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15 Il metodo 1) “Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione”. (John Ronald Reuel Tolkien Il Signore degli Anelli) 2) “Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della stra- da vecchia di Trezza; ce n’erano persino a Ognuna, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sem- brava dal nomignolo, come dev’essere”. (Giovanni Verga I Malavoglia) 3) “Il generale in capite 1 Napoleone Buonaparte (così lo chiamavano allora) dimorava in casa Florio. Chiesi di abboccarmi 2 con essolui 3 affermando di aver a fare gravissime comunicazioni per cose avvenute nella provincia, e siccome egli mestava nel torbido 4 coi malcontenti veneziani, così mi venne concessa un’udienza. Questo perché non lo seppi che in appresso 5 . Il Generale era nelle mani del suo cameriere che gli radeva la barba; allora non disdegnava di farsi vedere uomo, anzi ostentava una certa semplicità catoniana 6 , cosicché al primo aspetto 7 rimasi confortato d’assai. Era magro sparuto irrequieto: lunghi capelli stesi gli ingombra- vano la fronte, le tempie e la nuca fin giù oltre il collare del vestito”. (Ippolito Nievo, Confessioni d’un Italiano) 4) “Nella città d’Asti, in Piemonte, il dì 17 di gennaio dell’anno 1749, io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti”. (Vittorio Alfieri Vita) 5) “Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente cre- duto la cantilena o canzone di Ciullo (diminutivo di Vincenzo) di Alcamo, e una canzone di Folcacchiero da Siena” (Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana) Il metodo 1. Gli elementi della narrazione 1. Che cos’è una narrazione 1 Generale in capite – Coman- dante in capo. 2 Abboccarmi – Incontrarmi priva- tamente. 3 Essolui – Lui (forma arcaica). 4 Mestava nel tor- bido – Cercava di approfittarne senza scrupoli. 5 In appresso – In seguito. 6 Catoniana Uno stile di vita estremamente rigoroso e povero, come quello di un personaggio del- l’antica Roma, Catone il Censore, rimasto famoso per la sua moralità irreprensibile e severa. 7 Al primo aspetto A prima vista.

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1) “Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò cheavrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con unafesta sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione”.

(John Ronald Reuel Tolkien Il Signore degli Anelli)

2) “Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della stra-da vecchia di Trezza; ce n’erano persino a Ognuna, e ad Aci Castello,tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sem-brava dal nomignolo, come dev’essere”.

(Giovanni Verga I Malavoglia)

3) “Il generale in capite1 Napoleone Buonaparte (così lo chiamavanoallora) dimorava in casa Florio. Chiesi di abboccarmi2 con essolui3

affermando di aver a fare gravissime comunicazioni per cose avvenutenella provincia, e siccome egli mestava nel torbido4 coi malcontentiveneziani, così mi venne concessa un’udienza. Questo perché non loseppi che in appresso5. Il Generale era nelle mani del suo cameriere che gli radeva la barba;allora non disdegnava di farsi vedere uomo, anzi ostentava una certasemplicità catoniana6, cosicché al primo aspetto7 rimasi confortatod’assai. Era magro sparuto irrequieto: lunghi capelli stesi gli ingombra-vano la fronte, le tempie e la nuca fin giù oltre il collare del vestito”.

(Ippolito Nievo, Confessioni d’un Italiano)

4) “Nella città d’Asti, in Piemonte, il dì 17 di gennaio dell’anno 1749,io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti”.

(Vittorio Alfieri Vita)

5) “Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente cre-duto la cantilena o canzone di Ciullo (diminutivo di Vincenzo) diAlcamo, e una canzone di Folcacchiero da Siena”

(Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana)

Il metodo

1. Gli elementi della narrazione

1. Che cos’è una narrazione

1 Generale incapite – Coman-dante in capo.2 Abboccarmi –Incontrarmi priva-tamente.3 Essolui – Lui(forma arcaica).4 Mestava nel tor-bido – Cercava diapprofittarnesenza scrupoli. 5 In appresso – Inseguito.6 Catoniana –Uno stile di vitaestremamenterigoroso e povero,come quello di unpersonaggio del-l’antica Roma,Catone il Censore,rimasto famosoper la sua moralitàirreprensibile esevera.7 Al primo aspetto– A prima vista.

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Abbiamo scelto cinque brani in prosa, molto diversi tra loro, per cercare di rispondere alladomanda preliminare: che cos’è una narrazione?

In linea generale dovremmo dire innanzitutto che “narrazione è qualunque atto comunica-tivo complesso che comprenda la rappresentazione di eventi, luoghi e personaggi, veri od’invenzione, legati insieme in una determinata catena temporale”.

Ora osserviamo i brani scelti. - Dal primo all’ultimo quale mutamento si nota, in relazione alla definizione appena for-nita? - Il mutamento presenta un ordine, procede per gradi?

Il punto nevralgico della definizione è dove si parla di eventi, luoghi e personaggi, verio d’invenzione. In effetti, una netta linea di confine passa tra il “vero” e “l’invenzione”.La storia e la fiction (finzione) sembrano l’una l’opposto dell’altra, tuttavia nei raccontisono molte le possibilità di commistione tra le due.

Rileggiamo adesso i cinque frammenti narrativi, tenendo a mente questo primo filtro: lapresenza della fiction:

1) “Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò cheavrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con unafesta sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione”.

(John Ronald Reuel Tolkien Il Signore degli Anelli, 1954-55)

a) È l’inizio, famosissimo, de Il Signore degli Anelli. Presenta luoghi, personaggi edeventi completamente d’invenzione (Bilbo Baggins, gli Hobbit, la cittadina diHobbiville). Si tratta cioè non solo di situazioni nate dalla fantasia dell’autore (lavicenda dell’Anello del Potere), ma anche di località fittizie (la Terra di Mezzo). E,soprattutto, di creature non appartenenti al mondo reale. Il mondo creato da Tolkien èin buona parte composto di elementi che non esistevano prima del suo romanzo. Sologli Elfi e i Nani provengono dalle saghe nordiche, mentre gli Hobbit o gli Orchi sonouna invenzione originale tolkieniana, così come tutta la dettagliata topografia del suocontinente.

2) “Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della stra-da vecchia di Trezza; ce n’erano persino a Ognuna, e ad Aci Castello,tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sem-brava dal nomignolo, come dev’essere”.

(Giovanni Verga I Malavoglia, 1881)

b) Così comincia I Malavoglia di Giovanni Verga. Come sopra, eventi e personaggi sonofrutto di finzione, mentre i luoghi sono veri, e altrettanto gli aspetti della realtà narra-ta. I poveri pescatori della costa orientale della Sicilia alla metà del secolo XIX nonerano affatto diversi da quelli di cui parla Verga. Non avviene nulla nel romanzo chenon sarebbe potuto accadere davvero. Per di più, i fatti della storia (l’Unità d’Italia, labattaglia di Lissa in cui muore Luca Malavoglia), sono assolutamente autentici.

3) “Il generale in capite Napoleone Buonaparte (così lo chiamavanoallora) dimorava in casa Florio. Chiesi di abboccarmi con essolui affer-

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mando di aver a fare gravissime comunicazioni per cose avvenute nellaprovincia, e siccome egli mestava nel torbido coi malcontenti venezia-ni, così mi venne concessa un’udienza. Questo perché non lo seppi chein appresso. Il Generale era nelle mani del suo cameriere che gli radeva la barba;allora non disdegnava di farsi vedere uomo, anzi ostentava una certasemplicità catoniana, cosicché al primo aspetto rimasi confortato d’as-sai. Era magro sparuto irrequieto: lunghi capelli stesi gli ingombravanola fronte, le tempie e la nuca fin giù oltre il collare del vestito”.

(Ippolito Nievo, Confessioni d’un Italiano, 1867)

c) Si tratta di un passo proveniente del decimo capitolo di un grande romanzo del nostroOttocento, Confessioni d’un Italiano. Qui la contaminazione tra realtà e fantasia fa unpasso avanti. Un personaggio inventato, il protagonista e narratore Carlo Altoviti,incontra un personaggio storico, Napoleone, durante la campagna d’Italia nel 1796. Loscenario e la cornice temporale sono veritieri. Lo scrittore mette a confronto sullascena del romanzo una sua creatura e uno dei protagonisti reali della storia d’Europa.

4) “Nella città d’Asti, in Piemonte, il dì 17 di gennaio dell’anno 1749,io nacqui di nobili, agiati ed onesti parenti”.

(Vittorio Alfieri Vita, 1803)

d) Con queste parole inizia La Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, una delle piùbelle autobiografie di un secolo, il Settecento, impareggiabilmente ricco di autobiogra-fie, tra Rousseau e Casanova, Goldoni e Da Ponte (il poeta che scriveva i libretti perle opere di Mozart). L’autobiografia, ossia il racconto della propria esistenza fatto inprima persona dal narratore/protagonista – nella sezione 4 spiegheremo le differenzetra i ruoli – è un genere letterario che incrocia verità e finzione in modo particolarissi-mo. Di solito si pensa che una autobiografia sia basata sul racconto di eventi accaduti.È vero, ma le carenze della memoria, o il pudore, o la volontà di chi scrive di presen-tarsi migliore, o altri motivi ancora, alterano in qualche misura sempre la fedeltà delresoconto.

5) “Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente cre-duto la cantilena o canzone di Ciullo (diminutivo di Vincenzo) diAlcamo, e una canzone di Folcacchiero da Siena”

(Francesco de Sanctis, Storia della letteratura italiana, 1870-71)

e) Altro genere di narrazione, senza più necessità di finzione, è quella cui ricorre il gran-de critico letterario Francesco de Sanctis, quando decide di metter mano alla sua operapiù ambiziosa, il racconto di sette secoli di storia letteraria italiana. L’Italia comenazione era appena nata, e de Sanctis ne inventa l’unità culturale, la Storia dellaLetteratura scritta in Italiano, potremmo dire, estesa dal Duecento al presente. Questoesempio dimostra che si può fare una straordinaria opera d’arte narrativa senza passa-re per la fiction. Anche la critica letteraria ha i suoi racconti.

Ricapitolando: tante azioni differenti possono avvalersi della narrazione come modalità, enon tutte appartengono alla pratica della letteratura.

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Definizione: Narrazione è qualunque atto comunicativo complesso che comprenda la rappre-sentazione di eventi, luoghi e personaggi, veri o d’invenzione, legati insieme in unadeterminata catena temporale.

2. La comunicazione letteraria

Torniamo alla definizione generale: “narrazione è qualunque atto comunicativo comples-so che comprenda la rappresentazione di eventi, luoghi e personaggi, veri o d’invenzio-ne, legati insieme in una determinata catena temporale”. Soffermiamoci su un altro aspetto. Si parla di “atto comunicativo complesso”. Che cosasignifica?

