Capitolo VI - I Fiori Del Regno Delle Due Sicilie Per La Fata Morgana - La Nascente Borghesia...

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    Università di CataniaFacoltà di Scienze Politiche

    Capitolo VII Fiori del Regno delle due Sicilie per la Fata

    Morgana

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    Capitolo VI

    I Fiori del Regno delle due Sicilie per la

    Fata Morgana

    Io non mi pentoNoi che non abbiamo mai fatto del male e

     non abbiamo mai mentito,

     abbiamo praticato a oltranza l'onestà, fino a che tanta virtù, ci ha quasi cancellato.

    Noi che fummo fatti di terra e di legno d'intelligenza e amore avremo una finestra a sostegno degli occhi ed un

     rimorso gentile a corredo del cuore.Ma io non mi pento, no, delle cose che ho amato e

     non ritratterò le cose in cui ho creduto. non lo tradirò il mio fortissimo amore lo porterò sul viso e nelle mie parole.Abbiamo traversato insieme tempi bui portando un unico peso

     e conoscendo il mondo da un millennio e un minuto arriveremo alla meta con il bagaglio di un bacio.

    E il Padreterno guarda dal suo deltaplano questa battaglia campale dal mare infinito delle sue domeniche

      guarda quaggiù, guarda e non muove un dito.Ma io non mi pento, no, delle cose che ho amato, e non ritratterò le cose

     in cui ho creduto, non lo tradirò il mio fortissimo amore lo porterò sul viso e nelle mie parole (1).

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    La Madonna, la Fata Morgana e la Dea per la fedele Messina

    La devozione alla Madonna della Lettera è caratteristica della Città di Messina, ed è avvalorata da

    una antichissima tradizione. Avendo accolto con grande entusiasmo l’annuncio del Vangelo

    predicato da S. Paolo nei suoi viaggi apostolici, gli abitanti di Messina ardono dal desiderio di

    conoscere personalmente la Gran Madre di Dio, e mettersi sotto la sua protezione. Pensano

    quindi di inviare una loro delegazione a Gerusalemme con una lettera, nella quale professano la

    loro fede e chiedono la protezione di Maria. Nell’anno 42, S. Paolo in persona accompagna la

    delegazione e la presenta alla Madonna, la quale l’accoglie con materna bontà ed, in risposta della

    missiva, invia ai Messinesi una sua Lettera, scritta in ebraico, arrotolata e legata con una ciocca dei

    suoi capelli. In essa Maria loda la loro fede, gradisce la loro devozione, ed assicura loro la sua

    perpetua protezione. Così termina la Lettera: “Benediciamo voi e tutta la cittadinanza ed

    assicuriamo la nostra perpetua protezione”. Da allora cresce grandemente la devozione dei

    Messinesi verso la Madonna; è eretta una chiesa, poi ampliata, sulla porta della quale viene scritta

    in lettere greche la frase: “Velox ad audiendum” (Pronta ad ascoltare) a significare come nel corso

    dei secoli Maria sia stata maternamente presente non solo nell’accogliere le domande degli

    abitanti di Messina, ma molte volte anche nel prevenirle (2).

    La delegazione tornò a Messina l’8 settembre dello stesso anno.

    Nel manoscritto in lingua ebraica, tradotto in latino nel 1940 dal greco - messinese Costantino

    Lascaris, si leggeva:  

     Maria Vergine figlia di Gioacchino,umilissima serva di Dio, Madre di Gesùcrocifisso, della tribù di Giuda, della

    stirpe di David, salute a tutti i Messinesie benedizione di Dio Padre Onnipotente.Ci consta per pubblico strumento che voitutti con fede grande avete a noi speditoLegati e Ambasciatori, confessando che

    il Nostro Figlio, generato da Dio sia Dioe uomo e che dopo la sua resurrezionesalì al cielo:avendo voi conosciuta la via

    della verità per mezzo della predicazionedi Paolo apostolo eletto per la qual cosa

    BENEDICIAMO VOI E L’ ISTESSA CITTA’della quale noi vogliamo essere perpetua protettrice. Da Gerusalemme l’anno 42

    di Nostro Figlio. Indizione 1 luna XXVII giorno di giovedì a 3 di giugno.

    Le parole finali di questa lettera sono scolpite nel tamburo che sorregge la statua della Madonnina

    Benedicente all’entrata del porto di Messina e recitano appunto: “Vos et ipsam civitatem

    benedicimus”.

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    I capelli, custoditi in una teca d’argento, ogni anno vengono portati in processione assieme alla

     vara della Madonna della Lettera (3 giugno) e alla vara del Vascelluzzo (Corpus Domini).

    Nella ricostruzione del vecchio Campanile, dopo il terremoto del 1908, la scena della delegazione

    che incontra a Gerusalemme la Madonna è riprodotta in modo spettacolare. Al suono delle

    campane a mezzogiorno nella loggia del quarto piano si animano personaggi alti due metri.Davanti al trono, sul quale siede la Madonna con il Bambino, appare dapprima un Angelo con

    una palma nella sinistra e nella destra una lettera che porge alla Madonna; quindi viene S. Paolo

    che si china davanti al trono ed introduce l’ambasceria; il primo Ambasciatore si china come S.

    Paolo, viene benedetto e consegna la lettera; quindi sfilano tutti gli altri Ambasciatori che si

    chinano davanti al trono e sono a loro volta benedetti.

     Al termine della sfilata la Madonna benedice la Città ed il Popolo di Messina.

    È interessante scoprire le tante raffigurazioni della Madonna della Lettera, riportate nel volume

    del Rev. Padre Placido Samperi, messinese, della Compagnia di Gesù, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina “divisa in cinque Libri ove si ragiona delle

    Immagini di Nostra Signora che si riveriscono nei Templi, e Cappelle più famose della Città di

    Messina, edito in Messina, appresso Giacomo Mattei, stampatore camerale, 1644”, anteriore di

    molti secoli al terribile terremoto del 1908.

    La prima la troviamo nella Cappella del Palazzo del Senato, opera del pittore messinese Antonino

    Barbalonga, nella quale la Madonna, circondata da Angeli, è rappresentata mentre con la mano

    destra alzata benedice gli Ambasciatori, presentati da S. Paolo, e con la sinistra consegna loro la

    lettera. Un altro quadro si trova nella chiesa del Monastero di S. Paolo, dove è custodita congrande devozione. La Madonna vi è raffigurata non seduta in trono, ma in piedi mentre viene

    incontro agli Ambasciatori per consegnare loro la lettera.

    Un quadro simile lo troviamo anche nella chiesa “de’ Fanciulli dispersi” cioè abbandonati,

    anch’essi raffigurati nel dipinto.

    Più interessante ed originale è l’immagine della Madonna della lettera nella chiesa di S. Nicolò de’

    Greci. Tra tanti quadri raffiguranti la Madonna, tutti antichi e bisognosi di restauro, ve n’è uno al

    quale nessuno dà importanza. “Il pittore Paolo Savola, che già ha restaurato gli altri quadri, per la

    devozione che porta alla Madonna, chiede di poter restaurare anche quella tavola con la pitturaantichissima, tutta tarlata e in parte scorticata nei colori, e la porta a casa sua. È un’immagine

    dipinta all’antica, con un manto come usano le donne egiziane, con un Bambino in braccio che

    sta rimirando la madre”. Ripulito il dipinto, “si scoprì nelle mani del Puttino un foglio sul quale si vedono

    scritte alcune lettere greche. ... Il Cappellano, vedendo quello scritto non si cura di leggerlo, pensando sia una

    sentenza del Santo Vangelo, secondo l’uso della Chiesa greca. Ma osservandolo bene, il dottor D. Leonardo Parè,

     professore di lingua greca, legge con attenzione quei caratteri e si accorge che sono il principio della Lettera della

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    Beata Vergine scritta ai Messinesi: La vergine Maria, figlia di Gioacchino, umile Ancella di Dio, Madre di Gesù

    Cristo, della tribù di Giuda, della famiglia di Davide, a quanti sono in Messina salute e benedizione di Dio

    Onnipotente. Questo avviene nel giorno appunto di S. Caterina Alessandrina 25 di novembre 1643”  (3). 

     Alla legenda della Fata Morgana viene fatta risalire anche la miracolosa apparizione della

    Madonna al Gran Conte Ruggero durante l’assedio di una fortezza saracena situata sul montipeloritani. Essendo i Normanni in difficoltà per la penuria di acqua, la Vergine Maria avrebbe

    indicato a Ruggero una vena d’acqua ai piedi di un fico, facendo si che da un ramo dell’albero

    reciso dalla spada del Re normanno sgorgasse l’acqua indispensabile a rifocillare e condurre alla

     vittoria gli assediatori. Di tale episodio leggendario rimane una testimonianza figurativa costituita

    dall’affresco “La Madonna appare a Ruggero il Normanno” esistente nella locale chiesa dei

    Minoriti. La Fata Morgana, protagonista di alcune fiabe popolari nelle quali viene descritta come

    proprietaria di un’acqua miracolosa, ha finito invece col radicarsi profondamente nell’area dello

    stretto contrassegnando un fenomeno ottico di rifrazione allucinatoria il cui effettofantasmagorico venne spacciato per atto di incantazione degli antichi, ad onta delle dotte

    spiegazioni che poi ne rese il poligrafo gesuita Athanasius Kircher.

    E’ probabile che il personaggio storico della sorella di Artù abbia finito col sovrapporsi ad una

    figura mitica  preesistente nell’area peloritana, probabilmente una delle  personificazioni della

    Grande Madre mediterranea (o, come dice Robert Graves, della Dea Bianca  ), la cui caratteristica

    era quella di detenere un potere magico che chi l’avesse “posseduta” avrebbe potuto conquistare

    per sé. Allora con il secolo XII qualcosa è molto cambiato.

    C’è uno spostamento geografico e mitopoietico. Non escono più dai condotti etnei le grandiseduttrici, le sirene; non vi scendono più le anime che viaggiavano sulla nave nera e silenziosa,

    priva di equipaggio.

    L’Etna entra in un nuovo soprannaturale, diverso da quello classico, greco - latino, e da quello

    cristiano, un soprannaturale che è nordico - celtico e a noi mediterranei appare meno inquietante,

    ma più bizzarro e fabuloso. Sembra un mondo “altro”, con altri frequentatori.

