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CAPITOLO PRIMO LE CONVENZIONI MATRIMONIALI di Angelo Saturno SOMMARIO: 1. La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi e le convenzioni ma- trimoniali. – 2. L’autonomia dei coniugi nella scelta del regime patrimoniale. Le convenzioni matrimoniali atipiche. – 3. La nozione di convenzione matrimoniale. Le convenzioni matrimoniali ed il vecchio “contratto di matrimonio”. – 4. Le con- venzioni matrimoniali e gli accordi di separazione e di divorzio. – 5. Convenzioni matrimoniali ed accordi di separazione e di divorzio: disciplina e controllo di lega- lità e di meritevolezza di tutela. – 6. La forma. L’atto pubblico. L’opzione all’atto del matrimonio. – 7. La pubblicità delle convenzioni matrimoniali. – 8. La forma e la pubblicità degli accordi sulla crisi coniugale. – 9. Il tempo delle convenzioni matrimoniali. Inizio e fine dell’efficacia delle convenzioni matrimoniali. – 10. La pubblicità delle cause di scioglimento del regime. – 11. La pubblicità del regime in occasione degli acquisti immobiliari. – 12. La modifica delle convenzioni ma- trimoniali. – 13. La simulazione delle convenzioni. – 14. Simulazioni e frodi nella crisi coniugale. – 15. Convenzioni matrimoniali ed incapaci. 1. La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi e le convenzioni matrimoniali. La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi costituisce da sem- pre una tematica complessa. In particolare, l’analisi delle convenzioni matrimoniali ha sempre rappresentato un nodo nevralgico del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul diritto di famiglia. La riforma del diritto di famiglia ha mutato radicalmente la disciplina tradizionale, per quanto attiene ai rapporti non soltanto personali, ma anche patrimoniali, tra coniugi. L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, enunciata dalla Costitu- zione quale principio basilare dell’istituto matrimoniale, ha subito per

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CAPITOLO PRIMO

LE CONVENZIONI MATRIMONIALI di Angelo Saturno

SOMMARIO: 1. La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi e le convenzioni ma-trimoniali. – 2. L’autonomia dei coniugi nella scelta del regime patrimoniale. Leconvenzioni matrimoniali atipiche. – 3. La nozione di convenzione matrimoniale. Le convenzioni matrimoniali ed il vecchio “contratto di matrimonio”. – 4. Le con-venzioni matrimoniali e gli accordi di separazione e di divorzio. – 5. Convenzioni matrimoniali ed accordi di separazione e di divorzio: disciplina e controllo di lega-lità e di meritevolezza di tutela. – 6. La forma. L’atto pubblico. L’opzione all’atto del matrimonio. – 7. La pubblicità delle convenzioni matrimoniali. – 8. La forma e la pubblicità degli accordi sulla crisi coniugale. – 9. Il tempo delle convenzioni matrimoniali. Inizio e fine dell’efficacia delle convenzioni matrimoniali. – 10. La pubblicità delle cause di scioglimento del regime. – 11. La pubblicità del regime in occasione degli acquisti immobiliari. – 12. La modifica delle convenzioni ma-trimoniali. – 13. La simulazione delle convenzioni. – 14. Simulazioni e frodi nella crisi coniugale. – 15. Convenzioni matrimoniali ed incapaci.

1. La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi e le convenzioni matrimoniali.

La disciplina dei rapporti patrimoniali tra coniugi costituisce da sem-

pre una tematica complessa. In particolare, l’analisi delle convenzioni matrimoniali ha sempre rappresentato un nodo nevralgico del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul diritto di famiglia.

La riforma del diritto di famiglia ha mutato radicalmente la disciplina tradizionale, per quanto attiene ai rapporti non soltanto personali, ma anche patrimoniali, tra coniugi.

L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, enunciata dalla Costitu-zione quale principio basilare dell’istituto matrimoniale, ha subito per

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I RAPPORTI PATRIMONIALI – L’IMPRESA FAMILIARE – IL PATTO DI FAMIGLIA 2

quasi un trentennio la sopravvivenza di una legislazione improntata al modello della famiglia a struttura gerarchica ed all’idea della diversa po-sizione dei coniugi. Questa normativa ordinaria sui rapporti coniugali veniva giustificata grazie al comma 2 dell’art. 29 Cost., il quale ammette che l’eguaglianza dei coniugi presenti “limiti a garanzia dell’unità familia-re”; asserendosi, così, che una parità di poteri accordata ai coniugi nella conduzione economica della famiglia avrebbe posto in pericolo la tutela dell’unità e della stabilità del gruppo familiare.

La riforma del 1975 ha sanzionato invece la regola della piena egua-glianza tra i coniugi non soltanto sotto il profilo dell’eguaglianza formale (art. 3, comma 1, Cost.), ma anche sotto quello che impone di rimuovere le disparità di fatto, in nome dell’eguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.). Sotto il primo profilo, l’eguaglianza significa partecipazione a pieno titolo alla conduzione della vita familiare. Sotto il secondo aspetto, l’adozione del regime della comunione legale costituisce la più importan-te risposta data dalla riforma del 1975 al problema dell’eguaglianza so-stanziale, cioè all’esigenza di incidere sulla tradizionale posizione d’infe-riorità economico-sociale della moglie 1. L’attuale regime patrimoniale è, invece, espressione della regola dell’eguale partecipazione dei coniugi a-gli incrementi patrimoniali durante la vita matrimoniale. Fondamento di tale regime è il principio di solidarietà familiare e coniugale, che esige un piú intenso riconoscimento della collaborazione del coniuge, anche qua-lora questi non sia produttore di un reddito da lavoro 2.