Spiegare una cosa vuol sempre dire mostrare come funziona. Qualsiasi messaggio complesso prodotto dall’uomo funziona in base al rapporto tra seielementi. Ma, invece di elencarli o di mostrarli in un nudo schema, li rintracceremo all’in-terno di una pagina romanzesca:

“Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Poloquando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’im-peratore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con piùcuriosità e attenzione che ogni messo o esploratore. Nella vita degliimperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza ster-minata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sol-lievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli;un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefan-ti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracie-ri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sullagroppa dei planisferi, arrotola uno sull’altro i dispacci che ci annuncia-no il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scro-sta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano laprotezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali inmetalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momentodisperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato lasomma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che lasua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa met-tervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi dellaloro lunga rovina. Solo nei resoconti di Marco Polo, Kublai Kan riusci-va a discernere, attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare, lafiligrana d’un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti”.

(Italo Calvino, Le città invisibili, 1972)

Perché vi sia comunicazione deve esserci scambio, dunque c’è un asse orizzontale checongiunge:

a) un emittente (lo scrittore)b) un destinatario (il lettore)

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Vale a dire chi produce il messaggio e chi lo riceve: lo scrittore Italo Calvino è l’emittente, il lettore, ognuno di noi, è il destinatario.

Se invece restiamo dentro la finzione della scena, nel nostro caso l’emittente è il vene-ziano Marco Polo e il destinatario è l’imperatore dei tartari Kublai Kan.

C’è poi anche un asse verticale che comprende:

a) il contesto (tutto ciò a cui si fa riferimento nel brano)b) il messaggio (il brano de Le città Invisibili)c) il codice (la lingua italiana)d) il contatto (il libro)

A) Il contesto, sempre dentro la finzione della scena, è la Cina di cui Kublai Kan è l’im-peratore: - l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato - i fiumi e le montagne istoriati sulla groppa dei planisferi

ma anche la storia della dominazione che questo sovrano ha costruito nel tempo:- i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in

sconfitta- re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate - tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine

Il contesto di un’opera letteraria è la tradizione culturale di un’epoca e di una nazione.

B) Il messaggio ovviamente sono i racconti di Marco Polo, esploratore e novellatore che- descrive le città visitate nelle sue ambascerie

In letteratura il messaggio è la forma stessa dell’opera d’arte, sia essa un racconto, unromanzo, un poema, un ciclo di canzoni o altro, ed anche il suo contenuto.

C) Il codice è l’insieme di conoscenze comuni che permette a due persone di intendersi.Per esempio la lingua.In questo caso è particolarmente evidente la necessità di un codice condiviso, perchéMarco Polo è- il giovane venezianomentre Kublai Kan è - l’imperatore dei tartariDunque l’uno parla veneziano, l’altro mongolo. È ovvio, anche se Calvino non lo dice,che uno dei due (naturalmente Marco Polo) utilizza il codice dell’altro. La lingua è uno strumento di comunicazione ma anche una forma di dominazione del-l’altro: Marco Polo è un suddito, dunque parla la lingua del suo signore.

La lingua usata non è l’unico esempio di codice. Se pensiamo alla letteratura, possia-mo intendere come codice anche il genere letterario. Marco Polo è un esploratore. Descrive delle regioni e delle città, per quanto fantasti-che, all’uomo che governa su tutta la Cina. Da lui Kublai Kan si aspetta di sentire alcu-ne cose e non altre. Se Marco Polo fosse un giullare, da lui ci si aspetterebbero burle,giochi di parole e magari qualche battuta satirica sui potenti. Se fosse il poeta di corte

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ci si attenderebbe un poema in lode di Kublai Kan. Questo è l’orizzonte d’attesa del lettore, che è differente a seconda del genere lette-rario scelto.

D) Il contatto è ciò che fisicamente permette lo scambio di informazioni tra emittente edestinatario. Nel caso del nostro testo è la voce di Marco Polo:- l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosi-

tà e attenzione che ogni messo o esploratore

Il fatto che Kublai spenda curiosità e attenzione dimostra non soltanto che l’argomento glista a cuore, ma anche che il contatto non è sempre privo di difetti. Se il sovrano non stes-se attento, o se sentisse poco chiaramente le parole, il messaggio risulterebbe incompletoo addirittura incomprensibile. Pensiamo a una telefonata: se la linea è disturbata, il contatto difettoso influisce in manie-ra importante sulla comunicazione. Pensiamo infine al libro come oggetto, che è un altro tipo di contatto: se le pagine di unlibro sono strappate, o macchiate, o invertite, il senso del testo può alterarsi o perdersi deltutto.

Un romanzo, o una novella, o un racconto, sono soltanto una delle tante forme possibilidi narrazione, una tra le innumerevoli inventate dall’uomo.

In che cosa questo tipo di narrazione si distingue?

a) In primo luogo nell’essere consegnata alla parola scritta. La narrazione orale, o perimmagini in movimento (film) o per simboli grafici (pittura) sono sue parenti strettema hanno anche delle caratteristiche a sé stanti.

b) In secondo luogo dall’essere mossa da una intenzione artistica e interpretata come tale.Chi legge un quotidiano ogni giorno vi trova il resoconto delle vicende accadute manon le interpreta come oggetti artistici né come finzioni narrative.

Di questo tipo, insomma, ci occuperemo nel libro che va a incominciare.

Definizione: Ogni atto comunicativo funziona grazie a un emittente / un destinatario / un mes-saggio / un codice / un contesto / un contatto

3. Il titolo

Il titolo di un libro o di un romanzo è, insieme al suo autore, il suo segno distintivo, quel-lo che lo differenzia da qualsiasi altra opera e lo rende riconoscibile. Quando uno scritto-re decide un titolo, con esso intende riassumere il significato complessivo della sua opera.È la prima parola che viene incontro al lettore, la chiave d’accesso al mondo ancora ine-splorato creato dall’autore. Dunque converrà soffermarcisi un po’.

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Il titolo scelto da Alessandro Manzoni (1785 –1873) per I promessi sposi condensa insole tre parole il percorso del suo grande romanzo. Ci troviamo di fronte due fidanzati, che saranno Renzo e Lucia, e una “promessa”. La lorocontrastata storia d’amore attraversa tante avventure, tanti luoghi, si popola di numerosipersonaggi, ed è tutta annunciata nello spazio della parola intermedia. «Promessi», appun-to. Come un viaggio, ogni racconto vive tra una partenza e un arrivo. La distanza, dilatata inmaniera enorme, tra la promessa e il mantenimento del matrimonio, è ciò che Manzoni havoluto raccontare, raccontando nel frattempo molto di più e d’altro. Ma se non ci fossestata quella promessa di matrimonio, o se la promessa si fosse concretizzata senza contrat-tempi, non ci sarebbe stato nulla da scrivere.Il titolo di un’opera è esso stesso una promessa. È in posizione di forte rilievo, una anti-cipazione dichiarata. Dunque è naturale che sia intensamente caricato di significati.

I titoli possono essere di diversi tipi:

A) Descrittivi: presentano in evidenza il personaggio o l’evento intorno a cui ruoterà tuttala trama.

- La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo (Romanzo di Laurence Sterne1713-1768) C’è un protagonista, di nome Tristram Shandy. Sappiamo che è un “gentiluomo”,ossia un aristocratico (siamo nel Settecento), e sappiamo che ci verranno raccontatela sua vita e il suo modo di vedere il mondo.

- Le avventure di Huckleberry Finn (Romanzo di Mark Twain 1835-1910) Anche qui abbiamo il nome di un protagonista, e l’informazione che a lui sono capi-tate delle “avventure”. Perciò dobbiamo aspettarci delle vicende non comuni e sor-prendenti.

- Il processo (Romanzo di Franz Kafka 1883-1924)Non più una persona, stavolta è un evento a essere al centro dell’attenzione. Ciòsignifica che “il processo” sarà il cuore del romanzo. Naturalmente immaginiamoche vi sarà un imputato, una giuria, un reato, ma lo scrittore ha deciso di manteneretutto nell’impersonalità e indirizzare la nostra attenzione solo sull’inquisitoria in sé.

- Delitto e castigo (Romanzo di Fjodor Michajlovic Dostoevskij 1821-1881)Un fatto e la sua conseguenza. Come sopra, ma in maniera meno oscura, capiamoche conta di più la relazione tra questi due momenti, “il delitto” e “il castigo” appun-to, che gli uomini e le donne coinvolti.

- I Buddenbrook (Romanzo di Thomas Mann 1875-1955)Invece che il nome di un personaggio, abbiamo un plurale. Dal racconto della vita diun singolo, come Tristram Shandy o Huck Finn, si passa alla storia di una famiglia.

- Gente di Dublino (Racconti di James Joyce 1882-1941)Questo è un caso ulteriore: il titolo viene a dirci che protagonista del libro non saràuna persona né un gruppo familiare, bensì una intera comunità. È il tentativo di rac-contare lo spirito di un luogo (Dublino) attraverso le persone che lo abitano.

B) Emblematici: spesso sono costituiti da una frase ad effetto, pensata per colpire il let-tore.

- Niente di nuovo sul fronte occidentale (Romanzo di Erich Maria Remarque 1898-1970)

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È il titolo di un famoso romanzo antimilitarista scritto sulla Prima Guerra Mondiale.L’efficacia del titolo sta nel fatto che la morte del protagonista, colpito in un giornoqualsiasi di guerra, viene liquidata con questa frase indifferente da un dispaccio mili-tare su cui termina il libro.

- A volte ritornano (Raccolta di racconti di Stephen King 1947-vivente)Si tratta di un racconto dell’orrore, e per questo il lettore subito intuisce chi sia il sog-getto taciuto, ossia quelli che “a volte ritornano”: sono coloro che nel mondo realeper eccellenza non ritornano mai, cioè i morti. Il titolo funziona molto bene perchéè tutto costruito sull’idea della violazione di una regola. “A volte” sottolinea l’ecce-zionalità dell’evento soprannaturale. In realtà l’originale inglese è Night Shift, cioèTurno di notte. Il merito del bel titolo italiano va dato alla traduttrice Hilia Brinis.

- Sputerò sulle vostre tombe (Romanzo di Boris Vian 1920-1959).È un racconto di genere noir e lo dimostra subito con la durezza del titolo. Il gestodi profanare per disprezzo delle tombe evoca un protagonista spietato e senza valo-ri. Il fatto che le tombe siano definite “vostre”, inoltre, fa sentire chiamati in causa eminacciati tutti i lettori.

- Viaggio al termine della notte (Romanzo di Louis Ferdinand Céline 1894-1961)La suggestione in questo caso deriva dal contrasto tra l’idea di “viaggio”, cioè dispostamento nello spazio, e “il termine della notte” che è invece un fattore tempora-le. Nel suo titolo Céline ci impone di pensare la notte non come un tempo ma comeun luogo da percorrere, anzi in cui scendere fino al fondo. Sarà dunque una discesaverso il cuore dell’oscurità.

C) Citazioni: ci sono titoli che nascono dalla citazione di parole di un altro testo. A voltene conservano il significato, talvolta invece lo piegano a un senso nuovo. Devono partedella loro efficacia al fatto che il lettore comprenda l’allusione che contengono.

- L’urlo e il furore (Romanzo di William Faulkner 1897-1962)Deriva da un passo della tragedia shakespeariana Macbeth, dove si definisce la vitaumana: “A tale / Told by an idiot, full of sound and fury / signifying nothing” (“unafavola / narrata da un pazzo, piena di suono e di furia / che non significa nulla”).Faulkner sceglie questi versi perché uno dei protagonisti-narratori del suo romanzoè appunto un minorato mentale, Benjy.