    Si tratta in ogni caso di una figura complessa e stratificata, partecipando, nel corpus di leggende che

    la  riguardano, della duplice natura acquea e plutonica, tutti elementi la cui presenza costante

    nell’iconografia storica del mezz’agosto, viene fatta risalire da Giuseppe Buonfiglio Costanzo e daPlacido Samperi proprio ai Normanni, trattandosi in pratica di un elemento residuo di una

    popolare celebrazione “della vittoria ottenuta dal Conte Ruggeri, il quale, fugati i mori, entrò trionfalmente a

     Messina coi suoi soldati bagordando, e coi cammelli barbareschi carichi di spoglie” . Padre Samperi addirittura

    riferisce nella sua Iconologia   che il condottiero normanno sarebbe entrato a Messina, nel 1061,

    “non sul’ampia schiena di smisurato Elefante, o d’orgoglioso Leone, come i Cesari e i Pompei tirati da questi

    animali, ma sopra il dorso d’un barbaro Camelo guernito all’Arabesca” , e illustra nella stessa opera una

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    medaglia che reca sul recto l’effigie della Vergine Maria protettrice dei messinesi, e sul verso il

    Gran Conte a cavalcioni di un cammello. Non dimentichiamo infine che l’ Entrata del Conte Ruggero

    era uno dei soggetti preferiti nei trasparenti ottocenteschi, apparati festivi effimeri costituiti da

    pitture collocate sugli sbocchi delle vie e illuminate da dietro, con risultati di grande effetto

    scenografico (4).Dopo aver condotto Re Artù, suo fratello, ai piedi dell’Etna, Morgana non se ne andò più dalla

    Sicilia, dove era giunta con il suo vascello. Stabilì la sua dimora tra l’Etna e lo stretto di Messina,

    dove i marinai non osavano avvicinarsi a causa di forti tempeste, e sì costruì un palazzo di

    cristallo. È tradizione in Messina che Ruggero il normanno, un giorno dell’anno 1060,

    passeggiava solitario su una spiaggia della Calabria e guardando la costa peloritana meditava sul

    modo migliore per poter conquistare la Sicilia, allora occupata dagli Arabi che ne avevano fatto

    una terra musulmana ricca e prosperosa. Era successo che qualche tempo prima, alcuni coraggiosi

    cavalieri messinesi sfidando la reazione degli Arabi, erano riusciti a raggiungerlo a Mileto diCalabria e gli avevano esposto il desiderio della gente siciliana di averlo come liberatore e signore.

    Ciò non tanto perché gli Arabi si comportavano come usurpatori o tiranni della povera gente ché,

    anzi, molto avevano fatto per ammodernare la Sicilia e per renderla prospera e indipendente, ma

    piuttosto perché ultimamente i loro caid erano entrati in così grave conflitto tra di loro da

    coinvolgere in stragi, razzie e dissensi anche larghi strati della popolazione locale. E, come sempre,

    a farne le spese erano un pò tutti i Siciliani, ricchi e poveri che fossero. Ruggero, in Sicilia, vi era

    stato un’altra volta, dal 1038 al 1040, con Giorgio Maniace, un valoroso generale bizantino che

    Michele IV il Plafagone, imperatore di Costantinopoli, aveva mandato nell'isola con il compito dicacciare gli Arabi e di riportarla sotto la sua sovranità. Allora quel tentativo, pur se inframmezzato

    da piccoli successi, non era tuttavia, riuscito anche perché il gruppo dei Normanni, insoddisfatto

    di come procedeva la spartizione delle prede di guerra, si era dissociato dall’impresa e se n’era

    tornato nell’Italia meridionale e in Calabria, a scorazzare ed a conquistare buone terre. Ora

    Ruggero, pregato dai messinesi e spalleggiato dallo stesso caid di Catania (che era venuto in

    contrasto con altri caid arabi della Sicilia) pensava seriamente di ritentare la conquista dell’Isola,

    cacciando i musulmani che la detenevano da quasi duecento anni e di ricristianizzarla in senso

    latino. Ma gli arabi erano scaltri e bene agguerriti e, quindi, l’impresa che Ruggero meditava sipresentava difficile e rischiosa anche perché, nonostante l’aiuto promessogli da suo fratello

    Roberto, duca di Calabria e di Puglia, egli poteva contare solo su uno sparuto nucleo di cavalieri e

    di pochi fanti.

    Era così intento a meditare su queste cose e a respirare l’intenso odore di zagara che proveniva

    dagli aranceti in fiore, quando dalla costa siciliana gli parve udire una marziale musica di guerra,

    intramezzata da lamenti e sospiri di schiavi, e da imprecazioni pagane. Ruggero si fermò

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    incuriosito. Abitava lì nei pressi un vecchio eremita, che godeva fama di saggezza. Ruggero vi si

    diresse e, dopo averlo cortesemente salutato, gli domandò notizie su quel fatto così misterioso ed

    insolito.

    L’eremita allungò il braccio e con un dito gli indicò la costa siciliana.

    - Lì gli aranci sono in fiore... - gli disse - Lì c’è musica ma anche pianti... Lì ballano i saraceni e piangono icristiani in schiavitù! Dicono che sei potente e cristiano... Perché non combatti e muori per la tua fede?

    Ruggero rimase in silenzio. Continuando i suoi passi si venne a fermare poco lontano, sempre

    pensando alla Sicilia e al suo modesto e povero armamento di guerra. D’un tratto, davanti a lui, il

    mare prese a ribollire. Un cerchio di spuma apparve alla superficie e da essa sporse la testa una

    bellissima Fata, la fata Morgana che è ritenuta sorella carnale del re Artù d’Inghilterra. Essa ha

    nel mondo varie regge ma qui, proprio in mezzo allo Stretto, ha il suo più bello e antico palazzo,

    meta di tutte le fate e delle buone maghe del Mediterraneo.

    Essa, a poco a poco, emerse anche con il corpo e allora Ruggero la vide salire su un cocchiobianco - azzurro appena comparso e, al tiro, vi si misero sette cavalli bianchi e azzurro - criniti,

    pronti e impazienti di lanciarsi in una folle corsa sopra le acque. Stava la fata per muoversi verso

    sud, quando sulla costa vicina vide il pensoso Ruggero passeggiare a passi lenti.

    - Che pensi, o Ruggero? Gli gridò Morgana dirigendosi alla sua volta

    - Se è come immagino, salta sul mio cocchio e subito ti porterò in Sicilia, assieme ad un possente esercito...

    Ruggero sorrise e salutò Morgana con deferenza e rispetto. Poi, gentile ma con fermezza rispose:

    - Io ti ringrazio, o Morgana, ma non posso accettare il tuo aiuto. Ma se la Madonna che amo e i santi che mi

     proteggono mi daranno la loro benedizione, io andrò alla guerra sul mio cavallo e trasporterò l’esercito con le mienavi e vincerò per valore e non per gli incantesimi di una fata.

    Morgana agitò tre volte in aria la sua verga magica e in acqua lanciò tre sassi bianchi.

    - Guarda, o Ruggero, la mia potenza!... 

    E in quel punto apparvero sull’acqua case e palazzi, strade e ville, e meravigliosamente tutta la

    costa siciliana apparve così vicina da poter essere raggiunta solo con un piccolo salto.

    - Eccoti la Sicilia! Salta su di essa, raggiungi Messina ed io farò in modo che in essa troverai il più forte e il più

    numeroso esercito che tu abbia mai avuto in battaglia...

    Ruggero, pur meravigliato da tanto incantesimo, sorridendo, rifiutò ancora l’offerta.- O Morgana! Tu sei una grande Fata, degna della stirpe da cui discendi. Ma non sarà con l’incantesimo che io

    libererò la Sicilia dal paganesimo. Essa mi sarà data da Cristo nostro signore e da sua madre, la Vergine Maria

    che io ho già scelto e adottato come madre mia divina. Ma grazie, per il pensiero...

    Morgana non attese di più. Era una buona Fata e perciò rispettava tutte le convinzioni.

     Agitò nuovamente in aria la sua bacchetta magica e i castelli, le strade e le ville sparirono di

    colpo. -

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    - Via, cavalli! Gridò ridendo di gioia nel sole che inondava di luce e di calore le due sponde dello

    Stretto. E il suo cocchio si mosse veloce trainato dai bellissimi suoi cavalli azzurro - criniti,

    perdendosi in breve verso il sud dell’isola, verso le spiagge dell’Etna.

    Ruggero, come sappiamo, sbarcò poi in Messina nella primavera del 1061 e in poco più di dieci

    anni di guerra, spesso condotta con accanimento e ferocia, senza esclusioni di colpi, riuscì aliberare la Sicilia dalla dominazione musulmana. I suoi discendenti la costituirono in regno e ne

    fecero una delle terre più ricche e più progredite di quel tempo (5).

     Anche a Catania qualcosa avvenne: nel 1161 Riccardo Cuor di Leone consegnò a Tancredi, re di

    Sicilia, la spada Excalibur di re Artú, forse un modo di dare prestigio all’ultimo periodo del

    dominio normanno in Sicilia, minacciato dall’avvento prossimo degli Svevi.

    Excalibur e l’Etna si accostavano disperatamente l’una all’altro, entrambi partecipi di quel

    capolavoro che era la leggenda di re Artú, ormai entrata in orbita nei cieli del pianeta.

    L’Etna assume così la natura ibrida dell’Isola di Avalon coi suoi ospiti che vagano fra l’aldiquà el’aldilà, responsabili anche i normanni. Se si perde la memoria dei popoli, le storie narrate vanno

    intorno errando come involucri vuoti.

    Come nell’Isola di Avalon, così anche nell’Etna valgono leggi diverse riguardo allo spostamento

    nello spazio e allo scorrere del tempo. La leggenda della Fata Morgana affascina lo scrittore A.

    Kopisch, che nelle Poesie, uscite a Berlino nel 1833 e tradotte a Torino da Gustavo Straforello nel

    1859, immagina il conte Ruggero, il Normanno, che da Scilla guarda al di là dello Stretto la Sicilia

    ed è visto da Morgana, che lo invita sul carro incantato; ma il Normanno rifiuta. Allora Morgana

    gli ammannisce il mirage: l’Isola si accosta, l’Etna si accosta e tutta l’Isola gli sta davanti fino a Trapani, fino al tempio di Citera.

