CAPITOLO 3 LA GALASSIA E LE SUE POPOLAZIONI · A un osservatore esterno che la guardasse...

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bbiamo capito, spero, come è fatta la Terra, come leggere il cielo, abbiamo imparato a co-noscere gli abitanti del Sistema solare, che pos-

siamo considerare per analogia come il «quar-tiere» della città cosmica in cui viviamo. Adesso al-

larghiamo lo sguardo, abbandoniamo il Sistema solare e rivolgiamoci alla nostra Galassia. Cosa sappiamo di essa e come abbiamo scoperto la sua struttura?

È chiamata anche Via Lattea ed è quella striscia biancastra che attraversa tutto il cielo e che, fin dall’antichità, ha sempre suscita-to curiosità e meraviglia. Gli eschimesi pensavano che fosse una striscia di neve, gli arabi che fosse un fiume, i greci l’hanno chia-mata Galassia, da Galaxíav (Galaxìas), che in greco significa «di latte».

La Via Lattea ha una forma a spirale come la Nebulosa di An-dromeda e molte altre, e quando la osserviamo in direzione della costellazione del Cigno, la vediamo come se si ramificasse, ma in realtà sono le polveri di un braccio spirale che, essendo situato davanti a un elevato numero di stelle, assorbe la loro luce, dando l’impressione visiva di una biforcazione. ••1

La striscia irregolare della Via Lattea attraversa il cielo press’a poco all’altezza delle seguenti costellazioni: Perseo, Cassiopea, Cefeo, Cigno, Saetta, Aquila, Scudo, Scorpione, Sagittario, Pop-pa, Unicorno, Gemelli, Auriga e di nuovo Perseo. Ciò è dovuto a un effetto di prospettiva e significa che, guardando verso queste costellazioni che costituiscono la Via Lattea, noi vediamo la Ga-lassia lungo il suo piano equatoriale, dove si addensa la maggior parte delle stelle e delle polveri. Se invece si guarda in direzione perpendicolare al piano, a parte le stelle brillanti più vicine, se ne scorgono molte meno.

Nel 1610 Galileo per la prima volta utilizzò il cannocchiale per lo studio del cielo, e si accorse che questa striscia lattiginosa era dovuta all’addensarsi di un grandissimo numero di stelle in quella fascia. Ora noi sappiamo cos’è: è un’enorme struttura, una specie di grande megalopoli cosmica costituita da stelle, gas e polveri. Le polveri sono minuscole particelle solide di grafite, silicati, ghiaccio

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con impurità di altri elementi delle dimensioni di pochi micron, ad-densate soprattutto sul piano galattico. Hanno masse molto mag-giori dei singoli atomi e molecole e perciò tendono ad aggregare altro materiale, favorendo così la formazione di una protostella.

LA MEGALOPOLI STELLARE IN CUI VIVIAMO

Ricostruire la forma della Galassia è stata un’impresa abbastanza difficile. La difficoltà è dovuta al fatto che noi ci siamo immersi dentro. È semplice rendersi conto di questo se continuiamo a im-maginare la Galassia come una grande città. Noi siamo i turisti:

••1 Spettacolare mosaico fotografi co a 360 gradi che copre l’intera sfera celeste, rivelando il panorama cosmico che circonda il nostro piccolo pianeta azzurro. Il disco della Galassia viene visto di taglio nella nostra prospettiva dalla Terra, poiché ci troviamo nell’interno; la Via Lattea ci circonda quindi sulla volta celeste come un’immensa fascia

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supponendo di essere in un qualunque punto della città, vedia-mo le piazze e le vie circostanti; ma, se vogliamo avere il quadro d’insieme, dobbiamo portarci al di fuori, e il modo più semplice è di sorvolarla su un aereo. Ci si può fare un’idea di come ci appa-rirebbe la Galassia se potessimo osservarla da lontano solo se ne guardiamo un’altra, ad esempio la galassia d’Andromeda che è quasi una gemella della nostra.

Ancora più difficile – perché in contrasto con la presuntuosa con-vinzione che l’umanità fosse al centro dell’Universo – è stato ren-dersi conto che la nostra Galassia non è l’unica, ma è solo una delle tante, e che il Sistema solare non si trova in una posizione privilegia-ta, ma in una zona periferica. Le tappe cruciali delle scoperte astro-

luminosa, che nell’immagine è rappresentata in proiezione lungo l’asse orizzontale. Si vedono chiaramente i costituenti principali della nostra spirale galattica: il disco con le sue nebulose luminose e oscure, contenente stelle giovani e luminose, nonché il bulbo centrale e le due Nubi di Magellano (in basso a destra) che sono piccole galassie satelliti. (ESO, S.BRUNIER)

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nomiche rappresentano, infatti, anche del-le tappe cruciali per la cultura in generale e per la concezione che l’uomo ha di sé e del suo ruolo nell’Universo: Copernico to-glie la Terra dal centro del Sistema solare; poi si scopre che il Sole è una stella (né troppo grande né troppo piccola, né troppo calda né troppo fredda…) fra i tanti miliar-di che popolano il cielo e che appartiene a un ramo periferico di quella grande città di stelle, polveri, nubi chiamata Galassia, la quale a sua volta non è affatto il centro dell’Universo. Le galassie, infatti, sono tan-te e l’Universo non ha un centro.

Viviamo quindi in una megalopoli stellare fra le tante altre di un continente di galas-sie in un angolo del cosmo. La Via Lattea fa parte di un ammasso di galassie chiamato Gruppo Locale comprendente una ventina di membri distribuiti in un raggio di 1,5 mi-lioni di anni luce. È un gruppo che qualche astronomo ritiene faccia parte a sua volta del più grande ammasso della Vergine, il quale conta migliaia di galassie. Dato che questo grosso ammasso è lontano da noi 20 milioni di parsec (oltre 65 milioni di anni luce) e sembra abbia un raggio di 20 mi-lioni di parsec, il Gruppo Locale potrebbe effettivamente essere un sottogruppo pe-riferico dell’ammasso della Vergine. Se noi ci immaginiamo, dice Donald Goldsmith, l’intero Universo come una pantagruelica scodella di riso in brodo, l’ammasso della Vergine sarebbe rappresentato da un chic-co di riso, mentre il Gruppo Locale sarebbe una macchiolina ai bordi del chicco. Parte di questa macchiolina sarebbe la Via Lat-tea, e uno degli atomi (10-8 cm di raggio) rappresenterebbe il Sistema solare.

