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    Università di CataniaFacoltà di Scienze Politiche  

     Tesi

    La Nascente Borghesia Siciliana

    Scritti di Storia Moderna in Memoria dellaFamiglia Aronne

    I Fiori del Regno delle Due Sicilie per la Fata Morgana  

    DocentiDomenico Ligresti Liliana Iaria Giuseppe Astuto 

    StudenteGaetano La Tella

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    Poiché Persefone, a quelli che hanno già pagato il debito

     dei loro antichi peccati, giunto il nono anno, di nuovo

     l’anima loro rimanda su in alto verso il sole; da tali anime i re illustri rinascono

     e gli uomini potenti per forza o grandi per sapienza, che per tutto il tempo furono sono, tra i mortali,

     chiamati eroi senza macchia (1).L’anima dunque, poiché immortale e più volte rinata, avendo veduto

     il mondo di qua e quello dell’ Ade in una parola tutte quante le cose, non c’è nulla che non abbia appreso.Non v’è dunque da stupirsi se può fare riemergere alla mente ciò che

      prima conosceva della virtù e di tutto il resto.Poiché d’altra parte, la natura tutta è imparentata con sé stessa e l’anima ha tutto appreso, nulla impedisce che l’anima ricordando,

     ricordo che gli uomini chiamano apprendimento, una sola cosa, trovi da se tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca(2).

    E’ forse questo il giusto modo di ricordare chi visse in altri tempi appartenendo ad antiche

    famiglie , le cui origini si dissolvono nei tempi che furono, vissuti alla beltà e la virtù, forti e nobili

    d’animo e belli nell’anima. La Tesi che vuole guardare al fenomeno della “ Nascente Borghesia Siciliana ”, e le sue ricerche che

    prendono forma in questi “Scritti di Storia Moderna in Memoria della Famiglia Aronne ”, trova origine

    nella volontà dei quanti e dal caso che hanno desiderato, aspettato e quindi voluto la realizzazione

    di essa, dai familiari e discendenti, a coloro che hanno conosciuto questi Signori, ai quanti ne

    hanno saputo il loro valore attraverso i racconti che come leggende metropolitane si sono

    tramandati da generazione in generazione nelle famiglie dei villaggi allora ed oggi comuni di

     Tremestieri e Pistunina della città di Messina e in alcune genti messinesi, sino ai cultori e custodi

    della Storia meridionale e messinese come la Professoressa Liliana Iaria la cui volontà, anche se

    ultima ma non certo meno importante, tra le tante fu quella decisiva alla realizzazione di questi

    scritti, come si può ricordare con le sue stesse parole allorquando in qualità di titolare delle

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    Università di Catania

    Facoltà di Scienze Politiche

    Capitolo I

    Scritti in Memoria della Famiglia Aronne 

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    Capitolo I

    Scritti in Memoria della Famiglia Aronne 

    Un ricordo tramandato

    Giuseppina Grioli è una dei discendenti della famiglia Aronne, essendo nipote da tre generazioni

    di Josepha La Tella che fu moglie di Lorenzo Aronne (foto A), conserva il ricordo della famiglia

     Aronne tramandatogli dai suoi nonni, del loro casale nei possedimenti di Roccamotore (foto B)

    dove visse la sua adolescenza. A lei abbiamo chiesto di raccontare questo ricordo che da

    generazione in generazione a oggi le è stato tramandato.Lei, è stata ben lieta di raccontare la storia della sua famiglia:

    Il padre di mio nonno Domenico si chiamava Giuseppe ed aveva una sorella di

    nome Josepha, una donna molto bella, tanto che vedendola, Lorenzo Aronne se

    ne innamorò.

    Lorenzo veniva da Gallico, un paese delle Calabrie, ed era molto ricco, suo padre

     Angelo era procuratore generale del Regno delle Due Sicilie e possedeva delle

    proprietà a Fiumefreddo, a Galati ed a Roccamotore che gli affidò.Qui a Roccamotore, Lorenzo conobbe Josepha La Tella innamorandosi di lei.

    Si diceva però che non soltanto per amore Lorenzo da Gallico venne qui tra

    Pistunina e Zafferia nei possedimenti di Roccamotore, ma anche perché il padre

    che era procuratore generale del Regno delle due Sicilie voleva tenerlo lontano

    dai fatti risorgimentali e dagli ambienti rivoluzionari dell’epoca, tanto pericolosi

    per la posizione della famiglia Aronne in cui vi era un procuratore del Re, e per

    evitare le possibili reazioni del governo borbonico o forse perché Lorenzo aveva

    partecipato in qualche modo alle idee rivoluzionarie, dunque per evitare tristisoluzioni lo mandò a vivere nel casale di Pistunina. Quando Lorenzino decise di

    sposare Josepha il padre si oppose fermamente dicendo:

    - “Se la sposi, verremo in Sicilia e la spaccheremo in quattro quarti”.

     A quei tempi si guardava al ceto nei matrimoni, ma la zia Josepha non era dello

    stesso ceto degli Aronne, i procuratori erano gente ricca! Lorenzo non ascoltò le

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    parole di suo padre e volle sposarla comunque, rimanendo nel Casale di

    Pistunina.

    Ma anche in questo caso si pensa che le dure parole del padre non si riferivano

    soltanto ad una opposizione al matrimonio, che si celebrò di certo dopo la sua

    scomparsa visto che non lo avrebbe permesso finché era in vita.Forse quelle parole furono dette alcuni anni prima dell’ incontro tra Lorenzo e

     Josepha. Erano rivolte invece contro le posizioni rivoluzionarie che Lorenzino

    sposava o avrebbe sposato durante gli anni del Risorgimento, e così si tramanda

    anche un’altra versione di quella frase:

    - “Se sposi quella causa, verremo in Sicilia e la spaccheremo in quattro quarti”.

    Infatti quando si celebrò il matrimonio i genitori di Lorenzo erano già scomparsi,

    come pure anche il Regno delle due Sicilie, e ciò unito al fatto che Lorenzo fu

    mandato da suo padre per allontanarlo da quei contesti risorgimentali, potrebbedimostrare come quella frase fu detta anni prima con motivazioni di divergenze

    politiche tra padre e figlio.

    Non so quale tra le due versioni sia quella vera, del resto di questo non se ne

    parlava, se non sommessamente, tra il pettegolezzo e lo scandalo, e solo loro

    potevano conoscere la verità, anche se chi aveva conosciuto in vita Lorenzo,

    sosteneva che questo fosse il motivo per cui Aronne venne a Roccamotore e da

    qui continuò, comunque contro la volontà del padre, quell’attività di politica

    fondando una vendita carbonara, intrattenendo rapporti con diversi esponentirisorgimentali, sfruttando strategicamente sia la sua posizione sociale di

    possidente che gli stessi possedimenti di Roccamotore che divennero una sede

    organizzativa e strategica dei carbonari sia siciliani che di altre regioni che

     venivano a Messina e in Sicilia a mezzo dei battelli mercantili eludendo i controlli

    borbonici.

    Lorenzino sposò regolarmente Josepha, eppure, anche se il padre era contrario a

    questo matrimonio, gli lasciò in dote ed in eredità i possedimenti delle Calabrie,

    di Roccamotore e quelli di Galati.Sfortunatamente non ebbero figli ma si amarono lo stesso.

    Il questo frattempo muore la moglie del fratello di Josepha, che fu il papà di mio

    nonno e così restarono dei piccoli orfanelli: mio nonno Domenico, zio Gaetano,

    la zia Concetta, dei piccoli bambini orfani senza mamma.

     Josepha e Lorenzino si presero cura di questi bambini e li crebbero in casa loro,

    ecco perché chiamiamo il casale: “la casa dei nonni”. 

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    Ricordo perfettamente questa casa: entrando dopo l’ingresso vi era una grande

    stanza detta la sala d’armi dove vi erano tante spade e fucili intorno ai muri,

    a destra della quale c’era lo studio, a sinistra aveva la cucina, e poi un’anticucina

    con uno sgabuzzino, andando avanti c’era la camera da ricevimento, alla sua

    destra c’era la camera da letto dove vi era la statua di una Madonna lignea,settecentesca, dai lineamenti stupendi seduta che portava tra le braccia il bambino

    Gesù, che è adesso conservata da mia cugina Maria La Tella, andando verso

    sinistra si raggiungeva la camera da pranzo che a sua volta portava, attraverso un

    camerino, ad altre stanze. Aveva in ogni stanza, i suoi disegni in cielo, così me la

    ricordo: la camera da letto con angeli, la stanza di ricevimento era blu con i fiori

    bianchi, i tetti erano tutti ad arco e nella sala d’armi erano raffigurate delle scene

    di caccia.

    Lorenzo Aronne era un uomo di politica, riceveva in casa dei diversi personaggipolitici, molti dei quali venivano da Roma. I miei nonni mi raccontavano delle

    sue conoscenze di uomini del Risorgimento come il Pellico, il Mazzini, Garibaldi.

    Ricordo di una foto con due dediche:

    “Al mio amico e compagno d’armi, da Alfonzo Gianrizzo”;

    “Ricordo con affetto, al mio compagno affezionato. Marotta Garibaldi”.

    Essendo un possidente, si occupava anche di queste sue grandi proprietà di

    Roccamotore, Galati e quelle delle Calabrie, delle campagne e delle terre curate

    dai suoi operai, in cui si produceva di tutto: vino, olio, grano, ecc., che venivanocommercializzati. Dalle rendite dei possedimenti, comprava altre vendite sia

    fondiarie che mercantili per commerciarle. Infatti nella marina di Roccamotore

    tra i paesini di Tremestieri e Pistunina, fece costruire un porticciolo, così come

    già suo padre e suo zio avevano fatto a Galati, a Fiumefreddo e nelle Calabrie a

    Gallico. Questi attracchi servivano per le imbarcazioni che trasportavano i

    prodotti da commerciare, per via di mare.

    Si diceva che aveva molti soldi in banca, ed era molto generoso quanto era ricco,

    e c’era un grande lusso in questa casa. Tutte le mattine venivano da Galati, due pescatori di famiglia, e un altro veniva

    da Messina, per portare i pesci agli operai e a casa d’Aronne.

    Era una vita agiata, vi era l’uso di mangiare una volta al giorno, ma la tavola era

    imbandita dei miglioro piatti, il migliore pesce, frutta di stagione ecc.

    E questa vita andava avanti cosi: ricchi, ricchezze, allora succedeva che i poveri

    andavano a chiedere sostentamento a queste famiglie ricche e venivano anche a

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    casa di Lorenzino che d’accordo con il prete di Pistunina offrivano assistenza ai

    bisognosi, ogni Venerdì, mettendo a disposizione il casale.

