CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

17
CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA La Vita Nuova, operetta composta "all'entrata della gioventù", probabilmente fra il 1292 e il 1293, fu stampata la prima volta a Firenze nel 1576. E’ una raccolta di rime che Dante trascelse dalla sua produzione anteriore e che collegò nel filo di una narrazione in prosa; la quale di ciascuna illustra il motivo generatore ("ragione") e chiarisce per "divisioni" l'organismo di pensiero che vi si articola dentro, risolvendosi in sintesi rappresentativa. E’ la storia della vita intima di Dante, quale si riaffaccia al suo spirito nella trama sentimentale e affettiva dei ricordi di cui essa è intessuta ("libro della memoria") e che egli rivive in diretta relazione a Beatrice, la donna amata ed esaltata, perduta e rimpianta, ma "beata in cielo con gli angeli" e "viva in terra con la sua anima". A nove anni Dante s'incontra con Beatrice, quasi sua coetanea; e subito la bellezza di lei, nello splendore della sua dispotica spiritualità ("Ecce deus fortior me"), si fa presente all'anima di Dante che se ne diletta ("Apparuit iam beatitudo vestra") e la esalta: un bene che muove il desiderio e suscita l'amore, come passione a cui le stesse operazioni del corpo dovranno essere sacrificate. S'inizia così una Vita Nova 16

Transcript of CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

Page 1: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

La Vita Nuova, operetta composta "all'entrata della gioventù", probabilmente fra il

1292 e il 1293, fu stampata la prima volta a Firenze nel 1576. E’ una raccolta di rime che

Dante trascelse dalla sua produzione anteriore e che collegò nel filo di una narrazione in

prosa; la quale di ciascuna illustra il motivo generatore ("ragione") e chiarisce per

"divisioni" l'organismo di pensiero che vi si articola dentro, risolvendosi in sintesi

rappresentativa. E’ la storia della vita intima di Dante, quale si riaffaccia al suo spirito

nella trama sentimentale e affettiva dei ricordi di cui essa è intessuta ("libro della

memoria") e che egli rivive in diretta relazione a Beatrice, la donna amata ed esaltata,

perduta e rimpianta, ma "beata in cielo con gli angeli" e "viva in terra con la sua anima".

A nove anni Dante s'incontra con Beatrice, quasi sua coetanea; e subito la bellezza

di lei, nello splendore della sua dispotica spiritualità ("Ecce deus fortior me"), si fa

presente all'anima di Dante che se ne diletta ("Apparuit iam beatitudo vestra") e la esalta:

un bene che muove il desiderio e suscita l'amore, come passione a cui le stesse operazioni

del corpo dovranno essere sacrificate. S'inizia così una "vita nuova", nella quale l'amore,

tendendo a ciò che diletta l'intelligenza nella sua facoltà di conoscere ("amore

razionale"), si fa causa in Dante delle attrattive che egli stesso subisce, ossia della

efficacia che la bellezza di Beatrice esercita su di lui con la realtà della sua presenza e

della sua azione. A diciotto anni Dante rivede Beatrice e ne riceve il primo saluto: luce di

un'anima buona che lo inebria, e che lo porta a conoscere, nel lampo di uno sguardo, la

bellezza che lo fa beato.

E tosto in un'atmosfera di visione e di sogno - vita di un'anima che si contempla

nello specchio delle proprie immagini - l'Amore gli appare e si conferma suo signore

("Ego dominus tuus") e gli strappa il cuore e lo dà a Beatrice che dorme tra le sue braccia

e poi se ne parte piangendo. Sogno di ogni adolescente, che alla prima rivelazione della

Vita Nova 16

Page 2: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

bellezza nella sua esistenza singolare e concreta offre tutto se stesso alla creatura che

gliela fa conoscere, come splendore di vita e perfezione che non è di quaggiù.

Presagio oscuro del sentimento che ama, e che già teme di perdere quello che

ama. Motivo poetico, che nelle forme della lirica tradizionale segna il primo inizio

dell'arte di Dante, ma che lì non si esaurisce, perché permea dal profondo tutta la Vita

Nuova e ne colora la vicenda d'amore entro una penombra di aspettazione e di mistero.