Tuttavia, il regime legale della comunione degli acquisti è regime sol-tanto suppletivo, e destinato ad operare, anche in mancanza di un’espres-sa positiva dichiarazione di volontà, quando manchi una volontà contra-ria. Sicché, il regime scelto dai coniugi può essere convenzionalmente di-verso da quello legale (art. 159 c.c.).

1 Infatti, il precedente regime patrimoniale, quello della separazione dei beni (nonché dei beni parafernali), formalmente rispettoso del principio di eguaglianza, tuttavia sacri-ficava la posizione della moglie che non avesse un adeguato patrimonio o un adeguato reddito da lavoro, e che – come di regola – dovesse dipendere dal reddito del marito. La moglie, peraltro, si vedeva negato ogni diritto sui beni acquistati dal consorte nell’arco della vita matrimoniale, senza alcun riconoscimento per il contributo da essa fornito at-traverso la sua collaborazione in casa o nell’impresa familiare.

2 V. in dottrina, per tutti, G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, Torino, 2003, p. 449 ss.

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2. L’autonomia dei coniugi nella scelta del regime pa-trimoniale. Le convenzioni matrimoniali atipiche.

Dunque, nonostante la chiara preferenza del legislatore per il regime

legale della comunione, è altrettanto evidente l’intento di riconoscere ai coniugi una sfera di autonomia sufficientemente ampia nella regolamen-tazione dei reciproci rapporti patrimoniali. Il regime di comunione è reso derogabile dalla legge evidentemente perché non è esclusa la legittimità costituzionale dei regimi patrimoniali aventi un fondamento diverso dalla comunione, e che ne limitino la portata: questi diversi regimi ben posso-no essere giustificati dall’esigenza di salvaguardare altri interessi e diritti costituzionalmente garantiti, sia di natura personale sia di natura patri-moniale, quali ad esempio la proprietà privata, il lavoro, l’iniziativa eco-nomica privata, i quali, nell’assetto costituzionale, conservano la loro tra-dizionale funzione di strumenti necessari per lo sviluppo e il libero svol-gimento della personalità umana. E, così, il fondo patrimoniale consente di creare un peculium familiare ed una garanzia espressa per i creditori della famiglia; il regime di separazione dei beni permette a ciascuno dei coniugi di avere una propria indipendente posizione patrimoniale, e così via: tutti propositi legittimi e meritevoli di tutela, anche in una visione at-tenta ai valori costituzionali.

I regimi convenzionali tipizzati dal legislatore sono la comunione con-venzionale, la separazione dei beni e il fondo patrimoniale. Si discute poi se i coniugi possano porre in essere regimi patrimoniali atipici. Tale pos-sibilità è tutt’altro che pacifica, e la risposta più comune è quella negati-va, sottolineandosi però che le convenzioni esistenti sono sufficientemen-te elastiche da consentire la soddisfazione di qualsiasi esigenza dei coniu-gi, entro il “tipo” fissato dal legislatore, con gli opportuni adattamenti e salve nome inderogabili (come il divieto di rendere comuni i beni perso-nalissimi di cui all’art. 179, lett. c), d) ed e), o il divieto di costituzione di dote 3). Peraltro, si osserva, la circostanza che la scelta del regime patri-

3 Oltre alla scelta della comunione dei beni come regime legale, la novella del 1975 sancisce definitivamente il divieto di costituire, sotto qualsiasi forma, beni in dote (art. 166-bis c.c.): cioè di costituire un diritto di godimento in favore di un coniuge su beni che appartengono all’altro, per l’intera durata del matrimonio. Con la dote la moglie, od altri per essa, apportavano al marito, all’espresso titolo di dote, beni mobili o immobili, al fine di sostenere gli oneri dei matrimonio (art. 177 c.c. abr.). I beni restavano di pro-prietà della moglie o del terzo se si trattava di dote di specie; il marito ne diveniva pro-prietario, restando debitore della restituzione del tantundem, nel caso di dote di quantità

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moniale tra i coniugi sia sottratta ad ogni forma di controllo e verifica dei presupposti può giustificarsi soltanto in virtù della sua rigida tipicità: di qui la necessità di negare un’espansione in tale àmbito della libertà con-trattuale nella famiglia. La migliore dottrina, però, si sta progressivamen-te orientando a ritenere che la libertà negoziale dei coniugi possa spin-gersi a creare regimi patrimoniali atipici.