    In somma non gli mancava niente, addirittura delle proprietà che aveva nelle

    Calabrie a Gallico, siccome era così generoso e ricco, ne cedette una al cugino.

    Ed ogni anno alla vigilia di Natale questo cugino per ringraziarlo gli mandava unabarca di roba che occorreva una giornata intera per scaricarla e fare la strada dal

    porto al casale, con i carretti che trasportavano questa roba di tutte le specie.

    Negl’anni che seguirono lo zio Aronne maritò tutti quegl’orfanelli che intanto

    erano diventati grandi, con doti e corredi. Mio nonno seppure sposato rimase in

    casa con lo zio Aronne e la zia Josepha, a quei tempi si usava così, era il più

    piccolo e doveva restare con il padre e la madre.

    Mio nonno ebbe sei figli, e quando questi bimbi crescendo arrivavano ad una

    certa maturità, Lorenzo gli dava una borsetta con dei soldi, che potevanospendere come volevano.

    Nel casale la sera si riunivano le famiglie, tutti i parenti e conoscenti ed era una

    gran festa in questa casa dove si mangiava con posate d’argento, bicchieri in

    cristallo, era una casa stupenda con quadri, e che quadri, che tavolini, che

    consolle e stanze bellissime, soltanto la stanza di Lorenzo, lo studio suo, aveva

    quattro grandi vetrine alle pareti che contenevano tantissimi libri, che purtroppo

    andarono persi, per vari motivi, ad esempio, perché quando erano malati allora

    erano i medici a venire a fare le visite a domicilio ed affascinati da questi libri, alladomanda :

    “allora professore quanto pago” , rispondevano: “niente, mi date un libro?”.

    Oppure regalati  insieme ai quadri a quei Signori che frequentavano il casale,

    insomma quattro vetrine di libri le svuotarono preti, dottori, e tutta gente che

     venivano dal museo.

    So anche che vicino al cortile di questo casale, di fronte alla cappella, si

    svolgevano dei duelli ai tempi di Lorenzo, che come sappiamo Federico II aveva

    proibito, si organizzavano con tanto di padrini, e di carrozza dell’ infermeria perchi si sarebbe ferito.

    C’era un grande albero di mandorle e un grande prato dove i duellanti, mi

    raccontava mio nonno, andavano e facevano il duello, chi si pungeva perdeva ed

    allora subito lo curavano nelle carrozza dell’infermeria di nascosto.

    Lorenzo andava spesso a Tremestieri dove c’era il circolo che aveva fondato, e

    tornava di notte fonda. In realtà era una loggia, una vendita carbonara, soltanto

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    dopo diventò il “Circolo di Roccamotore” a memoria di lui che proprietario di

    Roccamotore lo fondò. E lì si svolgevano le vendite a cui partecipavano i

    carbonari provenienti oltre che dalla Sicilia anche dal Napoletano e dalle Calabrie,

    eludendo i pattugliamenti borbonici, attraccando con imbarcazioni nel

    porticciolo utilizzato dalla famiglia Aronne per i loro scambi commerciali. Tuttociò come mi raccontavano sia i mie nonni, sia le persone che frequentavano il

    casale e dalla riverenza nei nostri confronti dagli abitanti, di Tremestieri,

    Pistunina, riverenza che a tutt’oggi come allora è manifesta anche dai figli di

    quella generazione che conobbero la figura rivestita dagli Aronne nel campo

    politico, religioso ed umano, attraverso i racconti tramandati dai genitori dei fatti

    successi in quei tempi, e ancora oggi ricordati.

    Lo zio Peppino, suo cognato, il papà di quei piccoli orfani tra i quali c’era mio

    nonno Domenico, lo aspettava seduto nell’atrio del casale dietro il cancello aguardia di chi veniva, a quei tempi c’era la paura dei briganti, ma non gli

    succedeva mai niente perché li rispettavano, era lì pronto a controllare i

    movimenti delle pattuglie borboniche.

    Uno degl’ospiti che venne in quelle casa era il suo compagno d’armi Marotta

    Garibaldi. Marotta Garibaldi veniva spesso, e quest’ultima volta si era fermato 8

    giorni, poco prima della spedizione dei mille, per organizzare lo sbarco in Sicilia e

    raccogliere i finanziamenti occorrenti per l’impresa. Da parte sua Lorenzo

    finanziò la spedizione per duecento cinquanta mila lire in contanti che sbancò incontanti per Marotta Garibaldi che glieli chiedeva con la promessa di restituirli a

    impresa conclusa.

    250 mila lire avevano un gran valore a quei tempi? C’erano:

    “u sanaru, u tarì, u sodu, u centesumu, i 5 centesimi, la mezza lira ch’era un 50 lire di oggi”.

    Giuseppe Garibaldi fa lo sbarco e vince tutto, s’incontreranno con Lorenzino a

    Napoli dal Re e festeggeranno la loro vittoria, ma dei soldi nessuna notizia,

    niente e non arriveranno.

    Lo zio Lorenzo avendo in seguito necessità di denaro, si rivolse ad un cugino diGalati che era un avvocato, l’avvocato Giuseppe Muscolino. Lorenzo va da

    Giuseppe e gli chiede un prestito:

    - Giuseppe mi dovresti fare un favore mi dovresti prestare 8 mila lire .

    Muscolino gli risponde furbo come un diavolo:

    - Si, io te li do, ma tu mi devi firmare una carta in garanzia!

    Lorenzo rimase male della proposta! Ma con aria serena gli risponde :

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    -  Si, se io non ti rendo questi soldi , ti puoi impossessare di casa, proprietà

    e tutto quello che possiedo.

    Questo avvocato, compila questa carta e scrive:

    -  “Se Lorenzo Aronne non corrisponde tale somma, io mi impossesso di tutti

    i sui possedimenti”.

    Successivamente Lorenzo si ammalò e doveva ancora ricevere le 250 mila lire da

    parte di Garibaldi, somma che mai ricevette, mentre le 8 mila lire prestate da

    Muscolino si fecero10.

    Lo zio Lorenzo ammalato e messo nel letto, diceva :

    - Andatemi a chiamare a Muscolino!

    Muscolino, comprendeva bene che Lorenzo gravemente malato avrebbe sciolto

    quell’impegno preso con lui e risolto la questione per evitare che alla sua

    eventuale morte i suoi familiari avessero perso i possedimenti, e diede la suaparola che sarebbe subito andato da Lorenzo. Intanto, Lorenzo costretto a letto

    dalla malattia, e di fronte ormai alla morte, continuava a dire:

    -  Se Giuseppe Muscolino mantiene la parola, a mia moglie gli tocca più

    di quando gli aspetta .

    E ripeteva sempre:

    - Chiamatemi Giuseppe Muscolino!  Portatemi qui Giuseppe Muscolino!  

    Ma Muscolino non andò da Aronne, ne si faceva trovare! Anzi si faceva negare

    da chi lo cercava. Lo zio morì e così rimase questo flagello. Allora, mio nonno era direttore dei magazzini Giannetto, una grande industria di

    Messina per la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti

    dell’agricoltura soprattutto dei foraggi, e comandava 100 uomini e 100 femmine,

    aveva una grande responsabilità, lo ricordo come un uomo molto preciso ed

    impeccabile. Per risolvere la questione dei possedimenti si fida di un suo cognato

    che a suo dire avrebbe trattato con Muscolino, ma costui invece, d’accordo con

    Muscolino, che gli prometteva di fargli avere una casa, quando avrebbe avuto la

    completa disponibilità dei possedimenti d’Aronne, ottenendo la volontà dellamoglie, ingannò mio nonno e la zia Josepha, dicendo di far firmare alla zia un

    azione giudiziaria contro Muscolino le faceva firmare invece una rinuncia ai

    possedimenti.

    Dopo pochi giorni si recarono nelle terre degli operai che la zia e mia nonna non

    conoscevano e si chiedevano perché mai c’erano quei nuovi operai, e chi li aveva

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    chiamati. La zia gli andò incontro chiedendogli chi fossero e casa stavano

    facendo? Ma questi non vollero rispondergli e lei li caccio via.

    La zia chiese a mio nonno, cosa stava succedendo, e se quelli operai gli aveva

    chiamati lui, e lui disse di no!

     Tale fatto insospettisce e preoccupa mio nonno che và da un avvocato a spiegaretutta la situazione, l’avvocato, quando indagando nei registri degli atti

    procedimentali scoprì subito la verità sul come stavano i fatti in merito ai

    possedimenti, e con enorme disprezzo di chi ingannò la zia, disse:

    -  “Ladri avete rovinato questa povera sventurata, lei non è più padrona di niente, la

    Signora Josepha La Tella non risulta più padrona dei possedimenti, il padrone adesso è

     Muscolino. E questo e tutto” .

     Vane ed inutili sarebbero state le azioni per ristabilire l’originaria proprietà di quei

    possedimenti.Ma fu una sorta di giustizia divina a castigare Muscolino, perché dopo esser

    diventato padrone muori subito dopo, senza godere per nulla i possedimenti

    d’Aronne.

    Ed intanto il tremendo terremoto che si abbatté su Messina fece cadere tutto, la

    chiesetta e la sacrestia, che Lorenzo aveva fatto costruire, la foresteria, le stalle, il

    frantoio, tutto è ceduto, soltanto il casale rimase in piedi, solo una parte ne crollo.

    Ricordo anche Don Carmelo Cacopardo che al tempo di Lorenzo curava i

    possedimenti di Fiumefreddo, Galati e Roccamotore e ne divenne con Muscolinol’amministratore di queste proprietà, diventando un uomo molto ricco.

    Ricordo che veniva sempre a portare qualcosa alla nonna, un fiasco di vino, di

    olio, ci portava sempre qualcosa, ed era molto disponibile e gentile nei riguardi di

    tutti forse per un qualche senso di gratitudine e di rimorso per le sue fortune

    fatte grazie a quei possedimenti, infatti la nonna affettuosamente lo prendeva in

    giro per questo, dicendogli:

    - I ripizzara sciurieru e i jardini siccaru.

    E lui, con la voce di chi porta in se un velato rimorso:-  Avete ragione Signora. 

    Muscolino non aveva altri eredi se non una sorella mai sposatasi che viveva a

    casa sua, che ereditò tutto: terre, casali, magazzini di vino, di olio, ecc., lei aveva

    tutte le chiavi di tutti i magazzini e dei casali.

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    Ma il destino volle che di fronte all’abitazione dei Muscolino ci stavano delle

    Suore, che lei frequentava, le quali ben sapevano dei fatti che avevano

    determinato come la nipote di Muscolino godesse di una tale eredità.