    Morgana abita nello stretto di Messina da più di mille anni e di tanto in tanto richiama alla

    memoria Camelot, i castelli, le foreste incontaminate ed altri ricordi felici. La fata certe volte si

    diverte a scoprire la gente con immagini ingannevoli. Si dice che Morgana esca dall’acqua con un

    cocchio tirato da sette cavalli, per quanto abbia anche un vascello d’argento.

    Il mito della Fata Morgana si trasfigura nella cultura religiosa in quello della Madonna, infatti

    emblematico di ciò è il “Vascel luzzo” , finemente cesellato dai f.lli Juvara, un piccolo vascello

    addobbato con spighe di grano, in argento sbalzato che viene portato in processione il giorno delCorpus Domini. Ci ricorda il leggendario arrivo a Messina, per stessa intercessione della

    Madonna della Lettera,  di un vascello carico di grano durante la guerra dei Vespri (1282),

    quando la popolazione era ormai allo stremo delle forze per la carestia che l’affliggeva.

    Padre Ingnazio Angelucci ci dice di aver assistito ai prodigi della fata Morgana nel giorno

    dell’Assunta del 1643: egli racconta di aver visto dalla sua finestra il mare gonfiarsi, e poi

    diventare come un cristallo e su questa “piazza di cristallo” si riflettevano immagini di città

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    dalle praterie dell’Irlanda alle brughiere della Scozia, alle rocce di Gibilterra, alle balze dell’Etna;

    forse è lo stesso arcobaleno a segnare loro la strada.

    Hanno le fate una particolare attrazione per i neonati che esse salvano e proteggono, perché

    hanno per gli infanti la reverenza di una madre e forse anche la voglia.

    Esse impregnano di sé lo spirito dei luoghi, Irlanda, Scozia, Etna, che paiono soggiacere aincantesimi o, per lo meno, a quegli effetti magici che le connotano. La vita delle fate è retta da

    una logica fantastica rassicurante e per noi tutto quello che fanno ha valore proprio perché non

    sappiamo che valore dargli.

    Secondo il cappellano scozzese Kirk ci sono molti suoi fedeli che hanno la “seconda vista”, cioè

    il dono di vederle nell’ambiente fra gli Highlands e la Bassa Scozia, e non si sa bene come mai ciò

    avvenga.

    Le fate usavano un linguaggio con parole di diverso significato e cambiavano i nomi di cose

    ordinarie in suoni che funzionassero “in modo analogo a quello che esse desideravano produrre ecosí formavano uno stile magico speciale loro proprio” che modificava la natura delle cose.

    Il buon cappellano scozzese crea una analogia coi Neoplatonici che pure usavano parole magiche

    “di diverso significato, parole che essi pensavano fossero state escogitate dagli dei che

    conoscevano la natura delle cose”. Un tale linguaggio, oltre al significato antropologico di un

    mito materno nel mediterraneo, di certo ben lo conoscevano gli intelletti risorgimentali tanto da

    usarne la simbologia offerta dal mito per accumunare gli intenti anche diversi quando non

    contrapposti dei cattolici e dei carbonari, dei neo classici come i romantici, in un unico pensiero

    risorgimentale. Attraverso l’uso del mito della Fata Morgana e delle simbologie che offriva, si cercò

    collaborazione con intellettuali di tutta Italia nello sforzo, in gran parte riuscito, di allargare gli

    orizzonti della società cui si rivolgeva costituendo così un importantissimo elemento di

    modernità nel panorama del tempo, con il motto simbolico “ Post fata resurgo”   si intendeva

    essere pronti a mettere in moto tutte le manifestazioni e azioni risorgimentali tra le quali dopo

    quelle dei primi decenni dell’800 di certo quella del 1° settembre 1847 fu la prima delle

    manifestazioni che condussero alla decisiva spedizione garibaldina. L’allegorica simbolica

    metafora della Fata Morgana nel mito che sintetizzava la figura di Madre, Dea, Signora eMadonna che si manifestava in fenomeni che per verificarsi necessitavano di determinate

    condizioni, si prestò facilmente ad identificare ora le speranze, ora le condizioni propizie per

    realizzarle, dei propositi e delle azioni risorgimentali.

    Non dovrebbe così stupire che molti moti si realizzarono dopo il metaforico accordo che si

    spostava da costa in costa: “Quando appare la Fata Morgana”.

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    Emblematici di ciò si rivelano i tantissimi scritti nei periodici risorgimentali tra cui quelli de “Il

    Maurolico”, che riportiamo nel paragrafo seguente, dove negli scritti di Angelo Aronne intitolati

    “Letteratura” ed “Eloquenza Sacra” (7), come in quelli di altri, emerge evidente in un linguaggio

    simbolico l’auspicio di una unione dei diversi animi e intenti risorgimentali, dalla Sicilia al Lazio,

    nel nome della Madonna e della virtù cristiana. Nelle intenzioni dello scrittore la Santa Maria,potrebbe simboleggiare, un nuovo stato federale della lega con a capo il Papa guidata da

    Ferdinando, ed emergere chiara una possibile chiave di lettura sul consenso offerto al Biscazza

    nel seguire e realizzare in Sicilia, attraverso la sua corrente politica più moderata e costruttiva, e

    non attraverso quella del La Farina che effonde quei principi rivoluzionari francesi, il disegno di

    una Lega italiana che già nel Lazio prendeva forma. Dove l’allusione alla luce e l’evidente

    metafora di una via da seguire.

    Oppure negli scritti del G. G. C., sul fenomeno della Fata Morgana  dedicati all’onorabile

    Signora d. Maria Napoli Duchessa d’Ossada S.Giorgio (8), dove spiegando scientificamente lemodalità del manifestarsi del fenomeno si presentano al contempo le caratteristiche di una

    sicilianità come a voler chiarire i punti di un possibile intendersi, ed anche qui si tratta di un

    intendersi compreso anche nella lingua del Lazio.

     Attorno quest’uso simbolico della Fata Morgana potevano dunque incontrarsi gli intenti dei

    neo classici e dei romantici, dei carbonari e dei credenti dei lazzari e dei neo guelfi, tutti

    accumunati nell’ idea risorgimentale che poteva prendere forma nelle Lega Italiana.

    Non stupisce così neanche la relazione esistente tra i fattori determinanti i fenomeni della Fata

    Morgana ed i diversi fatti risorgimentali da cui si possono notare delle coincidenze oltre chenelle date in cui queste diverse manifestazioni si realizzano, anche nei programmi politici, dai

     Vespri siciliani alle insurrezioni cittadine. Se la sola coincidenza non può comunque essere

    sufficiente a spiegare una tale analogia, potrebbe farlo invece il fatto che i “risorgimentali” sia

    che fossero uomini di fede, che di scienza o quant’altro, di certo dovevano conoscere bene le

    condizioni e le manifestazioni atmosferiche andando per mare tra una costa e l’altra, quale

    unico modo per eludere i controlli della polizia borbonica, doveva essere dunque facile per

    loro attribuire degli ulteriori significati simbolici a fenomeni atmosferici per intendersi in

    modo latente. L’altro mito che potrebbe simboleggiare una unione di intendimenti e di intentie la Colonna dei Dodici Venti a Gaeta, città d’eccellenza del Regno delle due Sicilie.

     Anche Gaeta possiede una millenaria cultura civile oltre che di scambi nel Mediterraneo e la

    colonna dei Dodici Venti fu già nell’antichità un punto di incontro di intese sia economico

    commerciali, quanto politiche.

    Gaeta ed il suo Golfo fino a Minturno mostrano come la loro strategica e naturale posizione

    non fu mai considerata come una semplice espressione geografica, ed i Greci giustamente la

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    La Torre dei Venti era un edificio ottagonale, come già accennato, ed aveva due vestiboli orientali

    uno a nord - est e l’altro a nord - ovest, con sporgenza circolare nel lato sud.

    Sulla parte superiore dell’edificio, quasi fregio, vi erano scolpite le figure dei venti sui singoli lati

    dell’ottagono, ubicate in direzione della base conica sormontata da un Tritone, il celebre figlio di

    Nettuno, al quale si attribuiva la potenza di agitare e calmare le acque del mare. Tritone per dimostrate questo suo potere aveva nella mano destra una verga di bronzo, che

    puntava sempre dalla parte dalla quale i venti spiravano; e affinché fossero a tutti noti i

    movimenti dell’atmosfera, nella medesimi direzione vi erano state scolpite le figure dei venti

    recanti nella parte superiore inciso il loro nome. Inoltre la torre faceva anche d’ufficio di orologio

    da acqua e da sole.

    Gli studi preziosi dell’antichità appaiono nella Colonna in tutta la loro grandezza, in quelle

    costellazioni la teoria e dottrina dei Pitagorici de dodici Venti e i loro nomi in arcaico o dorici

    sono scritti sulla Colonna dei Dodici venti di Gaeta.Marco Ceto Faentino, ammiratore di Vitruvio, riporta che a Roma vi era un Tritone fatto

    sull’esemplare di quello di Atene, con la differenza però che invece di girarsi su otto direzioni si

    girava su dodici. La preferenza della Capitale, in questo particolare, per la teoria della Scuola

    Italica è evidente, e in essa si sente pure l’influenza esercitata dal monumento e dalla antichità

    italica di Gaeta, eternata a caratteri d’oro da Ciceroni nella sua interrogazione al Popolo Romano

    “Forse noi ignorate …”

    Nel Medio Evo furono sostituiti gli antichi nomi, sacri agli sforzi immani dell’uomo per

    conoscere la terra, con quelli degli Apostoli.Riportata con insistenza da tutti gli scrittori di cose gaetane, la colonna dei Dodici Venti di Gaeta

    non era certamente monumento estraneo all’estero per la sua vetustà e importanza marinara di

    prima classe. Essa ritorna sulla grande scena della storia internazionale in momento di risveglio,

    seguito alla rivoluzione della Riforma e Controriforma.

    L’entusiasmo prodotto dal restauramento delle scienze, certamente portò i grandi studiosi del

    tempo ad indagare dove i migliori monumenti della scienza antica potevano trovarsi; e perciò noi

    troviamo in Gaeta, Grutero Giovanni d’Anversa, (1560 - 1627) l’opera del quale fu stampata e

    ristampata proprio in quei paesi dove i movimenti rivoluzionari internazionali accennati ebbero illoro fulcro.

    Grutero ci dà una notizia molto importante al riguardo, perché dice che la colonna era collocata

    non sulla cima di M. Orlando ma alle falde del sacro muro Gaetano, particolare che indica il

    grande uso pratico attaccato a opera del generale; ed è bene a notarsi che le falde del M. Orlando

    di quel tempo non erano troppo distanti dall’antico storico centro cittadino, così come sono oggi.