Nel Gruppo Locale contiamo 21 galas-sie: 14 galassie ellittiche, di cui 10 nane (l’ultima è stata trovata nel 1977 nella co-stellazione della Carena), tutte molto più piccole della Via Lattea; 4 galassie irregola-ri, fra cui la Piccola e Grande Nube di Ma-

••2 La Grande Nube di Magellano, qui fotografata,si trova vicino alla Piccola Nube di Magellano. Queste sono due galassie nane, satelliti della Via Lattea, che si possono vedere nell’emisfero australe. La Grande Nube è distante circa 120.000 anni luce della Terra ed ha un diametro di circa 30.000 anni luce. (ESO, SCHMIDT CAMERA)

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gellano satelliti della Via Lattea; 3 spirali, la Via Lattea, M 33, la galassia del Triangolo più piccola, e M 31, la Nebulosa d’Andro-meda, un po’ più grande della nostra. ••2

Le due galassie Maffei I e II, scoperte nel 1967 da Paolo Maffei non apparterreb-bero al Gruppo Locale, ma a quello dell’Or-sa Maggiore-Giraffa. Si troverebbero infatti a una distanza di 3 Megaparsec (pari a 9,8 miliardi di anni luce), ma vicine fra loro. Invece, secondo altri, Maffei I, che è una gigante ellittica, si trova a circa 3,2 milioni d’anni luce. Semmai, alla lista delle 21 ga-lassie potremmo aggiungere quella indivi-duata nel 1975 da Christian Simonson III mediante osservazioni radio: è molto pic-cola e più vicina alla nostra delle Nubi di Magellano. È situata quasi ai confini della costellazione di Orione e dei Gemelli e ha una massa che si aggira sui 100 milioni di volte quella del Sole. Essendo in fase di avvicinamento, è prevedibile che quando, fra 70 o 80 milioni d’anni, passerà alla di-stanza minima dalla Via Lattea subirà an-cora di più le perturbazioni gravitazionali a cui è già soggetta, ed è probabile che se non verrà dispersa del tutto, ridurrà a un 20% le sue dimensioni e a un 50% la sua massa, trasformandosi in una galassia ultranana. Per questo il nome provvisorio dato scherzosamente a questa galassia suicida è Snickers, che è il nome di certe tavolette di cioccolata alle noccioline. Cioè, in confronto alla Via Lattea, questa micro-galassia è quasi un bruscolino.

GLI ABITANTI DELLA GALASSIA

A un osservatore esterno che la guardasse frontalmente, la Galas-sia apparirebbe come un disco con un rigonfiamento centrale da cui si dipartono dei bracci che si curvano a spirale. Vista di taglio, invece, sembrerebbe quasi un disco volante.

La Via Lattea si compone di un sistema sferico, o alone, che va addensandosi verso il nucleo, e di un disco appiattito intorno a

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questo nucleo. L’alone e il nucleo si compongono di vecchie stelle povere di elementi pesanti e contengono la stragrande maggio-ranza di tutte le stelle della Galassia, di cui almeno il 60% si trova nelle regioni centrali. Polveri e gas nel nucleo e nell’alone sono molto scarsi. Il disco molto appiattito ha una struttura a spirale, i cui bracci sembrano uscire dal nucleo, il quale in realtà erutta gas con tanta violenza che se seguitasse a questo modo per 10 miliardi d’anni finirebbe per svuotarsi come un sacco. Oltre che di gas, i bracci sono composti di polveri, le quali oscurano il piano centrale della Galassia, e di circa 1 miliardo di stelle giovani, più o meno isolate o in ammassi aperti. Il Sole si trova vicino al bordo esterno di uno dei bracci spirali, chiamato «braccio di Orione». Vi sono diversi altri bracci più vicini al centro (ad esempio, quello del Sagittario) e almeno uno ancora più esterno del nostro, chiamato «braccio del Perseo».

Riguardo alle dimensioni, la Via Lattea è una galassia piuttosto grande, ma inferiore alla Nebulosa di Andromeda nostra vicina. Il disco ha le dimensioni di circa 110.000 anni luce di diametro e nel rigonfiamento centrale lo spessore si aggira sui 10.000 anni luce mentre nei bracci a spirale raggiunge i 1000 anni luce. Il Sole e la Terra si trovano in una posizione abbastanza periferica, a circa 27.000 anni luce dal centro. ••3

Osservando più da vicino, ecco che cosa scopriamo. Le nubi di materia interstellare (chiamate anche storicamente nebulose) – ossia quell’insieme di gas e polveri rarefatti che si trovano nello spazio ancora più rarefatto tra le stelle di una galassia – hanno una grande importanza perché sono le culle in cui nascono le stelle. Sono coloratissime: la nebulosa Trifide, per esempio, è di un bel rosso porpora, dovuto al fatto che le stelle di alta temperatura im-merse nella nube eccitano il gas, che è in prevalenza idrogeno ed emette essenzialmente luce rossa e luce azzurra: rosso e azzurro combinati insieme danno un colore purpureo. Un altro esempio di nebulosa, culla di nuove stelle, è la famosa nebulosa di Orione.

A volte osserviamo le stelle riunite in gruppi più o meno nume-rosi. Le Pleiadi sono una famigliola di stelle giovani e costituisco-no un bell’esempio di quello che chiamiamo ammasso aperto. Si capisce che sono giovani perché sono ancora immerse in nubi di polvere. Le velature intorno alle stelle sono quel che è rimasto della nube di gas da cui si sono condensate le stelle.

La popolazione dell’alone galattico, cioè di quella specie di invo-lucro sferico che circonda il nucleo, è invece molto diversa: vi tro-viamo enormi famiglie di stelle antiche chiamate ammassi globulari proprio perché le sue abitanti si addensano formando una specie di globulo. Conosceremo meglio gli ammassi aperti e globulari nel capitolo successivo, al paragrafo sulle stelle giovani e vecchie.

