, per le ra-gioni dette e per molte altre che s'intendano: nondime-no, conoscendo che si sarebbono armati, per necessità, aogni modo, avendo il nimico addosso; prese la parteonorevole, e volle che quello che gli aveano a fare, lofacessero con licenza sua, acciocché, avendo disubbiditoper necessità, non si avvezzassero a disubbidire per ele-zione. E benché questo paia partito che da ciascuna re-publica dovesse essere preso, nientedimeno le republi-che deboli e male consigliate non gli sanno pigliare, nési sanno onorare di simili necessità. Aveva il duca Va-lentino presa Faenza, e fatto calare Bologna agli accordisuoi. Dipoi, volendo tornarsene a Roma per la Toscana,mandò in Firenze uno suo uomo a domandare il passoper sé e per lo esercito suo. Consultossi in Firenze comesi avesse a governare questa cosa, né fu mai consigliatoper alcuno di concedergliene. In che non si seguì ilmodo romano: perché, sendo il Duca armatissimo, ed iFiorentini in modo disarmati che non gli potevan vietareil passare, era molto più onore loro, che paresse che pas-sasse con volontà di quegli, che a forza; perché, dove vifu al tutto il loro vituperio, sarebbe stato in parte minorequando l'avessero governata altrimenti. Ma la più cattivaparte che abbiano le republiche deboli, è essere inreso-lute; in modo che tutti i partiti che le pigliono, gli piglio-no per forza; e se vien loro fatto alcun bene, lo fannoforzate, e non per prudenza loro.

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ché male gli sapeva non potere difendere i suoi sudditi,male gli sapeva che si armassero sanza loro, per le ra-gioni dette e per molte altre che s'intendano: nondime-no, conoscendo che si sarebbono armati, per necessità, aogni modo, avendo il nimico addosso; prese la parteonorevole, e volle che quello che gli aveano a fare, lofacessero con licenza sua, acciocché, avendo disubbiditoper necessità, non si avvezzassero a disubbidire per ele-zione. E benché questo paia partito che da ciascuna re-publica dovesse essere preso, nientedimeno le republi-che deboli e male consigliate non gli sanno pigliare, nési sanno onorare di simili necessità. Aveva il duca Va-lentino presa Faenza, e fatto calare Bologna agli accordisuoi. Dipoi, volendo tornarsene a Roma per la Toscana,mandò in Firenze uno suo uomo a domandare il passoper sé e per lo esercito suo. Consultossi in Firenze comesi avesse a governare questa cosa, né fu mai consigliatoper alcuno di concedergliene. In che non si seguì ilmodo romano: perché, sendo il Duca armatissimo, ed iFiorentini in modo disarmati che non gli potevan vietareil passare, era molto più onore loro, che paresse che pas-sasse con volontà di quegli, che a forza; perché, dove vifu al tutto il loro vituperio, sarebbe stato in parte minorequando l'avessero governata altrimenti. Ma la più cattivaparte che abbiano le republiche deboli, è essere inreso-lute; in modo che tutti i partiti che le pigliono, gli piglio-no per forza; e se vien loro fatto alcun bene, lo fannoforzate, e non per prudenza loro.

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Io voglio dare di questo due altri esempli, occorsi ne'tempi nostri, nello stato della nostra città.Nel 1500, ripreso che il re Luigi XII di Francia ebbe Mi-lano, desideroso di rendervi Pisa, per avere cinquanta-mila ducati che gli erano stati promessi da' Fiorentinidopo tale restituzione, mandò gli suoi eserciti versoPisa, capitanati da monsignore di Beumonte; benchéfrancese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assaiconfidavano. Condussesi questo esercito e questo capi-tano intra Cascina e Pisa, per andare a combattere lemura; dove dimorando alcuno giorno per ordinarsi allaespugnazione, vennono oratori Pisani a Beumonte, e gliofferirono di dare la città allo esercito francese con que-sti patti: che, sotto la fede del re, promettesse non lamettere in mano de' Fiorentini, prima che dopo quattromesi. Il quale partito fu da' Fiorentini al tutto rifiutato,in modo che si seguì nello andarvi a campo e partirsenecon vergogna. Né fu rifiutato il partito per altra cagioneche per diffidare della fede del re; come quegli che perdebolezza di consiglio si erano per forza messi nellemani sue, e, dall'altra parte, non se ne fidavano, ne vede-vano quanto era meglio che il re potesse rendere loroPisa sendovi dentro, e, non la rendendo, scoprire l'animosuo, che, non la avendo, poterla loro promettere, e loroessere forzati comperare quelle promesse. Talché, moltopiù utilmente arebbono fatto a acconsentire che Beu-monte l'avessi, sotto qualunque promessa, presa: comese ne vide la esperienza dipoi nel 1502, che, essendosi

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Io voglio dare di questo due altri esempli, occorsi ne'tempi nostri, nello stato della nostra città.Nel 1500, ripreso che il re Luigi XII di Francia ebbe Mi-lano, desideroso di rendervi Pisa, per avere cinquanta-mila ducati che gli erano stati promessi da' Fiorentinidopo tale restituzione, mandò gli suoi eserciti versoPisa, capitanati da monsignore di Beumonte; benchéfrancese, nondimanco uomo in cui i Fiorentini assaiconfidavano. Condussesi questo esercito e questo capi-tano intra Cascina e Pisa, per andare a combattere lemura; dove dimorando alcuno giorno per ordinarsi allaespugnazione, vennono oratori Pisani a Beumonte, e gliofferirono di dare la città allo esercito francese con que-sti patti: che, sotto la fede del re, promettesse non lamettere in mano de' Fiorentini, prima che dopo quattromesi. Il quale partito fu da' Fiorentini al tutto rifiutato,in modo che si seguì nello andarvi a campo e partirsenecon vergogna. Né fu rifiutato il partito per altra cagioneche per diffidare della fede del re; come quegli che perdebolezza di consiglio si erano per forza messi nellemani sue, e, dall'altra parte, non se ne fidavano, ne vede-vano quanto era meglio che il re potesse rendere loroPisa sendovi dentro, e, non la rendendo, scoprire l'animosuo, che, non la avendo, poterla loro promettere, e loroessere forzati comperare quelle promesse. Talché, moltopiù utilmente arebbono fatto a acconsentire che Beu-monte l'avessi, sotto qualunque promessa, presa: comese ne vide la esperienza dipoi nel 1502, che, essendosi

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ribellato Arezzo, venne ai soccorsi de' Fiorentini manda-to da il re di Francia monsignor Imbalt con gente france-se; il quale, giunto propinquo ad Arezzo, dopo pocotempo cominciò a praticare accordo con gli Aretini, iquali sotto certa fede volevon dare la terra, a similitudi-ne de' Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito; il cheveggendo monsignor Imbalt, e parendogli come i Fio-rentini se ne intendessero poco, cominciò a tenere lepratiche dello accordo da sé, sanza partecipazione de'Commessari: tanto che ei lo conchiuse a suo modo, e,sotto quello, con le sue genti se n'entrò in Arezzo, fac-cendo intendere ai Fiorentini come egli erano matti, enon s'intendevano delle cose del mondo: che, se voleva-no Arezzo, lo facessero intendere a il re, il quale lo po-teva dare loro molto meglio, avendo le sua gente inquella città, che fuori. Non si restava in Firenze di lace-rare e biasimare detto Imbalt; né si restò mai infino atanto che si conobbe che, se Beumonte fosse stato similea Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo.E così, per tornare a proposito, le republiche inresolutenon pigliono mai partiti buoni, se non per forza, perchéla debolezza loro non le lascia mai deliberare dove è al-cuno dubbio; e se quel dubbio non è cancellato da unaviolenza che le sospinga, stanno sempre mai sospese.

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ribellato Arezzo, venne ai soccorsi de' Fiorentini manda-to da il re di Francia monsignor Imbalt con gente france-se; il quale, giunto propinquo ad Arezzo, dopo pocotempo cominciò a praticare accordo con gli Aretini, iquali sotto certa fede volevon dare la terra, a similitudi-ne de' Pisani. Fu rifiutato in Firenze tale partito; il cheveggendo monsignor Imbalt, e parendogli come i Fio-rentini se ne intendessero poco, cominciò a tenere lepratiche dello accordo da sé, sanza partecipazione de'Commessari: tanto che ei lo conchiuse a suo modo, e,sotto quello, con le sue genti se n'entrò in Arezzo, fac-cendo intendere ai Fiorentini come egli erano matti, enon s'intendevano delle cose del mondo: che, se voleva-no Arezzo, lo facessero intendere a il re, il quale lo po-teva dare loro molto meglio, avendo le sua gente inquella città, che fuori. Non si restava in Firenze di lace-rare e biasimare detto Imbalt; né si restò mai infino atanto che si conobbe che, se Beumonte fosse stato similea Imbalt, si sarebbe avuto Pisa come Arezzo.E così, per tornare a proposito, le republiche inresolutenon pigliono mai partiti buoni, se non per forza, perchéla debolezza loro non le lascia mai deliberare dove è al-cuno dubbio; e se quel dubbio non è cancellato da unaviolenza che le sospinga, stanno sempre mai sospese.

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39 In diversi popoli si veggano spesso i mede-simi accidenti.

E' si conosce facilmente, per chi considera le cose pre-senti e le antiche, come in tutte le città ed in tutti i popo-li sono quegli medesimi desiderii e quelli medesimiomori, e come vi furono sempre. In modo che gli è facilcosa, a chi esamina con diligenza le cose passate, preve-dere in ogni republica le future, e farvi quegli rimediche dagli antichi sono stati usati; o, non ne trovando de-gli usati, pensarne de' nuovi, per la similitudine degli ac-cidenti. Ma perché queste considerazioni sono neglette,o non intese da chi legge, o, se le sono intese, non sonoconosciute da chi governa; ne seguita che sempre sono imedesimi scandoli in ogni tempo.Avendo la città di Firenze, dopo il 94, perso parte delloimperio suo, come Pisa ed altre terre, fu necessitata fareguerra a coloro che le occupavano. E perché chi le occu-pava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nellaguerra, sanza alcun frutto; dallo spendere assai, ne risul-tava assai gravezze; dalle gravezze, infinite querele delpopolo: e perché questa guerra era amministrata da unomagistrato di dieci cittadini che si chiamavano i Diecidella guerra, l'universale cominciò a recarselo in dispet-to, come quello che fusse cagione e della guerra e dellespese d'essa; e cominciò a persuadersi che, tolto via det-to magistrato, fusse tolto via la guerra, tanto che, aven-dosi a rifare, non se gli fecero gli scambi; e lasciatosi

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39 In diversi popoli si veggano spesso i mede-simi accidenti.

E' si conosce facilmente, per chi considera le cose pre-senti e le antiche, come in tutte le città ed in tutti i popo-li sono quegli medesimi desiderii e quelli medesimiomori, e come vi furono sempre. In modo che gli è facilcosa, a chi esamina con diligenza le cose passate, preve-dere in ogni republica le future, e farvi quegli rimediche dagli antichi sono stati usati; o, non ne trovando de-gli usati, pensarne de' nuovi, per la similitudine degli ac-cidenti. Ma perché queste considerazioni sono neglette,o non intese da chi legge, o, se le sono intese, non sonoconosciute da chi governa; ne seguita che sempre sono imedesimi scandoli in ogni tempo.Avendo la città di Firenze, dopo il 94, perso parte delloimperio suo, come Pisa ed altre terre, fu necessitata fareguerra a coloro che le occupavano. E perché chi le occu-pava era potente, ne seguiva che si spendeva assai nellaguerra, sanza alcun frutto; dallo spendere assai, ne risul-tava assai gravezze; dalle gravezze, infinite querele delpopolo: e perché questa guerra era amministrata da unomagistrato di dieci cittadini che si chiamavano i Diecidella guerra, l'universale cominciò a recarselo in dispet-to, come quello che fusse cagione e della guerra e dellespese d'essa; e cominciò a persuadersi che, tolto via det-to magistrato, fusse tolto via la guerra, tanto che, aven-dosi a rifare, non se gli fecero gli scambi; e lasciatosi

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spirare, si mandarono le azioni sue alla Signoria. Laquale diliberazione fu tanto perniziosa, che, non sola-mente non levò la guerra, come lo universale si persua-deva, ma, tolto via quegli uomini che con prudenzal'amministravano, ne seguì tanto disordine, che, oltre aPisa, si perdé Arezzo e molti altri luoghi: in modo che,ravvedutosi il popolo dello errore suo, e come la cagio-ne del male era la febbre e non il medico, rifece il magi-strato de' Dieci. Questo medesimo omore si levò inRoma contro al nome de' Consoli: perché veggendoquello popolo nascere l'una guerra dall'altra, e non potermai riposarsi; dove e' dovevano pensare che la nascessidall'ambizione de' vicini che gli volevano opprimere,pensavano nascessi dall'ambizione de' nobili, che, nonpotendo dentro in Roma gastigare la Plebe difesa dallapotestà tribunizia, la volevon condurre fuora di Romasotto i Consoli, per oppressarla dove la non aveva aiutoalcuno. E pensarono, per questo, che fusse necessario olevar via i Consoli, o regolare in modo la loro potestà,che e' non avessono autorità sopra il popolo né fuori néin casa. Il primo che tentò questa legge, fu uno Terentil-lo tribuno; il quale proponeva che si dovessero crearecinque uomini che dovessero considerare la potenza de'Consoli, e limitarla. Il che alterò assai la Nobilità, pa-rendogli che la maiestà dello imperio fusse al tutto de-clinata, talché alla Nobilità non restasse più alcun gradoin quella Republica. Fu nondimeno tanta l'ostinazionede' Tribuni, che 'l nome consolare si spense; e furono infine contenti, dopo qualche altro ordine, più tosto creare

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spirare, si mandarono le azioni sue alla Signoria. Laquale diliberazione fu tanto perniziosa, che, non sola-mente non levò la guerra, come lo universale si persua-deva, ma, tolto via quegli uomini che con prudenzal'amministravano, ne seguì tanto disordine, che, oltre aPisa, si perdé Arezzo e molti altri luoghi: in modo che,ravvedutosi il popolo dello errore suo, e come la cagio-ne del male era la febbre e non il medico, rifece il magi-strato de' Dieci. Questo medesimo omore si levò inRoma contro al nome de' Consoli: perché veggendoquello popolo nascere l'una guerra dall'altra, e non potermai riposarsi; dove e' dovevano pensare che la nascessidall'ambizione de' vicini che gli volevano opprimere,pensavano nascessi dall'ambizione de' nobili, che, nonpotendo dentro in Roma gastigare la Plebe difesa dallapotestà tribunizia, la volevon condurre fuora di Romasotto i Consoli, per oppressarla dove la non aveva aiutoalcuno. E pensarono, per questo, che fusse necessario olevar via i Consoli, o regolare in modo la loro potestà,che e' non avessono autorità sopra il popolo né fuori néin casa. Il primo che tentò questa legge, fu uno Terentil-lo tribuno; il quale proponeva che si dovessero crearecinque uomini che dovessero considerare la potenza de'Consoli, e limitarla. Il che alterò assai la Nobilità, pa-rendogli che la maiestà dello imperio fusse al tutto de-clinata, talché alla Nobilità non restasse più alcun gradoin quella Republica. Fu nondimeno tanta l'ostinazionede' Tribuni, che 'l nome consolare si spense; e furono infine contenti, dopo qualche altro ordine, più tosto creare

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Tribuni con potestà consolare, che Consoli: tanto aveva-no più in odio il nome che l'autorità loro. E così seguita-rono lungo tempo, infine che, conosciuto l'errore loro,come i Fiorentini ritornarono a' Dieci, così loro ricreor-no i Consoli.

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Tribuni con potestà consolare, che Consoli: tanto aveva-no più in odio il nome che l'autorità loro. E così seguita-rono lungo tempo, infine che, conosciuto l'errore loro,come i Fiorentini ritornarono a' Dieci, così loro ricreor-no i Consoli.

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40 La creazione del Decemvirato in Roma, equello che in essa è da notare: dove si consi-

dera, intra molte altre cose, come si può osalvare, per simile accidente, o oppressare

una republica.

Volendo discorrere particularmente sopra gli accidentiche nacquero in Roma per la creazione del Decemvira-to, non mi pare soperchio narrare, prima, tutto quelloche seguì per simile creazione, e dopo disputare quelleparti che sono, in esse azioni, notabili: le quali sonomolte e di grande considerazione, così per coloro chevogliono mantenere una republica libera, come per quel-li che disegnassono sottometterla. Perché in tale discor-so si vedrà, molti errori fatti dal Senato e dalla plebe indisfavore della libertà; e molti errori fatti da Appio,capo del Decemvirato, in disfavore di quella tirannideche egli si aveva presupposto stabilire in Roma. Dopomolte disputazioni e contenzioni seguite intra il Popoloe la Nobilità per fermare nuove leggi in Roma, per lequali si stabilisse più la libertà di quello stato, mandaro-no, d'accordo, Spurio Pestumio, con duoi altri Cittadini,a Atene, per gli esempli di quelle leggi che Solone dettea quella città, acciocché sopra quelle potessono fondarele leggi romane. Andati e tornati costoro, si venne allacreazione degli uomini che avessero ad esaminare e fer-mare dette leggi; e crearono dieci cittadini per uno anno,

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40 La creazione del Decemvirato in Roma, equello che in essa è da notare: dove si consi-

dera, intra molte altre cose, come si può osalvare, per simile accidente, o oppressare

una republica.

Volendo discorrere particularmente sopra gli accidentiche nacquero in Roma per la creazione del Decemvira-to, non mi pare soperchio narrare, prima, tutto quelloche seguì per simile creazione, e dopo disputare quelleparti che sono, in esse azioni, notabili: le quali sonomolte e di grande considerazione, così per coloro chevogliono mantenere una republica libera, come per quel-li che disegnassono sottometterla. Perché in tale discor-so si vedrà, molti errori fatti dal Senato e dalla plebe indisfavore della libertà; e molti errori fatti da Appio,capo del Decemvirato, in disfavore di quella tirannideche egli si aveva presupposto stabilire in Roma. Dopomolte disputazioni e contenzioni seguite intra il Popoloe la Nobilità per fermare nuove leggi in Roma, per lequali si stabilisse più la libertà di quello stato, mandaro-no, d'accordo, Spurio Pestumio, con duoi altri Cittadini,a Atene, per gli esempli di quelle leggi che Solone dettea quella città, acciocché sopra quelle potessono fondarele leggi romane. Andati e tornati costoro, si venne allacreazione degli uomini che avessero ad esaminare e fer-mare dette leggi; e crearono dieci cittadini per uno anno,

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intra i quali fu creato Appio Claudio, uomo sagace edinquieto. E perché e' potessono, sanza alcun rispetto,creare tali leggi, si levarono di Roma tutti gli altri magi-strati, ed in particulare i Tribuni ed i Consoli, e levossilo appello al Popolo; in modo che tale magistrato venivaa essere al tutto principe di Roma. Appresso ad Appio siridusse tutta l'autorità degli altri suoi compagni, per i fa-vori che gli faceva la Plebe; perché egli s'era fatto inmodo popolare con le dimostrazioni, che pareva maravi-glia ch'egli avesse preso sì presto una nuova natura euno nuovo ingegno, essendo stato tenuto, innanzi a que-sto tempo, uno crudele perseguitatore della plebe.Governaronsi questi Dieci assai civilmente, non tenendopiù che dodici littori, i quali andavano davanti a quelloch'era infra loro proposto. E benché gli avessono l'auto-rità assoluta, nondimeno, avendosi a punire uno cittadi-no romano per omicida, lo citorno nel cospetto del po-polo, e da quello lo fecero giudicare. Scrissero le loroleggi in dieci tavole; ed avanti che le confermassero, lemessono in publico, acciocché ciascuno le potesse leg-gere e disputarle; acciocché si conoscesse se vi era al-cun difetto, per poterle innanzi alla confermazione loroemendare. Fece, in su questo, Appio nascere un romoreper Roma, che, se a queste dieci tavole se ne aggiugnes-se due altre, si darebbe a quelle la loro perfezione; tal-ché questa opinione dette occasione al popolo di rifare iDieci per un altro anno: a che il popolo s'accordò volen-tieri, sì perché i Consoli non si rifacessono, sì perché e'

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intra i quali fu creato Appio Claudio, uomo sagace edinquieto. E perché e' potessono, sanza alcun rispetto,creare tali leggi, si levarono di Roma tutti gli altri magi-strati, ed in particulare i Tribuni ed i Consoli, e levossilo appello al Popolo; in modo che tale magistrato venivaa essere al tutto principe di Roma. Appresso ad Appio siridusse tutta l'autorità degli altri suoi compagni, per i fa-vori che gli faceva la Plebe; perché egli s'era fatto inmodo popolare con le dimostrazioni, che pareva maravi-glia ch'egli avesse preso sì presto una nuova natura euno nuovo ingegno, essendo stato tenuto, innanzi a que-sto tempo, uno crudele perseguitatore della plebe.Governaronsi questi Dieci assai civilmente, non tenendopiù che dodici littori, i quali andavano davanti a quelloch'era infra loro proposto. E benché gli avessono l'auto-rità assoluta, nondimeno, avendosi a punire uno cittadi-no romano per omicida, lo citorno nel cospetto del po-polo, e da quello lo fecero giudicare. Scrissero le loroleggi in dieci tavole; ed avanti che le confermassero, lemessono in publico, acciocché ciascuno le potesse leg-gere e disputarle; acciocché si conoscesse se vi era al-cun difetto, per poterle innanzi alla confermazione loroemendare. Fece, in su questo, Appio nascere un romoreper Roma, che, se a queste dieci tavole se ne aggiugnes-se due altre, si darebbe a quelle la loro perfezione; tal-ché questa opinione dette occasione al popolo di rifare iDieci per un altro anno: a che il popolo s'accordò volen-tieri, sì perché i Consoli non si rifacessono, sì perché e'

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pareva loro potere stare sanza Tribuni, sendo loro giudi-ci delle cause, come disopra si disse. Preso, dunque,partito di rifarli, tutta la Nobilità si mosse a cercare que-sti onori; ed intra i primi era Appio; ed usava tanta uma-nità verso la plebe nel domandarlo, che la cominciò aessere sospetta a' suoi compagni: «credebant enim haudgratuitam in tanta superbia comitatem fore». E dubitan-do di opporsegli apertamente, deliberarono farlo conarte, e benché e' fusse minore di tempo di tutti dettono alui autorità di proporre i futuri Dieci al popolo, credendoch'egli osservassi i termini degli altri di non proporre sémedesimo, sendo cosa inusitata e ignominiosa in Roma.«Ille vero impedimentum pro occasione arripuit» e no-minò sé intra i primi, con maraviglia e dispiacere di tuttii nobili; nominò dipoi nove altri, a suo proposito. Laquale nuova creazione, fatta per uno altro anno, comin-ciò a mostrare al Popolo ed alla Nobilità lo errore suo.Perché subito «Appius finem fecit ferendae alienae per-sonae»; e cominciò a mostrare la innata sua superbia, edin pochi dì riempié de' suoi costumi i suoi compagni. Eper isbigottire il popolo ed il Senato in cambio di dodicilittori, ne feciono cento venti.Stette la paura equale qualche giorno; ma cominciaronopoi a intrattenere il Senato, e batter la plebe: e se alcunobattuto dall'uno, appellava all'altro, era peggio trattatonell'appellagione che nella prima sentenzia. In modo chela Plebe, conosciuto lo errore suo, cominciò piena di af-flizione a riguardare in viso i nobili, «et inde libertatis

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pareva loro potere stare sanza Tribuni, sendo loro giudi-ci delle cause, come disopra si disse. Preso, dunque,partito di rifarli, tutta la Nobilità si mosse a cercare que-sti onori; ed intra i primi era Appio; ed usava tanta uma-nità verso la plebe nel domandarlo, che la cominciò aessere sospetta a' suoi compagni: «credebant enim haudgratuitam in tanta superbia comitatem fore». E dubitan-do di opporsegli apertamente, deliberarono farlo conarte, e benché e' fusse minore di tempo di tutti dettono alui autorità di proporre i futuri Dieci al popolo, credendoch'egli osservassi i termini degli altri di non proporre sémedesimo, sendo cosa inusitata e ignominiosa in Roma.«Ille vero impedimentum pro occasione arripuit» e no-minò sé intra i primi, con maraviglia e dispiacere di tuttii nobili; nominò dipoi nove altri, a suo proposito. Laquale nuova creazione, fatta per uno altro anno, comin-ciò a mostrare al Popolo ed alla Nobilità lo errore suo.Perché subito «Appius finem fecit ferendae alienae per-sonae»; e cominciò a mostrare la innata sua superbia, edin pochi dì riempié de' suoi costumi i suoi compagni. Eper isbigottire il popolo ed il Senato in cambio di dodicilittori, ne feciono cento venti.Stette la paura equale qualche giorno; ma cominciaronopoi a intrattenere il Senato, e batter la plebe: e se alcunobattuto dall'uno, appellava all'altro, era peggio trattatonell'appellagione che nella prima sentenzia. In modo chela Plebe, conosciuto lo errore suo, cominciò piena di af-flizione a riguardare in viso i nobili, «et inde libertatis

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captare auram, unde servitutem timendo, in eum statumrempublicam adduxerunt». E alla Nobilità era grata que-sta loro afflizione, «ut ipsi, taedio praesentium, Consu-les desiderarent». Vennono i dì che terminavano l'anno:le due tavole delle leggi erano fatte, ma non publicate.Da questo i Dieci presono occasione di continovare nelmagistrato; e cominciarono a tenere con violenza lo sta-to, e farsi satelliti della gioventù nobile, alla quale davo-no i beni di quegli che loro condennavano. «Quibusdonis juventus corrumpebatur et malebat licentiamsuam, quam omnium libertatem». Nacque in questotempo, che i Sabini ed i Volsci mossero guerra a' Roma-ni; in su la quale paura cominciarono i Dieci a vedere ladebolezza dello stato loro, perché sanza il Senato nonpotevono ordinare la guerra, e, ragunando il Senato, pa-reva loro perdere lo stato. Pure, necessitati, presonoquesto ultimo partito; e ragunati i senatori insieme, mol-ti de' senatori parlarono contro alla superbia de' Dieci, ein particulare Valerio ed Orazio: e l'autorità loro si sa-rebbe al tutto spenta, se non che il Senato, per invidiadella Plebe, non volle mostrare l'autorità sua pensandoche, se i Dieci deponevano il magistrato voluntari, chepotesse essere che i Tribuni della plebe non si rifacesse-ro. Deliberossi dunque la guerra uscissi fuori con duaeserciti guidati da parte di detti Dieci; Appio rimase agovernare la città. Donde nacque che si innamorò diVirginia, e che, volendola tôrre per forza, il padre Virgi-nio, per liberarla, l'ammazzò: donde seguirono i tumultidi Roma e degli eserciti: i quali riduttisi insieme con il

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captare auram, unde servitutem timendo, in eum statumrempublicam adduxerunt». E alla Nobilità era grata que-sta loro afflizione, «ut ipsi, taedio praesentium, Consu-les desiderarent». Vennono i dì che terminavano l'anno:le due tavole delle leggi erano fatte, ma non publicate.Da questo i Dieci presono occasione di continovare nelmagistrato; e cominciarono a tenere con violenza lo sta-to, e farsi satelliti della gioventù nobile, alla quale davo-no i beni di quegli che loro condennavano. «Quibusdonis juventus corrumpebatur et malebat licentiamsuam, quam omnium libertatem». Nacque in questotempo, che i Sabini ed i Volsci mossero guerra a' Roma-ni; in su la quale paura cominciarono i Dieci a vedere ladebolezza dello stato loro, perché sanza il Senato nonpotevono ordinare la guerra, e, ragunando il Senato, pa-reva loro perdere lo stato. Pure, necessitati, presonoquesto ultimo partito; e ragunati i senatori insieme, mol-ti de' senatori parlarono contro alla superbia de' Dieci, ein particulare Valerio ed Orazio: e l'autorità loro si sa-rebbe al tutto spenta, se non che il Senato, per invidiadella Plebe, non volle mostrare l'autorità sua pensandoche, se i Dieci deponevano il magistrato voluntari, chepotesse essere che i Tribuni della plebe non si rifacesse-ro. Deliberossi dunque la guerra uscissi fuori con duaeserciti guidati da parte di detti Dieci; Appio rimase agovernare la città. Donde nacque che si innamorò diVirginia, e che, volendola tôrre per forza, il padre Virgi-nio, per liberarla, l'ammazzò: donde seguirono i tumultidi Roma e degli eserciti: i quali riduttisi insieme con il

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rimanente della plebe romana, se ne andarono nel Mon-te Sacro, dove stettero tanto che i Dieci deposono il ma-gistrato, e che furono creati i Tribuni ed i Consoli, e ri-dotta Roma nella forma della sua antica libertà.Notasi adunque, per questo testo, in prima, essere natoin Roma questo inconveniente di creare questa tirannideper quelle medesime cagioni che nascano la maggiorparte delle tirannidi nelle città: e questo è da troppo de-siderio del popolo, d'essere libero, e da troppo desideriode' nobili, di comandare. E quando e' non convengano afare una legge in favore della libertà, ma gettasi qualcu-na delle parti a favorire uno, allora è che subito la tiran-nide surge. Convennono il popolo ed i nobili di Roma acreare i Dieci, e crearli con tanta autorità, per il deside-rio che ciascuna delle parti aveva, l'una di spegnere ilnome consolare, l'altra il tribunizio. Creati che furono,parendo alla plebe che Appio fusse diventato popolare ebattessi la Nobilità, si volse il popolo a favorirlo. Equando uno popolo si conduce a fare questo errore, didare riputazione a uno, perché batta quelli che egli ha inodio, e che quello uno sia savio, sempre interverrà ch'e'diventerà tiranno di quella città. Perché egli attenderà,insieme col favore del popolo, a spegnere la Nobilità; enon si volterà mai alla oppressione del popolo, se nonquando e' l'arà spenta; nel quale tempo, conosciutosi ilpopolo essere servo, non abbi dove rifuggire. Questomodo hanno tenuto tutti coloro che hanno fondato tiran-nide in le republiche. E se questo modo avesse tenuto

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rimanente della plebe romana, se ne andarono nel Mon-te Sacro, dove stettero tanto che i Dieci deposono il ma-gistrato, e che furono creati i Tribuni ed i Consoli, e ri-dotta Roma nella forma della sua antica libertà.Notasi adunque, per questo testo, in prima, essere natoin Roma questo inconveniente di creare questa tirannideper quelle medesime cagioni che nascano la maggiorparte delle tirannidi nelle città: e questo è da troppo de-siderio del popolo, d'essere libero, e da troppo desideriode' nobili, di comandare. E quando e' non convengano afare una legge in favore della libertà, ma gettasi qualcu-na delle parti a favorire uno, allora è che subito la tiran-nide surge. Convennono il popolo ed i nobili di Roma acreare i Dieci, e crearli con tanta autorità, per il deside-rio che ciascuna delle parti aveva, l'una di spegnere ilnome consolare, l'altra il tribunizio. Creati che furono,parendo alla plebe che Appio fusse diventato popolare ebattessi la Nobilità, si volse il popolo a favorirlo. Equando uno popolo si conduce a fare questo errore, didare riputazione a uno, perché batta quelli che egli ha inodio, e che quello uno sia savio, sempre interverrà ch'e'diventerà tiranno di quella città. Perché egli attenderà,insieme col favore del popolo, a spegnere la Nobilità; enon si volterà mai alla oppressione del popolo, se nonquando e' l'arà spenta; nel quale tempo, conosciutosi ilpopolo essere servo, non abbi dove rifuggire. Questomodo hanno tenuto tutti coloro che hanno fondato tiran-nide in le republiche. E se questo modo avesse tenuto

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Appio, quella sua tirannide arebbe presa più vita, e nonsarebbe mancata sì presto: ma e' fece tutto il contrario,né si potette governare più imprudentemente; che, pertenere la tirannide, e' si fece inimico di coloro che glieleavevano data e che gliele potevano mantenere, ed inimi-co di quelli che non erano concorsi a dargliene e chenon gliene arebbono potuta mantenere; e perdessi coloroche gli erano amici, e cercò di avere amici quegli chenon gli potevano essere amici. Perché, ancora che i no-bili desiderino tiranneggiare, quella parte della Nobilitàche si truova fuori della tirannide, è sempre inimica altiranno; né quello se la può guadagnare mai tutta, perl'ambizione grande e grande avarizia che è in lei non po-tendo il tiranno avere né tante ricchezze né tanti onoriche a tutta satisfaccia. E così Appio, lasciando il popoloed accostandosi a' nobili, fece uno errore evidentissimo,e per le ragioni dette di sopra, e perché, a volere conviolenza tenere una cosa, bisogna che sia più potente chisforza che chi è sforzato.Donde nasce che quegli tiranni che hanno amico l'uni-versale ed inimici i grandi, sono più sicuri, per essere laloro violenza sostenuta da maggiori forze, che quella dicoloro che hanno per inimico il popolo e amica la Nobi-lità. Perché con quello favore bastono a conservarsi leforze intrinseche: come bastarono a Nabide, tiranno diSparta, quando tutta Grecia e il Popolo romano lo assal-tò: il quale, assicuratosi di pochi nobili, avendo amico ilPopolo, con quello si difese; il che non arebbe potuto

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Appio, quella sua tirannide arebbe presa più vita, e nonsarebbe mancata sì presto: ma e' fece tutto il contrario,né si potette governare più imprudentemente; che, pertenere la tirannide, e' si fece inimico di coloro che glieleavevano data e che gliele potevano mantenere, ed inimi-co di quelli che non erano concorsi a dargliene e chenon gliene arebbono potuta mantenere; e perdessi coloroche gli erano amici, e cercò di avere amici quegli chenon gli potevano essere amici. Perché, ancora che i no-bili desiderino tiranneggiare, quella parte della Nobilitàche si truova fuori della tirannide, è sempre inimica altiranno; né quello se la può guadagnare mai tutta, perl'ambizione grande e grande avarizia che è in lei non po-tendo il tiranno avere né tante ricchezze né tanti onoriche a tutta satisfaccia. E così Appio, lasciando il popoloed accostandosi a' nobili, fece uno errore evidentissimo,e per le ragioni dette di sopra, e perché, a volere conviolenza tenere una cosa, bisogna che sia più potente chisforza che chi è sforzato.Donde nasce che quegli tiranni che hanno amico l'uni-versale ed inimici i grandi, sono più sicuri, per essere laloro violenza sostenuta da maggiori forze, che quella dicoloro che hanno per inimico il popolo e amica la Nobi-lità. Perché con quello favore bastono a conservarsi leforze intrinseche: come bastarono a Nabide, tiranno diSparta, quando tutta Grecia e il Popolo romano lo assal-tò: il quale, assicuratosi di pochi nobili, avendo amico ilPopolo, con quello si difese; il che non arebbe potuto

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fare avendolo inimico. In quello altro grado per averepochi amici dentro, non bastono le forze intrinseche, magli conviene cercare di fuora. Ed hanno a essere di tresorte: l'una satelliti forestieri, che ti guardino la persona,l'altra armare il contado, che faccia quello ufficio chearebbe a fare la plebe, la terza accostarsi con vicini po-tenti che ti difendino. Chi tiene questi modi e gli osservabene, ancora ch'egli avesse per inimico il popolo, po-trebbe in qualche modo salvarsi. Ma Appio non potevafare questo, di guadagnarsi il contado, sendo una mede-sima cosa il contado e Roma: e quel che poteva fare,non seppe: talmente che rovinò ne' primi principii suoi.Fecero il Senato ed il Popolo in questa creazione delDecemvirato errori grandissimi: perché, avvenga che disopra si dica, in quel discorso che si fa del Dittatore, chequegli magistrati che si fanno da per loro, non quelli chefa il popolo, sono nocivi alla libertà; nondimeno il popo-lo debbe, quando egli ordina i magistrati, fargli in modoche gli abbino avere qualche rispetto a diventare scele-rati. E dove e' si debbe preporre loro guardia per mante-nergli buoni, i Romani la levarono, faccendolo solo ma-gistrato in Roma, ed annullando tutti gli altri, per la ec-cessiva voglia (come di sopra dicemo) che il Senatoaveva di spegnere i Tribuni, e la plebe di spegnere iConsoli; la quale gli accecò in modo, che concorsono intale disordine. Perché gli uomini, come diceva il re Fer-rando, spesso fanno come certi minori uccelli di rapina;ne' quali è tanto desiderio di conseguire la loro preda, ache la natura gl'incita, che non sentono uno altro mag-

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fare avendolo inimico. In quello altro grado per averepochi amici dentro, non bastono le forze intrinseche, magli conviene cercare di fuora. Ed hanno a essere di tresorte: l'una satelliti forestieri, che ti guardino la persona,l'altra armare il contado, che faccia quello ufficio chearebbe a fare la plebe, la terza accostarsi con vicini po-tenti che ti difendino. Chi tiene questi modi e gli osservabene, ancora ch'egli avesse per inimico il popolo, po-trebbe in qualche modo salvarsi. Ma Appio non potevafare questo, di guadagnarsi il contado, sendo una mede-sima cosa il contado e Roma: e quel che poteva fare,non seppe: talmente che rovinò ne' primi principii suoi.Fecero il Senato ed il Popolo in questa creazione delDecemvirato errori grandissimi: perché, avvenga che disopra si dica, in quel discorso che si fa del Dittatore, chequegli magistrati che si fanno da per loro, non quelli chefa il popolo, sono nocivi alla libertà; nondimeno il popo-lo debbe, quando egli ordina i magistrati, fargli in modoche gli abbino avere qualche rispetto a diventare scele-rati. E dove e' si debbe preporre loro guardia per mante-nergli buoni, i Romani la levarono, faccendolo solo ma-gistrato in Roma, ed annullando tutti gli altri, per la ec-cessiva voglia (come di sopra dicemo) che il Senatoaveva di spegnere i Tribuni, e la plebe di spegnere iConsoli; la quale gli accecò in modo, che concorsono intale disordine. Perché gli uomini, come diceva il re Fer-rando, spesso fanno come certi minori uccelli di rapina;ne' quali è tanto desiderio di conseguire la loro preda, ache la natura gl'incita, che non sentono uno altro mag-

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giore uccello che sia loro sopra per ammazzarli. Cono-scesi, adunque, per questo discorso, come nel principiopreposi, lo errore del popolo romano, volendo salvare lalibertà, e gli errori di Appio, volendo occupare la tiran-nide.

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giore uccello che sia loro sopra per ammazzarli. Cono-scesi, adunque, per questo discorso, come nel principiopreposi, lo errore del popolo romano, volendo salvare lalibertà, e gli errori di Appio, volendo occupare la tiran-nide.

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41 Saltare dalla umiltà alla superbia, dallapiatà alla crudeltà, sanza i debiti mezzi, è

cosa imprudente e inutile.

Oltre agli altri termini male usati da Appio per mantene-re la tirannide, non fu di poco momento saltare troppopresto da una qualità a un'altra. Perché l'astuzia sua nel-lo ingannare la plebe simulando d'essere uomo popolare,fu bene usata; furono ancora bene usati i termini chetenne perché i Dieci si avessono a rifare; fu ancora beneusata quella audacia di creare sé stesso contro alla opi-nione della Nobilità; fu bene usato creare compagni asuo proposito: ma non fu già bene usato, come egli ebbefatto questo, secondo che disopra dico, mutare, in unosubito, natura; e, di amico, mostrarsi inimico alla plebe;di umano, superbo; di facile, difficile; e farlo tanto pre-sto, che, sanza scusa niuna, ogni uomo avesse a cono-scere la fallacia dello animo suo. Perché chi è parutobuono un tempo, e vuole a suo proposito diventar catti-vo, lo debbe fare per i debiti mezzi; ed in modo condur-visi con le occasioni, che, innanzi che la diversa naturati tolga de' favori vecchi, la te ne abbia dati tanti de'nuovi, che tu non venga a diminuire la tua autorità: altri-menti, trovandoti scoperto e sanza amici, rovini.

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41 Saltare dalla umiltà alla superbia, dallapiatà alla crudeltà, sanza i debiti mezzi, è

cosa imprudente e inutile.

Oltre agli altri termini male usati da Appio per mantene-re la tirannide, non fu di poco momento saltare troppopresto da una qualità a un'altra. Perché l'astuzia sua nel-lo ingannare la plebe simulando d'essere uomo popolare,fu bene usata; furono ancora bene usati i termini chetenne perché i Dieci si avessono a rifare; fu ancora beneusata quella audacia di creare sé stesso contro alla opi-nione della Nobilità; fu bene usato creare compagni asuo proposito: ma non fu già bene usato, come egli ebbefatto questo, secondo che disopra dico, mutare, in unosubito, natura; e, di amico, mostrarsi inimico alla plebe;di umano, superbo; di facile, difficile; e farlo tanto pre-sto, che, sanza scusa niuna, ogni uomo avesse a cono-scere la fallacia dello animo suo. Perché chi è parutobuono un tempo, e vuole a suo proposito diventar catti-vo, lo debbe fare per i debiti mezzi; ed in modo condur-visi con le occasioni, che, innanzi che la diversa naturati tolga de' favori vecchi, la te ne abbia dati tanti de'nuovi, che tu non venga a diminuire la tua autorità: altri-menti, trovandoti scoperto e sanza amici, rovini.

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42 Quanto gli uomini facilmente si possonocorrompere.

Notasi ancora, in questa materia del Decemvirato, quan-to facilmente gli uomini si corrompono, e fannosi diven-tare di contraria natura, quantunque buoni e bene am-maestrati; considerando quanto quella gioventù che Ap-pio si aveva eletta intorno, cominciò a essere amica del-la tirannide per uno poco di utilità che gliene consegui-va; e come Quinto Fabio, uno del numero de' secondiDieci, sendo uomo ottimo, accecato da uno pocod'ambizione, e persuaso dalla malignità di Appio, mutò isuoi buoni costumi in pessimi, e diventò simile a lui. Ilche esaminato bene, farà tanto più pronti i latori di leggidelle republiche o de' regni a frenare gli appetiti umani,e tôrre loro ogni speranza di potere impune errare.

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42 Quanto gli uomini facilmente si possonocorrompere.

Notasi ancora, in questa materia del Decemvirato, quan-to facilmente gli uomini si corrompono, e fannosi diven-tare di contraria natura, quantunque buoni e bene am-maestrati; considerando quanto quella gioventù che Ap-pio si aveva eletta intorno, cominciò a essere amica del-la tirannide per uno poco di utilità che gliene consegui-va; e come Quinto Fabio, uno del numero de' secondiDieci, sendo uomo ottimo, accecato da uno pocod'ambizione, e persuaso dalla malignità di Appio, mutò isuoi buoni costumi in pessimi, e diventò simile a lui. Ilche esaminato bene, farà tanto più pronti i latori di leggidelle republiche o de' regni a frenare gli appetiti umani,e tôrre loro ogni speranza di potere impune errare.

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43 Quegli che combattono per la gloria pro-pria, sono buoni e fedeli soldati.

Considerasi ancora, per il soprascritto trattato, quantadifferenzia è da uno esercito contento e che combatteper la gloria sua, a quello che è male disposto e checombatte per l'ambizione d'altrui. Perché, dove gli eser-citi romani solevano sempre essere vittoriosi sotto iConsoli, sotto i Decemviri sempre perderono. Da questoesemplo si può conoscere, in parte, delle cagioni dellainutilità de' soldati mercenari; i quali non hanno altra ca-gione che gli tenga fermi, che un poco di stipendio chetu dai loro. La qual cagione non è né può essere bastantea fargli fedeli, né tanto tuoi amici, che voglino morireper te. Perché in quegli eserciti che non è un'affezioneverso di quello per chi e' combattono, che gli faccia di-ventare suoi partigiani, non mai vi potrà essere tanta vir-tù che basti a resistere a uno nimico un poco virtuoso. Eperché questo amore non può nascere, né questa gara,da altro che da' sudditi tuoi; è necessario, a volere tenereuno stato, a volere mantenere una republica o uno re-gno, armarsi de' sudditi suoi: come si vede che hannofatto tutti quelli che con gli eserciti hanno fatto grandiprofitti. Avevano gli eserciti romani sotto i Dieci quellamedesima virtù; ma perché in loro non era quella mede-sima disposizione, non facevono gli usitati loro effetti.Ma come prima il magistrato de' Dieci fu spento, e cheloro come liberi cominciorono a militare, ritornò in loro

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43 Quegli che combattono per la gloria pro-pria, sono buoni e fedeli soldati.

Considerasi ancora, per il soprascritto trattato, quantadifferenzia è da uno esercito contento e che combatteper la gloria sua, a quello che è male disposto e checombatte per l'ambizione d'altrui. Perché, dove gli eser-citi romani solevano sempre essere vittoriosi sotto iConsoli, sotto i Decemviri sempre perderono. Da questoesemplo si può conoscere, in parte, delle cagioni dellainutilità de' soldati mercenari; i quali non hanno altra ca-gione che gli tenga fermi, che un poco di stipendio chetu dai loro. La qual cagione non è né può essere bastantea fargli fedeli, né tanto tuoi amici, che voglino morireper te. Perché in quegli eserciti che non è un'affezioneverso di quello per chi e' combattono, che gli faccia di-ventare suoi partigiani, non mai vi potrà essere tanta vir-tù che basti a resistere a uno nimico un poco virtuoso. Eperché questo amore non può nascere, né questa gara,da altro che da' sudditi tuoi; è necessario, a volere tenereuno stato, a volere mantenere una republica o uno re-gno, armarsi de' sudditi suoi: come si vede che hannofatto tutti quelli che con gli eserciti hanno fatto grandiprofitti. Avevano gli eserciti romani sotto i Dieci quellamedesima virtù; ma perché in loro non era quella mede-sima disposizione, non facevono gli usitati loro effetti.Ma come prima il magistrato de' Dieci fu spento, e cheloro come liberi cominciorono a militare, ritornò in loro

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il medesimo animo; e per consequente, le loro impreseavevono il loro fine felice, secondo l'antica consuetudi-ne loro.

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il medesimo animo; e per consequente, le loro impreseavevono il loro fine felice, secondo l'antica consuetudi-ne loro.

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44 Una moltitudine sanza capo è inutile: ecome e' non si debbe minacciare prima ,e poi

chiedere l'autorità.

Era la plebe romana, per lo accidente di Virginia, ridottaarmata nel Monte Sacro. Mandò il Senato suoi amba-sciadori a dimandare con quale autorità gli avevano ab-bandonati i loro capitani, e ridottosi nel Monte. E tantoera stimata l'autorità del Senato, che, non avendo la ple-be intra loro capi, niuno si ardiva a rispondere. E TitoLivio dice, che e' non mancava loro materia a risponde-re, ma mancava loro chi facesse la risposta. La qual cosadimostra appunto la inutilità d'una moltitudine sanzacapo. Il quale disordine fu conosciuto da Virginio, e persuo ordine si creò venti Tribuni militari, che fossero lorocapi, a rispondere e convenire col Senato. Ed avendochiesto che si mandasse loro Valerio ed Orazio, a' qualiloro direbbono la voglia loro, non vi vollono andare seprima i Dieci non deponevano il magistrato: e arrivatisopra il Monte dove era la Plebe, fu domandato loro daquella, che volevano che si creassero i Tribuni della Ple-be, e che si avesse a appellare al Popolo da ogni magi-strato, e che si dessono loro tutti i Dieci che gli volevo-no ardere vivi. Laudarono Valerio ed Orazio le primeloro domande; biasimarono l'ultima come impia, dicen-do: «Crudelitatem damnatis, in crudelitatem ruitis»; econsigliarongli che dovessono lasciare il fare menzionede' Dieci, e ch'egli attendessero a ripigliare l'autorità e

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44 Una moltitudine sanza capo è inutile: ecome e' non si debbe minacciare prima ,e poi

chiedere l'autorità.

Era la plebe romana, per lo accidente di Virginia, ridottaarmata nel Monte Sacro. Mandò il Senato suoi amba-sciadori a dimandare con quale autorità gli avevano ab-bandonati i loro capitani, e ridottosi nel Monte. E tantoera stimata l'autorità del Senato, che, non avendo la ple-be intra loro capi, niuno si ardiva a rispondere. E TitoLivio dice, che e' non mancava loro materia a risponde-re, ma mancava loro chi facesse la risposta. La qual cosadimostra appunto la inutilità d'una moltitudine sanzacapo. Il quale disordine fu conosciuto da Virginio, e persuo ordine si creò venti Tribuni militari, che fossero lorocapi, a rispondere e convenire col Senato. Ed avendochiesto che si mandasse loro Valerio ed Orazio, a' qualiloro direbbono la voglia loro, non vi vollono andare seprima i Dieci non deponevano il magistrato: e arrivatisopra il Monte dove era la Plebe, fu domandato loro daquella, che volevano che si creassero i Tribuni della Ple-be, e che si avesse a appellare al Popolo da ogni magi-strato, e che si dessono loro tutti i Dieci che gli volevo-no ardere vivi. Laudarono Valerio ed Orazio le primeloro domande; biasimarono l'ultima come impia, dicen-do: «Crudelitatem damnatis, in crudelitatem ruitis»; econsigliarongli che dovessono lasciare il fare menzionede' Dieci, e ch'egli attendessero a ripigliare l'autorità e

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potestà loro: dipoi non mancherebbe loro modo a sodi-sfarsi. Dove apertamente si conosce quanta stultizia epoca prudenza è domandare una cosa, e dire prima: iovoglio fare il tale male con essa; perché non si debbemostrare l'animo suo, ma vuolsi cercare di ottenere quelsuo desiderio in ogni modo. Perché e' basta a domandarea uno l'arme, sanza dire: io ti voglio ammazzare conesse; potendo, poi che tu hai l'arme in mano, soddisfareallo appetito tuo.

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potestà loro: dipoi non mancherebbe loro modo a sodi-sfarsi. Dove apertamente si conosce quanta stultizia epoca prudenza è domandare una cosa, e dire prima: iovoglio fare il tale male con essa; perché non si debbemostrare l'animo suo, ma vuolsi cercare di ottenere quelsuo desiderio in ogni modo. Perché e' basta a domandarea uno l'arme, sanza dire: io ti voglio ammazzare conesse; potendo, poi che tu hai l'arme in mano, soddisfareallo appetito tuo.

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45 È cosa di malo esemplo non osservare unalegge fatta, e massime dallo autore d'essa; erinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una cit-

tà, è, a chi la governa, dannosissimo.

Seguito lo accordo, e ridotta Roma in l'antica sua forma,Virginio citò Appio innanzi al Popolo, a difendere la suacausa. Quello comparse accompagnato da molti nobili:Virginio comandò che fusse messo in prigione. Comin-ciò Appio a gridare, ed appellare al Popolo. Virginio di-ceva che non era degno di avere quella appellagione cheegli aveva distrutta, ed avere per difensore quel Popoloche egli aveva offeso: Appio replicava, come e' non ave-vano a violare quella appellagione che gli aveva contanto desiderio ordinata. Pertanto egli fu incarcerato, edavanti al dì del giudizio ammazzò se stesso. E benché lascelerata vita di Appio meritasse ogni supplicio, nondi-meno fu cosa poco civile violare le leggi, e tanto piùquella che era fatta allora. Perché io non credo che siacosa di più cattivo esemplo in una republica, che fareuna legge e non la osservare; e tanto più, quanto la nonè osservata da chi l'ha fatta. Essendo Firenze, dopo al94, stata riordinata nello stato suo con lo aiuto di frateGirolamo Savonerola, gli scritti del quale mostrono ladottrina, la prudenza, e la virtù dello animo suo; edavendo, intra le altre costituzioni per assicurare i cittadi-ni, fatto fare una legge, che si potesse appellare al Popo-lo dalle sentenzie che, per casi di stato, gli Otto e la Si-

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45 È cosa di malo esemplo non osservare unalegge fatta, e massime dallo autore d'essa; erinfrescare ogni dì nuove ingiurie in una cit-

tà, è, a chi la governa, dannosissimo.

Seguito lo accordo, e ridotta Roma in l'antica sua forma,Virginio citò Appio innanzi al Popolo, a difendere la suacausa. Quello comparse accompagnato da molti nobili:Virginio comandò che fusse messo in prigione. Comin-ciò Appio a gridare, ed appellare al Popolo. Virginio di-ceva che non era degno di avere quella appellagione cheegli aveva distrutta, ed avere per difensore quel Popoloche egli aveva offeso: Appio replicava, come e' non ave-vano a violare quella appellagione che gli aveva contanto desiderio ordinata. Pertanto egli fu incarcerato, edavanti al dì del giudizio ammazzò se stesso. E benché lascelerata vita di Appio meritasse ogni supplicio, nondi-meno fu cosa poco civile violare le leggi, e tanto piùquella che era fatta allora. Perché io non credo che siacosa di più cattivo esemplo in una republica, che fareuna legge e non la osservare; e tanto più, quanto la nonè osservata da chi l'ha fatta. Essendo Firenze, dopo al94, stata riordinata nello stato suo con lo aiuto di frateGirolamo Savonerola, gli scritti del quale mostrono ladottrina, la prudenza, e la virtù dello animo suo; edavendo, intra le altre costituzioni per assicurare i cittadi-ni, fatto fare una legge, che si potesse appellare al Popo-lo dalle sentenzie che, per casi di stato, gli Otto e la Si-

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gnoria dessono; la quale legge persuase più tempo, econ difficultà grandissima ottenne; occorse che, pocodopo la confermazione d'essa, furono condannati a mor-te dalla Signoria, per conto di stato, cinque cittadini; evolendo quegli appellare, non furono lasciati, e non fuosservata la legge. Il che tolse più riputazione a quel fra-te, che alcuno altro accidente: perché, se quella appella-gione era utile, e' doveva farla osservare, se la non erautile, non doveva farla vincere. E tanto più fu notatoquesto accidente, quanto che il frate, in tante predicazio-ni che fece poi che fu rotta questa legge, non mai o dan-nò chi l'aveva rotta, o lo scusò; come quello che dannarenon la voleva come cosa che gli tornava a proposito, escusare non la poteva. Il che avendo scoperto l'animosuo ambizioso e partigiano, gli tolse riputazione, e dette-gli assai carico.Offende ancora uno stato assai, rinfrescare ogni dì nelloanimo de' tuoi cittadini nuovi umori per nuove ingiurieche a questo e quello si facciano: come intervenne aRoma dopo il Decemvirato. Perché tutti i Dieci, ed altricittadini in diversi tempi, furono accusati e condennati;in modo che gli era uno spavento grandissimo in tutta laNobilità, giudicando che e' non si avesse mai a porrefine a simili condennagioni, fino a tanto che tutta la No-bilità non fusse distrutta. Ed arebbe generato, in quellacittà, grande inconveniente, se da Marco Duellio tribunonon vi fusse stato proveduto; il quale fece uno editto,che per uno anno non fusse lecito a alcuno citare o accu-

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gnoria dessono; la quale legge persuase più tempo, econ difficultà grandissima ottenne; occorse che, pocodopo la confermazione d'essa, furono condannati a mor-te dalla Signoria, per conto di stato, cinque cittadini; evolendo quegli appellare, non furono lasciati, e non fuosservata la legge. Il che tolse più riputazione a quel fra-te, che alcuno altro accidente: perché, se quella appella-gione era utile, e' doveva farla osservare, se la non erautile, non doveva farla vincere. E tanto più fu notatoquesto accidente, quanto che il frate, in tante predicazio-ni che fece poi che fu rotta questa legge, non mai o dan-nò chi l'aveva rotta, o lo scusò; come quello che dannarenon la voleva come cosa che gli tornava a proposito, escusare non la poteva. Il che avendo scoperto l'animosuo ambizioso e partigiano, gli tolse riputazione, e dette-gli assai carico.Offende ancora uno stato assai, rinfrescare ogni dì nelloanimo de' tuoi cittadini nuovi umori per nuove ingiurieche a questo e quello si facciano: come intervenne aRoma dopo il Decemvirato. Perché tutti i Dieci, ed altricittadini in diversi tempi, furono accusati e condennati;in modo che gli era uno spavento grandissimo in tutta laNobilità, giudicando che e' non si avesse mai a porrefine a simili condennagioni, fino a tanto che tutta la No-bilità non fusse distrutta. Ed arebbe generato, in quellacittà, grande inconveniente, se da Marco Duellio tribunonon vi fusse stato proveduto; il quale fece uno editto,che per uno anno non fusse lecito a alcuno citare o accu-

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sare alcuno cittadino romano: il che rassicurò tutta laNobilità. Dove si vede quanto sia dannoso a una repu-blica o a un principe, tenere con le continove pene edoffese sospesi e paurosi gli animi de' sudditi. E sanzadubbio non si può tenere il più pernizioso ordine: perchégli uomini che cominciono a dubitare di avere a capitaremale, in ogni modo si assicurano ne' pericoli, e divento-no più audaci, e meno respettivi a tentare cose nuove.Però è necessario o non offendere mai alcuno, o fare leoffese a un tratto: e dipoi rassicurare gli uomini, e dareloro cagione di quietare e fermare l'animo.

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sare alcuno cittadino romano: il che rassicurò tutta laNobilità. Dove si vede quanto sia dannoso a una repu-blica o a un principe, tenere con le continove pene edoffese sospesi e paurosi gli animi de' sudditi. E sanzadubbio non si può tenere il più pernizioso ordine: perchégli uomini che cominciono a dubitare di avere a capitaremale, in ogni modo si assicurano ne' pericoli, e divento-no più audaci, e meno respettivi a tentare cose nuove.Però è necessario o non offendere mai alcuno, o fare leoffese a un tratto: e dipoi rassicurare gli uomini, e dareloro cagione di quietare e fermare l'animo.

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46 Li uomini salgono da una ambizione aun'altra; e prima si cerca non essere offeso,

dipoi si offende altrui.

Avendo il Popolo romano recuperata la libertà e ritorna-to nel suo pristino grado ed in tanto maggiore quanto sierano fatte di molte leggi nuove in confermazione dellasua potenza; pareva ragionevole che Roma qualche vol-ta quietassi. Nondimeno, per esperienza si vide in con-trario; perché ogni dì vi surgeva nuovi tumulti e nuovediscordie. E perché Tito Livio prudentissimamente ren-de la ragione donde questo nasceva, non mi pare se nona proposito referire appunto le sue parole, dove dice chesempre o il Popolo o la Nobilità insuperbiva, quandol'altro si umiliava; e stando la plebe quieta intra i terminisuoi, cominciarono i giovani nobili a ingiuriarla; ed iTribuni vi potevon fare pochi rimedi, perché, loro an-che, erano violati. La Nobilità, dall'altra parte, ancorache gli paresse che la sua gioventù fusse troppo feroce,nonpertanto aveva a caro che, avendosi a trapassare ilmodo, lo trapassassono i suoi, e non la plebe. E così ildisiderio di difendere la libertà faceva che ciascuno tan-to si prevaleva ch'egli oppressava l'altro. E l'ordine diquesti accidenti è che, mentre che gli uomini cercono dinon temere, cominciono a fare temere altrui; e quella in-giuria che gli scacciano da loro, la pongono sopra un al-tro; come se fusse necessario offendere o essere offeso.Vedesi, per questo, in quale modo, fra gli altri, le repu-

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46 Li uomini salgono da una ambizione aun'altra; e prima si cerca non essere offeso,

dipoi si offende altrui.

Avendo il Popolo romano recuperata la libertà e ritorna-to nel suo pristino grado ed in tanto maggiore quanto sierano fatte di molte leggi nuove in confermazione dellasua potenza; pareva ragionevole che Roma qualche vol-ta quietassi. Nondimeno, per esperienza si vide in con-trario; perché ogni dì vi surgeva nuovi tumulti e nuovediscordie. E perché Tito Livio prudentissimamente ren-de la ragione donde questo nasceva, non mi pare se nona proposito referire appunto le sue parole, dove dice chesempre o il Popolo o la Nobilità insuperbiva, quandol'altro si umiliava; e stando la plebe quieta intra i terminisuoi, cominciarono i giovani nobili a ingiuriarla; ed iTribuni vi potevon fare pochi rimedi, perché, loro an-che, erano violati. La Nobilità, dall'altra parte, ancorache gli paresse che la sua gioventù fusse troppo feroce,nonpertanto aveva a caro che, avendosi a trapassare ilmodo, lo trapassassono i suoi, e non la plebe. E così ildisiderio di difendere la libertà faceva che ciascuno tan-to si prevaleva ch'egli oppressava l'altro. E l'ordine diquesti accidenti è che, mentre che gli uomini cercono dinon temere, cominciono a fare temere altrui; e quella in-giuria che gli scacciano da loro, la pongono sopra un al-tro; come se fusse necessario offendere o essere offeso.Vedesi, per questo, in quale modo, fra gli altri, le repu-

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bliche si risolvono, ed in che modo gli uomini salgonoda un'ambizione a un'altra, e come quella sentenza sallu-stiana, posta in bocca di Cesare, e verissima: «quod om-nia mala exempla bonis initiis orta sunt». Cercono,come di sopra è detto, quegli cittadini che ambiziosa-mente vivono in una republica, la prima cosa, di non po-tere essere offesi, non solamente dai privati, ma etiamda' magistrati: cercono, per poter fare questo, amicizie; equelle acquistano per vie in apparenza oneste, o consovvenire di danari, o con difenderli da' potenti: e per-ché questo pare virtuoso, inganna facilmente ciascuno, eper questo non vi si pone rimedi; in tanto che lui, sanzaostaculo perseverando, diventa di qualità che i privaticittadini ne hanno paura, ed i magistrati gli hanno rispet-to. E quando egli è salito a questo grado, e non si siaprima ovviato alla sua grandezza, viene a essere in ter-mine, che volerlo urtare è pericolosissimo, per le ragioniche io dissi, di sopra, del pericolo ch'è nello urtare uninconveniente che abbi di già fatto assai augumento inuna città: tanto che la cosa si riduce in termine che biso-gna, o cercare di spegnerlo con pericolo d'una subita ro-vina, o, lasciandolo fare, entrare in una servitù manife-sta, se morte o qualche accidente non te ne libera. Per-ché, venuto a' soprascritti termini, che i cittadini e magi-strati abbino paura a offendere lui e gli amici suoi, nondura dipoi molta fatica a fare che giudichino ed offendi-no a suo modo. Donde una republica intra gli ordini suoidebbe avere questo, di vegghiare che i suoi cittadini,sotto ombra di bene non possino fare male; e ch'egli ab-

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bliche si risolvono, ed in che modo gli uomini salgonoda un'ambizione a un'altra, e come quella sentenza sallu-stiana, posta in bocca di Cesare, e verissima: «quod om-nia mala exempla bonis initiis orta sunt». Cercono,come di sopra è detto, quegli cittadini che ambiziosa-mente vivono in una republica, la prima cosa, di non po-tere essere offesi, non solamente dai privati, ma etiamda' magistrati: cercono, per poter fare questo, amicizie; equelle acquistano per vie in apparenza oneste, o consovvenire di danari, o con difenderli da' potenti: e per-ché questo pare virtuoso, inganna facilmente ciascuno, eper questo non vi si pone rimedi; in tanto che lui, sanzaostaculo perseverando, diventa di qualità che i privaticittadini ne hanno paura, ed i magistrati gli hanno rispet-to. E quando egli è salito a questo grado, e non si siaprima ovviato alla sua grandezza, viene a essere in ter-mine, che volerlo urtare è pericolosissimo, per le ragioniche io dissi, di sopra, del pericolo ch'è nello urtare uninconveniente che abbi di già fatto assai augumento inuna città: tanto che la cosa si riduce in termine che biso-gna, o cercare di spegnerlo con pericolo d'una subita ro-vina, o, lasciandolo fare, entrare in una servitù manife-sta, se morte o qualche accidente non te ne libera. Per-ché, venuto a' soprascritti termini, che i cittadini e magi-strati abbino paura a offendere lui e gli amici suoi, nondura dipoi molta fatica a fare che giudichino ed offendi-no a suo modo. Donde una republica intra gli ordini suoidebbe avere questo, di vegghiare che i suoi cittadini,sotto ombra di bene non possino fare male; e ch'egli ab-

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bino quella riputazione che giovi, e non nuoca, alla li-bertà, come nel suo luogo da noi sarà disputato.

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bino quella riputazione che giovi, e non nuoca, alla li-bertà, come nel suo luogo da noi sarà disputato.

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47 Gli uomini, come che s'ingannino ne' ge-nerali, ne' particulari non s'ingannono.

Essendosi il Popolo romano, come di sopra si disse, re-cato a noia il nome consolare, e volendo che potessonoessere fatti Consoli uomini plebei, o che fusse diminuitala loro autorità; la Nobilità, per non maculare l'autoritàconsolare né con l'una né con l'altra cosa, prese una viadi mezzo, e fu contenta che si creassi quattro Tribunicon potestà consolare, i quali potessono essere così ple-bei come nobili. Fu contenta a questo la plebe, parendo-le spegnere il Consolato, ed avere in questo sommo gra-do la parte sua. Nacquene di questo uno caso notabile:che, venendosi alla creazione di questi Tribuni, e poten-dosi creare tutti plebei, furono dal Popolo romano creatitutti nobili. Onde Tito Livio dice queste parole: «Quo-rum comitiorum eventus docuit, alios animos in conten-tione libertatis et honoris, alios secundum deposita cer-tamina in incorrupto iudicio esse». Ed esaminando don-de possa procedere questo, credo proceda che gli uomininelle cose generali s'ingannono assai, nelle particularinon tanto. Pareva generalmente alla Plebe romana dimeritare il Consolato, per avere più parte in la città, perportare più pericolo nelle guerre, per essere quella checon le braccia sue manteneva Roma libera, e la facevapotente. E parendogli, come è detto, questo suo deside-rio ragionevole, volse ottenere questa autorità in ognimodo. Ma come la ebbe a fare giudicio degli uomini

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47 Gli uomini, come che s'ingannino ne' ge-nerali, ne' particulari non s'ingannono.

Essendosi il Popolo romano, come di sopra si disse, re-cato a noia il nome consolare, e volendo che potessonoessere fatti Consoli uomini plebei, o che fusse diminuitala loro autorità; la Nobilità, per non maculare l'autoritàconsolare né con l'una né con l'altra cosa, prese una viadi mezzo, e fu contenta che si creassi quattro Tribunicon potestà consolare, i quali potessono essere così ple-bei come nobili. Fu contenta a questo la plebe, parendo-le spegnere il Consolato, ed avere in questo sommo gra-do la parte sua. Nacquene di questo uno caso notabile:che, venendosi alla creazione di questi Tribuni, e poten-dosi creare tutti plebei, furono dal Popolo romano creatitutti nobili. Onde Tito Livio dice queste parole: «Quo-rum comitiorum eventus docuit, alios animos in conten-tione libertatis et honoris, alios secundum deposita cer-tamina in incorrupto iudicio esse». Ed esaminando don-de possa procedere questo, credo proceda che gli uomininelle cose generali s'ingannono assai, nelle particularinon tanto. Pareva generalmente alla Plebe romana dimeritare il Consolato, per avere più parte in la città, perportare più pericolo nelle guerre, per essere quella checon le braccia sue manteneva Roma libera, e la facevapotente. E parendogli, come è detto, questo suo deside-rio ragionevole, volse ottenere questa autorità in ognimodo. Ma come la ebbe a fare giudicio degli uomini

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suoi particularmente, conobbe la debolezza di quegli, egiudicò che nessuno di loro meritasse quello che tuttainsieme gli pareva meritare. Talché, vergognatasi diloro, ricorse a quegli che lo meritavano. Della quale di-liberazione maravigliandosi meritamente Tito Livio,dice queste parole: «Hanc modestiam aequitatemque etaltitudinem animi, ubi nunc in uno inveneris, quae tuncpopuli universi fuit?».In confirmazione di questo, se ne può addurre un altronotabile esemplo, seguito in Capova da poi che Anniba-le ebbe rotti i Romani a Canne. Per la quale rotta sendotutta sollevata Italia, Capova ancora stava per tumultua-re, per l'odio che era intra 'l popolo ed il Senato: e tro-vandosi in quel tempo nel supremo magistrato PacuvioCalano, e conoscendo il pericolo che portava quella cittàdi tumultuare, disegnò con suo grado riconciliare la Ple-be con la Nobilità; e fatto questo pensiero, fece ragunareil Senato, e narrò loro l'odio che il popolo aveva controdi loro, ed i pericoli che portavano di essere ammazzatida quello, e data la città a Annibale, sendo le cose de'Romani afflitte: dipoi soggiunse che, se volevano lascia-re governare questa cosa a lui, farebbe in modo che siunirebbono insieme; ma gli voleva serrare dentro al pa-lagio, e, col fare potestà al popolo di potergli gastigare,salvargli. Cederono a questa sua opinione i Senatori; equello chiamò il popolo a concione, avendo rinchiuso inpalagio il Senato; e disse com'egli era venuto il tempoche potevano domare la superbia della Nobilità, e vendi-

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suoi particularmente, conobbe la debolezza di quegli, egiudicò che nessuno di loro meritasse quello che tuttainsieme gli pareva meritare. Talché, vergognatasi diloro, ricorse a quegli che lo meritavano. Della quale di-liberazione maravigliandosi meritamente Tito Livio,dice queste parole: «Hanc modestiam aequitatemque etaltitudinem animi, ubi nunc in uno inveneris, quae tuncpopuli universi fuit?».In confirmazione di questo, se ne può addurre un altronotabile esemplo, seguito in Capova da poi che Anniba-le ebbe rotti i Romani a Canne. Per la quale rotta sendotutta sollevata Italia, Capova ancora stava per tumultua-re, per l'odio che era intra 'l popolo ed il Senato: e tro-vandosi in quel tempo nel supremo magistrato PacuvioCalano, e conoscendo il pericolo che portava quella cittàdi tumultuare, disegnò con suo grado riconciliare la Ple-be con la Nobilità; e fatto questo pensiero, fece ragunareil Senato, e narrò loro l'odio che il popolo aveva controdi loro, ed i pericoli che portavano di essere ammazzatida quello, e data la città a Annibale, sendo le cose de'Romani afflitte: dipoi soggiunse che, se volevano lascia-re governare questa cosa a lui, farebbe in modo che siunirebbono insieme; ma gli voleva serrare dentro al pa-lagio, e, col fare potestà al popolo di potergli gastigare,salvargli. Cederono a questa sua opinione i Senatori; equello chiamò il popolo a concione, avendo rinchiuso inpalagio il Senato; e disse com'egli era venuto il tempoche potevano domare la superbia della Nobilità, e vendi-

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carsi delle ingiurie ricevute da quella, avendogli rinchiu-si tutti sotto la sua custodia: ma perché credeva che loronon volessono che la loro città rimanessi sanza governo,era necessario, volendo ammazzare i Senatori vecchi,crearne de' nuovi: e per tanto aveva messo tutti i nomide' Senatori in una borsa, e comincerebbe a tragli in loropresenza; e gli farebbe, i tratti, di mano in mano morire,come prima loro avessono trovato il successore. E co-minciato a trarne uno, fu al nome di quello levato unoromore grandissimo, chiamandolo uomo superbo, cru-dele ed arrogante: e chiedendo Pacuvio che facessono loscambio, si racchetò tutta la concione; e dopo alquantospazio, fu nominato uno della plebe; al nome del qualechi cominciò a fischiare, chi a ridere, chi a dirne male inuno modo, e chi in uno altro. E così seguitando di manoin mano, tutti quegli che furono nominati, gli giudicava-no indegni del grado senatorio. Di modo che Pacuvio,preso sopra questo occasione, disse: Poiché voi giudica-te che questa città stia male sanza il Senato, e, a fare gliscambi a' Senatori vecchi non vi accordate, io penso chesia bene che voi vi riconciliate insieme; perché questapaura in la quale i Senatori sono stati, gli arà fatti inmodo raumiliare che quella umanità che voi cercavi al-trove, troverrete in loro. Ed accordatisi a questo, ne se-guì la unione di questo ordine; e quello inganno in cheegli erano si scoperse, come e' furno costretti venire a'particulari. Ingannonsi, oltra di questo, i popoli general-mente nel giudicare le cose e gli accidenti di esse; lequali, dipoi si conoscono particularmente, mancano di

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carsi delle ingiurie ricevute da quella, avendogli rinchiu-si tutti sotto la sua custodia: ma perché credeva che loronon volessono che la loro città rimanessi sanza governo,era necessario, volendo ammazzare i Senatori vecchi,crearne de' nuovi: e per tanto aveva messo tutti i nomide' Senatori in una borsa, e comincerebbe a tragli in loropresenza; e gli farebbe, i tratti, di mano in mano morire,come prima loro avessono trovato il successore. E co-minciato a trarne uno, fu al nome di quello levato unoromore grandissimo, chiamandolo uomo superbo, cru-dele ed arrogante: e chiedendo Pacuvio che facessono loscambio, si racchetò tutta la concione; e dopo alquantospazio, fu nominato uno della plebe; al nome del qualechi cominciò a fischiare, chi a ridere, chi a dirne male inuno modo, e chi in uno altro. E così seguitando di manoin mano, tutti quegli che furono nominati, gli giudicava-no indegni del grado senatorio. Di modo che Pacuvio,preso sopra questo occasione, disse: Poiché voi giudica-te che questa città stia male sanza il Senato, e, a fare gliscambi a' Senatori vecchi non vi accordate, io penso chesia bene che voi vi riconciliate insieme; perché questapaura in la quale i Senatori sono stati, gli arà fatti inmodo raumiliare che quella umanità che voi cercavi al-trove, troverrete in loro. Ed accordatisi a questo, ne se-guì la unione di questo ordine; e quello inganno in cheegli erano si scoperse, come e' furno costretti venire a'particulari. Ingannonsi, oltra di questo, i popoli general-mente nel giudicare le cose e gli accidenti di esse; lequali, dipoi si conoscono particularmente, mancano di

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tale inganno.Dopo il 1494, sendo stati i principi della città cacciati daFirenze, e non vi essendo alcuno governo ordinato, mapiù tosto una certa licenza ambiziosa, ed andando lecose publiche di male in peggio; molti popolari, veggen-do la rovina della città, e non ne intendendo altra cagio-ne, ne accusavano la ambizione di qualche potente chenutrisse i disordini, per potere fare uno stato a suo pro-posito, e tôrre loro la libertà; e stavano questi tali per lelogge e per le piazze, dicendo male di molti cittadini,minacciandogli che, se mai si trovassino de' Signori,scoprirebbero questo loro inganno, e gli gastigarebbero.Occorreva spesso che di simili ne ascendeva al supremomagistrato; e come egli era salito in quel luogo, e chevedeva le cose più da presso, conosceva i disordini don-de nascevano, ed i pericoli che soprastavano, e la diffi-cultà del rimediarvi. E veduto come i tempi, e non gliuomini, causavano il disordine, diventava subito d'un al-tro animo, e d'un'altra fatta; perché la cognizione dellecose particulari gli toglieva via quello inganno che nelconsiderarle generalmente si aveva presupposto. Dimo-doché, quelli che lo avevano prima, quando era privato,sentito parlare, e vedutolo poi nel supremo magistratostare quieto, credevono che nascessi, non per più veracognizione delle cose, ma perché fusse stato aggirato ecorrotto dai grandi. Ed accadendo questo a molti uomi-ni, e molte volte, ne nacque tra loro uno proverbio chediceva: Costoro hanno uno animo in piazza, ed uno in

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tale inganno.Dopo il 1494, sendo stati i principi della città cacciati daFirenze, e non vi essendo alcuno governo ordinato, mapiù tosto una certa licenza ambiziosa, ed andando lecose publiche di male in peggio; molti popolari, veggen-do la rovina della città, e non ne intendendo altra cagio-ne, ne accusavano la ambizione di qualche potente chenutrisse i disordini, per potere fare uno stato a suo pro-posito, e tôrre loro la libertà; e stavano questi tali per lelogge e per le piazze, dicendo male di molti cittadini,minacciandogli che, se mai si trovassino de' Signori,scoprirebbero questo loro inganno, e gli gastigarebbero.Occorreva spesso che di simili ne ascendeva al supremomagistrato; e come egli era salito in quel luogo, e chevedeva le cose più da presso, conosceva i disordini don-de nascevano, ed i pericoli che soprastavano, e la diffi-cultà del rimediarvi. E veduto come i tempi, e non gliuomini, causavano il disordine, diventava subito d'un al-tro animo, e d'un'altra fatta; perché la cognizione dellecose particulari gli toglieva via quello inganno che nelconsiderarle generalmente si aveva presupposto. Dimo-doché, quelli che lo avevano prima, quando era privato,sentito parlare, e vedutolo poi nel supremo magistratostare quieto, credevono che nascessi, non per più veracognizione delle cose, ma perché fusse stato aggirato ecorrotto dai grandi. Ed accadendo questo a molti uomi-ni, e molte volte, ne nacque tra loro uno proverbio chediceva: Costoro hanno uno animo in piazza, ed uno in

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palazzo. Considerando, dunque, tutto quello si è discor-so, si vede come e' si può fare tosto aprire gli occhi a'popoli, trovando modo, veggendo che uno generalegl'inganna, ch'egli abbino a discendere a' particulari;come fece Pacuvio in Capova, ed il Senato in Roma.Credo ancora, che si possa conchiudere, che mai unuomo prudente non debba fuggire il giudicio popularenelle cose particulari, circa le distribuzioni de' gradi edelle dignità: perché solo in questo il popolo nons'inganna; e se s'inganna qualche volta, fia sì rado, ches'inganneranno più volte i pochi uomini che avessono afare simili distribuzioni. Né mi pare superfluo mostrare,nel seguente capitolo, l'ordine che teneva il Senato peringannare il popolo nelle distribuzioni sue.

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palazzo. Considerando, dunque, tutto quello si è discor-so, si vede come e' si può fare tosto aprire gli occhi a'popoli, trovando modo, veggendo che uno generalegl'inganna, ch'egli abbino a discendere a' particulari;come fece Pacuvio in Capova, ed il Senato in Roma.Credo ancora, che si possa conchiudere, che mai unuomo prudente non debba fuggire il giudicio popularenelle cose particulari, circa le distribuzioni de' gradi edelle dignità: perché solo in questo il popolo nons'inganna; e se s'inganna qualche volta, fia sì rado, ches'inganneranno più volte i pochi uomini che avessono afare simili distribuzioni. Né mi pare superfluo mostrare,nel seguente capitolo, l'ordine che teneva il Senato peringannare il popolo nelle distribuzioni sue.

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48 Chi vuole che uno magistrato non sia datoa uno vile o a uno cattivo, lo facci domanda-

re o a uno troppo vile e troppo cattivo o a unotroppo nobile e troppo buono.

Quando il Senato dubitava che i Tribuni con potestàconsolare non fussero fatti d'uomini plebei, teneva unode' due modi: o egli faceva domandare ai più riputati uo-mini di Roma; o veramente, per i debiti mezzi, corrom-peva qualche plebeio vile ed ignobilissimo, che mesco-lati con i plebei che, di migliore qualità, per l'ordinariose lo domandavano, anche loro lo domandassono. Que-sto ultimo modo faceva che la plebe si vergognava adarlo; quel primo faceva che la si vergognava a torlo. Ilche tutto torna a proposito del precedente discorso, dovesi mostra che il popolo, se s'inganna de' generali, de'particulari non s'inganna.

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48 Chi vuole che uno magistrato non sia datoa uno vile o a uno cattivo, lo facci domanda-

re o a uno troppo vile e troppo cattivo o a unotroppo nobile e troppo buono.

Quando il Senato dubitava che i Tribuni con potestàconsolare non fussero fatti d'uomini plebei, teneva unode' due modi: o egli faceva domandare ai più riputati uo-mini di Roma; o veramente, per i debiti mezzi, corrom-peva qualche plebeio vile ed ignobilissimo, che mesco-lati con i plebei che, di migliore qualità, per l'ordinariose lo domandavano, anche loro lo domandassono. Que-sto ultimo modo faceva che la plebe si vergognava adarlo; quel primo faceva che la si vergognava a torlo. Ilche tutto torna a proposito del precedente discorso, dovesi mostra che il popolo, se s'inganna de' generali, de'particulari non s'inganna.

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49 Se quelle cittadi che hanno avuto il princi-pio libero, come Roma, hanno difficultà a

trovare legge che le mantenghino: quelle chelo hanno immediate servo, ne hanno quasi

una impossibilità.

Quanto sia difficile, nello ordinare una republica, prove-dere a tutte quelle leggi che la mantengono libera, lo di-mostra assai bene il processo della Republica romana:dove, non ostante che fussono ordinate di molte leggi daRomolo prima, dipoi da Numa, da Tullo Ostilio e Ser-vio, ed ultimamente dai dieci cittadini creati a simileopera; nondimeno sempre nel maneggiare quella città siscoprivono nuove necessità, ed era necessario crearenuovi ordini: come intervenne quando crearono i Censo-ri i quali furono uno di quegli provvedimenti che aiuta-rono tenere Roma libera, quel tempo che la visse in li-bertà. Perché, diventati arbitri de' costumi di Roma, fu-rono cagione potissima che i Romani differissono più acorrompersi. Feciono bene nel principio della creazionedi tale magistrato uno errore, creando quello per cinqueanni; ma, dipoi non molto tempo, fu corretto dalla pru-denza di Mamerco dittatore, il quale per nuova legge ri-dusse detto magistrato a diciotto mesi. Il che i Censori,che vegghiavano ebbero tanto per male, che privaronoMamerco del Senato: la quale cosa e dalla Plebe e daiPadri fu assai biasimata. E perché la istoria non mostra

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49 Se quelle cittadi che hanno avuto il princi-pio libero, come Roma, hanno difficultà a

trovare legge che le mantenghino: quelle chelo hanno immediate servo, ne hanno quasi

una impossibilità.

Quanto sia difficile, nello ordinare una republica, prove-dere a tutte quelle leggi che la mantengono libera, lo di-mostra assai bene il processo della Republica romana:dove, non ostante che fussono ordinate di molte leggi daRomolo prima, dipoi da Numa, da Tullo Ostilio e Ser-vio, ed ultimamente dai dieci cittadini creati a simileopera; nondimeno sempre nel maneggiare quella città siscoprivono nuove necessità, ed era necessario crearenuovi ordini: come intervenne quando crearono i Censo-ri i quali furono uno di quegli provvedimenti che aiuta-rono tenere Roma libera, quel tempo che la visse in li-bertà. Perché, diventati arbitri de' costumi di Roma, fu-rono cagione potissima che i Romani differissono più acorrompersi. Feciono bene nel principio della creazionedi tale magistrato uno errore, creando quello per cinqueanni; ma, dipoi non molto tempo, fu corretto dalla pru-denza di Mamerco dittatore, il quale per nuova legge ri-dusse detto magistrato a diciotto mesi. Il che i Censori,che vegghiavano ebbero tanto per male, che privaronoMamerco del Senato: la quale cosa e dalla Plebe e daiPadri fu assai biasimata. E perché la istoria non mostra

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che Mamerco se ne potessi difendere, conviene o che loistorico sia difettivo, o gli ordini di Roma in questa par-te non buoni: perché e' non è bene che una republica siain modo ordinata, che uno cittadino per promulgare unalegge conforme al vivere libero, ne possa essere, sanzaalcuno rimedio, offeso. Ma tornando al principio di que-sto discorso, dico che si debbe, per la creazione di que-sto nuovo magistrato, considerare che, se quelle cittàche hanno avuto il principio loro libero, e che per sé me-desimo si è retto, come Roma, hanno difficultà grande atrovare leggi buone per mantenerle libere; non è maravi-glia che quelle città che hanno avuto il principio loroimmediate servo, abbino, non che difficultà, ma impos-sibilità a ordinarsi mai in modo che le possino vivere ci-vilmente e quietamente. Come si vede che è intervenutoalla città di Firenze; la quale, per avere avuto il princi-pio suo sottoposto allo Imperio romano, ed essendo vi-vuta sempre sotto il governo d'altrui, stette un tempoabietta, e sanza pensare a sé medesima: dipoi, venuta laoccasione di respirare, cominciò a fare suoi ordini; iquali sendo mescolati con gli antichi, che erano cattivi,non poterono essere buoni: e così è ita maneggiandosi,per dugento anni che si ha di vera memoria, sanza averemai avuto stato, per il quale la possa veramente esserechiamata republica. E queste difficultà, che sono state inlei, sono state sempre in tutte quelle città che hannoavuto i principii simili a lei. E, benché molte volte, persuffragi pubblici e liberi, si sia data ampla autorità a po-chi cittadini di potere riformarla; non pertanto non mai

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che Mamerco se ne potessi difendere, conviene o che loistorico sia difettivo, o gli ordini di Roma in questa par-te non buoni: perché e' non è bene che una republica siain modo ordinata, che uno cittadino per promulgare unalegge conforme al vivere libero, ne possa essere, sanzaalcuno rimedio, offeso. Ma tornando al principio di que-sto discorso, dico che si debbe, per la creazione di que-sto nuovo magistrato, considerare che, se quelle cittàche hanno avuto il principio loro libero, e che per sé me-desimo si è retto, come Roma, hanno difficultà grande atrovare leggi buone per mantenerle libere; non è maravi-glia che quelle città che hanno avuto il principio loroimmediate servo, abbino, non che difficultà, ma impos-sibilità a ordinarsi mai in modo che le possino vivere ci-vilmente e quietamente. Come si vede che è intervenutoalla città di Firenze; la quale, per avere avuto il princi-pio suo sottoposto allo Imperio romano, ed essendo vi-vuta sempre sotto il governo d'altrui, stette un tempoabietta, e sanza pensare a sé medesima: dipoi, venuta laoccasione di respirare, cominciò a fare suoi ordini; iquali sendo mescolati con gli antichi, che erano cattivi,non poterono essere buoni: e così è ita maneggiandosi,per dugento anni che si ha di vera memoria, sanza averemai avuto stato, per il quale la possa veramente esserechiamata republica. E queste difficultà, che sono state inlei, sono state sempre in tutte quelle città che hannoavuto i principii simili a lei. E, benché molte volte, persuffragi pubblici e liberi, si sia data ampla autorità a po-chi cittadini di potere riformarla; non pertanto non mai

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l'hanno ordinata a comune utilità, ma sempre a proposi-to della parte loro: il che ha fatto, non ordine, ma mag-giore disordine in quella città. E per venire a qualcheesemplo particulare, dico come, intra le altre cose che sihanno a considerare da uno ordinatore d'una republica èesaminare nelle mani di quali uomini ei ponga l'autoritàdel sangue contro de' suoi cittadini. Questo era bene or-dinato in Roma, perché e' si poteva appellare al Popoloordinariamente: e se pure fosse occorso cosa importante,dove il differire la esecuzione mediante l'appellagionefusse pericoloso, avevano il refugio del Dittatore, il qua-le eseguiva immediate; al quale rimedio non refuggiva-no mai, se non per necessità. Ma Firenze, e le altre cittànate nel modo di lei, sendo serve, avevano questa auto-rità collocata in uno forestiero, il quale, mandato dalprincipe, faceva tale ufficio. Quando dipoi vennono inlibertà, mantennono questa autorità in uno forestiero, ilquale chiamavono capitano: il che, per potere essere fa-cilmente corrotto da' cittadini potenti, era cosa pernizio-sissima. Ma dipoi, mutandosi per la mutazione degli sta-ti questo ordine, crearono otto cittadini che facessinol'uffizio di quel capitano. El quale ordine, di cattivo, di-ventò pessimo, per le ragioni che altre volte sono dette;che i pochi furono sempre ministri de' pochi, e de' piùpotenti. Da che si è guardata la città di Vinegia; la qualeha dieci cittadini, che, sanza appello, possono punireogni cittadino. E perché e' non basterebbono a punire ipotenti, ancora che ne avessino autorità, vi hanno con-stituito la Quarantia: e di più, hanno voluto che il Consi-

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l'hanno ordinata a comune utilità, ma sempre a proposi-to della parte loro: il che ha fatto, non ordine, ma mag-giore disordine in quella città. E per venire a qualcheesemplo particulare, dico come, intra le altre cose che sihanno a considerare da uno ordinatore d'una republica èesaminare nelle mani di quali uomini ei ponga l'autoritàdel sangue contro de' suoi cittadini. Questo era bene or-dinato in Roma, perché e' si poteva appellare al Popoloordinariamente: e se pure fosse occorso cosa importante,dove il differire la esecuzione mediante l'appellagionefusse pericoloso, avevano il refugio del Dittatore, il qua-le eseguiva immediate; al quale rimedio non refuggiva-no mai, se non per necessità. Ma Firenze, e le altre cittànate nel modo di lei, sendo serve, avevano questa auto-rità collocata in uno forestiero, il quale, mandato dalprincipe, faceva tale ufficio. Quando dipoi vennono inlibertà, mantennono questa autorità in uno forestiero, ilquale chiamavono capitano: il che, per potere essere fa-cilmente corrotto da' cittadini potenti, era cosa pernizio-sissima. Ma dipoi, mutandosi per la mutazione degli sta-ti questo ordine, crearono otto cittadini che facessinol'uffizio di quel capitano. El quale ordine, di cattivo, di-ventò pessimo, per le ragioni che altre volte sono dette;che i pochi furono sempre ministri de' pochi, e de' piùpotenti. Da che si è guardata la città di Vinegia; la qualeha dieci cittadini, che, sanza appello, possono punireogni cittadino. E perché e' non basterebbono a punire ipotenti, ancora che ne avessino autorità, vi hanno con-stituito la Quarantia: e di più, hanno voluto che il Consi-

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glio de' Pregai, che è il Consiglio maggiore, possa gasti-gargli; in modo che, non vi mancando lo accusatore, nonvi manca il giudice a tenere gli uomini potenti a freno.Non è adunque maraviglia, veggendo come in Roma,ordinata da sé medesima e da tanti uomini prudenti, sur-gevano ogni dì nuove cagioni per le quali si aveva a farenuovi ordini in favore del viver libero; se nell'altre città,che hanno più disordinato principio, vi surgano tantedifficultà, che le non si possino riordinarsi mai.

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glio de' Pregai, che è il Consiglio maggiore, possa gasti-gargli; in modo che, non vi mancando lo accusatore, nonvi manca il giudice a tenere gli uomini potenti a freno.Non è adunque maraviglia, veggendo come in Roma,ordinata da sé medesima e da tanti uomini prudenti, sur-gevano ogni dì nuove cagioni per le quali si aveva a farenuovi ordini in favore del viver libero; se nell'altre città,che hanno più disordinato principio, vi surgano tantedifficultà, che le non si possino riordinarsi mai.

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50 Non debba uno consiglio o uno magistra-to potere fermare le azioni delle città.

Erano consoli in Roma Tito Quinzio Cincinnato e GneoGiulio Mento, i quali, sendo disuniti, avevono ferme tut-te le azioni di quella Republica. Il che veggendo il Sena-to, gli confortava a creare il Dittatore, per fare quelloche per le discordie loro non potevon fare. Ma i Consoli,discordando in ogni altra cosa, solo in questo eranod'accordo, di non volere creare il Dittatore. Tanto che ilSenato, non avendo altro rimedio, ricorse allo aiuto de'Tribuni; i quali, con l'autorità del Senato, sforzarono iConsoli a ubbidire. Dove si ha a notare, in prima, la uti-lità del Tribunato; il quale non era solo utile a frenarel'ambizione che i potenti usavano contro alla Plebe, maquella ancora ch'egli usavano infra loro: l'altra, che maisi debbe ordinare in una città, che i pochi possino tenerealcuna diliberazione di quelle che ordinariamente sononecessarie a mantenere la republica. Verbigrazia, se tudài una autorità a uno consiglio di fare una distribuzionedi onori e d'utile, o ad uno magistrato di amministrareuna faccenda; conviene o imporgli una necessità perchéci l'abbia a fare in ogni modo, o ordinare, quando non lavoglia fare egli, che la possa e debba fare uno altro: al-trimenti, questo ordine sarebbe difettivo e pericoloso;come si vedeva che era in Roma, se alla ostinazione diquegli Consoli non si poteva opporre l'autorità de' Tri-buni. Nella Republica viniziana il Consiglio grande di-

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50 Non debba uno consiglio o uno magistra-to potere fermare le azioni delle città.

Erano consoli in Roma Tito Quinzio Cincinnato e GneoGiulio Mento, i quali, sendo disuniti, avevono ferme tut-te le azioni di quella Republica. Il che veggendo il Sena-to, gli confortava a creare il Dittatore, per fare quelloche per le discordie loro non potevon fare. Ma i Consoli,discordando in ogni altra cosa, solo in questo eranod'accordo, di non volere creare il Dittatore. Tanto che ilSenato, non avendo altro rimedio, ricorse allo aiuto de'Tribuni; i quali, con l'autorità del Senato, sforzarono iConsoli a ubbidire. Dove si ha a notare, in prima, la uti-lità del Tribunato; il quale non era solo utile a frenarel'ambizione che i potenti usavano contro alla Plebe, maquella ancora ch'egli usavano infra loro: l'altra, che maisi debbe ordinare in una città, che i pochi possino tenerealcuna diliberazione di quelle che ordinariamente sononecessarie a mantenere la republica. Verbigrazia, se tudài una autorità a uno consiglio di fare una distribuzionedi onori e d'utile, o ad uno magistrato di amministrareuna faccenda; conviene o imporgli una necessità perchéci l'abbia a fare in ogni modo, o ordinare, quando non lavoglia fare egli, che la possa e debba fare uno altro: al-trimenti, questo ordine sarebbe difettivo e pericoloso;come si vedeva che era in Roma, se alla ostinazione diquegli Consoli non si poteva opporre l'autorità de' Tri-buni. Nella Republica viniziana il Consiglio grande di-

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stribuisce gli onori e gli utili: occorreva alle volte chel'universalità, per isdegno o per qualche falsa persuasio-ne, non creava i successori a' magistrati della città, ed aquelli che fuori amministravano lo imperio loro. Il cheera disordine grandissimo: perché in un tratto, e le terresuddite e la città propria mancavano de' suoi legittimigiudici, né si poteva ottenere cosa alcuna, se quella uni-versalità di quel Consiglio o non si soddisfaceva o nonsi sgannava. Ed avrebbe ridotta questo inconvenientequella città a mal termine, se dagli cittadini prudenti nonvi si fusse proveduto: i quali, presa occasione conve-niente, fecero una legge, che tutti i magistrati che sono ofusseno dentro e fuori della città, mai vacassero, se nonquando fussono fatti gli scambi e i successori loro. Ecosì si tolse la commodità a quel Consiglio di potere,con pericolo della republica, fermare le azioni publiche.

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stribuisce gli onori e gli utili: occorreva alle volte chel'universalità, per isdegno o per qualche falsa persuasio-ne, non creava i successori a' magistrati della città, ed aquelli che fuori amministravano lo imperio loro. Il cheera disordine grandissimo: perché in un tratto, e le terresuddite e la città propria mancavano de' suoi legittimigiudici, né si poteva ottenere cosa alcuna, se quella uni-versalità di quel Consiglio o non si soddisfaceva o nonsi sgannava. Ed avrebbe ridotta questo inconvenientequella città a mal termine, se dagli cittadini prudenti nonvi si fusse proveduto: i quali, presa occasione conve-niente, fecero una legge, che tutti i magistrati che sono ofusseno dentro e fuori della città, mai vacassero, se nonquando fussono fatti gli scambi e i successori loro. Ecosì si tolse la commodità a quel Consiglio di potere,con pericolo della republica, fermare le azioni publiche.

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51 Una republica o uno principe debbe mo-strare di fare per liberalità quello a che la ne-

cessità lo constringe.

Gli uomini prudenti si fanno grado delle cose sempre ein ogni loro azione, ancora che la necessità gli constrin-gesse a farle in ogni modo. Questa prudenza fu usatabene dal Senato romano, quando ei diliberò, che si desseil soldo del publico agli uomini che militavano, essendoconsueti militare del loro proprio. Ma veggendo il Sena-to come in quel modo non si poteva fare lungamenteguerra, e per questo non potendo né assediare terre nécondurre gli eserciti discosto; e giudicando essere ne-cessario potere fare l'uno e l'altro, deliberò che si desso-no detti stipendi: ma lo feciono in modo che si fecerogrado di quello a che la necessità gli constringeva. E futanto accetto alla plebe questo presente, che Roma andòsottosopra per l'allegrezza, parendole uno beneficiogrande, quale mai speravono di avere, e quale mai perloro medesimi arebbono cerco. E benché i Tribunis'ingegnassero di cancellare questo grado, mostrandocome ella era cosa che aggravava, non alleggeriva, laplebe, sendo necessario porre i tributi per pagare questosoldo: nientedimeno non potevano fare tanto che la ple-be non lo avesse accetto: il che fu ancora augumentatodal Senato per il modo che distribuivano i tributi, perchéi più gravi e i maggiori furono quelli ch'ei posano allaNobilità, e gli primi che furono pagati.

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51 Una republica o uno principe debbe mo-strare di fare per liberalità quello a che la ne-

cessità lo constringe.

Gli uomini prudenti si fanno grado delle cose sempre ein ogni loro azione, ancora che la necessità gli constrin-gesse a farle in ogni modo. Questa prudenza fu usatabene dal Senato romano, quando ei diliberò, che si desseil soldo del publico agli uomini che militavano, essendoconsueti militare del loro proprio. Ma veggendo il Sena-to come in quel modo non si poteva fare lungamenteguerra, e per questo non potendo né assediare terre nécondurre gli eserciti discosto; e giudicando essere ne-cessario potere fare l'uno e l'altro, deliberò che si desso-no detti stipendi: ma lo feciono in modo che si fecerogrado di quello a che la necessità gli constringeva. E futanto accetto alla plebe questo presente, che Roma andòsottosopra per l'allegrezza, parendole uno beneficiogrande, quale mai speravono di avere, e quale mai perloro medesimi arebbono cerco. E benché i Tribunis'ingegnassero di cancellare questo grado, mostrandocome ella era cosa che aggravava, non alleggeriva, laplebe, sendo necessario porre i tributi per pagare questosoldo: nientedimeno non potevano fare tanto che la ple-be non lo avesse accetto: il che fu ancora augumentatodal Senato per il modo che distribuivano i tributi, perchéi più gravi e i maggiori furono quelli ch'ei posano allaNobilità, e gli primi che furono pagati.

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52 A reprimere la insolenzia d'uno che surgain una republica potente, non vi è più sicuroe meno scandoloso modo, che preoccuparli

quelle vie per le quali viene a quella potenza.

Vedesi, per il soprascritto discorso, quanto credito ac-quistasse la Nobilità con la plebe, per le dimostrazionilette in beneficio suo, sì del soldo ordinato, sì ancora delmodo del porre i tributi. Nel quale ordine se la Nobilitàsi fosse mantenuta, si sarebbe levato via ogni tumulto inquella città, e sarebbesi tolto ai Tribuni quel credito chegli avevano con la plebe, e, per consequente, quella au-torità. E veramente, non si può in una republica, e mas-sime in quelle che sono corrotte, con miglior modo,meno scandoloso e più facile, opporsi all'ambizione dialcuno cittadino, che preoccupandogli quelle vie, per lequali si vede che esso cammina per arrivare al grado chedisegna. Il quale modo se fusse stato usato contro a Co-simo de' Medici, sarebbe stato miglior partito assai pergli suoi avversari, che cacciarlo da Firenze: perché, sequegli cittadini che gareggiavano seco avessero preso lostile suo, di favorire il popolo, gli venivano, sanza tu-multo e sanza violenza, a trarre di mano quelle armi diche egli si valeva più. Piero Soderini si aveva fatto ripu-tazione nella città di Firenze con questo solo, di favorirel'universale; il che nello universale gli dava riputazione,come amatore della libertà della città. E veramente, aquegli cittadini che portavano invidia alla grandezza

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52 A reprimere la insolenzia d'uno che surgain una republica potente, non vi è più sicuroe meno scandoloso modo, che preoccuparli

quelle vie per le quali viene a quella potenza.

Vedesi, per il soprascritto discorso, quanto credito ac-quistasse la Nobilità con la plebe, per le dimostrazionilette in beneficio suo, sì del soldo ordinato, sì ancora delmodo del porre i tributi. Nel quale ordine se la Nobilitàsi fosse mantenuta, si sarebbe levato via ogni tumulto inquella città, e sarebbesi tolto ai Tribuni quel credito chegli avevano con la plebe, e, per consequente, quella au-torità. E veramente, non si può in una republica, e mas-sime in quelle che sono corrotte, con miglior modo,meno scandoloso e più facile, opporsi all'ambizione dialcuno cittadino, che preoccupandogli quelle vie, per lequali si vede che esso cammina per arrivare al grado chedisegna. Il quale modo se fusse stato usato contro a Co-simo de' Medici, sarebbe stato miglior partito assai pergli suoi avversari, che cacciarlo da Firenze: perché, sequegli cittadini che gareggiavano seco avessero preso lostile suo, di favorire il popolo, gli venivano, sanza tu-multo e sanza violenza, a trarre di mano quelle armi diche egli si valeva più. Piero Soderini si aveva fatto ripu-tazione nella città di Firenze con questo solo, di favorirel'universale; il che nello universale gli dava riputazione,come amatore della libertà della città. E veramente, aquegli cittadini che portavano invidia alla grandezza

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sua, era molto più facile, ed era cosa molto più onesta,meno pericolosa, e meno dannosa per la republica, pre-occupargli quelle vie con le quali si faceva grande, chevolere contrapporsegli, acciocché con la rovina sua rovi-nassi tutto il restante della republica. Perché, se gli aves-sero levato di mano quelle armi con le quali si facevagagliardo (il che potevono fare facilmente), arebbonopotuto in tutti i consigli e in tutte le diliberazioni publi-che opporsegli sanza sospetto e sanza rispetto alcuno. Ese alcuno replicasse che, se i cittadini che odiavano Pie-ro, feciono errore a non gli preoccupare le vie con lequali ei si guadagnava riputazione nel popolo, Piero an-cora venne a fare errore, a non preoccupare quelle vieper le quali quelli suoi avversari lo facevono temere. Diche Piero merita scusa, sì perché gli era difficile il farlo,sì perché le non erano oneste a lui; imperocché le viecon le quali era offeso, erano il favorire i Medici; con liquali favori essi lo battevano, ed alla fine lo rovinarono.Non poteva, pertanto, Piero onestamente pigliare questaparte, per non potere distruggere con buona fama quellalibertà, alla quale egli era stato preposto guardia: dipoi,non potendo questi favori farsi segreti e a un tratto, era-no per Piero pericolosissimi; perché comunche ei si fus-se scoperto amico ai Medici, sarebbe diventato sospettoed odioso al popolo: donde ai nimici suoi nasceva moltopiù commodità di opprimerlo, che non avevano prima.Debbono, pertanto, gli uomini in ogni partito considera-re i difetti ed i pericoli di quello, e non gli prendere,

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sua, era molto più facile, ed era cosa molto più onesta,meno pericolosa, e meno dannosa per la republica, pre-occupargli quelle vie con le quali si faceva grande, chevolere contrapporsegli, acciocché con la rovina sua rovi-nassi tutto il restante della republica. Perché, se gli aves-sero levato di mano quelle armi con le quali si facevagagliardo (il che potevono fare facilmente), arebbonopotuto in tutti i consigli e in tutte le diliberazioni publi-che opporsegli sanza sospetto e sanza rispetto alcuno. Ese alcuno replicasse che, se i cittadini che odiavano Pie-ro, feciono errore a non gli preoccupare le vie con lequali ei si guadagnava riputazione nel popolo, Piero an-cora venne a fare errore, a non preoccupare quelle vieper le quali quelli suoi avversari lo facevono temere. Diche Piero merita scusa, sì perché gli era difficile il farlo,sì perché le non erano oneste a lui; imperocché le viecon le quali era offeso, erano il favorire i Medici; con liquali favori essi lo battevano, ed alla fine lo rovinarono.Non poteva, pertanto, Piero onestamente pigliare questaparte, per non potere distruggere con buona fama quellalibertà, alla quale egli era stato preposto guardia: dipoi,non potendo questi favori farsi segreti e a un tratto, era-no per Piero pericolosissimi; perché comunche ei si fus-se scoperto amico ai Medici, sarebbe diventato sospettoed odioso al popolo: donde ai nimici suoi nasceva moltopiù commodità di opprimerlo, che non avevano prima.Debbono, pertanto, gli uomini in ogni partito considera-re i difetti ed i pericoli di quello, e non gli prendere,

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quando vi sia più del pericoloso che dell'utile; nonostan-te che ne fussi stata data sentenzia conforme alla dilibe-razione loro. Perché, faccendo altrimenti, in questo casointerverrebbe a quelli come intervenne a Tullio; il quale,volendo tôrre i favori a Marc'Antonio, gliene accrebbe.Perché, sendo Marc'Antonio stato giudicato inimico delSenato, ed avendo quello grande esercito insieme adu-nato, in buona parte, de' soldati che avevano seguitato leparte di Cesare; Tullio, per torgli questi soldati, confortòil Senato a dare riputazione ad Ottaviano, e mandarlocon Irzio e Pansa consoli contro a Marc'Antonio: alle-gando, che, subito che i soldati che seguivanoMarc'Antonio, sentissero il nome di Ottaviano nipote diCesare, e che si faceva chiamare Cesare, lascerebbonoquello, e si accosterebbono a costui; e così restatoMarc'Antonio ignudo di favori, sarebbe facile lo oppri-merlo. La quale cosa riuscì tutta al contrario; perchéMarc'Antonio si guadagnò Ottaviano; e, lasciato Tullioe il Senato, si accostò a lui. La quale cosa fu al tutto ladistruzione della parte degli ottimati. Il che era facile aconietturare: né si doveva credere quel che si persuaseTullio, ma tener sempre conto di quel nome che con tan-ta gloria aveva spenti i nimici suoi, ed acquistatosi ilprincipato in Roma; né si doveva credere mai potere, oda suoi eredi o da suoi fautori, avere cosa che fosse con-forme al nome libero.

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quando vi sia più del pericoloso che dell'utile; nonostan-te che ne fussi stata data sentenzia conforme alla dilibe-razione loro. Perché, faccendo altrimenti, in questo casointerverrebbe a quelli come intervenne a Tullio; il quale,volendo tôrre i favori a Marc'Antonio, gliene accrebbe.Perché, sendo Marc'Antonio stato giudicato inimico delSenato, ed avendo quello grande esercito insieme adu-nato, in buona parte, de' soldati che avevano seguitato leparte di Cesare; Tullio, per torgli questi soldati, confortòil Senato a dare riputazione ad Ottaviano, e mandarlocon Irzio e Pansa consoli contro a Marc'Antonio: alle-gando, che, subito che i soldati che seguivanoMarc'Antonio, sentissero il nome di Ottaviano nipote diCesare, e che si faceva chiamare Cesare, lascerebbonoquello, e si accosterebbono a costui; e così restatoMarc'Antonio ignudo di favori, sarebbe facile lo oppri-merlo. La quale cosa riuscì tutta al contrario; perchéMarc'Antonio si guadagnò Ottaviano; e, lasciato Tullioe il Senato, si accostò a lui. La quale cosa fu al tutto ladistruzione della parte degli ottimati. Il che era facile aconietturare: né si doveva credere quel che si persuaseTullio, ma tener sempre conto di quel nome che con tan-ta gloria aveva spenti i nimici suoi, ed acquistatosi ilprincipato in Roma; né si doveva credere mai potere, oda suoi eredi o da suoi fautori, avere cosa che fosse con-forme al nome libero.

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53 Il popolo molte volte disidera la rovinasua, ingannato da una falsa spezie di beni: ecome le grandi speranze e gagliarde promes-

se facilmente lo muovono.

Espugnata che fu la città de' Veienti, entrò nel popoloromano un'opinione, che fosse cosa utile per la città diRoma, che la metà de' Romani andasse ad abitare aVeio; argomentando che, per essere quella città ricca dicontado, piena di edificii e propinqua a Roma, si potevaarricchire la metà de' cittadini romani, e non turbare perla propinquità del sito nessuna azione civile. La qualecosa parve al Senato ed a' più savi Romani tanto inutilee tanto dannosa, che liberamente dicevano, essere piùtosto per patire la morte che consentire a una tale dilibe-razione. In modo che, venendo questa cosa in disputa, siaccese tanto la plebe contro al Senato, che si sarebbe ve-nuto alle armi ed al sangue, se il Senato non si fusse fat-to scudo di alcuni vecchi ed estimati cittadini, la rive-renza de' quali frenò la plebe, che la non procedé piùavanti con la sua insolenzia. Qui si hanno a notare duecose. La prima che il popolo molte volte, ingannato dauna falsa immagine di bene, disidera la rovina sua; e senon gli è fatto capace, come quello sia male, e quale siail bene, da alcuno in chi esso abbia fede, si porta in lerepubliche infiniti pericoli e danni. E quando la sorte fache il popolo non abbi fede in alcuno, come qualchevolta occorre, sendo stato ingannato per lo addietro o

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53 Il popolo molte volte disidera la rovinasua, ingannato da una falsa spezie di beni: ecome le grandi speranze e gagliarde promes-

se facilmente lo muovono.

Espugnata che fu la città de' Veienti, entrò nel popoloromano un'opinione, che fosse cosa utile per la città diRoma, che la metà de' Romani andasse ad abitare aVeio; argomentando che, per essere quella città ricca dicontado, piena di edificii e propinqua a Roma, si potevaarricchire la metà de' cittadini romani, e non turbare perla propinquità del sito nessuna azione civile. La qualecosa parve al Senato ed a' più savi Romani tanto inutilee tanto dannosa, che liberamente dicevano, essere piùtosto per patire la morte che consentire a una tale dilibe-razione. In modo che, venendo questa cosa in disputa, siaccese tanto la plebe contro al Senato, che si sarebbe ve-nuto alle armi ed al sangue, se il Senato non si fusse fat-to scudo di alcuni vecchi ed estimati cittadini, la rive-renza de' quali frenò la plebe, che la non procedé piùavanti con la sua insolenzia. Qui si hanno a notare duecose. La prima che il popolo molte volte, ingannato dauna falsa immagine di bene, disidera la rovina sua; e senon gli è fatto capace, come quello sia male, e quale siail bene, da alcuno in chi esso abbia fede, si porta in lerepubliche infiniti pericoli e danni. E quando la sorte fache il popolo non abbi fede in alcuno, come qualchevolta occorre, sendo stato ingannato per lo addietro o

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dalle cose o dagli uomini, si viene alla rovina, di neces-sità. E Dante dice a questo proposito, nel discorso suoche fa De Monarchia, che il popolo molte volte gridaViva la sua morte! e Muoia la sua vita! Da questa incre-dulità nasce che qualche volta in le republiche i buonipartiti non si pigliono: come di sopra si disse de' Vini-ziani, quando, assaltati da tanti inimici, non poteronoprendere partito di guadagnarsene alcuno con la restitu-zione delle cose tolte ad altri (per le quali era mossoloro la guerra, e fatta la congiura de' principi loro con-tro), avanti che la rovina venisse.Pertanto, considerando quello che è facile o quello che èdifficile persuadere a uno popolo, si può fare questa di-stinzione: o quel che tu hai a persuadere rappresenta inprima fronte guadagno, o perdita; o veramente ci parepartito animoso, o vile. E quando nelle cose che si met-tono innanzi al popolo, si vede guadagno, ancora che visia nascosto sotto perdita; e quando e' pare animoso, an-cora che vi sia nascosto sotto la rovina della republica,sempre sarà facile persuaderlo alla moltitudine: e cosìfia sempre difficile persuadere quegli partiti dove appa-risse o viltà o perdita, ancora che vi fusse nascosto sottosalute e guadagno. Questo che io ho detto, si confermacon infiniti esempli, romani e forestieri, moderni ed an-tichi. Perché da questo nacque la malvagia opinione chesurse, in Roma, di Fabio Massimo, il quale non potevapersuadere al Popolo romano, che fusse utile a quellaRepublica procedere lentamente in quella guerra, e so-

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dalle cose o dagli uomini, si viene alla rovina, di neces-sità. E Dante dice a questo proposito, nel discorso suoche fa De Monarchia, che il popolo molte volte gridaViva la sua morte! e Muoia la sua vita! Da questa incre-dulità nasce che qualche volta in le republiche i buonipartiti non si pigliono: come di sopra si disse de' Vini-ziani, quando, assaltati da tanti inimici, non poteronoprendere partito di guadagnarsene alcuno con la restitu-zione delle cose tolte ad altri (per le quali era mossoloro la guerra, e fatta la congiura de' principi loro con-tro), avanti che la rovina venisse.Pertanto, considerando quello che è facile o quello che èdifficile persuadere a uno popolo, si può fare questa di-stinzione: o quel che tu hai a persuadere rappresenta inprima fronte guadagno, o perdita; o veramente ci parepartito animoso, o vile. E quando nelle cose che si met-tono innanzi al popolo, si vede guadagno, ancora che visia nascosto sotto perdita; e quando e' pare animoso, an-cora che vi sia nascosto sotto la rovina della republica,sempre sarà facile persuaderlo alla moltitudine: e cosìfia sempre difficile persuadere quegli partiti dove appa-risse o viltà o perdita, ancora che vi fusse nascosto sottosalute e guadagno. Questo che io ho detto, si confermacon infiniti esempli, romani e forestieri, moderni ed an-tichi. Perché da questo nacque la malvagia opinione chesurse, in Roma, di Fabio Massimo, il quale non potevapersuadere al Popolo romano, che fusse utile a quellaRepublica procedere lentamente in quella guerra, e so-

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stenere sanza azzuffarsi l'impeto d'Annibale; perchéquel popolo giudicava questo partito vile, e non vi vede-va dentro quella utilità vi era; né Fabio aveva ragionibastanti a dimostrarla loro: e tanto sono i popoli accecatiin queste opinioni gagliarde, che, benché il Popolo ro-mano avesse fatto quello errore di dare autorità al Mae-stro de' cavagli di Fabio, di potersi azzuffare, ancora cheFabio non volesse; e che per tale autorità il campo ro-mano fusse per essere rotto, se Fabio con la sua pruden-za non vi rimediava, non gli bastò questa isperienza, chefece di poi consule Varrone, non per altri suoi meriti cheper avere, per tutte le piazze e tutti i luoghi publici diRoma, promesso di rompere Annibale, qualunque voltagliene fusse data autorità. Di che ne nacque la zuffa e larotta di Canne, e presso che la rovina di Roma. Io voglioaddurre, a questo proposito, ancora uno altro esemploromano. Era stato Annibale in Italia otto o dieci anni,aveva ripieno di occisione de' Romani tutta questa pro-vincia, quando venne in Senato Marco Centenio Penula,uomo vilissimo (nondimanco aveva avuto qualche gradonella milizia), ed offersesi, che, se gli davano autorità dipotere fare esercito d'uomini volontari in qualunque luo-go volesse in Italia, ei darebbe loro, in brevissimo tem-po, preso o morto Annibale. Al Senato parve la doman-da di costui temeraria; nondimeno, ei, pensando, ches'ella se gli negasse e nel popolo si fusse dipoi saputa lasua chiesta, che non ne nascesse qualche tumulto, invi-dia e mal grado contro all'ordine senatorio, gliene con-cessono: volendo più tosto mettere a pericolo tutti colo-

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stenere sanza azzuffarsi l'impeto d'Annibale; perchéquel popolo giudicava questo partito vile, e non vi vede-va dentro quella utilità vi era; né Fabio aveva ragionibastanti a dimostrarla loro: e tanto sono i popoli accecatiin queste opinioni gagliarde, che, benché il Popolo ro-mano avesse fatto quello errore di dare autorità al Mae-stro de' cavagli di Fabio, di potersi azzuffare, ancora cheFabio non volesse; e che per tale autorità il campo ro-mano fusse per essere rotto, se Fabio con la sua pruden-za non vi rimediava, non gli bastò questa isperienza, chefece di poi consule Varrone, non per altri suoi meriti cheper avere, per tutte le piazze e tutti i luoghi publici diRoma, promesso di rompere Annibale, qualunque voltagliene fusse data autorità. Di che ne nacque la zuffa e larotta di Canne, e presso che la rovina di Roma. Io voglioaddurre, a questo proposito, ancora uno altro esemploromano. Era stato Annibale in Italia otto o dieci anni,aveva ripieno di occisione de' Romani tutta questa pro-vincia, quando venne in Senato Marco Centenio Penula,uomo vilissimo (nondimanco aveva avuto qualche gradonella milizia), ed offersesi, che, se gli davano autorità dipotere fare esercito d'uomini volontari in qualunque luo-go volesse in Italia, ei darebbe loro, in brevissimo tem-po, preso o morto Annibale. Al Senato parve la doman-da di costui temeraria; nondimeno, ei, pensando, ches'ella se gli negasse e nel popolo si fusse dipoi saputa lasua chiesta, che non ne nascesse qualche tumulto, invi-dia e mal grado contro all'ordine senatorio, gliene con-cessono: volendo più tosto mettere a pericolo tutti colo-

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ro che lo seguitassono, che fare surgere nuovi sdegni nelpopolo; sapendo quanto simile partito fusse per essereaccetto, e quanto fusse difficile il dissuaderlo. Andò,adunque, costui con una moltitudine inordinata ed in-composta a trovare Annibale; e non gli fu prima giuntoall'incontro, che fu, con tutti quegli che lo seguitarono,rotto e morto.In Grecia, nella città di Atene, non potette mai Nicia,uomo gravissimo e prudentissimo, persuadere a quel Po-polo che non fusse bene andare a assaltare Sicilia; tal-ché, presa quella diliberazione contro alla voglia de'savi, ne seguì al tutto la rovina di Atene. Scipione,quando fu fatto consolo, e che desiderava la provincia diAfrica, promettendo al tutto la rovina di Cartagine, ache non si accordando il Senato per la sentenzia di Fa-bio Massimo, minacciò di proporla nel Popolo, comequello che conosceva benissimo quanto simili dilibera-zioni piaccino a' popoli.Potrebbesi a questo proposito dare esempli della nostracittà; come fu quando messere Ercole Bentivogli gover-natore delle genti fiorentine, insieme con Antonio Gia-comini, poiché ebbono rotto Bartolommeo d'Alviano aSan Vincenti andarono a campo a Pisa la quale impresafu diliberata dal popolo in su le promesse gagliarde dimessere Ercole, ancora che molti savi cittadini la biasi-massero: nondimeno non vi ebbono rimedio, spinti daquella universale volontà, la quale era fondata in su lepromesse gagliarde del governatore. Dico, adunque,

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ro che lo seguitassono, che fare surgere nuovi sdegni nelpopolo; sapendo quanto simile partito fusse per essereaccetto, e quanto fusse difficile il dissuaderlo. Andò,adunque, costui con una moltitudine inordinata ed in-composta a trovare Annibale; e non gli fu prima giuntoall'incontro, che fu, con tutti quegli che lo seguitarono,rotto e morto.In Grecia, nella città di Atene, non potette mai Nicia,uomo gravissimo e prudentissimo, persuadere a quel Po-polo che non fusse bene andare a assaltare Sicilia; tal-ché, presa quella diliberazione contro alla voglia de'savi, ne seguì al tutto la rovina di Atene. Scipione,quando fu fatto consolo, e che desiderava la provincia diAfrica, promettendo al tutto la rovina di Cartagine, ache non si accordando il Senato per la sentenzia di Fa-bio Massimo, minacciò di proporla nel Popolo, comequello che conosceva benissimo quanto simili dilibera-zioni piaccino a' popoli.Potrebbesi a questo proposito dare esempli della nostracittà; come fu quando messere Ercole Bentivogli gover-natore delle genti fiorentine, insieme con Antonio Gia-comini, poiché ebbono rotto Bartolommeo d'Alviano aSan Vincenti andarono a campo a Pisa la quale impresafu diliberata dal popolo in su le promesse gagliarde dimessere Ercole, ancora che molti savi cittadini la biasi-massero: nondimeno non vi ebbono rimedio, spinti daquella universale volontà, la quale era fondata in su lepromesse gagliarde del governatore. Dico, adunque,

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come e' non è la più facile via a fare rovinare una repu-blica dove il popolo abbia autorità, che metterla in im-prese gagliarde; perché, dove il popolo sia di alcunomomento, sempre fiano accettate, né vi arà, chi saràd'altra opinione, alcuno rimedio. Ma se di questo nascela rovina della città, ne nasce ancora, e più spesso, la ro-vina particulare de' cittadini che sono preposti a similiimprese: perché, avendosi il popolo presupposto la vit-toria, come ei viene la perdita, non ne accusa né la for-tuna né la impotenzia di chi ha governato, ma la malva-gità e ignoranza sua; e quello, il più delle volte, o am-mazza o imprigiona o confina: come intervenne a infini-ti capitani Cartaginesi ed a molti Ateniesi. Né giova loroalcuna vittoria che per lo addietro avessero avuta, per-ché tutto la presente perdita cancella: come intervennead Antonio Giacomini nostro, il quale, non avendoespugnata Pisa, come il popolo si aveva presupposto edegli promesso, venne in tanta disgrazia popolare, che,non ostante infinite sue buone opere passate, visse piùper umanità di coloro che ne avevano autorità, che peralcuna altra cagione che nel popolo lo difendesse.

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come e' non è la più facile via a fare rovinare una repu-blica dove il popolo abbia autorità, che metterla in im-prese gagliarde; perché, dove il popolo sia di alcunomomento, sempre fiano accettate, né vi arà, chi saràd'altra opinione, alcuno rimedio. Ma se di questo nascela rovina della città, ne nasce ancora, e più spesso, la ro-vina particulare de' cittadini che sono preposti a similiimprese: perché, avendosi il popolo presupposto la vit-toria, come ei viene la perdita, non ne accusa né la for-tuna né la impotenzia di chi ha governato, ma la malva-gità e ignoranza sua; e quello, il più delle volte, o am-mazza o imprigiona o confina: come intervenne a infini-ti capitani Cartaginesi ed a molti Ateniesi. Né giova loroalcuna vittoria che per lo addietro avessero avuta, per-ché tutto la presente perdita cancella: come intervennead Antonio Giacomini nostro, il quale, non avendoespugnata Pisa, come il popolo si aveva presupposto edegli promesso, venne in tanta disgrazia popolare, che,non ostante infinite sue buone opere passate, visse piùper umanità di coloro che ne avevano autorità, che peralcuna altra cagione che nel popolo lo difendesse.

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54 Quanta autorità abbi uno uomo grave afrenare una moltitudine concitata.

Il secondo notabile sopra il testo nel superiore capitoloallegato, è, che veruna cosa è tanto atta a frenare unamoltitudine concitata, quanto è la riverenzia di qualcheuomo grave e di autorità, che se le faccia incontro; nésanza cagione dice Virgilio:

Tum pietate gravem ac meritis si forte virum quemConspexere, silent, arrectisque auribus adstant.

Per tanto, quello che è preposto a uno esercito, o quelloche si trova in una città, dove nascesse tumulto debbarappresentarsi in su quello con maggiore grazia e piùonorevolmente che può, mettendosi intorno le insegnedi quello grado che tiene, per farsi più riverendo. Era,pochi anni sono, Firenze divisa in due fazioni, Fratescaed Arrabbiata, che così si chiamavano; e venendoall'armi, ed essendo superati i Frateschi, intra i quali eraPagolantonio Soderini, assai in quegli tempi riputato cit-tadino, ed andandogli in quelli tumulti il popolo armatoa casa per saccheggiarla; messere Francesco suo fratel-lo, allora vescovo di Volterra, ed oggi cardinale, si tro-vava a sorte in casa; il quale, subito sentito il romore eveduta la turba, messosi i più onorevoli panni indosso, edi sopra il roccetto episcopale, si fece incontro a quegliarmati, e con la presenzia e con le parole gli fermò; laquale cosa fu per tutta la città per molti giorni notata e

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54 Quanta autorità abbi uno uomo grave afrenare una moltitudine concitata.

Il secondo notabile sopra il testo nel superiore capitoloallegato, è, che veruna cosa è tanto atta a frenare unamoltitudine concitata, quanto è la riverenzia di qualcheuomo grave e di autorità, che se le faccia incontro; nésanza cagione dice Virgilio:

Tum pietate gravem ac meritis si forte virum quemConspexere, silent, arrectisque auribus adstant.

Per tanto, quello che è preposto a uno esercito, o quelloche si trova in una città, dove nascesse tumulto debbarappresentarsi in su quello con maggiore grazia e piùonorevolmente che può, mettendosi intorno le insegnedi quello grado che tiene, per farsi più riverendo. Era,pochi anni sono, Firenze divisa in due fazioni, Fratescaed Arrabbiata, che così si chiamavano; e venendoall'armi, ed essendo superati i Frateschi, intra i quali eraPagolantonio Soderini, assai in quegli tempi riputato cit-tadino, ed andandogli in quelli tumulti il popolo armatoa casa per saccheggiarla; messere Francesco suo fratel-lo, allora vescovo di Volterra, ed oggi cardinale, si tro-vava a sorte in casa; il quale, subito sentito il romore eveduta la turba, messosi i più onorevoli panni indosso, edi sopra il roccetto episcopale, si fece incontro a quegliarmati, e con la presenzia e con le parole gli fermò; laquale cosa fu per tutta la città per molti giorni notata e

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celebrata. Conchiudo, adunque, come e' non è il più fer-mo né il più necessario rimedio a frenare una moltitudi-ne concitata, che la presenzia d'uno uomo che per pre-senzia paia e sia riverendo. Vedesi, adunque, per tornareal preallegato testo, con quanta ostinazione la plebe ro-mana accettava quel partito d'andare a Veio, perché logiudicava utile, né vi conosceva, sotto, il danno vi era; ecome, nascendone assai tumulti, ne sarebbe nati scando-li, se il Senato con uomini gravi e pieni di riverenza nonavesse frenato il loro furore.

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celebrata. Conchiudo, adunque, come e' non è il più fer-mo né il più necessario rimedio a frenare una moltitudi-ne concitata, che la presenzia d'uno uomo che per pre-senzia paia e sia riverendo. Vedesi, adunque, per tornareal preallegato testo, con quanta ostinazione la plebe ro-mana accettava quel partito d'andare a Veio, perché logiudicava utile, né vi conosceva, sotto, il danno vi era; ecome, nascendone assai tumulti, ne sarebbe nati scando-li, se il Senato con uomini gravi e pieni di riverenza nonavesse frenato il loro furore.

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55 Quanto facilmente si conduchino le cosein quella città dove la moltitudine non è cor-rotta: e che, dove è equalità, non si può fareprincipato; e dove la non è, non si può fare

republica.

Ancora che di sopra si sia discorso assai quello è da te-mere o sperare delle cittadi corrotte, nondimeno non mipare fuori di proposito considerare una diliberazione delSenato circa il voto che Cammillo aveva fatto di dare ladecima parte a Apolline della preda de' Veienti: la qualepreda sendo venuta nelle mani della Plebe romana, né sene potendo altrimenti rivedere conto, fece il Senato unoeditto, che ciascuno dovessi rappresentare in publico ladecima parte di quello ch'egli aveva predato. E benchétale diliberazione non avesse luogo, avendo dipoi il Se-nato preso altro modo, e per altra via sodisfatto a Apol-line, in sodisfazione della plebe; nondimeno si vede pertale diliberazione quanto quel Senato confidava nellabontà di quella, e come ei giudicava che nessuno fusseper non rappresentare appunto tutto quello che per taleeditto gli era comandato. E dall'altra parte si vede comela plebe non pensò di fraudare in alcuna parte lo edittocon il dare meno che non doveva, ma di liberarsi diquello con il mostrarne aperte indegnazioni. Questoesemplo, con molti altri che di sopra si sono addotti,mostrano quanta bontà e quanta religione fusse in quel

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55 Quanto facilmente si conduchino le cosein quella città dove la moltitudine non è cor-rotta: e che, dove è equalità, non si può fareprincipato; e dove la non è, non si può fare

republica.

Ancora che di sopra si sia discorso assai quello è da te-mere o sperare delle cittadi corrotte, nondimeno non mipare fuori di proposito considerare una diliberazione delSenato circa il voto che Cammillo aveva fatto di dare ladecima parte a Apolline della preda de' Veienti: la qualepreda sendo venuta nelle mani della Plebe romana, né sene potendo altrimenti rivedere conto, fece il Senato unoeditto, che ciascuno dovessi rappresentare in publico ladecima parte di quello ch'egli aveva predato. E benchétale diliberazione non avesse luogo, avendo dipoi il Se-nato preso altro modo, e per altra via sodisfatto a Apol-line, in sodisfazione della plebe; nondimeno si vede pertale diliberazione quanto quel Senato confidava nellabontà di quella, e come ei giudicava che nessuno fusseper non rappresentare appunto tutto quello che per taleeditto gli era comandato. E dall'altra parte si vede comela plebe non pensò di fraudare in alcuna parte lo edittocon il dare meno che non doveva, ma di liberarsi diquello con il mostrarne aperte indegnazioni. Questoesemplo, con molti altri che di sopra si sono addotti,mostrano quanta bontà e quanta religione fusse in quel

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popolo, e quanto bene fusse da sperare di lui. E vera-mente, dove non è questa bontà, non si può sperare nulladi bene; come non si può sperare nelle provincie che inquesti tempi si veggono corrotte: come è la Italia sopratutte l'altre, ed ancora la Francia e la Spagna di tale cor-rozione ritengono parte. E se in quelle provincie non sivede tanti disordini quanti nascono in Italia ogni dì, diri-va non tanto dalla bontà de' popoli, la quale in buonaparte è mancata, quanto dallo avere uno re che gli man-tiene uniti, non solamente per la virtù sua, ma per l'ordi-ne di quegli regni, che ancora non sono guasti. Vedesibene, nella provincia della Magna, questa bontà e questareligione ancora in quelli popoli essere grande; la qualefa che molte republiche vi vivono libere, ed in modo os-servono le loro leggi che nessuno di fuori né di dentroardisce occuparle. E che e' sia vero che, in loro, regnibuona parte di quella antica bontà, io ne voglio dare unoesemplo simile a questo, detto di sopra, del Senato edella plebe romana. Usono quelle republiche, quando glioccorre loro bisogno di avere a spendere alcuna quantitàdi danari per conto publico, che quegli magistrati o con-sigli che ne hanno autorità, ponghino a tutti gli abitantidella città uno per cento, o due, di quello che ciascunoha di valsente. E fatta tale diliberazione, secondo l'ordi-ne della terra si rappresenta ciascuno dinanzi agli risco-titori di tale imposta; e, preso prima il giuramento di pa-gare la conveniente somma, getta in una cassa a ciò di-putata quello che secondo la conscienza sua gli pare do-vere pagare: del quale pagamento non è testimone alcu-

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popolo, e quanto bene fusse da sperare di lui. E vera-mente, dove non è questa bontà, non si può sperare nulladi bene; come non si può sperare nelle provincie che inquesti tempi si veggono corrotte: come è la Italia sopratutte l'altre, ed ancora la Francia e la Spagna di tale cor-rozione ritengono parte. E se in quelle provincie non sivede tanti disordini quanti nascono in Italia ogni dì, diri-va non tanto dalla bontà de' popoli, la quale in buonaparte è mancata, quanto dallo avere uno re che gli man-tiene uniti, non solamente per la virtù sua, ma per l'ordi-ne di quegli regni, che ancora non sono guasti. Vedesibene, nella provincia della Magna, questa bontà e questareligione ancora in quelli popoli essere grande; la qualefa che molte republiche vi vivono libere, ed in modo os-servono le loro leggi che nessuno di fuori né di dentroardisce occuparle. E che e' sia vero che, in loro, regnibuona parte di quella antica bontà, io ne voglio dare unoesemplo simile a questo, detto di sopra, del Senato edella plebe romana. Usono quelle republiche, quando glioccorre loro bisogno di avere a spendere alcuna quantitàdi danari per conto publico, che quegli magistrati o con-sigli che ne hanno autorità, ponghino a tutti gli abitantidella città uno per cento, o due, di quello che ciascunoha di valsente. E fatta tale diliberazione, secondo l'ordi-ne della terra si rappresenta ciascuno dinanzi agli risco-titori di tale imposta; e, preso prima il giuramento di pa-gare la conveniente somma, getta in una cassa a ciò di-putata quello che secondo la conscienza sua gli pare do-vere pagare: del quale pagamento non è testimone alcu-

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no, se non quello che paga. Donde si può conietturarequanta bontà e quanta religione sia ancora in quegli uo-mini. E debbesi stimare che ciascuno paghi la vera som-ma: perché, quando la non si pagasse, non gitterebbequella imposizione quella quantità che loro disegnasserosecondo le antiche che fossino usitate riscuotersi, e nongittando, si conoscerebbe la fraude: e conoscendo siarebbe preso altro modo che questo. La quale bontà ètanto più da ammirare in questi tempi, quanto ella è piùrada: anzi si vede essere rimasa solo in quella provincia.Il che nasce da dua cose: l'una, non avere avute conver-sazioni grandi con i vicini; perché né quelli sono iti acasa loro, né essi sono iti a casa altrui, perché sono staticontenti di quelli beni, vivere di quelli cibi, vestire diquelle lane, che dà il paese; d'onde è stata tolta via la ca-gione d'ogni conversazione, ed il principio d'ogni cor-ruttela; perché non hanno possuto pigliare i costumi, néfranciosi, né spagnuoli, né italiani; le quali nazioni tutteinsieme sono la corruttela del mondo. L'altra cagione è,che quelle republiche dove si è mantenuto il vivere poli-tico ed incorrotto, non sopportono che alcuno loro citta-dino né sia né viva a uso di gentiluomo: anzi mantengo-no intra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gen-tiluomini, che sono in quella provincia, sono inimicissi-mi; e se per caso alcuni pervengono loro nelle mani,come principii di corruttele e cagione d'ogni scandolo,gli ammazzono. E per chiarire questo nome di gentiluo-mini quale e' sia, dico che gentiluomini sono chiamati

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no, se non quello che paga. Donde si può conietturarequanta bontà e quanta religione sia ancora in quegli uo-mini. E debbesi stimare che ciascuno paghi la vera som-ma: perché, quando la non si pagasse, non gitterebbequella imposizione quella quantità che loro disegnasserosecondo le antiche che fossino usitate riscuotersi, e nongittando, si conoscerebbe la fraude: e conoscendo siarebbe preso altro modo che questo. La quale bontà ètanto più da ammirare in questi tempi, quanto ella è piùrada: anzi si vede essere rimasa solo in quella provincia.Il che nasce da dua cose: l'una, non avere avute conver-sazioni grandi con i vicini; perché né quelli sono iti acasa loro, né essi sono iti a casa altrui, perché sono staticontenti di quelli beni, vivere di quelli cibi, vestire diquelle lane, che dà il paese; d'onde è stata tolta via la ca-gione d'ogni conversazione, ed il principio d'ogni cor-ruttela; perché non hanno possuto pigliare i costumi, néfranciosi, né spagnuoli, né italiani; le quali nazioni tutteinsieme sono la corruttela del mondo. L'altra cagione è,che quelle republiche dove si è mantenuto il vivere poli-tico ed incorrotto, non sopportono che alcuno loro citta-dino né sia né viva a uso di gentiluomo: anzi mantengo-no intra loro una pari equalità, ed a quelli signori e gen-tiluomini, che sono in quella provincia, sono inimicissi-mi; e se per caso alcuni pervengono loro nelle mani,come principii di corruttele e cagione d'ogni scandolo,gli ammazzono. E per chiarire questo nome di gentiluo-mini quale e' sia, dico che gentiluomini sono chiamati

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quelli che oziosi vivono delle rendite delle loro posses-sioni abbondantemente, sanza avere cura alcuna o dicoltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questitali sono perniziosi in ogni republica ed in ogni provin-cia, ma più perniziosi sono quelli che, oltre alle predettefortune, comandano a castella, ed hanno sudditi che ub-bidiscono a loro. Di queste due spezie di uomini ne sonopieni il regno di Napoli, Terra di Roma, la Romagna e laLombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non èmai surta alcuna republica né alcuno vivere politico;perché tali generazioni di uomini sono al tutto inimicid'ogni civilità. Ed a volere in provincie fatte in similmodo introdurre una republica, non sarebbe possibile:ma a volerle riordinare, se alcuno ne fusse arbitro, nonarebbe altra via che farvi uno regno. La ragione è questache, dove è tanto la materia corrotta che le leggi non ba-stano a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quellemaggior forza; la quale è una mano regia, che con la po-tenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessivaambizione e corruttela de' potenti. Verificasi questa ra-gione con lo esemplo di Toscana: dove si vede in pocospazio di terreno state lungamente tre republiche, Firen-ze, Siena e Lucca; e le altre città di quella provincia es-sere in modo serve, che, con lo animo e con l'ordine, sivede o che le mantengono o che le vorrebbono mantene-re la loro libertà. Tutto è nato per non essere in quellaprovincia alcuno signore di castella, e nessuno o pochis-simi gentiluomini; ma esservi tanta equalità, che facil-mente da uno uomo prudente, e che delle antiche civilità

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quelli che oziosi vivono delle rendite delle loro posses-sioni abbondantemente, sanza avere cura alcuna o dicoltivazione o di altra necessaria fatica a vivere. Questitali sono perniziosi in ogni republica ed in ogni provin-cia, ma più perniziosi sono quelli che, oltre alle predettefortune, comandano a castella, ed hanno sudditi che ub-bidiscono a loro. Di queste due spezie di uomini ne sonopieni il regno di Napoli, Terra di Roma, la Romagna e laLombardia. Di qui nasce che in quelle provincie non èmai surta alcuna republica né alcuno vivere politico;perché tali generazioni di uomini sono al tutto inimicid'ogni civilità. Ed a volere in provincie fatte in similmodo introdurre una republica, non sarebbe possibile:ma a volerle riordinare, se alcuno ne fusse arbitro, nonarebbe altra via che farvi uno regno. La ragione è questache, dove è tanto la materia corrotta che le leggi non ba-stano a frenarla, vi bisogna ordinare insieme con quellemaggior forza; la quale è una mano regia, che con la po-tenza assoluta ed eccessiva ponga freno alla eccessivaambizione e corruttela de' potenti. Verificasi questa ra-gione con lo esemplo di Toscana: dove si vede in pocospazio di terreno state lungamente tre republiche, Firen-ze, Siena e Lucca; e le altre città di quella provincia es-sere in modo serve, che, con lo animo e con l'ordine, sivede o che le mantengono o che le vorrebbono mantene-re la loro libertà. Tutto è nato per non essere in quellaprovincia alcuno signore di castella, e nessuno o pochis-simi gentiluomini; ma esservi tanta equalità, che facil-mente da uno uomo prudente, e che delle antiche civilità

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avesse cognizione, vi s'introdurrebbe uno vivere civile.Ma lo infortunio suo è stato tanto grande, che infino aquesti tempi non si è abattuta a alcuno uomo che lo ab-bia possuto o saputo fare.Trassi adunque di questo discorso questa conclusione:che colui che vuole fare dove sono assai gentiluominiuna republica, non la può fare se prima non gli spegnetutti: e che colui che, dov'è assai equalità, vuole fare unoregno o uno principato, non lo potrà mai fare se non traedi quella equalità molti d'animo ambizioso ed inquieto,e quelli fa gentiluomini in fatto, e non in nome, donandoloro castella e possessioni, e dando loro favore di su-stanze e di uomini; acciocché, posto in mezzo di loro,mediante quegli mantenga la sua potenza; ed essi, me-diante quello, la loro ambizione; e gli altri siano con-stretti a sopportare quel giogo che la forza, e non altromai, può fare sopportare loro. Ed essendo per questa viaproporzione da chi sforza a chi è sforzato, stanno fermigli uomini ciascuno negli ordini loro. E perché il fared'una provincia atta a essere regno una republica, ed'una atta a essere republica farne uno regno, è materiada uno uomo che per cervello e per autorità sia raro:sono stati molti che lo hanno voluto fare e pochi che loabbino saputo condurre. Perché la grandezza della cosa,parte sbigottisce gli uomini, parte in modo gl'impedisce,che ne' principii primi mancano.Credo che a questa mia opinione, che dove sono genti-luomini non si possa ordinare republica, parrà contraria

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avesse cognizione, vi s'introdurrebbe uno vivere civile.Ma lo infortunio suo è stato tanto grande, che infino aquesti tempi non si è abattuta a alcuno uomo che lo ab-bia possuto o saputo fare.Trassi adunque di questo discorso questa conclusione:che colui che vuole fare dove sono assai gentiluominiuna republica, non la può fare se prima non gli spegnetutti: e che colui che, dov'è assai equalità, vuole fare unoregno o uno principato, non lo potrà mai fare se non traedi quella equalità molti d'animo ambizioso ed inquieto,e quelli fa gentiluomini in fatto, e non in nome, donandoloro castella e possessioni, e dando loro favore di su-stanze e di uomini; acciocché, posto in mezzo di loro,mediante quegli mantenga la sua potenza; ed essi, me-diante quello, la loro ambizione; e gli altri siano con-stretti a sopportare quel giogo che la forza, e non altromai, può fare sopportare loro. Ed essendo per questa viaproporzione da chi sforza a chi è sforzato, stanno fermigli uomini ciascuno negli ordini loro. E perché il fared'una provincia atta a essere regno una republica, ed'una atta a essere republica farne uno regno, è materiada uno uomo che per cervello e per autorità sia raro:sono stati molti che lo hanno voluto fare e pochi che loabbino saputo condurre. Perché la grandezza della cosa,parte sbigottisce gli uomini, parte in modo gl'impedisce,che ne' principii primi mancano.Credo che a questa mia opinione, che dove sono genti-luomini non si possa ordinare republica, parrà contraria

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la esperienza della Republica viniziana, nella quale nonpossono avere alcuno grado se non coloro che sono gen-tiluomini. A che si risponde, come questo esemplo nonci fa alcuna oppugnazione, perché i gentiluomini inquella Republica sono più in nome che in fatto; perchéloro non hanno grandi entrate di possessioni, sendo leloro ricchezze grandi fondate in sulla mercanzia e cosemobili, e di più, nessuno di loro tiene castella, o ha alcu-na iurisdizione sopra gli uomini: ma quel nome di genti-luomo in loro è nome di degnità e di riputazione, sanzaessere fondato sopra alcuna di quelle cose che fa chenell'altre città si chiamano i gentiluomini. E come le al-tre republiche hanno tutte le loro divisioni sotto varinomi, così Vinegia si divide in gentiluomini e popolari:e vogliono che quegli abbino, ovvero possino avere, tut-ti gli onori; quelli altri ne siano al tutto esclusi. Il chenon fa disordine in quella terra, per le ragioni altra voltadette. Constituisca, adunque, una republica colui dove è,o è fatta, una grande equalità; ed all'incontro ordini unprincipato dove è grande inequalità: altrimenti farà cosasanza proporzione e poco durabile.