    La sua indicazione è più che preziosa perché la torre dei venti si trovava al centro di tutte le città

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    greche d’importanza, come appare dagli avanzi di quella di Efeso, sempre nell’agorà, e quella

    tuttora esistente in Atene, quantunque priva del Tritone indicatore dei cambiamenti

    dell’atmosfera.

    Considerata l’ubicazione dell’opera sia da parte Andronico, e le scoperte scientifiche di carattere

    matematico – astronomiche sia dell’antica Scuola Pitagorica che di Eratostene, possiamo conoggettività dedurne che Gaeta, per avere una opera del genere, doveva essere un centro

    attivissimo e non un luogo per placidi ozii. Particolare del resto che ho già provato riportando la

    lista dei porti imperiali di Cicerone, nella quale appare Gaeta, nella sua celebre Pro Imperio

    Pompei Magni Oratio.

    Una tale opera ed il suo carico simbolico che rappresenta ci fa ben comprendere quali siano le

    ragioni perchè Gaeta divenne centro ed originaria sede prima nella lotta ai saraceni e poi agli

    spagnoli, lasciandoci intuire il perchè fu luogo di incontro e sede di preti carbonari, ed

    offrendoci una ulteriore visione del perché a Gaeta nei domini del Regno delle due Sicilie siritrovarono sotto la “protezione di Ferdinando” Pio IX il Mazzini in una tranquilla prigionia

    che come la storia ci riporta sembra più una diplomatica dimora da cui intrattenere rapporti

    con i notabili rappresentanti d’ogni parte d’Italia per il primo e con i suoi amati Inglesi per il

    secondo.

    Seguendo le supposizioni che potrebbero emergere da un accostamento di questi due miti, la

    Fata Morgana e la Colonna dei Dodici Venti, e i fatti storico - risorgimentali, ci potremmo

    ritrovare di fronte alla possibile visione di un Ferdinando che segue anch’egli il motto della

    Fata, anzi ne riveste se non il ruolo di un occulto promotore quanto meno quello di adepto,ben comprendendo di quanto radicato fosse il potere baronale nel suo Regno, e di come i

    moderni principi rivoluzionari francesi fossero di già divenuti utili strumenti e beffardi alleati

    di un sistema che non vuole cedere il suo dominio secolare, dove il riformismo seppure

    eccelso non può evitare il predominio delle commistioni, gli intrighi di potere, ricordiamo che

    “ I mancati accomodamenti fra la Sicilia e Ferdinando II”, che portarono il vecchio ceto dei

    privilegiati a fomentare le rivoluzioni del 1848 - 49, ed ad offrire la Sicilia a Ruggero Settimo

    per mantenere il loro statua quo. Ferdinando conviene, così per questa via metaforica,

    anch’egli all’idea di una rinascita del suo Regno, intrattenendo da Gaeta rapporti ed accordicon i carbonari ed i lazzari, facendosi promotore della Lega federale italiana presieduta dal

    Papa.

    Del resto il “nuovo ordine di cose” a cui auspica il disegno ferdinandeo prevede proprio

    l’ armonica convivenza delle diversità nell’area del Mediterraneo ed un così alta ambizione non

    può che prendere forma in una lega di stati autonomi e sovrani, la cui ispirazione prese forma

    di progetto forse proprio all’ ombra della Colonna dei Dodici Venti.

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    Di fatti quando una tale convergenza di intenti venne meno, si dissolverà come in un nulla di

    fatto il nuovo ordine di cose a cui si auspica, così come lo stesso Regno delle due Sicilie, come

    se quell’ordine era condizione della sua stessa esistenza, sia che lo si veda come un

    incantesimo, sia che lo si osservi come un fenomeno.

    Certo ipotizzare tali fatti può sembrare la volontà di riscrivere la storia, cosa che qui non si vuol fare, cercare il significato delle analogie tra i fatti e le allegorie simboliche, i linguaggi

    segreti che si nascondono dietro gli scritti scientifici o letterari, se mai ci sono stati, non è

    nostro compito.

    Qui si è voluto osservare i fatti, non solo nel loro contestuale verificarsi, ma anche quali

    elementi di un orizzonte più ampio possibile.

    Nell’ intento di perseguire un’analisi “trasversale ed introspettiva” delle genti e dei fatti latenti ed

    evidenti, guardando alle motivazioni e le modalità del verificarsi dei fatti della storia, cogliendo le

    loro possibili congiunture nei loro contesti ed in altri, le loro possibili sfaccettature e riflessi.Ed è naturale che i fatti possano assumere significati e modalità diverse se si allarga il

    contenitore contestuale che li contiene, o il campo d’indagine. La metafora delle “scatole

    cinesi” che usa il Funzionalismo o la teoria dell’“Infinitamente piccolo e dell’infinitamente

    grande” nella fisica, quanto nella filosofia, o la teoria delle “probabilità” nelle scienze

    matematiche potrebbero ben rendere l’idea di cosa qui si è voluto intendere, senza voler

    assolutamente riscrivere la storia. Anzi nel rispetto di ogni valida data ed avvenimento, che si

    che si evince nella storiografia ufficiale, abbiamo semplicemente osservato i fatti cercando di

    ripercorrere le idee che li hanno determinati.Considerando, la virtù ed il valore di chi ha contribuito a creare un “nuovo ordine di cose”

    nella speranza di un mondo almeno migliore se non poteva esser meraviglioso, come dei fiori

    che si offrono alla Fata Morgana e tutto ciò che questo mito può significare, rappresentare, ed

    essere, con il più nobile dei sacrifici, quello dell’amore.

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    Da “ Il Maurolico”

    ELOQUENZA SACRA

    Leviamo voci di plauso all’onorandi Sacerdote

     Vito Corallo di Sicilia che seppe finora ne’ giorni

    quaresimali di quest’anno nel Duomo di Messina

    chiamare i cuori alla pietà, ed infiammarli di ogni

     virtù cristiana. - Ei quantique sia stato da noi

    altra volta inteso, pure il volgere di un decennio

    non ce l’avea fatto dimentico: e noi tutti eravam

    pieni della di lui valorìa . - Questa prevenzione che

    spesso spesso, anzi sempre, suole ricadere in danno

    di colui per cui favorevolmente si pensa, non andò

    fallita; che anzi ne’ risultamenti fu di gran lunga

    minore.

    Noi troviamo in ogni suo discorso un dire

    sagacissimo didascalico, ed una sana dialettica. La

    tesatura del suo favellare non è né affettata, né ricercata,

    ma facile, pura, piana ed insieme elevata. I suoi

    argomenti sono forti, e tolti dalla natura umana:

    i suoi libri la Bibbia, ed il Vangelo. - Nella

    predicazione egli è si commovente, che alcuni squarci

    d’eloquenza ottengono tutto il desiderabile effetto. -

    Noi quindi il diciamo a piena voce ottimo, e nella

    sua missione uno de’ migliori Oratori Apostolici del

    Secolo. - Ei lungi di gridare la croce all’Uomo,

    l’uomo accarezza, e con la blandizia di pochi veraci

    esempli dal vizio lo storce.

    D.a  A. A.

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    LETTERATURA

     A C C A D E M I A P E L O R I T A N A

    Pria che il Redentore degli uomini sul Golgota patisse queitormenti, che noi ogni attimo rimenbrar dovremmo per astenerci

    da qualsisia lievissimo peccato, la religione trionfante in questa

    terra di dolore era la religione della favola e del capriccio.-

    Qua adoratasi Diana: là tempio a Nettuno ed a Venere elevatasi: o

    ora a Castore ed a Polluce voti e

    profferte s’innalzava, ed a tane altre Deità alla di cui adorazione,

    o la bisogna, oppure alcuno avvenimento sospingeva. –

    Ed oh! in quei tempi d’ignavia quanto sangue macchiò la terraper lenire gli Dei, i quali di sangue satire si facevano . –

     Al buior di tanta notte successe però il più fiammante sole. –

    E Dio, quell’Onnipotente che al nulla il seno apri, ed il di cui cenno

    fece il Cielo e la Terra, Dio più non volle sopra degli altari il

    sangue.

     Volgeva intanto l’anno XLII di nostra salute, e questa mia

    patria all’idolatria ancor ella soggiaceva. – La predicazione del

    l’Apostolo delle genti però, ed una lettera che la medesima manodella Santa Donna, la Madre delle Madri in Gerusalemme li

    3 Giugno scrisse, ed ai nostri antiqui padri consegnò, fu il lampo

    precursore della vera Religione di Cristo, fu la vivida face,

    che dissipò la tenebrìa del paganesimo,. – Ed oh beati tempi!

    - Rovesciarono al suolo allora gli altari de’ falsi dei: furono

    infranti gl’idoli: ed i nomi di GESÙ e di MARIA al Cielo

     volarono. – La croce in ogni dove si vide: alle vittime successero

    gl’incensi; ed agli oracoli i miracolo, che una viva ardentissimafede da Dio si attirava. – Una quindi la Religione, una la preghiera,

    ad un medesimo fine gli altari e le chiese . – Ogni di

    intanto la fede verso Dio, e verso la Santa Donna raddoppiare

     vedesi; e quantunque il più fiero fra gl’Imperatori ogni cura

    spendesse onde il nome di CRISTO non più per le bocche andare

    e venerarsi, pure vano tornava ogni tentato modo.

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    È , dopo le premesse cose, da diciotto secoli che si professa si

    bella fede, e nella ricorrenza dell’anniversario giorno la festa

    solennemente se ne celebra. – Né il Popolo soltanto a questa

    pubblica gioia si abbandona; ma ben auco la classe de’ Dotti, in

    numerosa raunanza congregata, innalza voti e preghiere, inni digiubilo e cantici di gloria a quella figlia di Giacchino, la quale

    spontaneamente perpetua protettrice di Messina si è dichiarata.