    Ed allora Padre Celone, allora loro padre spirituale, cogliendo l’occasione di

    questa Muscolino non ancora maritata ma sola, la convinse a diventare suora.Dicendole che una volta diventata suora non avrebbe avuto la preoccupazione di

    quelle terre, di quei magazzini, che anzi ci sarebbe stato chi si sarebbe preso cura

    dei possedimenti e di lei, e che non sarebbe rimasta sola, rimanendo comunque

    proprietaria.

     Tante gliene dissero che la convinsero, e così entrò al convento e diventò

    monaca, ma la prima cosa che gli tolsero ancor prima di entrare in convento

    furono le chiavi delle proprietà che portava al suo fianco, infatti la chiamavano

    tutti la “Suora senza le chiavi”.La stessa Muscolino, che era comunque in buoni rapporti con la zia Josepha e

    mia nonna, e con loro si confidava e si sfogava della triste vita che conduceva in

    convento, gli diceva:

    -  Cuscina, u pani mi livaru. La notte mi fanno fare la guardia, pure se sono ammalata, mi

    danno da mangiare quello che non posso mangiare, cuscina non cià fazzu chiui!  

    E mia nonna le rispondeva:

    - A Vui chu vu fici fari!

     Ammalatasi, la Muscolino restò in vita solo qualche anno e prima di morire dissealle sue sorelle monache:

    -  Voi siete padrone e voi rimarrete padrone della dote che vi ho portato, ma alla famiglia

    La Tella non la potete molestare, anche loro devono rimanere sempre padroni!

    Lei era riconoscente verso la zia, perché sapeva che suo fratello Muscolino aveva

    sbagliato, e ne portava in se il senso di colpa. Prima che lei morisse, dei suoi

    parenti, si fecero lasciare comunque dei possedimenti a Galati, per il resto invece

    restarono proprietarie le monache.

    In seguito alla morte della zia Josepha, venne a fare visita a mia nonna insieme adaltre suore, Suor Chiara, la Madre generale del convento del Carmine di Messina,

    me la ricordo ancora, era bassina e grassetta ed era a conoscenza di tutta la storia.

    Disse che padre Celone avrebbe fondato un convento “delle Ancelle riparatrici”,

    che sarebbe dovuto sorgere proprio in quel casale, invitando così mia nonna a

    doverlo lasciare:

    - Perché non si prende un nuovo appartamento, che questa casa non è per lei.

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    Mia nonna:

    -  Se tolgo mio marito da questo casale muore, è nato qua e vuole morire

    qua,mio marito in un appartamento non può stare.

    Le monache:

    - Ma a noi questo casale ci è utile.Mia nonna rispose:

    -  Sono cose impossibili quelle che mi dice, mi hanno detto che mio marito doveva rimanere

    qua e rimarrà qua, andate via non siete degne di indossare questo abito, con quale coraggio

    vi alzate ogni mattina, via, via da qua!!!

    Dopo qualche mese si ripete la visita di Suor Chiara e delle suore che

    l’accompagnavano, mia nonna li fa accomodare, e le suore dicevano sempre che

    dovevano lasciare quel casale e prendere un appartamento. Mia nonna rispose

    indisposta dalle loro insistenze:-   Ma io vi ho già detto che un appartamento non lo prendo, mio marito e nato qua e vuole

    morire qua, non avete rispetto ne anche per la parole della vostra sorella Muscolino.

    Si alza e le accompagna fuori di casa dicendo:

    - Andate, andate, siete come quei ladri (riferendosi all’inganno di Muscolino).

     Queste è roba rubata e che grida vendetta, non siete degne di portare quest’abito.

    Naturalmente vana fu l’opposizione di mia nonna ed il convento si fece lo stesso,

    mentre mia nonna si dovette accordare con Suor Chiara pagando 40 lire d’affitto

    per restare in casa sua.Suor Chiara morirà a causa di un diabete ed il suo posto lo prese Suor Lucia che

    non conosceva la storia, sapeva soltanto che quei possedimenti erano un lascito

    del loro fondatore Padre Nino Celone.

     Anche Suor Lucia venne a far visita per conoscere la nonna.

    Quando s’incontrarono, mia nonna raccontò alla nuova suora tutte le vicende

    trascorse, di Aronne, di Muscolino, di come sua sorella diventò Suora, ed infine

    di Suor Chiara. La suora rimase sconcertata da un tale racconto, e gli disse:

     No! Non è giusto, finché ci sono io, dovete e dovrete restare, non ci sarà nessuno che vi

    disturberà più. Mi dispiace di prendere questa miseria d’affitto ma non ne posso fare a

    meno perché è registrato, quando verrà suo figlio a portare questa miseria, mi deve sempre

     far chiamare.

    Così quando lo zio Gaetano andava al convento e chiedeva della Madre

    Generale, la Suora andava immediatamente e lo accoglieva con tanta gioia,

    dicendogli:

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    - Mi dispiace per questa miseria, che vi chiediamo!

    E zio Gaetano gli rispondeva:

    -   Ma lei non può sapere il favore che mi ha fatto, mio padre morirà in quella casa e non

    verrà disturbato da nessuno.

    La Madre Generale Suor Lucia:- Voi siete i padroni della proprietà finché vivrete.

    In effetti Suora Lucia si impegnava a non far disturbare mai più la famiglia La

     Tella. Dopo la morte dei nonni nessuno dei discendenti abitò più nel casale, tutti

    andarono a vivere la loro vita altrove, lasciando il casale di Aronne alle Ancelle

    riparatrici, ma orgogliosi di essere i discendenti di Lorenzino e Josepha,

    conservando in noi quell’eredità morale lasciataci dagl’Aronne, un eredità

    immensamente più grande e preziosa d’ogni possedimento.

    Questo è quanto stato tramandato a Giuseppina ed a gl’altri discendenti, ed è conservato

    nei loro ricordi e in quelli delle persone che sanno della famiglia Aronne.

    Oggi in quei possedimenti, il cemento delle costruzioni e l’asfalto delle strade che li tagliano ne

    hanno modificato le forme in mille modi durate il tempo che è trascorso.

    Nel casale d’Aronne adesso vivono le “Ancelle Riparatrici” (foto C), sotto lo sguardo paterno

    della statua del loro padre fondatore e benefattore, immemore di quelle fatiche umane e di quel

    patrio sangue in quel luogo sacrificati per i nobili principi, che è stato beatificato per la dote che

    fece pervenire al convento, vivono in quel casale divenuto il loro convento, pregando easpettando che il loro benefattore da morto potrà compiere quel miracolo della Santificazione,

    forse invano, poiché il Supremo non permetterà reiterare il danno contro uomini ed eroi.

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    Ricondurre al rigido determinismo della metodologia della ricercacausale ogni osservazione casuale

    L’iniziale monito della professoressa Iaria conteneva in se già le prime regole di metodologia nella

    ricerca che avremmo intrapreso: il rigore di un rigido determinismo storiografico e la speranza ditrovare delle informazioni attendibili. Fu deciso di iniziare le ricerche dall’Archivio Parrocchiale di

    Pistunina, con il permesso della Sovrintendenza ai beni culturali di Messina, per trovare conferma

    della reale avvenuta esistenza degli Aronne attraverso possibili certificati di battesimo, matrimoni

    o dei morti. Da qui, dove abbiamo rinvenuto le prime certe informazioni come i certificati di

    Matrimonio del Lorenzino Aronne con Josepha La Tella (doc. 1) che ci informa della paternità

    del di lui Angelo Aronne e della sua nascita a Gallico, e il certificato di morte (doc. 2) che ci da

    l’informazione degli anni in cui visse.

     All’Archivio Storico Notarile di Messina abbiamo cercato conferma dei terreni e casali diPistunina realmente posseduti dagli Aronne, come voleva il racconto. L’enorme quantità di

     volumi contenuti presso l’Archivio Notarile che avrebbero potuto interessare possibili atti

    sottoscritti dagli Aronne “é tale da fare impressione anche al più tenace dei ricercatori, se non si conosce quale

     fosse il notaio di famiglia sui cui registi ricercare” , come amava dire il Direttore dell’archivio che, benché

    uomo di elevata statura intellettuale ed ottimo conoscitore oltre che del suo archivio e delle

    metodologie di ricerca, anche della storia di Messina, seppure offrendoci tutta la sua disponibilità,

    cercava di dissuaderci della impossibilità di portare a buon fine la ricerca dato il gran numero di

    fondi notarili da dover consultare, tutti quelli dei notai che nei decenni di nostro interesse

    operarono dei distretti messinesi. La ricerche continuarono comunque, per oltre due anni, con

    quella speranza e rigore metodologico, che aveva ormai intriso i nostri animi e intenti, abbiamo

    proceduto suddividendo per anni d’interesse i fondi notarili della città di Messina e vagliando

     volume per volume tutti i registri dei tanti possibili notai della famiglia Aronne fin quando

    abbiamo individuato nei registri del Notaio Salvatore Ungano (4) i primi atti firmati dagl’Aronne e

    da questi, altri attraverso i quali e stato possibile oltre che ricostruire una collocazione geografica

    dei loro possedimenti, attingere ad ulteriori informazioni di carattere particolare per la storiografia

    del ruolo rivestito dagli Aronne sia nel contesto messinese, che nei rapporti istituzionali nel

    Regno delle Due Sicilie. Le ricerche sono state impostate ad rigido determinismo empirico

    attraverso il quale, mediante le sue possibili modalità di verificazione siano esse deduttive che

    induttive, si è voluto sottoporre a verifica storiografica e cronologica non solo ogni singola

    informazione del racconto di conoscenza comune ai tanti, dai diretti discendenti, alle genti del

    messinese, ai conoscitori della storia risorgimentale come il Tomeucci e la Iaria, ma anche ogni

    congettura sia causale che casuale che, partendo dal racconto e le ipotesi che generava lungo il

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    procedere delle ricerche, con enorme stupore ci sono apparse in gran numero rispetto alle

    informazioni iniziali in nostro possesso. Si è voluto ricondurre ad un rigido determinismo causale

    ognuna di queste osservazione casuali, verificando gli scritti del Tomeucci (5), che già da soli

    avrebbero potuto confutare il ruolo di Procuratore Generale del Re e di Direttore del giornale il

    “Maurolico” rivestito dall’Angelo Aronne, attraverso una ricostruzione degli Atti dell’AccademiaPeloritana (6) presso il Gabinetto di lettura, consultando gli Archivi Storici di Messina (7),  e la 

    biblioteca digitale degl’Archivi di Stato del Ministero dei Beni e le Attività Culturali (8).