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la esperienza della Republica viniziana, nella quale nonpossono avere alcuno grado se non coloro che sono gen-tiluomini. A che si risponde, come questo esemplo nonci fa alcuna oppugnazione, perché i gentiluomini inquella Republica sono più in nome che in fatto; perchéloro non hanno grandi entrate di possessioni, sendo leloro ricchezze grandi fondate in sulla mercanzia e cosemobili, e di più, nessuno di loro tiene castella, o ha alcu-na iurisdizione sopra gli uomini: ma quel nome di genti-luomo in loro è nome di degnità e di riputazione, sanzaessere fondato sopra alcuna di quelle cose che fa chenell'altre città si chiamano i gentiluomini. E come le al-tre republiche hanno tutte le loro divisioni sotto varinomi, così Vinegia si divide in gentiluomini e popolari:e vogliono che quegli abbino, ovvero possino avere, tut-ti gli onori; quelli altri ne siano al tutto esclusi. Il chenon fa disordine in quella terra, per le ragioni altra voltadette. Constituisca, adunque, una republica colui dove è,o è fatta, una grande equalità; ed all'incontro ordini unprincipato dove è grande inequalità: altrimenti farà cosasanza proporzione e poco durabile.

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56 Innanzi che seguino i grandi accidenti inuna città o in una provincia, vengono segniche gli pronosticono, o uomini che gli predi-

cano.

Donde ei si nasca io non so, ma ei si vede per gli antichie per gli moderni esempli, che mai non venne alcunograve accidente in una città o in una provincia, che nonsia stato, o da indovini o da rivelazioni o da prodigi o daaltri segni celesti, predetto. E per non mi discostare dacasa nel provare questo, sa ciascuno quanto da frate Gi-rolamo Savonerola fosse predetta innanzi la venuta delre Carlo VIII di Francia in Italia; e come, oltre a di que-sto, per tutta Toscana si disse essere sentite in aria e ve-dute genti d'armi, sopra Arezzo, che si azzuffavano in-sieme. Sa ciascuno, oltre a questo, come, avanti allamorte di Lorenzo de' Medici vecchio, fu percosso ilduomo nella sua più alta parte con una saetta celeste,con rovina grandissima di quello edifizio. Sa ciascunoancora, come, poco innanzi che Piero Soderini, qualeera stato fatto gonfalonieri a vita dal popolo fiorentino,fosse cacciato e privo del suo grado, fu il palazzo mede-simamente da uno fulgure percosso. Potrebbonsi, oltre adi questo, addurre più esempli i quali, per fuggire il te-dio, lascerò. Narrerò solo quello che Tito Livio dice, in-nanzi alla venuta de' Franciosi a Roma: cioè, come unoMarco Cedicio plebeio riferì al Senato avere udito dimezza notte, passando per la Via nuova, una voce, mag-

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56 Innanzi che seguino i grandi accidenti inuna città o in una provincia, vengono segniche gli pronosticono, o uomini che gli predi-

cano.

Donde ei si nasca io non so, ma ei si vede per gli antichie per gli moderni esempli, che mai non venne alcunograve accidente in una città o in una provincia, che nonsia stato, o da indovini o da rivelazioni o da prodigi o daaltri segni celesti, predetto. E per non mi discostare dacasa nel provare questo, sa ciascuno quanto da frate Gi-rolamo Savonerola fosse predetta innanzi la venuta delre Carlo VIII di Francia in Italia; e come, oltre a di que-sto, per tutta Toscana si disse essere sentite in aria e ve-dute genti d'armi, sopra Arezzo, che si azzuffavano in-sieme. Sa ciascuno, oltre a questo, come, avanti allamorte di Lorenzo de' Medici vecchio, fu percosso ilduomo nella sua più alta parte con una saetta celeste,con rovina grandissima di quello edifizio. Sa ciascunoancora, come, poco innanzi che Piero Soderini, qualeera stato fatto gonfalonieri a vita dal popolo fiorentino,fosse cacciato e privo del suo grado, fu il palazzo mede-simamente da uno fulgure percosso. Potrebbonsi, oltre adi questo, addurre più esempli i quali, per fuggire il te-dio, lascerò. Narrerò solo quello che Tito Livio dice, in-nanzi alla venuta de' Franciosi a Roma: cioè, come unoMarco Cedicio plebeio riferì al Senato avere udito dimezza notte, passando per la Via nuova, una voce, mag-

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giore che umana, la quale lo ammuniva che riferissi a'magistrati come e' Franciosi venivano a Roma. La ca-gione di questo credo sia da essere discorsa e interpreta-ta da uomo che abbi notizia delle cose naturali e sopran-naturali: il che non abbiamo noi. Pure, potrebbe essereche, sendo questo aere, come vuole alcuno filosofo, pie-no di intelligenze, le quali per naturali virtù preveggen-do le cose future, ed avendo compassione agli uomini,acciò si possino preparare alle difese, gli avvertisconocon simili segni. Pure, comunque e' si sia, si vede cosìessere la verità; e che sempre dopo tali accidenti soprav-vengono cose istraordinarie e nuove alle provincie.

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giore che umana, la quale lo ammuniva che riferissi a'magistrati come e' Franciosi venivano a Roma. La ca-gione di questo credo sia da essere discorsa e interpreta-ta da uomo che abbi notizia delle cose naturali e sopran-naturali: il che non abbiamo noi. Pure, potrebbe essereche, sendo questo aere, come vuole alcuno filosofo, pie-no di intelligenze, le quali per naturali virtù preveggen-do le cose future, ed avendo compassione agli uomini,acciò si possino preparare alle difese, gli avvertisconocon simili segni. Pure, comunque e' si sia, si vede cosìessere la verità; e che sempre dopo tali accidenti soprav-vengono cose istraordinarie e nuove alle provincie.

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57 La Plebe insieme è gagliarda, di per sé èdebole.

Erano molti Romani, sendo seguita per la passata deiFranciosi la rovina della loro patria, andati ad abitare aVeio, contro la constituzione ed ordine del Senato: ilquale, per rimediare a questo disordine, comandò per isuoi editti publici che ciascuno, infra certo tempo, e sot-to certe pene, tornasse a abitare a Roma. De' quali editti,da prima per coloro contro a chi e' venivano, si fu fattobeffe; dipoi, quando si appressò il tempo dello ubbidire,tutti ubbidirono. E Tito Livio dice queste parole «Ex fe-rocibus universis singuli metu suo obedientes fuere». Everamente, non si può mostrare meglio la natura d'unamoltitudine in questa parte, che si dimostri in questo te-sto. Perché la moltitudine è audace nel parlare, moltevolte contro alle diliberazioni del loro principe; dipoi,come ei veggono la pena in viso, non si fidando l'unodell'altro, corrono ad ubbidire. Talché si vede certo che,di quel che si dica uno popolo circa la buona o mala di-sposizione sua, si debba tenere non gran conto, quandotu sia ordinato in modo da poterlo mantenere, s'egli èbene disposto; s'egli è male disposto, da potere provede-re che non ti offenda. Questo s'intende per quelle maledisposizioni che hanno i popoli, nate da qualunque altracagione che o per avere perduto la libertà o il loro prin-cipe stato amato da loro e che ancora sia vivo: imperoc-ché le male disposizioni che nascono da queste cagioni

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57 La Plebe insieme è gagliarda, di per sé èdebole.

Erano molti Romani, sendo seguita per la passata deiFranciosi la rovina della loro patria, andati ad abitare aVeio, contro la constituzione ed ordine del Senato: ilquale, per rimediare a questo disordine, comandò per isuoi editti publici che ciascuno, infra certo tempo, e sot-to certe pene, tornasse a abitare a Roma. De' quali editti,da prima per coloro contro a chi e' venivano, si fu fattobeffe; dipoi, quando si appressò il tempo dello ubbidire,tutti ubbidirono. E Tito Livio dice queste parole «Ex fe-rocibus universis singuli metu suo obedientes fuere». Everamente, non si può mostrare meglio la natura d'unamoltitudine in questa parte, che si dimostri in questo te-sto. Perché la moltitudine è audace nel parlare, moltevolte contro alle diliberazioni del loro principe; dipoi,come ei veggono la pena in viso, non si fidando l'unodell'altro, corrono ad ubbidire. Talché si vede certo che,di quel che si dica uno popolo circa la buona o mala di-sposizione sua, si debba tenere non gran conto, quandotu sia ordinato in modo da poterlo mantenere, s'egli èbene disposto; s'egli è male disposto, da potere provede-re che non ti offenda. Questo s'intende per quelle maledisposizioni che hanno i popoli, nate da qualunque altracagione che o per avere perduto la libertà o il loro prin-cipe stato amato da loro e che ancora sia vivo: imperoc-ché le male disposizioni che nascono da queste cagioni

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sono sopra ogni cosa formidabili, e che hanno bisognodi grandi rimedi a frenarle: l'altre sue indisposizioni fia-no facili, quando e' non abbia capi a chi rifuggire. Per-ché non ci è cosa, dall'un canto, più formidabile che unamoltitudine sciolta e sanza capo; e, dall'altra parte, non ècosa più debole: perché, quantunque ella abbia l'armi inmano, fia facile ridurla, purché tu abbi ridotto da poterfuggire il primo empito; perché quando gli animi sonoun poco raffreddi, e che ciascuno vede di aversi a torna-re a casa sua, cominciano a dubitare di loro medesimi, epensare alla salute loro o col fuggirsi o con l'accordarsi.Però una moltitudine così concitata, volendo fuggirequesti pericoli, ha subito a fare infra sé medesima unocapo che la corregga, tenghila unita e pensi alla sua di-fesa; come fece la plebe romana, quando, dopo la mortedi Virginia, si partì da Roma, e per salvarsi feciono infraloro venti Tribuni: e non faccendo questo, intervieneloro sempre quel che dice Tito Livio nelle soprascritteparole che tutti insieme sono gagliardi, e, quando cia-scuno poi comincia a pensare al proprio pericolo, diven-ta vile e debole.

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sono sopra ogni cosa formidabili, e che hanno bisognodi grandi rimedi a frenarle: l'altre sue indisposizioni fia-no facili, quando e' non abbia capi a chi rifuggire. Per-ché non ci è cosa, dall'un canto, più formidabile che unamoltitudine sciolta e sanza capo; e, dall'altra parte, non ècosa più debole: perché, quantunque ella abbia l'armi inmano, fia facile ridurla, purché tu abbi ridotto da poterfuggire il primo empito; perché quando gli animi sonoun poco raffreddi, e che ciascuno vede di aversi a torna-re a casa sua, cominciano a dubitare di loro medesimi, epensare alla salute loro o col fuggirsi o con l'accordarsi.Però una moltitudine così concitata, volendo fuggirequesti pericoli, ha subito a fare infra sé medesima unocapo che la corregga, tenghila unita e pensi alla sua di-fesa; come fece la plebe romana, quando, dopo la mortedi Virginia, si partì da Roma, e per salvarsi feciono infraloro venti Tribuni: e non faccendo questo, intervieneloro sempre quel che dice Tito Livio nelle soprascritteparole che tutti insieme sono gagliardi, e, quando cia-scuno poi comincia a pensare al proprio pericolo, diven-ta vile e debole.

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58 La moltitudine è più savia e più costanteche uno principe.

Nessuna cosa essere più vana e più incostante che lamoltitudine, così Tito Livio nostro, come tutti gli altriistorici, affermano. Perché spesso occorre, nel narrare leazioni degli uomini, vedere la moltitudine avere condan-nato alcuno a morte, e quel medesimo dipoi pianto esommamente desiderato: come si vede aver fatto il po-polo romano, di Manlio Capitolino, il quale avendo con-dannato a morte, sommamente dipoi desiderava quello.E le parole dello autore sono queste: «Populum brevi,posteaquam ab eo periculum nullum erat, desideriumeius tenuit». Ed altrove, quando mostra gli accidenti chenacquono in Siracusa dopo la morte di Girolamo nipotedi Ierone, dice: «Haec natura multitudinis est: aut humi-liter servit, aut superbe dominatur». Io non so se io miprenderò una provincia dura e piena di tanta difficultà,che mi convenga o abbandonarla con vergogna, o se-guirla con carico; volendo difendere una cosa, la quale,come ho detto, da tutti gli scrittori è accusata. Ma, co-munque si sia, io non giudico né giudicherò mai esseredifetto difendere alcuna opinione con le ragioni, sanzavolervi usare o l'autorità o la forza. Dico, adunque,come di quello difetto di che accusano gli scrittori lamoltitudine, se ne possono accusare tutti gli uomini par-ticularmente, e massime i principi; perché ciascuno, chenon sia regolato dalle leggi, farebbe quelli medesimi er-

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58 La moltitudine è più savia e più costanteche uno principe.

Nessuna cosa essere più vana e più incostante che lamoltitudine, così Tito Livio nostro, come tutti gli altriistorici, affermano. Perché spesso occorre, nel narrare leazioni degli uomini, vedere la moltitudine avere condan-nato alcuno a morte, e quel medesimo dipoi pianto esommamente desiderato: come si vede aver fatto il po-polo romano, di Manlio Capitolino, il quale avendo con-dannato a morte, sommamente dipoi desiderava quello.E le parole dello autore sono queste: «Populum brevi,posteaquam ab eo periculum nullum erat, desideriumeius tenuit». Ed altrove, quando mostra gli accidenti chenacquono in Siracusa dopo la morte di Girolamo nipotedi Ierone, dice: «Haec natura multitudinis est: aut humi-liter servit, aut superbe dominatur». Io non so se io miprenderò una provincia dura e piena di tanta difficultà,che mi convenga o abbandonarla con vergogna, o se-guirla con carico; volendo difendere una cosa, la quale,come ho detto, da tutti gli scrittori è accusata. Ma, co-munque si sia, io non giudico né giudicherò mai esseredifetto difendere alcuna opinione con le ragioni, sanzavolervi usare o l'autorità o la forza. Dico, adunque,come di quello difetto di che accusano gli scrittori lamoltitudine, se ne possono accusare tutti gli uomini par-ticularmente, e massime i principi; perché ciascuno, chenon sia regolato dalle leggi, farebbe quelli medesimi er-

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rori che la moltitudine sciolta. E questo si può conoscerefacilmente, perché ei sono e sono stati assai principi, ede' buoni e de' savi ne sono stati pochi: io dico de' prin-cipi che hanno potuto rompere quel freno che gli puòcorreggere; intra i quali non sono quegli re che nasceva-no in Egitto, quando, in quella antichissima antichità, sigovernava quella provincia con le leggi; né quegli chenascevano in Sparta; né quegli che a' nostri tempi nasca-no in Francia; il quale regno è moderato più dalle leggiche alcuno altro regno di che ne' nostri tempi si abbianotizia. E questi re che nascono sotto tali constituzioninon sono da mettere in quel numero, donde si abbia aconsiderare la natura di ciascuno uomo per sé, e vederes'egli è simile alla moltitudine; perché a rincontro sidebbe porre una moltitudine medesimamente regolatadalle leggi come sono loro; e si troverrà in lei esserequella medesima bontà che noi vediamo essere in quelli,e vedrassi quella né superbamente dominare né umil-mente servire: come era il popolo romano, il quale,mentre durò la Republica incorrotta, non servì mai umil-mente né mai dominò superbamente; anzi con li suoi or-dini e magistrati tenne il suo grado onorevolmente. Equando era necessario commuoversi contro a un poten-te, lo faceva; come si vide in Manlio, ne' Dieci ed in al-tri che cercorono opprimerla: e quando era necessarioubbidire a' Dittatori ed a' Consoli per la salute publica,lo faceva. E se il popolo romano desiderava Manlio Ca-pitolino morto, non è maraviglia, perché ei desiderava lesue virtù, le quali erano state tali, che la memoria di esse

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rori che la moltitudine sciolta. E questo si può conoscerefacilmente, perché ei sono e sono stati assai principi, ede' buoni e de' savi ne sono stati pochi: io dico de' prin-cipi che hanno potuto rompere quel freno che gli puòcorreggere; intra i quali non sono quegli re che nasceva-no in Egitto, quando, in quella antichissima antichità, sigovernava quella provincia con le leggi; né quegli chenascevano in Sparta; né quegli che a' nostri tempi nasca-no in Francia; il quale regno è moderato più dalle leggiche alcuno altro regno di che ne' nostri tempi si abbianotizia. E questi re che nascono sotto tali constituzioninon sono da mettere in quel numero, donde si abbia aconsiderare la natura di ciascuno uomo per sé, e vederes'egli è simile alla moltitudine; perché a rincontro sidebbe porre una moltitudine medesimamente regolatadalle leggi come sono loro; e si troverrà in lei esserequella medesima bontà che noi vediamo essere in quelli,e vedrassi quella né superbamente dominare né umil-mente servire: come era il popolo romano, il quale,mentre durò la Republica incorrotta, non servì mai umil-mente né mai dominò superbamente; anzi con li suoi or-dini e magistrati tenne il suo grado onorevolmente. Equando era necessario commuoversi contro a un poten-te, lo faceva; come si vide in Manlio, ne' Dieci ed in al-tri che cercorono opprimerla: e quando era necessarioubbidire a' Dittatori ed a' Consoli per la salute publica,lo faceva. E se il popolo romano desiderava Manlio Ca-pitolino morto, non è maraviglia, perché ei desiderava lesue virtù, le quali erano state tali, che la memoria di esse

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recava compassione a ciascuno, ed arebbono avuto forzadi fare quel medesimo effetto in un principe, perché la èsentenzia di tutti gli scrittori, come la virtù si lauda e siammira ancora negli inimici suoi: e se Manlio, intra tan-to desiderio, fusse risuscitato, il popolo di Roma arebbedato di lui il medesimo giudizio, come ei fece, tratto chelo ebbe di prigione, che poco di poi lo condannò a mor-te; nonostante che si vegga de' principi, tenuti savi, iquali hanno fatto morire qualche persona, e poi somma-mente desideratola: come Alessandro, Clito ed altri suoiamici; ed Erode, Marianne. Ma quello che lo istoriconostro dice della natura della moltitudine, non dice diquella che è regolata dalle leggi, come era la romana;ma della sciolta, come era la siragusana: la quale fecequegli errori che fanno gli uomini infuriati e sciolti,come fece Alessandro Magno, ed Erode, ne' casi detti.Però non è più da incolpare la natura della moltitudineche de' principi, perché tutti equalmente errano, quandotutti sanza rispetto possono errare. Di che, oltre a quelche ho detto, ci sono assai esempli, ed intra gl'imperado-ri romani, ed intra gli altri tiranni e principi; dove sivede tanta incostanzia e tanta variazione di vita, quantamai non si trovasse in alcuna moltitudine.Conchiudo adunque, contro alla commune opinione; laquale dice come i popoli, quando sono principi, sonovarii, mutabili ed ingrati; affermando che in loro nonsono altrimenti questi peccati che siano ne' principi par-ticulari. Ed accusando alcuno i popoli ed i principi insie-

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recava compassione a ciascuno, ed arebbono avuto forzadi fare quel medesimo effetto in un principe, perché la èsentenzia di tutti gli scrittori, come la virtù si lauda e siammira ancora negli inimici suoi: e se Manlio, intra tan-to desiderio, fusse risuscitato, il popolo di Roma arebbedato di lui il medesimo giudizio, come ei fece, tratto chelo ebbe di prigione, che poco di poi lo condannò a mor-te; nonostante che si vegga de' principi, tenuti savi, iquali hanno fatto morire qualche persona, e poi somma-mente desideratola: come Alessandro, Clito ed altri suoiamici; ed Erode, Marianne. Ma quello che lo istoriconostro dice della natura della moltitudine, non dice diquella che è regolata dalle leggi, come era la romana;ma della sciolta, come era la siragusana: la quale fecequegli errori che fanno gli uomini infuriati e sciolti,come fece Alessandro Magno, ed Erode, ne' casi detti.Però non è più da incolpare la natura della moltitudineche de' principi, perché tutti equalmente errano, quandotutti sanza rispetto possono errare. Di che, oltre a quelche ho detto, ci sono assai esempli, ed intra gl'imperado-ri romani, ed intra gli altri tiranni e principi; dove sivede tanta incostanzia e tanta variazione di vita, quantamai non si trovasse in alcuna moltitudine.Conchiudo adunque, contro alla commune opinione; laquale dice come i popoli, quando sono principi, sonovarii, mutabili ed ingrati; affermando che in loro nonsono altrimenti questi peccati che siano ne' principi par-ticulari. Ed accusando alcuno i popoli ed i principi insie-

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me, potrebbe dire il vero; ma traendone i principi,s'inganna: perché un popolo che comandi e sia bene or-dinato, sarà stabile, prudente e grato non altrimenti cheun principe, o meglio che un principe, eziandio stimatosavio: e dall'altra parte, un principe, sciolto dalle leggi,sarà ingrato, vario ed imprudente più che un popolo. Eche la variazione del procedere loro nasce non dalla na-tura diversa, perché in tutti è a un modo, e, se vi è van-taggio di bene, è nel popolo; ma dallo avere più o menorispetto alle leggi, dentro alle quali l'uno e l'altro vive. Echi considererà il popolo romano, lo vedrà essere statoper quattrocento anni inimico del nome regio, ed amato-re della gloria e del bene commune della sua patria; ve-drà tanti esempli usati da lui, che testimoniano l'unacosa e l'altra. E se alcuno mi allegasse la ingratitudinech'egli usò contra a Scipione, rispondo quello che di so-pra lungamente si discorse in questa materia, dove simostrò i popoli essere meno ingrati de' principi. Maquanto alla prudenzia ed alla stabilità, dico, come un po-polo è più prudente, più stabile e di migliore giudizioche un principe. E non sanza cagione si assomiglia lavoce d'un popolo a quella di Dio: perché si vede unaopinione universale fare effetti maravigliosi ne' prono-stichi suoi; talché pare che per occulta virtù ei preveggail suo male ed il suo bene. Quanto al giudicare le cose,si vede radissime volte, quando egli ode duo concionan-ti che tendino in diverse parti, quando ei sono di equalevirtù, che non pigli la opinione migliore, e che non siacapace di quella verità che egli ode. E se nelle cose ga-

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me, potrebbe dire il vero; ma traendone i principi,s'inganna: perché un popolo che comandi e sia bene or-dinato, sarà stabile, prudente e grato non altrimenti cheun principe, o meglio che un principe, eziandio stimatosavio: e dall'altra parte, un principe, sciolto dalle leggi,sarà ingrato, vario ed imprudente più che un popolo. Eche la variazione del procedere loro nasce non dalla na-tura diversa, perché in tutti è a un modo, e, se vi è van-taggio di bene, è nel popolo; ma dallo avere più o menorispetto alle leggi, dentro alle quali l'uno e l'altro vive. Echi considererà il popolo romano, lo vedrà essere statoper quattrocento anni inimico del nome regio, ed amato-re della gloria e del bene commune della sua patria; ve-drà tanti esempli usati da lui, che testimoniano l'unacosa e l'altra. E se alcuno mi allegasse la ingratitudinech'egli usò contra a Scipione, rispondo quello che di so-pra lungamente si discorse in questa materia, dove simostrò i popoli essere meno ingrati de' principi. Maquanto alla prudenzia ed alla stabilità, dico, come un po-polo è più prudente, più stabile e di migliore giudizioche un principe. E non sanza cagione si assomiglia lavoce d'un popolo a quella di Dio: perché si vede unaopinione universale fare effetti maravigliosi ne' prono-stichi suoi; talché pare che per occulta virtù ei preveggail suo male ed il suo bene. Quanto al giudicare le cose,si vede radissime volte, quando egli ode duo concionan-ti che tendino in diverse parti, quando ei sono di equalevirtù, che non pigli la opinione migliore, e che non siacapace di quella verità che egli ode. E se nelle cose ga-

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gliarde, o che paiano utili, come di sopra si dice, eglierra; molte volte erra ancora un principe nelle sue pro-prie passioni, le quali sono molte più che quelle de' po-poli. Vedesi ancora, nelle sue elezioni ai magistrati, fare,di lunga, migliore elezione che un principe, né mai sipersuaderà a un popolo, che sia bene tirare alle degnitàuno uomo infame e di corrotti costumi: il che facilmentee per mille vie si persuade a un principe. Vedesi uno po-polo cominciare ad avere in orrore una cosa, e molti se-coli stare in quella opinione: il che non si vede in unprincipe. E dell'una e dell'altra di queste due cose vogliomi basti per testimone il popolo romano: il quale in tan-te centinaia d'anni, in tante elezioni di Consoli e di Tri-buni, non fece quattro elezioni di che quello si avesse apentire. Ed ebbe, come ho detto, tanto in odio il nomeregio, che nessuno obligo di alcuno suo cittadino, chetentasse quel nome, poté fargli fuggire le debite pene.Vedesi, oltra di questo, le città, dove i popoli sono prin-cipi, fare in brevissimo tempo augumenti eccessivi, emolto maggiori che quelle che sempre sono state sottouno principe: come fece Roma dopo la cacciata de' re,ed Atene da poi che la si liberò da Pisistrato. Il che nonpuò nascere da altro, se non che sono migliori governiquegli de' popoli che quegli de' principi. Né voglio chesi opponga a questa mia opinione tutto quello che loistorico nostro ne dice nel preallegato testo, ed in qua-lunque altro; perché, se si discorreranno tutti i disordinide' popoli, tutti i disordini de' principi, tutte le glorie de'popoli e tutte quelle de' principi, si vedrà il popolo di

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gliarde, o che paiano utili, come di sopra si dice, eglierra; molte volte erra ancora un principe nelle sue pro-prie passioni, le quali sono molte più che quelle de' po-poli. Vedesi ancora, nelle sue elezioni ai magistrati, fare,di lunga, migliore elezione che un principe, né mai sipersuaderà a un popolo, che sia bene tirare alle degnitàuno uomo infame e di corrotti costumi: il che facilmentee per mille vie si persuade a un principe. Vedesi uno po-polo cominciare ad avere in orrore una cosa, e molti se-coli stare in quella opinione: il che non si vede in unprincipe. E dell'una e dell'altra di queste due cose vogliomi basti per testimone il popolo romano: il quale in tan-te centinaia d'anni, in tante elezioni di Consoli e di Tri-buni, non fece quattro elezioni di che quello si avesse apentire. Ed ebbe, come ho detto, tanto in odio il nomeregio, che nessuno obligo di alcuno suo cittadino, chetentasse quel nome, poté fargli fuggire le debite pene.Vedesi, oltra di questo, le città, dove i popoli sono prin-cipi, fare in brevissimo tempo augumenti eccessivi, emolto maggiori che quelle che sempre sono state sottouno principe: come fece Roma dopo la cacciata de' re,ed Atene da poi che la si liberò da Pisistrato. Il che nonpuò nascere da altro, se non che sono migliori governiquegli de' popoli che quegli de' principi. Né voglio chesi opponga a questa mia opinione tutto quello che loistorico nostro ne dice nel preallegato testo, ed in qua-lunque altro; perché, se si discorreranno tutti i disordinide' popoli, tutti i disordini de' principi, tutte le glorie de'popoli e tutte quelle de' principi, si vedrà il popolo di

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bontà e di gloria essere, di lunga, superiore. E se i prin-cipi sono superiori a' popoli nello ordinare leggi, forma-re vite civili, ordinare statuti ed ordini nuovi; i popolisono tanto superiori nel mantenere le cose ordinate,ch'egli aggiungono sanza dubbio alla gloria di coloroche l'ordinano.Ed insomma, per conchiudere questa materia, dico comehanno durato assai gli stati de' principi, hanno durato as-sai gli stati delle republiche, e l'uno e l'altro ha avuto bi-sogno d'essere regolato dalle leggi: perché un principeche può fare ciò ch'ei vuole, è pazzo; un popolo che puòfare cio che vuole, non è savio. Se, adunque, si ragione-rà d'un principe obligato alle leggi, e d'un popolo incate-nato da quelle, si vedrà più virtù nel popolo che nelprincipe: se si ragionerà dell'uno e dell'altro sciolto, sivedrà meno errori nel popolo che nel principe e quelliminori, ed aranno maggiori rimedi. Però che a un popo-lo licenzioso e tumultuario, gli può da un uomo buonoessere parlato, e facilmente può essere ridotto nella viabuona: a un principe cattivo non è alcuno che possa par-lare né vi è altro rimedio che il ferro. Da che si può fareconiettura della importanza della malattia dell'uno edell'altro: ché se a curare la malattia del popolo bastan leparole, ed a quella del principe bisogna il ferro, non saràmai alcuno che non giudichi, che, dove bisogna maggiorcura, siano maggiori errori. Quando un popolo è benesciolto, non si temano le pazzie che quello fa, né si hapaura del male presente, ma di quel che ne può nascere,

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bontà e di gloria essere, di lunga, superiore. E se i prin-cipi sono superiori a' popoli nello ordinare leggi, forma-re vite civili, ordinare statuti ed ordini nuovi; i popolisono tanto superiori nel mantenere le cose ordinate,ch'egli aggiungono sanza dubbio alla gloria di coloroche l'ordinano.Ed insomma, per conchiudere questa materia, dico comehanno durato assai gli stati de' principi, hanno durato as-sai gli stati delle republiche, e l'uno e l'altro ha avuto bi-sogno d'essere regolato dalle leggi: perché un principeche può fare ciò ch'ei vuole, è pazzo; un popolo che puòfare cio che vuole, non è savio. Se, adunque, si ragione-rà d'un principe obligato alle leggi, e d'un popolo incate-nato da quelle, si vedrà più virtù nel popolo che nelprincipe: se si ragionerà dell'uno e dell'altro sciolto, sivedrà meno errori nel popolo che nel principe e quelliminori, ed aranno maggiori rimedi. Però che a un popo-lo licenzioso e tumultuario, gli può da un uomo buonoessere parlato, e facilmente può essere ridotto nella viabuona: a un principe cattivo non è alcuno che possa par-lare né vi è altro rimedio che il ferro. Da che si può fareconiettura della importanza della malattia dell'uno edell'altro: ché se a curare la malattia del popolo bastan leparole, ed a quella del principe bisogna il ferro, non saràmai alcuno che non giudichi, che, dove bisogna maggiorcura, siano maggiori errori. Quando un popolo è benesciolto, non si temano le pazzie che quello fa, né si hapaura del male presente, ma di quel che ne può nascere,

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potendo nascere, infra tanta confusione, uno tiranno. Mane' principi cattivi interviene il contrario: che si teme ilmale presente, e nel futuro si spera; persuadendosi gliuomini che la sua cattiva vita possa fare surgere una li-bertà. Sì che vedete la differenza dell'uno e dell'altro, laquale è quanto, dalle cose che sono, a quelle che hannoa essere. Le crudeltà della moltitudine sono contro a chiei temano che occupi il bene commune: quelle d'unprincipe sono contro a chi ei temano che occupi il beneproprio. Ma la opinione contro ai popoli nasce perchéde' popoli ciascuno dice male sanza paura e liberamente,ancora mentre che regnano: de' principi si parla semprecon mille paure e mille rispetti. Né mi pare fuor di pro-posito, poiché questa materia mi vi tira, disputare, nelseguente capitolo, di quali confederazioni altri si possapiù fidare; o di quelle fatte con una republica, o di quel-le fatte con uno principe.

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potendo nascere, infra tanta confusione, uno tiranno. Mane' principi cattivi interviene il contrario: che si teme ilmale presente, e nel futuro si spera; persuadendosi gliuomini che la sua cattiva vita possa fare surgere una li-bertà. Sì che vedete la differenza dell'uno e dell'altro, laquale è quanto, dalle cose che sono, a quelle che hannoa essere. Le crudeltà della moltitudine sono contro a chiei temano che occupi il bene commune: quelle d'unprincipe sono contro a chi ei temano che occupi il beneproprio. Ma la opinione contro ai popoli nasce perchéde' popoli ciascuno dice male sanza paura e liberamente,ancora mentre che regnano: de' principi si parla semprecon mille paure e mille rispetti. Né mi pare fuor di pro-posito, poiché questa materia mi vi tira, disputare, nelseguente capitolo, di quali confederazioni altri si possapiù fidare; o di quelle fatte con una republica, o di quel-le fatte con uno principe.

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59 Di quale confederazione o lega altri si puòpiù fidare; o di quella fatta con una republi-

ca, o di quella fatta con uno principe.

Perché, ciascuno dì, occorre che l'uno principe conl'altro, o l'una republica con l'altra, fanno lega ed amici-zia insieme: ed ancora similmente si contrae confedera-zione ed accordo intra una republica ed uno principe: mipare da esaminare qual fede è più stabile, e di quale sidebba tenere più conto, o di quella d'una republica, o diquella d'uno principe. Io, esaminando tutto, credo che inmolti casi ei sieno simili ed in alcuni vi sia qualche di-sformità. Credo, per tanto, che gli accordi fatti per forzanon ti saranno né da uno principe né da una republicaosservati; credo che, quando la paura dello stato venga,l'uno e l'altro, per non lo perdere, ti romperà la fede, e tiuserà ingratitudine. Demetrio, quel che fu chiamatoespugnatore delle cittadi, aveva fatto agli Ateniesi infi-niti beneficii: occorse dipoi, che, sendo rotto da' suoiinimici, e rifuggendosi in Atene come in città amica eda lui obligata, non fu ricevuto da quella: il che gli dolseassai più che non aveva fatto la perdita delle genti e del-lo esercito suo. Pompeio, rotto che fu da Cesare in Tes-saglia, si rifuggì in Egitto a Tolomeo, il quale era per loadietro da lui stato rimesso nel regno; e fu da lui morto.Le quali cose si vede che ebbero le medesime cagioni:nondimeno fu più umanità usata e meno ingiuria dallarepublica, che dal principe. Dove è, pertanto, la paura, si

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59 Di quale confederazione o lega altri si puòpiù fidare; o di quella fatta con una republi-

ca, o di quella fatta con uno principe.

Perché, ciascuno dì, occorre che l'uno principe conl'altro, o l'una republica con l'altra, fanno lega ed amici-zia insieme: ed ancora similmente si contrae confedera-zione ed accordo intra una republica ed uno principe: mipare da esaminare qual fede è più stabile, e di quale sidebba tenere più conto, o di quella d'una republica, o diquella d'uno principe. Io, esaminando tutto, credo che inmolti casi ei sieno simili ed in alcuni vi sia qualche di-sformità. Credo, per tanto, che gli accordi fatti per forzanon ti saranno né da uno principe né da una republicaosservati; credo che, quando la paura dello stato venga,l'uno e l'altro, per non lo perdere, ti romperà la fede, e tiuserà ingratitudine. Demetrio, quel che fu chiamatoespugnatore delle cittadi, aveva fatto agli Ateniesi infi-niti beneficii: occorse dipoi, che, sendo rotto da' suoiinimici, e rifuggendosi in Atene come in città amica eda lui obligata, non fu ricevuto da quella: il che gli dolseassai più che non aveva fatto la perdita delle genti e del-lo esercito suo. Pompeio, rotto che fu da Cesare in Tes-saglia, si rifuggì in Egitto a Tolomeo, il quale era per loadietro da lui stato rimesso nel regno; e fu da lui morto.Le quali cose si vede che ebbero le medesime cagioni:nondimeno fu più umanità usata e meno ingiuria dallarepublica, che dal principe. Dove è, pertanto, la paura, si

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troverrà in fatto la medesima fede. E se si troverrà o unarepublica o uno principe, che, per osservarti la fede,aspetti di rovinare, può nascere questo ancora da similicagioni. E quanto al principe, può molto bene occorrereche egli sia amico d'uno principe potente, che, se benenon ha occasione allora di difenderlo, ei può sperare checol tempo ei lo ristituisca nel principato suo; o veramen-te che, avendolo seguito come partigiano, ei non credatrovare né fede né accordi con il nimico di quello. Diquesta sorte sono stati quegli principi del reame di Na-poli, che hanno seguite le parti franciose. E quanto allerepubliche, fu di questa sorte Sagunto in Ispagna, cheaspettò la rovina per seguire le parti romane; e di questaFirenze, per seguire nel 1512 le parti franciose. E credo,computato ogni cosa, che in questi casi, dove è il perico-lo urgente, si troverrà qualche stabilità più nelle republi-che, che ne' principi. Perché, sebbene le republicheavessero quel medesimo animo e quella medesima vo-glia che uno principe, lo avere il moto loro tardo, faràche le perranno sempre più a risolversi che il principe, eper questo perranno più a rompere la fede di lui. Rom-ponsi le confederazioni per lo utile. In questo le republi-che sono, di lunga, più osservanti degli accordi, che iprincipi. E potrebbesi addurre esempli, dove uno mini-mo utile ha fatto rompere la fede a uno principe, e doveuna grande utilità non ha fatto rompere la fede a una re-publica: come fu quello partito che propose Temistocleagli Ateniesi, a' quali nella concione disse che avevauno consiglio da fare alla loro patria grande utilità, ma

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troverrà in fatto la medesima fede. E se si troverrà o unarepublica o uno principe, che, per osservarti la fede,aspetti di rovinare, può nascere questo ancora da similicagioni. E quanto al principe, può molto bene occorrereche egli sia amico d'uno principe potente, che, se benenon ha occasione allora di difenderlo, ei può sperare checol tempo ei lo ristituisca nel principato suo; o veramen-te che, avendolo seguito come partigiano, ei non credatrovare né fede né accordi con il nimico di quello. Diquesta sorte sono stati quegli principi del reame di Na-poli, che hanno seguite le parti franciose. E quanto allerepubliche, fu di questa sorte Sagunto in Ispagna, cheaspettò la rovina per seguire le parti romane; e di questaFirenze, per seguire nel 1512 le parti franciose. E credo,computato ogni cosa, che in questi casi, dove è il perico-lo urgente, si troverrà qualche stabilità più nelle republi-che, che ne' principi. Perché, sebbene le republicheavessero quel medesimo animo e quella medesima vo-glia che uno principe, lo avere il moto loro tardo, faràche le perranno sempre più a risolversi che il principe, eper questo perranno più a rompere la fede di lui. Rom-ponsi le confederazioni per lo utile. In questo le republi-che sono, di lunga, più osservanti degli accordi, che iprincipi. E potrebbesi addurre esempli, dove uno mini-mo utile ha fatto rompere la fede a uno principe, e doveuna grande utilità non ha fatto rompere la fede a una re-publica: come fu quello partito che propose Temistocleagli Ateniesi, a' quali nella concione disse che avevauno consiglio da fare alla loro patria grande utilità, ma

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non lo poteva dire per non lo scoprire, perché, scopren-dolo, si toglieva la occasione del farlo. Onde il popolodi Atene elesse Aristide, al quale si comunicasse lacosa, e secondo dipoi che paresse a lui se ne diliberasse:al quale Temistocle mostrò come l'armata di tutta Gre-cia, ancora che la stesse sotto la fede loro, era in lato chefacilmente si poteva guadagnare o distruggere; il che fa-ceva gli Ateniesi al tutto arbitri di quella provincia.Donde Aristide riferì al popolo, il partito di Temistocleessere utilissimo ma disonestissimo: per la quale cosa ilpopolo al tutto lo ricusò. Il che non arebbe fatto FilippoMacedone, e gli altri principi che più utile hanno cerco eguadagnato con il rompere la fede, che con alcuno altromodo. Quanto a rompere i patti per qualche cagione diinosservanzia, di questo io non parlo, come di cosa ordi-naria; ma parlo di quelli che si rompono per cagioniistraordinarie: dove io credo, per le cose dette, che il po-polo facci minori errori che il principe, e per questo sipossa fidar più di lui che del principe.

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non lo poteva dire per non lo scoprire, perché, scopren-dolo, si toglieva la occasione del farlo. Onde il popolodi Atene elesse Aristide, al quale si comunicasse lacosa, e secondo dipoi che paresse a lui se ne diliberasse:al quale Temistocle mostrò come l'armata di tutta Gre-cia, ancora che la stesse sotto la fede loro, era in lato chefacilmente si poteva guadagnare o distruggere; il che fa-ceva gli Ateniesi al tutto arbitri di quella provincia.Donde Aristide riferì al popolo, il partito di Temistocleessere utilissimo ma disonestissimo: per la quale cosa ilpopolo al tutto lo ricusò. Il che non arebbe fatto FilippoMacedone, e gli altri principi che più utile hanno cerco eguadagnato con il rompere la fede, che con alcuno altromodo. Quanto a rompere i patti per qualche cagione diinosservanzia, di questo io non parlo, come di cosa ordi-naria; ma parlo di quelli che si rompono per cagioniistraordinarie: dove io credo, per le cose dette, che il po-polo facci minori errori che il principe, e per questo sipossa fidar più di lui che del principe.

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60 Come il Consolato e qualunque altro ma-gistrato in Roma si dava sanza rispetto di età.

Ei si vede per l'ordine della istoria, come la Republicaromana, poiché il Consolato venne nella Plebe, concessequello ai suoi cittadini sanza rispetto di età o di sangue;ancora che il rispetto della età mai non fusse in Roma,ma sempre si andò a trovare la virtù, o in giovane o invecchio che la fusse. Il che si vede per il testimone diValerio Corvino, che fu fatto Consolo in ventitré anni: eValerio detto, parlando ai suoi soldati, disse come ilConsolato era «praemium virtutis, non sanguinis». Laquale cosa se fu bene considerata o no, sarebbe da di-sputare assai. E quanto al sangue, fu concesso questoper necessità; e quella necessità che fu in Roma, sarebbein ogni città che volesse fare gli effetti che fece Roma,come altra volta si è detto: perché e' non si può dare agliuomini disagio sanza premio, né si può tôrre loro la spe-ranza di conseguire il premio sanza pericolo. E però abuona ora convenne che la Plebe avessi speranza di ave-re il Consolato: e di questa speranza si nutrì un pezzosanza averlo; dipoi non bastò la speranza, che e' conven-ne che si venisse allo effetto. Ma la città che non adope-ra la sua plebe a alcuna cosa gloriosa, la può trattare asuo modo come altrove si disputò: ma quella che vuolfare quel che fe' Roma, non ha a fare questa distinzione.E dato che così sia, quella del tempo non ha replica anziè necessaria: perché nello eleggere uno giovane in un

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60 Come il Consolato e qualunque altro ma-gistrato in Roma si dava sanza rispetto di età.

Ei si vede per l'ordine della istoria, come la Republicaromana, poiché il Consolato venne nella Plebe, concessequello ai suoi cittadini sanza rispetto di età o di sangue;ancora che il rispetto della età mai non fusse in Roma,ma sempre si andò a trovare la virtù, o in giovane o invecchio che la fusse. Il che si vede per il testimone diValerio Corvino, che fu fatto Consolo in ventitré anni: eValerio detto, parlando ai suoi soldati, disse come ilConsolato era «praemium virtutis, non sanguinis». Laquale cosa se fu bene considerata o no, sarebbe da di-sputare assai. E quanto al sangue, fu concesso questoper necessità; e quella necessità che fu in Roma, sarebbein ogni città che volesse fare gli effetti che fece Roma,come altra volta si è detto: perché e' non si può dare agliuomini disagio sanza premio, né si può tôrre loro la spe-ranza di conseguire il premio sanza pericolo. E però abuona ora convenne che la Plebe avessi speranza di ave-re il Consolato: e di questa speranza si nutrì un pezzosanza averlo; dipoi non bastò la speranza, che e' conven-ne che si venisse allo effetto. Ma la città che non adope-ra la sua plebe a alcuna cosa gloriosa, la può trattare asuo modo come altrove si disputò: ma quella che vuolfare quel che fe' Roma, non ha a fare questa distinzione.E dato che così sia, quella del tempo non ha replica anziè necessaria: perché nello eleggere uno giovane in un

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grado che abbi bisogno d'una prudenza di vecchio, con-viene, avendovelo a eleggere la moltitudine, che a quelgrado lo facci pervenire qualche sua notabilissima azio-ne. E quando uno giovane è di tanta virtù, che si sia fat-to in qualche cosa notabile conoscere; sarebbe cosa dan-nosissima che la città non se ne potessi valere allora, eche l'avesse a aspettare che fosse invecchiato con luiquel vigore dell'animo e quella prontezza, della quale inquella età la patria sua si poteva valere: come si valseRoma di Valerio Corvino, di Scipione e di Pompeio, e dimolti altri, che trionfarono giovanissimi.

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grado che abbi bisogno d'una prudenza di vecchio, con-viene, avendovelo a eleggere la moltitudine, che a quelgrado lo facci pervenire qualche sua notabilissima azio-ne. E quando uno giovane è di tanta virtù, che si sia fat-to in qualche cosa notabile conoscere; sarebbe cosa dan-nosissima che la città non se ne potessi valere allora, eche l'avesse a aspettare che fosse invecchiato con luiquel vigore dell'animo e quella prontezza, della quale inquella età la patria sua si poteva valere: come si valseRoma di Valerio Corvino, di Scipione e di Pompeio, e dimolti altri, che trionfarono giovanissimi.

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LIBRO SECONDO

Laudano sempre gli uomini, ma non sempre ragionevol-mente, gli antichi tempi, e gli presenti accusano: ed inmodo sono delle cose passate partigiani, che non sola-mente celebrano quelle etadi che da loro sono state, perla memoria che ne hanno lasciata gli scrittori, conosciu-te; ma quelle ancora che, sendo già vecchi, si ricordanonella loro giovanezza avere vedute. E quando questaloro opinione sia falsa, come il più delle volte è, mi per-suado varie essere le cagioni che a questo inganno gliconducono. E la prima credo sia, che delle cose antichenon s'intenda al tutto la verità; e che di quelle il più dellevolte si nasconda quelle cose che recherebbono a quellitempi infamia; e quelle altre che possano partorire lorogloria, si rendino magnifiche ed amplissime. Perché ilpiù degli scrittori in modo alla fortuna de' vincitori ubbi-discano, che, per fare le loro vittorie gloriose, non sola-mente accrescano quello che da loro è virtuosamenteoperato, ma ancora le azioni de' nimici in modo illustra-no, che, qualunque nasce dipoi in qualunque delle dueprovincie, o nella vittoriosa o nella vinta, ha cagione dimaravigliarsi di quegli uomini e di quelli tempi, ed èforzato sommamente laudarli ed amarli. Oltra di questo,odiando gli uomini le cose o per timore o per invidia,vengono ad essere spente due potentissime cagionidell'odio nelle cose passate, non ti potendo quelle offen-

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LIBRO SECONDO

Laudano sempre gli uomini, ma non sempre ragionevol-mente, gli antichi tempi, e gli presenti accusano: ed inmodo sono delle cose passate partigiani, che non sola-mente celebrano quelle etadi che da loro sono state, perla memoria che ne hanno lasciata gli scrittori, conosciu-te; ma quelle ancora che, sendo già vecchi, si ricordanonella loro giovanezza avere vedute. E quando questaloro opinione sia falsa, come il più delle volte è, mi per-suado varie essere le cagioni che a questo inganno gliconducono. E la prima credo sia, che delle cose antichenon s'intenda al tutto la verità; e che di quelle il più dellevolte si nasconda quelle cose che recherebbono a quellitempi infamia; e quelle altre che possano partorire lorogloria, si rendino magnifiche ed amplissime. Perché ilpiù degli scrittori in modo alla fortuna de' vincitori ubbi-discano, che, per fare le loro vittorie gloriose, non sola-mente accrescano quello che da loro è virtuosamenteoperato, ma ancora le azioni de' nimici in modo illustra-no, che, qualunque nasce dipoi in qualunque delle dueprovincie, o nella vittoriosa o nella vinta, ha cagione dimaravigliarsi di quegli uomini e di quelli tempi, ed èforzato sommamente laudarli ed amarli. Oltra di questo,odiando gli uomini le cose o per timore o per invidia,vengono ad essere spente due potentissime cagionidell'odio nelle cose passate, non ti potendo quelle offen-

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dere, e non ti dando cagione d'invidiarle. Ma al contra-rio interviene di quelle cose che si maneggiano e veggo-no; le quali, per la intera cognizione di esse, non ti es-sendo in alcuna parte nascoste, e conoscendo in quelleinsieme con il bene molte altre cose che ti dispiacciono,sei forzato giudicarle alle antiche molto inferiori, ancorache, in verità, le presenti molto più di quelle di gloria edi fama meritassoro: ragionando, non delle cose perti-nenti alle arti, le quali hanno tanta chiarezza in sé, che itempi possono tôrre o dare loro poco più gloria che perloro medesime si meritino; ma parlando di quelle perti-nenti alla vita e costumi degli uomini, delle quali non sene veggono sì chiari testimoni.Replico, pertanto, essere vera quella consuetudine dellaudare e biasimare soprascritta: ma non essere già sem-pre vero che si erri nel farlo. Perché qualche volta è ne-cessario che giudichino la verità; perché, essendo lecose umane sempre in moto, o le salgano, o le scendano.E vedesi una città o una provincia essere ordinata al vi-vere politico da qualche uomo eccellente, ed, un tempo,per la virtù di quello ordinatore, andare sempre in augu-mento verso il meglio. Chi nasce allora in tale stato, edei laudi più gli antichi tempi che i moderni, s'inganna;ed è causato il suo inganno da quelle cose che di soprasi sono dette. Ma coloro che nascano dipoi, in quella cit-tà o provincia, che gli è venuto il tempo che la scendeverso la parte più ria, allora non s'ingannano. E pensan-do io come queste cose procedino, giudico il mondo

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dere, e non ti dando cagione d'invidiarle. Ma al contra-rio interviene di quelle cose che si maneggiano e veggo-no; le quali, per la intera cognizione di esse, non ti es-sendo in alcuna parte nascoste, e conoscendo in quelleinsieme con il bene molte altre cose che ti dispiacciono,sei forzato giudicarle alle antiche molto inferiori, ancorache, in verità, le presenti molto più di quelle di gloria edi fama meritassoro: ragionando, non delle cose perti-nenti alle arti, le quali hanno tanta chiarezza in sé, che itempi possono tôrre o dare loro poco più gloria che perloro medesime si meritino; ma parlando di quelle perti-nenti alla vita e costumi degli uomini, delle quali non sene veggono sì chiari testimoni.Replico, pertanto, essere vera quella consuetudine dellaudare e biasimare soprascritta: ma non essere già sem-pre vero che si erri nel farlo. Perché qualche volta è ne-cessario che giudichino la verità; perché, essendo lecose umane sempre in moto, o le salgano, o le scendano.E vedesi una città o una provincia essere ordinata al vi-vere politico da qualche uomo eccellente, ed, un tempo,per la virtù di quello ordinatore, andare sempre in augu-mento verso il meglio. Chi nasce allora in tale stato, edei laudi più gli antichi tempi che i moderni, s'inganna;ed è causato il suo inganno da quelle cose che di soprasi sono dette. Ma coloro che nascano dipoi, in quella cit-tà o provincia, che gli è venuto il tempo che la scendeverso la parte più ria, allora non s'ingannano. E pensan-do io come queste cose procedino, giudico il mondo

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sempre essere stato ad uno medesimo modo, ed in quel-lo essere stato tanto di buono quanto di cattivo; ma va-riare questo cattivo e questo buono, di provincia in pro-vincia: come si vede per quello si ha notizia di quegliregni antichi, che variavano dall'uno all'altro per la va-riazione de' costumi; ma il mondo restava quel medesi-mo. Solo vi era questa differenza, che dove quello avevaprima allogata la sua virtù in Assiria, la collocò in Me-dia, dipoi in Persia, tanto che la ne venne in Italia ed aRoma; e se dopo lo Imperio romano non è seguito Impe-rio che sia durato, né dove il mondo abbia ritenuta la suavirtù insieme, si vede nondimeno essere sparsa in dimolte nazioni dove si viveva virtuosamente; come era ilregno de' Franchi, il regno de' Turchi, quel del Soldano;ed oggi i popoli della Magna; e prima quella setta Sara-cina che fece tante gran cose, ed occupò tanto mondo,poiché la distrusse lo Imperio romano orientale. In tuttequeste provincie, adunque, poiché i Romani rovinorno,ed in tutte queste sette è stata quella virtù, ed è ancora inalcuna parte di esse, che si disidera, e che con vera lau-de si lauda. E chi nasce in quelle, e lauda i tempi passatipiù che i presenti, si potrebbe ingannare; ma chi nascein Italia ed in Grecia, e non sia diventato o in Italia ol-tramontano o in Grecia turco, ha ragione di biasimare itempi suoi, e laudare gli altri: perché in quelli vi sonoassai cose che gli fanno maravigliosi; in questi non ècosa alcuna che gli ricomperi da ogni estrema miseria,infamia e vituperio: dove non è osservanza di religione,non di leggi, non di milizia; ma sono maculati d'ogni ra-

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sempre essere stato ad uno medesimo modo, ed in quel-lo essere stato tanto di buono quanto di cattivo; ma va-riare questo cattivo e questo buono, di provincia in pro-vincia: come si vede per quello si ha notizia di quegliregni antichi, che variavano dall'uno all'altro per la va-riazione de' costumi; ma il mondo restava quel medesi-mo. Solo vi era questa differenza, che dove quello avevaprima allogata la sua virtù in Assiria, la collocò in Me-dia, dipoi in Persia, tanto che la ne venne in Italia ed aRoma; e se dopo lo Imperio romano non è seguito Impe-rio che sia durato, né dove il mondo abbia ritenuta la suavirtù insieme, si vede nondimeno essere sparsa in dimolte nazioni dove si viveva virtuosamente; come era ilregno de' Franchi, il regno de' Turchi, quel del Soldano;ed oggi i popoli della Magna; e prima quella setta Sara-cina che fece tante gran cose, ed occupò tanto mondo,poiché la distrusse lo Imperio romano orientale. In tuttequeste provincie, adunque, poiché i Romani rovinorno,ed in tutte queste sette è stata quella virtù, ed è ancora inalcuna parte di esse, che si disidera, e che con vera lau-de si lauda. E chi nasce in quelle, e lauda i tempi passatipiù che i presenti, si potrebbe ingannare; ma chi nascein Italia ed in Grecia, e non sia diventato o in Italia ol-tramontano o in Grecia turco, ha ragione di biasimare itempi suoi, e laudare gli altri: perché in quelli vi sonoassai cose che gli fanno maravigliosi; in questi non ècosa alcuna che gli ricomperi da ogni estrema miseria,infamia e vituperio: dove non è osservanza di religione,non di leggi, non di milizia; ma sono maculati d'ogni ra-

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gione bruttura. E tanto sono questi vizi più detestabili,quanto ei sono più in coloro che seggono pro tribunali,comandano a ciascuno, e vogliono essere adorati.Ma tornando al ragionamento nostro, dico che se il giu-dicio degli uomini è corrotto in giudicare quale sia mi-gliore, o il secolo presente o l'antico, in quelle cose doveper l'antichità e' non ne ha possuto avere perfetta cogni-zione come egli ha de' suoi tempi; non doverebbe cor-rompersi ne' vecchi nel giudicare i tempi della gioventùe vecchiezza loro avendo quelli e questi equalmente co-nosciuti e visti. La quale cosa sarebbe vera, se gli uomi-ni per tutti i tempi della lor vita fossero di quel medesi-mo giudizio, ed avessono quegli medesimi appetiti: mavariando quegli ancora che i tempi non variino, non pos-sono parere agli uomini quelli medesimi, avendo altriappetiti, altri diletti, altre considerazioni nella vecchiez-za, che nella gioventù. Perché, mancando gli uomini,quando gl'invecchiano, di forze, e crescendo di giudizioe di prudenza, è necessario che quelle cose che in gio-ventù parevano loro sopportabili e buone, rieschino poi,invecchiando, insopportabili e cattive; e dove quegli nedoverrebbono accusare il giudizio loro, ne accusano itempi. Sendo, oltra di questo, gli appetiti umani insazia-bili, perché, avendo, dalla natura, di potere e volere de-siderare ogni cosa, e, dalla fortuna, di potere consegui-tarne poche; ne risulta continuamente una mala conten-tezza nelle menti umane, ed uno fastidio delle cose chesi posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, lau-

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gione bruttura. E tanto sono questi vizi più detestabili,quanto ei sono più in coloro che seggono pro tribunali,comandano a ciascuno, e vogliono essere adorati.Ma tornando al ragionamento nostro, dico che se il giu-dicio degli uomini è corrotto in giudicare quale sia mi-gliore, o il secolo presente o l'antico, in quelle cose doveper l'antichità e' non ne ha possuto avere perfetta cogni-zione come egli ha de' suoi tempi; non doverebbe cor-rompersi ne' vecchi nel giudicare i tempi della gioventùe vecchiezza loro avendo quelli e questi equalmente co-nosciuti e visti. La quale cosa sarebbe vera, se gli uomi-ni per tutti i tempi della lor vita fossero di quel medesi-mo giudizio, ed avessono quegli medesimi appetiti: mavariando quegli ancora che i tempi non variino, non pos-sono parere agli uomini quelli medesimi, avendo altriappetiti, altri diletti, altre considerazioni nella vecchiez-za, che nella gioventù. Perché, mancando gli uomini,quando gl'invecchiano, di forze, e crescendo di giudizioe di prudenza, è necessario che quelle cose che in gio-ventù parevano loro sopportabili e buone, rieschino poi,invecchiando, insopportabili e cattive; e dove quegli nedoverrebbono accusare il giudizio loro, ne accusano itempi. Sendo, oltra di questo, gli appetiti umani insazia-bili, perché, avendo, dalla natura, di potere e volere de-siderare ogni cosa, e, dalla fortuna, di potere consegui-tarne poche; ne risulta continuamente una mala conten-tezza nelle menti umane, ed uno fastidio delle cose chesi posseggono: il che fa biasimare i presenti tempi, lau-

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dare i passati, e desiderare i futuri; ancora che a farequesto non fussono mossi da alcuna ragionevole cagio-ne. Non so, adunque, se io meriterò d'essere numeratotra quelli che si ingannano, se in questi mia discorsi iolauderò troppo i tempi degli antichi Romani, e biasime-rò i nostri. E veramente, se la virtù che allora regnava,ed il vizio che ora regna, non fussino più chiari che ilsole andrei col parlare più rattenuto, dubitando non in-correre in questo inganno di che io accuso alcuni. Maessendo la cosa sì manifesta che ciascuno la vede, saròanimoso in dire manifestamente quello che io intenderòdi quelli e di questi tempi; acciocché gli animi de' giova-ni che questi mia scritti leggeranno, possino fuggirequesti, e prepararsi ad imitar quegli, qualunque volta lafortuna ne dessi loro occasione. Perché gli è offizio diuomo buono, quel bene che per la malignità de' tempi edella fortuna tu non hai potuto operare, insegnarlo ad al-tri, acciocché, sendone molti capaci, alcuno di quelli,più amato dal Cielo, possa operarlo. Ed avendo ne' di-scorsi del superior libro, parlato delle diliberazioni fatteda' Romani, pertinenti al di dentro della città, in questoparleremo di quelle, che 'l Popolo romano fece pertinen-ti allo augumento dello imperio suo.

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dare i passati, e desiderare i futuri; ancora che a farequesto non fussono mossi da alcuna ragionevole cagio-ne. Non so, adunque, se io meriterò d'essere numeratotra quelli che si ingannano, se in questi mia discorsi iolauderò troppo i tempi degli antichi Romani, e biasime-rò i nostri. E veramente, se la virtù che allora regnava,ed il vizio che ora regna, non fussino più chiari che ilsole andrei col parlare più rattenuto, dubitando non in-correre in questo inganno di che io accuso alcuni. Maessendo la cosa sì manifesta che ciascuno la vede, saròanimoso in dire manifestamente quello che io intenderòdi quelli e di questi tempi; acciocché gli animi de' giova-ni che questi mia scritti leggeranno, possino fuggirequesti, e prepararsi ad imitar quegli, qualunque volta lafortuna ne dessi loro occasione. Perché gli è offizio diuomo buono, quel bene che per la malignità de' tempi edella fortuna tu non hai potuto operare, insegnarlo ad al-tri, acciocché, sendone molti capaci, alcuno di quelli,più amato dal Cielo, possa operarlo. Ed avendo ne' di-scorsi del superior libro, parlato delle diliberazioni fatteda' Romani, pertinenti al di dentro della città, in questoparleremo di quelle, che 'l Popolo romano fece pertinen-ti allo augumento dello imperio suo.

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1 Quale fu più cagione dello imperio che ac-quistarono i romani, o la virtù, o la fortuna.

Molti hanno avuta opinione, ed in tra' quali Plutarco,gravissimo scrittore, che 'l popolo romano nello acqui-stare lo imperio fosse più favorito dalla fortuna che dal-la virtù. Ed intra le altre ragioni che ne adduce, dice cheper confessione di quel popolo si dimostra, quello averericonosciute dalla fortuna tutte le sue vittorie, avendoquello edificati più templi alla Fortuna che ad alcuno al-tro iddio. E pare che a questa opinione si accosti Livio;perché rade volte è che facci parlare ad alcuno Romano,dove ei racconti della virtù, che non vi aggiunga la for-tuna. La qual cosa io non voglio confessare in alcunomodo, né credo ancora si possa sostenere. Perché, senon si è trovata mai republica che abbi fatti i profitti cheRoma, è nato che non si è trovata mai republica che siastata ordinata a potere acquistare come Roma. Perché lavirtù degli eserciti gli fecero acquistare lo imperio; el'ordine del procedere, ed il modo suo proprio, e trovatodal suo primo latore delle leggi gli fece mantenere lo ac-quistato: come di sotto largamente in più discorsi si nar-rerà. Dicono costoro, che non avere mai accozzate duepotentissime guerre in uno medesimo tempo, fu fortunae non virtù del Popolo romano; perché e' non ebberoguerra con i Latini, se non quando egli ebbero, non tantobattuti i Sanniti, quanto che la guerra fu fatta da' Roma-ni in defensione di quelli; non combatterono con i To-

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1 Quale fu più cagione dello imperio che ac-quistarono i romani, o la virtù, o la fortuna.

Molti hanno avuta opinione, ed in tra' quali Plutarco,gravissimo scrittore, che 'l popolo romano nello acqui-stare lo imperio fosse più favorito dalla fortuna che dal-la virtù. Ed intra le altre ragioni che ne adduce, dice cheper confessione di quel popolo si dimostra, quello averericonosciute dalla fortuna tutte le sue vittorie, avendoquello edificati più templi alla Fortuna che ad alcuno al-tro iddio. E pare che a questa opinione si accosti Livio;perché rade volte è che facci parlare ad alcuno Romano,dove ei racconti della virtù, che non vi aggiunga la for-tuna. La qual cosa io non voglio confessare in alcunomodo, né credo ancora si possa sostenere. Perché, senon si è trovata mai republica che abbi fatti i profitti cheRoma, è nato che non si è trovata mai republica che siastata ordinata a potere acquistare come Roma. Perché lavirtù degli eserciti gli fecero acquistare lo imperio; el'ordine del procedere, ed il modo suo proprio, e trovatodal suo primo latore delle leggi gli fece mantenere lo ac-quistato: come di sotto largamente in più discorsi si nar-rerà. Dicono costoro, che non avere mai accozzate duepotentissime guerre in uno medesimo tempo, fu fortunae non virtù del Popolo romano; perché e' non ebberoguerra con i Latini, se non quando egli ebbero, non tantobattuti i Sanniti, quanto che la guerra fu fatta da' Roma-ni in defensione di quelli; non combatterono con i To-

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scani, se prima non ebbero soggiogati i Latini, ed ener-vati con le spesse rotte quasi in tutto i Sanniti: che sedue di queste potenze intere si fossero, quando eranofresche, accozzate insieme, senza dubbio si può facil-mente conietturare che ne sarebbe seguito la rovina del-la romana Republica. Ma, comunque questa cosa na-scesse, mai non intervenne che eglino avessero due po-tentissime guerre in uno medesimo tempo: anzi parvesempre che, o, nel nascere dell'una, l'altra si spegnesse,o nello spegnersi dell'una, l'altra nascesse. Il che si puòfacilmente vedere per l'ordine delle guerre fatte da loro:perché, lasciando stare quelle che fecero prima cheRoma fosse presa dai Franciosi, si vede che, mentre checombatterno con gli Equi e con i Volsci, mai, mentreche questi popoli furono potenti, non scesero contro diloro altre genti. Domi costoro, nacque la guerra contro a'Sanniti; e benché, innanzi che finisse tale guerra, i po-poli latini si ribellassero da' Romani; nondimeno, quan-do tale ribellione seguì, i Sanniti erano in lega conRoma, e con i loro eserciti aiutarono i Romani domarela insolenzia latina. I quali domi, risurse la guerra diSannio. Battute per molte rotte date a' Sanniti le loroforze, nacque la guerra de' Toscani; la quale composta,si rilevarono di nuovo i Sanniti per la passata di Pirro inItalia. Il quale come fu ributtato, e rimandato in Grecia,appiccarono la prima guerra con i Cartaginesi: né primafu tale guerra finita, che tutti i Franciosi, e di là e di quadall'Alpi, congiurarono contro ai Romani; tanto che in-tra Populonia e Pisa, dove è oggi la torre a San Vincenti,

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scani, se prima non ebbero soggiogati i Latini, ed ener-vati con le spesse rotte quasi in tutto i Sanniti: che sedue di queste potenze intere si fossero, quando eranofresche, accozzate insieme, senza dubbio si può facil-mente conietturare che ne sarebbe seguito la rovina del-la romana Republica. Ma, comunque questa cosa na-scesse, mai non intervenne che eglino avessero due po-tentissime guerre in uno medesimo tempo: anzi parvesempre che, o, nel nascere dell'una, l'altra si spegnesse,o nello spegnersi dell'una, l'altra nascesse. Il che si puòfacilmente vedere per l'ordine delle guerre fatte da loro:perché, lasciando stare quelle che fecero prima cheRoma fosse presa dai Franciosi, si vede che, mentre checombatterno con gli Equi e con i Volsci, mai, mentreche questi popoli furono potenti, non scesero contro diloro altre genti. Domi costoro, nacque la guerra contro a'Sanniti; e benché, innanzi che finisse tale guerra, i po-poli latini si ribellassero da' Romani; nondimeno, quan-do tale ribellione seguì, i Sanniti erano in lega conRoma, e con i loro eserciti aiutarono i Romani domarela insolenzia latina. I quali domi, risurse la guerra diSannio. Battute per molte rotte date a' Sanniti le loroforze, nacque la guerra de' Toscani; la quale composta,si rilevarono di nuovo i Sanniti per la passata di Pirro inItalia. Il quale come fu ributtato, e rimandato in Grecia,appiccarono la prima guerra con i Cartaginesi: né primafu tale guerra finita, che tutti i Franciosi, e di là e di quadall'Alpi, congiurarono contro ai Romani; tanto che in-tra Populonia e Pisa, dove è oggi la torre a San Vincenti,

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furono con massima strage superati. Finita questa guer-ra, per spazio di venti anni ebbero guerre di non moltaimportanza; perché non combatterono con altri che conLiguri, e con quel rimanente de' Franciosi che era inLombardia. E così stettero tanto che nacque la secondaguerra cartaginese, la quale per sedici anni tenne occu-pata Italia. Finita questa con massima gloria, nacque laguerra macedonica; la quale finita, venne quella d'Anti-oco e d'Asia. Dopo la quale vittoria, non restò in tutto ilmondo né principe né republica che, di per sé, o tutti in-sieme, che si potessero opporre alle forze romane.Ma innanzi a quella ultima vittoria chi considererà benel'ordine di queste guerre, ed il modo del procedere loro,vi vedrà dentro mescolate con la fortuna una virtù e pru-denza grandissima. Talché, chi esaminassi la cagione ditale fortuna, la ritroverebbe facilmente: perché gli è cosacertissima, che come uno principe e uno popolo viene intanta riputazione, che ciascuno principe e popolo vicinoabbia di per sé paura ad assaltarlo e ne tema, sempre in-terverrà che ciascuno d'essi mai lo assalterà, se non ne-cessitato; in modo che e' sarà quasi come nella elezionedi quel potente, fare guerra con quale di quei sua vicinigli parrà, e gli altri con la sua industria quietare. E' qua-li, parte rispetto alla potenza sua, parte ingannati da que'modi ch'egli terrà per adormentargli, si quietano facil-mente; quegli altri potenti, che sono discosto e che nonhanno commerzio seco, curano la cosa come cosa lon-ginqua, e che non appartenga a loro. Nel quale errore

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furono con massima strage superati. Finita questa guer-ra, per spazio di venti anni ebbero guerre di non moltaimportanza; perché non combatterono con altri che conLiguri, e con quel rimanente de' Franciosi che era inLombardia. E così stettero tanto che nacque la secondaguerra cartaginese, la quale per sedici anni tenne occu-pata Italia. Finita questa con massima gloria, nacque laguerra macedonica; la quale finita, venne quella d'Anti-oco e d'Asia. Dopo la quale vittoria, non restò in tutto ilmondo né principe né republica che, di per sé, o tutti in-sieme, che si potessero opporre alle forze romane.Ma innanzi a quella ultima vittoria chi considererà benel'ordine di queste guerre, ed il modo del procedere loro,vi vedrà dentro mescolate con la fortuna una virtù e pru-denza grandissima. Talché, chi esaminassi la cagione ditale fortuna, la ritroverebbe facilmente: perché gli è cosacertissima, che come uno principe e uno popolo viene intanta riputazione, che ciascuno principe e popolo vicinoabbia di per sé paura ad assaltarlo e ne tema, sempre in-terverrà che ciascuno d'essi mai lo assalterà, se non ne-cessitato; in modo che e' sarà quasi come nella elezionedi quel potente, fare guerra con quale di quei sua vicinigli parrà, e gli altri con la sua industria quietare. E' qua-li, parte rispetto alla potenza sua, parte ingannati da que'modi ch'egli terrà per adormentargli, si quietano facil-mente; quegli altri potenti, che sono discosto e che nonhanno commerzio seco, curano la cosa come cosa lon-ginqua, e che non appartenga a loro. Nel quale errore

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stanno tanto che questo incendio venga loro presso: ilquale venuto, non hanno rimedio a spegnerlo se non conle forze proprie le quali dipoi non bastono, sendo coluidiventato potentissimo. Io voglio lasciare andare come iSanniti stettero a vedere vincere dal Popolo romano iVolsci e gli Equi; e per non essere troppo prolisso, mifarò da' Cartaginesi: i quali erano di gran potenza e digrande estimazione, quando i Romani combattevano co'Sanniti e con i Toscani; perché di già tenevano tuttal'Africa, tenevano la Sardigna e la Sicilia, avevano do-minio in parte della Spagna. La quale potenza loro, in-sieme con lo essere discosto ne' confini dal popolo ro-mano, fece che non pensarono mai di assaltare quello,né di soccorrere i Sanniti ed i Toscani: anzi fecero comesi fa nelle cose che crescano più tosto in loro favore,collegandosi con quegli e cercando l'amicizia loro. Né siavviddono prima dello errore fatto, che i Romani, domitutti i popoli mezzi in fra loro ed i Cartaginesi, comin-ciarono a combattere insieme dello imperio di Sicilia edi Spagna. Intervenne questo medesimo a' Franciosi chea' Cartaginesi, e così a Filippo re de' Macedoni, e a An-tioco; e ciascuno di loro credea, mentre che il Popoloromano era occupato con l'altro, che quello altro lo su-perasse, ed essere a tempo, o con pace o con guerra, di-fendersi da lui. In modo che io credo che la fortuna cheebbero in questa parte i Romani, l'arebbono tutti quegliprincipi che procedessono come i Romani, e fosserodella medesima virtù che loro.

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stanno tanto che questo incendio venga loro presso: ilquale venuto, non hanno rimedio a spegnerlo se non conle forze proprie le quali dipoi non bastono, sendo coluidiventato potentissimo. Io voglio lasciare andare come iSanniti stettero a vedere vincere dal Popolo romano iVolsci e gli Equi; e per non essere troppo prolisso, mifarò da' Cartaginesi: i quali erano di gran potenza e digrande estimazione, quando i Romani combattevano co'Sanniti e con i Toscani; perché di già tenevano tuttal'Africa, tenevano la Sardigna e la Sicilia, avevano do-minio in parte della Spagna. La quale potenza loro, in-sieme con lo essere discosto ne' confini dal popolo ro-mano, fece che non pensarono mai di assaltare quello,né di soccorrere i Sanniti ed i Toscani: anzi fecero comesi fa nelle cose che crescano più tosto in loro favore,collegandosi con quegli e cercando l'amicizia loro. Né siavviddono prima dello errore fatto, che i Romani, domitutti i popoli mezzi in fra loro ed i Cartaginesi, comin-ciarono a combattere insieme dello imperio di Sicilia edi Spagna. Intervenne questo medesimo a' Franciosi chea' Cartaginesi, e così a Filippo re de' Macedoni, e a An-tioco; e ciascuno di loro credea, mentre che il Popoloromano era occupato con l'altro, che quello altro lo su-perasse, ed essere a tempo, o con pace o con guerra, di-fendersi da lui. In modo che io credo che la fortuna cheebbero in questa parte i Romani, l'arebbono tutti quegliprincipi che procedessono come i Romani, e fosserodella medesima virtù che loro.

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Sarebbeci da mostrare a questo proposito il modo tenutodal Popolo romano nello entrare nelle provincie d'altrui,se nel nostro trattato de' Principati non ne avessimo par-lato a lungo: perché, in quello, questa materia è diffusa-mente disputata. Dirò solo questo lievemente, comesempre s'ingegnarono avere nelle provincie nuove qual-che amico che fussi scala o porta a salirvi o entrarvi, omezzo a tenerla: come si vede che per il mezzo de' Ca-puani entrarono in Sannio, de' Camertini in Toscana, de'Mamertini in Sicilia, de' Saguntini in Spagna, di Massi-nissa in Africa, degli Etoli in Grecia, di Eumene ed altriprincipi in Asia, de' Massiliensi e delli Edui in Francia.E così non mancorono mai di simili appoggi, per poterefacilitare le imprese loro, e nello acquistare le provinciee nel tenerle. Il che quegli popoli che osserveranno, ve-dranno avere meno bisogno della fortuna, che quelli chene saranno non buoni osservatori. E perché ciascunopossa meglio conoscere, quanto possa più la virtù che lafortuna loro ad acquistare quello imperio, noi discorre-reno, nel seguente capitolo, di che qualità furono quellipopoli con e' quali egli ebbero a combattere, e quantoerano ostinati a difendere la loro libertà.

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Sarebbeci da mostrare a questo proposito il modo tenutodal Popolo romano nello entrare nelle provincie d'altrui,se nel nostro trattato de' Principati non ne avessimo par-lato a lungo: perché, in quello, questa materia è diffusa-mente disputata. Dirò solo questo lievemente, comesempre s'ingegnarono avere nelle provincie nuove qual-che amico che fussi scala o porta a salirvi o entrarvi, omezzo a tenerla: come si vede che per il mezzo de' Ca-puani entrarono in Sannio, de' Camertini in Toscana, de'Mamertini in Sicilia, de' Saguntini in Spagna, di Massi-nissa in Africa, degli Etoli in Grecia, di Eumene ed altriprincipi in Asia, de' Massiliensi e delli Edui in Francia.E così non mancorono mai di simili appoggi, per poterefacilitare le imprese loro, e nello acquistare le provinciee nel tenerle. Il che quegli popoli che osserveranno, ve-dranno avere meno bisogno della fortuna, che quelli chene saranno non buoni osservatori. E perché ciascunopossa meglio conoscere, quanto possa più la virtù che lafortuna loro ad acquistare quello imperio, noi discorre-reno, nel seguente capitolo, di che qualità furono quellipopoli con e' quali egli ebbero a combattere, e quantoerano ostinati a difendere la loro libertà.

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2 Con quali popoli i Romani ebbero a com-battere, e come ostinatamente quegli difende-

vono la loro libertà.

Nessuna cosa fe' più faticoso a' Romani superare i popo-li d'intorno e parte delle provincie discosto, quanto loamore che in quelli tempi molti popoli avevano alla li-bertà, la quale tanto ostinatamente difendevano, che maise non da una eccessiva virtù sarebbono stati soggiogati.Perché, per molti esempli si conosce a quali pericoli simettessono per mantenere o ricuperare quella; qualivendette ei facessono contro a coloro che l'avessero lorooccupata. Conoscesi ancora nella lezione delle istorie,quali danni i popoli e le città ricevino per la servitù. Edove in questi tempi ci è solo una provincia, la quale sipossa dire che abbi in sé città libere, ne' tempi antichi intutte le provincie erano assai popoli liberissimi. Vedesicome in quelli tempi de' quali noi parliamo al presente,in Italia, dall'Alpi che dividono ora la Toscana da Lom-bardia, infino alla punta d'Italia, erano tutti popoli liberi;come erano i Toscani, i Romani, i Sanniti, e molti altripopoli che in quel resto d'Italia abitavano. Né si ragionamai che vi fusse alcuno re, fuora di quegli che regnoro-no in Roma, e Porsenna re di Toscana; la stirpe del qua-le come si estinguesse, non ne parla la istoria. Ma sivede bene, come in quegli tempi che i Romani andaronoa campo a Veio, la Toscana era libera: e tanto si godevadella sua libertà, e tanto odiava il nome del principe,

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2 Con quali popoli i Romani ebbero a com-battere, e come ostinatamente quegli difende-

vono la loro libertà.

Nessuna cosa fe' più faticoso a' Romani superare i popo-li d'intorno e parte delle provincie discosto, quanto loamore che in quelli tempi molti popoli avevano alla li-bertà, la quale tanto ostinatamente difendevano, che maise non da una eccessiva virtù sarebbono stati soggiogati.Perché, per molti esempli si conosce a quali pericoli simettessono per mantenere o ricuperare quella; qualivendette ei facessono contro a coloro che l'avessero lorooccupata. Conoscesi ancora nella lezione delle istorie,quali danni i popoli e le città ricevino per la servitù. Edove in questi tempi ci è solo una provincia, la quale sipossa dire che abbi in sé città libere, ne' tempi antichi intutte le provincie erano assai popoli liberissimi. Vedesicome in quelli tempi de' quali noi parliamo al presente,in Italia, dall'Alpi che dividono ora la Toscana da Lom-bardia, infino alla punta d'Italia, erano tutti popoli liberi;come erano i Toscani, i Romani, i Sanniti, e molti altripopoli che in quel resto d'Italia abitavano. Né si ragionamai che vi fusse alcuno re, fuora di quegli che regnoro-no in Roma, e Porsenna re di Toscana; la stirpe del qua-le come si estinguesse, non ne parla la istoria. Ma sivede bene, come in quegli tempi che i Romani andaronoa campo a Veio, la Toscana era libera: e tanto si godevadella sua libertà, e tanto odiava il nome del principe,

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che, avendo fatto i Veienti per loro difensione uno re inVeio, e domandando aiuto a' Toscani contro a' Romani,quegli, dopo molte consulte fatte, deliberarono di nondare aiuto a' Veienti, infino a tanto che vivessono sotto ilre; giudicando non essere bene difendere la patria di co-loro che l'avevano di già sottomessa a altrui. E facil cosaè conoscere donde nasca ne' popoli questa affezione delvivere libero; perché si vede per esperienza, le cittadinon avere mai ampliato nè di dominio né di ricchezza,se non mentre sono state in libertà. E veramente maravi-gliosa cosa è a considerare, a quanta grandezza venneAtene per spazio di cento anni, poiché la si liberò dallatirannide di Pisistrato. Ma sopra tutto maravigliosissimaè a considerare a quanta grandezza venne Roma, poichéla si liberò da' suoi Re. La ragione è facile a intendere;perché non il bene particulare, ma il bene comune èquello che fa grandi le città. E senza dubbio, questobene comune non è osservato se non nelle republiche;perché tutto quello che fa a proposito suo, si esequisce;e quantunque e' torni in danno di questo o di quello pri-vato, e' sono tanti quegli per chi detto bene fa, che lopossono tirare innanzi contro alla disposizione di queglipochi che ne fussono oppressi. Al contrario intervienequando vi è uno principe; dove il più delle volte quelloche fa per lui, offende la città; e quello che fa per la cit-tà, offende lui. Dimodoché, subito che nasce una tiranni-de sopra uno vivere libero, il manco male che ne resultia quelle città è non andare più innanzi, né crescere piùin potenza o in ricchezze; ma il più delle volte, anzi

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che, avendo fatto i Veienti per loro difensione uno re inVeio, e domandando aiuto a' Toscani contro a' Romani,quegli, dopo molte consulte fatte, deliberarono di nondare aiuto a' Veienti, infino a tanto che vivessono sotto ilre; giudicando non essere bene difendere la patria di co-loro che l'avevano di già sottomessa a altrui. E facil cosaè conoscere donde nasca ne' popoli questa affezione delvivere libero; perché si vede per esperienza, le cittadinon avere mai ampliato nè di dominio né di ricchezza,se non mentre sono state in libertà. E veramente maravi-gliosa cosa è a considerare, a quanta grandezza venneAtene per spazio di cento anni, poiché la si liberò dallatirannide di Pisistrato. Ma sopra tutto maravigliosissimaè a considerare a quanta grandezza venne Roma, poichéla si liberò da' suoi Re. La ragione è facile a intendere;perché non il bene particulare, ma il bene comune èquello che fa grandi le città. E senza dubbio, questobene comune non è osservato se non nelle republiche;perché tutto quello che fa a proposito suo, si esequisce;e quantunque e' torni in danno di questo o di quello pri-vato, e' sono tanti quegli per chi detto bene fa, che lopossono tirare innanzi contro alla disposizione di queglipochi che ne fussono oppressi. Al contrario intervienequando vi è uno principe; dove il più delle volte quelloche fa per lui, offende la città; e quello che fa per la cit-tà, offende lui. Dimodoché, subito che nasce una tiranni-de sopra uno vivere libero, il manco male che ne resultia quelle città è non andare più innanzi, né crescere piùin potenza o in ricchezze; ma il più delle volte, anzi

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sempre, interviene loro, che le tornano indietro. E se lasorte facesse che vi surgesse uno tiranno virtuoso il qua-le per animo e per virtù d'arme ampliasse il dominiosuo, non ne risulterebbe alcuna utilità a quella republica,ma a lui proprio: perché e' non può onorare nessuno diquegli cittadini che siano valenti e buoni, che egli tiran-neggia, non volendo avere ad avere sospetto di loro.Non può ancora le città che esso acquista, sottometterleo farle tributarie a quella città di che egli è tiranno: per-ché il farla potente non fa per lui; ma per lui fa tenere lostato disgiunto, e che ciascuna terra e ciascuna provinciariconosca lui. Talché, de' suoi acquisti, solo egli ne pro-fitta, e non la sua patria. E chi volessi confermare questaopinione con infinite altre ragioni, legga Senofonte nelsuo trattato che fa De Tyrannide. Non è maraviglia,adunque, che gli antichi popoli con tanto odio persegui-tassono i tiranni ed amassino il vivere libero, e che ilnome della libertà fusse tanto stimato da loro: come in-tervenne quando Girolamo, nipote di Ierone siracusano,fu morto in Siracusa, che, venendo le novelle della suamorte in nel suo esercito, che non era molto lontano daSiracusa, cominciò prima a tumultuare, e pigliare l'armicontro agli ucciditori di quello; ma come ei sentì che inSiracusa si gridava libertà, allettato da quel nome, siquietò tutto, pose giù l'ira, contro a' tirannicidi, e pensòcome in quella città si potessi ordinare uno vivere libe-ro. Non è maraviglia ancora, che e' popoli faccino ven-dette istraordinarie contro a quegli che gli hanno occu-pata la libertà. Di che ci sono stati assai esempli, de'

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sempre, interviene loro, che le tornano indietro. E se lasorte facesse che vi surgesse uno tiranno virtuoso il qua-le per animo e per virtù d'arme ampliasse il dominiosuo, non ne risulterebbe alcuna utilità a quella republica,ma a lui proprio: perché e' non può onorare nessuno diquegli cittadini che siano valenti e buoni, che egli tiran-neggia, non volendo avere ad avere sospetto di loro.Non può ancora le città che esso acquista, sottometterleo farle tributarie a quella città di che egli è tiranno: per-ché il farla potente non fa per lui; ma per lui fa tenere lostato disgiunto, e che ciascuna terra e ciascuna provinciariconosca lui. Talché, de' suoi acquisti, solo egli ne pro-fitta, e non la sua patria. E chi volessi confermare questaopinione con infinite altre ragioni, legga Senofonte nelsuo trattato che fa De Tyrannide. Non è maraviglia,adunque, che gli antichi popoli con tanto odio persegui-tassono i tiranni ed amassino il vivere libero, e che ilnome della libertà fusse tanto stimato da loro: come in-tervenne quando Girolamo, nipote di Ierone siracusano,fu morto in Siracusa, che, venendo le novelle della suamorte in nel suo esercito, che non era molto lontano daSiracusa, cominciò prima a tumultuare, e pigliare l'armicontro agli ucciditori di quello; ma come ei sentì che inSiracusa si gridava libertà, allettato da quel nome, siquietò tutto, pose giù l'ira, contro a' tirannicidi, e pensòcome in quella città si potessi ordinare uno vivere libe-ro. Non è maraviglia ancora, che e' popoli faccino ven-dette istraordinarie contro a quegli che gli hanno occu-pata la libertà. Di che ci sono stati assai esempli, de'

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quali ne intendo referire solo uno, seguito in Corcira,città di Grecia, ne' tempi della guerra peloponnesiaca;dove, sendo divisa quella provincia in due parti, dellequali l'una seguitava gli Ateniesi l'altra gli Spartani, nenasceva che di molte città, che erano infra loro divise,l'una parte seguiva l'amicizia di Sparta, l'altra di Atene:ed essendo occorso che nella detta città prevalessono inobili, e togliessono la libertà al popolo, i popolari permezzo degli Ateniesi ripresero le forze, e, posto le maniaddosso a tutta la Nobilità, gli rinchiusero in una prigio-ne capace di tutti loro; donde gli traevono a otto o dieciper volta, sotto titolo di mandargli in esilio in diverseparti, e quegli con molti crudeli esempli facevano mori-re. Di che sendosi, quelli che restavano, accorti, delibe-rarono in quanto era a loro possibile, fuggire quellamorte ignominiosa: ed armatisi di quello potevano,combattendo con quelli che vi volevano entrare, la en-trata della prigione difendevano; di modo che il popolo,a questo romore fatto uno concorso, scoperse la partesuperiore di quel luogo, e quegli con quelle rovine suf-focò. Seguirono ancora in detta provincia molti altri si-mili casi orrendi e notabili; talché si vede essere veroche con maggiore impeto si vendica una libertà che ti èsuta tolta, che quella che ti è voluta tôrre.Pensando dunque donde possa nascere, che, in queglitempi antichi, i popoli fossero più amatori della libertàche in questi; credo nasca da quella medesima cagioneche fa ora gli uomini manco forti: la quale credo sia la

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quali ne intendo referire solo uno, seguito in Corcira,città di Grecia, ne' tempi della guerra peloponnesiaca;dove, sendo divisa quella provincia in due parti, dellequali l'una seguitava gli Ateniesi l'altra gli Spartani, nenasceva che di molte città, che erano infra loro divise,l'una parte seguiva l'amicizia di Sparta, l'altra di Atene:ed essendo occorso che nella detta città prevalessono inobili, e togliessono la libertà al popolo, i popolari permezzo degli Ateniesi ripresero le forze, e, posto le maniaddosso a tutta la Nobilità, gli rinchiusero in una prigio-ne capace di tutti loro; donde gli traevono a otto o dieciper volta, sotto titolo di mandargli in esilio in diverseparti, e quegli con molti crudeli esempli facevano mori-re. Di che sendosi, quelli che restavano, accorti, delibe-rarono in quanto era a loro possibile, fuggire quellamorte ignominiosa: ed armatisi di quello potevano,combattendo con quelli che vi volevano entrare, la en-trata della prigione difendevano; di modo che il popolo,a questo romore fatto uno concorso, scoperse la partesuperiore di quel luogo, e quegli con quelle rovine suf-focò. Seguirono ancora in detta provincia molti altri si-mili casi orrendi e notabili; talché si vede essere veroche con maggiore impeto si vendica una libertà che ti èsuta tolta, che quella che ti è voluta tôrre.Pensando dunque donde possa nascere, che, in queglitempi antichi, i popoli fossero più amatori della libertàche in questi; credo nasca da quella medesima cagioneche fa ora gli uomini manco forti: la quale credo sia la

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diversità della educazione nostra dall'antica. Perché,avendoci la nostra religione mostro la verità e la veravia, ci fa stimare meno l'onore del mondo: onde i Genti-li, stimandolo assai, ed avendo posto in quello il sommobene, erano nelle azioni loro più feroci. Il che si puòconsiderare da molte loro constituzioni, cominciandosidalla magnificenza de' sacrifizi loro, alla umiltà de' no-stri; dove è qualche pompa più delicata che magnifica,ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui non mancavala pompa né la magnificenza delle cerimonie, ma vi siaggiugneva l'azione del sacrificio pieno di sangue e diferocità, ammazzandovisi moltitudine d'animali; il qualeaspetto, sendo terribile, rendeva gli uomini simili a lui.La religione antica, oltre a di questo, non beatificava senon uomini pieni di mondana gloria; come erano capita-ni di eserciti e principi di republiche. La nostra religioneha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, chegli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umiltà,abiezione, e nel dispregio delle cose umane: quell'altralo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezzadel corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uominifortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi inte fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fareuna cosa forte. Questo modo di vivere, adunque, pareche abbi renduto il mondo debole, e datolo in preda agliuomini scelerati; i quali sicuramente lo possono maneg-giare, veggendo come l'università degli uomini, per an-darne in Paradiso, pensa più a sopportare le sue battitureche a vendicarle. E benché paia che si sia effeminato il

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diversità della educazione nostra dall'antica. Perché,avendoci la nostra religione mostro la verità e la veravia, ci fa stimare meno l'onore del mondo: onde i Genti-li, stimandolo assai, ed avendo posto in quello il sommobene, erano nelle azioni loro più feroci. Il che si puòconsiderare da molte loro constituzioni, cominciandosidalla magnificenza de' sacrifizi loro, alla umiltà de' no-stri; dove è qualche pompa più delicata che magnifica,ma nessuna azione feroce o gagliarda. Qui non mancavala pompa né la magnificenza delle cerimonie, ma vi siaggiugneva l'azione del sacrificio pieno di sangue e diferocità, ammazzandovisi moltitudine d'animali; il qualeaspetto, sendo terribile, rendeva gli uomini simili a lui.La religione antica, oltre a di questo, non beatificava senon uomini pieni di mondana gloria; come erano capita-ni di eserciti e principi di republiche. La nostra religioneha glorificato più gli uomini umili e contemplativi, chegli attivi. Ha dipoi posto il sommo bene nella umiltà,abiezione, e nel dispregio delle cose umane: quell'altralo poneva nella grandezza dello animo, nella fortezzadel corpo, ed in tutte le altre cose atte a fare gli uominifortissimi. E se la religione nostra richiede che tu abbi inte fortezza, vuole che tu sia atto a patire più che a fareuna cosa forte. Questo modo di vivere, adunque, pareche abbi renduto il mondo debole, e datolo in preda agliuomini scelerati; i quali sicuramente lo possono maneg-giare, veggendo come l'università degli uomini, per an-darne in Paradiso, pensa più a sopportare le sue battitureche a vendicarle. E benché paia che si sia effeminato il

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mondo, e disarmato il Cielo, nasce più sanza dubbiodalla viltà degli uomini, che hanno interpretato la nostrareligione secondo l'ozio, e non secondo la virtù. Perché,se considerassono come la ci permette la esaltazione e ladifesa della patria, vedrebbono come la vuole che noil'amiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali chenoi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educa-zioni, e sì false interpretazioni, che nel mondo non sivede tante republiche quante si vedeva anticamente; né,per consequente, si vede ne' popoli tanto amore alla li-bertà quanto allora: ancora che io creda più tosto esserecagione di questo, che lo Imperio romano con le suearme e sua grandezza spense tutte le republiche e tutti e'viveri civili. E benché poi tale Imperio si sia risoluto,non si sono potute le città ancora rimettere insieme nériordinare alla vita civile, se non in pochissimi luoghi diquello Imperio. Pure, comunque si fusse, i Romani inogni minima parte del mondo trovarono una congiura direpubliche armatissime ed ostinatissime alla difesa dellalibertà loro. Il che mostra che il popolo romano sanzauna rara ed estrema virtù mai non le arebbe potute supe-rare. E per darne esemplo di qualche membro, voglio mi bastilo esemplo de' Sanniti: i quali pare cosa mirabile, e TitoLivio lo confessa, che fussero sì potenti, e l'arme loro sìvalide, che potessono infino al tempo di Papirio Cursoreconsolo, figliuolo del primo Papirio, resistere a' Romani(che fu uno spazio di quarantasei anni), dopo tante rotte,

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mondo, e disarmato il Cielo, nasce più sanza dubbiodalla viltà degli uomini, che hanno interpretato la nostrareligione secondo l'ozio, e non secondo la virtù. Perché,se considerassono come la ci permette la esaltazione e ladifesa della patria, vedrebbono come la vuole che noil'amiamo ed onoriamo, e prepariamoci a essere tali chenoi la possiamo difendere. Fanno adunque queste educa-zioni, e sì false interpretazioni, che nel mondo non sivede tante republiche quante si vedeva anticamente; né,per consequente, si vede ne' popoli tanto amore alla li-bertà quanto allora: ancora che io creda più tosto esserecagione di questo, che lo Imperio romano con le suearme e sua grandezza spense tutte le republiche e tutti e'viveri civili. E benché poi tale Imperio si sia risoluto,non si sono potute le città ancora rimettere insieme nériordinare alla vita civile, se non in pochissimi luoghi diquello Imperio. Pure, comunque si fusse, i Romani inogni minima parte del mondo trovarono una congiura direpubliche armatissime ed ostinatissime alla difesa dellalibertà loro. Il che mostra che il popolo romano sanzauna rara ed estrema virtù mai non le arebbe potute supe-rare. E per darne esemplo di qualche membro, voglio mi bastilo esemplo de' Sanniti: i quali pare cosa mirabile, e TitoLivio lo confessa, che fussero sì potenti, e l'arme loro sìvalide, che potessono infino al tempo di Papirio Cursoreconsolo, figliuolo del primo Papirio, resistere a' Romani(che fu uno spazio di quarantasei anni), dopo tante rotte,

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rovine di terre, e tante strage ricevute nel paese loro;massime veduto ora quel paese, dove erano tante cittadie tanti uomini, essere quasi che disabitato; ed allora viera tanto ordine e tanta forza, che gli era insuperabile, seda una virtù romana non fosse stato assaltato. E facilcosa è considerare donde nasceva quello ordine, e dondeproceda questo disordine; perché tutto viene dal viverelibero allora, ed ora dal vivere servo. Perché tutte le ter-re e le provincie che vivono libere in ogni parte, come disopra dissi, fanno profitti grandissimi. Perché quivi sivede maggiori popoli, per essere e' connubi più liberi,più desiderabili dagli uomini: perché ciascuno procreavolentieri quegli figliuoli che crede potere nutrire, nondubitando che il patrimonio gli sia tolto; e ch'ei conoscenon solamente che nascono liberi e non schiavi, ma ch'eipossono mediante la virtù loro diventare principi. Veg-gonvisi le ricchezze multiplicare in maggiore numero, equelle che vengono dalla cultura, e quelle che vengonodalle arti. Perché ciascuno volentieri multiplica in quellacosa, e cerca di acquistare quei beni, che crede, acqui-stati, potersi godere. Onde ne nasce che gli uomini agara pensono a' privati e publici commodi; e l'uno el'altro viene maravigliosamente a crescere. Il contrariodi tutte queste cose segue in quegli paesi che vivono ser-vi; e tanto più scemono dal consueto bene, quanto più èdura la servitù. E di tutte le servitù dure, quella è duris-sima che ti sottomette a una republica: l'una, perché la èpiù durabile, e manco si può sperare d'uscirne; l'altra,perché il fine della republica è enervare ed indebolire,

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rovine di terre, e tante strage ricevute nel paese loro;massime veduto ora quel paese, dove erano tante cittadie tanti uomini, essere quasi che disabitato; ed allora viera tanto ordine e tanta forza, che gli era insuperabile, seda una virtù romana non fosse stato assaltato. E facilcosa è considerare donde nasceva quello ordine, e dondeproceda questo disordine; perché tutto viene dal viverelibero allora, ed ora dal vivere servo. Perché tutte le ter-re e le provincie che vivono libere in ogni parte, come disopra dissi, fanno profitti grandissimi. Perché quivi sivede maggiori popoli, per essere e' connubi più liberi,più desiderabili dagli uomini: perché ciascuno procreavolentieri quegli figliuoli che crede potere nutrire, nondubitando che il patrimonio gli sia tolto; e ch'ei conoscenon solamente che nascono liberi e non schiavi, ma ch'eipossono mediante la virtù loro diventare principi. Veg-gonvisi le ricchezze multiplicare in maggiore numero, equelle che vengono dalla cultura, e quelle che vengonodalle arti. Perché ciascuno volentieri multiplica in quellacosa, e cerca di acquistare quei beni, che crede, acqui-stati, potersi godere. Onde ne nasce che gli uomini agara pensono a' privati e publici commodi; e l'uno el'altro viene maravigliosamente a crescere. Il contrariodi tutte queste cose segue in quegli paesi che vivono ser-vi; e tanto più scemono dal consueto bene, quanto più èdura la servitù. E di tutte le servitù dure, quella è duris-sima che ti sottomette a una republica: l'una, perché la èpiù durabile, e manco si può sperare d'uscirne; l'altra,perché il fine della republica è enervare ed indebolire,

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per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi. Il chenon fa uno principe che ti sottometta, quando quel prin-cipe non sia qualche principe barbaro, destruttore de'paesi e dissipatore di tutte le civiltà degli uomini, comesono i principi orientali. Ma s'egli ha in sé ordini umanied ordinari, il più delle volte ama le città sue suggetteequalmente, ed a loro lascia l'arti tutte, e quasi tutti gliordini antichi. Talché, se le non possono crescere comelibere, elle non rovinano anche come schiave; intenden-dosi della servitù in quale vengono le città servendo aun forestiero, perché di quelle d'uno loro cittadino neparlai di sopra. Chi considererà, adunque, tutto quelloche si è detto, non si maraviglierà della potenza che iSanniti avevano, sendo liberi, e della debolezza in che e'vennono poi, servendo: e Tito Livio ne fa fede in piùluoghi, e massime nella guerra di Annibale, dove e' mo-stra che, sendo i Sanniti oppressi da una legione di uo-mini che era in Nola, mandarono oratori ad Annibale, apregarlo che gli soccorressi; i quali, nel parlare loro, dis-sono, che avevano per cento anni combattuto con i Ro-mani con i propri loro soldati e propri loro capitani, emolte volte aveano sostenuto dua eserciti consolari edua consoli, e che allora a tanta bassezza erano venuti,che non si potevano a pena difendere da una piccola le-gione romana che era in Nola.

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per accrescere il corpo suo, tutti gli altri corpi. Il chenon fa uno principe che ti sottometta, quando quel prin-cipe non sia qualche principe barbaro, destruttore de'paesi e dissipatore di tutte le civiltà degli uomini, comesono i principi orientali. Ma s'egli ha in sé ordini umanied ordinari, il più delle volte ama le città sue suggetteequalmente, ed a loro lascia l'arti tutte, e quasi tutti gliordini antichi. Talché, se le non possono crescere comelibere, elle non rovinano anche come schiave; intenden-dosi della servitù in quale vengono le città servendo aun forestiero, perché di quelle d'uno loro cittadino neparlai di sopra. Chi considererà, adunque, tutto quelloche si è detto, non si maraviglierà della potenza che iSanniti avevano, sendo liberi, e della debolezza in che e'vennono poi, servendo: e Tito Livio ne fa fede in piùluoghi, e massime nella guerra di Annibale, dove e' mo-stra che, sendo i Sanniti oppressi da una legione di uo-mini che era in Nola, mandarono oratori ad Annibale, apregarlo che gli soccorressi; i quali, nel parlare loro, dis-sono, che avevano per cento anni combattuto con i Ro-mani con i propri loro soldati e propri loro capitani, emolte volte aveano sostenuto dua eserciti consolari edua consoli, e che allora a tanta bassezza erano venuti,che non si potevano a pena difendere da una piccola le-gione romana che era in Nola.

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3 Roma divenne gran città rovinando le cittàcircunvicine, e ricevendo i forestieri facil-

mente a' suoi onori.

«Crescit interea Roma Albae ruinis». Quegli che dise-gnono che una città faccia grande imperio, si debbonocon ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori;perché, sanza questa abbondanza di uomini, mai nonriuscirà di fare grande una città. Questo si fa in duemodi: per amore e per forza. Per amore, tenendo le vieaperte e sicure a' forestieri che disegnassono venire adabitare in quella, acciocché ciascuno vi abiti volentieri:per forza, disfacendo le città vicine, e mandando gli abi-tatori di quelle ad abitare nella tua città. Il che fu in tan-to osservato da Roma, che, nel tempo del sesto re, inRoma abitavano ottantamila uomini da portare arme.Perché i Romani vollono fare ad uso del buono cultiva-tore; il quale, perché una pianta ingrossi, e possa pro-durre e maturare i frutti suoi, gli taglia i primi rami chela mette, acciocché, rimasa quella virtù nel piede diquella pianta, possano col tempo nascervi più verdi epiù fruttiferi. E che questo modo, tenuto per ampliare efare imperio, fusse necessario e buono lo dimostra loesemplo di Sparta e di Atene: le quali essendo dua repu-bliche armatissime, ed ordinate di ottime leggi, nondi-meno non si condussono alla grandezza dello Imperioromano; e Roma pareva più tumultuaria, e non tantobene ordinata come quelle. Di che non se ne può addur-

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3 Roma divenne gran città rovinando le cittàcircunvicine, e ricevendo i forestieri facil-

mente a' suoi onori.

«Crescit interea Roma Albae ruinis». Quegli che dise-gnono che una città faccia grande imperio, si debbonocon ogni industria ingegnare di farla piena di abitatori;perché, sanza questa abbondanza di uomini, mai nonriuscirà di fare grande una città. Questo si fa in duemodi: per amore e per forza. Per amore, tenendo le vieaperte e sicure a' forestieri che disegnassono venire adabitare in quella, acciocché ciascuno vi abiti volentieri:per forza, disfacendo le città vicine, e mandando gli abi-tatori di quelle ad abitare nella tua città. Il che fu in tan-to osservato da Roma, che, nel tempo del sesto re, inRoma abitavano ottantamila uomini da portare arme.Perché i Romani vollono fare ad uso del buono cultiva-tore; il quale, perché una pianta ingrossi, e possa pro-durre e maturare i frutti suoi, gli taglia i primi rami chela mette, acciocché, rimasa quella virtù nel piede diquella pianta, possano col tempo nascervi più verdi epiù fruttiferi. E che questo modo, tenuto per ampliare efare imperio, fusse necessario e buono lo dimostra loesemplo di Sparta e di Atene: le quali essendo dua repu-bliche armatissime, ed ordinate di ottime leggi, nondi-meno non si condussono alla grandezza dello Imperioromano; e Roma pareva più tumultuaria, e non tantobene ordinata come quelle. Di che non se ne può addur-

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re altra cagione, che la preallegata: perché Roma, peravere ingrossato per quelle due vie il corpo della sua cit-tà, potette di già mettere in arme dugentottantamila uo-mini; e Sparta ed Atene non passarono mai ventimilaper ciascuna. Il che nacque, non da essere il sito diRoma più benigno che quello di coloro, ma solamenteda diverso modo di procedere. Perché Licurgo, fondato-re della republica spartana, considerando nessuna cosapotere più facilmente risolvere le sue leggi che la com-mistione di nuovi abitatori, fece ogni cosa perché i fore-stieri non avessono a conversarvi: ed oltre a non gli rice-vere ne' matrimoni, alla civilità, ed alle altre conversa-zioni che fanno convenire gli uomini insieme, ordinòche in quella sua republica si spendesse monete di cuo-io, per tor via a ciascuno il disiderio di venirvi per por-tarvi mercanzie, o portarvi alcuna arte; di qualità chequella città non potette mai ingrossare di abitatori. Eperché tutte le azioni nostre imitano la natura, non èpossibile né naturale che uno pedale sottile sostenga unoramo grosso. Però una republica piccola non può occu-pare città né regni che sieno più validi né più grossi dilei; e, se pure gli occupa, gl'interviene come a quello al-bero che avesse più grosso il ramo che il piede, che, so-stenendolo con fatica, ogni piccol vento lo fiacca: comesi vide che intervenne a Sparta; la quale avendo occupa-te tutte le città di Grecia, non prima se gli ribellò Tebe,che tutte le altre città se gli ribellarono, e rimase il peda-le solo sanza rami. Il che non potette intervenire aRoma, avendo il piè sì grosso, che qualunque ramo po-

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re altra cagione, che la preallegata: perché Roma, peravere ingrossato per quelle due vie il corpo della sua cit-tà, potette di già mettere in arme dugentottantamila uo-mini; e Sparta ed Atene non passarono mai ventimilaper ciascuna. Il che nacque, non da essere il sito diRoma più benigno che quello di coloro, ma solamenteda diverso modo di procedere. Perché Licurgo, fondato-re della republica spartana, considerando nessuna cosapotere più facilmente risolvere le sue leggi che la com-mistione di nuovi abitatori, fece ogni cosa perché i fore-stieri non avessono a conversarvi: ed oltre a non gli rice-vere ne' matrimoni, alla civilità, ed alle altre conversa-zioni che fanno convenire gli uomini insieme, ordinòche in quella sua republica si spendesse monete di cuo-io, per tor via a ciascuno il disiderio di venirvi per por-tarvi mercanzie, o portarvi alcuna arte; di qualità chequella città non potette mai ingrossare di abitatori. Eperché tutte le azioni nostre imitano la natura, non èpossibile né naturale che uno pedale sottile sostenga unoramo grosso. Però una republica piccola non può occu-pare città né regni che sieno più validi né più grossi dilei; e, se pure gli occupa, gl'interviene come a quello al-bero che avesse più grosso il ramo che il piede, che, so-stenendolo con fatica, ogni piccol vento lo fiacca: comesi vide che intervenne a Sparta; la quale avendo occupa-te tutte le città di Grecia, non prima se gli ribellò Tebe,che tutte le altre città se gli ribellarono, e rimase il peda-le solo sanza rami. Il che non potette intervenire aRoma, avendo il piè sì grosso, che qualunque ramo po-

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teva facilmente sostenere. Questo modo adunque di pro-cedere, insieme con gli altri che di sotto si diranno, feceRoma grande e potentissima. Il che dimostra Tito Livioin due parole, quando disse: «Crescit interea Roma Al-bae ruinis».

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teva facilmente sostenere. Questo modo adunque di pro-cedere, insieme con gli altri che di sotto si diranno, feceRoma grande e potentissima. Il che dimostra Tito Livioin due parole, quando disse: «Crescit interea Roma Al-bae ruinis».

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4 Le republiche hanno tenuti tre modi circalo ampliare.

Chi ha osservato le antiche istorie, trova come le repu-bliche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare. L'uno èstato quello che osservarono i Toscani antichi, di essereuna lega di più republiche insieme, dove non sia alcunache avanzi l'altra né di autorità né di grado; e, nello ac-quistare, farsi l'altre città compagne, in simil modocome in questo tempo fanno i Svizzeri, e come ne' tempiantichi fecero in Grecia gli Achei e gli Etoli. E perché iRomani feciono assai guerra co' Toscani, per mostraremeglio le qualità di questo primo modo, mi distenderòin dare notizia di loro particularmente. In Italia, innanziallo Imperio romano, furono i Toscani per mare e perterra potentissimi: e benché delle cose loro non ce ne siaparticulare istoria, pure c'è qualche poco di memoria, equalche segno della grandezza loro; e si sa come e' man-darono una colonia in su 'l mare di sopra, la quale chia-marono Adria, che fu sì nobile, che la dette nome a quelmare che ancora i Latini chiamono Adriatico. Intendesiancora, come le loro armi furono ubbidite dal Tevere perinfino a piè delle Alpi che ora cingono il grosso di Ita-lia; non ostante che, dugento anni innanzi che i Romanicrescessono in molte forze, detti Toscani perderono loimperio di quel paese che oggi si chiama la Lombardia;la quale provincia fu occupata da' Franciosi: i quali,mossi o da necessità o dalla dolcezza dei frutti, e massi-

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4 Le republiche hanno tenuti tre modi circalo ampliare.

Chi ha osservato le antiche istorie, trova come le repu-bliche hanno tenuti tre modi circa lo ampliare. L'uno èstato quello che osservarono i Toscani antichi, di essereuna lega di più republiche insieme, dove non sia alcunache avanzi l'altra né di autorità né di grado; e, nello ac-quistare, farsi l'altre città compagne, in simil modocome in questo tempo fanno i Svizzeri, e come ne' tempiantichi fecero in Grecia gli Achei e gli Etoli. E perché iRomani feciono assai guerra co' Toscani, per mostraremeglio le qualità di questo primo modo, mi distenderòin dare notizia di loro particularmente. In Italia, innanziallo Imperio romano, furono i Toscani per mare e perterra potentissimi: e benché delle cose loro non ce ne siaparticulare istoria, pure c'è qualche poco di memoria, equalche segno della grandezza loro; e si sa come e' man-darono una colonia in su 'l mare di sopra, la quale chia-marono Adria, che fu sì nobile, che la dette nome a quelmare che ancora i Latini chiamono Adriatico. Intendesiancora, come le loro armi furono ubbidite dal Tevere perinfino a piè delle Alpi che ora cingono il grosso di Ita-lia; non ostante che, dugento anni innanzi che i Romanicrescessono in molte forze, detti Toscani perderono loimperio di quel paese che oggi si chiama la Lombardia;la quale provincia fu occupata da' Franciosi: i quali,mossi o da necessità o dalla dolcezza dei frutti, e massi-

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me del vino vennono in Italia sotto Belloveso loro duca;e rotti e cacciati i provinciali, si posono in quello luogo,dove edificarono di molte cittadi, e quella provinciachiamarono Gallia, dal nome che tenevano allora; laquale tennono fino che da' Romani fussero domi. Vive-vono, adunque, i Toscani con quella equalità, e procede-vano nello ampliare in quel primo modo che di sopra sidice: e furono dodici città, tra le quali era Chiusi, Veio,Arezzo, Fiesole, Volterra, e simili: i quali per via di legagovernavano lo Imperio loro; né poterono uscire d'Italiacon gli acquisti; e di quella ancora rimase intatta granparte, per le cagioni che di sotto si diranno. L'altro modoè farsi compagni: non tanto però che non ti rimanga ilgrado del comandare, la sedia dello Imperio, ed il titolodelle imprese: il quale modo fu osservato da' Romani. Ilterzo modo è farsi immediate sudditi, e non compagni;come fecero gli Spartani e gli Ateniesi. De' quali tremodi, questo ultimo è al tutto inutile; come si vide ch'eifu nelle soprascritte due republiche: le quali non rovina-rono per altro, se non per avere acquistato quel dominioche le non potevano tenere. Perché, pigliare cura di ave-re a governare città con violenza, massime quelle chefussono consuete a vivere libere, è una cosa difficile efaticosa. E se tu non sei armato, e grosso d'armi, non lepuoi né comandare né reggere. Ed a volere essere cosìfatto, è necessario farsi compagni che ti aiutino, e in-grossare la tua città di popolo. E perché queste due cittànon fecero né l'uno né l'altro, il modo di procedere lorofu inutile. E perché Roma, la quale è nello esemplo del

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me del vino vennono in Italia sotto Belloveso loro duca;e rotti e cacciati i provinciali, si posono in quello luogo,dove edificarono di molte cittadi, e quella provinciachiamarono Gallia, dal nome che tenevano allora; laquale tennono fino che da' Romani fussero domi. Vive-vono, adunque, i Toscani con quella equalità, e procede-vano nello ampliare in quel primo modo che di sopra sidice: e furono dodici città, tra le quali era Chiusi, Veio,Arezzo, Fiesole, Volterra, e simili: i quali per via di legagovernavano lo Imperio loro; né poterono uscire d'Italiacon gli acquisti; e di quella ancora rimase intatta granparte, per le cagioni che di sotto si diranno. L'altro modoè farsi compagni: non tanto però che non ti rimanga ilgrado del comandare, la sedia dello Imperio, ed il titolodelle imprese: il quale modo fu osservato da' Romani. Ilterzo modo è farsi immediate sudditi, e non compagni;come fecero gli Spartani e gli Ateniesi. De' quali tremodi, questo ultimo è al tutto inutile; come si vide ch'eifu nelle soprascritte due republiche: le quali non rovina-rono per altro, se non per avere acquistato quel dominioche le non potevano tenere. Perché, pigliare cura di ave-re a governare città con violenza, massime quelle chefussono consuete a vivere libere, è una cosa difficile efaticosa. E se tu non sei armato, e grosso d'armi, non lepuoi né comandare né reggere. Ed a volere essere cosìfatto, è necessario farsi compagni che ti aiutino, e in-grossare la tua città di popolo. E perché queste due cittànon fecero né l'uno né l'altro, il modo di procedere lorofu inutile. E perché Roma, la quale è nello esemplo del

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secondo modo, fece l'uno e l'altro, però salse a tanta ec-cessiva potenza. E perché la è stata sola a vivere così, èstata ancora sola a diventare tanto potente: perché, aven-dosi lei fatti di molti compagni per tutta Italia, i quali indi molte cose con equali leggi vivevano seco; e,dall'altro canto, come di sopra è detto, sendosi riserbatasempre la sedia dello Imperio ed il titolo del comandare,questi suoi compagni venivano, che non se ne avvede-vano, con le fatiche e con il sangue loro a soggiogare séstessi. Perché, come ei cominciarono a uscire con glieserciti di Italia, e ridurre i regni in provincie, e farsisuggetti coloro che, per essere consueti a vivere sotto ire, non si curavano di essere suggetti, ed avendo gover-natori romani, ed essendo stati vinti da eserciti con il ti-tolo romano, non riconoscevano per superiore altro cheRoma. Di modo che quegli compagni di Roma che era-no in Italia, si trovarono in un tratto cinti da' sudditi ro-mani, ed oppressi da una grossissima città come eraRoma; e quando ei s'avviddono dello inganno sotto ilquale erano vissuti, non furono a tempo a rimediarvi;tanta autorità aveva presa Roma con le provincie ester-ne, e tanta forza si trovava in seno, avendo la sua cittàgrossissima ed armatissima. E benché quelli suoi com-pagni, per vendicarsi delle ingiurie, le congiurasserocontro, furono in poco tempo perditori della guerra, peg-giorando le loro condizioni; perché, di compagni, diven-tarono ancora loro sudditi. Questo modo di procedere,come è detto, è stato solo osservato da' Romani: né puòtenere altro modo una republica che voglia ampliare;

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secondo modo, fece l'uno e l'altro, però salse a tanta ec-cessiva potenza. E perché la è stata sola a vivere così, èstata ancora sola a diventare tanto potente: perché, aven-dosi lei fatti di molti compagni per tutta Italia, i quali indi molte cose con equali leggi vivevano seco; e,dall'altro canto, come di sopra è detto, sendosi riserbatasempre la sedia dello Imperio ed il titolo del comandare,questi suoi compagni venivano, che non se ne avvede-vano, con le fatiche e con il sangue loro a soggiogare séstessi. Perché, come ei cominciarono a uscire con glieserciti di Italia, e ridurre i regni in provincie, e farsisuggetti coloro che, per essere consueti a vivere sotto ire, non si curavano di essere suggetti, ed avendo gover-natori romani, ed essendo stati vinti da eserciti con il ti-tolo romano, non riconoscevano per superiore altro cheRoma. Di modo che quegli compagni di Roma che era-no in Italia, si trovarono in un tratto cinti da' sudditi ro-mani, ed oppressi da una grossissima città come eraRoma; e quando ei s'avviddono dello inganno sotto ilquale erano vissuti, non furono a tempo a rimediarvi;tanta autorità aveva presa Roma con le provincie ester-ne, e tanta forza si trovava in seno, avendo la sua cittàgrossissima ed armatissima. E benché quelli suoi com-pagni, per vendicarsi delle ingiurie, le congiurasserocontro, furono in poco tempo perditori della guerra, peg-giorando le loro condizioni; perché, di compagni, diven-tarono ancora loro sudditi. Questo modo di procedere,come è detto, è stato solo osservato da' Romani: né puòtenere altro modo una republica che voglia ampliare;

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perché la esperienza non ce ne ha mostro nessuno piùcerto o più vero.Il modo preallegato delle leghe, come viverono i Tosca-ni, gli Achei e gli Etoli e come oggi vivono i Svizzeri è,dopo a quello de' Romani, il migliore modo; perché, nonsi potendo con quello ampliare assai, ne séguita duebeni; l'uno, che facilmente non ti tiri guerra a dosso;l'altro, che quel tanto che tu pigli, lo tieni facilmente. Lacagione del non potere ampliare è lo essere una republi-ca disgiunta e posta in varie sedie: il che fa che difficil-mente possono consultare e diliberare. Fa, ancora, chenon sono desiderosi di dominare: perché, essendo moltecomunità a participare di quel dominio, non stimanotanto tale acquisto quanto fa una republica sola, che spe-ra di goderselo tutto. Governonsi, oltra di questo, perconcilio, e conviene che sieno più tardi ad ogni dilibera-zione, che quelli che abitono drento a uno medesimocerchio. Vedesi ancora per sperienza, che simile mododi procedere ha un termine fisso, il quale non ci è esem-plo che mostri che si sia trapassato: e questo è di aggiu-gnere a dodici o quattordici comunità; dipoi, non cerca-re di andare più avanti: perché, sendo giunti a grado chepare loro potersi difendere da ciascuno, non cerconomaggiore dominio; sì perché la necessità non gli stringedi avere più potenza; sì per non conoscere utile negli ac-quisti, per le cagioni dette di sopra. Perché gli arebbonoa fare una delle due cose; o a seguitare di farsi compa-gni, e questa moltitudine farebbe confusione; o egli

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perché la esperienza non ce ne ha mostro nessuno piùcerto o più vero.Il modo preallegato delle leghe, come viverono i Tosca-ni, gli Achei e gli Etoli e come oggi vivono i Svizzeri è,dopo a quello de' Romani, il migliore modo; perché, nonsi potendo con quello ampliare assai, ne séguita duebeni; l'uno, che facilmente non ti tiri guerra a dosso;l'altro, che quel tanto che tu pigli, lo tieni facilmente. Lacagione del non potere ampliare è lo essere una republi-ca disgiunta e posta in varie sedie: il che fa che difficil-mente possono consultare e diliberare. Fa, ancora, chenon sono desiderosi di dominare: perché, essendo moltecomunità a participare di quel dominio, non stimanotanto tale acquisto quanto fa una republica sola, che spe-ra di goderselo tutto. Governonsi, oltra di questo, perconcilio, e conviene che sieno più tardi ad ogni dilibera-zione, che quelli che abitono drento a uno medesimocerchio. Vedesi ancora per sperienza, che simile mododi procedere ha un termine fisso, il quale non ci è esem-plo che mostri che si sia trapassato: e questo è di aggiu-gnere a dodici o quattordici comunità; dipoi, non cerca-re di andare più avanti: perché, sendo giunti a grado chepare loro potersi difendere da ciascuno, non cerconomaggiore dominio; sì perché la necessità non gli stringedi avere più potenza; sì per non conoscere utile negli ac-quisti, per le cagioni dette di sopra. Perché gli arebbonoa fare una delle due cose; o a seguitare di farsi compa-gni, e questa moltitudine farebbe confusione; o egli

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arebbono a farsi sudditi, e perché e' veggono in questodifficultà, e non molto utile nel tenergli, non lo stimano.Pertanto, quando e' sono venuti a tanto numero che paialoro vivere sicuri, si voltono a due cose: l'una a ricevereraccomandati, e pigliare protezioni; e per questi mezzitrarre da ogni parte danari, i quali facilmente infra lorosi possono distribuire: l'altra è militare per altrui, e pi-gliare soldo da questo e da quel principe che per sue im-prese gli solda; come si vede che fanno oggi i Svizzeri,e come si legge che facevano i preallegati. Di che n'è te-stimone Tito Livio, dove dice che, venendo a parlamen-to Filippo re di Macedonia con Tito Quinzio Flaminio, eragionando d'accordo alla presenza d'uno pretore degliEtoli, e venendo a parole detto pretore con Filippo, glifu da quello rimproverato la avarizia e la infidelità di-cendo che gli Etoli non si vergognavano militare conuno, e poi mandare loro uomini ancora a servigio del ni-mico; talché molte volte intra due contrari eserciti si ve-devano le insegne di Etolia. Conoscesi, pertanto, comequesto modo di procedere per leghe, è stato sempre si-mile, ed ha fatto simili effetti. Vedesi ancora, che quelmodo di fare sudditi è stato sempre debole, ed avere fat-to piccoli profitti; e quando pure egli hanno passato ilmodo, essere rovinati tosto. E se questo modo di faresudditi è inutile nelle republiche armate, in quelle chesono disarmate è inutilissimo: come sono state ne' nostritempi le republiche d'Italia. Conoscesi, pertanto, esserevero modo quello che tennono i Romani, il quale è tantopiù mirabile, quanto e' non ce n'era innanzi a Roma

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arebbono a farsi sudditi, e perché e' veggono in questodifficultà, e non molto utile nel tenergli, non lo stimano.Pertanto, quando e' sono venuti a tanto numero che paialoro vivere sicuri, si voltono a due cose: l'una a ricevereraccomandati, e pigliare protezioni; e per questi mezzitrarre da ogni parte danari, i quali facilmente infra lorosi possono distribuire: l'altra è militare per altrui, e pi-gliare soldo da questo e da quel principe che per sue im-prese gli solda; come si vede che fanno oggi i Svizzeri,e come si legge che facevano i preallegati. Di che n'è te-stimone Tito Livio, dove dice che, venendo a parlamen-to Filippo re di Macedonia con Tito Quinzio Flaminio, eragionando d'accordo alla presenza d'uno pretore degliEtoli, e venendo a parole detto pretore con Filippo, glifu da quello rimproverato la avarizia e la infidelità di-cendo che gli Etoli non si vergognavano militare conuno, e poi mandare loro uomini ancora a servigio del ni-mico; talché molte volte intra due contrari eserciti si ve-devano le insegne di Etolia. Conoscesi, pertanto, comequesto modo di procedere per leghe, è stato sempre si-mile, ed ha fatto simili effetti. Vedesi ancora, che quelmodo di fare sudditi è stato sempre debole, ed avere fat-to piccoli profitti; e quando pure egli hanno passato ilmodo, essere rovinati tosto. E se questo modo di faresudditi è inutile nelle republiche armate, in quelle chesono disarmate è inutilissimo: come sono state ne' nostritempi le republiche d'Italia. Conoscesi, pertanto, esserevero modo quello che tennono i Romani, il quale è tantopiù mirabile, quanto e' non ce n'era innanzi a Roma

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esemplo, e dopo Roma non è stato alcuno che gli abbiimitati. E quanto alle leghe, si trovano solo i Svizzeri ela lega di Svezia che gli imita. E, come nel fine di que-sta materia si dirà, tanti ordini osservati da Roma, cosìpertinenti alle cose di dentro come a quelle di fuora, nonsono ne' presenti nostri tempi non solamente imitati, manon n'è tenuto alcuno conto: giudicandoli alcuni nonveri, alcuni impossibili, alcuni non a proposito ed inuti-li; tanto che, standoci con questa ignoranzia, siamo pre-da di qualunque ha voluto correre questa provincia. Equando la imitazione de' Romani paresse difficile, nondoverrebbe parere così quella degli antichi Toscani,massime a' presenti Toscani. Perché, se quelli non pote-rono, per le cagioni dette, fare uno Imperio simile a queldi Roma, poterono acquistare in Italia quella potenzache quel modo del procedere concesse loro. Il che fu,per un gran tempo, sicuro, con somma gloria d'imperio ed'arme, e massime laude di costumi e di religione. Laquale potenza e gloria fu prima diminuita da' Franciosi,dipoi spenta da' Romani: e fu tanto spenta, che, ancorache, dumila anni fa, la potenza de' Toscani fusse grande,al presente non ce n'è quasi memoria. La quale cosa miha fatto pensare donde nasca questa oblivione dellecose: come nel seguente capitolo si discorrerà.

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esemplo, e dopo Roma non è stato alcuno che gli abbiimitati. E quanto alle leghe, si trovano solo i Svizzeri ela lega di Svezia che gli imita. E, come nel fine di que-sta materia si dirà, tanti ordini osservati da Roma, cosìpertinenti alle cose di dentro come a quelle di fuora, nonsono ne' presenti nostri tempi non solamente imitati, manon n'è tenuto alcuno conto: giudicandoli alcuni nonveri, alcuni impossibili, alcuni non a proposito ed inuti-li; tanto che, standoci con questa ignoranzia, siamo pre-da di qualunque ha voluto correre questa provincia. Equando la imitazione de' Romani paresse difficile, nondoverrebbe parere così quella degli antichi Toscani,massime a' presenti Toscani. Perché, se quelli non pote-rono, per le cagioni dette, fare uno Imperio simile a queldi Roma, poterono acquistare in Italia quella potenzache quel modo del procedere concesse loro. Il che fu,per un gran tempo, sicuro, con somma gloria d'imperio ed'arme, e massime laude di costumi e di religione. Laquale potenza e gloria fu prima diminuita da' Franciosi,dipoi spenta da' Romani: e fu tanto spenta, che, ancorache, dumila anni fa, la potenza de' Toscani fusse grande,al presente non ce n'è quasi memoria. La quale cosa miha fatto pensare donde nasca questa oblivione dellecose: come nel seguente capitolo si discorrerà.

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5 Che la variazione delle sètte e delle lingue,insieme con l'accidente de' diluvii o della pe-

ste, spegne le memorie delle cose.

A quegli filosofi che hanno voluto che il mondo sia statoeterno, credo che si potesse replicare che, se tanta anti-chità fusse vera, e' sarebbe ragionevole che ci fussi me-moria di più che cinquemila anni; quando e' non si ve-desse come queste memorie de' tempi per diverse cagio-ni si spengano: delle quali, parte vengono dagli uomini,parte dal cielo. Quelle che vengono dagli uomini sono levariazioni delle sètte e delle lingue. Perché, quando e'surge una setta nuova, cioè una religione nuova, il primostudio suo è, per darsi riputazione, estinguere la vecchia;e, quando gli occorre che gli ordinatori della nuova settasiano di lingua diversa, la spengono facilmente. La qua-le cosa si conosce considerando e' modi che ha tenuti lasetta Cristiana contro alla Gentile; la quale ha cancellatitutti gli ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ognimemoria di quella antica teologia. Vero è che non gli èriuscito spegnere in tutto la notizia delle cose fatte dagliuomini eccellenti di quella: il che è nato per avere quellamantenuta la lingua latina; il che feciono forzatamente,avendo a scrivere questa legge nuova con essa. Perché,se l'avessono potuta scrivere con nuova lingua, conside-rato le altre persecuzioni gli feciono, non ci sarebbe ri-cordo alcuno delle cose passate. E chi legge i modi te-nuti da San Gregorio, e dagli altri capi della religione

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5 Che la variazione delle sètte e delle lingue,insieme con l'accidente de' diluvii o della pe-

ste, spegne le memorie delle cose.