Si ritiene infatti che l’art. 159 c.c., ponendo uno stretto rapporto tra regimi patrimoniali della famiglia e convenzioni matrimoniali, non stabi-lisce in alcun modo che queste ultime debbano essere solo quelle regola-te dalla legge. La possibilità di conformare liberamente il contenuto delle convenzioni matrimoniali discenderebbe inoltre dal principio fondamen-tale sancito dall’art. 1322 c.c., applicabile anche alla materia in esame per effetto del carattere contrattuale delle convenzioni e, più in generale, del-l’appartenenza della materia in esame al campo del diritto privato 4, in cui il principio della autonomia negoziale rappresenta la regola e non già l’eccezione. Ed anzi, si riflette, proprio il fatto che il legislatore sia inter-venuto, nel campo delle convenzioni, dichiarando di volta in volta nullo questo o quel patto (ad esempio con il divieto ex art. 166-bis c.c.) con-sente di desumere a contrariis la regola della generale libertà, quanto al contenuto, delle medesime 5. Queste conclusioni sembrano, del resto, ri-cevere conferma anche sul piano di un’indagine estesa ai principi costitu-zionali, laddove il richiamo all’art. 1322 c.c. trova il proprio riconosci-mento nel fondamentale principio di cui all’art. 29 Cost. 6, e sono confor-

(art. 182 c.c. abr.); ma, in ogni caso, l’amministrazione dei beni e la percezione dei frutti competevano soltanto al marito (art. 184 c.c. abr.), fino al punto che, in caso di lonta-nanza o di altro impedimento di questi, la moglie, per poter amministrare i beni, doveva chiederne l’autorizzazione al tribunale (art. 185 c.c. abr.). I beni dotali erano sottoposti a vincolo di relativa indisponibilità e di impignorabilità. Per un’analisi dell’istituto v., fra gli altri, R. SACCO, Del regime patrimoniale della famiglia. Le convenzioni matrimoniali, in Comm. dir. it. fam. Cian-Oppo-Trabucchi, III, Padova, 1992, p. 42 ss.; U. CARNEVALI, Le convenzioni matrimoniali, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, II, Il regime patrimoniale della famiglia, Torino, 1997, p. 23 ss. La convinzione che emerge dalla riforma, e che costitui-sce il motivo della soppressione dell’istituto, è che la figura della dote portasse il segno della posizione subalterna della donna, e che fosse perciò incompatibile con il nuovo assetto dei rapporti patrimoniali tra coniugi, improntato alla pari dignità tra loro.

4 Sulla questione cfr., per tutti, G. OBERTO, I contratti della crisi coniugale. Ammissi-bilità e fattispecie, I, Milano, 1999, p. 103 ss.

5 P. RESCIGNO, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1975, p. 274. 6 Sul punto v., da ultimi, F. BOCCHINI, Autonomia negoziale e regimi patrimoniali fa-

miliari, in Riv. dir. civ., 2001, I, pp. 432, 440; S. PATTI, Regime patrimoniale della fami-glia e autonomia privata, in Familia, 2002, p. 292, nota 18.

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tate anche dall’indagine storica 7, così come da quella comparatistica 8. La soluzione negativa della possibilità di costituire regimi patrimoniali

atipici suscita, così, sempre maggiori perplessità. Essa appare invero ri-duttiva nel quadro del passaggio dalla “concezione istituzionale” 9 alla “concezione costituzionale” della famiglia 10, la quale ha spianato la via a quella “stagione della negozialità” che da tempo sta progressivamente in-teressando la disciplina del diritto di famiglia italiano 11, in nome del prin-cipio dell’autonomia privata, sovente espressamente menzionato nelle motivazioni delle decisioni giurisprudenziali.

Ad esempio, secondo l’art. 161 c.c., gli sposi possono stabilire che i loro rapporti patrimoniali siano retti in tutto o in parte da regimi disci-plinati da ordinamenti stranieri o dagli usi purché, come l’art. 161 c.c. specifica espressamente, i coniugi non facciano un “generico” rinvio a tali fonti: il regolamento dev’essere previsto pattiziamente in modo det-tagliato.

7 Cfr. G. OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 66 ss.; G. OBERTO, Gli ac-cordi sulle conseguenze patrimoniali della crisi coniugale e dello scioglimento del matrimo-nio nella prospettiva storica, in Foro it., 1999, I, c. 1306 ss.; G. OBERTO, I precedenti sto-rici del principio di libertà contrattuale nelle convenzioni matrimoniali, in Dir. fam. e pers., 2004, p. 127 ss.

8 Vige infatti il principio della libertà contrattuale, ed è ritenuta come preferibile la regola della atipicità dei regimi patrimoniali, ad esempio nel sistema tedesco ed in quello francese contemporanei, per una comparazione con i quali cfr., per tutti, S. PATTI, Re-gime patrimoniale, cit., p. 297 s.; e v. anche, per ampi riferimenti all’esperienza tedesca degli Eheverträge, E. BARGELLI, L’autonomia privata nella famiglia legittima: il caso degli accordi in occasione o in vista del divorzio, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 303 ss.; A. ZOP-PINI, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, sessant’anni dopo, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 213 ss.

9 Su tale concezione v., anche per gli ulteriori rinvii, M. SESTA, Il diritto di famiglia tra le due guerre e la dottrina di Antonio Cicu, in A. CICU, Il diritto di famiglia. Teoria generale, Lettura di Michele Sesta, Momenti del pensiero giuridico moderno. Testi scelti a cura di Pietro Rescigno. Redattore Enrico Marmocchi, Sala Bolognese, 1978, pp. 1 ss., 47 ss.