Ormai raccolto nel solo pensiero di Beatrice, Dante si pone al centro della sua gioia e la

cinge di silenzio e la vela di un sorriso, col quale risponde a coloro che gli leggono in

volto lo struggimento interiore. Segreto geloso e fiore spirituale della sua anima

innamorata, che egli sente di dover sottrarre a ogni indiscreta curiosità, fingendosi

innamorato di un'altra donna, per la quale scrive "certe cosette per rima" con quel fragile

e trasognato abbandono al sentimento, che è pura musica, ritmo interiore e canto. Quando

poi questa donna si allontana da Firenze ed egli ne resta sgomento, di nuovo, per

ispirazione d'amore, s'affretta a celare l'intima verità della vita che vive con lo "schermo"

di una seconda donna; ma la canta con tale fervore di desiderio, che ne resta intorbidata

l'onda di commozione che gli fluiva dall'interno e se ne oscura l'idea di bellezza che lo

rapiva in Beatrice.

Or ecco che di tale passione molta gente prende "a ragionare oltre li termini della

cortesia"; e per quelle voci che procuravano a Dante la taccia di vizioso, Beatrice gli

toglie il saluto: quel saluto che gli era fonte di beatitudine e di traboccante pienezza

interiore. "Quando ella apparia da parte alcuna, - egli scrive -, per la speranza de la

mirabile salute (saluto) nullo nemico mi rimanea, anzi mi giugnea una fiamma di

caritade, la quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso; e chi allora m'avesse

domandato di cosa alcuna, la mia responsione sarebbe stata solamente "Amore", con viso

vestito d'umiltade".

Sovrabbondanza affettiva, che Dante conosce come vita della sua anima e legame

che lo stringe nel mondo degli spiriti a tutti gli uomini; ma sovrabbondanza che è fuori

dall'ordine dell'amore; il quale, raccolto sul proprio centro, si esalta in ciò che dilettando

l'intelligenza fa fronte alla volontà come un bene a cui tende e che fa la gioia dell'anima.

("Ego tamquam centrum circuli cui simili modo se habent circumferentiae partes" , gli

dichiara in visione l'Amore, "tu autem non sic"). La volontà di Dante, non rettificata

Vita Nova 17

Page 3: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

fondamentalmente nella linea di quella bellezza che rifulgeva in Beatrice, s'è abbandonata

all'onda oscura del sentimento e della passione.

Sempre per ispirazione di quell'Amore che lo sprona e lo guida e lo finalizza,

Dante s'accorge che nelle sue rime per la seconda donna dello "schermo" ha fallito

artisticamente il suo scopo. E allora lascia i finti amori, per rivolgersi direttamente a

Beatrice e dichiararle la nobiltà della passione che nutre e ha sempre nutrito per lei fin

"da la sua puerizia". Ma Beatrice è donna che non recede facilmente dal suo proposito; né

altro Dante può ormai sperare da lei, sebbene a malincuore, che un pietoso compatimento

per ciò che egli vive e soffre, patisce e conosce nei suoi termini intimamente

contraddittori. Durante una festa nuziale Beatrice, insieme con le sue amiche, sorride del

turbamento che Dante prova dinanzi a lei; e così si nega alla comprensione di quell'amore

che in Dante si fa dominatore di ogni altra attività, trasformandolo in puro soggetto di

assorta contemplazione. E’ un morire a se stesso, per compiacersi della bellezza che in

Beatrice lo esalta e lo trae fuori di sé: oscura perfezione d'amore, vissuta

angosciosamente e tale che dovrebbe suscitare in altri la pietà; e tuttavia desiderata e

accettata con gioia da Dante, perché la vive dentro la luce di un pensiero che solo parla di

Beatrice. In vivente relazione a lei Dante ha finora obbedito, con abbandono fidente e

felice, alle sollecitazioni dell'Amore che scaturivano dalle pieghe più riposte della sua

anima; ma il saluto di Beatrice, che era il fine ultimo di tutti i suoi desideri, gli è negato

per sempre. Né altro ormai Dante crede di poter dire di se stesso, quando, all'improvviso,

l'Amore che lo ispira gli si rivela, per sua grazia, nella parola poetica in lode di Beatrice;

è perciò un amore che nulla chiede e nulla spera, perché già si possiede tutto, come bontà

generosa che esaltando si esalta, mentre liberamente si dona alla bellezza spirituale a cui

tende.