••3 Il disegno mostra come apparirebbe la nostra Galassia se noi fossimo in grado di vederla frontalmente dall’esterno. Si possono individuare la posizione del Sole, i bracci di spirale meglio conosciuti e le caratteristiche della zona centrale. Il diametro del disco è di 110.000 anni luce e il Sole si trova a 27.000 anni luce dal centro. (ESO - S. BRUNIER)

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Infine, come tutto nell’Universo anche la Galassia si muove. Non ruota come un tutto unico, ma a differenti velocità a se-conda della distanza dal centro. Infatti, mentre il Sole e le stelle a noi vicine hanno una velocità di 220 km/s e impiegano circa 250 milioni d’anni a compiere un giro completo intorno al nucleo centrale della Via Lattea situato nella costellazione del Sagittario, le stelle più vicine al centro sono più veloci, e quelle più lontane più lente. Così il Sole e le stelle vicine viaggiano come in un gran-de turbine, con appena qualche differenza in direzione e veloci-

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tà; si tratta di differenze di qualche decina di chilometri al secon-do, sufficienti però a produrre nel corso dei millenni un graduale cambiamento nell’aspetto delle nostre attuali costellazioni e del cielo. E mentre il Sole viaggia intorno al nucleo galattico forse si attraversano anche differenti stagioni cosmiche, come ha sugge-rito Harlow Shapley molti anni fa, e altri più di recente, e come indicherebbe la coincidenza fra le grandi glaciazioni ricorrenti a intervalli di circa 200 milioni di anni e il periodo della rotazione galattica.

UN PO’ DI STORIA

Scoprire la vera natura della Via Lattea non è stato facile. Anche se già Democrito (400 a.C.) pensava che fosse costituita da una mas-sa di stelle indistinguibili singolarmente, bisogna aspettare Galileo (1610) per averne conferma.

Il primo modello della forma della Galassia è stato proposto dal musicista astronomo William Herschel alla fine del secolo XVIII. Con un telescopio da 1,2 metri di apertura (il più grande fino ad allora costruito), Herschel studiò il cielo in modo sistematico con-tando le stelle in ogni direzione. Suppose che più una stella risulta debole all’osservazione, tanto maggiore deve essere la sua distan-za. In base alle sue accurate osservazioni riuscì a disegnare la forma della Galassia abbastanza correttamente, ma non riuscì a misurarne le dimensioni. ••4

Il grande passo successivo fu compiuto intorno al 1920. In quel periodo non si sapeva ancora se le stelle erano distribuite in ma-niera uniforme in tutto l’Universo oppure se erano concentrate in qualche tipo di struttura, come appunto le galassie. Proprio questa dicotomia alimentò quello che è stato chiamato «il gran dibattito» che contrappose in quegli anni due gruppi di astronomi. Alcuni sostenevano che le stelle fossero distribuite uniformemen-te nell’Universo, altri invece che fossero raggruppate in specie di conglomerati stellari. Il secondo gruppo sospettava che certe strane nebulose, che avevano una forma a spirale, fossero delle galassie, ma non ne aveva alcuna prova.

Fu in quegli anni che entrò in funzione il grande telescopio di due metri e mezzo di Mount Wilson negli Stati Uniti. Con questo telescopio – il primo grande strumento astronomico moderno – si vide che le nebulose a spirale contenevano sia stelle sia nubi di materia interstellare, come quelle che si osservavano nei dintorni del Sole. Questo dimostrò che esistevano effettivamente dei conglomerati stellari ben staccati dai dintorni del Sole. In queste galassie si riuscirono a identificare delle stelle che ave-

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vano caratteristiche analoghe a quelle vicino al Sole. Dal loro splendore apparente, ammettendo che avessero lo stesso splen-dore assoluto di quelle vicino al Sole, si ricavò la loro distanza. I risultati non lasciavano dubbi: si calcolavano distanze dell’ordi-ne del milione e più di anni luce, mentre le stelle isolate di cui si poteva stimare la distanza si trovavano a 10-20.000 anni luce al massimo.

Si cominciò a capire che la Galassia era una megalopoli stellare con dimensioni finite, e che le galassie più vicine erano separate dalla nostra da milioni di anni luce. Ne risultava quindi l’immagine di un Universo fatto di tanti agglomerati, di tante città stellari net-tamente separate l’una dall’altra.

Non possiamo non ricordare altri protagonisti delle principali scoperte della Via Lattea, tutti concentrati nel Novecento. A Harlow Shapley, come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, si deve

l’aver scoperto nel 1916-19 che il Sole non si trova al centro della Galassia, come si riteneva fino allora e come aveva supposto William Herschel, bensì alla periferia. Un altro grande progresso si fece nel 1920-24, quan-do Edwin P. Hubble provò che alcune nebulose, macchie di luce appena di-scernibili fra la gran folla di stelle, era-no in realtà altri «universi isole», cioè galassie situate non all’interno, ma molto al di là della Via Lattea. Hubble provò in particolare che la Nebulosa di Andromeda era un’altra galassia composta di stelle, alcune delle quali erano stelle variabili. Questo fatto per-

mise anche di calcolarne la distanza, che risultò di 700.000 anni luce. Misure più moderne hanno portato questa distanza a 2-2,5 milioni di anni luce come per M 33 visibile nella costellazione del Triangolo.

Verso la fine degli anni Venti, l’olandese Jan Hendrik Oort dallo studio dei moti propri e delle velocità radiali delle stelle aveva de-dotto che la rotazione delle stelle attorno al centro galattico doveva avvenire non come quella di un corpo rigido, ma in modo simile al moto dei pianeti attorno al Sole, seguendo cioè una legge ke-pleriana.

Il passo successivo fu la scoperta, da parte di Walter Baade, delle Popolazioni stellari nel 1942, di cui parleremo nel prossimo capitolo sulle stelle. Ulteriori progressi si ebbero infine median-te le ricerche radioastronomiche inaugurate da Karl Jansky verso

••4 Modello della Via Lattea proposto da William

Herschel nel 1785.