    Da questi documenti è emersa una cronologica storiografia dall’Aronne quale membro dell’

     Accademia Peloritana, Direttore del “Maurolico”, ed inoltre proprio in una sequenza casuale

    Presidente della Corte di Legislazione in Palermo, attraverso il ritrovamento del poemetto

    intitolato “Marcello” (9)  e Procuratore Generale del Re in missione a Girgenti, come riportato

    dall’ “Almanacco del Regno delle due Sicilie”(10), due ultime informazioni, da cui emerge con

    enorme chiarezza un ulteriore aspetto del ruolo dell’Aronne, quale uomo e funzionariofortemente vicino a Ferdinando II già prima dei suoi natali e poi fino agli ultimi anni di reggenza,

    nella missione a Girgenti. Seppure anche tali informazioni tratte da fonti determinate sarebbero in

    se sufficienti a convalidare il ruolo rivestito dalla Famiglia Aronne, le abbiamo comunque volute

    sottoporre ad ulteriori e definitive verifiche attraverso una loro confutazione a mezzo degli atti

    civili custoditi presso l’Archivio Storico Notarile di Messina (11), che riguardano gli atti di morte

    della Caterina Decaridi (12) e dell’ Antonino Aronne (13)  da cui si evince il loro legame ora

    matrimoniale per la Caterina ora di legittimo figlio per l’Antonio all’ Angelo Aronne Procuratore

    Generale del Re in Girgenti. Tali ulteriori informazioni verificate ci hanno fatto comprenderedunque con chiara precisione il ruolo rivestito dalla Famiglia Aronne e dei suoi componenti,

    rappresentato con enorme chiarezza negli atti storico notarili, nelle note bibliografiche dei testi

    ottocenteschi come gli Annali e gli Almanacchi del Regno delle due Sicilie, negli scritti di storia

    del Tomeucci e gli originali articoli scritti dall’Avvocato Angelo Aronne sui principali giornali

    dell’epoca. Confermando con quel rigido riferimento empirico che questi ritrovamenti

    rappresentano una ben precisa connotazione di verità storica alla leggenda, anzi aggiungendo ad

    essa delle informazioni storiografiche di notevole interesse non solo per la città di Messina ma più

    in generare di quel Regno Meridionale, offrendosi quali possibili chiavi di lettura insieme ad altreper una nuova storiografia dei rapporti politico - istituzionali non solo in esso, ma nello stesso

    Risorgimento Siciliano e Italiano, ma la presunzione di determinare tale studio non può aversi in

    questa sede in cui ci limitiamo con umiltà, senza scadere nella falsa modestia perché la ricerca mi

    inorgoglisce, alla semplice ricostruzione della vita degli Aronne, offrendo tale storia al ventaglio di

    quelle che formano e rappresentano il sacrificio e l’offerta a quell’ unificazione auspicata nel

    nome di nobili principi come quello della virtù.

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    Le origini della Famiglia Aronne  

    L’ idea originaria che vuole Gli Aronne, vista l’origine ebraica o comunque giudaica del cognome,

    dei possibili mercanti stanziatisi lungo lo Stretto di Messina espressa in una intuizione della

    professoressa Iaria durante uno dei nostri primi colloqui in merito alle possibili origini è oggi qui

    nelle nostre ricerche stata confermata. Le origini bibliche del cognome e i rinvenimenti degl’atti

    che li nominano, dall’Archivio Parrocchiale di Pistunina e quello Notarile della città di Messina,

    riguardanti l’acquisizione di possedimenti siti a Galati, Roccamotore, Tremestieri, Pistunina e

    Zafferia dove la residenza degli Aronne si rinviene a Gallico di Reggio Calabria mentre le

    domiciliazioni presso Messina, ci fanno facilmente supporre, come vuole la professoressa Iaria,

    che le origini della famiglia Aronne si possano individuare di certo in “quel ceto di mercanti europei che

    durante il ‘700 trovarono utile stanziarsi tra le coste dello Stretto di Messina da cui era più agevole per i loro

    affari svolgere quelle attività commerciali lungo la cosiddetta “Via del mare”, centro non solo del Mediterraneo ma

    al centro degli scambi ora con la vecchia Europa, ora con il Nuovo Mondo ed ancora coi paesi asiatici ed africani.  

    Una pratica questa comune ad alcune famiglie di mercanti e possidenti nell’area del Mediterraneo, anche se questa

    era una pratica , una tendenza tutta Settecentesca e non più realizzatasi durante l’800 ”(14).

    Non conosciamo con esattezza la tipologia di affari che gli Aronne trattavano, ne l’entità, ma

    alterne congetture contestuali alla vita delle loro ultime generazioni, l’esame delle quali è oggetto

    di questa tesi, ci lasciano intravedere dei possibili contatti sia con le compagnie continentali

    interessate ai tessuti e alle spezie orientali, sia con il mercato della speculazione dei capitali a cui

    erano interessati i paesi dell’ Europa Occidentale. Queste alterne congetture ci appariranno lungo

    la descrizione della vita degli Aronne. Nella volontà di spingerci oltre, abbracciando l’originale

    intuizione della professoressa Iaria e lasciandoci sedurre da una congettura casuale, seppure

    sempre mossi dal rigido spirito dell’empiria abbiamo, nelle ricerche che interessano il ‘600 e ‘700,

    riscontrato una possibile provenienza della Famiglia Aronne da quelle comunità ebraiche nelle

    terre di rifugio del Patrimonio tra il XVI e XVII secolo, che qui ci limitiamo a considerarla

    soltanto una ipotesi avvalorata solo da un’ analogia del nome Aronne con alcune famiglie di

    quelle comunità, ben consapevoli che per divenire una certezza dovrebbe superare una verifica

    empirica di mole tale da meritare un ulteriore studio dedicato alla famiglia Aronne, in questa sede

    inverosimilmente dunque, l’idea che vuole gli Aronne appartenenti al ceto dei primi mercanti ci

    porta al 600 in cui abbiamo ritrovato notizie di una famiglia di sacerdoti, maestri, banchieri e

    Ufficiali dell’Università ebraica di Viterbo di nome Aronne:  Aronne Josepha, Aronne di maestro

     Angelo, Aronne di Samuele Sacerdote, Aronne di Clemente da Velletri e maestro Davit Aronne (15).

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    Dagli Scritti di Buonafede Mancini sull e comunità ebraiche nelle

    terre di rifugio del Patrimonio tra XVI e XVII secolo

    Intorno alla metà del XVI secolo i centri posti al confine dello Stato della Chiesa e di quello

     Toscano, in particolare l’area compresa tra il Lago di Bolsena e il Monte Amiata, il fiume Paglia e

    La  Fiora, era costituita da piccole città e staterelli che godevano di una serie di privilegi e

    convenzioni, accomadigie, che, fin dal XIV secolo, li svincolavano dall’autorità politica centrale (16). 

    Ciò facilitò la capillare presenza di banchieri, mercanti e artigiani ebrei nelle terre di confine

    dell’alto Lazio e della Toscana meridionale anche nei periodi in cui maggiori erano i divieti e le

    limitazioni imposti alle comunità ebraiche italiane all’interno dello Stato Pontificio.

    Si trattò in ogni modo di flussi migratori di piccola entità regolati sia dalle autorità pontificie e

    maggiormente incoraggiati dai vari Signori delle città rifugio per ragioni demografiche e per le

    competenze professionali medici, chirurghi, commerciali e artigianali utilissime per la vita socialeed economia locale, ma regolati anche dagli stessi ebrei per evitare margini troppo ristretti di

    profitti e le paure che potevano diffondersi tra gli abitanti dei piccoli centri rurali. L’emigrazione,

    a differenza dei secoli precedenti, non era più ora esclusivamente da sud a nord (risalire la Tuscia

    da Roma). Con i loro movimenti, i piccoli gruppi di banchieri e di commercianti ebrei che

    abitavano le città rifugio delle terre di confine dell’alto Lazio e della Toscana meridionale,

    poterono avviare una sorta di scambio e prestito circolare da un Stato all’altro. Questi movimenti

    potevano risultare anche economicamente vantaggiosi nel caso in cui i banchieri espulsi da una

    città si portavano oltre il contiguo confine di Stato potendo così applicare ai prestiti interessimaggiorati anche del 6% (da 18 al 24) ai clienti divenuti, nel frattempo, forestieri (17).

    La maggiore o minore stabilità di banchieri, qualificati perlopiù come  fenerator , e commercianti

    ebrei nei centri dipendeva anche dal clima di convivenza attuato dalle autorità locali e dalle

    popolazioni. Rapporti quest’ultimi che risultavano improntati anche alla totale integrazione fra i

    due gruppi tanto che nel 1567 il vescovo di Castro, Girolamo Maccabei, emanò un monitorio

    contro gli ebrei e un bando per i cristiani della città affinché fosse posto un limite alla loro

    domestica e familiare conversazione e vietato ai cristiani di aiutare gli israeliti nella preparazione degli

    azzimi, di partecipare alle veglie, balli, pasti o festini nonché proibito agli ebrei di tenere a loroservizio garzoni e balie cristiani e dare loro carne sciattata  (18). 

     Tra le intransigenti disposizioni antiebraiche di Pio V e Clemente VIII si inserisce il pontificato di

    Sisto V, 1585 - 1590, David de Pomis, con riconoscenza, gli dedicava il suo Zèmach David .

    Dittionario novo ebraico, dato alle stampe a Venezia con i tipi di Giovanni de Gara, il 1587.

    Con il breve Christiana pietas, del 1586, Sisto V autorizzò gli ebrei ad insediarsi in tutti i luoghi

    murati dello Stato Pontificio “… città,castelli grosse e terre … eccettuate le ville e borghi”, senza obbligo

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    di portare il segno in viaggio, con la facoltà di esercitarvi la medicina, di impiegare manodopera

    cristiana, di svolgere ogni tipo di commercio, compreso quello dei grani e dei generi alimentari

    essenziali. A questi privilegi seguirono la riattivazione di comunità, sinagoghe e cimiteri; il tasso di

    prestito inoltre, con motu proprio del 1589, fu fissato al 18 per cento. L’intensa opera di riforma

    attuata dal pontefice conteneva anche una riorganizzazione finanziaria che introduceva una tassadi ingresso e di residenza nello Stato della Chiesa per ogni ebreo maschio dai 15 ai 60 anni.

    Con la bolla Caeca et obdurata hebraeorum perfidia del 1593, di Clemente VIII, 1592 - 1605,

    l’intolleranza nei confronti degli ebrei all’interno dello Stato Pontificio si riacutizzò; anche in

    queste circostanze le città rifugio alto - laziali continuarono però ad accogliere commercianti e

    banchieri ebrei provenienti dallo Stato Pontificio e dalla bassa Toscana i cui territori dell’ex

    contea ursinea, dopo l’annessione al Granducato di Cosimo Medici, si allineavano alle norme

    restrittive applicate dalla Chiesa. Nell’ultimo decennio del XVI secolo, rispetto ai due precedenti

    secoli, vennero pressoché meno l’attività creditizia e commerciale ad Acquapendente e aMontefiascone, esercizi questi che si rafforzarono invece nei vicini centri di Proceno, Onano,

    Latera e Farnese. 