A quegli filosofi che hanno voluto che il mondo sia statoeterno, credo che si potesse replicare che, se tanta anti-chità fusse vera, e' sarebbe ragionevole che ci fussi me-moria di più che cinquemila anni; quando e' non si ve-desse come queste memorie de' tempi per diverse cagio-ni si spengano: delle quali, parte vengono dagli uomini,parte dal cielo. Quelle che vengono dagli uomini sono levariazioni delle sètte e delle lingue. Perché, quando e'surge una setta nuova, cioè una religione nuova, il primostudio suo è, per darsi riputazione, estinguere la vecchia;e, quando gli occorre che gli ordinatori della nuova settasiano di lingua diversa, la spengono facilmente. La qua-le cosa si conosce considerando e' modi che ha tenuti lasetta Cristiana contro alla Gentile; la quale ha cancellatitutti gli ordini, tutte le cerimonie di quella, e spenta ognimemoria di quella antica teologia. Vero è che non gli èriuscito spegnere in tutto la notizia delle cose fatte dagliuomini eccellenti di quella: il che è nato per avere quellamantenuta la lingua latina; il che feciono forzatamente,avendo a scrivere questa legge nuova con essa. Perché,se l'avessono potuta scrivere con nuova lingua, conside-rato le altre persecuzioni gli feciono, non ci sarebbe ri-cordo alcuno delle cose passate. E chi legge i modi te-nuti da San Gregorio, e dagli altri capi della religione

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cristiana, vedrà con quanta ostinazione e' perseguitaronotutte le memorie antiche, ardendo le opere de' poeti edegli istorici, ruinando le imagini e guastando ogni altracosa che rendesse alcun segno della antichità. Talché, sea questa persecuzione egli avessono aggiunto una nuovalingua, si sarebbe veduto in brevissimo tempo ogni cosadimenticare. È da credere, pertanto, che quello che havoluto fare la setta Cristiana contro alla setta Gentile, laGentile abbia fatto contro a quella che era innanzi a lei.E perché queste sètte in cinque o in seimila anni varianodue o tre volte, si perde la memoria delle cose fatte in-nanzi a quel tempo; e se pure ne resta alcun segno, siconsidera come cosa favolosa, e non è prestato lorofede: come interviene alla istoria di Diodoro Siculo, che,benché e' renda ragione di quaranta o cinquantamilaanni, nondimeno è riputato, come io credo, che sia cosamendace.Quanto alle cause che vengono dal cielo, sono quelleche spengono la umana generazione, e riducano a pochigli abitatori di parte del mondo. E questo viene o per pe-ste o per fame o per una inondazione d'acque: e la piùimportante è questa ultima, sì perché la è più universale,sì perché quegli che si salvono sono uomini tutti monta-nari e rozzi, i quali, non avendo notizia di alcuna anti-chità, non la possono lasciare a' posteri. E se infra lorosi salvasse alcuno che ne avessi notizia, per farsi riputa-zione e nome, la nasconde, e la perverte a suo modo;talché ne resta solo a' successori quanto ei ne ha voluto

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cristiana, vedrà con quanta ostinazione e' perseguitaronotutte le memorie antiche, ardendo le opere de' poeti edegli istorici, ruinando le imagini e guastando ogni altracosa che rendesse alcun segno della antichità. Talché, sea questa persecuzione egli avessono aggiunto una nuovalingua, si sarebbe veduto in brevissimo tempo ogni cosadimenticare. È da credere, pertanto, che quello che havoluto fare la setta Cristiana contro alla setta Gentile, laGentile abbia fatto contro a quella che era innanzi a lei.E perché queste sètte in cinque o in seimila anni varianodue o tre volte, si perde la memoria delle cose fatte in-nanzi a quel tempo; e se pure ne resta alcun segno, siconsidera come cosa favolosa, e non è prestato lorofede: come interviene alla istoria di Diodoro Siculo, che,benché e' renda ragione di quaranta o cinquantamilaanni, nondimeno è riputato, come io credo, che sia cosamendace.Quanto alle cause che vengono dal cielo, sono quelleche spengono la umana generazione, e riducano a pochigli abitatori di parte del mondo. E questo viene o per pe-ste o per fame o per una inondazione d'acque: e la piùimportante è questa ultima, sì perché la è più universale,sì perché quegli che si salvono sono uomini tutti monta-nari e rozzi, i quali, non avendo notizia di alcuna anti-chità, non la possono lasciare a' posteri. E se infra lorosi salvasse alcuno che ne avessi notizia, per farsi riputa-zione e nome, la nasconde, e la perverte a suo modo;talché ne resta solo a' successori quanto ei ne ha voluto

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scrivere, e non altro. E che queste inondazioni, peste efami venghino, non credo sia da dubitarne; sì perché nesono piene tutte le istorie, sì perché si vede questo effet-to della oblivione delle cose, sì perché e' pare ragione-vole ch'e' sia: perché la natura, come ne' corpi semplici,quando e' vi è ragunato assai materia superflua, muoveper sé medesima molte volte, e fa una purgazione, laquale è salute di quel corpo; così interviene in questocorpo misto della umana generazione, che, quando tuttele provincie sono ripiene di abitatori, in modo che nonpossono vivervi, né possono andare altrove, per essereoccupati e ripieni tutti i luoghi; e quando la astuzia e lamalignità umana è venuta dove la può venire, convienedi necessità che il mondo si purghi per uno de' tre modi;acciocché gli uomini, sendo divenuti pochi e battuti, vi-vino più comodamente, e diventino migliori. Era dun-que, come di sopra è detto, già la Toscana potente, pienadi religione e di virtù, aveva i suoi costumi e la sua lin-gua patria: il che tutto è suto spento dalla potenza roma-na. Talché, come si è detto, di lei ne rimane solo la me-moria del nome.

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scrivere, e non altro. E che queste inondazioni, peste efami venghino, non credo sia da dubitarne; sì perché nesono piene tutte le istorie, sì perché si vede questo effet-to della oblivione delle cose, sì perché e' pare ragione-vole ch'e' sia: perché la natura, come ne' corpi semplici,quando e' vi è ragunato assai materia superflua, muoveper sé medesima molte volte, e fa una purgazione, laquale è salute di quel corpo; così interviene in questocorpo misto della umana generazione, che, quando tuttele provincie sono ripiene di abitatori, in modo che nonpossono vivervi, né possono andare altrove, per essereoccupati e ripieni tutti i luoghi; e quando la astuzia e lamalignità umana è venuta dove la può venire, convienedi necessità che il mondo si purghi per uno de' tre modi;acciocché gli uomini, sendo divenuti pochi e battuti, vi-vino più comodamente, e diventino migliori. Era dun-que, come di sopra è detto, già la Toscana potente, pienadi religione e di virtù, aveva i suoi costumi e la sua lin-gua patria: il che tutto è suto spento dalla potenza roma-na. Talché, come si è detto, di lei ne rimane solo la me-moria del nome.

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6 Come i Romani procedevano nel fare laguerra.

Avendo discorso come i Romani procedevano nello am-pliare, discorrereno ora come e' procedevano nel fare laguerra; ed in ogni loro azione si vedrà con quanta pru-denzia ei deviarono dal modo universale degli altri, perfacilitarsi la via a venire a una suprema grandezza. Laintenzione di chi fa guerra per elezione, o vero per am-bizione, è acquistare e mantenere lo acquistato; e proce-dere in modo con essa, che l'arricchisca e non impoveri-sca il paese e la patria sua. È necessario dunque, e nelloacquistare e nel mantenere, pensare di non spendere;anzi fare ogni cosa con utilità del publico suo. Chi vuolefare tutte queste cose, conviene che tenga lo stile emodo romano: il quale fu in prima di fare le guerre,come dicano i Franciosi, corte e grosse; perché, venendoin campagna con eserciti grossi, tutte le guerre che gliebbono con i Latini, Sanniti e Toscani, le spedirano inbrevissimo tempo. E se si noteranno tutte quelle che fe-ciono dal principio di Roma infino alla ossidione de'Veienti, tutte si vedranno ispedite, quale in sei, quale indieci, quale in venti dì. Perché l'uso loro era questo: su-bito che era scoperta la guerra, egli uscivano fuora congli eserciti allo incontro del nimico, e subito facevano lagiornata. La quale vinta, i nimici, perché non fosse gua-sto loro il contado affatto venivano alle condizioni ed iRomani gli condannavano in terreni: i quali terreni gli

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6 Come i Romani procedevano nel fare laguerra.

Avendo discorso come i Romani procedevano nello am-pliare, discorrereno ora come e' procedevano nel fare laguerra; ed in ogni loro azione si vedrà con quanta pru-denzia ei deviarono dal modo universale degli altri, perfacilitarsi la via a venire a una suprema grandezza. Laintenzione di chi fa guerra per elezione, o vero per am-bizione, è acquistare e mantenere lo acquistato; e proce-dere in modo con essa, che l'arricchisca e non impoveri-sca il paese e la patria sua. È necessario dunque, e nelloacquistare e nel mantenere, pensare di non spendere;anzi fare ogni cosa con utilità del publico suo. Chi vuolefare tutte queste cose, conviene che tenga lo stile emodo romano: il quale fu in prima di fare le guerre,come dicano i Franciosi, corte e grosse; perché, venendoin campagna con eserciti grossi, tutte le guerre che gliebbono con i Latini, Sanniti e Toscani, le spedirano inbrevissimo tempo. E se si noteranno tutte quelle che fe-ciono dal principio di Roma infino alla ossidione de'Veienti, tutte si vedranno ispedite, quale in sei, quale indieci, quale in venti dì. Perché l'uso loro era questo: su-bito che era scoperta la guerra, egli uscivano fuora congli eserciti allo incontro del nimico, e subito facevano lagiornata. La quale vinta, i nimici, perché non fosse gua-sto loro il contado affatto venivano alle condizioni ed iRomani gli condannavano in terreni: i quali terreni gli

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convertivano in privati commodi o gli consegnavano aduna colonia; la quale posta in su le frontiere di coloroveniva ad essere guardia de' confini romani, con utile diessi coloni, che avevano quegli campi, e con utile delpublico di Roma, che sanza spesa teneva quella guardia.Né poteva questo modo essere più sicuro, o più forte, opiù utile: perché mentre che i nimici non erano in su icampi, quella guardia bastava: come e' fossono uscitifuori grossi per opprimere quella colonia, ancora i Ro-mani uscivano fuori grossi, e venivano a giornata conquegli, e fatta e vinta la giornata, imponendo loro piùgrave condizione, si tornavano in casa. Così venivanoad acquistare di mano in mano riputazione sopra di loro,e forze in sé medesimi. E questo modo vennono tenendoinfino che mutarono modo di procedere in guerra: il chefu dopo la ossidione de' Veienti; dove, per potere fareguerra lungamente, gli ordinarono di pagare i soldati,che prima, per non essere necessario, essendo le guerrebrevi, non gli pagavano. E benché i Romani dessino ilsoldo, e che per virtù di questo ei potessono fare le guer-re più lunghe, e per farle più discosto la necessità gli te-nesse più in su' campi; nondimeno non variarono maidal primo ordine di finirle presto, secondo il luogo ed iltempo; né variarono mai dal mandare le colonie. Perchénel primo ordine gli tenne, circa il fare le guerre brevioltra a il loro naturale uso, l'ambizione de' Consoli; iquali avendo a stare uno anno e di quello anno sei mesialle stanze, volevano finire la guerra per trionfare. Nelmandare le colonie gli tenne l'utile e la commodità gran-

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convertivano in privati commodi o gli consegnavano aduna colonia; la quale posta in su le frontiere di coloroveniva ad essere guardia de' confini romani, con utile diessi coloni, che avevano quegli campi, e con utile delpublico di Roma, che sanza spesa teneva quella guardia.Né poteva questo modo essere più sicuro, o più forte, opiù utile: perché mentre che i nimici non erano in su icampi, quella guardia bastava: come e' fossono uscitifuori grossi per opprimere quella colonia, ancora i Ro-mani uscivano fuori grossi, e venivano a giornata conquegli, e fatta e vinta la giornata, imponendo loro piùgrave condizione, si tornavano in casa. Così venivanoad acquistare di mano in mano riputazione sopra di loro,e forze in sé medesimi. E questo modo vennono tenendoinfino che mutarono modo di procedere in guerra: il chefu dopo la ossidione de' Veienti; dove, per potere fareguerra lungamente, gli ordinarono di pagare i soldati,che prima, per non essere necessario, essendo le guerrebrevi, non gli pagavano. E benché i Romani dessino ilsoldo, e che per virtù di questo ei potessono fare le guer-re più lunghe, e per farle più discosto la necessità gli te-nesse più in su' campi; nondimeno non variarono maidal primo ordine di finirle presto, secondo il luogo ed iltempo; né variarono mai dal mandare le colonie. Perchénel primo ordine gli tenne, circa il fare le guerre brevioltra a il loro naturale uso, l'ambizione de' Consoli; iquali avendo a stare uno anno e di quello anno sei mesialle stanze, volevano finire la guerra per trionfare. Nelmandare le colonie gli tenne l'utile e la commodità gran-

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de che ne risultava. Variarono bene alquanto circa leprede, delle quali non erano così liberali come erano sta-ti prima; sì perché e' non pareva loro tanto necessario,avendo i soldati lo stipendio; sì perché, essendo le predemaggiori, disegnavano d'ingrassare di quelle in modo ilpublico che non fussono constretti a fare le imprese contributi della città. Il quale ordine in poco tempo fece illoro erario ricchissimo. Questi dua modi, adunque, e cir-ca il distribuire la preda, e circa il mandare le colonie,feciono che Roma arricchiva della guerra; dove gli altriprincipi e republiche non savie ne impoveriscono. E siridusse la cosa in termine, che a uno Consolo non pare-va potere trionfare, se non portava col suo trionfo assaioro ed argento, e d'ogni altra sorta preda, nello erario.Così i Romani, con i soprascritti termini, e con il finirele guerre presto, sendo valenti con lunghezza straccare inimici, e con le rotte e con le scorrerie e con accordi aloro vantaggi, diventarono sempre più ricchi e più po-tenti.

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de che ne risultava. Variarono bene alquanto circa leprede, delle quali non erano così liberali come erano sta-ti prima; sì perché e' non pareva loro tanto necessario,avendo i soldati lo stipendio; sì perché, essendo le predemaggiori, disegnavano d'ingrassare di quelle in modo ilpublico che non fussono constretti a fare le imprese contributi della città. Il quale ordine in poco tempo fece illoro erario ricchissimo. Questi dua modi, adunque, e cir-ca il distribuire la preda, e circa il mandare le colonie,feciono che Roma arricchiva della guerra; dove gli altriprincipi e republiche non savie ne impoveriscono. E siridusse la cosa in termine, che a uno Consolo non pare-va potere trionfare, se non portava col suo trionfo assaioro ed argento, e d'ogni altra sorta preda, nello erario.Così i Romani, con i soprascritti termini, e con il finirele guerre presto, sendo valenti con lunghezza straccare inimici, e con le rotte e con le scorrerie e con accordi aloro vantaggi, diventarono sempre più ricchi e più po-tenti.

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7 Quanto terreno i Romani davano per colo-no.

Quanto terreno i Romani distribuissono per colono, cre-do sia difficile trovarne la verità. Perché io credo ne des-sino più o manco, secondo i luoghi dove e' mandavanole colonie. Giudicasi che ad ogni modo ed in ogni luogola distribuzione fussi parca: prima, per potere mandarepiù uomini, sendo quelli diputati per guardia di quelpaese; dipoi perché, vivendo loro poveri a casa, non eraragionevole che volessono che i loro uomini abbondas-sino troppo fuora. E Tito Livio dice come, preso Veio, e'vi mandarono una colonia, e distribuirono a ciascuno treiugeri e sètte once di terra; che sono, al modo nostro....Perché, oltre alle cose soprascritte, e'giudicavano chenon lo assai terreno, ma il bene cultivato, bastasse. È ne-cessario bene, che tutta la colonia abbi campi publicidove ciascuno possa pascere il suo bestiame, e selvedove prendere del legname per ardere; sanza le qualicose non può una colonia ordinarsi.

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7 Quanto terreno i Romani davano per colo-no.

Quanto terreno i Romani distribuissono per colono, cre-do sia difficile trovarne la verità. Perché io credo ne des-sino più o manco, secondo i luoghi dove e' mandavanole colonie. Giudicasi che ad ogni modo ed in ogni luogola distribuzione fussi parca: prima, per potere mandarepiù uomini, sendo quelli diputati per guardia di quelpaese; dipoi perché, vivendo loro poveri a casa, non eraragionevole che volessono che i loro uomini abbondas-sino troppo fuora. E Tito Livio dice come, preso Veio, e'vi mandarono una colonia, e distribuirono a ciascuno treiugeri e sètte once di terra; che sono, al modo nostro....Perché, oltre alle cose soprascritte, e'giudicavano chenon lo assai terreno, ma il bene cultivato, bastasse. È ne-cessario bene, che tutta la colonia abbi campi publicidove ciascuno possa pascere il suo bestiame, e selvedove prendere del legname per ardere; sanza le qualicose non può una colonia ordinarsi.

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8 La cagione perché i popoli si partono da'luoghi patrii, ed inondano il paese altrui.

Poiché di sopra si è ragionato del modo nel procederenella guerra osservato da' Romani, e come i Toscani fu-rono assaltati da' Franciosi, non mi pare alieno dalla ma-teria discorrere, come le si fanno di dua generazioniguerre. L'una è fatta per ambizione de' principi o dellerepubliche, che cercano di propagare lo imperio; comefurono le guerre che fece Alessandro Magno, e quelleche fecero i Romani, e quelle che fanno, ciascuno dì,l'una potenza con l'altra. Le quali guerre sono pericolo-se, ma non cacciano al tutto gli abitatori d'una provincia;perché e' basta, al vincitore, solo la ubbidienza de' popo-li, e il più delle volte gli lascia vivere con le loro leggi, esempre con le loro case, e ne' loro beni. L'altra genera-zione di guerra è quando uno popolo intero con tutte lesue famiglie si lieva d'uno luogo, necessitato o dallafame o dalla guerra, e va a cercare nuova sede e nuovaprovincia; non per comandarla, come quegli di sopra,ma per possederla tutta particularmente, e cacciarne oammazzare gli abitatori antichi di quella. Questa guerraè crudelissima e paventosissima. E di queste guerre ra-giona Sallustio nel fine dell'Iugurtino, quando dice che,vinto Iugurta, si sentì il moto de' Franciosi che venivanoin Italia: dove ei dice che il Popolo romano con tutte lealtre genti combatté solamente per chi dovesse coman-dare, ma con i Franciosi combatté sempre per la salute

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8 La cagione perché i popoli si partono da'luoghi patrii, ed inondano il paese altrui.

Poiché di sopra si è ragionato del modo nel procederenella guerra osservato da' Romani, e come i Toscani fu-rono assaltati da' Franciosi, non mi pare alieno dalla ma-teria discorrere, come le si fanno di dua generazioniguerre. L'una è fatta per ambizione de' principi o dellerepubliche, che cercano di propagare lo imperio; comefurono le guerre che fece Alessandro Magno, e quelleche fecero i Romani, e quelle che fanno, ciascuno dì,l'una potenza con l'altra. Le quali guerre sono pericolo-se, ma non cacciano al tutto gli abitatori d'una provincia;perché e' basta, al vincitore, solo la ubbidienza de' popo-li, e il più delle volte gli lascia vivere con le loro leggi, esempre con le loro case, e ne' loro beni. L'altra genera-zione di guerra è quando uno popolo intero con tutte lesue famiglie si lieva d'uno luogo, necessitato o dallafame o dalla guerra, e va a cercare nuova sede e nuovaprovincia; non per comandarla, come quegli di sopra,ma per possederla tutta particularmente, e cacciarne oammazzare gli abitatori antichi di quella. Questa guerraè crudelissima e paventosissima. E di queste guerre ra-giona Sallustio nel fine dell'Iugurtino, quando dice che,vinto Iugurta, si sentì il moto de' Franciosi che venivanoin Italia: dove ei dice che il Popolo romano con tutte lealtre genti combatté solamente per chi dovesse coman-dare, ma con i Franciosi combatté sempre per la salute

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di ciascuno. Perché a un principe o a una republica, cheassalta una provincia, basta spegnere solo coloro che co-mandano; ma a queste populazioni conviene spegnereciascuno, perché vogliono vivere di quello che altri vi-veva. I Romani ebbero tre di queste guerre pericolosissi-me. La prima fu quella quando Roma fu presa, la qualefu occupata da quei Franciosi che avevano tolto, comedi sopra si disse, la Lombardia a' Toscani, e fattone lorosedia; della quale Tito Livio ne allega due cagioni: laprima, come di sopra si disse, che furono allettati dalladolcezza delle frutte e del vino d'Italia, delle quali man-cavano in Francia; la seconda che, essendo quel regnofrancioso multiplicato in tanto di uomini, che non vi sipotevono più nutrire, giudicarono i principi di quelliluoghi, che e' fusse necessario che una parte di loro an-dasse a cercare nuova terra, e, fatta tale deliberazione,elessono, per capitani di quegli che si avevano a partire,Belloveso e Sicoveso, duoi re de' Franciosi: de' qualiBelloveso venne in Italia, e Sicoveso passò in Ispagna.Dalla passata del quale Belloveso nacque la occupazio-ne di Lombardia, e di quindi la guerra che prima i Fran-ciosi fecero a Roma. Dopo questa, fu quella che fecerodopo la prima guerra cartaginese, quando intra Piombi-no e Pisa ammazzarono più che dugentomila Franciosi.La terza, fu quando i Tedeschi e' Cimbri vennero in Ita-lia: i quali, avendo vinti più eserciti romani, furono vintida Mario. Vinsero adunque i Romani queste tre guerrepericolosissime. Né era necessario minore virtù a vin-cerle, perché si vide poi, come la virtù romana mancò e

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di ciascuno. Perché a un principe o a una republica, cheassalta una provincia, basta spegnere solo coloro che co-mandano; ma a queste populazioni conviene spegnereciascuno, perché vogliono vivere di quello che altri vi-veva. I Romani ebbero tre di queste guerre pericolosissi-me. La prima fu quella quando Roma fu presa, la qualefu occupata da quei Franciosi che avevano tolto, comedi sopra si disse, la Lombardia a' Toscani, e fattone lorosedia; della quale Tito Livio ne allega due cagioni: laprima, come di sopra si disse, che furono allettati dalladolcezza delle frutte e del vino d'Italia, delle quali man-cavano in Francia; la seconda che, essendo quel regnofrancioso multiplicato in tanto di uomini, che non vi sipotevono più nutrire, giudicarono i principi di quelliluoghi, che e' fusse necessario che una parte di loro an-dasse a cercare nuova terra, e, fatta tale deliberazione,elessono, per capitani di quegli che si avevano a partire,Belloveso e Sicoveso, duoi re de' Franciosi: de' qualiBelloveso venne in Italia, e Sicoveso passò in Ispagna.Dalla passata del quale Belloveso nacque la occupazio-ne di Lombardia, e di quindi la guerra che prima i Fran-ciosi fecero a Roma. Dopo questa, fu quella che fecerodopo la prima guerra cartaginese, quando intra Piombi-no e Pisa ammazzarono più che dugentomila Franciosi.La terza, fu quando i Tedeschi e' Cimbri vennero in Ita-lia: i quali, avendo vinti più eserciti romani, furono vintida Mario. Vinsero adunque i Romani queste tre guerrepericolosissime. Né era necessario minore virtù a vin-cerle, perché si vide poi, come la virtù romana mancò e

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che quelle armi perderono il loro antico valore, fu quelloimperio destrutto da simili popoli: i quali furono Gotti,Vandali, e simili, che occuparono tutto lo Imperio occi-dentale.Escono tali popoli de' paesi loro, come di sopra si disse,cacciati dalla necessità: e la necessità nasce o dallafame, o da una guerra ed oppressione che ne' paesi pro-pri è loro fatta: talché e' son constretti cercare nuove ter-re. E questi tali, o e' sono gran numero; ed allora conviolenza entrano ne' paesi d'altrui, ammazzano gli abita-tori, posseggono i loro beni, fanno uno nuovo regno,mutano il nome della provincia: come fece Moisè, equelli popoli che occuparono lo Imperio romano. Perchéquesti nomi nuovi che sono nella Italia e nelle altre pro-vincie, non nascono da altro che da essere state nomatecosì da nuovi occupatori: come è la Lombardia, che sichiamava Gallia Cisalpina: la Francia si chiamava Gal-lia Transalpina, ed ora è nominata da' Franchi, che cosìsi chiamavono quelli popoli che la occuparono: laSchiavonia si chiamava Illiria; l'Ungheria, Pannonia;l'Inghilterra, Britannia; e molte altre provincie che han-no mutato nome, le quali sarebbe tedioso raccontare.Moisè ancora chiamò Giudea quella parte di Soria occu-pata da lui. E perché io ho detto, di sopra, che qualchevolta tali popoli sono cacciati dalla propria sede perguerra, donde sono constretti cercare nuove terre; ne vo-glio addurre lo esemplo de' Maurusii, popoli anticamen-te in Soria: i quali, sentendo venire i popoli ebraici, e

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che quelle armi perderono il loro antico valore, fu quelloimperio destrutto da simili popoli: i quali furono Gotti,Vandali, e simili, che occuparono tutto lo Imperio occi-dentale.Escono tali popoli de' paesi loro, come di sopra si disse,cacciati dalla necessità: e la necessità nasce o dallafame, o da una guerra ed oppressione che ne' paesi pro-pri è loro fatta: talché e' son constretti cercare nuove ter-re. E questi tali, o e' sono gran numero; ed allora conviolenza entrano ne' paesi d'altrui, ammazzano gli abita-tori, posseggono i loro beni, fanno uno nuovo regno,mutano il nome della provincia: come fece Moisè, equelli popoli che occuparono lo Imperio romano. Perchéquesti nomi nuovi che sono nella Italia e nelle altre pro-vincie, non nascono da altro che da essere state nomatecosì da nuovi occupatori: come è la Lombardia, che sichiamava Gallia Cisalpina: la Francia si chiamava Gal-lia Transalpina, ed ora è nominata da' Franchi, che cosìsi chiamavono quelli popoli che la occuparono: laSchiavonia si chiamava Illiria; l'Ungheria, Pannonia;l'Inghilterra, Britannia; e molte altre provincie che han-no mutato nome, le quali sarebbe tedioso raccontare.Moisè ancora chiamò Giudea quella parte di Soria occu-pata da lui. E perché io ho detto, di sopra, che qualchevolta tali popoli sono cacciati dalla propria sede perguerra, donde sono constretti cercare nuove terre; ne vo-glio addurre lo esemplo de' Maurusii, popoli anticamen-te in Soria: i quali, sentendo venire i popoli ebraici, e

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giudicando non potere loro resistere, pensarono esseremeglio salvare loro medesimi, e lasciare il paese pro-prio, che, per volere salvare quello, perdere ancora loro;e levatisi con loro famiglie, se ne andarono in Africa,dove posero la loro sedia, cacciando via quelli abitatoriche in quegli luoghi trovarono. E così quegli che nonavevano potuto difendere il loro paese, potettono occu-pare quello d'altrui. E Procopio, che scrive la guerra chefece Belisario coi Vandali, occupatori della Africa, rife-risce avere letto lettere scritte in certe colonne, ne' luo-ghi dove questi Maurusii abitavano, le quali dicevano:«Nos Maurusii, qui fugimus a facie Jesu latronis filiiNavae». Dove apparisce la cagione della partita loro diSoria. Sono, pertanto, questi popoli formidolosissimi,sendo cacciati da una ultima necessità; e se e' non ri-scontrano buone armi, non mai saranno sostenuti. Maquando quegli che sono costretti abbandonare la loro pa-tria non sono molti, non sono sì pericolosi come quellipopoli di chi si è ragionato; perché non possono usaretanta violenza, ma conviene loro con arte occupare qual-che luogo, e, occupatolo, mantenervisi per via d'amici edi confederati: come si vede che fece Enea, Didone, iMassiliesi e simili; i quali tutti, per consentimento de'vicini, dov'e' posono, poterono mantenervisi. Escono ipopoli grossi, e sono usciti quasi tutti, de' paesi di Sci-zia; luoghi freddi e poveri: dove, per essere assai uomi-ni, ed il paese di qualità da non gli potere nutrire, sonoforzati uscirne, avendo molte cose che gli cacciono, enessuna che gli ritenga. E se, da cinquecento anni in

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giudicando non potere loro resistere, pensarono esseremeglio salvare loro medesimi, e lasciare il paese pro-prio, che, per volere salvare quello, perdere ancora loro;e levatisi con loro famiglie, se ne andarono in Africa,dove posero la loro sedia, cacciando via quelli abitatoriche in quegli luoghi trovarono. E così quegli che nonavevano potuto difendere il loro paese, potettono occu-pare quello d'altrui. E Procopio, che scrive la guerra chefece Belisario coi Vandali, occupatori della Africa, rife-risce avere letto lettere scritte in certe colonne, ne' luo-ghi dove questi Maurusii abitavano, le quali dicevano:«Nos Maurusii, qui fugimus a facie Jesu latronis filiiNavae». Dove apparisce la cagione della partita loro diSoria. Sono, pertanto, questi popoli formidolosissimi,sendo cacciati da una ultima necessità; e se e' non ri-scontrano buone armi, non mai saranno sostenuti. Maquando quegli che sono costretti abbandonare la loro pa-tria non sono molti, non sono sì pericolosi come quellipopoli di chi si è ragionato; perché non possono usaretanta violenza, ma conviene loro con arte occupare qual-che luogo, e, occupatolo, mantenervisi per via d'amici edi confederati: come si vede che fece Enea, Didone, iMassiliesi e simili; i quali tutti, per consentimento de'vicini, dov'e' posono, poterono mantenervisi. Escono ipopoli grossi, e sono usciti quasi tutti, de' paesi di Sci-zia; luoghi freddi e poveri: dove, per essere assai uomi-ni, ed il paese di qualità da non gli potere nutrire, sonoforzati uscirne, avendo molte cose che gli cacciono, enessuna che gli ritenga. E se, da cinquecento anni in

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qua, non è occorso che alcuni di questi popoli abbianoinondato alcuno paese, è nato per più cagioni. La prima,la grande evacuazione che fece quel paese nella declina-zione dello Imperio, donde uscirono più di trenta popoli.La seconda è che la Magna e l'Ungheria, donde ancorauscivano di queste genti hanno ora il loro paese bonifi-cato in modo che vi possono vivere agiatamente; talchénon sono necessitati di mutare luogo. Dall'altra parte,sendo loro uomini bellicosissimi, sono come uno bastio-ne a tenere che gli Sciti, i quali con loro confinano, nonpresumino di potere vincergli o passarli. E spesse volteoccorrono movimenti grandissimi de' Tartari che sonodipoi dagli Ungheri e da quelli di Polonia sostenuti; espesso si gloriano, che, se non fussono l'armi loro, laItalia e la Chiesa arebbe molte volte sentito il peso deglieserciti tartari. E questo voglio basti quanto ai prefatipopoli.

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qua, non è occorso che alcuni di questi popoli abbianoinondato alcuno paese, è nato per più cagioni. La prima,la grande evacuazione che fece quel paese nella declina-zione dello Imperio, donde uscirono più di trenta popoli.La seconda è che la Magna e l'Ungheria, donde ancorauscivano di queste genti hanno ora il loro paese bonifi-cato in modo che vi possono vivere agiatamente; talchénon sono necessitati di mutare luogo. Dall'altra parte,sendo loro uomini bellicosissimi, sono come uno bastio-ne a tenere che gli Sciti, i quali con loro confinano, nonpresumino di potere vincergli o passarli. E spesse volteoccorrono movimenti grandissimi de' Tartari che sonodipoi dagli Ungheri e da quelli di Polonia sostenuti; espesso si gloriano, che, se non fussono l'armi loro, laItalia e la Chiesa arebbe molte volte sentito il peso deglieserciti tartari. E questo voglio basti quanto ai prefatipopoli.

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9 Quali cagioni comunemente faccino nasce-re le guerre intra i potenti.

La cagione che fece nascere guerra intra i Romani ed iSanniti, che erano stati in lega gran tempo, è una cagio-ne comune che nasce infra tutti i principati potenti. Laquale cagione o la viene a caso o la è fatta nascere dacolui che disidera muovere la guerra. Quella che nacqueintra i Romani ed i Sanniti fu a caso; perché la intenzio-ne de' Sanniti non fu, movendo guerra a' Sidicini, e di-poi ai Campani, muoverla ai Romani. Ma, sendo i Cam-pani oppressati, e ricorrendo a Roma fuora della opinio-ne de' Romani e de' Sanniti, furono forzati, dandosi iCampani ai Romani, come cosa loro defendergli, e pi-gliare quella guerra che a loro parve non potere con loroonore fuggire. Perché e' pareva bene ai Romani ragione-vole non potere difendere i Campani come amici, controa' Sanniti amici, ma pareva ben loro vergogna non glidifendere come sudditi ovvero raccomandati; giudican-do, quando e' non avessino presa tale difesa, tôrre la viaa tutti quegli che disegnassino venire sotto la potestàloro. Perché, avendo Roma per fine lo imperio e la glo-ria, e non la quiete, non poteva ricusare questa impresa.Questa medesima cagione dette principio alla primaguerra contro ai Cartaginesi, per la defensione che i Ro-mani presono de' Messinesi in Sicilia: la quale fu ancoraa caso. Ma non fu già a caso, dipoi, la seconda guerrache nacque infra loro; perché Annibale capitano cartagi-

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9 Quali cagioni comunemente faccino nasce-re le guerre intra i potenti.

La cagione che fece nascere guerra intra i Romani ed iSanniti, che erano stati in lega gran tempo, è una cagio-ne comune che nasce infra tutti i principati potenti. Laquale cagione o la viene a caso o la è fatta nascere dacolui che disidera muovere la guerra. Quella che nacqueintra i Romani ed i Sanniti fu a caso; perché la intenzio-ne de' Sanniti non fu, movendo guerra a' Sidicini, e di-poi ai Campani, muoverla ai Romani. Ma, sendo i Cam-pani oppressati, e ricorrendo a Roma fuora della opinio-ne de' Romani e de' Sanniti, furono forzati, dandosi iCampani ai Romani, come cosa loro defendergli, e pi-gliare quella guerra che a loro parve non potere con loroonore fuggire. Perché e' pareva bene ai Romani ragione-vole non potere difendere i Campani come amici, controa' Sanniti amici, ma pareva ben loro vergogna non glidifendere come sudditi ovvero raccomandati; giudican-do, quando e' non avessino presa tale difesa, tôrre la viaa tutti quegli che disegnassino venire sotto la potestàloro. Perché, avendo Roma per fine lo imperio e la glo-ria, e non la quiete, non poteva ricusare questa impresa.Questa medesima cagione dette principio alla primaguerra contro ai Cartaginesi, per la defensione che i Ro-mani presono de' Messinesi in Sicilia: la quale fu ancoraa caso. Ma non fu già a caso, dipoi, la seconda guerrache nacque infra loro; perché Annibale capitano cartagi-

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nese assaltò i Saguntini amici de' Romani in Ispagna,non per offendere quelli, ma per muovere l'armi romane,ed avere occasione di combatterli, e passare in Italia.Questo modo nello appiccare nuove guerre è stato sem-pre consueto intra i potenti, e che si hanno, e della fedee d'altro, qualche rispetto. Perché, se io voglio fare guer-ra con uno principe, ed infra noi siano fermi capitoli perun gran tempo osservati, con altra giustificazione e conaltro colore assalterò io uno suo amico che lui proprio;sappiendo, massime, che, nello assaltare lo amico, o eisi risentirà, ed io arò lo intento mio di farli guerra, o,non si risentendo, si scoprirà la debolezza o la infidelitàsua, di non difendere uno suo raccomandato. E l'una el'altra di queste due cose è per tôrli riputazione, e perfare più facili i disegni miei. Debbesi notare, adunque, eper la dedizione de' Campani, circa al muovere guerra,quanto di sopra si è detto; e di più, quale rimedio abbiauna città che non si possa per sé stessa difendere, e vo-gliasi difendere in ogni modo da quello che l'assalta: ilquale è darsi liberamente a quello che tu disegni che tidifenda, come feciono i Capovani a' Romani, e i Fioren-tini a il re Ruberto di Napoli: il quale non gli volendodifendere come amici, gli difese poi come sudditi controalle forze di Castruccio da Lucca, che gli opprimeva.

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nese assaltò i Saguntini amici de' Romani in Ispagna,non per offendere quelli, ma per muovere l'armi romane,ed avere occasione di combatterli, e passare in Italia.Questo modo nello appiccare nuove guerre è stato sem-pre consueto intra i potenti, e che si hanno, e della fedee d'altro, qualche rispetto. Perché, se io voglio fare guer-ra con uno principe, ed infra noi siano fermi capitoli perun gran tempo osservati, con altra giustificazione e conaltro colore assalterò io uno suo amico che lui proprio;sappiendo, massime, che, nello assaltare lo amico, o eisi risentirà, ed io arò lo intento mio di farli guerra, o,non si risentendo, si scoprirà la debolezza o la infidelitàsua, di non difendere uno suo raccomandato. E l'una el'altra di queste due cose è per tôrli riputazione, e perfare più facili i disegni miei. Debbesi notare, adunque, eper la dedizione de' Campani, circa al muovere guerra,quanto di sopra si è detto; e di più, quale rimedio abbiauna città che non si possa per sé stessa difendere, e vo-gliasi difendere in ogni modo da quello che l'assalta: ilquale è darsi liberamente a quello che tu disegni che tidifenda, come feciono i Capovani a' Romani, e i Fioren-tini a il re Ruberto di Napoli: il quale non gli volendodifendere come amici, gli difese poi come sudditi controalle forze di Castruccio da Lucca, che gli opprimeva.

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10 I danari non sono il nervo della guerra,secondo che è la comune opinione.

Perché ciascuno può cominciare una guerra a sua posta,ma non finirla, debbe uno principe, avanti che prendauna impresa, misurare le forze sue, e secondo quelle go-vernarsi. Ma debbe avere tanta prudenza, che delle sueforze ei non s'inganni; ed ogni volta s'ingannerà, quandole misuri o dai danari, o dal sito, o dalla benivolenza de-gli uomini, mancando, dall'altra parte, d'armi proprie.Perché le cose predette ti accrescono bene le forze, maben non te le danno; e per sé medesime sono nulla; enon giovono alcuna cosa sanza l'armi fedeli. Perché idanari assai non ti bastano sanza quelle; non ti giova lafortezza del paese e la fede e benivolenza degli uomininon dura, perché questi non ti possono essere fedeli, nongli potendo difendere. Ogni monte, ogni lago, ogni luo-go inaccessibile diventa piano, dove i forti difensorimancano. I danari ancora, non solo non ti difendono, mati fanno predare più presto. Né può essere più falsa quel-la comune opinione che dice, che i danari sono il nervodella guerra. La quale sentenza è detta da Quinto Curzionella guerra che fu intra Antipatro macedone e il respartano: dove narra, che, per difetto di danari, il re diSparta fu necessitato azzuffarsi, e fu rotto; ché se ei dif-feriva la zuffa pochi giorni, veniva la nuova in Greciadella morte di Alessandro, donde ei sarebbe rimaso vin-citore sanza combattere: ma, mancandogli i danari, e du-

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10 I danari non sono il nervo della guerra,secondo che è la comune opinione.

Perché ciascuno può cominciare una guerra a sua posta,ma non finirla, debbe uno principe, avanti che prendauna impresa, misurare le forze sue, e secondo quelle go-vernarsi. Ma debbe avere tanta prudenza, che delle sueforze ei non s'inganni; ed ogni volta s'ingannerà, quandole misuri o dai danari, o dal sito, o dalla benivolenza de-gli uomini, mancando, dall'altra parte, d'armi proprie.Perché le cose predette ti accrescono bene le forze, maben non te le danno; e per sé medesime sono nulla; enon giovono alcuna cosa sanza l'armi fedeli. Perché idanari assai non ti bastano sanza quelle; non ti giova lafortezza del paese e la fede e benivolenza degli uomininon dura, perché questi non ti possono essere fedeli, nongli potendo difendere. Ogni monte, ogni lago, ogni luo-go inaccessibile diventa piano, dove i forti difensorimancano. I danari ancora, non solo non ti difendono, mati fanno predare più presto. Né può essere più falsa quel-la comune opinione che dice, che i danari sono il nervodella guerra. La quale sentenza è detta da Quinto Curzionella guerra che fu intra Antipatro macedone e il respartano: dove narra, che, per difetto di danari, il re diSparta fu necessitato azzuffarsi, e fu rotto; ché se ei dif-feriva la zuffa pochi giorni, veniva la nuova in Greciadella morte di Alessandro, donde ei sarebbe rimaso vin-citore sanza combattere: ma, mancandogli i danari, e du-

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bitando che lo esercito suo per difetto di quegli non loabbandonasse, fu constretto tentare la fortuna della zuf-fa: talché Quinto Curzio per questa cagione afferma, idanari essere il nervo della guerra. La quale sentenza èallegata ogni giorno, e da' principi, non tanto prudentiche basti, seguitata. Perché, fondatisi sopra quella, cre-dono che basti loro, a difendersi, avere tesoro assai, enon pensano che se il tesoro bastasse a vincere, che Da-rio arebbe vinto Alessandro; i Greci arebbono vinto iRomani; ne' nostri tempi il duca Carlo arebbe vinti iSvizzeri; e pochi giorni sono, il Papa ed i Fiorentini in-sieme non arebbono avuta difficultà in vincere France-sco Maria, nipote di papa Iulio II, nella guerra di Urbi-no. Ma tutti i soprannominati furono vinti da coloro chenon il danaio ma i buoni soldati stimano essere il nervodella guerra. Intra le altre cose che Creso re de' Lidiimostrò a Solone ateniese, fu uno tesoro innumerabile, edomandando quel che gli pareva della potenza sua, glirispose Solone, che per quello e' non lo giudicava piùpotente; perché la guerra si faceva con il ferro e non conl'oro, e che poteva venire uno che avessi più ferro di lui,e torgliene. Oltre a di questo, quando, dopo la morte diAlessandro Magno, una moltitudine di Franciosi passòin Grecia, e poi in Asia, e, mandando i Franciosi oratoria il re di Macedonia per trattare certo accordo; quel re,per mostrare la potenza sua e per sbigottirli, mostrò lorooro ed ariento assai: donde quelli Franciosi, che di giàavevano come ferma la pace, la ruppono; tanto desiderioin loro crebbe di torgli quell'oro: e così fu quel re spo-

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bitando che lo esercito suo per difetto di quegli non loabbandonasse, fu constretto tentare la fortuna della zuf-fa: talché Quinto Curzio per questa cagione afferma, idanari essere il nervo della guerra. La quale sentenza èallegata ogni giorno, e da' principi, non tanto prudentiche basti, seguitata. Perché, fondatisi sopra quella, cre-dono che basti loro, a difendersi, avere tesoro assai, enon pensano che se il tesoro bastasse a vincere, che Da-rio arebbe vinto Alessandro; i Greci arebbono vinto iRomani; ne' nostri tempi il duca Carlo arebbe vinti iSvizzeri; e pochi giorni sono, il Papa ed i Fiorentini in-sieme non arebbono avuta difficultà in vincere France-sco Maria, nipote di papa Iulio II, nella guerra di Urbi-no. Ma tutti i soprannominati furono vinti da coloro chenon il danaio ma i buoni soldati stimano essere il nervodella guerra. Intra le altre cose che Creso re de' Lidiimostrò a Solone ateniese, fu uno tesoro innumerabile, edomandando quel che gli pareva della potenza sua, glirispose Solone, che per quello e' non lo giudicava piùpotente; perché la guerra si faceva con il ferro e non conl'oro, e che poteva venire uno che avessi più ferro di lui,e torgliene. Oltre a di questo, quando, dopo la morte diAlessandro Magno, una moltitudine di Franciosi passòin Grecia, e poi in Asia, e, mandando i Franciosi oratoria il re di Macedonia per trattare certo accordo; quel re,per mostrare la potenza sua e per sbigottirli, mostrò lorooro ed ariento assai: donde quelli Franciosi, che di giàavevano come ferma la pace, la ruppono; tanto desiderioin loro crebbe di torgli quell'oro: e così fu quel re spo-

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gliato per quella cosa che egli aveva per sua difesa accu-mulata. I Viniziani, pochi anni sono, avendo ancora loerario loro pieno di tesoro, perderno tutto lo stato, sanzapotere essere difesi da quello.Dico pertanto, non l'oro, come grida la comune opinio-ne, essere il nervo della guerra, ma i buoni soldati: per-ché l'oro non è sufficiente a trovare i buoni soldati, ma ibuoni soldati sono bene sufficienti a trovare l'oro. AiRomani, s'eglino avessoro voluto fare la guerra più con idanari che con il ferro, non sarebbe bastato avere tutto iltesoro del mondo, considerato le grandi imprese che fe-ciono, e le difficultà che vi ebbono dentro. Ma, faccendole loro guerre con il ferro, non patirono mai carestiadell'oro, perché da quegli che gli temevano era portatoloro infino ne' campi. E se quel re spartano per carestiadi danari ebbe a tentare la fortuna della zuffa, intervennea lui quello, per conto de' danari, che molte volte è inter-venuto per altre cagioni: perché si è veduto che, man-cando a uno esercito le vettovaglie, ed essendo necessi-tati o a morire di fame o azzuffarsi, si piglia il partitosempre di azzuffarsi, per essere più onorevole, e dove lafortuna ti può in qualche modo favorire. Ancora è inter-venuto molte volte, che, veggendo uno capitano al suoesercito inimico venire soccorso, gli conviene o azzuf-farsi con quello e tentare la fortuna della zuffa; o, aspet-tando ch'egli ingrossi, avere a combattere in ogni modo,con mille suoi disavvantaggi. Ancora si è visto (comeintervenne a Asdrubale, quando nella Marca fu assaltato

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gliato per quella cosa che egli aveva per sua difesa accu-mulata. I Viniziani, pochi anni sono, avendo ancora loerario loro pieno di tesoro, perderno tutto lo stato, sanzapotere essere difesi da quello.Dico pertanto, non l'oro, come grida la comune opinio-ne, essere il nervo della guerra, ma i buoni soldati: per-ché l'oro non è sufficiente a trovare i buoni soldati, ma ibuoni soldati sono bene sufficienti a trovare l'oro. AiRomani, s'eglino avessoro voluto fare la guerra più con idanari che con il ferro, non sarebbe bastato avere tutto iltesoro del mondo, considerato le grandi imprese che fe-ciono, e le difficultà che vi ebbono dentro. Ma, faccendole loro guerre con il ferro, non patirono mai carestiadell'oro, perché da quegli che gli temevano era portatoloro infino ne' campi. E se quel re spartano per carestiadi danari ebbe a tentare la fortuna della zuffa, intervennea lui quello, per conto de' danari, che molte volte è inter-venuto per altre cagioni: perché si è veduto che, man-cando a uno esercito le vettovaglie, ed essendo necessi-tati o a morire di fame o azzuffarsi, si piglia il partitosempre di azzuffarsi, per essere più onorevole, e dove lafortuna ti può in qualche modo favorire. Ancora è inter-venuto molte volte, che, veggendo uno capitano al suoesercito inimico venire soccorso, gli conviene o azzuf-farsi con quello e tentare la fortuna della zuffa; o, aspet-tando ch'egli ingrossi, avere a combattere in ogni modo,con mille suoi disavvantaggi. Ancora si è visto (comeintervenne a Asdrubale, quando nella Marca fu assaltato

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da Claudio Nerone, insieme con l'altro console romano)che un capitano, necessitato o a fuggirsi o a combattere,come sempre elegge il combattere; parendogli in questopartito, ancora che dubbiosissimo, potere vincere; ed inquello altro avere a perdere in ogni modo. Sono, adun-que, molte necessitadi che fanno a un capitano fuor del-la sua intenzione pigliare partito di azzuffarsi, intra lequali qualche volta può essere la carestia de' danari; néper questo si debbono i danari giudicare essere il nervodella guerra, più che le altre cose che inducano gli uo-mini a simile necessità. Non è, adunque, replicandolo dinuovo, l'oro il nervo della guerra, ma i buoni soldati.Son bene necessari i danari in secondo luogo, ma è unanecessità che i soldati buoni per sé medesimi la vinco-no; perché è impossibile che ai buoni soldati manchino idanari, come che i danari per loro medesimi trovino ibuoni soldati. Mostra, questo che noi diciamo esserevero, ogni istoria in mille luoghi; non ostante che Peri-cle consigliasse gli Ateniesi a fare guerra con tutto il Pe-loponnesso, mostrando ch'e' potevano vincere quellaguerra con la industria e con la forza del danaio. E ben-ché in tale guerra gli Ateniesi prosperassino qualchevolta, in ultimo la perderono; e valson più il consiglio eli buoni soldati di Sparta, che la industria ed il danaio diAtene. Ma Tito Livio è di questa opinione più vero testi-mone che alcuno altro, dove, discorrendo se AlessandroMagno fussi venuto in Italia, s'egli avesse vinto i Roma-ni, mostra essere tre cose necessarie nella guerra; assaisoldati e buoni, capitani prudenti, e buona fortuna: dove,

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da Claudio Nerone, insieme con l'altro console romano)che un capitano, necessitato o a fuggirsi o a combattere,come sempre elegge il combattere; parendogli in questopartito, ancora che dubbiosissimo, potere vincere; ed inquello altro avere a perdere in ogni modo. Sono, adun-que, molte necessitadi che fanno a un capitano fuor del-la sua intenzione pigliare partito di azzuffarsi, intra lequali qualche volta può essere la carestia de' danari; néper questo si debbono i danari giudicare essere il nervodella guerra, più che le altre cose che inducano gli uo-mini a simile necessità. Non è, adunque, replicandolo dinuovo, l'oro il nervo della guerra, ma i buoni soldati.Son bene necessari i danari in secondo luogo, ma è unanecessità che i soldati buoni per sé medesimi la vinco-no; perché è impossibile che ai buoni soldati manchino idanari, come che i danari per loro medesimi trovino ibuoni soldati. Mostra, questo che noi diciamo esserevero, ogni istoria in mille luoghi; non ostante che Peri-cle consigliasse gli Ateniesi a fare guerra con tutto il Pe-loponnesso, mostrando ch'e' potevano vincere quellaguerra con la industria e con la forza del danaio. E ben-ché in tale guerra gli Ateniesi prosperassino qualchevolta, in ultimo la perderono; e valson più il consiglio eli buoni soldati di Sparta, che la industria ed il danaio diAtene. Ma Tito Livio è di questa opinione più vero testi-mone che alcuno altro, dove, discorrendo se AlessandroMagno fussi venuto in Italia, s'egli avesse vinto i Roma-ni, mostra essere tre cose necessarie nella guerra; assaisoldati e buoni, capitani prudenti, e buona fortuna: dove,

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esaminando quali o i Romani o Alessandro prevalesseroin queste cose, fa dipoi la sua conclusione sanza ricorda-re mai i danari. Doverono i Capovani, quando furono ri-chiesti da' Sidicini che prendessono l'armi per loro con-tro ai Sanniti, misurare la potenza loro dai danari, e nonda' soldati: perché, preso ch'egli ebbero partito di aiutar-gli, dopo due rotte furono constretti farsi tributari de'Romani, se si vollono salvare.

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esaminando quali o i Romani o Alessandro prevalesseroin queste cose, fa dipoi la sua conclusione sanza ricorda-re mai i danari. Doverono i Capovani, quando furono ri-chiesti da' Sidicini che prendessono l'armi per loro con-tro ai Sanniti, misurare la potenza loro dai danari, e nonda' soldati: perché, preso ch'egli ebbero partito di aiutar-gli, dopo due rotte furono constretti farsi tributari de'Romani, se si vollono salvare.

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11 Non è partito prudente fare amicizia conuno principe che abbia più opinione che for-

ze.

Volendo Tito Livio mostrare lo errore de' Sidicini a fi-darsi dello aiuto de' Campani, e lo errore de' Campani acredere potergli difendere, non lo potrebbe dire con piùvive parole, dicendo: «Campani magis nomen in auxi-lium Sidicinorum, quam vires ad praesidium attulerunt».Dove si debbe notare che le leghe che si fanno coi prin-cipi, che non abbino o commodità di aiutarti per la di-stanza del sito, o forze da farlo per suo disordine o altrasua cagione, arrecono più fama che aiuto a coloro che sene fidano: come intervenne, ne' dì nostri, ai Fiorentini,quando, nel 1479, il Papa ed il re di Napoli gli assaltaro-no: ché, essendo amici del re di Francia, trassono diquella amicizia «magis nomen, quam praesidium»,come interverrebbe ancora a quel principe, che, confida-tosi di Massimiliano imperadore, facesse qualche impre-sa; perché questa è una di quelle amicizie che arreche-rebbe a chi la facesse «magis nomen, quam praesi-dium», come si dice, in questo testo, che arrecò quellade' Capovani a' Sidicini. Errarono, adunque, in questaparte i Capovani, per parere loro avere più forze che nonavevano. E così fa la poca prudenzia degli uomini, qual-che volta, che, non sappiendo né potendo difendere sémedesimi, vogliono prendere impresa di difendere al-trui: come fecero ancora i Tarentini, i quali, sendo gli

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11 Non è partito prudente fare amicizia conuno principe che abbia più opinione che for-

ze.

Volendo Tito Livio mostrare lo errore de' Sidicini a fi-darsi dello aiuto de' Campani, e lo errore de' Campani acredere potergli difendere, non lo potrebbe dire con piùvive parole, dicendo: «Campani magis nomen in auxi-lium Sidicinorum, quam vires ad praesidium attulerunt».Dove si debbe notare che le leghe che si fanno coi prin-cipi, che non abbino o commodità di aiutarti per la di-stanza del sito, o forze da farlo per suo disordine o altrasua cagione, arrecono più fama che aiuto a coloro che sene fidano: come intervenne, ne' dì nostri, ai Fiorentini,quando, nel 1479, il Papa ed il re di Napoli gli assaltaro-no: ché, essendo amici del re di Francia, trassono diquella amicizia «magis nomen, quam praesidium»,come interverrebbe ancora a quel principe, che, confida-tosi di Massimiliano imperadore, facesse qualche impre-sa; perché questa è una di quelle amicizie che arreche-rebbe a chi la facesse «magis nomen, quam praesi-dium», come si dice, in questo testo, che arrecò quellade' Capovani a' Sidicini. Errarono, adunque, in questaparte i Capovani, per parere loro avere più forze che nonavevano. E così fa la poca prudenzia degli uomini, qual-che volta, che, non sappiendo né potendo difendere sémedesimi, vogliono prendere impresa di difendere al-trui: come fecero ancora i Tarentini, i quali, sendo gli

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eserciti romani allo incontro dello esercito Sannite,mandarono ambasciadori al Console romano, a fargli in-tendere come ei volevano pace intra quegli due popoli, ecome erano per fare guerra contro a quello che dallapace si discostasse; talché il Console, ridendosi di que-sta proposta, alla presenza di detti ambasciadori fece so-nare a battaglia, ed al suo esercito comandò che andassea trovare il nimico, mostrando ai Tarentini, con la operae non con le parole, di che risposta essi erano degni.Ed avendo nel presente capitolo ragionato de' partiti chepigliono i principi, al contrario, per la difesa d'altrui, vo-glio, nel seguente, parlare di quegli che si pigliano per ladifesa propria.

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eserciti romani allo incontro dello esercito Sannite,mandarono ambasciadori al Console romano, a fargli in-tendere come ei volevano pace intra quegli due popoli, ecome erano per fare guerra contro a quello che dallapace si discostasse; talché il Console, ridendosi di que-sta proposta, alla presenza di detti ambasciadori fece so-nare a battaglia, ed al suo esercito comandò che andassea trovare il nimico, mostrando ai Tarentini, con la operae non con le parole, di che risposta essi erano degni.Ed avendo nel presente capitolo ragionato de' partiti chepigliono i principi, al contrario, per la difesa d'altrui, vo-glio, nel seguente, parlare di quegli che si pigliano per ladifesa propria.

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12 S'egli è meglio, temendo di essere assalta-to, inferire o aspettare la guerra.

Io ho sentito da uomini, assai pratichi nelle cose dellaguerra, qualche volta disputare, se sono dua principiquasi di equali forze, e quello più gagliardo abbi banditola guerra contro a quell'altro, quale sia migliore partitoper l'altro, o aspettare il nimico dentro a' confini suoi, oandarlo a trovare in casa ed assaltare lui: e ne ho sentitoaddurre ragioni da ogni parte. E chi difende lo andareassaltare altri, ne allega il consiglio che Creso dette aCiro, quando, arrivato in su' confini de' Massageti perfare loro guerra, la loro regina Tamiri gli mandò a dire,che eleggessi quale de' due partiti volesse; o entrare nelregno suo, dove ella lo aspetterebbe; o volesse che ellavenisse a trovare lui. E venuta la cosa in discettazione,Creso, contro alla opinione degli altri, disse che si an-dasse a trovare lei; allegando che, s'egli la vincesse di-scosto a il suo regno, che non le torrebbe il regno, per-ché ella arebbe tempo a rifarsi, ma se la vincesse dentroai suoi confini, potrebbe seguirla in su la fuga, e, non ledando spazio a rifarsi, torle lo stato. Allegane ancora ilconsiglio che dette Annibale ad Antioco, quando quel redisegnava fare guerra ai Romani: dove ei mostra come iRomani non si potevano vincere se non in Italia, perchéquivi altrui si poteva valere delle armi e delle ricchezzee degli amici loro; ma chi gli combatteva fuora d'Italia,e lasciava loro la Italia libera, lasciava loro quella fonte

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12 S'egli è meglio, temendo di essere assalta-to, inferire o aspettare la guerra.

Io ho sentito da uomini, assai pratichi nelle cose dellaguerra, qualche volta disputare, se sono dua principiquasi di equali forze, e quello più gagliardo abbi banditola guerra contro a quell'altro, quale sia migliore partitoper l'altro, o aspettare il nimico dentro a' confini suoi, oandarlo a trovare in casa ed assaltare lui: e ne ho sentitoaddurre ragioni da ogni parte. E chi difende lo andareassaltare altri, ne allega il consiglio che Creso dette aCiro, quando, arrivato in su' confini de' Massageti perfare loro guerra, la loro regina Tamiri gli mandò a dire,che eleggessi quale de' due partiti volesse; o entrare nelregno suo, dove ella lo aspetterebbe; o volesse che ellavenisse a trovare lui. E venuta la cosa in discettazione,Creso, contro alla opinione degli altri, disse che si an-dasse a trovare lei; allegando che, s'egli la vincesse di-scosto a il suo regno, che non le torrebbe il regno, per-ché ella arebbe tempo a rifarsi, ma se la vincesse dentroai suoi confini, potrebbe seguirla in su la fuga, e, non ledando spazio a rifarsi, torle lo stato. Allegane ancora ilconsiglio che dette Annibale ad Antioco, quando quel redisegnava fare guerra ai Romani: dove ei mostra come iRomani non si potevano vincere se non in Italia, perchéquivi altrui si poteva valere delle armi e delle ricchezzee degli amici loro; ma chi gli combatteva fuora d'Italia,e lasciava loro la Italia libera, lasciava loro quella fonte

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che mai le manca vita a somministrare forze dove biso-gna; e conchiuse che ai Romani si poteva prima tôrreRoma che lo imperio, e prima la Italia che le altre pro-vincie. Allega ancora Agatocle che, non potendo soste-nere la guerra di casa, assaltò i Cartaginesi che glienefacevano, e gli ridusse a domandare pace. Allega Sci-pione che, per levare la guerra di Italia, assaltò la Afri-ca.Chi parla al contrario, dice che chi vuole fare capitaremale uno inimico, lo discosti da casa. Allegane gli Ate-niesi, che, mentre che feciono la guerra commoda allacasa loro, restarono superiori; e come si discostarono, edandarono con gli eserciti in Sicilia, perderono la libertà.Allega le favole poetiche, dove si mostra che Anteo, redi Libia, assaltato da Ercole Egizio, fu insuperabilementre che lo aspettò dentro a' confini del suo regno;ma, come ei se ne discostò per astuzia di Ercole, perdélo stato e la vita. Onde è dato luogo alla favola che An-teo, sendo in terra, ripigliava le forze da sua madre, cheera la Terra, e che Ercole, avvedutosi di questo, lo levòin alto, e discostollo dalla terra. Allegane ancora i giudi-cii moderni. Ciascuno sa come Ferrando re di Napoli fune' suoi tempi tenuto uno savissimo principe: e venendola fama, due anni davanti la sua morte, come il re diFrancia Carlo VIII voleva venire a assaltarlo, avendofatte assai preparazioni, ammalò; e, venendo a morte,intra gli altri ricordi che lasciò a Alfonso suo figliuolo,fu ch'egli aspettasse il nimico dentro a il regno; e per

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che mai le manca vita a somministrare forze dove biso-gna; e conchiuse che ai Romani si poteva prima tôrreRoma che lo imperio, e prima la Italia che le altre pro-vincie. Allega ancora Agatocle che, non potendo soste-nere la guerra di casa, assaltò i Cartaginesi che glienefacevano, e gli ridusse a domandare pace. Allega Sci-pione che, per levare la guerra di Italia, assaltò la Afri-ca.Chi parla al contrario, dice che chi vuole fare capitaremale uno inimico, lo discosti da casa. Allegane gli Ate-niesi, che, mentre che feciono la guerra commoda allacasa loro, restarono superiori; e come si discostarono, edandarono con gli eserciti in Sicilia, perderono la libertà.Allega le favole poetiche, dove si mostra che Anteo, redi Libia, assaltato da Ercole Egizio, fu insuperabilementre che lo aspettò dentro a' confini del suo regno;ma, come ei se ne discostò per astuzia di Ercole, perdélo stato e la vita. Onde è dato luogo alla favola che An-teo, sendo in terra, ripigliava le forze da sua madre, cheera la Terra, e che Ercole, avvedutosi di questo, lo levòin alto, e discostollo dalla terra. Allegane ancora i giudi-cii moderni. Ciascuno sa come Ferrando re di Napoli fune' suoi tempi tenuto uno savissimo principe: e venendola fama, due anni davanti la sua morte, come il re diFrancia Carlo VIII voleva venire a assaltarlo, avendofatte assai preparazioni, ammalò; e, venendo a morte,intra gli altri ricordi che lasciò a Alfonso suo figliuolo,fu ch'egli aspettasse il nimico dentro a il regno; e per

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cosa del mondo non traesse forze fuora dello stato suo,ma lo aspettasse dentro a' suoi confini tutto intero: il chenon fu osservato da quello; ma, mandato uno esercito inRomagna, sanza combattere perdé quello e lo stato.Le ragioni che, oltre alle cose dette, da ogni parte si ad-ducono, sono: che chi assalta viene con maggiore animoche chi aspetta, il che fa più confidente lo esercito: to-glie, oltre a di questo, molte commodità al nimico di po-tersi valere delle sue cose, non si potendo valere di que'sudditi che siano saccheggiati; e, per avere il nimico incasa, è constretto il signore avere più rispetto a trarne daloro danari ed affaticargli: sicché ei viene a seccarequella fonte, come disse Annibale, che fa che colui puòsostenere la guerra. Oltra di questo, i suoi soldati, pertrovarsi nel paese d'altrui, sono più necessitati a combat-tere; e quella necessità fa virtù, come più volte abbiamodetto. Dall'altra parte si dice: come, aspettando il nimi-co, si aspetta con assai vantaggio, perché, sanza disagioalcuno, tu puoi dare a quello molti disagi di vettovaglie,e d'ogni altra cosa che abbia bisogno uno esercito: puoimeglio impedirgli i disegni suoi, per la notizia del paeseche tu hai più di lui: puoi con più forze incontrarlo, perpoterle facilmente tutte unire, ma non potere già tutte di-scostarle da casa: puoi, sendo rotto, rifarti facilmente; sìperché del tuo esercito se ne salverà assai, per avere i ri-fugi propinqui; sì perché il supplimento non ha a venirediscosto: tanto che tu vieni ad arristiare tutte le forze, enon tutta la fortuna; e, discostandoti, arrischi tutta la for-

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cosa del mondo non traesse forze fuora dello stato suo,ma lo aspettasse dentro a' suoi confini tutto intero: il chenon fu osservato da quello; ma, mandato uno esercito inRomagna, sanza combattere perdé quello e lo stato.Le ragioni che, oltre alle cose dette, da ogni parte si ad-ducono, sono: che chi assalta viene con maggiore animoche chi aspetta, il che fa più confidente lo esercito: to-glie, oltre a di questo, molte commodità al nimico di po-tersi valere delle sue cose, non si potendo valere di que'sudditi che siano saccheggiati; e, per avere il nimico incasa, è constretto il signore avere più rispetto a trarne daloro danari ed affaticargli: sicché ei viene a seccarequella fonte, come disse Annibale, che fa che colui puòsostenere la guerra. Oltra di questo, i suoi soldati, pertrovarsi nel paese d'altrui, sono più necessitati a combat-tere; e quella necessità fa virtù, come più volte abbiamodetto. Dall'altra parte si dice: come, aspettando il nimi-co, si aspetta con assai vantaggio, perché, sanza disagioalcuno, tu puoi dare a quello molti disagi di vettovaglie,e d'ogni altra cosa che abbia bisogno uno esercito: puoimeglio impedirgli i disegni suoi, per la notizia del paeseche tu hai più di lui: puoi con più forze incontrarlo, perpoterle facilmente tutte unire, ma non potere già tutte di-scostarle da casa: puoi, sendo rotto, rifarti facilmente; sìperché del tuo esercito se ne salverà assai, per avere i ri-fugi propinqui; sì perché il supplimento non ha a venirediscosto: tanto che tu vieni ad arristiare tutte le forze, enon tutta la fortuna; e, discostandoti, arrischi tutta la for-

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tuna, e non tutte le forze. Ed alcuni sono stati che, perindebolire meglio il suo nimico, lo lasciono entrare pa-recchi giornate in su il paese loro, e pigliare assai terre;acciò che, lasciando i presidii in tutte, indebolisca il suoesercito, e possinlo dipoi combattere più facilmente.Ma, per dire ora io quello che io ne intendo, io credoche si abbia a fare questa distinzione: o io ho il mio pae-se armato, come i Romani, o come hanno i Svizzeri, o iol'ho disarmato, come avevano i Cartaginesi, o comel'hanno il re di Francia e gli Italiani. In questo caso, sidebbe tenere il nimico discosto a casa; perché, sendo latua virtù nel danaio e non negli uomini, qualunque voltati è impedita la via di quello, tu sei spacciato; né cosaveruna te lo impedisce quanto la guerra di casa. Inesempli ci sono i Cartaginesi; i quali, mentre che ebbo-no la casa loro libera, potettono con le rendite fare guer-ra con i Romani; e quando l'avevano assaltata, non pote-vano resistere ad Agatocle. I Fiorentini non avevano ri-medio alcuno con Castruccio signore di Lucca, perchéei faceva loro la guerra in casa; tanto che gli ebbero adarsi, per essere difesi, al re Ruberto di Napoli. Ma,morto Castruccio, quelli medesimi Fiorentini ebbonoanimo di assaltare il duca di Milano in casa, ed operaredi torgli il regno: tanta virtù mostrarono nelle guerrelonginque, e tanta viltà nelle propinque. Ma quando i re-gni sono armati, come era armata Roma e come sono iSvizzeri, sono più difficili a vincere quanto più ti ap-pressi loro: perché questi corpi possono unire più forze

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tuna, e non tutte le forze. Ed alcuni sono stati che, perindebolire meglio il suo nimico, lo lasciono entrare pa-recchi giornate in su il paese loro, e pigliare assai terre;acciò che, lasciando i presidii in tutte, indebolisca il suoesercito, e possinlo dipoi combattere più facilmente.Ma, per dire ora io quello che io ne intendo, io credoche si abbia a fare questa distinzione: o io ho il mio pae-se armato, come i Romani, o come hanno i Svizzeri, o iol'ho disarmato, come avevano i Cartaginesi, o comel'hanno il re di Francia e gli Italiani. In questo caso, sidebbe tenere il nimico discosto a casa; perché, sendo latua virtù nel danaio e non negli uomini, qualunque voltati è impedita la via di quello, tu sei spacciato; né cosaveruna te lo impedisce quanto la guerra di casa. Inesempli ci sono i Cartaginesi; i quali, mentre che ebbo-no la casa loro libera, potettono con le rendite fare guer-ra con i Romani; e quando l'avevano assaltata, non pote-vano resistere ad Agatocle. I Fiorentini non avevano ri-medio alcuno con Castruccio signore di Lucca, perchéei faceva loro la guerra in casa; tanto che gli ebbero adarsi, per essere difesi, al re Ruberto di Napoli. Ma,morto Castruccio, quelli medesimi Fiorentini ebbonoanimo di assaltare il duca di Milano in casa, ed operaredi torgli il regno: tanta virtù mostrarono nelle guerrelonginque, e tanta viltà nelle propinque. Ma quando i re-gni sono armati, come era armata Roma e come sono iSvizzeri, sono più difficili a vincere quanto più ti ap-pressi loro: perché questi corpi possono unire più forze

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a resistere a uno impeto, che non possono ad assaltarealtrui. Né mi muove in questo caso l'autorità d'Annibale,perché la passione e l'utile suo gli faceva così dire a An-tioco. Perché, se i Romani avessono avute in tanto spa-zio di tempo quelle tre rotte in Francia ch'egli ebbero inItalia da Annibale, sanza dubbio erano spacciati: perchénon si sarebbono valuti de' residui degli eserciti, come sivalsono in Italia; non arebbono avuto, a rifarsi, quellecommodità; né potevono con quelle forze resistere al ni-mico, che poterono. Non si truova, per assaltare unaprovincia, che loro mandassino mai fuora eserciti chepassassino cinquantamila persone; ma per difendere lacasa ne missero in arme contro ai Franciosi, dopo la pri-ma guerra punica, diciotto centinaia di migliaia. Néarebbono potuto poi rompere quegli in Lombardia,come gli ruppono in Toscana; perché contro a tanto nu-mero di inimici non arebbono potuto condurre tante for-ze sì discosto, né combattergli con quella commodità. ICimbri ruppono uno esercito romano nella Magna, né viebbono i Romani rimedio. Ma come gli arrivarono inItalia, e che ei poterono mettere tutte le loro forze insie-me, gli spacciarono. I Svizzeri è facile vincergli fuori dicasa, dove ei non possono mandare più che un trenta oquarantamila uomini; ma vincergli in casa, dove ei nepossono raccozzare centomila, è difficilissimo. Con-chiuggo adunque, di nuovo, che quel principe che ha isuoi popoli armati ed ordinati alla guerra, aspetti semprein casa una guerra potente e pericolosa, e non la vadia arincontrare: ma quello che ha i suoi sudditi disarmati, ed

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a resistere a uno impeto, che non possono ad assaltarealtrui. Né mi muove in questo caso l'autorità d'Annibale,perché la passione e l'utile suo gli faceva così dire a An-tioco. Perché, se i Romani avessono avute in tanto spa-zio di tempo quelle tre rotte in Francia ch'egli ebbero inItalia da Annibale, sanza dubbio erano spacciati: perchénon si sarebbono valuti de' residui degli eserciti, come sivalsono in Italia; non arebbono avuto, a rifarsi, quellecommodità; né potevono con quelle forze resistere al ni-mico, che poterono. Non si truova, per assaltare unaprovincia, che loro mandassino mai fuora eserciti chepassassino cinquantamila persone; ma per difendere lacasa ne missero in arme contro ai Franciosi, dopo la pri-ma guerra punica, diciotto centinaia di migliaia. Néarebbono potuto poi rompere quegli in Lombardia,come gli ruppono in Toscana; perché contro a tanto nu-mero di inimici non arebbono potuto condurre tante for-ze sì discosto, né combattergli con quella commodità. ICimbri ruppono uno esercito romano nella Magna, né viebbono i Romani rimedio. Ma come gli arrivarono inItalia, e che ei poterono mettere tutte le loro forze insie-me, gli spacciarono. I Svizzeri è facile vincergli fuori dicasa, dove ei non possono mandare più che un trenta oquarantamila uomini; ma vincergli in casa, dove ei nepossono raccozzare centomila, è difficilissimo. Con-chiuggo adunque, di nuovo, che quel principe che ha isuoi popoli armati ed ordinati alla guerra, aspetti semprein casa una guerra potente e pericolosa, e non la vadia arincontrare: ma quello che ha i suoi sudditi disarmati, ed

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il paese inusitato alla guerra, se le discosti sempre dacasa il più che può. E così l'uno e l'altro, ciascuno nelsuo grado si difenderà meglio.

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il paese inusitato alla guerra, se le discosti sempre dacasa il più che può. E così l'uno e l'altro, ciascuno nelsuo grado si difenderà meglio.

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13 Che si viene di bassa a gran fortuna piùcon la fraude; che con la forza.

Io stimo essere cosa verissima che rado, o non mai, in-tervenga che gli uomini di piccola fortuna venghino agradi grandi, sanza la forza e sanza la fraude; pure chequel grado al quale altri è pervenuto non li sia o donatoo lasciato per eredità. Né credo si truovi mai che la forzasola basti, ma si troverrà bene che la fraude sola basterà:come chiaro vedrà colui che leggerà la vita di Filippo diMacedonia, quella di Agatocle siciliano, e di molti altrisimili, che d'infima ovvero di bassa fortuna, sono perve-nuti o a regno o a imperii grandissimi. Mostra Senofon-te, nella sua vita di Ciro, questa necessità dello inganna-re, considerato che la prima ispedizione che fe' fare aCiro contro al re di Armenia è piena di fraude, e comecon inganno, e non con forza, gli fe' occupare il suo re-gno; e non conchiude altro, per tale azione, se non che aun principe che voglia fare gran cose, è necessario im-parare a ingannare. Fegli ingannare, oltra di questo,Ciassare, re de' Medii, suo zio materno, in più modi;sanza la quale fraude mostra che Ciro non poteva perve-nire a quella grandezza che venne. Né credo che si truo-vi mai alcuno, costituto in bassa fortuna, pervenuto agrande imperio solo con la forza aperta ed ingenuamen-te, ma sì bene solo con la fraude: come fece Giovan Ga-leazzo per tôrre lo stato e lo imperio di Lombardia amesser Bernabò suo zio. E quel che sono necessitati fare

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13 Che si viene di bassa a gran fortuna piùcon la fraude; che con la forza.

Io stimo essere cosa verissima che rado, o non mai, in-tervenga che gli uomini di piccola fortuna venghino agradi grandi, sanza la forza e sanza la fraude; pure chequel grado al quale altri è pervenuto non li sia o donatoo lasciato per eredità. Né credo si truovi mai che la forzasola basti, ma si troverrà bene che la fraude sola basterà:come chiaro vedrà colui che leggerà la vita di Filippo diMacedonia, quella di Agatocle siciliano, e di molti altrisimili, che d'infima ovvero di bassa fortuna, sono perve-nuti o a regno o a imperii grandissimi. Mostra Senofon-te, nella sua vita di Ciro, questa necessità dello inganna-re, considerato che la prima ispedizione che fe' fare aCiro contro al re di Armenia è piena di fraude, e comecon inganno, e non con forza, gli fe' occupare il suo re-gno; e non conchiude altro, per tale azione, se non che aun principe che voglia fare gran cose, è necessario im-parare a ingannare. Fegli ingannare, oltra di questo,Ciassare, re de' Medii, suo zio materno, in più modi;sanza la quale fraude mostra che Ciro non poteva perve-nire a quella grandezza che venne. Né credo che si truo-vi mai alcuno, costituto in bassa fortuna, pervenuto agrande imperio solo con la forza aperta ed ingenuamen-te, ma sì bene solo con la fraude: come fece Giovan Ga-leazzo per tôrre lo stato e lo imperio di Lombardia amesser Bernabò suo zio. E quel che sono necessitati fare

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i principi ne' principii degli augumenti loro, sono ancoranecessitate a fare le republiche, infino che le siano di-ventate potenti, e che basti la forza sola. E perché Romatenne in ogni parte, o per sorte o per elezione, tutti imodi necessari a venire a grandezza, non mancò ancoradi questo. Né poté usare, nel principio, il maggiore in-ganno, che pigliare il modo, discorso di sopra da noi, difarsi compagni; perché sotto questo nome se gli feceservi: come furono i Latini, ed altri popoli a lo intorno.Perché prima si valse dell'armi loro in domare i popoliconvicini, e pigliare la riputazione dello stato; dipoi, do-matogli, venne in tanto augumento, che la poteva battereciascuno. Ed i Latini non si avvidono mai, di essere altutto servi, se non poi che vidono dare due rotte ai San-niti, e constrettigli ad accordo. La quale vittoria, comeella accrebbe gran riputazione ai Romani co' principilonginqui, che mediante quella sentirono il nome roma-no, e non l'armi, così generò invidia e sospetto in quelliche vedevano e sentivano l'armi, intra i quali furono iLatini. E tanto poté questa invidia e questo timore, chenon solo i Latini ma le colonie che essi avevano in La-zio, insieme con i Campani, stati poco innanzi difesi,congiurarono contro a il nome romano. E mossono que-sta guerra i Latini nel modo che si dice di sopra che simuovono la maggior parte delle guerre, assaltando non iRomani, ma difendendo i Sidicini contro ai Sanniti; a'quali i Sanniti facevano guerra con licenza de' Romani.E che sia vero che i Latini si movessono per avere cono-sciuto questo inganno, lo dimostra Tito Livio nella boc-

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i principi ne' principii degli augumenti loro, sono ancoranecessitate a fare le republiche, infino che le siano di-ventate potenti, e che basti la forza sola. E perché Romatenne in ogni parte, o per sorte o per elezione, tutti imodi necessari a venire a grandezza, non mancò ancoradi questo. Né poté usare, nel principio, il maggiore in-ganno, che pigliare il modo, discorso di sopra da noi, difarsi compagni; perché sotto questo nome se gli feceservi: come furono i Latini, ed altri popoli a lo intorno.Perché prima si valse dell'armi loro in domare i popoliconvicini, e pigliare la riputazione dello stato; dipoi, do-matogli, venne in tanto augumento, che la poteva battereciascuno. Ed i Latini non si avvidono mai, di essere altutto servi, se non poi che vidono dare due rotte ai San-niti, e constrettigli ad accordo. La quale vittoria, comeella accrebbe gran riputazione ai Romani co' principilonginqui, che mediante quella sentirono il nome roma-no, e non l'armi, così generò invidia e sospetto in quelliche vedevano e sentivano l'armi, intra i quali furono iLatini. E tanto poté questa invidia e questo timore, chenon solo i Latini ma le colonie che essi avevano in La-zio, insieme con i Campani, stati poco innanzi difesi,congiurarono contro a il nome romano. E mossono que-sta guerra i Latini nel modo che si dice di sopra che simuovono la maggior parte delle guerre, assaltando non iRomani, ma difendendo i Sidicini contro ai Sanniti; a'quali i Sanniti facevano guerra con licenza de' Romani.E che sia vero che i Latini si movessono per avere cono-sciuto questo inganno, lo dimostra Tito Livio nella boc-

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ca di Annio Setino pretore latino, il quale nel concilioloro disse queste parole: «Nam si etiam nunc sub umbrafoederis aequi servitutem pati possumus etc.». Vedesipertanto i Romani ne' primi augumenti loro non esseremancati etiam della fraude; la quale fu sempre necessa-ria a usare a coloro che di piccoli principii vogliono asublimi gradi salire: la quale è meno vituperabile quantoè più coperta, come fu questa de' Romani.

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ca di Annio Setino pretore latino, il quale nel concilioloro disse queste parole: «Nam si etiam nunc sub umbrafoederis aequi servitutem pati possumus etc.». Vedesipertanto i Romani ne' primi augumenti loro non esseremancati etiam della fraude; la quale fu sempre necessa-ria a usare a coloro che di piccoli principii vogliono asublimi gradi salire: la quale è meno vituperabile quantoè più coperta, come fu questa de' Romani.

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14 Ingannansi molte volte gli uomini, cre-dendo con la umiltà vincere la superbia.

Vedesi molte volte come l'umiltà non solamente nongiova ma nuoce, massimamente usandola con gli uominiinsolenti, che, o per invidia o per altra cagione, hannoconcetto odio teco. Di che ne fa fede lo istorico nostroin questa cagione di guerra intra i Romani e i Latini.Perché, dolendosi i Sanniti con i Romani che i Latini gliavevano assaltati, i Romani non vollono proibire ai Lati-ni tale guerra, disiderando non gli irritare: il che non so-lamente non gli irritò ma gli fece diventare più animosicontro a loro, e si scopersono più presto inimici. Di chene fanno fede le parole usate dal prefato Annio pretorelatino nel medesimo concilio, dov'e' dice: «Tentastis pa-tientiam negando militem: quis dubitat exarsisse eos?Pertulerunt tamen hunc dolorem. Exercitus nos parareadversus Samnites, foederatos suos, audierunt, necmoverunt se ab urbe. Unde haec illis tanta modestia, nisiconscientia virium, et nostrarum et suarum?». Conosce-si, pertanto, chiarissimo per questo testo, quanto la pa-zienza de' Romani accrebbe l'arroganza de' Latini. Eperò, mai un principe debbe volere mancare del gradosuo, e non debbe mai lasciare alcuna cosa d'accordo, vo-lendola lasciare onorevolmente, se non quando e' la può,o ei si crede che la possa tenere: perché gli è meglio,quasi sempre, sendosi condotta la cosa in termine che tunon la possa lasciare nel modo detto, lasciarsela tôrre

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14 Ingannansi molte volte gli uomini, cre-dendo con la umiltà vincere la superbia.

Vedesi molte volte come l'umiltà non solamente nongiova ma nuoce, massimamente usandola con gli uominiinsolenti, che, o per invidia o per altra cagione, hannoconcetto odio teco. Di che ne fa fede lo istorico nostroin questa cagione di guerra intra i Romani e i Latini.Perché, dolendosi i Sanniti con i Romani che i Latini gliavevano assaltati, i Romani non vollono proibire ai Lati-ni tale guerra, disiderando non gli irritare: il che non so-lamente non gli irritò ma gli fece diventare più animosicontro a loro, e si scopersono più presto inimici. Di chene fanno fede le parole usate dal prefato Annio pretorelatino nel medesimo concilio, dov'e' dice: «Tentastis pa-tientiam negando militem: quis dubitat exarsisse eos?Pertulerunt tamen hunc dolorem. Exercitus nos parareadversus Samnites, foederatos suos, audierunt, necmoverunt se ab urbe. Unde haec illis tanta modestia, nisiconscientia virium, et nostrarum et suarum?». Conosce-si, pertanto, chiarissimo per questo testo, quanto la pa-zienza de' Romani accrebbe l'arroganza de' Latini. Eperò, mai un principe debbe volere mancare del gradosuo, e non debbe mai lasciare alcuna cosa d'accordo, vo-lendola lasciare onorevolmente, se non quando e' la può,o ei si crede che la possa tenere: perché gli è meglio,quasi sempre, sendosi condotta la cosa in termine che tunon la possa lasciare nel modo detto, lasciarsela tôrre

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con le forze, che con la paura delle forze. Perché, se tula lasci con la paura, lo fai per levarti la guerra, ed il piùdelle volte non te la lievi: perché colui a chi tu arai conuna viltà scoperta concesso quella, non istarà saldo, mati vorrà tôrre delle altre cose, e si accenderà più contro adi te, stimandoti meno; e, dall'altra parte, in tuo favoretroverrai i difensori più freddi, parendo loro che tu sia odebole o vile: ma se tu, subito scoperta la voglia delloavversario, prepari le forze, ancora che le siano inferioria lui, quello ti comincerà a stimare; stimanti più gli altriprincipi allo intorno; e a tale viene voglia di aiutarti,sendo in su l'armi, che, abbandonandoti, non ti aiutereb-be mai. Questo s'intende quando tu abbia uno inimico;ma quando ne avessi più, rendere delle cose che tu pos-sedessi a alcuno di loro per riguadagnarselo, ancora chefussi di già scoperta la guerra, e per ismembrarlo daglialtri confederati tuoi nimici, fia sempre partito prudente.

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con le forze, che con la paura delle forze. Perché, se tula lasci con la paura, lo fai per levarti la guerra, ed il piùdelle volte non te la lievi: perché colui a chi tu arai conuna viltà scoperta concesso quella, non istarà saldo, mati vorrà tôrre delle altre cose, e si accenderà più contro adi te, stimandoti meno; e, dall'altra parte, in tuo favoretroverrai i difensori più freddi, parendo loro che tu sia odebole o vile: ma se tu, subito scoperta la voglia delloavversario, prepari le forze, ancora che le siano inferioria lui, quello ti comincerà a stimare; stimanti più gli altriprincipi allo intorno; e a tale viene voglia di aiutarti,sendo in su l'armi, che, abbandonandoti, non ti aiutereb-be mai. Questo s'intende quando tu abbia uno inimico;ma quando ne avessi più, rendere delle cose che tu pos-sedessi a alcuno di loro per riguadagnarselo, ancora chefussi di già scoperta la guerra, e per ismembrarlo daglialtri confederati tuoi nimici, fia sempre partito prudente.

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15 Gli stati deboli sempre fiano ambigui nelrisolversi: e sempre le diliberazioni lente

sono nocive.

In questa medesima materia, ed in questi medesimi prin-cipii di guerra intra i Latini ed i Romani, si può notarecome in ogni consulta è bene venire allo individuo diquello che si ha a diliberare, e non stare sempre in ambi-guo né in su lo incerto della cosa. Il che si vede manife-sto nella consulta che feciono i Latini, quando ei pensa-vano alienarsi dai Romani. Perché, avendo i Romanipresentito questo cattivo umore che ne' popoli latini eraentrato, per certificarsi della cosa, e per veder se poteva-no sanza mettere mano alle armi riguadagnarsi queglipopoli, fecero loro intendere, come e' mandassono aRoma otto cittadini perché avevano a consultare conloro. I Latini, inteso questo, ed avendo coscienza dimolte cose fatte contro alla voglia de' Romani, fecioroconcilio per ordinare chi dovesse ire a Roma e darlicommissione di quello ch'egli avesse a dire. E standonel concilio in questa disputa, Annio loro pretore dissequeste parole: «Ad summam rerum nostrarum pertinerearbitror, ut cogitetis magis, quid agendum nobis, quamquid loquendum sit. Facile erit, explicatis consiliis, ac-commodare rebus verba». Sono, sanza dubbio, questeparole verissime e debbono essere da ogni principe e daogni republica gustate: perché, nella ambiguità e nellaincertitudine di quello che altri voglia fare, non si sanno

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15 Gli stati deboli sempre fiano ambigui nelrisolversi: e sempre le diliberazioni lente

sono nocive.

In questa medesima materia, ed in questi medesimi prin-cipii di guerra intra i Latini ed i Romani, si può notarecome in ogni consulta è bene venire allo individuo diquello che si ha a diliberare, e non stare sempre in ambi-guo né in su lo incerto della cosa. Il che si vede manife-sto nella consulta che feciono i Latini, quando ei pensa-vano alienarsi dai Romani. Perché, avendo i Romanipresentito questo cattivo umore che ne' popoli latini eraentrato, per certificarsi della cosa, e per veder se poteva-no sanza mettere mano alle armi riguadagnarsi queglipopoli, fecero loro intendere, come e' mandassono aRoma otto cittadini perché avevano a consultare conloro. I Latini, inteso questo, ed avendo coscienza dimolte cose fatte contro alla voglia de' Romani, fecioroconcilio per ordinare chi dovesse ire a Roma e darlicommissione di quello ch'egli avesse a dire. E standonel concilio in questa disputa, Annio loro pretore dissequeste parole: «Ad summam rerum nostrarum pertinerearbitror, ut cogitetis magis, quid agendum nobis, quamquid loquendum sit. Facile erit, explicatis consiliis, ac-commodare rebus verba». Sono, sanza dubbio, questeparole verissime e debbono essere da ogni principe e daogni republica gustate: perché, nella ambiguità e nellaincertitudine di quello che altri voglia fare, non si sanno

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accomodare le parole, ma, fermo una volta l'animo, e di-liberato quello sia da esequire, è facil cosa trovarvi leparole. Io ho notata questa parte più volentieri, quantoio ho molte volte conosciuto tale ambiguità avere nociu-to alle publiche azioni, con danno e con vergogna dellarepublica nostra. E sempre mal avverrà che ne' partitidubbi e dove bisogna animo a diliberargli, sarà questaambiguità, quando abbiano a essere consigliati e dilibe-rati da uomini deboli.Non sono meno nocive ancora le diliberazioni lente etarde, che le ambigue; massime quelle che si hanno a di-liberare in favore di alcuno amico; perché con la lentez-za loro non si aiuta persona, e nuocesi a sé medesimo.Queste diliberazioni così fatte procedono o da debolezzad'animo e di forze, o da malignità di coloro che hanno adiliberare i quali, mossi dalla passione propria di volererovinare lo stato o adempiere qualche altro loro diside-rio, non lasciano seguire la diliberazione, ma la impedi-scono e la attraversono. Perché i buoni cittadini, ancorache vegghino una foga popolare voltarsi alla parte perni-ziosa, mai impediranno il diliberare, massime di quellecose che non aspettano tempo. Morto che fu Girolamotiranno in Siragusa, essendo la guerra grande intra i Car-taginesi ed i Romani, vennono i Siracusani in disputa sedovevano seguire l'amicizia romana o la cartaginese. Etanto era lo ardore delle parti, che la cosa stava ambi-gua, né se ne prendeva alcuno partito: insino a tanto cheApollonide, uno de' primi in Siracusa, con una sua ora-

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accomodare le parole, ma, fermo una volta l'animo, e di-liberato quello sia da esequire, è facil cosa trovarvi leparole. Io ho notata questa parte più volentieri, quantoio ho molte volte conosciuto tale ambiguità avere nociu-to alle publiche azioni, con danno e con vergogna dellarepublica nostra. E sempre mal avverrà che ne' partitidubbi e dove bisogna animo a diliberargli, sarà questaambiguità, quando abbiano a essere consigliati e dilibe-rati da uomini deboli.Non sono meno nocive ancora le diliberazioni lente etarde, che le ambigue; massime quelle che si hanno a di-liberare in favore di alcuno amico; perché con la lentez-za loro non si aiuta persona, e nuocesi a sé medesimo.Queste diliberazioni così fatte procedono o da debolezzad'animo e di forze, o da malignità di coloro che hanno adiliberare i quali, mossi dalla passione propria di volererovinare lo stato o adempiere qualche altro loro diside-rio, non lasciano seguire la diliberazione, ma la impedi-scono e la attraversono. Perché i buoni cittadini, ancorache vegghino una foga popolare voltarsi alla parte perni-ziosa, mai impediranno il diliberare, massime di quellecose che non aspettano tempo. Morto che fu Girolamotiranno in Siragusa, essendo la guerra grande intra i Car-taginesi ed i Romani, vennono i Siracusani in disputa sedovevano seguire l'amicizia romana o la cartaginese. Etanto era lo ardore delle parti, che la cosa stava ambi-gua, né se ne prendeva alcuno partito: insino a tanto cheApollonide, uno de' primi in Siracusa, con una sua ora-

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zione piena di prudenza, mostrò come e' non era da bia-simare chi teneva la opinione di aderirsi ai Romani, néquelli che volevano seguire la parte cartaginese; ma erabene da detestare quella ambiguità e tardità di pigliare ilpartito, perché vedeva al tutto in tale ambiguità la rovinadella republica; ma preso che si fussi il partito, qualun-que si fusse, si poteva sperare qualche bene. Né potreb-be mostrare più Tito Livio, che si faccia in questa parte,il danno che si tira dietro lo stare sospeso. Dimostraloancora in questo caso de' Latini: poiché, essendo i Lavi-nii ricerchi da loro d'aiuto contro ai Romani, differironotanto a diliberarlo, che, quando eglino erano usciti ap-punto fuora della porta con le genti per dare loro soccor-so, venne la nuova i Latini essere rotti. Donde Milionioloro pretore disse: - Questo poco della via ci costerà as-sai col Popolo romano -. Perché, se si diliberavano pri-ma, o di aiutare o di non aiutare i Latini, non li aiutando,ei non irritavano i Romani; aiutandogli, essendo lo aiutoin tempo, potevono con la aggiunta delle loro forze far-gli vincere; ma differendo, venivano a perdere in ognimodo, come intervenne loro. E se i Fiorentini avessononotato questo testo, non arebbono avuto co' Franciosi nétanti danni né tante noie quante ebbono nella passatache il re Luigi di Francia XII fece in Italia contro a Lo-dovico duca di Milano. Perché, trattando il re tale passa-ta, ricercò i Fiorentini d'accordo: e gli oratori, che eranoappresso al re, accordarono con lui che si stessino neu-trali, e che il re venendo in Italia gli avesse a mantenerenello stato e ricevere in protezione: e dette tempo un

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zione piena di prudenza, mostrò come e' non era da bia-simare chi teneva la opinione di aderirsi ai Romani, néquelli che volevano seguire la parte cartaginese; ma erabene da detestare quella ambiguità e tardità di pigliare ilpartito, perché vedeva al tutto in tale ambiguità la rovinadella republica; ma preso che si fussi il partito, qualun-que si fusse, si poteva sperare qualche bene. Né potreb-be mostrare più Tito Livio, che si faccia in questa parte,il danno che si tira dietro lo stare sospeso. Dimostraloancora in questo caso de' Latini: poiché, essendo i Lavi-nii ricerchi da loro d'aiuto contro ai Romani, differironotanto a diliberarlo, che, quando eglino erano usciti ap-punto fuora della porta con le genti per dare loro soccor-so, venne la nuova i Latini essere rotti. Donde Milionioloro pretore disse: - Questo poco della via ci costerà as-sai col Popolo romano -. Perché, se si diliberavano pri-ma, o di aiutare o di non aiutare i Latini, non li aiutando,ei non irritavano i Romani; aiutandogli, essendo lo aiutoin tempo, potevono con la aggiunta delle loro forze far-gli vincere; ma differendo, venivano a perdere in ognimodo, come intervenne loro. E se i Fiorentini avessononotato questo testo, non arebbono avuto co' Franciosi nétanti danni né tante noie quante ebbono nella passatache il re Luigi di Francia XII fece in Italia contro a Lo-dovico duca di Milano. Perché, trattando il re tale passa-ta, ricercò i Fiorentini d'accordo: e gli oratori, che eranoappresso al re, accordarono con lui che si stessino neu-trali, e che il re venendo in Italia gli avesse a mantenerenello stato e ricevere in protezione: e dette tempo un

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mese alla città a ratificarlo. Fu differita tale ratificazioneda chi per poca prudenza favoriva le cose di Lodovico:intanto che, il re già sendo in su la vittoria, e volendopoi i Fiorentini ratificare, non fu la ratificazione accetta-ta; come quello che conobbe i Fiorentini essere venutiforzati e non voluntari nella amicizia sua. Il che costòalla città di Firenze assai danari, e fu per perdere lo sta-to: come poi altra volta per simile causa le intervenne. Etanto più fu dannabile quel partito, perché non si servìancora a il duca Lodovico; il quale, se avesse vinto,arebbe mostri molti più segni d'inimicizia contro ai Fio-rentini, che non fece il re. E benché del male che nasce,alle republiche, di questa debolezza, se ne sia di sopra inuno altro capitolo discorso, nondimeno, avendone dinuovo occasione per uno nuovo accidente, ho voluto re-plicarne parendomi, massime, materia che debba esseredalle republiche, simili alla nostra, notata.

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mese alla città a ratificarlo. Fu differita tale ratificazioneda chi per poca prudenza favoriva le cose di Lodovico:intanto che, il re già sendo in su la vittoria, e volendopoi i Fiorentini ratificare, non fu la ratificazione accetta-ta; come quello che conobbe i Fiorentini essere venutiforzati e non voluntari nella amicizia sua. Il che costòalla città di Firenze assai danari, e fu per perdere lo sta-to: come poi altra volta per simile causa le intervenne. Etanto più fu dannabile quel partito, perché non si servìancora a il duca Lodovico; il quale, se avesse vinto,arebbe mostri molti più segni d'inimicizia contro ai Fio-rentini, che non fece il re. E benché del male che nasce,alle republiche, di questa debolezza, se ne sia di sopra inuno altro capitolo discorso, nondimeno, avendone dinuovo occasione per uno nuovo accidente, ho voluto re-plicarne parendomi, massime, materia che debba esseredalle republiche, simili alla nostra, notata.

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16 Quanto i soldati de' nostri tempi si disfor-mino dagli antichi ordini.

La più importante giornata che fu mai fatta in alcunaguerra con alcuna nazione dal Popolo romano, fu questache ei fece con i popoli latini, nel consolato di Torquatoe di Decio. Perché ogni ragione vuole che, così come iLatini per averla perduta diventarono servi, così sareb-bero stati servi i Romani, quando non l'avessino vinta. Edi questa opinione è Tito Livio; perché in ogni parte fagli eserciti pari di ordine, di virtù, d'ostinazione e di nu-mero: solo vi fa differenza, che i capi dello esercito ro-mano furono più virtuosi che quelli dello esercito latino.Vedesi ancora come nel maneggio di questa giornatanacquono due accidenti, non prima nati, e che dipoihanno radi esempli: che, di due Consoli, per tenere fer-mi gli animi de' soldati, ed ubbidienti a' comandamentiloro, e diliberati al combattere l'uno ammazzò sé stesso,e l'altro il figliuolo. La parità, che Tito Livio dice esserein questi eserciti, era che, per avere militato gran tempoinsieme, erano pari di lingua, d'ordine e d'armi: perchénello ordinare la zuffa tenevano uno modo medesimo; egli ordini e i capi degli ordini avevano i medesimi nomi.Era dunque necessario, sendo di pari forze e di pari vir-tù, che nascesse qualche cosa istraordinaria, che fermas-se e facesse più ostinati gli animi dell'uno che dell'altro:nella quale ostinazione consiste, come altre volte si èdetto, la vittoria; perché, mentre che la dura ne' petti di

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16 Quanto i soldati de' nostri tempi si disfor-mino dagli antichi ordini.

La più importante giornata che fu mai fatta in alcunaguerra con alcuna nazione dal Popolo romano, fu questache ei fece con i popoli latini, nel consolato di Torquatoe di Decio. Perché ogni ragione vuole che, così come iLatini per averla perduta diventarono servi, così sareb-bero stati servi i Romani, quando non l'avessino vinta. Edi questa opinione è Tito Livio; perché in ogni parte fagli eserciti pari di ordine, di virtù, d'ostinazione e di nu-mero: solo vi fa differenza, che i capi dello esercito ro-mano furono più virtuosi che quelli dello esercito latino.Vedesi ancora come nel maneggio di questa giornatanacquono due accidenti, non prima nati, e che dipoihanno radi esempli: che, di due Consoli, per tenere fer-mi gli animi de' soldati, ed ubbidienti a' comandamentiloro, e diliberati al combattere l'uno ammazzò sé stesso,e l'altro il figliuolo. La parità, che Tito Livio dice esserein questi eserciti, era che, per avere militato gran tempoinsieme, erano pari di lingua, d'ordine e d'armi: perchénello ordinare la zuffa tenevano uno modo medesimo; egli ordini e i capi degli ordini avevano i medesimi nomi.Era dunque necessario, sendo di pari forze e di pari vir-tù, che nascesse qualche cosa istraordinaria, che fermas-se e facesse più ostinati gli animi dell'uno che dell'altro:nella quale ostinazione consiste, come altre volte si èdetto, la vittoria; perché, mentre che la dura ne' petti di

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quelli che combattono, mai non dànno volta gli eserciti.E perché la durasse più ne' petti de' Romani che de' Lati-ni, parte la sorte, parte la virtù de' Consoli fece nascereche Torquato ebbe a ammazzare il figliuolo, e Decio séstesso. Mostra Tito Livio, nel mostrare questa parità diforze, tutto l'ordine che tenevono i Romani nelli esercitie nelle zuffe. Il quale esplicando egli largamente, nonreplicherò altrimenti; ma solo discorrerò quello che io vigiudico notabile, e quello che, per essere negletto da tut-ti i capitani di questi tempi, ha fatto, negli eserciti e nel-le zuffe, di molti disordini. Dico, adunque, che per il te-sto di Livio si raccoglie come lo esercito romano avevatre divisioni principali, le quali toscanamente si possonochiamare tre schiere; e nominavano la prima astati, laseconda principi, la terza triari: e ciascuna di queste ave-va i suoi cavagli. Nello ordinare una zuffa, ei mettevanogli astati innanzi; nel secondo luogo, per ritto, dietro allespalle di quelli, ponevano i principi; nel terzo, pure nelmedesimo filo, collocavano i triari. I cavagli di tuttiquesti ordini gli ponevano a destra ed a sinistra di questetre battaglie; le stiere de' quali cavagli, dalla forma loro,e dal luogo, si chiamavano «alae» perché parevanocome due alie di quel corpo. Ordinavono la prima stiera,degli astati, che era nella fronte, serrata in modo insie-me, che la potesse spignere e sostenere il nimico. La se-conda stiera, de' principi, perché non era la prima acombattere, ma bene le conveniva soccorrere alla primaquando fussi battuta o urtata, non la facevano stretta, mamantenevano i suoi ordini radi, e di qualità che la potes-

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quelli che combattono, mai non dànno volta gli eserciti.E perché la durasse più ne' petti de' Romani che de' Lati-ni, parte la sorte, parte la virtù de' Consoli fece nascereche Torquato ebbe a ammazzare il figliuolo, e Decio séstesso. Mostra Tito Livio, nel mostrare questa parità diforze, tutto l'ordine che tenevono i Romani nelli esercitie nelle zuffe. Il quale esplicando egli largamente, nonreplicherò altrimenti; ma solo discorrerò quello che io vigiudico notabile, e quello che, per essere negletto da tut-ti i capitani di questi tempi, ha fatto, negli eserciti e nel-le zuffe, di molti disordini. Dico, adunque, che per il te-sto di Livio si raccoglie come lo esercito romano avevatre divisioni principali, le quali toscanamente si possonochiamare tre schiere; e nominavano la prima astati, laseconda principi, la terza triari: e ciascuna di queste ave-va i suoi cavagli. Nello ordinare una zuffa, ei mettevanogli astati innanzi; nel secondo luogo, per ritto, dietro allespalle di quelli, ponevano i principi; nel terzo, pure nelmedesimo filo, collocavano i triari. I cavagli di tuttiquesti ordini gli ponevano a destra ed a sinistra di questetre battaglie; le stiere de' quali cavagli, dalla forma loro,e dal luogo, si chiamavano «alae» perché parevanocome due alie di quel corpo. Ordinavono la prima stiera,degli astati, che era nella fronte, serrata in modo insie-me, che la potesse spignere e sostenere il nimico. La se-conda stiera, de' principi, perché non era la prima acombattere, ma bene le conveniva soccorrere alla primaquando fussi battuta o urtata, non la facevano stretta, mamantenevano i suoi ordini radi, e di qualità che la potes-

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si ricevere in sé, sanza disordinarsi, la prima, qualunquevolta, spinta dal nimico, fusse necessitata ritirarsi. Laterza stiera, de' triari, aveva ancora gli ordini più radiche la seconda, per potere ricevere in sé, bisognando, ledue prime stiere, de' principi e degli astati. Collocate,dunque, queste stiere in questa forma, appiccavano lazuffa: e, se gli astati erano sforzati o vinti, si ritiravanonella radità degli ordini de' principi; e, tutti uniti insie-me, fatto di due stiere uno corpo, rappiccavano la zuffa:se questi ancora erano ributtati, sforzati si ritiravano tut-ti nella rarità degli ordini de' triari; e tutt'a tre le stiere,diventate uno corpo, rinnovavano la zuffa: dove essendosuperati, per non avere più da rifarsi, perdevono la gior-nata. E perché ogni volta che questa ultima stiera de'triari si adoperava, lo esercito era in pericolo, ne nacquequel proverbio: «Res redacta est ad triarios», che, a usotoscano, vuole dire:«Noi abbiamo messa l'ultima posta».I capitani de' nostri tempi, come egli hanno abbandonatitutti gli altri ordini, e della antica disciplina non ne os-servano parte alcuna, così hanno abbandonata questaparte, la quale non è di poca importanza: perché chi siordina di potersi rifare nelle giornate tre volte, ha adavere tre volte inimica la fortuna a volere perdere, ed haad avere per iscontro una virtù che sia atta tre volte avincerlo. Ma chi non sta se non in sul primo urto, comestanno oggi tutti gli eserciti cristiani, può facilmenteperdere; perché ogni disordine, ogni mezzana virtù glipuò tôrre la vittoria. Quello che fa agli eserciti nostrimancare di potersi rifare tre volte, è lo avere perduto il

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si ricevere in sé, sanza disordinarsi, la prima, qualunquevolta, spinta dal nimico, fusse necessitata ritirarsi. Laterza stiera, de' triari, aveva ancora gli ordini più radiche la seconda, per potere ricevere in sé, bisognando, ledue prime stiere, de' principi e degli astati. Collocate,dunque, queste stiere in questa forma, appiccavano lazuffa: e, se gli astati erano sforzati o vinti, si ritiravanonella radità degli ordini de' principi; e, tutti uniti insie-me, fatto di due stiere uno corpo, rappiccavano la zuffa:se questi ancora erano ributtati, sforzati si ritiravano tut-ti nella rarità degli ordini de' triari; e tutt'a tre le stiere,diventate uno corpo, rinnovavano la zuffa: dove essendosuperati, per non avere più da rifarsi, perdevono la gior-nata. E perché ogni volta che questa ultima stiera de'triari si adoperava, lo esercito era in pericolo, ne nacquequel proverbio: «Res redacta est ad triarios», che, a usotoscano, vuole dire:«Noi abbiamo messa l'ultima posta».I capitani de' nostri tempi, come egli hanno abbandonatitutti gli altri ordini, e della antica disciplina non ne os-servano parte alcuna, così hanno abbandonata questaparte, la quale non è di poca importanza: perché chi siordina di potersi rifare nelle giornate tre volte, ha adavere tre volte inimica la fortuna a volere perdere, ed haad avere per iscontro una virtù che sia atta tre volte avincerlo. Ma chi non sta se non in sul primo urto, comestanno oggi tutti gli eserciti cristiani, può facilmenteperdere; perché ogni disordine, ogni mezzana virtù glipuò tôrre la vittoria. Quello che fa agli eserciti nostrimancare di potersi rifare tre volte, è lo avere perduto il

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modo di ricevere l'una stiera nell'altra. Il che nasce per-ché al presente s'ordinano le giornate con uno di questidue disordini: o ei mettono le loro stiere a spalle l'unadell'altra, e fanno la loro battaglia, larga per traverso, esottile per diritto; il che la fa più debole, per avere pocodal petto alle stiene. E quando pure, per farla più forte,ei riducano le stiere per il verso de' Romani, se la primafronte è rotta, non avendo ordine di essere ricevuta dallaseconda, s'ingarbugliano insieme tutte, e rompano sémedesime: perché, se quella dinanzi è spinta, ella urta laseconda; se la seconda si vuole fare innanzi, ella è impe-dita dalla prima: donde che, urtando la prima la secon-da, e la seconda la terza, ne nasce tanta confusione, chespesso un minimo accidente rovina uno esercito. Glieserciti spagnuoli e franciosi nella zuffa di Ravenna,dove morì monsignor de Fois capitano delle genti diFrancia (la quale fu, secondo i nostri tempi, assai benecombattuta giornata), s'ordinarono con l'uno de' sopra-scritti modi; cioè che l'uno e l'altro esercito venne contutte le sue genti ordinate a spalle: in modo che non ve-nivano avere né l'uno né l'altro se non una fronte, ederano assai più per il traverso che per il diritto. E questoavviene loro sempre, dove egli hanno la campagna gran-de, come gli avevano a Ravenna: perché, conoscendo ildisordine che fanno nel ritirarsi, mettendosi per un filo,lo fuggono, quando ei possono, col fare la fronte larga,come è detto; ma quando il paese gli ristrigne, si stannonel disordine soprascritto, sanza pensare al rimedio. Conquesto medesimo disordine cavalcano per il paese ini-

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modo di ricevere l'una stiera nell'altra. Il che nasce per-ché al presente s'ordinano le giornate con uno di questidue disordini: o ei mettono le loro stiere a spalle l'unadell'altra, e fanno la loro battaglia, larga per traverso, esottile per diritto; il che la fa più debole, per avere pocodal petto alle stiene. E quando pure, per farla più forte,ei riducano le stiere per il verso de' Romani, se la primafronte è rotta, non avendo ordine di essere ricevuta dallaseconda, s'ingarbugliano insieme tutte, e rompano sémedesime: perché, se quella dinanzi è spinta, ella urta laseconda; se la seconda si vuole fare innanzi, ella è impe-dita dalla prima: donde che, urtando la prima la secon-da, e la seconda la terza, ne nasce tanta confusione, chespesso un minimo accidente rovina uno esercito. Glieserciti spagnuoli e franciosi nella zuffa di Ravenna,dove morì monsignor de Fois capitano delle genti diFrancia (la quale fu, secondo i nostri tempi, assai benecombattuta giornata), s'ordinarono con l'uno de' sopra-scritti modi; cioè che l'uno e l'altro esercito venne contutte le sue genti ordinate a spalle: in modo che non ve-nivano avere né l'uno né l'altro se non una fronte, ederano assai più per il traverso che per il diritto. E questoavviene loro sempre, dove egli hanno la campagna gran-de, come gli avevano a Ravenna: perché, conoscendo ildisordine che fanno nel ritirarsi, mettendosi per un filo,lo fuggono, quando ei possono, col fare la fronte larga,come è detto; ma quando il paese gli ristrigne, si stannonel disordine soprascritto, sanza pensare al rimedio. Conquesto medesimo disordine cavalcano per il paese ini-

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mico, o se ei predano, o se fanno altro maneggio diguerra. Ed a Santo Regolo in quel di Pisa, ed altrove,dove i Fiorentini furono rotti da' Pisani ne' tempi dellaguerra che fu tra i Fiorentini e quella città, per la sua ri-bellione dopo la passata di Carlo re di Francia in Italia,non nacque tale rovina d'altronde che dalla cavalleriaamica; la quale, sendo davanti e ributtata da' nimici, per-cosse nella fanteria fiorentina, e quella ruppe: donde tut-to il restante delle genti dierono volta: e messer Ciriacodal Borgo, capo antico delle fanterie fiorentine, ha affer-mato alla presenza mia molte volte, non essere mai statorotto se non dalla cavalleria degli amici. I Svizzeri, chesono i maestri delle moderne guerre, quando ei militanocon i Franciosi, sopra tutte le cose hanno cura di metter-si in lato, che la cavalleria amica, se fusse ributtata, nongli urti. E benché queste cose paiano facili ad intendere,e facilissime a farsi, nondimeno non si è trovato ancoraalcuno de' nostri contemporanei capitani, che gli antichiordini imiti, e i moderni corregga. E benché gli abbinoancora loro tripartito lo esercito, chiamando l'una parteantiguardo, l'altra battaglia, e l'altra retroguardo; non sene servono ad altro che a comandarli nelli alloggiamen-ti, ma nello adoperargli, rade volte è, come di sopra èdetto, che a tutti questi corpi non faccino correre unamedesima fortuna.E perché molti, per scusarne la ignoranza loro, alleganoche la violenza delle artiglierie non patisce che in questitempi si usino molti ordini de gli antichi, voglio disputa-

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mico, o se ei predano, o se fanno altro maneggio diguerra. Ed a Santo Regolo in quel di Pisa, ed altrove,dove i Fiorentini furono rotti da' Pisani ne' tempi dellaguerra che fu tra i Fiorentini e quella città, per la sua ri-bellione dopo la passata di Carlo re di Francia in Italia,non nacque tale rovina d'altronde che dalla cavalleriaamica; la quale, sendo davanti e ributtata da' nimici, per-cosse nella fanteria fiorentina, e quella ruppe: donde tut-to il restante delle genti dierono volta: e messer Ciriacodal Borgo, capo antico delle fanterie fiorentine, ha affer-mato alla presenza mia molte volte, non essere mai statorotto se non dalla cavalleria degli amici. I Svizzeri, chesono i maestri delle moderne guerre, quando ei militanocon i Franciosi, sopra tutte le cose hanno cura di metter-si in lato, che la cavalleria amica, se fusse ributtata, nongli urti. E benché queste cose paiano facili ad intendere,e facilissime a farsi, nondimeno non si è trovato ancoraalcuno de' nostri contemporanei capitani, che gli antichiordini imiti, e i moderni corregga. E benché gli abbinoancora loro tripartito lo esercito, chiamando l'una parteantiguardo, l'altra battaglia, e l'altra retroguardo; non sene servono ad altro che a comandarli nelli alloggiamen-ti, ma nello adoperargli, rade volte è, come di sopra èdetto, che a tutti questi corpi non faccino correre unamedesima fortuna.E perché molti, per scusarne la ignoranza loro, alleganoche la violenza delle artiglierie non patisce che in questitempi si usino molti ordini de gli antichi, voglio disputa-

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re nel seguente capitolo questa materia, e vo' esaminarese le artiglierie impediscano che non si possa usarel'antica virtù.

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re nel seguente capitolo questa materia, e vo' esaminarese le artiglierie impediscano che non si possa usarel'antica virtù.

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17 Quanto si debbino stimare dagli esercitine' presenti tempi le artiglierie; e se quella

opinione, che se ne ha in universale, è vera.

Considerando io, oltre alle cose soprascritte, quante zuf-fe campali (chiamate ne' nostri tempi, con vocabolofrancioso, giornate, e, dagli Italiani, fatti d'arme) furonofatte da' Romani in diversi tempi, mi è venuto in consi-derazione la opinione universale di molti, che vuole che,se in quegli tempi fussono state le artiglierie, non sareb-be stato lecito ai Romani, né sì facile, pigliare le provin-cie, farsi tributari i popoli, come ei fecero; né arebbonoin alcuno modo fatto sì gagliardi acquisti. Dicono anco-ra, che, mediante questi instrumenti de' fuochi, gli uomi-ni non possono usare né mostrare la virtù loro, come eipotevano anticamente. E soggiungano una terza cosa:che si viene con più difficultà alle giornate che non siveniva allora, né vi si può tenere dentro quegli ordini diquegli tempi; talché la guerra si ridurrà col tempo in sule artiglierie. E giudicando non fuora di proposito dispu-tare se tali opinioni sono vere, e quanto le artiglierie ab-bino accresciuto o diminuito di forze agli eserciti, e se letolgano o danno occasione ai buoni capitani di operarevirtuosamente, comincerò a parlare quanto alla primaloro opinione: che gli eserciti antichi romani non areb-bano fatto gli acquisti che feciono, se le artiglierie fus-sono state. Sopra che, rispondendo, dico come e' si faguerra o per difendersi o per offendere; donde si ha pri-

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17 Quanto si debbino stimare dagli esercitine' presenti tempi le artiglierie; e se quella

opinione, che se ne ha in universale, è vera.

Considerando io, oltre alle cose soprascritte, quante zuf-fe campali (chiamate ne' nostri tempi, con vocabolofrancioso, giornate, e, dagli Italiani, fatti d'arme) furonofatte da' Romani in diversi tempi, mi è venuto in consi-derazione la opinione universale di molti, che vuole che,se in quegli tempi fussono state le artiglierie, non sareb-be stato lecito ai Romani, né sì facile, pigliare le provin-cie, farsi tributari i popoli, come ei fecero; né arebbonoin alcuno modo fatto sì gagliardi acquisti. Dicono anco-ra, che, mediante questi instrumenti de' fuochi, gli uomi-ni non possono usare né mostrare la virtù loro, come eipotevano anticamente. E soggiungano una terza cosa:che si viene con più difficultà alle giornate che non siveniva allora, né vi si può tenere dentro quegli ordini diquegli tempi; talché la guerra si ridurrà col tempo in sule artiglierie. E giudicando non fuora di proposito dispu-tare se tali opinioni sono vere, e quanto le artiglierie ab-bino accresciuto o diminuito di forze agli eserciti, e se letolgano o danno occasione ai buoni capitani di operarevirtuosamente, comincerò a parlare quanto alla primaloro opinione: che gli eserciti antichi romani non areb-bano fatto gli acquisti che feciono, se le artiglierie fus-sono state. Sopra che, rispondendo, dico come e' si faguerra o per difendersi o per offendere; donde si ha pri-

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ma a esaminare a quale di questi due modi di guerra lefaccino più utile o più danno. E benché sia che dire daogni parte, nondimeno io credo che sanza comparazionefaccino più danno a chi si difende, che a chi offende. Laragione che io ne dico è, che quel che si difende, o egli èdentro a una terra, o egli è in su i campi dentro a unosteccato. S'egli è dentro a una terra, o questa terra è pic-cola, come sono la maggior parte delle fortezze, o la ègrande: nel primo caso, chi si difende è al tutto perduto,perché l'impeto delle artiglierie è tale che non truovamuro, ancoraché grossissimo, che in pochi giorni ei nonabbatta; e se chi è dentro non ha buoni spazi da ritirarsie con fossi e con ripari, si perde; né può sostenerel'impeto del nimico che volessi dipoi entrare per la rot-tura del muro, né a questo gli giova artiglieria che aves-si: perché questa è una massima, che dove gli uomini infrotta e con impeto possono andare, le artiglierie non glisostengono. Però i furori oltramontani nella difesa delleterre non sono sostenuti: son bene sostenuti gli assaltiitaliani, i quali, non in frotta ma spicciolati, si conduca-no alle battaglie, le quali loro, per nome molto proprio,chiamano scaramucce. E questi che vanno con questodisordine e questa freddezza a una rottura d'un murodove siano artiglierie, vanno a una manifesta morte, econtro a loro le artiglierie vagliano: ma quegli che infrotta condensati, e che l'uno spinge l'altro, vengono auna rottura, se non sono sostenuti o da fossi o da ripari,entrono in ogni luogo, e le artiglierie non gli tengono; e,se ne muore qualcuno, non possono essere tanti che

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ma a esaminare a quale di questi due modi di guerra lefaccino più utile o più danno. E benché sia che dire daogni parte, nondimeno io credo che sanza comparazionefaccino più danno a chi si difende, che a chi offende. Laragione che io ne dico è, che quel che si difende, o egli èdentro a una terra, o egli è in su i campi dentro a unosteccato. S'egli è dentro a una terra, o questa terra è pic-cola, come sono la maggior parte delle fortezze, o la ègrande: nel primo caso, chi si difende è al tutto perduto,perché l'impeto delle artiglierie è tale che non truovamuro, ancoraché grossissimo, che in pochi giorni ei nonabbatta; e se chi è dentro non ha buoni spazi da ritirarsie con fossi e con ripari, si perde; né può sostenerel'impeto del nimico che volessi dipoi entrare per la rot-tura del muro, né a questo gli giova artiglieria che aves-si: perché questa è una massima, che dove gli uomini infrotta e con impeto possono andare, le artiglierie non glisostengono. Però i furori oltramontani nella difesa delleterre non sono sostenuti: son bene sostenuti gli assaltiitaliani, i quali, non in frotta ma spicciolati, si conduca-no alle battaglie, le quali loro, per nome molto proprio,chiamano scaramucce. E questi che vanno con questodisordine e questa freddezza a una rottura d'un murodove siano artiglierie, vanno a una manifesta morte, econtro a loro le artiglierie vagliano: ma quegli che infrotta condensati, e che l'uno spinge l'altro, vengono auna rottura, se non sono sostenuti o da fossi o da ripari,entrono in ogni luogo, e le artiglierie non gli tengono; e,se ne muore qualcuno, non possono essere tanti che

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gl'impedischino la vittoria.Questo, essere vero, si è conosciuto in molte espugna-zioni fatte dagli oltramontani in Italia, e massime inquella di Brescia: perché, sendosi quella terra ribellatada' Franciosi, e tenendosi ancora per il re di Francia lafortezza, avevano i Viniziani, per sostenere l'impeto cheda quella potesse venire nella terra, munita tutta la stra-da d'artiglierie, che dalla fortezza alla città scendeva, epostene a fronte e ne' fianchi, ed in ogni altro luogo op-portuno. Delle quali monsignor di Fois non fece alcunoconto; anzi, quello con il suo squadrone, disceso a pie-de, passando per il mezzo di quelle, occupò la città, néper quelle si sentì ch'egli avesse ricevuto alcuno memo-rabile danno. Talché, chi si difende in una terra piccola,come è detto, e truovisi le mura in terra, e non abbiaspazio da ritirarsi con i ripari e con fossi ed abbiasi a fi-dare in su le artiglierie, si perde subito. Se tu difendi unaterra grande, e che tu abbia commodità di ritirarti, sononondimanco sanza comparazione più utili le artiglierie achi è di fuori, che a chi è dentro. Prima, perché, a volereche una artiglieria nuoca a quegli che sono di fuora, tuse' necessitato levarti con essa dal piano della terra; per-ché, stando in sul piano, ogni poco d'argine e di riparoche il nimico faccia, rimane sicuro, e tu non gli puoinuocere. Tanto che, avendoti a alzare, e tirarti in sul cor-ridoio delle mura, o in qualunque modo levarti da terra,tu ti tiri dietro due difficultà: la prima, che tu non puoicondurvi artiglierie della grossezza e della potenza che

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gl'impedischino la vittoria.Questo, essere vero, si è conosciuto in molte espugna-zioni fatte dagli oltramontani in Italia, e massime inquella di Brescia: perché, sendosi quella terra ribellatada' Franciosi, e tenendosi ancora per il re di Francia lafortezza, avevano i Viniziani, per sostenere l'impeto cheda quella potesse venire nella terra, munita tutta la stra-da d'artiglierie, che dalla fortezza alla città scendeva, epostene a fronte e ne' fianchi, ed in ogni altro luogo op-portuno. Delle quali monsignor di Fois non fece alcunoconto; anzi, quello con il suo squadrone, disceso a pie-de, passando per il mezzo di quelle, occupò la città, néper quelle si sentì ch'egli avesse ricevuto alcuno memo-rabile danno. Talché, chi si difende in una terra piccola,come è detto, e truovisi le mura in terra, e non abbiaspazio da ritirarsi con i ripari e con fossi ed abbiasi a fi-dare in su le artiglierie, si perde subito. Se tu difendi unaterra grande, e che tu abbia commodità di ritirarti, sononondimanco sanza comparazione più utili le artiglierie achi è di fuori, che a chi è dentro. Prima, perché, a volereche una artiglieria nuoca a quegli che sono di fuora, tuse' necessitato levarti con essa dal piano della terra; per-ché, stando in sul piano, ogni poco d'argine e di riparoche il nimico faccia, rimane sicuro, e tu non gli puoinuocere. Tanto che, avendoti a alzare, e tirarti in sul cor-ridoio delle mura, o in qualunque modo levarti da terra,tu ti tiri dietro due difficultà: la prima, che tu non puoicondurvi artiglierie della grossezza e della potenza che

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può trarre colui di fuora, non si potendo ne' piccoli spa-zii maneggiare le cose grandi: l'altra è, quando bene tuve le potessi condurre, tu non puoi fare quegli ripari fe-deli e sicuri, per salvare detta artiglieria, che possonofare quegli di fuori, essendo in sul terreno, ed avendoquelle commodità e quello spazio che loro medesimi vo-gliono: talmenteché, gli è impossibile, a chi difende unaterra, tenere le artiglierie ne' luoghi alti, quando quegliche sono di fuori abbino assai artiglierie e potente; e seegli hanno a venire con essa ne' luoghi bassi, ella diven-ta in buona parte inutile, come è detto. Talché la difesadella città si ha a ridurre a difenderla con le braccia,come anticamente si faceva, e con l'artiglieria minuta: diche se si trae un poco di utilità, rispetto a questa artiglie-ria minuta, se ne cava incommodità che contrappesa allacommodità dell'artiglieria; perché, rispetto a quella, siriducano le mura delle terre, basse e quasi sotterrate ne'fossi: talché, come si viene alla battaglia di mano, o peressere battute le mura o per essere ripieni i fossi, ha, chiè dentro, molti più disavvantaggi che non aveva allora.E però, come di sopra si disse, giovano questi instru-menti molto più a chi campeggia le terre, che a chi ècampeggiato. Quanto alla terza cosa, di ridursi in uncampo dentro a uno steccato, per non fare giornata senon a tua comodità o vantaggio, dico che in questa partetu non hai più rimedio, ordinariamente, a difenderti dinon combattere, che si avessono gli antichi; e qualchevolta, per conto delle artiglierie, hai maggiore disavvan-taggio. Perché, se il nimico ti giugne addosso, ed abbia

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può trarre colui di fuora, non si potendo ne' piccoli spa-zii maneggiare le cose grandi: l'altra è, quando bene tuve le potessi condurre, tu non puoi fare quegli ripari fe-deli e sicuri, per salvare detta artiglieria, che possonofare quegli di fuori, essendo in sul terreno, ed avendoquelle commodità e quello spazio che loro medesimi vo-gliono: talmenteché, gli è impossibile, a chi difende unaterra, tenere le artiglierie ne' luoghi alti, quando quegliche sono di fuori abbino assai artiglierie e potente; e seegli hanno a venire con essa ne' luoghi bassi, ella diven-ta in buona parte inutile, come è detto. Talché la difesadella città si ha a ridurre a difenderla con le braccia,come anticamente si faceva, e con l'artiglieria minuta: diche se si trae un poco di utilità, rispetto a questa artiglie-ria minuta, se ne cava incommodità che contrappesa allacommodità dell'artiglieria; perché, rispetto a quella, siriducano le mura delle terre, basse e quasi sotterrate ne'fossi: talché, come si viene alla battaglia di mano, o peressere battute le mura o per essere ripieni i fossi, ha, chiè dentro, molti più disavvantaggi che non aveva allora.E però, come di sopra si disse, giovano questi instru-menti molto più a chi campeggia le terre, che a chi ècampeggiato. Quanto alla terza cosa, di ridursi in uncampo dentro a uno steccato, per non fare giornata senon a tua comodità o vantaggio, dico che in questa partetu non hai più rimedio, ordinariamente, a difenderti dinon combattere, che si avessono gli antichi; e qualchevolta, per conto delle artiglierie, hai maggiore disavvan-taggio. Perché, se il nimico ti giugne addosso, ed abbia

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un poco di vantaggio del paese, come può facilmente in-tervenire, e truovisi più alto di te; o che nello arrivaresuo tu non abbia ancora fatti i tuoi argini, e copertotibene con quegli; subito, e sanza che tu abbia alcun rime-dio, ti disalloggia, e sei forzato uscire delle fortezze tue,e venire alla zuffa. Il che intervenne agli Spagnuoli nellagiornata di Ravenna; i quali essendosi muniti tra 'l fiumedel Ronco ed uno argine, per non lo avere tirato tantoalto che bastasse, e per avere i Franciosi un poco il van-taggio del terreno, furono costretti dalle artiglierie usciredelle fortezze loro, e venire alla zuffa. Ma dato, come ilpiù delle volte debbe essere, che il luogo che tu avessipreso con il campo fosse più eminente che gli altriall'incontro, e che gli argini fussono buoni e sicuri, tal-ché, mediante il sito e l'altre tue preparazioni il nimiconon ardisse d'assaltarti; si verrà in questo caso a queglimodi che anticamente si veniva, quando uno era con ilsuo esercito in lato da non potere essere offeso: i qualisono, correre il paese, pigliare o campeggiare le terretue amiche, impedirti le vettovaglie, tanto che tu saraiforzato da qualche necessità a disalloggiare, e venire agiornata; dove le artiglierie, come di sotto si dirà, nonoperano molto. Considerato, adunque, di quali ragioniguerre feciono i Romani, e veggendo come ei fecionoquasi tutte le loro guerre per offendere altrui e non perdifendere loro, si vedrà, quando siano vere le cose dettedi sopra, come quelli arebbono avuto più vantaggio, epiù presto arebbono fatto i loro acquisti, se le fossonostate in quelli tempi.

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un poco di vantaggio del paese, come può facilmente in-tervenire, e truovisi più alto di te; o che nello arrivaresuo tu non abbia ancora fatti i tuoi argini, e copertotibene con quegli; subito, e sanza che tu abbia alcun rime-dio, ti disalloggia, e sei forzato uscire delle fortezze tue,e venire alla zuffa. Il che intervenne agli Spagnuoli nellagiornata di Ravenna; i quali essendosi muniti tra 'l fiumedel Ronco ed uno argine, per non lo avere tirato tantoalto che bastasse, e per avere i Franciosi un poco il van-taggio del terreno, furono costretti dalle artiglierie usciredelle fortezze loro, e venire alla zuffa. Ma dato, come ilpiù delle volte debbe essere, che il luogo che tu avessipreso con il campo fosse più eminente che gli altriall'incontro, e che gli argini fussono buoni e sicuri, tal-ché, mediante il sito e l'altre tue preparazioni il nimiconon ardisse d'assaltarti; si verrà in questo caso a queglimodi che anticamente si veniva, quando uno era con ilsuo esercito in lato da non potere essere offeso: i qualisono, correre il paese, pigliare o campeggiare le terretue amiche, impedirti le vettovaglie, tanto che tu saraiforzato da qualche necessità a disalloggiare, e venire agiornata; dove le artiglierie, come di sotto si dirà, nonoperano molto. Considerato, adunque, di quali ragioniguerre feciono i Romani, e veggendo come ei fecionoquasi tutte le loro guerre per offendere altrui e non perdifendere loro, si vedrà, quando siano vere le cose dettedi sopra, come quelli arebbono avuto più vantaggio, epiù presto arebbono fatto i loro acquisti, se le fossonostate in quelli tempi.

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Quanto alla seconda cosa, che gli uomini non possonomostrare la virtù loro, come ei potevano anticamente,mediante l'artiglieria; dico ch'egli è vero, che, dove gliuomini spicciolati si hanno a mostrare, che ei portanopiù pericoli che allora, quando avessono a scalare unaterra, o fare simili assalti, dove gli uomini non ristrettiinsieme ma di per sé l'uno dall'altro avessono a compari-re. È vero ancora, che gli capitani e capi degli esercitistanno sottoposti più a il pericolo della morte che allora,potendo essere aggiunti con le artiglierie in ogni luogo;né giova loro lo essere nelle ultime squadre, e muniti diuomini fortissimi. Nondimeno si vede che l'uno e l'altrodi questi dua pericoli fanno rade volte danni istraordina-ri: perché le terre munite bene non si scalano, né si vacon assalti deboli ad assaltarle; ma, a volerle espugnare,si riduce la cosa a una ossidione, come anticamente sifaceva. Ed in quelle che pure per assalto si espugnano,non sono molto maggiori i pericoli che allora: perchénon mancavano anche in quel tempo, a chi difendeva leterre, cose da trarre; le quali, se non erano così furiose,facevano, quanto allo ammazzare gli uomini, il simileeffetto. Quanto alla morte de' capitani e condottieri, cene sono, in ventiquattro anni che sono state le guerre ne'prossimi tempi in Italia, meno esempli che non era indieci anni di tempo appresso agli antichi. Perché, dalconte Lodovico della Mirandola, che morì a Ferraraquando i Viniziani, pochi anni sono, assaltarono quellostato, ed il Duca di Nemors, che morì alla Cirignuola, infuori, non è occorso che d'artiglierie ne sia morto alcu-

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Quanto alla seconda cosa, che gli uomini non possonomostrare la virtù loro, come ei potevano anticamente,mediante l'artiglieria; dico ch'egli è vero, che, dove gliuomini spicciolati si hanno a mostrare, che ei portanopiù pericoli che allora, quando avessono a scalare unaterra, o fare simili assalti, dove gli uomini non ristrettiinsieme ma di per sé l'uno dall'altro avessono a compari-re. È vero ancora, che gli capitani e capi degli esercitistanno sottoposti più a il pericolo della morte che allora,potendo essere aggiunti con le artiglierie in ogni luogo;né giova loro lo essere nelle ultime squadre, e muniti diuomini fortissimi. Nondimeno si vede che l'uno e l'altrodi questi dua pericoli fanno rade volte danni istraordina-ri: perché le terre munite bene non si scalano, né si vacon assalti deboli ad assaltarle; ma, a volerle espugnare,si riduce la cosa a una ossidione, come anticamente sifaceva. Ed in quelle che pure per assalto si espugnano,non sono molto maggiori i pericoli che allora: perchénon mancavano anche in quel tempo, a chi difendeva leterre, cose da trarre; le quali, se non erano così furiose,facevano, quanto allo ammazzare gli uomini, il simileeffetto. Quanto alla morte de' capitani e condottieri, cene sono, in ventiquattro anni che sono state le guerre ne'prossimi tempi in Italia, meno esempli che non era indieci anni di tempo appresso agli antichi. Perché, dalconte Lodovico della Mirandola, che morì a Ferraraquando i Viniziani, pochi anni sono, assaltarono quellostato, ed il Duca di Nemors, che morì alla Cirignuola, infuori, non è occorso che d'artiglierie ne sia morto alcu-

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no; perché monsignore di Fois a Ravenna morì di ferro,e non di fuoco. Tanto che, se gli uomini non dimostranoparticularmente la loro virtù, nasce, non dalle artiglierie,ma dai cattivi ordini e dalla debolezza degli eserciti; iquali, mancando di virtù nel tutto, non la possono mo-strare nella parte.Quanto alla terza cosa detta da costoro, che non si possavenire alle mani, e che la guerra si condurrà tutta in sul'artiglierie, dico questa opinione essere al tutto falsa; ecosì fia sempre tenuta da coloro che secondo l'anticavirtù vorranno adoperare gli eserciti loro. Perché, chivuole fare uno esercito buono, gli conviene, con esercizio fitti o veri, assuefare gli uomini sua ad accostarsi al ni-mico, e venire con lui al menare della spada ed a pigliar-si per il petto; e si debbe fondare più in su le fanterieche in su' cavagli, per le ragioni che di sotto si diranno.E quando si fondi in su i fanti ed in su i modi predetti,diventono al tutto le artiglierie inutili; perché con più fa-cilità le fanterie, nello accostarsi al nimico, possono fug-gire il colpo delle artiglierie, che non potevano antica-mente fuggire l'impeto degli elefanti, de' carri falcati, ed'altri riscontri inusitati, che le fanterie romane riscon-trarono; contro ai quali sempre trovarono il rimedio: etanto più facilmente lo arebbono trovato contro a queste,quanto egli è più breve il tempo nel quale le artiglierie tipossano nuocere, che non era quello nel quale potevanonuocere gli elefanti ed i carri. Perché quegli nel mezzodella zuffa ti disordinavano, queste, solo innanzi alla

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no; perché monsignore di Fois a Ravenna morì di ferro,e non di fuoco. Tanto che, se gli uomini non dimostranoparticularmente la loro virtù, nasce, non dalle artiglierie,ma dai cattivi ordini e dalla debolezza degli eserciti; iquali, mancando di virtù nel tutto, non la possono mo-strare nella parte.Quanto alla terza cosa detta da costoro, che non si possavenire alle mani, e che la guerra si condurrà tutta in sul'artiglierie, dico questa opinione essere al tutto falsa; ecosì fia sempre tenuta da coloro che secondo l'anticavirtù vorranno adoperare gli eserciti loro. Perché, chivuole fare uno esercito buono, gli conviene, con esercizio fitti o veri, assuefare gli uomini sua ad accostarsi al ni-mico, e venire con lui al menare della spada ed a pigliar-si per il petto; e si debbe fondare più in su le fanterieche in su' cavagli, per le ragioni che di sotto si diranno.E quando si fondi in su i fanti ed in su i modi predetti,diventono al tutto le artiglierie inutili; perché con più fa-cilità le fanterie, nello accostarsi al nimico, possono fug-gire il colpo delle artiglierie, che non potevano antica-mente fuggire l'impeto degli elefanti, de' carri falcati, ed'altri riscontri inusitati, che le fanterie romane riscon-trarono; contro ai quali sempre trovarono il rimedio: etanto più facilmente lo arebbono trovato contro a queste,quanto egli è più breve il tempo nel quale le artiglierie tipossano nuocere, che non era quello nel quale potevanonuocere gli elefanti ed i carri. Perché quegli nel mezzodella zuffa ti disordinavano, queste, solo innanzi alla

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zuffa, t'impediscano: il quale impedimento facilmente lefanterie fuggono, o con andare coperte dalla natura delsito, o con abbassarsi in su la terra quando le tirano. Ilche anche, per isperienza, si è visto non essere necessa-rio, massime per difendersi dalle artiglierie grosse; lequali non si possono in modo bilanciare, o che, se levanno alto, le non ti trovino, o che, se le vanno basso, lenon ti arrivino. Venuti poi gli eserciti alle mani, questo èchiaro più che la luce, che né le grosse né le piccole tipossono offendere: perché, se quello che ha l'artiglierieè davanti, diventa tuo prigione; s'egli è dietro, egli of-fende prima l'amico che te; a spalle ancora non ti puòferire in modo che tu non lo possa ire a trovare, e ne vie-ne a seguitare lo effetto detto. Né questo ha molta dispu-ta; perché se ne è visto l'esemplo de' Svizzeri, i quali aNovara nel 1513, sanza artiglierie e sanza cavagli, anda-rono a trovare lo esercito francioso, munito d'artiglierie,dentro alle fortezze sue, e lo roppono sanza avere alcunoimpedimento da quelle. E la ragione è, oltre alle cosedette di sopra, che l'artiglieria ha bisogno di essere guar-data, a volere che la operi, o da mura o da fossi o da ar-gini; e come le mancherà una di queste guardie, ella èprigione, o la diventa inutile: come le interviene quandola si ha a difendere con gli uomini; il che le intervienenelle giornate e zuffe campali. Per fianco le non si pos-sono adoperare, se non in quel modo che adoperavanogli antichi gli instrumenti da trarre; che gli mettevanofuori delle squadre, perché ei combattessono fuori degliordini; ed ogni volta che o da cavalleria o da altri erano

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zuffa, t'impediscano: il quale impedimento facilmente lefanterie fuggono, o con andare coperte dalla natura delsito, o con abbassarsi in su la terra quando le tirano. Ilche anche, per isperienza, si è visto non essere necessa-rio, massime per difendersi dalle artiglierie grosse; lequali non si possono in modo bilanciare, o che, se levanno alto, le non ti trovino, o che, se le vanno basso, lenon ti arrivino. Venuti poi gli eserciti alle mani, questo èchiaro più che la luce, che né le grosse né le piccole tipossono offendere: perché, se quello che ha l'artiglierieè davanti, diventa tuo prigione; s'egli è dietro, egli of-fende prima l'amico che te; a spalle ancora non ti puòferire in modo che tu non lo possa ire a trovare, e ne vie-ne a seguitare lo effetto detto. Né questo ha molta dispu-ta; perché se ne è visto l'esemplo de' Svizzeri, i quali aNovara nel 1513, sanza artiglierie e sanza cavagli, anda-rono a trovare lo esercito francioso, munito d'artiglierie,dentro alle fortezze sue, e lo roppono sanza avere alcunoimpedimento da quelle. E la ragione è, oltre alle cosedette di sopra, che l'artiglieria ha bisogno di essere guar-data, a volere che la operi, o da mura o da fossi o da ar-gini; e come le mancherà una di queste guardie, ella èprigione, o la diventa inutile: come le interviene quandola si ha a difendere con gli uomini; il che le intervienenelle giornate e zuffe campali. Per fianco le non si pos-sono adoperare, se non in quel modo che adoperavanogli antichi gli instrumenti da trarre; che gli mettevanofuori delle squadre, perché ei combattessono fuori degliordini; ed ogni volta che o da cavalleria o da altri erano

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spinti, il rifugio loro era dietro alle legioni. Chi altri-menti ne fa conto, non la intende bene, e fidasi soprauna cosa che facilmente lo può ingannare. E se il Turco,mediante l'artiglieria, contro al Sofi ed il Soldano haavuto vittoria, è nato non per altra virtù di quella che perlo spavento che lo inusitato romore messe nella cavalle-ria loro.Conchiuggo pertanto, venendo al fine di questo discor-so, l'artiglieria essere utile in uno esercito quando vi siamescolata l'antica virtù; ma, sanza quella, contro a unoesercito virtuoso è inutilissima.