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il 1930, ma sviluppatesi in modo straordinario dopo la scoperta della radiazione a 21 cm dell’idrogeno neutro, da parte di Harold Ewen e Edmond Purcell, già predetta da Jan Oort e dal suo allievo Hendrik C. van de Hulst fin dal 1944-45. Radiazione che, come vedremo più avanti in questo capitolo, ci ha permesso di seguire il cammino dei bracci di spirale anche al di là del centro galattico impenetrabile ai telescopi ottici per le polveri, che arrestano la luce, ma non le radioonde.

In ultimo sono da citare gli studi di Bertil Lindblad degli anni Cinquanta e quelli di Chi Chiao Lin che nel 1961, e poi in collabo-razione con Frank Shu, spiegarono che i bracci spirali sono tem-poranee concentrazioni di materia, come creste di un’onda che gira intorno alla Via Lattea, alla stessa velocità sia a 15.000 che a 30.000 anni luce dal centro, e quindi senza condividere la rota-zione differenziale della Galassia. Queste creste d’onda, o bracci spirali, sono aree leggermente più dense del resto della galassia, nel senso che accumulano una maggior quantità di materia per unità di spazio. Fatto che si verifica perché stelle e gas, sospinti dai diversi valori del campo gravitazionale in orbite ellittiche, si raccolgono nelle regioni dei bracci, ma ogni stella vi rimane per un tempo relativamente breve.

Sono cambiamenti che avvengono nel corso di milioni d’anni, ma se fosse possibile filmare questi moti, si vedrebbe che intorno alla galassia corre una cresta luminosa lunga migliaia di anni luce e contenente un materiale di stelle, gas e polveri sempre diverso; e siccome l’onda che produce la cresta non viene disturbata dalla rotazione differenziale, i bracci non si avvolgono mai intorno al centro, come si pensava fino a metà del Novecento.

IL NOSTRO POSTO NELLA GALASSIA

Stabilito tutto ciò, torniamo alla metafora iniziale dei turisti: come facciamo a sapere dove siamo in questa megalopoli stellare? Detto in termini più scientifici, come si può stabilire, essendo immersi nella Galassia, la posizione del Sole? Dalle osservazioni e dai con-teggi si vide che, in qualsiasi direzione si guardasse, sul piano galattico si trovava più o meno lo stesso numero di stelle. Ci si era quindi convinti che il Sole si trovasse al centro della Galassia, in quanto la densità stellare era più o meno la stessa in tutte le direzioni. Così accade quando ci si trova in una città che non si conosce: si giudica se si va verso il centro o verso la periferia dal traffico, dai negozi, da tanti piccoli segni che ci dicono che ci av-viciniamo o ci allontaniamo dalla zona centrale.

Fra il 1920 e il 1930 gli astronomi, in conseguenza delle osser-

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vazioni di Hershel e poi di Kapteyn erano persuasi che ci si trovas-se al centro della Galassia. Fu un astronomo statunitense, Harlow Shapley, che capì l’errore e si rese conto che in realtà il Sole si trova in una posizione molto periferica. Si accorse che gli ammassi glo-bulari erano molto più numerosi nella direzione della costellazione del Sagittario che nella direzione opposta. Gli ammassi globulari sono distribuiti uniformemente intorno alla Galassia approssima-tivamente con simmetria sferica. Se il Sole fosse al centro della Galassia dovremmo contare un uguale numero di ammassi glo-bulari in tutte le direzioni; il fatto che invece fossero più numerosi in una direzione piuttosto che in un’altra fece supporre a Shapley che il centro della Galassia doveva trovarsi nella costellazione del Sagittario.

Come mai ci si era sbagliati? Il piano galattico è popolato da un gran numero di stelle, ma anche da una gran quantità di materia interstellare. La materia interstellare si trova sia sotto forma di gas sia sotto forma di polveri, cioè di particelle solide microscopiche che diffondono la luce stellare, che a noi appaiono come macchie scure sul piano galattico. Questa polvere ci impedisce di vedere oltre. Nella direzione del centro galattico cresce il numero di stel-le, ma cresce anche la quantità di polvere e questi due effetti si compensano. In direzione opposta invece diminuiscono le stelle, ma diminuisce anche la quantità di polvere, per cui nel comples-so sembrava che sul piano galattico le stelle fossero ugualmente abbondanti in tutte le direzioni.

••5 Lo spettro elettromegnetico. La luce

visibile è soltanto una porzione piccolissima

delle radiazioni elettromagnetiche che ci

giungono dall’Universo (che comprendono anche le onde

radio, le microonde, i raggi infrarossi, i raggi ultravioletti,

i raggi X, i raggi g.

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Noi studiamo i corpi celesti, e quindi anche le galassie, misu-rando le radiazioni che ci mandano e che riusciamo a rilevare con i nostri strumenti. La luce che i nostri occhi sono in grado di percepire è solo uno dei tanti «tipi di luce» possibili, che differi-scono solo per la lunghezza d’onda. La natura dei diversi «tipi di luce» (o radiazione elettromagnetica) è la stessa. Cominciando dalle lunghezze d’onda minori, abbiamo i raggi g, i raggi X, poi si giunge alla banda dell’ultravioletto, poi a quella dell’ottico (luce visibile), all’infrarosso, alle microonde e infine alle onde radio. La sequenza di queste radiazioni costituisce lo spettro elettroma-gnetico. ••5

La nostra atmosfera lascia passare soltanto due fettine di questo spettro, una che va dal violetto al rosso (che coincide con la banda ottica a cui è sensibile il nostro occhio) e un’altra banda nel radio, da qualche centimetro a qualche decina di metri di lunghezza d’onda. Gli astronomi le chiamano «la finestra ottica» e la «finestra radio», da cui possiamo affacciarci per osservare l’Universo. Oggi la scienza spaziale ci ha spalancato tutte le finestre.

Fino al 1930 gli unici recettori capaci di misurare la radiazione stellare erano l’occhio e la lastra fotografica, sensibili alla banda di radiazioni visibili. Le radiazioni visibili però sono assorbite e diffuse dalle polveri.