- E duro campo di battaglia il letto (Romanzo di Una Chi)È un romanzo erotico contemporaneo che deriva provocatoriamente il proprio tito-lo da un verso di Francesco Petrarca. L’inquietudine notturna del poeta medievale,innamorato e solitario, diventa una metafora per indicare la passione degli amanti.

D) Depistanti: sono titoli solo apparentemente descrittivi. Al contrario, la storia narrata èspesso molto differente da quella che ci si aspettava. L’effetto cercato dallo scrittore èproprio quello di “spiazzare” le attese del lettore.

- L’educazione sentimentale (Romanzo di Gustave Flaubert, 1821-1880)Sembrerebbe il più tipico titolo per una storia romantica: l’amore che educa il pro-tagonista ai sentimenti. Ed è così, solo che quello tra il protagonista Fréderic Moreaue Madame Arnoux è un amore mancato, e l’educazione non è altro che una lungaserie di fallimenti e disillusioni.

- Il fu Mattia Pascal (Romanzo di Luigi Pirandello, 1867-1934)Pirandello non si limita a fornirci il nome del suo eroe: ci avverte anche, con il “fu”,

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del particolare che contrassegna la trama e la sua novità. Il fatto cioè che, a un certopunto del libro, Mattia Pascal viene per errore dichiarato morto. Approfittando diquesto errore, egli inizia una vita paradossale di vivo defunto, ricca di imprevisti.

- L’idiota (Romanzo di Fjodor Michajlovic Dostoevskij 1821-1881)Qui ci aspetteremmo probabilmente la storia di una malattia mentale. Invece il prin-cipe Myskin, protagonista della vicenda, non viene indicato con il suo nome né perquello che è davvero, bensì come viene percepito dagli altri. La sua “diversità”, lasua infantile autenticità, è il tema centrale del romanzo.

E) Enigmatici: ci sono infine titoli che fondano la loro forza sul fatto di non essere imme-diatamente comprensibili.

- Il rosso e il nero (Romanzo di Stendhal 1783-1842)Uno dei più grandi racconti dell’Ottocento francese. Ma chi non lo ha letto non puòdedurre in nessun modo di cosa tratti la vicenda. Eppure a libro chiuso siamo costret-ti a immaginare un qualche significato per la coppia di colori nel titolo.Scartiamo subito l’ipotesi che il libro parli di una squadra di calcio. È stato scrittoin Francia nell’Ottocento, dunque occorre pensare ad altro. Però pensando a unasquadra di calcio avevamo pensato a una bandiera, a dei colori sociali. Non eravamomolto lontani dalla verità. I colori parlano, hanno sempre una forte carica simboli-ca. Possono esprimere dei significati. Abbiamo, affrontati sulla soglia del romanzo, un colore caldo, che rappresenta lapassione e il fuoco, quindi l’amore ma anche la distruzione, e un non-colore, che èimmagine di non-vita, di notte, e di nascondimento, poiché il nero copre tutte le altretinte. Leggendo il libro scopriremo cosa davvero significano il Rosso e il Nero, magià la nostra ipotesi, che non può andare oltre e fin qui è necessariamente generica,coglie lo spirito di quanto Stendhal intendeva rappresentare.

- Cronaca di una morte annunciata (Romanzo di Gabriel Garcia Marquez 1928 -vivente)Ulteriore esempio di titolo enigmatico e descrittivo insieme: abbiamo tre elementiche tra di loro creano una fortissima tensione. Tensione tra le informazioni che tra-smettono, e l’incertezza che seminano. Vi si parla, nell’ordine: a) Di una cronaca, ossia del resoconto dettagliato e solitamente distaccato di unevento o di una serie di eventi;b) Del fatto che la cronaca sarà di una morte, presumibilmente di un essere umano;c) Del fatto che questa morte è annunciata: siccome la morte è l’evento certo maimprevedibile per eccellenza, il fatto che sia annunciata suscita una serie di doman-de. Su tutte, una: perché nessuno, nemmeno il diretto interessato, l’ha impedita oscansata? O, detto altrimenti, come mai non è stato possibile sventare quella morte,e si è potuto solo farne, a posteriori, una cronaca?Tutto il romanzo va letto per l’appunto come una risposta a tale questione.

- Fame (Romanzo di Knut Hamsun 1859-1952)Si tratta di un termine del tutto generico, fino a che non si legge il libro. Non si puòdire neanche chi sia il soggetto di questa “fame”. Non sappiamo neppure se sia unuomo o un animale, un singolo o una collettività. Ciò nonostante Fame si orienta con forza in direzione di un svolgimento. Esprime

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un bisogno, dunque richiede spiegazioni: da una parte su come tale bisogno siadiventato così pressante da diventare il titolo di una storia, dall’altra su cosa compor-terà il tentativo di soddisfarlo.

Scegliete alcuni dei titoli indicati di seguito, e cercate di ricostruire a quale genere let-terario o a quale tipo di argomento possono riferirsi:

- Non dimenticare mai … - Agguato al Passo del Nibbio- John lo sapeva - Cioccolato a colazione- Le illusioni perdute - Progetto per una rivoluzione a New York- Assassinio sull’Orient-Express - Il saccheggiatore di relitti- L’amore è una cosa meravigliosa - Tre millimetri al giorno- Fanteria dello spazio - Il ladro e la mela

Ora provate l’esperimento inverso: inventare un titolo adatto per i seguenti tipi di storia:

- L’amicizia che nasce tra un vecchio e un bambino.- Un poveretto vince al superenalotto e diventa improvvisamente molto ricco.- Un tale viene coinvolto in un incidente stradale, rimane illeso e si prodiga per sal-

vare gli altri; i giornali e le televisioni ne parlano, e improvvisamente diventa uneroe da mass-media.

- Una storia d’amore tra adolescenti contrastata dalle famiglie di entrambi- La storia di una famiglia di contadini, per tre generazioni- La storia dell’amicizia tra un ragazzo e un cane

4. La ricetta e gli ingredienti

“Si chiamava Gaal Dornick ed era un semplice ragazzo di campagnache non era mai stato prima d’allora a Trantor. Conosceva però il pano-rama di questa città per averlo osservato sullo schermo dell’ipervideo esugli enormi trasmettitori tridimensionali che trasmettevano le notiziedell’Incoronazione Imperiale e dell’apertura del Consiglio Galattico”

(Isaac Asimov, Cronache della Galassia, 1951)

L’opera di uno scrittore mentre inventa un romanzo, o un racconto, non è poi tanto diver-sa da quella di un bravo cuoco: ha bisogno di alcuni ingredienti, e di una ricetta per met-terli insieme nel modo giusto. E non tutti gli ingredienti sono adatti a qualunque pietanza.Dunque scegliere certi elementi orienta già il “sapore” della storia che sta nascendo.Nel caso qui riportato, è evidente che l’ingrediente “Consiglio Galattico” o gli ingredien-ti “ipervideo” ed “enormi trasmettitori tridimensionali” (specie in un romanzo scritto ametà del secolo scorso) ci portano in direzione di un piatto denominato “fantascienza”.Se invece avessimo letto di un cowboy che danza con un lupo intorno al fuoco e vieneosservato da lontano da un gruppo di pellerossa, avremmo compreso di essere nel bel

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mezzo di una storia western. Un maggiordomo inglese, una grande casa nobiliare, un cadavere nello studio, ci prepara-no quasi inevitabilmente a un giallo.

“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliato-re arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumo-re della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli starnuti e i colpi di tossedelle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sullerive del Don”.

(Mario Rigoni Stern, Il sergente nella neve, 1953)

L’accenno al “grasso sul fucile mitragliatore arroventato” e il rimando a un luogo reale -il fiume Don, in Russia – ci fanno capire che siamo di fronte a un racconto di guerra.Naturalmente un racconto può avere sviluppi sorprendenti e imprevedibili, ma ogni ele-mento che vi figura si salda con gli altri secondo una logica interna. Non c’è niente che accade o compare per caso in un racconto, se l’autore sa quello chefa.Tanto più è bravo il cuoco-scrittore, tanto meglio verrà il suo piatto-romanzo. Non dimentichiamo che un bravo cuoco lo si riconosce da due aspetti, solo in apparenzaopposti: per un verso dalla precisione con cui segue le indicazioni della ricetta, per un altroverso dalle libertà che si prende nell’interpretarla. Lo stesso vale per uno scrittore: chi pensa soltanto a produrre racconti ben fatti, tenderà arispettare le regole/ricette della narrazione, chi invece assomiglia a un cuoco creativosaprà rinnovare le forme del genere letterario.

5. Come si racconta una storia?

5.1. Fabula e intreccio

Come si racconta una storia?

«Iniziate dall’inizio – disse il Re gravemente – e continuate fino allafine: poi fermatevi»

(Lewis Carroll Alice nel paese delle meraviglie, 1872)

A dispetto del buon senso del Re di Alice, spesso i narratori non seguono il suo consiglio.Naturalmente, non c’è mai un solo modo per raccontare una storia:

A) “Da due ore il ladro, nascosto nella cantina, sentiva quel passo misu-rare spietatamente le stanze di sopra, scotendo le vecchie travature,facendole scricchiolare, distaccandone a tratti minuti pezzi di calci-na; non andava dunque mai a letto quella gente? Spesso anche, nelsilenzio della notte, lo raggiungevano scoppi repentini di voce, iratao beffarda; poi, dopo lunghe pause, erano risate alte e sinistre, dagelare il sangue.

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Il ladro era un novellino, egli voleva evitare ogni scandalo e ogni vio-lenza. Sperava soltanto di trovare in questa vecchia casa qualche mas-serizia, magari delle cibarie, roba da nulla in fondo per il ricco proprie-tario, ma che avrebbe tuttavia fornito da vivere un po’ a lui ladro e allasua piccola famiglia. Ecco a che cosa era ridotto coi suoi capelli grigi! Tanto novellino era, che impiegò due ore ad accorgersi come quei passilassù fossero i passi di un’unica persona: certo il signore. Ma pure conchi parlava egli, s’adirava rideva?”

(Tommaso Landolfi, Il ladro, da la spada, 1942)

B) “Il ladro era un novellino, egli voleva evitare ogni scandalo e ogni vio-lenza. Sperava soltanto di trovare in questa vecchia casa qualche mas-serizia, magari delle cibarie, roba da nulla in fondo per il ricco proprie-tario, ma che avrebbe tuttavia fornito da vivere un po’ a lui ladro e allasua piccola famiglia. Ecco a che cosa era ridotto coi suoi capelli grigi! Da due ore il ladro, nascosto nella cantina, sentiva quel passo misurarespietatamente le stanze di sopra, scotendo le vecchie travature, facen-dole scricchiolare, distaccandone a tratti minuti pezzi di calcina; nonandava dunque mai a letto quella gente? Spesso anche, nel silenziodella notte, lo raggiungevano scoppi repentini di voce, irata o beffarda;poi, dopo lunghe pause, erano risate alte e sinistre, da gelare il sangue.Tanto novellino era, che impiegò due ore ad accorgersi come quei passilassù fossero i passi di un’unica persona: certo il signore. Ma pure conchi parlava egli, s’adirava rideva?”