10 Sulla quale v., per tutti, G. AUTORINO STANZIONE, Diritto di famiglia, cit., p. 145 ss. e passim; M. PARADISO, I rapporti personali fra i coniugi, in Comm. Schlesinger, Mila-no, 1990, artt. 143-148. Sulle diverse concezioni di famiglia cfr., fra gli altri, P. BARCEL-LONA, voce Famiglia (dir. civ.), in Enc. dir., XVI, Milano, 1967, p. 782 ss.

11 Sul tema cfr., per tutti, G. OBERTO, I contratti della crisi coniugale, I, cit., p. 116 ss.; F. BOCCHINI, Autonomia negoziale, cit., pp. 446 ss., 437 ss.; e v. già F. SANTORO PASSA-RELLI, L’autonomia privata nel diritto di famiglia, in Dir. e giur., 1945, p. 3 ss., ora in F. SANTORO PASSARELLI, Saggi di diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 382 ss., il quale già so-steneva la presenza nell’ordinamento di una vera e propria autonomia privata familiare, sebbene nei limiti di una rigorosa tipicità; per una successiva riscoperta dello scritto di Santoro-Passarelli cfr. anche A. ZOPPINI, L’autonomia privata, cit., p. 213 ss.

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È discusso se il divieto di relatio 12 riguardi esclusivamente il riferimen-to a norme consuetudinarie, o anche a norme straniere (fermo restando che tale divieto riguarda i coniugi i cui rapporti patrimoniali siano sotto-posti alla legge italiana, e non quelli cui sia ex se applicabile la legge este-ra 13). Secondo alcuni, la risposta deve essere positiva, in quanto la norma mira proprio ad evitare difficili ricerche di diritto straniero 14. Ed allora, sul piano delle modalità del richiamo alla legge estera, gran parte della dottrina ritiene che l’art. 161 c.c. vieti una mera relatio a norme straniere, ma non impedisca che le parti si limitino a tradurre dalla lingua straniera la regolamentazione di un certo istituto e ad inserirla tale e quale nelle loro pattuizioni 15. Altra dottrina, invece, riduce anche questa formalità, e

12 Sulle cui motivazioni storiche v., in generale, F. SANTOSUOSSO, Il regime patrimonia-le della famiglia, in Comm. c.c., I, 1, Torino, 1983, p. 51. L’art. 161 c.c. deriva dall’art. 1381 c.c. 1865, derivante a propria volta dall’art. 1390 del codice napoleonico. Que-st’ultimo fu introdotto nel diritto francese allo scopo di evitare il richiamo, sotto forma di rinvio, sia all’applicazione delle antichi coutumes, sia il riferimento a leggi e statuti locali abrogati nelle varie provincie francesi (v., per queste vicende, R. SACCO, Del regime pa-trimoniale della famiglia, cit., p. 21 ss.; V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale della famiglia coniugale, II, Milano, 1995, p. 55). La conservazione della norma è stata assai dibattuta sia in sede di codificazione del 1942 sia in sede di riforma del 1975. È abbastanza palese l’imbarazzo dei commentatori della norma di fronte al suo carattere vagamente utopisti-co, poiché sembra assai difficile che taluno stipuli convenzioni matrimoniali che conten-gano norme straniere.

13 Infatti, il principio di cui all’art. 161 c.c. deve essere coordinato con il disposto del-l’art. 30, l. 31 maggio 1995, n. 218, sulla riforma del sistema italiano di diritto interna-zionale privato, a tenore del quale i coniugi di cui almeno uno sia cittadino straniero o risieda all’Estero possono de plano optare affinché i loro rapporti patrimoniali siano re-golati dalla legge di quello Stato. Pertanto, in presenza di uno o più degli elementi di e-straneità di cui alla citata norma, la possibilità ivi concessa di concludere un pactum de lege utenda verrà a consentire ai coniugi di effettuare nelle convenzioni matrimoniali ri-chiami, eventualmente anche solo per relationem, al sistema di un Paese straniero. Ne consegue che l’art. 161 c.c. trova oggi applicazione solo quando i rapporti patrimoniali tra coniugi sono sottoposti alla legge italiana: lo osservano, per tutti, G. CONETTI, Com-mento all’art. 30, in AA.VV., Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218), in Nuove leggi civ. comm., 1996, p. 1177 s.; F. SALERNO CARDILLO, Rapporti patrimoniali tra coniugi nel nuovo diritto internazionale privato e riflessi sull’attività notarile, in Riv. notar., 1996, I, p. 195; U. VILLANI, I rapporti patrimo-niali tra i coniugi nel nuovo diritto internazionale privato, in Giust. civ., 1996, II, p. 456.

14 V., sul tema, R. SACCO, Del regime patrimoniale della famiglia, cit., p. 21. 15 Cfr., per tutti, ed anche per ulteriori richiami di dottrina e di giurisprudenza, G.

OBERTO, Le convenzioni matrimoniali: lineamenti della parte generale, in Fam. e dir., 1995, p. 603; F. BOCCHINI, Autonomia negoziale, cit., p. 443; G. OBERTO, L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi), in Familia, 2003, p. 651 s.; v. anche A. PALAZZO, Le convenzioni matrimoniali e l’ulteriore destinazione dei beni per

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ritiene non sussistere alcun obbligo di specificazione delle regole del re-gime patrimoniale straniero, essendo viceversa legittimo il mero riferi-mento al regime stesso purché precisamente individuato e scelto, in quanto, si osserva, non sarebbe ipotizzabile che la scelta della legge stra-niera passi attraverso la sua testuale riproduzione, e perché non vi è al-cuna necessità né obbligo di dare pubblicità al regime straniero 16.