Quando si guarda in direzione perpendicolare al piano galattico, dove le stelle sono poche e la polvere manca completamente, si vede fino a distanze enormi (anche 10-13 miliardi di anni luce). Ma sul piano galattico si può arrivare solo a circa 10.000 anni luce. Questo rendeva difficile scoprire, come abbiamo visto prima, dove si trova il centro galattico. Shapley c’era riuscito basando-si sulla distribuzione degli ammassi globulari che sono nell’alone fuori del piano galattico, dove le polveri sono scarse. Quindi le radiazioni ottiche permettevano di esplorare in pratica solo quello che potrei chiamare «il piccolo villaggio» intorno al Sole, dandoci delle informazioni abbastanza limitate, mentre le osservazioni ra-dio ci hanno dato il quadro d’insieme della Galassia. Comunque è stato grazie alle osservazioni ottiche che si è cominciato a capire che esistevano due classi di stelle che differiscono per composi-zione, età e distribuzione:– le stelle sul piano galattico, immerse nelle nubi di materia in-

terstellare, estremamente giovani, chiamate stelle di Popola-zione I;

– le stelle nell’alone, dove mancano le polveri e le nubi di materia interstellare; sono stelle vecchie, chiamate stelle di Popolazione II. Lo studio della distribuzione delle due diverse popolazioni di

stelle ha permesso di scoprire molto sulla storia e sulla struttura della Galassia, come vedremo nelle prossime pagine.

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La Galassia e le sue popolazioni

UNA FINESTRA SPALANCATA SULLA GALASSIA

Le osservazioni nella banda ottica non ci permettevano dunque di scoprire nulla di quello che succedeva al centro della Via Lattea, perché in quell’intervallo dello spettro elettromagnetico la radiazione viene tutta assorbita dalle nubi di polvere. È stato grazie alla radioastronomia che si è potuto esplorare la nostra Galassia da un estremo all’altro, addirittura «vedere» in onde radio che cosa c’era dalla parte diametralmente opposta al Sole, oltre al centro galattico.

La radioastronomia è nata nel 1932 a opera di Karl Jansky, un tecnico della Bell Telephone Company. Egli cercava le cause dei

rumori che disturbavano le trasmissioni radio transoceaniche. Per caso s’accor-se di una sorgente di rumore che sor-geva a est e tramontava a ovest e ben presto notò che tale sorgente di rumore coincideva con la direzione della costel-lazione del Sagittario (la costellazione in cui Harlow Shapley tre anni prima aveva scoperto che lì si trova il centro galattico), dove, come abbiamo visto, si addensa la maggior quantità di stelle e polvere interstellare.

Le particelle di polvere hanno dimen-sioni di 1/1000 di millimetro o anche meno. La lunghezza d’onda della luce vi-sibile è compresa tra 1/1000 e 1/10.000 di millimetro: è quindi dello stesso ordine di grandezza. Ecco perché la radiazione

ottica resta intrappolata. La luce che viene da una stella e incontra una nube di polvere viene diffusa in tutte le direzioni all’interno della nube, ma solo una percentuale minima della luce continua il suo percorso in direzione dell’osservatore, al quale, dunque, le polveri appaiono scure. Viceversa, la lunghezza d’onda delle onde radio è molto più grande delle dimensioni delle particelle di polve-re: è infatti compresa tra il centimetro e le decine di metri (10-50 metri); le onde radio non risentono minimamente dell’effetto dei granuli di polvere.

Possiamo spiegare il fenomeno con un’analogia animale. È come se un elefante camminasse in un prato, certamente i fili d’erba non ostacolerebbero il suo cammino, mentre sarebbero seri ostacoli per una formica.

Con i radiotelescopi si è riusciti a determinare la struttura della Galassia; si è infatti scoperto che vengono emesse radio onde

••6 Una mappa a radioonde della Galassia. Sono riportate le emissioni

provenienti dall’idrogeno e dalle nubi molecolari. Si noti l’accenno di struttura

a spirale. (HOU, HAN & SHI)

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sia dal disco galattico che dal centro. Elaborando le informazio-ni ottenute con i radiotelescopi si è potuto ricostruire la mappa della Galassia. Si è avuta la certezza che la materia è distribuita lungo bracci a spirale simili a quelli di altre galassie e che quindi la Via Lattea è una galassia a spirale. L’affinamento delle tecni-che radioastronomiche ha permesso poi di scoprire i dettagli (il numero e la posizione dei bracci, la loro distanza, la velocità di rotazione). ••6

Ma come mai la nostra Galassia emette radioonde? Le emis-sioni ottiche si spiegano facilmente: i corpi caldi emettono luce. Sono emissioni note, normali, tutti sappiamo che un corpo, ad esempio un pezzo di metallo, se riscaldato e portato all’incandescenza, emette luce. Ma le onde radio provenienti dalla nostra Galassia hanno un’origine diversa. Uno dei meccanismi fisici alla base dell’emissione di onde radio è analogo a quello che si os-serva nei sincrotroni, quegli acceleratori circolari di particelle che ormai conoscia-mo tutti. La radiazione di sincrotrone è un tipo di onda emessa quando elettroni molto veloci si muovono in un campo magnetico. Se una particella carica (ad esempio un elettrone) penetra in un campo magnetico, viene decelerata. Decelerazione significa perdita di energia, energia che la particella emette sotto forma di radiazione. ••7

Questa emissione avviene a lunghezze d’onda tanto più brevi quanto maggiore è l’intensità del campo magnetico e quanto maggiore è la velocità delle particelle. Nei sincrotroni i campi magnetici sono estremamente forti, quindi si ha emissione ul-travioletta, X, g (cioè radiazioni di lunghezza d’onda molto bre-ve). Nella Galassia il campo magnetico è estremamente debole, circa un centomillesimo di gauss, e quindi le particelle cariche (per esempio nei raggi cosmici) decelerate dal campo magne-tico galattico emettono radiazioni di lunghezza d’onda elevata, nel dominio delle onde radio.