    Si tratta perlopiù di modesti volumi d’affari dovuti al fatto che i banchieri e commercianti

    operavano in piccoli centri rurali; non di rado le due attività venivano praticate poi dallo stesso

    individuo. Il prestito ad usura da parte di banchieri ebrei era praticato a Viterbo e a Orte già alla

    fine del XIII secolo (19) ma, nei due secoli successivi, l’attività creditizia si estese anche a Orvieto,

    Bagnoregio, Toscanella (Tuscania), Corneto (Tarquinia).

    Mentre Acquapendente e Montefiascone, già nella prima metà del XV secolo, costituivano perl’Alta Tuscia i due principali centri d’insediamento per banchieri e mercanti ebrei (20) provenienti

    perlopiù da Roma, Viterbo e anche da Siena ( Habraam Jacob  ).

     A partire dalla metà del XVI secolo, per intensificarsi poi negli ultimi due decenni dello stesso,

    banchieri e commercianti risultano capillarmente distribuiti in gran parte dei centri di confine sia

    della Provincia Proceno, Farnese, che del Ducato di Castro a Canino, Capodimonte, Cellere,

    Grotte, Gradoli, Ischia, Marta, Pianiano, Montalto, Piansano.

    La politica dei Farnese, in particolare quella di Alessandro (Paolo III) e Ottavio fu sensibile e

    tollerante nei confronti degli ebrei tanto nel Ducato di Castro e Ronciglione che in quello diParma e Piacenza (21).

    Più dinamiche e consistenti, fin dalla metà del XV furono invece le attività feneratizie e

    commerciali nella capitale del Ducato castrense (22), città nella quale già intorno alla metà del

    successivo secolo confluirono sia gli ebrei dei vicini centri del Ducato e del Patrimonio:

    Ischia di Castro ( Brunetta di Giuseppe Laudadei e Pacifico di Laudadio );

     Viterbo (  Abraham di Consulo, Emanuelle di Moisé , Sperantia di Davith Aronne , Fiammetta di Giuseppe  );

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     Acquapendente ( Cherubino di Giuseppe, Joseph di Salamon , Aronne Joseph  );

    Blera (Bieda: Isac  );

    Caprinica ( Salamon, Pellegrino Laudadei Capranica  );

    Montefiascone (  Aronne di maestro Angelo, Laudadeus di maestro Angelo,Prospero di Salamon  );

    Nepi (  Jacobbe di Simeone  );Proceno ( Crescenzio di Meluccio );

    Soriano (  Amadei  );

     Vitorchiano (  Moisè di Angelo, Zacharia di Pacifico );

    sia quelli provenienti da:

    Roma (  Meluccio di Nesin , Sarra di Angelo Marzochi  );

     Ancona ( Sabatullo di Giuseppe  );

    Napoli ( Dianora di Giuseppe Cappulari  );

    Nerola ( Salamon di Consulo );Spoleto (  Meneseo e Flaminio di Bonaventura di Consulo );

    San Casciano Bagni, Sarteano, Torano, Tolentino;

    che delle tradizionali città - rifugio della contigua Toscana:

    Sorano (  Aronne di Samuele Sacerdote , Crescenzio di Giuseppe Gallica, Lelia di Salamon Capranica );

    Sovana ( Guglielmo di maestro Gabriele  ).

     Tra i privilegi di cui godevano, in modo seppure alterno per le limitazioni dovute alle bolle papali,

     vi era quello di proprietà di beni immobili, condizione questa che facilitava la più o meno

    prolungata (oltre i 10 anni) presenza in città.L’attività creditizia nella capitale del Ducato era regolata dagli Ufficiali della Comunità su licenza

    dei Farnese. In un capitolato del 1566 (22 gennaio) fra i Priori e Gonfalonieri di Castro

    (Laurantio Scaramucci, Framentio Querciola, AntonClario di Andrea, Egidio di Castro, Jacubo

    Concuo) e “Crescentio de Meluccio hebreo de Proceno et Simone e Rubini ebrei fratelli et sui Nipoti Meneseo et

    Flaminio figlioli già di Bona Ventura de Consulo, banchieri, veniva stabilito:

    “Che nesciun altro hebreo sia lecito ne possi sopto qual

    si voglia quesito colore prestare ad usura ne exercitio de usura fare in

    la detta Città o suo distretto senza licentia delli detti banchieri òsui agenti in scriptis sopto pena à chi

    conta fara de scudi sesanta de oro per ciasche pegno apricarsi la quarta

     parte alla Camera Ducale et la quarta parte alla Magnifica

    Comunità et la quarta parte alli detti banchieri et il restante al signor podestà ”,

    così come anche: la quota di bene entrata (10 fiorini); la durata del banco (10 anni);

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    i divieti (impegnare al banco robbe de chiesie: Calice, patene, Croce, paramenti ; uscire dalle abitazioni dal

    Giovedì al Sabato Santo); e le agevolazioni (osservanza del Sabato con astensione dal prestito e

    dalle cause civili; divieto per altri banchieri di prestare ad usura in Castro o suo distretto; carne

    sciattata ; non pagare gabelle al termine del loro mandato) (23).

    Nonostante i divieti della bolla di Clemente VIII (1593) i banchi di prestito rimasero attivi neicentri di confine: ad Onano dal 1604 al 1611 e poi ancora fino al 1619 abitò ed operò Ventura di

    Simone Pomis, nipote del suddetto David, mentre pochi anni prima vi avevano esercitato il prestito

    Crescenzio di Meluccio e Bonaiuto di Laudadio.

    La Comunità di Farnese, a partire dal 1 dicembre del 1600, stipulò con Pacifico di Meluccio e suo

    figlio Prospero, un contratto della durata di 5 anni “ per esercitare un banco di prestanza ad interessi sopra

     pegni … a ragione del 12% all’anno”.

    Fu inoltre concesso loro di abitare nella terra di Farnese o nella città unitamente alle famiglie e

    garzoni, di vivervi secondo i loro costumi, di essere esentati dall’obbligo di portare il segno diriconoscimento, di fabbricarvi un proprio cimitero, di riconoscere loro gli stessi trattamenti

    riservati agli altri vassalli dello stato (24). 

    Già nel 1599, Mario Farnese aveva autorizzato Aronne di Clemente da Velletri ad aprire un banco a

    Latera della durata di 5 anni con la condizione che pagasse 15 scudi per ciascun anno.

    Prima della scadenza dei termini (maggio 1604), la concessione venne loro rinnovata per altri 5

    anni. Con sua lettera (6 novembre 1603) Mario Farnese regolò i termini del nuovo banco (da

    iniziarsi a partire dal primo giugno 1604) ma aumentò da 15 a 40 scudi annui la quota che il

    banchiere doveva versargli: le nuove e più esose condizioni vennero accettate in data 20novembre 1603. Dal rogito conosciamo che all’atto era presente il solo Aronne e che questi agiva

    anche a nome del fratello, impegnatosi poi a rispettarne i capitoli, il banchiere“iuravit tacto calamo

    more hebraeorum” (25).

    Le condizioni poste, sono le stesse di quelle regolate nel capitolato tra la Comunità di Farnese e

    Pacifico di Meluccio. Alcuni anni prima (1596, 27 giugno), per il la Sinagoga di Acquapendente

    risultava pagare la quota di 10-12 scudi annui alla Casa dei Catecumeni di Roma (1569).

     Versamento che per l’area del Patrimonio era esteso anche a quella di Bagnaia, Nepi, Orte,

     Vitorchiano e le due di Viterbo (26). 

    Infine degno di nota è il fatto che dall’area del Castrense proviene il frammento di un piattello

    ceramico in cui sono rappresentati un calice e una pergamena della metà del XVI secolo con la

    scritta Pesah (Pasqua) in caratteri ebraici (27). 

    È forse questa la prima testimonianza archeologica della Comunità ebraica dalle città rifugio che

    definiscono la provenienza di una parte della comunità ebraica italiana dalle terre del Patrimonio

    la cui storia, prima negata e poi ignorata, è solo all’incipit.

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    Dall’Archivio dei registri parrocchiali delle Chiesa diSan Nicola a Pistunina

    Sulla strada orientale sicula al centro del piccolo paesino messinese di Pistunina è collocata la

    chiesetta dedicata al culto di San Nicola, dove nelle stanze superiori alla sacrestia è custodito adopera della Sovrintendenza ai Beni Culturali, un archivio di notevole interesse storico

    comprendente documenti censuari, registri gabellari, e naturalmente quei registri parrocchiali

    tanto importanti ai fini della nostra ricerca. In questi, suddivisi in volumi è stato possibile

    individuare quei primi certificati riguardanti l’esistenza della famiglia Aronne che renderanno

    possibile lo svolgersi di questa tesi:

    •  Certificato di matrimonio tra Laureatine Aronne con Josepha La Tella, celebrato in Messina

    il I Marzo 1867 ( Volume dei matrimoni Pistunina anno 1743 – 1908, riga 140.) (doc. 1);

    •  certificato di morte di Laurentius Aronne fu Angelo, anno domini 1906 di anni 74,

    professione possidente, tumulato nel cimitero di Larderia, fila n°4 al n°23, (volume morti

    Pistunina dal 1865 al 1967, pag.58, n°5), (doc. 2) ;

    •  certificato di Battesimo di la Tella Dominucus nato il 17 Novembre 1868, battezzato il 18

    Novembre 1868, di Giuseppe e di Maisano Giuseppa (libro dei battesimi dal 1840 al 1904),

    (doc.3);

    •  certificatodi Matrimonio tra La Tella Domenico con Giuseppa Nicosia celebrato in data 20

    ottobre 1897, (libro dei matrimoni, vol. I dal 1743 al 1908, pag. 227,228), (doc.4);

    •  certificato di morte di La Tella Domenico fu Giuseppe il 7 Ottobre 1950, di anni 82,

    tumulato nel cimitero di Larderia (ME), sez. 1°, fila 4 n°24, (vol. dei morti dal 1865 al 1967,

    pag. 189, n°10), (doc.5);

    •  certificato di Morte di Nicosia Giuseppa, morta il 26 Dicembre 1951, (vol. dei morti dal

    1865 al 1967), (doc.6).