Confronta i due esempi: - il primo è l’inizio de Il ladro, un racconto di grande scrittore italiano, Tommaso Landolfi - il secondo è lo stesso testo che ha subito una piccola manipolazione. C’è una differenza fondamentale tra loro. Proviamo ad analizzarli.

TESTO A

Da due ore il ladro, nascosto nella cantina,sentiva quel passo […]

Il ladro era un novellino […] Sperava soltan-to di trovare in questa vecchia casa qualchemasserizia, magari delle cibarie […]

Tanto novellino era, che impiegò due ore adaccorgersi come quei passi lassù fossero ipassi di un’unica persona […]

TESTO B

Il ladro era un novellino […] Sperava soltan-to di trovare in questa vecchia casa qualchemasserizia, magari delle cibarie […]

Da due ore il ladro, nascosto nella cantina,sentiva quel passo […]

Tanto novellino era, che impiegò due ore adaccorgersi come quei passi lassù fossero ipassi di un’unica persona […]

Gli elementi di cui noi lettori fin qui disponiamo sono:Luoghi:

- una vecchia casa presumibilmente ricca (si parla del “ricco proprietario”)- la cantina all’interno della casa

Personaggi:- il ladro- il padrone della casa

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Motivazioni:- Il ladro vuole rubare qualcosa, anche solo del cibo - Il ladro non è più giovane (“ha i capelli grigi”) ma è inesperto di furti (“novellino”)- Il ladro non vuole usare nessuna violenza

Tempi:- Il ladro decide di rubare nella casa- Il ladro penetra nella casa e si nasconde in cantina- Il ladro aspetta due ore in cantina

Mentre tutto il resto rimane immutato, tra il testo A e il testo B cambia l’ordine dei tempi.Landolfi incomincia il suo racconto con il ladro già nella casa. Solo qualche riga piùavanti spiega chi era quest’uomo, spiegando anche come e perché lo troviamo in cantinada due ore. Invece il testo B comincia rappresentando “l’antefatto” della scena. Dunque la povertà delladro e la sua intenzione di rubare. Poi arriva l’azione vera e propria, che a sua volta sisdoppia in due tempi: penetrare nella casa / attendere nascosto per due ore che tutti dor-mano.

Ogni scrittore, quando decide di rappresentare un insieme di eventi, vero o di fantasia,trova sempre di fronte a sé due vie: a) può rimanere fedele alla successione temporale degli avvenimenti (come nel nostro

testo B) b) può decidere di alterarla e poi di ricostruirla in base a un criterio differente (come qui

ha fatto Landolfi)Per questo, gli studiosi della narrativa hanno inventato una distinzione molto importantetra la fabula e l’intreccio. È stato dato il nome di fabula (“racconto”, in latino) all’ori-ginario svolgersi delle vicende – il nostro testo B – e di intreccio al modo in cui esso vienenarrato – il testo di Landolfi –. La medesima opposizione in area francese e anglosassone viene espressa con termini dif-ferenti ma sinonimi: histoire e récit, oppure story e discourse. In ogni caso, il primo ter-mine si riferisce al livello del contenuto, il secondo a quello dell’espressione.

Se la fabula e l’intreccio coincidono, come nel testo B, avremo un tipo di racconto:

Questo modello di narrazione offre garanzie di comprensibilità e scorrevolezza. Dentro viopera l’idea che ciò che viene prima spiega sempre quanto viene dopo. Il suo prototipopuò essere il racconto della vita di un uomo. Dalla nascita fino alla morte, passando pertutte le tappe della sua esistenza. Chiaro, e logico.Però contiene un rischio: il rischio della noia. È meccanico al limite del prevedibile.

Se la fabula e l’intreccio non coincidono, come nel testo A, avremo un altro tipo di rac-conto:

Questo secondo modello di narrazione consente di arricchire e variare moltissimo la pre-sentazione di una storia. Permette di sorprendere il lettore, di lasciarlo in sospeso inmomenti cruciali, di svelargli all’improvviso dettagli che non conosce. Contiene anch’esso un rischio, esattamente inverso: se la vicenda è troppo complessa illettore può perdercisi, come in un labirinto. Immagina che ogni racconto abbia una sorta di doppio fondo: la fabula è come un noccio-lo nascosto all’interno dell’intreccio. Ed è sempre possibile riportarla alla luce come

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abbiamo fatto sopra, trasformando il testo A nel testo B. Ma non è solo possibile: è necessario. Leggendo un romanzo, noi ci troviamo di fronte aun intreccio, ed è solo ricostruendo mentalmente la fabula, ossia la successione deglieventi, che possiamo capirlo e apprezzarlo.

È importante sottolineare infine che la scelta tra l’una e l’altra soluzione dipende dalla volon-tà del singolo scrittore e dalle esigenze della storia. Non c’è una scelta migliore dell’altra.

5.2. Analessi e prolessi

Ci sono molti modi per non far combaciare la fabula e l’intreccio. I più frequentementeusati sono l’analessi e la prolessi.

L’Analessi (o flashback, così detta soprattutto in ambito cinematografico) è l’apertura diuna finestra, a interrompere la continuità del racconto. Questa finestra contiene fatti ante-riori rispetto al presente della storia. Può essere di due tipi:

a) Il narratore o il protagonista all’improvviso ricorda qualcosa che gli è accaduto nelpassato.

“Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un’amante. Tutte le cose atorno rivelavano infatti una special cura d’amore. Il legno di gineproardeva nel caminetto e la piccola tavola da tè era pronta, con tazze e sot-tocoppe in maiolica di Castel Durante […].L’orologio della Trinità dei Monti suonò le tre e mezzo. Mancava mez-z’ora. Andrea Sperelli si levò dal divano dov’era disteso e andò ad apri-re una delle finestre; poi diede alcuni passi nell’appartamento; poi aprìun libro, ne lesse qualche riga, lo richiuse; poi cercò intorno qualchecosa, con lo sguardo dubitante. L’ansia dell’aspettazione lo pungevacosì acutamente ch’egli aveva bisogno di muoversi, di operare, didistrarre la pena interna con un atto materiale. Si chinò verso il cami-netto, prese le molle per ravvivare il fuoco, mise sul mucchio ardenteun nuovo pezzo di ginepro. Il mucchio crollò; i carboni sfavillandorotolarono fin su la lamina di metallo che proteggeva il tappeto; la fiam-ma si divise in tante piccole lingue azzurrognole che sparivano e riap-parivano; i tizzi8 fumigarono.Allora sorse nello spirito dell’aspettante un ricordo. Proprio innanzi aquel caminetto Elena un tempo amava indugiare, prima di rivestirsi,dopo un’ora di intimità. Elena aveva molt’arte nell’accumular granpezzi di legno sugli alari”.

(Gabriele d’Annunzio, Il Piacere, 1889)

In questo brano d’Annunzio prepara gradualmente l’apparizione del ricordo. Il ricor-do di Elena Muti, la donna amata dal suo protagonista Andrea Sperelli.

- Prima lo scrittore ci informa che Sperelli sta aspettando un’amante. Per il momentosenza nome.

8 Tizzi – Tizzoni.

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- In seguito insiste sulla grande impazienza dell’uomo, e sui gesti che egli compiedistrattamente per ingannare il tempo. Questi gesti, sottolineati dalla ripetizione “poidiede alcuni passi […] poi aprì un libro […] poi cercò intorno qualche cosa […]”,conducono fino al caminetto. È una figura retorica che si chiama anafora.

- Il caminetto era comparso già dalla seconda riga (“Il legno di ginepro ardeva nelcaminetto”).

- Qui d’improvviso si apre la finestra della memoria: “Proprio innanzi a quel caminet-to Elena un tempo amava indugiare…”.

b) L’autore sospende il filo del racconto e informa i lettori di eventi accaduti in precedenza.

“Erano passati sedici anni, al tempo in cui avvenne quanto narriamo, daquando, in una bella mattina della domenica in Albis, una creatura vivaera stata deposta dopo la messa nella chiesa di Notre-Dame, sulla let-tiera fissata al pavimento del sagrato […]. Su quella lettiera era usoesporre i trovatelli alla carità pubblica. Se li pigliava chi li voleva.Davanti alla lettiera, era disposto un bacile di rame per le elemosine.Quella specie di creatura umana che giaceva sulla detta tavola la matti-na della domenica in Albis dell’anno del Signore 1467 sembrava ecci-tare al più alto grado la curiosità del gruppo piuttosto numeroso che siera affollato intorno alla lettiera, composto in gran parte di donne: vec-chie quasi tutte”.

(Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831)

È il ritrovamento del piccolo Quasimodo, che diventerà il deforme campanaro della cat-tedrale di Parigi. In questa seconda tipologia di analessi, non solo il racconto è in terza persona, ma pergiunta non c’è nessuna persona che ricorda direttamente. È lo scrittore stesso che impo-ne una sosta al racconto, e recupera alcune informazioni che i lettori devono sapere, perpoter meglio capire lo sviluppo della vicenda.

La Prolessi è l’esatto contrario dell’analessi, cioè un salto temporale in avanti. Invece chespostare le lancette della trama all’indietro, lo scrittore anticipa parte degli svolgimentifuturi. Per non svelare troppo di quanto deve ancora accadere, la prolessi spesso è di breveestensione e non completamente esplicita. A volte allude più che esporre.

Come nel caso dell’analessi, l’anticipazione può essere offerta:

a) Dal narratore e dal protagonista:

“La signora Ferrars morì nella notte di giovedì, dal 16 al 17 settembre.Mi vennero a chiamare alle 8 di mattina, venerdì, 17. Non c’era piùniente da fare, era già morta da qualche ora.Quando ritornai a casa, erano appena suonate le nove. Aprii la portad’entrata e indugiai per qualche minuto nel vestibolo per appendere ilcappello e il soprabito. Non voglio con questo dire che in quel momen-to avevo una premonizione degli eventi che si sarebbero verificati nellasettimana successiva. Ma l’istinto mi diceva che qualcosa stava peraccadere.”

(Agatha Christie, L’assassinio di Roger Ackroyd, 1926)

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b) Oppure dall’autore:

“Sei decenni più tardi avrebbe spiegato di quando a tredici anni avevatrovato la propria strada attraversando l’intera storia della letteratura,partendo da fiabe che affondavano le proprie radici nel folklore popo-lare europeo, per passare all’azione drammatica dal semplice intentomorale, e infine approdare a un imparziale realismo psicologico, sco-perto tutto da sola, in una mattina molto speciale durante l’ondata dicaldo del 1935”.

(Ian McEwan, Espiazione, 2001)

Ricapitolando, la differenza tra analessi e prolessi si può sintetizzare in tre punti:

a) Tempo: Memoria del passato (analessi) / proiezione nel futuro (prolessi).b) Dimensioni: una analessi può essere anche molto lunga e comprendere racconti assai

dettagliati, mentre la prolessi è in genere più concisa. c) Chiarezza: l’analessi spiega qualcosa che è avvenuto, dunque chiarifica. La prolessi

annuncia qualcosa che avverrà, dunque di solito mantiene un velo di mistero.