Oltre alla radiazione di sincrotrone, riceviamo dalla Galassia altri segnali radio: la radiazione a 21 centimetri prodotta dall’idrogeno neutro è estremamente utile. L’idrogeno è l’elemento di gran lunga più abbondante nell’Universo (in percentuale, ogni 100 atomi 90 sono di idrogeno, 9 sono di elio, 1 distribuito tra tutti gli altri ele-menti). L’atomo d’idrogeno funziona come una radiotrasmittente che emette a una certa frequenza definita (alla lunghezza d’onda

••7 La radiazione di sincrotrone viene emessa dagli elettroni che si muovono a spirale (o per meglio dire a elica) dentro un campo magnetico.

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di 21 centimetri). Dato che l’idrogeno neutro si dispone sui brac-ci a spirale, dalla sua disposizione studiata con tecniche radioa-stronomiche e dalla misura delle velocità grazie allo spostamento Doppler si può ricostruire la forma della Galassia e la rotazione differenziale.

IL CENTRO GALATTICO

Finora abbiamo esplorato la Galassia studiando le radiazioni emesse nella banda ottica e radio dello spettro elettromagnetico. Dallo spazio arrivano anche raggi infrarossi, ultravioletti, X e g. Le osservazioni radio e infrarosse hanno dimostrato che in que-sta banda dello spettro elettromagnetico il centro galattico è una potente sorgente di onde. Più recentemente, grazie ai satelliti, si è potuto osservare il cielo anche studiando quelle radiazioni al-trimenti assorbite dall’atmosfera terrestre: raggi X, raggi g, raggi ultravioletti. I raggi g non vengono nascosti dalle nubi di polveri e hanno fornito ulteriori informazioni sulla Galassia e soprattutto sul centro galattico. ••8

••8 La parte centrale della Galassia vista ai

raggi infrarossi. Queste radiazioni attraversano le

polveri interstellari e quindi consentono di intravvedere

«in trasparenza» il centro galattico. (NASA, JPL,

CALTECH - S.STOLOVY)

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L’immagine della nostra Galassia osser-vata da un satellite per raggi g mostra che sul piano della Via Lattea c’è una fascia luminosa. In questa fascia, distribuita ap-prossimativamente intorno al centro ga-lattico, il gas interstellare raggiunge delle temperature dell’ordine del milione di gra-di, (temperature cinetiche, indicate dalla velocità di agitazione termica) anche se bisogna tener conto che è estremamente rarefatto e quindi un pessimo radiatore. Per quanto possa sembrare paradossale, un termometro misurerebbe una tempe-ratura di pochi gradi assoluti.

La stranezza si spiega col fatto che la temperatura va intesa in maniera diversa dal solito, ossia come temperatura cinetica. Con-sideriamo un metallo all’incandescenza: se lo tocco mi scotto; ma, se metto un dito nel gas interstellare a un milione di gradi, non mi scotto. Questo perché il gas è estremamente rarefatto e il termine temperatura indica semplicemente il fatto che la velocità dell’agi-tazione a caso delle particelle corrisponde a una temperatura di un milione di gradi. Dire che i gas interstellari hanno temperature elevate significa, quindi, che l’energia delle particelle corrisponde ad altissime temperature che danno luogo all’emissione di radia-zione di lunghezze d’onda brevi.

Quali sono le condizioni che nel centro galattico generano que-ste spaventose emissioni di energia? Nessuno conosce la risposta esatta, ma si possono formulare delle ipotesi fondate. Il fenomeno non si può spiegare semplicemente con un ammasso di stelle, malgrado le stelle vadano certamente addensandosi verso il cen-tro della Galassia: le emissioni sono di un’energia così elevata che può essere spiegata solo immaginando che al centro della Ga-lassia si sia formata una tale condensazione di materia da creare quello che si chiama un buco nero. Oggigiorno, più o meno tutti hanno sentito parlare dei buchi neri. Si tratta di un addensamento di materia in un volume molto piccolo, tale che la velocità di fuga da questo supererebbe quella della luce, per cui nemmeno i fotoni potrebbero uscirne. La materia spirala intorno a questo buco nero, spirala sempre più rapidamente prima di cadervi dentro e per l’at-trito si riscalda tanto da emettere una gran quantità d’energia, che è quella che osserviamo. L’ipotesi di un buco nero nel centro galattico è la spiegazione più plausibile per il momento. Essa è confermata dall’osservazione che il moto delle stelle più vicine al centro galattico indica che entro un raggio di appena 15 ore luce (una distanza pari ad appena tre volte la distanza di Plutone dal

••9 Centaurus A è una galassia che contiene nel suo nucleo un gigantesco buco nero rotante. La materia è risucchiata verso il buco nero ed è poi proiettata all’esterno nei due getti lungo l’asse di rotazione. Anche la Via Lattea contiene nel suo centro un buco nero, ma meno attivo. Recenti osservazioni (immagine piccola) mostrano infatti strutture analoghe a forma di «bolle» simmetriche emesse dal nucleo anche nella nostra Galassia.(ESO, NASA-CHANDRA, ESA-PLANCK)

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Sole) è contenuta una massa pari a circa 3 milioni di volte la mas-sa del Sole. È poco probabile che tante stelle siano racchiuse in un volume così piccolo, mentre è plausibile che al centro ci sia un grosso buco nero. ••9

D’altra parte l’ammasso caldo intorno alla parte centrale del nucleo galattico provoca anche una pressione di radiazione: la radiazione esercita una pressione che spinge della materia per-pendicolarmente al piano della Galassia, per cui noi osserviamo dei getti di gas che schizzano fuori dal centro galattico. Questi fenomeni si osservano anche in galassie lontane, su scala molto maggiore. Si può pensare che questi fenomeni, caratteristici di galassie estremamente attive, si ritrovino nella nostra a un livello molto più basso, poiché la nostra è una galassia vecchia e ormai evoluta. Infatti, le galassie lontane nello spazio 10-13 miliardi di

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anni luce sono lontane anche nel tempo: quella che noi possiamo osservare ora è la radiazione partita molto tempo fa e ci fornisce informazioni sul passato degli oggetti studiati, che nel frattempo si saranno trasformati e non possiamo sapere come. La nostra Ga-lassia è più vicina e ci manda, quindi, informazioni più «fresche», che la descrivono in uno stadio evolutivo successivo. La vediamo così com’è oggi o, per meglio dire, com’era nel passato prossimo. Si constata inoltre che la diminuzione d’attività del nucleo centrale è un segno caratteristico delle galassie vicine, cioè delle galassie più vecchie. Le galassie lontane, che per noi sono visibili solo allo stadio del loro passato lontano, quando erano giovani, sono tutte estremamente più attive.