Da questo amore, alle cui sorgenti s'identificano, nella linea del fare e nella linea

dell'agire, arte e vita morale, nasce la nuova poesia di Dante ("Donne ch'avete intelletto

d'amore"): le sue "nuove rime", prima fioritura lirica della sua anima in uno stato di

grazia ingenua e di felicità espressiva; e sua prima vocazione etica in un mondo di

perfezione ideale, che sta al di là di tutto il creato. Il pensiero di un richiamo di Beatrice

alla sua patria celeste tra gli angeli e le anime beate, a cui nulla manca se non aver lei,

informa in queste rime il sentimento di estatica contemplazione che le pervade,

Vita Nova 18

Page 4: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

convertendosi però, immediatamente, nella fede in un ordine provvidenziale, di cui la

stessa Beatrice è chiara manifestazione per l'azione benefica che la sua presenza esercita

su ogni cuore ("Negli occhi porta la mia Donna Amore").

Or ecco, il padre di Beatrice muore. Poco dopo Dante si ammala gravemente e nel

sentimento della fragilità della vita e del suo breve durare il pensiero di un ritorno di

Beatrice al cielo riaffiora dalle pieghe dell'anima e si fa presentimento e sogno

angoscioso e sospiro e pianto ("Donna pietosa e di novella etade"). Tuttavia, col ritorno

alla vita, Dante ritorna alla vita della sua anima; la quale si racconta nelle parole liete e

nelle mirabili divinazioni di quell'amore che la ispira, e che per sovrabbondanza interiore

affluisce tutto verso Beatrice, divenuta così per lui come un altro se stesso ("Io mi sentii

svegliar dentro lo core"). Lo stile della lode viene ripreso ("Tanto gentile e tanto onesta

pare", "Vede perfettamente onne salute"), commosso sospiro di un'anima che si sente

umiliata e quasi smarrita dinanzi alla bellezza che si irradia da Beatrice, e che la irradia

come luce di purezza originaria e di grazia candida e gentile. E già Dante vorrebbe

illustrare la nuova fioritura della sua anima sotto l'influsso di quella luce, quando Beatrice

muore. Scomparsa la "stella rectrix" della sua vita più intima, là dove essa agiva come

spirito creatore, Dante sente che l'orizzonte gli si oscura e il mondo perde del suo valore.

Pausa di raccoglimento e di meditazione: dolore che si ripiega sui ricordi e li interpreta

nel loro significato profondo: Beatrice era lo splendore di un "miracolo", un effetto

mirabile della prima Causa; era un "nove", un prodotto del tre, la Trinità; e quindi un

riflesso delle perfezioni divine ossia un bene analogo ("per similitudine, dico") al Bene

supremo.

Nuova vena di poesia, che fluisce tenera e affettuosa, placata e illuminata dalla

fede: Beatrice è volata al cielo "nel reame ove li angeli hanno pace". Il ricordo di lei

permane nell'animo di Dante, né il tempo lo disacerba; anzi lo rincrudisce e lo fa palese

sul suo volto e nei suoi atteggiamenti. Una "gentile donna giovane e bella molto", pallida

in viso come Beatrice, lo guarda con tale compassione che lo porta involontariamente al

pianto. Dapprima egli ne fugge lontano, ma poi torna a vederla, perché, rinnovandosi alla

sua vista il ricordo di Beatrice, ne ha come un aiuto a sfogare il suo dolore. Ma quando

per il troppo compiacersi di vedere questa "donna gentile", Dante si accorge di straniarsi

dal suo dolore, alla ragione del cuore, che si compiace di ciò che lo consola, contrappone

Vita Nova 19

Page 5: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

la ragione dell'anima che si rattrista di ciò che effettivamente le manca: lo splendore di

quella bellezza analogica e trascendentale che rifulgeva in Beatrice come perfezione di

essere e assolutezza di vita, verso la quale la sua anima tendeva per amore, con un'attività

identica a quella con cui dall'interno le si donava tutta.

La ragione poetica della sua "vita nuova" Dante la coglie qui, al vertice di

un'esperienza che nella sua singolare vicenda d'amore gli dà ragione di se stesso e delle

sue tendenze fondamentali e delle sue esigenze profonde. E allora dentro la serie dei

ricordi che gli si riaffacciano alla memoria come un sogno armoniosamente vissuto,

perché illuminato dall'arte e dalla poesia, Dante rivede in visione la sua Beatrice. Ancor

di più sua, dopo la vergogna e il pentimento di aver cercato conforto fuori di lei; e perciò

pianta e rimpianta di nuovo e più amaramente, sentendo che la perdita è una sventura sua,

anzi la sventura della sua stessa città ("Deh, peregrini che pensosi andate").