    Ma del 3 giugno di quest’anno che potrà dir le feste? Qual

    penna potrà mai descrivere l’entusiasmo del Popolo nella solennità

    della processione? Quale anima spettatrice di ci dolei trasporti,

    per quanto abdicata si volesse dal consorzio della fede in

    Maria, non si sentiva inondare il cuore di tenerezza?….. Ah si,

    bisogna pur confessarlo, quandi la fede in Dio è vera, è ardente,non vi ha cosa umana che possa pareggiarne gli effetti. –

    Ogni labbro, ogni ciglio. Ogni cuore sentiva sì forte la commozione,

    che uno era il grido, unanime il desiderio, ed a questo grido

    di VIVA MARIA succedeva il più tenero spontaneo pianto,

    e la ricordanza de’ riportati benefici, precipuamente nella liberazione

    del Cholera.- Sì, meglio è tacere, che scrivere cose che

    impossibili mi è di esprimere.

    L’accademia Peloritana anch’ella nel di 6 ha esternato i sentimentiDella sua devozione. – Il Cavaliere Letterio Stagno, i di

    Cui pregi suonano dovunque, ha recitata un’apposita Orazione,

    con la quale ha tulto a dimostrare l’autentica verità della ter 

    tera, che Maria scrisse al Popola di Messina, e quindi ha esposto

    alcuni fatti, che ad evidente in ogni tempo protezione contestare

    si è veduto.

    Bello e fiorente è il dettato di essa Orazione validi e robusti

    gli argomenti l’uno concatenato all’altro, e nuova la manieradi abbattere il contraddittore Picro. Il quale volendo vie maggiormente

    rafforzare il suo dire, ed inchinare gli animi ai suo errore

    bociava, che il documento originale non esistendo, immaginaria

    ed apocrifa dovea perciò riputarsi la lettura. – Ed il

    nostro Olatore dopo che tutte le ragioni ha detto, colle quali a

    ribocco dà a conoscere la verosimilitudine, e quindi la realtà

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    del nostro prezioso monumento concludeva, che ammessi di quel

    folle i ragionari si dovrebbe stimare apocrifa la Odissea di Omero,

    immaginarie le tele di Zeus e di Apelle, e le scritture e scientifiche

    de’ dottissimi Egiziani, apocrife tante opere dell’antichità,

    sol perché di essa non conservasi, più l’originale ….. E chinon ride a simili follie?

    Sponendo poscia gli avvenimenti, che in ogni età han dimostro

    L’opera della predilezione di Maria ha colto i più vincenti

    allori. – E noi facciam voti che si bella Ovazione sia al Pubblico

    presentata onde conoscere quanto ridevoli sono i mezzi dei viti

    miscredenti, e come alla Davidica Regina, e quanto noi siamo stati,

    e siamo cari.

     Vi ebbero luogo anche de’ deticati poetici componimenti disvariato stile, e qualcuno nella lingua di Lazio, de’ quali vorrei

    qui dire i pregi, se la ristrettezza del Giornale non nel vietasse,

    - Dico solo però che il charissimo Biscazza meritò i primi elegi

    Le terzine da lui recitare sono veramente care, ed hanno un sapore.

    Squisito. Desse vediamo la luce: così i cultori delle amene

    Lettere avranno il destro di ammirarne la bellezza.

     ANGELO ARONNE.

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     ALL’ONORABILE SIGNORA D. MARIA NAPOLI

    NATA MARCHASE DELLA MELIA

    DUCHESSA D’OSSADA S. GIORGIO, EC. EC.

    Uno de’ più sorprendenti fenomeni cattolici, che

    possano presentarsi a’ nostri sguardi, ornatissima

    signora Duchessa, è quello della così della Fata

     Morgana, ossia Iride Mamertina, che a lontani periodi si

    fa osservare nel nostro mare peloritano. Io quindi

    posi mente a raccogliere quelle notizie, che sulla stessa

    mi venne fatta di rinvenire, ed a Voi signora mi piacedirigere, a Voi che tanta bontà mostrate pelle cose

    mie.

    Né credo vi sarà discaro, se per breve ora vi

    distolgo da’ vostri severi studi della medicina

    omeopatica, e della notoria, che con tanto ardore, e

    successo coltivate: a Voi, che nata fra le dilicaterze, ed

    i comodi d’uno stato opulento, non isdegnate di

    stendere le vostre mani su de’ freddi cadaveri,studiarne la struttura della ossa, le compage de’

    muscoli, ed i miracoli sorprendenti, che costituiscono

    la vita animale.

    Si era pur veduta fra noi un’Anna Ardoino

    scrivere e parlare con ogni eleganza la lingua del

    Lazio. Una Nina da Messina tenere filosofico

    carteggio con Dante da Majano, una Nicoletta

    Pasquali anch’essa poetessa valente, e cento altreillustri messinesi colte, ed erudite in vari rami

    dell’umano sapere, mia niuna sinora, come Voi, aveva

    avuto il coraggio di notomizzare con franchezza per

    solo amor della scienza gli umani cadaveri, onde trarre

    insegnamenti per erudire il vostro spirito, ed esser di

    sollievo a coloro, che vi consultano.

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     Volendo dunque distrarvi da studi così severi, vi

    presento quanto su questo raro, e sorprendente

    fenomeno hanno scritto gli uomini più dotti, e

    precisamente mi avvalerò di coloro, che testimoni di

     vista intelligenti, rapportano quanto anno osservatocoi loro propri occhi, onde cader dubbio non possa

    sulla verità dei loro racconti, aggiungendovi qualche

    mio pensamento onde spiegarvi le cause fisiche che lo

    producono.

    E non per tanto, io starò a trattenervi

    raccontandovi, come gli antichi diedero questo nome

    ad una donna allieva del famoso mago Merlino, né

    quanto abbia figurato né tempi della cavalleria pellesue stregonerie, ed incantesimi. Né manco verrò

    dicendo quanto su tal fenomeno ci lasciaro scritto i

    due sommi naturalisti Aristotile, e Plinio, l’eccletico

    Damascio.

    Sarà il medesimo riflesso nel punto G della

    superficie del mare

     A B formando l’angolo di riflessione A G H, uguale a

    quello d’incidenza E H D: dallo stesso punto G sarànuovamente riflesso nella direzione dell’osservatore,

    facendo altresì l’angolo B G F, uguale all’angolo A G

    H . Quindi il punto E si renderà visibile, come

    esistente nel fondo delle acque, ossia sotto la

    superficie A B . Se però l’occhio dal punto F

    guardasse direttamente la superfice C D non

    scorgerebbe certamente il punto E in essa effigiato,

    mentre si troverebbe fuori la direzione del raggioriflesso.

    Ma come, sento ancora obbljettarmi, le

    sorprendenti immagini della nostra Morgana cangiano

    continuamente forma e posizione, mentre gli oggetti

    radianti che le producono conservano sempre il loro

    essere? Lo specchio che li ristette nel mare, non può

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    certamente conservare la sua forma: coll’alzamento

    del Sole i vapori devono diradarsi, e comporre la loro

    superficie riflettente, ora in piana, ora in concava, or

    convessa, ellittica, parabolica, e mista in mille maniere;

    e poiché gli oggetti che si riflettono dagli specchi chehanno tale superficie pigliano diverse figure, sino a

    comparire i difformi regolari, ed i regolari difformi,

    perciò non è meraviglia, se nella Morgana tante

    immagini si osservano fugaci, e passaggiere, simili, o

    differenti agli oggetti che le producono.

    Né vi sembri strana la ipotesi che i vapori possano

    riflettere l’immagine degli oggetti, poiché non

    diversamente spiegano i fisici quelli due singolarifenomeni detti l’uno Parelio, e l’altro Paraselene , che

    rappresentano il primo un falso Sole, il quale

    comparisce talvolta vicino al vero, ed il secondo una

    falsa Luna. Entrambi succedono a loro avviso,

    quando i raggi di questi luminari s’imbattono in vari

     vapori atti a rifletterli verso il nostre occhio in ordine

    a quantità sufficiente come sarebbe uno specchio:

    anzi talvolta non una sola immagine rappresentanoquesti vapori, ma molte, come fu visto in Roma

    nell’anno 1629 un parelio di cinque soli, e nell’anno

    1666 un altro in Arles di sei.

    Io non credo Signora dover discendere a più minuta

    dimostrazione,

    ben concependo voi stessa coll’acutezza della vostra

    mente,

    ossia meglio di quanto potessi esprimervi. E che siacosì, a me sembra d’averlo a sufficienza dimostrato

    quell’elevatissima ingegno del Padre Kircherio, il

    quale arrivò financo, per quanto leggiamo, dotto

    come egli era in tali materie, in una vastissima sala a

    formare la Morgana artificiale, con tutte le sue

    stupende,e sorprendenti apparenze.

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    Io frattanto per proceder con ordine, tralasciando

    quanto ne dissero i buoni antichi, vi dirò come il

    primo a parlarne, per quanto ne sappia, ne’ tempi a

    noi più vicini, fu il famoso storico siciliano P. Fazzello

    domenicano, il quale scriveva la sua storia verso il1550. egli dunque trovandosi in Messina, ebbe

    certamente a vedere così strano spettacolo,

    lasciandoci la seguente descrizione:

     ) Ma in questo mare altro spettacolo

    meraviglioso di sovente

     ) apparisce, imperocché dopo cessate le procelle,e

    rasserenatasi

     ) l’aria, sul far del giorno rilucendo l’aurora, si vedononel

     ) l’aria diverse immagini d’uomini, e d’animali: alcuni

    di questi

     ) oggetti si rimangono immobili, ma alcuni vanno

    scorrendo per

     ) l’aria, e come si infra lor combattessero, finchè

    riscaldandosi

     ) il Sole, ogni cosa sparisce dalla vista.L’uguale testimonianza, e presso a poco l’uguale

    racconto ci fanno li due storici Politi, e Carnevale; il

    primo ci viene narrando come ( Alle volte, e

    specialmente di state, la mat-

     ) tina, per li vapori, che si rilevano, si vedono cose

    meravi-

     ) gliose, i quali ingrossano in tal guisa l ’aria, che ogni

    piccola ) cosa la fanno parere grandissima, e quella di lontano

    molto

     ) vicina, talmenteché si vedono per que’ lidi nuove

    città, ed

     ) infinita edifizi, altissime torri, bellissimi, porti, e folte

    selve di

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     ) alberi, e questa vista dalla gente del paese si

    domanda Fata

     ) Morgana, Ciò avviene pella grossezza dell’aria così

    piena di

     ) vapori, che la mattina sono sollevati da’ raggi delSole, e così

     ) durano, infino a tanto che riscaldati da quello in

    tutto non si

     ) risolvono, ovvero se non spira alcun vento, e quelli

    insieme

     ) coll’aria ne poti seco).