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spinti, il rifugio loro era dietro alle legioni. Chi altri-menti ne fa conto, non la intende bene, e fidasi soprauna cosa che facilmente lo può ingannare. E se il Turco,mediante l'artiglieria, contro al Sofi ed il Soldano haavuto vittoria, è nato non per altra virtù di quella che perlo spavento che lo inusitato romore messe nella cavalle-ria loro.Conchiuggo pertanto, venendo al fine di questo discor-so, l'artiglieria essere utile in uno esercito quando vi siamescolata l'antica virtù; ma, sanza quella, contro a unoesercito virtuoso è inutilissima.

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18 Come per l'autorità de' Romani, e per loesemplo della antica milizia, si debba stimare

più le fanterie che i cavagli.

E' si può per molte ragioni e per molti esempli dimostra-re chiaramente, quanto i Romani in tutte le militari azio-ni estimassono più la milizia a piede che a cavallo, e so-pra quella fondassino tutti i disegni delle forze loro:come si vede per molti esempli, ed infra gli altri, quandosi azzuffarono con i Latini appresso al lago Regillo;dove essendo già inclinato lo esercito romano, per soc-correre ai suoi, fecero discendere, degli uomini a caval-lo, a piede, e per quella via, rinnovata la zuffa, ebbonola vittoria. Dove si vede manifestamente, i Romani ave-re più confidato in loro sendo a piede, che mantenendolia cavallo. Questo medesimo termine usarono in moltealtre zuffe, e sempre lo trovarono ottimo rimedio alliloro pericoli.Né si opponga a questo la opinione d'Annibale, il quale,veggendo in la giornata di Canne che i Consoli avevanofatto discendere a piè li loro cavalieri, facendosi beffe disimile partito, disse: «Quam mallem vinctos mihi trade-rent equites!», cioè: - Io arei più caro che me gli dessinolegati -. La quale opinione, ancoraché la sia stata in boc-ca d'un uomo eccellentissimo, nondimanco, se si ha adire dietro alla autorità, si debbe più credere a una Repu-blica romana, e a tanti capitani eccellentissimi che furo-no in quella, che a uno solo Annibale. Ancoraché, sanza

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18 Come per l'autorità de' Romani, e per loesemplo della antica milizia, si debba stimare

più le fanterie che i cavagli.

E' si può per molte ragioni e per molti esempli dimostra-re chiaramente, quanto i Romani in tutte le militari azio-ni estimassono più la milizia a piede che a cavallo, e so-pra quella fondassino tutti i disegni delle forze loro:come si vede per molti esempli, ed infra gli altri, quandosi azzuffarono con i Latini appresso al lago Regillo;dove essendo già inclinato lo esercito romano, per soc-correre ai suoi, fecero discendere, degli uomini a caval-lo, a piede, e per quella via, rinnovata la zuffa, ebbonola vittoria. Dove si vede manifestamente, i Romani ave-re più confidato in loro sendo a piede, che mantenendolia cavallo. Questo medesimo termine usarono in moltealtre zuffe, e sempre lo trovarono ottimo rimedio alliloro pericoli.Né si opponga a questo la opinione d'Annibale, il quale,veggendo in la giornata di Canne che i Consoli avevanofatto discendere a piè li loro cavalieri, facendosi beffe disimile partito, disse: «Quam mallem vinctos mihi trade-rent equites!», cioè: - Io arei più caro che me gli dessinolegati -. La quale opinione, ancoraché la sia stata in boc-ca d'un uomo eccellentissimo, nondimanco, se si ha adire dietro alla autorità, si debbe più credere a una Repu-blica romana, e a tanti capitani eccellentissimi che furo-no in quella, che a uno solo Annibale. Ancoraché, sanza

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le autorità, ce ne sia ragioni manifeste: perché l'uomo apiede può andare in di molti luoghi, dove non può anda-re il cavallo; puossi insegnarli servare l'ordine, e, turbatoche fussi, come e' lo abbia a riassumere: a' cavagli è dif-ficile fare servare l'ordine, ed impossibile, turbati chesono, riordinargli. Oltre a questo, si truova, come negliuomini, de' cavagli che hanno poco animo, e di quegliche ne hanno assai: e molte volte interviene che un ca-vallo animoso è cavalcato da un uomo vile, e uno caval-lo vile da uno animoso; ed in qualunque modo che se-gua questa disparità, ne nasce inutilità e disordine. Pos-sono le fanterie, ordinate, facilmente rompere i cavagli,e difficilmente essere rotte da quegli. La quale opinioneè corroborata, oltre a molti esempli antichi e moderni,dalla autorità di coloro che danno delle cose civili rego-la: dove ei mostrano come in prima le guerre si comin-ciarono a fare con i cavagli, perché non era ancoral'ordine delle fanterie; ma come queste si ordinarono, siconobbe subito quanto loro erano più utili che quelli.Non è per questo però che i cavagli non siano necessariinegli eserciti, e per fare scoperte, per iscorrere e predarei paesi, per seguitare i nimici quando ei sono in fuga, eper essere ancora in parte una opposizione ai cavagli de-gli avversari: ma il fondamento e il nervo dello esercito,e quello che si debbe più stimare, debbano essere le fan-terie.Ed infra i peccati de' principi italiani, che hanno fattoItalia serva de' forestieri, non ci è il maggiore che avere

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le autorità, ce ne sia ragioni manifeste: perché l'uomo apiede può andare in di molti luoghi, dove non può anda-re il cavallo; puossi insegnarli servare l'ordine, e, turbatoche fussi, come e' lo abbia a riassumere: a' cavagli è dif-ficile fare servare l'ordine, ed impossibile, turbati chesono, riordinargli. Oltre a questo, si truova, come negliuomini, de' cavagli che hanno poco animo, e di quegliche ne hanno assai: e molte volte interviene che un ca-vallo animoso è cavalcato da un uomo vile, e uno caval-lo vile da uno animoso; ed in qualunque modo che se-gua questa disparità, ne nasce inutilità e disordine. Pos-sono le fanterie, ordinate, facilmente rompere i cavagli,e difficilmente essere rotte da quegli. La quale opinioneè corroborata, oltre a molti esempli antichi e moderni,dalla autorità di coloro che danno delle cose civili rego-la: dove ei mostrano come in prima le guerre si comin-ciarono a fare con i cavagli, perché non era ancoral'ordine delle fanterie; ma come queste si ordinarono, siconobbe subito quanto loro erano più utili che quelli.Non è per questo però che i cavagli non siano necessariinegli eserciti, e per fare scoperte, per iscorrere e predarei paesi, per seguitare i nimici quando ei sono in fuga, eper essere ancora in parte una opposizione ai cavagli de-gli avversari: ma il fondamento e il nervo dello esercito,e quello che si debbe più stimare, debbano essere le fan-terie.Ed infra i peccati de' principi italiani, che hanno fattoItalia serva de' forestieri, non ci è il maggiore che avere

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tenuto poco conto di questo ordine, ed avere volto tuttala sua cura alla milizia a cavallo. Il quale disordine ènato per la malignità de' capi, e per la ignoranza di colo-ro che tenevano stato. Perché, essendosi ridotta la mili-zia italiana da' venticinque anni indietro, in uomini chenon avevano stato, ma erano come capitani di ventura,pensarono subito come potessero mantenersi la riputa-zione, stando armati loro e disarmati i principi. E perchéuno numero grosso di fanti non poteva loro essere conti-novamente pagato, e non avendo sudditi da potere valer-sene, ed uno piccol numero non dava loro riputazione, sivolsono a tenere cavagli: perché dugento o trecento ca-vagli che erano pagati ad uno condottiere, lo mantene-vano riputato, ed il pagamento non era tale, che dagliuomini che tenevono stato non potesse essere adempiu-to. E perché questo seguisse più facilmente, e per man-tenersi più in riputazione, levarono tutta l'affezione e lariputazione da' fanti, e ridussonla in quelli loro cavagli:e in tanto crebbono in questo disordine, che in qualun-que grossissimo esercito era una minima parte di fante-ria. La quale usanza fece in modo debole, insieme conmolti altri disordini che si mescolarono con quella, que-sta milizia italiana, che questa provincia è stata facil-mente calpesta da tutti gli oltramontani. Mostrasi piùapertamente questo errore, di stimare più i cavagli che lefanterie, per uno altro esemplo romano. Erano i Romania campo a Sora, ed essendo uscito fuori della terra unaturma di cavagli per assaltare il campo, se gli fece alloincontro il Maestro de' cavagli romano con la sua caval-

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tenuto poco conto di questo ordine, ed avere volto tuttala sua cura alla milizia a cavallo. Il quale disordine ènato per la malignità de' capi, e per la ignoranza di colo-ro che tenevano stato. Perché, essendosi ridotta la mili-zia italiana da' venticinque anni indietro, in uomini chenon avevano stato, ma erano come capitani di ventura,pensarono subito come potessero mantenersi la riputa-zione, stando armati loro e disarmati i principi. E perchéuno numero grosso di fanti non poteva loro essere conti-novamente pagato, e non avendo sudditi da potere valer-sene, ed uno piccol numero non dava loro riputazione, sivolsono a tenere cavagli: perché dugento o trecento ca-vagli che erano pagati ad uno condottiere, lo mantene-vano riputato, ed il pagamento non era tale, che dagliuomini che tenevono stato non potesse essere adempiu-to. E perché questo seguisse più facilmente, e per man-tenersi più in riputazione, levarono tutta l'affezione e lariputazione da' fanti, e ridussonla in quelli loro cavagli:e in tanto crebbono in questo disordine, che in qualun-que grossissimo esercito era una minima parte di fante-ria. La quale usanza fece in modo debole, insieme conmolti altri disordini che si mescolarono con quella, que-sta milizia italiana, che questa provincia è stata facil-mente calpesta da tutti gli oltramontani. Mostrasi piùapertamente questo errore, di stimare più i cavagli che lefanterie, per uno altro esemplo romano. Erano i Romania campo a Sora, ed essendo uscito fuori della terra unaturma di cavagli per assaltare il campo, se gli fece alloincontro il Maestro de' cavagli romano con la sua caval-

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leria; e datosi di petto, la sorte dette che nel primo scon-tro i capi dell'uno e dell'altro esercito morirono; e restatigli altri sanza governo, e durando nondimeno la zuffa, iRomani, per superare più facilmente il nimico, scesonoa piede, e constrinsono i cavalieri inimici, se si vollonodifendere, a fare il simile: e, con tutto questo, i Romanine riportarono la vittoria. Non può essere questo esem-plo maggiore in dimostrare quanto sia più virtù nellefanterie che ne' cavagli: perché, se nelle altre fazioni iConsoli facevano discendere i cavalieri romani, era persoccorrere alle fanterie che pativano, e che avevano bi-sogno di aiuto; ma in questo luogo e' discesono, non persoccorrere alle fanterie né per combattere con uomini apiè de' nimici, ma combattendo a cavallo, con cavagli,giudicarono, non potendo superargli a cavallo, potere,scendendo, più facilmente vincergli. Io voglio adunqueconchiudere, che una fanteria ordinata non possa sanzagrandissima difficultà essere superata se non da un'altrafanteria. Crasso e Marc'Antonio romani corsono per ildominio de' Parti molte giornate con pochissimi cavaglied assai fanteria, ed allo incontro avevano innumerabilicavagli de' Parti. Crasso vi rimase, con parte dello eser-cito, morto; Marc'Antonio virtuosamente si salvò. Non-dimanco in queste azioni romane si vide quanto le fante-rie prevalevano ai cavagli: perché, essendo in uno paeselargo, dove i monti sono radi, i fiumi radissimi, le mari-ne longinque, e discosto da ogni commodità, nondiman-co Marc'Antonio, al giudicio de' Parti medesimi, virtuo-sissimamente si salvò; né mai ebbeno ardire tutta la ca-

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leria; e datosi di petto, la sorte dette che nel primo scon-tro i capi dell'uno e dell'altro esercito morirono; e restatigli altri sanza governo, e durando nondimeno la zuffa, iRomani, per superare più facilmente il nimico, scesonoa piede, e constrinsono i cavalieri inimici, se si vollonodifendere, a fare il simile: e, con tutto questo, i Romanine riportarono la vittoria. Non può essere questo esem-plo maggiore in dimostrare quanto sia più virtù nellefanterie che ne' cavagli: perché, se nelle altre fazioni iConsoli facevano discendere i cavalieri romani, era persoccorrere alle fanterie che pativano, e che avevano bi-sogno di aiuto; ma in questo luogo e' discesono, non persoccorrere alle fanterie né per combattere con uomini apiè de' nimici, ma combattendo a cavallo, con cavagli,giudicarono, non potendo superargli a cavallo, potere,scendendo, più facilmente vincergli. Io voglio adunqueconchiudere, che una fanteria ordinata non possa sanzagrandissima difficultà essere superata se non da un'altrafanteria. Crasso e Marc'Antonio romani corsono per ildominio de' Parti molte giornate con pochissimi cavaglied assai fanteria, ed allo incontro avevano innumerabilicavagli de' Parti. Crasso vi rimase, con parte dello eser-cito, morto; Marc'Antonio virtuosamente si salvò. Non-dimanco in queste azioni romane si vide quanto le fante-rie prevalevano ai cavagli: perché, essendo in uno paeselargo, dove i monti sono radi, i fiumi radissimi, le mari-ne longinque, e discosto da ogni commodità, nondiman-co Marc'Antonio, al giudicio de' Parti medesimi, virtuo-sissimamente si salvò; né mai ebbeno ardire tutta la ca-

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valleria partica tentare gli ordini dello esercito suo. SeCrasso vi rimase, chi leggerà bene le sue azioni vedràcome e' vi fu piuttosto ingannato che sforzato: né mai,in tutti i suoi disordini, i Parti ardirono d'urtarlo; anzi,sempre andando costeggiandolo, impedendogli le vetto-vaglie, e promettendogli e non gli osservando, lo con-dussono a una estrema miseria.Io crederei avere a durare più fatica in persuadere quan-to la virtù delle fanterie è più potente che quella de' ca-valli se non ci fossono assai moderni esempli che nerendano testimonianza pienissima. E' si è veduto nove-mila Svizzeri a Novara, da noi di sopra allegata, andarea affrontare diecimila cavagli ed altrettanti fanti, e vin-cergli: perché i cavagli non gli potevano offendere: ifanti, per essere gente in buona parte guascona e maleordinata, la stimavano poco. Videsi di poi ventiseimilaSvizzeri andare a trovare sopra a Milano Francesco re diFrancia, che aveva seco ventimila cavagli, quarantamilafanti, e cento carra d'artiglierie; e se non vinsono la gior-nata come a Novara, ei la combatterono dua giorni vir-tuosamente e dipoi, rotti ch'ei furono, la metà di loro sisalvarono. Presunse Marco Regolo Attilio, non solo conla fanteria sua sostenere i cavagli, ma gli elefanti; e se ildisegno non gli riuscì, non fu però che la virtù della suafanteria non fosse tanta, ch' e' non confidasse tanto in leiche credesse superare quella difficultà. Replico, pertan-to, che, a volere superare i fanti ordinati, è necessarioopporre loro fanti meglio ordinati di quegli: altrimenti,

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valleria partica tentare gli ordini dello esercito suo. SeCrasso vi rimase, chi leggerà bene le sue azioni vedràcome e' vi fu piuttosto ingannato che sforzato: né mai,in tutti i suoi disordini, i Parti ardirono d'urtarlo; anzi,sempre andando costeggiandolo, impedendogli le vetto-vaglie, e promettendogli e non gli osservando, lo con-dussono a una estrema miseria.Io crederei avere a durare più fatica in persuadere quan-to la virtù delle fanterie è più potente che quella de' ca-valli se non ci fossono assai moderni esempli che nerendano testimonianza pienissima. E' si è veduto nove-mila Svizzeri a Novara, da noi di sopra allegata, andarea affrontare diecimila cavagli ed altrettanti fanti, e vin-cergli: perché i cavagli non gli potevano offendere: ifanti, per essere gente in buona parte guascona e maleordinata, la stimavano poco. Videsi di poi ventiseimilaSvizzeri andare a trovare sopra a Milano Francesco re diFrancia, che aveva seco ventimila cavagli, quarantamilafanti, e cento carra d'artiglierie; e se non vinsono la gior-nata come a Novara, ei la combatterono dua giorni vir-tuosamente e dipoi, rotti ch'ei furono, la metà di loro sisalvarono. Presunse Marco Regolo Attilio, non solo conla fanteria sua sostenere i cavagli, ma gli elefanti; e se ildisegno non gli riuscì, non fu però che la virtù della suafanteria non fosse tanta, ch' e' non confidasse tanto in leiche credesse superare quella difficultà. Replico, pertan-to, che, a volere superare i fanti ordinati, è necessarioopporre loro fanti meglio ordinati di quegli: altrimenti,

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si va a una perdita manifesta. Ne' tempi di Filippo Vi-sconti, duca di Milano, scesono in Lombardia circa sedi-cimila Svizzeri: donde quel Duca, avendo per suo capi-tano allora il Carmignuola, lo mandò con circa mille ca-vagli e pochi fanti all'incontro loro. Costui, non sappien-do l'ordine del combattere loro, ne andò a incontrarlicon i suoi cavagli, presumendo poterli subito rompere.Ma trovatigli immobili, avendo perduti molti de' suoiuomini, si ritirò: ed essendo valentissimo uomo, e sap-piendo negli accidenti nuovi pigliare nuovi partiti, rifat-tosi di gente gli andò a trovare; e, venuto loro all'incon-tro, fece smontare a piè tutte le sue genti d'armi, e, fattotesta di quelle alle sue fanterie, andò ad investire i Sviz-zeri. I quali non ebbono alcuno rimedio: perché, sendole genti d'armi del Carmignuola a piè e bene armate, po-terono facilmente entrare intra gli ordini de' Svizzeri,sanza patire alcuna lesione ed entrati tra quegli poteronofacilmente offenderli: talché di tutto il numero di quegli,ne rimase quella parte viva, che per umanità del Carmi-gnuola fu conservata.Io credo che molti conoschino questa differenzia di virtùche è intra l'uno e l'altro di questi ordini: ma è tanta lainfelicità di questi tempi, che né gli esempli antichi né imoderni né la confessione dello errore è sufficiente afare che i moderni principi si ravvegghino; e pensinoche, a volere rendere riputazione alla milizia d'una pro-vincia o d'uno stato, sia necessario risuscitare questi or-dini, tenergli appresso, dare loro riputazione, dare loro

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si va a una perdita manifesta. Ne' tempi di Filippo Vi-sconti, duca di Milano, scesono in Lombardia circa sedi-cimila Svizzeri: donde quel Duca, avendo per suo capi-tano allora il Carmignuola, lo mandò con circa mille ca-vagli e pochi fanti all'incontro loro. Costui, non sappien-do l'ordine del combattere loro, ne andò a incontrarlicon i suoi cavagli, presumendo poterli subito rompere.Ma trovatigli immobili, avendo perduti molti de' suoiuomini, si ritirò: ed essendo valentissimo uomo, e sap-piendo negli accidenti nuovi pigliare nuovi partiti, rifat-tosi di gente gli andò a trovare; e, venuto loro all'incon-tro, fece smontare a piè tutte le sue genti d'armi, e, fattotesta di quelle alle sue fanterie, andò ad investire i Sviz-zeri. I quali non ebbono alcuno rimedio: perché, sendole genti d'armi del Carmignuola a piè e bene armate, po-terono facilmente entrare intra gli ordini de' Svizzeri,sanza patire alcuna lesione ed entrati tra quegli poteronofacilmente offenderli: talché di tutto il numero di quegli,ne rimase quella parte viva, che per umanità del Carmi-gnuola fu conservata.Io credo che molti conoschino questa differenzia di virtùche è intra l'uno e l'altro di questi ordini: ma è tanta lainfelicità di questi tempi, che né gli esempli antichi né imoderni né la confessione dello errore è sufficiente afare che i moderni principi si ravvegghino; e pensinoche, a volere rendere riputazione alla milizia d'una pro-vincia o d'uno stato, sia necessario risuscitare questi or-dini, tenergli appresso, dare loro riputazione, dare loro

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vita, acciocché a lui e vita e riputazione rendino. E comeei deviano da questi modi, così deviano dagli altri modi,detti di sopra: onde ne nasce che gli acquisti sono a dan-no, non a grandezza, d'uno stato; come di sotto si dirà.

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vita, acciocché a lui e vita e riputazione rendino. E comeei deviano da questi modi, così deviano dagli altri modi,detti di sopra: onde ne nasce che gli acquisti sono a dan-no, non a grandezza, d'uno stato; come di sotto si dirà.

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19 Che gli acquisti nelle republiche non beneordinate, e che secondo la romana virtù nonprocedano, sono a ruina, non ad esaltazione

di esse.

Queste contrarie opinioni alla verità fondate in su i maliesempli che da questi nostri corrotti secoli sono stati in-trodotti, fanno che gli uomini non pensono a deviare daiconsueti modi. Quando si sarebbe potuto persuadere unoItaliano, da trenta anni in dietro che diecimila fanti po-tessono assaltare in un piano diecimila cavagli ed altret-tanti fanti, e con quelli non solamente combattere mavincergli, come si vide per lo esemplo da noi più volteallegato, a Novara? E benché le istorie ne siano piene,tamen non ci arebbero prestato fede; e se ci avesseroprestato fede, arebbero detto che in questi tempi s'armameglio, e che una squadra di uomini d'arme sarebbe attaad urtare uno scoglio, non che una fanteria: e così conqueste false scuse corrompevano il giudizio loro; néarebbero considerato che Lucullo con pochi fanti ruppecento cinquantamila cavalli di Tigrane, e che fra quellicavalieri era una sorte di cavalleria simile al tutto agliuomini d'arme nostri: e così, come questa fallacia è statascoperta dallo esemplo delle genti oltramontane. E comee' si vede, per quello, essere vero, quanto alla fanteria,quello che nelle istorie si narra, così doverrebbero cre-dere essere veri e utili tutti gli altri ordini antichi. Equando questo fusse creduto, le republiche ed i principi

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19 Che gli acquisti nelle republiche non beneordinate, e che secondo la romana virtù nonprocedano, sono a ruina, non ad esaltazione

di esse.

Queste contrarie opinioni alla verità fondate in su i maliesempli che da questi nostri corrotti secoli sono stati in-trodotti, fanno che gli uomini non pensono a deviare daiconsueti modi. Quando si sarebbe potuto persuadere unoItaliano, da trenta anni in dietro che diecimila fanti po-tessono assaltare in un piano diecimila cavagli ed altret-tanti fanti, e con quelli non solamente combattere mavincergli, come si vide per lo esemplo da noi più volteallegato, a Novara? E benché le istorie ne siano piene,tamen non ci arebbero prestato fede; e se ci avesseroprestato fede, arebbero detto che in questi tempi s'armameglio, e che una squadra di uomini d'arme sarebbe attaad urtare uno scoglio, non che una fanteria: e così conqueste false scuse corrompevano il giudizio loro; néarebbero considerato che Lucullo con pochi fanti ruppecento cinquantamila cavalli di Tigrane, e che fra quellicavalieri era una sorte di cavalleria simile al tutto agliuomini d'arme nostri: e così, come questa fallacia è statascoperta dallo esemplo delle genti oltramontane. E comee' si vede, per quello, essere vero, quanto alla fanteria,quello che nelle istorie si narra, così doverrebbero cre-dere essere veri e utili tutti gli altri ordini antichi. Equando questo fusse creduto, le republiche ed i principi

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errerebbero meno; sariano più forti a opporsi a uno im-peto che venisse loro addosso; non spererebbero nellafuga; e quegli che avessono nelle mani uno vivere civi-le, lo saperebbono meglio indirizzare, o per la via delloampliare, o per la via del mantenere; e crederebbono chelo accrescere la città sua di abitatori, farsi compagni enon sudditi, mandare colonie a guardare i paesi acqui-stati, fare capitale delle prede, domare il nimico con lescorrerie e con le giornate e non con le ossidioni, tenerericco il publico, povero il privato, mantenere con som-mo studio gli esercizi militari, fusse la vera via a faregrande una republica, e ad acquistare imperio. E quandoquesto modo dello ampliare non gli piacessi, penserebbeche gli acquisti per ogni altra via sono la rovina delle re-publiche, e porrebbe freno a ogni ambizione; regolandobene la sua città dentro con le leggi e co' costumi, proi-bendole lo acquistare, e solo pensando a difendersi, e ledifese tenere ordinate bene: come fanno le republichedella Magna, le quali in questi modi vivano e sono vivu-te libere un tempo.Nondimeno, come altra volta dissi quando discorsi ladifferenza che era, da ordinarsi per acquistare e ordinar-si per mantenere; è impossibile che ad una republica rie-sca lo stare quieta, e godersi la sua libertà e gli pochiconfini: perché, se lei non molesterà altrui, sarà molesta-ta ella; e dallo essere molestata le nascerà la voglia e lanecessità dello acquistare; e quando non avessi il nimicofuora, lo troverrebbe in casa: come pare necessario in-

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errerebbero meno; sariano più forti a opporsi a uno im-peto che venisse loro addosso; non spererebbero nellafuga; e quegli che avessono nelle mani uno vivere civi-le, lo saperebbono meglio indirizzare, o per la via delloampliare, o per la via del mantenere; e crederebbono chelo accrescere la città sua di abitatori, farsi compagni enon sudditi, mandare colonie a guardare i paesi acqui-stati, fare capitale delle prede, domare il nimico con lescorrerie e con le giornate e non con le ossidioni, tenerericco il publico, povero il privato, mantenere con som-mo studio gli esercizi militari, fusse la vera via a faregrande una republica, e ad acquistare imperio. E quandoquesto modo dello ampliare non gli piacessi, penserebbeche gli acquisti per ogni altra via sono la rovina delle re-publiche, e porrebbe freno a ogni ambizione; regolandobene la sua città dentro con le leggi e co' costumi, proi-bendole lo acquistare, e solo pensando a difendersi, e ledifese tenere ordinate bene: come fanno le republichedella Magna, le quali in questi modi vivano e sono vivu-te libere un tempo.Nondimeno, come altra volta dissi quando discorsi ladifferenza che era, da ordinarsi per acquistare e ordinar-si per mantenere; è impossibile che ad una republica rie-sca lo stare quieta, e godersi la sua libertà e gli pochiconfini: perché, se lei non molesterà altrui, sarà molesta-ta ella; e dallo essere molestata le nascerà la voglia e lanecessità dello acquistare; e quando non avessi il nimicofuora, lo troverrebbe in casa: come pare necessario in-

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tervenga a tutte le gran cittadi. E se le republiche dellaMagna possono vivere loro in quel modo, ed hanno po-tuto durare un tempo, nasce da certe condizioni chesono in quel paese, le quali non sono altrove, sanza lequali non potrebbero tenere simile modo di vivere.Era quella parte della Magna di che io parlo, sottopostaallo Imperio romano come la Francia e la Spagna: mavenuto dipoi in declinazione e ridottosi il titolo di taleImperio in quella provincia, cominciarono quelle cittàpiù potenti, secondo la viltà o necessità degl'imperadori,a farsi libere, ricomperandosi dallo Imperio, con riser-vargli un piccol censo annuario; tanto che, a poco apoco, tutte quelle città che erano immediate dello impe-radore, e non erano suggette d'alcuno principe, si sonoin simil modo ricomperate. Occorse, in questi medesimitempi che queste città si ricomperavano, che certe co-munità sottoposte al duca di Austria si ribellarono dalui; tra le quali fu Filiborg, e i Svizzeri, e simili; le qualiprosperando nel principio, pigliarono a poco a poco tan-to augumento, che, non che e' siano tornati sotto il giogodi Austria, sono in timore a tutti i loro vicini: e questisono quegli che si chiamano i Svizzeri. È, adunque, que-sta provincia compartita in Svizzeri, republiche chechiamano terre franche, principi, ed imperadore. E la ca-gione che, intra tante diversità di vivere, non vi nascano,o, se le vi nascano, non vi durano molto le guerre, è quelsegno dello imperadore; il quale, avvenga che non abbiforze, nondimeno ha infra loro tanta riputazione ch'egli

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tervenga a tutte le gran cittadi. E se le republiche dellaMagna possono vivere loro in quel modo, ed hanno po-tuto durare un tempo, nasce da certe condizioni chesono in quel paese, le quali non sono altrove, sanza lequali non potrebbero tenere simile modo di vivere.Era quella parte della Magna di che io parlo, sottopostaallo Imperio romano come la Francia e la Spagna: mavenuto dipoi in declinazione e ridottosi il titolo di taleImperio in quella provincia, cominciarono quelle cittàpiù potenti, secondo la viltà o necessità degl'imperadori,a farsi libere, ricomperandosi dallo Imperio, con riser-vargli un piccol censo annuario; tanto che, a poco apoco, tutte quelle città che erano immediate dello impe-radore, e non erano suggette d'alcuno principe, si sonoin simil modo ricomperate. Occorse, in questi medesimitempi che queste città si ricomperavano, che certe co-munità sottoposte al duca di Austria si ribellarono dalui; tra le quali fu Filiborg, e i Svizzeri, e simili; le qualiprosperando nel principio, pigliarono a poco a poco tan-to augumento, che, non che e' siano tornati sotto il giogodi Austria, sono in timore a tutti i loro vicini: e questisono quegli che si chiamano i Svizzeri. È, adunque, que-sta provincia compartita in Svizzeri, republiche chechiamano terre franche, principi, ed imperadore. E la ca-gione che, intra tante diversità di vivere, non vi nascano,o, se le vi nascano, non vi durano molto le guerre, è quelsegno dello imperadore; il quale, avvenga che non abbiforze, nondimeno ha infra loro tanta riputazione ch'egli

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è un loro conciliatore, e con l'autorità sua, interponendo-si come mezzano, spegne subito ogni scandolo. E lemaggiori e le più lunghe guerre vi siano state, sonoquelle che sono seguite intra i Svizzeri ed il ducad'Austria: e benché da molti anni in qua lo imperadoreed il duca d'Austria sia una medesima cosa, non pertantonon ha mai possuto superare l'audacia de' Svizzeri; dovenon è stato mai modo d'accordo, se non per forza. Né ilresto della Magna gli ha porti molti aiuti; sì perché lecomunità non sanno offendere chi vuole vivere liberocome loro; sì perché quelli principi, parte non possono,per essere poveri, parte non vogliono, per avere invidiaalla potenza sua. Possono vivere, adunque, quelle comu-nità contente del piccolo loro dominio, per non avere ca-gione, rispetto all'autorità imperiale, di disiderarlo mag-giore: possono vivere unite dentro alle mura loro, peravere il nimico propinquo, e che piglierebbe le occasio-ni di occuparle, qualunque volta le discordassono. Ché,se quella provincia fusse condizionata altrimenti, con-verrebbe loro cercare di ampliare e rompere quella loroquiete. E perché altrove non sono tali condizioni, non sipuò prendere questo modo di vivere; e bisogna o am-pliare per via di leghe, o ampliare come i Romani. E chisi governa altrimenti, cerca non la sua vita, ma la suamorte e rovina: perché in mille modi e per molte cagionigli acquisti sono dannosi; perché gli sta molto bene, in-sieme acquistare imperio e non forze; e chi acquista im-perio e non forze insieme, conviene che rovini. Non puòacquistare forze chi impoverisce nelle guerre, ancora

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è un loro conciliatore, e con l'autorità sua, interponendo-si come mezzano, spegne subito ogni scandolo. E lemaggiori e le più lunghe guerre vi siano state, sonoquelle che sono seguite intra i Svizzeri ed il ducad'Austria: e benché da molti anni in qua lo imperadoreed il duca d'Austria sia una medesima cosa, non pertantonon ha mai possuto superare l'audacia de' Svizzeri; dovenon è stato mai modo d'accordo, se non per forza. Né ilresto della Magna gli ha porti molti aiuti; sì perché lecomunità non sanno offendere chi vuole vivere liberocome loro; sì perché quelli principi, parte non possono,per essere poveri, parte non vogliono, per avere invidiaalla potenza sua. Possono vivere, adunque, quelle comu-nità contente del piccolo loro dominio, per non avere ca-gione, rispetto all'autorità imperiale, di disiderarlo mag-giore: possono vivere unite dentro alle mura loro, peravere il nimico propinquo, e che piglierebbe le occasio-ni di occuparle, qualunque volta le discordassono. Ché,se quella provincia fusse condizionata altrimenti, con-verrebbe loro cercare di ampliare e rompere quella loroquiete. E perché altrove non sono tali condizioni, non sipuò prendere questo modo di vivere; e bisogna o am-pliare per via di leghe, o ampliare come i Romani. E chisi governa altrimenti, cerca non la sua vita, ma la suamorte e rovina: perché in mille modi e per molte cagionigli acquisti sono dannosi; perché gli sta molto bene, in-sieme acquistare imperio e non forze; e chi acquista im-perio e non forze insieme, conviene che rovini. Non puòacquistare forze chi impoverisce nelle guerre, ancora

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che sia vittorioso, che ei mette più che non trae degli ac-quisti: come hanno fatto i Viniziani ed i Fiorentini, iquali sono stati molto più deboli, quando l'uno aveva laLombardia e l'altro la Toscana, che non erano quandol'uno era contento del mare, e l'altro di sei miglia di con-fini.Perché tutto è nato da avere voluto acquistare e non ave-re saputo pigliare il modo: e tanto più meritano biasimo,quanto eglino hanno meno scusa, avendo veduto ilmodo hanno tenuto i Romani, ed avendo potuto seguita-re il loro esemplo, quando i Romani, sanza alcunoesemplo, per la prudenza loro, da loro medesimi lo sep-pono trovare. Fanno, oltra di questo, gli acquisti qualchevolta non mediocre danno ad ogni bene ordinata repu-blica, quando e' si acquista una città o una provincia pie-na di delizie, dove si può pigliare di quegli costumi perla conversazione che si ha con quegli: come intervennea Roma, prima, nello acquisto di Capova, e dipoi, a An-nibale. E se Capova fusse stata più longinqua dalla città,che lo errore de' soldati non avesse avuto il rimedio pro-pinquo, o che Roma fusse stata in alcuna parte corrotta,era, sanza dubbio, quello acquisto la rovina della roma-na Repubblica. E Tito Livio fa fede di questo con questeparole: «Iam tunc minime salubris militari disciplinaeCapua, instrumentum omnium voluptatum, delinitos mi-litum animos avertit a memoria patriae». E veramente,simili città o provincie si vendicano contro al vincitoresanza zuffa e sanza sangue; perché, riempiendogli de'

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che sia vittorioso, che ei mette più che non trae degli ac-quisti: come hanno fatto i Viniziani ed i Fiorentini, iquali sono stati molto più deboli, quando l'uno aveva laLombardia e l'altro la Toscana, che non erano quandol'uno era contento del mare, e l'altro di sei miglia di con-fini.Perché tutto è nato da avere voluto acquistare e non ave-re saputo pigliare il modo: e tanto più meritano biasimo,quanto eglino hanno meno scusa, avendo veduto ilmodo hanno tenuto i Romani, ed avendo potuto seguita-re il loro esemplo, quando i Romani, sanza alcunoesemplo, per la prudenza loro, da loro medesimi lo sep-pono trovare. Fanno, oltra di questo, gli acquisti qualchevolta non mediocre danno ad ogni bene ordinata repu-blica, quando e' si acquista una città o una provincia pie-na di delizie, dove si può pigliare di quegli costumi perla conversazione che si ha con quegli: come intervennea Roma, prima, nello acquisto di Capova, e dipoi, a An-nibale. E se Capova fusse stata più longinqua dalla città,che lo errore de' soldati non avesse avuto il rimedio pro-pinquo, o che Roma fusse stata in alcuna parte corrotta,era, sanza dubbio, quello acquisto la rovina della roma-na Repubblica. E Tito Livio fa fede di questo con questeparole: «Iam tunc minime salubris militari disciplinaeCapua, instrumentum omnium voluptatum, delinitos mi-litum animos avertit a memoria patriae». E veramente,simili città o provincie si vendicano contro al vincitoresanza zuffa e sanza sangue; perché, riempiendogli de'

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suoi tristi costumi, gli espongono a essere vinti da qua-lunque gli assalti. E Iuvenale non potrebbe meglio, nellesue satire, avere considerata questa parte, dicendo chene' petti romani per gli acquisti delle terre peregrine era-no entrati i costumi peregrini; ed in cambio di parsimo-nia e d'altre eccellentissime virtù, «gula et luxuria incu-buit, victumque ulciscitur orbem». Se, adunque, lo ac-quistare fu per essere pernizioso a' Romani ne' tempiche quegli con tanta prudenzia e tanta virtù procedevo-no, che sarà adunque a quegli che discosto dai modi loroprocedono? e che, oltre agli altri errori che fanno, di chese n'è di sopra discorso assai, si vagliano de' soldati omercenari o ausiliari? Donde ne risulta loro spesso quel-li danni di che nel seguente capitolo si farà menzione.

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suoi tristi costumi, gli espongono a essere vinti da qua-lunque gli assalti. E Iuvenale non potrebbe meglio, nellesue satire, avere considerata questa parte, dicendo chene' petti romani per gli acquisti delle terre peregrine era-no entrati i costumi peregrini; ed in cambio di parsimo-nia e d'altre eccellentissime virtù, «gula et luxuria incu-buit, victumque ulciscitur orbem». Se, adunque, lo ac-quistare fu per essere pernizioso a' Romani ne' tempiche quegli con tanta prudenzia e tanta virtù procedevo-no, che sarà adunque a quegli che discosto dai modi loroprocedono? e che, oltre agli altri errori che fanno, di chese n'è di sopra discorso assai, si vagliano de' soldati omercenari o ausiliari? Donde ne risulta loro spesso quel-li danni di che nel seguente capitolo si farà menzione.

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20 Quale pericolo porti quel principe o quellarepublica che si vale della milizia ausiliare o

mercenaria.

Se io non avessi lungamente trattato, in altra mia opera,quanto sia inutile la milizia mercenaria ed ausiliare, equanto utile la propria, io mi stenderei in questo discor-so assai più che non farò; ma avendone altrove parlato alungo, sarò, in questa parte, brieve. Né mi è paruto intutto da passarla, avendo trovato in Tito Livio, quanto a'soldati ausiliari, sì largo esemplo; perché i soldati ausi-liari sono quegli che un principe o una republica manda,capitanati e pagati da lei, in tuo aiuto. E venendo al testodi Livio, dico che, avendo i Romani, in due diversi luo-ghi, rotti due eserciti de' Sanniti con gli eserciti loro, iquali avevano mandati al soccorso de' Capovani; e perquesto liberi i Capovani da quella guerra che i Sannitifacevano loro; e volendo ritornare verso Roma, ed a ciòche i Capovani, spogliati di presidio, non diventassonodi nuovo preda de' Sanniti; lasciarono due legioni nelpaese di Capova, che gli difendesse. Le quali legionimarcendo nell'ozio, cominciarono a dilettarsi in quello;tanto che, dimenticata la patria e la reverenza del Sena-to, pensarono di prendere l'armi ed insignorirsi di quelpaese che loro con la loro virtù avevano difeso; parendoloro che gli abitatori non fussono degni di possederequegli beni che non sapevano difendere. La quale cosapresentita, fu da' Romani oppressa e corretta: come,

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20 Quale pericolo porti quel principe o quellarepublica che si vale della milizia ausiliare o

mercenaria.

Se io non avessi lungamente trattato, in altra mia opera,quanto sia inutile la milizia mercenaria ed ausiliare, equanto utile la propria, io mi stenderei in questo discor-so assai più che non farò; ma avendone altrove parlato alungo, sarò, in questa parte, brieve. Né mi è paruto intutto da passarla, avendo trovato in Tito Livio, quanto a'soldati ausiliari, sì largo esemplo; perché i soldati ausi-liari sono quegli che un principe o una republica manda,capitanati e pagati da lei, in tuo aiuto. E venendo al testodi Livio, dico che, avendo i Romani, in due diversi luo-ghi, rotti due eserciti de' Sanniti con gli eserciti loro, iquali avevano mandati al soccorso de' Capovani; e perquesto liberi i Capovani da quella guerra che i Sannitifacevano loro; e volendo ritornare verso Roma, ed a ciòche i Capovani, spogliati di presidio, non diventassonodi nuovo preda de' Sanniti; lasciarono due legioni nelpaese di Capova, che gli difendesse. Le quali legionimarcendo nell'ozio, cominciarono a dilettarsi in quello;tanto che, dimenticata la patria e la reverenza del Sena-to, pensarono di prendere l'armi ed insignorirsi di quelpaese che loro con la loro virtù avevano difeso; parendoloro che gli abitatori non fussono degni di possederequegli beni che non sapevano difendere. La quale cosapresentita, fu da' Romani oppressa e corretta: come,

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dove noi parleremo delle congiure, largamente si mo-sterrà. Dico pertanto, di nuovo, come di tutte l'altre qua-lità de' soldati, gli ausiliari sono i più dannosi: perché inessi quel principe o quella repubblica che gli adopera insuo aiuto, non ha autorità alcuna, ma vi ha solo l'autoritàcolui che gli manda. Perché gli soldati ausiliarii sonoquegli che ti sono mandati da uno principe, come hodetto, sotto i suoi capitani, sotto sue insegne e pagati dalui: come fu questo esercito che i Romani mandarono aCapova. Questi tali soldati, vinto ch'eglino hanno, il piùdelle volte predano così colui che gli ha condotti, comecolui contro a chi e' sono condotti; e lo fanno o per mali-gnità del principe che gli manda, o per ambizione loro.E benché la intenzione de' Romani non fusse di romperel'accordo e le convenzioni avevano fatto co' Capovani;non per tanto la facilità che pareva a quegli soldati diopprimergli fu tanta, che gli potette persuadere a pensa-re di tôrre a' Capovani la terra e lo stato. Potrebbesi diquesto dare assai esempli, ma voglio mi basti questo, equello de' Regini, a' quali fu tolto la vita e la terra dauna legione che i Romani vi avevano messa in guardia.Debbe, dunque, un principe o una republica pigliare pri-ma ogni altro partito, che ricorrere a condurre nello statosuo per sua difesa genti ausiliarie, quando al tutto e' siabbia a fidare sopra quelle; perché ogni patto, ogni con-venzione, ancora che dura, ch'egli arà col nimico glisarà più leggieri che tale partito. E se si leggeranno benele cose passate, e discorrerannosi le presenti, si troverrà,per uno che ne abbi avuto buono fine, infiniti esserne ri-

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dove noi parleremo delle congiure, largamente si mo-sterrà. Dico pertanto, di nuovo, come di tutte l'altre qua-lità de' soldati, gli ausiliari sono i più dannosi: perché inessi quel principe o quella repubblica che gli adopera insuo aiuto, non ha autorità alcuna, ma vi ha solo l'autoritàcolui che gli manda. Perché gli soldati ausiliarii sonoquegli che ti sono mandati da uno principe, come hodetto, sotto i suoi capitani, sotto sue insegne e pagati dalui: come fu questo esercito che i Romani mandarono aCapova. Questi tali soldati, vinto ch'eglino hanno, il piùdelle volte predano così colui che gli ha condotti, comecolui contro a chi e' sono condotti; e lo fanno o per mali-gnità del principe che gli manda, o per ambizione loro.E benché la intenzione de' Romani non fusse di romperel'accordo e le convenzioni avevano fatto co' Capovani;non per tanto la facilità che pareva a quegli soldati diopprimergli fu tanta, che gli potette persuadere a pensa-re di tôrre a' Capovani la terra e lo stato. Potrebbesi diquesto dare assai esempli, ma voglio mi basti questo, equello de' Regini, a' quali fu tolto la vita e la terra dauna legione che i Romani vi avevano messa in guardia.Debbe, dunque, un principe o una republica pigliare pri-ma ogni altro partito, che ricorrere a condurre nello statosuo per sua difesa genti ausiliarie, quando al tutto e' siabbia a fidare sopra quelle; perché ogni patto, ogni con-venzione, ancora che dura, ch'egli arà col nimico glisarà più leggieri che tale partito. E se si leggeranno benele cose passate, e discorrerannosi le presenti, si troverrà,per uno che ne abbi avuto buono fine, infiniti esserne ri-

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masi ingannati.Ed un principe o una republica ambiziosa non può averela maggiore occasione di occupare una città o una pro-vincia, che essere richiesto che mandi gli eserciti suoialla difesa di quella. Pertanto, colui che è tanto ambizio-so che, non solamente per difendersi ma per offenderealtri, chiama simili aiuti, cerca d'acquistare quello chenon può tenere, e che, da quello che gliene acquista, glipuò facilmente essere tolto. Ma l'ambizione dell'uomo ètanto grande, che, per cavarsi una presente voglia, nonpensa al male che è in breve tempo per risultargliene.Né lo muovono gli antichi esempli, così in questo comenell'altre cose discorse; perché, se e' fussono mossi daquegli, vedrebbero come, quanto più si mostra liberalitàcon i vicini, e di essere più alieno da occupargli, tantopiù si gettono in grembo: come di sotto, per lo esemplode' Capovani, si dirà.

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masi ingannati.Ed un principe o una republica ambiziosa non può averela maggiore occasione di occupare una città o una pro-vincia, che essere richiesto che mandi gli eserciti suoialla difesa di quella. Pertanto, colui che è tanto ambizio-so che, non solamente per difendersi ma per offenderealtri, chiama simili aiuti, cerca d'acquistare quello chenon può tenere, e che, da quello che gliene acquista, glipuò facilmente essere tolto. Ma l'ambizione dell'uomo ètanto grande, che, per cavarsi una presente voglia, nonpensa al male che è in breve tempo per risultargliene.Né lo muovono gli antichi esempli, così in questo comenell'altre cose discorse; perché, se e' fussono mossi daquegli, vedrebbero come, quanto più si mostra liberalitàcon i vicini, e di essere più alieno da occupargli, tantopiù si gettono in grembo: come di sotto, per lo esemplode' Capovani, si dirà.

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21 Il primo Pretore ch'e' Romani mandaronoin alcuno luogo, fu a Capova, dopo quattro-cento anni che cominciarono a fare guerra.

Quanto i Romani, nel modo del procedere loro circa loacquistare, fossero differenti da quegli che ne' presentitempi ampliano la giurisdizione loro, si è assai di sopradiscorso; e come e' lasciavano quelle terre, che non di-sfacevano, vivere con le leggi loro, eziandio quelle che,non come compagne, ma come suggette si arrendevanoloro; ed in esse non lasciavano alcuno segno d'imperioper il Popolo romano, ma le obligavano a alcune condi-zioni, le quali osservando le mantenevano nello stato edignità loro. E conoscesi questi modi essere stati osser-vati infino che gli uscirono d'Italia, e che cominciaronoa indurre i regni e gli stati in provincie.Di questo ne è chiarissimo esemplo, che il primo Pretoreche fussi mandato da loro in alcun luogo, fu a Capova: ilquale vi mandarono, non per loro ambizione, ma perchée' ne furono ricerchi dai Capovani: i quali, essendo intraloro discordia, giudicarono essere necessario avere den-tro nella città uno cittadino romano che gli riordinasse eriunisse. Da questo esemplo gli Anziati mossi, e con-stretti dalla medesima necessità, domandarono, ancoraloro, uno Prefetto; e Tito Livio dice, in su questo acci-dente, ed in su questo nuovo modo d'imperare «quodjam non solum arma, sed iura romana pollebant». Vede-si, pertanto, quanto questo modo facilitò lo augumento

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21 Il primo Pretore ch'e' Romani mandaronoin alcuno luogo, fu a Capova, dopo quattro-cento anni che cominciarono a fare guerra.

Quanto i Romani, nel modo del procedere loro circa loacquistare, fossero differenti da quegli che ne' presentitempi ampliano la giurisdizione loro, si è assai di sopradiscorso; e come e' lasciavano quelle terre, che non di-sfacevano, vivere con le leggi loro, eziandio quelle che,non come compagne, ma come suggette si arrendevanoloro; ed in esse non lasciavano alcuno segno d'imperioper il Popolo romano, ma le obligavano a alcune condi-zioni, le quali osservando le mantenevano nello stato edignità loro. E conoscesi questi modi essere stati osser-vati infino che gli uscirono d'Italia, e che cominciaronoa indurre i regni e gli stati in provincie.Di questo ne è chiarissimo esemplo, che il primo Pretoreche fussi mandato da loro in alcun luogo, fu a Capova: ilquale vi mandarono, non per loro ambizione, ma perchée' ne furono ricerchi dai Capovani: i quali, essendo intraloro discordia, giudicarono essere necessario avere den-tro nella città uno cittadino romano che gli riordinasse eriunisse. Da questo esemplo gli Anziati mossi, e con-stretti dalla medesima necessità, domandarono, ancoraloro, uno Prefetto; e Tito Livio dice, in su questo acci-dente, ed in su questo nuovo modo d'imperare «quodjam non solum arma, sed iura romana pollebant». Vede-si, pertanto, quanto questo modo facilitò lo augumento

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romano. Perché quelle città, massime che sono use a vi-vere libere, o consuete governarsi per sua provinciali,con altra quiete stanno contente sotto uno dominio chenon veggono, ancora ch'egli avesse in sé qualche gra-vezza, che sotto quello che veggendo ogni giorno, pareloro che ogni giorno sia rimproverata loro la servitù.Appresso, ne seguita uno altro bene per il principe: che,non avendo i suoi ministri in mano i giudicii ed i magi-strati che civilmente o criminalmente rendono ragionein quelle cittadi, non può nascere mai sentenza con cari-co o infamia del principe: e vengono per questa via amancare molte cagioni di calunnia e d'odio verso diquello. E che questo sia il vero, oltre agli antichi esem-pli che se ne potrebbero addurre, ce n'è uno esemplo fre-sco in Italia. Perché, come ciascuno sa, sendo Genovastata più volte occupata da' Franciosi, sempre quel re,eccetto che ne' presenti tempi, vi ha mandato uno gover-natore francioso che in suo nome la governi. Al presentesolo, non per elezione del re, ma perché così ha ordinatola necessità, ha lasciato governarsi quella città per sémedesima, e da uno governatore genovese. E sanza dub-bio, chi ricercasse quali di questi due modi rechi più si-curtà al re, dello imperio d'essa, e più contentezza a que-gli popolari, sanza dubbio approverebbe questo ultimomodo. Oltre a di questo, gli uomini tanto più ti si getto-no in grembo, quanto più tu pari alieno dallo occupargli;e tanto meno ti temano per conto della loro libertà,quanto più se' umano e dimestico con loro. Questa di-mestichezza e liberalità fece i Capovani correre a chie-

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romano. Perché quelle città, massime che sono use a vi-vere libere, o consuete governarsi per sua provinciali,con altra quiete stanno contente sotto uno dominio chenon veggono, ancora ch'egli avesse in sé qualche gra-vezza, che sotto quello che veggendo ogni giorno, pareloro che ogni giorno sia rimproverata loro la servitù.Appresso, ne seguita uno altro bene per il principe: che,non avendo i suoi ministri in mano i giudicii ed i magi-strati che civilmente o criminalmente rendono ragionein quelle cittadi, non può nascere mai sentenza con cari-co o infamia del principe: e vengono per questa via amancare molte cagioni di calunnia e d'odio verso diquello. E che questo sia il vero, oltre agli antichi esem-pli che se ne potrebbero addurre, ce n'è uno esemplo fre-sco in Italia. Perché, come ciascuno sa, sendo Genovastata più volte occupata da' Franciosi, sempre quel re,eccetto che ne' presenti tempi, vi ha mandato uno gover-natore francioso che in suo nome la governi. Al presentesolo, non per elezione del re, ma perché così ha ordinatola necessità, ha lasciato governarsi quella città per sémedesima, e da uno governatore genovese. E sanza dub-bio, chi ricercasse quali di questi due modi rechi più si-curtà al re, dello imperio d'essa, e più contentezza a que-gli popolari, sanza dubbio approverebbe questo ultimomodo. Oltre a di questo, gli uomini tanto più ti si getto-no in grembo, quanto più tu pari alieno dallo occupargli;e tanto meno ti temano per conto della loro libertà,quanto più se' umano e dimestico con loro. Questa di-mestichezza e liberalità fece i Capovani correre a chie-

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dere il Pretore a' Romani: ché se a' Romani si fusse di-mostro una minima voglia di mandarvelo, subito sarianoingelositi, e si sarebbero discostati da loro.Ma che bisogna ire per gli esempli a Capova ed a Roma,avendone in Firenze ed in Toscana? Ciascuno sa quantotempo è che la città di Pistoia venne volontariamentesotto lo imperio fiorentino. Ciascuno ancora sa quantainimicizia è stata intra i Fiorentini, e' Pisani, Lucchesi eSanesi: e questa diversità di animo non è nata, perché iPistolesi non prezzino la loro libertà come gli altri, enon si giudichino da quanto gli altri; ma per essersi iFiorentini portati con loro sempre come frategli, e congli altri come inimici. Questo ha fatto che i Pistolesisono corsi volontari sotto lo imperio loro: gli altri hannofatto e fanno ogni forza per non vi pervenire. E sanzadubbio, se i Fiorentini o per vie di leghe o di aiuti aves-sero dimesticati e non insalvatichiti i suoi vicini, a que-sta ora, sanza dubbio, e' sarebbero signori di Toscana.Non è per questo che io giudichi che non si abbia ado-perare l'armi e le forze; ma si debbono riservare in ulti-mo luogo dove e quando gli altri modi non bastino.

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dere il Pretore a' Romani: ché se a' Romani si fusse di-mostro una minima voglia di mandarvelo, subito sarianoingelositi, e si sarebbero discostati da loro.Ma che bisogna ire per gli esempli a Capova ed a Roma,avendone in Firenze ed in Toscana? Ciascuno sa quantotempo è che la città di Pistoia venne volontariamentesotto lo imperio fiorentino. Ciascuno ancora sa quantainimicizia è stata intra i Fiorentini, e' Pisani, Lucchesi eSanesi: e questa diversità di animo non è nata, perché iPistolesi non prezzino la loro libertà come gli altri, enon si giudichino da quanto gli altri; ma per essersi iFiorentini portati con loro sempre come frategli, e congli altri come inimici. Questo ha fatto che i Pistolesisono corsi volontari sotto lo imperio loro: gli altri hannofatto e fanno ogni forza per non vi pervenire. E sanzadubbio, se i Fiorentini o per vie di leghe o di aiuti aves-sero dimesticati e non insalvatichiti i suoi vicini, a que-sta ora, sanza dubbio, e' sarebbero signori di Toscana.Non è per questo che io giudichi che non si abbia ado-perare l'armi e le forze; ma si debbono riservare in ulti-mo luogo dove e quando gli altri modi non bastino.

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22 Quanto siano false molte volte le opinionidegli uomini nel giudicare le cose grandi.

Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini,lo hanno visto e veggono coloro che si truovono testi-moni delle loro diliberazioni: le quali, molte volte, senon sono diliberate da uomini eccellenti, sono contrariead ogni verità. E perché gli eccellenti uomini nelle repu-bliche corrotte, nei tempi quieti massime, e per invidia eper altre ambiziose cagioni, sono inimicati, si va dietro aquello che o, da uno comune inganno è giudicato bene,o, da uomini che più presto vogliono i favori che il benedello universale, è messo innanzi. Il quale inganno dipoisi scuopre nei tempi avversi, e per necessità si rifugge aquegli che nei tempi quieti erano come dimenticati:come nel suo luogo in questa parte appieno si discorre-rà. Nascono ancora certi accidenti, dove facilmente sonoingannati gli uomini che non hanno grande isperienzadelle cose, avendo in sé, quello accidente che nasce,molti verisimili, atti a fare credere quello che gli uominisopra tale caso si persuadono. Queste cose si sono detteper quello che Numicio pretore, poiché i Latini furonorotti dai Romani, persuase loro, e per quello che, pochianni sono si credeva per molti, quando Francesco I re diFrancia venne allo acquisto di Milano, che era difeso da'Svizzeri. Dico pertanto che, sendo morto Luigi XII, esuccedendo nel regno di Francia Francesco d'Angolem,e desiderando restituire al regno il ducato di Milano, sta-

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22 Quanto siano false molte volte le opinionidegli uomini nel giudicare le cose grandi.

Quanto siano false molte volte le opinioni degli uomini,lo hanno visto e veggono coloro che si truovono testi-moni delle loro diliberazioni: le quali, molte volte, senon sono diliberate da uomini eccellenti, sono contrariead ogni verità. E perché gli eccellenti uomini nelle repu-bliche corrotte, nei tempi quieti massime, e per invidia eper altre ambiziose cagioni, sono inimicati, si va dietro aquello che o, da uno comune inganno è giudicato bene,o, da uomini che più presto vogliono i favori che il benedello universale, è messo innanzi. Il quale inganno dipoisi scuopre nei tempi avversi, e per necessità si rifugge aquegli che nei tempi quieti erano come dimenticati:come nel suo luogo in questa parte appieno si discorre-rà. Nascono ancora certi accidenti, dove facilmente sonoingannati gli uomini che non hanno grande isperienzadelle cose, avendo in sé, quello accidente che nasce,molti verisimili, atti a fare credere quello che gli uominisopra tale caso si persuadono. Queste cose si sono detteper quello che Numicio pretore, poiché i Latini furonorotti dai Romani, persuase loro, e per quello che, pochianni sono si credeva per molti, quando Francesco I re diFrancia venne allo acquisto di Milano, che era difeso da'Svizzeri. Dico pertanto che, sendo morto Luigi XII, esuccedendo nel regno di Francia Francesco d'Angolem,e desiderando restituire al regno il ducato di Milano, sta-

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to, pochi anni davanti, occupato da' Svizzeri mediante iconforti di Papa Iulio II, desiderava avere aiuti in Italiache gli facilitassero la impresa; ed oltre a' Viniziani, cheLuigi si aveva riguadagnati, tentava i Fiorentini e papaLeone X; parendogli la sua impresa più facile, qualun-que volta si avesse riguadagnati costoro, per essere gentidel re di Spagna in Lombardia, ed altre forze dello im-peradore in Verona. Non cedé Papa Leone alle vogliedel re, ma fu persuaso da quegli che lo consigliavano(secondo si disse) si stesse neutrale, mostrandogli inquesto partito consistere la vittoria certa: perché per laChiesa non si faceva avere potenti in Italia né il re né iSvizzeri ma, volendola ridurre nell'antica libertà, era ne-cessario liberarla dalla servitù dell'uno e dell'altro. Eperché vincere l'uno e l'altro, o di per sé o tutti a dua in-sieme, non era possibile; conveniva che superassinol'uno l'altro, e che la Chiesa con gli suoi amici urtassequello, poi, che rimanesse vincitore. Ed era impossibiletrovare migliore occasione che la presente, sendo l'uno el'altro in su i campi, ed avendo il Papa le sue forze a or-dine da potere rappresentarsi in su i confini di Lombar-dia, e propinquo a l'uno e l'altro esercito, sotto colore divolere guardare le cose sue, e quivi stare tanto che ve-nissono alla giornata, la quale ragionevolmente, sendol'uno e l'altro esercito virtuoso, doverrebbe essere san-guinosa per tutte a due le parti, e lasciare in modo debi-litato il vincitore che fusse al Papa facile assaltarlo eromperlo: e così verrebbe con sua gloria a rimanere si-gnore di Lombardia, ed arbitro di tutta Italia. E quanto

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to, pochi anni davanti, occupato da' Svizzeri mediante iconforti di Papa Iulio II, desiderava avere aiuti in Italiache gli facilitassero la impresa; ed oltre a' Viniziani, cheLuigi si aveva riguadagnati, tentava i Fiorentini e papaLeone X; parendogli la sua impresa più facile, qualun-que volta si avesse riguadagnati costoro, per essere gentidel re di Spagna in Lombardia, ed altre forze dello im-peradore in Verona. Non cedé Papa Leone alle vogliedel re, ma fu persuaso da quegli che lo consigliavano(secondo si disse) si stesse neutrale, mostrandogli inquesto partito consistere la vittoria certa: perché per laChiesa non si faceva avere potenti in Italia né il re né iSvizzeri ma, volendola ridurre nell'antica libertà, era ne-cessario liberarla dalla servitù dell'uno e dell'altro. Eperché vincere l'uno e l'altro, o di per sé o tutti a dua in-sieme, non era possibile; conveniva che superassinol'uno l'altro, e che la Chiesa con gli suoi amici urtassequello, poi, che rimanesse vincitore. Ed era impossibiletrovare migliore occasione che la presente, sendo l'uno el'altro in su i campi, ed avendo il Papa le sue forze a or-dine da potere rappresentarsi in su i confini di Lombar-dia, e propinquo a l'uno e l'altro esercito, sotto colore divolere guardare le cose sue, e quivi stare tanto che ve-nissono alla giornata, la quale ragionevolmente, sendol'uno e l'altro esercito virtuoso, doverrebbe essere san-guinosa per tutte a due le parti, e lasciare in modo debi-litato il vincitore che fusse al Papa facile assaltarlo eromperlo: e così verrebbe con sua gloria a rimanere si-gnore di Lombardia, ed arbitro di tutta Italia. E quanto

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questa opinione fusse falsa, si vide per lo evento dellacosa: perché, sendo dopo una lunga zuffa suti superati iSvizzeri, non che le genti del Papa e di Spagna presu-messero assaltare i vincitori, ma si prepararono allafuga; la quale ancora non sarebbe loro giovata, se nonfusse stato o la umanità o la freddezza del re, che noncercò la seconda vittoria, ma li bastò fare accordo con laChiesa.Ha questa opinione certe ragioni che discosto paionovere, ma sono al tutto aliene dalla verità. Perché, radevolte accade che il vincitore perda assai suoi soldati:perché de' vincitori ne muore nella zuffa, non nella fuga;e nello ardore del combattere, quando gli uomini hannovolto il viso l'uno all'altro, ne cade pochi, massime per-ché la dura poco tempo, il più delle volte; e quando puredurasse assai tempo e de' vincitori ne morisse assai, ètanta la riputazione che si tira dietro la vittoria, ed il ter-rore che la porta seco, che di lungi avanza il danno cheper la morte de' suoi soldati avesse sopportato. Talché,se uno esercito il quale, in su la opinione che fusse debi-litato, andasse a trovarlo, si troverrebbe ingannato; segià, e' non fusse lo esercito tale che d'ogni tempo, e in-nanzi alla vittoria e poi, potesse combatterlo. In questocaso ei potrebbe, secondo la sua fortuna e virtù, vinceree perdere; ma quello che si fusse azzuffato prima, edavesse vinto, arebbe più tosto vantaggio dall'altro. Il chesi conosce certo per la isperienza de' Latini, e per la fal-lacia che Numizio pretore prese, e per il danno che ne

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questa opinione fusse falsa, si vide per lo evento dellacosa: perché, sendo dopo una lunga zuffa suti superati iSvizzeri, non che le genti del Papa e di Spagna presu-messero assaltare i vincitori, ma si prepararono allafuga; la quale ancora non sarebbe loro giovata, se nonfusse stato o la umanità o la freddezza del re, che noncercò la seconda vittoria, ma li bastò fare accordo con laChiesa.Ha questa opinione certe ragioni che discosto paionovere, ma sono al tutto aliene dalla verità. Perché, radevolte accade che il vincitore perda assai suoi soldati:perché de' vincitori ne muore nella zuffa, non nella fuga;e nello ardore del combattere, quando gli uomini hannovolto il viso l'uno all'altro, ne cade pochi, massime per-ché la dura poco tempo, il più delle volte; e quando puredurasse assai tempo e de' vincitori ne morisse assai, ètanta la riputazione che si tira dietro la vittoria, ed il ter-rore che la porta seco, che di lungi avanza il danno cheper la morte de' suoi soldati avesse sopportato. Talché,se uno esercito il quale, in su la opinione che fusse debi-litato, andasse a trovarlo, si troverrebbe ingannato; segià, e' non fusse lo esercito tale che d'ogni tempo, e in-nanzi alla vittoria e poi, potesse combatterlo. In questocaso ei potrebbe, secondo la sua fortuna e virtù, vinceree perdere; ma quello che si fusse azzuffato prima, edavesse vinto, arebbe più tosto vantaggio dall'altro. Il chesi conosce certo per la isperienza de' Latini, e per la fal-lacia che Numizio pretore prese, e per il danno che ne

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riportarono quegli popoli che gli crederono: il quale,vinto che i Romani ebbero i Latini, gridava per tutto ilpaese di Lazio, che allora era tempo assaltare i Romanidebilitati per la zuffa avevano fatta con loro; e che soloappresso a' Romani era rimaso il nome della vittoria, matutti gli altri danni avevano sopportati come se fussinostati vinti; e che ogni poco di forza che di nuovo gli as-saltasse, era per spacciargli. Donde quegli popoli, chegli crederono, fecero nuovo esercito, e subito furono rot-ti, e patirono quel danno che patiranno sempre coloroche terranno simile opinione.

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riportarono quegli popoli che gli crederono: il quale,vinto che i Romani ebbero i Latini, gridava per tutto ilpaese di Lazio, che allora era tempo assaltare i Romanidebilitati per la zuffa avevano fatta con loro; e che soloappresso a' Romani era rimaso il nome della vittoria, matutti gli altri danni avevano sopportati come se fussinostati vinti; e che ogni poco di forza che di nuovo gli as-saltasse, era per spacciargli. Donde quegli popoli, chegli crederono, fecero nuovo esercito, e subito furono rot-ti, e patirono quel danno che patiranno sempre coloroche terranno simile opinione.

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23 Quanto i Romani nel giudicare i sudditiper alcuno accidente che necessitasse tale

giudizio fuggivano la via del mezzo.

«Iam Latio is status erat rerum, ut neque pacem nequebellum pati possent». Di tutti gli stati infelici, è infeli-cissimo quello d'uno principe o d'una republica che è ri-dotto in termine che non può ricevere la pace o sostene-re la guerra: a che si riducono quegli che sono dalle con-dizioni della pace troppo offesi; e dall'altro canto, volen-do fare guerra, conviene loro o gittarsi in preda di chi gliaiuti o rimanere preda del nimico. Ed a tutti questi ter-mini si viene, pe' cattivi consigli e cattivi partiti, da nonavere misurato bene le forze sue, come di sopra si disse.Perché quella republica o quel principe che bene le mi-surasse, con difficultà si condurrebbe nel termine si con-dussono i Latini: i quali, quando non dovevano accorda-re con i Romani, accordarono; e quando ei non doveva-no rompere loro guerra, la ruppono: e così seppono farein modo, che la inimicizia ed amicizia de' Romani fuloro equalmente dannosa. Erano, dunque, vinti i Latinied al tutto afflitti, prima da Manlio Torquato, e dipoi daCammillo: il quale, avendogli costretti a darsi e rimet-tersi nelle braccia de' Romani, ed avendo messo la guar-dia per tutte le terre di Lazio, e preso da tutte gli stati-chi; tornato in Roma, referì al Senato come tutto Lazioera nelle mani del Popolo romano. E perché questo giu-dizio è notabile, e merita di essere osservato, per poterlo

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23 Quanto i Romani nel giudicare i sudditiper alcuno accidente che necessitasse tale

giudizio fuggivano la via del mezzo.

«Iam Latio is status erat rerum, ut neque pacem nequebellum pati possent». Di tutti gli stati infelici, è infeli-cissimo quello d'uno principe o d'una republica che è ri-dotto in termine che non può ricevere la pace o sostene-re la guerra: a che si riducono quegli che sono dalle con-dizioni della pace troppo offesi; e dall'altro canto, volen-do fare guerra, conviene loro o gittarsi in preda di chi gliaiuti o rimanere preda del nimico. Ed a tutti questi ter-mini si viene, pe' cattivi consigli e cattivi partiti, da nonavere misurato bene le forze sue, come di sopra si disse.Perché quella republica o quel principe che bene le mi-surasse, con difficultà si condurrebbe nel termine si con-dussono i Latini: i quali, quando non dovevano accorda-re con i Romani, accordarono; e quando ei non doveva-no rompere loro guerra, la ruppono: e così seppono farein modo, che la inimicizia ed amicizia de' Romani fuloro equalmente dannosa. Erano, dunque, vinti i Latinied al tutto afflitti, prima da Manlio Torquato, e dipoi daCammillo: il quale, avendogli costretti a darsi e rimet-tersi nelle braccia de' Romani, ed avendo messo la guar-dia per tutte le terre di Lazio, e preso da tutte gli stati-chi; tornato in Roma, referì al Senato come tutto Lazioera nelle mani del Popolo romano. E perché questo giu-dizio è notabile, e merita di essere osservato, per poterlo

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imitare quando simili occasioni sono date a' principi, iovoglio addurre le parole di Livio, poste in bocca diCammillo; le quali fanno fede e del modo che i Romanitennono in ampliare, e come ne' giudizi di stato semprefuggirono la via del mezzo, e si volsono agli estremi.Perché uno governo non è altro che tenere in modo isudditi che non ti possano o debbano offendere: questosi fa o con assicurarsene in tutto, togliendo loro ogni viada nuocerti, o con benificarli in modo, che non sia ra-gionevole ch'eglino abbiano a desiderare di mutare for-tuna. Il che tutto si comprende, e prima per la propostadi Cammillo, e poi per il giudizio dato dal Senato sopraquella. Le parole sue furono queste: «Dii immortales itavos potentes huius consilii fecerunt, ut, sit Latium annon sit, in vestra manu posuerint. Itaque pacem vobis,quod ad Latinos attinet, parare in perpetuum, vel sae-viendo vel ignoscendo potestis. Vultis crudelius consu-lere in dedititios victosque? licet delere omne Latium.Vultis, exemplo maiorum, augere rem romanam, victosin civitatem accipiendo? materia crescendi per summamgloriam suppeditat. Certe id firmissimum imperium est,quo obedientes gaudent. Illorum igitur animos, dum ex-pectatione stupent, seu poena seu beneficio praeoccupa-ri oportet». A questa proposta successe la diliberazionedel Senato: la quale fu secondo le parole del Consolo,che, recatosi innanzi, terra per terra, tutti quegli ch'eranodi momento, o e' gli benificarono o e' gli spensono, fac-cendo ai beneficati esenzioni, privilegi, donando loro lacittà, e da ogni parte assicurandogli; di quegli altri sfa-

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imitare quando simili occasioni sono date a' principi, iovoglio addurre le parole di Livio, poste in bocca diCammillo; le quali fanno fede e del modo che i Romanitennono in ampliare, e come ne' giudizi di stato semprefuggirono la via del mezzo, e si volsono agli estremi.Perché uno governo non è altro che tenere in modo isudditi che non ti possano o debbano offendere: questosi fa o con assicurarsene in tutto, togliendo loro ogni viada nuocerti, o con benificarli in modo, che non sia ra-gionevole ch'eglino abbiano a desiderare di mutare for-tuna. Il che tutto si comprende, e prima per la propostadi Cammillo, e poi per il giudizio dato dal Senato sopraquella. Le parole sue furono queste: «Dii immortales itavos potentes huius consilii fecerunt, ut, sit Latium annon sit, in vestra manu posuerint. Itaque pacem vobis,quod ad Latinos attinet, parare in perpetuum, vel sae-viendo vel ignoscendo potestis. Vultis crudelius consu-lere in dedititios victosque? licet delere omne Latium.Vultis, exemplo maiorum, augere rem romanam, victosin civitatem accipiendo? materia crescendi per summamgloriam suppeditat. Certe id firmissimum imperium est,quo obedientes gaudent. Illorum igitur animos, dum ex-pectatione stupent, seu poena seu beneficio praeoccupa-ri oportet». A questa proposta successe la diliberazionedel Senato: la quale fu secondo le parole del Consolo,che, recatosi innanzi, terra per terra, tutti quegli ch'eranodi momento, o e' gli benificarono o e' gli spensono, fac-cendo ai beneficati esenzioni, privilegi, donando loro lacittà, e da ogni parte assicurandogli; di quegli altri sfa-

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sciarono le terre, mandoronvi colonie, ridussongli inRoma, dissiparongli talmente che con l'armi e con ilconsiglio non potevono più nuocere. Né usarono mai lavia neutrale in quelli, come ho detto, di momento. Que-sto giudizio debbono i principi imitare. A questo dove-vano accostarsi i Fiorentini, quando nel 1502 si ribellòArezzo, e tutta la Val di Chiana: il che se avessono fatto,arebbero assicurato lo imperio loro, e fatto grandissimala città di Firenze, e datogli quegli campi che per viveregli mancono. Ma loro usorono quella via del mezzo, laquale è dannosissima nel giudicare gli uomini; e partedegli Aretini confinarono, parte ne condennarono; a tuttitolsono gli onori e gli loro antichi gradi nella città; e la-sciarono la città intera. E se alcuno cittadino nelle dili-berazioni consigliava che Arezzo si disfacesse; a quegliche pareva essere più savi, dicevano come e' sarebbepoco onore della republica disfarla, perché e' parrebbeche Firenze mancasse di forze da tenerli. Le quali ragio-ni sono di quelle che paiono e non sono vere; perchécon questa medesima ragione non si arebbe a ammazza-re uno parricida, uno scelerato e scandoloso, sendo ver-gogna di quel principe mostrare di non avere forze dapotere frenare uno uomo solo. E non veggono, questitali che hanno simili opinioni, come gli uomini particu-larmente ed una città tutta insieme pecca tal volta controa uno stato, che, per esemplo agli altri, per sicurtà di sé,non ha altro rimedio uno principe che spegnerla. El'onore consiste nel potere e sapere gastigarla, non nelpotere con mille pericoli tenerla: perché quel principe

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sciarono le terre, mandoronvi colonie, ridussongli inRoma, dissiparongli talmente che con l'armi e con ilconsiglio non potevono più nuocere. Né usarono mai lavia neutrale in quelli, come ho detto, di momento. Que-sto giudizio debbono i principi imitare. A questo dove-vano accostarsi i Fiorentini, quando nel 1502 si ribellòArezzo, e tutta la Val di Chiana: il che se avessono fatto,arebbero assicurato lo imperio loro, e fatto grandissimala città di Firenze, e datogli quegli campi che per viveregli mancono. Ma loro usorono quella via del mezzo, laquale è dannosissima nel giudicare gli uomini; e partedegli Aretini confinarono, parte ne condennarono; a tuttitolsono gli onori e gli loro antichi gradi nella città; e la-sciarono la città intera. E se alcuno cittadino nelle dili-berazioni consigliava che Arezzo si disfacesse; a quegliche pareva essere più savi, dicevano come e' sarebbepoco onore della republica disfarla, perché e' parrebbeche Firenze mancasse di forze da tenerli. Le quali ragio-ni sono di quelle che paiono e non sono vere; perchécon questa medesima ragione non si arebbe a ammazza-re uno parricida, uno scelerato e scandoloso, sendo ver-gogna di quel principe mostrare di non avere forze dapotere frenare uno uomo solo. E non veggono, questitali che hanno simili opinioni, come gli uomini particu-larmente ed una città tutta insieme pecca tal volta controa uno stato, che, per esemplo agli altri, per sicurtà di sé,non ha altro rimedio uno principe che spegnerla. El'onore consiste nel potere e sapere gastigarla, non nelpotere con mille pericoli tenerla: perché quel principe

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che non gastiga chi erra, in modo che non possa più er-rare, è tenuto o ignorante o vile. Questo giudizio che iRomani dettero, quanto sia necessario si conferma anco-ra per la sentenza che dettero de' Privernati. Dove sidebbe, per il testo di Livio, notare due cose: l'una, quel-lo che di sopra si dice, ch'e' sudditi si debbono o benifi-care o spegnere: l'altra, quanto la generosità dell'animo,quanto il parlare il vero giovi, quando egli è detto nelconspetto di uomini prudenti. Era ragunato il Senato ro-mano per giudicare de' Privernati, i quali, sendosi ribel-lati, erano di poi per forza ritornati sotto la ubbidienzaromana. Erano mandati dal popolo di Priverno molti cit-tadini per impetrare perdono dal Senato; ed essendo ve-nuti al conspetto di quello, fu detto a uno di loro da unode' Senatori, «quam poenam meritos Privernates cense-ret». Al quale il Privernate rispose: «Eam, quam meren-tur qui se libertate dignos censent». Al quale il Consoloreplicò: «Quid si poenam remittimus vobis, qualem nospacem vobiscum habituros speremus?». A che quello ri-spose: «Si bonam dederitis, et fidelem et perpetuam, simalam, haud diuturnam». Donde la più savia parte delSenato, ancora che molti se ne alterassono, disse: «seaudivisse vocem et liberi et viri; nec credi posse ullumpopulum, aut hominem, denique in ea conditione cuiuseum poeniteat diutius quam necesse sit, mansurum. Ibipacem esse fidam, ubi voluntarii pacati sint, neque eoloco ubi servitutem esse velint, fidem sperandam esse».Ed in su queste parole, deliberarono che i Privernati fos-sero cittadini romani, e de' privilegi della civilità gli

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che non gastiga chi erra, in modo che non possa più er-rare, è tenuto o ignorante o vile. Questo giudizio che iRomani dettero, quanto sia necessario si conferma anco-ra per la sentenza che dettero de' Privernati. Dove sidebbe, per il testo di Livio, notare due cose: l'una, quel-lo che di sopra si dice, ch'e' sudditi si debbono o benifi-care o spegnere: l'altra, quanto la generosità dell'animo,quanto il parlare il vero giovi, quando egli è detto nelconspetto di uomini prudenti. Era ragunato il Senato ro-mano per giudicare de' Privernati, i quali, sendosi ribel-lati, erano di poi per forza ritornati sotto la ubbidienzaromana. Erano mandati dal popolo di Priverno molti cit-tadini per impetrare perdono dal Senato; ed essendo ve-nuti al conspetto di quello, fu detto a uno di loro da unode' Senatori, «quam poenam meritos Privernates cense-ret». Al quale il Privernate rispose: «Eam, quam meren-tur qui se libertate dignos censent». Al quale il Consoloreplicò: «Quid si poenam remittimus vobis, qualem nospacem vobiscum habituros speremus?». A che quello ri-spose: «Si bonam dederitis, et fidelem et perpetuam, simalam, haud diuturnam». Donde la più savia parte delSenato, ancora che molti se ne alterassono, disse: «seaudivisse vocem et liberi et viri; nec credi posse ullumpopulum, aut hominem, denique in ea conditione cuiuseum poeniteat diutius quam necesse sit, mansurum. Ibipacem esse fidam, ubi voluntarii pacati sint, neque eoloco ubi servitutem esse velint, fidem sperandam esse».Ed in su queste parole, deliberarono che i Privernati fos-sero cittadini romani, e de' privilegi della civilità gli

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onorarono, dicendo: «eos demum qui nihil praeterquamde libertate cogitant, dignos esse, qui Romani fiant».Tanto piacque agli animi generosi questa vera e genero-sa risposta; perché ogni altra risposta sarebbe stata bu-giarda e vile.E coloro che credono degli uomini altrimenti, massimedi quegli che sono usi o a essere o a parere loro essereliberi, se ne ingannono; e sotto questo inganno piglianopartiti non buoni per sé, e da non satisfare a loro. Di chenascano le spesse ribellioni, e le rovine degli stati. Maper tornare al discorso nostro, conchiudo, e per questo eper quel giudizio dato de' Latini: quando si ha a giudica-re cittadi potenti e che sono use a vivere libere, convie-ne o spegnerle o carezzarle; altrimenti, ogni giudizio èvano. E debbesi fuggire al tutto la via del mezzo, la qua-le è dannosa, come la fu ai Sanniti quando avevano rin-chiusi i Romani alle Forche Gaudine; quando non volle-ro seguire il parere di quel vecchio, che consigliò che iRomani si lasciassero andare onorati, o che si ammaz-zassero tutti; ma pigliando una via di mezzo, disarman-dogli e mettendogli sotto il giogo, gli lasciarono andarepieni d'ignominia e di sdegno. Talché poco dipoi conob-bono con loro danno la sentenza di quel vecchio esserestata utile, e la loro diliberazione dannosa: come nel suoluogo più a pieno si discorrerà.

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onorarono, dicendo: «eos demum qui nihil praeterquamde libertate cogitant, dignos esse, qui Romani fiant».Tanto piacque agli animi generosi questa vera e genero-sa risposta; perché ogni altra risposta sarebbe stata bu-giarda e vile.E coloro che credono degli uomini altrimenti, massimedi quegli che sono usi o a essere o a parere loro essereliberi, se ne ingannono; e sotto questo inganno piglianopartiti non buoni per sé, e da non satisfare a loro. Di chenascano le spesse ribellioni, e le rovine degli stati. Maper tornare al discorso nostro, conchiudo, e per questo eper quel giudizio dato de' Latini: quando si ha a giudica-re cittadi potenti e che sono use a vivere libere, convie-ne o spegnerle o carezzarle; altrimenti, ogni giudizio èvano. E debbesi fuggire al tutto la via del mezzo, la qua-le è dannosa, come la fu ai Sanniti quando avevano rin-chiusi i Romani alle Forche Gaudine; quando non volle-ro seguire il parere di quel vecchio, che consigliò che iRomani si lasciassero andare onorati, o che si ammaz-zassero tutti; ma pigliando una via di mezzo, disarman-dogli e mettendogli sotto il giogo, gli lasciarono andarepieni d'ignominia e di sdegno. Talché poco dipoi conob-bono con loro danno la sentenza di quel vecchio esserestata utile, e la loro diliberazione dannosa: come nel suoluogo più a pieno si discorrerà.

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24 Le fortezze generalmente sono molto piùdannose che utili.

E' parrà forse a questi savi de' nostri tempi cosa nonbene considerata, che i Romani, nel volere assicurarside' popoli di Lazio e della città di Priverno, non pensas-sono di edificarvi qualche fortezza, la quale fosse unofreno a tenergli in fede; sendo, massime, un detto in Fi-renze, allegato da' nostri savi, che Pisa e l'altre similicittà si debbono tenere con le fortezze. E veramente, se iRomani fussono stati fatti come loro, egli arebbero pen-sato di edificarle; ma perché gli erano d'altra virtù,d'altro giudizio, d'altra potenza, e' non le edificarono. Ementre che Roma visse libera, e che la seguì gli ordinisuoi e le sue virtuose constituzioni, mai n'edificò per te-nere o città o provincie, ma salvò bene alcuna delle edi-ficate. Donde veduto il modo del procedere de' Romaniin questa parte, e quello de' principi de' nostri tempi, mipare da mettere in considerazione, s'egli è bene edificarefortezze, o se le fanno danno o utile a quello che l'edifi-ca. Debbesi, adunque, considerare come le fortezze sifanno o per difendersi dagl'inimici o per difendersi da'suggetti. Nel primo caso le non sono necessarie; nel se-condo, dannose. E cominciando a rendere ragione per-ché, nel secondo caso, le siano dannose, dico che quelprincipe o quella republica che ha paura de' sudditi suoie della rebellione loro, prima conviene che tale pauranasca da odio che abbiano i suoi sudditi seco; l'odio, da'

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24 Le fortezze generalmente sono molto piùdannose che utili.

E' parrà forse a questi savi de' nostri tempi cosa nonbene considerata, che i Romani, nel volere assicurarside' popoli di Lazio e della città di Priverno, non pensas-sono di edificarvi qualche fortezza, la quale fosse unofreno a tenergli in fede; sendo, massime, un detto in Fi-renze, allegato da' nostri savi, che Pisa e l'altre similicittà si debbono tenere con le fortezze. E veramente, se iRomani fussono stati fatti come loro, egli arebbero pen-sato di edificarle; ma perché gli erano d'altra virtù,d'altro giudizio, d'altra potenza, e' non le edificarono. Ementre che Roma visse libera, e che la seguì gli ordinisuoi e le sue virtuose constituzioni, mai n'edificò per te-nere o città o provincie, ma salvò bene alcuna delle edi-ficate. Donde veduto il modo del procedere de' Romaniin questa parte, e quello de' principi de' nostri tempi, mipare da mettere in considerazione, s'egli è bene edificarefortezze, o se le fanno danno o utile a quello che l'edifi-ca. Debbesi, adunque, considerare come le fortezze sifanno o per difendersi dagl'inimici o per difendersi da'suggetti. Nel primo caso le non sono necessarie; nel se-condo, dannose. E cominciando a rendere ragione per-ché, nel secondo caso, le siano dannose, dico che quelprincipe o quella republica che ha paura de' sudditi suoie della rebellione loro, prima conviene che tale pauranasca da odio che abbiano i suoi sudditi seco; l'odio, da'

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mali suoi portamenti; i mali portamenti nascono o dapotere credere tenergli con forza, o da poca prudenza dichi gli governa: ed una delle cose che fa credere potergliforzare, è l'avere loro addosso le fortezze; perché e' malitrattamenti, che sono cagione dell'odio, nascono in buo-na parte per avere quel principe o quella republica lefortezze: le quali, quando sia vero questo, di gran lungasono più nocive che utili. Perché in prima, come è detto,le ti fanno essere più audace e più violento ne' sudditi;dipoi, non vi è quella sicurtà, dentro, che tu ti persuadi:perché tutte le forze, tutte le violenze che si usono pertenere uno popolo, sono nulla, eccetto che due; o che tuabbia sempre da mettere in campagna uno buono eserci-to, come avevano i Romani, o che gli dissipi, spenga, di-sordini e disgiunga, in modo che non possano convenirea offenderti. Perché, se tu gl'impoverisci, «spoliatisarma supersunt»; se tu gli disarmi, «furor arma mini-strat»; se tu ammazzi i capi, e gli altri segui d' ingiuria-re, rinascono i capi, come quelli della Idra, se tu fai lefortezze, le sono utili ne' tempi di pace, perché ti dànnopiù animo a fare loro male ma ne' tempi di guerra sonoinutilissime, perché le sono assaltate dal nimico e da'sudditi, né è possibile che le faccino resistenza edall'uno ed all'altro. E se mai furono disutili, sono, ne'tempi nostri, rispetto alle artiglierie; per il furore dellequali i luoghi piccoli e dove altri non si possa ritirarecon gli ripari, è impossibile difendere, come di sopra di-scorremo.

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mali suoi portamenti; i mali portamenti nascono o dapotere credere tenergli con forza, o da poca prudenza dichi gli governa: ed una delle cose che fa credere potergliforzare, è l'avere loro addosso le fortezze; perché e' malitrattamenti, che sono cagione dell'odio, nascono in buo-na parte per avere quel principe o quella republica lefortezze: le quali, quando sia vero questo, di gran lungasono più nocive che utili. Perché in prima, come è detto,le ti fanno essere più audace e più violento ne' sudditi;dipoi, non vi è quella sicurtà, dentro, che tu ti persuadi:perché tutte le forze, tutte le violenze che si usono pertenere uno popolo, sono nulla, eccetto che due; o che tuabbia sempre da mettere in campagna uno buono eserci-to, come avevano i Romani, o che gli dissipi, spenga, di-sordini e disgiunga, in modo che non possano convenirea offenderti. Perché, se tu gl'impoverisci, «spoliatisarma supersunt»; se tu gli disarmi, «furor arma mini-strat»; se tu ammazzi i capi, e gli altri segui d' ingiuria-re, rinascono i capi, come quelli della Idra, se tu fai lefortezze, le sono utili ne' tempi di pace, perché ti dànnopiù animo a fare loro male ma ne' tempi di guerra sonoinutilissime, perché le sono assaltate dal nimico e da'sudditi, né è possibile che le faccino resistenza edall'uno ed all'altro. E se mai furono disutili, sono, ne'tempi nostri, rispetto alle artiglierie; per il furore dellequali i luoghi piccoli e dove altri non si possa ritirarecon gli ripari, è impossibile difendere, come di sopra di-scorremo.

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Io voglio questa materia disputarla più tritamente. O tu,principe, vuoi con queste fortezze tenere in freno il po-polo della tua città; o tu, principe, o republica, vuoi fre-nare una città occupata per guerra. Io mi voglio voltareal principe, e gli dico: che tale fortezza, per tenere infreno i suoi cittadini, non può essere più inutile per lecagioni dette di sopra; perché la ti fa più pronto e menrispettivo a oppressargli; e quella oppressione gli fa sìdisposti alla tua rovina, e gli accende in modo, che quel-la fortezza, che ne è cagione, non ti può poi difendere.Tanto che un principe savio e buono, per mantenersibuono, per non dare cagione né ardire a' figliuoli di di-ventare tristi, mai non farà fortezza, acciocché quelli,non in su le fortezze, ma in su la benivolenza degli uo-mini si fondino. E se il conte Francesco Sforza, diventa-to duca di Milano, fu riputato savio, e nondimeno fecein Milano una fortezza, dico che in questo ei non fu sa-vio, e lo effetto ha dimostro come tale fortezza fu a dan-no, e non a sicurtà de' suoi eredi. Perché giudicando me-diante quella vivere sicuri, e potere offendere i cittadinie sudditi loro, non perdonarono a alcuna generazione diviolenza; talché, diventati sopra modo odiosi, perderonoquello stato come prima il nimico gli assaltò: né quellafortezza gli difese, né fece loro nella guerra utile alcuno,e nella pace aveva fatto loro danno assai. Perché se nonavessono avuto quella, e se per poca prudenza avessonoagramente maneggiati i loro cittadini, arebbono scopertoil pericolo più tosto, e sarebbonsene ritirati; e arebbonopoi potuto più animosamente resistere allo impeto fran-

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Io voglio questa materia disputarla più tritamente. O tu,principe, vuoi con queste fortezze tenere in freno il po-polo della tua città; o tu, principe, o republica, vuoi fre-nare una città occupata per guerra. Io mi voglio voltareal principe, e gli dico: che tale fortezza, per tenere infreno i suoi cittadini, non può essere più inutile per lecagioni dette di sopra; perché la ti fa più pronto e menrispettivo a oppressargli; e quella oppressione gli fa sìdisposti alla tua rovina, e gli accende in modo, che quel-la fortezza, che ne è cagione, non ti può poi difendere.Tanto che un principe savio e buono, per mantenersibuono, per non dare cagione né ardire a' figliuoli di di-ventare tristi, mai non farà fortezza, acciocché quelli,non in su le fortezze, ma in su la benivolenza degli uo-mini si fondino. E se il conte Francesco Sforza, diventa-to duca di Milano, fu riputato savio, e nondimeno fecein Milano una fortezza, dico che in questo ei non fu sa-vio, e lo effetto ha dimostro come tale fortezza fu a dan-no, e non a sicurtà de' suoi eredi. Perché giudicando me-diante quella vivere sicuri, e potere offendere i cittadinie sudditi loro, non perdonarono a alcuna generazione diviolenza; talché, diventati sopra modo odiosi, perderonoquello stato come prima il nimico gli assaltò: né quellafortezza gli difese, né fece loro nella guerra utile alcuno,e nella pace aveva fatto loro danno assai. Perché se nonavessono avuto quella, e se per poca prudenza avessonoagramente maneggiati i loro cittadini, arebbono scopertoil pericolo più tosto, e sarebbonsene ritirati; e arebbonopoi potuto più animosamente resistere allo impeto fran-

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cioso, co' sudditi amici sanza fortezza, che, con quelliinimici, con la fortezza: le quali non ti giovano in alcunaparte; perché, o le si perdono per fraude di chi le guarda,o per violenza di chi le assalta, o per fame. E se tu vuoiche le ti giovino, e ti aiutino ricuperare uno stato perdu-to, dove ti sia rimasa solo la fortezza; ti conviene avereuno esercito, con il quale tu possa assaltare colui che tiha cacciato: e quando tu abbi questo esercito, tu riarestilo stato in ogni modo, eziandio la fortezza non vi fosse;e tanto più facilmente, quanto gli uomini ti fossono piùamici che non ti erano avendogli male trattati per l'orgo-glio della fortezza. E per isperienza si è visto, come que-sta fortezza di Milano, né agli Sforzeschi né a' Francio-si, ne' tempi avversi dell'uno e dell'altro, non ha fatto aalcuno di loro utile alcuno, anzi a tutti ha arrecato dannoe rovine assai, non avendo pensato, mediante quella, apiù onesto modo di tenere quello stato. Guidubaldo ducadi Urbino, figliuolo di Federigo, che fu ne' suoi tempitanto stimato capitano, sendo cacciato da Cesare Borgia,figliuolo di papa Alessandro VI, dello stato; come dipoi,per uno accidente nato, vi ritornò, fece rovinare tutte lefortezze che erano in quella provincia, giudicandoledannose. Perché, sendo quello amato dagli uomini, perrispetto di loro non le voleva; e, per conto de' nimici,vedeva non le potere difendere, avendo quelle bisognod'uno esercito in campagna, che le difendesse: talché sivolse a rovinarle. Papa Iulio, cacciati i Bentivogli di Bo-logna fece in quella città una fortezza; e dipoi faceva as-sassinare quel popolo da uno suo governatore: talché

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cioso, co' sudditi amici sanza fortezza, che, con quelliinimici, con la fortezza: le quali non ti giovano in alcunaparte; perché, o le si perdono per fraude di chi le guarda,o per violenza di chi le assalta, o per fame. E se tu vuoiche le ti giovino, e ti aiutino ricuperare uno stato perdu-to, dove ti sia rimasa solo la fortezza; ti conviene avereuno esercito, con il quale tu possa assaltare colui che tiha cacciato: e quando tu abbi questo esercito, tu riarestilo stato in ogni modo, eziandio la fortezza non vi fosse;e tanto più facilmente, quanto gli uomini ti fossono piùamici che non ti erano avendogli male trattati per l'orgo-glio della fortezza. E per isperienza si è visto, come que-sta fortezza di Milano, né agli Sforzeschi né a' Francio-si, ne' tempi avversi dell'uno e dell'altro, non ha fatto aalcuno di loro utile alcuno, anzi a tutti ha arrecato dannoe rovine assai, non avendo pensato, mediante quella, apiù onesto modo di tenere quello stato. Guidubaldo ducadi Urbino, figliuolo di Federigo, che fu ne' suoi tempitanto stimato capitano, sendo cacciato da Cesare Borgia,figliuolo di papa Alessandro VI, dello stato; come dipoi,per uno accidente nato, vi ritornò, fece rovinare tutte lefortezze che erano in quella provincia, giudicandoledannose. Perché, sendo quello amato dagli uomini, perrispetto di loro non le voleva; e, per conto de' nimici,vedeva non le potere difendere, avendo quelle bisognod'uno esercito in campagna, che le difendesse: talché sivolse a rovinarle. Papa Iulio, cacciati i Bentivogli di Bo-logna fece in quella città una fortezza; e dipoi faceva as-sassinare quel popolo da uno suo governatore: talché

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quel popolo si ribellò; e subito perdé la fortezza; e cosìnon gli giovò la fortezza; e l'offese, intanto che, portan-dosi altrimenti, gli arebbe giovato. Niccolò da Castello,padre de' Vitelli, tornato nella sua patria donde era esu-le, subito disfece due fortezze vi aveva edificate papaSisto IV, giudicando, non la fortezza, ma la benivolenzadel popolo lo avesse a tenere in quello stato. Ma di tuttigli altri esempli il più fresco ed il più notabile in ogniparte ed atto a mostrare la inutilità dello edificarle el'utilità del disfarle, è quello di Genova, seguito ne' pros-simi tempi. Ciascuno sa come, nel 1507, Genova si ri-bellò da Luigi XII re di Francia, il quale venne personal-mente e con tutte le forze sue a riacquistarla; e ricupera-ta che la ebbe, fece una fortezza, fortissima di tutte le al-tre delle quali al presente si avesse notizia: perché era,per sito e per ogni altra circunstanza, inespugnabile, po-sta in su una punta di colle che si estende nel mare,chiamato da' Genovesi Codefà; e, per questo, battevatutto il porto e gran parte della città di Genova. Occorsepoi, nel 1512, che, sendo cacciate le genti franciosed'Italia, Genova, nonostante la fortezza, si ribellò, e pre-se lo stato di quella Ottaviano Fregoso; il quale con ogniindustria, in termine di sedici mesi, per fame la espugnò.E ciascuno credeva, e da molti n'era consigliato, che laconservasse per suo refugio in ogni accidente; ma esso,come prudentissimo, conoscendo che non le fortezze,ma la volontà degli uomini mantenevono i principi instato, la rovinò. E così, sanza fondare lo stato suo in sula fortezza, ma in su la virtù e prudenza sua, lo ha tenuto

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quel popolo si ribellò; e subito perdé la fortezza; e cosìnon gli giovò la fortezza; e l'offese, intanto che, portan-dosi altrimenti, gli arebbe giovato. Niccolò da Castello,padre de' Vitelli, tornato nella sua patria donde era esu-le, subito disfece due fortezze vi aveva edificate papaSisto IV, giudicando, non la fortezza, ma la benivolenzadel popolo lo avesse a tenere in quello stato. Ma di tuttigli altri esempli il più fresco ed il più notabile in ogniparte ed atto a mostrare la inutilità dello edificarle el'utilità del disfarle, è quello di Genova, seguito ne' pros-simi tempi. Ciascuno sa come, nel 1507, Genova si ri-bellò da Luigi XII re di Francia, il quale venne personal-mente e con tutte le forze sue a riacquistarla; e ricupera-ta che la ebbe, fece una fortezza, fortissima di tutte le al-tre delle quali al presente si avesse notizia: perché era,per sito e per ogni altra circunstanza, inespugnabile, po-sta in su una punta di colle che si estende nel mare,chiamato da' Genovesi Codefà; e, per questo, battevatutto il porto e gran parte della città di Genova. Occorsepoi, nel 1512, che, sendo cacciate le genti franciosed'Italia, Genova, nonostante la fortezza, si ribellò, e pre-se lo stato di quella Ottaviano Fregoso; il quale con ogniindustria, in termine di sedici mesi, per fame la espugnò.E ciascuno credeva, e da molti n'era consigliato, che laconservasse per suo refugio in ogni accidente; ma esso,come prudentissimo, conoscendo che non le fortezze,ma la volontà degli uomini mantenevono i principi instato, la rovinò. E così, sanza fondare lo stato suo in sula fortezza, ma in su la virtù e prudenza sua, lo ha tenuto

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e tiene. E dove a variare lo stato di Genova solevano ba-stare mille fanti, gli avversari suoi lo hanno assaltatocon diecimila, e non lo hanno potuto offendere. Vedesiadunque per questo, come il disfare la fortezza non haoffeso Ottaviano, ed il farla non difese il re. Perché,quando ei potette venire in Italia con lo esercito, ei po-tette ricuperare Genova, non vi avendo fortezza; maquando ei non potette venire in Italia con lo esercito, einon potette tenere Genova, avendovi la fortezza. Fu,adunque, di spesa a il re il farla, e vergognoso il perder-la; a Ottaviano, glorioso il riacquistarla, ed utile il rovi-narla.Ma vegnamo alle republiche che fanno le fortezze nonnella patria, ma nelle terre che le acquistano. Ed a mo-strare questa fallacia, quando e' non bastasse lo esemplodetto, di Francia e di Genova, voglio mi basti Firenze ePisa: dove i Fiorentini fecero le fortezze per tenere quel-la città; e non conobbero che una città stata sempre ini-mica del nome fiorentino, vissuta libera, e che ha allarebellione per rifugio la libertà, era necessario, volendo-la tenere, osservare il modo romano; o farsela compa-gna, o disfarla. Perché la virtù delle fortezze si vide nel-la venuta del re Carlo; al quale si dettono o per pocafede di chi le guardava o per timore di maggiore male:dove, se le non fussono state, i Fiorentini non arebberofondato il potere tenere Pisa sopra quelle, e quel re nonarebbe potuto per quella via privare i Fiorentini di quel-la città; e i modi con gli quali si fusse mantenuta infino

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e tiene. E dove a variare lo stato di Genova solevano ba-stare mille fanti, gli avversari suoi lo hanno assaltatocon diecimila, e non lo hanno potuto offendere. Vedesiadunque per questo, come il disfare la fortezza non haoffeso Ottaviano, ed il farla non difese il re. Perché,quando ei potette venire in Italia con lo esercito, ei po-tette ricuperare Genova, non vi avendo fortezza; maquando ei non potette venire in Italia con lo esercito, einon potette tenere Genova, avendovi la fortezza. Fu,adunque, di spesa a il re il farla, e vergognoso il perder-la; a Ottaviano, glorioso il riacquistarla, ed utile il rovi-narla.Ma vegnamo alle republiche che fanno le fortezze nonnella patria, ma nelle terre che le acquistano. Ed a mo-strare questa fallacia, quando e' non bastasse lo esemplodetto, di Francia e di Genova, voglio mi basti Firenze ePisa: dove i Fiorentini fecero le fortezze per tenere quel-la città; e non conobbero che una città stata sempre ini-mica del nome fiorentino, vissuta libera, e che ha allarebellione per rifugio la libertà, era necessario, volendo-la tenere, osservare il modo romano; o farsela compa-gna, o disfarla. Perché la virtù delle fortezze si vide nel-la venuta del re Carlo; al quale si dettono o per pocafede di chi le guardava o per timore di maggiore male:dove, se le non fussono state, i Fiorentini non arebberofondato il potere tenere Pisa sopra quelle, e quel re nonarebbe potuto per quella via privare i Fiorentini di quel-la città; e i modi con gli quali si fusse mantenuta infino

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a quel tempo, sarebbono stati per avventura sufficienticonservarla, e sanza dubbio non arebbero fatto più catti-va prova che le fortezze. Conchiudo adunque, che, pertenere la patria propria, la fortezza è dannosa; per tenerele terre che si acquistono, le fortezze sono inutili: e vo-glio mi basti l'autorità de' Romani, i quali, nelle terreche volevano tenere con violenza, smuravano, e nonmuravano. E chi contro a questa opinione mi allegassenegli antichi tempi Taranto, e ne' moderni Brescia, iquali luoghi mediante le fortezze furono recuperati dallaribellione de' sudditi, rispondo che alla ricuperazione diTaranto, in capo di uno anno, fu mandato Fabio Massi-mo con tutto lo esercito, il quale sarebbe stato atto a ri-cuperarlo eziandio se non vi fusse stata la fortezza, e seFabio usò quella via, quando la non vi fusse stata, nearebbe usata un'altra che arebbe fatto il medesimo effet-to. Ed io non so di che utilità sia una fortezza che, a ren-derti la terra, abbia bisogno, per la ricuperazione d'essa,d'uno esercito consolare e d'uno Fabio Massimo per ca-pitano. E che i Romani l'avessono ripresa in ogni modo,si vede per l'esemplo di Capova; dove non era fortezza,e per virtù dello esercito la riacquistarono. Ma vegnamoa Brescia. Dico, come rade volte occorre quello che oc-corse in quella rebellione, che la fortezza che rimanenelle forze tua, sendo ribellata la terra, abbi uno esercitogrosso e propinquo, come era quel de' Franciosi: perché,sendo monsignor di Fois, capitano del re, con lo esercitoa Bologna, intesa la perdita di Brescia, sanza differire neandò a quella volta, ed in tre giorni arrivato a Brescia,

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a quel tempo, sarebbono stati per avventura sufficienticonservarla, e sanza dubbio non arebbero fatto più catti-va prova che le fortezze. Conchiudo adunque, che, pertenere la patria propria, la fortezza è dannosa; per tenerele terre che si acquistono, le fortezze sono inutili: e vo-glio mi basti l'autorità de' Romani, i quali, nelle terreche volevano tenere con violenza, smuravano, e nonmuravano. E chi contro a questa opinione mi allegassenegli antichi tempi Taranto, e ne' moderni Brescia, iquali luoghi mediante le fortezze furono recuperati dallaribellione de' sudditi, rispondo che alla ricuperazione diTaranto, in capo di uno anno, fu mandato Fabio Massi-mo con tutto lo esercito, il quale sarebbe stato atto a ri-cuperarlo eziandio se non vi fusse stata la fortezza, e seFabio usò quella via, quando la non vi fusse stata, nearebbe usata un'altra che arebbe fatto il medesimo effet-to. Ed io non so di che utilità sia una fortezza che, a ren-derti la terra, abbia bisogno, per la ricuperazione d'essa,d'uno esercito consolare e d'uno Fabio Massimo per ca-pitano. E che i Romani l'avessono ripresa in ogni modo,si vede per l'esemplo di Capova; dove non era fortezza,e per virtù dello esercito la riacquistarono. Ma vegnamoa Brescia. Dico, come rade volte occorre quello che oc-corse in quella rebellione, che la fortezza che rimanenelle forze tua, sendo ribellata la terra, abbi uno esercitogrosso e propinquo, come era quel de' Franciosi: perché,sendo monsignor di Fois, capitano del re, con lo esercitoa Bologna, intesa la perdita di Brescia, sanza differire neandò a quella volta, ed in tre giorni arrivato a Brescia,

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per la fortezza riebbe la terra. Ebbe, pertanto, ancora lafortezza di Brescia, a volere che la giovasse, bisognod'un monsignor di Fois, e d'uno esercito francioso che intre dì la soccorresse. Sì che lo esemplo di questo, alloincontro delli esempli contrari, non basta; perché assaifortezze sono state, nelle guerre de' nostri tempi, prese eriprese con la medesima fortuna che si è ripresa e presala campagna, non solamente in Lombardia, ma in Ro-magna, nel regno di Napoli, e per tutte le parti d'Italia.Ma, quanto allo edificare fortezze per difendersi da' ni-mici di fuori, dico che le non sono necessarie a quellipopoli ed a quelli regni che hanno buoni eserciti; ed aquegli che non hanno buoni eserciti, sono inutili: perchéi buoni eserciti sanza le fortezze sono sofficienti a difen-dersi; le fortezze sanza i buoni eserciti non ti possonodifendere. E questo si vede per isperienza di quegli chesono stati e ne' governi e nell'altre cose tenuti eccellenti;come si vede de' Romani e degli Spartani: che, se i Ro-mani non edificavano fortezze, gli Spartani, non sola-mente si astenevano da quelle, ma non permettevano diavere mura alle loro città; perché volevono che la virtùdell'uomo particulare, non altro defensivo, gli difendes-se. Dond'è che, sendo domandato uno Spartano da unoAteniese, se le mura di Atene gli parevano belle, gli ri-spose: - Sì, s'elle fussono abitate da donne -. Quelloprincipe, adunque, che abbi buoni eserciti, quando insulle marine e alla fronte dello stato suo abbia qualchefortezza che possa qualche dì sostenere el nimico infinoche sia a ordine, sarebbe cosa utile, qualche volta, ma

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per la fortezza riebbe la terra. Ebbe, pertanto, ancora lafortezza di Brescia, a volere che la giovasse, bisognod'un monsignor di Fois, e d'uno esercito francioso che intre dì la soccorresse. Sì che lo esemplo di questo, alloincontro delli esempli contrari, non basta; perché assaifortezze sono state, nelle guerre de' nostri tempi, prese eriprese con la medesima fortuna che si è ripresa e presala campagna, non solamente in Lombardia, ma in Ro-magna, nel regno di Napoli, e per tutte le parti d'Italia.Ma, quanto allo edificare fortezze per difendersi da' ni-mici di fuori, dico che le non sono necessarie a quellipopoli ed a quelli regni che hanno buoni eserciti; ed aquegli che non hanno buoni eserciti, sono inutili: perchéi buoni eserciti sanza le fortezze sono sofficienti a difen-dersi; le fortezze sanza i buoni eserciti non ti possonodifendere. E questo si vede per isperienza di quegli chesono stati e ne' governi e nell'altre cose tenuti eccellenti;come si vede de' Romani e degli Spartani: che, se i Ro-mani non edificavano fortezze, gli Spartani, non sola-mente si astenevano da quelle, ma non permettevano diavere mura alle loro città; perché volevono che la virtùdell'uomo particulare, non altro defensivo, gli difendes-se. Dond'è che, sendo domandato uno Spartano da unoAteniese, se le mura di Atene gli parevano belle, gli ri-spose: - Sì, s'elle fussono abitate da donne -. Quelloprincipe, adunque, che abbi buoni eserciti, quando insulle marine e alla fronte dello stato suo abbia qualchefortezza che possa qualche dì sostenere el nimico infinoche sia a ordine, sarebbe cosa utile, qualche volta, ma

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non è necessaria. Ma quando il principe non ha buonoesercito, avere le fortezze per il suo stato, o alle frontie-re, gli sono o dannose o inutili: dannose, perché facil-mente le perde, e perdute gli fanno guerra; o, se pure lefussono sì forti che il nimico non le potessi occupare,sono lasciate indietro dallo esercito inimico, e vengonoa essere di nessuno frutto; perché i buoni eserciti, quan-do non hanno gagliardissimo riscontro, entrano ne' paesiinimici sanza rispetto di città o di fortezze che si lascinoindietro; come si vede nelle antiche istorie, e come sivede fece Francesco Maria, il quale, ne' prossimi tempi,per assaltare Urbino si lasciò indietro dieci città inimi-che, sanza alcuno rispetto. Quel principe, adunque, chepuò fare buono esercito, può fare sanza edificare fortez-ze; quello che non ha lo esercito buono, non debbe edi-ficarle. Debbe bene afforzare la città dove abita, e tener-la munita, e bene disposti i cittadini di quella, per poteresostenere tanto uno impeto inimico, o che accordo o cheaiuto esterno lo liberi. Tutti gli altri disegni sono di spe-sa ne' tempi di pace, ed inutili ne' tempi di guerra. Ecosì, chi considererà tutto quello ho detto, conoscerà iRomani, come savi in ogni altro loro ordine, così furonoprudenti in questo giudizio de' Latini e de' Privernati;dove, non pensando a fortezze, con più virtuosi modi epiù savi se ne assicurarono.

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non è necessaria. Ma quando il principe non ha buonoesercito, avere le fortezze per il suo stato, o alle frontie-re, gli sono o dannose o inutili: dannose, perché facil-mente le perde, e perdute gli fanno guerra; o, se pure lefussono sì forti che il nimico non le potessi occupare,sono lasciate indietro dallo esercito inimico, e vengonoa essere di nessuno frutto; perché i buoni eserciti, quan-do non hanno gagliardissimo riscontro, entrano ne' paesiinimici sanza rispetto di città o di fortezze che si lascinoindietro; come si vede nelle antiche istorie, e come sivede fece Francesco Maria, il quale, ne' prossimi tempi,per assaltare Urbino si lasciò indietro dieci città inimi-che, sanza alcuno rispetto. Quel principe, adunque, chepuò fare buono esercito, può fare sanza edificare fortez-ze; quello che non ha lo esercito buono, non debbe edi-ficarle. Debbe bene afforzare la città dove abita, e tener-la munita, e bene disposti i cittadini di quella, per poteresostenere tanto uno impeto inimico, o che accordo o cheaiuto esterno lo liberi. Tutti gli altri disegni sono di spe-sa ne' tempi di pace, ed inutili ne' tempi di guerra. Ecosì, chi considererà tutto quello ho detto, conoscerà iRomani, come savi in ogni altro loro ordine, così furonoprudenti in questo giudizio de' Latini e de' Privernati;dove, non pensando a fortezze, con più virtuosi modi epiù savi se ne assicurarono.

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25 Che lo assaltare una città disunita, per oc-cuparla mediante la sua disunione, è partito

contrario.

Era tanta disunione nella Republica romana intra la Ple-be e la Nobilità, che i Veienti, insieme con gli Etrusci,mediante tale disunione, pensarono potere estinguere ilnome romano. Ed avendo fatto esercito, e corso sopra icampi di Roma, mandò il Senato, loro contro, Gaio Ma-nilio e Marco Fabio; i quali avendo condotto il loroesercito propinquo allo esercito de' Veienti, non cessava-no i Veienti, e con assalti e con obbrobri, offendere e vi-tuperare il nome romano: e fu tanta la loro temerità edinsolenzia, che i Romani, di disuniti diventarono uniti; evenendo alla zuffa, gli ruppano e vinsono. Vedesi per-tanto, quanto gli uomini s'ingannano, come di sopra di-scorremo, nel pigliare de' partiti; e come molte voltecredono guadagnare una cosa, e la perdono. Credettonoi Veienti, assaltando i Romani disuniti, vincergli; e quel-lo assalto fu cagione della unione di quegli, e della rovi-na loro. Perché la cagione della disunione delle republi-che il più delle volte è l'ozio e la pace; la cagione dellaunione è la paura e la guerra. E però, se i Veienti fusso-no stati savi, eglino arebbero, quanto più disunita vede-von Roma, tanto più tenuta da loro la guerra discosto, econ l'arti della pace cerco di oppressargli. Il modo è cer-care di diventare confidente di quella città che è disuni-ta; ed infino che non vengono all'armi, come arbitro ma-

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25 Che lo assaltare una città disunita, per oc-cuparla mediante la sua disunione, è partito

contrario.

Era tanta disunione nella Republica romana intra la Ple-be e la Nobilità, che i Veienti, insieme con gli Etrusci,mediante tale disunione, pensarono potere estinguere ilnome romano. Ed avendo fatto esercito, e corso sopra icampi di Roma, mandò il Senato, loro contro, Gaio Ma-nilio e Marco Fabio; i quali avendo condotto il loroesercito propinquo allo esercito de' Veienti, non cessava-no i Veienti, e con assalti e con obbrobri, offendere e vi-tuperare il nome romano: e fu tanta la loro temerità edinsolenzia, che i Romani, di disuniti diventarono uniti; evenendo alla zuffa, gli ruppano e vinsono. Vedesi per-tanto, quanto gli uomini s'ingannano, come di sopra di-scorremo, nel pigliare de' partiti; e come molte voltecredono guadagnare una cosa, e la perdono. Credettonoi Veienti, assaltando i Romani disuniti, vincergli; e quel-lo assalto fu cagione della unione di quegli, e della rovi-na loro. Perché la cagione della disunione delle republi-che il più delle volte è l'ozio e la pace; la cagione dellaunione è la paura e la guerra. E però, se i Veienti fusso-no stati savi, eglino arebbero, quanto più disunita vede-von Roma, tanto più tenuta da loro la guerra discosto, econ l'arti della pace cerco di oppressargli. Il modo è cer-care di diventare confidente di quella città che è disuni-ta; ed infino che non vengono all'armi, come arbitro ma-

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neggiarsi intra le parti. Venendo alle armi, dare lenti fa-vori alla parte più debole; sì per tenergli più in su laguerra, e fargli consumare; sì perché le assai forze nongli facessero dubitare tutti, che tu volessi opprimergli ediventare loro principe. E quando questa parte è gover-nata bene, interverrà, quasi sempre, che l'arà quel fineche tu ti hai presupposto. La città di Pistoia, come in al-tro discorso ed a altro proposito dissi, non venne sottoalla Republica di Firenze con altra arte che con questa:perché sendo quella divisa, e favorendo i Fiorentini oral'una parte ora l'altra, sanza carico dell'una e dell'altra lacondussono in termine, che, stracca in quel suo viveretumultuoso, venne spontaneamente a gittarsi in le brac-cia di Firenze. La città di Siena non ha mai mutato stato,col favore de' Fiorentini, se non quando i favori sonostati deboli e pochi. Perché, quando ei sono stati assai egagliardi, hanno fatto quella città unita alla difesa diquello stato che regge. Io voglio aggiugnere ai sopra-scritti uno altro esemplo. Filippo Visconti, duca di Mila-no, più volte mosse guerra a' Fiorentini, fondatosi soprale disunioni loro, e sempre ne rimase perdente; talché gliebbe a dire, dolendosi delle sue imprese, come le pazziede' Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente duemilioni d'oro. Restarono adunque, come di sopra si dice,ingannati i Veienti e gli Toscani da questa opinione, efurano alfine in una giornata superati da' Romani. E cosìper lo avvenire ne resterà ingannato qualunque per simi-le via e per simile cagione crederrà oppressare uno po-polo.

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neggiarsi intra le parti. Venendo alle armi, dare lenti fa-vori alla parte più debole; sì per tenergli più in su laguerra, e fargli consumare; sì perché le assai forze nongli facessero dubitare tutti, che tu volessi opprimergli ediventare loro principe. E quando questa parte è gover-nata bene, interverrà, quasi sempre, che l'arà quel fineche tu ti hai presupposto. La città di Pistoia, come in al-tro discorso ed a altro proposito dissi, non venne sottoalla Republica di Firenze con altra arte che con questa:perché sendo quella divisa, e favorendo i Fiorentini oral'una parte ora l'altra, sanza carico dell'una e dell'altra lacondussono in termine, che, stracca in quel suo viveretumultuoso, venne spontaneamente a gittarsi in le brac-cia di Firenze. La città di Siena non ha mai mutato stato,col favore de' Fiorentini, se non quando i favori sonostati deboli e pochi. Perché, quando ei sono stati assai egagliardi, hanno fatto quella città unita alla difesa diquello stato che regge. Io voglio aggiugnere ai sopra-scritti uno altro esemplo. Filippo Visconti, duca di Mila-no, più volte mosse guerra a' Fiorentini, fondatosi soprale disunioni loro, e sempre ne rimase perdente; talché gliebbe a dire, dolendosi delle sue imprese, come le pazziede' Fiorentini gli avevano fatto spendere inutilmente duemilioni d'oro. Restarono adunque, come di sopra si dice,ingannati i Veienti e gli Toscani da questa opinione, efurano alfine in una giornata superati da' Romani. E cosìper lo avvenire ne resterà ingannato qualunque per simi-le via e per simile cagione crederrà oppressare uno po-polo.

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26 Il vilipendio e l'improperio genera odiocontro a coloro che l'usano, sanza alcuna

loro utilità.

Io credo che sia una delle grandi prudenze che usono gliuomini, astenersi o dal minacciare o dallo ingiuriare al-cuno con le parole: perché l'una cosa e l'altra non tolgo-no forze al nimico; ma l'una lo fa più cauto, l'altra gli faavere maggiore odio contro di te, e pensare con maggio-re industria di offenderti. Vedesi questo per lo esemplode' Veienti, de' quali nel capitolo superiore si è discorso;i quali alla ingiuria della guerra, aggiunsono, contro a'Romani, l'obbrobrio delle parole; dal quale ogni capita-no prudente debbe fare astenere i suoi soldati; perché lesono cose che infiammano ed accendano il nimico allavendetta, ed in nessuna parte lo impediscono, come èdetto, alla offesa; tanto che le sono tutte armi che vengo-no contro a te. Di che ne seguì già uno esemplo notabilein Asia: dove Gabade, capitano de' Persi, essendo stato acampo a Amida più tempo, ed avendo deliberato, strac-co dal tedio della ossidione, partirsi; levandosi già con ilcampo, quegli della terra, venuti tutti in su le mura, in-superbiti della vittoria, non perdonarono a nessuna qua-lità d'ingiuria, vituperando, accusando, e rimproverandola viltà e la poltroneria del nimico. Da che Gabade irri-tato, mutò consiglio; e ritornato alla ossidione tanta fu laindegnazione della ingiuria, che in pochi giorni gli presee saccheggiò. E questo medesimo intervenne a' Veienti:

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26 Il vilipendio e l'improperio genera odiocontro a coloro che l'usano, sanza alcuna

loro utilità.

Io credo che sia una delle grandi prudenze che usono gliuomini, astenersi o dal minacciare o dallo ingiuriare al-cuno con le parole: perché l'una cosa e l'altra non tolgo-no forze al nimico; ma l'una lo fa più cauto, l'altra gli faavere maggiore odio contro di te, e pensare con maggio-re industria di offenderti. Vedesi questo per lo esemplode' Veienti, de' quali nel capitolo superiore si è discorso;i quali alla ingiuria della guerra, aggiunsono, contro a'Romani, l'obbrobrio delle parole; dal quale ogni capita-no prudente debbe fare astenere i suoi soldati; perché lesono cose che infiammano ed accendano il nimico allavendetta, ed in nessuna parte lo impediscono, come èdetto, alla offesa; tanto che le sono tutte armi che vengo-no contro a te. Di che ne seguì già uno esemplo notabilein Asia: dove Gabade, capitano de' Persi, essendo stato acampo a Amida più tempo, ed avendo deliberato, strac-co dal tedio della ossidione, partirsi; levandosi già con ilcampo, quegli della terra, venuti tutti in su le mura, in-superbiti della vittoria, non perdonarono a nessuna qua-lità d'ingiuria, vituperando, accusando, e rimproverandola viltà e la poltroneria del nimico. Da che Gabade irri-tato, mutò consiglio; e ritornato alla ossidione tanta fu laindegnazione della ingiuria, che in pochi giorni gli presee saccheggiò. E questo medesimo intervenne a' Veienti:

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a' quali, come è detto, non bastando il fare guerra a' Ro-mani, ancora con le parole gli vituperarono, ed andandoinfino in su lo steccato del campo a dire loro ingiuria,gl'irritarono molto più con le parole che con le armi: equegli soldati che prima combattevano mal volentieri,costrinsero i Consoli a appiccare la zuffa, talché i Veien-ti portarono la pena, come gli antedetti, della contuma-cia loro. Hanno dunque i buoni principi di eserciti, ed ibuoni governatori di republica, a fare ogni opportuno ri-medio, che queste ingiurie e rimproveri non si usino onella città o nello esercito suo, né infra loro, né contro alnimico: perché, usati contro al nimico, ne riesconogl'inconvenienti soprascritti; infra loro, farebbero peg-gio, non vi si riparando, come vi hanno sempre gli uo-mini prudenti riparato. Avendo le legioni romane, statelasciate a Capova, congiurato contro a' Capovani, comenel suo luogo si narrerà; ed essendone di questa congiu-ra nata una sedizione, la quale fu poi da Valerio Corvinoquietata, intra le altre constituzioni che nella convenzio-ne si fece ordinarono pene gravissime a coloro che rim-proverassero mai a alcuni di quegli soldati tale sedizio-ne. Tiberio Gracco, fatto, nella guerra di Annibale, capi-tano sopra certo numero di servi che i Romani, per care-stia d'uomini, avevano armati, ordinò, intra le primecose, pena capitale a qualunque rimproverasse la servitùa alcuno di loro. Tanto fu stimato dai Romani, come disopra si è detto, cosa dannosa il vilipendere gli uominied il rimproverare loro alcuna vergogna; perché non ècosa che accenda tanto gli animi loro, né generi maggio-

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a' quali, come è detto, non bastando il fare guerra a' Ro-mani, ancora con le parole gli vituperarono, ed andandoinfino in su lo steccato del campo a dire loro ingiuria,gl'irritarono molto più con le parole che con le armi: equegli soldati che prima combattevano mal volentieri,costrinsero i Consoli a appiccare la zuffa, talché i Veien-ti portarono la pena, come gli antedetti, della contuma-cia loro. Hanno dunque i buoni principi di eserciti, ed ibuoni governatori di republica, a fare ogni opportuno ri-medio, che queste ingiurie e rimproveri non si usino onella città o nello esercito suo, né infra loro, né contro alnimico: perché, usati contro al nimico, ne riesconogl'inconvenienti soprascritti; infra loro, farebbero peg-gio, non vi si riparando, come vi hanno sempre gli uo-mini prudenti riparato. Avendo le legioni romane, statelasciate a Capova, congiurato contro a' Capovani, comenel suo luogo si narrerà; ed essendone di questa congiu-ra nata una sedizione, la quale fu poi da Valerio Corvinoquietata, intra le altre constituzioni che nella convenzio-ne si fece ordinarono pene gravissime a coloro che rim-proverassero mai a alcuni di quegli soldati tale sedizio-ne. Tiberio Gracco, fatto, nella guerra di Annibale, capi-tano sopra certo numero di servi che i Romani, per care-stia d'uomini, avevano armati, ordinò, intra le primecose, pena capitale a qualunque rimproverasse la servitùa alcuno di loro. Tanto fu stimato dai Romani, come disopra si è detto, cosa dannosa il vilipendere gli uominied il rimproverare loro alcuna vergogna; perché non ècosa che accenda tanto gli animi loro, né generi maggio-

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re isdegno, o da vero o da beffe che si dica: «Nam face-tiae asperae, quando nimium ex vero traxere, acrem suimemoriam relinquunt».

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re isdegno, o da vero o da beffe che si dica: «Nam face-tiae asperae, quando nimium ex vero traxere, acrem suimemoriam relinquunt».

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27 Ai principi e republiche prudenti debbebastare vincere; perché, il più delle volte,

quando e' non basta, si perde.

Lo usare parole contro al nimico poco onorevoli, nasceil più delle volte da una insolenzia che ti dà o la vittoriao la falsa speranza della vittoria; la quale falsa speranzafa gli uomini non solamente errare nel dire, ma ancoranello operare. Perché questa speranza, quando la entrane' petti degli uomini, fa loro passare il segno; e perdere,il più delle volte, quella occasione dell'avere uno benecerto, sperando di avere un meglio incerto. E perchéquesto è un termine che merita considerazione, ingan-nandocisi dentro gli uomini molto spesso, e con dannodello stato loro, e' mi pare da dimostrarlo particularmen-te con esempli antichi e moderni, non si potendo con leragioni così distintamente dimostrare. Annibale, poich'egli ebbe rotti i Romani a Canne, mandò suoi oratoria Cartagine a significare la vittoria, e chiedere sussidi.Disputossi in Senato di quello che si avesse a fare. Con-sigliava Annone, uno vecchio e prudente cittadino carta-ginese, che si usasse questa vittoria saviamente in farepace con i Romani, potendola avere con condizioni one-ste, avendo vinto; e non si aspettasse di averla a faredopo la perdita: perché la intenzione de' Cartaginesi do-veva essere, mostrare a' Romani come e' bastavano acombatterli; ed avendosene avuto vittoria, non si cercas-se di perderla per la speranza d'una maggiore. Non fu

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27 Ai principi e republiche prudenti debbebastare vincere; perché, il più delle volte,

quando e' non basta, si perde.

Lo usare parole contro al nimico poco onorevoli, nasceil più delle volte da una insolenzia che ti dà o la vittoriao la falsa speranza della vittoria; la quale falsa speranzafa gli uomini non solamente errare nel dire, ma ancoranello operare. Perché questa speranza, quando la entrane' petti degli uomini, fa loro passare il segno; e perdere,il più delle volte, quella occasione dell'avere uno benecerto, sperando di avere un meglio incerto. E perchéquesto è un termine che merita considerazione, ingan-nandocisi dentro gli uomini molto spesso, e con dannodello stato loro, e' mi pare da dimostrarlo particularmen-te con esempli antichi e moderni, non si potendo con leragioni così distintamente dimostrare. Annibale, poich'egli ebbe rotti i Romani a Canne, mandò suoi oratoria Cartagine a significare la vittoria, e chiedere sussidi.Disputossi in Senato di quello che si avesse a fare. Con-sigliava Annone, uno vecchio e prudente cittadino carta-ginese, che si usasse questa vittoria saviamente in farepace con i Romani, potendola avere con condizioni one-ste, avendo vinto; e non si aspettasse di averla a faredopo la perdita: perché la intenzione de' Cartaginesi do-veva essere, mostrare a' Romani come e' bastavano acombatterli; ed avendosene avuto vittoria, non si cercas-se di perderla per la speranza d'una maggiore. Non fu

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preso questo partito; ma fu bene poi, dal Senato cartagi-nese, conosciuto savio, quando la occasione fu perduta.Avendo Alessandro Magno già preso tutto l'oriente, larepublica di Tiro, nobile in quelli tempi, e potente peravere la loro città in acqua come i Viniziani, veduta lagrandezza di Alessandro, gli mandarono oratori a dirli,come volevano essere suoi buoni servidori e darli quellaubbidienza voleva, ma che non erano già per accettarené lui né sue genti nella terra; donde sdegnato Alessan-dro, che una città gli volesse chiudere quelle porte chetutto il mondo gli aveva aperte, gli ributtò, e, non accet-tate le condizioni loro vi andò a campo. Era la terra inacqua, e benissimo, di vettovaglie e di altre munizioninecessarie alla difesa, munita: tanto che Alessandro,dopo quattro mesi, si avvide che una città gli toglievaquel tempo alla sua gloria che non gli avevano toltomolti altri acquisti; e diliberò di tentare lo accordo, econcedere loro quello che per loro medesimi avevanodomandato. Ma quegli di Tiro, insuperbiti, non sola-mente non vollero accettare lo accordo, ma ammazzaro-no chi venne a praticarlo. Di che Alessandro sdegnato,con tanta forza si misse alla ispugnazione, che la prese,disfece, ed ammazzò e fece schiavi gli uomini.Venne, nel 1512, uno esercito spagnuolo in sul dominiofiorentino per rimettere i Medici in Firenze, e taglieg-giare la città, condotti da cittadini d'entro, i quali aveva-no dato loro speranza, che, subito fussono in sul domi-nio fiorentino, piglierebbero l'armi in loro favore; ed es-

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preso questo partito; ma fu bene poi, dal Senato cartagi-nese, conosciuto savio, quando la occasione fu perduta.Avendo Alessandro Magno già preso tutto l'oriente, larepublica di Tiro, nobile in quelli tempi, e potente peravere la loro città in acqua come i Viniziani, veduta lagrandezza di Alessandro, gli mandarono oratori a dirli,come volevano essere suoi buoni servidori e darli quellaubbidienza voleva, ma che non erano già per accettarené lui né sue genti nella terra; donde sdegnato Alessan-dro, che una città gli volesse chiudere quelle porte chetutto il mondo gli aveva aperte, gli ributtò, e, non accet-tate le condizioni loro vi andò a campo. Era la terra inacqua, e benissimo, di vettovaglie e di altre munizioninecessarie alla difesa, munita: tanto che Alessandro,dopo quattro mesi, si avvide che una città gli toglievaquel tempo alla sua gloria che non gli avevano toltomolti altri acquisti; e diliberò di tentare lo accordo, econcedere loro quello che per loro medesimi avevanodomandato. Ma quegli di Tiro, insuperbiti, non sola-mente non vollero accettare lo accordo, ma ammazzaro-no chi venne a praticarlo. Di che Alessandro sdegnato,con tanta forza si misse alla ispugnazione, che la prese,disfece, ed ammazzò e fece schiavi gli uomini.Venne, nel 1512, uno esercito spagnuolo in sul dominiofiorentino per rimettere i Medici in Firenze, e taglieg-giare la città, condotti da cittadini d'entro, i quali aveva-no dato loro speranza, che, subito fussono in sul domi-nio fiorentino, piglierebbero l'armi in loro favore; ed es-

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sendo entrati nel piano, e non si scoprendo alcuno, edavendo carestia di vettovaglie, tentarono l'accordo: diche insuperbito il popolo di Firenze, non lo accettò:donde ne nacque la perdita di Prato, e la rovina di quellostato. Non possono, pertanto, i principi, che sono assal-tati, fare il maggiore errore, quando lo assalto è fatto dauomini di gran lunga più potenti di loro, che recusareogni accordo, massime quando egli è offerto: perchénon sarà mai offerto sì basso, che non vi sia dentro inqualche parte il bene essere di colui che lo accetta, e visarà parte della sua vittoria. Perché e' doveva bastare alpopolo di Tiro, che Alessandro accettasse quelle condi-zioni ch'egli aveva prima rifiutate ed era assai vittoria laloro, quando con l'arme in mano avevano fatto condi-scendere uno tanto uomo alla voglia loro. Doveva basta-re ancora al popolo fiorentino, che gli era assai vittoria,se lo esercito spagnuolo cedeva a qualcuna delle vogliedi quello e le sue non adempiva tutte: perché la intenzio-ne di quello esercito era mutare lo stato in Firenze, le-varlo dalla divozione di Francia, e trarre da lui danari.Quando di tre cose e' ne avesse avute due, che son l'ulti-me, ed al popolo ne fusse restata una, che era la conser-vazione dello stato suo, ci aveva dentro ciascuno qual-che onore e qualche satisfazione: né si doveva il popolocurare delle due cose, rimanendo vivo; né doveva vole-re, quando bene egli avesse veduta maggiore vittoria, equasi certa, mettere quella in alcuna parte a discrezionedella fortuna, andandone l'ultima posta sua: la qualequalunque prudente mai arrischierà se non necessitato.

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sendo entrati nel piano, e non si scoprendo alcuno, edavendo carestia di vettovaglie, tentarono l'accordo: diche insuperbito il popolo di Firenze, non lo accettò:donde ne nacque la perdita di Prato, e la rovina di quellostato. Non possono, pertanto, i principi, che sono assal-tati, fare il maggiore errore, quando lo assalto è fatto dauomini di gran lunga più potenti di loro, che recusareogni accordo, massime quando egli è offerto: perchénon sarà mai offerto sì basso, che non vi sia dentro inqualche parte il bene essere di colui che lo accetta, e visarà parte della sua vittoria. Perché e' doveva bastare alpopolo di Tiro, che Alessandro accettasse quelle condi-zioni ch'egli aveva prima rifiutate ed era assai vittoria laloro, quando con l'arme in mano avevano fatto condi-scendere uno tanto uomo alla voglia loro. Doveva basta-re ancora al popolo fiorentino, che gli era assai vittoria,se lo esercito spagnuolo cedeva a qualcuna delle vogliedi quello e le sue non adempiva tutte: perché la intenzio-ne di quello esercito era mutare lo stato in Firenze, le-varlo dalla divozione di Francia, e trarre da lui danari.Quando di tre cose e' ne avesse avute due, che son l'ulti-me, ed al popolo ne fusse restata una, che era la conser-vazione dello stato suo, ci aveva dentro ciascuno qual-che onore e qualche satisfazione: né si doveva il popolocurare delle due cose, rimanendo vivo; né doveva vole-re, quando bene egli avesse veduta maggiore vittoria, equasi certa, mettere quella in alcuna parte a discrezionedella fortuna, andandone l'ultima posta sua: la qualequalunque prudente mai arrischierà se non necessitato.

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Annibale, partito d'Italia, dove era stato sedici anni glo-rioso, richiamato da' suoi Cartaginesi a soccorrere la pa-tria, trovò rotto Asdrubale e Siface; trovò perduto il re-gno di Numidia e ristretta Cartagine intra i termini dellesue mura, alla quale non restava altro refugio che esso elo esercito suo. Conoscendo come quella era l'ultima po-sta della sua patria, non volle prima metterla a rischio,ch'egli ebbe tentato ogni altro rimedio; e non si vergo-gnò di domandare la pace, giudicando, se alcuno rime-dio aveva la sua patria, era in quella e non nella guerra:la quale sendogli poi negata, non volle mancare, doven-do perdere, di combattere; giudicando potere pur vince-re, o, perdendo, perdere gloriosamente. E se Annibale, ilquale era tanto virtuoso ed aveva il suo esercito intero,cercò prima la pace che la zuffa, quando ei vidde che,perdendo quella, la sua patria diveniva serva, che debbefare un altro di manco virtù e di manco isperienza dilui? Ma gli uomini fanno questo errore, che non sannoporre termini alle speranze loro; ed in su quelle fondan-dosi, sanza misurarsi altrimenti, rovinano.