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     Archivio di Stato Storico e Notarile di Messina

    L’archivio di Stato del Comune di Messina, nei fondi notarili, comprende atti che interessano

     Angelo Aronne ed altri del fratello Vincenzo e della sua figlia Serafina , nonché della Caterina

    Decaridi moglie di Angelo, del loro figliolo Antonino e della Giuseppa La Tella moglie di

    Lorenzino Aronne. E’ inoltre custodito un fondo di Miscellanea Risorgimentale nel quale sono

    contenuti particolari scritti dall’Avvocato Aronne tra gli Atti della Reale Accademia Peloritana (28), 

    mentre il suo nome viene ricordato nell’archivio bibliografico nel libro intitolato “Messina

    Risorgimentale” scritto dallo storico messinese Luigi Tomeucci (29).  La parte archivistica del

    fondo civile che interessa i componenti della famiglia Aronne è costituita da falconi diversi che

    contengono i registri degli atti di nascita, quelli degli atti di solenne promessa di matrimonio e

    quelli di morte, documenti così ordinati ordinati:

    •   Atto di Nascita della Giuseppa La Tella. di Domenico La Tella e Domenica Chiodo,

    Num. d’ordine decimosettimo, l’anno 1836, il dì 08, del mese di Luglio, (doc. 7);

    •   Atto di Nascita del Giuseppe La Tella di Domenico La Tella e Domenica Chiodo

    Num. d’ordine decimosesto, l’anno 1836, il dì 08, del mese di Luglio, (doc.8);

    •   Atto solenenne di promessa di Matrimonio tra Serafina Aronne e Melchiorre Parisi

    Num. d’ordine terzo, l’anno 1846, il dì 21, del mese di Luglio, (doc. 9);

    •   Atto di Morte nel casale di Pistunina del D.n Antonino Aronne, d’anni 27, nato in Messina,

    di professione Avvocato, domiciliato in Pistunina, figlio di D.n Angelo, di professione

    Procuratore Generale, domiciliato in Girgenti e di D.na Caterina Decaridi, domiciliata in

    Girgenti, Num. d’ordine quarto, l’anno 1858, il dì d17, del mese di Aprile, (doc. 10) ;

    •   Atto di Morte nel casale di Pistunina della Signora D.na Caterina Decaridi, sposa del signor

    D.n Angelo Aronne Procuratore Generale in Girgenti, di anni 54, nata in Gallico comune diReggio di professione proprietaria, domiciliata in Pistunina, figlia di D.n Antonino e di fu

    D.na Serafina Aronne, Num. d’ordine primo, l’anno 1860, il dì 27 del mese di Gennaio,

    (doc.11);

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    •   Atto di Morte nel casale di Pistunina, del D.n Vincenzo Aronne, d’anni 85, sposo della fu

    D.na Maria Marino, nato in Messina, di professione possidente, domiciliato in Pistunina,

    figlio del fu D.n Angelo, di professione proprietario e di fu D.na Rosolia Ricciardi,

    Num. d’ordine nono, l’ anno 1863, il dì 15 del mese di Dicembre, (doc. 12).

    Seguono 11 faldoni del fondo Notarile della città di Messina, contenuti nei protocolli relativi al

    periodo 1820 - 1844, registrati dal Notaio Ungano Salvatore, dai carteggi distribuiti in   volumi

    distinti che costituiscono il registro di protocollo degli atti notarili che interessano gli Aronne, si

    evince come essi divengono proprietari dei fondi di Galati, Tremestieri, Pistunina e Zafferia.

    Carteggio Vincenzo Aronne  

    Raccolti in 7 faldoni, sono conservati gli Atti Notarili che riguardano Vincenzo Aronne, registrati

    nel periodo 1820 - 1838, nei carteggi del Notaio Ungano Salvatore:•  repertorio n° 135 del 18-11-1820, (doc. n°13);

    •  repertorio n° 160 del 11-03-1821, (doc. n°14);

    •  repertorio n° 142 del 30-08-1832, (doc. n°15);

    •  repertorio n° 46 del 10-03-1836, (doc. n°16);

    •  repertorio n° 143 del 29-07-1836, (doc. n°17);

    •  repertorio n° 180 del 11-09-1836, (doc. n°18);

    •  repertorio n° 183 del 13-09-1836, (doc. n°19);

    •  repertorio n° 181 del 15-11-1837, (doc. n°20);

    •  repertorio n° 218 del 20-09-1838, (doc. n°21);

    •  repertorio n° 219 del 20-09-1838, (doc. n°22);

    •  repertorio n° 731 del 17-08-1844, (doc. n°23).

    Carteggio Angelo Aronne

    Raccolti in 4 faldoni, sono conservati gli Atti Notarili che riguardavano Angelo Aronne,

    registrati nel periodo 1832 - 1839, nei carteggi del Notaio Ungano Salvatore:•  repertorio n° 94 del 30-06-1832, (doc. n°24);

    •  repertorio n° 212 del 20-11-1832, (doc. n°25); 

    •  repertorio n° 72 del 21-04-1833, (doc. n°26); 

    •  repertorio n° 109 del 23-06-1833, (doc. n°27); 

    •  repertorio n° 132 del 19-08-1833, (doc. n°28); 

    •  repertorio n° 217 del 19-09-1838, (doc. n°29); 

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    Dal fondo storico di Miscellanea Risorgimentale:

    •  Poemetto intitolato “Marcello”scritto dall’ Avvocato Angelo Aronne.

    Un componimento drammatico da cantarsi nella Galleria del palazzo Senatorio.

    Per la straordinaria generale tornata della Reale Accademia Peloritana in ricorrenza del

    fausto giorno natalizio di sua Maestà Ferdinando II. Re del Regno delle due Sicilie (doc.n°30);

    •  Memorie Storiche e Letterarie della Reale Accademia Peloritana di Gaetano Oliva, nelle

    quali si rinviene che l’Avvocato Angelo Aronne è membro della seconda classe di

    legislazione (doc. n°31).

    Dall’Archivio bibliografico:

    • 

    Messina Risorgimentale di Luigi Tomeucci, il quale scrive che l’Avvocato Angelo Aronnedirisse il giornale “Maurolico” (doc. n°32).

    Dagl’Atti Notarili che riguardano le vicissitudini della Famiglia Aronne nei diversi interventi ora

    dell’Angelo, ora del Vincenzo, si evincono le loro paternità rispettivamente nel D’Antò Vincenzo

     Aronne e nel fu Don Angelo Negoziante Messinese domiciliato Gesù e Maria del Sarciato,

    Numero omesso. Ciò rappresenta un primo tassello per la ricostruzione delle origini degli Aronne

    quali appartenenti ad un ceto di mercanti stanziatisi lungo le coste dello Stretto di Messina, in

    quanto il domicilio presso Maria e Gesù al Sarciato, oggi Maria e Gesù al Ringo (foto D), si trovadi fronte ad una particolare costa del messinese, che anche se oggi è una spiaggia frequentata da

    piccoli gruppi di pescatori e bagnanti, presenta una naturale vocazione di punto di attracco infatti

    benché il porto della città si sviluppa subito prima, a sud, essa nasconde i segni del tempo che

    l’hanno voluta costa di approdo, di movimenti marinari e scambi commerciali nello Stretto, anche

    se oggi non si vedono strutture di approdo perché dismesse durante il periodo fascista in seguito

    alle politiche di controllo costiero, e solo le barche restaurate dai pescatori locali sono rimaste a

    ricordare quei tempi, non sarebbe da stupirsi che rappresentasse all’epoca un punto commerciale

    a fianco del grande porto, infatti fino a dopo la seconda guerra mondiale era punto di imbarco dinavigazioni verso il continente europeo e le americhe, del resto la naturale vocazione di punto di

    approdo farà sì che gli stabilimenti portuali dei traghetti da e per Reggio si stanziassero in quei

    pressi (foto E). Oggi accanto la chiesa di Gesù e Maria di fronte la spiaggia, esiste ancora un

    palazzo signorile sede della Gran Loggia Regolare d’Italia (Foto F) la cui facciata presenta delle

    connotazioni molto simili a quello della strada San Giacomo(Foto G), altro domicilio degli

     Aronne, a lato del Duomo di Messina.

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    Il Gabinetto di Lettura

    Il Gabinetto di Lettura (foto H) fu durante tutto il periodo risorgimentale l’originaria sede della

    Reale Accademia dei Peloritani, della quale erano membri e soci i maggiori personaggi di quel

    processo risorgimentale che vide la città di Messina esserne un punto di riferimento.

    Oggi Il Gabinetto di Lettura continua ad essere un prestigioso circolo letterario diretto da una

    gentile Signora d’altri tempi, anche se la sede è la stessa di quella epoca risorgimentale il

    Gabinetto ha perduto negli anni la sua influenza politico culturale anche a seguito della

    dissoluzione graduale dell’Accademia, ma rimarà sempre un luogo della memoria e simbolo di

    quel fervore risorgimentale, non solo per la città di Messina, custodendo al suo interno una

    preziosissima biblioteca.

     Tra gli Atti della Reale Accademia dei Peloritani è contenuto il Giornale Storico Letterario “Il

    Maurolico”, di cui Angelo Aronne ne fu direttore dal 1834 al 1840, i suoi scritti sono conservati

    tra i fogli de “Il Maurolico” insieme a quelli di altri eminenti autori che trattano tematiche di

    natura letteraria, economica, giuridica e scientifica, di enorme interesse ed attualità, si spiega

    facilmente come per quell’epoca potessero rappresentare un’avanguaria culturale di elevata

    statura.

    Dal foglio periodico “Il Maurolico”, Anno II – Vol.3°, Messina 10 Giugno 1838:

    •  Proemio, (doc. n°33);  

    •  Letteratura, (doc. n°34). 

    Dal foglio periodico “Il Maurolico”, Anno II – Vol.3°, Messina 20 Luglio 1838: 

    •   Eloquenza Sacra, (doc. n°35). 

    Dal foglio periodico “Il Maurolico”, Anno II – Vol.3°, Messina 10 Febbraio 1839:

    •  Cose Patrie, Primo Dottorato della Regia Università degli Studi, (doc. n°36).

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     Archivio Storico di Messina

    Presso la sede della biblioteca comunale di Messina si trova l’archivio storico messinese che

    possiede molti documenti e pubblicazioni di atti dell’Accademia Peloritana di provenienza del

    citato Gabinetto di lettura, tra i quali verificando le informazioni riguardanti Angelo Aronne, tra

    le pubblicazioni dell’epoca si rivela dagli Atti della Reale Accademia Peloritana che Angelo

     Aronne oltre ad esser stato Direttore de “Il Maurolico”, scrisse anche per “La Farfalletta” altro

    giornale dell’epoca, ed insieme all’Amodeo istituì “Il Giornale di Giurisprudenza e Legislazione”:

    •  G. Arena Primo , La stampa periodica in Messina, in Atti della R. A. P (doc. n°37). 