Esiste anche il caso, particolarissimo, in cui prolessi e analessi siano incardinate l’una nel-l’altra:

“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnelloAureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio incui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo eraallora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruitosulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un lettodi pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondoera così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle biso-gnava indicarle col dito”.

(Gabriel Garcia Marquez, Cent’anni di solitudine, 1976)

L’invenzione geniale di Garcia Marquez, in questo che è uno degli inizi più famosi delromanzo contemporaneo, è quella di muoversi contemporaneamente in due direzioniopposte. Il “Molti anni dopo” d’apertura ci informa che l’istante della fucilazione di AurelianoBuendìa è ancora un futuro lontano da quando questa storia comincia. In effetti la scenaarriva dopo ben centoventi pagine. Ma immediatamente i lettori sono anche trascinati nel passato, fino alla remota infanziadel colonnello, che di fronte al plotone d’esecuzione ripensa a quando, da bambino, per laprima volta aveva veduto il ghiaccio. Così, il presente – di cui non sappiamo ancora nulla – viene scavalcato in due direzioni,prima in avanti e poi all’indietro.

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6. L’inizio del racconto

Se il titolo è così importante, molto importante è anche l’inizio di ogni racconto. La primaimpressione del lettore è fondamentale. Un libro che non ci conquista subito, probabil-mente smetteremo di leggerlo e lo sostituiremo con qualcos’altro. Per rapire l’attenzione di chi legge, le strategie sono varie.

6.1. Inizio descrittivo

“Sulla bella costa della riviera francese, a mezza strada tra Marsiglia e ilconfine italiano, sorge un albergo rosa, grande e orgoglioso. Palme defe-renti ne rinfrescano la facciata rosata, e davanti a esso si stende una brevespiaggia abbagliante. Recentemente è diventato un ritrovo estivo di genteimportante e alla moda; dieci anni fa, quando in aprile la clientela ingle-se andava verso il Nord era quasi deserto. Ora molte villette vi si raggrup-pano intorno; ma quando questa storia incomincia, soltanto i tetti di unadozzina di villette marcivano come ninfee in mezzo ai pini ammassati tral’Hôtel des Étrangers di Gausse e Cannes, cinque miglia più in là”.

(Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, 1934)

a) Questo è un esempio tradizionale di inizio descrittivo. Come una inquadratura cine-matografica, la narrazione si apre con una panoramica sullo scenario che ospiterà lastoria, o almeno la sua prima frazione. Nota quanti aggettivi insistono sul fascino esclusivo del luogo: la “bella costa”, l’al-bergo “grande e orgoglioso”, le “palme deferenti”, la “spiaggia abbagliante”. Non stu-pisce che i frequentatori siano “gente importante e alla moda”. Molto probabilmente,lo saranno anche i personaggi del libro ambientato qui. Questo tipo di inizio è frequente nel romanzo ottocentesco: il cinema non esistevaancora, e gli scrittori cercavano di rappresentare nel modo più preciso ai loro lettori iluoghi in cui si svolge la narrazione.

6.2. Inizio narrativo

“Il primo di giugno dell’anno scorso Fontamara rimase per la primavolta senza illuminazione elettrica. Il due di giugno, il tre di giugno, ilquattro di giugno, Fontamara continuò a rimanere senza illuminazioneelettrica. Così nei giorni seguenti e nei mesi seguenti, finché Fontamarasi riabituò al regime del chiaro di luna. Per arrivare dal chiaro di lunaalla luce elettrica, Fontamara aveva messo un centinaio di anni, attra-verso l’olio di oliva e il petrolio. Per tornare dalla luce elettrica al chia-ro di luna bastò una sera.

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I giovani non conoscono la storia, ma noi vecchi la conosciamo. Tuttele novità portateci dai Piemontesi in settant’anni si riducono insommaa due: la luce elettrica e le sigarette. La luce elettrica se la sono ripresa.Le sigarette? Si possa soffocare chi le ha fumate una volta sola. A noi èsempre bastata la pipa”.

(Ignazio Silone, Fontamara, 1930)

b) Un buon esempio di inizio narrativo. Senza indugiare, fin dalla prima frase l’autorecomincia a esporre i fatti. La rivolta della povera gente del Sud contro lo sfruttamento da parte dei nuovi padro-ni dell’Italia unita (i Piemontesi), inizia con un ritorno alle origini. La luce elettrica,che nessuno nel paese di Fontamara pagava, viene tagliata. Osserva la contrapposizione insistita con il chiaro di luna. L’elettricità è un simboloforte del progresso, ma di un progresso che costa, ed è imposto dall’alto. Il disprezzo verso i presunti doni della modernità, sigarette ed elettricità, introduce ilettori al carattere fiero della gente di Fontamara.

6.3. Inizio dialogato

“Che fai? – mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indu-giare davanti allo specchio. – Niente, – le risposi, – mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice.Premendo, avverto un certo dolorino. Mia moglie sorrise, e disse:– Credevo ti guardassi da che parte ti pende.Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda.– Mi pende? A me? Il naso?E mia moglie, placidamente:– Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.”

(Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila, 1926)

c) Un altro tipo che si incontra di frequente: l’inizio dialogato. Invece di rappresenta-re o riassumere la situazione, lo scrittore lascia direttamente parlare i suoi personaggi. Per quanto breve, la scena è cruciale. Da questo minimo scambio di battute, il prota-gonista dell’ultimo romanzo di Pirandello, Vitangelo Moscarda, scopre una piccoladeformità fisica di cui non s’era mai accorto. Tanto basta per mandare in pezzi l’ideache aveva di se stesso. Scoprire che gli altri ci vedono diversi da come noi ci immagi-niamo, porta Moscarda alla perdita della propria identità.

6.4. Inizio sentenzioso

“È verità universalmente riconosciuta che uno scapolo largamenteprovvisto di beni di fortuna debba sentire il bisogno di ammogliarsi.

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Per quanto poco si conoscano, di costui, i sentimenti e le intenzioni,fino dal suo primo apparire nelle vicinanze, questa verità si trova cosìradicata nelle teste delle famiglie circostanti che queste lo consideranosenz’altro come la legittima proprietà dell’una o dell’altra delle lorofigliuole”.

(Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, 1797)

d) Molto spesso, specie nel primo Ottocento, a inaugurare un racconto si incontra uninizio sentenzioso. Cioè l’espressione di una sorta di legge generale. L’autore la mettein rilievo perché il lettore sappia fin dall’inizio qual è il senso della vicenda che va aincominciare.Orgoglio e pregiudizio infatti è un romanzo dominato dal tema del matrimonio. In questo caso il tono sentenzioso è alleggerito dal tocco di ironia da parte di JaneAusten. La scrittrice sorride delle famiglie che considerano ogni scapolo ricco comeuna loro “legittima proprietà”.

6.5. Inizio «in medias res» (o in situazione)

Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con lagonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l’uscio per far-gliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che facevano lecalze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con pre-cauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsi-cura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leoseduto sul divano; un’oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.“Mamma sta vestendosi,” ella disse avvicinandosi “e verrà giù trapoco”.“L’aspetteremo insieme,” disse l’uomo curvandosi in avanti; “vieni quiCarla, mettiti qui.” Ma Carla non accettò questa offerta.

(Alberto Moravia, Gli Indifferenti,1929)

e) Le prime due parole di questo romanzo (“Entrò Carla”) equivalgono all’entrare sullascena di un personaggio a teatro. Ma il breve dialogo tra i due, Carla e Leo, sembra unframmento qualsiasi di una conversazione qualsiasi. È il cosiddetto inizio «in mediasres» (una formula latina che significa “nel mezzo della situazione”).

- Incontriamo la storia già in pieno svolgimento - Carla e Leo si conoscono, siamo noi lettori a non saper niente di loro, né del luogo

in cui si trovano, né del tempo in cui si svolge la vicenda. - L’autore per il momento non ci informa di nulla. Scopriremo ogni cosa solo andan-

do avanti con la lettura. È il tipo di inizio preferito dagli scrittori americani di oggi.Attenti alle esigenze commerciali, questi scrittori di grande successo (come StephenKing, John Grisham, Tom Clancy, Dan Brown) sanno bene che il lettore va cattura-to fin dalla prima pagina. Perciò confezionano i loro romanzi in modo che la “trap-pola” della narrazione scatti subito e il lettore non abbandoni il libro.

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6.6. Inizio con anticipazioni

Sollecitato dal conte Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della bri-gata di scrivere la storia della nostra avventura all’Isola del Tesoro, contutti i suoi particolari, nessuno escluso, salvo la posizione dell’isola, eciò perché una parte del tesoro vi è ancora nascosta, io prendo la pennanell’anno di grazia 17… e mi rifaccio al tempo in cui mio padre tenevala locanda dell’ “Ammiraglio Benbow” e il vecchio uomo di mare dalviso abbronzato e sfregiato da un colpo di sciabola prese per la primavolta alloggio presso di noi.

(Robert Louis Stevenson, L’Isola del Tesoro, 1881)

f) Quando il narratore de L’Isola del tesoro, il più celebre romanzo di Stevenson, iniziaa parlare, tutto è già accaduto. E non se ne fa mistero. Questo è un esemplare iniziocon anticipazioni. Ci viene detto subito che:- c’è stata una “avventura”- si è svolta in un luogo chiamato l’Isola del Tesoro- l’avventura ha coinvolto almeno chi racconta, più “il conte Trelawney”, il “dottor

Livesey” e qualcun altro ancora (“il resto della brigata”). Così il narratore presentasubito per nome i suoi personaggi.

- tutti costoro sono sopravvissuti all’avventura, se hanno spinto il narratore a raccon-tarla

- il tesoro che dà il nome al romanzo, è stato trovato: infatti si tace la posizione del-l’isola “perché una parte del tesoro vi è ancora nascosta”.

Quale fra gli inizi qui riportati ti ha incuriosito di più? Quale ti sembra più efficaceper conquistare il lettore e perché?

Quale tipo di inizio richiede secondo te uno stile scarno ed essenziale?

Quale invece ha bisogno di una scrittura lenta e accurata?

Dov’è che l’autore si preoccupa del lettore e dove invece sembra ignorarlo?

Immagina un possibile sviluppo narrativo per i racconti che cominciano con questiinizi.

Immagina di trasformare in un film o in uno spettacolo teatrale questi testi. Quali visi prestano più facilmente e quali invece meno?