Ma dalla sofferenza e attraverso la sofferenza Dante, per virtù d'amore, s'innalza

col pensiero fino all'Empireo, dove, in seggio di gloria, vede Beatrice beata: luce

intelligibile, che sfolgorando in se stessa, gli si rivela in qualche modo allo spirito pur

non essendo afferrata concettualmente ("Oltre la spera che più larga gira"). Una nuova

mirabile visione riconferma Dante nelle certezze interiori della sua anima: e allora si

propone di non parlare più della sua celeste creatura fino a quando potrà trattarne

degnamente, sperando "di dicer di lei quello che mai fue detto d'alcuna": lontano

preannunzio della Divina Commedia, che sarà lo scopo e il termine di tutta la sua vita.

Esperienza intima e reale è dunque quella che Dante invera nella sua "vita nuova", e che

egli fa conoscere distinguendo, su fondamento metafisico, due cose: il principio attivo

("Amore" o "forma"), che opera in lui indipendentemente dalla sua volontà, ma a cui la

sua volontà si sottomette ("si disposa"); e il soggetto che ne è il portatore, cioè Dante

stesso: un "cuor gentile" che mette in luce progressivamente la bontà generosa di cui è

capace: "materia" sempre "nuova e più nobile", che si attua nella virtù d'amore, "forma"

che l'attua ("Amore e cor gentil sono una cosa"). Questa distinzione scolastica, che ci dà

ragione dello schema psicologico-narrativo della Vita Nuova e del suo valore di

confessione intima, è realizzata fantasticamente nei colloqui che Dante ha con l'Amore,

un personaggio misterioso che gli si presenta in visione talora, ma che sempre lo

consiglia e lo sprona e lo dirige. Alle profonde sollecitazioni dell'Amore che lo ispira,

Vita Nova 20

Page 6: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

Dante risponde sempre con giovanile entusiasmo, donandosi senza restrizione alla

bellezza sovrumana, che risplende in Beatrice. Ottimismo fondamentale, che dà il tono

della vita che Dante vive, mentre realizza dentro di sé un ordine spirituale presentito

oscuramente, ma iscritto nella sostanza della sua anima. A questo ottimismo

fondamentale Dante aderirà più tardi nella Divina Commedia, sulla cima del Purgatorio,

donandosi di nuovo con abbandono fidente alla bellezza dell'essere, che nella sua

universalità gli si irradia attorno, dentro la "divina foresta fresca e viva". Giovinezza

spirituale, che rinnova come "ordo amoris" lo stato di grazia ingenua e nativa che

informa le "nuove rime"; ma giovinezza ritrovata al termine di un lungo periplo di

esperienze, e perciò riconquistata e riconosciuta come il paradiso perduto della coscienza

umana.

Nella Vita Nuova tutto va ricondotto all'intimità, cioè alla vita di un'anima che

considera le cose esclusivamente in relazione a se stessa, quasi inviscerate nella sua più

pura soggettività, esprimendosi in un linguaggio affettivo, necessariamente ricco di

iperboli e screziato di note psicologiche a titolo di esattezza. Queste note si stringono ai

modi concreti di attività che Dante dispiega in rapporto ai fini attualmente posseduti dalla

sua persona incomunicabile. La realtà esterna si presenta perciò vaga ed evanescente

come in un sogno. Designati per perifrasi, luoghi, persone e cose si appartano in una

lontananza fuori tempo e approfondiscono la solitudine spirituale in cui Dante si chiude,

per ascoltare le voci del cuore e salire, con animo sospeso e stupito, nella sfera

immateriale di quella bellezza singolare che lo rapisce. In questa atmosfera d'incanto

sboccia e fiorisce, fuori dagli schemi della lirica toscana tradizionale, la fragile e delicata

poesia dello "stil novo" di Dante - quella che per virtù di Beatrice lo fece uscire dalla

"volgare schiera" -: nota del puro sentimento, che si coglie di là dalla intransigente

concretezza della parola, mentre si contempla in immagini di bellezza spirituale, dove

trepida il ritmo segreto e profondo di un'anima innamorata che canta.

“...incominciò come tutti i rimatori dell'età sua prendendo l'ispirazione e il motivo

dalla poesia d'amore cavalleresca. Se non che e la tempra dell'anima e le condizioni degli

affetti suoi e le circostanze dei tempi diedero alla sua lirica qualche cosa d'estatico e di

solenne, un afflato mistico insomma; sotto il quale la materia prima di quella poesia, che

Vita Nova 21

Page 7: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

era la trattazione cavalleresca dell'amore, venne del tutto rimutata e assunse nuova

forma.” (Carducci).