    Dipartimento di Storia e Comparazione degli Ordinamenti

    Giuridici dell’ Università di Messina

     Tra i giornali risorgimentali “La Farfalletta” fu anch’essa un opera periodica scientifica letteraria,

    di notevole interesse per gli studi di quel periodo risorgimentale, nel giornale conservato presso il

    Dipartimento di Storia e Comparazione degli Ordinamenti Giuridici dell’ Università di Messina 

    sono pubblicati alcuni scritti dell’Avvocato Angelo Aronne:

    • 

    Cenno sul discorso inaugurale del Sig. Beniamino Caracciolo Procuratore del Re presso il Tribunale Civile di Messina il 3 Gennaio 1843, (doc. n°38);

    •  Corrispondenza Al Signor Marullo Regio Giudice in Barcellona - Pozzodigotto, (doc. n°39);

    •  Educazione, (doc. n°40). 

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     Archivio di Stato del Ministero dei Beni e le Attività Culturali

    Infine tra le pubblicazioni della Stamperia Reale in Napoli conservate negli Archivi di Stato del

    Ministero dei Beni e le Attività Culturali è disponibile, tramite l’accesso virtuale alla sua biblioteca

    digitale, l’Almanacco Reale del Regno delle due Sicilie per l’anno 1855, nel quale viene riportato al

    capitolo VII, sez. III sull’Ordine Giudiziario, che D. Angelo Aronne fu Giudice di Gran Corte

    Civile in missione di procuratore generale del Re:

    •   Almanacco Reale del Regno delle due Sicilie, Ordine Giudiziario, capitolo VII, sez. III,

    (doc. n°41).

    Quest’ultimo documento, prezioso al fine di verificare e confermare tutte le indicazioni

    precedenti, dal racconto di Giuseppina agli Atti notarili e quelli dell’Accademia Peloritana, agli

    scritti di Angelo Aronne e quelli su di lui del Tomeucci in modo definitivo ed esaustivo, è stato

    individuato attraverso internet, mentre tutti i precedenti documenti hanno richiesto una paziente

    e lunga ricerca tra i vari archivi storici e cartacei che portano in sé il loro tempo, l’Almanacco

    Reale invece rinvenuto su internet, che è un mezzo per definizione globale ed universale di

    divulgazione, sembra come volerci dire dell’esistenza nell’etere al di là del tempo di Angelo

     Aronne. Purtroppo di lui non abbiamo trovato ne un atto di nascita né di morte come invece è

    stato per Vincenzo e Lorenzo, di certo le ricerche si sarebbero dovute indirizzare agli archivi civili

    e parrocchiali di Reggio Calabria , dove cercarne la nascita a Gallico, ed in quelli di Agrigento per

    trovarne gli atti di morte, visto che i documenti rinvenuti ci suggeriscono in Girgenti il luogo

    dove trascorse l’ ultimi periodi della sua vita. Comprendo che ciò potrebbe rappresentare un

     vuoto nella ricerca, ma le informazioni che emergono sulla vita di Angelo Aronne ed i suoi scritti

    sono tali che credo bastino a ricostruire le sue gesta e giustificare questa mia mancanza, non di

    meno, essendomi lasciato condurre anche dal caso in questo cammino di ricerca vorrei riempire

    questo vuoto con le parole di J. W. Goethe che ho incontrato, proprio per caso e con stupore

    durante una passeggiata, in una effige murale posta per il centenario del suo viaggio in Italia, nella

    casa che lo ospitò (foto I), in un piccolo vico nel cuore degl’antichi quartieri di Agrigento:

    “ Nelle rupi e nelle mura

    che facevano da baluardo a Girgenti

    sono scavate tombe, probabilmente riservate agli

    eroi e ai saggi dove mai potrebbero trovare più

    degna sepoltura per la propria gloria e per la

     perpetua emulazione dei cittadini!

     E pare di toccare il punto esatto in cui l’ordine

    dorico raggiunge la sua misura perfetta”

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    Chi fu Angelo Aronne

    Nel proseguo della tesi cercheremo di dare delle risposte alle domande che emergono da un

    approccio al racconto della famiglia Aronne ed ai documenti rinvenuti: chi era quest’Angelo

     Aronne? Da dove veniva? Qual’era e fu il suo ruolo, quale la volontà e il pensiero?

    Chi era questo personaggio che, in una Messina risorgimentale fedele alla Lettera di una Madonna

    come di una Fata Morgana, coltivava il suo sapere di cose letterarie, artistiche, scientifiche e di

    legislazione, giurisprudenza, statistica ed economia, frequentando e dirigendo i circoli degli

    illuminati dell’epoca?

    Chi era costui che si onorava di conoscere i più insigni uomini delle Arti, del governo, della

    giustizia, amando conversare della bella letteratura con il Gaetano Cartella (doc.39), uomo di

    elevata mole artistica, letteraria e poetica di quella Messina, il cui amore per il bello delle forme

    dell’arte è giunto a noi attraverso le sue opere poetico letterarie e quelle dei suoi figli e nipoti che

    per ultimi hanno arricchito con l’arte del decoro i palazzi messinesi fin dopo gli inizi del ‘900?

    Chi era l’Avv. Angelo Aronne che sollecitava all’onore il Sovrano delle due Sicilie fin dai suoi

    natali, come vediamo nel poemetto intitolato Marcello, godendo della fraterna amicizia e della

    stima, nel dividersi la direzione del “Maurolico”, con il Litterio Stagno e collaborando con Felice

    Bisazza, dalle cui stirpi discesero uomini che resero grande la città di Messina dai nomi

    pronunciati negli ambienti nazionali e internazionali rappresentando le doti e le capacità di una

    sicilianità purtroppo spesse volte insultata, oltre che defraudata?

    Chi era che nei suoi scritti invocanti e innalzati alla virtù, si raccomandava che essa prendesse

    forma negli atti, nei pensieri e nelle circostanze dei suoi eminenti destinatari e interlocutori, come 

    quelli del “Cenno sul discorso inaugurale del Sig. Beniamino Caracciolo Procuratore del Re” (30), oppure con

    quelli “Al Signor Marullo Regio Giudice” (31), potendosi porre al di sopra di alcune figure del tempo,

    di cui seppure condividendone i principi ne denunciava già i limiti nelle conseguenze di tali

    principi,  con distinto livello morale, giuridico e civile, possedendo quell’innato sentimento di

    giustizia delle genti che confluisce a quello infinitamente più grande, perché universale nel nome

    della virtù, in ogni cosa pur anche nell’infinitamente piccolo, di ogni gesto, pensiero o atto che è

    in essere all’uomo moralmente civile e virtuoso.

    Chi era che insieme alla volontà del cugino Vincenzo, comune forse a quella di altri e più alti,

    acquistava, con le forme di un mutuo soccorso verso notabili indebitati, possedimenti nelle terre

    al di là del faro, lungo i territori di accesso da oriente alla città di Messina, realizzando attracchi

    navali lungo la costa e sentieri lungo l’entroterra?

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    Chi era questo procuratore di Re che con amore paterno allontana il proprio figlio Lorenzo dai

    pericolosi fervori rivoluzionari di una città come Messina o chissà quale altra, e che lo intima di

    non sposare la donna amata o chissà quale causa dicendo:

    “Se sposerai …Verremo in Sicilia e la spaccheremo in quattro quarti” .

    Sono parole che celano un conflitto generazionale tra padre e figlio?O in esse possiamo riscontrare il conflitto che investe i classici ed i romantici del tempo?

    Oppure quello tra i rivoluzionari e borbonici?

    Chi era la sua famiglia il cui nome a oggi e stato conosciuto e conservato dai pochi discendenti,

    nel velo sottile tra la verità e l’oblio di storie, di fatti, vicende e luoghi tramandati alla conoscenza

    delle generazione successive degli abitanti dei villaggi di Pistunina, Tremesieri, fino anche a

    giungere alla conoscenza dei cultori e custodi della nostra storia, come il Tomeucci o la Iaria, e a

    oggi finalmente divenire reale storia accaduta tra la Sicilia e quello Stretto di Messina, che la

    legenda e la scienza lo vogliono dimora della Fata Morgana, e la costa di Gallico, prezioso paesedella Calabria punta di quello stivale che unitosi alla nostra Isola si chiamò Italia?

    Dalla ricerca verso un analisi trasversale ed introspettiva  

    Giunti alla fine delle ricerche sulle possibili documentazioni dell’esistenza della famiglia Aronne,

    oltre alla soddisfazione per le informazioni raggiunte, nasce spontaneo, come penso naturale che

    sia, un forte senso di gratitudine per i quanti le hanno rese possibili con la loro disponibilità ed il

    loro contributo. Tra i quali, forte è questo senso di gratitudine come l’affetto che a lui mi lega, per

    mio Padre che mi ha accompagnato e sostenuto nella ricerca rendendola con il suo contributo

    anche la sua ricerca. Mi sembrerebbe di essere in errore, come se mancassi di rispetto a qualcuno

    o qualcosa, se nonostante il rigido determinismo empirico che ci guida, non dessi nota di quel

    “caso” che fin dall’inizio ci ha accompagnati in questa ricerca, non solo attraverso i presagi di

    possibili percorsi da seguire, che come i riflessi di un miraggio della Fata Morgana si sono

     verificati in più occasioni, come il fortuito sapere di un Angelo Aronne direttore de “Il

    Maurolico” sfogliando le pagine di “Messina Risorgimentale” del Tomeucci, ma fin anche

    all’individuazione di documenti importanti per il nostro fine, come il poemetto “Marcello”

    trovato da mio Padre sfogliando il fondo di miscellanea risorgimentale dell’archivio di Messina, il

    quale poemetto ci ha offerto, a sua volta, l’indicazione verso quale percorso indirizzare la ricerca

    ed individuare gli ulteriori documenti e informazioni.

    Da questo bagaglio di informazioni e delle ulteriori acquisite, di natura bibliografica per mezzo

    dei diversi testi del tempo che ho avuto modo di consultare presso le biblioteche ed archivi che

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    ho visitato, unite alle analisi di una moderna storiografia, prende forma questa tesi sul fenomeno

    della nascente borghesia siciliana e questi scritti in memoria della famiglia Aronne, quale esempio

    di quel ceto che appare protagonista nel risorgimento e della formazione di quel “nuovo ordine di

    cose”, come scrive il Tomeucci.

    La tesi, come vedremo nei prossimi capitoli, vuol essere il tentativo di ricostruire le modalità diquel processo che portò alla nascita della borghesia siciliana, osservando i modi con i quali si è

    manifestato.