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Annibale, partito d'Italia, dove era stato sedici anni glo-rioso, richiamato da' suoi Cartaginesi a soccorrere la pa-tria, trovò rotto Asdrubale e Siface; trovò perduto il re-gno di Numidia e ristretta Cartagine intra i termini dellesue mura, alla quale non restava altro refugio che esso elo esercito suo. Conoscendo come quella era l'ultima po-sta della sua patria, non volle prima metterla a rischio,ch'egli ebbe tentato ogni altro rimedio; e non si vergo-gnò di domandare la pace, giudicando, se alcuno rime-dio aveva la sua patria, era in quella e non nella guerra:la quale sendogli poi negata, non volle mancare, doven-do perdere, di combattere; giudicando potere pur vince-re, o, perdendo, perdere gloriosamente. E se Annibale, ilquale era tanto virtuoso ed aveva il suo esercito intero,cercò prima la pace che la zuffa, quando ei vidde che,perdendo quella, la sua patria diveniva serva, che debbefare un altro di manco virtù e di manco isperienza dilui? Ma gli uomini fanno questo errore, che non sannoporre termini alle speranze loro; ed in su quelle fondan-dosi, sanza misurarsi altrimenti, rovinano.

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28 Quanto sia pericoloso a una republica o auno principe non vendicare una ingiuria fat-

ta contro al publico o contro al privato.

Quello che facciano fare gli sdegni agli uomini, facil-mente si conosce per quello che avvenne ai Romaniquando ei mandarono i tre Fabii oratori a' Franciosi, cheerano venuti a assaltare la Toscana, ed in particulareChiusi. Perché, avendo mandato il popolo di Chiusi peraiuto a Roma contro a' Franciosi, i Romani mandaronoambasciadori a' Franciosi, i quali, in nome del Popoloromano, significassero loro che si astenessero di fareguerra a' Toscani. I quali oratori, sendo in su 'l luogo, epiù atti a fare che a dire, venendo i Franciosi ed i Tosca-ni alla zuffa, si messero in tra i primi a combattere con-tro a quelli: onde ne nacque che, essendo conosciuti daloro, tutto lo sdegno avevano contro a' Toscani, volserocontro a' Romani. Il quale sdegno diventò maggiore,perché, avendo i Franciosi per loro ambasciadori fattoquerela con il Senato romano di tale ingiuria, e doman-dato che in soddisfazione del danno fussino loro dati isoprascritti Fabii, non solamente non furono consegnatiloro, o in altro modo gastigati, ma venendo i comizi, fu-rono fatti Tribuni con potestà consolare. Talché, veggen-do i Franciosi quelli onorati che dovevano essere puniti,ripresono tutto essere fatto in loro dispregio e ignomi-nia; ed accesi di sdegno e d'ira, vennero a assaltareRoma, e quella presono, eccetto il Campidoglio. La qua-

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28 Quanto sia pericoloso a una republica o auno principe non vendicare una ingiuria fat-

ta contro al publico o contro al privato.

Quello che facciano fare gli sdegni agli uomini, facil-mente si conosce per quello che avvenne ai Romaniquando ei mandarono i tre Fabii oratori a' Franciosi, cheerano venuti a assaltare la Toscana, ed in particulareChiusi. Perché, avendo mandato il popolo di Chiusi peraiuto a Roma contro a' Franciosi, i Romani mandaronoambasciadori a' Franciosi, i quali, in nome del Popoloromano, significassero loro che si astenessero di fareguerra a' Toscani. I quali oratori, sendo in su 'l luogo, epiù atti a fare che a dire, venendo i Franciosi ed i Tosca-ni alla zuffa, si messero in tra i primi a combattere con-tro a quelli: onde ne nacque che, essendo conosciuti daloro, tutto lo sdegno avevano contro a' Toscani, volserocontro a' Romani. Il quale sdegno diventò maggiore,perché, avendo i Franciosi per loro ambasciadori fattoquerela con il Senato romano di tale ingiuria, e doman-dato che in soddisfazione del danno fussino loro dati isoprascritti Fabii, non solamente non furono consegnatiloro, o in altro modo gastigati, ma venendo i comizi, fu-rono fatti Tribuni con potestà consolare. Talché, veggen-do i Franciosi quelli onorati che dovevano essere puniti,ripresono tutto essere fatto in loro dispregio e ignomi-nia; ed accesi di sdegno e d'ira, vennero a assaltareRoma, e quella presono, eccetto il Campidoglio. La qua-

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le rovina nacque ai Romani solo per la inosservanza del-la giustizia; perché, avendo peccato i loro ambasciatori«contra ius gentium», e dovendo esserne gastigati, furo-no onorati. Però è da considerare quanto ogni republicaed ogni principe debbe tenere conto di fare simile ingiu-ria, non solamente contro a una universalità, ma ancoracontro a uno particulare. Perché, se uno uomo è offesograndemente o dal publico o dal privato e non sia vendi-cato secondo la soddisfazione sua; se e' vive in una re-publica, cerca, ancora che con la rovina di quella, vendi-carsi; se e' vive sotto un principe, ed abbi in sé alcunagenerosità, non si acquieta mai, in fino che in qualunquemodo si vendichi contro a di colui, come che egli vi ve-desse, dentro, il suo proprio male.Per verificare questo, non ci è il più bello né il più veroesemplo che quello di Filippo re di Macedonia, padred'Alessandro. Aveva costui in la sua corte Pausania, gio-vane bello e nobile, del quale era inamorato Attalo, unode' primi uomini che fusse presso a Filippo ed avendolopiù volte ricerco che dovesse acconsentirgli, e trovando-lo alieno da simili cose, diliberò di avere con inganno eper forza quello che, per altro verso, vedea di non potereavere. E fatto uno solenne convito, nel quale Pausania emolti altri nobili baroni convennero, fece, poi che cia-scuno fu pieno di vivande e di vino, prendere Pausania,e, condottolo allo stretto, non solamente per forza sfogòla sua libidine, ma ancora, per maggiore ignominia, lofece da molti degli altri in simile modo vituperare. Della

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le rovina nacque ai Romani solo per la inosservanza del-la giustizia; perché, avendo peccato i loro ambasciatori«contra ius gentium», e dovendo esserne gastigati, furo-no onorati. Però è da considerare quanto ogni republicaed ogni principe debbe tenere conto di fare simile ingiu-ria, non solamente contro a una universalità, ma ancoracontro a uno particulare. Perché, se uno uomo è offesograndemente o dal publico o dal privato e non sia vendi-cato secondo la soddisfazione sua; se e' vive in una re-publica, cerca, ancora che con la rovina di quella, vendi-carsi; se e' vive sotto un principe, ed abbi in sé alcunagenerosità, non si acquieta mai, in fino che in qualunquemodo si vendichi contro a di colui, come che egli vi ve-desse, dentro, il suo proprio male.Per verificare questo, non ci è il più bello né il più veroesemplo che quello di Filippo re di Macedonia, padred'Alessandro. Aveva costui in la sua corte Pausania, gio-vane bello e nobile, del quale era inamorato Attalo, unode' primi uomini che fusse presso a Filippo ed avendolopiù volte ricerco che dovesse acconsentirgli, e trovando-lo alieno da simili cose, diliberò di avere con inganno eper forza quello che, per altro verso, vedea di non potereavere. E fatto uno solenne convito, nel quale Pausania emolti altri nobili baroni convennero, fece, poi che cia-scuno fu pieno di vivande e di vino, prendere Pausania,e, condottolo allo stretto, non solamente per forza sfogòla sua libidine, ma ancora, per maggiore ignominia, lofece da molti degli altri in simile modo vituperare. Della

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quale ingiuria Pausania si dolse più volte con Filippo; ilquale, avendolo tenuto un tempo in speranza di vendi-carlo, non solamente non lo vendicò, ma prepose Attaloal governo d'una provincia di Grecia: donde che Pausa-nia, vedendo il suo nimico onorato e non gastigato, vol-se tutto lo sdegno suo, non contro a quello che gli avevafatto ingiuria, ma contro a Filippo che non lo aveva ven-dicato. Ed una mattina solenne, in su le nozze della fi-gliuola di Filippo, ch'egli aveva maritata a Alessandro diEpiro, andando Filippo al tempio, a celebrarle, in mezzode' due Alessandri, genero e figliuolo, lo ammazzò. Ilquale esemplo è molto simile a quello de' Romani, e no-tabile a qualunque governa: che mai non debbe tantopoco stimare un uomo, che ei creda, aggiugnendo ingiu-ria sopra ingiuria, che colui che è ingiuriato non pensi divendicarsi con ogni suo pericolo e particulare danno.

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quale ingiuria Pausania si dolse più volte con Filippo; ilquale, avendolo tenuto un tempo in speranza di vendi-carlo, non solamente non lo vendicò, ma prepose Attaloal governo d'una provincia di Grecia: donde che Pausa-nia, vedendo il suo nimico onorato e non gastigato, vol-se tutto lo sdegno suo, non contro a quello che gli avevafatto ingiuria, ma contro a Filippo che non lo aveva ven-dicato. Ed una mattina solenne, in su le nozze della fi-gliuola di Filippo, ch'egli aveva maritata a Alessandro diEpiro, andando Filippo al tempio, a celebrarle, in mezzode' due Alessandri, genero e figliuolo, lo ammazzò. Ilquale esemplo è molto simile a quello de' Romani, e no-tabile a qualunque governa: che mai non debbe tantopoco stimare un uomo, che ei creda, aggiugnendo ingiu-ria sopra ingiuria, che colui che è ingiuriato non pensi divendicarsi con ogni suo pericolo e particulare danno.

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29 La fortuna acceca gli animi degli uomini,quando la non vuole che quegli si opponghi-

no a' disegni suoi.

Se e' si considererà bene come procedono le cose uma-ne, si vedrà molte volte nascere cose e venire accidenti,a' quali i cieli al tutto non hanno voluto che si provveg-ga. E quando, questo che io dico, intervenne a Roma,dove era tanta virtù, tanta religione e tanto ordine, non èmaraviglia che gli intervenga molto più spesso in unacittà o in una provincia che manchi delle cose sopradet-te. E perché questo luogo è notabile assai, a dimostrarela potenza del cielo sopra le cose umane, Tito Livio lar-gamente e con parole efficacissime lo dimostra: dicendocome, volendo il cielo a qualche fine, che i Romani co-noscessono la potenza sua, fece prima errare quegli Fa-bii che andarono oratori a' Franciosi, e, mediante l'operaloro, gli concitò a fare guerra a Roma; dipoi ordinò, che,per reprimere quella guerra, non si facesse in Roma al-cuna cosa degna del Popolo romano; avendo prima ordi-nato che Cammillo, il quale poteva essere solo unico re-medio a tanto male, fusse mandato in esilio a Ardea; di-poi, venendo i Franciosi verso Roma, coloro che, per ri-mediare allo impeto de' Volsci ed altri finitimi loro ini-mici, avevano creato molte volte uno Dittatore, venendoi Franciosi, non lo crearono. Ancora nel fare la elezionede' soldati, la fecioro debole e sanza alcuna istraordina-ria diligenza; e furono tanto pigri al pigliare l'arme, che

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29 La fortuna acceca gli animi degli uomini,quando la non vuole che quegli si opponghi-

no a' disegni suoi.

Se e' si considererà bene come procedono le cose uma-ne, si vedrà molte volte nascere cose e venire accidenti,a' quali i cieli al tutto non hanno voluto che si provveg-ga. E quando, questo che io dico, intervenne a Roma,dove era tanta virtù, tanta religione e tanto ordine, non èmaraviglia che gli intervenga molto più spesso in unacittà o in una provincia che manchi delle cose sopradet-te. E perché questo luogo è notabile assai, a dimostrarela potenza del cielo sopra le cose umane, Tito Livio lar-gamente e con parole efficacissime lo dimostra: dicendocome, volendo il cielo a qualche fine, che i Romani co-noscessono la potenza sua, fece prima errare quegli Fa-bii che andarono oratori a' Franciosi, e, mediante l'operaloro, gli concitò a fare guerra a Roma; dipoi ordinò, che,per reprimere quella guerra, non si facesse in Roma al-cuna cosa degna del Popolo romano; avendo prima ordi-nato che Cammillo, il quale poteva essere solo unico re-medio a tanto male, fusse mandato in esilio a Ardea; di-poi, venendo i Franciosi verso Roma, coloro che, per ri-mediare allo impeto de' Volsci ed altri finitimi loro ini-mici, avevano creato molte volte uno Dittatore, venendoi Franciosi, non lo crearono. Ancora nel fare la elezionede' soldati, la fecioro debole e sanza alcuna istraordina-ria diligenza; e furono tanto pigri al pigliare l'arme, che

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a fatica furono a tempo a scontrare i Franciosi sopra ilfiume di Allia, discosto a Roma dieci miglia. Quivi iTribuni posero il loro campo, sanza alcuna consueta di-ligenza; non prevedendo il luogo prima, e non si circun-dando con fossa e con isteccato, non usando alcuno ri-medio umano e divino; e nello ordinare la zuffa, fecerogli ordini radi e deboli: in modo che né i soldati né i ca-pitani fecero cosa degna della romana disciplina. Com-battessi poi sanza alcuno sangue; perché ei fuggironoprima che fussono assaltati, e la maggior parte se n'andòa Veio, l'altra si ritirò a Roma; i quali, sanza entrare al-trimenti nelle case loro, se ne entrarono in Campidoglio:in modo che il Senato, sanza pensare di difendereRoma, non chiuse, non che altro, le porte; e parte se nefuggì, parte con gli altri se ne entrarono in Campidoglio.Pure, nel difendere quello, usarono qualche ordine nontumultuario; perché ei non aggravarono quello di genteinutile; messonvi tutti i frumenti che poterono, accioc-ché potessono sopportare l'ossidione; e della turba inuti-le de' vecchi, delle donne e de' fanciugli, la maggior par-te se ne fuggì nelle terre circunvicine, il rimanente restòin Roma in preda de' Franciosi. Talché, chi avesse lettole cose fatte da quel popolo tanti anni innanzi, e leggessidipoi quelli tempi, non potrebbe a nessuno modo crede-re che fusse stato uno medesimo popolo. E detto cheTito Livio ha tutti e' sopradetti disordini, conchiude di-cendo: «Adeo obcaecat animos fortuna, cum vim suamingruentem refringi non vult». Né può più essere veraquesta conclusione: onde gli uomini che vivono ordina-

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a fatica furono a tempo a scontrare i Franciosi sopra ilfiume di Allia, discosto a Roma dieci miglia. Quivi iTribuni posero il loro campo, sanza alcuna consueta di-ligenza; non prevedendo il luogo prima, e non si circun-dando con fossa e con isteccato, non usando alcuno ri-medio umano e divino; e nello ordinare la zuffa, fecerogli ordini radi e deboli: in modo che né i soldati né i ca-pitani fecero cosa degna della romana disciplina. Com-battessi poi sanza alcuno sangue; perché ei fuggironoprima che fussono assaltati, e la maggior parte se n'andòa Veio, l'altra si ritirò a Roma; i quali, sanza entrare al-trimenti nelle case loro, se ne entrarono in Campidoglio:in modo che il Senato, sanza pensare di difendereRoma, non chiuse, non che altro, le porte; e parte se nefuggì, parte con gli altri se ne entrarono in Campidoglio.Pure, nel difendere quello, usarono qualche ordine nontumultuario; perché ei non aggravarono quello di genteinutile; messonvi tutti i frumenti che poterono, accioc-ché potessono sopportare l'ossidione; e della turba inuti-le de' vecchi, delle donne e de' fanciugli, la maggior par-te se ne fuggì nelle terre circunvicine, il rimanente restòin Roma in preda de' Franciosi. Talché, chi avesse lettole cose fatte da quel popolo tanti anni innanzi, e leggessidipoi quelli tempi, non potrebbe a nessuno modo crede-re che fusse stato uno medesimo popolo. E detto cheTito Livio ha tutti e' sopradetti disordini, conchiude di-cendo: «Adeo obcaecat animos fortuna, cum vim suamingruentem refringi non vult». Né può più essere veraquesta conclusione: onde gli uomini che vivono ordina-

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riamente nelle grandi avversità o prosperità, meritanomanco laude o manco biasimo. Perché il più delle voltesi vedrà quelli a una rovina ed a una grandezza esserestati convinti da una commodità grande che gli hannofatto i cieli, dandogli occasione, o togliendogli, di potereoperare virtuosamente.Fa bene la fortuna questo, che la elegge uno uomo,quando la voglia condurre cose grandi, che sia di tantospirito e di tanta virtù, che ei conosca quelle occasioniche la gli porge. Così medesimamente, quando la vogliacondurre grandi rovine, ella vi prepone uomini che aiu-tino quella rovina. E se alcuno fusse che vi potesse osta-re, o la lo ammazza o la lo priva di tutte le facultà da po-tere operare alcuno bene. Conoscesi questo benissimoper questo testo, come la fortuna, per fare maggioreRoma, e condurla a quella grandezza venne, giudicòfussi necessario batterla (come a lungo nel principio delseguente libro discorrereno), ma non volle già in tuttorovinarla. E per questo si vede che la fece esulare, e nonmorire, Cammillo; fece pigliare Roma, e non il Campi-doglio; ordinò che i Romani, per riparare Roma, nonpensassono alcuna cosa buona; per difendere poi ilCampidoglio, non mancarono di alcuno buono ordine.Fece, perché Roma fusse presa, che la maggior parte de'soldati che furono rotti a Allia, se ne andorono a Veio; ecosì, per la difesa della città di Roma, tagliò tutte le vie.E nell'ordinare questo, preparò ogni cosa alla sua ricu-perazione; avendo condotto uno esercito romano intero

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riamente nelle grandi avversità o prosperità, meritanomanco laude o manco biasimo. Perché il più delle voltesi vedrà quelli a una rovina ed a una grandezza esserestati convinti da una commodità grande che gli hannofatto i cieli, dandogli occasione, o togliendogli, di potereoperare virtuosamente.Fa bene la fortuna questo, che la elegge uno uomo,quando la voglia condurre cose grandi, che sia di tantospirito e di tanta virtù, che ei conosca quelle occasioniche la gli porge. Così medesimamente, quando la vogliacondurre grandi rovine, ella vi prepone uomini che aiu-tino quella rovina. E se alcuno fusse che vi potesse osta-re, o la lo ammazza o la lo priva di tutte le facultà da po-tere operare alcuno bene. Conoscesi questo benissimoper questo testo, come la fortuna, per fare maggioreRoma, e condurla a quella grandezza venne, giudicòfussi necessario batterla (come a lungo nel principio delseguente libro discorrereno), ma non volle già in tuttorovinarla. E per questo si vede che la fece esulare, e nonmorire, Cammillo; fece pigliare Roma, e non il Campi-doglio; ordinò che i Romani, per riparare Roma, nonpensassono alcuna cosa buona; per difendere poi ilCampidoglio, non mancarono di alcuno buono ordine.Fece, perché Roma fusse presa, che la maggior parte de'soldati che furono rotti a Allia, se ne andorono a Veio; ecosì, per la difesa della città di Roma, tagliò tutte le vie.E nell'ordinare questo, preparò ogni cosa alla sua ricu-perazione; avendo condotto uno esercito romano intero

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a Veio, e Cammillo a Ardea, da potere fare grossa testa,sotto uno capitano non maculato d'alcuna ignominia perla perdita, ed intero nella sua riputazione per la recupe-razione della patria sua.Sarebbeci da addurre in confermazione delle cose dettequalche esemplo moderno; ma, per non gli giudicare ne-cessari, potendo questo a qualunque satisfare, gli lasce-reno indietro. Affermo, bene, di nuovo, questo essereverissimo, secondo che per tutte le istorie si vede, chegli uomini possono secondare la fortuna e non opporse-gli; possono tessere gli orditi suoi, e non rompergli.Debbono, bene, non si abbandonare mai; perché, nonsappiendo il fine suo, e andando quella per vie traverseed incognite, hanno sempre a sperare, e sperando non siabbandonare, in qualunque fortuna ed in qualunque tra-vaglio si truovino.

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a Veio, e Cammillo a Ardea, da potere fare grossa testa,sotto uno capitano non maculato d'alcuna ignominia perla perdita, ed intero nella sua riputazione per la recupe-razione della patria sua.Sarebbeci da addurre in confermazione delle cose dettequalche esemplo moderno; ma, per non gli giudicare ne-cessari, potendo questo a qualunque satisfare, gli lasce-reno indietro. Affermo, bene, di nuovo, questo essereverissimo, secondo che per tutte le istorie si vede, chegli uomini possono secondare la fortuna e non opporse-gli; possono tessere gli orditi suoi, e non rompergli.Debbono, bene, non si abbandonare mai; perché, nonsappiendo il fine suo, e andando quella per vie traverseed incognite, hanno sempre a sperare, e sperando non siabbandonare, in qualunque fortuna ed in qualunque tra-vaglio si truovino.

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30 Le republiche e gli principi veramente po-tenti non comperono l'amicizie con danari,

ma con la virtù e con la riputazione delle for-ze.

Erano i Romani assediati nel Campidoglio, e ancorach'eglino aspettassono il soccorso da Veio e da Cammil-lo, sendo cacciati dalla fame, vennono a composizionecon i Franciosi di ricomperarsi certa quantità d'oro; e so-pra tale convenzione pesandosi di già l'oro, sopravvenneCammillo con lo esercito suo: il che fece, dice lo istori-co, la fortuna, «ut Romani auro redempti non viverent».La quale cosa non solamente è notabile in questa parte,ma etiam nel processo delle azioni di questa Republica;dove si vede che mai acquistarono terre con danari, maifeciono pace con danari, ma sempre con la virtùdell'armi: il che non credo sia mai intervenuto a alcunaaltra republica. Ed intra gli altri segni per gli quali si co-nosce la potenza d'uno stato forte, è vedere come eglivive con gli vicini suoi. E quando ei si governa in modoche i vicini, per averlo amico, sieno suoi pensionari, al-lora è certo segno che quello stato è potente: ma quandodetti vicini, ancora che inferiori a lui, traggono da quellodanari, allora è segno grande della debolezza di quello.Legghinsi tutte le istorie romane, e vedrete come i Mas-siliensi, gli Edui, i Rodiani, Ierone siracusano, Eumenee Massinissa regi, i quali tutti erano vicini ai confini del-

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30 Le republiche e gli principi veramente po-tenti non comperono l'amicizie con danari,

ma con la virtù e con la riputazione delle for-ze.

Erano i Romani assediati nel Campidoglio, e ancorach'eglino aspettassono il soccorso da Veio e da Cammil-lo, sendo cacciati dalla fame, vennono a composizionecon i Franciosi di ricomperarsi certa quantità d'oro; e so-pra tale convenzione pesandosi di già l'oro, sopravvenneCammillo con lo esercito suo: il che fece, dice lo istori-co, la fortuna, «ut Romani auro redempti non viverent».La quale cosa non solamente è notabile in questa parte,ma etiam nel processo delle azioni di questa Republica;dove si vede che mai acquistarono terre con danari, maifeciono pace con danari, ma sempre con la virtùdell'armi: il che non credo sia mai intervenuto a alcunaaltra republica. Ed intra gli altri segni per gli quali si co-nosce la potenza d'uno stato forte, è vedere come eglivive con gli vicini suoi. E quando ei si governa in modoche i vicini, per averlo amico, sieno suoi pensionari, al-lora è certo segno che quello stato è potente: ma quandodetti vicini, ancora che inferiori a lui, traggono da quellodanari, allora è segno grande della debolezza di quello.Legghinsi tutte le istorie romane, e vedrete come i Mas-siliensi, gli Edui, i Rodiani, Ierone siracusano, Eumenee Massinissa regi, i quali tutti erano vicini ai confini del-

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lo imperio romano, per avere l'amicizia di quello con-correvono a spese ed a tributi ne' bisogni d'esso, noncercando da lui altro premio che lo essere difesi. Al con-trario si vedrà negli stati deboli: e cominciandoci dal no-stro di Firenze, ne' tempi passati, nella sua maggiore ri-putazione, non era signorotto in Romagna che non aves-si da quello provvisione; e di più la dava a' Perugini, a'Castellani, e a tutti gli altri suoi vicini. Che se questacittà fusse stata armata e gagliarda, sarebbe tutto ito peril contrario; perché molti, per avere la protezione diessa, arebbono dato danari a lei; e cerco, non di venderela loro amicizia, ma di comperare la sua. Né sono inquesta viltà vissuti soli i Fiorentini, ma i Viniziani, ed ilre di Francia, il quale, con un tanto regno, vive tributa-rio di Svizzeri, e del re d'Inghilterra. Il che tutto nascedallo avere disarmati i popoli suoi, ed avere più tostovoluto, quel re e gli altri prenominati, godersi un presen-te utile, di potere saccheggiare i popoli, e fuggire unoimmaginato più tosto che vero pericolo, che fare coseche gli assicurino, e faccino i loro stati felici in perpe-tuo. Il quale disordine, se partorisce qualche tempoqualche quiete, è cagione col tempo di necessità, di dan-ni e rovine irrimediabili. E sarebbe lungo raccontarequante volte i Fiorentini, Viniziani, e questo regno, sisono ricomperati in su le guerre, e quante volte ei sisono sottomessi a una ignominia; a che i Romani unasola volta furono per sottomettersi. Sarebbe lungo rac-contare quante terre i Fiorentini ed i Viniziani hannocomperate: di che si è veduto poi il disordine, e come le

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lo imperio romano, per avere l'amicizia di quello con-correvono a spese ed a tributi ne' bisogni d'esso, noncercando da lui altro premio che lo essere difesi. Al con-trario si vedrà negli stati deboli: e cominciandoci dal no-stro di Firenze, ne' tempi passati, nella sua maggiore ri-putazione, non era signorotto in Romagna che non aves-si da quello provvisione; e di più la dava a' Perugini, a'Castellani, e a tutti gli altri suoi vicini. Che se questacittà fusse stata armata e gagliarda, sarebbe tutto ito peril contrario; perché molti, per avere la protezione diessa, arebbono dato danari a lei; e cerco, non di venderela loro amicizia, ma di comperare la sua. Né sono inquesta viltà vissuti soli i Fiorentini, ma i Viniziani, ed ilre di Francia, il quale, con un tanto regno, vive tributa-rio di Svizzeri, e del re d'Inghilterra. Il che tutto nascedallo avere disarmati i popoli suoi, ed avere più tostovoluto, quel re e gli altri prenominati, godersi un presen-te utile, di potere saccheggiare i popoli, e fuggire unoimmaginato più tosto che vero pericolo, che fare coseche gli assicurino, e faccino i loro stati felici in perpe-tuo. Il quale disordine, se partorisce qualche tempoqualche quiete, è cagione col tempo di necessità, di dan-ni e rovine irrimediabili. E sarebbe lungo raccontarequante volte i Fiorentini, Viniziani, e questo regno, sisono ricomperati in su le guerre, e quante volte ei sisono sottomessi a una ignominia; a che i Romani unasola volta furono per sottomettersi. Sarebbe lungo rac-contare quante terre i Fiorentini ed i Viniziani hannocomperate: di che si è veduto poi il disordine, e come le

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cose che si acquistano con l'oro, non si sanno difenderecon il ferro. Osservarono i Romani questa generosità equesto modo di vivere, mentre che ei vissono liberi; mapoi che gli entrarono sotto gl'imperadori, e che gl'impe-radori cominciarono a essere cattivi, ed amare piùl'ombra che il sole, cominciarono ancora essi a ricompe-rarsi, ora dai Parti, ora dai Germani, ora da altri popoliconvicini: il che fu principio della rovina di tanto Impe-rio.Procedono, pertanto, simili inconvenienti dallo avere di-sarmati i tuoi popoli: di che ne risulta uno altro, maggio-re, che quanto il nimico più ti si appressa, tanto ti truovapiù debole. Perché chi vive ne' modi detti di sopra, trattamale quelli sudditi che sono dentro allo imperio suo, ebene quegli che sono in su i confini dello imperio suo,per avere uomini ben disposti a tenere il nimico disco-sto. Da questo nasce che, per tenerlo più discosto, ei dàprovvisione a quelli signori e popoli che sono propinquiai confini suoi. Donde nasce che questi stati così fattifanno un poco di resistenza in sui confini, ma, come ilnimico gli ha passati, ei non hanno rimedio alcuno. Enon si avveggono, come questo modo del loro procedereè contro a ogni buono ordine. Perché il cuore e le partivitali d'uno corpo si hanno a tenere armate, e non leestremità d'esso; perché sanza quelle si vive, e, offesoquesto, si muore: e questi stati tengono il cuore disarma-to, e le mani e li piedi armati.Quello che abbia fatto questo disordine a Firenze, si è

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cose che si acquistano con l'oro, non si sanno difenderecon il ferro. Osservarono i Romani questa generosità equesto modo di vivere, mentre che ei vissono liberi; mapoi che gli entrarono sotto gl'imperadori, e che gl'impe-radori cominciarono a essere cattivi, ed amare piùl'ombra che il sole, cominciarono ancora essi a ricompe-rarsi, ora dai Parti, ora dai Germani, ora da altri popoliconvicini: il che fu principio della rovina di tanto Impe-rio.Procedono, pertanto, simili inconvenienti dallo avere di-sarmati i tuoi popoli: di che ne risulta uno altro, maggio-re, che quanto il nimico più ti si appressa, tanto ti truovapiù debole. Perché chi vive ne' modi detti di sopra, trattamale quelli sudditi che sono dentro allo imperio suo, ebene quegli che sono in su i confini dello imperio suo,per avere uomini ben disposti a tenere il nimico disco-sto. Da questo nasce che, per tenerlo più discosto, ei dàprovvisione a quelli signori e popoli che sono propinquiai confini suoi. Donde nasce che questi stati così fattifanno un poco di resistenza in sui confini, ma, come ilnimico gli ha passati, ei non hanno rimedio alcuno. Enon si avveggono, come questo modo del loro procedereè contro a ogni buono ordine. Perché il cuore e le partivitali d'uno corpo si hanno a tenere armate, e non leestremità d'esso; perché sanza quelle si vive, e, offesoquesto, si muore: e questi stati tengono il cuore disarma-to, e le mani e li piedi armati.Quello che abbia fatto questo disordine a Firenze, si è

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veduto, e vedesi ogni dì: e come uno esercito passa iconfini, e che gli entra dentro propinquo al cuore, nontruova più alcuno rimedio. De' Viniziani si vide, pochianni sono, la medesima pruova; e se la loro città non erafasciata dalle acque, se ne sarebbe veduto il fine. Questaisperienza non si è vista sì spesso in Francia, per esserequello sì gran regno, ch'egli ha pochi inimici superiori:nondimanco, quando gli Inghilesi, nel 1513, assaltaronoquel regno, tremò tutta quella provincia: ed il re medesi-mo, e ciascuno altro, giudicava che una rotta sola gli po-tessi tôrre il regno e lo stato. Ai Romani interveniva ilcontrario; perché, quanto più il nimico s'appressava aRoma, tanto più trovava potente quella città a resistergli.E si vide nella venuta d'Annibale in Italia, che, dopo trerotte e dopo tante morti di capitani e di soldati, ei pote-rono, non solo sostenere il nimico, ma vincere la guerra.Tutto nacque dallo avere bene armato il cuore, e delleestremità tenere meno conto. Perché il fondamento dellostato suo era il popolo di Roma, il nome latino, le altreterre compagne in Italia, e le loro colonie; donde ei trae-vano tanti soldati, che furono sufficienti con quegli acombattere e tenere il mondo. E che sia vero, si vede perla domanda che fece Annone cartaginese a quelli oratorid'Annibale dopo la rotta di Canne, i quali avendo ma-gnificato le cose fatte da Annibale, furono domandati daAnnone, se del popolo romano alcuno era venuto a do-mandare pace, e se del nome latino e delle colonie alcu-na terra si era ribellata dai Romani; e negando queglil'una e l'altra cosa, replicò Annone: - Questa guerra è

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veduto, e vedesi ogni dì: e come uno esercito passa iconfini, e che gli entra dentro propinquo al cuore, nontruova più alcuno rimedio. De' Viniziani si vide, pochianni sono, la medesima pruova; e se la loro città non erafasciata dalle acque, se ne sarebbe veduto il fine. Questaisperienza non si è vista sì spesso in Francia, per esserequello sì gran regno, ch'egli ha pochi inimici superiori:nondimanco, quando gli Inghilesi, nel 1513, assaltaronoquel regno, tremò tutta quella provincia: ed il re medesi-mo, e ciascuno altro, giudicava che una rotta sola gli po-tessi tôrre il regno e lo stato. Ai Romani interveniva ilcontrario; perché, quanto più il nimico s'appressava aRoma, tanto più trovava potente quella città a resistergli.E si vide nella venuta d'Annibale in Italia, che, dopo trerotte e dopo tante morti di capitani e di soldati, ei pote-rono, non solo sostenere il nimico, ma vincere la guerra.Tutto nacque dallo avere bene armato il cuore, e delleestremità tenere meno conto. Perché il fondamento dellostato suo era il popolo di Roma, il nome latino, le altreterre compagne in Italia, e le loro colonie; donde ei trae-vano tanti soldati, che furono sufficienti con quegli acombattere e tenere il mondo. E che sia vero, si vede perla domanda che fece Annone cartaginese a quelli oratorid'Annibale dopo la rotta di Canne, i quali avendo ma-gnificato le cose fatte da Annibale, furono domandati daAnnone, se del popolo romano alcuno era venuto a do-mandare pace, e se del nome latino e delle colonie alcu-na terra si era ribellata dai Romani; e negando queglil'una e l'altra cosa, replicò Annone: - Questa guerra è

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ancora intera come prima -.Vedesi, pertanto, e per questo discorso, e per quello chepiù volte abbiamo altrove detto, quanta diversità sia, dalmodo del procedere delle republiche presenti, a quellodelle antiche. Vedesi ancora, per questo, ogni dì, mira-colose perdite e miracolosi acquisti. Perché, dove gli uo-mini hanno poca virtù, la fortuna mostra assai la potenzasua; e, perché la è varia, variano le republiche e gli statispesso; e varieranno sempre, infino che non surga qual-cuno che sia della antichità tanto amatore, che la regoliin modo, che la non abbia cagione di mostrare, a ognigirare di sole, quanto ella puote.

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ancora intera come prima -.Vedesi, pertanto, e per questo discorso, e per quello chepiù volte abbiamo altrove detto, quanta diversità sia, dalmodo del procedere delle republiche presenti, a quellodelle antiche. Vedesi ancora, per questo, ogni dì, mira-colose perdite e miracolosi acquisti. Perché, dove gli uo-mini hanno poca virtù, la fortuna mostra assai la potenzasua; e, perché la è varia, variano le republiche e gli statispesso; e varieranno sempre, infino che non surga qual-cuno che sia della antichità tanto amatore, che la regoliin modo, che la non abbia cagione di mostrare, a ognigirare di sole, quanto ella puote.

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31 Quanto sia pericoloso credere agli sbandi-ti.

E' non mi pare fuori di proposito ragionare, intra questialtri discorsi, quanto sia cosa pericolosa credere a quelliche sono cacciati della patria sua, essendo cose che cia-scuno dì si hanno a praticare da coloro che tengono sta-ti; potendo, massime, dimostrare questo con uno memo-rabile esemplo addotto da Tito Livio nelle sue istorie,ancora che sia fuora del presupposto suo. Quando Ales-sandro Magno passò con lo esercito suo in Asia, Ales-sandro di Epiro, cognato e zio di quello, venne con gen-te in Italia, chiamato dagli sbanditi Lucani, i quali glidettono speranza che potrebbe, mediante loro, occuparetutta quella provincia. Donde che quello, sotto la fede esperanza loro venuto in Italia fu morto da quelli, sendoloro promessa la ritornata nella patria dai loro cittadini,se lo ammazzavano. Debbesi considerare, pertanto,quanto sia vana e la fede e le promesse di quelli che sitruovano privi della loro patria. Perché, quanto alla fede,si ha a estimare che, qualunque volta e' possano per altrimezzi che per gli tuoi rientrare nella patria loro, che la-sceranno te ed accosterannosi a altri, nonostante qualun-que promesse ti avessono fatte. E quanto alle vane pro-messe e speranze, egli è tanta la voglia estrema che è inloro di ritornare in casa, che ei credono naturalmentemolte cose che sono false e molte a arte ne aggiungano:talché, tra quello che ei credono e quello che ei dicono

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31 Quanto sia pericoloso credere agli sbandi-ti.

E' non mi pare fuori di proposito ragionare, intra questialtri discorsi, quanto sia cosa pericolosa credere a quelliche sono cacciati della patria sua, essendo cose che cia-scuno dì si hanno a praticare da coloro che tengono sta-ti; potendo, massime, dimostrare questo con uno memo-rabile esemplo addotto da Tito Livio nelle sue istorie,ancora che sia fuora del presupposto suo. Quando Ales-sandro Magno passò con lo esercito suo in Asia, Ales-sandro di Epiro, cognato e zio di quello, venne con gen-te in Italia, chiamato dagli sbanditi Lucani, i quali glidettono speranza che potrebbe, mediante loro, occuparetutta quella provincia. Donde che quello, sotto la fede esperanza loro venuto in Italia fu morto da quelli, sendoloro promessa la ritornata nella patria dai loro cittadini,se lo ammazzavano. Debbesi considerare, pertanto,quanto sia vana e la fede e le promesse di quelli che sitruovano privi della loro patria. Perché, quanto alla fede,si ha a estimare che, qualunque volta e' possano per altrimezzi che per gli tuoi rientrare nella patria loro, che la-sceranno te ed accosterannosi a altri, nonostante qualun-que promesse ti avessono fatte. E quanto alle vane pro-messe e speranze, egli è tanta la voglia estrema che è inloro di ritornare in casa, che ei credono naturalmentemolte cose che sono false e molte a arte ne aggiungano:talché, tra quello che ei credono e quello che ei dicono

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di credere, ti riempiono di speranza talmente che, fonda-toti in su quella, o tu fai una spesa in vano o tu fai unaimpresa dove tu rovini.Io voglio per esemplo mi basti Alessandro predetto, e dipiù Temistocle ateniese; il quale, essendo fatto ribello,se ne fuggì in Asia a Dario; dove gli promisse tanto,quando ei volessi assaltare la Grecia, che Dario si volsealla impresa. Le quali promesse non gli potendo poi Te-mistocle osservare, o per vergogna o per tema di suppli-zio, avvelenò sé stesso. E se questo errore fu fatto da Te-mistocle, uomo eccellentissimo, si debbe stimare chetanto più vi errino coloro che, per minore virtù, si lasce-ranno più tirare dalla voglia e dalla passione loro. Deb-be, adunque, uno principe andare adagio a pigliare im-prese sopra la relazione d'uno confinato, perché il piùdelle volte se ne resta o con vergogna o con danno gra-vissimo. E perché ancora rade volte riesce il pigliare leterre di furto, e per intelligenzia che altri avesse in quel-le, non mi pare fuora di proposito discorrerne nel se-quente capitolo; aggiugnendovi con quanti modi i Ro-mani le acquistavano.

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di credere, ti riempiono di speranza talmente che, fonda-toti in su quella, o tu fai una spesa in vano o tu fai unaimpresa dove tu rovini.Io voglio per esemplo mi basti Alessandro predetto, e dipiù Temistocle ateniese; il quale, essendo fatto ribello,se ne fuggì in Asia a Dario; dove gli promisse tanto,quando ei volessi assaltare la Grecia, che Dario si volsealla impresa. Le quali promesse non gli potendo poi Te-mistocle osservare, o per vergogna o per tema di suppli-zio, avvelenò sé stesso. E se questo errore fu fatto da Te-mistocle, uomo eccellentissimo, si debbe stimare chetanto più vi errino coloro che, per minore virtù, si lasce-ranno più tirare dalla voglia e dalla passione loro. Deb-be, adunque, uno principe andare adagio a pigliare im-prese sopra la relazione d'uno confinato, perché il piùdelle volte se ne resta o con vergogna o con danno gra-vissimo. E perché ancora rade volte riesce il pigliare leterre di furto, e per intelligenzia che altri avesse in quel-le, non mi pare fuora di proposito discorrerne nel se-quente capitolo; aggiugnendovi con quanti modi i Ro-mani le acquistavano.

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32 In quanti modi i Romani occupavano leterre.

Essendo i Romani tutti volti alla guerra, fecero sempre-mai quella con ogni vantaggio, e quanto alla spesa, equanto a ogni altra cosa che in essa si ricerca. Da questonacque che si guardarono da il pigliare le terre per ossi-dione; perché giudicavano questo modo di tanta spesa edi tanto scommodo, che superassi di gran lunga la utilitàche dello acquisto si potessi trarre: e per questo pensaro-no che fosse meglio e più utile soggiogare le terre perogni altro modo che assediandole, donde in tante guerreed in tanti anni ci sono pochissimi esempli di ossidionifatte da loro. I modi, adunque, con i quali gli acquista-vano le città, erano o per espugnazione o per dedizione.La espugnazione era o per forza e violenza aperta, o perforza mescolata con fraude. La violenza aperta era o conassalto, sanza percuotere le mura (il che loro chiamava-no «aggredi urbem corona» perché con tutto lo esercitocircundavono la città, e da tutte le parti la combatteva-no); e molte volte riuscì loro che in uno assalto pigliaro-no una città, ancora che grossissima, come quando Sci-pione prese Cartagine Nuova in Ispagna; o, quando que-sto assalto non bastava, si dirizzavano a rompere lemura con arieti, o con altre loro machine belliche: o eifacevano una cava, e per quella entravano nella città(nel quale modo presono la città de' Veienti); o, per es-sere equali a quegli che difendevano le mura, facevono

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32 In quanti modi i Romani occupavano leterre.

Essendo i Romani tutti volti alla guerra, fecero sempre-mai quella con ogni vantaggio, e quanto alla spesa, equanto a ogni altra cosa che in essa si ricerca. Da questonacque che si guardarono da il pigliare le terre per ossi-dione; perché giudicavano questo modo di tanta spesa edi tanto scommodo, che superassi di gran lunga la utilitàche dello acquisto si potessi trarre: e per questo pensaro-no che fosse meglio e più utile soggiogare le terre perogni altro modo che assediandole, donde in tante guerreed in tanti anni ci sono pochissimi esempli di ossidionifatte da loro. I modi, adunque, con i quali gli acquista-vano le città, erano o per espugnazione o per dedizione.La espugnazione era o per forza e violenza aperta, o perforza mescolata con fraude. La violenza aperta era o conassalto, sanza percuotere le mura (il che loro chiamava-no «aggredi urbem corona» perché con tutto lo esercitocircundavono la città, e da tutte le parti la combatteva-no); e molte volte riuscì loro che in uno assalto pigliaro-no una città, ancora che grossissima, come quando Sci-pione prese Cartagine Nuova in Ispagna; o, quando que-sto assalto non bastava, si dirizzavano a rompere lemura con arieti, o con altre loro machine belliche: o eifacevano una cava, e per quella entravano nella città(nel quale modo presono la città de' Veienti); o, per es-sere equali a quegli che difendevano le mura, facevono

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torri di legname, o ei facevono argini di terra appoggiatialle mura di fuori, per venire all'altezza d'esse sopraquegli. Contro a questi assalti, chi difendeva la terra, nelprimo caso, circa lo essere assaltato intorno intorno,portava più subito pericolo, ed aveva più dubbi rimedi:perché, bisognandogli in ogni luogo avere assai difenso-ri, o quegli ch'egli aveva non erano tanti che potessero osopperire per tutto o cambiarsi; o, se potevano, non era-no tutti di equale animo a resistere, e da una parte chefusse inchinata la zuffa, si perdevano tutti. Però occorse,come io ho detto, che molte volte questo modo ebbe fe-lice successo. Ma quando non riusciva al primo, non loritentavono molto, per essere modo pericoloso per loesercito; perché, distendendosi in tanto spazio, restavaper tutto debole a potere resistere a una eruzione chequelli di dentro avessono fatta; ed anche si disordinava-no e straccavano i soldati; ma per una volta ed allo im-provviso tentavano tale modo. Quanto alla rottura dellemura, si opponevano, come ne' presenti tempi, con ripa-ri. E per resistere alle cave, facevano una contracava, eper quella si opponevano al nimico, o con le armi o conaltri ingegni: intra i quali era questo, che gli empievanodogli di penne, nelle quali appiccavano il fuoco, ed ac-cesi gli mettevano nella cava, i quali con il fumo e con ilpuzzo impedivano la entrata a' nimici. E se con le torregli assaltavano, s'ingegnavano con il fuoco rovinarle. Equanto agli argini di terra, rompevano il muro da basso,dove lo argine s'appoggiava, tirando dentro la terra chequegli di fuori vi ammontavano; talché, ponendosi di

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torri di legname, o ei facevono argini di terra appoggiatialle mura di fuori, per venire all'altezza d'esse sopraquegli. Contro a questi assalti, chi difendeva la terra, nelprimo caso, circa lo essere assaltato intorno intorno,portava più subito pericolo, ed aveva più dubbi rimedi:perché, bisognandogli in ogni luogo avere assai difenso-ri, o quegli ch'egli aveva non erano tanti che potessero osopperire per tutto o cambiarsi; o, se potevano, non era-no tutti di equale animo a resistere, e da una parte chefusse inchinata la zuffa, si perdevano tutti. Però occorse,come io ho detto, che molte volte questo modo ebbe fe-lice successo. Ma quando non riusciva al primo, non loritentavono molto, per essere modo pericoloso per loesercito; perché, distendendosi in tanto spazio, restavaper tutto debole a potere resistere a una eruzione chequelli di dentro avessono fatta; ed anche si disordinava-no e straccavano i soldati; ma per una volta ed allo im-provviso tentavano tale modo. Quanto alla rottura dellemura, si opponevano, come ne' presenti tempi, con ripa-ri. E per resistere alle cave, facevano una contracava, eper quella si opponevano al nimico, o con le armi o conaltri ingegni: intra i quali era questo, che gli empievanodogli di penne, nelle quali appiccavano il fuoco, ed ac-cesi gli mettevano nella cava, i quali con il fumo e con ilpuzzo impedivano la entrata a' nimici. E se con le torregli assaltavano, s'ingegnavano con il fuoco rovinarle. Equanto agli argini di terra, rompevano il muro da basso,dove lo argine s'appoggiava, tirando dentro la terra chequegli di fuori vi ammontavano; talché, ponendosi di

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fuora la terra, e levandosi di drento, veniva a non cre-scere l'argine. Questi modi di espugnare non si possonolungamente tentare: ma bisogna o levarsi da campo ocercare per altri modi vincere la guerra; come fe' Scipio-ne, quando, entrato in Africa, avendo assaltato Utica enon gli riuscendo pigliarla, si levò da campo, e cercò dirompere gli eserciti cartaginesi: ovvero volgersi alla os-sidione, come fecero a Veio, Capova, Cartagine e Ieru-salem e simili terre, che per ossidione occuparono.Quanto allo acquistare le terre per violenza furtiva, oc-corre come intervenne di Palepoli, che per trattato diquelli di dentro i Romani la occuparono. Di questa sorteespugnazioni, dai Romani e da altri ne sono state tentatemolte, e poche ne sono riuscite: la ragione è che ogniminimo impedimento rompe il disegno, e gl'impedimen-ti vengano facilmente. Perché, o la congiura si scuopreinnanzi che si venga allo atto, e scuopresi non con moltadifficultà, sì per la infedelità di coloro con chi la è com-municata, sì per la difficultà del praticarla, avendo aconvenire con i nimici, e con chi non ti è lecito, se nonsotto qualche colore, parlare. Ma quando la congiuranon si scoprisse nel maneggiarla, vi surgono poi, nelmetterla in atto, mille difficultà. Perché, o se tu vieni in-nanzi al tempo disegnato, o se tu vieni dopo, si guastaogni cosa: se si lieva uno romore fortuito, come l'ochedel Campidoglio, se si rompe un ordine consueto; ogniminimo errore, ogni minima fallacia che si piglia, rovinala impresa. Aggiungonsi a questo le tenebre della notte,le quali mettono più paura a chi travaglia in quelle cose

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fuora la terra, e levandosi di drento, veniva a non cre-scere l'argine. Questi modi di espugnare non si possonolungamente tentare: ma bisogna o levarsi da campo ocercare per altri modi vincere la guerra; come fe' Scipio-ne, quando, entrato in Africa, avendo assaltato Utica enon gli riuscendo pigliarla, si levò da campo, e cercò dirompere gli eserciti cartaginesi: ovvero volgersi alla os-sidione, come fecero a Veio, Capova, Cartagine e Ieru-salem e simili terre, che per ossidione occuparono.Quanto allo acquistare le terre per violenza furtiva, oc-corre come intervenne di Palepoli, che per trattato diquelli di dentro i Romani la occuparono. Di questa sorteespugnazioni, dai Romani e da altri ne sono state tentatemolte, e poche ne sono riuscite: la ragione è che ogniminimo impedimento rompe il disegno, e gl'impedimen-ti vengano facilmente. Perché, o la congiura si scuopreinnanzi che si venga allo atto, e scuopresi non con moltadifficultà, sì per la infedelità di coloro con chi la è com-municata, sì per la difficultà del praticarla, avendo aconvenire con i nimici, e con chi non ti è lecito, se nonsotto qualche colore, parlare. Ma quando la congiuranon si scoprisse nel maneggiarla, vi surgono poi, nelmetterla in atto, mille difficultà. Perché, o se tu vieni in-nanzi al tempo disegnato, o se tu vieni dopo, si guastaogni cosa: se si lieva uno romore fortuito, come l'ochedel Campidoglio, se si rompe un ordine consueto; ogniminimo errore, ogni minima fallacia che si piglia, rovinala impresa. Aggiungonsi a questo le tenebre della notte,le quali mettono più paura a chi travaglia in quelle cose

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pericolose. Ed essendo la maggiore parte degli uominiche si conducono a simili imprese, inesperti del sito delpaese, e de' luoghi dove ei sono menati, si confondono,inviliscono ed implicano per ogni minimo e fortuito ac-cidente, ed ogni immagine falsa è per fargli mettere involta. Né si trovò mai alcuno che fosse più felice in que-ste ispedizioni fraudolente e notturne, che Arato Sicio-neo; il quale, quanto valeva in queste, tanto nelle diurneed aperte fazioni era pusillanime: il che si può giudicarefosse più tosto per una occulta virtù che era in lui, cheperché in quelle naturalmente dovesse essere più felici-tà. Di questi modi, adunque, se ne pratica assai, pochi sene conduce alla pruova, e pochissimi ne riescono.Quanto allo acquistare le terre per dedizione, o le si dan-no volontarie, o forzate. La volontà nasce, o per qualchenecessità estrinseca che gli costringe a rifuggirtisi sotto,come fece Capova ai Romani, o per desiderio di esseregovernati bene, sendo allettati da il governo buono chequel principe tiene in coloro che se gli sono, volontari,rimessi in grembo, come fecero i Rodiani, i Massiliensied altre simile cittadi, che si dettono al Popolo romano.Quanto alla dedizione forzata, o tale forza nasce da unalunga ossidione, come di sopra è detto; o la nasce da unacontinova oppressione di scorrerie, di predazioni, ed al-tri mali trattamenti; i quali volendo fuggire, una città siarrende. Di tutti i modi detti, i Romani usarono più que-sto ultimo che nessuno; ed attesono per più che quattro-cento cinquanta anni a straccare i vicini con le rotte e

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pericolose. Ed essendo la maggiore parte degli uominiche si conducono a simili imprese, inesperti del sito delpaese, e de' luoghi dove ei sono menati, si confondono,inviliscono ed implicano per ogni minimo e fortuito ac-cidente, ed ogni immagine falsa è per fargli mettere involta. Né si trovò mai alcuno che fosse più felice in que-ste ispedizioni fraudolente e notturne, che Arato Sicio-neo; il quale, quanto valeva in queste, tanto nelle diurneed aperte fazioni era pusillanime: il che si può giudicarefosse più tosto per una occulta virtù che era in lui, cheperché in quelle naturalmente dovesse essere più felici-tà. Di questi modi, adunque, se ne pratica assai, pochi sene conduce alla pruova, e pochissimi ne riescono.Quanto allo acquistare le terre per dedizione, o le si dan-no volontarie, o forzate. La volontà nasce, o per qualchenecessità estrinseca che gli costringe a rifuggirtisi sotto,come fece Capova ai Romani, o per desiderio di esseregovernati bene, sendo allettati da il governo buono chequel principe tiene in coloro che se gli sono, volontari,rimessi in grembo, come fecero i Rodiani, i Massiliensied altre simile cittadi, che si dettono al Popolo romano.Quanto alla dedizione forzata, o tale forza nasce da unalunga ossidione, come di sopra è detto; o la nasce da unacontinova oppressione di scorrerie, di predazioni, ed al-tri mali trattamenti; i quali volendo fuggire, una città siarrende. Di tutti i modi detti, i Romani usarono più que-sto ultimo che nessuno; ed attesono per più che quattro-cento cinquanta anni a straccare i vicini con le rotte e

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con le scorrerie, e pigliare, mediante gli accordi, riputa-zione sopra di loro, come altre volte abbiamo discorso.E sopra tale modo si fondarono sempre, ancora che glitentassino tutti; ma negli altri trovarono cose o pericolo-se o inutili. Perché nella ossidione è la lunghezza e laspesa; nella espugnazione, dubbio e pericolo; nelle con-giure, la incertitudine. E viddono che con una rotta diesercito inimico acquistavano un regno in un giorno; e,nel pigliare per ossidione una città ostinata, consumava-no molti anni.

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con le scorrerie, e pigliare, mediante gli accordi, riputa-zione sopra di loro, come altre volte abbiamo discorso.E sopra tale modo si fondarono sempre, ancora che glitentassino tutti; ma negli altri trovarono cose o pericolo-se o inutili. Perché nella ossidione è la lunghezza e laspesa; nella espugnazione, dubbio e pericolo; nelle con-giure, la incertitudine. E viddono che con una rotta diesercito inimico acquistavano un regno in un giorno; e,nel pigliare per ossidione una città ostinata, consumava-no molti anni.

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33 Come i Romani davano agli loro capitanidegli eserciti le commissioni libere.

Io estimo che sia da considerare, leggendo questa livia-na istoria, volendone fare profitto, tutti e' modi del pro-cedere del Popolo e Senato romano. Ed intra le altrecose che meritano considerazione, sono: vedere conquale autorità ei mandavano fuori i loro Consoli, Ditta-tori ed altri capitani degli eserciti; de' quali si vedel'autorità essere stata grandissima, ed il Senato non si ri-servare altro che l'autorità di muovere nuove guerre e diconfirmare le paci; e tutte l'altre cose rimetteva nello ar-bitrio e potestà del Consolo. Perché, deliberata ch'eradal Popolo e dal Senato una guerra, verbigrazia contro a'Latini, tutto il resto rimettevano nello arbitrio del Con-solo, il quale poteva o fare una giornata o non la fare, ecampeggiare questa o quell'altra terra, come a lui pare-va. Le quali cose si verificano per molti esempli, e mas-sime per quello che occorse in una espedizione contro a'Toscani. Perché, avendo Fabio consolo vinto quelli pres-so a Sutri, e disegnando con lo esercito dipoi passare laselva Cimina ed andare in Toscana, non solamente nonsi consigliò col Senato, ma non gliene dette alcuna noti-zia, ancora che la guerra fusse per aversi a fare in paesenuovo, dubbio e pericoloso. Il che si testifica ancora perle deliberazioni che allo incontro di questo furono fattedal Senato: il quale avendo intesa la vittoria che Fabioaveva avuta, e dubitando che quello non pigliasse parti-

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33 Come i Romani davano agli loro capitanidegli eserciti le commissioni libere.

Io estimo che sia da considerare, leggendo questa livia-na istoria, volendone fare profitto, tutti e' modi del pro-cedere del Popolo e Senato romano. Ed intra le altrecose che meritano considerazione, sono: vedere conquale autorità ei mandavano fuori i loro Consoli, Ditta-tori ed altri capitani degli eserciti; de' quali si vedel'autorità essere stata grandissima, ed il Senato non si ri-servare altro che l'autorità di muovere nuove guerre e diconfirmare le paci; e tutte l'altre cose rimetteva nello ar-bitrio e potestà del Consolo. Perché, deliberata ch'eradal Popolo e dal Senato una guerra, verbigrazia contro a'Latini, tutto il resto rimettevano nello arbitrio del Con-solo, il quale poteva o fare una giornata o non la fare, ecampeggiare questa o quell'altra terra, come a lui pare-va. Le quali cose si verificano per molti esempli, e mas-sime per quello che occorse in una espedizione contro a'Toscani. Perché, avendo Fabio consolo vinto quelli pres-so a Sutri, e disegnando con lo esercito dipoi passare laselva Cimina ed andare in Toscana, non solamente nonsi consigliò col Senato, ma non gliene dette alcuna noti-zia, ancora che la guerra fusse per aversi a fare in paesenuovo, dubbio e pericoloso. Il che si testifica ancora perle deliberazioni che allo incontro di questo furono fattedal Senato: il quale avendo intesa la vittoria che Fabioaveva avuta, e dubitando che quello non pigliasse parti-

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to di passare per le dette selve in Toscana, giudicandoche fosse bene non tentare quella guerra e correre quelpericolo, mandò a Fabio due Legati a fargli intenderenon passasse in Toscana; i quali arrivarono ch'e' vi eragià passato, ed aveva avuta la vittoria, ed in cambio diimpeditori della guerra tornarono ambasciadori dello ac-quisto e della gloria avuta. E chi considererà bene que-sto termine, lo vedrà prudentissimamente usato; perché,se il Senato avesse voluto che un Consolo procedessinella guerra di mano in mano, secondo che quello glicommetteva, lo faceva meno circunspetto e più lento:perché non gli sarebbe paruto che la gloria della vittoriafusse tutta sua, ma che ne participasse il Senato, con elconsiglio del quale ei si fusse governato. Oltra di que-sto, il Senato si obligava a volere consigliare una cosache non se ne poteva intendere; perché, nonostante chein quello fossono tutti uomini esercitatissimi nella guer-ra nondimeno, non essendo in sul luogo e non sappiendoinfiniti particulari che sono necessari sapere, a volereconsigliare bene, arebbono, consigliando, fatti infinitierrori. E per questo ei volevano che il Consolo per sé fa-cesse, e che la gloria fosse tutta sua; lo amore della qua-le giudicavano che fusse freno e regola a farlo operarebene. Questa parte si è più volentieri notata da me, per-ché io veggo che le republiche de' presenti tempi, comeè la Viniziana e Fiorentina, la intendono altrimenti; e segli loro capitani, provveditori o commessari hanno apiantare una artiglieria, lo vogliono intendere e consi-gliare. Il quale modo merita quella laude che meritano

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to di passare per le dette selve in Toscana, giudicandoche fosse bene non tentare quella guerra e correre quelpericolo, mandò a Fabio due Legati a fargli intenderenon passasse in Toscana; i quali arrivarono ch'e' vi eragià passato, ed aveva avuta la vittoria, ed in cambio diimpeditori della guerra tornarono ambasciadori dello ac-quisto e della gloria avuta. E chi considererà bene que-sto termine, lo vedrà prudentissimamente usato; perché,se il Senato avesse voluto che un Consolo procedessinella guerra di mano in mano, secondo che quello glicommetteva, lo faceva meno circunspetto e più lento:perché non gli sarebbe paruto che la gloria della vittoriafusse tutta sua, ma che ne participasse il Senato, con elconsiglio del quale ei si fusse governato. Oltra di que-sto, il Senato si obligava a volere consigliare una cosache non se ne poteva intendere; perché, nonostante chein quello fossono tutti uomini esercitatissimi nella guer-ra nondimeno, non essendo in sul luogo e non sappiendoinfiniti particulari che sono necessari sapere, a volereconsigliare bene, arebbono, consigliando, fatti infinitierrori. E per questo ei volevano che il Consolo per sé fa-cesse, e che la gloria fosse tutta sua; lo amore della qua-le giudicavano che fusse freno e regola a farlo operarebene. Questa parte si è più volentieri notata da me, per-ché io veggo che le republiche de' presenti tempi, comeè la Viniziana e Fiorentina, la intendono altrimenti; e segli loro capitani, provveditori o commessari hanno apiantare una artiglieria, lo vogliono intendere e consi-gliare. Il quale modo merita quella laude che meritano

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gli altri, i quali tutti insieme le hanno condotte ne' termi-ni in che al presente si truovano.

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gli altri, i quali tutti insieme le hanno condotte ne' termi-ni in che al presente si truovano.

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LIBRO TERZO

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LIBRO TERZO

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1 A volere che una setta o una republica vivalungamente, è necessario ritirarla spesso ver-

so il suo principio.

Egli è cosa verissima, come tutte le cose del mondohanno il termine della vita loro; ma quelle vanno tutto ilcorso che è loro ordinato dal cielo, generalmente, chenon disordinano il corpo loro, ma tengonlo in modo or-dinato, o che non altera, o, s'egli altera, è a salute, e nona danno suo. E perché io parlo de' corpi misti, comesono le republiche e le sètte, dico che quelle alterazionisono a salute, che le riducano inverso i principii loro. Eperò quelle sono meglio ordinate, ed hanno più lungavita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rin-novare; ovvero che, per qualche accidente fuori di dettoordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è cosa piùchiara che la luce, che, non si rinnovando, questi corpinon durano. Il modo del rinnovargli, è, come è detto, ri-durgli verso e' principii suoi. Perché tutti e' principii del-le sètte, e delle republiche e de' regni, conviene che ab-biano in sé qualche bontà, mediante la quale ripiglio laprima riputazione ed il primo augumento loro. E perchénel processo del tempo quella bontà si corrompe, se noninterviene cosa che la riduca al segno, ammazza di ne-cessità quel corpo. E questi dottori di medicina dicono,parlando de' corpi degli uomini, «quod quotidie aggre-gatur aliquid, quod quandoque indiget curatione». Que-sta riduzione verso il principio, parlando delle republi-

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1 A volere che una setta o una republica vivalungamente, è necessario ritirarla spesso ver-

so il suo principio.

Egli è cosa verissima, come tutte le cose del mondohanno il termine della vita loro; ma quelle vanno tutto ilcorso che è loro ordinato dal cielo, generalmente, chenon disordinano il corpo loro, ma tengonlo in modo or-dinato, o che non altera, o, s'egli altera, è a salute, e nona danno suo. E perché io parlo de' corpi misti, comesono le republiche e le sètte, dico che quelle alterazionisono a salute, che le riducano inverso i principii loro. Eperò quelle sono meglio ordinate, ed hanno più lungavita, che mediante gli ordini suoi si possono spesso rin-novare; ovvero che, per qualche accidente fuori di dettoordine, vengono a detta rinnovazione. Ed è cosa piùchiara che la luce, che, non si rinnovando, questi corpinon durano. Il modo del rinnovargli, è, come è detto, ri-durgli verso e' principii suoi. Perché tutti e' principii del-le sètte, e delle republiche e de' regni, conviene che ab-biano in sé qualche bontà, mediante la quale ripiglio laprima riputazione ed il primo augumento loro. E perchénel processo del tempo quella bontà si corrompe, se noninterviene cosa che la riduca al segno, ammazza di ne-cessità quel corpo. E questi dottori di medicina dicono,parlando de' corpi degli uomini, «quod quotidie aggre-gatur aliquid, quod quandoque indiget curatione». Que-sta riduzione verso il principio, parlando delle republi-

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che, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza in-trinseca. Quanto al primo, si vede come egli era neces-sario che Roma fussi presa dai Franciosi, a volere che larinascesse e rinascendo ripigliasse nuova vita e nuovavirtù; e ripigliasse la osservanza della religione e dellagiustizia, le quali in lei cominciavano a macularsi. Il chebenissimo si comprende per la istoria di Livio, dove eimostra che nel trar fuori lo esercito contro ai Franciosi enel creare e' Tribuni con la potestà consolare, non osser-vorono alcuna religiosa cerimonia. Così medesimamen-te, non solamente non punirono i tre Fabii, i quali «con-tra ius gentium» avevano combattuto contro ai Francio-si, ma gli crearono Tribuni. E debbesi facilmente pre-suppore, che dell'altre constituzioni buone, ordinate daRomolo e da quegli altri principi prudenti, si comincias-se a tenere meno conto che non era ragionevole e neces-sario a mantenere il vivere libero. Venne, dunque, que-sta battitura estrinseca, acciocché tutti gli ordini di quel-la città si ripigliassono, e si mostrasse a quel popolo,non solamente essere necessario mantenere la religionee la giustizia, ma ancora stimare i suoi buoni cittadini, efare più conto della loro virtù che di quegli commodiche e' paresse loro mancare, mediante le opere loro. Ilche si vede che successe appunto; perché, subito ripresaRoma, rinnovarono tutti gli ordini dell'antica religioneloro; punirono quegli Fabii che avevano combattuto«contra ius gentium»; ed appresso tanto stimorono lavirtù e bontà di Cammillo, che posposto, il Senato e glialtri, ogni invidia, rimettevano in lui tutto il pondo di

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che, si fa o per accidente estrinseco o per prudenza in-trinseca. Quanto al primo, si vede come egli era neces-sario che Roma fussi presa dai Franciosi, a volere che larinascesse e rinascendo ripigliasse nuova vita e nuovavirtù; e ripigliasse la osservanza della religione e dellagiustizia, le quali in lei cominciavano a macularsi. Il chebenissimo si comprende per la istoria di Livio, dove eimostra che nel trar fuori lo esercito contro ai Franciosi enel creare e' Tribuni con la potestà consolare, non osser-vorono alcuna religiosa cerimonia. Così medesimamen-te, non solamente non punirono i tre Fabii, i quali «con-tra ius gentium» avevano combattuto contro ai Francio-si, ma gli crearono Tribuni. E debbesi facilmente pre-suppore, che dell'altre constituzioni buone, ordinate daRomolo e da quegli altri principi prudenti, si comincias-se a tenere meno conto che non era ragionevole e neces-sario a mantenere il vivere libero. Venne, dunque, que-sta battitura estrinseca, acciocché tutti gli ordini di quel-la città si ripigliassono, e si mostrasse a quel popolo,non solamente essere necessario mantenere la religionee la giustizia, ma ancora stimare i suoi buoni cittadini, efare più conto della loro virtù che di quegli commodiche e' paresse loro mancare, mediante le opere loro. Ilche si vede che successe appunto; perché, subito ripresaRoma, rinnovarono tutti gli ordini dell'antica religioneloro; punirono quegli Fabii che avevano combattuto«contra ius gentium»; ed appresso tanto stimorono lavirtù e bontà di Cammillo, che posposto, il Senato e glialtri, ogni invidia, rimettevano in lui tutto il pondo di

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quella republica. È necessario, adunque, come è detto,che gli uomini che vivono insieme in qualunque ordine,spesso si riconoschino, o per questi accidenti estrinsecio per gl'intrinseci. E quanto a questi, conviene che nascao da una legge, la quale spesso rivegga il conto agli uo-mini che sono in quel corpo; o veramente da uno uomobuono che nasca fra loro, il quale con i suoi esempli econ le sue opere virtuose faccia il medesimo effetto chel'ordine. Surge, adunque, questo bene nelle republiche, oper virtù d'un uomo o per virtù d'uno ordine. E quanto aquesto ultimo, gli ordini che ritirarono la Republica ro-mana verso il suo principio furono i Tribuni della plebe,i Censori, e tutte l'altre leggi che venivano controall'ambizione ed alla insolenzia degli uomini. I quali or-dini hanno bisogno di essere fatti vivi dalla virtù d'unocittadino, il quale animosamente concorre ad esequirlicontro alla potenza di quegli che gli trapassano. Dellequali esecuzioni, innanzi alla presa di Roma da' Francio-si, furono notabili, la morte de' figliuoli di Bruto, lamorte de' dieci cittadini, quella di Melio frumentario:dopo la presa di Roma, fu la morte di Manlio Capitoli-no, la morte del figliuolo di Manlio Torquato, la esecu-zione di Papirio Cursore contro a Fabio suo Maestro de'cavalieri, l'accusa degli Scipioni. Le quali cose, perchéerano eccessive e notabili, qualunque volta ne nascevauna, facevano gli uomini ritirare verso il segno: e quan-do le cominciarono ad essere più rare, cominciarono an-che a dare più spazio agli uomini di corrompersi, e farsicon maggiore pericolo e più tumulto. Perché dall'una

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quella republica. È necessario, adunque, come è detto,che gli uomini che vivono insieme in qualunque ordine,spesso si riconoschino, o per questi accidenti estrinsecio per gl'intrinseci. E quanto a questi, conviene che nascao da una legge, la quale spesso rivegga il conto agli uo-mini che sono in quel corpo; o veramente da uno uomobuono che nasca fra loro, il quale con i suoi esempli econ le sue opere virtuose faccia il medesimo effetto chel'ordine. Surge, adunque, questo bene nelle republiche, oper virtù d'un uomo o per virtù d'uno ordine. E quanto aquesto ultimo, gli ordini che ritirarono la Republica ro-mana verso il suo principio furono i Tribuni della plebe,i Censori, e tutte l'altre leggi che venivano controall'ambizione ed alla insolenzia degli uomini. I quali or-dini hanno bisogno di essere fatti vivi dalla virtù d'unocittadino, il quale animosamente concorre ad esequirlicontro alla potenza di quegli che gli trapassano. Dellequali esecuzioni, innanzi alla presa di Roma da' Francio-si, furono notabili, la morte de' figliuoli di Bruto, lamorte de' dieci cittadini, quella di Melio frumentario:dopo la presa di Roma, fu la morte di Manlio Capitoli-no, la morte del figliuolo di Manlio Torquato, la esecu-zione di Papirio Cursore contro a Fabio suo Maestro de'cavalieri, l'accusa degli Scipioni. Le quali cose, perchéerano eccessive e notabili, qualunque volta ne nascevauna, facevano gli uomini ritirare verso il segno: e quan-do le cominciarono ad essere più rare, cominciarono an-che a dare più spazio agli uomini di corrompersi, e farsicon maggiore pericolo e più tumulto. Perché dall'una

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all'altra di simili esecuzioni non vorrebbe passare, il più,dieci anni: perché, passato questo tempo, gli uomini co-minciano a variare con i costumi e trapassare le leggi; ese non nasce cosa per la quale si riduca loro a memoriala pena, e rinnuovisi negli animi loro la paura, concorro-no tosto tanti delinquenti, che non si possono più puniresanza pericolo. Dicevano, a questo proposito quegli chehanno governato lo stato di Firenze dal 1434 infino al1494, come egli era necessario ripigliare ogni cinqueanni lo stato, altrimenti, era difficile mantenerlo: e chia-mavano ripigliare lo stato, mettere quel terrore e quellapaura negli uomini che vi avevano messo nel pigliarlo,avendo in quel tempo battuti quegli che avevano, secon-do quel modo del vivere, male operato. Ma come diquella battitura la memoria si spegne, gli uomini pren-dono ardire di tentare cose nuove, e di dire male; e peròè necessario provvedervi, ritirando quello verso i suoiprincipii. Nasce ancora questo ritiramento delle republi-che verso il loro principio dalla semplice virtù d'unuomo, sanza dependere da alcuna legge che ti stimoli adalcuna esecuzione: nondimanco sono di tale riputazionee di tanto esemplo, che gli uomini buoni disiderano imi-tarle e gli cattivi si vergognano a tenere vita contraria aquelle. Quegli che in Roma particularmente fecionoquesti buoni effetti, furono Orazio Cocle, Scevola, Fa-brizio, i dua Deci, Regolo Attilio, ed alcuni altri i qualicon i loro esempli rari e virtuosi facevano in Roma qua-si il medesimo effetto che si facessino le leggi e gli ordi-ni. E se le esecuzioni soprascritte, insieme con questi

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all'altra di simili esecuzioni non vorrebbe passare, il più,dieci anni: perché, passato questo tempo, gli uomini co-minciano a variare con i costumi e trapassare le leggi; ese non nasce cosa per la quale si riduca loro a memoriala pena, e rinnuovisi negli animi loro la paura, concorro-no tosto tanti delinquenti, che non si possono più puniresanza pericolo. Dicevano, a questo proposito quegli chehanno governato lo stato di Firenze dal 1434 infino al1494, come egli era necessario ripigliare ogni cinqueanni lo stato, altrimenti, era difficile mantenerlo: e chia-mavano ripigliare lo stato, mettere quel terrore e quellapaura negli uomini che vi avevano messo nel pigliarlo,avendo in quel tempo battuti quegli che avevano, secon-do quel modo del vivere, male operato. Ma come diquella battitura la memoria si spegne, gli uomini pren-dono ardire di tentare cose nuove, e di dire male; e peròè necessario provvedervi, ritirando quello verso i suoiprincipii. Nasce ancora questo ritiramento delle republi-che verso il loro principio dalla semplice virtù d'unuomo, sanza dependere da alcuna legge che ti stimoli adalcuna esecuzione: nondimanco sono di tale riputazionee di tanto esemplo, che gli uomini buoni disiderano imi-tarle e gli cattivi si vergognano a tenere vita contraria aquelle. Quegli che in Roma particularmente fecionoquesti buoni effetti, furono Orazio Cocle, Scevola, Fa-brizio, i dua Deci, Regolo Attilio, ed alcuni altri i qualicon i loro esempli rari e virtuosi facevano in Roma qua-si il medesimo effetto che si facessino le leggi e gli ordi-ni. E se le esecuzioni soprascritte, insieme con questi

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particulari esempli, fossono almeno seguite ogni diecianni in quella città, ne seguiva di necessità che la non sisarebbe mai corrotta: ma come ei cominciorono a dira-dare l'una e l'altra di queste due cose, cominciarono amultiplicare le corrozioni. Perché dopo Marco Regolonon vi si vide alcuno simile esemplo: e benché in Romasurgessono i due Catoni, fu tanta distanza da quello aloro, ed intra loro dall'uno all'altro, e rimasono sì soli,che non potettono con gli esempli buoni fare alcunabuona opera; e massime l'ultimo Catone, il quale, tro-vando in buona parte la città corrotta, non potette con loesemplo suo fare che i cittadini diventassino migliori. Equesto basti quanto alle republiche.Ma quanto alle sètte, si vede ancora queste rinnovazioniessere necessarie, per lo esemplo della nostra religione,la quale, se non fossi stata ritirata verso il suo principioda Santo Francesco e da Santo Domenico sarebbe al tut-to spenta. Perché questi, con la povertà e con lo esemplodella vita di Cristo, la ridussono nella mente degli uomi-ni, che già vi era spenta: e furono sì potenti gli ordiniloro nuovi, che ei sono cagione che la disonestà de' pre-lati e de' capi della religione non la rovinino; vivendoancora poveramente, ed avendo tanto credito nelle con-fessioni con i popoli e nelle predicazioni, che ci dànnoloro a intendere come egli è male dir male del male, eche sia bene vivere sotto la obedienza loro, e, se fannoerrore, lasciargli gastigare a Dio: e così quegli fanno ilpeggio che possono, perché non temono quella punizio-

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particulari esempli, fossono almeno seguite ogni diecianni in quella città, ne seguiva di necessità che la non sisarebbe mai corrotta: ma come ei cominciorono a dira-dare l'una e l'altra di queste due cose, cominciarono amultiplicare le corrozioni. Perché dopo Marco Regolonon vi si vide alcuno simile esemplo: e benché in Romasurgessono i due Catoni, fu tanta distanza da quello aloro, ed intra loro dall'uno all'altro, e rimasono sì soli,che non potettono con gli esempli buoni fare alcunabuona opera; e massime l'ultimo Catone, il quale, tro-vando in buona parte la città corrotta, non potette con loesemplo suo fare che i cittadini diventassino migliori. Equesto basti quanto alle republiche.Ma quanto alle sètte, si vede ancora queste rinnovazioniessere necessarie, per lo esemplo della nostra religione,la quale, se non fossi stata ritirata verso il suo principioda Santo Francesco e da Santo Domenico sarebbe al tut-to spenta. Perché questi, con la povertà e con lo esemplodella vita di Cristo, la ridussono nella mente degli uomi-ni, che già vi era spenta: e furono sì potenti gli ordiniloro nuovi, che ei sono cagione che la disonestà de' pre-lati e de' capi della religione non la rovinino; vivendoancora poveramente, ed avendo tanto credito nelle con-fessioni con i popoli e nelle predicazioni, che ci dànnoloro a intendere come egli è male dir male del male, eche sia bene vivere sotto la obedienza loro, e, se fannoerrore, lasciargli gastigare a Dio: e così quegli fanno ilpeggio che possono, perché non temono quella punizio-

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ne che non veggono e non credono. Ha, adunque, questarinnovazione mantenuto, e mantiene, questa religione.Hanno ancora i regni bisogno di rinnovarsi, e ridurre leleggi di quegli verso i suoi principii. E si vede quantobuono effetto fa questa parte nel regno di Francia; ilquale regno vive sotto le leggi e sotto gli ordini più chealcuno altro regno. Delle quali leggi ed ordini ne sonomantenitori i parlamenti, e massime quel di Parigi; lequali sono da lui rinnovate qualunque volta ei fa unaesecuzione contro ad un principe di quel regno, e che eicondanna il Re nelle sue sentenze. Ed infino a qui si èmantenuto per essere stato uno ostinato esecutore controa quella Nobilità: ma qualunque volta ei ne lasciassi al-cuna impunita, e che le venissono a multiplicare, sanzadubbio ne nascerebbe o che le si arebbono a correggerecon disordine grande, o che quel regno si risolverebbe.Conchiudesi, pertanto, non essere cosa più necessaria inuno vivere comune, o setta o regno o republica che sia,che rendergli quella riputazione ch'egli aveva ne' princi-pii suoi; ed ingegnarsi che siano o gli ordini buoni o ibuoni uomini che facciano questo effetto, e non lo abbiaa fare una forza estrinseca. Perché, ancora che qualchevolta la sia ottimo rimedio, come fu a Roma, ella è tantopericolosa, che non è in modo alcuno da disiderarla. Eper dimostrare a qualunque, quanto le azioni degli uo-mini particulari facessono grande Roma, e causassino inquella città molti buoni effetti, verrò alla narrazione ediscorso di quegli: intra e' termini de' quali questo terzo

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ne che non veggono e non credono. Ha, adunque, questarinnovazione mantenuto, e mantiene, questa religione.Hanno ancora i regni bisogno di rinnovarsi, e ridurre leleggi di quegli verso i suoi principii. E si vede quantobuono effetto fa questa parte nel regno di Francia; ilquale regno vive sotto le leggi e sotto gli ordini più chealcuno altro regno. Delle quali leggi ed ordini ne sonomantenitori i parlamenti, e massime quel di Parigi; lequali sono da lui rinnovate qualunque volta ei fa unaesecuzione contro ad un principe di quel regno, e che eicondanna il Re nelle sue sentenze. Ed infino a qui si èmantenuto per essere stato uno ostinato esecutore controa quella Nobilità: ma qualunque volta ei ne lasciassi al-cuna impunita, e che le venissono a multiplicare, sanzadubbio ne nascerebbe o che le si arebbono a correggerecon disordine grande, o che quel regno si risolverebbe.Conchiudesi, pertanto, non essere cosa più necessaria inuno vivere comune, o setta o regno o republica che sia,che rendergli quella riputazione ch'egli aveva ne' princi-pii suoi; ed ingegnarsi che siano o gli ordini buoni o ibuoni uomini che facciano questo effetto, e non lo abbiaa fare una forza estrinseca. Perché, ancora che qualchevolta la sia ottimo rimedio, come fu a Roma, ella è tantopericolosa, che non è in modo alcuno da disiderarla. Eper dimostrare a qualunque, quanto le azioni degli uo-mini particulari facessono grande Roma, e causassino inquella città molti buoni effetti, verrò alla narrazione ediscorso di quegli: intra e' termini de' quali questo terzo

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libro, ed ultima parte di questa prima Deca, si conclude-rà. E benché le azioni degli re fossono grandi e notabilinondimeno, dichiarandole la istoria diffusamente, le la-scerò indietro; né parlereno altrimenti di loro, eccettoche di alcuna cosa che avessono operata appartenentealli loro privati commodi; e comincerenci da Bruto, pa-dre della romana libertà.

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libro, ed ultima parte di questa prima Deca, si conclude-rà. E benché le azioni degli re fossono grandi e notabilinondimeno, dichiarandole la istoria diffusamente, le la-scerò indietro; né parlereno altrimenti di loro, eccettoche di alcuna cosa che avessono operata appartenentealli loro privati commodi; e comincerenci da Bruto, pa-dre della romana libertà.

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2 Come egli è cosa sapientissima simulare intempo la pazzia.

Non fu alcuno mai tanto prudente, né tanto estimato sa-vio per alcuna sua egregia operazione, quanto meritad'esser tenuto Iunio Bruto nella sua simulazione dellastultizia. Ed ancora che Tito Livio non esprima altro cheuna cagione che lo inducesse a tale simulazione, qualefu di potere più sicuramente vivere e mantenere il patri-monio suo; nondimanco, considerato il suo modo diprocedere, si può credere che simulasse ancora questoper essere manco osservato, ed avere più commodità diopprimere i Re e di liberare la sua patria, qualunque vol-ta gliele fosse data occasione. E, che pensassi a questo,si vide, prima, nello interpetrare l'oracolo d'Apolline,quando simulò cadere per baciare la terra, giudicandoper quello avere favorevole gl'Iddii a' pensieri suoi; e di-poi, quando, sopra la morta Lucrezia, intra 'l padre ed ilmarito ed altri parenti di lei, ei fu il primo a trarle il col-tello della ferita, e fare giurare ai circustanti, che maisopporterebbono che, per lo avvenire, alcuno regnassein Roma. Dallo esemplo di costui hanno ad impararetutti coloro che sono male contenti d'uno principe: edebbono prima misurare e prima pesare le forze loro; e,se sono sì potenti che possino scoprirsi suoi inimici efargli apertamente guerra, debbono entrare per questavia, come manco pericolosa e più onorevole. Ma sesono di qualità che a fargli guerra aperta le forze loro

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2 Come egli è cosa sapientissima simulare intempo la pazzia.

Non fu alcuno mai tanto prudente, né tanto estimato sa-vio per alcuna sua egregia operazione, quanto meritad'esser tenuto Iunio Bruto nella sua simulazione dellastultizia. Ed ancora che Tito Livio non esprima altro cheuna cagione che lo inducesse a tale simulazione, qualefu di potere più sicuramente vivere e mantenere il patri-monio suo; nondimanco, considerato il suo modo diprocedere, si può credere che simulasse ancora questoper essere manco osservato, ed avere più commodità diopprimere i Re e di liberare la sua patria, qualunque vol-ta gliele fosse data occasione. E, che pensassi a questo,si vide, prima, nello interpetrare l'oracolo d'Apolline,quando simulò cadere per baciare la terra, giudicandoper quello avere favorevole gl'Iddii a' pensieri suoi; e di-poi, quando, sopra la morta Lucrezia, intra 'l padre ed ilmarito ed altri parenti di lei, ei fu il primo a trarle il col-tello della ferita, e fare giurare ai circustanti, che maisopporterebbono che, per lo avvenire, alcuno regnassein Roma. Dallo esemplo di costui hanno ad impararetutti coloro che sono male contenti d'uno principe: edebbono prima misurare e prima pesare le forze loro; e,se sono sì potenti che possino scoprirsi suoi inimici efargli apertamente guerra, debbono entrare per questavia, come manco pericolosa e più onorevole. Ma sesono di qualità che a fargli guerra aperta le forze loro

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non bastino, debbono con ogni industria cercare di far-segli amici: ed a questo effetto, entrare per tutte quellevie che giudicano essere necessarie, seguendo i piàcitisuoi, e pigliando dilettazione di tutte quelle cose cheveggono quello dilettarsi. Questa dimestichezza, prima,ti fa vivere sicuro; e, sanza portare alcuno pericolo, ti fagodere la buona fortuna di quel principe insieme conesso lui, e ti arreca ogni comodità di sodisfare allo ani-mo tuo. Vero è che alcuni dicono che si vorrebbe con gliprincipi non stare sì presso che la rovina loro ti coprisse,né sì discosto che, rovinando quegli, tu non fosse a tem-po a salire sopra la rovina loro: la quale via del mezzosarebbe la più vera, quando si potesse osservare; maperché io credo che sia impossibile, conviene ridursi a'duoi modi soprascritti, cioè o di allargarsi o di stringersicon loro. Chi fa altrimenti, e sia uomo, per la qualitàsua, notabile, vive in continovo pericolo. Né basta dire:- Io non mi curo di alcuna cosa, non disidero né onori néutili, io mi voglio vivere quietamente e sanza briga! -perché queste scuse sono udite e non accettate: né pos-sono gli uomini che hanno qualità, eleggere lo starsi,quando bene lo eleggessono veramente e sanza alcunaambizione, perché non è loro creduto; talché, se si vo-gliono stare loro, non sono lasciati stare da altri. Con-viene adunque fare il pazzo, come Bruto; ed assai si fa ilmatto, laudando, parlando, veggendo, faccendo cosecontro allo animo tuo, per compiacere al principe. Epoiché noi abbiamo parlato della prudenza di questouomo per ricuperare la libertà a Roma, parlereno ora

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non bastino, debbono con ogni industria cercare di far-segli amici: ed a questo effetto, entrare per tutte quellevie che giudicano essere necessarie, seguendo i piàcitisuoi, e pigliando dilettazione di tutte quelle cose cheveggono quello dilettarsi. Questa dimestichezza, prima,ti fa vivere sicuro; e, sanza portare alcuno pericolo, ti fagodere la buona fortuna di quel principe insieme conesso lui, e ti arreca ogni comodità di sodisfare allo ani-mo tuo. Vero è che alcuni dicono che si vorrebbe con gliprincipi non stare sì presso che la rovina loro ti coprisse,né sì discosto che, rovinando quegli, tu non fosse a tem-po a salire sopra la rovina loro: la quale via del mezzosarebbe la più vera, quando si potesse osservare; maperché io credo che sia impossibile, conviene ridursi a'duoi modi soprascritti, cioè o di allargarsi o di stringersicon loro. Chi fa altrimenti, e sia uomo, per la qualitàsua, notabile, vive in continovo pericolo. Né basta dire:- Io non mi curo di alcuna cosa, non disidero né onori néutili, io mi voglio vivere quietamente e sanza briga! -perché queste scuse sono udite e non accettate: né pos-sono gli uomini che hanno qualità, eleggere lo starsi,quando bene lo eleggessono veramente e sanza alcunaambizione, perché non è loro creduto; talché, se si vo-gliono stare loro, non sono lasciati stare da altri. Con-viene adunque fare il pazzo, come Bruto; ed assai si fa ilmatto, laudando, parlando, veggendo, faccendo cosecontro allo animo tuo, per compiacere al principe. Epoiché noi abbiamo parlato della prudenza di questouomo per ricuperare la libertà a Roma, parlereno ora

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della sua severità nel mantenerla.

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della sua severità nel mantenerla.

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3 Come egli è necessario, a volere mantenereuna libertà acquistata di nuovo, ammazzare i

figliuoli di Bruto.

Non fu meno necessaria che utile la severità di Bruto nelmantenere in Roma quella libertà che elli vi aveva ac-quistata; la quale è di uno esemplo raro in tutte le me-morie delle cose: vedere il padre sedere pro tribunali, enon solamente condennare i suoi figliuoli a morte maessere presente alla morte loro. E sempre si conosceràquesto per coloro che le cose antiche leggeranno: come,dopo una mutazione di stato, o da republica in tirannideo da tirannide in republica è necessaria una esecuzionememorabile contro a' nimici delle condizioni presenti. Echi piglia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fauno stato libero e non ammazza i figliuoli di Bruto, simantiene poco tempo. E perché di sopra è discorso que-sto luogo largamente, mi rimetto a quello che allora sene disse: solo ci addurrò uno esemplo, stato, ne' dì nostrie nella nostra patria, memorabile. E questo è Piero So-derini, il quale si credeva superare con la pazienza ebontà sua quello appetito che era ne' figliuoli di Bruto,di ritornare sotto un altro governo e se ne ingannò. Ebenché quello, per la sua prudenza, conoscesse questanecessità; e che la sorte e l'ambizione di quelli che lo ur-tavano, gli dessi occasione a spegnerli; nondimeno nonvolse mai l'animo a farlo. Perché, oltre al credere di po-tere con la pazienza e con la bontà estinguere i mali

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3 Come egli è necessario, a volere mantenereuna libertà acquistata di nuovo, ammazzare i

figliuoli di Bruto.

Non fu meno necessaria che utile la severità di Bruto nelmantenere in Roma quella libertà che elli vi aveva ac-quistata; la quale è di uno esemplo raro in tutte le me-morie delle cose: vedere il padre sedere pro tribunali, enon solamente condennare i suoi figliuoli a morte maessere presente alla morte loro. E sempre si conosceràquesto per coloro che le cose antiche leggeranno: come,dopo una mutazione di stato, o da republica in tirannideo da tirannide in republica è necessaria una esecuzionememorabile contro a' nimici delle condizioni presenti. Echi piglia una tirannide e non ammazza Bruto, e chi fauno stato libero e non ammazza i figliuoli di Bruto, simantiene poco tempo. E perché di sopra è discorso que-sto luogo largamente, mi rimetto a quello che allora sene disse: solo ci addurrò uno esemplo, stato, ne' dì nostrie nella nostra patria, memorabile. E questo è Piero So-derini, il quale si credeva superare con la pazienza ebontà sua quello appetito che era ne' figliuoli di Bruto,di ritornare sotto un altro governo e se ne ingannò. Ebenché quello, per la sua prudenza, conoscesse questanecessità; e che la sorte e l'ambizione di quelli che lo ur-tavano, gli dessi occasione a spegnerli; nondimeno nonvolse mai l'animo a farlo. Perché, oltre al credere di po-tere con la pazienza e con la bontà estinguere i mali

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omori, e con i premii verso qualcuno consummare qual-che sua inimicizia; giudicava (e molte volte ne fece congli amici fede) che, a volere gagliardamente urtare lesue opposizioni, e battere suoi avversari, gli bisognavapigliare istraordinaria autorità, e rompere con le leggi lacivile equalità: la quale cosa, ancora che dipoi non fosseda lui usata tirannicamente, arebbe tanto sbigottito l'uni-versale, che non sarebbe mai poi concorso, dopo la mor-te di quello, a rifare un gonfalonieri a vita; il quale ordi-ne elli giudicava fosse bene augumentare e mantenere.Il quale rispetto era savio e buono: nondimeno, e' non sidebbe mai lasciare scorrere un male, rispetto ad unobene, quando quel bene facilmente possa essere, da quelmale, oppressato. E doveva credere che, avendosi a giu-dicare l'opere sue e la intenzione sua dal fine, quando lafortuna e la vita l'avessi accompagnato, che poteva certi-ficare ciascuno, come, quello l'aveva fatto, era per salutedella patria, e non per ambizione sua; e poteva regolarele cose in modo, che uno suo successore non potessefare per male quello che elli avessi fatto per bene. Ma loingannò la prima opinione, non conoscendo che la mali-gnità non è doma da tempo né placata da alcuno dono.Tanto che, per non sapere somigliare Bruto, e' perdé, in-sieme con la patria sua, lo stato e la riputazione. E comeegli è cosa difficile salvare uno stato libero, così è diffi-cile salvarne uno regio; come nel sequente capitolo simosterrà.

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omori, e con i premii verso qualcuno consummare qual-che sua inimicizia; giudicava (e molte volte ne fece congli amici fede) che, a volere gagliardamente urtare lesue opposizioni, e battere suoi avversari, gli bisognavapigliare istraordinaria autorità, e rompere con le leggi lacivile equalità: la quale cosa, ancora che dipoi non fosseda lui usata tirannicamente, arebbe tanto sbigottito l'uni-versale, che non sarebbe mai poi concorso, dopo la mor-te di quello, a rifare un gonfalonieri a vita; il quale ordi-ne elli giudicava fosse bene augumentare e mantenere.Il quale rispetto era savio e buono: nondimeno, e' non sidebbe mai lasciare scorrere un male, rispetto ad unobene, quando quel bene facilmente possa essere, da quelmale, oppressato. E doveva credere che, avendosi a giu-dicare l'opere sue e la intenzione sua dal fine, quando lafortuna e la vita l'avessi accompagnato, che poteva certi-ficare ciascuno, come, quello l'aveva fatto, era per salutedella patria, e non per ambizione sua; e poteva regolarele cose in modo, che uno suo successore non potessefare per male quello che elli avessi fatto per bene. Ma loingannò la prima opinione, non conoscendo che la mali-gnità non è doma da tempo né placata da alcuno dono.Tanto che, per non sapere somigliare Bruto, e' perdé, in-sieme con la patria sua, lo stato e la riputazione. E comeegli è cosa difficile salvare uno stato libero, così è diffi-cile salvarne uno regio; come nel sequente capitolo simosterrà.

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4 Non vive sicuro uno principe in uno princi-pato, mentre vivono coloro che ne sono stati

spogliati.

La morte di Tarquinio Prisco causata dai figliuoli diAnco, e la morte di Servio Tullo causata da TarquinioSuperbo, mostra quanto difficil sia, e pericoloso, spo-gliare uno del regno, e quello lasciare vivo, ancora checercassi con merito guadagnarselo. E vedesi come Tar-quinio Prisco fu ingannato da parergli possedere quel re-gno giuridicamente, essendogli stato dato dal Popolo econfermato dal Senato: né credette che ne' figliuoli diAnco potesse tanto lo sdegno, che non avessono a con-tentarsi di quello che si contentava tutta Roma. E ServioTullo s'ingannò, credendo potere con nuovi meriti gua-dagnarsi i figliuoli di Tarquinio. Dimodoché, quanto alprimo, si può avvertire ogni principe, che non viva maisicuro del suo principato, finché vivono coloro che nesono stati spogliati. Quanto al secondo, si può ricordaread ogni potente, che mai le ingiurie vecchie furono can-cellate da' beneficii nuovi; e, tanto meno, quanto il be-neficio nuovo è minore che non è stata la ingiuria. Esanza dubbio, Servio Tullo fu poco prudente a credereche i figliuoli di Tarquinio fussono pazienti ad esseregeneri di colui di chi e' giudicavano dovere essere re. Equesto appitito del regnare è tanto grande, che non sola-mente entra ne' petti di coloro a chi si aspetta il regno,ma di quelli a chi e' non si aspetta: come fu nella moglie

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4 Non vive sicuro uno principe in uno princi-pato, mentre vivono coloro che ne sono stati

spogliati.

La morte di Tarquinio Prisco causata dai figliuoli diAnco, e la morte di Servio Tullo causata da TarquinioSuperbo, mostra quanto difficil sia, e pericoloso, spo-gliare uno del regno, e quello lasciare vivo, ancora checercassi con merito guadagnarselo. E vedesi come Tar-quinio Prisco fu ingannato da parergli possedere quel re-gno giuridicamente, essendogli stato dato dal Popolo econfermato dal Senato: né credette che ne' figliuoli diAnco potesse tanto lo sdegno, che non avessono a con-tentarsi di quello che si contentava tutta Roma. E ServioTullo s'ingannò, credendo potere con nuovi meriti gua-dagnarsi i figliuoli di Tarquinio. Dimodoché, quanto alprimo, si può avvertire ogni principe, che non viva maisicuro del suo principato, finché vivono coloro che nesono stati spogliati. Quanto al secondo, si può ricordaread ogni potente, che mai le ingiurie vecchie furono can-cellate da' beneficii nuovi; e, tanto meno, quanto il be-neficio nuovo è minore che non è stata la ingiuria. Esanza dubbio, Servio Tullo fu poco prudente a credereche i figliuoli di Tarquinio fussono pazienti ad esseregeneri di colui di chi e' giudicavano dovere essere re. Equesto appitito del regnare è tanto grande, che non sola-mente entra ne' petti di coloro a chi si aspetta il regno,ma di quelli a chi e' non si aspetta: come fu nella moglie

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di Tarquinio, giovane, figliuola di Servio; la quale, mos-sa da questa rabbia, contro ogni piatà paterna, mosse ilmarito contro al padre a torgli la vita ed il regno: tantostimava più essere regina che figliuola di re. Se, adun-que, Tarquinio Prisco e Servio Tullo, perderono il regnoper non si sapere assicurare di coloro a chi ei lo avevanousurpato, Tarquinio Superbo lo perdé per non osservaregli ordini degli antichi re: come nel sequente capitolo simosterrà.

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di Tarquinio, giovane, figliuola di Servio; la quale, mos-sa da questa rabbia, contro ogni piatà paterna, mosse ilmarito contro al padre a torgli la vita ed il regno: tantostimava più essere regina che figliuola di re. Se, adun-que, Tarquinio Prisco e Servio Tullo, perderono il regnoper non si sapere assicurare di coloro a chi ei lo avevanousurpato, Tarquinio Superbo lo perdé per non osservaregli ordini degli antichi re: come nel sequente capitolo simosterrà.

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5 Quello che fa perdere uno regno ad uno reche sia, di quello, ereditario.

Avendo Tarquinio Superbo morto Servio Tullo, e di luinon rimanendo eredi, veniva a possedere il regno sicura-mente, non avendo a temere di quelle cose che avevanooffeso i suoi antecessori. E, benché il modo dell'occupa-re il regno fosse stato istraordinario ed odioso, nondime-no quando elli avesse osservato gli antichi ordini dellialtri re, sarebbe stato comportato, né si sarebbe concita-to il Senato e la plebe contro di lui per torgli lo stato.Non fu, adunque, cacciato costui per avere Sesto suo fi-gliuolo stuprata Lucrezia, ma per avere rotte le leggi delregno, e governatolo tirannicamente; avendo tolto al Se-nato ogni autorità, e ridottola a sé proprio; e quelle fac-cende che ne' luoghi publici con sodisfazione del Senatoromano si facevano, le ridusse a fare nel palazzo suo,con carico ed invidia sua; talché in breve tempo gli spo-liò Roma di tutta quella libertà ch'ella aveva sotto gli al-tri re mantenuta. Né gli bastò farsi inimici i Padri, che siconcitò ancora, contro, la Plebe, affaticandola in cosemecaniche e tutte aliene da quello a che gli avevanoadoperati i suoi antecessori: talché, avendo ripienaRoma di esempli crudeli e superbi, aveva disposto giàgli animi di tutti i Romani alla ribellione, qualunquevolta ne avessono occasione. E, se lo accidente di Lu-crezia non fosse venuto, come prima ne fosse nato unaltro, arebbe partorito il medesimo effetto. Perché se

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5 Quello che fa perdere uno regno ad uno reche sia, di quello, ereditario.

Avendo Tarquinio Superbo morto Servio Tullo, e di luinon rimanendo eredi, veniva a possedere il regno sicura-mente, non avendo a temere di quelle cose che avevanooffeso i suoi antecessori. E, benché il modo dell'occupa-re il regno fosse stato istraordinario ed odioso, nondime-no quando elli avesse osservato gli antichi ordini dellialtri re, sarebbe stato comportato, né si sarebbe concita-to il Senato e la plebe contro di lui per torgli lo stato.Non fu, adunque, cacciato costui per avere Sesto suo fi-gliuolo stuprata Lucrezia, ma per avere rotte le leggi delregno, e governatolo tirannicamente; avendo tolto al Se-nato ogni autorità, e ridottola a sé proprio; e quelle fac-cende che ne' luoghi publici con sodisfazione del Senatoromano si facevano, le ridusse a fare nel palazzo suo,con carico ed invidia sua; talché in breve tempo gli spo-liò Roma di tutta quella libertà ch'ella aveva sotto gli al-tri re mantenuta. Né gli bastò farsi inimici i Padri, che siconcitò ancora, contro, la Plebe, affaticandola in cosemecaniche e tutte aliene da quello a che gli avevanoadoperati i suoi antecessori: talché, avendo ripienaRoma di esempli crudeli e superbi, aveva disposto giàgli animi di tutti i Romani alla ribellione, qualunquevolta ne avessono occasione. E, se lo accidente di Lu-crezia non fosse venuto, come prima ne fosse nato unaltro, arebbe partorito il medesimo effetto. Perché se

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Tarquinio fosse vissuto come gli altri re, e Sesto suo fi-gliuolo avessi fatto quello errore, sarebbono Bruto eCollatino ricorsi a Tarquinio, per la vendetta contro aSesto, e non al Popolo romano. Sappino adunque i prin-cipi, come a quella ora ei cominciano a perdere lo statoche cominciano a rompere le leggi, e quelli modi e quel-le consuetudini che sono antiche, e sotto le quali lungotempo gli uomini sono vivuti. E se, privati che ei sonodello stato, ei diventassono mai tanto prudenti che ei co-noscessono con quanta facilità i principati si tenghino dacoloro che saviamente si consigliano, dorrebbe moltopiù loro tale perdita, ed a maggiore pena si condanne-rebbono, che da altri fossono condannati. Perché egli èmolto più facile essere amato dai buoni che dai cattivi,ed ubidire alle leggi che volere comandare loro. E vo-lendo intendere il modo avessono a tenere a fare questo,non hanno a durare altra fatica che pigliare per lorospecchio la vita de' principi buoni, come sarebbe Timo-leone Corintio, Arato Sicioneo, e simili: nella vita deiquali ei troveria tanta sicurtà e tanta sodisfazione di chiregge e di chi è retto, che doverrebbe venirgli voglia diimitargli, potendo facilmente, per le ragioni dette, farlo.Perché gli uomini, quando sono governati bene, non cer-cono né vogliono altra libertà: come intervenne a' popoligovernati dai dua prenominati; che gli costrinsono adessere principi mentre che vissono, ancora che da queglipiù volte fosse tentato di ridursi in vita privata. E perchéin questo, e ne' due antecedenti capitoli, si è ragionatodegli omori concitati contro a' principi, e delle congiure

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Tarquinio fosse vissuto come gli altri re, e Sesto suo fi-gliuolo avessi fatto quello errore, sarebbono Bruto eCollatino ricorsi a Tarquinio, per la vendetta contro aSesto, e non al Popolo romano. Sappino adunque i prin-cipi, come a quella ora ei cominciano a perdere lo statoche cominciano a rompere le leggi, e quelli modi e quel-le consuetudini che sono antiche, e sotto le quali lungotempo gli uomini sono vivuti. E se, privati che ei sonodello stato, ei diventassono mai tanto prudenti che ei co-noscessono con quanta facilità i principati si tenghino dacoloro che saviamente si consigliano, dorrebbe moltopiù loro tale perdita, ed a maggiore pena si condanne-rebbono, che da altri fossono condannati. Perché egli èmolto più facile essere amato dai buoni che dai cattivi,ed ubidire alle leggi che volere comandare loro. E vo-lendo intendere il modo avessono a tenere a fare questo,non hanno a durare altra fatica che pigliare per lorospecchio la vita de' principi buoni, come sarebbe Timo-leone Corintio, Arato Sicioneo, e simili: nella vita deiquali ei troveria tanta sicurtà e tanta sodisfazione di chiregge e di chi è retto, che doverrebbe venirgli voglia diimitargli, potendo facilmente, per le ragioni dette, farlo.Perché gli uomini, quando sono governati bene, non cer-cono né vogliono altra libertà: come intervenne a' popoligovernati dai dua prenominati; che gli costrinsono adessere principi mentre che vissono, ancora che da queglipiù volte fosse tentato di ridursi in vita privata. E perchéin questo, e ne' due antecedenti capitoli, si è ragionatodegli omori concitati contro a' principi, e delle congiure

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fatte da' figliuoli di Bruto contro alla patria, e di quellefatte contro a Tarquinio Prisco ed a Servio Tullo; non mipare cosa fuor di proposito, nel sequente capitolo, par-larne diffusamente, sendo materia degna d'essere notatada' principi e da' privati.

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fatte da' figliuoli di Bruto contro alla patria, e di quellefatte contro a Tarquinio Prisco ed a Servio Tullo; non mipare cosa fuor di proposito, nel sequente capitolo, par-larne diffusamente, sendo materia degna d'essere notatada' principi e da' privati.

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6 Delle congiure.

Ei non mi è parso da lasciare indietro il ragionare dellecongiure, essendo cosa tanto pericolosa ai principi ed aiprivati; perché si vede per quelle molti più principi ave-re perduta la vita e lo stato, che per guerra aperta. Per-ché il poter fare aperta guerra ad uno principe, è conce-duto a pochi: il poterli congiurare contro, è concesso aciascuno. Dall'altra parte, gli uomini privati non entranoin impresa più pericolosa né più temeraria di questa;perché la è difficile e pericolosissima in ogni sua parte.Donde ne nasce che molte se ne tentino, e pochissimehanno il fine desiderato. Acciocché, adunque, i principiimparino a guardarsi da questi pericoli, e che i privatipiù timidamente vi si mettino, anzi imparino ad esserecontenti a vivere sotto quello imperio che dalla sorte èstato loro proposto; io ne parlerò diffusamente, non la-sciando indietro alcuno caso notabile in documentodell'uno e dell'altro. E veramente, quella sentenzia diCornelio Tacito è aurea, che dice: che gli uomini hannoad onorare le cose passate e ad ubbidire alle presenti; edebbono desiderare i buoni principi, e, comunque ei sisieno fatti, tollerargli. E veramente, chi fa altrimenti, ilpiù delle volte rovina sé e la sua patria.Dobbiamo adunque, entrando nella materia, considerareprima contro a chi si fanno le congiure; e troverreno far-si o contro alla patria, o contro ad uno principe: dellequali due voglio che al presente ragioniamo; perché, di

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6 Delle congiure.

Ei non mi è parso da lasciare indietro il ragionare dellecongiure, essendo cosa tanto pericolosa ai principi ed aiprivati; perché si vede per quelle molti più principi ave-re perduta la vita e lo stato, che per guerra aperta. Per-ché il poter fare aperta guerra ad uno principe, è conce-duto a pochi: il poterli congiurare contro, è concesso aciascuno. Dall'altra parte, gli uomini privati non entranoin impresa più pericolosa né più temeraria di questa;perché la è difficile e pericolosissima in ogni sua parte.Donde ne nasce che molte se ne tentino, e pochissimehanno il fine desiderato. Acciocché, adunque, i principiimparino a guardarsi da questi pericoli, e che i privatipiù timidamente vi si mettino, anzi imparino ad esserecontenti a vivere sotto quello imperio che dalla sorte èstato loro proposto; io ne parlerò diffusamente, non la-sciando indietro alcuno caso notabile in documentodell'uno e dell'altro. E veramente, quella sentenzia diCornelio Tacito è aurea, che dice: che gli uomini hannoad onorare le cose passate e ad ubbidire alle presenti; edebbono desiderare i buoni principi, e, comunque ei sisieno fatti, tollerargli. E veramente, chi fa altrimenti, ilpiù delle volte rovina sé e la sua patria.Dobbiamo adunque, entrando nella materia, considerareprima contro a chi si fanno le congiure; e troverreno far-si o contro alla patria, o contro ad uno principe: dellequali due voglio che al presente ragioniamo; perché, di

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quelle che si fanno per dare una terra a' nimici che la as-sediano, o che abbino, per qualunque cagione, similitu-dine con questa, se n'è parlato di sopra a sufficienza. Etrattereno, in questa prima parte, di quelle contro alprincipe, e prima esaminereno le cagioni di esse: le qua-li sono molte, ma una ne è importantissima più che tuttele altre. E questa è lo essere odiato dallo universale, per-ché il principe che si è concitato questo universale odio,è ragionevole che abbi de' particulari i quali da lui sianostati più offesi, e che desiderino vendicarsi. Questo desi-derio è accresciuto loro da quella mala disposizione uni-versale che veggono essergli concitata contro. Debbe,adunque, un principe fuggire questi carichi privati; ecome debba fare a fuggirli, avendone altrove trattato,non ne voglio parlare qui; perché, guardandosi da que-sto, le semplice offese particulari gli faranno meno guer-ra. L'una, perché si riscontra rade volte in uomini chestimino tanto una ingiuria, che si mettino a tanto perico-lo per vendicarla; l'altra, che, quando pure ei fossonod'animo e di potenza da farlo, sono ritenuti da quella be-nivolenza universale che veggono avere ad uno princi-pe. Le ingiurie, conviene che siano nella roba, nel san-gue o nell'onore. Di quelle del sangue sono più pericolo-se le minacce che le esecuzioni; anzi, le minacce sonopericolosissime, e nelle esecuzioni non vi è pericolo al-cuno; perché chi è morto non può pensare alla vendetta;quelli che rimangono vivi, il più delle volte ne lascianoil pensiero a te. Ma colui che è minacciato, e che si vedecostretto da una necessità o di fare o di patire, diventa

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quelle che si fanno per dare una terra a' nimici che la as-sediano, o che abbino, per qualunque cagione, similitu-dine con questa, se n'è parlato di sopra a sufficienza. Etrattereno, in questa prima parte, di quelle contro alprincipe, e prima esaminereno le cagioni di esse: le qua-li sono molte, ma una ne è importantissima più che tuttele altre. E questa è lo essere odiato dallo universale, per-ché il principe che si è concitato questo universale odio,è ragionevole che abbi de' particulari i quali da lui sianostati più offesi, e che desiderino vendicarsi. Questo desi-derio è accresciuto loro da quella mala disposizione uni-versale che veggono essergli concitata contro. Debbe,adunque, un principe fuggire questi carichi privati; ecome debba fare a fuggirli, avendone altrove trattato,non ne voglio parlare qui; perché, guardandosi da que-sto, le semplice offese particulari gli faranno meno guer-ra. L'una, perché si riscontra rade volte in uomini chestimino tanto una ingiuria, che si mettino a tanto perico-lo per vendicarla; l'altra, che, quando pure ei fossonod'animo e di potenza da farlo, sono ritenuti da quella be-nivolenza universale che veggono avere ad uno princi-pe. Le ingiurie, conviene che siano nella roba, nel san-gue o nell'onore. Di quelle del sangue sono più pericolo-se le minacce che le esecuzioni; anzi, le minacce sonopericolosissime, e nelle esecuzioni non vi è pericolo al-cuno; perché chi è morto non può pensare alla vendetta;quelli che rimangono vivi, il più delle volte ne lascianoil pensiero a te. Ma colui che è minacciato, e che si vedecostretto da una necessità o di fare o di patire, diventa

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uno uomo pericolosissimo per il principe: come nel suoluogo particularmente direno. Fuora di questa necessità,la roba e l'onore sono quelle due cose che offendono piùgli uomini che alcun'altra offesa, e dalle quali il principesi debbe guardare: perché e' non può mai spogliare uno,tanto, che non gli rimanga uno coltello da vendicarsi;non può mai tanto disonorare uno, che non gli resti unoanimo ostinato alla vendetta. E degli onori che si tolgo-no agli uomini, quello delle donne importa più; dopoquesto, il vilipendio della sua persona. Questo armòPausania contro a Filippo di Macedonia, questo ha ar-mato molti altri contro a molti altri principi: e ne' nostritempi Luzio Belanti non si mosse a congiurare contro aPandolfo tiranno di Siena, se non per averli quello datae poi tolta per moglie una sua figliuola; come nel suoloco direno. La maggiore cagione che fece che i Pazzicongiurarono contro ai Medici, fu la eredità di GiovanniBonromei, la quale fu loro tolta per ordine di quegli.Un'altra cagione ci è, e grandissima, che fa gli uominicongiurare contro al principe; la quale è il desiderio diliberare la patria, stata da quello occupata. Questa cagio-ne mosse Bruto e Cassio contro a Cesare; questa hamosso molti altri contro a' Falari, Dionisii, ed altri occu-patori della patria loro. Né può, da questo omore, alcunotiranno guardarsi, se non con diporre la tirannide. E per-ché non si truova alcuno che faccia questo, si truova po-chi che non capitino male; donde nacque quel verso diIuvenale:

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uno uomo pericolosissimo per il principe: come nel suoluogo particularmente direno. Fuora di questa necessità,la roba e l'onore sono quelle due cose che offendono piùgli uomini che alcun'altra offesa, e dalle quali il principesi debbe guardare: perché e' non può mai spogliare uno,tanto, che non gli rimanga uno coltello da vendicarsi;non può mai tanto disonorare uno, che non gli resti unoanimo ostinato alla vendetta. E degli onori che si tolgo-no agli uomini, quello delle donne importa più; dopoquesto, il vilipendio della sua persona. Questo armòPausania contro a Filippo di Macedonia, questo ha ar-mato molti altri contro a molti altri principi: e ne' nostritempi Luzio Belanti non si mosse a congiurare contro aPandolfo tiranno di Siena, se non per averli quello datae poi tolta per moglie una sua figliuola; come nel suoloco direno. La maggiore cagione che fece che i Pazzicongiurarono contro ai Medici, fu la eredità di GiovanniBonromei, la quale fu loro tolta per ordine di quegli.Un'altra cagione ci è, e grandissima, che fa gli uominicongiurare contro al principe; la quale è il desiderio diliberare la patria, stata da quello occupata. Questa cagio-ne mosse Bruto e Cassio contro a Cesare; questa hamosso molti altri contro a' Falari, Dionisii, ed altri occu-patori della patria loro. Né può, da questo omore, alcunotiranno guardarsi, se non con diporre la tirannide. E per-ché non si truova alcuno che faccia questo, si truova po-chi che non capitino male; donde nacque quel verso diIuvenale:

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Ad generum Cereris sine caede et vulnere pauciDescendunt reges, et sicca morte tiranni.

I pericoli che si portano, come io dissi di sopra, nellecongiure, sono grandi, portandosi per tutti i tempi; per-ché in tali casi si corre pericolo nel maneggiarli, nelloesequirli, ed esequiti che sono. Quegli che congiurano, oei sono uno, o ei sono più. Uno, non si può dire che siacongiura, ma è una ferma disposizione nata in uno uomodi ammazzare il principe. Questo solo, de' tre pericoliche si corrono nelle congiure, manca del primo; perché,innanzi alla esecuzione non porta alcuno pericolo, nonavendo altri il suo secreto, né portando pericolo che tor-ni il disegno suo all'orecchio del principe. Questa deli-berazione così fatta può cadere in qualunque uomo, diqualunque sorte, grande, piccolo, nobile, ignobile, fami-liare e non familiare al principe; perché ad ognuno è le-cito qualche volta parlarli; ed a chi è lecito parlare, è le-cito sfogare l'animo suo. Pausania, del quale altre voltesi è parlato, ammazzò Filippo di Macedonia che andavaal tempio, con mille armati d'intorno, ed in mezzo intrail figliuolo ed il genero. Ma costui fu nobile e cognito alprincipe. Uno spagnuolo, povero ed abietto, dette unacoltellata in su el collo al re Ferrando, re di Spagna: nonfu la ferita mortale, ma per questo si vide che colui ebbeanimo e commodità a farlo. Uno dervis, sacerdote tur-chesco, trasse d'una scimitarra a Baisit, padre del pre-sente Turco: non lo ferì, ma ebbe pure animo e commo-dità a volerlo fare. Di questi animi fatti così, se ne truo-

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Ad generum Cereris sine caede et vulnere pauciDescendunt reges, et sicca morte tiranni.

I pericoli che si portano, come io dissi di sopra, nellecongiure, sono grandi, portandosi per tutti i tempi; per-ché in tali casi si corre pericolo nel maneggiarli, nelloesequirli, ed esequiti che sono. Quegli che congiurano, oei sono uno, o ei sono più. Uno, non si può dire che siacongiura, ma è una ferma disposizione nata in uno uomodi ammazzare il principe. Questo solo, de' tre pericoliche si corrono nelle congiure, manca del primo; perché,innanzi alla esecuzione non porta alcuno pericolo, nonavendo altri il suo secreto, né portando pericolo che tor-ni il disegno suo all'orecchio del principe. Questa deli-berazione così fatta può cadere in qualunque uomo, diqualunque sorte, grande, piccolo, nobile, ignobile, fami-liare e non familiare al principe; perché ad ognuno è le-cito qualche volta parlarli; ed a chi è lecito parlare, è le-cito sfogare l'animo suo. Pausania, del quale altre voltesi è parlato, ammazzò Filippo di Macedonia che andavaal tempio, con mille armati d'intorno, ed in mezzo intrail figliuolo ed il genero. Ma costui fu nobile e cognito alprincipe. Uno spagnuolo, povero ed abietto, dette unacoltellata in su el collo al re Ferrando, re di Spagna: nonfu la ferita mortale, ma per questo si vide che colui ebbeanimo e commodità a farlo. Uno dervis, sacerdote tur-chesco, trasse d'una scimitarra a Baisit, padre del pre-sente Turco: non lo ferì, ma ebbe pure animo e commo-dità a volerlo fare. Di questi animi fatti così, se ne truo-

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va, credo, assai che lo vorrebbono fare, perché nel vole-re non è pena né pericolo alcuno; ma pochi che lo fac-ciano: ma di quelli che lo fanno, pochissimi o nessunoche non siano ammazzati in sul fatto; però non si truovachi voglia andare ad una certa morte. Ma lasciamo anda-re queste uniche volontà, e veniamo alle congiure intra ipiù. Dico, trovarsi nelle istorie, tutte le congiure esserefatte da uomini grandi, o familiarissimi del principe:perché gli altri, se non sono matti affatto, non possonocongiurare; perché gli uomini deboli, e non familiari alprincipe, mancano di tutte quelle speranze e di tuttequelle commodità che si richiede alla esecuzione d'unacongiura. Prima, gli uomini deboli non possono trovareriscontro di chi tenga loro fede; perché uno non puòconsentire alla volontà loro, sotto alcuna di quelle spe-ranze che fa entrare gli uomini ne' pericoli grandi: inmodo che, come ei si sono allargati in dua o in tre perso-ne, ci trovono lo accusatore e rovinano: ma quando puresi fossono tanto felici che mancassino di questo accusa-tore, sono nella esecuzione intorniati da tale difficultà,per non avere l'entrata facile al principe, che gli è im-possibile che in essa esecuzione ei non rovinino. Perché,se gli uomini grandi, e che hanno l'entrata facile, sonooppressi da quelle difficultà che di sotto si diranno, con-viene che in costoro quelle difficultà sanza fine creschi-no. Pertanto gli uomini (perché, dove ne va la vita e laroba, non sono al tutto insani) quando e' si veggono de-boli, se ne guardano; e quando egli hanno a noia unoprincipe, attendono a bestemmiarlo, ed aspettono che

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va, credo, assai che lo vorrebbono fare, perché nel vole-re non è pena né pericolo alcuno; ma pochi che lo fac-ciano: ma di quelli che lo fanno, pochissimi o nessunoche non siano ammazzati in sul fatto; però non si truovachi voglia andare ad una certa morte. Ma lasciamo anda-re queste uniche volontà, e veniamo alle congiure intra ipiù. Dico, trovarsi nelle istorie, tutte le congiure esserefatte da uomini grandi, o familiarissimi del principe:perché gli altri, se non sono matti affatto, non possonocongiurare; perché gli uomini deboli, e non familiari alprincipe, mancano di tutte quelle speranze e di tuttequelle commodità che si richiede alla esecuzione d'unacongiura. Prima, gli uomini deboli non possono trovareriscontro di chi tenga loro fede; perché uno non puòconsentire alla volontà loro, sotto alcuna di quelle spe-ranze che fa entrare gli uomini ne' pericoli grandi: inmodo che, come ei si sono allargati in dua o in tre perso-ne, ci trovono lo accusatore e rovinano: ma quando puresi fossono tanto felici che mancassino di questo accusa-tore, sono nella esecuzione intorniati da tale difficultà,per non avere l'entrata facile al principe, che gli è im-possibile che in essa esecuzione ei non rovinino. Perché,se gli uomini grandi, e che hanno l'entrata facile, sonooppressi da quelle difficultà che di sotto si diranno, con-viene che in costoro quelle difficultà sanza fine creschi-no. Pertanto gli uomini (perché, dove ne va la vita e laroba, non sono al tutto insani) quando e' si veggono de-boli, se ne guardano; e quando egli hanno a noia unoprincipe, attendono a bestemmiarlo, ed aspettono che

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quelli che hanno maggiore qualità di loro, gli vendichi-no. E se pure si trovasse che alcuno di questi similiavessi tentato qualche cosa, si debbe laudare in loro laintenzione, e non la prudenza. Vedesi, pertanto, quelliche hanno congiurato, essere stati tutti uomini grandi, ofamiliari, del principe; de' quali molti hanno congiurato,mossi così da troppi beneficii, come dalle troppe ingiu-rie: come fu Perennio contro a Commodo, Plauzianocontro a Severo, Seiano contro a Tiberio. Costoro tuttifurono dai loro imperadori constituiti in tanta ricchezza,onore e grado, che non pareva che mancasse loro, allaperfezione della potenza, altro che lo imperio; e di que-sto non volendo mancare, si mossono a congiurare con-tro al principe; ed ebbono le loro congiure tutte quel fineche meritava la loro ingratitudine: ancora che di questesimili ne' tempi più freschi ne avessi buono fine quelladi Iacopo di Appiano contro a messer Piero Gambacorti,principe di Pisa: il quale Iacopo, allevato e nutrito e fat-to riputato da lui, gli tolse poi lo stato. Fu di questequella del Coppola, ne' nostri tempi, contro il re Ferran-do d'Aragona; il quale Coppola, venuto a tanta grandez-za che non gli pareva gli mancassi se non il regno, pervolere ancora quello, perdé la vita. E veramente, se al-cuna congiura contro ai principi, fatta da uomini grandi,dovesse avere buono fine, doverrebbe essere questa; es-sendo fatta da un altro re, si può dire, e da chi ha tantacommodità di adempiere il suo disiderio: ma quella cu-pidità del dominare che gli accieca, gli accieca ancoranel maneggiare questa impresa; perché, se ei sapessono

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quelli che hanno maggiore qualità di loro, gli vendichi-no. E se pure si trovasse che alcuno di questi similiavessi tentato qualche cosa, si debbe laudare in loro laintenzione, e non la prudenza. Vedesi, pertanto, quelliche hanno congiurato, essere stati tutti uomini grandi, ofamiliari, del principe; de' quali molti hanno congiurato,mossi così da troppi beneficii, come dalle troppe ingiu-rie: come fu Perennio contro a Commodo, Plauzianocontro a Severo, Seiano contro a Tiberio. Costoro tuttifurono dai loro imperadori constituiti in tanta ricchezza,onore e grado, che non pareva che mancasse loro, allaperfezione della potenza, altro che lo imperio; e di que-sto non volendo mancare, si mossono a congiurare con-tro al principe; ed ebbono le loro congiure tutte quel fineche meritava la loro ingratitudine: ancora che di questesimili ne' tempi più freschi ne avessi buono fine quelladi Iacopo di Appiano contro a messer Piero Gambacorti,principe di Pisa: il quale Iacopo, allevato e nutrito e fat-to riputato da lui, gli tolse poi lo stato. Fu di questequella del Coppola, ne' nostri tempi, contro il re Ferran-do d'Aragona; il quale Coppola, venuto a tanta grandez-za che non gli pareva gli mancassi se non il regno, pervolere ancora quello, perdé la vita. E veramente, se al-cuna congiura contro ai principi, fatta da uomini grandi,dovesse avere buono fine, doverrebbe essere questa; es-sendo fatta da un altro re, si può dire, e da chi ha tantacommodità di adempiere il suo disiderio: ma quella cu-pidità del dominare che gli accieca, gli accieca ancoranel maneggiare questa impresa; perché, se ei sapessono

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fare questa cattività con prudenza, sarebbe impossibilenon riuscisse loro. Debbe, adunque, uno principe che sivuole guardare dalle congiure, temere più coloro a chielli ha fatto troppi piaceri, che quelli a chi egli avessefatte troppe ingiurie. Perché questi mancono di commo-dità, quelli ne abondano; e la voglia è simile, perché gliè così grande o maggiore il desiderio del dominare, chenon è quello della vendetta. Debbono, pertanto, daretanta autorità agli loro amici, che da quella al principatosia qualche intervallo, e che vi sia in mezzo qualchecosa da desiderare: altrimenti, sarà cosa rada se non in-terverrà loro, come a' principi soprascritti. Ma torniamoall'ordine nostro.Dico che, avendo ad essere, quelli che congiurano, uo-mini grandi, e che abbino l'adito facile al principe, si haa discorrere i successi di queste loro imprese quali sianostati, e vedere la cagione che gli ha fatti essere felici edinfelici. E come io dissi di sopra ci si truovano dentro,in tre tempi, pericoli: prima, in su 'l fatto e poi. Se netruova poche che abbino buono esito, perché gli è im-possibile, quasi, passarli tutti felicemente. E comincian-do a discorrere e' pericoli di prima, che sono i più im-portanti, dico, come e' bisogna essere molto prudente,ed avere una gran sorte, che, nel maneggiare una con-giura, la non si scuopra. E si scuoprono o per relazione,o per coniettura. La relazione nasce da trovare pocafede, o poca prudenza, negli uomini con chi tu la comu-nichi. La poca fede si truova facilmente, perché tu non

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fare questa cattività con prudenza, sarebbe impossibilenon riuscisse loro. Debbe, adunque, uno principe che sivuole guardare dalle congiure, temere più coloro a chielli ha fatto troppi piaceri, che quelli a chi egli avessefatte troppe ingiurie. Perché questi mancono di commo-dità, quelli ne abondano; e la voglia è simile, perché gliè così grande o maggiore il desiderio del dominare, chenon è quello della vendetta. Debbono, pertanto, daretanta autorità agli loro amici, che da quella al principatosia qualche intervallo, e che vi sia in mezzo qualchecosa da desiderare: altrimenti, sarà cosa rada se non in-terverrà loro, come a' principi soprascritti. Ma torniamoall'ordine nostro.Dico che, avendo ad essere, quelli che congiurano, uo-mini grandi, e che abbino l'adito facile al principe, si haa discorrere i successi di queste loro imprese quali sianostati, e vedere la cagione che gli ha fatti essere felici edinfelici. E come io dissi di sopra ci si truovano dentro,in tre tempi, pericoli: prima, in su 'l fatto e poi. Se netruova poche che abbino buono esito, perché gli è im-possibile, quasi, passarli tutti felicemente. E comincian-do a discorrere e' pericoli di prima, che sono i più im-portanti, dico, come e' bisogna essere molto prudente,ed avere una gran sorte, che, nel maneggiare una con-giura, la non si scuopra. E si scuoprono o per relazione,o per coniettura. La relazione nasce da trovare pocafede, o poca prudenza, negli uomini con chi tu la comu-nichi. La poca fede si truova facilmente, perché tu non

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puoi comunicarla se non con tuoi fidati, che per tuoamore si mettino alla morte, o con uomini che sianomale contenti del principe. De' fidati se ne potrebbe tro-vare uno o due; ma, come tu ti distendi in molti, è im-possibile gli truovi: dipoi, e' bisogna bene che la benivo-lenza che ti portano sia grande, a volere che non paialoro maggiore il pericolo e la paura della pena. Dipoi gliuomini s'ingannano, il più delle volte, dello amore chetu giudichi che uno uomo ti porti; né te ne puoi mai assi-curare, se tu non ne fai esperienza: e farne esperienza inquesto è pericolosissimo. E sebbene ne avessi fattoesperienza in qualche altra cosa pericolosa dove e' tifossono stati fedeli, non puoi da quella fede misurarequesta, passando, questo, di gran lunga, ogni altra quali-tà di pericolo. Se misuri la fede dalla mala contentezzache uno abbia del principe, in questo tu ti puoi facilmen-te ingannare: perché, subito che tu hai manifestato aquel male contento l'animo tuo, tu gli dài materia dicontentarsi, e conviene bene, o che l'odio sia grande, oche l'autorità tua sia grandissima a mantenerlo in fede.Di qui nasce che assai ne sono rivelate, ed oppresse ne'primi principii loro; e che, quando una è stata infra mol-ti uomini segreta lungo tempo, è tenuta cosa miracolosa:come fu quella di Pisone contro a Nerone, e, ne' nostritempi, quella de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de'Medici: delle quali erano consapevoli più che cinquantauomini; e condussonsi, alla esecuzione, a scoprirsi.Quanto a scoprirsi per poca prudenza, nasce quando uno

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puoi comunicarla se non con tuoi fidati, che per tuoamore si mettino alla morte, o con uomini che sianomale contenti del principe. De' fidati se ne potrebbe tro-vare uno o due; ma, come tu ti distendi in molti, è im-possibile gli truovi: dipoi, e' bisogna bene che la benivo-lenza che ti portano sia grande, a volere che non paialoro maggiore il pericolo e la paura della pena. Dipoi gliuomini s'ingannano, il più delle volte, dello amore chetu giudichi che uno uomo ti porti; né te ne puoi mai assi-curare, se tu non ne fai esperienza: e farne esperienza inquesto è pericolosissimo. E sebbene ne avessi fattoesperienza in qualche altra cosa pericolosa dove e' tifossono stati fedeli, non puoi da quella fede misurarequesta, passando, questo, di gran lunga, ogni altra quali-tà di pericolo. Se misuri la fede dalla mala contentezzache uno abbia del principe, in questo tu ti puoi facilmen-te ingannare: perché, subito che tu hai manifestato aquel male contento l'animo tuo, tu gli dài materia dicontentarsi, e conviene bene, o che l'odio sia grande, oche l'autorità tua sia grandissima a mantenerlo in fede.Di qui nasce che assai ne sono rivelate, ed oppresse ne'primi principii loro; e che, quando una è stata infra mol-ti uomini segreta lungo tempo, è tenuta cosa miracolosa:come fu quella di Pisone contro a Nerone, e, ne' nostritempi, quella de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de'Medici: delle quali erano consapevoli più che cinquantauomini; e condussonsi, alla esecuzione, a scoprirsi.Quanto a scoprirsi per poca prudenza, nasce quando uno

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congiurato ne parla poco cauto, in modo che uno servoo altra terza persona t'intenda, come intervenne ai fi-gliuoli di Bruto, che, nel maneggiare la cosa con i legatidi Tarquinio, furono intesi da uno servo, che gli accusò:ovvero quando per leggerezza ti viene communicata adonna o a fanciullo che tu ami o a simile leggieri perso-na; come fece Dimmo, uno de' congiurati con Filotacontro a Alessandro Magno, il quale communicò la con-giura a Nicomaco, fanciullo amato da lui; il quale subitola disse a Ciballino suo fratello, e Ciballino ad el re.Quanto a scoprirsi per coniettura, ce n'è in esemplo lacongiura Pisoniana contro a Nerone; nella quale Scevi-no, uno de' congiurati, il dì dinanzi ch'egli aveva ad am-mazzare Nerone, fece testamento, ordinò che Milichio,suo liberto, facessi arrotare un suo pugnale vecchio erugginoso, liberò tutti i suoi servi e dette loro danari,fece ordinare fasciature da legare ferite: per le quali co-nietture accortosi Milichio della cosa, lo accusò a Nero-ne. Fu preso Scevino, e con lui Natale un altro congiura-to, i quali erano stati veduti parlare a lungo e di segretoinsieme, il dì davanti; e non si accordando del ragiona-mento avuto, furono forzati a confessare il vero talché lacongiura fu scoperta, con rovina di tutti i congiurati.Da queste cagioni dello scoprire le congiure è impossi-bile guardarsi che, per malizia, per imprudenza o perleggerezza, la non si scuopra, qualunque volta i consciid'essa passono il numero di tre o di quattro. E come e'ne è preso più che uno, è impossibile non riscontrarla,

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congiurato ne parla poco cauto, in modo che uno servoo altra terza persona t'intenda, come intervenne ai fi-gliuoli di Bruto, che, nel maneggiare la cosa con i legatidi Tarquinio, furono intesi da uno servo, che gli accusò:ovvero quando per leggerezza ti viene communicata adonna o a fanciullo che tu ami o a simile leggieri perso-na; come fece Dimmo, uno de' congiurati con Filotacontro a Alessandro Magno, il quale communicò la con-giura a Nicomaco, fanciullo amato da lui; il quale subitola disse a Ciballino suo fratello, e Ciballino ad el re.Quanto a scoprirsi per coniettura, ce n'è in esemplo lacongiura Pisoniana contro a Nerone; nella quale Scevi-no, uno de' congiurati, il dì dinanzi ch'egli aveva ad am-mazzare Nerone, fece testamento, ordinò che Milichio,suo liberto, facessi arrotare un suo pugnale vecchio erugginoso, liberò tutti i suoi servi e dette loro danari,fece ordinare fasciature da legare ferite: per le quali co-nietture accortosi Milichio della cosa, lo accusò a Nero-ne. Fu preso Scevino, e con lui Natale un altro congiura-to, i quali erano stati veduti parlare a lungo e di segretoinsieme, il dì davanti; e non si accordando del ragiona-mento avuto, furono forzati a confessare il vero talché lacongiura fu scoperta, con rovina di tutti i congiurati.Da queste cagioni dello scoprire le congiure è impossi-bile guardarsi che, per malizia, per imprudenza o perleggerezza, la non si scuopra, qualunque volta i consciid'essa passono il numero di tre o di quattro. E come e'ne è preso più che uno, è impossibile non riscontrarla,

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perché due non possano essere convenuti insieme di tut-ti e' ragionamenti loro. Quando e' ne sia preso solo uno,che sia uomo forte, può elli, con la fortezza dello animo,tacere i congiurati; ma conviene che i congiurati non ab-biano meno animo di lui a stare saldi, e non si scoprirecon la fuga: perché da una parte che l'animo manca o dachi è sostenuto o da chi è libero, la congiura è scoperta.Ed è rado lo esemplo indotto da Tito Livio nella congiu-ra fatta contro a Girolamo, re di Siracusa; dove, sendoTeodoro, uno de' congiurati, preso, celò con una virtùgrande tutti i congiurati, ed accusò gli amici del re, edall'altra parte, i congiurati confidarono tanto nella virtùdi Teodoro, che nessuno si partì di Siracusa, o fece alcu-no segno di timore. Passasi, adunque, per tutti questi pe-ricoli nel maneggiare una congiura innanzi che si vengaalla esecuzione di essa: i quali volendo fuggire, ci sonoquesti rimedi. Il primo ed il più vero, anzi, a dire me-glio, unico, è non dare tempo ai congiurati di accusarti;e comunicare loro la cosa quando tu la vuoi fare, e nonprima. Quelli che hanno fatto così, fuggono al certo ipericoli che sono nel praticarla, e, il più delle volte, glialtri; anzi hanno tutte avuto felice fine: e qualunque pru-dente arebbe commodità di governarsi in questo modo.Io voglio che mi basti addurre due esempli.Nelemato, non potendo sopportare la tirannide di Ari-stotimo, tiranno di Epiro, ragunò in casa sua molti pa-renti ed amici, e, confortatogli a liberare la patria, alcunidi loro chiesono tempo a diliberarsi ed ordinarsi, donde

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perché due non possano essere convenuti insieme di tut-ti e' ragionamenti loro. Quando e' ne sia preso solo uno,che sia uomo forte, può elli, con la fortezza dello animo,tacere i congiurati; ma conviene che i congiurati non ab-biano meno animo di lui a stare saldi, e non si scoprirecon la fuga: perché da una parte che l'animo manca o dachi è sostenuto o da chi è libero, la congiura è scoperta.Ed è rado lo esemplo indotto da Tito Livio nella congiu-ra fatta contro a Girolamo, re di Siracusa; dove, sendoTeodoro, uno de' congiurati, preso, celò con una virtùgrande tutti i congiurati, ed accusò gli amici del re, edall'altra parte, i congiurati confidarono tanto nella virtùdi Teodoro, che nessuno si partì di Siracusa, o fece alcu-no segno di timore. Passasi, adunque, per tutti questi pe-ricoli nel maneggiare una congiura innanzi che si vengaalla esecuzione di essa: i quali volendo fuggire, ci sonoquesti rimedi. Il primo ed il più vero, anzi, a dire me-glio, unico, è non dare tempo ai congiurati di accusarti;e comunicare loro la cosa quando tu la vuoi fare, e nonprima. Quelli che hanno fatto così, fuggono al certo ipericoli che sono nel praticarla, e, il più delle volte, glialtri; anzi hanno tutte avuto felice fine: e qualunque pru-dente arebbe commodità di governarsi in questo modo.Io voglio che mi basti addurre due esempli.Nelemato, non potendo sopportare la tirannide di Ari-stotimo, tiranno di Epiro, ragunò in casa sua molti pa-renti ed amici, e, confortatogli a liberare la patria, alcunidi loro chiesono tempo a diliberarsi ed ordinarsi, donde

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Nelemato fece a' suoi servi serrare la casa, ed a quelliche esso aveva chiamati disse: - O voi giurerete di anda-re ora a fare questa esecuzione, o io vi darò tutti prigioniad Aristotimo -. Dalle quali parole mossi coloro, giura-rono; ed andati, sanza intermissione di tempo, felice-mente l'ordine di Nelemato esequirono. Avendo unoMago, per inganno, occupato il regno de' Persi, ed aven-do Ortano, uno de' grandi uomini del regno, intesa escoperta la fraude, lo conferì con sei altri principi diquello stato, dicendo come gli era da vendicare il regnodalla tirannide di quel Mago; e domandando, alcuno diloro, tempo, si levò Dario, uno de' sei chiamati da Orta-no, e disse: - O noi andreno ora a fare questa esecuzio-ne, o io vi andrò ad accusare tutti -. E così d'accordo le-vatisi, sanza dare tempo ad alcuno di pentirsi, esequiro-no felicemente i disegni loro. Simile a questi due esem-pli ancora è il modo che gli Etoli tennono ad ammazzareNabide, tiranno spartano; i quali mandarono Alessame-no loro cittadino, con trenta cavagli e dugento fanti, aNabide, sotto colore di mandargli aiuto; ed il segreto so-lamente comunicorono ad Alessameno; ed agli altri im-posono che lo ubbidissoro in ogni e qualunque cosa, sot-to pena di esilio. Andò costui in Sparta, e non comunicòmai la commissione sua se non quando e' la volle ese-quire: donde gli riuscì d'ammazzarlo. Costoro, adunqueper questi modi, hanno fuggiti quelli pericoli che si por-tano nel maneggiare le congiure; e chi imiterà loro, sem-pre gli fuggirà.