    E presso a poco uguale è il racconto lasciatoci del

    Carnevale: ) È cosa certo mostruosa, egli dice, che dopo

    acquietata la tem-

     ) pesta, e serenata l’aria, in sul cominciare dell’alba si

    scorge

     ) in questa mare, imperciocché appaiono nell’aria

    diverse forme

     ) di animali, de’ quali altri ballando, ed altri fra loro

    azzuffandosi ) con diversi moti, sogliono da’ curiosi essere

    osservati, e

     ) visti. Egli è ben vero che tostocché il gran pianeta,

    che a noi

     ) distingue l’umida, e bassa terra eglino spariscono, e

    del tutto

     ) si dileguano ….. non potendo quella folta e grossa

    aria, dacchè ) quelle immagini furono imprese, resistere al calore

    del

     ) Sole).

    E giacchè mi trovo su questi parlari, credo esservi di

    piacere grandissimo, il riferirvi la lettera, che il Padre

    Ignazio Angelucci in Agosto del 1634 diriggeva da

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    Reggio al padre Leone Sanzio, che leverò di peso dalle

    opere del Padre Kircherio , descrivendo in essa quel

    buon padre, quando co’ propri occhi, eragli toccato di

     vedere ( La mattina dell’assunzione della Vergine

     ) standomi solo alla finestra, vidi cose tante, e tantonuove, che di

     ) ripensarle mai non son sazio …… Il mare che bagna

    la

     ) Sicilia si gonfiò, e diventò per dieci miglia incirca di

    lunghezza

     ) come una spina di montagna nera; e questo della

    Calabria

     ) spianò e comparve in un momento un cristallochiarissimo e

     ) trasparente, che pareva uno specchio, che colla cima

     ) appoggiasse a quella montagna di acque, e colli piedi

    al lido di

     ) Calabria. In questo specchio comparve subito di

    color chiaro-

     ) scuro una fila di più di dieci mila pilastri di uguale

    larghezza, ) ed altezza, tutti equidistanti, di un medesimo

     vivissimo chiarore,

     ) con una medesima ombratura erano gli sfondati tra pilastro, e

     ) pilastro: in un momento poi li pilastri si smezzarono di altezza,

     ) e si arcuarono in forma di cotesti acquedotti di Roma e restò semplice

     ) specchio il resto del mare, ma per poco, che tosto sopra

     ) l’arco si formò un gran cornicione; fra poco sopra del cornicione

     ) si formarono castelli reali in qualità disposti in quella ) vastissima piazza di vetro, e tutti di una forma e lavoro; fra

     ) poco le torri si cambiarono in teatro di colonnati, ed il teatro

     ) si stese e focene una doppia fuga: indi la fuga di colonnati

     ) diventò lunghissima facciata di finestre, in dieci fila: della facciata

     ) si fe’ varietà di selve di pini, e cipressi uguali, e di altre

     ) varietà di arbori, e qui il tutto disparve, ed il mare con un

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     ) poco di vento tornò mare. Questa è quella Fata Morgana, che

     ) ventisei anni ho stimata inverisimile, ed ora ho visto vera, e

     ) più bella di quella che mi si era dipinta).

    Non meno dilettevole, ed incantatrice si è la relazione

    lasciataci da quel sommo ingegno del padre Atanasio Kircherio, sebbene dalla lettura delsuo racconto, sembra più tosto di riferire egli la cose che avea inteso quando fu in

    Messina, ed il Reggio nel 1639, anzicché testimonio oculare ci racconti le cose da lui

     vedute: dotto però come egli era, stabilisce di non potersi verificare l’apparizione di

    questo fenomeno, se non ne’ tempi di ardentissimo caldo.

     ) Ad un tratto, egli dice, si apre un teatro in quell’aria

     ) pregna di vapori, di tanta varietà di cose adornato, ed abbellito

     ) da tali scene, che non vi è cosa quasi , che colà non si veda: ) castelli, palagi, edifizi, con tutte le regole d architettura, e

     ) prospettiva, d’ordine infinito di colonne adornate con ammirabile

     ) magnificenza. Ma questi a poco a poco svaniscono, ed

     )altre scene vi succedono. Ombrose selve coperte di cipressi ed

     ) altri alberi in bell’ordine piantati, e quindi si vedono e campi,

     )e torme infinite d’uomini ed armenti di bovi, e gregie di pecore,

     ) e tutti questi oggetti vestiti con tale verità di colorito, con

     ) tanta forza di chiaro-scuro, con tanto movimento di gesti,

     ) che l’ingegno umano non è possibile produrre cosa simile

     ) a questa. Questa è quella che i regini chiamano Fata

     ) Morgana.

    Supera però di gran lunga le descrizioni dell’Angelucci, e

    e del Kircherio, quando colla sua solita esattezza, e nimietà ci

    lasciò scritto il nostro Padre Saperi, testimonio al certo

    degnissimo di tutta fede.

     ) È più ammirabile ancora quando cessato il furore delle procelle,

     ) e fugati i venti ritorna la calma alle acque, conciossicché

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     ) sul far dell’alba si vedono comparire nell’aria nuovi

     )portenti. Qui animali di forme svariate, ovvero smisurati corpi di

     ) giganti, che van correndo di qua e di là; svanite queste

     ) immagini apparir vedi mostruosi serpenti, che ora si ravvolgono ) in cerchio, ed ora distendono le loro spire, e dopo questi

     ) appaiono leoni ornati delle loro maestose giubbe. E dopo questi

     ) si vedono ancora vari gregi di capre, e di feroci arieti, che

     ) cozzano orribilmente fra loro colle corna, Da li ad un momento

     ) vedrai comparire e chiumere, e satiri, e sfingi, e centauri,

     ) e mostri di vario genere, che ti sorprendono, ma che non

     ) lasciano di dilettarli: ma appena spuntato il Sole, e riscaldandosi

     ) l’aria co’ suoi raggi, svanisce ogni incanto ).

     Venendo ora a ‘ tempi a noi più vicini, devo con mio dispiacere

    confessarvi, onorabile Signora, come niuno si è data la

    pena di lasciarci una descrizione di questo vago fenomeno, sebbene

    nel secolo passato più d’una volta la bella Fata abbia fatto vedere

    il suo volto.

    Il nostro storico Cajo Domenico Gallo, esatto in ogni

    cosa, parlando della Morgana ci riferisce soltanto, che dessa fu

    osservata dal Padre Giuseppe Scilla figlio del celebre Pittore

     Agostino, e dal padre Domenico Manforte gesuiti, entrambi suoi

    conoscenti ed amici, ma sotto quali aspetti sia la stessa comparsa

    cel tace, contentandosi invece di trascriverci quanto con poetica

     vena ne cantava il poeta, e filosofo medicano Tommaso

    Campailla.

    Un breve cenno soltanto ne abbiamo in una lettura scritta

    da Filippo Jacopo Pignatari da Monteleone nel 1753, ma

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    egli non ci narra, se non cose intese da altri, e cerca con

    argomenti distruggere la teoria del Kirckerio, ed uniformarsi a

    quanto poeticamente ne cantava il Campailla, senza addurre

    alcuna nuova ragione, che meglio ci persuada.L’ultimo però, che ne scrisse a’ nostri tempi, e che ben

    potea farlo fu il nostro concittadino Pietro Ribaldo, il quale si può

    dire averne steso un trattato completo, che inseri nella sua

    elaboratossima opera sulle correnti del nostro canale.

     Voi dovete permettermi, rispettabile Signora, che qui ancora

    inserisca in accorcio questo illuminato scrittore pubblicò

    nell’opera testè cennata.

     ) tra i fenomeni sorprendenti, egli dice, che si vedono

     ) nel canale di Messina, prodotti da differenti cause, il più

     ) straordinario è quello di cui andiamo a trattare. Esso succede

    9 di raro, e bisogna che vi concorrano moltissime circostanza …….

     ) In primo luogo, la stagione incominciando dal mese

     ) Luglio deve essere calda, progredendo, sempre il calore, ed

     ) incalzando eccessivamente per cinque o sei giorni prima di quello

     ) che succederà il fenomeno).

     ) 2° . Per molti giorno questo calorico deve essere

     ) accompagnato da una calma perfettissima di vento acciò la

     ) superficie resti spinata.

     ) 3°. Che le correnti siano calme per più giorni.

     ) 4°. Che per alcuni giorni pria del fenomeno non succeda

     )pioggia.

     ) 5°. Che le montagne, e le colline della Sicilia, e della

     ) Calabria soffiano entrambe durante la notte un piccolo vento, e

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     ) tramandino de’ vapori caldi come suole succeder sempre in està,

     ) onde il mare sia bene spianata con questo venti trasversali.

     ) 6°. Che dall’alzata del sole, sino al momento in cui

     ) secade la fata Morgana, e sua durata, non vi soffi alcun vento. ) 7°. Che questo momento arrivi nell’ultima ora della rema

     ) montante, o nella prima ora della rema scendente, due, o tre

     ) giorni dopo il primo, o ultimo quarto della luna, e nel vero

     ) punto dell’apogeo, tempo in cui le acque superficiali del

     ) canale stanno per qualche ora in perfetta calma.

     ) Tutte queste circostanze erano avvenute fino al giorno in

     ) cui andando dal Pezzo a Reggio a colla scarridoja reale n. 12

     ) successe l’Iride, e mi fu facile conoscerle, e notarle, perché

     ) i padroni pescatori lungo la costa sapendo tutti il desiderio,

     ) che io nutriva di vedere la fata Morgana, in ogni estete mi

     ) chiamavano sovente, ed io vi perdeva molti giorni, ne’ due

     ) mesi di Luglio, e di Agosto, correndo la costa, colla speranza

     ) di veder ciò, che non avevo giammai potuto veder.

     ) Verso la mettà di Luglio del 1809 fui nuovamente avvisato,

     ) che il mare esalava molti vapori, e che la terra usciva

     ) una densa nebbia, e che tosto andrebbe a formarsi la Fata

     ) Morgana, Tosto mi portai a Villa S. Giovanni, e poi alla

    Catona, paesi dirimpetto a Messina; ma non verificassi in quel

    giorno: ritornai al pezzo per pernottarvi, e per colà aspettare

     ) la scorridoja num. 12, onde passare per affari di servizio in

     ) Reggio: arrivò essa infatti l’indimani assai di buon’ora, e

     ) m’imbarcai poco presso a far dell’aurora, e siccome i marinai

     ) assicuravano, che per ragione della calma, e del gran calorico,

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     ) che si osservavano nelle acque del mare, la Morgana si

     ) sarebbe formata dopo lo spuntar del Sole, quindi mi misi in

     ) viaggio, facendo vogare due soli remi per ben meditare il principio,

     ) e l’andamento del fenomeno. Arrivati alla Catona il Sole ) incominciava ad illuminare il canale: si vedeva esalare dal mare,

     ) e dalle spiaggie un vapore, che diveniva copioso a misura,

     ) che il Sole s’inalzava: pensai di non più movermi da codesto

     ) paraggio, e feci anzi gettare il ferro sotto il paese, e fissamente

     ) mi posi a guardare il mare.