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7. Le sequenze

Ogni racconto o romanzo è composto di “cellule” narrative o unità minori collegate traloro che vengono chiamate sequenze (Come flashback, anche sequenza è un termine diprovenienza cinematografica). Scomporre un testo in tanti nuclei è sempre una violenza che si fa all’unità di un’opera.Però è sempre possibile perché un libro, proprio come un organismo vivente, funzionagrazie alle varie parti che lo compongono. La forma più evidente di organizzazione per grandi sequenze è la suddivisione in capitoli.Ma già un capitolo è una macro-sequenza, e può essere suddiviso a sua volta in sequen-ze più brevi.Lasciare una spaziatura bianca tra due parti di testo segnala spesso l’interruzione di unasequenza. Anche il semplice capoverso e la creazione di un nuovo paragrafo indica uno “stacco” daquanto precedeva. Non esiste un criterio unico per definire dove cominci o dove si concluda una sequenza. Tuttavia i quattro segnali più forti del mutare episodio sono:

a) l’ entrata in scena di un personaggio fino a quel momento assente

Cominciò a salire a passi lenti i gradini disegnati dalla familiare lucedelle torce. Tutto era tranquillo nel cunicolo mentre avanzava a passoregolare e le lunghe torce nelle rastrelliere illuminavano a sufficienza larozza pietra. Raggiunta una porta chiusa in cima alle scale, si fermò adascoltare, avvicinando l’orecchio a una fessura fra le cerniere di ferro.Non udendo alcun rumore, prudentemente aprì uno spiraglio e lanciòun’occhiata verso le sale antiche di Paranor. Aveva raggiunta la suameta. Aprì un po’ di più la porta ed entrò cautamente nel corridoiosilenzioso.La morsa d’acciaio di una scarna mano scura calò sul suo braccio pro-teso e lo sospinse brutalmente avanti.

(Terry Brooks, La spada di Shannara, 1977)

Di chi è “la morsa d’acciaio” che improvvisamente irrompe? Il brano finora mostrava unpersonaggio aggirarsi da solo in un castello in apparenza deserto. Quel che accade segna-la l’arrivo inatteso di una nuova figura, dunque l’inizio di una nuova sequenza. E il fattoche non ne vediamo il viso, ma solo “una scarna mano scura”, aumenta la curiosità e iltimore del lettore.

b) l’uscita di scena di un personaggio fino a quel momento attivo

“Afferra qualcosa!” gridò il druido. “Aggrappati!”Shea tentava inutilmente di aggrapparsi alla ripida parte rupestre, e pro-prio sull’orlo del dirupo riuscì ad afferrarsi a uno spuntone roccioso.“Tieniti forte, Shea !” lo incoraggiava Allanon. “Prendo una corda. Nonmuoverti!”

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Allanon gridò per richiamare gli altri che si erano allontanati sul sentie-ro, ma quale aiuto potessero dargli, Shea non lo seppe mai. Mentre ildruido li chiamava, un secondo tremito scosse la montagna, facendocadere il disgraziato giovane dal suo precario appoggio. Agitando fre-neticamente le braccia e le gambe, cadde a testa in giù nelle acque velo-ci del fiume. Allanon osservava impotente il giovane che cadeva conviolenza, e veniva trascinato via verso est, sobbalzando e sussultandonel fiume come un pezzo di sughero.

(Terry Brooks, La spada di Shannara, 1977)

La sequenza mostra una scena drammatica: c’è un personaggio che rischia di precipitaredal fianco di una montagna. Però quando effettivamente cade, non si schianta sulle roccené svanisce tra gli alberi né affonda in un lago: finisce nelle acque tumultuose di un fiumee viene portato via. L’autore fa chiaramente intendere che Shea è in pericolo, ma non èmorto. Qui il fiume agisce come un mezzo per far uscire di scena un personaggio. E con-clude la sequenza.

c) il verificarsi di un fatto imprevisto, o che comunque modifica la situazione

Menion, che si era volto apprensivamente verso la Spada, vide l’impos-sibile accadere sotto i suoi occhi. Il grande blocco di Triplice Pietra e ilsuo prezioso contenuto cominciarono a tremolare e a svanire davanti aisuoi occhi esterrefatti. In pochi secondi l’intera immagine svanì infumo, poi in una nebbia pesante, e infine nell’aria stessa, finché i cin-que uomini si ritrovarono soli, gli occhi spalancati sul vuoto.“Una trappola, la terza trappola!” ruggì Menion, riprendendosi dallostupore iniziale.Ma alle sue spalle già sentiva l’enorme lastra di roccia oscillare, scric-chiolando e gemendo mentre i cardini arrugginiti cedevano al pesomostruoso. Il giovane si lanciò attraverso la stanza, abbattendosi sullaporta proprio mentre si chiudeva e la serratura scattava con un seccorumore metallico. Crollò lentamente sul pavimento di pietra, il cuoreche gli batteva per il furore e la cocente delusione. Gli altri rimaseroimmobili, disperati, mentre l’esile figura accanto alla porta si nascon-deva il volto fra le mani. L’eco debole ma inconfondibile di una risataecheggiò dalle gelide mura, deridendo la loro follia e la loro amara, ine-vitabile sconfitta.

(Terry Brooks, La spada di Shannara, 1977)

Niente più di un inganno, per giunta dovuto ad un incantesimo, lascia stupefatti e cambiaradicalmente le carte in tavola. Qui i personaggi scoprono – quando è ormai troppo tardi– di essere stati vittima di una trappola. La sequenza del ritrovamento della Spada magi-ca di Shannara sembrava preannunciare la vittoria degli eroi positivi. Invece all’improv-viso tutto si ribalta. La Spada svanisce, e la stanza in cui si trovava diventa una prigione. Le sequenze nel brano sono addirittura due: - La prima termina quando la Spada scompare (vanificarsi del tesoro) - La seconda quando cala la pietra (imprevista reclusione)

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d) il trapasso di luogo o di spazio (dal chiuso all’aperto, dalla notte al giorno ecc.)

Lo stesso mattino che vide Shea e i suoi nuovi compagni alle prese conla terribile verità dello gnomo fuggito con la Spada di Shannara, trovòAllanon e i rimanenti membri della compagnia alle prese con varie dif-ficoltà.

(Terry Brooks, La spada di Shannara, 1977)

Questo è il caso in cui semplicemente lo scrittore abbandona il capo della storia seguitofino a quel momento (“Shea e i suoi nuovi compagni alle prese con la terribile verità dellognomo fuggito”) e ne riprende un altro lasciato in sospeso (“Allanon e i rimanenti mem-bri della compagnia alle prese con varie difficoltà”). A unire i due fili non è nient’altro che il fatto di avvenire in contemporanea. Nello stessomomento in cui da una parte accade il fatto A, dall’altra accade il fatto B. La sequenza slit-ta dal primo al secondo.

Definizione: Per sequenza possiamo intendere una unità narrativa che comprende un episodiocoerente e compiuto

8. Tipi di sequenze

Le sequenze di un testo si possono paragonare agli organi di un essere vivente: sono tanteunità minori che funzionano insieme, connesse tra loro ma autonome. E, proprio come gliorgani, sono diverse le une dalle altre. Analizziamone alcuni esempi:

8.1. Sequenza descrittiva

“Dietro il Parco Paolino e la facciata d’oro di San Paolo il Tevere scor-reva al di là di un grande argine pieno di cartelloni: e era vuoto, senzastabilimenti, senza barche, senza bagnanti, e a destra era tutto irto digru, antenne e ciminiere, col gasometro enorme contro il cielo, e tuttoil quartiere di Monteverde, all’orizzonte, sopra le scarpate, con le suevecchie villette come piccole scatole svanite nella luce. Proprio lì sottoc’erano i piloni di un ponte non costruito con intorno l’acqua sporca cheformava dei mulinelli; la riva verso San Paolo era piena di canneti e difratte”.

(Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, 1957)

a) Ecco una sequenza descrittiva. Nel brano di Pasolini trovi fianco a fianco tre compo-nenti: - Gli elementi della natura (il fiume, i canneti, le fratte)

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- Il paesaggio urbano contemporaneo (gru, antenne e ciminiere, il gasometro)- Lo splendore della Roma del passato (la facciata d’oro di San Paolo)Gli elementi sono come stipati insieme in una visione unica. Ma l’aspetto dominante èl’invasione della città moderna, che degrada tutto il resto (il ponte non è finito, l’acquaintorno ai piloni è sporca, il gasometro è enorme e occupa gran parte del cielo).

8.2. Sequenza narrativa

“Quel giorno l’esercito, dopo aver vinto la battaglia di Ligny, stavamarciando dritto su Bruxelles. Era la vigilia di Waterloo. A mezzogior-no – pioveva ancora a dirotto – Fabrizio sentì qualche colpo di canno-ne. Era felice, non pensava più alla rabbia e alla disperazione che avevaprovato a essere imprigionato ingiustamente. Camminò fino a nottefonda. Incominciava ad avere un po’ di buon senso, adesso, e andò achiedere alloggio in una casa di contadini molto lontana dalla strada. Ilcontadino piangeva, diceva che gli avevano portato via tutto. Fabriziogli diede uno scudo, e quello fece saltar fuori un po’ di avena. […] Andòa dormire nella stalla.Il giorno dopo, un’ora prima dell’alba, Fabrizio era già sulla strada. Afuria di carezze era riuscito a mettere il cavallo al trotto. Verso le cin-que sentì sparare i cannoni. Era l’inizio di Waterloo”.

(Stendhal, La Certosa di Parma, 1839)

b) Una sequenza narrativa si riconosce perché è interamente composta di azioni. Al cen-tro c’è il giovane Fabrizio Del Dongo, protagonista del romanzo. Fabrizio è cresciutosognando grandi battaglie, imprese valorose, e il suo eroe è Napoleone Bonaparte.Quando viene a sapere che Napoleone è tornato a capo del suo esercito, si precipita, dasolo, sui luoghi del conflitto per unirsi all’armata. - Lo scrittore ne sottolinea spesso l’inesperienza di ragazzo (“Incominciava ad avere

un po’ di buon senso, adesso”/ “A furia di carezze era riuscito a mettere il cavallo altrotto”).

- Nello stesso tempo, Stendhal ripete due volte il nome della storica battaglia(“Waterloo”) verso cui Fabrizio sta dirigendosi. Il giovane non sa, a differenza di noilettori, che lo scontro sarà una catastrofe, l’ultima sconfitta di Napoleone.

- Tale contrasto ci fa parteggiare per Fabrizio e aumenta il desiderio di sapere cosa gliaccadrà.

8.3. Sequenza dialogica (o dialogo)

“Salirono in macchina e ripartirono per Amiens. Una sottile pioggiacalda cadeva sui nuovi boschi e sottoboschi stenti, e oltrepassaronograndi pire funerarie di cimeli: proiettili, bombe, granate, elmetti, baio-nette, calci di fucile e cuoio marcio abbandonati alla rinfusa per terra dasei anni. E improvvisamente, dietro una curva, i bianchi coperchi di ungran mare di tombe. Dick chiese allo chauffeur di fermarsi.– C’è quella ragazza; e ha ancora la corona.

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Rimasero a guardarlo mentre scendeva e si avvicinava alla ragazza chestava incerta sul cancello con una corona in mano. Il taxi l’aspettava.Era del Tennessee e aveva i capelli rossi; l’avevano incontrata sul trenoquel mattino, venuta da Knoxville a deporre un ricordo sulla tomba delfratello. Aveva sul viso lacrime di disperazione.– Il Ministero della Guerra deve avermi dato un numero sbagliato – bal-bettò. – È dalle due che cerco, e c’è una tale quantità di tombe.– Allora al vostro posto la poserei su una tomba qualunque, senza guar-dare il nome – la consigliò Dick.– Credete che debba fare così? – Credo che lui avrebbe voluto che faceste così.”