Sul piano viceversa dei contenuti, la possibilità di una professio iuris, ossia della scelta di un regime straniero, pone a sua volta il problema se le relative convenzioni debbano rispettare le norme imperative ed i prin-cipi di ordine pubblico interno (perché pur sempre convenzioni, come tali soggette al rispetto dell’art. 1343 c.c.), o se, in quanto riproduttive di una legge straniera, la compatibilità debba semmai riguardare l’ordine pubblico internazionale di cui all’art. 16 della l. 31 maggio 1995, n. 218. La differenza non è di poco momento, attesa la diversa latitudine dei due concetti 17.

Ad esempio, si è detto che la disposizione fedecommissaria ammessa in uno stato

estero può avere efficacia nel nostro paese, in quanto contraria soltanto all’ordine pub-blico interno e non anche all’ordine pubblico internazionale (Cass., 5 aprile 1984, n. 2215, in Giur. it., 1984, I, 1, c. 1368; in Giust. civ., 1984, I, p. 3067; ed in Foro it., 1984, I,

mezzo di trust, in M. DOGLIOTTI, A. BRAUN (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, Atti del convegno. Genova, 15 febbraio 2003, Milano, 2003, p. 95.

16 Cfr., al riguardo, B. COSTANTINO, La pubblicità in Italia dei regimi matrimoniali stranieri, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1978, p. 36 ss.; R. CLERICI, Commento alla legge 31 maggio 1995, n. 218, sub artt. 30-31, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1995, p. 1071; T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1996, p. 417; F. SALERNO CARDIL-LO, op. cit., p. 179 ss.; I. VIARENGO, Autonomia della volontà e rapporti patrimoniali tra coniugi nel diritto internazionale privato, Padova, 1996, p. 247.

17 Sull’ordine pubblico interno e internazionale cfr., per tutti, T. BALLARINO, op. cit., p. 288 ss.; L. FUMAGALLI, sub art. 16, in La Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, a cura di C.M. BIANCA, A. GIARDINA, in Nuove leggi civ. comm., 1995, p. 1087 ss.; F. MOSCONI, sub art. 16, in AA.VV., Commento alla riforma del diritto internazionale privato italiano, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1995, p. 979; R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Obbligazioni e contratti, in Tratt. Rescigno, II, 10, II ed., Torino, 1995, p. 377 ss.; M. PASSARELLI, PULA, L’ordine pubblico internazionale: ba-luardo o paralisi del diritto internazionale privato?, in Vita notar., 1994, p. 1002 ss.; R. SACCO, in R. SACCO, G. DE NOVA, Il Contratto, II, Torino, 1993; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, 1 e 2, Padova, 1993; G. BARILE, Principi fondamentali dell’ordina-mento costituzionale e principi di ordine pubblico internazionale, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1986, p. 5 ss.; G.B. FERRI, voce Ordine pubblico (dir. priv.), in Enc. dir., XXX, Mi-lano, 1980; N. PALAIA, L’ordine pubblico “internazionale”. Problemi interpretativi sull’art. 31 disp. prel. c.c., Padova, 1974; G. BADIALI, Ordine pubblico e diritto straniero, Milano, 1963.

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c. 2253; App. Trento, 24 aprile 1982, in Giur. merito, 1983, p. 352, ed in Riv. dir. inter-naz., 1983, p. 459). Il concetto di ordine pubblico c.d. interno identifica la sintesi dei be-ni e valori sociali e giuridici aventi rilievo primario; quello di ordine pubblico internazio-nale, invece, è costituito dai (soli) principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico (Cass., sez. I, 6 di-cembre 2002, n. 17349, in Mass. Giur. it., 2002; in Arch. civ., 2003, p. 1081, ed in Gius, 2003, 7, p. 696), ed attiene a quei principi generali che sono espressione di un’esigenza così fondamentale, da rappresentare le condizioni necessarie per l’esistenza stessa del-la società, secondo il momento storico in cui si tratta di applicarli (Cass., 8 gennaio 1981, n. 189, in Giust. civ., 1982, I, p. 27; v. anche Cass., 14 aprile 1980, n. 2414, in Foro it., 1980, I, c. 1304; Cass., 5 aprile 1984, n. 2215, in Foro it., 1984, I, c. 2254). A seguire questa tesi, potrebbe ammettersi, ad esempio, la liceità della convenzione matrimoniale con cui i coniugi recepissero un regime straniero che ammette l’accordo prematrimo-niale sulle conseguenze economiche del divorzio – sulla cui ammissibilità, viceversa, permangono forti dubbi, ed una soluzione prevalentemente negativa – e, procedessero pertanto, nella convenzione stessa, alle relative pattuizioni. Infatti, si trovano pronunce che hanno affermato l’operatività in Italia, senza necessità di omologazione o ricezione delle sue clausole in un provvedimento giurisdizionale, dell’accordo prematrimoniale rivolto a regolamentare i rapporti patrimoniali fra coniugi, in previsione di un futuro di-vorzio, che sia stato stipulato fra cittadini stranieri sposati all’estero e residenti in Italia, e che risulti valido secondo la legge nazionale dei medesimi: ciò, proprio ritenendo che l’ordine pubblico che costituisce limite all’efficacia delle convenzioni fra stranieri riguar-da l’ordine pubblico cosiddetto internazionale, e che in tale nozione non può essere in-cluso il principio dell’ordinamento italiano, circa l’invalidità di un accordo di tipo preven-tivo fra i coniugi sui rapporti patrimoniali successivi al divorzio, il quale attiene all’ordine pubblico interno e trova conseguente applicazione solo per il matrimonio celebrato se-condo l’ordinamento italiano e fra cittadini italiani (così Cass., 3 maggio 1984, n. 2682, in Mass. Giur. it., 1984, in Riv. dir. int. priv., 1985, p. 579 ed in Dir. fam. e pers., 1984, p. 521: nella specie si trattava di un accordo fra due coniugi statunitensi residenti in Italia, diretto a regolare i propri rapporti patrimoniali in contemplation of divorce. La pronuncia fa riferimento agli artt. 19, 20 e 31 delle disposizioni sulla legge in generale, oggi abro-gati e sostituti dalla l. 31 maggio 1995, n. 218).