     ) Il sole era già bastantemente alzato, e l’esalazione de’

     ) vapori continuava, e si condensavano vieppiù, riflettendo i raggi

     ) della luce del sole: la mia attenzione era tutta su que’ punti

     ) dove i vapori si agitavano maggiormente, tanto in aria, che in

     ) terra, e sulla superficie del mare; ma niente ancora si vedeva.

     ) Dal sito in cui si trovava la scorridoja più non iscorgebasi

     ) la costa di Messina , né l’interno delle sue montagne, perché

     ) queste vapore lucido si era eguagliato e confuso col color del

     ) cielo, che allora trovatasi cenericcio, in maniera, che facea

     ) conforder l’idea, e vacillare la vista, che era già per altre

     ) bastantemente travagliata, per osservar fissamente tutti i

     ) movimenti, e cambiamenti, che spesso si vedevano nel vapore, che

     ) toccava il mare. Dopo queste strane combinazioni il mare, ed

     ) il vapore divennero perfettamente chiari, ed indi cristallini,

     ) simili a quelle gran vedute, che si rappresentano col fuoco di

     ) bengala ne’ grandi teatri d’Europa.

     ) Il padrone della scorridoja mi consigliò di scendere a terra,

     ) e mettermi su d’una eminenza, che esisteva poco più sopra della

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     ) spiaggia, e propriamente sulla batteria, per godere meglio della

     ) bella veduta: vi salii infatti, e postomi su d’un cannone fissai

     ) nuovamente i miei sguardi sul mare, e su i vapori.

     ) Sul primo momento in questo grande specchio si vedevano tanti ) oggetti in confuso, senza poterne distinguere alcuno; ma

     )mentre io guardava ora a dritta, ed ora a sinistra innanti la

     ) batteri, un marinaio che era meco ad osservare mi avverti che

     ) in una certa distanza si vedevano molti palagi: io vi portai le

     ) sguardo, e vidi ben tosto, non solo quelli palagi indicati, ma

     ) molte altre fabbriche in forma di torri, o campanili, di color

     ) Chiaro-scuro , ripetendosi di tratto in tratto in tutte quelle fila

     ) di specchio, che presentavano le variate onde spianate del mare,

     ) sinistra, scoprii altri campanili, ed altre case intersecare da

     ) alberi, da muri, da archi e da latri oggetti, che non si

     )potevano ben distinguere: queste immagini si ripeteano di distanza

     ) in distanza a misura, che l’occhio si dirigeva verso Sicilia. Ma

     ) mentre stavo io a guardare siffatti oggetti, cambiassi la scena;

     ) una parte di essi si dileguò, un’altra audò ad abbassarsi molti

     ) bastimenti, e pareano come un’armata, o un numeroso

     ) convoglio, come se fossero stati in mezzo d’una città, e d’una

     ) foresta, perché all’intorno di essi scorgevasi una quantità di

     ) alberi, di case di campanili, e di torri. Questi navigli erano

     ) sicuramente quegli stessi ancorati nella rada di Messina, e impressi

     ) negli specchi, che presentava il mare; poiché nium

     ) Legno vi era in canale, né verso Calabria né se ne vedean del

     ) pari ancorati. Si fatti immagini erano ripetute in varie linee,

     ) e formavano il più bello spettacolo. In questo momento un’aura

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     ) divento da canale passando sul mare, increspò la sua à

     ) superficie, condusse seco il vapore, e tutti gl’incantesimi di Circe.

     ) Tutto disparve come al cader d’un sipario, e presentossi quindi

     ) nuovamente la scena delle belle coste di Sicilia. Il fenomeno ) non durò più di 12 14 minuti ……

     ) Pur lo più la Fata Morgana apparisce poco dopo, che il

     ) Sole si è alzato dalle montagne di Calabria, momento in cui le

     ) case, gli alberi, le torri, i campanili, ed altri oggetti della

     ) città di Reggio vengono in buono parte illuminati ne’ fianchi,

     ) e nelle spalle. Ciò posto come mai possono questi riflettere nel

     ) mare a cui non presentano che le parti oscure? Non sarebbe

     ) più verosimile in questa posizione, che fossero gli oggetti

     ) siciliani, quelli, che si vedono nella Morgana, mentre il Sole

     ) illumina i loro frantespizì, che riverberano sul vapore, e sulli

     ) specchi catottrici? E ciò sembra maggiormente confermate,

    avendo veduto nella Fata Morgana da ne osservata, molti bastimenti,

    mentre nella rada , e nel cratere il Reggio nessuno ne esisteva, ma

     ) all’incontro molti in quelli di Messina).

    Or, per quanto da me si apprezzino le sagacossime osservazioni

    del Signor Ribaldo, io non posso uniformarmi adottando

    le sue opinioni, quelle cioè, che le immagini della Morgana

    osservate dalla Calabria, sian prodotte esclusivamente dagli oggetti

    di Sicilia, ma penso poter essere e dalla Sicilia, e dalla Calabria

    istessa, originati, a seconda delle diverse circostanze. In

    fatti supponghiamo ( figura II°), A essere l’occhio d’un

    osservatore, B C il mare, D E F G H M ecc. Le onde, dirò così,

    de’ vapori riflettenti, ossidano gli specchietti catottrici, è chiaro,

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    La Nascente borghesia siciliana nel disegno ferdinandeo e la post

     fata resurgo.

    Ci sembra semplicemente chiara la volontà di Ferdinando II e di un ceto di altri “neo Classici”,attraverso le riforme del Regno che vanno dall’accentramento amministrativo all’autonomia

    federale, di realizzare dalla Sicilia una restaurazione dentro la già in essere restaurazione, il

    riportare in luce sotto le nuove forme del progresso sociale economico e religioso l’antica, ma

    quanto mai moderna politica ferdinandea. E’ evidente in questi illuminati la volontà di riportare

    l’antico splendore del Regno in un nuovo ordine in antitesi a quelle nuove tendenze

    risorgimentali che s’affacciavano all’orizzonte, e la loro capacità di prevedere le possibili deleterie

    conseguenze delle idee di una rivoluzione che con troppa facilità parlava di libertà, uguaglianza e

    fraternità, la stessa facilità con cui tagliava teste pensanti. Emerge evidente tale intenzione dalleparole con cui si motivano le riforme amministrative: “La sicilia ha la sua cultura giuridica e non ha

    bisogno di altre”   (11).  Adesso al posto degli eserciti normanni vi saranno i capitali anglosassoni, al

    posto dei templari i nuovi massoni, come i preti che guidavano le vendite carbonare, che si

    riveleranno strumenti e protagonisti ed anche autori di tale volontà di voler ripristinare

    quegl’equlibri di un “Maraviglioso Regno nel Mediterraneo” , dove la terra ritorna in possesso delle

    genti attraverso gli usi civici come era scritto negl’originari patti. Ma tali intenti dovranno cedere

    il passo agli intendi delle nuove idee di nazionalismo che si presentano con delle eccezioni di

    modernità che per essere dovevano sacrificare i nobili principi di una virtù antica alle nuovelogiche di modernità e di progresso. In ciò diviene emblematico il conflitto tra Classici e

    romantici che infiammerà le coscienze intellettuali, gli spiriti rivoluzionari, le piazze, le città e le

    campagne in armi, nei decenni che precedono e seguono l’Unità. Per una strana ironia del tempo

    che passa sulle cose, e del caso che succede ad esse, possiamo osservare come alla statua, che

    rappresenta la libertà posta sull’effige murale che celebra il 1° settembre a Messina, manchi la

    testa, come a voler il tempo ed il caso beffardamente simboleggiare quanto deleteri in effetti si

    sono rivelati tali principi di progresso fin anco a tagliare la testa del loro stesso principio primo: la

    Libertà.

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    Il Banchetto  

    Sire, Maesta

    Riverenti come sempre siam tutti qua

    Sire, Siamo Noi

    Il poeta, L'assassino E Sua Santità

    Tutti, Fedeli Amici Tuoi.

     ah... Maesta

    Prego, Amici Miei,

    Lo Sapete Non So Stare Senza Di Voi

    Presto, Sedetevi,

    Al Banchetto Attendevamo soltanto voi

    Sempre Ogni Giorno Che verra

    Finche Amore E pace regnera.

    Tutti Sorridono

    Solo Il popolo Non ride, ma lo si sa

    Sempre PiagnucolaNon Gli va mai bene niente chissa perche,

    Chissa perche perche etc. etc. ... (12).