COME NACQUE LA GALASSIA

Abbiamo visto fin qui che non abitiamo al centro della Galassia. Abbiamo visto cosa succede al suo centro, e capito grazie alla radioastronomia quale forma ha la nostra megalopoli cosmica. Re-sta da capire come si è formata ed evoluta la nostra dimora. Per farlo dobbiamo partire dai suoi abitanti, cioè dalle stelle, dalla loro nascita e anche dalla loro morte.

La vita di una stella è legata alle sue fonti d’energia. Quando una stella è giovane, ha molta energia a disposizione; ma quan-do ha consumato tutte le sue fonti d’energia, invecchia e si avvia verso la fine del suo processo evolutivo. Nelle ultime fasi della loro vita, le stelle rilasciano nello spazio circostante, parzialmente o completamente, in modo più o meno violento, il gas che compone gli strati più esterni. In questo modo lo spazio interstellare si arric-chisce di nuovo materiale da cui si formeranno le future genera-zioni di stelle. Così questa immensa città di stelle, la Galassia, si rinnova perché i suoi abitanti cambiano. E il processo ricomincia, incessantemente, in tutto l’Universo.

Le fonti d’energia che fanno brillare le stelle sono le reazioni termonucleari che avvengono all’interno, soprattutto la trasforma-zione di idrogeno in elio.

Quattro nuclei di idrogeno, che danno luogo al nucleo di elio, hanno una massa di poco superiore a quella del nucleo di elio e, nel processo di fusione di idrogeno in elio, una percentuale delle masse in gioco (7/1000) si trasforma in energia, seguendo la re-lazione di Einstein: l’energia prodotta è uguale al prodotto della massa per la velocità della luce al quadrato (E=mc2). Siccome la velocità della luce al quadrato è un numero molto grande, basta una minima quantità di materia per dar luogo a una gran quantità di energia. Nel nostro Sole attualmente la temperatu-

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ra del nocciolo centrale è tredici milioni di gradi e l’idrogeno si trasforma in elio; l’energia prodotta si fa strada verso la su-perficie e viene irradiata sotto forma di luce e calore. ••10

Le stelle molto brillanti (le osservazioni ci dicono che c’è una relazione di pro-porzionalità fra massa e luminosità), che hanno per esempio una massa 10 volte quella del Sole, dispongono di una quan-tità di combustibile nucleare circa 10 volte superiore quella della nostra stella. Essendo però molto più brillanti, consu-mano la loro riserva di energia con una rapidità 10.000 volte maggiore. Quindi, anche se inizialmente hanno 10 volte il combustibile del Sole, lo bruciano 10.000

volte più rapidamente, il che significa che la loro vita è mille volte più breve di quella della nostra stella.

Perciò, quando vedo una stella brillante, sperperatrice d’ener-gia, so con sicurezza che è giovane. Si constata sistematicamente che le stelle molto brillanti sono immerse in nubi di gas e spes-sissimo sono raggruppate in ammassi aperti. Tale correlazione tra stelle giovani e gas non può essere casuale: le nubi di gas, infatti, sono il luogo e la materia prima da cui si formano le stelle. A ri-prova di ciò, si osserva che dove manca completamente materia interstellare non ci sono nemmeno stelle giovani. La formazione stellare è un processo continuo nell’Universo: anche ora, in que-sto momento, in qualche regione più o meno remota dello spazio, stanno nascendo delle stelle la cui luce non è stata ancora rileva-ta dai nostri strumenti. Nell’alone galattico manca completamen-te la materia interstellare e troviamo stelle vecchie, cioè stelle che bruciano molto lentamente il loro idrogeno e che possono vivere anche decine di miliardi di anni. È proprio l’assenza di materia interstellare, cioè la materia prima da cui si formano le stelle, che ci dice che risalgono a molto tempo fa.

Perché le stelle vecchie si trovano soprattutto nell’alone e quel-le giovani sul disco? Si può dare una spiegazione pensando a come si può esser formata la nostra Galassia. La protogalassia era un’immensa nube di gas in rotazione. In questa nube si formava-no casualmente, per moto turbolento, degli addensamenti che, per effetto di autogravitazione, tendevano a condensarsi e a dar luogo alle stelle. Un fluido – come un gas – in rotazione tende a schiacciarsi e ad appiattirsi in corrispondenza del piano equato-riale perpendicolare all’asse di rotazione. Il gas che nella protoga-

••10 Le reazioni di fusione nucleare

dell’idrogeno secondo il ciclo «protone-protone», che avvengono nel Sole,

si svolgono in stadi successivi. Dapprima due

protoni (cioè due nuclei di idrogeno) si uniscono

e formano un nucleo di idrogeno pesante ²H

(deuterio). Poi un nucleo di deuterio cattura un

protone e forma un nucleo di ³He (elio 3).

A questo punto il deuterio e l’elio 3 reagiscono

come illustrato in fi gura, formando un normale

nucleo di elio e liberando un protone, insieme a una

gran quantità di energia (17,6 MeV in totale).