Il valore dell’art. 161 c.c., con il suo riferimento a regimi matrimoniali

patrimoniali diversi da quello italiano, sembrerebbe implicare la possibi-lità di porre in essere regimi patrimoniali atipici o, più realisticamente, di introdurre clausole atipiche.

Sulla impostazione tradizionale circa l’autonomia negoziale dei coniu-gi in materia di convenzioni matrimoniali sembra incidere sempre più profondamente anche la normativa sopranazionale. Infatti, il nuovo rego-lamento “Bruxelles II bis” dell’Unione Europea in tema di competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità parentale (Règlement (CE) n. 2201/2003 du Conseil du 27 novembre 2003 relatif à la compétence, la reconnaissance et l’exécution des décisions en matière matrimoniale et en matière de responsabilité pa-

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rentale abrogeant le règlement (CE) n. 1347/2000), abrogativo del rego-lamento n. 1347/2000 precedentemente in vigore in questo campo, al-l’art. 46 prevede che “Les actes authentiques reçus et exécutoires dans un État membre ainsi que les accords entre parties exécutoires dans l’État membre d’origine sont reconnus et rendus exécutoires dans les mêmes conditions que des décisions”. E così, mentre il regolamento previgente si limitava (cfr. art. 13, comma 3) ad equiparare alle decisioni “les actes authentiques reçus et exécutoires dans un État membre ainsi que les transactions conclues devant une juridiction au cours d’une instance et exécutoires dans l’État membre d’origine”, con la conseguenza che, per esempio, nel nostro ordinamento esso appariva riferibile ai soli accordi tra coniugi omologati in sede di separazione consensuale 18, il nuovo stru-mento risulta applicabile anche alle intese non omologate, dovendosi qui riferire il concetto di “esecutorietà” a quella vincolatività che, nel nostro ordinamento, è espressa dall’art. 1372 c.c. Ed inoltre, il nuovo strumento viene ad incidere – a differenza di quello precedentemente in vigore – anche sul settore della potestà genitoriale sui figli sia legittimi sia naturali: pertanto, si ritiene che tra gli accordi cui fa riferimento la norma in di-scorso possano rientrare anche quelli relativi all’esercizio della potestà conclusi tra i genitori.

Ed ancora, si discute se i coniugi possano regolare i loro rapporti pa-trimoniali sotto forma di trust.

Infatti, nella discussione sul rapporto tra autonomia privata e materia familiare, non poteva non porsi anche la questione del ricorso al trust, che costituisce per eccellenza espressione dell’autonomia dei privati 19.

Nel campo delle relazioni patrimoniali familiari, il trust può trovare molteplici applicazioni, nel momento fisiologico del rapporto così come nell’ambito della crisi coniugale, per far fronte a diverse esigenze. Ad e-sempio, può procurare all’altro coniuge la semplice “intestazione” in proprietà di un determinato bene, rimanendo così fuori dell’ambito di afferenza delle convenzioni matrimoniali per approdare a quello delle at-

18 Sul punto cfr. G. OBERTO, Il Regolamento del Consiglio (Ce) n. 1347/2000 del 29 maggio 2000 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità parentale nei confronti dei figli comuni, in Contr. e impr./Europa, 2002, p. 373.

19 V. per tutti, per un primo approccio al tema, G. FERRANDO, Autonomia negoziale e rapporti familiari. L’evoluzione dell’ultimo trentennio, in M. DOGLIOTTI, A. BRAUN (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, cit., p. 3 ss.; G. OBERTO, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in Fam. e dir., 2004, pp. 201-211 (parte prima), 310-320 (parte seconda).