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Nelemato fece a' suoi servi serrare la casa, ed a quelliche esso aveva chiamati disse: - O voi giurerete di anda-re ora a fare questa esecuzione, o io vi darò tutti prigioniad Aristotimo -. Dalle quali parole mossi coloro, giura-rono; ed andati, sanza intermissione di tempo, felice-mente l'ordine di Nelemato esequirono. Avendo unoMago, per inganno, occupato il regno de' Persi, ed aven-do Ortano, uno de' grandi uomini del regno, intesa escoperta la fraude, lo conferì con sei altri principi diquello stato, dicendo come gli era da vendicare il regnodalla tirannide di quel Mago; e domandando, alcuno diloro, tempo, si levò Dario, uno de' sei chiamati da Orta-no, e disse: - O noi andreno ora a fare questa esecuzio-ne, o io vi andrò ad accusare tutti -. E così d'accordo le-vatisi, sanza dare tempo ad alcuno di pentirsi, esequiro-no felicemente i disegni loro. Simile a questi due esem-pli ancora è il modo che gli Etoli tennono ad ammazzareNabide, tiranno spartano; i quali mandarono Alessame-no loro cittadino, con trenta cavagli e dugento fanti, aNabide, sotto colore di mandargli aiuto; ed il segreto so-lamente comunicorono ad Alessameno; ed agli altri im-posono che lo ubbidissoro in ogni e qualunque cosa, sot-to pena di esilio. Andò costui in Sparta, e non comunicòmai la commissione sua se non quando e' la volle ese-quire: donde gli riuscì d'ammazzarlo. Costoro, adunqueper questi modi, hanno fuggiti quelli pericoli che si por-tano nel maneggiare le congiure; e chi imiterà loro, sem-pre gli fuggirà.

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E che ciascuno possa fare come loro io ne voglio dare loesemplo di Pisone preallegato di sopra. Era Pisone gran-dissimo e riputatissimo uomo, e familiare di Nerone, edin chi elli confidava assai. Andava Nerone ne' suoi ortispesso a mangiare seco. Poteva, adunque, Pisone farsiamici uomini, d'animo e di cuore e di disposizione attiad una tale esecuzione (il che ad uno grande è facilissi-mo); e quando Nerone fosse stato ne' i suoi orti, comu-nicare loro la cosa, e con le parole convenienti inani-marli a fare quello che loro non avevano tempo a ricusa-re, e che era impossibile che non riuscisse. E così, se siesamineranno tutte l'altre, si troverrà poche non esserepotute condursi nel medesimo modo: ma gli uomini, perl'ordinario, poco intendenti delle azioni del mondo,spesso fanno errori gravissimi, e tanto maggiori in quel-le che hanno più dello istraordinario, come è questa.Debbesi, adunque, non comunicare mai la cosa se nonnecessitato ed in sul fatto; e se pure la vuoi comunicare,comunicarla ad uno solo, del quale abbia fatto lunghissi-ma isperienza, o che sia mosso dalle medesime cagioniche tu. Trovarne uno così fatto è molto più facile chetrovarne più, e per questo vi è meno pericolo, dipoi,quando pure ei ti ingannassi, vi è qualche rimedio a di-fendersi, che non è dove siano congiurati assai: perchéda alcuno prudente ho sentito dire che con uno si puòparlare ogni cosa, perché tanto vale, se tu non ti lascicondurre a scrivere di tua mano, il sì dell'uno quanto ilno dell'altro; e dallo scrivere ciascuno debbe guardarsicome da uno scoglio, perché non è cosa che più facil-

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E che ciascuno possa fare come loro io ne voglio dare loesemplo di Pisone preallegato di sopra. Era Pisone gran-dissimo e riputatissimo uomo, e familiare di Nerone, edin chi elli confidava assai. Andava Nerone ne' suoi ortispesso a mangiare seco. Poteva, adunque, Pisone farsiamici uomini, d'animo e di cuore e di disposizione attiad una tale esecuzione (il che ad uno grande è facilissi-mo); e quando Nerone fosse stato ne' i suoi orti, comu-nicare loro la cosa, e con le parole convenienti inani-marli a fare quello che loro non avevano tempo a ricusa-re, e che era impossibile che non riuscisse. E così, se siesamineranno tutte l'altre, si troverrà poche non esserepotute condursi nel medesimo modo: ma gli uomini, perl'ordinario, poco intendenti delle azioni del mondo,spesso fanno errori gravissimi, e tanto maggiori in quel-le che hanno più dello istraordinario, come è questa.Debbesi, adunque, non comunicare mai la cosa se nonnecessitato ed in sul fatto; e se pure la vuoi comunicare,comunicarla ad uno solo, del quale abbia fatto lunghissi-ma isperienza, o che sia mosso dalle medesime cagioniche tu. Trovarne uno così fatto è molto più facile chetrovarne più, e per questo vi è meno pericolo, dipoi,quando pure ei ti ingannassi, vi è qualche rimedio a di-fendersi, che non è dove siano congiurati assai: perchéda alcuno prudente ho sentito dire che con uno si puòparlare ogni cosa, perché tanto vale, se tu non ti lascicondurre a scrivere di tua mano, il sì dell'uno quanto ilno dell'altro; e dallo scrivere ciascuno debbe guardarsicome da uno scoglio, perché non è cosa che più facil-

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mente ti convinca, che lo scritto di tua mano. Plauziano,volendo fare ammazzare Severo imperadore ed Antoni-no suo figliuolo, commisse la cosa a Saturnino tribuno;il quale, volendo accusarlo e non ubbidirlo, e dubitandoche, venendo all'accusa, e' non fussi più creduto a Plau-ziano che a lui, gli chiese una cedola di sua mano, chefacessi fede di questa commissione; la quale Plauziano,accecato dall'ambizione, gli fece: donde seguì che fu,dal tribuno, accusato e convinto; e sanza quella cedola,e certi altri contrassegni, sarebbe stato Plauziano supe-riore; tanto audacemente negava. Truovasi, adunque,nell'accusa d'uno, qualche rimedio, quando tu non puoiessere da una scrittura, o altri contrasegni, convinto: dache uno si debbe guardare.Era nella congiura Pisoniana una femina chiamata Epi-cari, stata per lo adietro amica di Nerone; la quale giudi-cando che fussi a proposito mettere tra i congiurati unocapitano di alcune trireme che Nerone teneva per suaguardia, gli comunicò la congiura ma non i congiurati.Donde, rompendogli quello capitano la fede ed accusan-dola a Nerone, fu tanta l'audacia di Epicari nel negarlo,che Nerone, rimaso confuso, non la condannò. Sono,adunque, nel comunicare la cosa ad uno solo, due peri-coli: l'uno, che non ti accusi in pruova; l'altro, che non tiaccusi convinto e constretto dalla pena, sendo egli presoper qualche sospetto o per qualche indizio avuto di lui.Ma nell'uno e nell'altro di questi due pericoli è qualcherimedio, potendosi negare l'uno, allegandone l'odio che

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mente ti convinca, che lo scritto di tua mano. Plauziano,volendo fare ammazzare Severo imperadore ed Antoni-no suo figliuolo, commisse la cosa a Saturnino tribuno;il quale, volendo accusarlo e non ubbidirlo, e dubitandoche, venendo all'accusa, e' non fussi più creduto a Plau-ziano che a lui, gli chiese una cedola di sua mano, chefacessi fede di questa commissione; la quale Plauziano,accecato dall'ambizione, gli fece: donde seguì che fu,dal tribuno, accusato e convinto; e sanza quella cedola,e certi altri contrassegni, sarebbe stato Plauziano supe-riore; tanto audacemente negava. Truovasi, adunque,nell'accusa d'uno, qualche rimedio, quando tu non puoiessere da una scrittura, o altri contrasegni, convinto: dache uno si debbe guardare.Era nella congiura Pisoniana una femina chiamata Epi-cari, stata per lo adietro amica di Nerone; la quale giudi-cando che fussi a proposito mettere tra i congiurati unocapitano di alcune trireme che Nerone teneva per suaguardia, gli comunicò la congiura ma non i congiurati.Donde, rompendogli quello capitano la fede ed accusan-dola a Nerone, fu tanta l'audacia di Epicari nel negarlo,che Nerone, rimaso confuso, non la condannò. Sono,adunque, nel comunicare la cosa ad uno solo, due peri-coli: l'uno, che non ti accusi in pruova; l'altro, che non tiaccusi convinto e constretto dalla pena, sendo egli presoper qualche sospetto o per qualche indizio avuto di lui.Ma nell'uno e nell'altro di questi due pericoli è qualcherimedio, potendosi negare l'uno, allegandone l'odio che

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colui avesse teco; e negare l'altro, allegandone la forzache lo constringesse a dire le bugie. È, adunque, pruden-za non comunicare la cosa a nessuno, ma fare secondogli esempli soprascritti; o, quando pure la comunichi,non passare uno; dove, se è qualche più pericolo, ve n'èmeno assai che comunicarla con molti. Propinquo aquesto modo è quando una necessità ti costringa a farequello al principe che tu vedi che 'l principe vorrebbefare a te, la quale sia tanto grande che non ti dia tempose non a pensare ad assicurarti. Questa necessità condu-ce quasi sempre la cosa al fine desiderato: ed a provarlovoglio bastino due esempli. Aveva Commodo, impera-dore, Leto ed Eletto, capi de' soldati pretoriani, ed intra'primi amici e familiari suoi; aveva Marzia in nelle pri-me sue concubine o amiche; e perché egli era da costoroqualche volta ripreso de' modi con i quali maculava lapersona sua e lo Imperio, diliberò di farli morire; escrisse in su una listra Marzia, Leto ed Eletto ed alcunialtri che voleva, la notte sequente fare morire; e quellalistra messe sotto il capezzale del suo letto. Ed essendoito a lavarsi, un fanciullo favorito da lui, scherzando percamera e su pel letto, gli venne trovato questa listra, eduscendo fuora con essa in mano, riscontrò Marzia; laquale gliene tolse, e, lettala, e veduto il contenuto diessa, subito mandò per Leto ed Eletto; e conosciuto tuttia tre il pericolo in quale erano, deliberorono prevenire;e, sanza mettere tempo in mezzo, la notte sequente am-mazzorono Commodo. Era Antonino Caracalla, impera-dore, con gli eserciti suoi in Mesopotamia, ed aveva per

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colui avesse teco; e negare l'altro, allegandone la forzache lo constringesse a dire le bugie. È, adunque, pruden-za non comunicare la cosa a nessuno, ma fare secondogli esempli soprascritti; o, quando pure la comunichi,non passare uno; dove, se è qualche più pericolo, ve n'èmeno assai che comunicarla con molti. Propinquo aquesto modo è quando una necessità ti costringa a farequello al principe che tu vedi che 'l principe vorrebbefare a te, la quale sia tanto grande che non ti dia tempose non a pensare ad assicurarti. Questa necessità condu-ce quasi sempre la cosa al fine desiderato: ed a provarlovoglio bastino due esempli. Aveva Commodo, impera-dore, Leto ed Eletto, capi de' soldati pretoriani, ed intra'primi amici e familiari suoi; aveva Marzia in nelle pri-me sue concubine o amiche; e perché egli era da costoroqualche volta ripreso de' modi con i quali maculava lapersona sua e lo Imperio, diliberò di farli morire; escrisse in su una listra Marzia, Leto ed Eletto ed alcunialtri che voleva, la notte sequente fare morire; e quellalistra messe sotto il capezzale del suo letto. Ed essendoito a lavarsi, un fanciullo favorito da lui, scherzando percamera e su pel letto, gli venne trovato questa listra, eduscendo fuora con essa in mano, riscontrò Marzia; laquale gliene tolse, e, lettala, e veduto il contenuto diessa, subito mandò per Leto ed Eletto; e conosciuto tuttia tre il pericolo in quale erano, deliberorono prevenire;e, sanza mettere tempo in mezzo, la notte sequente am-mazzorono Commodo. Era Antonino Caracalla, impera-dore, con gli eserciti suoi in Mesopotamia, ed aveva per

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suo prefetto Macrino, uomo più civile che armigero; e,come avviene ch'e' principi non buoni temono sempreche altri non operi, contro a loro, quello che par loromeritare, scrisse Antonino a Materniano suo amico aRoma, che intendessi dagli astrologi, s'egli era alcunoche aspirasse allo imperio, e gliene avvisasse. DondeMaterniano gli scrisse, come Macrino era quello che viaspirava; e pervenuta la lettera, prima alle mani di Ma-crino che dello imperadore, e, per quella, conosciuta lanecessità o d'ammazzare lui prima che nuova lettera ve-nisse da Roma o di morire, commisse a Marziale centu-rione, suo fidato, ed a chi Antonino aveva morto, pochigiorni innanzi uno fratello, che lo ammazzasse: il che fuesequito da lui felicemente. Vedesi, adunque, che questanecessità che non dà tempo, fa quasi quel medesimo ef-fetto che il modo, da me sopra detto, che tenne Nelema-to di Epiro. Vedesi ancora quello che io dissi, quasi nelprincipio di questo discorso, come le minacce offendonopiù i principi, e sono cagione di più efficace congiureche le offese: da che uno principe si debbe guardare;perché gli uomini si hanno o accarezzare o assicurarsi diloro; e non li ridurre mai in termine che gli abbiano apensare che bisogni loro o morire o far morire altrui.Quanto ai pericoli che si corrono in su la esecuzione,nascono questi o da variare l'ordine, o da mancare l'ani-mo a colui che esequisce, o da errore che lo esecutorefaccia per poca prudenza, o per non dare perfezione allacosa, rimanendo vivi parte di quelli che si disegnavano

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suo prefetto Macrino, uomo più civile che armigero; e,come avviene ch'e' principi non buoni temono sempreche altri non operi, contro a loro, quello che par loromeritare, scrisse Antonino a Materniano suo amico aRoma, che intendessi dagli astrologi, s'egli era alcunoche aspirasse allo imperio, e gliene avvisasse. DondeMaterniano gli scrisse, come Macrino era quello che viaspirava; e pervenuta la lettera, prima alle mani di Ma-crino che dello imperadore, e, per quella, conosciuta lanecessità o d'ammazzare lui prima che nuova lettera ve-nisse da Roma o di morire, commisse a Marziale centu-rione, suo fidato, ed a chi Antonino aveva morto, pochigiorni innanzi uno fratello, che lo ammazzasse: il che fuesequito da lui felicemente. Vedesi, adunque, che questanecessità che non dà tempo, fa quasi quel medesimo ef-fetto che il modo, da me sopra detto, che tenne Nelema-to di Epiro. Vedesi ancora quello che io dissi, quasi nelprincipio di questo discorso, come le minacce offendonopiù i principi, e sono cagione di più efficace congiureche le offese: da che uno principe si debbe guardare;perché gli uomini si hanno o accarezzare o assicurarsi diloro; e non li ridurre mai in termine che gli abbiano apensare che bisogni loro o morire o far morire altrui.Quanto ai pericoli che si corrono in su la esecuzione,nascono questi o da variare l'ordine, o da mancare l'ani-mo a colui che esequisce, o da errore che lo esecutorefaccia per poca prudenza, o per non dare perfezione allacosa, rimanendo vivi parte di quelli che si disegnavano

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ammazzare. Dico, adunque, come e' non è cosa alcunache faccia tanto sturbo o impedimento a tutte le azionidegli uomini, quanto è in uno instante, sanza avere tem-po, avere a variare un ordine e a pervertirlo da quelloche si era ordinato prima. E se questa variazione fa di-sordine in cosa alcuna, lo fa nelle cose della guerra, edin cose simili a quelle di che noi parliano; perché in taliazioni non è cosa tanto necessaria a fare, quanto che gliuomini fermino gli animi loro ad esequire quella parteche tocca loro: e se gli uomini hanno volto la fantasiaper più giorni ad uno modo e ad uno ordine, e quello su-bito varii, è impossibile che non si perturbino tutti, enon rovini ogni cosa; in modo che gli è meglio assaiesequire una cosa secondo l'ordine dato, ancora che vi sivegga qualche inconveniente, che non è, per volere can-cellare quello, entrare in mille inconvenienti. Questo in-terviene quando e' non si ha tempo a riordinarsi; perché,quando si ha tempo, si può l'uomo governare a suomodo.La congiura de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de'Medici, è nota. L'ordine dato era che dessino desinare alcardinale di San Giorgio, ed a quel desinare ammazzar-gli: dove si era distribuito chi aveva a ammazzargli, chiaveva a pigliare il palazzo, e chi correre la città e chia-mare alla libertà il popolo. Accadde che, essendo nellachiesa cattedrale in Firenze i Pazzi, i Medici ed il Cardi-nale ad uno ufficio solenne, s'intese come Giuliano lamattina non vi desinava: il che fece che i congiurati

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ammazzare. Dico, adunque, come e' non è cosa alcunache faccia tanto sturbo o impedimento a tutte le azionidegli uomini, quanto è in uno instante, sanza avere tem-po, avere a variare un ordine e a pervertirlo da quelloche si era ordinato prima. E se questa variazione fa di-sordine in cosa alcuna, lo fa nelle cose della guerra, edin cose simili a quelle di che noi parliano; perché in taliazioni non è cosa tanto necessaria a fare, quanto che gliuomini fermino gli animi loro ad esequire quella parteche tocca loro: e se gli uomini hanno volto la fantasiaper più giorni ad uno modo e ad uno ordine, e quello su-bito varii, è impossibile che non si perturbino tutti, enon rovini ogni cosa; in modo che gli è meglio assaiesequire una cosa secondo l'ordine dato, ancora che vi sivegga qualche inconveniente, che non è, per volere can-cellare quello, entrare in mille inconvenienti. Questo in-terviene quando e' non si ha tempo a riordinarsi; perché,quando si ha tempo, si può l'uomo governare a suomodo.La congiura de' Pazzi contro a Lorenzo e Giuliano de'Medici, è nota. L'ordine dato era che dessino desinare alcardinale di San Giorgio, ed a quel desinare ammazzar-gli: dove si era distribuito chi aveva a ammazzargli, chiaveva a pigliare il palazzo, e chi correre la città e chia-mare alla libertà il popolo. Accadde che, essendo nellachiesa cattedrale in Firenze i Pazzi, i Medici ed il Cardi-nale ad uno ufficio solenne, s'intese come Giuliano lamattina non vi desinava: il che fece che i congiurati

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s'adunorono insieme e quello che gli avevano a fare incasa i Medici, deliberarono di farlo in chiesa. Il che ven-ne a perturbare tutto l'ordine, perché Giovambatista daMontesecco non volle concorrere all'omicidio, dicendonon lo volere fare in chiesa: talché gli ebbono a mutarenuovi ministri in ogni azione; i quali, non avendo tempoa fermare l'animo, fecero tali errori, che in essa esecu-zione furono oppressi.Manca l'animo a chi esequisce, o per riverenza, o perpropria viltà dello esecutore. È tanta la maestà e la rive-renza che si tira dietro la presenza d'uno principe,ch'egli è facil cosa o che mitighi o che gli sbigottiscauno esecutore. A Mario, essendo preso da' Minturnesi,fu mandato uno servo che lo ammazzasse; il quale, spa-ventato dalla presenza di quello uomo e dalla memoriadel nome suo, divenuto vile, perdé ogni forza ad ucci-derlo. E se questa potenza è in uomo legato e prigione,ed affogato nella mala fortuna; quanto si può tenere chela sia maggiore in uno principe sciolto, con la maestàdegli ornamenti, della pompa e della comitiva sua! tal-ché ti può questa tale pompa spaventare, o vero conqualche grata accoglienza raumiliare. Congiurorono al-cuni contro a Sitalce re di Tracia, deputorono il dì dellaesecuzione; convennono al luogo diputato, dove era ilprincipe; nessuno di loro si mosse per offenderlo: tantoche si partirono sanza avere tentato alcuna cosa e sanzasapere quello che se gli avessi impediti; ed incolpavanol'uno l'altro. Caddono in tale errore più volte; tanto che,

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s'adunorono insieme e quello che gli avevano a fare incasa i Medici, deliberarono di farlo in chiesa. Il che ven-ne a perturbare tutto l'ordine, perché Giovambatista daMontesecco non volle concorrere all'omicidio, dicendonon lo volere fare in chiesa: talché gli ebbono a mutarenuovi ministri in ogni azione; i quali, non avendo tempoa fermare l'animo, fecero tali errori, che in essa esecu-zione furono oppressi.Manca l'animo a chi esequisce, o per riverenza, o perpropria viltà dello esecutore. È tanta la maestà e la rive-renza che si tira dietro la presenza d'uno principe,ch'egli è facil cosa o che mitighi o che gli sbigottiscauno esecutore. A Mario, essendo preso da' Minturnesi,fu mandato uno servo che lo ammazzasse; il quale, spa-ventato dalla presenza di quello uomo e dalla memoriadel nome suo, divenuto vile, perdé ogni forza ad ucci-derlo. E se questa potenza è in uomo legato e prigione,ed affogato nella mala fortuna; quanto si può tenere chela sia maggiore in uno principe sciolto, con la maestàdegli ornamenti, della pompa e della comitiva sua! tal-ché ti può questa tale pompa spaventare, o vero conqualche grata accoglienza raumiliare. Congiurorono al-cuni contro a Sitalce re di Tracia, deputorono il dì dellaesecuzione; convennono al luogo diputato, dove era ilprincipe; nessuno di loro si mosse per offenderlo: tantoche si partirono sanza avere tentato alcuna cosa e sanzasapere quello che se gli avessi impediti; ed incolpavanol'uno l'altro. Caddono in tale errore più volte; tanto che,

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scopertasi la congiura, portarono pena di quello maleche potettono e non vollono fare. Congiurarono contro aAlfonso, duca di Ferrara, due sui frategli, ed usaronomezzano Giannes, prete e cantore del duca; il quale piùvolte, a loro richiesta, condusse il duca fra loro, talchégli avevano arbitrio d'ammazzarlo: nondimeno, mai nes-suno di loro non ardì di farlo; tanto che, scoperti, porta-rono la pena della cattività e poca prudenza loro. Questanegligenza non potette nascere da altro, se non che con-venne o che la presenza gli sbigottisse o che qualcheumanità del principe gli umiliasse. Nasce in tali esecu-zioni inconveniente o errore per poca prudenza o perpoco animo; perché l'una e l'altra di queste due cose tiinvasa, e portato da quella confusione di cervello ti fadire e fare quello che tu non debbi.E che gli uomini invasino e si confondino, non lo puòmeglio dimostrare Tito Livio quando discrive di Alessa-meno etolo, quando ei volle ammazzare Nabide sparta-no, di che abbiamo di sopra parlato; che, venuto il tem-po della esecuzione, scoperto che egli ebbe ai suoi quel-lo che si aveva a fare, dice Tito Livio queste parole:«Collegit et ipse animum, confusum tantae cogitationerei». Perché gli è impossibile che alcuno, ancora che dianimo fermo, ed uso alla morte degli uomini e adopera-re il ferro, non si confunda. Però si debba eleggere uo-mini isperimentati in tali maneggi, ed a nessuno altrocredere, ancora che tenuto animosissimo. Perché, delloanimo nelle cose grandi, sanza averne fatto isperienza,

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scopertasi la congiura, portarono pena di quello maleche potettono e non vollono fare. Congiurarono contro aAlfonso, duca di Ferrara, due sui frategli, ed usaronomezzano Giannes, prete e cantore del duca; il quale piùvolte, a loro richiesta, condusse il duca fra loro, talchégli avevano arbitrio d'ammazzarlo: nondimeno, mai nes-suno di loro non ardì di farlo; tanto che, scoperti, porta-rono la pena della cattività e poca prudenza loro. Questanegligenza non potette nascere da altro, se non che con-venne o che la presenza gli sbigottisse o che qualcheumanità del principe gli umiliasse. Nasce in tali esecu-zioni inconveniente o errore per poca prudenza o perpoco animo; perché l'una e l'altra di queste due cose tiinvasa, e portato da quella confusione di cervello ti fadire e fare quello che tu non debbi.E che gli uomini invasino e si confondino, non lo puòmeglio dimostrare Tito Livio quando discrive di Alessa-meno etolo, quando ei volle ammazzare Nabide sparta-no, di che abbiamo di sopra parlato; che, venuto il tem-po della esecuzione, scoperto che egli ebbe ai suoi quel-lo che si aveva a fare, dice Tito Livio queste parole:«Collegit et ipse animum, confusum tantae cogitationerei». Perché gli è impossibile che alcuno, ancora che dianimo fermo, ed uso alla morte degli uomini e adopera-re il ferro, non si confunda. Però si debba eleggere uo-mini isperimentati in tali maneggi, ed a nessuno altrocredere, ancora che tenuto animosissimo. Perché, delloanimo nelle cose grandi, sanza averne fatto isperienza,

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non sia alcuno che se ne prometta cosa certa. Può, adun-que, questa confusione o farti cascare l'armi di mano, ofarti dire cose che facciano il medesimo effetto. Lucilla,sirocchia di Commodo, ordinò che Quinziano lo am-mazzassi. Costui aspettò Commodo nella entrata delloanfiteatro e con un pugnale ignudo accostandosegli, gri-dò: - Questo ti manda il Senato! - le quali parole feceroche fu prima preso ch'egli avesse calato il braccio perferire. Messer Antonio da Volterra, diputato, come di so-pra si disse, ad ammazzare Lorenzo de' Medici, nelloaccostarsegli disse: - Ah traditore! - la quale voce fu lasalute di Lorenzo, e la rovina di quella congiura. Puònon si dare perfezione alla cosa, quando si congiuracontro ad uno capo, per le cagioni dette: ma facilmentenon se le dà perfezione quando si congiura contro a duecapi, anzi è tanto difficile, che gli è quasi impossibileche la riesca. Perché fare una simile azione in uno me-desimo tempo in diversi luoghi, è quasi impossibile;perché in diversi tempi non si può fare, non volendo chel'una guasti l'altra. In modo che, se il congiurare controad uno principe è cosa dubbia, pericolosa e poco pru-dente; congiurare contro a due, è al tutto vana e leggieri.E se non fosse la riverenza dello istorico, io non creder-rei mai che fosse possibile quello che Erodiano dice diPlauziano, quando ei commisse a Saturnino centurione,che elli solo ammazzasse Severo ed Antonino, abitantiin diversi paesi: perché la è cosa tanto discosto da il ra-gionevole che altro che questa autorità non me lo fareb-be credere.

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non sia alcuno che se ne prometta cosa certa. Può, adun-que, questa confusione o farti cascare l'armi di mano, ofarti dire cose che facciano il medesimo effetto. Lucilla,sirocchia di Commodo, ordinò che Quinziano lo am-mazzassi. Costui aspettò Commodo nella entrata delloanfiteatro e con un pugnale ignudo accostandosegli, gri-dò: - Questo ti manda il Senato! - le quali parole feceroche fu prima preso ch'egli avesse calato il braccio perferire. Messer Antonio da Volterra, diputato, come di so-pra si disse, ad ammazzare Lorenzo de' Medici, nelloaccostarsegli disse: - Ah traditore! - la quale voce fu lasalute di Lorenzo, e la rovina di quella congiura. Puònon si dare perfezione alla cosa, quando si congiuracontro ad uno capo, per le cagioni dette: ma facilmentenon se le dà perfezione quando si congiura contro a duecapi, anzi è tanto difficile, che gli è quasi impossibileche la riesca. Perché fare una simile azione in uno me-desimo tempo in diversi luoghi, è quasi impossibile;perché in diversi tempi non si può fare, non volendo chel'una guasti l'altra. In modo che, se il congiurare controad uno principe è cosa dubbia, pericolosa e poco pru-dente; congiurare contro a due, è al tutto vana e leggieri.E se non fosse la riverenza dello istorico, io non creder-rei mai che fosse possibile quello che Erodiano dice diPlauziano, quando ei commisse a Saturnino centurione,che elli solo ammazzasse Severo ed Antonino, abitantiin diversi paesi: perché la è cosa tanto discosto da il ra-gionevole che altro che questa autorità non me lo fareb-be credere.

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Congiurorono certi giovani ateniesi contro a Diocle edIppia, tiranni di Atene. Ammazzarono Diocle ed Ippia,che rimase, lo vendicò. Chione e Leonide eraclensi e di-scepoli di Platone, congiurarono contro a Clearco e Sati-ro, tiranni; ammazzarono Clearco; e Satiro, che restòvivo, lo vendicò. Ai Pazzi, più volte da noi allegati, nonsuccesse di ammazzare se non Giuliano. In modo che disimili congiure contro a più capi, se ne debbe astenereciascuno, perché non si fa bene né a sé né alla patria néad alcuno: anzi quelli che rimangono, diventono più in-sopportabili e più acerbi; come sa Firenze, Atene edEraclea, state da me preallegate. È vero che la congiurache Pelopida fece per liberare Tebe sua patria, ebbe tuttele difficultà: nondimeno ebbe felicissimo fine; perchéPelopida non solamente congiurò contro a due tiranni,ma contro a dieci, non solamente non era confidente enon gli era facile la entrata a e' tiranni, ma era ribello:nondimanco ei poté venire in Tebe, ammazzare i tiranni,e liberare la patria. Pure nondimanco fece tutto, conl'aiuto d'uno Carione, consigliere de' tiranni, dal qualeebbe l'entrata facile alla esecuzione sua. Non sia alcuno,nondimanco, che pigli lo esemplo da costui: perchécome ella fu impresa impossibile, e cosa maravigliosa ariuscire, così fu, ed è tenuta dagli scrittori, i quali la ce-lebrano, come cosa rara e quasi sanza esemplo. Può es-sere interrotta tale esecuzione da una falsa immagina-zione o da uno accidente imprevisto che nasca in su 'lfatto. La mattina che Bruto e gli altri congiurati voleva-no ammazzare Cesare, accadde che quello parlò a lungo

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Congiurorono certi giovani ateniesi contro a Diocle edIppia, tiranni di Atene. Ammazzarono Diocle ed Ippia,che rimase, lo vendicò. Chione e Leonide eraclensi e di-scepoli di Platone, congiurarono contro a Clearco e Sati-ro, tiranni; ammazzarono Clearco; e Satiro, che restòvivo, lo vendicò. Ai Pazzi, più volte da noi allegati, nonsuccesse di ammazzare se non Giuliano. In modo che disimili congiure contro a più capi, se ne debbe astenereciascuno, perché non si fa bene né a sé né alla patria néad alcuno: anzi quelli che rimangono, diventono più in-sopportabili e più acerbi; come sa Firenze, Atene edEraclea, state da me preallegate. È vero che la congiurache Pelopida fece per liberare Tebe sua patria, ebbe tuttele difficultà: nondimeno ebbe felicissimo fine; perchéPelopida non solamente congiurò contro a due tiranni,ma contro a dieci, non solamente non era confidente enon gli era facile la entrata a e' tiranni, ma era ribello:nondimanco ei poté venire in Tebe, ammazzare i tiranni,e liberare la patria. Pure nondimanco fece tutto, conl'aiuto d'uno Carione, consigliere de' tiranni, dal qualeebbe l'entrata facile alla esecuzione sua. Non sia alcuno,nondimanco, che pigli lo esemplo da costui: perchécome ella fu impresa impossibile, e cosa maravigliosa ariuscire, così fu, ed è tenuta dagli scrittori, i quali la ce-lebrano, come cosa rara e quasi sanza esemplo. Può es-sere interrotta tale esecuzione da una falsa immagina-zione o da uno accidente imprevisto che nasca in su 'lfatto. La mattina che Bruto e gli altri congiurati voleva-no ammazzare Cesare, accadde che quello parlò a lungo

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con Gneo Popilio Lenate, uno de' congiurati; e vedendogli altri questo lungo parlamento, dubitarono che dettoPopilio non rivelasse a Cesare la congiura: e furono pertentare di ammazzare Cesare quivi, e non aspettare chefosse in Senato; ed arebbonlo fatto, se non che il ragio-namento finì, e, visto non fare a Cesare moto alcunoistraordinario, si rassicurarono. Sono queste false imma-ginazioni da considerarle, ed avervi, con prudenza, ri-spetto; e tanto più, quanto egli è facile ad averle. Perchéchi ha la sua conscienza macchiata, facilmente crede chesi parli di lui: puossi sentire una parola, detta ad uno al-tro fine, che ti faccia perturbare l'animo, e credere che lasia detta sopra il caso tuo, e farti o con la fuga scoprirela congiura da te, o confondere l'azione con accelerallafuora di tempo. E questo tanto più facilmente nasce,quando ei sono molti ad essere conscii della congiura.Quanto alli accidenti, perché sono inisperati, non si puòse non con gli esempli mostrarli, e fare gli uomini cautisecondo quegli. Luzio Belanti da Siena, del quale di so-pra abbiamo fatto menzione, per lo sdegno aveva controa Pandolfo, che gli aveva tolto la figliuola che prima gliaveva data per moglie, diliberò d'ammazzarlo, ed elessequesto tempo. Andava Pandolfo quasi ogni giorno a vi-citare uno suo parente infermo, e nello andarvi passavadalle case di Iulio. Costui, adunque, veduto questo, ordi-nò di avere i suoi congiurati in casa ad ordine per am-mazzare Pandolfo nel passare; e, messisi dentro all'uscioarmati, teneva uno alla finestra, che, passando Pandolfo,

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con Gneo Popilio Lenate, uno de' congiurati; e vedendogli altri questo lungo parlamento, dubitarono che dettoPopilio non rivelasse a Cesare la congiura: e furono pertentare di ammazzare Cesare quivi, e non aspettare chefosse in Senato; ed arebbonlo fatto, se non che il ragio-namento finì, e, visto non fare a Cesare moto alcunoistraordinario, si rassicurarono. Sono queste false imma-ginazioni da considerarle, ed avervi, con prudenza, ri-spetto; e tanto più, quanto egli è facile ad averle. Perchéchi ha la sua conscienza macchiata, facilmente crede chesi parli di lui: puossi sentire una parola, detta ad uno al-tro fine, che ti faccia perturbare l'animo, e credere che lasia detta sopra il caso tuo, e farti o con la fuga scoprirela congiura da te, o confondere l'azione con accelerallafuora di tempo. E questo tanto più facilmente nasce,quando ei sono molti ad essere conscii della congiura.Quanto alli accidenti, perché sono inisperati, non si puòse non con gli esempli mostrarli, e fare gli uomini cautisecondo quegli. Luzio Belanti da Siena, del quale di so-pra abbiamo fatto menzione, per lo sdegno aveva controa Pandolfo, che gli aveva tolto la figliuola che prima gliaveva data per moglie, diliberò d'ammazzarlo, ed elessequesto tempo. Andava Pandolfo quasi ogni giorno a vi-citare uno suo parente infermo, e nello andarvi passavadalle case di Iulio. Costui, adunque, veduto questo, ordi-nò di avere i suoi congiurati in casa ad ordine per am-mazzare Pandolfo nel passare; e, messisi dentro all'uscioarmati, teneva uno alla finestra, che, passando Pandolfo,

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quando ei fussi presso all'uscio, facessi un cenno. Ac-cadde che, venendo Pandolfo, ed avendo fatto colui ilcenno, riscontrò uno amico che lo fermò; ed alcuni diquelli che erano con lui, vennono a trascorrere innanzi;e veduto, e sentito il romore d'arme, scopersono l' ag-guato; in modo che Pandolfo si salvò, e Iulio ed i com-pagni si ebbono a fuggire di Siena. Impedì quello acci-dente di quello scontro quella azione, e fece a Iulio rovi-nare la sua impresa. Ai quali accidenti, perché e' sonrari, non si può fare alcuno rimedio. È bene necessarioesaminare tutti quegli che possono nascere, e rimediar-vi.Restaci al presente, solo a disputare de' pericoli che sicorrono dopo la esecuzione: i quali sono solamente uno;e questo è, quando e' rimane alcuno che vendichi il prin-cipe morto. Possono, adunque, rimanere suoi frategli, osuoi figliuoli, o altri aderenti, a chi si aspetti il principa-to; e possono rimanere o per tua negligenzia o per le ca-gioni dette di sopra, che faccino questa vendetta: comeintervenne a Giovanni Andrea da Lampognano, il quale,insieme con i suoi congiurati, avendo morto il duca diMilano, ed essendo rimaso uno suo figliuolo e due suoifrategli, furono a tempo a vendicare il morto. E vera-mente, in questi casi, i congiurati sono scusati, perchénon ci hanno rimedio; ma quando ne rimane vivo alcu-no, per poca prudenza, o per loro negligenza, allora èche non meritano scusa. Ammazzarono alcuni congiura-ti Forlivesi il conte Girolamo loro signore, presono la

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quando ei fussi presso all'uscio, facessi un cenno. Ac-cadde che, venendo Pandolfo, ed avendo fatto colui ilcenno, riscontrò uno amico che lo fermò; ed alcuni diquelli che erano con lui, vennono a trascorrere innanzi;e veduto, e sentito il romore d'arme, scopersono l' ag-guato; in modo che Pandolfo si salvò, e Iulio ed i com-pagni si ebbono a fuggire di Siena. Impedì quello acci-dente di quello scontro quella azione, e fece a Iulio rovi-nare la sua impresa. Ai quali accidenti, perché e' sonrari, non si può fare alcuno rimedio. È bene necessarioesaminare tutti quegli che possono nascere, e rimediar-vi.Restaci al presente, solo a disputare de' pericoli che sicorrono dopo la esecuzione: i quali sono solamente uno;e questo è, quando e' rimane alcuno che vendichi il prin-cipe morto. Possono, adunque, rimanere suoi frategli, osuoi figliuoli, o altri aderenti, a chi si aspetti il principa-to; e possono rimanere o per tua negligenzia o per le ca-gioni dette di sopra, che faccino questa vendetta: comeintervenne a Giovanni Andrea da Lampognano, il quale,insieme con i suoi congiurati, avendo morto il duca diMilano, ed essendo rimaso uno suo figliuolo e due suoifrategli, furono a tempo a vendicare il morto. E vera-mente, in questi casi, i congiurati sono scusati, perchénon ci hanno rimedio; ma quando ne rimane vivo alcu-no, per poca prudenza, o per loro negligenza, allora èche non meritano scusa. Ammazzarono alcuni congiura-ti Forlivesi il conte Girolamo loro signore, presono la

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moglie, ed i suoi figliuoli, che erano piccoli; e non pa-rendo loro potere vivere sicuri se non si insignorivanodella fortezza, e non volendo il castellano darla loro,Madonna Caterina (che così si chiamava la contessa)promisse ai congiurati, che, se la lasciavano entrare inquella, di farla consegnare loro, e che ritenessono apresso di loro i suoi figliuoli per istatichi. Costoro, sottoquesta fede, ve la lasciarono entrare; la quale, come fudentro, dalle mura rimproverò loro la morte del marito,e minacciogli d'ogni qualità di vendetta. E per mostrareche de' suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le mem-bra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne.Così costoro, scarsi di consiglio e tardi avvedutisi delloro errore, con uno perpetuo esilio patirono pena dellapoca prudenza loro. Ma di tutti i pericoli che possonodopo la esecuzione avvenire, non ci è il più certo néquello che sia più da temere, che quando il popolo èamico del principe che tu hai morto: perché a questo icongiurati non hanno rimedio alcuno, perché e' non sene possono mai assicurare. In esemplo ci è Cesare, ilquale, per avere il popolo di Roma amico, fu vendicatoda lui; perché, avendo cacciati i congiurati, di Roma, fucagione che furono tutti, in varii tempi e in varii luoghi,ammazzati.Le congiure che si fanno contro alla patria sono menopericolose, per coloro che le fanno, che non sono quellecontro ai principi: perché nel maneggiarle vi sono menopericoli che in quelle; nello esequirle vi sono quelli me-

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moglie, ed i suoi figliuoli, che erano piccoli; e non pa-rendo loro potere vivere sicuri se non si insignorivanodella fortezza, e non volendo il castellano darla loro,Madonna Caterina (che così si chiamava la contessa)promisse ai congiurati, che, se la lasciavano entrare inquella, di farla consegnare loro, e che ritenessono apresso di loro i suoi figliuoli per istatichi. Costoro, sottoquesta fede, ve la lasciarono entrare; la quale, come fudentro, dalle mura rimproverò loro la morte del marito,e minacciogli d'ogni qualità di vendetta. E per mostrareche de' suoi figliuoli non si curava, mostrò loro le mem-bra genitali, dicendo che aveva ancora il modo a rifarne.Così costoro, scarsi di consiglio e tardi avvedutisi delloro errore, con uno perpetuo esilio patirono pena dellapoca prudenza loro. Ma di tutti i pericoli che possonodopo la esecuzione avvenire, non ci è il più certo néquello che sia più da temere, che quando il popolo èamico del principe che tu hai morto: perché a questo icongiurati non hanno rimedio alcuno, perché e' non sene possono mai assicurare. In esemplo ci è Cesare, ilquale, per avere il popolo di Roma amico, fu vendicatoda lui; perché, avendo cacciati i congiurati, di Roma, fucagione che furono tutti, in varii tempi e in varii luoghi,ammazzati.Le congiure che si fanno contro alla patria sono menopericolose, per coloro che le fanno, che non sono quellecontro ai principi: perché nel maneggiarle vi sono menopericoli che in quelle; nello esequirle vi sono quelli me-

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desimi; dopo la esecuzione non ve ne è alcuno. Nel ma-neggiarle non vi è pericoli molti: perché uno cittadinopuò ordinarsi alla potenza sanza manifestare lo animo edisegno suo ad alcuno; e, se quegli suoi ordini non glisono interrotti, seguire felicemente la impresa sua; se glisono interrotti con qualche legge, aspettare tempo ed en-trare per altra via. Questo s'intende in una republicadove è qualche parte di corrozione; perché, in una noncorrotta, non vi avendo luogo nessuno principio cattivo,non possono cadere in uno suo cittadino questi pensieri.Possono, adunque, i cittadini per molti mezzi e moltevie aspirare al principato dove e' non portano pericolo diessere oppressi: sì perché le republiche sono più tardeche uno principe, dubitano meno, e per questo sonomanco caute; sì perché hanno più rispetto ai loro cittadi-ni grandi, e per questo quelli sono più audaci e più ani-mosi a fare loro contro. Ciascuno ha letto la congiura diCatilina scritta da Sallustio, e sa come, poi che la con-giura fu scoperta, Catilina non solamente stette inRoma, ma venne in Senato, e disse villania al Senato edal Consolo, tanto era il rispetto che quella città aveva aisuoi cittadini. E partito che fu di Roma, e ch'egli era digià in su gli eserciti, non si sarebbe preso Lentulo equelli altri, se non si fossoro avute lettere di loro manoche gli accusavano manifestamente. Annone, grandissi-mo cittadino in Cartagine, aspirando alla tirannide, ave-va ordinato nelle nozze d'una sua figliuola di avvelenaretutto il Senato, e dipoi farsi principe. Questa cosa intesa-si, non vi fece il Senato altra provisione che d'una legge,

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desimi; dopo la esecuzione non ve ne è alcuno. Nel ma-neggiarle non vi è pericoli molti: perché uno cittadinopuò ordinarsi alla potenza sanza manifestare lo animo edisegno suo ad alcuno; e, se quegli suoi ordini non glisono interrotti, seguire felicemente la impresa sua; se glisono interrotti con qualche legge, aspettare tempo ed en-trare per altra via. Questo s'intende in una republicadove è qualche parte di corrozione; perché, in una noncorrotta, non vi avendo luogo nessuno principio cattivo,non possono cadere in uno suo cittadino questi pensieri.Possono, adunque, i cittadini per molti mezzi e moltevie aspirare al principato dove e' non portano pericolo diessere oppressi: sì perché le republiche sono più tardeche uno principe, dubitano meno, e per questo sonomanco caute; sì perché hanno più rispetto ai loro cittadi-ni grandi, e per questo quelli sono più audaci e più ani-mosi a fare loro contro. Ciascuno ha letto la congiura diCatilina scritta da Sallustio, e sa come, poi che la con-giura fu scoperta, Catilina non solamente stette inRoma, ma venne in Senato, e disse villania al Senato edal Consolo, tanto era il rispetto che quella città aveva aisuoi cittadini. E partito che fu di Roma, e ch'egli era digià in su gli eserciti, non si sarebbe preso Lentulo equelli altri, se non si fossoro avute lettere di loro manoche gli accusavano manifestamente. Annone, grandissi-mo cittadino in Cartagine, aspirando alla tirannide, ave-va ordinato nelle nozze d'una sua figliuola di avvelenaretutto il Senato, e dipoi farsi principe. Questa cosa intesa-si, non vi fece il Senato altra provisione che d'una legge,

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la quale poneva termini alle spese de' conviti e dellenozze: tanto fu il rispetto che gli ebbero alle qualità sue.È bene vero, che nello esequire una congiura contro allapatria, vi è difficultà più, e maggiori pericoli, perchérade volte è che bastino le tue forze proprie conspirandocontro a tanti; e ciascuno non è principe d'uno esercito,come era Cesare o Agatocle o Cleomene, e simili, chehanno ad un tratto e con le forze loro occupato la patria.Perché a simili è la via assai facile ed assai sicura, magli altri, che non hanno tante aggiunte di forze, convieneche facciano le cose, o con inganno ed arte, o con forzeforestiere. Quanto allo inganno ed all'arte, avendo Pisi-strato ateniese vinti i Megarensi, e per questo acquistatagrazia nel popolo, uscì una mattina fuora, ferito, dicen-do che la Nobilità per invidia lo aveva ingiuriato, e do-mandò di potere menare armati seco per guardia sua. Daquesta autorità facilmente salse a tanta grandezza, chediventò tiranno di Atene. Pandolfo Petrucci tornò, conaltri fuora usciti, in Siena, e gli fu data la guardia dellapiazza con governo, come cosa mecanica, e che gli altririfiutarono; nondimanco quelli armati, con il tempo, glidierono tanta riputazione, che, in poco tempo, ne diven-tò principe. Molti altri hanno tenute altre industrie ed al-tri modi, e con ispazio di tempo e sanza pericolo vi sisono condotti. Quegli che con forze loro, o con esercitiesterni, hanno congiurato per occupare la patria, hannoavuti varii eventi, secondo la fortuna. Catilina preallega-to vi rovinò sotto. Annone, di chi di sopra facemo men-zione, non gli essendo riuscito il veleno, armò, di suoi

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la quale poneva termini alle spese de' conviti e dellenozze: tanto fu il rispetto che gli ebbero alle qualità sue.È bene vero, che nello esequire una congiura contro allapatria, vi è difficultà più, e maggiori pericoli, perchérade volte è che bastino le tue forze proprie conspirandocontro a tanti; e ciascuno non è principe d'uno esercito,come era Cesare o Agatocle o Cleomene, e simili, chehanno ad un tratto e con le forze loro occupato la patria.Perché a simili è la via assai facile ed assai sicura, magli altri, che non hanno tante aggiunte di forze, convieneche facciano le cose, o con inganno ed arte, o con forzeforestiere. Quanto allo inganno ed all'arte, avendo Pisi-strato ateniese vinti i Megarensi, e per questo acquistatagrazia nel popolo, uscì una mattina fuora, ferito, dicen-do che la Nobilità per invidia lo aveva ingiuriato, e do-mandò di potere menare armati seco per guardia sua. Daquesta autorità facilmente salse a tanta grandezza, chediventò tiranno di Atene. Pandolfo Petrucci tornò, conaltri fuora usciti, in Siena, e gli fu data la guardia dellapiazza con governo, come cosa mecanica, e che gli altririfiutarono; nondimanco quelli armati, con il tempo, glidierono tanta riputazione, che, in poco tempo, ne diven-tò principe. Molti altri hanno tenute altre industrie ed al-tri modi, e con ispazio di tempo e sanza pericolo vi sisono condotti. Quegli che con forze loro, o con esercitiesterni, hanno congiurato per occupare la patria, hannoavuti varii eventi, secondo la fortuna. Catilina preallega-to vi rovinò sotto. Annone, di chi di sopra facemo men-zione, non gli essendo riuscito il veleno, armò, di suoi

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partigiani, molte migliaia di persone, e loro ed elli furo-no morti. Alcuni primi cittadini di Tebe per farsi tirannichiamorono in aiuto uno esercito spartano, e presono latirannide di quella città. Tanto che, esaminate tutte lecongiure fatte contro alla patria, non ne troverrai alcuna,o poche, che, nel maneggiarle, siano oppresse; ma tutte,o sono riuscite o sono rovinate, nella esecuzione. Ese-quite che le sono, ancora non portano altri periculi chesi porti la natura del principato in sé: perché divenutoche uno è tiranno, ha i suoi naturali ed ordinari pericoliche gli arreca la tirannide, alli quali non ha altri rimediche si siano di sopra discorsi.Questo è quanto mi è occorso scrivere delle congiure; ese io ho ragionato di quelle che si fanno con il ferro, enon col veneno, nasce che le hanno tutte uno medesimoordine. Vero è che quelle del veneno sono più pericolo-se, per essere più incerte, perché non si ha commoditàper ognuno; e bisogna conferirlo con chi la ha, e questanecessità del conferire ti fa pericolo. Dipoi, per moltecagioni, uno beveraggio di veleno non può essere mor-tale: come intervenne a quelli che ammazzarono Com-modo, che, avendo quello ributtato il veleno che gli ave-vano dato, furono forzati a strangolarlo, se vollono chemorisse. Non hanno, pertanto, i principi il maggiore ni-mico che la congiura: perché, fatta che è una congiuraloro contro, o la gli ammazza, o la gli infama. Perché, sela riesce, e' muoiono; se la si scuopre, e loro ammazzinoi congiurati, si crede sempre che la sia stata invenzione

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partigiani, molte migliaia di persone, e loro ed elli furo-no morti. Alcuni primi cittadini di Tebe per farsi tirannichiamorono in aiuto uno esercito spartano, e presono latirannide di quella città. Tanto che, esaminate tutte lecongiure fatte contro alla patria, non ne troverrai alcuna,o poche, che, nel maneggiarle, siano oppresse; ma tutte,o sono riuscite o sono rovinate, nella esecuzione. Ese-quite che le sono, ancora non portano altri periculi chesi porti la natura del principato in sé: perché divenutoche uno è tiranno, ha i suoi naturali ed ordinari pericoliche gli arreca la tirannide, alli quali non ha altri rimediche si siano di sopra discorsi.Questo è quanto mi è occorso scrivere delle congiure; ese io ho ragionato di quelle che si fanno con il ferro, enon col veneno, nasce che le hanno tutte uno medesimoordine. Vero è che quelle del veneno sono più pericolo-se, per essere più incerte, perché non si ha commoditàper ognuno; e bisogna conferirlo con chi la ha, e questanecessità del conferire ti fa pericolo. Dipoi, per moltecagioni, uno beveraggio di veleno non può essere mor-tale: come intervenne a quelli che ammazzarono Com-modo, che, avendo quello ributtato il veleno che gli ave-vano dato, furono forzati a strangolarlo, se vollono chemorisse. Non hanno, pertanto, i principi il maggiore ni-mico che la congiura: perché, fatta che è una congiuraloro contro, o la gli ammazza, o la gli infama. Perché, sela riesce, e' muoiono; se la si scuopre, e loro ammazzinoi congiurati, si crede sempre che la sia stata invenzione

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di quel principe, per isfogare l'avarizia e la crudeltà suacontro al sangue e la roba di quegli che egli ha morti.Non voglio però mancare di avvertire quel principe oquella republica contro a chi fosse congiurato, che abbi-no avvertenza, quando una congiura si manifesta loro,innanzi che facciano impresa di vendicarla, cercare edintendere molto bene la qualità di essa, e misurino benele condizioni de' congiurati e le loro; e quando la truovi-no grossa e potente, non la scuoprino mai, infino a tantoche si siano preparati con forze sufficienti ad opprimer-la: altrimenti facendo, scoprirebbono la loro rovina.Però, debbono con ogni industria dissimularla; perché icongiurati, veggendosi scoperti, cacciati da necessità,operano sanza rispetto. In esemplo ci sono i Romani; iquali, avendo lasciate due legioni di soldati a guardia de'Capovani contro ai Sanniti, come altrove dicemo, con-giurarono quelli capi delle legioni insieme di opprimerei Capovani: la quale cosa intesasi a Roma, commissonoa Rutilio nuovo Consolo che vi provvedesse; il quale,per addormentare i congiurati, pubblicò come il Senatoaveva raffermo le stanze alle legioni capovane. Il checredendosi quelli soldati, e parendo loro avere tempo adesequire il disegno loro, non cercarono di accelerare lacosa; e così stettono infino che cominciarono a vedereche il Consolo gli separava l'uno dall'altro: la quale cosagenerò in loro sospetto, fece che si scopersono e manda-rono ad esecuzione la voglia loro. Né può essere questomaggiore esemplo nell'una e nell'altra parte: perché perquesto si vede, quanto gli uomini sono lenti nelle cose

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di quel principe, per isfogare l'avarizia e la crudeltà suacontro al sangue e la roba di quegli che egli ha morti.Non voglio però mancare di avvertire quel principe oquella republica contro a chi fosse congiurato, che abbi-no avvertenza, quando una congiura si manifesta loro,innanzi che facciano impresa di vendicarla, cercare edintendere molto bene la qualità di essa, e misurino benele condizioni de' congiurati e le loro; e quando la truovi-no grossa e potente, non la scuoprino mai, infino a tantoche si siano preparati con forze sufficienti ad opprimer-la: altrimenti facendo, scoprirebbono la loro rovina.Però, debbono con ogni industria dissimularla; perché icongiurati, veggendosi scoperti, cacciati da necessità,operano sanza rispetto. In esemplo ci sono i Romani; iquali, avendo lasciate due legioni di soldati a guardia de'Capovani contro ai Sanniti, come altrove dicemo, con-giurarono quelli capi delle legioni insieme di opprimerei Capovani: la quale cosa intesasi a Roma, commissonoa Rutilio nuovo Consolo che vi provvedesse; il quale,per addormentare i congiurati, pubblicò come il Senatoaveva raffermo le stanze alle legioni capovane. Il checredendosi quelli soldati, e parendo loro avere tempo adesequire il disegno loro, non cercarono di accelerare lacosa; e così stettono infino che cominciarono a vedereche il Consolo gli separava l'uno dall'altro: la quale cosagenerò in loro sospetto, fece che si scopersono e manda-rono ad esecuzione la voglia loro. Né può essere questomaggiore esemplo nell'una e nell'altra parte: perché perquesto si vede, quanto gli uomini sono lenti nelle cose

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dove credono avere tempo, e quanto e' sono presti dovela necessità gli caccia. Né può uno principe o una repu-blica, che vuole differire lo scoprire una congiura a suovantaggio, usare termine migliore che offerire, di prossi-mo, occasione con arte ai congiurati acciocché, aspet-tando quella, o parendo loro avere tempo, diano tempo aquello o a quella a gastigarli. Chi ha fatto altrimenti, haaccelerato la sua rovina: come fece il duca di Atene, eGuglielmo de' Pazzi. Il duca, diventato tiranno di Firen-ze, ed intendendo esserli congiurato contro, fece, sanzaesaminare altrimenti la cosa, pigliare uno de' congiurati:il che fece subito pigliare l'armi agli altri; e torgli lo sta-to. Guglielmo, sendo commessario in Val di Chiana nel1501, ed avendo inteso come in Arezzo era una congiu-ra in favore de' Vitelli per tôrre quella terra ai Fiorentini,subito se n'andò in quella città, e sanza pensare alle for-ze de' congiurati o alle sue, e, sanza prepararsi di alcunaforza, con il consiglio del vescovo suo figliuolo, fece pi-gliare uno de' congiurati: dopo la quale presura, gli altrisubito presono l'armi, e tolsono la terra ai Fiorentini; eGuglielmo, di commessario, diventò prigione. Ma quan-do le congiure sono deboli, si possono e debbono sanzarispetto opprimerle. Non è ancora da imitare in alcunomodo due termini usati, quasi contrari l'uno all'altro,l'uno dal prenominato duca di Atene, il quale, per mo-strare di credere di avere la benivolenza de' cittadini fio-rentini, fece morire uno che gli manifestò una congiura;l'altro da Dione siragusano, il quale, per tentare l'animodi alcuno che elli aveva a sospetto, consentì a Callippo,

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dove credono avere tempo, e quanto e' sono presti dovela necessità gli caccia. Né può uno principe o una repu-blica, che vuole differire lo scoprire una congiura a suovantaggio, usare termine migliore che offerire, di prossi-mo, occasione con arte ai congiurati acciocché, aspet-tando quella, o parendo loro avere tempo, diano tempo aquello o a quella a gastigarli. Chi ha fatto altrimenti, haaccelerato la sua rovina: come fece il duca di Atene, eGuglielmo de' Pazzi. Il duca, diventato tiranno di Firen-ze, ed intendendo esserli congiurato contro, fece, sanzaesaminare altrimenti la cosa, pigliare uno de' congiurati:il che fece subito pigliare l'armi agli altri; e torgli lo sta-to. Guglielmo, sendo commessario in Val di Chiana nel1501, ed avendo inteso come in Arezzo era una congiu-ra in favore de' Vitelli per tôrre quella terra ai Fiorentini,subito se n'andò in quella città, e sanza pensare alle for-ze de' congiurati o alle sue, e, sanza prepararsi di alcunaforza, con il consiglio del vescovo suo figliuolo, fece pi-gliare uno de' congiurati: dopo la quale presura, gli altrisubito presono l'armi, e tolsono la terra ai Fiorentini; eGuglielmo, di commessario, diventò prigione. Ma quan-do le congiure sono deboli, si possono e debbono sanzarispetto opprimerle. Non è ancora da imitare in alcunomodo due termini usati, quasi contrari l'uno all'altro,l'uno dal prenominato duca di Atene, il quale, per mo-strare di credere di avere la benivolenza de' cittadini fio-rentini, fece morire uno che gli manifestò una congiura;l'altro da Dione siragusano, il quale, per tentare l'animodi alcuno che elli aveva a sospetto, consentì a Callippo,

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nel quale ei confidava, che mostrasse di farli una con-giura contro. E tutti a due questi capitorono male: per-ché l'uno tolse l'animo agli accusatori, e dettelo a chi vo-lesse congiurare, l'altro dette la via facile alla morte sua,anzi fu elli proprio capo della sua congiura; come perisperienza gl'intervenne, perché Callippo, potendo sanzarispetto praticare contro a Dione, praticò tanto che glitolse lo stato e la vita.

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nel quale ei confidava, che mostrasse di farli una con-giura contro. E tutti a due questi capitorono male: per-ché l'uno tolse l'animo agli accusatori, e dettelo a chi vo-lesse congiurare, l'altro dette la via facile alla morte sua,anzi fu elli proprio capo della sua congiura; come perisperienza gl'intervenne, perché Callippo, potendo sanzarispetto praticare contro a Dione, praticò tanto che glitolse lo stato e la vita.

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7 Donde nasce che le mutazioni dalla libertàalla servitù, e dalla servitù alla libertà, alcu-

na ne è sanza sangue, alcuna ne è piena.

Dubiterà forse alcuno donde nasca che molte mutazioni,che si fanno dalla vita libera alla tirannica, e per contra-rio, alcuna se ne faccia con sangue, alcuna sanza; per-ché, come per le istorie si comprende, in simili variazio-ni alcuna volta sono stati morti infiniti uomini, alcunavolta non è stato ingiurato alcuno: come intervenne nel-la mutazione che fe' Roma dai Re a' Consoli, dove nonfurono cacciati altri che i Tarquinii, fuora della offensio-ne di qualunque altro. Il che depende da questo: perchéquello stato che si muta, nacque con violenza, o no: eperché, quando e' nasce con violenza, conviene nascacon ingiuria di molti, è necessario poi, nella rovina sua,che gl'ingiuriati si voglino vendicare; e da questo desi-derio di vendetta nasce il sangue e la morte degli uomi-ni. Ma quando quello stato è causato da uno comuneconsenso d'una universalità che lo ha fatto grande, nonha cagione poi, quando rovina detta universalità, di of-fendere altri che il capo. E di questa sorte fu lo stato diRoma, e la cacciata de' Tarquinii; come fu ancora in Fi-renze lo stato de' Medici, che poi nelle rovine loro, nel1494, non furono offesi altri che loro. E così tali muta-zioni non vengono ad essere molto pericolose: ma sonobene pericolosissime quelle che sono fatte da quegli chesi hanno a vendicare; le quali furono sempre mai di sor-

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7 Donde nasce che le mutazioni dalla libertàalla servitù, e dalla servitù alla libertà, alcu-

na ne è sanza sangue, alcuna ne è piena.

Dubiterà forse alcuno donde nasca che molte mutazioni,che si fanno dalla vita libera alla tirannica, e per contra-rio, alcuna se ne faccia con sangue, alcuna sanza; per-ché, come per le istorie si comprende, in simili variazio-ni alcuna volta sono stati morti infiniti uomini, alcunavolta non è stato ingiurato alcuno: come intervenne nel-la mutazione che fe' Roma dai Re a' Consoli, dove nonfurono cacciati altri che i Tarquinii, fuora della offensio-ne di qualunque altro. Il che depende da questo: perchéquello stato che si muta, nacque con violenza, o no: eperché, quando e' nasce con violenza, conviene nascacon ingiuria di molti, è necessario poi, nella rovina sua,che gl'ingiuriati si voglino vendicare; e da questo desi-derio di vendetta nasce il sangue e la morte degli uomi-ni. Ma quando quello stato è causato da uno comuneconsenso d'una universalità che lo ha fatto grande, nonha cagione poi, quando rovina detta universalità, di of-fendere altri che il capo. E di questa sorte fu lo stato diRoma, e la cacciata de' Tarquinii; come fu ancora in Fi-renze lo stato de' Medici, che poi nelle rovine loro, nel1494, non furono offesi altri che loro. E così tali muta-zioni non vengono ad essere molto pericolose: ma sonobene pericolosissime quelle che sono fatte da quegli chesi hanno a vendicare; le quali furono sempre mai di sor-

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te, da fare, non che altro, sbigottire chi le legge. E per-ché di questi esempli ne sono piene le istorie, io le vo-glio lasciare indietro.

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te, da fare, non che altro, sbigottire chi le legge. E per-ché di questi esempli ne sono piene le istorie, io le vo-glio lasciare indietro.

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8 Chi vuole alterare una republica, debbeconsiderare il suggetto di quella.

Egli si è di sopra discorso, come uno tristo cittadino nonpuò male operare in una republica che non sia corrotta:la quale conclusione si fortifica, oltre alle ragioni che al-lora si dissono, con lo esemplo di Spurio Cassio e diManlio Capitolino. Il quale Spurio, essendo uomo ambi-zioso, e volendo pigliare autorità istraordinaria in Roma,e guadagnarsi la plebe con il fargli molti beneficii, comeera dividergli quegli campi che i Romani avevano toltoagli Ernici; fu scoperta dai Padri questa sua ambizione,ed in tanto recata a sospetto, che, parlando egli al popo-lo, ed offerendo di darli quelli danari che si erano ritrattidei grani che il publico aveva fatti venire di Sicilia, altutto gli recusò, parendo a quello che Spurio volessidare loro il prezzo della loro libertà. Ma se tale popolofusse stato corrotto, non arebbe recusato detto prezzo, egli arebbe aperta alla tirannide quella via che gli chiuse.Fa molto maggiore essemplo di questo, Manlio Capitoli-no: perché mediante costui si vede quanta virtù d'animoe di corpo, quante buone opere fatte in favore della pa-tria, cancella dipoi una brutta cupidità di regnare: laquale, come si vede, nacque in costui per la invidia chelui aveva degli onori erano fatti a Cammillo; e venne intanta cecità di mente, che, non pensando al modo del vi-vere della città, non esaminando il suggetto, quale essoaveva, non atto a ricevere ancora trista forma, si misse a

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8 Chi vuole alterare una republica, debbeconsiderare il suggetto di quella.

Egli si è di sopra discorso, come uno tristo cittadino nonpuò male operare in una republica che non sia corrotta:la quale conclusione si fortifica, oltre alle ragioni che al-lora si dissono, con lo esemplo di Spurio Cassio e diManlio Capitolino. Il quale Spurio, essendo uomo ambi-zioso, e volendo pigliare autorità istraordinaria in Roma,e guadagnarsi la plebe con il fargli molti beneficii, comeera dividergli quegli campi che i Romani avevano toltoagli Ernici; fu scoperta dai Padri questa sua ambizione,ed in tanto recata a sospetto, che, parlando egli al popo-lo, ed offerendo di darli quelli danari che si erano ritrattidei grani che il publico aveva fatti venire di Sicilia, altutto gli recusò, parendo a quello che Spurio volessidare loro il prezzo della loro libertà. Ma se tale popolofusse stato corrotto, non arebbe recusato detto prezzo, egli arebbe aperta alla tirannide quella via che gli chiuse.Fa molto maggiore essemplo di questo, Manlio Capitoli-no: perché mediante costui si vede quanta virtù d'animoe di corpo, quante buone opere fatte in favore della pa-tria, cancella dipoi una brutta cupidità di regnare: laquale, come si vede, nacque in costui per la invidia chelui aveva degli onori erano fatti a Cammillo; e venne intanta cecità di mente, che, non pensando al modo del vi-vere della città, non esaminando il suggetto, quale essoaveva, non atto a ricevere ancora trista forma, si misse a

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fare tumulti in Roma contro al Senato e contro alle leggipatrie. Dove si conosce la perfezione di quella città, e labontà della materia sua: perché nel caso suo nessunodella Nobilità, come che fossero agrissimi difensoril'uno dell'altro, si mosse a favorirlo; nessuno de' parentifece impresa in suo favore: e con gli altri accusati sole-vano comparire, sordidati, vestiti di nero, tutti mesti peraccattare misericordia in favore dello accusato, e conManlio non se ne vide alcuno. I Tribuni della plebe, chesolevano sempre favorire le cose che pareva venissonoin beneficio del popolo; e quanto erano più contro a' no-bili, tanto più le tiravano innanzi; in questo caso si uni-rono co' nobili, per opprimere una comune peste. Il po-polo di Roma desiderosissimo dell'utile proprio, ed ama-tore delle cose che venivano contro alla Nobilità, avven-ga che facesse a Manlio assai favori, nondimeno, come iTribuni lo citarono, e che rimessono la causa sua al giu-dicio del popolo, quel popolo, diventato di difensoregiudice, sanza rispetto alcuno lo condannò a morte. Per-tanto io non credo che sia esemplo in questa istoria, piùatto a mostrare la bontà di tutti gli ordini di quella Repu-blica, quanto è questo; veggendo che nessuno di quellacittà si mosse a difendere uno cittadino pieno d'ogni vir-tù, e che publicamente e privatamente aveva fatte mol-tissime opere laudabili. Perché in tutti loro poté più loamore della patria che alcuno altro rispetto; e considera-rono molto più a' pericoli presenti che da lui dependeva-no che a' meriti passati: tanto che con la morte sua e' siliberarono. E Tito Livio dice: «Hunc exitum habuit vir,

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fare tumulti in Roma contro al Senato e contro alle leggipatrie. Dove si conosce la perfezione di quella città, e labontà della materia sua: perché nel caso suo nessunodella Nobilità, come che fossero agrissimi difensoril'uno dell'altro, si mosse a favorirlo; nessuno de' parentifece impresa in suo favore: e con gli altri accusati sole-vano comparire, sordidati, vestiti di nero, tutti mesti peraccattare misericordia in favore dello accusato, e conManlio non se ne vide alcuno. I Tribuni della plebe, chesolevano sempre favorire le cose che pareva venissonoin beneficio del popolo; e quanto erano più contro a' no-bili, tanto più le tiravano innanzi; in questo caso si uni-rono co' nobili, per opprimere una comune peste. Il po-polo di Roma desiderosissimo dell'utile proprio, ed ama-tore delle cose che venivano contro alla Nobilità, avven-ga che facesse a Manlio assai favori, nondimeno, come iTribuni lo citarono, e che rimessono la causa sua al giu-dicio del popolo, quel popolo, diventato di difensoregiudice, sanza rispetto alcuno lo condannò a morte. Per-tanto io non credo che sia esemplo in questa istoria, piùatto a mostrare la bontà di tutti gli ordini di quella Repu-blica, quanto è questo; veggendo che nessuno di quellacittà si mosse a difendere uno cittadino pieno d'ogni vir-tù, e che publicamente e privatamente aveva fatte mol-tissime opere laudabili. Perché in tutti loro poté più loamore della patria che alcuno altro rispetto; e considera-rono molto più a' pericoli presenti che da lui dependeva-no che a' meriti passati: tanto che con la morte sua e' siliberarono. E Tito Livio dice: «Hunc exitum habuit vir,

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nisi in libera civitate natus esset, memorabilis». Dovesono da considerare due cose: l'una, che per altri modi siha a cercare gloria in una città corrotta, che in una cheancora viva politicamente; l'altra (che è quasi quel me-desimo che la prima), che gli uomini nel procedere loro,è tanto più nelle azioni grandi, debbono considerare itempi, e accommodarsi a quegli.E coloro che, per cattiva elezione o per naturale inclina-zione, si discordono dai tempi, vivono, il più delle volte,infelici, ed hanno cattivo esito le azioni loro, al contra-rio l'hanno quegli che si concordano col tempo. E sanzadubbio, per le parole preallegate dello istorico, si puòconchiudere, che, se Manlio fusse nato ne' tempi di Ma-rio e di Silla, dove già la materia era corrotta e doveesso arebbe potuto imprimere la forma dell'ambizionesua, arebbe avuti quegli medesimi séguiti e successi cheMario e Silla, e gli altri poi, che, dopo loro, alla tiranni-de aspirarono. Così medesimamente, se Silla e Mariofussono stati ne' tempi di Manlio, sarebbero stati, in trale prime loro imprese, oppressi. Perché un uomo puòbene cominciare con suoi modi e con suoi tristi terminia corrompere uno popolo di una città, ma gli è impossi-bile che la vita d'uno basti a corromperla in modo cheegli medesimo ne possa trarre frutto; e quando bene e'fussi possibile, con lunghezza di tempo, che lo facesse,sarebbe impossibile, quanto al modo del procedere degliuomini, che sono impazienti, e non possono lungamentedifferire una loro passione. Appresso, s'ingannano nelle

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nisi in libera civitate natus esset, memorabilis». Dovesono da considerare due cose: l'una, che per altri modi siha a cercare gloria in una città corrotta, che in una cheancora viva politicamente; l'altra (che è quasi quel me-desimo che la prima), che gli uomini nel procedere loro,è tanto più nelle azioni grandi, debbono considerare itempi, e accommodarsi a quegli.E coloro che, per cattiva elezione o per naturale inclina-zione, si discordono dai tempi, vivono, il più delle volte,infelici, ed hanno cattivo esito le azioni loro, al contra-rio l'hanno quegli che si concordano col tempo. E sanzadubbio, per le parole preallegate dello istorico, si puòconchiudere, che, se Manlio fusse nato ne' tempi di Ma-rio e di Silla, dove già la materia era corrotta e doveesso arebbe potuto imprimere la forma dell'ambizionesua, arebbe avuti quegli medesimi séguiti e successi cheMario e Silla, e gli altri poi, che, dopo loro, alla tiranni-de aspirarono. Così medesimamente, se Silla e Mariofussono stati ne' tempi di Manlio, sarebbero stati, in trale prime loro imprese, oppressi. Perché un uomo puòbene cominciare con suoi modi e con suoi tristi terminia corrompere uno popolo di una città, ma gli è impossi-bile che la vita d'uno basti a corromperla in modo cheegli medesimo ne possa trarre frutto; e quando bene e'fussi possibile, con lunghezza di tempo, che lo facesse,sarebbe impossibile, quanto al modo del procedere degliuomini, che sono impazienti, e non possono lungamentedifferire una loro passione. Appresso, s'ingannano nelle

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cose loro, ed in quelle, massime, che desiderono assai;talché, o per poca pazienza o per ingannarsene, entre-rebbero in impresa contro a tempo, e capiterebbonomale. Però è bisogno, a volere pigliare autorità in unarepublica e mettervi trista forma, trovare la materia di-sordinata dal tempo, e che, a poco a poco, e di genera-zione in generazione, si sia condotta al disordine: laquale vi si conduce di necessità, quando la non sia,come di sopra si discorse, spesso rinfrescata di buoniesempli, o con nuove leggi ritirata verso i principii suoi.Sarebbe, dunque, stato Manlio uno uomo raro e memo-rabile, se e' fussi nato in una città corrotta. E però deb-beno i cittadini che nelle republiche fanno alcuna impre-sa o in favore della libertà o in favore della tirannide,considerare il suggetto che eglino hanno, e giudicare daquello la difficultà delle imprese loro. Perché tanto è dif-ficile e pericoloso volere fare libero uno popolo che vo-glia vivere servo, quanto è volere fare servo uno popoloche voglia vivere libero. E perché di sopra si dice, chegli uomini nell'operare debbono considerare le qualitàde' tempi e procedere secondo quegli, ne parlereno alungo nel sequente capitolo.

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cose loro, ed in quelle, massime, che desiderono assai;talché, o per poca pazienza o per ingannarsene, entre-rebbero in impresa contro a tempo, e capiterebbonomale. Però è bisogno, a volere pigliare autorità in unarepublica e mettervi trista forma, trovare la materia di-sordinata dal tempo, e che, a poco a poco, e di genera-zione in generazione, si sia condotta al disordine: laquale vi si conduce di necessità, quando la non sia,come di sopra si discorse, spesso rinfrescata di buoniesempli, o con nuove leggi ritirata verso i principii suoi.Sarebbe, dunque, stato Manlio uno uomo raro e memo-rabile, se e' fussi nato in una città corrotta. E però deb-beno i cittadini che nelle republiche fanno alcuna impre-sa o in favore della libertà o in favore della tirannide,considerare il suggetto che eglino hanno, e giudicare daquello la difficultà delle imprese loro. Perché tanto è dif-ficile e pericoloso volere fare libero uno popolo che vo-glia vivere servo, quanto è volere fare servo uno popoloche voglia vivere libero. E perché di sopra si dice, chegli uomini nell'operare debbono considerare le qualitàde' tempi e procedere secondo quegli, ne parlereno alungo nel sequente capitolo.

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9 Come conviene variare co' tempi volendosempre avere buona fortuna.

Io ho considerato più volte come la cagione della trista edella buona fortuna degli uomini è riscontrare il mododel procedere suo con i tempi: perché e' si vede che gliuomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto,alcuni con rispetto e con cauzione. E perché nell'uno enell'altro di questi modi si passano e' termini convenien-ti, non si potendo osservare la vera via, nell'uno enell'altro si erra. Ma quello viene ad errare meno, edavere la fortuna prospera, che riscontra, come ho detto,con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede, se-condo ti sforza la natura. Ciascuno sa come Fabio Mas-simo procedeva con lo esercito suo rispettivamente ecautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audaciaromana, e la buona fortuna fece che questo suo modo ri-scontrò bene con i tempi. Perché, sendo venuto Anniba-le in Italia, giovane e con una fortuna fresca, ed avendogià rotto il popolo romano due volte; ed essendo quellarepublica priva quasi della sua buona milizia, e sbigotti-ta; non potette sortire migliore fortuna, che avere unocapitano il quale, con la sua tardità e cauzione, tenessi abada il nimico. Né ancora Fabio potette riscontrare tem-pi più convenienti a' modi suoi: di che ne nacque che fuglorioso. E che Fabio facessi questo per natura, e nonper elezione, si vide, che, volendo Scipione passare inAffrica con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio

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9 Come conviene variare co' tempi volendosempre avere buona fortuna.

Io ho considerato più volte come la cagione della trista edella buona fortuna degli uomini è riscontrare il mododel procedere suo con i tempi: perché e' si vede che gliuomini nelle opere loro procedono, alcuni con impeto,alcuni con rispetto e con cauzione. E perché nell'uno enell'altro di questi modi si passano e' termini convenien-ti, non si potendo osservare la vera via, nell'uno enell'altro si erra. Ma quello viene ad errare meno, edavere la fortuna prospera, che riscontra, come ho detto,con il suo modo il tempo, e sempre mai si procede, se-condo ti sforza la natura. Ciascuno sa come Fabio Mas-simo procedeva con lo esercito suo rispettivamente ecautamente, discosto da ogni impeto e da ogni audaciaromana, e la buona fortuna fece che questo suo modo ri-scontrò bene con i tempi. Perché, sendo venuto Anniba-le in Italia, giovane e con una fortuna fresca, ed avendogià rotto il popolo romano due volte; ed essendo quellarepublica priva quasi della sua buona milizia, e sbigotti-ta; non potette sortire migliore fortuna, che avere unocapitano il quale, con la sua tardità e cauzione, tenessi abada il nimico. Né ancora Fabio potette riscontrare tem-pi più convenienti a' modi suoi: di che ne nacque che fuglorioso. E che Fabio facessi questo per natura, e nonper elezione, si vide, che, volendo Scipione passare inAffrica con quegli eserciti per ultimare la guerra, Fabio

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la contradisse assai, come quello che non si poteva spic-care da' suoi modi e dalla consuetudine sua; talché, sefusse stato a lui Annibale sarebbe ancora in Italia; comequello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi,e che bisognava mutare modo di guerra. E se Fabio fus-se stato re di Roma, poteva facilmente perdere quellaguerra; perché non arebbe saputo variare, col procederesuo, secondo che variavono i tempi: ma essendo nato inuna republica dove erano diversi cittadini e diversi umo-ri, come la ebbe Fabio, che fu ottimo ne' tempi debiti asostenere la guerra, così ebbe poi Scipione, ne' tempiatti a vincerla.Quinci nasce che una republica ha maggiore vita, ed hapiù lungamente buona fortuna, che uno principato, per-ché la può meglio accomodarsi alla diversità de' tempo-rali, per la diversità de' cittadini che sono in quella, chenon può uno principe. Perché un uomo che sia consuetoa procedere in uno modo, non si muta mai, come è det-to; e conviene di necessità che, quando e' si mutano itempi disformi a quel suo modo, che rovini.Piero Soderini, altre volte preallegato, procedeva in tuttele cose sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e lasua patria, mentre che i tempi furono conformi al mododel procedere suo: ma come e' vennero dipoi tempi dovee' bisognava rompere la pazienza e la umiltà, non lo sep-pe fare; talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Iu-lio II procedette in tutto il tempo del suo pontificato conimpeto e con furia; e perché gli tempi l'accompagnarono

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la contradisse assai, come quello che non si poteva spic-care da' suoi modi e dalla consuetudine sua; talché, sefusse stato a lui Annibale sarebbe ancora in Italia; comequello che non si avvedeva che gli erano mutati i tempi,e che bisognava mutare modo di guerra. E se Fabio fus-se stato re di Roma, poteva facilmente perdere quellaguerra; perché non arebbe saputo variare, col procederesuo, secondo che variavono i tempi: ma essendo nato inuna republica dove erano diversi cittadini e diversi umo-ri, come la ebbe Fabio, che fu ottimo ne' tempi debiti asostenere la guerra, così ebbe poi Scipione, ne' tempiatti a vincerla.Quinci nasce che una republica ha maggiore vita, ed hapiù lungamente buona fortuna, che uno principato, per-ché la può meglio accomodarsi alla diversità de' tempo-rali, per la diversità de' cittadini che sono in quella, chenon può uno principe. Perché un uomo che sia consuetoa procedere in uno modo, non si muta mai, come è det-to; e conviene di necessità che, quando e' si mutano itempi disformi a quel suo modo, che rovini.Piero Soderini, altre volte preallegato, procedeva in tuttele cose sue con umanità e pazienza. Prosperò egli e lasua patria, mentre che i tempi furono conformi al mododel procedere suo: ma come e' vennero dipoi tempi dovee' bisognava rompere la pazienza e la umiltà, non lo sep-pe fare; talché insieme con la sua patria rovinò. Papa Iu-lio II procedette in tutto il tempo del suo pontificato conimpeto e con furia; e perché gli tempi l'accompagnarono

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bene gli riuscirono le sua imprese tutte. Ma se fosserovenuti altri tempi che avessono ricerco altro consiglio,di necessità rovinava; perché no arebbe mutato né modoné ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamomutare, ne sono cagioni due cose: l'una, che noi non cipossiamo opporre a quello che ci inclina la natura;l'altra, che, avendo uno con uno modo di procedere pro-sperato assai, non è possibile persuadergli che possa farebene a procedere altrimenti: donde ne nasce che in unouomo la fortuna varia, perché ella varia i tempi, ed ellinon varia i modi. Nascene ancora le rovine delle cittadi,per non si variare gli ordini delle republiche co' tempi;come lungamente di sopra discorremo: ma sono più tar-de, perché le penono più a variare, perché bisogna chevenghino tempi che commuovino tutta la republica, ache uno solo, col variare il modo del procedere, non ba-sta.E perché noi abbiamo fatto menzione di Fabio Massimoche tenne a bada Annibale, mi pare da discorrere nel ca-pitolo sequente, se uno capitano, volendo fare la giorna-ta in ogni modo col nimico, può essere impedito, daquello, che non lo faccia.

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bene gli riuscirono le sua imprese tutte. Ma se fosserovenuti altri tempi che avessono ricerco altro consiglio,di necessità rovinava; perché no arebbe mutato né modoné ordine nel maneggiarsi. E che noi non ci possiamomutare, ne sono cagioni due cose: l'una, che noi non cipossiamo opporre a quello che ci inclina la natura;l'altra, che, avendo uno con uno modo di procedere pro-sperato assai, non è possibile persuadergli che possa farebene a procedere altrimenti: donde ne nasce che in unouomo la fortuna varia, perché ella varia i tempi, ed ellinon varia i modi. Nascene ancora le rovine delle cittadi,per non si variare gli ordini delle republiche co' tempi;come lungamente di sopra discorremo: ma sono più tar-de, perché le penono più a variare, perché bisogna chevenghino tempi che commuovino tutta la republica, ache uno solo, col variare il modo del procedere, non ba-sta.E perché noi abbiamo fatto menzione di Fabio Massimoche tenne a bada Annibale, mi pare da discorrere nel ca-pitolo sequente, se uno capitano, volendo fare la giorna-ta in ogni modo col nimico, può essere impedito, daquello, che non lo faccia.

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10 Che uno capitano non può fuggire la gior-nata, quando l'avversario la vuol fare in ogni

modo.

«Cneus Sulpitius dictator adversus Gallos bellumtrahebat, nolens se fortunae committere adversushostem, quem tempus deteriorem in dies, et locusalienus, faceret». Quando e' séguita uno errore, dove tut-ti gli uomini o la maggiore parte s'ingannino, io non cre-do che sia male molte volte riprovarlo. Pertanto, comeche io abbia di sopra più volte mostro quanto le azionicirca le cose grandi sieno disformi a quelle delli antichitempi, nondimeno non mi pare superfluo al presente re-plicarlo. Perché, se in alcuna parte si devia dagli antichiordini si devia massime nelle azioni militari, dove alpresente non è osservata alcuna di quelle cose che dagliantichi erano stimate assai. Ed è nato questo inconve-niente, perché le republiche ed i principi hanno impostaquesta cura ad altrui; e per fuggire i pericoli si sono di-scostati da questo esercizio: e se pure si vede qualchevolta uno re de' tempi nostri andare in persona, non sicrede, però, che da lui nasca altri modi che meritino piùlaude. Perché quello esercizio, quando pure lo fanno, lofanno a pompa, e non per alcuna altra laudabile cagione.Pure, questi fanno minori errori rivedendo i loro esercitiqualche volta in viso, tenendo a presso di loro il titolodello imperio, che non fanno le republiche, e massime leitaliane; le quali, fidandosi d'altrui, né s'intendendo in

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10 Che uno capitano non può fuggire la gior-nata, quando l'avversario la vuol fare in ogni

modo.

«Cneus Sulpitius dictator adversus Gallos bellumtrahebat, nolens se fortunae committere adversushostem, quem tempus deteriorem in dies, et locusalienus, faceret». Quando e' séguita uno errore, dove tut-ti gli uomini o la maggiore parte s'ingannino, io non cre-do che sia male molte volte riprovarlo. Pertanto, comeche io abbia di sopra più volte mostro quanto le azionicirca le cose grandi sieno disformi a quelle delli antichitempi, nondimeno non mi pare superfluo al presente re-plicarlo. Perché, se in alcuna parte si devia dagli antichiordini si devia massime nelle azioni militari, dove alpresente non è osservata alcuna di quelle cose che dagliantichi erano stimate assai. Ed è nato questo inconve-niente, perché le republiche ed i principi hanno impostaquesta cura ad altrui; e per fuggire i pericoli si sono di-scostati da questo esercizio: e se pure si vede qualchevolta uno re de' tempi nostri andare in persona, non sicrede, però, che da lui nasca altri modi che meritino piùlaude. Perché quello esercizio, quando pure lo fanno, lofanno a pompa, e non per alcuna altra laudabile cagione.Pure, questi fanno minori errori rivedendo i loro esercitiqualche volta in viso, tenendo a presso di loro il titolodello imperio, che non fanno le republiche, e massime leitaliane; le quali, fidandosi d'altrui, né s'intendendo in

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alcuna cosa di quello che appartenga alla guerra; e,dall'altro canto, volendo, per parere d'essere loro il prin-cipe, deliberarne, fanno in tale deliberazione mille erro-ri. E benché di alcuno ne abbi discorso altrove, voglio alpresente non ne tacere uno importantissimo. Quandoquesti principi oziosi, o republiche effeminate, mandonofuora uno loro capitano, la più savia commissione chepaia loro dargli, è quando gl'impongono che per alcunomodo venga a giornata, anzi, sopra ogni cosa, si guardidalla zuffa; e parendo loro, in questo, imitare la pruden-za di Fabio Massimo, che, differendo il combattere, sal-vò lo stato ai Romani, non intendono che, la maggioreparte delle volte, questa commissione è nulla o è danno-sa. Per che si debbe pigliare questa conclusione: che unocapitano, che voglia stare alla campagna, non può fuggi-re la giornata, qualunque volta il nemico la vuole fare inogni modo. E non è altro questa commissione che dire:fa' la giornata a posta del nimico, e non a tua. Perché avolere stare in campagna, e non fare la giornata, non ci èaltro rimedio sicuro che porsi cinquanta miglia almenodiscosto al nimico; e di poi tenere buone spie, che, ve-nendo quello verso di te, tu abbi tempo a discostarti.Uno altro partito ci è; inchiudersi in una città. E l'uno el'altro di questi due partiti è dannosissimo. Nel primo silascia in preda il paese suo al nimico; ed uno principevalente vorrà più tosto tentare la fortuna della zuffa, cheallungare la guerra con tanto danno de' sudditi. Nel se-condo partito è la perdita manifesta; perché e' convieneche, riducendoti con uno esercito in una città, tu venga

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alcuna cosa di quello che appartenga alla guerra; e,dall'altro canto, volendo, per parere d'essere loro il prin-cipe, deliberarne, fanno in tale deliberazione mille erro-ri. E benché di alcuno ne abbi discorso altrove, voglio alpresente non ne tacere uno importantissimo. Quandoquesti principi oziosi, o republiche effeminate, mandonofuora uno loro capitano, la più savia commissione chepaia loro dargli, è quando gl'impongono che per alcunomodo venga a giornata, anzi, sopra ogni cosa, si guardidalla zuffa; e parendo loro, in questo, imitare la pruden-za di Fabio Massimo, che, differendo il combattere, sal-vò lo stato ai Romani, non intendono che, la maggioreparte delle volte, questa commissione è nulla o è danno-sa. Per che si debbe pigliare questa conclusione: che unocapitano, che voglia stare alla campagna, non può fuggi-re la giornata, qualunque volta il nemico la vuole fare inogni modo. E non è altro questa commissione che dire:fa' la giornata a posta del nimico, e non a tua. Perché avolere stare in campagna, e non fare la giornata, non ci èaltro rimedio sicuro che porsi cinquanta miglia almenodiscosto al nimico; e di poi tenere buone spie, che, ve-nendo quello verso di te, tu abbi tempo a discostarti.Uno altro partito ci è; inchiudersi in una città. E l'uno el'altro di questi due partiti è dannosissimo. Nel primo silascia in preda il paese suo al nimico; ed uno principevalente vorrà più tosto tentare la fortuna della zuffa, cheallungare la guerra con tanto danno de' sudditi. Nel se-condo partito è la perdita manifesta; perché e' convieneche, riducendoti con uno esercito in una città, tu venga

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ad essere assediato, ed in poco tempo patire fame, e ve-nire a dedizione. Talché fuggire la giornata, per questedue vie, è dannosissimo. Il modo che tenne Fabio Mas-simo, di stare ne' luoghi forti, è buono quando tu hai sìvirtuoso esercito, che il nimico non abbia ardire di ve-nirti a trovare dentro a' tuoi vantaggi. Né si può dire cheFabio fuggissi la giornata, ma più tosto che la volessifare a suo vantaggio. Perché, se Annibale fusse ito a tro-varlo, Fabio l'arebbe aspettato, e fatto la giornata seco:ma Annibale non ardì mai di combattere con lui a mododi quello. Tanto che la giornata fu fuggita così da Anni-bale come da Fabio: ma se uno di loro l'avessi volutafare in ogni modo, l'altro non vi aveva se non uno de' trerimedi; i due sopradetti, o fuggirsi.E che questo che io dico sia vero, si vede manifestamen-te con mille esempli, e massime nella guerra che i Ro-mani feciono con Filippo di Macedonia, padre di Perse:perché Filippo, sendo assaltato dai Romani, deliberònon venire alla zuffa; e, per non vi venire, volle fare pri-ma come aveva fatto Fabio Massimo in Italia; e si posecon il suo esercito sopra la sommità d'uno monte, dovesi afforzò assai, giudicando ch'e' Romani non avesseroardire di andare a trovarlo. Ma, andativi e combattutolo,lo cacciarono di quel monte; ed egli, non potendo resi-stere, si fuggì con la maggiore parte delle genti. E quelche lo salvò che non fu consumato in tutto, fu la iniquitàdel paese, qual fece che i Romani non poterono seguir-lo. Filippo, adunque, non volendo azzuffarsi, ed essen-

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ad essere assediato, ed in poco tempo patire fame, e ve-nire a dedizione. Talché fuggire la giornata, per questedue vie, è dannosissimo. Il modo che tenne Fabio Mas-simo, di stare ne' luoghi forti, è buono quando tu hai sìvirtuoso esercito, che il nimico non abbia ardire di ve-nirti a trovare dentro a' tuoi vantaggi. Né si può dire cheFabio fuggissi la giornata, ma più tosto che la volessifare a suo vantaggio. Perché, se Annibale fusse ito a tro-varlo, Fabio l'arebbe aspettato, e fatto la giornata seco:ma Annibale non ardì mai di combattere con lui a mododi quello. Tanto che la giornata fu fuggita così da Anni-bale come da Fabio: ma se uno di loro l'avessi volutafare in ogni modo, l'altro non vi aveva se non uno de' trerimedi; i due sopradetti, o fuggirsi.E che questo che io dico sia vero, si vede manifestamen-te con mille esempli, e massime nella guerra che i Ro-mani feciono con Filippo di Macedonia, padre di Perse:perché Filippo, sendo assaltato dai Romani, deliberònon venire alla zuffa; e, per non vi venire, volle fare pri-ma come aveva fatto Fabio Massimo in Italia; e si posecon il suo esercito sopra la sommità d'uno monte, dovesi afforzò assai, giudicando ch'e' Romani non avesseroardire di andare a trovarlo. Ma, andativi e combattutolo,lo cacciarono di quel monte; ed egli, non potendo resi-stere, si fuggì con la maggiore parte delle genti. E quelche lo salvò che non fu consumato in tutto, fu la iniquitàdel paese, qual fece che i Romani non poterono seguir-lo. Filippo, adunque, non volendo azzuffarsi, ed essen-

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dosi posto con il campo presso a' Romani, si ebbe a fug-gire; ed avendo conosciuto per questa isperienza, come,non volendo combattere, non gli bastava stare sopra imonti, e nelle terre non volendo rinchiudersi, deliberòpigliare l'altro modo, di stare discosto molte miglia alcampo romano. Donde, se i Romani erano in una pro-vincia, e' se ne andava nell'altra, e così sempre, donde iRomani partivano esso entrava. E veggendo, alla fine,come nello allungare la guerra per questa via, le suecondizioni peggioravano, e che i suoi suggetti ora da luiora dai nimici erano oppressi, deliberò di tentare la for-tuna della zuffa; e così venne con i Romani ad una gior-nata giusta. È utile adunque non combattere, quando glieserciti hanno queste condizioni che aveva lo esercito diFabio, e che ora ha quello di Gneo Sulpizio, cioè avereuno esercito sì buono, che il nimico non ardisca venirti atrovare drento alle fortezze tue; e che il nimico sia incasa tua sanza avere preso molto piè, dove e' patisca ne-cessità del vivere. Ed è in questo caso il partito utile, perle ragioni che dice Tito Livio: «nolens se fortunae com-mittere adversus hostem, quem tempus deteriorem indies, et locus alienus, faceret». Ma in ogni altro terminenon si può fuggire giornata, se non con tuo disonore epericolo. Perché fuggirsi, come fece Filippo, è come es-sere rotto; e con più vergogna, quanto meno si è fattopruova della tua virtù. E se a lui riuscì salvarsi, non riu-scirebbe ad uno altro che non fussi aiutato dal paesecome egli. Che Annibale non fussi maestro di guerra, al-cuno mai non lo dirà ed essendo allo incontro di Scipio-

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dosi posto con il campo presso a' Romani, si ebbe a fug-gire; ed avendo conosciuto per questa isperienza, come,non volendo combattere, non gli bastava stare sopra imonti, e nelle terre non volendo rinchiudersi, deliberòpigliare l'altro modo, di stare discosto molte miglia alcampo romano. Donde, se i Romani erano in una pro-vincia, e' se ne andava nell'altra, e così sempre, donde iRomani partivano esso entrava. E veggendo, alla fine,come nello allungare la guerra per questa via, le suecondizioni peggioravano, e che i suoi suggetti ora da luiora dai nimici erano oppressi, deliberò di tentare la for-tuna della zuffa; e così venne con i Romani ad una gior-nata giusta. È utile adunque non combattere, quando glieserciti hanno queste condizioni che aveva lo esercito diFabio, e che ora ha quello di Gneo Sulpizio, cioè avereuno esercito sì buono, che il nimico non ardisca venirti atrovare drento alle fortezze tue; e che il nimico sia incasa tua sanza avere preso molto piè, dove e' patisca ne-cessità del vivere. Ed è in questo caso il partito utile, perle ragioni che dice Tito Livio: «nolens se fortunae com-mittere adversus hostem, quem tempus deteriorem indies, et locus alienus, faceret». Ma in ogni altro terminenon si può fuggire giornata, se non con tuo disonore epericolo. Perché fuggirsi, come fece Filippo, è come es-sere rotto; e con più vergogna, quanto meno si è fattopruova della tua virtù. E se a lui riuscì salvarsi, non riu-scirebbe ad uno altro che non fussi aiutato dal paesecome egli. Che Annibale non fussi maestro di guerra, al-cuno mai non lo dirà ed essendo allo incontro di Scipio-

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ne in Affrica, s'egli avessi veduto vantaggio in allungarela guerra, ei lo arebbe fatto; e per avventura, sendo luibuono capitano, ed avendo buono esercito, lo arebbe po-tuto fare, come fece Fabio in Italia: ma non lo avendofatto, si debbe credere che qualche cagione importantelo movessi. Perché uno principe che abbi uno esercitomesso insieme, e vegga che per difetto di danari od'amici e' non può tenere lungamente tale esercito, èmatto al tutto se non tenta la fortuna innanzi che taleesercito si abbia a risolvere: perché, aspettando e' perdeil certo; tentando, potrebbe vincere.Un'altra cosa ci è ancora da stimare assai: la quale è chesi debbe, eziandio perdendo, volere acquistare gloria; epiù gloria si ha, ad essere vinto per forza, che per altroinconveniente che ti abbi fatto perdere. Sì che Annibaledoveva essere constretto da queste necessità. E dall'altrocanto, Scipione, quando Annibale avessi differita lagiornata, e non gli fusse bastato l'animo irlo a trovare ne'luoghi forti, non pativa, per avere di già vinto Siface edacquistato tante terre in Affrica, che vi poteva stare sicu-ro e con commodità come in Italia. Il che non interveni-va ad Annibale, quando era all'incontro di Fabio; né aquesti Franciosi, che erano allo incontro di Sulpizio.Tanto meno ancora può fuggire la giornata colui che conlo esercito assalta il paese altrui; perché, se vuole entra-re nel paese del nimico, gli conviene, quando il nimicose gli facci incontro, azzuffarsi seco, e se si pone a cam-po ad una terra, si obliga tanto più alla zuffa: come ne'

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ne in Affrica, s'egli avessi veduto vantaggio in allungarela guerra, ei lo arebbe fatto; e per avventura, sendo luibuono capitano, ed avendo buono esercito, lo arebbe po-tuto fare, come fece Fabio in Italia: ma non lo avendofatto, si debbe credere che qualche cagione importantelo movessi. Perché uno principe che abbi uno esercitomesso insieme, e vegga che per difetto di danari od'amici e' non può tenere lungamente tale esercito, èmatto al tutto se non tenta la fortuna innanzi che taleesercito si abbia a risolvere: perché, aspettando e' perdeil certo; tentando, potrebbe vincere.Un'altra cosa ci è ancora da stimare assai: la quale è chesi debbe, eziandio perdendo, volere acquistare gloria; epiù gloria si ha, ad essere vinto per forza, che per altroinconveniente che ti abbi fatto perdere. Sì che Annibaledoveva essere constretto da queste necessità. E dall'altrocanto, Scipione, quando Annibale avessi differita lagiornata, e non gli fusse bastato l'animo irlo a trovare ne'luoghi forti, non pativa, per avere di già vinto Siface edacquistato tante terre in Affrica, che vi poteva stare sicu-ro e con commodità come in Italia. Il che non interveni-va ad Annibale, quando era all'incontro di Fabio; né aquesti Franciosi, che erano allo incontro di Sulpizio.Tanto meno ancora può fuggire la giornata colui che conlo esercito assalta il paese altrui; perché, se vuole entra-re nel paese del nimico, gli conviene, quando il nimicose gli facci incontro, azzuffarsi seco, e se si pone a cam-po ad una terra, si obliga tanto più alla zuffa: come ne'

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tempi nostri intervenne al duca Carlo di Borgogna, che,sendo accampato a Moratto, terra de' Svizzeri, fu da'Svizzeri assaltato e rotto, e come intervenne allo eserci-to di Francia, che, campeggiando Novara, fu medesima-mente da' Svizzeri rotto.

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tempi nostri intervenne al duca Carlo di Borgogna, che,sendo accampato a Moratto, terra de' Svizzeri, fu da'Svizzeri assaltato e rotto, e come intervenne allo eserci-to di Francia, che, campeggiando Novara, fu medesima-mente da' Svizzeri rotto.

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11 Che chi ha a fare con assai, ancora chesia inferiore, pure che possa sostenere gli pri-

mi impeti, vince.

La potenza de' Tribuni della plebe nella città di Roma fugrande; e fu necessaria, come molte volte da noi è statodiscorso, perché altrimenti non si sarebbe potuto porrefreno all'ambizione della Nobilità, la quale arebbe moltotempo innanzi corrotta quella republica, che la non sicorroppe. Nondimeno, perché in ogni cosa, come altrevolte si è detto, è nascoso qualche proprio male, che fasurgere nuovi accidenti, è necessario a questo con nuoviordini provvedere. Essendo, pertanto, divenuta l'autoritàtribunizia insolente, e formidabile alla Nobilità e a tuttaRoma, e' ne sarebbe nato qualche inconveniente, danno-so alla libertà romana, se da Appio Claudio non fossestato mostro il modo con il quale si avevano a difenderecontro all'ambizione de' Tribuni: il quale fu che trovaro-no sempre infra loro qualcuno che fussi, o pauroso, ocorrottibile, o amatore del comune bene; talmente che lodisponevano ad opporsi alla volontà di quegli altri, chevolessono tirare innanzi alcuna deliberazione contro allavolontà del Senato. Il quale rimedio fu un grande tempe-ramento a tanta autorità, e per molti tempi giovò aRoma. La quale cosa mi ha fatto considerare che, qua-lunche volta e' sono molti potenti uniti contro a un altropotente ancora che tutti insieme siano molto più potentidi quello, nondimanco si debbe sempre sperare più in

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11 Che chi ha a fare con assai, ancora chesia inferiore, pure che possa sostenere gli pri-

mi impeti, vince.

La potenza de' Tribuni della plebe nella città di Roma fugrande; e fu necessaria, come molte volte da noi è statodiscorso, perché altrimenti non si sarebbe potuto porrefreno all'ambizione della Nobilità, la quale arebbe moltotempo innanzi corrotta quella republica, che la non sicorroppe. Nondimeno, perché in ogni cosa, come altrevolte si è detto, è nascoso qualche proprio male, che fasurgere nuovi accidenti, è necessario a questo con nuoviordini provvedere. Essendo, pertanto, divenuta l'autoritàtribunizia insolente, e formidabile alla Nobilità e a tuttaRoma, e' ne sarebbe nato qualche inconveniente, danno-so alla libertà romana, se da Appio Claudio non fossestato mostro il modo con il quale si avevano a difenderecontro all'ambizione de' Tribuni: il quale fu che trovaro-no sempre infra loro qualcuno che fussi, o pauroso, ocorrottibile, o amatore del comune bene; talmente che lodisponevano ad opporsi alla volontà di quegli altri, chevolessono tirare innanzi alcuna deliberazione contro allavolontà del Senato. Il quale rimedio fu un grande tempe-ramento a tanta autorità, e per molti tempi giovò aRoma. La quale cosa mi ha fatto considerare che, qua-lunche volta e' sono molti potenti uniti contro a un altropotente ancora che tutti insieme siano molto più potentidi quello, nondimanco si debbe sempre sperare più in

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quel solo e men gagliardo che in quelli assai, ancora chegagliardissimi. Perché, lasciando stare tutte quelle cosedelle quali uno solo si può, più che molti, prevalere (chesono infinite), sempre occorrerà questo: che potrà, usan-do un poco d'industria, disunire gli assai; e quel corpo,ch'era gagliardo, fare debole. Io non voglio in questo ad-durre antichi esempli, che ce ne sarebbono assai; ma vo-glio mi bastino i moderni, seguiti ne' tempi nostri.Congiurò nel 1483 tutta Italia contro ai Viniziani; e poi-ché loro al tutto erano persi, e non potevano stare piùcon lo esercito in campagna, corruppono il signor Lodo-vico che governava Milano, e per tale corrozione fecio-no uno accordo, nel quale non solamente riebbono leterre perse ma usurparono parte dello stato di Ferrara. Ecosì coloro che perdevano nella guerra, restarono supe-riori nella pace. Pochi anni sono, congiurò contro aFrancia tutto il mondo: nondimeno, avanti che si vedes-se il fine della guerra, Spagna si ribellò da' confederati,e fece accordo seco; in modo che gli altri confederati fu-rono constretti, poco dipoi, ad accordarsi ancora essi.Talché, sanza dubbio, si debbe sempre mai fare giudicio,quando e' si vede una guerra mossa da molti contro aduno, che quello uno abbia a restare superiore, quandosia di tale virtù, che possa sostenere i primi impeti, e coltemporeggiarsi aspettare tempo. Perché, quando ei nonfosse così, porterebbe mille pericoli: come intervenne a'Viniziani nell'otto, i quali, se avessero potuto temporeg-giare con lo esercito francioso, ed avere tempo a guada-

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quel solo e men gagliardo che in quelli assai, ancora chegagliardissimi. Perché, lasciando stare tutte quelle cosedelle quali uno solo si può, più che molti, prevalere (chesono infinite), sempre occorrerà questo: che potrà, usan-do un poco d'industria, disunire gli assai; e quel corpo,ch'era gagliardo, fare debole. Io non voglio in questo ad-durre antichi esempli, che ce ne sarebbono assai; ma vo-glio mi bastino i moderni, seguiti ne' tempi nostri.Congiurò nel 1483 tutta Italia contro ai Viniziani; e poi-ché loro al tutto erano persi, e non potevano stare piùcon lo esercito in campagna, corruppono il signor Lodo-vico che governava Milano, e per tale corrozione fecio-no uno accordo, nel quale non solamente riebbono leterre perse ma usurparono parte dello stato di Ferrara. Ecosì coloro che perdevano nella guerra, restarono supe-riori nella pace. Pochi anni sono, congiurò contro aFrancia tutto il mondo: nondimeno, avanti che si vedes-se il fine della guerra, Spagna si ribellò da' confederati,e fece accordo seco; in modo che gli altri confederati fu-rono constretti, poco dipoi, ad accordarsi ancora essi.Talché, sanza dubbio, si debbe sempre mai fare giudicio,quando e' si vede una guerra mossa da molti contro aduno, che quello uno abbia a restare superiore, quandosia di tale virtù, che possa sostenere i primi impeti, e coltemporeggiarsi aspettare tempo. Perché, quando ei nonfosse così, porterebbe mille pericoli: come intervenne a'Viniziani nell'otto, i quali, se avessero potuto temporeg-giare con lo esercito francioso, ed avere tempo a guada-

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gnarsi alcuno di quegli che gli erano collegati contro,averiano fuggita quella rovina; ma, non avendo virtuosearmi da potere temporeggiare il nimico, e per questonon avendo avuto tempo a separarne alcuno, rovinaro-no. Per che si vide che il Papa, riavuto ch'egli ebbe lecose sue, si fece loro amico, e così Spagna: e molto vo-lentieri l'uno e l'altro di questi due principi arebbero sal-vato loro lo stato di Lombardia contro a Francia, pernon la fare sì grande in Italia, se gli avessono potuto.Potevano, dunque, i Viniziani dare parte per salvare ilresto: il che se loro avessono fatto in tempo che paressiche la non fussi stata necessità, ed innanzi ai moti dellaguerra, era savissimo partito; ma in su' moti era vitupe-roso, e per avventura di poco profitto. Ma, innanzi a talimoti, pochi in Vinegia de' cittadini potevano vedere ilpericolo, pochissimi vedere il rimedio, e nessuno consi-gliarlo. Ma, per tornare al principio di questo discorso,conchiudo: che così come il Senato romano ebbe rime-dio per la salute della patria contro all'ambizione de' Tri-buni, per essere molti, così arà rimedio qualunque prin-cipe che sia assaltato da molti, qualunque volta ei sapràcon prudenza usare termini convenienti a disgiungerli.

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gnarsi alcuno di quegli che gli erano collegati contro,averiano fuggita quella rovina; ma, non avendo virtuosearmi da potere temporeggiare il nimico, e per questonon avendo avuto tempo a separarne alcuno, rovinaro-no. Per che si vide che il Papa, riavuto ch'egli ebbe lecose sue, si fece loro amico, e così Spagna: e molto vo-lentieri l'uno e l'altro di questi due principi arebbero sal-vato loro lo stato di Lombardia contro a Francia, pernon la fare sì grande in Italia, se gli avessono potuto.Potevano, dunque, i Viniziani dare parte per salvare ilresto: il che se loro avessono fatto in tempo che paressiche la non fussi stata necessità, ed innanzi ai moti dellaguerra, era savissimo partito; ma in su' moti era vitupe-roso, e per avventura di poco profitto. Ma, innanzi a talimoti, pochi in Vinegia de' cittadini potevano vedere ilpericolo, pochissimi vedere il rimedio, e nessuno consi-gliarlo. Ma, per tornare al principio di questo discorso,conchiudo: che così come il Senato romano ebbe rime-dio per la salute della patria contro all'ambizione de' Tri-buni, per essere molti, così arà rimedio qualunque prin-cipe che sia assaltato da molti, qualunque volta ei sapràcon prudenza usare termini convenienti a disgiungerli.

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12 Come uno capitano prudente debbe im-porre ogni necessità di combattere a' suoi

soldati, e, a quegli degli inimici, torla.

Altre volte abbiamo discorso quanto sia utile alle umaneazioni la necessità, ed a quale gloria siano sute condutteda quella; e, come da alcuni morali filosofi è stato scrit-to, le mani e la lingua degli uomini, duoi nobilissimi in-strumenti a nobilitarlo, non arebbero operato perfetta-mente, né condotte le opere umane a quella altezza siveggono condotte, se dalla necessità non fussoro spinte.Sendo conosciuta, adunque, dagli antichi capitani deglieserciti la virtù di tale necessità, e quanto per quella glianimi de' soldati diventavono ostinati al combattere; fa-cevano ogni opera perché i soldati loro fussero constrettida quella; e, dall'altra parte, usavono ogni industria per-ché gli nimici se ne liberassero: e per questo molte volteapersono al nimico quella via che loro gli potevanochiudere; ed a' suoi soldati propri chiusono quella chepotevano lasciare aperta. Quello, adunque, che desiderao che una città si defenda ostinatamente, o che uno eser-cito in campagna ostinatamente combatta, debbe, sopraogni altra cosa, ingegnarsi di mettere, ne' petti di chi haa combattere, tale necessità. Onde uno capitano pruden-te, che avesse a andare ad una espugnazione d'una città,debbe misurare la facilità o la difficultà dello espugnar-la, dal conoscere e considerare quale necessità constrin-ga gli abitatori di quella a difendersi: e quando vi truovi

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12 Come uno capitano prudente debbe im-porre ogni necessità di combattere a' suoi

soldati, e, a quegli degli inimici, torla.

Altre volte abbiamo discorso quanto sia utile alle umaneazioni la necessità, ed a quale gloria siano sute condutteda quella; e, come da alcuni morali filosofi è stato scrit-to, le mani e la lingua degli uomini, duoi nobilissimi in-strumenti a nobilitarlo, non arebbero operato perfetta-mente, né condotte le opere umane a quella altezza siveggono condotte, se dalla necessità non fussoro spinte.Sendo conosciuta, adunque, dagli antichi capitani deglieserciti la virtù di tale necessità, e quanto per quella glianimi de' soldati diventavono ostinati al combattere; fa-cevano ogni opera perché i soldati loro fussero constrettida quella; e, dall'altra parte, usavono ogni industria per-ché gli nimici se ne liberassero: e per questo molte volteapersono al nimico quella via che loro gli potevanochiudere; ed a' suoi soldati propri chiusono quella chepotevano lasciare aperta. Quello, adunque, che desiderao che una città si defenda ostinatamente, o che uno eser-cito in campagna ostinatamente combatta, debbe, sopraogni altra cosa, ingegnarsi di mettere, ne' petti di chi haa combattere, tale necessità. Onde uno capitano pruden-te, che avesse a andare ad una espugnazione d'una città,debbe misurare la facilità o la difficultà dello espugnar-la, dal conoscere e considerare quale necessità constrin-ga gli abitatori di quella a difendersi: e quando vi truovi

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assai necessità che gli constringa alla difesa, giudichi laespugnazione difficile; altrimenti, la giudichi facile.Quinci nasce che le terre, dopo la rebellione, sono piùdifficili ad acquistare, che le non sono nel primo acqui-sto; perché, nel principio, non avendo cagione di temeredi pena, per non avere offeso, si arrendono facilmente;ma parendo loro, sendosi dipoi ribellate, avere offeso, eper questo temendo la pena, diventono difficili ad essereespugnate. Nasce ancora tale ostinazione da e' naturaliodii che hanno i principi vicini, e le republiche vicine,l'uno con l'altro: il che procede da ambizione di domina-re e gelosia del loro stato, massimamente se le sono re-publiche, come interviene in Toscana; la quale gara econtenzione ha fatto e farà sempre difficile la espugna-zione l'una dell'altra. Pertanto, chi considera bene i vici-ni della città di Firenze ed i vicini della città di Vinegia,non si maraviglierà, come molti fanno, che Firenze ab-bia più speso nelle guerre, ed acquistato meno di Vine-gia: perché tutto nasce da non avere avuto i Viniziani leterre vicine sì ostinate alla difesa, quanto ha avuto Fi-renze; per essere state tutte le cittadi finitime a Vinegiause a vivere sotto uno principe, e non libere; e quegliche sono consueti a servire, stimono molte volte poco ilmutare padrone, anzi molte volte lo desiderano. TalchéVinegia, benché abbia avuto i vicini più potenti che Fi-renze, per avere trovato le terre meno ostinate, le ha po-tuto più tosto vincere, che non ha fatto quella sendo cir-cundata da tutte città libere.

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assai necessità che gli constringa alla difesa, giudichi laespugnazione difficile; altrimenti, la giudichi facile.Quinci nasce che le terre, dopo la rebellione, sono piùdifficili ad acquistare, che le non sono nel primo acqui-sto; perché, nel principio, non avendo cagione di temeredi pena, per non avere offeso, si arrendono facilmente;ma parendo loro, sendosi dipoi ribellate, avere offeso, eper questo temendo la pena, diventono difficili ad essereespugnate. Nasce ancora tale ostinazione da e' naturaliodii che hanno i principi vicini, e le republiche vicine,l'uno con l'altro: il che procede da ambizione di domina-re e gelosia del loro stato, massimamente se le sono re-publiche, come interviene in Toscana; la quale gara econtenzione ha fatto e farà sempre difficile la espugna-zione l'una dell'altra. Pertanto, chi considera bene i vici-ni della città di Firenze ed i vicini della città di Vinegia,non si maraviglierà, come molti fanno, che Firenze ab-bia più speso nelle guerre, ed acquistato meno di Vine-gia: perché tutto nasce da non avere avuto i Viniziani leterre vicine sì ostinate alla difesa, quanto ha avuto Fi-renze; per essere state tutte le cittadi finitime a Vinegiause a vivere sotto uno principe, e non libere; e quegliche sono consueti a servire, stimono molte volte poco ilmutare padrone, anzi molte volte lo desiderano. TalchéVinegia, benché abbia avuto i vicini più potenti che Fi-renze, per avere trovato le terre meno ostinate, le ha po-tuto più tosto vincere, che non ha fatto quella sendo cir-cundata da tutte città libere.

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Debbe adunque uno capitano, per tornare al primo di-scorso, quando egli assalta una terra, con ogni diligenzaingegnarsi di levare, a' difensori di quella, tale necessità,e, per consequenzia, tale ostinazione; promettendo per-dono, se gli hanno paura della pena; e se gli avessonopaura della libertà, mostrare di non andare contro al co-mune bene, ma contro a pochi ambiziosi della città; laquale cosa molte volte ha facilitato le imprese e le espu-gnazioni delle terre. E benché simili colori sieno facil-mente conosciuti, e massime dagli uomini prudenti;nondimeno vi sono spesso ingannati i popoli, i quali, cu-pidi della presente pace, chiuggono gli occhi a qualun-que altro laccio che sotto le larghe promesse si tendesse.E per questa via infinite città sono diventate serve: comeintervenne a Firenze ne' prossimi tempi; e come inter-venne a Crasso ed allo esercito suo: il quale, come checonoscesse le vane promesse de' Parti, le quali erano fat-te per tôrre via la necessità a' suoi soldati del difendersi,non per tanto non potette tenergli ostinati, accecati dalleofferte della pace che erano fatte loro da' loro inimici;come si vede particularmente leggendo la vita di quello.Dico pertanto, che avendo i Sanniti, fuora delle conven-zioni dello accordo, per l'ambizione di pochi, corso epredato sopra i campi de' confederati romani; ed avendodipoi mandati imbasciadori a Roma a chiedere pace, of-ferendo di ristituire le cose predate, e di dare prigioni gliautori de' tumulti e della preda; furono ributtati dai Ro-mani. E ritornati in Sannio sanza speranza di accordo,Claudio Ponzio, capitano allora dello esercito de' Sanni-

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Debbe adunque uno capitano, per tornare al primo di-scorso, quando egli assalta una terra, con ogni diligenzaingegnarsi di levare, a' difensori di quella, tale necessità,e, per consequenzia, tale ostinazione; promettendo per-dono, se gli hanno paura della pena; e se gli avessonopaura della libertà, mostrare di non andare contro al co-mune bene, ma contro a pochi ambiziosi della città; laquale cosa molte volte ha facilitato le imprese e le espu-gnazioni delle terre. E benché simili colori sieno facil-mente conosciuti, e massime dagli uomini prudenti;nondimeno vi sono spesso ingannati i popoli, i quali, cu-pidi della presente pace, chiuggono gli occhi a qualun-que altro laccio che sotto le larghe promesse si tendesse.E per questa via infinite città sono diventate serve: comeintervenne a Firenze ne' prossimi tempi; e come inter-venne a Crasso ed allo esercito suo: il quale, come checonoscesse le vane promesse de' Parti, le quali erano fat-te per tôrre via la necessità a' suoi soldati del difendersi,non per tanto non potette tenergli ostinati, accecati dalleofferte della pace che erano fatte loro da' loro inimici;come si vede particularmente leggendo la vita di quello.Dico pertanto, che avendo i Sanniti, fuora delle conven-zioni dello accordo, per l'ambizione di pochi, corso epredato sopra i campi de' confederati romani; ed avendodipoi mandati imbasciadori a Roma a chiedere pace, of-ferendo di ristituire le cose predate, e di dare prigioni gliautori de' tumulti e della preda; furono ributtati dai Ro-mani. E ritornati in Sannio sanza speranza di accordo,Claudio Ponzio, capitano allora dello esercito de' Sanni-

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ti, con una sua notabile orazione mostrò come i Romanivolevono in ogni modo guerra, e, benché per loro si de-siderasse la pace, necessità gli faceva seguire la guerradicendo queste parole: «Iustum est bellum quibus neces-sarium, et pia arma quibus nisi in armis spes est»; soprala quale necessità egli fondò con gli suoi soldati la spe-ranza della vittoria. E per non avere a tornare più sopraquesta materia, mi pare di addurci quelli esempli romaniche sono più degni di notazione. Era Gaio Manilio conlo esercito, all'incontro de' Veienti; ed essendo parte del-lo esercito veientano entrato dentro agli steccati di Ma-nilio, corse Manilio con una banda al soccorso di quegli;e perché i Veienti non potessino salvarsi, occupò tutti gliaditi del campo; donde veggendosi i Veienti rinchiusi,cominciarono a combattere con tanta rabbia, che gli am-mazzarono Manilio; ed arebbero tutto il resto de' Roma-ni oppressi, se dalla prudenza d'uno Tribuno non fussestato loro aperta la via ad andarsene. Dove si vedecome, mentre la necessità costrinse i Veienti a combatte-re, e' combatterono ferocissimamente; ma quando vid-dero aperta la via, pensarono più a fuggire che a com-battere.Erano entrati i Volsci e gli Equi con gli eserciti loro ne'confini romani. Mandossi loro allo incontro i Consoli.Talché, nel travagliare la zuffa, lo esercito de' Volsci, delquale era capo Vezio Messio, si trovò, ad un tratto, rin-chiuso intra gli steccati suoi, occupati dai Romani, el'altro esercito romano; e veggendo come gli bisognava

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ti, con una sua notabile orazione mostrò come i Romanivolevono in ogni modo guerra, e, benché per loro si de-siderasse la pace, necessità gli faceva seguire la guerradicendo queste parole: «Iustum est bellum quibus neces-sarium, et pia arma quibus nisi in armis spes est»; soprala quale necessità egli fondò con gli suoi soldati la spe-ranza della vittoria. E per non avere a tornare più sopraquesta materia, mi pare di addurci quelli esempli romaniche sono più degni di notazione. Era Gaio Manilio conlo esercito, all'incontro de' Veienti; ed essendo parte del-lo esercito veientano entrato dentro agli steccati di Ma-nilio, corse Manilio con una banda al soccorso di quegli;e perché i Veienti non potessino salvarsi, occupò tutti gliaditi del campo; donde veggendosi i Veienti rinchiusi,cominciarono a combattere con tanta rabbia, che gli am-mazzarono Manilio; ed arebbero tutto il resto de' Roma-ni oppressi, se dalla prudenza d'uno Tribuno non fussestato loro aperta la via ad andarsene. Dove si vedecome, mentre la necessità costrinse i Veienti a combatte-re, e' combatterono ferocissimamente; ma quando vid-dero aperta la via, pensarono più a fuggire che a com-battere.Erano entrati i Volsci e gli Equi con gli eserciti loro ne'confini romani. Mandossi loro allo incontro i Consoli.Talché, nel travagliare la zuffa, lo esercito de' Volsci, delquale era capo Vezio Messio, si trovò, ad un tratto, rin-chiuso intra gli steccati suoi, occupati dai Romani, el'altro esercito romano; e veggendo come gli bisognava

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o morire o farsi la via con il ferro, disse a' suoi soldatiqueste parole: «Ite mecum; non murus nec vallum, ar-mati armatis obstant; virtute pares, quae ultimum ac ma-ximum telum est, necessitate superiores estis». Sì chequesta necessità è chiamata da Tito Livio «ultimum acmaximum telum». Cammillo, prudentissimo di tutti i ca-pitani romani, sendo già dentro nella città de' Veienticon il suo esercito, per facilitare il pigliare quella, e tôr-re ai nimici una ultima necessità di difendersi, comandò,in modo che i Veienti udirono, che nessuno offendessiquegli che fussono disarmati; talché, gittate l'armi in ter-ra, si prese quella città quasi sanza sangue. Il qualemodo fu dipoi da molti capitani osservato.

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o morire o farsi la via con il ferro, disse a' suoi soldatiqueste parole: «Ite mecum; non murus nec vallum, ar-mati armatis obstant; virtute pares, quae ultimum ac ma-ximum telum est, necessitate superiores estis». Sì chequesta necessità è chiamata da Tito Livio «ultimum acmaximum telum». Cammillo, prudentissimo di tutti i ca-pitani romani, sendo già dentro nella città de' Veienticon il suo esercito, per facilitare il pigliare quella, e tôr-re ai nimici una ultima necessità di difendersi, comandò,in modo che i Veienti udirono, che nessuno offendessiquegli che fussono disarmati; talché, gittate l'armi in ter-ra, si prese quella città quasi sanza sangue. Il qualemodo fu dipoi da molti capitani osservato.

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13 Dove sia più da confidare, o in uno buonocapitano che abbia lo esercito debole, o in

uno buono esercito che abbia il capitano de-bole.

Essendo diventato Coriolano esule di Roma, se n'andòai Volsci; dove contratto uno esercito per vendicarsicontro ai suoi cittadini, se ne venne a Roma; donde di-poi si partì, più per la piatà della sua madre, che per leforze de' Romani. Sopra il quale luogo Tito Livio dice,essersi per questo conosciuto, come la Republica roma-na crebbe più per la virtù de' capitani che de' soldati;considerato come i Volsci per lo addietro erano stati vin-ti, e solo poi avevano vinto che Coriolano fu loro capita-no. E benché Livio tenga tale opinione, nondimeno sivede in molti luoghi della sua istoria la virtù de' soldatisanza capitano avere fatto maravigliose pruove, ed esse-re stati più ordinati e più feroci dopo la morte de' Con-soli loro, che innanzi che morissono: come occorse nel-lo esercito che i Romani avevano in Ispagna sotto gliScipioni; il quale, morti i due capitani, poté, con la virtùsua, non solamente salvare sé stesso, ma vincere il nimi-co, e conservare quella provincia alla Republica. Talché,discorrendo tutto, si troverrà molti esempli, dove solo lavirtù de' soldati arà vinta la giornata; e molti altri, dovesolo la virtù de' capitani arà fatto il medesimo effetto: inmodo che si può giudicare, l'uno abbia bisognodell'altro, e l'altro dell'uno.

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13 Dove sia più da confidare, o in uno buonocapitano che abbia lo esercito debole, o in

uno buono esercito che abbia il capitano de-bole.

Essendo diventato Coriolano esule di Roma, se n'andòai Volsci; dove contratto uno esercito per vendicarsicontro ai suoi cittadini, se ne venne a Roma; donde di-poi si partì, più per la piatà della sua madre, che per leforze de' Romani. Sopra il quale luogo Tito Livio dice,essersi per questo conosciuto, come la Republica roma-na crebbe più per la virtù de' capitani che de' soldati;considerato come i Volsci per lo addietro erano stati vin-ti, e solo poi avevano vinto che Coriolano fu loro capita-no. E benché Livio tenga tale opinione, nondimeno sivede in molti luoghi della sua istoria la virtù de' soldatisanza capitano avere fatto maravigliose pruove, ed esse-re stati più ordinati e più feroci dopo la morte de' Con-soli loro, che innanzi che morissono: come occorse nel-lo esercito che i Romani avevano in Ispagna sotto gliScipioni; il quale, morti i due capitani, poté, con la virtùsua, non solamente salvare sé stesso, ma vincere il nimi-co, e conservare quella provincia alla Republica. Talché,discorrendo tutto, si troverrà molti esempli, dove solo lavirtù de' soldati arà vinta la giornata; e molti altri, dovesolo la virtù de' capitani arà fatto il medesimo effetto: inmodo che si può giudicare, l'uno abbia bisognodell'altro, e l'altro dell'uno.

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Ècci bene da considerare, prima, quale sia più da teme-re, o d'uno buono esercito male capitanato, o d'uno buo-no capitano accompagnato da cattivo esercito. E seguen-do in questo la opinione di Cesare, si debbe estimarepoco l'uno e l'altro. Perché, andando egli in Ispagna con-tro a Afranio e Petreio, che avevano uno ottimo esercito,disse che gli stimava poco, «quia ibat ad exercitum sineduce», mostrando la debolezza de' capitani. Al contra-rio, quando andò in Tessaglia contro a Pompeio, disse:«Vado ad ducem sine exercitu».Puossi considerare un'altra cosa: a quale è più facile, oad uno buono capitano fare uno buono esercito, o aduno buono esercito fare uno buono capitano. Sopra chedico che tale questione pare decisa: perché più facilmen-te molti buoni troverranno o instruiranno uno, tanto chediventi buono, che non farà uno molti. Lucullo, quandofu mandato contro a Mitridate, era al tutto inesperto del-la guerra; nondimanco quel buono esercito, dove era as-sai capi ottimi, lo feciono tosto uno buono capitano. Ar-morono i Romani, per difetto di uomini, assai servi, egli dieno ad esercitare a Sempronio Gracco, il quale inpoco tempo fece uno buon esercito. Pelopida ed Epami-nonda, come altrove dicemo, poi che gli ebbono trattaTebe loro patria della servitù degli Spartani, in pocotempo fecero, de' contadini tebani, soldati ottimi, chepoterono non solamente sostenere la milizia spartana mavincerla. Sì che la cosa è pari, perché l'uno buono puòtrovare l'altro. Nondimeno uno esercito buono sanza

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Ècci bene da considerare, prima, quale sia più da teme-re, o d'uno buono esercito male capitanato, o d'uno buo-no capitano accompagnato da cattivo esercito. E seguen-do in questo la opinione di Cesare, si debbe estimarepoco l'uno e l'altro. Perché, andando egli in Ispagna con-tro a Afranio e Petreio, che avevano uno ottimo esercito,disse che gli stimava poco, «quia ibat ad exercitum sineduce», mostrando la debolezza de' capitani. Al contra-rio, quando andò in Tessaglia contro a Pompeio, disse:«Vado ad ducem sine exercitu».Puossi considerare un'altra cosa: a quale è più facile, oad uno buono capitano fare uno buono esercito, o aduno buono esercito fare uno buono capitano. Sopra chedico che tale questione pare decisa: perché più facilmen-te molti buoni troverranno o instruiranno uno, tanto chediventi buono, che non farà uno molti. Lucullo, quandofu mandato contro a Mitridate, era al tutto inesperto del-la guerra; nondimanco quel buono esercito, dove era as-sai capi ottimi, lo feciono tosto uno buono capitano. Ar-morono i Romani, per difetto di uomini, assai servi, egli dieno ad esercitare a Sempronio Gracco, il quale inpoco tempo fece uno buon esercito. Pelopida ed Epami-nonda, come altrove dicemo, poi che gli ebbono trattaTebe loro patria della servitù degli Spartani, in pocotempo fecero, de' contadini tebani, soldati ottimi, chepoterono non solamente sostenere la milizia spartana mavincerla. Sì che la cosa è pari, perché l'uno buono puòtrovare l'altro. Nondimeno uno esercito buono sanza

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capo buono suole diventare insolente e pericoloso; comediventò lo esercito di Macedonia dopo la morte di Ales-sandro, e come erano i soldati veterani nelle guerre civi-li. Tanto che io credo che sia più da confidare assai inuno capitano che abbi tempo ad instruire uomini e com-modità di armargli, che in uno esercito insolente conuno capo tumultuario fatto da lui. Però è da addoppiarela gloria e la laude a quelli capitani che, non solamentehanno avuto a vincere il nimico, ma, prima che venghi-no alle mani con quello, è convenuto loro instruire loesercito loro, e farlo buono: perché in questi si mostradoppia virtù, e tanto rada, che, se tale ferità fosse statadata a molti, ne sarebbono stimati e riputati meno assaiche non sono.

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capo buono suole diventare insolente e pericoloso; comediventò lo esercito di Macedonia dopo la morte di Ales-sandro, e come erano i soldati veterani nelle guerre civi-li. Tanto che io credo che sia più da confidare assai inuno capitano che abbi tempo ad instruire uomini e com-modità di armargli, che in uno esercito insolente conuno capo tumultuario fatto da lui. Però è da addoppiarela gloria e la laude a quelli capitani che, non solamentehanno avuto a vincere il nimico, ma, prima che venghi-no alle mani con quello, è convenuto loro instruire loesercito loro, e farlo buono: perché in questi si mostradoppia virtù, e tanto rada, che, se tale ferità fosse statadata a molti, ne sarebbono stimati e riputati meno assaiche non sono.

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14 Le invenzioni nuove, che appariscono nelmezzo della zuffa, e le voci nuove che si odi-

no, quali effetti facciano.

Di quanto momento sia ne' conflitti e nelle zuffe unonuovo accidente che nasca per cosa che di nuovo si veg-ga o oda, si dimostra in assai luoghi: e massime per que-sto esemplo che occorse nella zuffa che i Romani fecerocon i Volsci: dove Quinzio, veggendo inclinare uno de'corni del suo esercito, cominciò a gridare forte, che glistessono saldi perché l'altro corno dello esercito era vit-torioso: con la quale parola avendo dato animo ai suoi esbigottimento a' nimici, vinse. E se tali voci in uno eser-cito bene ordinato fanno effetti grandi, in uno tumultua-rio e male ordinato gli fanno grandissimi, perché il tuttoè mosso da simile vento. Io ne voglio addurre uno esem-plo notabile, occorso ne' tempi nostri. Era la città di Pe-rugia, pochi anni sono, divisa in due parti, Oddi e Ba-glioni. Questi regnavano; quelli altri erano esuli: i qualiavendo, mediante loro amici, ragunato esercito, e ridot-tisi in alcuna loro terra propinqua a Perugia, con il favo-re della parte, una notte entrarono in quella città, e, san-za essere iscoperti, se ne venivano per pigliare la piazza.E perché quella città in su tutti i canti delle vie ha cateneche la tengono sbarrata, avevano le genti oddesche, da-vanti, uno che con una mazza di ferro rompea i serramidi quelle, acciocché i cavagli potessero passare; e re-standogli a rompere solo quella che sboccava in piazza,

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14 Le invenzioni nuove, che appariscono nelmezzo della zuffa, e le voci nuove che si odi-

no, quali effetti facciano.