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    L’ultimo atto di modernizzazione nella Sicilia Borbonica

    Indagare il ruolo svolto dalle Società economiche significa studiare quei processi di

    modernizzazione e di industrializzazione che hanno riguardato e cambiato lentamente - nel corso

    dell’Ottocento - la fitta trama del paesaggio agrario siciliano. Ma non solo, studiare queste

    istituzioni significa, inoltre, far emergere uno “spazio rurale” della Sicilia borbonica pre - unitaria,

    i cui aspetti vanno dai dibattiti sull’agricoltura, con il suo passaggio da una struttura Baronale e

    feudale ad una più moderna e capitalistica, dalle manifatture nel loro evolversi in senso

    industriale, dai discorsi sulla migliore politica economica da adottare per lo sviluppo dell’Isola alla

    pari, se non al di sopra delle altre nazioni europee, fino ai cambiamenti dei rapporti sociali che

     vedevano coinvolti i contadini nel loro riscatto di una vita migliore, il baronaggio feudale nel suo

    inevitabile tramonto e l’ascesa della nascente borghesia che risulterà essere la parte più innovativa

    dei membri delle Società economiche (13).  “La storia è incalcolabilmente più complessa, multiforme,discontinua, agitata. Come quelli di ogni altra storia, i tempi della storia contadina sono trascorsi anch’essi, nei

    vari continenti e nelle varie epoche, tra fasi alterne e diverse di prosperità e di miseria, di oppressione o di libertà, di

    tranquillità o di precarietà. Di qui l’importanza fondamentale della storia istituzionale e il problema cardinale di

    capire i momenti di segno diverso che possono esprimersi sia attraverso il mutamento delle istituzioni sia all’interno

    della stessa denominazione istituzionale o del suo progressivo modificarsi”   (14). Nato nei primi anni Trenta

    dell’Ottocento ed attivo, pur con qualche discontinuità, fino alla vigilia della formazione dello

    Stato unitario, questo progetto, al di là della sua effettiva realizzazione cronologica, non erano

    privo di radici ideologiche, in quanto rappresentava il frutto di buona parte del pensieroilluministico, la naturale continuazione dell’opera delle riforme settecentesche attuate in Europa e

    nel Mezzogiorno d’Italia, il risultato di vari cambiamenti strutturali avvenuti nel Regno delle Due

    Sicilie a partire dalla Restaurazione. Il senso di questa nuova esperienza societaria, pertanto,

    andava a realizzare e coniugare le diverse articolazioni socio - economiche inserite all’interno del

    contesto regionale e provinciale con gli impulsi economico - culturali provenienti dai centri di

    potere e di elaborazione europei. Con l’imporsi di un nuovo rapporto disciplinare tra teoria e

    pratica, sempre meno fondato su ragioni estetiche dei progetti economici e sempre più posto, al

    contrario, sulle ragioni etico - utilitaristiche, le Società economiche, nella loro essenza pratica,fungevano da filtro trasmittente che, privilegiando la scienza applicata, stimolava anche il fiorire

    di una vasta produzione culturale di stampo prettamente tecnico - economico. Poste al crocevia

    tra una forma di indipendenza ed un’altra fatta di continui controlli da parte delle autorità statali;

    controllo che, per inciso, nasceva dal timore che tali associazioni potessero assumere una

    pericolosa dimensione politica contro la stessa dinastia borbonica (15).

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     Tra gli autori siciliani più significativi che in pieno fermento illuministico settecentesco avevano

    prospettato l’esigenza di istituire organi governativi come le Società economiche che si

    occupassero soltanto dello sviluppo e del rilancio concorrenziale dell’economia siciliana, vi erano:

     Vincenzo Emanuele Sergio, Sull’antico e il moderno commercio di Sicilia, 1762; Pietro Lanza,

    Memoria sulla decadenza dell’agricoltura nella Sicilia e il modo di rimediarvi, 1785; PaoloBalsamo, Corso di agricoltura economico-politico e teorico-pratico e Gaetano La Loggia, Saggio

    economico-politico per la facile introduzione delle principali manifatture e ristabilimento delle

    antiche nel Regno di Sicilia Le Società economiche nascevano per volere del nuovo sovrano

    Ferdinando II - salito al trono l’8 novembre del 1830 - in un periodo, gli anni Trenta

    dell’Ottocento, caratterizzato da una duplice forza che arrivava a lacerare l’intera struttura

    economico - sociale in due parti: tra un ancora vivo attaccamento agli ultimi residui dell’anciem

    règime, ed una invocata modernità in nome dei princìpi liberali che tardava ancora ad arrivare e

    che riguardava, del resto, l’intera area europea e mediterranea (17). Adesso, infatti, si assisteva alnascere di una espansione economica che coinvolgeva direttamente diversi settori della nascente

    borghesia che entravano inevitabilmente in conflitto con i princìpi teorici della cultura economica

    dei privilegi fondiari e feudali. Cominciava a farsi sentire, quindi, il peso di nuovi strati sociali,

    proprietari terrieri, commercianti, artigiani e liberi professionisti, che giocavano il proprio ruolo

    nella gestione della “cosa pubblica”.   Veniva, così, a delinearsi, nell’economia, un vasto

    programma di progetti e di riforme, leggittimato dalle dottrine degl’Usi Civici e dagli strumenti

    giuridico – economici, volti alla trasformazione in senso liberale delle istituzioni governative ed al

    rinnovamento di tutto l’apparato periferico burocratico – amministrativo. Le Società economichesiciliane, risultavano essere l’esito di una duplice svolta. Erano il punto di arrivo di tutto il

    riformismo agrario borbonico, nato nel periodo illuministico e nei primi anni dell’Ottocento con

    la Costituzione del 1812 e con il protettorato inglese, che riguardava l’eversione dell’asse

    demaniale, municipale ed ecclesiastico, e di un riformismo successivo, riguardante invece la

    problematica della trasformazione dei feudi in terre regolate dagli usi civici, che aprivano, fin dai

    primi anni del XIX secolo, nuove questioni di progresso economico e sociale. Ma tali proggetti

    erano anche un nuovo punto di avvio, legato all’operato di Ferdinando II ed al suo sforzo di

    provvedere, con ogni tipo di intervento politico ed economico, per sollevare definitivamente lecondizioni generali. Infatti, la destituzione, da parte del nuovo re, del Luogotenente generale in

    Sicilia Marchese Ugo delle Favare, per assumere alla stessa carica il principe Leopoldo di Borbone

    Conte di Siracusa, significava per la Sicilia, un radicale cambiamento, soprattutto sul piano

    economico. Ufficialmente nate sotto la direzione del Luogotenente generale della Sicilia Leopoldo

    conte di Siracusa e del Ministro segretario di Stato degli Affari interni Antonio Mastropaolo, le

    Società economiche di Messina e Catania irrompevano nella realtà isolana con tutto il loro peso,

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    formato dalla novità scientifica che si proponevano di diffondere legata con la tradizione culturale

    ed economica europea. Al momento della loro istituzione, infatti, i proggetti si ponevano in linea

    con le già esistenti Societades de Amigos del Pais spagnole, le Sociètès Royales d’Agricolture

    francesi e le Societes for the Encouragement of Arts, di origine irlandese ed inglese, inaugurando,

    quindi, una nuova linea di intervento politico - economico, che si intrecciava, da questomomento, con il cambiamento intervenuto all’interno della società civile (18). E’, infatti, a partire

    dalla fondamentale evoluzione della “sciabilità” in senso più moderato e borghese che

    l’incoraggiamento, legato sia alla ricerca che allo sviluppo agro – pastorale, che la divulgazione dei

     vari “saperi” economici e di tutte le altre discipline scientifiche, acquisteranno sempre più

    importanza in quel profondo ed innovativo legame tra il Governo e i vari ceti sociali, di cui,

    appunto, le Società economiche erano espressione. Infatti, adesso, le Società di Messina e

    Catania, mediante il filtro del potere politico rappresentato dal nuovo re interessato ad una più

    attenta conoscenza del territorio siciliano, divenivano il punto di incontro privilegiato tra quelleclassi disposte a porsi a capo del processo di modernizzazione delle strutture economico - sociali

    e quelle che solo mediante tale aspetto modernizzatore potevano trarre un qualche beneficio.

    Insomma, le Società raffiguravano una nuova tipologia di “associazionismo” economico che,

    traendo la propria linfa vitale da quella forma di libera e volontaria riunione di dotti in Accademie

    agrarie del XVIII secolo ma, in quanto anche frutto di un vero e proprio cambiamento nella

    gestione del potere politico - governativo, portavano a termine, mediante la loro attività di

    dibattito in materia di economia politica, di promozione ed incoraggiamento ad ogni nuova forma

    di attività agricola e manifatturiera, una costante dialettica tra pubblico e privato, ma anche tra ilcentro e la periferia. Il significato di questi termini ha ovviamente una valenza simbolica ed un

    significato che aprono la strada ad una maggiore consapevolezza del ruolo svolto dalle Società

    economiche. Per quanto riguarda la lettura di tali società nel loro contrasto “dialettico” tra una

    forma pubblica ed una privata, c’è da dire che esse, infatti, erano l’esito di una decisione

    governativa e di un decreto imposto “dall’alto”, voluto da Ferdinando II di Borbone per

    migliorare le istanze economiche siciliane, e quindi raffiguravano l’evoluzione delle Stato da una

    anacronistica forma assolutistica che riguardava ogni campo della legislazione, verso una sua

    maggiore maturazione in senso più borghese e moderno, aperto ad un primo aspetto didecentramento a livello economico e sociale. Ma non solo, e qui si compie la dialettica tra la

    funzione pubblica e quella privata delle Società, il loro operato, molte volte, diventava

    un’occasione favorevole per l’elaborazione di progetti e teorie economiche che finivano per

    colpire direttamente le stesse politiche economiche ufficialmente imposte dal Governo, quali, ad

    esempio, quella del protezionismo e la mancanza di circolazione di molte derrate agricole in senso

    più liberistico. Invece, l’altro rapporto, che lega queste Società, la contrapposizione tra il centro e

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    la periferia, risulta essere l’elemento fondamentale che le caratterizza fin dal loro nascere e che le

    guida in maniera costante per tutta la loro attività. Le Società economiche, infatti, che erano

    presenti in tutte le province siciliane, avevano, come loro compito fondamentale, quello di

    indagare l’aspetto locale - circoscritto alla provincia di appartenenza della Società - della coltura

    agraria e delle condizioni delle manifatture, per poi integrarlo con una visione descrittiva generaledell’isola, che era il prodotto della somma di tutte le indagini statistiche apportate dai vari

    progetti. Quindi, se il loro operato si poneva solo all’interno di una determinata circoscrizione, la

    loro visione e tutta la conseguente attività, non significavano una chiusura campanilistica,

    completamente sganciata da ogni visione universalistica, piuttosto, si trasformava nella concreta e

    capillare creazione di reti e di strutture “autogestite” che rivendicavano, di volta in volta, richieste

    e provvedimenti economici particolari e differenti di quanto invece potesse avvenire nelle altre

    province. Ed era proprio questo aspetto che faceva instaurare, all’interno delle Società

    economiche, quel rapporto di scambi e di ruoli tra il Governo centrale, che vigilava sull’operatodei progetti, e i loro membri, che diventavano i delegati ufficiali di ogni forma di istanza legata al

    ridimensionamento dei vari ceti sociali e dei rapporti economici siciliani (19). Durante gli anni della

    loro attività le Società di Catania e Messina avevano subito vari ridimensionamenti e forme di

    inoperativismo, che andavano a toccare la già consistente debolezza delle loro funzioni di tramite

    e di collegamento fra l’azione governativa borbonic