“Una situazione nuova nella storia della nostra poesia: l'amore appena nato, simile ancora

ai primi fuggevoli sogni della giovinezza, che acquista la sua realtà presso alla tomba ed

oltre alla tomba.” (De Sanctis).

“La Vita Nuova quale Dante ce la tramandò, è il romanzo d'amore mistico.” (Cesareo).

“La Vita Nuova, piuttosto che impressioni di sogno, suscita sovente quelle dell'artificioso

e perfino del pedantesco, il quale si vede poi aperto in molte delle spiegazioni in prosa

con cui si cerca di convertire in raccontini il contenuto dei vari componimenti poetici, e

nelle grammaticali divisioni e analisi di questi.” (B. Croce).

“Il tono estatico della Vita Nuova, quella luce d'oro chiaro che sembra avvolger le parole,

che narrano dell'"angiola giovanissima"; quel senso di unzione che lo ha fatto

assomigliare a un libretto di devozione e di liturgia, innalzano i casi privati del poeta ad

una specie di beata allucinazione: e di continuo si ondeggia tra il vero e il simbolo.” (F.

Flora)

“DONNA PIETOSA E DI NOVELLA ETATE”

E’ una canzone, forse la più bella della Vita Nuova, in cui se ne rivive, con più

attento sguardo ai movimenti psicologici che lo informano, il motivo poetico

fondamentale: l'ascoso timore di perdere la creatura amata, la cui bellezza spirituale dà

luce all'intelligenza e gioia al cuore. La canzone si contiene nel quadro di una narrazione

a tocchi labili e sfumati, liricamente animata dal fervore di una commozione intima e

profonda, che crea con rapidi trapassi le proprie visioni drammatiche e angosciose.

Gravemente infermo, Dante invoca la morte piangendo.

La giovane donna che l'assiste amorosamente scoppia in singulti. Altre donne

accorrono, allontanano la piangente, s'appressano al letto di Dante, lo richiamano in sé e

lo rincorano, credendolo in delirio. Dal pensiero che l'angosciava Dante si stacca,

pronunziando il nome di Beatrice: ma con voce così rotta dal pianto che poté udirlo

soltanto il suo cuore. Benché gli si dipinga in volto la vergogna, egli si rivolge

amabilmente alle donne che gli sono attorno e che in quel suo pallore temono la morte.

Con dolcezza lo confortano e gli domandano di che ha avuto paura nel delirio.

Vita Nova 22

Page 8: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

Così Dante fissa e artisticamente rappresenta l'atmosfera trepidante di generosa

bontà, entro la quale egli si riprende e si racconta. Mentre pensava alla sua fragile vita e

al suo rapido trapassare, egli sentì come propria la vita della sua donna, destinata pur lei a

perire. E si vide perduto. E chiuse gli occhi delirando. Alla sua fantasia apparvero visi di

donne addolorate, che gli dicevano: "tu morirai". E nel suo vano immaginare si ritrovò in

un luogo dove altre donne, scapigliate e affrante, alzavano grida: il sole si velava,

apparivano le stelle ed era un pianto del cielo: precipitavano gli uccelli dall'alto; la terra

tremava; e uno gli dava l'annunzio fatale: "Morta è la donna tua, ch'era sì bella". Alzando

gli occhi in lagrime, egli corse allora un candore di angeli volanti, che cantavano

"osanna" dietro una nuvoletta e risalivano su nel cielo.

Sospinto dall'amore si portò quindi a vedere la salma della sua donna, collocata

sulla bara, mentre la ricoprivano di un velo. In umile e rassegnato atteggiamento ella

sembrava dire: "io sono in pace". E allora, nel suo dolore Dante s'era sentito

cristianamente buono ("umile"). Vista nella sua donna, la cui anima in istato di grazia era

salita al cielo, la morte gli parve dolce e la riconobbe pietosa; e la invocò di tutto cuore.

Anche per sé pregò la grazia della buona morte. Poi se n’era allontanato e, guardando il

cielo, riconobbe beati coloro che vedevano l'anima bella della sua donna. In quel

momento l'avevano riscosso le donne e richiamato in sé con affettuosa gentilezza.

Nella sua trama narrativa la canzone è un sottile ricamo di sentimenti delicati, che

sorgono dal profondo: vita di un'anima, che intimamente trepida vigilando e che si coglie

stilisticamente nella parola fragile e appassionata, sempre suggestiva. Nella commossa

invocazione alla grazia della buona morte, il motivo poetico della morte di Beatrice,

come la morte temuta e deprecata, si fa motivo di esaltazione della donna amata, di là

dalla morte, nel regno della gloria.