    Un processo di formazione e manifestazione del fenomeno della borghesia ben diverso da quello

    avvenuto in altri luoghi ed in altri tempi, con diverse ispirazioni, motivazioni, diverso nelle cause

    come negli effetti e le conseguenze, con diverse modalità di manifestarsi e di essere.

    L’ intento è quello che chiamo, con il permesso delle comunità degli storici, un’analisi “trasversale

    ed introspettiva” delle genti e dei fatti latenti ed evidenti, perché si vuole guardare alle

    motivazioni e le modalità del verificarsi dei fatti della storia, cogliendo le loro possibilicongiunture nei loro contesti ed in altri, le loro possibili sfaccettature e riflessi.

    Il terreno di indagine è visto come un orizzonte temporale dove si assumono quali punti da

    osservare, dunque: gli eventi, i fatti, le gesta, il verificarsi dei fenomeni; ma come linea esplicativa

    si vuol tentare di usare la possibile visione offerta nello spazio dall’intero orizzonte, nella speranza

    di ottenere dei risultati esplicativi ottimali ed eccellenti di quei tempi.

     A tal fine il presente studio di Storia Moderna si sviluppa in ulteriori lavori in altre discipline con

    degli scritti di Storia Moderna in Diritto Amministrativo, Privato, Economia, Statistica e Scienza

    dell’Amministrazione, in quella volontà di osservare il fenomeno da più prospettive possibili. Tra gli strumenti di quest’analisi non viene abbandonato quel rigido determinismo causale dei

    fenomeni nel loro verificarsi, tentiamo anzi di perfezionarlo ulteriormente mediante un approccio

    non soltanto storiografico ma anche quasi giuridico, economico e sociale, attraverso quegli

    ulteriori strumenti che un tale approccio offre come il funzionalismo, analisi dell’organizzazione,

    dei modelli decisionali, dei sistemi e quella dei contesti, riportando le metodologie e le categorie di

    queste diverse discipline entro quelle storiche, entro la rigida e rigorosa empiria e verificazione

    storiografica dei fatti, dei concetti, e di ogni elemento sia esso strutturale, funzionale o

    concettuale che interessa questo studio. Anche nei capitoli seguenti di questa tesi, come nei lavori che l’accompagnano, dunque, il monito

    della professoressa Iaria, del professore Ligresti e del professore Astuto, sarà da guida in questo

    percorso, inoltre i loro scritti e le loro lezioni di Storia, insieme a quelli di altri autorevoli storici,

    divengono dei punti strutturali di questo orizzonte, che qui si vuole osservare indagando sul

    fenomeno della nascente borghesia siciliana.

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    La Questione dell’Orizzonte

     All’orizzonte si prende presto l’abitudine.Per qualcuno si tratta solo di vapore, o di umori sfuggiti da campi lontani.

    Per dirla senza ritegno: una sorta di traspirazione che non può opporre la minimaconsistenza.

    Perciò, non si bada al mastro incerto che taglia in due lo sfondo; ovvero, gli si facredito di un’occhiata distratta, essendo intanto intenzionati a cose più vicine e

    concrete. Quella tenue sfumatura, dietro innumeri oggetti,

    ha secato lo spazio e ci ha consegnati al tempo. Ma non è una presenza stabile: potrebbe in via d’ipotesi farsi ingoiare dalla

    distanza, ci vuol niente.

    Tanto che l’orizzonte non ha davvero complessionerobusta come la linea dei monti, né come questi s’incunea di netto;

    esso è collegato esilmente con occhi di qui: per un batter di ciglia gli accade di venirmeno, e disfarsi.

     Nulla fu detto con miglior equilibrio della dottrina cheuguaglia la fine all’inizio. Nel frammezzo, poté sfrenarsi

    un rigoglio di aree dal tocco apollineo,dove si perde ogni lume di simmetria e di ponderata disposizione.

    La vita vi si rovescia come fuor di recipiente, scorre e striscia su materie ancor più

     frolle; in ultimo, quando tutte le combinazioni del disordine si siano sfogate senzacostrutto, c’è un momento del tempo in cui qualcosa di noto sporge dall’informe:

    sembra di ritrovarsi dove già si fu, ci si illude: ed il ciclo è conchiuso. Anche un occhio patito può scorgere in quel punto la vera norma delle cose. Non quella che si volle

    retrostante alla polpa visibile; bensì, la loro propriasuccessione immotivata per la quale fu il dubbio: ma riscattata in fine dal concludersi in tondo.

    Il fato, che è mancanza di dèi, non regala spesso di giungere a quel passo dove un ciclosi perfeziona e la varietà del cosmo è mai stata; tanto più che gli dèi non morirono, né

    muoiono. Furono dimenticati, come una santella troppo discosta dalla strada;

     furono spopolati, e i loro tratti divennero illeggibili al nostro sguardo, pareggiandosi nel grembo amorfo da cui s’erano alzati(30).

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    Foto A

    Laureatine Aronne

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    Foto B, 1 

    Possedimenti di Roccamotore

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    Foto B, 2 Possedimenti di Roccamotore

    Foto CIl Casale di Aronne

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    Foto D

    Domicilio degli Aronne presso Maria e Gesù al Sarciato , oggi Maria e Gesù al Ringo

    Foto E

    Di fronte ad una particolare costa del messinese

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    Foto F

    Palazzo signorile sede della Gran Loggia Regolare d’Italia

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    La strada San Giacomo, altro domicilio degli Aronne, a lato del Duomo di Messina.

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    Foto H

    Il Gabinetto di Lettura fu durante tutto il periodo risorgimentale l’originaria sede della Reale Accademia dei Peloritani

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    Foto I

    Effige murale posta ad Agrigento per il centenario del di J. W. Goethe viaggio in Italia

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    Note Bibliografiche

    1.  Dai discorsi tra Socrate e Menone: Men: Quali cose divine e chi sono coloro che le dissero? Socr. Sacerdoti esacerdotesse,quelli a cui stava a cuore saper rendere ragione del proprio ministero. E quelle stesse cose dice anchePindaro e molti altri poeti, i poeti divini.

    2. 

    Da Platone, Menone, a cura di F. Adorno in opere, vol. V, pag. 265-268.

    3. 

    L. TOMEUCCI, Breve storia dell’accentramento amministrativo nel Regno delle due Sicilie, Bologna, pag.81.4. 

     Archivio Storico Notarile di Messina: Fondo Notarile della città di Messina, Notaio Ungano Salvatore.5.  L.TOMEUCCI, Il Risorgimento messinese.6.  OLIVA, Inventario degli Atti dell’Accademia Peloritana.7.

     

     Archivio Storico di Messina: Atti dell’Accademia Peloritana 1848.8.

     

    Biblioteca digitale degl’Archivi di Stato del Ministero dei Beni e le Attività Culturali: Almanacco del Regno delle dueSicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1855.

    9.   Archivio Storico Notarile di Messina: Miscelanea risorgimentale, Angelo Aronne: Marcello.10.

     

    Ministero dei Beni Culturali, Almanacco del Regno delle due Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1855.11.

     

     Archivio Storico Notarile di Messina: Fondo civile di Messina, Villaggio di Pistunina.12.

     

    Certificato di morte di Antonino Aronne. Archivio Storico Notarile, Fondo civile di Messina, doc. n°10.13.

     

    Certificato di morte di Caterina Decaridi. Archivio Storico Notarile, Fondo civile di Messina, doc. n°11.14.  L. IARIA. Dai colloqui preparatori alla tesi, sulle possibili origini della Famiglia Aronne.15.  B.MANCINI, le comunità ebraiche nelle terre di rifugio del Patrimonio tra il XVI e XVII secolo16.

     

    Come quello della bassa Toscana, costituito dalla contee di Pitigliano (Pitigliano, Sorano e Montevitozzo), di Santa Fiora(Santa Fiora, Castellazzara,.Scansano) di Castellottieri (Castellottieri, S. Giovanni, Montorio)e dalla Repubblica di Siena,

    così il territoriodell’alto Lazio, nella sua frammentazionepolitica di staterelli all’internodello Stato Pontificio, includeva ilDucato di Castro e Ronciglione, le signorie appartenenti alla famiglia dei Monaldeschi della Cervara (Onano fino al1561, Torre Alfina,Trevinano) e dei Farnese del ramo di Bartolomeo (Farnese e Latera), degli Sforza di Santa Fiora(Proceno e Onano), le città di Montefiascone e Acquapendente.

    17.  R. G. SALVADORI, la Comunità ebraica dal XVI al XX secolo, Firenze, La Giuntina, 1991, p. 35 e 36.18.

     

     A. BIONDI, Banchieri emercanti ebrei a Castro in: La dimensione europea dei Farnese, Bulletin de l’Institut HistoriqueBelge de Rome, LXIII, a. 1993, p. 100.

    19. 

     T. PAPALIA, Gli ebrei e la diffusione del prestito a Orte alla fine del 1200, 1993, p. 17-1920.

     

     A. ESPOSITO, La presenza ebraica in una regione pontificia nel tardo medioevo: il patrimonio di S. Pietro in Tuscia e Viterbo, p.187 e segg.

    21.  E. NASALLI ROCCA, I Farnese, Varese, 1969, p. 92.22.

     

     A. ESPOSITO, La presenza ebraica in una regione pontificia nel tardo medioevo: il patrimonio di S. Pietro in Tuscia e Viterbo, cit., p. 191.

    23.   A. BIONDI, Per una storia degli ebrei nel Ducato di Castro, in: I Farnese dalla Tuscia Romana alle corti d’Europa, p.113.

    24. 

     A. BARAGLIU, Mario Farnese Signore del ducato di Latera e Farnese, in: Informazioni, Viterbo, a. II n. 9, 1993, p. 87.

    25. 

    Centro Storico Culturale “Gaeta”,Atti dell’Archivio Storico Notarile d’Acquapendente, Ludovico Morelli. prot. 493(1601-1610), c. 12.26.

     

    N. PAVONCELLO, Le comunità ebraiche laziali prima del bando di Pio V, in: Rinascimento nel Lazio, in:Rinascimento nel Lazio.

    27.  Si tratta di un fondo di piattello di probabile produzione altolaziale, con decoro e scritta in azzurro. Il motivoiconografico, una coppa con sul bordo un uccellino, è riconducibile alla sfera rituale religiosa.

    28. 

     Archivio Storico Notarile di Messina, Fondo storico di Miscellanea Risorgimentale Atti della Reale AccademiaPeloritana.

    29. 

    L.TOMEUCCI, Messina Risorgimentale.30.

     

     A. ARONNE, Cenno sul discor