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tribuzioni liberali tra coniugi 20; ma può arrivare a costituire un vero e proprio regime patrimoniale della famiglia; ovvero, può essere utilizzato per consentire ad un figlio, maggiorenne ma non autosufficiente e convi-vente con la madre, di proseguire gli studi dopo il conseguimento del di-ploma di maturità 21, o al fine di provvedere alle esigenze abitative del fi-glio minore sino a che non avrà completato il ciclo di studi e raggiunto l’autonomia economica 22. Si è poi osservato che, in particolare nel campo delle condizioni di separazione o di divorzio, il trust può tutelare corret-tamente gli interessi delle parti coinvolte, e specialmente dei figli. Infatti, costituire in trust i beni con il cui reddito soddisfare i diritti del coniuge e della prole, nominando trustee un soggetto diverso dall’obbligato, men-tre non comporterebbe alcuna controindicazione sul piano del contenuto degli obblighi inerenti la crisi coniugale (che rimarrebbero invariati), presenterebbe il vantaggio (giuridico) di vincolare tali beni alla soddisfa-zione dei diritti del partner e della prole, sottraendoli all’azione di credi-tori personali del coniuge obbligato; ed avrebbe il vantaggio (di fatto) di dare maggiore tranquillità psicologica all’avente diritto, di prevenire fu-turi conflitti, di liberare i rapporti fra le parti di ogni connotazione eco-nomica (con ricadute negative sul rapporto con la prole) e di evitare in-terferenze indebite da parte di alcuno fra gli interessati. Inoltre, la scelta come trustee di un terzo o di terzi che riscuotano la fiducia di entrambe le parti può consentire un adeguamento ai mutamenti delle condizioni dei coniugi senza dover ricorrere troppo di frequente a domande giudi-ziali di modifica delle condizioni di separazione, con conseguente di-spendio di energie processuali e finanziare.

Però l’utilizzo del trust in campo familiare (come, invero, in qualun-que altro àmbito) presuppone di dare soluzione positiva all’interrogativo circa l’ammissibilità di trusts “interni” alla luce della Convenzione inter-nazionale de L’Aja del 1985, cosa che una parte consistente della dottri-na e della giurisprudenza italiane ritengono ma che non è stata del tutto persuasivamente dimostrata. Inoltre, anche se la Convenzione non impe-disca in astratto il riconoscimento di un trust “interno”, nella fattispecie

20 In quest’ultimo senso cfr. A. PALAZZO, op. cit., p. 100. 21 Ipotizza questo utilizzo del trust ad esempio L. CARRERA, Disposizioni di trust in

sede di separazione o divorzio per mantenere un figlio agli studi, relazione presentata al “Laboratorio di trust” organizzato dal “Gruppo torinese del trust”, tenutosi a Torino il 21 novembre 2003.

22 Cfr. Trib. Milano, 23 febbraio 2005, decreto di omologa di separazione consensua-le, ined.

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concreta questo comunque non deve connotarsi in contrasto con norme e principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (cfr. spec. artt. 13, 15, 16 e 18 della Convenzione stessa). E su questo punto le per-plessità sollevate in dottrina e in giurisprudenza sono numerose e gravi 23.

23 L’utilizzo del trust in questo campo riguarda il trust di fonte negoziale, e non anche il trust di creazione giudiziale, come invece avviene nei sistemi di common law con, ad esempio, il c.d. constructive trust. Infatti, il trust di origine giudiziale è un fenomeno dif-ficilmente esportabile in sistemi di civil law, e ciò è stato ben compreso dai redattori del-la Convenzione internazionale de L’Aja del 1985 (Convention de La Haye du 1er juillet 1985 relative à la loi applicable au trust et à sa reconnaissance, ratificata in Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 364), al punto da prevederne, all’art. 3, una esplicita esclusione dalla sfera di operatività della Convenzione.

Inoltre, per l’applicazione della Convenzione de L’Aja del 1985 (la quale è una Con-venzione di diritto internazionale privato mirante a rendere applicabili i trusts esteri nei Paesi che non conoscono l’istituto, e non già una Convenzione di diritto sostanziale uni-forme che preveda direttamente la creazione dell’istituto del trust in ciascun Paese fir-matario), è necessario un “elemento di estraneità” del trust da rendere operativo, che lo colleghi ad ordinamenti che conoscoscono tale istituto. Pertanto, la costituzione in Italia per via negoziale di un trust a beneficio di una famiglia italiana su beni situati in Italia appare immaginabile solo a condizione che si fornisca alla Convenzione dell’Aja del 1985 una lettura tale da consentire di ritenere autorizzata la creazione di trusts “interni”, nei quali, cioè, l’elemento di estraneità sia esclusivamente la legge straniera che regola il trust, scelta dalle parti. Su questo dibattito v. in dottrina, per tutti, A. SATURNO, La pro-prietà nell’interesse altrui nel diritto civile italiano e comparato, Napoli, 1999; S.M. CAR-BONE, Trust interno e legge straniera, in M. DOGLIOTTI, A. BRAUN (a cura di), Il trust nel diritto delle persone e della famiglia, cit., p. 28 ss.; M. LUPOI, Trusts, Milano, 2001, p. 520 ss.; L. RAGAZZINI, Trust “interno” e ordinamento giuridico italiano, in Riv. notar., 1999, pp. 279 ss., 299 ss.; R. CALVO, La tutela dei beneficiari nel “trust” interno, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 51 ss.; N. LIPARI, Fiducia statica e trusts, in I. BENEVENTI (a cura di), I trusts in Italia oggi, Milano, 1997, p. 75; E. CALÒ, Dal “probate” al “family trust”. Riflessi ed ipotesi applicative in diritto italiano, Milano, 1996, p. 99 ss., spec. nota 86; M. LUPOI, Legittimità dei trusts interni, in I. BENEVENTI (a cura di), I trusts in Italia oggi, cit., p. 41 ss.; A. GAMBARO, Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconosci-mento. Note introduttive, II, Il trust in Italia, in Nuove leggi civ. comm., 1993, p. 1216 ss. In giurisprudenza v., a favore della ammissibilità dei trusts “interni” alla luce della Con-venzione dell’Aja del 1985 ed alla loro compatibilità con l’ordinamento giuridico italia-no, Trib. Bologna, 1 ottobre 2003, in Corr. giur., 2004, 1, p. 65; Trib. Brescia, 12 ottobre 2004; Trib. Chieti, 10 marzo 2000, in Trusts e att. fiduc., 2000, p. 372; Trib. Bologna, 18 aprile 2000, in Trusts e att. fiduc., 2000, p. 372; nello stesso senso, con particolare riferi-mento ai trusts cc.dd. “autodichiarati” – nei quali, cioè, non vi è alterità soggettiva tra disponente e trustee, ma lo stesso soggetto proprietario di un bene immobile se ne di-chiara trustee in favore di un terzo – ed alla trascrivibilità del vincolo, Trib. Parma, 21 ottobre 2003, in Trusts e att. fiduc., 2004, p. 73; Trib. Verona, 23 gennaio 2003, in Trusts e att. fiduc., 2003, p. 409; Trib. Milano, 29 ottobre 2002, in Trusts e att. fiduc., 2003, p. 270, e Trib. Pisa, 22 dicembre 2001, in Trusts e att. fiduc., 2002, p. 241, le quali ricono-scono implicitamente la validità dell’atto istitutivo di trust, lo ritengono assimilabile al