Di quanto momento sia ne' conflitti e nelle zuffe unonuovo accidente che nasca per cosa che di nuovo si veg-ga o oda, si dimostra in assai luoghi: e massime per que-sto esemplo che occorse nella zuffa che i Romani fecerocon i Volsci: dove Quinzio, veggendo inclinare uno de'corni del suo esercito, cominciò a gridare forte, che glistessono saldi perché l'altro corno dello esercito era vit-torioso: con la quale parola avendo dato animo ai suoi esbigottimento a' nimici, vinse. E se tali voci in uno eser-cito bene ordinato fanno effetti grandi, in uno tumultua-rio e male ordinato gli fanno grandissimi, perché il tuttoè mosso da simile vento. Io ne voglio addurre uno esem-plo notabile, occorso ne' tempi nostri. Era la città di Pe-rugia, pochi anni sono, divisa in due parti, Oddi e Ba-glioni. Questi regnavano; quelli altri erano esuli: i qualiavendo, mediante loro amici, ragunato esercito, e ridot-tisi in alcuna loro terra propinqua a Perugia, con il favo-re della parte, una notte entrarono in quella città, e, san-za essere iscoperti, se ne venivano per pigliare la piazza.E perché quella città in su tutti i canti delle vie ha cateneche la tengono sbarrata, avevano le genti oddesche, da-vanti, uno che con una mazza di ferro rompea i serramidi quelle, acciocché i cavagli potessero passare; e re-standogli a rompere solo quella che sboccava in piazza,

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ed essendo già levato il romore all'armi, ed essendo co-lui che rompeva oppresso dalla turba che gli veniva die-tro, né potendo per questo alzare bene le braccia perrompere; per potersi maneggiare, gli venne detto: - Fate-vi indietro! - la quale voce andando di grado in gradodicendo «addietro!», cominciò a fare fuggire gli ultimi,e di mano in mano gli altri, con tanta furia, che per loromedesimi si ruppono: e così restò vano il disegno degliOddi, per cagione di sì debole accidente.Dove è da considerare che, non tanto gli ordini in unoesercito sono necessari per potere ordinatamente com-battere quanto perché ogni minimo accidenti non ti di-sordini. Perché, non per altro le moltitudini popolarisono disutili per la guerra, se non perché ogni romoreogni voce, ogni strepito, gli altera e fagli fuggire. E peròuno buono capitano in tra gli altri suoi ordini debbe or-dinare chi sono quegli che abbino a pigliare la sua vocee rimetterla ad altri, ed assuefare gli suoi soldati che noncredino se non a quelli; e gli suoi capitani, che non di-chino se non quel che da lui è commesso; perché, nonosservata bene questa parte, si è visto molte volte averefatti disordini grandissimi.Quanto al vedere cose nuove, debbe ogni capitano inge-gnarsi di farne apparire alcuna, mentre che gli esercitisono alle mani, che dia animo a' suoi e tolgalo agli ini-mici; perché, intra gli accidenti che ti diano la vittoria,questo è efficacissimo. Di che se ne può addurre per te-stimone Caio Sulpizio, dittatore romano; il quale venen-

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ed essendo già levato il romore all'armi, ed essendo co-lui che rompeva oppresso dalla turba che gli veniva die-tro, né potendo per questo alzare bene le braccia perrompere; per potersi maneggiare, gli venne detto: - Fate-vi indietro! - la quale voce andando di grado in gradodicendo «addietro!», cominciò a fare fuggire gli ultimi,e di mano in mano gli altri, con tanta furia, che per loromedesimi si ruppono: e così restò vano il disegno degliOddi, per cagione di sì debole accidente.Dove è da considerare che, non tanto gli ordini in unoesercito sono necessari per potere ordinatamente com-battere quanto perché ogni minimo accidenti non ti di-sordini. Perché, non per altro le moltitudini popolarisono disutili per la guerra, se non perché ogni romoreogni voce, ogni strepito, gli altera e fagli fuggire. E peròuno buono capitano in tra gli altri suoi ordini debbe or-dinare chi sono quegli che abbino a pigliare la sua vocee rimetterla ad altri, ed assuefare gli suoi soldati che noncredino se non a quelli; e gli suoi capitani, che non di-chino se non quel che da lui è commesso; perché, nonosservata bene questa parte, si è visto molte volte averefatti disordini grandissimi.Quanto al vedere cose nuove, debbe ogni capitano inge-gnarsi di farne apparire alcuna, mentre che gli esercitisono alle mani, che dia animo a' suoi e tolgalo agli ini-mici; perché, intra gli accidenti che ti diano la vittoria,questo è efficacissimo. Di che se ne può addurre per te-stimone Caio Sulpizio, dittatore romano; il quale venen-

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do a giornata con i Franciosi, armò tutti i saccomanni egente vile del campo; e quegli fatti salire sopra i muli edaltri somieri con armi ed insegne da parere gente a ca-vallo, gli messe sotto le insegne, dietro ad uno colle, ecomandò che, ad uno segno dato, nel tempo che la zuffafosse più gagliarda, si scoprissono e mostrassinsi a' ni-mici. La quale cosa così ordinata e fatta, dette tanto ter-rore ai Franciosi, che perderono la giornata. E però unobuono capitano debbe fare due cose: l'una, di vedere,con alcune di queste nuove invenzioni, di sbigottire ilnimico; l'altra, di stare preparato che, essendo fatte dalnimico contro di lui, le possa scoprire, e fargliene torna-re vane. Come fece il re d'India a Semiramis; la quale,veggendo come quel re aveva buono numero di elefanti,per isbigottirlo, e per mostrargli che ancora essa n'eracopiosa, ne formò assai con cuoia di bufoli e di vacche,e, quegli messi sopra i cammegli, gli mandò davanti; maconosciuto da il re lo inganno, le tornò quel suo disegno,non solamente vano, ma dannoso. Era Mamerco, dittato-re, contro ai Fidenati, i quali, per isbigottire lo esercitoromano, ordinarono che, in su l'ardore della zuffa, uscis-se fuori di Fidene numero di soldati con fuochi in su lelance, acciocché i Romani, occupati dalla novità dellacosa, rompessono intra loro gli ordini. Sopra che è danotare, che, quando tali invenzioni hanno più del veroche del fitto, si può bene allora rappresentarle agli uomi-ni, perché, avendo assai del gagliardo, non si può sco-prire così presto la debolezza loro: ma quando le hannopiù del fitto che del vero, è bene, o non le fare o, faccen-

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do a giornata con i Franciosi, armò tutti i saccomanni egente vile del campo; e quegli fatti salire sopra i muli edaltri somieri con armi ed insegne da parere gente a ca-vallo, gli messe sotto le insegne, dietro ad uno colle, ecomandò che, ad uno segno dato, nel tempo che la zuffafosse più gagliarda, si scoprissono e mostrassinsi a' ni-mici. La quale cosa così ordinata e fatta, dette tanto ter-rore ai Franciosi, che perderono la giornata. E però unobuono capitano debbe fare due cose: l'una, di vedere,con alcune di queste nuove invenzioni, di sbigottire ilnimico; l'altra, di stare preparato che, essendo fatte dalnimico contro di lui, le possa scoprire, e fargliene torna-re vane. Come fece il re d'India a Semiramis; la quale,veggendo come quel re aveva buono numero di elefanti,per isbigottirlo, e per mostrargli che ancora essa n'eracopiosa, ne formò assai con cuoia di bufoli e di vacche,e, quegli messi sopra i cammegli, gli mandò davanti; maconosciuto da il re lo inganno, le tornò quel suo disegno,non solamente vano, ma dannoso. Era Mamerco, dittato-re, contro ai Fidenati, i quali, per isbigottire lo esercitoromano, ordinarono che, in su l'ardore della zuffa, uscis-se fuori di Fidene numero di soldati con fuochi in su lelance, acciocché i Romani, occupati dalla novità dellacosa, rompessono intra loro gli ordini. Sopra che è danotare, che, quando tali invenzioni hanno più del veroche del fitto, si può bene allora rappresentarle agli uomi-ni, perché, avendo assai del gagliardo, non si può sco-prire così presto la debolezza loro: ma quando le hannopiù del fitto che del vero, è bene, o non le fare o, faccen-

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dole, tenerle discosto, di qualità che le non possino esse-re così presto scoperte; come fece Caio Sulpizio de' mu-lattieri. Perché, quando vi è dentro debolezza, appres-sandosi, le si scuoprono tosto, e ti fanno danno, e nonfavore; come fero gli elefanti a Semiramis, e ai Fidenatii fuochi: i quali benché nel principio turbassono un pocolo esercito, nondimeno, come e' sopravenne il Dittatore,e cominciò a gridargli, dicendo che non si vergognavanoa fuggire il fumo come le pecchie, e che dovessono ri-voltarsi a loro; gridando: «Suis flammis delete Fidenas,quas vestris beneficiis placare non potuistis»; tornòquello trovato ai Fidenati inutile, e restarono perditoridella zuffa.

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dole, tenerle discosto, di qualità che le non possino esse-re così presto scoperte; come fece Caio Sulpizio de' mu-lattieri. Perché, quando vi è dentro debolezza, appres-sandosi, le si scuoprono tosto, e ti fanno danno, e nonfavore; come fero gli elefanti a Semiramis, e ai Fidenatii fuochi: i quali benché nel principio turbassono un pocolo esercito, nondimeno, come e' sopravenne il Dittatore,e cominciò a gridargli, dicendo che non si vergognavanoa fuggire il fumo come le pecchie, e che dovessono ri-voltarsi a loro; gridando: «Suis flammis delete Fidenas,quas vestris beneficiis placare non potuistis»; tornòquello trovato ai Fidenati inutile, e restarono perditoridella zuffa.

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15 Che uno e non molti sieno preposti ad unoesercito, e come i più comandatori offendo-

no.

Essendosi ribellati i Fidenati, ed avendo morto quellacolonia che i Romani avevano mandata in Fidene, crea-rono i Romani, per rimediare a questo insulto, quattroTribuni con potestà consolare de' quali lasciatone unoalla guardia di Roma, ne mandarono tre contro ai Fide-nati ed i Veienti: i quali, per essere divisi infra loro e di-suniti, ne riportarono disonore, e non danno: perché, deldisonore, ne furono cagione loro; del non ricevere dan-no, ne fu cagione la virtù de' soldati. Donde i Romani,veggendo questo disordine, ricorsono alla creazione delDittatore, acciocché un solo riordinasse quello che treavevano disordinato. Donde si conosce la inutilità dimolti comandadori in uno esercito, o in una terra che siabbia a difendere; e Tito Livio non lo può più chiara-mente dire che con le infrascritte parole: «Tres Tribunipotestate consulari documento fuere, quam plurium im-perium bello inutile esset, tendendo ad sua quisque con-silia, cum alii aliud videretur, aperuerunt ad occasionemlocum hosti».E benché questo sia assai esemplo a provare il disordineche fanno nella guerra i più comandatori, ne voglio ad-durre alcuno altro, e moderno ed antico, per maggioredichiarazione della cosa.

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15 Che uno e non molti sieno preposti ad unoesercito, e come i più comandatori offendo-

no.

Essendosi ribellati i Fidenati, ed avendo morto quellacolonia che i Romani avevano mandata in Fidene, crea-rono i Romani, per rimediare a questo insulto, quattroTribuni con potestà consolare de' quali lasciatone unoalla guardia di Roma, ne mandarono tre contro ai Fide-nati ed i Veienti: i quali, per essere divisi infra loro e di-suniti, ne riportarono disonore, e non danno: perché, deldisonore, ne furono cagione loro; del non ricevere dan-no, ne fu cagione la virtù de' soldati. Donde i Romani,veggendo questo disordine, ricorsono alla creazione delDittatore, acciocché un solo riordinasse quello che treavevano disordinato. Donde si conosce la inutilità dimolti comandadori in uno esercito, o in una terra che siabbia a difendere; e Tito Livio non lo può più chiara-mente dire che con le infrascritte parole: «Tres Tribunipotestate consulari documento fuere, quam plurium im-perium bello inutile esset, tendendo ad sua quisque con-silia, cum alii aliud videretur, aperuerunt ad occasionemlocum hosti».E benché questo sia assai esemplo a provare il disordineche fanno nella guerra i più comandatori, ne voglio ad-durre alcuno altro, e moderno ed antico, per maggioredichiarazione della cosa.

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Nel 1500, dopo la ripresa che fece il re di Francia LuigiXII, di Milano, mandò le sue genti a Pisa per ristituirlaai Fiorentini; dove furono mandati commessari Giovam-batista Ridolfi e Luca di Antonio degli Albizi. E perchéGiovambatista era uomo di riputazione, e di più tempo,Luca al tutto lasciava governare ogni cosa a lui: e s'eglinon dimostrava la sua ambizione con opporsegli, la di-mostrava col tacere, e con lo straccurare e vilipendereogni cosa, in modo che non aiutava le azioni del camponé con l'opere né con il consiglio, come se fusse statouomo di nessuno momento. Ma si vide poi tutto il con-trario; quando Giovambatista, per certo accidente segui-to, se n'ebbe a tornare a Firenze; dove Luca, rimastosolo, dimostrò quanto con l'animo, con la industria e colconsiglio, valeva: le quali tutte cose, mentre vi fu lacompagnia, erano perdute. Voglio di nuovo addurre, inconfermazione di questo, parole di Tito Livio; il quale,referendo come, essendo mandato da' Romani controagli Equi Quinzio ed Agrippa suo collega, Agrippa volleche tutta l'amministrazione della guerra fosse appresso aQuinzio, e' dice: «Saluberrimum in administratione ma-gnarum rerum est, summam imperii apud unum esse». Ilche è contrario a quello che oggi fanno queste nostre re-publiche e principi di mandare ne' luoghi, per ammini-strargli meglio, più d'uno commessario e più d'uno capo:il che fa una inestimabile confusione. E se si cercassi lecagioni della rovina degli eserciti italiani e franciosi ne'nostri tempi, si troveria la potissima essere stata questa.E puossi conchiudere veramente, come egli è meglio

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Nel 1500, dopo la ripresa che fece il re di Francia LuigiXII, di Milano, mandò le sue genti a Pisa per ristituirlaai Fiorentini; dove furono mandati commessari Giovam-batista Ridolfi e Luca di Antonio degli Albizi. E perchéGiovambatista era uomo di riputazione, e di più tempo,Luca al tutto lasciava governare ogni cosa a lui: e s'eglinon dimostrava la sua ambizione con opporsegli, la di-mostrava col tacere, e con lo straccurare e vilipendereogni cosa, in modo che non aiutava le azioni del camponé con l'opere né con il consiglio, come se fusse statouomo di nessuno momento. Ma si vide poi tutto il con-trario; quando Giovambatista, per certo accidente segui-to, se n'ebbe a tornare a Firenze; dove Luca, rimastosolo, dimostrò quanto con l'animo, con la industria e colconsiglio, valeva: le quali tutte cose, mentre vi fu lacompagnia, erano perdute. Voglio di nuovo addurre, inconfermazione di questo, parole di Tito Livio; il quale,referendo come, essendo mandato da' Romani controagli Equi Quinzio ed Agrippa suo collega, Agrippa volleche tutta l'amministrazione della guerra fosse appresso aQuinzio, e' dice: «Saluberrimum in administratione ma-gnarum rerum est, summam imperii apud unum esse». Ilche è contrario a quello che oggi fanno queste nostre re-publiche e principi di mandare ne' luoghi, per ammini-strargli meglio, più d'uno commessario e più d'uno capo:il che fa una inestimabile confusione. E se si cercassi lecagioni della rovina degli eserciti italiani e franciosi ne'nostri tempi, si troveria la potissima essere stata questa.E puossi conchiudere veramente, come egli è meglio

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mandare in una ispedizione uno uomo solo di comunaleprudenzia, che due valentissimi uomini insieme con lamedesima autorità.

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mandare in una ispedizione uno uomo solo di comunaleprudenzia, che due valentissimi uomini insieme con lamedesima autorità.

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16 Che la vera virtù si va ne' tempi difficili, atrovare; e ne' tempi facili, non gli uomini vir-tuosi, ma quegli che per ricchezze o per pa-

rentado hanno più grazia.

Egli fu sempre, e sempre sarà, che gli uomini grandi erari in una republica, ne' tempi pacifichi, sono negletti;perché, per la invidia che si ha tirato dietro la riputazio-ne che la virtù d'essi ha dato loro, si truova in tali tempiassai cittadini che vogliono, non che essere loro equali,ma essere loro superiori. E di questo ne è uno luogobuono in Tucidide, istorico greco; il quale mostra come,sendo la republica ateniese rimasa superiore in la guerrapeloponnesiaca, ed avendo frenato l'orgoglio degli Spar-tani, e quasi sottomessa tutta l'altra Grecia, salse in tantariputazione che la disegnò di occupare la Sicilia. Vennequesta impresa in disputa in Atene. Alcibiade e qualchealtro cittadino consigliavano che la si facesse, comequelli che, pensando poco al bene publico, pensavonoall'onore loro, disegnando essere capi di tale impresa.Ma Nicia, che era il primo intra i reputati di Atene, ladissuadeva; e la maggiore ragione che, nel concionare alpopolo, perché gli fusse prestato fede, adducesse, fuquesta: che, consigliando esso che non si facesse questaguerra, e' consigliava cosa che non faceva per lui; per-ché, stando Atene in pace, sapeva come vi era infiniticittadini che gli volevano andare innanzi; ma, faccendo-si guerra, sapeva che nessuno cittadino gli sarebbe supe-

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16 Che la vera virtù si va ne' tempi difficili, atrovare; e ne' tempi facili, non gli uomini vir-tuosi, ma quegli che per ricchezze o per pa-

rentado hanno più grazia.

Egli fu sempre, e sempre sarà, che gli uomini grandi erari in una republica, ne' tempi pacifichi, sono negletti;perché, per la invidia che si ha tirato dietro la riputazio-ne che la virtù d'essi ha dato loro, si truova in tali tempiassai cittadini che vogliono, non che essere loro equali,ma essere loro superiori. E di questo ne è uno luogobuono in Tucidide, istorico greco; il quale mostra come,sendo la republica ateniese rimasa superiore in la guerrapeloponnesiaca, ed avendo frenato l'orgoglio degli Spar-tani, e quasi sottomessa tutta l'altra Grecia, salse in tantariputazione che la disegnò di occupare la Sicilia. Vennequesta impresa in disputa in Atene. Alcibiade e qualchealtro cittadino consigliavano che la si facesse, comequelli che, pensando poco al bene publico, pensavonoall'onore loro, disegnando essere capi di tale impresa.Ma Nicia, che era il primo intra i reputati di Atene, ladissuadeva; e la maggiore ragione che, nel concionare alpopolo, perché gli fusse prestato fede, adducesse, fuquesta: che, consigliando esso che non si facesse questaguerra, e' consigliava cosa che non faceva per lui; per-ché, stando Atene in pace, sapeva come vi era infiniticittadini che gli volevano andare innanzi; ma, faccendo-si guerra, sapeva che nessuno cittadino gli sarebbe supe-

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riore o equale.Vedesi, pertanto, adunque, come nelle republiche è que-sto disordine, di fare poca stima de' valenti uomini, ne'tempi quieti. La quale cosa gli fa indegnare in due modi:l'uno per vedersi mancare del grado loro; l'altro, per ve-dersi fare compagni e superiori uomini indegni e dimanco sofficienza di loro. Il quale disordine nelle repu-bliche ha causato di molte rovine; perché quegli cittadi-ni che immeritamente si veggono disprezzare, e cono-scono che e' ne sono cagione i tempi facili e non perico-losi, s'ingegnano di turbargli, movendo nuove guerre inpregiudicio della republica. E pensando quali potessonoessere e' rimedi, ce ne truovo due: l'uno, mantenere i cit-tadini poveri, acciocché con le ricchezze sanza virtù e'non potessino corrompere né loro né altri, l'altro, di or-dinarsi in modo alla guerra, che sempre si potesse fareguerra, e sempre si avesse bisogno di cittadini riputati,come e' Romani ne' suoi primi tempi. Perché, tenendofuori quella città sempre eserciti, sempre vi era luogoalla virtù degli uomini; né si poteva tôrre il grado a unoche lo meritasse, e darlo ad uno che non lo meritasse:perché, se pure lo faceva qualche volta, per errore o perprovare, ne seguiva tosto tanto suo disordine e pericolo,che la ritornava subito nella vera via. Ma le altre repu-bliche, che non sono ordinate come quella, e che fannosolo guerra quando la necessità le costringe, non si pos-sono difendere da tale inconveniente: anzi semprev'incorreranno dentro; e sempre ne nascerà disordine,

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riore o equale.Vedesi, pertanto, adunque, come nelle republiche è que-sto disordine, di fare poca stima de' valenti uomini, ne'tempi quieti. La quale cosa gli fa indegnare in due modi:l'uno per vedersi mancare del grado loro; l'altro, per ve-dersi fare compagni e superiori uomini indegni e dimanco sofficienza di loro. Il quale disordine nelle repu-bliche ha causato di molte rovine; perché quegli cittadi-ni che immeritamente si veggono disprezzare, e cono-scono che e' ne sono cagione i tempi facili e non perico-losi, s'ingegnano di turbargli, movendo nuove guerre inpregiudicio della republica. E pensando quali potessonoessere e' rimedi, ce ne truovo due: l'uno, mantenere i cit-tadini poveri, acciocché con le ricchezze sanza virtù e'non potessino corrompere né loro né altri, l'altro, di or-dinarsi in modo alla guerra, che sempre si potesse fareguerra, e sempre si avesse bisogno di cittadini riputati,come e' Romani ne' suoi primi tempi. Perché, tenendofuori quella città sempre eserciti, sempre vi era luogoalla virtù degli uomini; né si poteva tôrre il grado a unoche lo meritasse, e darlo ad uno che non lo meritasse:perché, se pure lo faceva qualche volta, per errore o perprovare, ne seguiva tosto tanto suo disordine e pericolo,che la ritornava subito nella vera via. Ma le altre repu-bliche, che non sono ordinate come quella, e che fannosolo guerra quando la necessità le costringe, non si pos-sono difendere da tale inconveniente: anzi semprev'incorreranno dentro; e sempre ne nascerà disordine,

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quando quello cittadino, negletto e virtuoso, sia vendi-cativo, ed abbia nella città qualche riputazione e aderen-zia. E la città di Roma uno tempo fece difesa; ma aquella ancora, poiché l'ebbe vinto Cartagine ed Antioco(come altrove si disse), non temendo più le guerre, pare-va potere commettere gli eserciti a qualunque la voleva;non riguardando tanto alla virtù, quanto alle altre qualitàche gli dessono grazia nel popolo. Perché si vide chePaulo Emilio ebbe più volte la ripulsa nel consolato, néfu prima fatto consolo che surgesse la guerra macedoni-ca; la quale giudicandosi pericolosa, di consenso di tuttala città fu commessa a lui.Sendo nella nostra città di Firenze seguite dopo il 1494di molte guerre, ed avendo fatto i cittadini fiorentini tuttiuna cattiva pruova, si riscontrò a sorte la città in uno chemostrò come si aveva a comandare agli eserciti; il qualefu Antonio Giacomini. E mentre che si ebbe a fare guer-re pericolose, tutta l'ambizione degli altri cittadini cessò,e nella elezione del commessario e capo degli esercitinon aveva competitore alcuno; ma come si ebbe a fareuna guerra dove non era alcuno dubbio, ed assai onore egrado, e' vi trovò tanti competitori, che, avendosi adeleggere tre commessari per campeggiare Pisa, e' fu la-sciato indietro. E benché e' non si vedesse evidentemen-te che male ne seguisse al publico per non vi avere man-dato Antonio, nondimeno se ne potette fare facilissimaconiettura; perché, non avendo più i Pisani da defender-si né da vivere, se vi fusse stato Antonio, sarebbero stati

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quando quello cittadino, negletto e virtuoso, sia vendi-cativo, ed abbia nella città qualche riputazione e aderen-zia. E la città di Roma uno tempo fece difesa; ma aquella ancora, poiché l'ebbe vinto Cartagine ed Antioco(come altrove si disse), non temendo più le guerre, pare-va potere commettere gli eserciti a qualunque la voleva;non riguardando tanto alla virtù, quanto alle altre qualitàche gli dessono grazia nel popolo. Perché si vide chePaulo Emilio ebbe più volte la ripulsa nel consolato, néfu prima fatto consolo che surgesse la guerra macedoni-ca; la quale giudicandosi pericolosa, di consenso di tuttala città fu commessa a lui.Sendo nella nostra città di Firenze seguite dopo il 1494di molte guerre, ed avendo fatto i cittadini fiorentini tuttiuna cattiva pruova, si riscontrò a sorte la città in uno chemostrò come si aveva a comandare agli eserciti; il qualefu Antonio Giacomini. E mentre che si ebbe a fare guer-re pericolose, tutta l'ambizione degli altri cittadini cessò,e nella elezione del commessario e capo degli esercitinon aveva competitore alcuno; ma come si ebbe a fareuna guerra dove non era alcuno dubbio, ed assai onore egrado, e' vi trovò tanti competitori, che, avendosi adeleggere tre commessari per campeggiare Pisa, e' fu la-sciato indietro. E benché e' non si vedesse evidentemen-te che male ne seguisse al publico per non vi avere man-dato Antonio, nondimeno se ne potette fare facilissimaconiettura; perché, non avendo più i Pisani da defender-si né da vivere, se vi fusse stato Antonio, sarebbero stati

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tanto innanzi stretti, che si sarebbero dati a discrezionede' Fiorentini. Ma, sendo loro assediati da capi che nonsapevano né stringergli né sforzargli, furono tanto intrat-tenuti che la città di Firenze gli comperò, dove la gli po-teva avere a forza. Convenne che tale sdegno potesse as-sai in Antonio; e bisognava ch'e' fussi bene paziente ebuono, a non disiderare di vendicarsene, o con la rovinadella città, potendo, o con l'ingiuria di alcuno particularecittadino. Da che si debbe una republica guardare; comenel seguente capitolo si discorrerà.

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tanto innanzi stretti, che si sarebbero dati a discrezionede' Fiorentini. Ma, sendo loro assediati da capi che nonsapevano né stringergli né sforzargli, furono tanto intrat-tenuti che la città di Firenze gli comperò, dove la gli po-teva avere a forza. Convenne che tale sdegno potesse as-sai in Antonio; e bisognava ch'e' fussi bene paziente ebuono, a non disiderare di vendicarsene, o con la rovinadella città, potendo, o con l'ingiuria di alcuno particularecittadino. Da che si debbe una republica guardare; comenel seguente capitolo si discorrerà.

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17 Che non si offenda uno, e poi quel mede-simo si mandi in amministrazione e governo

d'importanza.

Debbe una republica assai considerare di non preporrealcuno ad alcuna importante amministrazione, al qualesia stato fatto da altri alcuna notabile ingiuria. ClaudioNerone, il quale si partì dallo esercito che lui aveva afronte ad Annibale, e con parte d'esso ne andò nellaMarca, a trovare l'altro Consolo per combattere conAsdrubale avanti ch'e' si congiugnesse con Annibale,s'era trovato per lo addietro in Ispagna a fronte diAsdrubale, ed avendolo serrato in luogo con lo esercito,che bisognava o che Asdrubale combattesse con suo di-savvantaggio o si morisse di fame, fu da Asdrubale astu-tamente tanto intrattenuto con certe pratiche d'accordo,che gli uscì di sotto, e tolsegli quella occasione di op-pressarlo. La quale cosa, saputa a Roma, gli dette caricogrande appresso a il Senato ed al popolo; e di lui fu par-lato inonestamente per tutta quella città, non sanza suogrande disonore e disdegno. Ma, sendo poi fatto Conso-lo, e mandato allo incontro di Annibale, prese il sopra-scritto partito, il quale fu pericolosissimo, talmente cheRoma stette tutta dubbia e sollevata infino a tanto chevennono le nuove della rotta di Asdrubale. Ed essendopoi domandato Claudio, per quale cagione avesse presosì pericoloso partito, dove sanza una estrema necessitàegli aveva giucato quasi la libertà di Roma; rispose che

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17 Che non si offenda uno, e poi quel mede-simo si mandi in amministrazione e governo

d'importanza.

Debbe una republica assai considerare di non preporrealcuno ad alcuna importante amministrazione, al qualesia stato fatto da altri alcuna notabile ingiuria. ClaudioNerone, il quale si partì dallo esercito che lui aveva afronte ad Annibale, e con parte d'esso ne andò nellaMarca, a trovare l'altro Consolo per combattere conAsdrubale avanti ch'e' si congiugnesse con Annibale,s'era trovato per lo addietro in Ispagna a fronte diAsdrubale, ed avendolo serrato in luogo con lo esercito,che bisognava o che Asdrubale combattesse con suo di-savvantaggio o si morisse di fame, fu da Asdrubale astu-tamente tanto intrattenuto con certe pratiche d'accordo,che gli uscì di sotto, e tolsegli quella occasione di op-pressarlo. La quale cosa, saputa a Roma, gli dette caricogrande appresso a il Senato ed al popolo; e di lui fu par-lato inonestamente per tutta quella città, non sanza suogrande disonore e disdegno. Ma, sendo poi fatto Conso-lo, e mandato allo incontro di Annibale, prese il sopra-scritto partito, il quale fu pericolosissimo, talmente cheRoma stette tutta dubbia e sollevata infino a tanto chevennono le nuove della rotta di Asdrubale. Ed essendopoi domandato Claudio, per quale cagione avesse presosì pericoloso partito, dove sanza una estrema necessitàegli aveva giucato quasi la libertà di Roma; rispose che

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lo aveva fatto perché sapeva che, se gli riusciva, riacqui-stava quella gloria che si aveva perduta in Ispagna; e senon gli riusciva, e che questo suo partito avesse avutocontrario fine, sapeva come e' si vendicava contro aquella città ed a quegli cittadini che lo avevano tanto in-gratamente ed indiscretamente offeso. E quando questepassioni di tali offese possono tanto in uno cittadino ro-mano, e in quegli tempi che Roma ancora era incorrotta,si debbe pensare quanto elle possano in uno cittadinod'un'altra città che non sia fatta come era allora quella. Eperché a simili disordini che nascano nelle republichenon si può dare certo rimedio, ne seguita che gli è im-possibile ordinare una republica perpetua, perché permille inopinate vie si causa la sua rovina.

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lo aveva fatto perché sapeva che, se gli riusciva, riacqui-stava quella gloria che si aveva perduta in Ispagna; e senon gli riusciva, e che questo suo partito avesse avutocontrario fine, sapeva come e' si vendicava contro aquella città ed a quegli cittadini che lo avevano tanto in-gratamente ed indiscretamente offeso. E quando questepassioni di tali offese possono tanto in uno cittadino ro-mano, e in quegli tempi che Roma ancora era incorrotta,si debbe pensare quanto elle possano in uno cittadinod'un'altra città che non sia fatta come era allora quella. Eperché a simili disordini che nascano nelle republichenon si può dare certo rimedio, ne seguita che gli è im-possibile ordinare una republica perpetua, perché permille inopinate vie si causa la sua rovina.

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18 Nessuna cosa è più degna d'uno capitano,che presentire i partiti del nimico.

Diceva Epaminonda tebano, nessuna cosa essere più ne-cessaria e più utile ad uno capitano, che conoscere le di-liberazioni e' partiti del nimico. E perché tale cognizioneè difficile, merita tanto più laude quello che adopera inmodo che le coniettura. E non tanto è difficile intenderei disegni del nimico, ch'egli è qualche volta difficile in-tendere le azioni sue; e non tanto le azioni che per lui sifanno discosto, quanto le presenti e le propinque. Perchémolte volte è accaduto che, sendo durata una zuffa infi-no a notte, chi ha vinto crede avere perduto, e chi haperduto crede avere vinto. Il quale errore ha fatto dilibe-rare cose contrarie alla salute di colui che ha diliberato:come intervenne a Bruto e Cassio, i quali per questo er-rore perderono la guerra; perché, avendo vinto Bruto dalcorno suo, credette Cassio, che aveva perduto, che tuttolo esercito fusse rotto; e disperatosi, per questo errore,della salute, ammazzò sé stesso. Ne' nostri tempi, nellagiornata che fece in Lombardia, a Santa Cecilia, France-sco re di Francia, con i Svizzeri, sopravvenendo la notte,credettero, quella parte de' Svizzeri che erano rimasti in-teri, avere vinto, non sappiendo di quegli che erano statirotti e morti: il quale errore fece che loro medesimi nonsi salvarono, aspettando di ricombattere la mattina contanto loro disavantaggio; e fecero anche errare, e pertale errore presso che rovinare, lo esercito del Papa e di

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18 Nessuna cosa è più degna d'uno capitano,che presentire i partiti del nimico.

Diceva Epaminonda tebano, nessuna cosa essere più ne-cessaria e più utile ad uno capitano, che conoscere le di-liberazioni e' partiti del nimico. E perché tale cognizioneè difficile, merita tanto più laude quello che adopera inmodo che le coniettura. E non tanto è difficile intenderei disegni del nimico, ch'egli è qualche volta difficile in-tendere le azioni sue; e non tanto le azioni che per lui sifanno discosto, quanto le presenti e le propinque. Perchémolte volte è accaduto che, sendo durata una zuffa infi-no a notte, chi ha vinto crede avere perduto, e chi haperduto crede avere vinto. Il quale errore ha fatto dilibe-rare cose contrarie alla salute di colui che ha diliberato:come intervenne a Bruto e Cassio, i quali per questo er-rore perderono la guerra; perché, avendo vinto Bruto dalcorno suo, credette Cassio, che aveva perduto, che tuttolo esercito fusse rotto; e disperatosi, per questo errore,della salute, ammazzò sé stesso. Ne' nostri tempi, nellagiornata che fece in Lombardia, a Santa Cecilia, France-sco re di Francia, con i Svizzeri, sopravvenendo la notte,credettero, quella parte de' Svizzeri che erano rimasti in-teri, avere vinto, non sappiendo di quegli che erano statirotti e morti: il quale errore fece che loro medesimi nonsi salvarono, aspettando di ricombattere la mattina contanto loro disavantaggio; e fecero anche errare, e pertale errore presso che rovinare, lo esercito del Papa e di

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Ispagna, il quale, in su la falsa nuova della vittoria, pas-sò il Po, e, se procedeva troppo innanzi, restava prigionede' Franciosi che erano vittoriosi.Questo simile errore occorse ne' campi romani e in que-gli degli Equi. Dove, sendo Sempronio consolo con loesercito allo incontro degl'inimici, ed appiccandosi lazuffa, si travagliò quella giornata infino a sera, con variafortuna dell'uno e dell'altro: e venuta la notte, sendol'uno e l'altro esercito mezzo rotto, non ritornò alcuno diloro ne' suoi alloggiamenti; anzi ciascuno si ritrasse ne'prossimi colli, dove credevano essere più sicuri; e loesercito romano si divise in due parti: l'una ne andò colConsole; l'altra, con uno Tempanio centurione, per lavirtù del quale lo esercito romano quel giorno non erastato rotto interamente. Venuta la mattina, il Consolo ro-mano, sanza intendere altro de' nimici, si tirò versoRoma; il simile fece lo esercito degli Equi: perché cia-scuno di questi credeva che il nimico avesse vinto, eperò ciascuno si ritrasse sanza curare di lasciare i suoialloggiamenti in preda. Accadde che Tempanio, ch'eracon il resto dello esercito romano, ritirandosi ancoraesso, intese, da certi feriti degli Equi, come i capitaniloro s'erano partiti, ed avevano abbandonati gli alloggia-menti: donde che egli, in su questa nuova, se n'entrò ne-gli alloggiamenti romani, e salvogli; e dipoi saccheggiòquegli degli Equi, e se ne tornò a Roma vittorioso. Laquale vittoria come si vede, consisté solo in chi prima diloro intese i disordini del nimico. Dove si debbe notare,

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Ispagna, il quale, in su la falsa nuova della vittoria, pas-sò il Po, e, se procedeva troppo innanzi, restava prigionede' Franciosi che erano vittoriosi.Questo simile errore occorse ne' campi romani e in que-gli degli Equi. Dove, sendo Sempronio consolo con loesercito allo incontro degl'inimici, ed appiccandosi lazuffa, si travagliò quella giornata infino a sera, con variafortuna dell'uno e dell'altro: e venuta la notte, sendol'uno e l'altro esercito mezzo rotto, non ritornò alcuno diloro ne' suoi alloggiamenti; anzi ciascuno si ritrasse ne'prossimi colli, dove credevano essere più sicuri; e loesercito romano si divise in due parti: l'una ne andò colConsole; l'altra, con uno Tempanio centurione, per lavirtù del quale lo esercito romano quel giorno non erastato rotto interamente. Venuta la mattina, il Consolo ro-mano, sanza intendere altro de' nimici, si tirò versoRoma; il simile fece lo esercito degli Equi: perché cia-scuno di questi credeva che il nimico avesse vinto, eperò ciascuno si ritrasse sanza curare di lasciare i suoialloggiamenti in preda. Accadde che Tempanio, ch'eracon il resto dello esercito romano, ritirandosi ancoraesso, intese, da certi feriti degli Equi, come i capitaniloro s'erano partiti, ed avevano abbandonati gli alloggia-menti: donde che egli, in su questa nuova, se n'entrò ne-gli alloggiamenti romani, e salvogli; e dipoi saccheggiòquegli degli Equi, e se ne tornò a Roma vittorioso. Laquale vittoria come si vede, consisté solo in chi prima diloro intese i disordini del nimico. Dove si debbe notare,

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come e' può spesso occorrere che due eserciti, che sianoa fronte l'uno dell'altro, siano nel medesimo disordine, epatischino le medesime necessità; e che quello resti poivincitore che è il primo ad intendere le necessità delloaltro.Io voglio dare di questo uno esemplo domestico e mo-derno. Nel 1498, quando i Fiorentini avevano uno eser-cito grosso in quel di Pisa, e stringevano forte quella cit-tà; della quale avendo i Viniziani presa la protezione,non veggendo altro modo a salvarla, diliberarono di di-vertire quella guerra, assaltando da un'altra banda il do-minio di Firenze; e, fatto uno esercito potente, entraronoper la Val di Lamona, ed occuparono il borgo di Marra-di, ed assediarono la rocca di Castiglione, che è in sulcolle di sopra. Il che sentendo i Fiorentini, diliberaronosoccorrere Marradi, e non diminuire le forze avevano inquel di Pisa; e fatte nuove fanterie, ed ordinate nuovegenti a cavallo, le mandarono a quella volta: delle qualine furono capi Iacopo IV d'Appiano, signore di Piombi-no, ed il conte Rinuccio da Marciano. Sendosi adunque,condotte queste genti in su il colle sopra Marradi, si le-varono i nimici d'intorno a Castiglione, e ridussersi tuttinel borgo. Ed essendo stato l'uno e l'altro di questi dueeserciti a fronte qualche giorno, pativa l'uno e l'altro as-sai e di vettovaglie e d'ogni altra cosa necessaria: e nonavendo ardire l'uno d'affrontare l'altro, né sappiendo idisordini l'uno dell'altro, deliberarono in una sera mede-sima l'uno e l'altro di levare gli alloggiamenti la mattina

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come e' può spesso occorrere che due eserciti, che sianoa fronte l'uno dell'altro, siano nel medesimo disordine, epatischino le medesime necessità; e che quello resti poivincitore che è il primo ad intendere le necessità delloaltro.Io voglio dare di questo uno esemplo domestico e mo-derno. Nel 1498, quando i Fiorentini avevano uno eser-cito grosso in quel di Pisa, e stringevano forte quella cit-tà; della quale avendo i Viniziani presa la protezione,non veggendo altro modo a salvarla, diliberarono di di-vertire quella guerra, assaltando da un'altra banda il do-minio di Firenze; e, fatto uno esercito potente, entraronoper la Val di Lamona, ed occuparono il borgo di Marra-di, ed assediarono la rocca di Castiglione, che è in sulcolle di sopra. Il che sentendo i Fiorentini, diliberaronosoccorrere Marradi, e non diminuire le forze avevano inquel di Pisa; e fatte nuove fanterie, ed ordinate nuovegenti a cavallo, le mandarono a quella volta: delle qualine furono capi Iacopo IV d'Appiano, signore di Piombi-no, ed il conte Rinuccio da Marciano. Sendosi adunque,condotte queste genti in su il colle sopra Marradi, si le-varono i nimici d'intorno a Castiglione, e ridussersi tuttinel borgo. Ed essendo stato l'uno e l'altro di questi dueeserciti a fronte qualche giorno, pativa l'uno e l'altro as-sai e di vettovaglie e d'ogni altra cosa necessaria: e nonavendo ardire l'uno d'affrontare l'altro, né sappiendo idisordini l'uno dell'altro, deliberarono in una sera mede-sima l'uno e l'altro di levare gli alloggiamenti la mattina

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vegnente, e ritirarsi in dietro; il Viniziano verso Bersi-ghella e Faenza, il Fiorentino verso Casaglia e il Mugel-lo. Venuta adunque la mattina, ed avendo ciascuno de'campi incominciato ad avviare i suoi impedimenti; acaso una donna si partì del borgo di Marradi, e venneverso il campo fiorentino, sicura per la vecchiezza e perla povertà, desiderosa di vedere certi suoi che erano inquel campo: dalla quale intendendo i capitani delle gentifiorentine, come il campo viniziano partiva, si fecero, insu questa nuova, gagliardi; e mutato consiglio, come segli avessono disalloggiati i nimici, ne andarono sopra diloro, e scrissero a Firenze avergli ributtati e vinta laguerra. La quale vittoria non nacque da altro che dalloavere inteso prima dei nimici come e' se n'andavano: laquale notizia, se fusse prima venuta dall'altra parte,arebbe fatto contro a' nostri il medesimo effetto.

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vegnente, e ritirarsi in dietro; il Viniziano verso Bersi-ghella e Faenza, il Fiorentino verso Casaglia e il Mugel-lo. Venuta adunque la mattina, ed avendo ciascuno de'campi incominciato ad avviare i suoi impedimenti; acaso una donna si partì del borgo di Marradi, e venneverso il campo fiorentino, sicura per la vecchiezza e perla povertà, desiderosa di vedere certi suoi che erano inquel campo: dalla quale intendendo i capitani delle gentifiorentine, come il campo viniziano partiva, si fecero, insu questa nuova, gagliardi; e mutato consiglio, come segli avessono disalloggiati i nimici, ne andarono sopra diloro, e scrissero a Firenze avergli ributtati e vinta laguerra. La quale vittoria non nacque da altro che dalloavere inteso prima dei nimici come e' se n'andavano: laquale notizia, se fusse prima venuta dall'altra parte,arebbe fatto contro a' nostri il medesimo effetto.

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19 Se a reggere una moltitudine è più neces-sario l'ossequio che la pena.

Era la Republica romana sollevata per le inimicizie de'nobili e de' plebei: nondimeno, soprastando loro la guer-ra, mandarono fuori con gli eserciti Quinzio ed AppioClaudio. Appio, per essere crudele e rozzo nel comanda-re, fu male ubidito da' suoi, tanto che quasi rotto si fuggìdella sua provincia; Quinzio, per essere benigno e diumano ingegno ebbe i suoi soldati ubbidienti, e ripor-tonne la vittoria. Donde e' pare che e' sia meglio, a go-vernare una moltitudine, essere umano che superbo, pie-toso che crudele. Nondimeno, Cornelio Tacito, al qualemolti altri scrittori acconsentano in una sua sentenzaconchiude il contrario, quando ait: «In multitudine re-genda plus poena quam obsequium valet». E conside-rando come si possa salvare l'una e l'altra di queste opi-nioni dico: o che tu hai a reggere uomini che ti sono perl'ordinario compagni, o uomini che ti sono sempre sug-getti. Quando ti sono compagni, non si può interamenteusare la pena, né quella severità di che ragiona Cornelio;e perché la plebe romana aveva in Roma equale imperiocon la Nobilità, non poteva uno, che ne diventava prin-cipe a tempo, con crudeltà e rozzezza maneggiarla. Emolte volte si vide che migliore frutto fecero i capitaniromani che si facevano amare dagli eserciti, e che conossequio gli maneggiavano, che quegli che si facevanoistraordinariamente temere; se già e' non erano accom-

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19 Se a reggere una moltitudine è più neces-sario l'ossequio che la pena.

Era la Republica romana sollevata per le inimicizie de'nobili e de' plebei: nondimeno, soprastando loro la guer-ra, mandarono fuori con gli eserciti Quinzio ed AppioClaudio. Appio, per essere crudele e rozzo nel comanda-re, fu male ubidito da' suoi, tanto che quasi rotto si fuggìdella sua provincia; Quinzio, per essere benigno e diumano ingegno ebbe i suoi soldati ubbidienti, e ripor-tonne la vittoria. Donde e' pare che e' sia meglio, a go-vernare una moltitudine, essere umano che superbo, pie-toso che crudele. Nondimeno, Cornelio Tacito, al qualemolti altri scrittori acconsentano in una sua sentenzaconchiude il contrario, quando ait: «In multitudine re-genda plus poena quam obsequium valet». E conside-rando come si possa salvare l'una e l'altra di queste opi-nioni dico: o che tu hai a reggere uomini che ti sono perl'ordinario compagni, o uomini che ti sono sempre sug-getti. Quando ti sono compagni, non si può interamenteusare la pena, né quella severità di che ragiona Cornelio;e perché la plebe romana aveva in Roma equale imperiocon la Nobilità, non poteva uno, che ne diventava prin-cipe a tempo, con crudeltà e rozzezza maneggiarla. Emolte volte si vide che migliore frutto fecero i capitaniromani che si facevano amare dagli eserciti, e che conossequio gli maneggiavano, che quegli che si facevanoistraordinariamente temere; se già e' non erano accom-

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pagnati da una eccessiva virtù, come fu Manlio Torqua-to. Ma chi comanda a' sudditi, de' quali ragiona Corne-lio, acciocché non doventino insolenti, e che per troppatua facilità non ti calpestino, debbe volgersi più tostoalla pena che all'ossequio. Ma questa anche debbe esse-re in modo moderata, che si fugga l'odio; perché farsiodiare non tornò mai bene ad alcuno principe. Il mododel fuggirlo è lasciare stare la roba de' sudditi: perchédel sangue, quando non vi sia sotto ascosa la rapina,nessuno principe ne è desideroso, se non necessitato, equesta necessità viene rade volte; ma, sendovi mescolatala rapina viene sempre, né mancano mai le cagioni ed ildesiderio di spargerlo; come in altro trattato sopra que-sta materia si è largamente discorso. Meritò adunque,più laude Quinzio che Appio, e la sentenza di Cornelio,dentro ai termini suoi, e non ne' casi osservati di Appio,merita d'essere approvata.E perché noi abbiamo parlato della pena e dell'ossequionon mi pare superfluo mostrare, come uno esemplo diumanità poté appresso i Falisci più che l'armi.

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pagnati da una eccessiva virtù, come fu Manlio Torqua-to. Ma chi comanda a' sudditi, de' quali ragiona Corne-lio, acciocché non doventino insolenti, e che per troppatua facilità non ti calpestino, debbe volgersi più tostoalla pena che all'ossequio. Ma questa anche debbe esse-re in modo moderata, che si fugga l'odio; perché farsiodiare non tornò mai bene ad alcuno principe. Il mododel fuggirlo è lasciare stare la roba de' sudditi: perchédel sangue, quando non vi sia sotto ascosa la rapina,nessuno principe ne è desideroso, se non necessitato, equesta necessità viene rade volte; ma, sendovi mescolatala rapina viene sempre, né mancano mai le cagioni ed ildesiderio di spargerlo; come in altro trattato sopra que-sta materia si è largamente discorso. Meritò adunque,più laude Quinzio che Appio, e la sentenza di Cornelio,dentro ai termini suoi, e non ne' casi osservati di Appio,merita d'essere approvata.E perché noi abbiamo parlato della pena e dell'ossequionon mi pare superfluo mostrare, come uno esemplo diumanità poté appresso i Falisci più che l'armi.

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20 Uno esemplo di umanità appresso i Fali-sci potette più che ogni forza romana.

Essendo Cammillo con lo esercito intorno alla città de'Falisci, e quella assediando, uno maestro di scuola de'più nobili fanciulli di quella città, pensando di gratifi-carsi Cammillo ed il popolo romano, sotto colore diesercizio uscendo con quegli fuori della terra, gli con-dusse tutti nel campo innanzi a Cammillo, e presentan-dogli, disse, come, mediante loro quella terra si darebbenelle sue mani. Il quale presente non solamente non fuaccettato da Cammillo; ma, fatto spogliare quel maestro,e legatogli le mani di dietro, e dato a ciascuno di queglifanciulli una verga in mano, lo fece da quegli con dimolte battiture accompagnare nella terra. La quale cosaintesa da quegli cittadini, piacque tanto loro la umanitàed integrità di Cammillo, che, sanza volere più difender-si, diliberarono di darli la terra. Dove è da considerare,con questo vero esemplo, quanto qualche volta possapiù negli animi degli uomini uno atto umano e pieno dicarità, che uno atto feroce e violento; e come molte vol-te quelle provincie e quelle città che le armi, gl'instru-menti bellici ed ogni altra umana forza non ha potutoaprire, uno esemplo di umanità e di piatà, di castità o diliberalità, ha aperte. Di che ne sono nelle istorie, oltre aquesto, molti altri esempli. E vedesi come l'armi romanenon potevano cacciare Pirro d'Italia, e ne lo cacciò la li-beralità di Fabrizio, quando gli manifestò l'offerta che

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20 Uno esemplo di umanità appresso i Fali-sci potette più che ogni forza romana.

Essendo Cammillo con lo esercito intorno alla città de'Falisci, e quella assediando, uno maestro di scuola de'più nobili fanciulli di quella città, pensando di gratifi-carsi Cammillo ed il popolo romano, sotto colore diesercizio uscendo con quegli fuori della terra, gli con-dusse tutti nel campo innanzi a Cammillo, e presentan-dogli, disse, come, mediante loro quella terra si darebbenelle sue mani. Il quale presente non solamente non fuaccettato da Cammillo; ma, fatto spogliare quel maestro,e legatogli le mani di dietro, e dato a ciascuno di queglifanciulli una verga in mano, lo fece da quegli con dimolte battiture accompagnare nella terra. La quale cosaintesa da quegli cittadini, piacque tanto loro la umanitàed integrità di Cammillo, che, sanza volere più difender-si, diliberarono di darli la terra. Dove è da considerare,con questo vero esemplo, quanto qualche volta possapiù negli animi degli uomini uno atto umano e pieno dicarità, che uno atto feroce e violento; e come molte vol-te quelle provincie e quelle città che le armi, gl'instru-menti bellici ed ogni altra umana forza non ha potutoaprire, uno esemplo di umanità e di piatà, di castità o diliberalità, ha aperte. Di che ne sono nelle istorie, oltre aquesto, molti altri esempli. E vedesi come l'armi romanenon potevano cacciare Pirro d'Italia, e ne lo cacciò la li-beralità di Fabrizio, quando gli manifestò l'offerta che

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aveva fatta ai Romani quello suo familiare, di avvele-narlo. Vedesi ancora, come a Scipione Affricano nondette tanta riputazione in Ispagna la espugnazione diCartagine Nuova, quanto gli dette quello esemplo di ca-stità, di avere renduto la moglie, giovane, bella, ed intat-ta al suo marito; la fama della quale azione gli fece ami-ca tutta la Ispagna. Vedesi ancora, questa parte quanto lasia desiderata da' popoli negli uomini grandi, e quantosia laudata dagli scrittori; e da quegli che descrivano lavita de' principi, e da quegli che ordinano come ei deb-bano vivere. Intra i quali Senofonte si affatica assai indimostrare quanti onori, quante vittorie, quanta buonafama arrecasse a Ciro lo essere umano ed affabile, e nondare alcuno esemplo di sé, né di superbo, né di crudele,né di lussurioso né di nessuno altro vizio che macchi lavita degli uomini. Pure nondimeno, veggendo Annibale,con modi contrari a questi, avere conseguito gran fama egran vittorie, mi pare da discorrere, nel seguente capito-lo, donde questo nasca.

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aveva fatta ai Romani quello suo familiare, di avvele-narlo. Vedesi ancora, come a Scipione Affricano nondette tanta riputazione in Ispagna la espugnazione diCartagine Nuova, quanto gli dette quello esemplo di ca-stità, di avere renduto la moglie, giovane, bella, ed intat-ta al suo marito; la fama della quale azione gli fece ami-ca tutta la Ispagna. Vedesi ancora, questa parte quanto lasia desiderata da' popoli negli uomini grandi, e quantosia laudata dagli scrittori; e da quegli che descrivano lavita de' principi, e da quegli che ordinano come ei deb-bano vivere. Intra i quali Senofonte si affatica assai indimostrare quanti onori, quante vittorie, quanta buonafama arrecasse a Ciro lo essere umano ed affabile, e nondare alcuno esemplo di sé, né di superbo, né di crudele,né di lussurioso né di nessuno altro vizio che macchi lavita degli uomini. Pure nondimeno, veggendo Annibale,con modi contrari a questi, avere conseguito gran fama egran vittorie, mi pare da discorrere, nel seguente capito-lo, donde questo nasca.

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21 Donde nacque che Annibale, con diversomodo di procedere da Scipione fece quelli

medesimi effetti in Italia che quello in Ispa-gna.

Io estimo che alcuni si potrebbono maravigliare veggen-do come qualche capitano, nonostante ch'egli abbia te-nuto contraria vita, abbia nondimeno fatti simili effetti acoloro che sono vissuti nel modo soprascritto: talchépare che la cagione delle vittorie non dependa dalle pre-dette cause; anzi pare che quelli modi non ti rechino népiù forza né più fortuna, potendosi per contrari modi ac-quistare gloria e riputazione. E per non mi partire dagliuomini soprascritti, e per chiarire meglio quello che ioho voluto dire, dico come e' si vede Scipione entrare inIspagna, e con quella sua umanità e piatà subito farsiamica quella provincia, ed adorare ed ammirare da' po-poli. Vedesi, allo incontro, entrare Annibale in Italia, econ modi tutti contrari, cioè con crudeltà, violenza e ra-pina ed ogni ragione infideltà, fare il medesimo effettoche aveva fatto Scipione in Ispagna; perché, a Annibale,si ribellarono tutte le città d'Italia, tutti i popoli lo segui-rono.E pensando donde questa cosa possa nascere, ci si vededentro più ragioni. La prima è, che gli uomini sono desi-derosi di cose nuove; in tanto che così disiderano il piùdelle volte novità quegli che stanno bene, come quegli

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21 Donde nacque che Annibale, con diversomodo di procedere da Scipione fece quelli

medesimi effetti in Italia che quello in Ispa-gna.

Io estimo che alcuni si potrebbono maravigliare veggen-do come qualche capitano, nonostante ch'egli abbia te-nuto contraria vita, abbia nondimeno fatti simili effetti acoloro che sono vissuti nel modo soprascritto: talchépare che la cagione delle vittorie non dependa dalle pre-dette cause; anzi pare che quelli modi non ti rechino népiù forza né più fortuna, potendosi per contrari modi ac-quistare gloria e riputazione. E per non mi partire dagliuomini soprascritti, e per chiarire meglio quello che ioho voluto dire, dico come e' si vede Scipione entrare inIspagna, e con quella sua umanità e piatà subito farsiamica quella provincia, ed adorare ed ammirare da' po-poli. Vedesi, allo incontro, entrare Annibale in Italia, econ modi tutti contrari, cioè con crudeltà, violenza e ra-pina ed ogni ragione infideltà, fare il medesimo effettoche aveva fatto Scipione in Ispagna; perché, a Annibale,si ribellarono tutte le città d'Italia, tutti i popoli lo segui-rono.E pensando donde questa cosa possa nascere, ci si vededentro più ragioni. La prima è, che gli uomini sono desi-derosi di cose nuove; in tanto che così disiderano il piùdelle volte novità quegli che stanno bene, come quegli

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che stanno male: perché, come altra volta si disse, ed èil vero, gli uomini si stuccono nel bene, e nel male si af-fliggano. Fa, adunque, questo desiderio aprire le porte aciascuno che in una provincia si fa capo d'una innova-zione; e s'egli è forestiero, gli corrono dietro; s'egli èprovinciale, gli sono intorno, augumentanlo e favori-sconlo: talmenteché, in qualunque modo elli proceda,gli riesce il fare progressi grandi in quegli luoghi. Oltrea questo, gli uomini sono spinti da due cose principali; odallo amore, o dal timore: talché, così gli comanda chi sifa amare, come lui che si fa temere; anzi, il più dellevolte è più seguito e più ubbidito chi si fa temere che chisi fa amare.Importa, pertanto, poco ad uno capitano, per qualunquedi queste vie e' si cammini, pure che sia uomo virtuoso,e che quella virtù lo faccia riputato intra gli uomini. Per-ché, quando la è grande, come la fu in Annibale ed inScipione, ella cancella tutti quegli errori che si fanno perfarsi troppo amare o per farsi troppo temere. Perchédall'uno e dall'altro di questi due modi possono nascereinconvenienti grandi, ed atti a fare rovinare uno princi-pe: perché colui che troppo desidera essere amato, ognipoco che si parte dalla vera via, diventa disprezzabile:quell'altro che desidera troppo di essere temuto, ognipoco ch'egli eccede il modo, diventa odioso. E tenere lavia del mezzo non si può appunto, perché la nostra natu-ra non ce lo consente: ma è necessario queste cose cheeccedono mitigare con una eccessiva virtù, come faceva

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che stanno male: perché, come altra volta si disse, ed èil vero, gli uomini si stuccono nel bene, e nel male si af-fliggano. Fa, adunque, questo desiderio aprire le porte aciascuno che in una provincia si fa capo d'una innova-zione; e s'egli è forestiero, gli corrono dietro; s'egli èprovinciale, gli sono intorno, augumentanlo e favori-sconlo: talmenteché, in qualunque modo elli proceda,gli riesce il fare progressi grandi in quegli luoghi. Oltrea questo, gli uomini sono spinti da due cose principali; odallo amore, o dal timore: talché, così gli comanda chi sifa amare, come lui che si fa temere; anzi, il più dellevolte è più seguito e più ubbidito chi si fa temere che chisi fa amare.Importa, pertanto, poco ad uno capitano, per qualunquedi queste vie e' si cammini, pure che sia uomo virtuoso,e che quella virtù lo faccia riputato intra gli uomini. Per-ché, quando la è grande, come la fu in Annibale ed inScipione, ella cancella tutti quegli errori che si fanno perfarsi troppo amare o per farsi troppo temere. Perchédall'uno e dall'altro di questi due modi possono nascereinconvenienti grandi, ed atti a fare rovinare uno princi-pe: perché colui che troppo desidera essere amato, ognipoco che si parte dalla vera via, diventa disprezzabile:quell'altro che desidera troppo di essere temuto, ognipoco ch'egli eccede il modo, diventa odioso. E tenere lavia del mezzo non si può appunto, perché la nostra natu-ra non ce lo consente: ma è necessario queste cose cheeccedono mitigare con una eccessiva virtù, come faceva

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Annibale e Scipione. Nondimeno si vide come l'uno el'altro furono offesi da questi loro modi di vivere, e cosìfurono esaltati.La esaltazione di tutti a due si è detta. L'offesa, quanto aScipione, fu che gli suoi soldati in Ispagna se gli ribella-rono, insieme con parte de' suoi amici: la quale cosa nonnacque da altro che da non lo temere; perché gli uominisono tanto inquieti, che, ogni poco di porta che si apraloro all'ambizione, dimenticano subito ogni amore chegli avessero posto al principe per la umanità sua; comefecero i soldati ed amici predetti: tanto che Scipione, perrimediare a questo inconveniente, fu costretto usare par-te di quella crudeltà che elli aveva fuggita. Quanto adAnnibale, non ci è esemplo alcuno particulare, dovequella sua crudeltà e poca fede gli nocesse: ma si puòbene presupporre che Napoli, e molte altre terre chestettero in fede del popolo romano, stessero per paura diquella. Viddesi bene questo che quel suo modo di vivereimpio, lo fece più odioso al popolo romano, che alcunoaltro inimico che avesse mai quella Republica: in modoche, dove a Pirro mentre che egli era con lo esercito inItalia, manifestarono quello che lo voleva avvelenare, adAnnibale mai, ancora che disarmato e disperso, perdo-narono, tanto che lo fecioro morire. Nacquene, adunque,ad Annibale, per essere tenuto impio e rompitore di fedee crudele, queste incommodità; ma gliene risultò allo in-contro una commodità grandissima, la quale è ammiratada tutti gli scrittori: che, nel suo esercito, ancoraché

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Annibale e Scipione. Nondimeno si vide come l'uno el'altro furono offesi da questi loro modi di vivere, e cosìfurono esaltati.La esaltazione di tutti a due si è detta. L'offesa, quanto aScipione, fu che gli suoi soldati in Ispagna se gli ribella-rono, insieme con parte de' suoi amici: la quale cosa nonnacque da altro che da non lo temere; perché gli uominisono tanto inquieti, che, ogni poco di porta che si apraloro all'ambizione, dimenticano subito ogni amore chegli avessero posto al principe per la umanità sua; comefecero i soldati ed amici predetti: tanto che Scipione, perrimediare a questo inconveniente, fu costretto usare par-te di quella crudeltà che elli aveva fuggita. Quanto adAnnibale, non ci è esemplo alcuno particulare, dovequella sua crudeltà e poca fede gli nocesse: ma si puòbene presupporre che Napoli, e molte altre terre chestettero in fede del popolo romano, stessero per paura diquella. Viddesi bene questo che quel suo modo di vivereimpio, lo fece più odioso al popolo romano, che alcunoaltro inimico che avesse mai quella Republica: in modoche, dove a Pirro mentre che egli era con lo esercito inItalia, manifestarono quello che lo voleva avvelenare, adAnnibale mai, ancora che disarmato e disperso, perdo-narono, tanto che lo fecioro morire. Nacquene, adunque,ad Annibale, per essere tenuto impio e rompitore di fedee crudele, queste incommodità; ma gliene risultò allo in-contro una commodità grandissima, la quale è ammiratada tutti gli scrittori: che, nel suo esercito, ancoraché

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composto di varie generazioni di uomini, non nacquemai alcuna dissensione, né infra loro medesimi, né con-tro di lui. Il che non potette dirivare da altro, che dal ter-rore che nasceva dalla persona sua: il quale era tantogrande, mescolato con la riputazione che gli dava la suavirtù, che teneva i suoi soldati quieti ed uniti. Conchiu-do, dunque, come e' non importa molto in quale modouno capitano si proceda, pure che in esso sia virtù gran-de che condisca bene l'uno e l'altro modo di vivere: per-ché, come è detto, nell'uno e nell'altro è difetto e perico-lo, quando da una virtù istraordinaria non sia corretto. Ese Annibale e Scipione, l'uno con cose laudabili, l'altrocon detestabili, feciono il medesimo effetto; non mi pareda lasciare indietro il discorrere ancora di due cittadiniromani, che conseguirono con diversi modi, ma tutti adue laudabili, una medesima gloria.

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composto di varie generazioni di uomini, non nacquemai alcuna dissensione, né infra loro medesimi, né con-tro di lui. Il che non potette dirivare da altro, che dal ter-rore che nasceva dalla persona sua: il quale era tantogrande, mescolato con la riputazione che gli dava la suavirtù, che teneva i suoi soldati quieti ed uniti. Conchiu-do, dunque, come e' non importa molto in quale modouno capitano si proceda, pure che in esso sia virtù gran-de che condisca bene l'uno e l'altro modo di vivere: per-ché, come è detto, nell'uno e nell'altro è difetto e perico-lo, quando da una virtù istraordinaria non sia corretto. Ese Annibale e Scipione, l'uno con cose laudabili, l'altrocon detestabili, feciono il medesimo effetto; non mi pareda lasciare indietro il discorrere ancora di due cittadiniromani, che conseguirono con diversi modi, ma tutti adue laudabili, una medesima gloria.

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22 Come la durezza di Manlio Torquato e lacomità di Valerio Corvino acquistò a ciascu-

no la medesima gloria.

E' furno in Roma in uno medesimo tempo due capitanieccellenti, Manlio Torquato e Valerio Corvino; i quali,di pari virtù, di pari trionfi e gloria, vissono in Roma, eciascuno di loro, in quanto si apparteneva al nimico, conpari virtù l'acquistarono, ma quanto si apparteneva aglieserciti ed agl'intrattenimenti de' soldati, diversissima-mente procederono: perché Manlio con ogni generazio-ne di severità sanza intermettere a' suoi soldati o fatica opena, gli comandava: Valerio, dall'altra parte, con ognimodo e termine umano, e pieno di una familiare dome-stichezza, gl'intratteneva. Per che si vide, che, per averel'ubbidienza de' soldati, l'uno ammazzò il figliuolo, el'altro non offese mai alcuno. Nondimeno, in tanta di-versità di procedere, ciascuno fece il medesimo frutto, econtro a' nimici ed in favore della republica e suo. Per-ché nessuno soldato non mai o detrattò la zuffa o si ri-bellò da loro o fu, in alcuna parte, discrepante dalla vo-glia di quegli; quantunque gl'imperi di Manlio fussero sìaspri, che tutti gli altri imperi che eccedevano il modo,erano chiamati «manliana imperia». Dove è da conside-rare, prima, donde nacque che Manlio fu costretto pro-cedere sì rigidamente; l'altro, donde avvenne che Valeriopotette procedere sì umanamente l'altro, quale cagionefe' che questi diversi modi facessero il medesimo effet-

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22 Come la durezza di Manlio Torquato e lacomità di Valerio Corvino acquistò a ciascu-

no la medesima gloria.

E' furno in Roma in uno medesimo tempo due capitanieccellenti, Manlio Torquato e Valerio Corvino; i quali,di pari virtù, di pari trionfi e gloria, vissono in Roma, eciascuno di loro, in quanto si apparteneva al nimico, conpari virtù l'acquistarono, ma quanto si apparteneva aglieserciti ed agl'intrattenimenti de' soldati, diversissima-mente procederono: perché Manlio con ogni generazio-ne di severità sanza intermettere a' suoi soldati o fatica opena, gli comandava: Valerio, dall'altra parte, con ognimodo e termine umano, e pieno di una familiare dome-stichezza, gl'intratteneva. Per che si vide, che, per averel'ubbidienza de' soldati, l'uno ammazzò il figliuolo, el'altro non offese mai alcuno. Nondimeno, in tanta di-versità di procedere, ciascuno fece il medesimo frutto, econtro a' nimici ed in favore della republica e suo. Per-ché nessuno soldato non mai o detrattò la zuffa o si ri-bellò da loro o fu, in alcuna parte, discrepante dalla vo-glia di quegli; quantunque gl'imperi di Manlio fussero sìaspri, che tutti gli altri imperi che eccedevano il modo,erano chiamati «manliana imperia». Dove è da conside-rare, prima, donde nacque che Manlio fu costretto pro-cedere sì rigidamente; l'altro, donde avvenne che Valeriopotette procedere sì umanamente l'altro, quale cagionefe' che questi diversi modi facessero il medesimo effet-

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to; ed in ultimo, quale sia di loro meglio, e, imitare, piùutile. Se alcuno considera bene la natura di Manliod'allora che Tito Livio ne comincia a fare menzione, lovedrà uomo fortissimo, pietoso verso il padre e verso lapatria, e reverentissimo a' suoi maggiori. Queste cose siconoscono dalla morte di quel Francioso, dalla difesadel padre contro al Tribuno; e come, avanti ch'egli an-dasse alla zuffa del Francioso, e' n'andò al Consolo conqueste parole: «Iniussu tuo adversus hostem nunquampugnabo, non si certam victoriam videam». Venendo,dunque, un uomo così fatto a grado che comandi, desi-dera di trovare tutti gli uomini simili a sé; e l'animo suoforte gli fa comandare cose forti; e quel medesimo, co-mandate che le sono, vuole si osservino. Ed è una regolaverissima, che, quando si comanda cose aspre, convienecon asprezza farle osservare; altrimenti, te ne troverrestiingannato. Dove è da notare, che a volere essere ubbidi-to, è necessario saper comandare: e coloro sanno co-mandare, che fanno comparazione dalle qualità loro aquelle di chi ha ad ubbidire; e quando vi veggono pro-porzione, allora comandino; quando sproporzione, se neastenghino.E però diceva un uomo prudente, che, a tenere una repu-blica, con violenza, conveniva fusse proporzione da chisforzava a quel che era sforzato. E qualunque volta que-sta proporzione vi era, si poteva credere che quella vio-lenza fusse durabile; ma quando il violentato fusse piùforte che il violentante, si poteva dubitare che ogni gior-

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to; ed in ultimo, quale sia di loro meglio, e, imitare, piùutile. Se alcuno considera bene la natura di Manliod'allora che Tito Livio ne comincia a fare menzione, lovedrà uomo fortissimo, pietoso verso il padre e verso lapatria, e reverentissimo a' suoi maggiori. Queste cose siconoscono dalla morte di quel Francioso, dalla difesadel padre contro al Tribuno; e come, avanti ch'egli an-dasse alla zuffa del Francioso, e' n'andò al Consolo conqueste parole: «Iniussu tuo adversus hostem nunquampugnabo, non si certam victoriam videam». Venendo,dunque, un uomo così fatto a grado che comandi, desi-dera di trovare tutti gli uomini simili a sé; e l'animo suoforte gli fa comandare cose forti; e quel medesimo, co-mandate che le sono, vuole si osservino. Ed è una regolaverissima, che, quando si comanda cose aspre, convienecon asprezza farle osservare; altrimenti, te ne troverrestiingannato. Dove è da notare, che a volere essere ubbidi-to, è necessario saper comandare: e coloro sanno co-mandare, che fanno comparazione dalle qualità loro aquelle di chi ha ad ubbidire; e quando vi veggono pro-porzione, allora comandino; quando sproporzione, se neastenghino.E però diceva un uomo prudente, che, a tenere una repu-blica, con violenza, conveniva fusse proporzione da chisforzava a quel che era sforzato. E qualunque volta que-sta proporzione vi era, si poteva credere che quella vio-lenza fusse durabile; ma quando il violentato fusse piùforte che il violentante, si poteva dubitare che ogni gior-

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no quella violenza cessasse.Ma tornando al discorso nostro, dico che, a comandarele cose forti, conviene essere forte; e quello che è diquesta fortezza e che le comanda, non può poi con dol-cezza farle osservare. Ma chi non è di questa fortezzad'animo, si debbe guardare dagl'imperi istraordinari, enegli ordinari può usare la sua umanità. Perché le puni-zioni ordinarie non sono imputate al principe, ma alleleggi ed a quegli ordini. Debbesi, dunque, credere cheManlio fusse costretto procedere sì rigidamente daglistraordinari suoi imperi, a' quali lo inclinava la sua natu-ra: i quali sono utili in una republica, perché e' riduconogli ordini di quella verso il principio loro, e nella sua an-tica virtù. E se una republica fusse sì felice, ch'ella aves-se spesso, come di sopra dicemo, chi con lo esemplo suole rinnovasse le leggi; e non solo la ritenesse che la noncorresse alla rovina, ma la ritirasse indietro; la sarebbeperpetua. Sì che Manlio fu uno di quelli che conl'asprezza de' suoi imperi ritenne la disciplina militare inRoma; costretto prima dalla natura sua, dipoi dal deside-rio aveva, si osservasse quello che il suo naturale appeti-to gli aveva fatto ordinare. Dall'altro canto, Valerio po-tette procedere umanamente, come colui a cui bastava siosservassono le cose consuete osservarsi negli esercitiromani. La quale consuetudine, perché era buona, basta-va ad onorarlo; e non era faticosa a osservarla, e non ne-cessitava Valerio a punire i transgressori: sì perché nonve n'era; sì perché, quando e' ve ne fosse stati, imputa-

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no quella violenza cessasse.Ma tornando al discorso nostro, dico che, a comandarele cose forti, conviene essere forte; e quello che è diquesta fortezza e che le comanda, non può poi con dol-cezza farle osservare. Ma chi non è di questa fortezzad'animo, si debbe guardare dagl'imperi istraordinari, enegli ordinari può usare la sua umanità. Perché le puni-zioni ordinarie non sono imputate al principe, ma alleleggi ed a quegli ordini. Debbesi, dunque, credere cheManlio fusse costretto procedere sì rigidamente daglistraordinari suoi imperi, a' quali lo inclinava la sua natu-ra: i quali sono utili in una republica, perché e' riduconogli ordini di quella verso il principio loro, e nella sua an-tica virtù. E se una republica fusse sì felice, ch'ella aves-se spesso, come di sopra dicemo, chi con lo esemplo suole rinnovasse le leggi; e non solo la ritenesse che la noncorresse alla rovina, ma la ritirasse indietro; la sarebbeperpetua. Sì che Manlio fu uno di quelli che conl'asprezza de' suoi imperi ritenne la disciplina militare inRoma; costretto prima dalla natura sua, dipoi dal deside-rio aveva, si osservasse quello che il suo naturale appeti-to gli aveva fatto ordinare. Dall'altro canto, Valerio po-tette procedere umanamente, come colui a cui bastava siosservassono le cose consuete osservarsi negli esercitiromani. La quale consuetudine, perché era buona, basta-va ad onorarlo; e non era faticosa a osservarla, e non ne-cessitava Valerio a punire i transgressori: sì perché nonve n'era; sì perché, quando e' ve ne fosse stati, imputa-

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vano, come è detto, la punizione loro agli ordini e nonalla crudeltà del principe. In modo che, Valerio potevafare nascere da lui ogni umanità, dalla quale ei potesseacquistare grado con i soldati, e la contentezza loro.Donde nacque che, avendo l'uno e l'altro la medesimaubbidienza, potettono, diversamente operando, fare ilmedesimo effetto. Possono quelli che volessero imitarecostoro, cadere in quelli vizi di dispregio e di odio cheio dico, di sopra, di Annibale e di Scipione: il che si fug-ge con una virtù eccessiva che sia in te, e non altrimenti.Resta ora a considerare quale di questi modi di procede-re sia più laudabile. Il che credo sia disputabile, perchégli scrittori lodano l'uno modo e l'altro. Nondimeno,quegli che scrivono come uno principe si abbia a gover-nare, si accostano più a Valerio che a Manlio; e Seno-fonte, preallegato da me, dando di molti esempli dellaumanità di Ciro, si conforma assai con quello che dicedi Valerio, Tito Livio. Perché, essendo fatto Consolocontro ai Sanniti, e venendo il dì che doveva combatte-re, parlò a' suoi soldati con quella umanità con la qualeei si governava; e dopo tale parlare, Tito Livio dicequelle parole: «Non alias militi familiarior dux fuit, in-ter infimos milites omnia haud gravate mundia obeundo.In ludo praeterea militari, cum velocitatis viriumque in-ter se aequales certamina ineunt, comiter facilis vincereac vinci vultu eodem; nec quemquam aspernari paremqui se offerret; factis benignus pro re; dictis haud minuslibertatis alienae, quam suae dignitatis memor; et (quo

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vano, come è detto, la punizione loro agli ordini e nonalla crudeltà del principe. In modo che, Valerio potevafare nascere da lui ogni umanità, dalla quale ei potesseacquistare grado con i soldati, e la contentezza loro.Donde nacque che, avendo l'uno e l'altro la medesimaubbidienza, potettono, diversamente operando, fare ilmedesimo effetto. Possono quelli che volessero imitarecostoro, cadere in quelli vizi di dispregio e di odio cheio dico, di sopra, di Annibale e di Scipione: il che si fug-ge con una virtù eccessiva che sia in te, e non altrimenti.Resta ora a considerare quale di questi modi di procede-re sia più laudabile. Il che credo sia disputabile, perchégli scrittori lodano l'uno modo e l'altro. Nondimeno,quegli che scrivono come uno principe si abbia a gover-nare, si accostano più a Valerio che a Manlio; e Seno-fonte, preallegato da me, dando di molti esempli dellaumanità di Ciro, si conforma assai con quello che dicedi Valerio, Tito Livio. Perché, essendo fatto Consolocontro ai Sanniti, e venendo il dì che doveva combatte-re, parlò a' suoi soldati con quella umanità con la qualeei si governava; e dopo tale parlare, Tito Livio dicequelle parole: «Non alias militi familiarior dux fuit, in-ter infimos milites omnia haud gravate mundia obeundo.In ludo praeterea militari, cum velocitatis viriumque in-ter se aequales certamina ineunt, comiter facilis vincereac vinci vultu eodem; nec quemquam aspernari paremqui se offerret; factis benignus pro re; dictis haud minuslibertatis alienae, quam suae dignitatis memor; et (quo

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nihil popularius est) quibus artibus petierat magistratus,iisdem gerebat». Parla medesimamente, di Manlio, TitoLivio onorevolmente, mostrando che la sua severità nel-la morte del figliuolo fece tanto ubbidiente lo esercito alConsolo, che fu cagione della vittoria che il popolo ro-mano ebbe contro ai Latini; ed in tanto procede in lau-darlo, che, dopo tale vittoria, descritto ch'egli ha tuttol'ordine di quella zuffa, e mostri tutti i pericoli che il po-polo romano vi corse, e le difficultà che vi furono a vin-cere fa questa conclusione: che solo la virtù di Manliodette quella vittoria ai Romani. E faccendo comparazio-ne delle forze dell'uno e dell'altro esercito, affermacome quella parte arebbe vinto che avesse avuto perconsolo Manlio. Talché considerato tutto quello che gliscrittori ne parlano, sarebbe difficile giudicarne. Nondi-meno, per non lasciare questa parte indecisa, dico comein uno cittadino che viva sotto le leggi d'una republica,credo sia più laudabile e meno pericoloso il procedere diManlio: perché questo modo tutto è in favore del publi-co, e non risguarda in alcuna parte all'ambizione privata;perché tale modo non si può acquistare partigiani, mo-strandosi sempre aspro a ciascuno, ed amando solo ilbene commune; perché chi fa questo, non si acquistaparticulari amici, quali noi chiamiamo, come di sopra sidisse, partigiani. Talmenteché, simile modo di procederenon può essere più utile né più disiderabile in una repu-blica; non mancando in quello la utilità publica, e non vipotendo essere alcun sospetto della potenza privata. Manel modo del procedere di Valerio è il contrario: perché,

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nihil popularius est) quibus artibus petierat magistratus,iisdem gerebat». Parla medesimamente, di Manlio, TitoLivio onorevolmente, mostrando che la sua severità nel-la morte del figliuolo fece tanto ubbidiente lo esercito alConsolo, che fu cagione della vittoria che il popolo ro-mano ebbe contro ai Latini; ed in tanto procede in lau-darlo, che, dopo tale vittoria, descritto ch'egli ha tuttol'ordine di quella zuffa, e mostri tutti i pericoli che il po-polo romano vi corse, e le difficultà che vi furono a vin-cere fa questa conclusione: che solo la virtù di Manliodette quella vittoria ai Romani. E faccendo comparazio-ne delle forze dell'uno e dell'altro esercito, affermacome quella parte arebbe vinto che avesse avuto perconsolo Manlio. Talché considerato tutto quello che gliscrittori ne parlano, sarebbe difficile giudicarne. Nondi-meno, per non lasciare questa parte indecisa, dico comein uno cittadino che viva sotto le leggi d'una republica,credo sia più laudabile e meno pericoloso il procedere diManlio: perché questo modo tutto è in favore del publi-co, e non risguarda in alcuna parte all'ambizione privata;perché tale modo non si può acquistare partigiani, mo-strandosi sempre aspro a ciascuno, ed amando solo ilbene commune; perché chi fa questo, non si acquistaparticulari amici, quali noi chiamiamo, come di sopra sidisse, partigiani. Talmenteché, simile modo di procederenon può essere più utile né più disiderabile in una repu-blica; non mancando in quello la utilità publica, e non vipotendo essere alcun sospetto della potenza privata. Manel modo del procedere di Valerio è il contrario: perché,

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se bene in quanto al publico si fanno e' medesimi effetti,nondimeno vi surgono molte dubitazioni per la particu-lare benivolenza che colui si acquista con i soldati, dafare in uno lungo imperio cattivi effetti contro alla liber-tà.E se in Publicola questi cattivi effetti non nacquono, nefu cagione non essere ancora gli animi de' Romani cor-rotti, e quello non essere stato lungamente e continova-mente al governo loro. Ma se noi abbiamo a considerareuno principe, come considera Senofonte, noi ci accoste-reno al tutto a Valerio, e lasceremo Manlio perché unoprincipe debbe cercare ne' soldati e ne' sudditi l'ubbi-dienza e lo amore. La ubbidienza gli dà lo essere osser-vatore degli ordini e lo essere tenuto virtuoso; lo amoregli dà l'affabilità, l'umanità, la piatà, e l'altre parti cheerano in Valerio, e che Senofonte scrive essere in Ciro.Perché lo essere uno principe bene voluto particular-mente, ed avere lo esercito suo partigiano, si conformacon tutte l'altre parti dello stato suo: ma in uno cittadinoche abbia lo esercito suo partigiano, non si conforma giàquesta parte con l'altre sue parti, che lo hanno a fare vi-vere sotto le leggi ed ubidire ai magistrati.Leggesi intra le cose antiche della Republica viniziana,come, essendo le galee viniziane tornate in Vinegia, evenendo certa differenza intra quegli delle galee ed ilpopolo, donde si venne al tumulto ed all'armi, né si po-tendo la cosa quietare né per forza di ministri né per ri-verenza di cittadini né timore de' magistrati; subito a

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se bene in quanto al publico si fanno e' medesimi effetti,nondimeno vi surgono molte dubitazioni per la particu-lare benivolenza che colui si acquista con i soldati, dafare in uno lungo imperio cattivi effetti contro alla liber-tà.E se in Publicola questi cattivi effetti non nacquono, nefu cagione non essere ancora gli animi de' Romani cor-rotti, e quello non essere stato lungamente e continova-mente al governo loro. Ma se noi abbiamo a considerareuno principe, come considera Senofonte, noi ci accoste-reno al tutto a Valerio, e lasceremo Manlio perché unoprincipe debbe cercare ne' soldati e ne' sudditi l'ubbi-dienza e lo amore. La ubbidienza gli dà lo essere osser-vatore degli ordini e lo essere tenuto virtuoso; lo amoregli dà l'affabilità, l'umanità, la piatà, e l'altre parti cheerano in Valerio, e che Senofonte scrive essere in Ciro.Perché lo essere uno principe bene voluto particular-mente, ed avere lo esercito suo partigiano, si conformacon tutte l'altre parti dello stato suo: ma in uno cittadinoche abbia lo esercito suo partigiano, non si conforma giàquesta parte con l'altre sue parti, che lo hanno a fare vi-vere sotto le leggi ed ubidire ai magistrati.Leggesi intra le cose antiche della Republica viniziana,come, essendo le galee viniziane tornate in Vinegia, evenendo certa differenza intra quegli delle galee ed ilpopolo, donde si venne al tumulto ed all'armi, né si po-tendo la cosa quietare né per forza di ministri né per ri-verenza di cittadini né timore de' magistrati; subito a

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quelli marinai apparve innanzi uno gentiluomo che era,l'anno davanti, stato capitano loro, per amore di quellosi partirono, e lasciarono la zuffa. La quale ubbidienzagenerò tanta suspizione al Senato, che, poco tempo di-poi, i Viniziani, o per prigione o per morte, se ne assicu-rarono. Conchiudo pertanto, il procedere di Valerio es-sere utile in uno principe e pernizioso in uno cittadino;non solamente alla patria, ma a sé a lei, perché quellimodi preparano la via alla tirannide; a sé, perché in so-spettando la sua città del modo del procedere suo è co-stretta assicurarsene con suo danno. E così, per il con-trario, affermo il procedere di Manlio in uno principeessere dannoso, ed in uno cittadino utile, e massime allapatria: ed ancora rade volte offende; se già questo odioche ti reca la tua severità, non è accresciuto da sospettoche l'altre tue virtù per la gran riputazione ti arrecasso-no: come, di sotto, di Cammillo si discorrerà.

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quelli marinai apparve innanzi uno gentiluomo che era,l'anno davanti, stato capitano loro, per amore di quellosi partirono, e lasciarono la zuffa. La quale ubbidienzagenerò tanta suspizione al Senato, che, poco tempo di-poi, i Viniziani, o per prigione o per morte, se ne assicu-rarono. Conchiudo pertanto, il procedere di Valerio es-sere utile in uno principe e pernizioso in uno cittadino;non solamente alla patria, ma a sé a lei, perché quellimodi preparano la via alla tirannide; a sé, perché in so-spettando la sua città del modo del procedere suo è co-stretta assicurarsene con suo danno. E così, per il con-trario, affermo il procedere di Manlio in uno principeessere dannoso, ed in uno cittadino utile, e massime allapatria: ed ancora rade volte offende; se già questo odioche ti reca la tua severità, non è accresciuto da sospettoche l'altre tue virtù per la gran riputazione ti arrecasso-no: come, di sotto, di Cammillo si discorrerà.

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23 Per quale cagione Cammillo fusse caccia-to di Roma.

Noi abbiamo conchiuso di sopra, come, procedendocome Valerio, si nuoce alla patria ed a sé; e, procedendocome Manlio, si giova alla patria, e nuocesi qualche vol-ta a sé. Il che si pruova assai bene per lo esemplo diCammillo, il quale nel procedere suo simigliava più to-sto Manlio che Valerio. Donde Tito Livio, parlando dilui, dice, come «eius virtutem milites oderant, et mira-bantur».Quello che lo faceva tenere maraviglioso era la sollicitu-dine, la prudenza, la grandezza dello animo, il buon or-dine che lui servava nello adoperarsi, e nel comandareagli eserciti: quello che lo faceva odiare, era essere piùsevero nel gastigargli che liberale nel rimunerargli. ETito Livio ne adduce di questo odio queste cagioni: laprima, che i danari che si trassono de' beni de' Veientiche si venderono, esso gli applicò al publico, e non glidivise con la preda: l'altra, che nel trionfo ei fece tirare ilsuo carro trionfale da quattro cavagli bianchi, dove essidissero che per la superbia e' si era voluto agguagliare alSole: la terza, che ei fece voto di dare a Apolline la de-cima parte della preda de' Veienti, la quale, volendo so-disfare al voto, si aveva a trarre delle mani de' soldatiche l'avevano di già occupata. Dove si notano bene e fa-cilmente quelle cose che fanno uno principe odioso ap-presso il popolo; delle quali la principale è privarlo

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23 Per quale cagione Cammillo fusse caccia-to di Roma.

Noi abbiamo conchiuso di sopra, come, procedendocome Valerio, si nuoce alla patria ed a sé; e, procedendocome Manlio, si giova alla patria, e nuocesi qualche vol-ta a sé. Il che si pruova assai bene per lo esemplo diCammillo, il quale nel procedere suo simigliava più to-sto Manlio che Valerio. Donde Tito Livio, parlando dilui, dice, come «eius virtutem milites oderant, et mira-bantur».Quello che lo faceva tenere maraviglioso era la sollicitu-dine, la prudenza, la grandezza dello animo, il buon or-dine che lui servava nello adoperarsi, e nel comandareagli eserciti: quello che lo faceva odiare, era essere piùsevero nel gastigargli che liberale nel rimunerargli. ETito Livio ne adduce di questo odio queste cagioni: laprima, che i danari che si trassono de' beni de' Veientiche si venderono, esso gli applicò al publico, e non glidivise con la preda: l'altra, che nel trionfo ei fece tirare ilsuo carro trionfale da quattro cavagli bianchi, dove essidissero che per la superbia e' si era voluto agguagliare alSole: la terza, che ei fece voto di dare a Apolline la de-cima parte della preda de' Veienti, la quale, volendo so-disfare al voto, si aveva a trarre delle mani de' soldatiche l'avevano di già occupata. Dove si notano bene e fa-cilmente quelle cose che fanno uno principe odioso ap-presso il popolo; delle quali la principale è privarlo

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d'uno utile. La quale è cosa d'importanza assai, perché lecose che hanno in sé utilità, quando l'uomo n'è privo,non le dimentica mai, ed ogni minima necessità te ne faricordare; e perché le necessità vengono ogni giorno, tute ne ricordi ogni giorno. L'altra cosa è lo apparire su-perbo ed enfiato; il che non può essere più odioso a' po-poli, e massime a' liberi. E benché da quella superbia eda quel fasto non ne nascesse loro alcuna incommodità,nondimeno hanno in odio chi l'usa: da che uno principesi debbe guardare come da uno scoglio: perché tirarsiodio addosso senza suo profitto, è al tutto partito teme-rario e poco prudente.

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d'uno utile. La quale è cosa d'importanza assai, perché lecose che hanno in sé utilità, quando l'uomo n'è privo,non le dimentica mai, ed ogni minima necessità te ne faricordare; e perché le necessità vengono ogni giorno, tute ne ricordi ogni giorno. L'altra cosa è lo apparire su-perbo ed enfiato; il che non può essere più odioso a' po-poli, e massime a' liberi. E benché da quella superbia eda quel fasto non ne nascesse loro alcuna incommodità,nondimeno hanno in odio chi l'usa: da che uno principesi debbe guardare come da uno scoglio: perché tirarsiodio addosso senza suo profitto, è al tutto partito teme-rario e poco prudente.

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24 La prolungazione degl'imperii fece servaRoma.

Se si considera bene il procedere della Republica roma-na, si vedrà due cose essere state cagione della risolu-zione di quella Republica: l'una furon le contenzioni chenacquono dalla legge agraria; l'altra, la prolungazionedegli imperii: le quali cose se fussono state conosciutebene da principio, e fattovi i debiti rimedi, sarebbe statoil vivere libero più lungo, e per avventura più quieto. Ebenché, quanto alla prolungazione dello imperio, non sivegga che in Roma nascessi mai alcuno tumulto; nondi-meno si vide in fatto, quanto nocé alla città quella auto-rità che i cittadini per tali diliberazioni presono. E se glialtri cittadini a chi era prorogato il magistrato, fussonostati savi e buoni come fu Lucio Quinzio, non si sarebbeincorso in questo inconveniente. La bontà del quale è diuno esemplo notabile, perché, essendosi fatto intra laPlebe ed il Senato convenzione d'accordo, ed avendo laPlebe prolungato in uno anno lo imperio ai Tribuni, giu-dicandogli atti a potere resistere all'ambizione de' nobili,volle il Senato, per gara della Plebe e per non parere dameno di lei, prolungare il consolato a Lucio Quinzio: ilquale al tutto negò questa diliberazione, dicendo che icattivi esempli si voleva cercare di spegnergli, non diaccrescergli con uno altro più cattivo esemplo, e volle sifacessono nuovi Consoli. La quale bontà e prudenza sefosse stata in tutti i cittadini romani, non arebbe lasciata

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24 La prolungazione degl'imperii fece servaRoma.

Se si considera bene il procedere della Republica roma-na, si vedrà due cose essere state cagione della risolu-zione di quella Republica: l'una furon le contenzioni chenacquono dalla legge agraria; l'altra, la prolungazionedegli imperii: le quali cose se fussono state conosciutebene da principio, e fattovi i debiti rimedi, sarebbe statoil vivere libero più lungo, e per avventura più quieto. Ebenché, quanto alla prolungazione dello imperio, non sivegga che in Roma nascessi mai alcuno tumulto; nondi-meno si vide in fatto, quanto nocé alla città quella auto-rità che i cittadini per tali diliberazioni presono. E se glialtri cittadini a chi era prorogato il magistrato, fussonostati savi e buoni come fu Lucio Quinzio, non si sarebbeincorso in questo inconveniente. La bontà del quale è diuno esemplo notabile, perché, essendosi fatto intra laPlebe ed il Senato convenzione d'accordo, ed avendo laPlebe prolungato in uno anno lo imperio ai Tribuni, giu-dicandogli atti a potere resistere all'ambizione de' nobili,volle il Senato, per gara della Plebe e per non parere dameno di lei, prolungare il consolato a Lucio Quinzio: ilquale al tutto negò questa diliberazione, dicendo che icattivi esempli si voleva cercare di spegnergli, non diaccrescergli con uno altro più cattivo esemplo, e volle sifacessono nuovi Consoli. La quale bontà e prudenza sefosse stata in tutti i cittadini romani, non arebbe lasciata

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introdurre quella consuetudine di prolungare i magistra-ti, e da quelli non si sarebbe venuto alla prolungazionedelli imperii: la quale cosa, col tempo, rovinò quella Re-publica. Il primo a chi fu prorogato lo imperio, fu a Pu-blio Philone; il quale essendo a campo alla città di Pale-poli, e venendo la fine del suo consolato, e parendo alSenato ch'egli avesse in mano quella vittoria, non glimandarono il successore, ma lo fecero Proconsolo; tal-ché fu il primo Proconsolo. La quale cosa, ancora chemossa dal Senato per utilità publica, fu quella che con iltempo fece serva Roma. Perché, quanto più i Romani sidiscostarono con le armi, tanto più parve loro tale proro-gazione necessaria, e più la usarono. La quale cosa fecedue inconvenienti: l'uno, che meno numero di uomini siesercitarono negl'imperii, e si venne per questo a ristrin-gere la riputazione in pochi: l'altro, che, stando uno cit-tadino assai tempo comandatore d'uno esercito, se loguadagnava e facevaselo partigiano; perché quello eser-cito col tempo dimenticava il Senato e riconosceva quel-lo capo. Per questo Silla e Mario poterono trovare solda-ti che contro al bene publico gli seguitassono: per que-sto, Cesare potette occupare la patria. Che se mai i Ro-mani non avessono prolungati i magistrati e gli imperii,se non venivano sì tosto a tanta potenza, e se fussonostati più tardi gli acquisti loro, sarebbono ancora più tar-di venuti nella servitù.

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introdurre quella consuetudine di prolungare i magistra-ti, e da quelli non si sarebbe venuto alla prolungazionedelli imperii: la quale cosa, col tempo, rovinò quella Re-publica. Il primo a chi fu prorogato lo imperio, fu a Pu-blio Philone; il quale essendo a campo alla città di Pale-poli, e venendo la fine del suo consolato, e parendo alSenato ch'egli avesse in mano quella vittoria, non glimandarono il successore, ma lo fecero Proconsolo; tal-ché fu il primo Proconsolo. La quale cosa, ancora chemossa dal Senato per utilità publica, fu quella che con iltempo fece serva Roma. Perché, quanto più i Romani sidiscostarono con le armi, tanto più parve loro tale proro-gazione necessaria, e più la usarono. La quale cosa fecedue inconvenienti: l'uno, che meno numero di uomini siesercitarono negl'imperii, e si venne per questo a ristrin-gere la riputazione in pochi: l'altro, che, stando uno cit-tadino assai tempo comandatore d'uno esercito, se loguadagnava e facevaselo partigiano; perché quello eser-cito col tempo dimenticava il Senato e riconosceva quel-lo capo. Per questo Silla e Mario poterono trovare solda-ti che contro al bene publico gli seguitassono: per que-sto, Cesare potette occupare la patria. Che se mai i Ro-mani non avessono prolungati i magistrati e gli imperii,se non venivano sì tosto a tanta potenza, e se fussonostati più tardi gli acquisti loro, sarebbono ancora più tar-di venuti nella servitù.

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25 Della povertà di Cincinnato e di molti cit-tadini romani.

Noi abbiamo ragionato altrove come la più utile cosache si ordini in uno vivere libero è che si mantenghino icittadini poveri. E benché in Roma non apparisca qualeordine fusse quello che facesse questo effetto, avendo,massime, la legge agraria avuta tanta oppugnazione;nondimeno per esperienza si vide, che, dopo quattrocen-to anni che Roma era stata edificata, vi era una grandis-sima povertà; né si può credere che altro ordine maggio-re facesse questo effetto, che vedere come per la povertànon ti era impedita la via a qualunque grado ed a qua-lunque onore, e come e' si andava a trovare la virtù inqualunque casa l'abitasse. Il quale modo di vivere face-va manco desiderabili le ricchezze. Questo si vede ma-nifesto; perché, sendo Minuzio consolo assediato con loesercito suo dagli Equi, si empié di paura Roma, chequello esercito non si perdesse; tanto che ricorsero acreare il Dittatore, ultimo rimedio nelle loro cose afflit-te. E crearono Lucio Quinzio Cincinnato, il quale allorasi trovava nella sua piccola villa, la quale lavorava disua mano. La quale cosa con parole auree e celebrata daTito Livio, dicendo: «Operae pretium est audire, quiomnia prae divitiis humana spernunt, neque honori ma-gno locum, neque virtuti putant esse, nisi effusae af-fluant opes». Arava Cincinnato la sua piccola villa, laquale non trapassava il termine di quattro iugeri quando

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25 Della povertà di Cincinnato e di molti cit-tadini romani.

Noi abbiamo ragionato altrove come la più utile cosache si ordini in uno vivere libero è che si mantenghino icittadini poveri. E benché in Roma non apparisca qualeordine fusse quello che facesse questo effetto, avendo,massime, la legge agraria avuta tanta oppugnazione;nondimeno per esperienza si vide, che, dopo quattrocen-to anni che Roma era stata edificata, vi era una grandis-sima povertà; né si può credere che altro ordine maggio-re facesse questo effetto, che vedere come per la povertànon ti era impedita la via a qualunque grado ed a qua-lunque onore, e come e' si andava a trovare la virtù inqualunque casa l'abitasse. Il quale modo di vivere face-va manco desiderabili le ricchezze. Questo si vede ma-nifesto; perché, sendo Minuzio consolo assediato con loesercito suo dagli Equi, si empié di paura Roma, chequello esercito non si perdesse; tanto che ricorsero acreare il Dittatore, ultimo rimedio nelle loro cose afflit-te. E crearono Lucio Quinzio Cincinnato, il quale allorasi trovava nella sua piccola villa, la quale lavorava disua mano. La quale cosa con parole auree e celebrata daTito Livio, dicendo: «Operae pretium est audire, quiomnia prae divitiis humana spernunt, neque honori ma-gno locum, neque virtuti putant esse, nisi effusae af-fluant opes». Arava Cincinnato la sua piccola villa, laquale non trapassava il termine di quattro iugeri quando

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da Roma vennero i Legati del Senato a significargli laelezione della sua dittatura, a mostrargli in quale perico-lo si trovava la romana Republica. Egli, presa la suatoga, venuto in Roma e ragunato uno esercito ne andò aliberare Minuzio, ed avendo rotti e spogliati i nimici, eliberato quello, non volle che lo esercito assediato fussepartecipe della preda, dicendogli queste parole: - Io nonvoglio che tu participi della preda di coloro de' quali tuse' stato per essere preda; - e privò Minuzio del consola-to, e fecelo Legato, dicendogli: - Starai in questo gradotanto, che tu impari a sapere essere Consolo -. Avevafatto suo Maestro de' cavagli Lucio Tarquinio, il qualeper la povertà militava a piede. Notasi, come è detto,l'onore che si faceva in Roma alla povertà; e come a unuomo buono e valente, quale era Cincinnato, quattro iu-geri di terra bastavano a nutrirlo. La quale povertà sivede come era ancora ne' tempi di Marco Regolo; per-ché, sendo in Affrica con gli eserciti, domandò licenzaal Senato per potere tornare a custodire la sua villa, laquale gli era guasta da' suoi lavoratori. Dove si vede duecose notabilissime: l'una, la povertà, e come vi stavanodentro contenti, e come e' bastava a quelli cittadini trarredella guerra onore, e l'utile tutto lasciavano al publico.Perché, s'egli avessero pensato d'arricchire della guerra,gli sarebbe dato poca briga che i suoi campi fussono sta-ti guasti. L'altra è considerare la generosità dell'animo diquelli cittadini, i quali, preposti ad uno esercito, saliva lagrandezza dello animo loro sopra ogni principe, non sti-mavono i re, non le republiche; non gli sbigottiva né

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da Roma vennero i Legati del Senato a significargli laelezione della sua dittatura, a mostrargli in quale perico-lo si trovava la romana Republica. Egli, presa la suatoga, venuto in Roma e ragunato uno esercito ne andò aliberare Minuzio, ed avendo rotti e spogliati i nimici, eliberato quello, non volle che lo esercito assediato fussepartecipe della preda, dicendogli queste parole: - Io nonvoglio che tu participi della preda di coloro de' quali tuse' stato per essere preda; - e privò Minuzio del consola-to, e fecelo Legato, dicendogli: - Starai in questo gradotanto, che tu impari a sapere essere Consolo -. Avevafatto suo Maestro de' cavagli Lucio Tarquinio, il qualeper la povertà militava a piede. Notasi, come è detto,l'onore che si faceva in Roma alla povertà; e come a unuomo buono e valente, quale era Cincinnato, quattro iu-geri di terra bastavano a nutrirlo. La quale povertà sivede come era ancora ne' tempi di Marco Regolo; per-ché, sendo in Affrica con gli eserciti, domandò licenzaal Senato per potere tornare a custodire la sua villa, laquale gli era guasta da' suoi lavoratori. Dove si vede duecose notabilissime: l'una, la povertà, e come vi stavanodentro contenti, e come e' bastava a quelli cittadini trarredella guerra onore, e l'utile tutto lasciavano al publico.Perché, s'egli avessero pensato d'arricchire della guerra,gli sarebbe dato poca briga che i suoi campi fussono sta-ti guasti. L'altra è considerare la generosità dell'animo diquelli cittadini, i quali, preposti ad uno esercito, saliva lagrandezza dello animo loro sopra ogni principe, non sti-mavono i re, non le republiche; non gli sbigottiva né

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spaventava cosa alcuna; e tornati dipoi privati, diventa-vano parchi, umili, curatori delle piccole facultà loro,ubbidienti a' magistrati, reverenti alli loro maggiori: tal-ché pare impossibile che uno medesimo animo patiscatale mutazione.Durò questa povertà ancora infino a' tempi di PauloEmilio, che furono quasi gli ultimi felici tempi di quellaRepublica, dove uno cittadino, che col trionfo suo arric-chì Roma, nondimeno mantenne povero sé. Ed in tantosi stimava ancora la povertà, che Paulo, nell'onorare chisi era portato bene nella guerra, donò a uno suo generouna tazza d'ariento, il quale fu il primo ariento che fussenella sua casa. Potrebbesi, con un lungo parlare, mostra-re quanto migliori frutti produca la povertà che la ric-chezza, e come l'una ha onorato le città, le provincie, lesétte, e l'altra le ha rovinate; se questa materia non fussestata molte volte da altri uomini celebrata.

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spaventava cosa alcuna; e tornati dipoi privati, diventa-vano parchi, umili, curatori delle piccole facultà loro,ubbidienti a' magistrati, reverenti alli loro maggiori: tal-ché pare impossibile che uno medesimo animo patiscatale mutazione.Durò questa povertà ancora infino a' tempi di PauloEmilio, che furono quasi gli ultimi felici tempi di quellaRepublica, dove uno cittadino, che col trionfo suo arric-chì Roma, nondimeno mantenne povero sé. Ed in tantosi stimava ancora la povertà, che Paulo, nell'onorare chisi era portato bene nella guerra, donò a uno suo generouna tazza d'ariento, il quale fu il primo ariento che fussenella sua casa. Potrebbesi, con un lungo parlare, mostra-re quanto migliori frutti produca la povertà che la ric-chezza, e come l'una ha onorato le città, le provincie, lesétte, e l'altra le ha rovinate; se questa materia non fussestata molte volte da altri uomini celebrata.

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26 Come per cagione di femine si rovina unostato.

Nacque nella città d'Ardea intra i patrizi e gli plebei unasedizione per cagione d'uno parentado: dove, avendosi amaritare una femina ricca, la domandarono parimenteuno plebeo ed uno nobile; e non avendo quella padre, itutori la volevono congiugnere al plebeo, la madre alnobile: di che nacque tanto tumulto, che si venne allearmi; dove tutta la Nobilità si armò in favore del nobile,e tutta la plebe in favore del plebeo. Talché, essendo su-perata la plebe, si uscì d'Ardea, e mandò a' Volsci peraiuto: i nobili mandarono a Roma. Furono prima i Vol-sci, e, giunti intorno ad Ardea, si accamparono. Soprav-vennono i Romani, e rinchiusono i Volsci infra la terra eloro; tanto che gli costrinsono, essendo stretti dallafame, a darsi a discrezione. Ed entrati i Romani in Ar-dea, e morti tutti i capi della sedizione, composono lecose di quella città.Sono in questo testo più cose da notare. Prima, si vedecome le donne sono state cagioni di molte rovine, edhanno fatti gran danni a quegli che governano una città,ed hanno causato di molte divisioni in quelle: e, come siè veduto in questa nostra istoria, lo eccesso fatto controa Lucrezia tolse lo stato ai Tarquinii; quell'altro, fattocontro a Virginia, privò i Dieci dell'autorità loro. Ed Ari-stotile, intra le prime cause che mette della rovina de' ti-ranni, è lo avere ingiuriato altrui per conto delle donne,

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26 Come per cagione di femine si rovina unostato.

Nacque nella città d'Ardea intra i patrizi e gli plebei unasedizione per cagione d'uno parentado: dove, avendosi amaritare una femina ricca, la domandarono parimenteuno plebeo ed uno nobile; e non avendo quella padre, itutori la volevono congiugnere al plebeo, la madre alnobile: di che nacque tanto tumulto, che si venne allearmi; dove tutta la Nobilità si armò in favore del nobile,e tutta la plebe in favore del plebeo. Talché, essendo su-perata la plebe, si uscì d'Ardea, e mandò a' Volsci peraiuto: i nobili mandarono a Roma. Furono prima i Vol-sci, e, giunti intorno ad Ardea, si accamparono. Soprav-vennono i Romani, e rinchiusono i Volsci infra la terra eloro; tanto che gli costrinsono, essendo stretti dallafame, a darsi a discrezione. Ed entrati i Romani in Ar-dea, e morti tutti i capi della sedizione, composono lecose di quella città.Sono in questo testo più cose da notare. Prima, si vedecome le donne sono state cagioni di molte rovine, edhanno fatti gran danni a quegli che governano una città,ed hanno causato di molte divisioni in quelle: e, come siè veduto in questa nostra istoria, lo eccesso fatto controa Lucrezia tolse lo stato ai Tarquinii; quell'altro, fattocontro a Virginia, privò i Dieci dell'autorità loro. Ed Ari-stotile, intra le prime cause che mette della rovina de' ti-ranni, è lo avere ingiuriato altrui per conto delle donne,

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o con stuprarle, o con violarle, o con rompere i matri-monii; come di questa parte, nel capitolo dove noi tratta-mo delle congiure, largamente si parlò. Dico, adunque,come i principi assoluti ed i governatori delle republichenon hanno a tenere poco conto di questa parte; ma deb-bono considerare i disordini che per tale accidente pos-sono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio nonsia con danno e vituperio dello stato loro o della loro re-publica: come intervenne agli Ardeati; i quali, per averelasciato crescere quella gara intra i loro cittadini, si con-dussero a dividersi infra loro; e, volendo riunirsi, ebbo-no a mandare per soccorsi esterni: il che è uno grandeprincipio d'una propinqua servitù.Ma veniamo allo altro notabile, del modo del riunire lecittà; del quale nel futuro capitolo parlereno.

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o con stuprarle, o con violarle, o con rompere i matri-monii; come di questa parte, nel capitolo dove noi tratta-mo delle congiure, largamente si parlò. Dico, adunque,come i principi assoluti ed i governatori delle republichenon hanno a tenere poco conto di questa parte; ma deb-bono considerare i disordini che per tale accidente pos-sono nascere, e rimediarvi in tempo che il rimedio nonsia con danno e vituperio dello stato loro o della loro re-publica: come intervenne agli Ardeati; i quali, per averelasciato crescere quella gara intra i loro cittadini, si con-dussero a dividersi infra loro; e, volendo riunirsi, ebbo-no a mandare per soccorsi esterni: il che è uno grandeprincipio d'una propinqua servitù.Ma veniamo allo altro notabile, del modo del riunire lecittà; del quale nel futuro capitolo parlereno.

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27 Come e' si ha ad unire una città divisa; ecome e' non è vera quella opinione, che, a te-

nere le città, bisogni tenerle divise.

Per lo esemplo de' Consoli romani che riconciliorono in-sieme gli Ardeati, si nota il modo come si debbe com-porre una città divisa: il quale non è altro, né altrimentisi debbe medicare, che ammazzare i capi de' tumulti,perché gli è necessario pigliare uno de' tre modi: o am-mazzargli, come feciono costoro; o rimuovergli dellacittà; o fare loro fare pace insieme, sotto oblighi di nonsi offendere. Di questi tre modi, questo ultimo è piùdannoso, meno certo e più inutile. Perché gli è impossi-bile, dove sia corso assai sangue, o altre simili ingiurie,che una pace, fatta per forza, duri, riveggendosi ogni dìinsieme in viso; ed è difficile che si astenghino dallo in-giuriare l'uno l'altro, potendo nascere infra loro ogni dì,per la conversazione, nuove cagioni di querele.Sopra che non si può dare il migliore esemplo che la cit-tà di Pistoia. Era divisa quella città, come è ancora,quindici anni sono, in Panciatichi e Cancellieri; ma allo-ra era in sull'armi, ed oggi le ha posate. E dopo molte di-spute infra loro vennono al sangue, alla rovina dellecase, al predarsi la roba, e ad ogni altro termine di nimi-co. Ed i Fiorentini, che gli avevano a comporre, semprevi usarono quel terzo modo; e sempre ne nacque mag-giori tumulti e maggiori scandali: tanto che, stracchi, e'si venne al secondo modo, di rimuovere i capi delle par-

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27 Come e' si ha ad unire una città divisa; ecome e' non è vera quella opinione, che, a te-

nere le città, bisogni tenerle divise.

Per lo esemplo de' Consoli romani che riconciliorono in-sieme gli Ardeati, si nota il modo come si debbe com-porre una città divisa: il quale non è altro, né altrimentisi debbe medicare, che ammazzare i capi de' tumulti,perché gli è necessario pigliare uno de' tre modi: o am-mazzargli, come feciono costoro; o rimuovergli dellacittà; o fare loro fare pace insieme, sotto oblighi di nonsi offendere. Di questi tre modi, questo ultimo è piùdannoso, meno certo e più inutile. Perché gli è impossi-bile, dove sia corso assai sangue, o altre simili ingiurie,che una pace, fatta per forza, duri, riveggendosi ogni dìinsieme in viso; ed è difficile che si astenghino dallo in-giuriare l'uno l'altro, potendo nascere infra loro ogni dì,per la conversazione, nuove cagioni di querele.Sopra che non si può dare il migliore esemplo che la cit-tà di Pistoia. Era divisa quella città, come è ancora,quindici anni sono, in Panciatichi e Cancellieri; ma allo-ra era in sull'armi, ed oggi le ha posate. E dopo molte di-spute infra loro vennono al sangue, alla rovina dellecase, al predarsi la roba, e ad ogni altro termine di nimi-co. Ed i Fiorentini, che gli avevano a comporre, semprevi usarono quel terzo modo; e sempre ne nacque mag-giori tumulti e maggiori scandali: tanto che, stracchi, e'si venne al secondo modo, di rimuovere i capi delle par-

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ti; de' quali alcuni messono in prigione alcuni altri con-finarono in vari luoghi: tanto che l'accordo fatto potettestare, ed è stato infino a oggi. Ma sanza dubbio più sicu-ro saria stato il primo. Ma perché simili esecuzioni han-no il grande ed il generoso, una republica debole non lesa fare, ed ènne tanto discosto, che a fatica la si conduceal rimedio secondo. E questi sono di quegli errori che iodissi nel principio, che fanno i principi de' nostri tempi,che hanno a giudicare le cose grandi; perché doverreb-bono volere udire come si sono governati coloro chehanno avuto a giudicare anticamente simili casi. Ma ladebolezza de' presenti uomini, causata dalla debole edu-cazione loro e dalla poca notizia delle cose, fa che sigiudicano i giudicii antichi, parte inumani, parte impos-sibili. Ed hanno certe loro moderne opinioni, discosto altutto dal vero, come è quella che dicevano e' savi dellanostra città, un tempo fa: che bisognava tenere Pistoiacon le parti, e Pisa con le fortezze; e non si avveggono,quanto l'una e l'altra di queste due cose è inutile.Io voglio lasciare le fortezze, perché di sopra ne parla-mo a lungo; e voglio discorrere la inutilità che si trae deltenere le terre, che tu hai in governo, divise. In prima,egli è impossibile che tu ti mantenga tutte a due quelleparti amiche, o principe o republica che le governi. Per-ché dalla natura è dato agli uomini pigliare parte in qua-lunque cosa divisa, e piacergli più questa che quella.Talché, avendo una parte di quella terra male contenta,fa che, la prima guerra che viene, te la perdi; perché gli

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ti; de' quali alcuni messono in prigione alcuni altri con-finarono in vari luoghi: tanto che l'accordo fatto potettestare, ed è stato infino a oggi. Ma sanza dubbio più sicu-ro saria stato il primo. Ma perché simili esecuzioni han-no il grande ed il generoso, una republica debole non lesa fare, ed ènne tanto discosto, che a fatica la si conduceal rimedio secondo. E questi sono di quegli errori che iodissi nel principio, che fanno i principi de' nostri tempi,che hanno a giudicare le cose grandi; perché doverreb-bono volere udire come si sono governati coloro chehanno avuto a giudicare anticamente simili casi. Ma ladebolezza de' presenti uomini, causata dalla debole edu-cazione loro e dalla poca notizia delle cose, fa che sigiudicano i giudicii antichi, parte inumani, parte impos-sibili. Ed hanno certe loro moderne opinioni, discosto altutto dal vero, come è quella che dicevano e' savi dellanostra città, un tempo fa: che bisognava tenere Pistoiacon le parti, e Pisa con le fortezze; e non si avveggono,quanto l'una e l'altra di queste due cose è inutile.Io voglio lasciare le fortezze, perché di sopra ne parla-mo a lungo; e voglio discorrere la inutilità che si trae deltenere le terre, che tu hai in governo, divise. In prima,egli è impossibile che tu ti mantenga tutte a due quelleparti amiche, o principe o republica che le governi. Per-ché dalla natura è dato agli uomini pigliare parte in qua-lunque cosa divisa, e piacergli più questa che quella.Talché, avendo una parte di quella terra male contenta,fa che, la prima guerra che viene, te la perdi; perché gli

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è impossibile guardare una città che abbia e' nimici fuorie dentro. Se la è una republica che la governi, non ci è ilpiù bel modo a fare cattivi i tuoi cittadini ed a fare divi-dere la tua città, che avere in governo una città divisa;perché ciascuna parte cerca di avere favori, e ciascuna sifa amici con varie corruttele: talché ne nasce due gran-dissimi inconvenienti; l'uno, che tu non ti gli fai maiamici, per non gli potere governare bene, variando il go-verno spesso, ora con l'uno, ora con l'altro omore;l'altro, che tale studio di parte divide di necessità la tuarepublica. Ed il Biondo, parlando de' Fiorentini e de' Pi-stolesi, ne fa fede, dicendo: «Mentre che i Fiorentini di-segnavono di riunire Pistoia, divisono sé medesimi».Pertanto, si può facilmente considerare il male che daquesta divisione nasca.Nel 1502, quando si perdé Arezzo, e tutto Val di Teveree Val di Chiana, occupatoci dai Vitelli e dal duca Valen-tino, venne un monsignor di Lant, mandato dal re diFrancia a fare ristituire ai Fiorentini tutte quelle terreperdute; e trovando Lant in ogni castello uomini che, nelvicitarlo, dicevano che erano della parte di Marzocco,biasimò assai questa divisione: dicendo, che, se in Fran-cia uno di quegli sudditi del re dicesse di essere dellaparte del re, sarebbe gastigato, perché tale voce non si-gnificherebbe altro, se non che in quella terra fusse gen-te inimica del re, e quel re vuole che le terre tutte sienosue amiche, unite e sanza parte. Ma tutti questi modi equeste opinioni diverse dalla verità, nascono dalla debo-

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è impossibile guardare una città che abbia e' nimici fuorie dentro. Se la è una republica che la governi, non ci è ilpiù bel modo a fare cattivi i tuoi cittadini ed a fare divi-dere la tua città, che avere in governo una città divisa;perché ciascuna parte cerca di avere favori, e ciascuna sifa amici con varie corruttele: talché ne nasce due gran-dissimi inconvenienti; l'uno, che tu non ti gli fai maiamici, per non gli potere governare bene, variando il go-verno spesso, ora con l'uno, ora con l'altro omore;l'altro, che tale studio di parte divide di necessità la tuarepublica. Ed il Biondo, parlando de' Fiorentini e de' Pi-stolesi, ne fa fede, dicendo: «Mentre che i Fiorentini di-segnavono di riunire Pistoia, divisono sé medesimi».Pertanto, si può facilmente considerare il male che daquesta divisione nasca.Nel 1502, quando si perdé Arezzo, e tutto Val di Teveree Val di Chiana, occupatoci dai Vitelli e dal duca Valen-tino, venne un monsignor di Lant, mandato dal re diFrancia a fare ristituire ai Fiorentini tutte quelle terreperdute; e trovando Lant in ogni castello uomini che, nelvicitarlo, dicevano che erano della parte di Marzocco,biasimò assai questa divisione: dicendo, che, se in Fran-cia uno di quegli sudditi del re dicesse di essere dellaparte del re, sarebbe gastigato, perché tale voce non si-gnificherebbe altro, se non che in quella terra fusse gen-te inimica del re, e quel re vuole che le terre tutte sienosue amiche, unite e sanza parte. Ma tutti questi modi equeste opinioni diverse dalla verità, nascono dalla debo-

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lezza di chi è signore; i quali, veggendo di non poteretenere gli stati con forza e con virtù, si voltono a similiindustrie: le quali qualche volta ne' tempi quieti giovanoqualche cosa, ma, come e' vengono le avversità ed itempi forti, le mostrano la fallacia loro.

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lezza di chi è signore; i quali, veggendo di non poteretenere gli stati con forza e con virtù, si voltono a similiindustrie: le quali qualche volta ne' tempi quieti giovanoqualche cosa, ma, come e' vengono le avversità ed itempi forti, le mostrano la fallacia loro.

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28 Che si debbe por mente alle opere de' cit-tadini, perché molte volte sotto una opera pia

si nasconde uno principio di tirannide.

Essendo la città di Roma aggravata dalla fame, e nonbastando le provisioni publiche a cessarla, prese animouno Spurio Melio, essendo assai ricco, secondo queglitempi, di fare provisione privatamente di frumento, epascerne col suo grado la plebe. Per la quale cosa, egliebbe tanto concorso di popolo in suo favore, che il Se-nato, pensando all' inconveniente che di quella sua libe-ralità poteva nascere, per opprimerla avanti che la pi-gliasse più forze, gli creò uno Dittatore addosso, e fece-lo morire. Qui è da notare, come molte volte le opereche paiono pie e da non le potere ragionevolmente dan-nare, diventono crudeli, e per una republica sono perico-losissime, quando le non siano a buona ora corrette. Eper discorrere questa cosa più particularmente, dico cheuna republica sanza i cittadini riputati non può stare, népuò governarsi in alcuno modo bene. Dall'altro canto, lariputazione de' cittadini è cagione della tirannide dellerepubliche. E volendo regolare questa cosa, bisogna or-dinarsi talmente, che i cittadini siano riputati, di riputa-zione che giovi, e non nuoca, alla città ed alla libertà diquella. E però si debbe esaminare i modi con i quali e'pigliano riputazione; che sono in effetto due: o publici oprivati. I modi publici sono, quando uno, consigliandobene, operando meglio, in beneficio comune, acquista

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28 Che si debbe por mente alle opere de' cit-tadini, perché molte volte sotto una opera pia

si nasconde uno principio di tirannide.

Essendo la città di Roma aggravata dalla fame, e nonbastando le provisioni publiche a cessarla, prese animouno Spurio Melio, essendo assai ricco, secondo queglitempi, di fare provisione privatamente di frumento, epascerne col suo grado la plebe. Per la quale cosa, egliebbe tanto concorso di popolo in suo favore, che il Se-nato, pensando all' inconveniente che di quella sua libe-ralità poteva nascere, per opprimerla avanti che la pi-gliasse più forze, gli creò uno Dittatore addosso, e fece-lo morire. Qui è da notare, come molte volte le opereche paiono pie e da non le potere ragionevolmente dan-nare, diventono crudeli, e per una republica sono perico-losissime, quando le non siano a buona ora corrette. Eper discorrere questa cosa più particularmente, dico cheuna republica sanza i cittadini riputati non può stare, népuò governarsi in alcuno modo bene. Dall'altro canto, lariputazione de' cittadini è cagione della tirannide dellerepubliche. E volendo regolare questa cosa, bisogna or-dinarsi talmente, che i cittadini siano riputati, di riputa-zione che giovi, e non nuoca, alla città ed alla libertà diquella. E però si debbe esaminare i modi con i quali e'pigliano riputazione; che sono in effetto due: o publici oprivati. I modi publici sono, quando uno, consigliandobene, operando meglio, in beneficio comune, acquista

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riputazione. A questo onore si debba aprire la via ai cit-tadini, e preporre premii ed ai consigli ed alle opere, tal-ché se ne abbiano ad onorare e sodisfare. E quando que-ste riputazioni, prese per queste vie, siano stiette e sem-plici, non saranno mai pericolose: ma quando le sonoprese per vie private, che è l'altro modo preallegato,sono pericolosissime ed in tutto nocive. Le vie privatesono, faccendo beneficio a questo ed a quello altro pri-vato, col prestargli danari, maritargli le figliuole, difen-derlo dai magistrati, e faccendogli simili privati favori, iquali si fanno gli uomini partigiani, e danno animo, achi è così favorito, di potere corrompere il publico esforzare le leggi. Debbe, pertanto, una republica beneordinata aprire le vie come è detto, a chi cerca favori pervie publiche, e chiuderle a chi li cerca per vie private,come si vede che fece Roma perché in premio di chioperava bene per il publico, ordinò i trionfi, e tutti glialtri onori che la dava ai suoi cittadini, ed in danno dichi sotto vari colori per vie private cercava di farsi gran-de, ordinò l'accuse; e quando queste non bastassero, peressere accecato il popolo da una spezie di falso bene, or-dinò il Dittatore, il quale con il braccio regio facesse ri-tornare dentro al segno chi ne fosse uscito, come la feceper punire Spurio Melio. Ed una che di queste cose si la-sci impunita, è atta a rovinare una republica; perché dif-ficilmente con quello esemplo si riduce dipoi in la veravia.

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riputazione. A questo onore si debba aprire la via ai cit-tadini, e preporre premii ed ai consigli ed alle opere, tal-ché se ne abbiano ad onorare e sodisfare. E quando que-ste riputazioni, prese per queste vie, siano stiette e sem-plici, non saranno mai pericolose: ma quando le sonoprese per vie private, che è l'altro modo preallegato,sono pericolosissime ed in tutto nocive. Le vie privatesono, faccendo beneficio a questo ed a quello altro pri-vato, col prestargli danari, maritargli le figliuole, difen-derlo dai magistrati, e faccendogli simili privati favori, iquali si fanno gli uomini partigiani, e danno animo, achi è così favorito, di potere corrompere il publico esforzare le leggi. Debbe, pertanto, una republica beneordinata aprire le vie come è detto, a chi cerca favori pervie publiche, e chiuderle a chi li cerca per vie private,come si vede che fece Roma perché in premio di chioperava bene per il publico, ordinò i trionfi, e tutti glialtri onori che la dava ai suoi cittadini, ed in danno dichi sotto vari colori per vie private cercava di farsi gran-de, ordinò l'accuse; e quando queste non bastassero, peressere accecato il popolo da una spezie di falso bene, or-dinò il Dittatore, il quale con il braccio regio facesse ri-tornare dentro al segno chi ne fosse uscito, come la feceper punire Spurio Melio. Ed una che di queste cose si la-sci impunita, è atta a rovinare una republica; perché dif-ficilmente con quello esemplo si riduce dipoi in la veravia.

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29 Che gli peccati de' popoli nascono daiprincipi.

Non si dolghino i principi di alcuno peccato che faccio-no i popoli ch'egli abbiano in governo; perché tali pec-cati conviene che naschino o per la sua negligenza, oper essere lui macchiato di simili errori. E chi discorrerài popoli che ne' nostri tempi sono stati tenuti pieni di ru-berie e di simili peccati, vedrà che sarà al tutto nato daquegli che gli governavano, che erano di simile natura.La Romagna, innanzi che in quella fussono spenti dapapa Alessandro VI quegli signori che la comandavano,era un esempio d'ogni sceleratissima vita, perché quivisi vedeva per ogni leggiere cagione seguire occisioni erapine grandissime. Il che nasceva dalla tristitia di quelliprincipi; non dalla natura trista degli uomini, come lorodicevano. Perché, sendo quegli principi poveri, e volen-do vivere da ricchi, erano necessitati volgersi a molte ra-pine, e quelle per vari modi usare. Ed intra l'altre diso-neste vie che tenevano, e' facevano leggi, e proibivonoalcuna azione; dipoi erano i primi che davano cagionedella inosservanza di esse, né mai punivano gli inosser-vanti, se non poi, quando vedevano assai essere incorsiin simile pregiudizio; ed allora si voltavano alla punizio-ne, non per zelo della legge fatta, ma per cupidità di ri-scuotere la pena. Donde nasceva molti inconvenienti, esopra tutto, questo, che i popoli s'impoverivano, e non sicorreggevano; e quegli che erano impoveriti, s'ingegna-

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29 Che gli peccati de' popoli nascono daiprincipi.

Non si dolghino i principi di alcuno peccato che faccio-no i popoli ch'egli abbiano in governo; perché tali pec-cati conviene che naschino o per la sua negligenza, oper essere lui macchiato di simili errori. E chi discorrerài popoli che ne' nostri tempi sono stati tenuti pieni di ru-berie e di simili peccati, vedrà che sarà al tutto nato daquegli che gli governavano, che erano di simile natura.La Romagna, innanzi che in quella fussono spenti dapapa Alessandro VI quegli signori che la comandavano,era un esempio d'ogni sceleratissima vita, perché quivisi vedeva per ogni leggiere cagione seguire occisioni erapine grandissime. Il che nasceva dalla tristitia di quelliprincipi; non dalla natura trista degli uomini, come lorodicevano. Perché, sendo quegli principi poveri, e volen-do vivere da ricchi, erano necessitati volgersi a molte ra-pine, e quelle per vari modi usare. Ed intra l'altre diso-neste vie che tenevano, e' facevano leggi, e proibivonoalcuna azione; dipoi erano i primi che davano cagionedella inosservanza di esse, né mai punivano gli inosser-vanti, se non poi, quando vedevano assai essere incorsiin simile pregiudizio; ed allora si voltavano alla punizio-ne, non per zelo della legge fatta, ma per cupidità di ri-scuotere la pena. Donde nasceva molti inconvenienti, esopra tutto, questo, che i popoli s'impoverivano, e non sicorreggevano; e quegli che erano impoveriti, s'ingegna-

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vano, contro a' meno potenti di loro, prevalersi. Dondesurgevano tutti quelli mali che di sopra si dicano, de'quali era cagione il principe. E che questo sia vero, lomostra Tito Livio quando e' narra che, portando i Legatiromani il dono della preda de' Veienti ad Apolline, furo-no presi da' corsali di Lipari in Sicilia, e condotti inquella terra: ed inteso Timasiteo, loro principe, che donoera questo, dove gli andava e chi lo mandava, si portò,quantunque nato a Lipari, come uomo romano, e mostròal popolo quanto era impio occupare simile dono; tantoche, con il consenso dello universale, ne lasciò andare iLegati con tutte le cose loro. E le parole dello istoricosono queste: «Timasitheus multitudinem religione im-plevit, quae semper regenti est similis». E Lorenzo de'Medici, a confermazione di questa sentenza, dice:

E quel che fa 'l signor, fanno poi molti;Che nel signor son tutti gli occhi volti.

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vano, contro a' meno potenti di loro, prevalersi. Dondesurgevano tutti quelli mali che di sopra si dicano, de'quali era cagione il principe. E che questo sia vero, lomostra Tito Livio quando e' narra che, portando i Legatiromani il dono della preda de' Veienti ad Apolline, furo-no presi da' corsali di Lipari in Sicilia, e condotti inquella terra: ed inteso Timasiteo, loro principe, che donoera questo, dove gli andava e chi lo mandava, si portò,quantunque nato a Lipari, come uomo romano, e mostròal popolo quanto era impio occupare simile dono; tantoche, con il consenso dello universale, ne lasciò andare iLegati con tutte le cose loro. E le parole dello istoricosono queste: «Timasitheus multitudinem religione im-plevit, quae semper regenti est similis». E Lorenzo de'Medici, a confermazione di questa sentenza, dice:

E quel che fa 'l signor, fanno poi molti;Che nel signor son tutti gli occhi volti.

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30 A uno cittadino che voglia nella sua repu-blica fare di sua autorità alcuna opera buo-na, è necessario, prima, spegnere l'invidia: ecome, vedendo il nimico, si ha a ordinare la

difesa d'una città.

Intendendo il Senato romano come la Toscana tutta ave-va fatto nuovo deletto per venire a' danni di Roma; ecome i Latini e gli Ernici, stati per lo addietro amici delPopolo romano, si erano accostati con i Volsci, perpetuiinimici di Roma; giudicò questa guerra dovere esserepericolosa. E trovandosi Cammillo tribuno di potestàconsolare, pensò che si potesse fare sanza creare il Dit-tatore, quando gli altri Tribuni suoi collegi volessonocedergli la somma dello imperio. Il che detti Tribuni fe-cero volontariamente: «Nec quicquam (dice Tito Livio)de maiestate sua detractum credebant, quod maiestatieius concessissent». Onde Cammillo, presa a parolequesta ubbidienza, comandò che si scrivesse tre eserciti.Del primo volle essere capo lui, per ire contro a' Tosca-ni. Del secondo fece capo Quinto Servilio, il quale vollestesse propinquo a Roma, per ostare ai Latini ed agli Er-nici, se si movessono. Al terzo esercito prepose LucioQuinzio, il quale scrisse per tenere guardata la città e di-fese le porte e la curia, in ogni caso che nascesse. Oltrea di questo, ordinò che Orazio, uno de' suoi collegi, pro-vedesse l'armi ed il frumento e l'altre cose che richieg-

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30 A uno cittadino che voglia nella sua repu-blica fare di sua autorità alcuna opera buo-na, è necessario, prima, spegnere l'invidia: ecome, vedendo il nimico, si ha a ordinare la

difesa d'una città.

Intendendo il Senato romano come la Toscana tutta ave-va fatto nuovo deletto per venire a' danni di Roma; ecome i Latini e gli Ernici, stati per lo addietro amici delPopolo romano, si erano accostati con i Volsci, perpetuiinimici di Roma; giudicò questa guerra dovere esserepericolosa. E trovandosi Cammillo tribuno di potestàconsolare, pensò che si potesse fare sanza creare il Dit-tatore, quando gli altri Tribuni suoi collegi volessonocedergli la somma dello imperio. Il che detti Tribuni fe-cero volontariamente: «Nec quicquam (dice Tito Livio)de maiestate sua detractum credebant, quod maiestatieius concessissent». Onde Cammillo, presa a parolequesta ubbidienza, comandò che si scrivesse tre eserciti.Del primo volle essere capo lui, per ire contro a' Tosca-ni. Del secondo fece capo Quinto Servilio, il quale vollestesse propinquo a Roma, per ostare ai Latini ed agli Er-nici, se si movessono. Al terzo esercito prepose LucioQuinzio, il quale scrisse per tenere guardata la città e di-fese le porte e la curia, in ogni caso che nascesse. Oltrea di questo, ordinò che Orazio, uno de' suoi collegi, pro-vedesse l'armi ed il frumento e l'altre cose che richieg-

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gono i tempi della guerra. Prepose Cornelio, ancora, suocollega, al Senato ed al publico consiglio, acciocché po-tesse consigliare le azioni che giornalmente si avevano afare ed esequire: in modo furono quegli Tribuni, in quel-li tempi, per la salute della patria, disposti a comandareed a ubbidire. Notasi per questo testo, quello che facciauno uomo buono e savio, e di quanto bene sia cagione, equanto utile e' possa fare alla sua patria, quando, me-diante la sua bontà e virtù, egli ha spenta la invidia; laquale è molte volte cagione che gli uomini non possonooperare bene, non permettendo detta invidia che gli ab-bino quella autorità la quale è necessaria avere nellecose d'importanza. Spegnesi questa invidia in due modi.O per qualche accidente forte e difficile, dove ciascuno,veggendosi perire, posposta ogni ambizione, corre vo-lontariamente ad ubbidire a colui che crede che con lasua virtù lo possa liberare: come intervenne a Cammillo,il quale avendo dato di sé tanti saggi di uomo eccellen-tissimo, ed essendo stato tre volte Dittatore, ed avendoamministrato sempre quel grado ad utile publico, e nona propria utilità aveva fatto che gli uomini non temeva-no della grandezza sua; e per esser tanto grande e tantoriputato, non stimavano cosa vergognosa essere inferioria lui (e però dice Tito Livio saviamente quelle parole«Nec quicquam» ecc.) in un altro modo si spegne l'invi-dia quando, o per violenza o per ordine naturale, muoio-no coloro che sono stati tuoi concorrenti nel venire aqualche riputazione ed a qualche grandezza; quali, veg-gendoti riputato più di loro, è impossibile che mai ac-

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gono i tempi della guerra. Prepose Cornelio, ancora, suocollega, al Senato ed al publico consiglio, acciocché po-tesse consigliare le azioni che giornalmente si avevano afare ed esequire: in modo furono quegli Tribuni, in quel-li tempi, per la salute della patria, disposti a comandareed a ubbidire. Notasi per questo testo, quello che facciauno uomo buono e savio, e di quanto bene sia cagione, equanto utile e' possa fare alla sua patria, quando, me-diante la sua bontà e virtù, egli ha spenta la invidia; laquale è molte volte cagione che gli uomini non possonooperare bene, non permettendo detta invidia che gli ab-bino quella autorità la quale è necessaria avere nellecose d'importanza. Spegnesi questa invidia in due modi.O per qualche accidente forte e difficile, dove ciascuno,veggendosi perire, posposta ogni ambizione, corre vo-lontariamente ad ubbidire a colui che crede che con lasua virtù lo possa liberare: come intervenne a Cammillo,il quale avendo dato di sé tanti saggi di uomo eccellen-tissimo, ed essendo stato tre volte Dittatore, ed avendoamministrato sempre quel grado ad utile publico, e nona propria utilità aveva fatto che gli uomini non temeva-no della grandezza sua; e per esser tanto grande e tantoriputato, non stimavano cosa vergognosa essere inferioria lui (e però dice Tito Livio saviamente quelle parole«Nec quicquam» ecc.) in un altro modo si spegne l'invi-dia quando, o per violenza o per ordine naturale, muoio-no coloro che sono stati tuoi concorrenti nel venire aqualche riputazione ed a qualche grandezza; quali, veg-gendoti riputato più di loro, è impossibile che mai ac-

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quieschino, e stieno pazienti. E quando e' sono uominiche siano usi a vivere in una città corrotta, dove la edu-cazione non abbia fatto in loro alcuna bontà, è impossi-bile che per accidente alcuno, mai si ridichino; e per ot-tenere la voglia loro, e satisfare alla loro perversitàd'animo sarebbero contenti vedere la rovina della loropatria. A vincere questa invidia non ci è altro rimedioche la morte di coloro che l'hanno; e quando la fortuna ètanto propizia a quell'uomo virtuoso, che si muoiano or-dinariamente, diventa, sanza scandalo, glorioso, quandosanza ostacolo e sanza offesa e' può mostrare la sua vir-tù; ma quando e' non abbi questa ventura, gli convienepensare per ogni via a torsegli dinanzi; e prima che e'facci cosa alcuna, gli bisogna tenere modi che vincaquesta difficultà. E chi legge la Bibbia sensatamente,vedrà Moisè essere stato forzato, a volere che le sue leg-gi e che i suoi ordini andassero innanzi, ad ammazzareinfiniti uomini, i quali, non mossi da altro che dalla invi-dia, si opponevano a' disegni suoi. Questa necessità co-nosceva benissimo frate Girolamo Savonerola; conosce-vala ancora Piero Soderini, gonfaloniere di Firenze.L'uno non potette vincerla, per non avere autorità a po-terlo fare (che fu il frate), e per non essere inteso beneda coloro che lo seguitavano, che ne arebbero avuto au-torità. Nonpertanto per lui non rimase, e le sue predichesono piene di accuse de' savi del mondo e d'invettivecontro a loro: perché chiamava così questi invidi, e que-gli che si opponevano agli ordini suoi. Quell'altro crede-va, col tempo, con la bontà, con la fortuna sua, col beni-

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quieschino, e stieno pazienti. E quando e' sono uominiche siano usi a vivere in una città corrotta, dove la edu-cazione non abbia fatto in loro alcuna bontà, è impossi-bile che per accidente alcuno, mai si ridichino; e per ot-tenere la voglia loro, e satisfare alla loro perversitàd'animo sarebbero contenti vedere la rovina della loropatria. A vincere questa invidia non ci è altro rimedioche la morte di coloro che l'hanno; e quando la fortuna ètanto propizia a quell'uomo virtuoso, che si muoiano or-dinariamente, diventa, sanza scandalo, glorioso, quandosanza ostacolo e sanza offesa e' può mostrare la sua vir-tù; ma quando e' non abbi questa ventura, gli convienepensare per ogni via a torsegli dinanzi; e prima che e'facci cosa alcuna, gli bisogna tenere modi che vincaquesta difficultà. E chi legge la Bibbia sensatamente,vedrà Moisè essere stato forzato, a volere che le sue leg-gi e che i suoi ordini andassero innanzi, ad ammazzareinfiniti uomini, i quali, non mossi da altro che dalla invi-dia, si opponevano a' disegni suoi. Questa necessità co-nosceva benissimo frate Girolamo Savonerola; conosce-vala ancora Piero Soderini, gonfaloniere di Firenze.L'uno non potette vincerla, per non avere autorità a po-terlo fare (che fu il frate), e per non essere inteso beneda coloro che lo seguitavano, che ne arebbero avuto au-torità. Nonpertanto per lui non rimase, e le sue predichesono piene di accuse de' savi del mondo e d'invettivecontro a loro: perché chiamava così questi invidi, e que-gli che si opponevano agli ordini suoi. Quell'altro crede-va, col tempo, con la bontà, con la fortuna sua, col beni-

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ficare alcuno, spegnere questa invidia; vedendosi di as-sai fresca età, e con tanti nuovi favori che gli arrecava elmodo del suo procedere, che credeva potere superarequelli tanti che per invidia se gli opponevano, sanza al-cuno scandolo, violenza e tumulto: e non sapeva che iltempo non si può aspettare, la bontà non basta, la fortu-na varia, e la malignità non truova dono che la plachi.Tanto che l'uno e l'altro di questi due rovinarono, e la ro-vina loro fu causata da non avere saputo o potuto vince-re questa invidia.L'altro notabile è l'ordine che Cammillo dette, dentro efuori, per la salute di Roma. E veramente, non sanza ca-gione gli istorici buoni, come è questo nostro, mettonoparticularmente e distintamente certi casi, acciocché iposteri imparino come gli abbino in simili accidenti di-fendersi. E debbesi in questo testo notare, che non è lapiù pericolosa né la più inutile difesa, che quella che sifa tumultuariamente e sanza ordine. E questo si mostraper quello terzo esercito che Cammillo fece scrivere perlasciarlo, in Roma, a guardia della città: perché moltiarebbero giudicato e giudicherebbero questa parte su-perflua, sendo quel popolo, per l'ordinario, armato e bel-licoso; e per questo, che non bisognasse di scriverlo al-trimenti, ma bastasse farlo armare quando il bisogno ve-nisse. Ma Cammillo, e qualunque fusse savio come eraesso, la giudica altrimenti; perché non permette mai cheuna moltitudine pigli l'arme, se non con certo ordine ecerto modo. E però, in su questo esemplo, uno che sia

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ficare alcuno, spegnere questa invidia; vedendosi di as-sai fresca età, e con tanti nuovi favori che gli arrecava elmodo del suo procedere, che credeva potere superarequelli tanti che per invidia se gli opponevano, sanza al-cuno scandolo, violenza e tumulto: e non sapeva che iltempo non si può aspettare, la bontà non basta, la fortu-na varia, e la malignità non truova dono che la plachi.Tanto che l'uno e l'altro di questi due rovinarono, e la ro-vina loro fu causata da non avere saputo o potuto vince-re questa invidia.L'altro notabile è l'ordine che Cammillo dette, dentro efuori, per la salute di Roma. E veramente, non sanza ca-gione gli istorici buoni, come è questo nostro, mettonoparticularmente e distintamente certi casi, acciocché iposteri imparino come gli abbino in simili accidenti di-fendersi. E debbesi in questo testo notare, che non è lapiù pericolosa né la più inutile difesa, che quella che sifa tumultuariamente e sanza ordine. E questo si mostraper quello terzo esercito che Cammillo fece scrivere perlasciarlo, in Roma, a guardia della città: perché moltiarebbero giudicato e giudicherebbero questa parte su-perflua, sendo quel popolo, per l'ordinario, armato e bel-licoso; e per questo, che non bisognasse di scriverlo al-trimenti, ma bastasse farlo armare quando il bisogno ve-nisse. Ma Cammillo, e qualunque fusse savio come eraesso, la giudica altrimenti; perché non permette mai cheuna moltitudine pigli l'arme, se non con certo ordine ecerto modo. E però, in su questo esemplo, uno che sia

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preposto a guardia d'una città, debba fuggire come unoscoglio il fare armare gli uomini tumultuosamente; madebba avere prima scritti e scelti quegli che voglia si ar-mino, chi gli abbino ad ubbidire, dove a convenire, dovea andare; e, quegli che non sono scritti, comandare chestieno ciascuno alle case sue, a guardia di quelle. Coloroche terranno questo ordine in una città assaltata, facil-mente si potranno difendere: chi farà altrimenti, nonimiterà Cammillo, e non si difenderà.