(Francis Scott Fitzgerald, Tenera è la notte, 1934)

c) Malgrado una parte descrittiva iniziale, questa è senz’altro una sequenza dialogica.L’incontro tra due sconosciuti nello sterminato cimitero di Verdun si risolve in pocheparole, sufficienti però a raccontare la tragedia della Prima Guerra Mondiale. - Di fronte al “gran mare di tombe” è impossibile per la ragazza ritrovare quella del

proprio fratello.- L’errore del Ministero permette all’autore di farci capire la cecità dei grandi poteri di

fronte alle tragedie dei singoli. Un soldato caduto è solo il numero di una lapide, faci-le da confondere.

- Per sua sorella invece significa una ricerca interminabile e vana, sottolineata dalle“lacrime di disperazione”.

8.4. Sequenza riflessiva

“Il rumore mi rapiva: il sentire andare tutta la fabbrica come un solomotore mi trascinava e mi obbligava a tenere con il mio lavoro il ritmoche tutta la fabbrica aveva. Non potevo trattenermi, come una foglia diun grande albero scosso in tutti i suoi rami dal vento. La gente non esi-steva più e io pensavo che per quanto nella fabbrica si lavori tutt’insie-me, stretti nei reparti, con le fresatrici su tre file ad intervalli regolari, ecosì i torni e le presse, o tutt’in fila nelle catene di montaggio o nei con-trolli, o si mangi in tanti nella mensa e si viaggi tutti sulle corriere, èdifficile poter avere delle compagnie e degli aiuti dagli altri”.

(Paolo Volponi, Memoriale, 1961)

d) Il narratore del primo romanzo di Paolo Volponi, Memoriale, è un operaio gravementemalato. Negli anni Cinquanta l’Italia si sta industrializzando velocemente, sono gli annidel boom economico. Per raccontare gli effetti delle catene di montaggio e del lavoro infabbrica lo scrittore dà la parola a un personaggio alienato, incapace di vedere la realtà deifatti. Per questo nel libro si trovano molte sequenze riflessive, come quella qui riportata.Nel brano troviamo due piani diversi di lettura:- L’allucinazione dell’operaio affascinato dalla fabbrica (“Il rumore mi rapiva” / Non

potevo trattenermi, come una foglia di un grande albero”)- La solitudine imposta dai ritmi di lavoro e l’impossibilità di avere rapporti umani

(“La gente non esisteva più” / “è difficile poter avere delle compagnie e degli aiutidagli altri”).

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8.5. Sequenza lirica

“Tutta la notte che durò la traversata, mia madre me la fece passare sulponte sopra una sedia a sdraio[…].L’occhio verde di Andromeda9 brillava in cima all’albero maestro. Glianelli cigolavano con voce di uccelli notturni. Una sottile trepidazioneanimava lo scafo. Un tenue nastro di vapore saliva e offuscava le scin-tillanti teorie10 delle divinità e degli eroi, passava tra le costellazioniche rameggiavano11 per il vasto polo e, nero, traversava l’argento dellavia lattea. Nel silenzio soffuso di umido vento, il cuore di Andromeda pulsava conritmo perfetto. Era nell’aria limpidissima una calma animata d’unainquietudine profonda. La marcia all’avventura si andava affermando inmodo sempre più preciso.Quel che di vago, di misterioso emana il maremassime12 se coperto dalla notte, infondeva in me l’angoscia eccitantedel pericolo e della libertà”.

(Alberto Savinio, Tragedia dell’infanzia, 1937)

e) Questo “notturno” sul mare è una tipica sequenza lirica. Tutta l’attenzione si concentrasullo stato d’animo del personaggio, un bambino che per la prima volta attraversa ilmare. La scrittura cerca di comunicare non dei fatti ma delle emozioni. E l’emozione princi-pale qui è la meraviglia. Dunque abbiamo un gran numero di espressioni metaforiche (il motore della navediventa “il cuore” che “pulsava con ritmo perfetto”, il faro in cima all’albero è “l’oc-chio verde”, gli anelli hanno “voce di uccelli notturni”, il cielo notturno è percorsodalle figure degli dei e degli eroi mitologici).

Laboratorio Verifica

9 Andromeda – Èil nome della navesu cui si trova ilnarratore.10 Teorie – Cortei(grecismo).11 Rameggiavano– Le costellazionisi distendono inmille direzioni nelcielo come i ramidi un albero.12 Massime – So-prattutto (latini-smo, da maxime).

Centuria n. 52 GIORGIO MANGANELLI

Il drago, ovviamente, è stato ucciso dal cavaliere. Solo un cavaliere può uccidere un drago – ad esempio, non un militaredi carriera, né un campione sportivo. Ci sono cavalieri che si vantano diaver ucciso più draghi: mentono. Non è nel disegno del mondo consen-tire l’uccisione di più di un drago ad un cavaliere; e a molti anche que-sto è negato; taluno, anzi, viene dal drago abbattuto, prima che questicada sotto i colpi di altro, predestinato cavaliere.Il drago giace trafitto, dissanguato e tuttavia esangue, in mezzo a bisce,rane, conchiglie; codesti animali non mostrano la parentela del drago,ma al contrario la sua totale estraneità. Infatti, il punto che non devesfuggire è che il drago è eterogeneo13 rispetto al luogo della propriamorte, rispetto agli animali, al cielo, e soprattutto rispetto al cavaliere.Dei draghi non si sa molto, ma in genere i cavalieri ignorano anche ilpoco che se ne conosce. Che esistano regioni in cui i draghi dimorano,

13 Eterogeneo –Letteralmente: diun’altra natura.

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regioni lontane e forse tecnicamente inaccessibili, molti credono, e pareverosimile.Da quella regione si allontanano; viaggiano sempre soli: nessuno hamai saputo di una coppia di draghi, una famiglia, due draghi amici. Il drago si dirige verso la propria uccisione. Che si sappia, questo è ilsolo modo di morire consentito ai draghi. Il drago si dirige verso lemura della città, in cui tuttavia non penetra mai; non ha interesse per ivillani, ma cerca cavalieri, giacché solo da uno di questi otterrà lamorte.Talora il drago si apparta in una grotta, se ne fa ricetto14, accumula sassisulla soglia. Il drago emette dalla bocca fuoco: che tiene luogo di favel-la15. Egli ha verosimilmente molte cose da dire, ma la lunga solitudinel’ha reso disavvezzo16, e l’intima fatica esce in lingua di fiamma. Colpisce, in tutta la vicenda del cavaliere e del drago, la assoluta inin-telligenza17 del cavaliere nei confronti del drago. Non ne avverte ledistanze, la solitudine, la grandezza immane e deforme, né decifra isegni del fuoco. Ignora le fatiche che il drago ha voluto affrontare pergiungere puntuale ad un terribile appuntamento.Il cavaliere ignora di essere egli stesso giunto ad un appuntamento. Se, fermo sul suo bel cavallo, poggiasse la lancia al suolo, reggendolapianamente, senza ira e paura, il drago, vedendo delusa la sua brama18

di morte, inizierebbe il colloquio. (da Centuria. Cento piccoli romanzi fiume, Milano, Adelphi 1995)

14 Ricetto –Riparo, tana.15 Che tieneluogo di favella –Che sta al postodella parola.16 Disavvezzo –Non più abituato(a parlare).17 Inintelligenza –Mancanza di com-prensione (dallatino intelligere,che significa com-prendere).18 Brama –Desiderio brucian-te.

FABULA E INTRECCIO

Estrai dal racconto una serie di fatti in forma di brevi proposizioni.

Ordina i fatti secondo una successione cronologica

Osserva se la fabula che hai ottenuto e l’intreccio del racconto - Coincidono - Non coincidono

Ci sono delle analessi (flashback) nel racconto? - Se ritieni di sì, indicale- Se ritieni di no, prova a inserirne qualcuna tu

Ci sono delle prolessi (anticipazioni) nel racconto? - Se ritieni di sì, indicale- Se ritieni di no, prova a inserirne qualcuna tu

L’INIZIO

Quale tipologia di inizio ti sembra vicina a quella del racconto di Manganelli?1

5

4

3

2

1

Esercizi

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Prova a inventare un diverso inizio basandoti sugli esempi che hai letto

LE SEQUENZE

Rileggi il racconto e cerca di individuare le sequenze che lo compongono. (Tieni presente che anche la presenza dei capoversi è significativa)

Indica la tipologia delle sequenze

Quali sono i temi del racconto?

Osserva i tempi verbali. Quasi tutto il racconto è scritto al presente tranne pochefrasi. Per quale motivo l’autore ha usato il presente? Sarebbe possibile raccontare la storia per esempio al passato remoto? In tal caso, cosa cambierebbe?

Prova a immaginare svolgimenti alternativi della storia. 5

4

3

2

1

2

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9. Il protagonista e i personaggi

Gandalf s’interruppe qualche secondo e poi disse con voce lenta egrave: «Questo è l’Anello Sovrano, quello che serve a dominarli tutti.È quell’Unico Anello che Sauron, l’Oscuro Signore, perse molto tempofa, affievolendo di parecchio la propria potenza. Lo desidera più diqualsiasi altra cosa al mondo, ma non deve mai più riaverlo».Frodo rimase muto ed immobile. Il terrore, giganteggiante come unanuvola nera sorta da est per inghiottirlo, sembrava stringerlo in unamorsa. «Quest’anello!», balbettò. «Ma com’è possibile che l’abbia io?»

(John Ronald Reuel Tolkien Il Signore degli Anelli)

Il breve brano qui riportato dal Signore degli Anelli è di grande importanza, perché vi suc-cede un fatto fondamentale: il giovane Frodo Baggins scopre il suo destino. Diventa ilPortatore dell’Anello («Com’è possibile che l’abbia io?»), dunque il protagonista delromanzo.

Abbiamo già detto che una storia si compone di: a) eventi b) tempi c) luoghi d) personaggi

È impossibile pensare a una storia senza dei personaggi. I personaggi si muovono nei luo-ghi, si evolvono nel tempo, compiono o subiscono azioni che sono gli eventi del racconto. Ma che cos’è davvero il protagonista di un racconto? Non è semplicemente la figura che sta più a lungo in scena rispetto a tutte le altre. È piuttosto quel personaggio senza il quale la storia sarebbe completamente differente.

Di solito il protagonista, uomo donna o bambino che sia, è un essere umano. Spesso perònelle fiabe o nei racconti per ragazzi può essere un animale (come il lupo in ZannaBianca – romanzo di Jack London – o i maiali ne La fattoria degli animali – romanzo diGeorge Orwell – o nei film di Rin Tin Tin, o in tanti lungometraggi Disney). Può essere anche un’idea astratta (La Gelosia), o perfino un oggetto. Senza dubbio l’Anello del Potere nel libro di Tolkien è il protagonista tanto quanto Frodo.Tutta la vicenda ruota intorno al possesso dell’Anello. Dunque la scena che abbiamo lettoè ancora più importante, perché mostra l’incontro tra i due protagonisti del libro, Frodo el’Anello.