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lassia non si era condensato in stelle seguì questa tendenza e si distribuì lungo il piano equatoriale dando luogo al disco galattico. Invece le stelle che si erano già formate mantennero la forma sferi-ca originale della protogalassia e restarono perciò nell’alone. Que-sto è avvenuto perché le stelle sono tanto separate l’una dall’altra che non si urtano; quindi non c’è attrito relativo. La distribuzione degli ammassi globulari mantiene perciò la forma originale della nube di gas da cui si sono formati. L’attrito tra le particelle del gas, al contrario, fa sì che si distribuiscano seguendo il moto di rotazione della protogalassia. Ecco quindi che si forma il disco. Le nuove stelle potranno nascere soltanto là, nel disco, dov’è rimasta la materia prima per formarle. ••11-12

UN GRANDE MISTERO: LA MATERIA OSCURA

Fermiamoci un attimo e ricapitoliamo. Conosciamo le dimensioni della Galassia, le sue popolazioni, sappiamo che ci sono stelle iso-late, che ci sono famiglie di stelle (gli ammassi aperti e gli ammas-si globulari), che c’è materia interstellare e che ci sono le polveri. Sappiamo come ruotano la Galassia e i suoi bracci a spirale. Dalla velocità di rotazione della Galassia possiamo ricavare la massa. Per capire come, consideriamo l’analogia col Sistema solare. Dal moto di rivoluzione dei pianeti possiamo, infatti, calcolare la mas-sa del Sole. Allo stesso modo, dal moto delle stelle (in particolare del Sole) intorno al centro galattico, si stima che la massa della Galassia sia pari a circa 300 miliardi di masse solari.

Ma c’è una fondamentale differenza tra la Galassia e il Sistema solare. I pianeti si muovono più lentamente man mano che ci si allontana dal Sole: il moto di Giove è più lento di quello di Marte, Plutone è ancora più lento di Giove e così via. Allo stesso modo, le misure di rotazione della Galassia si effettuano normalmente misurando la velocità delle stelle. Il problema è che le stelle si vedono solo fino a una certa distanza dal centro galattico, perché a distanze superiori ai 40.000 anni luce dal centro cominciano a diminuire. In questi ultimi anni, grazie al progresso delle osserva-zioni radio a microonde, si è misurata la velocità delle nubi di mo-nossido di carbonio, molto numerose anche a distanze superiori a 40.000 anni luce, nella periferia della Galassia, e dal loro moto si è visto che la velocità, invece di decrescere con la distanza dal centro come si pensava per analogia con il Sistema solare, resta costante, anzi tende ad aumentare.

Che cosa significa? Dalla meccanica si sa che questo tipo di moto indica che nella periferia della Galassia deve esistere una gran quantità di materia di cui non si sospettava l’esistenza, e dal-

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la rotazione della Galassia si può dedurre che la materia nella periferia è addirittura 5 volte quella contenuta dentro l’orbita del Sole intorno al centro galattico. Di questa materia si ignorava l’esistenza.

Il fenomeno è comune a tutto l’Uni-verso. Considerando cioè l’insieme delle galassie, noi vediamo solo il 5% e forse meno della materia, mentre il 95% ha una natura per ora sconosciuta, e si com-pone al 72% di energia oscura e per il 23% di materia oscura. ••13

Nella nostra Galassia si può pensare che una gran quantità di materia oscura sia costituita da stelle deboli, che irraggia-no troppo poco per scorgerle, e che ci sia una gran quantità di pianeti come Giove, troppo piccoli per essere rilevati dagli stru-menti (anche se ce ne vorrebbero troppi per spiegare tutta la massa che manca). Se poi si considera tutto l’Universo, il pro-blema diventa ancora più serio. È difficile render conto di tutta la materia oscura ricorrendo solo a quella che si chiama materia barionica, cioè fatta di protoni ed elettroni, di atomi di idrogeno o atomi o nuclei degli elementi che conosciamo. Ci sono poi altre ragioni, di cui parleremo nel capitolo dedicato ai misteri insoluti, che indicano che la materia oscura non può essere barionica.

È possibile che questa materia sia sotto forma di particelle elementari, per esempio neutrini: i neutrini sono particelle neu-tre la cui massa è estremamente piccola. Nella prima fase della vita dell’Universo, subito dopo quello che si chiama Big Bang, si sarebbe formata una gran quantità di queste particelle tale che potrebbe spiegare la massa mancante negli spazi intergalattici ma non nelle singole galassie, perché a causa della loro piccola massa hanno una velocità paragonabile a quella della luce e sfug-girebbero all’attrazione gravitazionale della galassia. Si ipotizza, quindi, anche l’esistenza di altre particelle che, però, non sono ancora mai state osservate.

La massa mancante è il grande problema che ancora avvolge di mistero la nostra Galassia: conosciamo solo una frazione di que-sta massa, solo una percentuale minima degli abitanti, il resto si

••11 Schema di evoluzione galattica (in alto). A. Protogalassia;B. formazione di stelle

nell’alone; C. formazione di stelle nel disco; D. la Via

Lattea oggi.

••12 Le componenti risultanti della Galassia (in

basso). L’alone (in rosso) costituito dalle stelle più

vecchie; il disco (in azzurro) composto dalle stelle più

giovani; il bulbo (in verde) comprendente stelle di età

crescente verso l’interno.

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trova sotto forma oscura, irraggiungibile con i nostri strumenti e inspiegabile con le attuali teorie. L’altro grande enigma riguarda cosa c’è nel centro della Galassia. Misure del moto di una stella a soli 15 ore luce dal centro indicano che entro questo raggio, pari ad appena tre volte la distanza di Plutone dal Sole, c’è una massa totale pari a circa 3 milioni di masse solari, il che fa pensare che sia molto probabile la presenza di un buco nero, formatosi quando la massa della protogalassia è andata addensandosi.

Resta ancora molto da capire e scoprire. Tante risposte verran-no dal miglioramento degli strumenti ma anche da una migliore comprensione della vita delle stelle, a cui dedichiamo il prossimo capitolo.

••13 La curva di rotazione della nostra Galassia si può spiegare soltanto con la presenza di un esteso inviluppo di materia oscura. Poiché un pianeta sta in orbita attorno al Sole e una stella o una nube di gas sta in orbita attorno al centro della Galassia (senza cadere verso il centro e senza sfuggire per la tangente all’orbita) signifi ca che la forza di gravità (che li farebbe cadere verso il centro) e la forza centrifuga (che li farebbe sfuggire per la tangente all’orbita) sono eguali;F. gravità = F. centrifuga GMm/r2 = mv2/r dove M è la massa della Galassia, m la massa della stella, r la distanza dell’oggetto dal centro e v la velocità orbitale, G la costante di gravitazione: da cui M= v2r/G

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