“DONNE CH'AVETE INTELLETTO D'AMORE”

E’ una canzone della cui composizione egli dichiara, nella sua Vita Nuova

(XVIII-XIX), la causa occasionale nonché l'improvviso erompere del motivo poetico dal

quale essa è germinata. E’ l'esaltazione, in Beatrice, di quella bellezza spirituale nella

quale riluce l'effetto della prima causa: Dio, che è la bontà, la bellezza e l'Amore. Tre

attributi divini, che analogicamente risplendono in Beatrice e ne dicono il merito e la

Vita Nova 23

Page 9: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

gloria: perfezione somma, che non può non essere amata, perché ogni anima vi tende in

virtù della sua stessa natura (Divina Commedia).

Dante si rivolge alle donne che sanno cosa sia l'amore e parlerà loro di Beatrice,

non per esaurirne le lodi, ma per dar sfogo alla sua anima. Solo pensando a ciò che ella è

in se stessa ("il suo valore") egli esperimenta nel cuore una dolcezza tale che se potesse

comunicarla farebbe innamorare tutti. Non tenterà un compito così alto, per timore di

doversene ritrarre: ma, in modo semplice e piano, come si conviene alle gentili

ascoltatrici, egli parlerà dell'amore quale lo sente e lo conosce in vivente relazione alla

sua donna.

Gli angeli si meravigliano in Dio del mistero operante di un'anima, la cui bellezza

risplende fino lassù; e i beati, che ne sentono la mancanza in cielo, chiedono a Dio, per

grazia, la presenza di lei tra loro. Dio misericordioso prende la parte di chi si trova in

terra e, alludendo a Beatrice, si compiace di lasciarla quaggiù, dove Dante ("alcun") teme

di perderla e che dirà, a quanti vivono disperati e senza il lume della grazia

("nell'inferno"), d'aver visto la creatura perfetta, che è la speranza dei beati.

E tale perfezione Dante la dice subito, dichiarando ciò di cui è causa la bellezza di

Beatrice. Quand'ella passa per via, coloro che vivono nei sensi ("cor villani") si

riscuotono: ogni loro torbido pensiero svanisce e, se potessero soffermarsi a guardarla, si

perfezionerebbero o morirebbero; coloro che godono della bellezza e ne riconoscono, in

Beatrice, il potere dispotico, si sentono umili e buoni. Chiunque le parla ama in lei la

bontà e vuole il bene e si salva. L'amore che parla in Dante si chiede come tanta purezza

e tanti pregi possano esistere in una creatura mortale; e, contemplandola, riconosce in lei

un effetto mirabile di Dio creatore. La sua figura femminile è quanto di bene può fare la

natura; e su di lei, come esempio, si misura la bellezza delle cose.

Negli occhi suoi risplende la luce di un'anima, che gioisce in virtù della propria

perfezione, e che si fa presente come amore a chi la mira, infondendo nel cuore la gioia.

Sulle sue labbra, che s'aprono al saluto, fiorisce un tale amore. Il poeta congeda quindi la

sua canzone, figlia della sua anima innamorata, e ornata delle lodi di Beatrice. Essa

parlerà soltanto a persone gentili, che potranno condurla alla presenza di quell'amore, che

in Beatrice parla e per lei si rivela. Per il suo contenuto questa composizione lirica si

rannoda all'esperienza amorosa del Guinizelli, che la teorizza nella canzone “Al cor

Vita Nova 24

Page 10: CAPITOLO 3 - LA VITA NUOVA

gentil rempaira sempre amore”. Essa segna in Dante l'inizio delle "nuove rime": il suo

"dolce stilnovo" (Purg., XXIV, 48-62): espressione di quel diritto amore, che tendendo

alla bellezza delle cose come bellezza divina partecipata, tende a ciò che diletta

l'intelligenza e dà gioia al cuore; una gioia che internamente ferve e trabocca per amore

della cosa così contemplata. Liricamente, e con intima commozione, la canzone si svolge

su una linea di movimento semplice e discorsivo, sapientemente graduato nel tono e

nell'accento; e accompagnato dal sentimento cristiano che la bellezza della creatura è

provvidenziale: un divino appello a uscire di noi stessi, per una vita spirituale che sia di

bontà, di bellezza e d'amore.

Vita Nova 25