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In particolare per quanto riguarda la materia familiare, l’art. 15, lett. b) della Convenzione de L’Aja del 1° luglio 1985 stabilisce che la volontà delle parti di costituire un trust non può derogare alle norme imperative relative agli “effets personnels et patrimoniaux du mariage”, agli effetti personali e patrimoniali del matrimonio.

Ed invece, nel caso in cui entrambi i coniugi siano cittadini italiani ovvero ogni qualvolta, per effetto dell’art. 30, l. n. 218/1995, debba ap-plicarsi la legge italiana, l’utilizzo del trust in campo familiare appare vi-ceversa suscettibile di recare violazione a molteplici principi del diritto italiano, in materia di rapporti patrimoniali tra i coniugi – potendo veri-ficarsi il caso, per esempio, che un trust venga ad incidere, modificandoli, sui criteri di contribuzione e di mantenimento della prole cui i coniugi sono tenuti per effetto del matrimonio – e non solo.

Ad esempio, si è segnalato il pericolo che, tramite il ricorso al trust, possa essere

eluso il divieto di costituzione, sotto ogni forma, di beni in dote (art. 166-bis c.c.). La dottrina concorda nell’affermare che la regola in esame pone uno specifico limite al-l’autonomia negoziale dei coniugi in sede di pattuizione delle convenzioni matrimoniali, diretto ad impedire, attraverso il collegamento con gli artt. 1344 e 1418 c.c., che tramite un contratto in frode alle legge venga realizzato l’effetto proprio della dote 24, ossia l’ap-porto di beni, al fine di sostenere gli oneri del matrimonio, dalla moglie al marito, al qua-le ultimo soltanto competano l’amministrazione e la percezione dei frutti. L’impostazione prevalente ritiene dunque vietata, per effetto della norma in commento, la stipulazione di convenzioni che attribuiscano ad un coniuge – indipendentemente dal fatto che sia il marito o la moglie – una posizione di supremazia rispetto all’altro, conferendogli il potere di amministrare e gestire beni nei confronti dei quali egli non vanti alcun diritto reale 25.

fondo patrimoniale e per analogia con tale istituto ne ordinano la trascrizione; v. anche, in tema di trust testamentario, Trib. Lucca, 23 settembre 1997, in Foro it., 1998, I, c. 3391; contra, rinvenendo una contrarietà all’ordinamento italiano e ritenendo che la me-ra volontà del disponente circa la legge applicabile non costituisca una ragionevole e le-gittima giustificazione del ricorso all’istitutto tale da costituire il necessario “elemento di estraneità” ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1985, Trib. Belluno, 25 settembre 2002, in Riv. dir. internaz. priv. e proc., 2003, p. 510; Trib. Napoli, 1 ottobre 2003, in Trusts e att. fiduc., 2004, p. 74.

24 A. MAZZOCCA, I rapporti patrimoniali tra i coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Mi-lano, 1977, p. 26; V. DE PAOLA, Il diritto patrimoniale, II, cit., p. 58.

25 Così, per tutti, A. e M. FINOCCHIARO, Diritto di famiglia (legislazione – dottrina – giurisprudenza). Commento sistematico della l. 19 maggio 1975, n. 151, Milano, 1984, p. 790; L.V. MOSCARINI, Convenzioni matrimoniali in generale, in C.M. BIANCA (a cura di), La comunione legale, II, Padova, 1989, pp. 1014 ss., 1016. Circa l’individuazione del si-gnificato e delle caratteristiche identificative del regime dotale, che consentano di indivi-duare, oggi, in un atto di attribuzione patrimoniale gli estremi di quella che fu un tempo