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preposto a guardia d'una città, debba fuggire come unoscoglio il fare armare gli uomini tumultuosamente; madebba avere prima scritti e scelti quegli che voglia si ar-mino, chi gli abbino ad ubbidire, dove a convenire, dovea andare; e, quegli che non sono scritti, comandare chestieno ciascuno alle case sue, a guardia di quelle. Coloroche terranno questo ordine in una città assaltata, facil-mente si potranno difendere: chi farà altrimenti, nonimiterà Cammillo, e non si difenderà.

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31 Le republiche forti e gli uomini eccellentiritengono in ogni fortuna il medesimo animo

e la loro medesima dignità.

Intra l'altre magnifiche cose che 'l nostro istorico fa diree fare a Cammillo, per mostrare come debbe essere fattoun uomo eccellente, gli mette in bocca queste parole:«Nec mihi dictatura animos fecit, nec exilium ademit».Per le quali si vede, come gli uomini grandi sono sem-pre in ogni fortuna quelli medesimi; e se la varia, oracon esaltarli, ora con opprimerli, quegli non variano, matengono sempre lo animo fermo, ed in tale modo con-giunto con il modo del vivere loro, che facilmente si co-nosce per ciascuno, la fortuna non avere potenza sopradi loro. Altrimenti si governano gli uomini deboli per-ché invaniscono ed inebriano nella buona fortuna, attri-buendo tutto il bene che gli hanno a quella virtù che nonconobbono mai. D'onde nasce che diventano insopporta-bili ed odiosi a tutti coloro che gli hanno intorno. Da chepoi depende la subita variazione della sorte; la qualecome veggono in viso, caggiono subito nell'altro difetto,e diventano vili ed abietti. Di qui nasce che i principicosì fatti pensano nelle avversità più a fuggirsi che a di-fendersi, come quelli che, per avere male usata la buonafortuna, sono ad ogni difesa impreparati. Questa virtù, e questo vizio, che io dico trovarsi in unuomo solo, si truova ancora in una republica, ed inesemplo ci sono i Romani ed i Viniziani. Quelli primi,

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31 Le republiche forti e gli uomini eccellentiritengono in ogni fortuna il medesimo animo

e la loro medesima dignità.

Intra l'altre magnifiche cose che 'l nostro istorico fa diree fare a Cammillo, per mostrare come debbe essere fattoun uomo eccellente, gli mette in bocca queste parole:«Nec mihi dictatura animos fecit, nec exilium ademit».Per le quali si vede, come gli uomini grandi sono sem-pre in ogni fortuna quelli medesimi; e se la varia, oracon esaltarli, ora con opprimerli, quegli non variano, matengono sempre lo animo fermo, ed in tale modo con-giunto con il modo del vivere loro, che facilmente si co-nosce per ciascuno, la fortuna non avere potenza sopradi loro. Altrimenti si governano gli uomini deboli per-ché invaniscono ed inebriano nella buona fortuna, attri-buendo tutto il bene che gli hanno a quella virtù che nonconobbono mai. D'onde nasce che diventano insopporta-bili ed odiosi a tutti coloro che gli hanno intorno. Da chepoi depende la subita variazione della sorte; la qualecome veggono in viso, caggiono subito nell'altro difetto,e diventano vili ed abietti. Di qui nasce che i principicosì fatti pensano nelle avversità più a fuggirsi che a di-fendersi, come quelli che, per avere male usata la buonafortuna, sono ad ogni difesa impreparati. Questa virtù, e questo vizio, che io dico trovarsi in unuomo solo, si truova ancora in una republica, ed inesemplo ci sono i Romani ed i Viniziani. Quelli primi,

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nessuna cattiva sorte gli fece mai diventare abietti nénessuna buona fortuna gli fece mai essere insolenti;come si vide manifestamente dopo la rotta ch'egli ebbe-ro a Canne, e dopo la vittoria ch'egli ebbero contro aAntioco; perché, per quella rotta, ancora che gravissimaper essere stata la terza, non invilirono mai; e mandaro-no fuori eserciti; non vollono riscattare i loro prigionicontro agli ordini loro; non mandarono ad Annibale o aCartagine a chiedere pace: ma, lasciate stare tutte questecose abiette indietro, pensarono sempre alla guerra ar-mando, per carestia di uomini, i vecchi ed i servi loro.La quale cosa conosciuta da Annone cartaginese, comedi sopra si disse, mostrò a quel Senato quanto poco con-to si aveva a tenere della rotta di Canne. E così si videcome i tempi difficili non gli sbigottivono, né gli rende-vono umili. Dall'altra parte, i tempi prosperi non gli fa-cevano insolenti: perché, mandando Antioco oratori aScipione, a chiedere accordo, avanti che fussono venutialla giornata, e ch'egli avesse perduto Scipione gli dettecerte condizioni della pace; quali erano, che si ritirassedentro alla Soria, ed il resto lasciasse nello arbitrio delPopolo romano. Il quale accordo recusando Antioco, evenendo alla giornata, e perdendola, rimandò imbascia-dori a Scipione, con commissione che pigliassero tuttequelle condizioni erano date loro dal vincitore: alli qualinon propose altri patti che quegli si avesse offerti innan-zi che vincesse; soggiugnendo queste parole: «QuodRomani, si vincuntur, non minuuntur animis; nec, si vin-cunt, insolescere solent».

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nessuna cattiva sorte gli fece mai diventare abietti nénessuna buona fortuna gli fece mai essere insolenti;come si vide manifestamente dopo la rotta ch'egli ebbe-ro a Canne, e dopo la vittoria ch'egli ebbero contro aAntioco; perché, per quella rotta, ancora che gravissimaper essere stata la terza, non invilirono mai; e mandaro-no fuori eserciti; non vollono riscattare i loro prigionicontro agli ordini loro; non mandarono ad Annibale o aCartagine a chiedere pace: ma, lasciate stare tutte questecose abiette indietro, pensarono sempre alla guerra ar-mando, per carestia di uomini, i vecchi ed i servi loro.La quale cosa conosciuta da Annone cartaginese, comedi sopra si disse, mostrò a quel Senato quanto poco con-to si aveva a tenere della rotta di Canne. E così si videcome i tempi difficili non gli sbigottivono, né gli rende-vono umili. Dall'altra parte, i tempi prosperi non gli fa-cevano insolenti: perché, mandando Antioco oratori aScipione, a chiedere accordo, avanti che fussono venutialla giornata, e ch'egli avesse perduto Scipione gli dettecerte condizioni della pace; quali erano, che si ritirassedentro alla Soria, ed il resto lasciasse nello arbitrio delPopolo romano. Il quale accordo recusando Antioco, evenendo alla giornata, e perdendola, rimandò imbascia-dori a Scipione, con commissione che pigliassero tuttequelle condizioni erano date loro dal vincitore: alli qualinon propose altri patti che quegli si avesse offerti innan-zi che vincesse; soggiugnendo queste parole: «QuodRomani, si vincuntur, non minuuntur animis; nec, si vin-cunt, insolescere solent».

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Al contrario appunto di questo si è veduto fare ai Vini-ziani: i quali nella buona fortuna, parendo loro averselaguadagnata con quella virtù che non avevano, erano ve-nuti a tanta insolenza che chiamavano il re di Francia fi-gliuolo di San Marco; non stimavano la Chiesa; non ca-pivano in modo alcuno in Italia; ed eronsi presuppostinello animo di avere a fare una monarchia simile alla ro-mana. Dipoi, come la buona sorte gli abbandonò ech'egli ebbono una mezza rotta a Vailà, dal re di Francia,perderono non solamente tutto lo stato loro per ribellio-ne, ma buona parte ne dettero al papa ed al re di Spagnaper viltà ed abiezione d'animo; ed in tanto invilirono,che mandarono imbasciadori allo imperadore a farsi tri-butari, scrissono al papa lettere piene di viltà e di som-missione per muoverlo a compassione. Alla quale infeli-cità pervennono in quattro giorni, e dopo una mezza rot-ta: perché, avendo combattuto il loro esercito, nel ritirar-si venne a combattere ed essere oppresso circa la metà,in modo che, l'uno de' Provveditori, che si salvò, arrivòa Verona con più di venticinquemila soldati, intr'a piè eda cavallo. Talmenteché, se a Vinegia e negli ordini lorofosse stata alcuna qualità di virtù, facilmente si poteva-no rifare, e rimostrare di nuovo il viso alla fortuna, edessere a tempo o a vincere o a perdere più gloriosamen-te, o ad avere accordo più onorevole. Ma la viltà delloanimo loro, causata dalla qualità de' loro ordini non buo-ni nelle cose della guerra, gli fece ad un tratto perdere lostato e l'animo. E sempre interverrà così a qualunque sigoverna come loro. Perché questo diventare insolente

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Al contrario appunto di questo si è veduto fare ai Vini-ziani: i quali nella buona fortuna, parendo loro averselaguadagnata con quella virtù che non avevano, erano ve-nuti a tanta insolenza che chiamavano il re di Francia fi-gliuolo di San Marco; non stimavano la Chiesa; non ca-pivano in modo alcuno in Italia; ed eronsi presuppostinello animo di avere a fare una monarchia simile alla ro-mana. Dipoi, come la buona sorte gli abbandonò ech'egli ebbono una mezza rotta a Vailà, dal re di Francia,perderono non solamente tutto lo stato loro per ribellio-ne, ma buona parte ne dettero al papa ed al re di Spagnaper viltà ed abiezione d'animo; ed in tanto invilirono,che mandarono imbasciadori allo imperadore a farsi tri-butari, scrissono al papa lettere piene di viltà e di som-missione per muoverlo a compassione. Alla quale infeli-cità pervennono in quattro giorni, e dopo una mezza rot-ta: perché, avendo combattuto il loro esercito, nel ritirar-si venne a combattere ed essere oppresso circa la metà,in modo che, l'uno de' Provveditori, che si salvò, arrivòa Verona con più di venticinquemila soldati, intr'a piè eda cavallo. Talmenteché, se a Vinegia e negli ordini lorofosse stata alcuna qualità di virtù, facilmente si poteva-no rifare, e rimostrare di nuovo il viso alla fortuna, edessere a tempo o a vincere o a perdere più gloriosamen-te, o ad avere accordo più onorevole. Ma la viltà delloanimo loro, causata dalla qualità de' loro ordini non buo-ni nelle cose della guerra, gli fece ad un tratto perdere lostato e l'animo. E sempre interverrà così a qualunque sigoverna come loro. Perché questo diventare insolente

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nella buona fortuna ed abietto nella cattiva, nasce dalmodo del procedere tuo, e dalla educazione nella qualeti se' nutrito: la quale, quando è debole e vana, ti rendesimile a sé; quando è stata altrimenti, ti rende anched'un'altra sorte; e, faccendoti migliore conoscitore delmondo, ti fa meno rallegrare del bene, e meno rattristaredel male. E quello che si dice d'uno solo, si dice di moltiche vivono in una republica medesima; i quali si fannodi quella perfezione, che ha il modo del vivere di quella.E benché altra volta si sia detto come il fondamento ditutti gli stati è la buona milizia; e come, dove non è que-sta, non possono essere né leggi buone né alcuna altracosa buona, non mi pare superfluo riplicarlo: perché adogni punto nel leggere questa istoria si vede apparirequesta necessità; e si vede come la milizia non puoté es-sere buona, se la non è esercitata; e come la non si puòesercitare, se la non è composta di tuoi sudditi. Perchésempre non si sta in guerra, né si può starvi. Però con-viene poterla esercitare a tempo di pace; e con altri checon sudditi non si può fare questo esercizio, rispetto allaspesa. Era Cammillo andato, come di sopra dicemo, conlo esercito contro ai Toscani; ed avendo i suoi soldativeduto la grandezza dello esercito de' nimici, si eranotutti sbigottiti, parendo loro essere tanto inferiori da nonpotere sostenere l'impeto di quegli. E pervenendo questamala disposizione del campo agli orecchi di Cammillo,si mostrò fuora, ed andando parlando per il campo aquesti e quelli soldati, trasse loro del capo questa opi-

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nella buona fortuna ed abietto nella cattiva, nasce dalmodo del procedere tuo, e dalla educazione nella qualeti se' nutrito: la quale, quando è debole e vana, ti rendesimile a sé; quando è stata altrimenti, ti rende anched'un'altra sorte; e, faccendoti migliore conoscitore delmondo, ti fa meno rallegrare del bene, e meno rattristaredel male. E quello che si dice d'uno solo, si dice di moltiche vivono in una republica medesima; i quali si fannodi quella perfezione, che ha il modo del vivere di quella.E benché altra volta si sia detto come il fondamento ditutti gli stati è la buona milizia; e come, dove non è que-sta, non possono essere né leggi buone né alcuna altracosa buona, non mi pare superfluo riplicarlo: perché adogni punto nel leggere questa istoria si vede apparirequesta necessità; e si vede come la milizia non puoté es-sere buona, se la non è esercitata; e come la non si puòesercitare, se la non è composta di tuoi sudditi. Perchésempre non si sta in guerra, né si può starvi. Però con-viene poterla esercitare a tempo di pace; e con altri checon sudditi non si può fare questo esercizio, rispetto allaspesa. Era Cammillo andato, come di sopra dicemo, conlo esercito contro ai Toscani; ed avendo i suoi soldativeduto la grandezza dello esercito de' nimici, si eranotutti sbigottiti, parendo loro essere tanto inferiori da nonpotere sostenere l'impeto di quegli. E pervenendo questamala disposizione del campo agli orecchi di Cammillo,si mostrò fuora, ed andando parlando per il campo aquesti e quelli soldati, trasse loro del capo questa opi-

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nione; e nello ultimo, sanza ordinare altrimenti il cam-po, disse: «Quod quisque didicit, aut consuevit, faciet».E chi considera bene questo termine, e le parole disseloro, per inanimirli ad ire contro a' nimici, considerasicome e' non si poteva né dire né fare fare alcuna di quel-le cose a uno esercito che prima non fosse stato ordinatoed esercitato ed in pace ed in guerra. Perché di queglisoldati che non hanno imparato a fare cosa alcuna, nonpuò uno capitano fidarsi, e credere che faccino alcunacosa che stia bene; e se gli comandasse uno nuovo An-nibale, vi rovinerebbe sotto. Perché, non potendo unocapitano essere, mentre si fa la giornata, in ogni parte;se non ha prima in ogni parte ordinato di potere avereuomini che abbino lo spirito suo e bene gli ordini emodi del procedere suo, conviene di necessità che ci ro-vini. Se, adunque, una città sarà armata ed ordinatacome Roma; e che ogni dì ai suoi cittadini, ed in parti-culare ed in publico, tocchi a fare isperienza e della vir-tù loro, e della potenza della fortuna; interverrà sempreche in ogni condizione di tempo ei fiano del medesimoanimo, e manterranno la medesima loro degnità: maquando e' fiano disarmati, e che si appoggeranno soloagl'impeti della fortuna e non alla propria virtù, varie-ranno col variare di quella, e daranno sempre, di loro,esemplo tale che hanno dato i Viniziani.

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nione; e nello ultimo, sanza ordinare altrimenti il cam-po, disse: «Quod quisque didicit, aut consuevit, faciet».E chi considera bene questo termine, e le parole disseloro, per inanimirli ad ire contro a' nimici, considerasicome e' non si poteva né dire né fare fare alcuna di quel-le cose a uno esercito che prima non fosse stato ordinatoed esercitato ed in pace ed in guerra. Perché di queglisoldati che non hanno imparato a fare cosa alcuna, nonpuò uno capitano fidarsi, e credere che faccino alcunacosa che stia bene; e se gli comandasse uno nuovo An-nibale, vi rovinerebbe sotto. Perché, non potendo unocapitano essere, mentre si fa la giornata, in ogni parte;se non ha prima in ogni parte ordinato di potere avereuomini che abbino lo spirito suo e bene gli ordini emodi del procedere suo, conviene di necessità che ci ro-vini. Se, adunque, una città sarà armata ed ordinatacome Roma; e che ogni dì ai suoi cittadini, ed in parti-culare ed in publico, tocchi a fare isperienza e della vir-tù loro, e della potenza della fortuna; interverrà sempreche in ogni condizione di tempo ei fiano del medesimoanimo, e manterranno la medesima loro degnità: maquando e' fiano disarmati, e che si appoggeranno soloagl'impeti della fortuna e non alla propria virtù, varie-ranno col variare di quella, e daranno sempre, di loro,esemplo tale che hanno dato i Viniziani.

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32 Quali modi hanno tenuti alcuni a turbareuna pace.

Essendosi ribellate dal Popolo romano Circei e Velitre,due sue colonie, sotto speranza di essere difese dai Lati-ni, ed essendo di poi i Latini, vinti, e mancando di quel-la speranza, consigliavano assai cittadini che si dovessemandare a Roma oratori a raccomandarsi al Senato: ilquale partito fu turbato da coloro che erano stati autoridella ribellione; i quali temevano che tutta la pena non sivoltasse sopra le teste loro. E per tôrre via ogni ragiona-mento di pace, incitarono la moltitudine ad amarsi, ed acorrere sopra i confini romani. E veramente, quando al-cuno vuole o che uno popolo o uno principe lievi al tut-to l'animo da uno accordo, non ci è altro rimedio piùvero né più stabile, che farli usare qualche grave scele-ratezza contro a colui con il quale tu non vuoi chel'accordo si faccia: perché sempre lo terrà discosto quel-la paura di quella pena che a lui parrà per lo errore com-messo avere meritata. Dopo la prima guerra che i Carta-ginesi ebbono con i Romani, quelli soldati che dai Car-taginesi erano stati adoperati in quella guerra in Siciliaed in Sardigna, fatta che fu la pace, se ne andarono inAffrica; dove non essendo sodisfatti del loro stipendio,mossono l'armi contro ai Cartaginesi; e fatti, di loro, duecapi, Mato e Spendio, occuparono molte terre ai Carta-ginesi, e molte ne saccheggiarono. I Cartaginesi, pertentare prima ogni altra via che la zuffa, mandarono, a

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32 Quali modi hanno tenuti alcuni a turbareuna pace.

Essendosi ribellate dal Popolo romano Circei e Velitre,due sue colonie, sotto speranza di essere difese dai Lati-ni, ed essendo di poi i Latini, vinti, e mancando di quel-la speranza, consigliavano assai cittadini che si dovessemandare a Roma oratori a raccomandarsi al Senato: ilquale partito fu turbato da coloro che erano stati autoridella ribellione; i quali temevano che tutta la pena non sivoltasse sopra le teste loro. E per tôrre via ogni ragiona-mento di pace, incitarono la moltitudine ad amarsi, ed acorrere sopra i confini romani. E veramente, quando al-cuno vuole o che uno popolo o uno principe lievi al tut-to l'animo da uno accordo, non ci è altro rimedio piùvero né più stabile, che farli usare qualche grave scele-ratezza contro a colui con il quale tu non vuoi chel'accordo si faccia: perché sempre lo terrà discosto quel-la paura di quella pena che a lui parrà per lo errore com-messo avere meritata. Dopo la prima guerra che i Carta-ginesi ebbono con i Romani, quelli soldati che dai Car-taginesi erano stati adoperati in quella guerra in Siciliaed in Sardigna, fatta che fu la pace, se ne andarono inAffrica; dove non essendo sodisfatti del loro stipendio,mossono l'armi contro ai Cartaginesi; e fatti, di loro, duecapi, Mato e Spendio, occuparono molte terre ai Carta-ginesi, e molte ne saccheggiarono. I Cartaginesi, pertentare prima ogni altra via che la zuffa, mandarono, a

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quelli, ambasciadore Asdrubale loro cittadino, il qualepensavano avesse alcuna autorità con quelli, essendostato per lo adietro loro capitano. Ed arrivato costui, evolendo Spendio e Mato obligare tutti quelli soldati anon sperare di avere mai più pace con i Cartaginesi eper questo obligarli alla guerra; persuasono loro, ch'egliera meglio ammazzare costui, con tutti i cittadini carta-ginesi, quali erano appresso loro prigioni. Donde, nonsolamente gli ammazzarono, ma con mille supplicii inprima gli straziorono; aggiugnendo a questa sceleratezzauno editto che tutti i Cartaginesi, che per lo avvenire sipigliassono, si dovessono in simile modo uccidere. Laquale diliberazione ed esecuzione fece quello esercitocrudele ed ostinato contro ai Cartaginesi.

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quelli, ambasciadore Asdrubale loro cittadino, il qualepensavano avesse alcuna autorità con quelli, essendostato per lo adietro loro capitano. Ed arrivato costui, evolendo Spendio e Mato obligare tutti quelli soldati anon sperare di avere mai più pace con i Cartaginesi eper questo obligarli alla guerra; persuasono loro, ch'egliera meglio ammazzare costui, con tutti i cittadini carta-ginesi, quali erano appresso loro prigioni. Donde, nonsolamente gli ammazzarono, ma con mille supplicii inprima gli straziorono; aggiugnendo a questa sceleratezzauno editto che tutti i Cartaginesi, che per lo avvenire sipigliassono, si dovessono in simile modo uccidere. Laquale diliberazione ed esecuzione fece quello esercitocrudele ed ostinato contro ai Cartaginesi.

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33 Egli è necessario, a volere vincere unagiornata, fare lo esercito confidente ed infra

loro e con il capitano.

A volere che uno esercito vinca la giornata, è necessariofarlo confidente, in modo che creda dovere in ognimodo vincere. Le cose che lo fanno confidente sono:che sia armato ed ordinato bene; conoschinsi l'unol'altro. Né può nascere questa confidenza o questo ordi-ne, se non in quelli soldati che sono nati e vissuti insie-me. Conviene che il capitano sia stimato di qualità checonfidino nella prudenza sua: e sempre confideranno,quando lo vegghino ordinato, sollecito ed animoso, eche tenga bene e con riputazione la maestà del gradosuo: e sempre la manterrà, quando gli punisca degli er-rori, e non gli affatichi invano; osservi loro le promesse;mostri facile la via del vincere; quelle cose che discostopotessino mostrare i pericoli, le nasconda o le alleggeri-sca. Le quali cose, osservate bene, sono cagione grandeche lo esercito confida, e confidando vince. Usavano iRomani di fare pigliare agli eserciti loro questa confi-denza per via di religione: donde nasceva, che con gliaugurii ed auspicii creavano i Consoli, facevano il delet-to, partivano con gli eserciti, e venivano alla giornata. Esanza avere fatto alcuna di queste cose, non mai arebbeuno buono capitano e savio tentata alcuna fazione, giu-dicando di averla potuta perdere facilmente, s'e' suoisoldati non avessoro prima intesi gli Dii essere da parte

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33 Egli è necessario, a volere vincere unagiornata, fare lo esercito confidente ed infra

loro e con il capitano.

A volere che uno esercito vinca la giornata, è necessariofarlo confidente, in modo che creda dovere in ognimodo vincere. Le cose che lo fanno confidente sono:che sia armato ed ordinato bene; conoschinsi l'unol'altro. Né può nascere questa confidenza o questo ordi-ne, se non in quelli soldati che sono nati e vissuti insie-me. Conviene che il capitano sia stimato di qualità checonfidino nella prudenza sua: e sempre confideranno,quando lo vegghino ordinato, sollecito ed animoso, eche tenga bene e con riputazione la maestà del gradosuo: e sempre la manterrà, quando gli punisca degli er-rori, e non gli affatichi invano; osservi loro le promesse;mostri facile la via del vincere; quelle cose che discostopotessino mostrare i pericoli, le nasconda o le alleggeri-sca. Le quali cose, osservate bene, sono cagione grandeche lo esercito confida, e confidando vince. Usavano iRomani di fare pigliare agli eserciti loro questa confi-denza per via di religione: donde nasceva, che con gliaugurii ed auspicii creavano i Consoli, facevano il delet-to, partivano con gli eserciti, e venivano alla giornata. Esanza avere fatto alcuna di queste cose, non mai arebbeuno buono capitano e savio tentata alcuna fazione, giu-dicando di averla potuta perdere facilmente, s'e' suoisoldati non avessoro prima intesi gli Dii essere da parte

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loro. E quando alcuno Consolo, o altro loro capitano,avesse combattuto, contro agli auspicii, lo arebbero pu-nito; come ei punirono Claudio Pulcro. E benché questaparte in tutte le istorie romane si conosca, nondimeno sipruova più certo per le parole che Livio usa nella boccadi Appio Claudio; il quale, dolendosi col popolo dellainsolenzia de' Tribuni della plebe, e mostrando che, me-diante quelli, gli auspicii e le altre cose pertinenti allareligione si corrompevano, dice così: «Eludant nunc li-cet religiones. Quid enim interest, si pulli non pascentur,si ex cavea tardius exiverint, si occinuerit avis? Parvasunt haec; sed parva ista non contemnendo, maiores no-stri maximam hanc rempublicam fecerunt». Perché inqueste cose piccole è quella forza di tenere uniti e confi-denti i soldati: la quale cosa è prima cagione d'ogni vit-toria. Nonpertanto, conviene con queste cose sia accom-pagnata la virtù: altrimenti, le non vagliano. I Prenestini,avendo contro ai Romani fuori el loro esercito, sen'andarono ad alloggiare in sul fiume d'Allia, il luogodove i Romani furono vinti da i Franciosi; il che feceroper mettere fiducia ne' loro soldati, e sbigottire i Romaniper la fortuna del luogo. E benché questo loro partitofusse probabile, per quelle ragioni che di sopra si sonodiscorse; nientedimeno il fine della cosa mostrò che lavera virtù non teme ogni minimo accidente. Il che loistorico benissimo dice con queste parole, in bocca po-ste del Dittatore, che parla così al suo Maestro de' cava-gli: «Vides tu, fortuna illos fretos ad Alliam consedisse;at tu, fretus armis animisque, invade mediam aciem».

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loro. E quando alcuno Consolo, o altro loro capitano,avesse combattuto, contro agli auspicii, lo arebbero pu-nito; come ei punirono Claudio Pulcro. E benché questaparte in tutte le istorie romane si conosca, nondimeno sipruova più certo per le parole che Livio usa nella boccadi Appio Claudio; il quale, dolendosi col popolo dellainsolenzia de' Tribuni della plebe, e mostrando che, me-diante quelli, gli auspicii e le altre cose pertinenti allareligione si corrompevano, dice così: «Eludant nunc li-cet religiones. Quid enim interest, si pulli non pascentur,si ex cavea tardius exiverint, si occinuerit avis? Parvasunt haec; sed parva ista non contemnendo, maiores no-stri maximam hanc rempublicam fecerunt». Perché inqueste cose piccole è quella forza di tenere uniti e confi-denti i soldati: la quale cosa è prima cagione d'ogni vit-toria. Nonpertanto, conviene con queste cose sia accom-pagnata la virtù: altrimenti, le non vagliano. I Prenestini,avendo contro ai Romani fuori el loro esercito, sen'andarono ad alloggiare in sul fiume d'Allia, il luogodove i Romani furono vinti da i Franciosi; il che feceroper mettere fiducia ne' loro soldati, e sbigottire i Romaniper la fortuna del luogo. E benché questo loro partitofusse probabile, per quelle ragioni che di sopra si sonodiscorse; nientedimeno il fine della cosa mostrò che lavera virtù non teme ogni minimo accidente. Il che loistorico benissimo dice con queste parole, in bocca po-ste del Dittatore, che parla così al suo Maestro de' cava-gli: «Vides tu, fortuna illos fretos ad Alliam consedisse;at tu, fretus armis animisque, invade mediam aciem».

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Perché una vera virtù, un ordine buono, una sicurtà pre-sa da tante vittorie, non si può con cose di poco momen-to spegnere; né una cosa vana fa loro paura, né un disor-dine gli offende: come si vede certo, che, essendo dueManlii consoli contro a' Volsci, per avere mandato teme-rariamente parte del campo a predare, ne seguì che, inun tempo, e quelli che erano iti e quelli che erano rima-sti si trovavono assediati; dal quale pericolo, non la pru-denza de' Consoli, ma la virtù de' propri soldati gli libe-rò. Dove Tito Livio dice queste parole: «Militum, etiamsine rectore, stabilis virtus tutata est».Non voglio lasciare indietro uno termine usato da Fabio,sendo entrato di nuovo con lo esercito in Toscana, perfarlo confidente, giudicando quella tale fidanza esserepiù necessaria per averlo condotto in paese nuovo, in-contro a nimici nuovi: che, parlando avanti la zuffa a'soldati, e detto ch'ebbe molte ragioni, mediante le qualiei potevono sperare la vittoria, disse che potrebbe anco-ra dire loro certe cose buone, e dove ei vedrebbono lavittoria certa, se non fusse pericoloso il manifestarle. Ilquale modo, come e' fu saviamente usato, così merita diessere imitato.

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Perché una vera virtù, un ordine buono, una sicurtà pre-sa da tante vittorie, non si può con cose di poco momen-to spegnere; né una cosa vana fa loro paura, né un disor-dine gli offende: come si vede certo, che, essendo dueManlii consoli contro a' Volsci, per avere mandato teme-rariamente parte del campo a predare, ne seguì che, inun tempo, e quelli che erano iti e quelli che erano rima-sti si trovavono assediati; dal quale pericolo, non la pru-denza de' Consoli, ma la virtù de' propri soldati gli libe-rò. Dove Tito Livio dice queste parole: «Militum, etiamsine rectore, stabilis virtus tutata est».Non voglio lasciare indietro uno termine usato da Fabio,sendo entrato di nuovo con lo esercito in Toscana, perfarlo confidente, giudicando quella tale fidanza esserepiù necessaria per averlo condotto in paese nuovo, in-contro a nimici nuovi: che, parlando avanti la zuffa a'soldati, e detto ch'ebbe molte ragioni, mediante le qualiei potevono sperare la vittoria, disse che potrebbe anco-ra dire loro certe cose buone, e dove ei vedrebbono lavittoria certa, se non fusse pericoloso il manifestarle. Ilquale modo, come e' fu saviamente usato, così merita diessere imitato.

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34 Quale fama o voce o opinione fa che il po-polo comincia a favorire uno cittadino: e se

ei distribuisce i magistrati con maggiore pru-denza che un principe.

Altra volta parlamo come Tito Manlio, che fu poi dettoTorquato, salvò Lucio Manlio suo padre da una accusache gli aveva fatta Marco Pomponio tribuno della plebe.E benché il modo del salvarlo fosse alquanto violento edistraordinario, nondimeno quella filiale piatà verso delpadre fu tanto grata allo universale, che, non solamentenon ne fu ripreso, ma, avendosi a fare i Tribuni delle le-gioni, fu fatto Tito Manlio nel secondo luogo. Per ilquale successo, credo che sia bene considerare il modoche tiene il popolo a giudicare gli uomini nelle distribu-zioni sue; e che, per quello noi veggiamo, s'egli è veroquanto di sopra si conchiuse, che il popolo sia miglioredistributore che uno principe.Dico, adunque, come il popolo nel suo distribuire vadietro a quello che si dice d'uno per publica voce efama, quando per sue opere note non lo conosce altri-menti, o per presunzione o opinione che si ha di lui. Lequali due cose sono causate o da' padri di quelli tali che,per essere stati grandi uomini e valenti nella città, si cre-de che i figliuoli debbeno essere simili a loro, infino atanto che per le opere di quegli non s'intenda il contra-rio; o la è causata dai modi che tiene quello di chi si par-

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34 Quale fama o voce o opinione fa che il po-polo comincia a favorire uno cittadino: e se

ei distribuisce i magistrati con maggiore pru-denza che un principe.

Altra volta parlamo come Tito Manlio, che fu poi dettoTorquato, salvò Lucio Manlio suo padre da una accusache gli aveva fatta Marco Pomponio tribuno della plebe.E benché il modo del salvarlo fosse alquanto violento edistraordinario, nondimeno quella filiale piatà verso delpadre fu tanto grata allo universale, che, non solamentenon ne fu ripreso, ma, avendosi a fare i Tribuni delle le-gioni, fu fatto Tito Manlio nel secondo luogo. Per ilquale successo, credo che sia bene considerare il modoche tiene il popolo a giudicare gli uomini nelle distribu-zioni sue; e che, per quello noi veggiamo, s'egli è veroquanto di sopra si conchiuse, che il popolo sia miglioredistributore che uno principe.Dico, adunque, come il popolo nel suo distribuire vadietro a quello che si dice d'uno per publica voce efama, quando per sue opere note non lo conosce altri-menti, o per presunzione o opinione che si ha di lui. Lequali due cose sono causate o da' padri di quelli tali che,per essere stati grandi uomini e valenti nella città, si cre-de che i figliuoli debbeno essere simili a loro, infino atanto che per le opere di quegli non s'intenda il contra-rio; o la è causata dai modi che tiene quello di chi si par-

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la. I modi migliori che si possino tenere, sono: averecompagnia di uomini gravi, di buoni costumi, e riputatisavi da ciascuno. E perché nessuno indizio si può averemaggiore d'un uomo, che le compagnie con quali egliusa; meritamente uno che usa con compagnie oneste,acquista buono nome, perché è impossibile che non ab-bia qualche similitudine di quelle. O veramente si acqui-sta questa publica fama per qualche azione istraordina-ria e notabile ancora che privata, la quale ti sia riuscitaonorevolmente. E di tutte a tre queste cose che dannonel principio buona riputazione ad uno, nessuna la dàmaggiore che questa ultima: perché quella prima de' pa-renti e de' padri è sì fallace, che gli uomini vi vanno a ri-lento; ed in poco si consuma, quando la virtù propria dicolui che ha a essere giudicato non l'accompagna. La se-conda, che ti fa conoscere per via delle pratiche tue, èmeglio della prima, ma è molto inferiore alla terza, per-ché, infino a tanto che non si vede qualche segno chenasca da te sta la riputazione tua fondata in su l'opinio-ne, la quale è facilissima a cancellarla. Ma quella terza,essendo principiata e fondata in sul fatto ed in su la ope-ra tua, ti dà nel principio tanto nome, che bisogna beneche operi poi molte cose contrarie a questa, volendo an-nullarla. Debbono, adunque, gli uomini che nascono inuna republica pigliare questo verso, ed ingegnarsi, conqualche operazione istraordinaria, cominciare a rilevar-si. Il che molti a Roma in gioventù fecero o con il pro-mulgare una legge che venisse in comune utilità; o conaccusare qualche potente cittadino come transgressore

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la. I modi migliori che si possino tenere, sono: averecompagnia di uomini gravi, di buoni costumi, e riputatisavi da ciascuno. E perché nessuno indizio si può averemaggiore d'un uomo, che le compagnie con quali egliusa; meritamente uno che usa con compagnie oneste,acquista buono nome, perché è impossibile che non ab-bia qualche similitudine di quelle. O veramente si acqui-sta questa publica fama per qualche azione istraordina-ria e notabile ancora che privata, la quale ti sia riuscitaonorevolmente. E di tutte a tre queste cose che dannonel principio buona riputazione ad uno, nessuna la dàmaggiore che questa ultima: perché quella prima de' pa-renti e de' padri è sì fallace, che gli uomini vi vanno a ri-lento; ed in poco si consuma, quando la virtù propria dicolui che ha a essere giudicato non l'accompagna. La se-conda, che ti fa conoscere per via delle pratiche tue, èmeglio della prima, ma è molto inferiore alla terza, per-ché, infino a tanto che non si vede qualche segno chenasca da te sta la riputazione tua fondata in su l'opinio-ne, la quale è facilissima a cancellarla. Ma quella terza,essendo principiata e fondata in sul fatto ed in su la ope-ra tua, ti dà nel principio tanto nome, che bisogna beneche operi poi molte cose contrarie a questa, volendo an-nullarla. Debbono, adunque, gli uomini che nascono inuna republica pigliare questo verso, ed ingegnarsi, conqualche operazione istraordinaria, cominciare a rilevar-si. Il che molti a Roma in gioventù fecero o con il pro-mulgare una legge che venisse in comune utilità; o conaccusare qualche potente cittadino come transgressore

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delle leggi; o col fare simili cose notabili e nuove, di chesi avesse a parlare. Né solamente sono necessarie similicose per cominciare a darsi la riputazione ma sono an-cora necessarie per mantenerla ed accrescerla. Ed a vo-lere fare questo, bisogna rinnovarle; come per tutto iltempo della sua vita fece Tito Manlio: perché, difesoch'egli ebbe il padre tanto virtuosamente e istraordina-riamente, e per questa azione presa la prima riputazionesua, dopo certi anni combatté con quel Francioso, e,morto, gli trasse quella collana d'oro che gli dette ilnome di Torquato. Non bastò questo, che dipoi, già inetà matura, ammazzò il figliuolo per avere combattutosanza licenza, ancora ch'egli avesse superato il nimico.Le quali tre azioni allora gli dettero più nome e per tuttii secoli lo fanno più celebre, che non lo fece alcunotrionfo ed alcuna altra vittoria, di che elli fu ornatoquanto alcuno altro Romano. E la cagione è, perché inquelle vittorie Manlio ebbe moltissimi simili; in questeparticulari azioni n'ebbe o pochissimi o nessuno.A Scipione maggiore non arrecarono tanta gloria tutti isuoi trionfi, quanto gli dette lo avere, ancora giovinetto,in sul Tesino, difeso il padre; e lo avere, dopo la rotta diCanne, animosamente con la spada sguainata fatto giu-rare più giovani romani che ei non abbandonerebberol'Italia, come di già infra loro avevano diliberato: le qua-li due azioni furono principio alla riputazione sua, e glifeciono scala ai trionfi della Spagna e dell'Affrica. Laquale opinione da lui fu ancora accresciuta, quando ei

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delle leggi; o col fare simili cose notabili e nuove, di chesi avesse a parlare. Né solamente sono necessarie similicose per cominciare a darsi la riputazione ma sono an-cora necessarie per mantenerla ed accrescerla. Ed a vo-lere fare questo, bisogna rinnovarle; come per tutto iltempo della sua vita fece Tito Manlio: perché, difesoch'egli ebbe il padre tanto virtuosamente e istraordina-riamente, e per questa azione presa la prima riputazionesua, dopo certi anni combatté con quel Francioso, e,morto, gli trasse quella collana d'oro che gli dette ilnome di Torquato. Non bastò questo, che dipoi, già inetà matura, ammazzò il figliuolo per avere combattutosanza licenza, ancora ch'egli avesse superato il nimico.Le quali tre azioni allora gli dettero più nome e per tuttii secoli lo fanno più celebre, che non lo fece alcunotrionfo ed alcuna altra vittoria, di che elli fu ornatoquanto alcuno altro Romano. E la cagione è, perché inquelle vittorie Manlio ebbe moltissimi simili; in questeparticulari azioni n'ebbe o pochissimi o nessuno.A Scipione maggiore non arrecarono tanta gloria tutti isuoi trionfi, quanto gli dette lo avere, ancora giovinetto,in sul Tesino, difeso il padre; e lo avere, dopo la rotta diCanne, animosamente con la spada sguainata fatto giu-rare più giovani romani che ei non abbandonerebberol'Italia, come di già infra loro avevano diliberato: le qua-li due azioni furono principio alla riputazione sua, e glifeciono scala ai trionfi della Spagna e dell'Affrica. Laquale opinione da lui fu ancora accresciuta, quando ei

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rimandò la sua figliuola al padre, e la moglie al marito,in Ispagna. Questo modo del procedere non è necessariosolamente a quelli cittadini che vogliono acquistarefama per ottenere gli onori nella loro republica, ma è an-cora necessario ai principi per mantenersi la riputazionenel principato loro: perché nessuna cosa gli fa tanto sti-mare, quanto dare di sé rari esempli con qualche fatto odetto rado, conforme al bene comune, il quale mostri ilsignore o magnanimo o liberale o giusto, e che sia taleche si riduca come in proverbio intra i suoi suggetti.Ma, per tornare donde noi cominciamo questo discorso,dico come il popolo, quando ei comincia a dare uno gra-do a uno suo cittadino, fondandosi sopra quelle tre ca-gioni soprascritte, non si fonda male; ma poi, quando gliassai esempli de' buoni portamenti d'uno lo fanno piùnoto, si fonda meglio, perché in tale caso non può essereche quasi mai s'inganni. Io parlo solamente di quelli gra-di che si dànno agli uomini nel principio, avanti che perferma isperienza siano conosciuti, o che passino daun'azione a un'altra dissimile: dove, e quanto alla falsaopinione, e quanto alla corrozione, sempre faranno mi-nori errori che i principi. E perché e' può essere che ipopoli s'ingannerebbono della fama, della opinione edelle opere d'uno uomo, stimandole maggiori che in ve-rità non sono, il che non interverrebbe a uno principe,perché gli sarebbe detto, e sarebbe avvertito da chi loconsigliasse; perché ancora i popoli non manchino diquesti consigli, i buoni ordinatori delle republiche hanno

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rimandò la sua figliuola al padre, e la moglie al marito,in Ispagna. Questo modo del procedere non è necessariosolamente a quelli cittadini che vogliono acquistarefama per ottenere gli onori nella loro republica, ma è an-cora necessario ai principi per mantenersi la riputazionenel principato loro: perché nessuna cosa gli fa tanto sti-mare, quanto dare di sé rari esempli con qualche fatto odetto rado, conforme al bene comune, il quale mostri ilsignore o magnanimo o liberale o giusto, e che sia taleche si riduca come in proverbio intra i suoi suggetti.Ma, per tornare donde noi cominciamo questo discorso,dico come il popolo, quando ei comincia a dare uno gra-do a uno suo cittadino, fondandosi sopra quelle tre ca-gioni soprascritte, non si fonda male; ma poi, quando gliassai esempli de' buoni portamenti d'uno lo fanno piùnoto, si fonda meglio, perché in tale caso non può essereche quasi mai s'inganni. Io parlo solamente di quelli gra-di che si dànno agli uomini nel principio, avanti che perferma isperienza siano conosciuti, o che passino daun'azione a un'altra dissimile: dove, e quanto alla falsaopinione, e quanto alla corrozione, sempre faranno mi-nori errori che i principi. E perché e' può essere che ipopoli s'ingannerebbono della fama, della opinione edelle opere d'uno uomo, stimandole maggiori che in ve-rità non sono, il che non interverrebbe a uno principe,perché gli sarebbe detto, e sarebbe avvertito da chi loconsigliasse; perché ancora i popoli non manchino diquesti consigli, i buoni ordinatori delle republiche hanno

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ordinato, che, avendosi a creare i supremi gradi nellecittà, dove fosse pericoloso mettervi uomini insufficien-ti, e veggendosi la voga popolare essere diritta a crearealcuno che fosse insufficiente, sia lecito a ogni cittadino,e gli sia imputato a gloria, di publicare nelle concioni idifetti di quello, acciocché il popolo, non mancando del-la sua conoscenza, possa meglio giudicare.E che questo si usasse a Roma, ne rende testimoniol'orazione di Fabio Massimo, la quale ei fece al popolonella seconda guerra punica, quando nella creazione de'Consoli i favori si volgevano a creare Tito Ottacilio; egiudicandolo Fabio insufficiente a governare in quellitempi il consolato, gli parlò contro, mostrando la insuf-ficienza sua; tanto che gli tolse quel grado, e volse i fa-vori del popolo a chi più lo meritava che lui. Giudicano,adunque, i popoli, nella elezione a' magistrati, secondoquelli contrassegni che degli uomini si possono averepiù veri; e quando ei possono essere consigliati come iprincipi, errano meno de' principi: e quel cittadino chevoglia cominciare a avere i favori del popolo, debbe conqualche fatto notabile, come fece Tito Manlio, guada-gnarseli.

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ordinato, che, avendosi a creare i supremi gradi nellecittà, dove fosse pericoloso mettervi uomini insufficien-ti, e veggendosi la voga popolare essere diritta a crearealcuno che fosse insufficiente, sia lecito a ogni cittadino,e gli sia imputato a gloria, di publicare nelle concioni idifetti di quello, acciocché il popolo, non mancando del-la sua conoscenza, possa meglio giudicare.E che questo si usasse a Roma, ne rende testimoniol'orazione di Fabio Massimo, la quale ei fece al popolonella seconda guerra punica, quando nella creazione de'Consoli i favori si volgevano a creare Tito Ottacilio; egiudicandolo Fabio insufficiente a governare in quellitempi il consolato, gli parlò contro, mostrando la insuf-ficienza sua; tanto che gli tolse quel grado, e volse i fa-vori del popolo a chi più lo meritava che lui. Giudicano,adunque, i popoli, nella elezione a' magistrati, secondoquelli contrassegni che degli uomini si possono averepiù veri; e quando ei possono essere consigliati come iprincipi, errano meno de' principi: e quel cittadino chevoglia cominciare a avere i favori del popolo, debbe conqualche fatto notabile, come fece Tito Manlio, guada-gnarseli.

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35 Quali pericoli si portano nel farsi capo aconsigliare una cosa; e, quanto ella ha piùdello istraordinario, maggiori pericoli vi si

corrono.

Quanto sia cosa pericolosa farsi capo d'una cosa nuovache appartenga a molti, e quanto sia difficile a trattarlaed a condurla, e, condotta, a mantenerla, sarebbe troppolunga e troppo alta materia a discorrerla: però, riserban-dola a luogo più conveniente, parlerò solo di quegli pe-ricoli che portano i cittadini, o quelli che consiglianouno principe a farsi capo d'una diliberazione grave edimportante, in modo che tutto il consiglio di essa sia im-putato a lui. Perché, giudicando gli uomini le cose dalfine, tutto il male che ne risulta s'imputa allo autore delconsiglio; e, se ne risulta bene, ne è commendato: ma dilunge il premio non contrappesa a il danno. Il presenteSultan Salì, detto Gran Turco, essendosi preparato (se-condo che ne riferiscono alcuni che vengono de' suoipaesi) di fare la impresa di Soria e di Egitto, fu conforta-to da uno suo Bascià, quale ei teneva ai confini di Per-sia, di andare contro al Sofì: dal quale consiglio mossoandò con esercito grossissimo a quella impresa; e arri-vando in uno paese larghissimo, dove sono assai disertie le fiumare rade, e trovandovi quelle difficultà che giàfecero rovinare molti eserciti romani, fu in modo op-pressato da quelle, che vi perdé, per fame e per peste,ancora che nella guerra fosse superiore, gran parte delle

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35 Quali pericoli si portano nel farsi capo aconsigliare una cosa; e, quanto ella ha piùdello istraordinario, maggiori pericoli vi si

corrono.

Quanto sia cosa pericolosa farsi capo d'una cosa nuovache appartenga a molti, e quanto sia difficile a trattarlaed a condurla, e, condotta, a mantenerla, sarebbe troppolunga e troppo alta materia a discorrerla: però, riserban-dola a luogo più conveniente, parlerò solo di quegli pe-ricoli che portano i cittadini, o quelli che consiglianouno principe a farsi capo d'una diliberazione grave edimportante, in modo che tutto il consiglio di essa sia im-putato a lui. Perché, giudicando gli uomini le cose dalfine, tutto il male che ne risulta s'imputa allo autore delconsiglio; e, se ne risulta bene, ne è commendato: ma dilunge il premio non contrappesa a il danno. Il presenteSultan Salì, detto Gran Turco, essendosi preparato (se-condo che ne riferiscono alcuni che vengono de' suoipaesi) di fare la impresa di Soria e di Egitto, fu conforta-to da uno suo Bascià, quale ei teneva ai confini di Per-sia, di andare contro al Sofì: dal quale consiglio mossoandò con esercito grossissimo a quella impresa; e arri-vando in uno paese larghissimo, dove sono assai disertie le fiumare rade, e trovandovi quelle difficultà che giàfecero rovinare molti eserciti romani, fu in modo op-pressato da quelle, che vi perdé, per fame e per peste,ancora che nella guerra fosse superiore, gran parte delle

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sue genti: talché, irato contro allo autore del consiglio,lo ammazzò. Leggesi, assai cittadini stati confortatorid'una impresa, e, per avere avuto quella tristo fine, esse-re stati mandati in esilio. Fecionsi capi alcuni cittadiniromani, che si facesse in Roma il Consule plebeio. Oc-corse che il primo che uscì fuori con gli eserciti, fu rot-to; onde a quegli consigliatori sarebbe avvenuto qualchedanno, se non fosse stata tanto gagliarda quella parte, inonore della quale tale diliberazione era venuta.È cosa adunque certissima, che quegli che consiglianouna republica, e quegli che consigliano uno principe,sono posti intra queste angustie, che, se non consiglianole cose che paiono loro utili, o per la città o per il princi-pe, sanza rispetto, e' mancano dell'ufficio loro; se leconsigliano, e' gli entrano in pericolo della vita e dellostato: essendo tutti gli uomini in questo ciechi, di giudi-care i buoni e i cattivi consigli dal fine. E pensando inche modo ei potessono fuggire o questa infamia o que-sto pericolo, non ci veggo altra via che pigliare le cosemoderatamente, e non ne prendere alcuna per sua im-presa, e dire la opinione sua sanza passione, e sanza pas-sione con modestia difenderla: in modo che, se la città oil principe la segue, che la segua voluntario, e non paiache vi venga tirato dalla tua importunità. Quando tu fac-cia così, non è ragionevole che uno principe ed uno po-polo del tuo consiglio ti voglia male, non essendo segui-to contro alla voglia di molti: perché quivi si porta peri-colo dove molti hanno contradetto, i quali poi nello infe-

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sue genti: talché, irato contro allo autore del consiglio,lo ammazzò. Leggesi, assai cittadini stati confortatorid'una impresa, e, per avere avuto quella tristo fine, esse-re stati mandati in esilio. Fecionsi capi alcuni cittadiniromani, che si facesse in Roma il Consule plebeio. Oc-corse che il primo che uscì fuori con gli eserciti, fu rot-to; onde a quegli consigliatori sarebbe avvenuto qualchedanno, se non fosse stata tanto gagliarda quella parte, inonore della quale tale diliberazione era venuta.È cosa adunque certissima, che quegli che consiglianouna republica, e quegli che consigliano uno principe,sono posti intra queste angustie, che, se non consiglianole cose che paiono loro utili, o per la città o per il princi-pe, sanza rispetto, e' mancano dell'ufficio loro; se leconsigliano, e' gli entrano in pericolo della vita e dellostato: essendo tutti gli uomini in questo ciechi, di giudi-care i buoni e i cattivi consigli dal fine. E pensando inche modo ei potessono fuggire o questa infamia o que-sto pericolo, non ci veggo altra via che pigliare le cosemoderatamente, e non ne prendere alcuna per sua im-presa, e dire la opinione sua sanza passione, e sanza pas-sione con modestia difenderla: in modo che, se la città oil principe la segue, che la segua voluntario, e non paiache vi venga tirato dalla tua importunità. Quando tu fac-cia così, non è ragionevole che uno principe ed uno po-polo del tuo consiglio ti voglia male, non essendo segui-to contro alla voglia di molti: perché quivi si porta peri-colo dove molti hanno contradetto, i quali poi nello infe-

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lice fine concorrono a farti rovinare. E se in questo casosi manca di quella gloria che si acquista nello esseresolo contro a molti a consigliare una cosa, quando ellasortisce buono fine, ci sono a rincontro due beni: il pri-mo, del mancare di pericolo; il secondo, che, se tu con-sigli una cosa modestamente, e per la contradizione iltuo consiglio non sia preso e per il consiglio d'altrui neseguiti qualche rovina, ne risulta a te gloria grandissima.E benché la gloria che si acquista de' mali che abbia o latua città o il tuo principe, non si possa godere, nondime-no è da tenerne qualche conto.Altro consiglio non credo si possa dare agli uomini inquesta parte: perché consigliandogli che tacessono, eche non dicessono l'opinione loro, sarebbe cosa inutilealla republica o al loro principe, e non fuggirebbono ilpericolo; perché in poco tempo diventerebbono sospetti:ed ancora potrebbe loro intervenire come a quegli amicidi Perse re de' Macedoni, il quale essendo stato rotto daPaulo Emilio, e fuggendosi con pochi amici, accaddeche, nel replicare le cose passate, uno di loro cominciò adire a Perse molti errori fatti da lui, che erano stati ca-gione della sua rovina; al quale Perse rivoltosi, disse: -Traditore, sì che tu hai indugiato a dirmelo ora che ionon ho più rimedio! - e sopra queste parole di sua manolo ammazzò. E così colui portò la pena d'essere statocheto quando e' doveva parlare, e di avere parlato quan-do e' doveva tacere; non fuggì il pericolo per non averedato il consiglio. Però credo che sia da tenere ed osser-

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lice fine concorrono a farti rovinare. E se in questo casosi manca di quella gloria che si acquista nello esseresolo contro a molti a consigliare una cosa, quando ellasortisce buono fine, ci sono a rincontro due beni: il pri-mo, del mancare di pericolo; il secondo, che, se tu con-sigli una cosa modestamente, e per la contradizione iltuo consiglio non sia preso e per il consiglio d'altrui neseguiti qualche rovina, ne risulta a te gloria grandissima.E benché la gloria che si acquista de' mali che abbia o latua città o il tuo principe, non si possa godere, nondime-no è da tenerne qualche conto.Altro consiglio non credo si possa dare agli uomini inquesta parte: perché consigliandogli che tacessono, eche non dicessono l'opinione loro, sarebbe cosa inutilealla republica o al loro principe, e non fuggirebbono ilpericolo; perché in poco tempo diventerebbono sospetti:ed ancora potrebbe loro intervenire come a quegli amicidi Perse re de' Macedoni, il quale essendo stato rotto daPaulo Emilio, e fuggendosi con pochi amici, accaddeche, nel replicare le cose passate, uno di loro cominciò adire a Perse molti errori fatti da lui, che erano stati ca-gione della sua rovina; al quale Perse rivoltosi, disse: -Traditore, sì che tu hai indugiato a dirmelo ora che ionon ho più rimedio! - e sopra queste parole di sua manolo ammazzò. E così colui portò la pena d'essere statocheto quando e' doveva parlare, e di avere parlato quan-do e' doveva tacere; non fuggì il pericolo per non averedato il consiglio. Però credo che sia da tenere ed osser-

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vare i termini soprascritti.

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vare i termini soprascritti.

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36 Le cagioni perché i Franciosi siano stati esiano ancora giudicati nelle zuffe, da princi-

pio più che uomini.

La ferocità di quello Francioso che provocava qualun-que Romano, appresso al fiume Aniene, a combattereseco, dipoi la zuffa fatta intra lui e Tito Manlio, mi fa ri-cordare di quello che Tito Livio più volte dice, che iFranciosi sono nel principio della zuffa più che uomini,e nel successo del combattere riescono poi meno che fe-mine. E pensando donde questo nasca, si crede per moltiche sia la natura loro così fatta: il che credo sia vero; manon è per questo che questa loro natura, che gli fa ferocinel principio, non si potesse in modo con l'arte ordinare,che la gli mantenesse feroci infino nello ultimo.Ed a volere provare questo, dico come e' sono di tre ra-gioni eserciti: l'uno dove è furore ed ordine; perchédall'ordine nasce il furore e la virtù, come era quello de'Romani: perché si vede in tutte le istorie, che in quelloesercito era un ordine buono, che vi aveva introdottouna disciplina militare per lungo tempo. Perché in unoesercito, bene ordinato, nessuno debbe fare alcuna operase non regolarlo: e si troverrà, per questo, che nelloesercito romano, dal quale, avendo elli vinto il mondo,debbono prendere esemplo tutti gli altri eserciti, non simangiava, non si dormiva, non si meritricava, non si fa-ceva alcuna azione o militare o domestica sanza l'ordinedel console. Perché quegli eserciti che fanno altrimenti,

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36 Le cagioni perché i Franciosi siano stati esiano ancora giudicati nelle zuffe, da princi-

pio più che uomini.

La ferocità di quello Francioso che provocava qualun-que Romano, appresso al fiume Aniene, a combattereseco, dipoi la zuffa fatta intra lui e Tito Manlio, mi fa ri-cordare di quello che Tito Livio più volte dice, che iFranciosi sono nel principio della zuffa più che uomini,e nel successo del combattere riescono poi meno che fe-mine. E pensando donde questo nasca, si crede per moltiche sia la natura loro così fatta: il che credo sia vero; manon è per questo che questa loro natura, che gli fa ferocinel principio, non si potesse in modo con l'arte ordinare,che la gli mantenesse feroci infino nello ultimo.Ed a volere provare questo, dico come e' sono di tre ra-gioni eserciti: l'uno dove è furore ed ordine; perchédall'ordine nasce il furore e la virtù, come era quello de'Romani: perché si vede in tutte le istorie, che in quelloesercito era un ordine buono, che vi aveva introdottouna disciplina militare per lungo tempo. Perché in unoesercito, bene ordinato, nessuno debbe fare alcuna operase non regolarlo: e si troverrà, per questo, che nelloesercito romano, dal quale, avendo elli vinto il mondo,debbono prendere esemplo tutti gli altri eserciti, non simangiava, non si dormiva, non si meritricava, non si fa-ceva alcuna azione o militare o domestica sanza l'ordinedel console. Perché quegli eserciti che fanno altrimenti,

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non sono veri eserciti; e se fanno alcuna pruova, la fan-no per furore e per impeto, e non per virtù. Ma dove lavirtù ordinata usa il furore suo con i modi e co' tempi,né difficultà veruna lo invilisce, né li fa mancare l'ani-mo: perché gli ordini buoni gli rinfrescono l'animo ed ilfurore, nutriti dalla speranza del vincere; la quale mainon manca, infino a tanto che gli ordini stanno saldi. Alcontrario interviene in quelli eserciti dove è furore e nonordine, come erano i Franciosi, i quali tuttavia nel com-battere mancavano, perché, non riuscendo loro con ilprimo impeto vincere, e non essendo sostenuto da unavirtù ordinata quello loro furore nel quale egli speravanoné avendo fuori di quello cosa in la quale ei cunfidasso-no come quello era raffreddo, mancavano. Al contrario iRomani, dubitando meno de' pericoli per gli ordini lorobuoni non diffidando della vittoria, fermi ed ostinaticombattevano col medesimo animo e con la medesimavirtù nel fine che nel principio: anzi, agitati dalle armi,sempre si accendevano. La terza qualità di eserciti èdove non è furore naturale né ordine accidentale: comesono gli eserciti italiani de' nostri tempi, i quali sono altutto inutili; e se non si abbattano a uno esercito che perqualche accidente si fugga, mai non vinceranno. E sanzaaddurre altri esempli, si vede, ciascuno dì, come ei fan-no pruove di non avere alcuna virtù. E perché, con il te-stimonio di Tito Livio, ciascuno intenda come debbe es-sere fatta la buona milizia, e come è fatta la rea; io vo-glio addurre le parole di Papirio Cursore, quando ei vo-leva punire Fabio, Maestro de' cavalli, quando disse:

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non sono veri eserciti; e se fanno alcuna pruova, la fan-no per furore e per impeto, e non per virtù. Ma dove lavirtù ordinata usa il furore suo con i modi e co' tempi,né difficultà veruna lo invilisce, né li fa mancare l'ani-mo: perché gli ordini buoni gli rinfrescono l'animo ed ilfurore, nutriti dalla speranza del vincere; la quale mainon manca, infino a tanto che gli ordini stanno saldi. Alcontrario interviene in quelli eserciti dove è furore e nonordine, come erano i Franciosi, i quali tuttavia nel com-battere mancavano, perché, non riuscendo loro con ilprimo impeto vincere, e non essendo sostenuto da unavirtù ordinata quello loro furore nel quale egli speravanoné avendo fuori di quello cosa in la quale ei cunfidasso-no come quello era raffreddo, mancavano. Al contrario iRomani, dubitando meno de' pericoli per gli ordini lorobuoni non diffidando della vittoria, fermi ed ostinaticombattevano col medesimo animo e con la medesimavirtù nel fine che nel principio: anzi, agitati dalle armi,sempre si accendevano. La terza qualità di eserciti èdove non è furore naturale né ordine accidentale: comesono gli eserciti italiani de' nostri tempi, i quali sono altutto inutili; e se non si abbattano a uno esercito che perqualche accidente si fugga, mai non vinceranno. E sanzaaddurre altri esempli, si vede, ciascuno dì, come ei fan-no pruove di non avere alcuna virtù. E perché, con il te-stimonio di Tito Livio, ciascuno intenda come debbe es-sere fatta la buona milizia, e come è fatta la rea; io vo-glio addurre le parole di Papirio Cursore, quando ei vo-leva punire Fabio, Maestro de' cavalli, quando disse:

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«Nemo hominum, nemo Deorum, verecundiam habeat;non edicta imperatorum, non auspicia observentur; sinecommeatu vagi milites in pacato, in hostico errent; im-memores sacramenti, licentia sola se ubi velint exaucto-rent; infrequentia deserant signa; neque conveniatur adedictum, nec discernantur, interdiu nocte; aequo iniquoloco, iussu iniussu imperatoris pugnent; et non signa,non ordines servent: latrocinii modo, caeca et fortuitapro sollemni et sacrata militia sit». E puossi per questotesto adunque, facilmente vedere se la milizia de' nostritempi è cieca e fortuita, o sacrata e solenne; e quanto lemanca a essere simile a quella che si può chiamare mili-zia; e quanto ella è discosto da essere furiosa ed ordina-ta, come la romana, o furiosa solo, come la franciosa.

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«Nemo hominum, nemo Deorum, verecundiam habeat;non edicta imperatorum, non auspicia observentur; sinecommeatu vagi milites in pacato, in hostico errent; im-memores sacramenti, licentia sola se ubi velint exaucto-rent; infrequentia deserant signa; neque conveniatur adedictum, nec discernantur, interdiu nocte; aequo iniquoloco, iussu iniussu imperatoris pugnent; et non signa,non ordines servent: latrocinii modo, caeca et fortuitapro sollemni et sacrata militia sit». E puossi per questotesto adunque, facilmente vedere se la milizia de' nostritempi è cieca e fortuita, o sacrata e solenne; e quanto lemanca a essere simile a quella che si può chiamare mili-zia; e quanto ella è discosto da essere furiosa ed ordina-ta, come la romana, o furiosa solo, come la franciosa.

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37 Se le piccole battaglie innanzi alla giorna-ta sono necessarie; e come si debbe fare a co-noscere uno inimico nuovo, volendo fuggire

quelle.

E' pare che nelle azioni degli uomini, come altra voltaabbiamo discorso, si truovi, oltre alle altre difficultà, nelvolere condurre la cosa alla sua perfezione, che semprepropinquo al bene sia qualche male, il quale con quelbene sì facilmente nasca che pare impossibile poteremancare dell'uno, volendo l'altro. E questo si vede intutte le cose che gli uomini operano. E però si acquista ilbene con difficultà, se dalla fortuna tu non se' aiutato inmodo, che ella con la sua forza vinca questo ordinario enaturale inconveniente. Di questo mi ha fatto ricordarela zuffa di Manlio e del Francioso, dove Tito Livio dice:«Tanti ea dimicatio ad universi belli eventum momentifuit, ut Gallorum exercitus, relictis trepide Castris, in Ti-burtem agrum mox in Campaniam transierit». Perché ioconsidero, dall'uno canto, che uno buono capitano debbefuggire, al tutto, di operare alcuna cosa, che, essendo dipoco momento, possa fare cattivi effetti nel suo esercito:perché cominciare una zuffa dove non si operino tutte leforze e vi si arrischi tutta la fortuna, è cosa al tutto teme-raria; come io dissi di sopra, quando io dannai il guarda-re de' passi.Dall'altra parte, io considero come i capitani savi, quan-

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37 Se le piccole battaglie innanzi alla giorna-ta sono necessarie; e come si debbe fare a co-noscere uno inimico nuovo, volendo fuggire

quelle.

E' pare che nelle azioni degli uomini, come altra voltaabbiamo discorso, si truovi, oltre alle altre difficultà, nelvolere condurre la cosa alla sua perfezione, che semprepropinquo al bene sia qualche male, il quale con quelbene sì facilmente nasca che pare impossibile poteremancare dell'uno, volendo l'altro. E questo si vede intutte le cose che gli uomini operano. E però si acquista ilbene con difficultà, se dalla fortuna tu non se' aiutato inmodo, che ella con la sua forza vinca questo ordinario enaturale inconveniente. Di questo mi ha fatto ricordarela zuffa di Manlio e del Francioso, dove Tito Livio dice:«Tanti ea dimicatio ad universi belli eventum momentifuit, ut Gallorum exercitus, relictis trepide Castris, in Ti-burtem agrum mox in Campaniam transierit». Perché ioconsidero, dall'uno canto, che uno buono capitano debbefuggire, al tutto, di operare alcuna cosa, che, essendo dipoco momento, possa fare cattivi effetti nel suo esercito:perché cominciare una zuffa dove non si operino tutte leforze e vi si arrischi tutta la fortuna, è cosa al tutto teme-raria; come io dissi di sopra, quando io dannai il guarda-re de' passi.Dall'altra parte, io considero come i capitani savi, quan-

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do vengono allo incontro d'uno nuovo nimico, e ch'e' siariputato, ei sono necessitati, prima che venghino allagiornata, fare provare, con leggieri zuffe, ai loro soldati,tali nimici; acciocché, cominciandogli a conoscere emaneggiare, perdino quel terrore che la fama e la riputa-zione aveva dato loro. E questa parte in uno capitano èimportantissima; perché ella ha in sé quasi una necessitàche ti costringe a farla, parendoti andare ad una manife-sta perdita, sanza avere prima fatto, con piccole ispe-rienze, di tôrre ai tuoi soldati quello terrore che la ripu-tazione del nimico aveva messo negli animi loro.Fu Valerio Corvino mandato dai Romani con gli eserciticontro ai Sanniti nuovi inimici, e che per lo addietro mainon avevano provate l'armi l'uno dell'altro, dove diceTito Livio, che Valerio fece fare ai Romani con i Sannitialcune leggieri zuffe «ne eos novum bellum, ne novushostis terreret». Nondimeno è pericolo gravissimo, che,restando i tuoi soldati in quelle battaglie vinti, la paura ela viltà non cresca loro, e ne conseguitino contrari effettia' disegni tuoi: cioè, che tu gli sbigottisca, avendo dise-gnato di assicurargli: tanto che questa è una di quellecose che ha il male sì propinquo al bene, e tanto sonocongiunti insieme, che gli è facil cosa prendere l'uno,credendo pigliare l'altro. Sopra che io dico, che unobuono capitano debbe osservare con ogni diligenza, chenon surga alcuna cosa che per alcuno accidente possatôrre l'animo allo esercito suo. Quello che gli può tôrrel'animo è cominciare a perdere; e però si debbe guardare

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do vengono allo incontro d'uno nuovo nimico, e ch'e' siariputato, ei sono necessitati, prima che venghino allagiornata, fare provare, con leggieri zuffe, ai loro soldati,tali nimici; acciocché, cominciandogli a conoscere emaneggiare, perdino quel terrore che la fama e la riputa-zione aveva dato loro. E questa parte in uno capitano èimportantissima; perché ella ha in sé quasi una necessitàche ti costringe a farla, parendoti andare ad una manife-sta perdita, sanza avere prima fatto, con piccole ispe-rienze, di tôrre ai tuoi soldati quello terrore che la ripu-tazione del nimico aveva messo negli animi loro.Fu Valerio Corvino mandato dai Romani con gli eserciticontro ai Sanniti nuovi inimici, e che per lo addietro mainon avevano provate l'armi l'uno dell'altro, dove diceTito Livio, che Valerio fece fare ai Romani con i Sannitialcune leggieri zuffe «ne eos novum bellum, ne novushostis terreret». Nondimeno è pericolo gravissimo, che,restando i tuoi soldati in quelle battaglie vinti, la paura ela viltà non cresca loro, e ne conseguitino contrari effettia' disegni tuoi: cioè, che tu gli sbigottisca, avendo dise-gnato di assicurargli: tanto che questa è una di quellecose che ha il male sì propinquo al bene, e tanto sonocongiunti insieme, che gli è facil cosa prendere l'uno,credendo pigliare l'altro. Sopra che io dico, che unobuono capitano debbe osservare con ogni diligenza, chenon surga alcuna cosa che per alcuno accidente possatôrre l'animo allo esercito suo. Quello che gli può tôrrel'animo è cominciare a perdere; e però si debbe guardare

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dalle zuffe piccole, e non le permettere se non con gran-dissimo vantaggio, e con speranza di certa vittoria: nondebbe fare imprese di guardare passi, dove non possa te-nere tutto lo esercito suo: non debbe guardare terre, senon quelle che, perdendole, di necessità ne seguisse larovina sua; e quelle che guarda, ordinarsi in modo, e conle guardie di esse e con lo esercito, che, trattandosi dellaispugnazione di esse, ei possa adoperare tutte le forzesue; l'altre debbe lasciare indifese. Perché ogni volta chesi perde una cosa che si abbandoni, e lo esercito sia an-cora insieme, non si perde la riputazione della guerra néla speranza del vincerla: ma quando si perde una cosache tu hai disegnata difendere, e ciascuno crede che tula difenda, allora è il danno e la perdita; ed hai quasi,come i Franciosi, con una cosa di piccolo momento per-duta la guerra.Filippo di Macedonia, padre di Perse, uomo militare e digran condizione ne' tempi suoi, essendo assaltato daiRomani, assai de' suoi paesi, i quali elli giudicava nonpotere guardare, abbandonò e guastò: come quello che,per essere prudente, giudicava più pernizioso perdere lariputazione col non potere difendere quello che si mette-va a difendere, che, lasciandolo in preda al nimico per-derlo come cosa negletta. I Romani, quando dopo la rot-ta di Canne le cose loro erano afflitte, negarono a moltiloro raccomandati e sudditi gli aiuti, commettendo loroche si difendessono il meglio potessono. I quali partitisono migliori assai, che pigliare difese e poi non le di-

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dalle zuffe piccole, e non le permettere se non con gran-dissimo vantaggio, e con speranza di certa vittoria: nondebbe fare imprese di guardare passi, dove non possa te-nere tutto lo esercito suo: non debbe guardare terre, senon quelle che, perdendole, di necessità ne seguisse larovina sua; e quelle che guarda, ordinarsi in modo, e conle guardie di esse e con lo esercito, che, trattandosi dellaispugnazione di esse, ei possa adoperare tutte le forzesue; l'altre debbe lasciare indifese. Perché ogni volta chesi perde una cosa che si abbandoni, e lo esercito sia an-cora insieme, non si perde la riputazione della guerra néla speranza del vincerla: ma quando si perde una cosache tu hai disegnata difendere, e ciascuno crede che tula difenda, allora è il danno e la perdita; ed hai quasi,come i Franciosi, con una cosa di piccolo momento per-duta la guerra.Filippo di Macedonia, padre di Perse, uomo militare e digran condizione ne' tempi suoi, essendo assaltato daiRomani, assai de' suoi paesi, i quali elli giudicava nonpotere guardare, abbandonò e guastò: come quello che,per essere prudente, giudicava più pernizioso perdere lariputazione col non potere difendere quello che si mette-va a difendere, che, lasciandolo in preda al nimico per-derlo come cosa negletta. I Romani, quando dopo la rot-ta di Canne le cose loro erano afflitte, negarono a moltiloro raccomandati e sudditi gli aiuti, commettendo loroche si difendessono il meglio potessono. I quali partitisono migliori assai, che pigliare difese e poi non le di-

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fendere: perché in questo partito si perde amici e forze;in quello, amici solo. Ma tornando alle piccole zuffe,dico che, se pure uno capitano è costretto per la novitàdel nimico fare qualche zuffa, debbe farla con tanto suovantaggio, che non vi sia alcuno pericolo di perderla: overamente fare come Mario (il che è migliore partito), ilquale, andando contro a' Cimbri, popoli ferocissimi, chevenivano a predare Italia, e venendo con uno spaventogrande per la ferocità e moltitudine loro, e per avere digià vinto uno esercito romano, giudicò Mario essere ne-cessario, innanzi che venisse alla zuffa, operare alcunacosa per la quale lo esercito suo deponesse quel terroreche la paura del nimico gli aveva dato; e, come pruden-tissimo capitano, più che una volta collocò lo esercitosuo in luogo donde i Cimbri con lo esercito loro doves-sono passare. E così, dentro alle fortezze del suo campo,volle che i suoi soldati gli vedessono, ed assuefacessonoli occhi alla vista di quello nimico; acciocché, vedendouna moltitudine inordinata, piena d'impedimenti, conarmi inutili, e parte disarmati, si rassicurassono, e diven-tassono desiderosi della zuffa. Il quale partito, come fuda Mario saviamente preso, così dagli altri debbe esserediligentemente imitato, per non incorrere in quelli peri-coli che io dico disopra, e non avere a fare come i Fran-ciosi, «qui ob rem parvi ponderis trepidi, in Tiburtemagrum et in Campaniam transierunt». E perché noi ab-biamo allegato in questo discorso Valerio Corvino, vo-glio, mediante le parole sue, nel seguente capitolo, comedebbe essere fatto uno capitano, dimostrare.

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fendere: perché in questo partito si perde amici e forze;in quello, amici solo. Ma tornando alle piccole zuffe,dico che, se pure uno capitano è costretto per la novitàdel nimico fare qualche zuffa, debbe farla con tanto suovantaggio, che non vi sia alcuno pericolo di perderla: overamente fare come Mario (il che è migliore partito), ilquale, andando contro a' Cimbri, popoli ferocissimi, chevenivano a predare Italia, e venendo con uno spaventogrande per la ferocità e moltitudine loro, e per avere digià vinto uno esercito romano, giudicò Mario essere ne-cessario, innanzi che venisse alla zuffa, operare alcunacosa per la quale lo esercito suo deponesse quel terroreche la paura del nimico gli aveva dato; e, come pruden-tissimo capitano, più che una volta collocò lo esercitosuo in luogo donde i Cimbri con lo esercito loro doves-sono passare. E così, dentro alle fortezze del suo campo,volle che i suoi soldati gli vedessono, ed assuefacessonoli occhi alla vista di quello nimico; acciocché, vedendouna moltitudine inordinata, piena d'impedimenti, conarmi inutili, e parte disarmati, si rassicurassono, e diven-tassono desiderosi della zuffa. Il quale partito, come fuda Mario saviamente preso, così dagli altri debbe esserediligentemente imitato, per non incorrere in quelli peri-coli che io dico disopra, e non avere a fare come i Fran-ciosi, «qui ob rem parvi ponderis trepidi, in Tiburtemagrum et in Campaniam transierunt». E perché noi ab-biamo allegato in questo discorso Valerio Corvino, vo-glio, mediante le parole sue, nel seguente capitolo, comedebbe essere fatto uno capitano, dimostrare.

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38 Come debbe essere fatto uno capitano nelquale lo esercito suo possa confidare.

Era, come di sopra dicemo, Valerio Corvino con lo eser-cito contro ai Sanniti, nuovi nimici del Popolo romano:donde che, per assicurare i suoi soldati, e per farli cono-scere i nimici, fece fare a' suoi certe leggieri zuffe; e nongli bastando questo, volle, avanti alla giornata, parlareloro, e mostrò, con ogni efficacia, quanto ei dovevanostimare poco tali nimici, allegando la virtù de' suoi sol-dati, e la propria. Dove si può notare, per le parole cheLivio gli fa dire, come debbe essere fatto uno capitanoin chi lo esercito abbia a confidare; le quali parole sonoqueste: «Tum etiam intueri, cuius ductu auspicioqueineunda pugna sit, utrum, qui audiendus dumtaxat ma-gnificus adhortator sit, verbis tantum ferox, operum mi-litarium expers, an qui et ipse tela tractare, procedereante signa, versari media in mole pugnae sciat. Factamea, non dicta, vos, milites, sequi volo; nec disciplinammodo, sed exemplum etiam a me petere, qui hac dextramihi tres consulatus, summamque laudem peperi». Lequali parole, considerate bene, insegnano a qualunque,come ei debbe procedere a volere tenere il grado del ca-pitano: e quello che sarà fatto altrimenti, troverrà, con iltempo, quel grado, quando per fortuna o per ambizionevi sia condotto, torgli e non dargli riputazione; perchénon i titoli illustrono gli uomini, ma gli uomini i titoli.Debbesi ancora dal principio di questo discorso conside-

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38 Come debbe essere fatto uno capitano nelquale lo esercito suo possa confidare.

Era, come di sopra dicemo, Valerio Corvino con lo eser-cito contro ai Sanniti, nuovi nimici del Popolo romano:donde che, per assicurare i suoi soldati, e per farli cono-scere i nimici, fece fare a' suoi certe leggieri zuffe; e nongli bastando questo, volle, avanti alla giornata, parlareloro, e mostrò, con ogni efficacia, quanto ei dovevanostimare poco tali nimici, allegando la virtù de' suoi sol-dati, e la propria. Dove si può notare, per le parole cheLivio gli fa dire, come debbe essere fatto uno capitanoin chi lo esercito abbia a confidare; le quali parole sonoqueste: «Tum etiam intueri, cuius ductu auspicioqueineunda pugna sit, utrum, qui audiendus dumtaxat ma-gnificus adhortator sit, verbis tantum ferox, operum mi-litarium expers, an qui et ipse tela tractare, procedereante signa, versari media in mole pugnae sciat. Factamea, non dicta, vos, milites, sequi volo; nec disciplinammodo, sed exemplum etiam a me petere, qui hac dextramihi tres consulatus, summamque laudem peperi». Lequali parole, considerate bene, insegnano a qualunque,come ei debbe procedere a volere tenere il grado del ca-pitano: e quello che sarà fatto altrimenti, troverrà, con iltempo, quel grado, quando per fortuna o per ambizionevi sia condotto, torgli e non dargli riputazione; perchénon i titoli illustrono gli uomini, ma gli uomini i titoli.Debbesi ancora dal principio di questo discorso conside-

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rare che, se gli capitani grandi hanno usati terminiistraordinari a fermare gli animi d'uno esercito veteranoquando con i nimici inconsueti debbe affrontarsi; quantomaggiormente si abbia a usare la industria quando si co-mandi uno esercito nuovo, che non abbia mai veduto ilnimico in viso! Perché, se lo inusitato inimico allo eser-cito vecchio dà terrore, tanto maggiormente lo debbedare ogni inimico a uno esercito nuovo. Pure, si è vedu-to molte volte dai buoni capitani tutte queste difficultàcon somma prudenza essere vinte: come fece quel Grac-co romano, ed Epaminonda tebano, de' quali altra voltaabbiamo parlato, che con eserciti nuovi vinsono esercitiveterani ed esercitatissimi.I modi che ei tenevano, era: parecchi mesi esercitargli inbattaglie fitte e assuefargli alla ubbidienza ed allo ordi-ne; e da quelli poi, con massima confidenza, nella verazuffa gli adoperavano. Non si debba, adunque, diffidarealcuno uomo militare di non potere fare buoni eserciti,quando non gli manchi uomini; perché quel principe,che abbonda di uomini e manca di soldati, debbe sola-mente, non della viltà degli uomini, ma della sua pigri-zia e poca prudenza, dolersi.

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rare che, se gli capitani grandi hanno usati terminiistraordinari a fermare gli animi d'uno esercito veteranoquando con i nimici inconsueti debbe affrontarsi; quantomaggiormente si abbia a usare la industria quando si co-mandi uno esercito nuovo, che non abbia mai veduto ilnimico in viso! Perché, se lo inusitato inimico allo eser-cito vecchio dà terrore, tanto maggiormente lo debbedare ogni inimico a uno esercito nuovo. Pure, si è vedu-to molte volte dai buoni capitani tutte queste difficultàcon somma prudenza essere vinte: come fece quel Grac-co romano, ed Epaminonda tebano, de' quali altra voltaabbiamo parlato, che con eserciti nuovi vinsono esercitiveterani ed esercitatissimi.I modi che ei tenevano, era: parecchi mesi esercitargli inbattaglie fitte e assuefargli alla ubbidienza ed allo ordi-ne; e da quelli poi, con massima confidenza, nella verazuffa gli adoperavano. Non si debba, adunque, diffidarealcuno uomo militare di non potere fare buoni eserciti,quando non gli manchi uomini; perché quel principe,che abbonda di uomini e manca di soldati, debbe sola-mente, non della viltà degli uomini, ma della sua pigri-zia e poca prudenza, dolersi.

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39 Che uno capitano debbe essere conoscito-re de' siti.

Intra le altre cose che sono necessarie a uno capitano dieserciti, è la cognizione de' siti e de' paesi; perché, sanzaquesta cognizione generale e particulare, uno capitanodi eserciti non può bene operare alcuna cosa. E perchétutte le scienze vogliono pratica a volere perfettamentepossederle, questa è una che ricerca pratica grandissima.Questa pratica, ovvero questa particulare cognizione, siacquista più mediante le cacce che per veruno altro eser-cizio. Però gli antichi scrittori dicono che quelli eroi chegovernarono nel loro tempo il mondo, si nutrirono nelleselve e nelle cacce; perché la caccia, oltre a questa co-gnizione, c'insegna infinite cose che sono nella guerranecessarie. E Senofonte, nella vita di Ciro, mostra che,andando Ciro ad assaltare il re d'Armenia, nel divisarequella fazione, ricordò a quegli suoi, che questa non eraaltro che una di quelle cacce le quali molte volte aveva-no fatte seco. E ricordava a quelli che mandava in ag-guato in su e' monti, che gli erano simili a quelli che an-davano a tendere le reti in su e' gioghi; ed a quelli chescorrevano per il piano, erano simili a quegli che anda-vano a levare del suo covile la fiera, acciocché, cacciata,desse nelle reti.Questo si dice per mostrare come le cacce, secondo cheSenofonte appruova, sono una immagine d'una guerra: eper questo agli uomini grandi tale esercizio è onorevole

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39 Che uno capitano debbe essere conoscito-re de' siti.

Intra le altre cose che sono necessarie a uno capitano dieserciti, è la cognizione de' siti e de' paesi; perché, sanzaquesta cognizione generale e particulare, uno capitanodi eserciti non può bene operare alcuna cosa. E perchétutte le scienze vogliono pratica a volere perfettamentepossederle, questa è una che ricerca pratica grandissima.Questa pratica, ovvero questa particulare cognizione, siacquista più mediante le cacce che per veruno altro eser-cizio. Però gli antichi scrittori dicono che quelli eroi chegovernarono nel loro tempo il mondo, si nutrirono nelleselve e nelle cacce; perché la caccia, oltre a questa co-gnizione, c'insegna infinite cose che sono nella guerranecessarie. E Senofonte, nella vita di Ciro, mostra che,andando Ciro ad assaltare il re d'Armenia, nel divisarequella fazione, ricordò a quegli suoi, che questa non eraaltro che una di quelle cacce le quali molte volte aveva-no fatte seco. E ricordava a quelli che mandava in ag-guato in su e' monti, che gli erano simili a quelli che an-davano a tendere le reti in su e' gioghi; ed a quelli chescorrevano per il piano, erano simili a quegli che anda-vano a levare del suo covile la fiera, acciocché, cacciata,desse nelle reti.Questo si dice per mostrare come le cacce, secondo cheSenofonte appruova, sono una immagine d'una guerra: eper questo agli uomini grandi tale esercizio è onorevole

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e necessario. Non si può ancora imparare questa cogni-zione de' paesi in altro commodo modo, che per via dicaccia, perché la caccia fa, a colui che la usa saperecome sta particularmente quel paese dove elli la eserci-ta. E fatto che uno si è familiare bene una regione, confacilità comprende poi tutti i paesi nuovi; perché ognipaese ed ogni membro di quelli hanno insieme qualcheconformità, in modo che dalla cognizione d'uno facil-mente si passa alla cognizione dell'altro. Ma chi non neha bene pratico uno, con difficultà, anzi non mai se noncon un lungo tempo, può conoscere l'altro. E chi ha que-sta pratica, in uno voltare d'occhio sa come giace quelpiano, come surge quel monte, dove arriva quella valle,e tutte le altre simili cose, di che elli ha per lo addietrofatto una ferma scienza. E che questo sia vero, ce lo mo-stra Tito Livio con lo esemplo di Publio Decio; il quale,essendo Tribuno de' soldati nello esercito che Cornelioconsolo conduceva contro ai Sanniti, ed essendosi ilConsolo ridotto in una valle, dove lo esercito de' Roma-ni poteva dai Sanniti essere rinchiuso, e vedendosi intanto pericolo, disse al Consolo: «Vides tu, Aule Corne-li, cacumen illud supra hostem? arx illa est spei saluti-sque nostrae, si eam (quoniam caeci reliquere Samnites)impigre capimus». Ed innanzi a queste parole, dette daDecio, Tito Livio dice: «Publius Decius tribunus mili-tum, conspicit unum editum in saltu collem, imminen-tem hostium castris aditu arduum impedito agmini, ex-peditis haud difficilem». Donde, essendo stato mandatosopra esso dal Consolo con tremila soldati, ed avendo

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e necessario. Non si può ancora imparare questa cogni-zione de' paesi in altro commodo modo, che per via dicaccia, perché la caccia fa, a colui che la usa saperecome sta particularmente quel paese dove elli la eserci-ta. E fatto che uno si è familiare bene una regione, confacilità comprende poi tutti i paesi nuovi; perché ognipaese ed ogni membro di quelli hanno insieme qualcheconformità, in modo che dalla cognizione d'uno facil-mente si passa alla cognizione dell'altro. Ma chi non neha bene pratico uno, con difficultà, anzi non mai se noncon un lungo tempo, può conoscere l'altro. E chi ha que-sta pratica, in uno voltare d'occhio sa come giace quelpiano, come surge quel monte, dove arriva quella valle,e tutte le altre simili cose, di che elli ha per lo addietrofatto una ferma scienza. E che questo sia vero, ce lo mo-stra Tito Livio con lo esemplo di Publio Decio; il quale,essendo Tribuno de' soldati nello esercito che Cornelioconsolo conduceva contro ai Sanniti, ed essendosi ilConsolo ridotto in una valle, dove lo esercito de' Roma-ni poteva dai Sanniti essere rinchiuso, e vedendosi intanto pericolo, disse al Consolo: «Vides tu, Aule Corne-li, cacumen illud supra hostem? arx illa est spei saluti-sque nostrae, si eam (quoniam caeci reliquere Samnites)impigre capimus». Ed innanzi a queste parole, dette daDecio, Tito Livio dice: «Publius Decius tribunus mili-tum, conspicit unum editum in saltu collem, imminen-tem hostium castris aditu arduum impedito agmini, ex-peditis haud difficilem». Donde, essendo stato mandatosopra esso dal Consolo con tremila soldati, ed avendo

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salvo lo esercito romano e disegnando, venente la notte,di partirsi, e salvare ancora sé ed i suoi soldati, gli fadire queste parole: «Ite mecum, ut, dum lucis aliquid su-perest, quibus locis hostes praesidia ponant, qua pateathinc exitus, exploremus. Haec omnia sagulo militariamicus ne ducem circumire hostes notarent, perlustra-vit». Chi considerrà, adunque, tutto questo testo, vedràquanto sia utile e necessario a uno capitano sapere la na-tura de' paesi: perché, se Decio non gli avesse saputi econosciuti, non arebbe potuto giudicare quale utile face-va pigliare quel colle, allo esercito Romano, né arebbepotuto conoscere di discosto, se quel colle era accessibi-le o no; e condotto che si fu poi sopra esso, volendosenepartire per ritornare al Consolo, avendo i nimici intorno,non arebbe dal discosto potuto speculare le vie dello an-darsene, e gli luoghi guardati da' nimici. Tanto che, dinecessità conveniva, che Decio avesse tale cognizioneperfetta: la quale fece che, con il pigliare quel colle, eisalvò lo esercito romano; dipoi seppe, sendo assediato,trovare la via a salvare sé e quegli che erano stati seco.

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salvo lo esercito romano e disegnando, venente la notte,di partirsi, e salvare ancora sé ed i suoi soldati, gli fadire queste parole: «Ite mecum, ut, dum lucis aliquid su-perest, quibus locis hostes praesidia ponant, qua pateathinc exitus, exploremus. Haec omnia sagulo militariamicus ne ducem circumire hostes notarent, perlustra-vit». Chi considerrà, adunque, tutto questo testo, vedràquanto sia utile e necessario a uno capitano sapere la na-tura de' paesi: perché, se Decio non gli avesse saputi econosciuti, non arebbe potuto giudicare quale utile face-va pigliare quel colle, allo esercito Romano, né arebbepotuto conoscere di discosto, se quel colle era accessibi-le o no; e condotto che si fu poi sopra esso, volendosenepartire per ritornare al Consolo, avendo i nimici intorno,non arebbe dal discosto potuto speculare le vie dello an-darsene, e gli luoghi guardati da' nimici. Tanto che, dinecessità conveniva, che Decio avesse tale cognizioneperfetta: la quale fece che, con il pigliare quel colle, eisalvò lo esercito romano; dipoi seppe, sendo assediato,trovare la via a salvare sé e quegli che erano stati seco.

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40 Come usare la fraude nel maneggiare laguerra è cosa gloriosa.

Ancora che lo usare la fraude in ogni azione sia detesta-bile, nondimanco nel maneggiare la guerra è cosa lauda-bile e gloriosa; e, parimente è laudato colui che confraude supera il nimico, come quello che lo supera conle forze. E vedesi questo per il giudicio che ne fanno co-loro che scrivono le vite degli uomini grandi; i quali lo-dono Annibale e gli altri che sono stati notabilissimi insimili modi di procedere. Di che per leggersi assaiesempli, non ne replicherò alcuno. Dirò solo questo, cheio non intendo quella fraude essere gloriosa, che ti farompere la fede data ed i patti fatti; perché questa, anco-ra che la ti acquisti, qualche volta, stato e regno, comedi sopra si discorse, la non ti acquisterà mai gloria. Maparlo di quella fraude che si usa con quel nimico chenon si fida di te, e che consiste proprio nel maneggiarela guerra; come fu quella di Annibale quando in sul lagodi Perugia simulò la fuga per rinchiudere il Consolo e loesercito romano, e quando, per uscire di mano di FabioMassimo, accese le corna dello armento suo.Alle quali fraudi fu simile questa che usò Ponzio capita-no dei Sanniti, per rinchiudere lo esercito romano dentroalle Forche Caudine: il quale, avendo messo lo esercitosuo a ridosso de' monti, mandò più suoi soldati sotto ve-ste di pastori con assai armento per il piano; i quali sen-do presi dai Romani, e domandati dove era lo esercito

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40 Come usare la fraude nel maneggiare laguerra è cosa gloriosa.

Ancora che lo usare la fraude in ogni azione sia detesta-bile, nondimanco nel maneggiare la guerra è cosa lauda-bile e gloriosa; e, parimente è laudato colui che confraude supera il nimico, come quello che lo supera conle forze. E vedesi questo per il giudicio che ne fanno co-loro che scrivono le vite degli uomini grandi; i quali lo-dono Annibale e gli altri che sono stati notabilissimi insimili modi di procedere. Di che per leggersi assaiesempli, non ne replicherò alcuno. Dirò solo questo, cheio non intendo quella fraude essere gloriosa, che ti farompere la fede data ed i patti fatti; perché questa, anco-ra che la ti acquisti, qualche volta, stato e regno, comedi sopra si discorse, la non ti acquisterà mai gloria. Maparlo di quella fraude che si usa con quel nimico chenon si fida di te, e che consiste proprio nel maneggiarela guerra; come fu quella di Annibale quando in sul lagodi Perugia simulò la fuga per rinchiudere il Consolo e loesercito romano, e quando, per uscire di mano di FabioMassimo, accese le corna dello armento suo.Alle quali fraudi fu simile questa che usò Ponzio capita-no dei Sanniti, per rinchiudere lo esercito romano dentroalle Forche Caudine: il quale, avendo messo lo esercitosuo a ridosso de' monti, mandò più suoi soldati sotto ve-ste di pastori con assai armento per il piano; i quali sen-do presi dai Romani, e domandati dove era lo esercito

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de' Sanniti, convennono tutti, secondo l'ordine dato daPonzio, a dire come egli era allo assedio di Nocera. Laquale cosa, creduta dai Consoli, fece che ei si rinchiuso-no dentro ai balzi caudini; dove entrati, furono subitoassediati dai Sanniti. E sarebbe stata questa vittoria,avuta per fraude, gloriosissima a Ponzio, se egli avesseseguitati i consigli del padre il quale voleva che i Roma-ni o ei si salvassono liberamente o ei si ammazzassonotutti, e che non si pigliasse la via del mezzo, «quae, ne-que amicos parat neque inimicos tollit». La quale via fusempre perniziosa nelle cose di stato come di sopra inaltro luogo si discorse.

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de' Sanniti, convennono tutti, secondo l'ordine dato daPonzio, a dire come egli era allo assedio di Nocera. Laquale cosa, creduta dai Consoli, fece che ei si rinchiuso-no dentro ai balzi caudini; dove entrati, furono subitoassediati dai Sanniti. E sarebbe stata questa vittoria,avuta per fraude, gloriosissima a Ponzio, se egli avesseseguitati i consigli del padre il quale voleva che i Roma-ni o ei si salvassono liberamente o ei si ammazzassonotutti, e che non si pigliasse la via del mezzo, «quae, ne-que amicos parat neque inimicos tollit». La quale via fusempre perniziosa nelle cose di stato come di sopra inaltro luogo si discorse.

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41 Che la patria si debbe difendere o conignominia o con gloria; ed in qualunque

modo è bene difesa.

Era, come di sopra si è detto, il Consolo e lo esercito ro-mano assediato da' Sanniti: i quali avendo posto ai Ro-mani condizioni ignominiosissime (come era volerglimettere sotto il giogo, e disarmati rimandargli a Roma),e per questo stando i Consoli come attoniti, e tutto loesercito disperato; Lucio Lentolo, legato romano, disseche non gli pareva che fosse da fuggire qualunque parti-to per salvare la patria: perché, consistendo la vita diRoma nella vita di quello esercito, gli pareva da salvarloin ogni modo; e che la patria è bene difesa in qualunquemodo la si difende, o con ignominia o con gloria: per-ché, salvandosi quello esercito, Roma era a tempo acancellare la ignominia; non si salvando, ancora chegloriosamente morisse, era perduto Roma e la libertàsua. E così fu seguitato il suo consiglio. La quale cosamerita di essere notata ed osservata da qualunque citta-dino si truova a consigliare la patria sua: perché dove sidilibera al tutto della salute della patria, non vi debbecadere alcuna considerazione né di giusto né d'ingiusto,né di piatoso né di crudele, né di laudabile né d'ignomi-nioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tuttoquel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà.La quale cosa è imitata con i detti e con i fatti dai Fran-ciosi, per difendere la maestà del loro re e la potenza del

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41 Che la patria si debbe difendere o conignominia o con gloria; ed in qualunque

modo è bene difesa.

Era, come di sopra si è detto, il Consolo e lo esercito ro-mano assediato da' Sanniti: i quali avendo posto ai Ro-mani condizioni ignominiosissime (come era volerglimettere sotto il giogo, e disarmati rimandargli a Roma),e per questo stando i Consoli come attoniti, e tutto loesercito disperato; Lucio Lentolo, legato romano, disseche non gli pareva che fosse da fuggire qualunque parti-to per salvare la patria: perché, consistendo la vita diRoma nella vita di quello esercito, gli pareva da salvarloin ogni modo; e che la patria è bene difesa in qualunquemodo la si difende, o con ignominia o con gloria: per-ché, salvandosi quello esercito, Roma era a tempo acancellare la ignominia; non si salvando, ancora chegloriosamente morisse, era perduto Roma e la libertàsua. E così fu seguitato il suo consiglio. La quale cosamerita di essere notata ed osservata da qualunque citta-dino si truova a consigliare la patria sua: perché dove sidilibera al tutto della salute della patria, non vi debbecadere alcuna considerazione né di giusto né d'ingiusto,né di piatoso né di crudele, né di laudabile né d'ignomi-nioso; anzi, posposto ogni altro rispetto, seguire al tuttoquel partito che le salvi la vita e mantenghile la libertà.La quale cosa è imitata con i detti e con i fatti dai Fran-ciosi, per difendere la maestà del loro re e la potenza del

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loro regno; perché nessuna voce odono più impaziente-mente che quella che dicesse: - Il tale partito è ignomi-nioso per il re -; perché dicono che il loro re non può pa-tire vergogna in qualunque sua diliberazione, o in buonao in avversa fortuna: perché, se perde, se vince, tutto di-cono essere cose da re.

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loro regno; perché nessuna voce odono più impaziente-mente che quella che dicesse: - Il tale partito è ignomi-nioso per il re -; perché dicono che il loro re non può pa-tire vergogna in qualunque sua diliberazione, o in buonao in avversa fortuna: perché, se perde, se vince, tutto di-cono essere cose da re.

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42 Che le promesse fatte per forza, non sidebbono osservare.

Tornati i Consoli con lo esercito disarmato e con la rice-vuta ignominia a Roma, il primo che in Senato disse chela pace fatta a Caudio non si doveva osservare, fu il con-solo Spurio Postumio; dicendo, come il popolo romanonon era obligato, ma ch'egli era bene obligato esso e glialtri che avevano promessa la pace: e però il popolo, vo-lendosi liberare da ogni obligo, aveva a dare prigioninelle mani de' Sanniti lui e tutti gli altri che l'avevanopromessa. E con tanta ostinazione tenne questa conclu-sione, che il Senato ne fu contento; e mandando prigionilui e gli altri in Sannio, protestarono ai Sanniti la pacenon valere. E tanto fu in questo caso, a Postumio, favo-revole la fortuna, che i Sanniti non lo ritennono; e ritor-nato in Roma, fu Postumio appresso ai Romani più glo-rioso per avere perduto, che non fu Ponzio appresso aiSanniti per avere vinto. Dove sono da notare due cose:l'una, che in qualunque azione si può acquistare gloria,perché nella vittoria si acquista ordinariamente; nellaperdita si acquista o col mostrare tale perdita non esserevenuta per tua colpa, o per fare subito qualche azionevirtuosa che la cancelli: l'altra è, che non è vergognosonon osservare quelle promesse che ti sono state fattepromettere per forza; e sempre le promesse forzate cheriguardano il publico, quando e' manchi la forza, si rom-peranno, e fia sanza vergogna di chi le rompe. Di che si

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42 Che le promesse fatte per forza, non sidebbono osservare.

Tornati i Consoli con lo esercito disarmato e con la rice-vuta ignominia a Roma, il primo che in Senato disse chela pace fatta a Caudio non si doveva osservare, fu il con-solo Spurio Postumio; dicendo, come il popolo romanonon era obligato, ma ch'egli era bene obligato esso e glialtri che avevano promessa la pace: e però il popolo, vo-lendosi liberare da ogni obligo, aveva a dare prigioninelle mani de' Sanniti lui e tutti gli altri che l'avevanopromessa. E con tanta ostinazione tenne questa conclu-sione, che il Senato ne fu contento; e mandando prigionilui e gli altri in Sannio, protestarono ai Sanniti la pacenon valere. E tanto fu in questo caso, a Postumio, favo-revole la fortuna, che i Sanniti non lo ritennono; e ritor-nato in Roma, fu Postumio appresso ai Romani più glo-rioso per avere perduto, che non fu Ponzio appresso aiSanniti per avere vinto. Dove sono da notare due cose:l'una, che in qualunque azione si può acquistare gloria,perché nella vittoria si acquista ordinariamente; nellaperdita si acquista o col mostrare tale perdita non esserevenuta per tua colpa, o per fare subito qualche azionevirtuosa che la cancelli: l'altra è, che non è vergognosonon osservare quelle promesse che ti sono state fattepromettere per forza; e sempre le promesse forzate cheriguardano il publico, quando e' manchi la forza, si rom-peranno, e fia sanza vergogna di chi le rompe. Di che si

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leggono in tutte le istorie vari esempli; e ciascuno dì, ne'presenti tempi, se ne veggono. E non solamente non siosservano intra i principi le promesse forzate, quando e'manca la forza; ma non si osservano ancora tutte le altrepromesse, quando e' mancano le cagioni che le fecionopromettere. Il che se è cosa laudabile o no, o se da unoprincipe si debbono osservare simili modi o no, larga-mente è disputato da noi nel nostro trattato De Principe:però al presente lo tacereno.

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leggono in tutte le istorie vari esempli; e ciascuno dì, ne'presenti tempi, se ne veggono. E non solamente non siosservano intra i principi le promesse forzate, quando e'manca la forza; ma non si osservano ancora tutte le altrepromesse, quando e' mancano le cagioni che le fecionopromettere. Il che se è cosa laudabile o no, o se da unoprincipe si debbono osservare simili modi o no, larga-mente è disputato da noi nel nostro trattato De Principe:però al presente lo tacereno.

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43 Che gli uomini, che nascono in una pro-vincia, osservino per tutti i tempi quasi quella

medesima natura.

Sogliono dire gli uomini prudenti, e non a caso né im-meritamente, che chi vuole vedere quello che ha a esse-re, consideri quello che è stato; perché tutte le cose delmondo, in ogni tempo, hanno il proprio riscontro con gliantichi tempi. Il che nasce perché, essendo quelle opera-te dagli uomini, che hanno ed ebbono sempre le medesi-me passioni, conviene di necessità che le sortischino ilmedesimo effetto. Vero è, che le sono le opere loro orain questa provincia più virtuose che in quella, ed inquella più che in questa, secondo la forma della educa-zione nella quale quegli popoli hanno preso il modo delvivere loro. Fa ancora facilità il conoscere le cose futureper le passate; vedere una nazione lungo tempo tenere imedesimi costumi, essendo o continovamente avara, ocontinovamente fraudolente, o avere alcuno altro similevizio o virtù. E chi leggerà le cose passate della nostracittà di Firenze, e considererà quelle ancora che sono ne'prossimi tempi occorse, troverrà i popoli tedeschi efranciosi pieni di avarizia, di superbia, di ferocità ed'infidelità; perché tutte queste quattro cose in diversitempi hanno offeso molto la nostra città. E quanto allapoca fede, ognuno sa quante volte si dette danari a reCarlo VIII, ed elli prometteva rendere le fortezze diPisa, e non mai le rendé. In che quel re mostrò la poca

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43 Che gli uomini, che nascono in una pro-vincia, osservino per tutti i tempi quasi quella

medesima natura.

Sogliono dire gli uomini prudenti, e non a caso né im-meritamente, che chi vuole vedere quello che ha a esse-re, consideri quello che è stato; perché tutte le cose delmondo, in ogni tempo, hanno il proprio riscontro con gliantichi tempi. Il che nasce perché, essendo quelle opera-te dagli uomini, che hanno ed ebbono sempre le medesi-me passioni, conviene di necessità che le sortischino ilmedesimo effetto. Vero è, che le sono le opere loro orain questa provincia più virtuose che in quella, ed inquella più che in questa, secondo la forma della educa-zione nella quale quegli popoli hanno preso il modo delvivere loro. Fa ancora facilità il conoscere le cose futureper le passate; vedere una nazione lungo tempo tenere imedesimi costumi, essendo o continovamente avara, ocontinovamente fraudolente, o avere alcuno altro similevizio o virtù. E chi leggerà le cose passate della nostracittà di Firenze, e considererà quelle ancora che sono ne'prossimi tempi occorse, troverrà i popoli tedeschi efranciosi pieni di avarizia, di superbia, di ferocità ed'infidelità; perché tutte queste quattro cose in diversitempi hanno offeso molto la nostra città. E quanto allapoca fede, ognuno sa quante volte si dette danari a reCarlo VIII, ed elli prometteva rendere le fortezze diPisa, e non mai le rendé. In che quel re mostrò la poca

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fede, e l'assai avarizia sua. Ma lasciamo andare questecose fresche. Ciascuno può avere inteso quello che se-guì nella guerra che fece il popolo fiorentino contro a'Visconti duchi di Milano; ed essendo Firenze privo de-gli altri ispedienti, pensò di condurre lo imperadore inItalia, il quale con la riputazione e forze sue assaltasse laLombardia. Promisse lo imperadore venire con assaigenti, e fare quella guerra contro a' Visconti, e difendereFirenze dalla potenza loro, quando i Fiorentini gli des-sono centomila ducati per levarsi, e centomila poi ch'eifosse in Italia. Ai quali patti consentirono i Fiorentini; epagatigli i primi danari, e dipoi i secondi, giunto che fua Verona, se ne tornò indietro sanza operare alcuna cosa,causando essere restato da quegli che non avevano os-servate le convenzioni erano fra loro. In modo che, seFirenze non fosse stata o costretta dalla necessità o vintadalla passione, ed avesse letti e conosciuti gli antichi co-stumi de' barbari, non sarebbe stata né questa né moltealtre volte ingannata da loro; essendo loro stati sempre aun modo, ed avendo in ogni parte e con ognuno usati imedesimi termini. Come ei si vede ch'ei fecero antica-mente a' Toscani, i quali essendo oppressi dai Romani,per essere stati da loro più volte messi in fuga e rotti; eveggendo mediante le loro forze non potere resistereallo impeto di quegli; convennono, con i Franciosi chedi qua dall'Alpi abitavano in Italia, di dare loro sommadi danari, e che fussono obligati congiugnere gli eserciticon loro, ed andare contro ai Romani: donde ne seguìche i Franciosi, presi i danari, non vollono dipoi pigliare

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fede, e l'assai avarizia sua. Ma lasciamo andare questecose fresche. Ciascuno può avere inteso quello che se-guì nella guerra che fece il popolo fiorentino contro a'Visconti duchi di Milano; ed essendo Firenze privo de-gli altri ispedienti, pensò di condurre lo imperadore inItalia, il quale con la riputazione e forze sue assaltasse laLombardia. Promisse lo imperadore venire con assaigenti, e fare quella guerra contro a' Visconti, e difendereFirenze dalla potenza loro, quando i Fiorentini gli des-sono centomila ducati per levarsi, e centomila poi ch'eifosse in Italia. Ai quali patti consentirono i Fiorentini; epagatigli i primi danari, e dipoi i secondi, giunto che fua Verona, se ne tornò indietro sanza operare alcuna cosa,causando essere restato da quegli che non avevano os-servate le convenzioni erano fra loro. In modo che, seFirenze non fosse stata o costretta dalla necessità o vintadalla passione, ed avesse letti e conosciuti gli antichi co-stumi de' barbari, non sarebbe stata né questa né moltealtre volte ingannata da loro; essendo loro stati sempre aun modo, ed avendo in ogni parte e con ognuno usati imedesimi termini. Come ei si vede ch'ei fecero antica-mente a' Toscani, i quali essendo oppressi dai Romani,per essere stati da loro più volte messi in fuga e rotti; eveggendo mediante le loro forze non potere resistereallo impeto di quegli; convennono, con i Franciosi chedi qua dall'Alpi abitavano in Italia, di dare loro sommadi danari, e che fussono obligati congiugnere gli eserciticon loro, ed andare contro ai Romani: donde ne seguìche i Franciosi, presi i danari, non vollono dipoi pigliare

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l'armi per loro, dicendo avergli avuti, non per fare guer-ra con i loro nimici, ma perché si astenessino di predareil paese toscano. E così i popoli toscani, per l'avarizia epoca fede de' Franciosi, rimasono ad un tratto privi de'loro danari, e degli aiuti che gli speravono da quegli.Talché si vede, per questo esemplo de' Toscani antichi, eper quello de' Fiorentini, i Franciosi avere usati i mede-simi termini; e per questo facilmente si può conietturare,quanto i principi si possono fidare di loro.

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l'armi per loro, dicendo avergli avuti, non per fare guer-ra con i loro nimici, ma perché si astenessino di predareil paese toscano. E così i popoli toscani, per l'avarizia epoca fede de' Franciosi, rimasono ad un tratto privi de'loro danari, e degli aiuti che gli speravono da quegli.Talché si vede, per questo esemplo de' Toscani antichi, eper quello de' Fiorentini, i Franciosi avere usati i mede-simi termini; e per questo facilmente si può conietturare,quanto i principi si possono fidare di loro.

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44 E' si ottiene con l'impeto e con l'audaciamolte volte quello che con modi ordinarii non

si otterrebbe mai.

Essendo i Sanniti assaltati dallo esercito di Roma, e nonpotendo con lo esercito loro stare alla campagna a pettoai Romani, diliberarono lasciare guardate le terre inSannio e di passare con tutto lo esercito loro in Toscana,la quale era in triegua con i Romani; e vedere, per talepassata, se ei potessono con la presenzia dello esercitoloro indurre i Toscani a ripigliare l'armi; il che avevanonegato ai loro ambasciadori. E nel parlare che feciono iSanniti ai Toscani, nel mostrare, massime, qual cagionegli aveva indotti a pigliare l'armi, usarono uno terminenotabile, dove dissono: «rebellasse, quod pax servienti-bus gravior, quam liberis bellum esset». E così, partecon le persuasioni, parte con la presenza dello esercitoloro, gl'indussono a ripigliare l'armi. Dove è da notareche quando uno principe desidera ottenere una cosa dauno altro, debbe, se la occasione lo patisce, non gli darespazio a diliberarsi, e fare in modo che vegga la necessi-tà della presta diliberazione; la quale è quando colui cheè domandato vede che dal negare o dal differire ne na-sca una subita e pericolosa indegnazione.Questo termine si è veduto bene usare ne' nostri tempida papa Iulio con i Franciosi, e da monsignore di Foiscapitano del re di Francia col marchese di Mantova: per-ché papa Iulio, volendo cacciare i Bentivogli di Bolo-

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44 E' si ottiene con l'impeto e con l'audaciamolte volte quello che con modi ordinarii non

si otterrebbe mai.

Essendo i Sanniti assaltati dallo esercito di Roma, e nonpotendo con lo esercito loro stare alla campagna a pettoai Romani, diliberarono lasciare guardate le terre inSannio e di passare con tutto lo esercito loro in Toscana,la quale era in triegua con i Romani; e vedere, per talepassata, se ei potessono con la presenzia dello esercitoloro indurre i Toscani a ripigliare l'armi; il che avevanonegato ai loro ambasciadori. E nel parlare che feciono iSanniti ai Toscani, nel mostrare, massime, qual cagionegli aveva indotti a pigliare l'armi, usarono uno terminenotabile, dove dissono: «rebellasse, quod pax servienti-bus gravior, quam liberis bellum esset». E così, partecon le persuasioni, parte con la presenza dello esercitoloro, gl'indussono a ripigliare l'armi. Dove è da notareche quando uno principe desidera ottenere una cosa dauno altro, debbe, se la occasione lo patisce, non gli darespazio a diliberarsi, e fare in modo che vegga la necessi-tà della presta diliberazione; la quale è quando colui cheè domandato vede che dal negare o dal differire ne na-sca una subita e pericolosa indegnazione.Questo termine si è veduto bene usare ne' nostri tempida papa Iulio con i Franciosi, e da monsignore di Foiscapitano del re di Francia col marchese di Mantova: per-ché papa Iulio, volendo cacciare i Bentivogli di Bolo-

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gna, e giudicando, per questo, avere bisogno delle forzefranciose, e che i Viniziani stessono neutrali; ed avendo-ne ricerco l'uno e l'altro, e traendo da loro risposta dub-bia e varia; diliberò col non dare loro tempo fare venirel'uno e l'altro nella sentenza sua: e partitosi da Romacon quelle tante genti ch'ei poté raccozzare, ne andò ver-so Bologna; ed ai Viniziani mandò a dire che stessononeutrali, ed al re di Francia, che gli mandasse le forze.Talché, rimanendo tutti distretti dal poco spazio di tem-po, e veggendo come nel papa doveva nascere una ma-nifesta indegnazione differendo o negando, cederonoalle voglie sue, ed il re gli mandò aiuto, ed i Viniziani sistettono neutrali. Monsignor di Fois, ancora, essendocon lo esercito in Bologna, ed avendo intesa la ribellio-ne di Brescia, e volendo ire alla ricuperazione di quella,aveva due vie; l'una per il dominio del re, lunga e tedio-sa; l'altra, breve, per il dominio di Mantova: e non sola-mente era necessitato passare per il dominio di quelmarchese, ma gli conveniva entrare per certe chiuse in-tra paludi e laghi, di che è piena quella regione, le qualicon fortezze ed altri modi erano serrate e guardate dalui. Onde che Fois, diliberato d'andare per la più corta, eper vincere ogni difficultà né dare tempo al marchese adiliberarsi, a un tratto mosse le sue genti per quella via,ed al marchese significò gli mandasse le chiavi di quelpasso. Talché il marchese, occupato da questa subita di-liberazione, gli mandò le chiavi: le quali mai gli arebbemandate se Fois più trepidamente si fosse governato, es-sendo quello marchese in lega con il Papa e con i Vini-

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gna, e giudicando, per questo, avere bisogno delle forzefranciose, e che i Viniziani stessono neutrali; ed avendo-ne ricerco l'uno e l'altro, e traendo da loro risposta dub-bia e varia; diliberò col non dare loro tempo fare venirel'uno e l'altro nella sentenza sua: e partitosi da Romacon quelle tante genti ch'ei poté raccozzare, ne andò ver-so Bologna; ed ai Viniziani mandò a dire che stessononeutrali, ed al re di Francia, che gli mandasse le forze.Talché, rimanendo tutti distretti dal poco spazio di tem-po, e veggendo come nel papa doveva nascere una ma-nifesta indegnazione differendo o negando, cederonoalle voglie sue, ed il re gli mandò aiuto, ed i Viniziani sistettono neutrali. Monsignor di Fois, ancora, essendocon lo esercito in Bologna, ed avendo intesa la ribellio-ne di Brescia, e volendo ire alla ricuperazione di quella,aveva due vie; l'una per il dominio del re, lunga e tedio-sa; l'altra, breve, per il dominio di Mantova: e non sola-mente era necessitato passare per il dominio di quelmarchese, ma gli conveniva entrare per certe chiuse in-tra paludi e laghi, di che è piena quella regione, le qualicon fortezze ed altri modi erano serrate e guardate dalui. Onde che Fois, diliberato d'andare per la più corta, eper vincere ogni difficultà né dare tempo al marchese adiliberarsi, a un tratto mosse le sue genti per quella via,ed al marchese significò gli mandasse le chiavi di quelpasso. Talché il marchese, occupato da questa subita di-liberazione, gli mandò le chiavi: le quali mai gli arebbemandate se Fois più trepidamente si fosse governato, es-sendo quello marchese in lega con il Papa e con i Vini-

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ziani, ed avendo uno suo figliuolo nelle mani del Papa;le quali cose gli davano molte oneste scuse a negarle.Ma assaltato dal subito partito, per le cagioni che di so-pra si dicono, le concesse. Così feciono i Toscani coiSanniti, avendo, per la presenza dello esercito di Sannio,preso quelle armi che gli avevano negato, per altri tem-pi, pigliare.

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ziani, ed avendo uno suo figliuolo nelle mani del Papa;le quali cose gli davano molte oneste scuse a negarle.Ma assaltato dal subito partito, per le cagioni che di so-pra si dicono, le concesse. Così feciono i Toscani coiSanniti, avendo, per la presenza dello esercito di Sannio,preso quelle armi che gli avevano negato, per altri tem-pi, pigliare.

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45 Quale sia migliore partito nelle giornate, osostenere l'impeto de' nimici, e, sostenuto,

urtargli; ovvero da prima con furia assaltar-gli.

Erano Decio e Fabio, consoli romani, con due esercitiall'incontro degli eserciti de' Sanniti e de' Toscani; e ve-nendo alla zuffa ed alla giornata insieme, è da notare, intale fazione, quale de' due diversi modi di procedere te-nuti dai due Consoli sia migliore. Perché Decio con ogniimpeto e con ogni suo sforzo assaltò il nimico; Fabio so-lamente lo sostenne, giudicando lo assalto lento esserepiù utile, riserbando l'impeto suo nello ultimo, quando ilnimico avesse perduto el primo ardore del combattere,e, come noi diciamo, la sua foga. Dove si vede, per ilsuccesso della cosa, che a Fabio riuscì molto meglio ildisegno che a Decio: il quale si straccò ne' primi impeti;in modo che, vedendo la banda sua più tosto in volta chealtrimenti, per acquistare con la morte quella gloria allaquale con la vittoria non aveva potuto aggiugnere, adimitazione del padre sacrificò sé stesso per le romane le-gioni. La quale cosa intesa da Fabio, per non acquistaremanco onore vivendo, che si avesse il suo collega acqui-stato morendo, spinse innanzi tutte quelle forze che siaveva a tale necessità riservate; donde ne riportò una fe-licissima vittoria. Donde si vede che il modo del proce-dere di Fabio è più sicuro e più imitabile.

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45 Quale sia migliore partito nelle giornate, osostenere l'impeto de' nimici, e, sostenuto,

urtargli; ovvero da prima con furia assaltar-gli.

Erano Decio e Fabio, consoli romani, con due esercitiall'incontro degli eserciti de' Sanniti e de' Toscani; e ve-nendo alla zuffa ed alla giornata insieme, è da notare, intale fazione, quale de' due diversi modi di procedere te-nuti dai due Consoli sia migliore. Perché Decio con ogniimpeto e con ogni suo sforzo assaltò il nimico; Fabio so-lamente lo sostenne, giudicando lo assalto lento esserepiù utile, riserbando l'impeto suo nello ultimo, quando ilnimico avesse perduto el primo ardore del combattere,e, come noi diciamo, la sua foga. Dove si vede, per ilsuccesso della cosa, che a Fabio riuscì molto meglio ildisegno che a Decio: il quale si straccò ne' primi impeti;in modo che, vedendo la banda sua più tosto in volta chealtrimenti, per acquistare con la morte quella gloria allaquale con la vittoria non aveva potuto aggiugnere, adimitazione del padre sacrificò sé stesso per le romane le-gioni. La quale cosa intesa da Fabio, per non acquistaremanco onore vivendo, che si avesse il suo collega acqui-stato morendo, spinse innanzi tutte quelle forze che siaveva a tale necessità riservate; donde ne riportò una fe-licissima vittoria. Donde si vede che il modo del proce-dere di Fabio è più sicuro e più imitabile.

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46 Donde nasce che una famiglia in una cittàtiene un tempo i medesimi costumi.

E' pare che non solamente l'una città dall'altra abbia cer-ti modi ed instituti diversi, e procrei uomini o più duri opiù effeminati, ma nella medesima città si vede tale dif-ferenza essere nelle famiglie, l'una dall'altra. Il che si ri-scontra essere vero in ogni città, e nella città di Roma sene leggono assai esempli: perché e' si vede i Manlii es-sere stati duri ed ostinati, i Publicoli uomini benigni edamatori del popolo, gli Appii ambiziosi e nimici dellaPlebe: e così molte altre famiglie avere avute ciascunale qualità sue spartite dall'altre. Le quali cose non posso-no nascere solamente dal sangue, perché conviene chevarii mediante la diversità de' matrimonii; ma è necessa-rio venga dalla diversa educazione che ha l'una famigliadall'altra. Perché gl'importa assai che un giovanetto da'teneri anni cominci a sentire dire bene o male d'unacosa; perché conviene di necessità ne faccia impressio-ne, e da quella poi regoli il modo del procedere in tutti itempi della sua vita. E se questo non fusse, sarebbe im-possibile che tutti gli Appii avessono avuto la medesimavoglia, e fossono stati agitati dalle medesime passioni,come nota Tito Livio in molti di loro: e per ultimo, es-sendo uno di loro fatto Censore ed avendo il suo collegaalla fine de' diciotto mesi, come ne disponeva la legge,diposto il magistrato, Appio non lo volle diporre, dicen-do che lo poteva tenere cinque anni, secondo la prima

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46 Donde nasce che una famiglia in una cittàtiene un tempo i medesimi costumi.

E' pare che non solamente l'una città dall'altra abbia cer-ti modi ed instituti diversi, e procrei uomini o più duri opiù effeminati, ma nella medesima città si vede tale dif-ferenza essere nelle famiglie, l'una dall'altra. Il che si ri-scontra essere vero in ogni città, e nella città di Roma sene leggono assai esempli: perché e' si vede i Manlii es-sere stati duri ed ostinati, i Publicoli uomini benigni edamatori del popolo, gli Appii ambiziosi e nimici dellaPlebe: e così molte altre famiglie avere avute ciascunale qualità sue spartite dall'altre. Le quali cose non posso-no nascere solamente dal sangue, perché conviene chevarii mediante la diversità de' matrimonii; ma è necessa-rio venga dalla diversa educazione che ha l'una famigliadall'altra. Perché gl'importa assai che un giovanetto da'teneri anni cominci a sentire dire bene o male d'unacosa; perché conviene di necessità ne faccia impressio-ne, e da quella poi regoli il modo del procedere in tutti itempi della sua vita. E se questo non fusse, sarebbe im-possibile che tutti gli Appii avessono avuto la medesimavoglia, e fossono stati agitati dalle medesime passioni,come nota Tito Livio in molti di loro: e per ultimo, es-sendo uno di loro fatto Censore ed avendo il suo collegaalla fine de' diciotto mesi, come ne disponeva la legge,diposto il magistrato, Appio non lo volle diporre, dicen-do che lo poteva tenere cinque anni, secondo la prima

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legge ordinata da' Censori. E benché sopra questo se nefacessero assai concioni, e generassissene assai tumulti,non pertanto non ci fu mai rimedio che volesse diporlo,contro alla volontà del Popolo e della maggiore partedel Senato. E chi leggerà la orazione gli fece contro Pu-blio Sempronio tribuno della plebe, vi noterà tutte le in-solenzie appiane, e tutte le bontà ed umanità usate da in-finiti cittadini per ubbidire alle leggi ed agli auspicii del-la loro patria.

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legge ordinata da' Censori. E benché sopra questo se nefacessero assai concioni, e generassissene assai tumulti,non pertanto non ci fu mai rimedio che volesse diporlo,contro alla volontà del Popolo e della maggiore partedel Senato. E chi leggerà la orazione gli fece contro Pu-blio Sempronio tribuno della plebe, vi noterà tutte le in-solenzie appiane, e tutte le bontà ed umanità usate da in-finiti cittadini per ubbidire alle leggi ed agli auspicii del-la loro patria.

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47 Che uno buono cittadino per amore dellapatria debbe dimenticare le ingiurie private.

Era Marzio consolo con lo esercito contro ai Sanniti, edessendo stato in una zuffa ferito, e per questo portandole genti sue pericolo, giudicò il Senato essere necessariomandarvi Papirio Cursore dittatore per sopperire ai di-fetti del consolo. Ed essendo necessario che il Dittatorefosse nominato da Fabio, quale era consolo con gli eser-citi in Toscana; e dubitando, per essergli nimico, chenon volesse nominarlo; gli mandarono i Senatori dueambasciadori a pregarlo, che, posto da parte i privatiodii, dovesse per beneficio publico nominarlo. Il che Fa-bio fece, mosso dalla carità della patria; ancora che coltacere e con molti altri modi facesse segno che tale no-minazione gli premesse. Dal quale debbono pigliareesemplo tutti quelli che cercano di essere tenuti buonicittadini.

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47 Che uno buono cittadino per amore dellapatria debbe dimenticare le ingiurie private.

Era Marzio consolo con lo esercito contro ai Sanniti, edessendo stato in una zuffa ferito, e per questo portandole genti sue pericolo, giudicò il Senato essere necessariomandarvi Papirio Cursore dittatore per sopperire ai di-fetti del consolo. Ed essendo necessario che il Dittatorefosse nominato da Fabio, quale era consolo con gli eser-citi in Toscana; e dubitando, per essergli nimico, chenon volesse nominarlo; gli mandarono i Senatori dueambasciadori a pregarlo, che, posto da parte i privatiodii, dovesse per beneficio publico nominarlo. Il che Fa-bio fece, mosso dalla carità della patria; ancora che coltacere e con molti altri modi facesse segno che tale no-minazione gli premesse. Dal quale debbono pigliareesemplo tutti quelli che cercano di essere tenuti buonicittadini.

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48 Quando si vede fare uno errore grande auno nimico, si debbe credere che vi sia sotto

inganno.

Essendo rimaso Fulvio Legato nello esercito che e' Ro-mani avevano in Toscana, essendo ito il Consolo per al-cune cerimonie a Roma, i Toscani, per vedere se poteva-no avere quello alla tratta, posono uno aguato propinquoa' campi romani, e mandarono alcuni soldati con vestedi pastori con assai armento, e li feciono venire alla vi-sta dello esercito romano: i quali così travestiti si acco-starono allo steccato del campo; onde che il Legato, ma-ravigliatosi di questa loro presunzione, non gli parendoragionevole, tenne modo ch'egli scoperse la fraude; ecosì restò il disegno de' Toscani rotto. Qui si può com-modamente notare, che uno capitano di eserciti non deb-be prestare fede ad uno errore che evidentemente si veg-ga fare al nimico: perché sempre vi sarà sotto fraude,non sendo ragionevole che gli uomini siano tanto incau-ti. Ma spesso il disiderio del vincere acceca gli animidegli uomini, che non veggono altro che quello pare fac-ci per loro.I Franciosi, avendo vinto i Romani ad Allia, e venendo aRoma, e trovando le porte aperte e sanza guardia, stette-ro tutto quel giorno e la notte sanza entrarvi, temendo difraude, e non potendo credere che fusse tanta viltà e tan-to poco consiglio ne' petti romani, che gli abbandonas-sono la patria. Quando nel 1508, stando li Fiorentini, a

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48 Quando si vede fare uno errore grande auno nimico, si debbe credere che vi sia sotto

inganno.

Essendo rimaso Fulvio Legato nello esercito che e' Ro-mani avevano in Toscana, essendo ito il Consolo per al-cune cerimonie a Roma, i Toscani, per vedere se poteva-no avere quello alla tratta, posono uno aguato propinquoa' campi romani, e mandarono alcuni soldati con vestedi pastori con assai armento, e li feciono venire alla vi-sta dello esercito romano: i quali così travestiti si acco-starono allo steccato del campo; onde che il Legato, ma-ravigliatosi di questa loro presunzione, non gli parendoragionevole, tenne modo ch'egli scoperse la fraude; ecosì restò il disegno de' Toscani rotto. Qui si può com-modamente notare, che uno capitano di eserciti non deb-be prestare fede ad uno errore che evidentemente si veg-ga fare al nimico: perché sempre vi sarà sotto fraude,non sendo ragionevole che gli uomini siano tanto incau-ti. Ma spesso il disiderio del vincere acceca gli animidegli uomini, che non veggono altro che quello pare fac-ci per loro.I Franciosi, avendo vinto i Romani ad Allia, e venendo aRoma, e trovando le porte aperte e sanza guardia, stette-ro tutto quel giorno e la notte sanza entrarvi, temendo difraude, e non potendo credere che fusse tanta viltà e tan-to poco consiglio ne' petti romani, che gli abbandonas-sono la patria. Quando nel 1508, stando li Fiorentini, a

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campo a Pisa, Alfonso Del Mutolo, cittadino pisano, sitrovava prigione de' Fiorentini e' promisse che, s'egli eralibero, che darebbe una porta di Pisa allo esercito fioren-tino. Fu costui libero: dipoi, per praticare la cosa, vennemolte volte a parlare con i legati de' commessari; e veni-va non di nascosto ma scoperto ed accompagnato da' Pi-sani; i quali lasciava da parte, quando parlava con i Fio-rentini. Talmenteché si poteva conietturare il suo animodoppio; perché non era ragionevole, se la pratica fossestata fedele, ch'elli l'avesse trattata sì alla scoperta. Ma ildisiderio che si aveva di avere Pisa, accecò in modo iFiorentini, che, condottisi con l'ordine suo alla porta aLucca, vi lasciarono più loro capi ed altre genti, con di-sonore loro, per il tradimento doppio che fece detto Al-fonso.

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campo a Pisa, Alfonso Del Mutolo, cittadino pisano, sitrovava prigione de' Fiorentini e' promisse che, s'egli eralibero, che darebbe una porta di Pisa allo esercito fioren-tino. Fu costui libero: dipoi, per praticare la cosa, vennemolte volte a parlare con i legati de' commessari; e veni-va non di nascosto ma scoperto ed accompagnato da' Pi-sani; i quali lasciava da parte, quando parlava con i Fio-rentini. Talmenteché si poteva conietturare il suo animodoppio; perché non era ragionevole, se la pratica fossestata fedele, ch'elli l'avesse trattata sì alla scoperta. Ma ildisiderio che si aveva di avere Pisa, accecò in modo iFiorentini, che, condottisi con l'ordine suo alla porta aLucca, vi lasciarono più loro capi ed altre genti, con di-sonore loro, per il tradimento doppio che fece detto Al-fonso.

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49 Una republica, a volerla mantenere libera,ha ciascuno dì bisogno di nuovi provvedi-menti; e per quali meriti Quinto Fabio fu

chiamato Massimo.

È di necessità, come altre volte si è detto, che ciascunodì in una città grande naschino accidenti che abbiano bi-sogno del medico; e secondo che gl'importano più, con-viene trovare il medico più savio. E se in alcuna cittànacquono mai simili accidenti, nacquono in Roma estrani ed insperati; come fu quello quando e' parve chetutte le donne romane avessono congiurato contro ailoro mariti di ammazzargli: tante se ne trovò che gliavevano avvelenati, e tante che avevano preparato il ve-leno per avvelenargli. Come fu ancora quella congiurade' Baccanali, che si scoprì nel tempo della guerra ma-cedonica, dove erano già inviluppati molte migliaia diuomini e di donne; e, se la non si scopriva, sarebbe statapericolosa per quella città, o se pure i Romani non fus-sono stati consueti a gastigare le moltitudini degli erran-ti: perché, quando e' non si vedesse per altri infiniti se-gni la grandezza di quella Republica, e la potenza delleesecuzioni sue, si vede per le qualità della pena che laimponeva a chi errava. Né dubitò fare morire per via digiustizia una legione intera per volta, ed una città; e diconfinare otto o diecimila uomini con condizioniistraordinarie, da non essere osservate da uno solo, nonche da tanti: come intervenne a quelli soldati che infeli-

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49 Una republica, a volerla mantenere libera,ha ciascuno dì bisogno di nuovi provvedi-menti; e per quali meriti Quinto Fabio fu

chiamato Massimo.

È di necessità, come altre volte si è detto, che ciascunodì in una città grande naschino accidenti che abbiano bi-sogno del medico; e secondo che gl'importano più, con-viene trovare il medico più savio. E se in alcuna cittànacquono mai simili accidenti, nacquono in Roma estrani ed insperati; come fu quello quando e' parve chetutte le donne romane avessono congiurato contro ailoro mariti di ammazzargli: tante se ne trovò che gliavevano avvelenati, e tante che avevano preparato il ve-leno per avvelenargli. Come fu ancora quella congiurade' Baccanali, che si scoprì nel tempo della guerra ma-cedonica, dove erano già inviluppati molte migliaia diuomini e di donne; e, se la non si scopriva, sarebbe statapericolosa per quella città, o se pure i Romani non fus-sono stati consueti a gastigare le moltitudini degli erran-ti: perché, quando e' non si vedesse per altri infiniti se-gni la grandezza di quella Republica, e la potenza delleesecuzioni sue, si vede per le qualità della pena che laimponeva a chi errava. Né dubitò fare morire per via digiustizia una legione intera per volta, ed una città; e diconfinare otto o diecimila uomini con condizioniistraordinarie, da non essere osservate da uno solo, nonche da tanti: come intervenne a quelli soldati che infeli-

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cemente avevano combattuto a Canne; i quali confinò inSicilia, ed impose loro che non albergassono in terra, eche mangiassono ritti.Ma di tutte le altre esecuzioni era terribile il decimaregli eserciti, dove a sorte, di tutto uno esercito, era mortodi ogni dieci uno. Né si poteva, a gastigare una moltitu-dine, trovare più spaventevole punizione di questa. Per-ché quando una moltitudine erra, dove non sia l'autorecerto, tutti non si possono gastigare, per essere troppi;punirne parte, e parte lasciarne impuniti, si farebbe tortoa quegli che si punissono, e gli impuniti arebbono animodi errare un'altra volta. Ma ammazzandone la decimaparte a sorte, quando tutti lo meritano, chi è punito siduole della sorte, chi non è punito ha paura che un'altravolta non tocchi a lui, e guardasi da errare.Furono punite, adunque, le venefiche e le baccanali, se-condo che meritavano i peccati loro. E benché questimorbi in una republica faccino cattivi effetti, non sono amorte, perché sempre quasi si ha tempo a correggergli:ma non si ha già tempo in quelli che riguardano lo stato,i quali, se non sono da uno prudente corretti, rovinano lacittà.Erano in Roma, per la liberalità che i Romani usavanodi donare la civiltà a' forestieri, nate tante genti nuove,che le cominciavano avere tanta parte ne' suffragi, che ilgoverno cominciava variare, e partivasi da quelle cose eda quelli uomini dove era consueto andare. Di che ac-

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cemente avevano combattuto a Canne; i quali confinò inSicilia, ed impose loro che non albergassono in terra, eche mangiassono ritti.Ma di tutte le altre esecuzioni era terribile il decimaregli eserciti, dove a sorte, di tutto uno esercito, era mortodi ogni dieci uno. Né si poteva, a gastigare una moltitu-dine, trovare più spaventevole punizione di questa. Per-ché quando una moltitudine erra, dove non sia l'autorecerto, tutti non si possono gastigare, per essere troppi;punirne parte, e parte lasciarne impuniti, si farebbe tortoa quegli che si punissono, e gli impuniti arebbono animodi errare un'altra volta. Ma ammazzandone la decimaparte a sorte, quando tutti lo meritano, chi è punito siduole della sorte, chi non è punito ha paura che un'altravolta non tocchi a lui, e guardasi da errare.Furono punite, adunque, le venefiche e le baccanali, se-condo che meritavano i peccati loro. E benché questimorbi in una republica faccino cattivi effetti, non sono amorte, perché sempre quasi si ha tempo a correggergli:ma non si ha già tempo in quelli che riguardano lo stato,i quali, se non sono da uno prudente corretti, rovinano lacittà.Erano in Roma, per la liberalità che i Romani usavanodi donare la civiltà a' forestieri, nate tante genti nuove,che le cominciavano avere tanta parte ne' suffragi, che ilgoverno cominciava variare, e partivasi da quelle cose eda quelli uomini dove era consueto andare. Di che ac-

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corgendosi Quinto Fabio, che era Censore, messe tuttequeste genti nuove, da chi dipendeva questo disordine,sotto quattro Tribù acciocché non potessono, ridutti in sìpiccoli spazi, corrompere tutta Roma. Fu questa cosabene conosciuta da Fabio, e postovi, sanza alterazione,conveniente rimedio; il quale fu tanto accetto a quellaciviltà, ch'e' meritò di essere chiamato Massimo.

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corgendosi Quinto Fabio, che era Censore, messe tuttequeste genti nuove, da chi dipendeva questo disordine,sotto quattro Tribù acciocché non potessono, ridutti in sìpiccoli spazi, corrompere tutta Roma. Fu questa cosabene conosciuta da Fabio, e postovi, sanza alterazione,conveniente rimedio; il quale fu tanto accetto a quellaciviltà, ch'e' meritò di essere chiamato Massimo.

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