Se il protagonista è il personaggio di cui non si può fare a meno, ci saranno due tipi divicende:- Quelle in cui il protagonista sorregge la storia da solo. È il caso del naufrago Robinson

Crusoe per oltre metà del romanzo omonimo di Daniel Defoe (1660-1731). Robinsonvive in piena solitudine sulla sua isola fino a quando non incontra l’indigeno che chia-merà Venerdì. Tuttavia questo è un caso piuttosto raro.

2. I personaggi

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- Quelle in cui attorno al protagonista incontriamo altri personaggi, di importanza via viadecrescente. La maggioranza dei racconti appartiene a questo secondo gruppo.

Quelli che hanno un ruolo “forte” nella storia sono i personaggi principali. Accanto aFrodo abbiamo visto lo stregone Gandalf, che è un comprimario, cioè quasi un altro pro-tagonista.Poi ci sono personaggi secondari: agiscono solo in alcune sequenze del racconto. Infine le comparse, cui sono riservate piccole apparizioni.

Il sistema dei personaggi: un esempio di analisi

- Che cos’è quel baraccone? - domandò Pinocchio, voltandosi a unragazzetto che era lì del paese. - Leggi il cartello, che c’è scritto, e lo saprai. - Lo leggerei volentieri, ma per l’appunto oggi non so leggere. - Bravo bue! Allora te lo leggerò io. Sappi dunque che in quel cartelloa lettere rosse come il fuoco c’è scritto: GRAN TEATRO DEI BURAT-TINI... - È molto che è incominciata la commedia? - Comincia ora. - E quanto si spende per entrare? - Quattro soldi. Pinocchio, che aveva addosso la febbre della curiosità, perse ogni rite-gno, e disse senza vergognarsi al ragazzetto, col quale parlava: - Mi daresti quattro soldi fino a domani? - Te li darei volentieri, - gli rispose l’altro canzonandolo, - ma oggi perl’appunto non te li posso dare. - Per quattro soldi, ti vendo la mia giacchetta, - gli disse allora il burat-tino. - Che vuoi che mi faccia di una giacchetta di carta fiorita? Se ci piovesu, non c’è più verso di cavartela da dosso. - Vuoi comprare le mie scarpe? - Sono buone per accendere il fuoco. - Quanto mi dài del berretto? - Bell’acquisto davvero! Un berretto di midolla di pane! C’è il caso chei topi me lo vengano a mangiare in capo! Pinocchio era sulle spine. Stava lì lì per fare un’ultima offerta: ma nonaveva coraggio; esitava, tentennava, pativa. Alla fine disse: - Vuoi darmi quattro soldi di quest’Abbecedario nuovo? - Io sono un ragazzo, e non compro nulla dai ragazzi, - gli rispose il suopiccolo interlocutore, che aveva molto più giudizio di lui. - Per quattro soldi l’Abbecedario lo prendo io, - gridò un rivenditore dipanni usati, che s’era trovato presente alla conversazione. E il libro fu venduto lì sui due piedi. E pensare che quel pover’uomo diGeppetto era rimasto a casa, a tremare dal freddo in maniche di cami-cia, per comprare l’Abbecedario al figliuolo!

(Carlo Collodi, Pinocchio, 1883)

In questa sequenza dialogica di Pinocchio abbiamo sottolineato quattro diverse figure,una per ogni tipo di personaggio:

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- Pinocchio, naturalmente: è il protagonista.- Suo babbo, Geppetto, è uno dei personaggi principali e ricompare lungo l’intero arco

del libro. Qui è assente, ma viene ricordato al termine della scena. - “Un ragazzetto che era lì del paese” è un personaggio secondario. Non ha nome, lo si

incontra soltanto in questo capitolo. Però è molto ben descritto: ci appare come unragazzo astuto, ironico e non privo di cattiveria, dalla battuta sempre pronta. In mezzapagina, Collodi ha creato un carattere che rimane nella memoria.

- Infine, “un rivenditore di panni usati” è una comparsa. Serve soltanto per quell’unicabattuta che pronuncia, e per quell’unico gesto che compie, di comprare l’Abbecedario aPinocchio.

A seconda del loro ruolo, cambia anche il trattamento che lo scrittore riserva ai personaggi.Un abile narratore può raffigurare in maniera assai vivace anche una comparsa. Di normaperò il maggior impegno nella descrizione è dedicato ai caratteri principali.

10. Gli elementi del personaggio

“Il burattinaio Mangiafoco (questo era il suo nome) pareva un uomospaventoso, non dico di no, specie con quella sua barbaccia nera che, auso grembiale, gli copriva tutto il petto e tutte le gambe; ma nel fondopoi non era un cattiv’uomo. Prova ne sia che quando vide portarsidavanti quel povero Pinocchio, che si dibatteva per ogni verso, urlando``Non voglio morire, non voglio morire!’’, principiò subito a commuo-versi e a impietosirsi e, dopo aver resistito un bel pezzo, alla fine nonne poté più, e lasciò andare un sonorissimo starnuto. A quello starnuto, Arlecchino, che fin allora era stato afflitto e ripiega-to come un salcio19 piangente, si fece tutto allegro in viso, e chinatosiverso Pinocchio, gli bisbigliò sottovoce: - Buone nuove, fratello. Il burattinaio ha starnutito, e questo è segno ches’è mosso a compassione per te, e oramai sei salvo. Perché bisogna sapere che, mentre tutti gli uomini, quando si sentonoimpietositi per qualcuno, o piangono o per lo meno fanno finta dirasciugarsi gli occhi, Mangiafoco, invece, ogni volta che s’intenerivadavvero, aveva il vizio di starnutire. Era un modo come un altro, perdare a conoscere agli altri la sensibilità del suo cuore”.

(Carlo Collodi, Pinocchio, 1883)

Di cosa si compone un personaggio?Questa scena di Pinocchio insieme ce lo racconta e ce lo fa vedere: - Abbiamo un nome minaccioso (“Mangiafoco”) - L’aspetto del burattinaio (“quella sua barbaccia nera che, a uso grembiale, gli copriva

tutto il petto e tutte le gambe”), che il narratore stesso definisce “spaventoso”- Poi una azione inattesa: lo starnuto- Dell’azione ci viene data l’interpretazione da Arlecchino (che qui è un personaggio

secondario): “questo è segno che s’è mosso a compassione per te”

19 Salcio – salice.

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- Infine, il narratore offre una spiegazione più generale: ci aveva già anticipato nelleprime righe che Mangiafoco “nel fondo non era poi un cattiv’uomo”. Ora spiega che perlui starnutire è dare un segno della “sensibilità del suo cuore”

Un personaggio è composto esattamente di questi tratti:

a) il suo aspetto b) il suo carattere c) le sue azioni

Non sempre, come proprio Collodi ci spiega, i tratti vanno tutti nella stessa direzione.Mangiafoco appare come un orco terribile, ma poi si commuove facilmente, e sarà inseguito molto generoso con Pinocchio. I tratti sono degli insiemi di elementi. Infatti, l’aspetto di un personaggio principale ècomposto da tanti particolari. Altrettanto il suo carattere. E tante sono le sue azioni nelcorso della storia. Nessuno di questi tre insiemi è indipendente dagli altri. Per comprendere l’unità di un personaggio il lettore deve considerarli tutti insieme.

In questo caso si parla di personaggi a tutto tondo (secondo la definizione di uno scrit-tore inglese, Edward Morgan Foster). Vuol dire che il personaggio è come una statua, ebisogna girarci attorno per vederla tutta, non basta un solo punto di vista.Invece un personaggio piatto (o monodimensionale) è qualcuno in cui i tratti sono pochi,e tutti coerenti. Di solito si tratta dei personaggi secondari. Esempio classico è l’impecca-bile maggiordomo inglese in un romanzo giallo.

11. Presentazione dei personaggi

11.1. Autopresentazione

A) “Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esatta-mente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolareche m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vede-re la parte acquea del mondo. È un modo che io ho per cacciare lamalinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgodi atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scendecome un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accor-go di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompefunebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmen-te ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorreun robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto instrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allo-ra decido che è tempo di mettermi in mare al più presto”.

(Hermann Melville, Moby Dick,1851)

Fin dalla frase iniziale, il lettore capisce di avere di fronte un’autopresentazione: il narra-tore dichiara prima di tutto il suo nome (“Ismaele”). E lo dichiara a noi lettori, come se

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stesse direttamente parlando a un pubblico (“Chiamatemi”). Subito dopo, annuncia la decisione fondamentale da cui prende avvio il romanzo: “pensaidi darmi alla navigazione”. Moby Dick è uno dei più famosi romanzi di mare di tutti itempi, dominato dalla lotta tra il Capitano Achab e la Balena Bianca. Non è tutto. Ismaele ha già dato una prima motivazione per cui ha scelto il mare: bisognodi soldi (“avendo pochi o punti denari in tasca”) e noia (“nulla di particolare che m’inte-ressasse a terra”). Però decide di spiegarsi meglio. E allora scrive una frase lunghissima,in cui descrive gli effetti della sua malinconia crescente. Da qui la volontà di curarla, met-tendosi a navigare. Questo è un tratto del suo carattere. Non tutti pensano che stare a terra provochi malumo-ri. Ma noi da ora sappiamo che per Ismaele è così. L’oceano per lui rappresenta l’evasio-ne dal grigiore della vita di tutti i giorni.

11.2. Presentazione da parte di un altro personaggio

B) “Rimasto nell’angolo dietro la porta, così che lo vedevamo appena,il nuovo era un ragazzo della campagna, sui quindici anni, e più altodi tutti noi. Aveva i capelli tagliati di netto sulla fronte, come unchierico di paese, l’aria giudiziosa e molto impacciata. Benché nonfosse largo di spalle, la giubba di panno verde e bottoni neri dovevastargli tirata nel giro di manica e lasciava apparire, dalle fendituredei risvolti, due polsi rossi avvezzi ad essere nudi. Le gambe, nellecalze turchine, sbucavano fuori dai pantaloni di un colore gialliccio,con le bretelle molto tese. Portava scarpe robuste, malamente lustra-te, fornite di chiodi”.

(Gustave Flaubert, Madame Bovary, 1856)

Siamo in una scuola francese, nell’Ottocento. Nessun lettore ancora sa chi sia il ragazzodi cui si parla in queste righe. La sua presentazione vien fatta da un altro personaggio chesi trova nella medesima aula (“lo vedevamo appena / era più alto di tutti noi”).La tecnica adoperata qui è totalmente diversa: il personaggio è descritto dettagliatamentedall’esterno. - Ha i capelli tagliati come un prete di campagna - Ha l’aria “molto impacciata”- È vestito malamente e in maniera povera - È un ragazzo abituato a vivere all’aria aperta (i polsi sono rossi, cioè abbronzati, e

nell’Ottocento l’abbronzatura era solo di chi lavorava sotto il sole, ossia dei contadini).Non sappiamo ciò che pensa o prova questo ragazzo. Possiamo però dedurlo da quel checi vien fatto vedere di lui. Immaginiamo, per esempio, che sia in imbarazzo perché resta in un angolo dietro laporta.Inoltre, possiamo leggere tra le righe quel che pensa di lui chi lo sta descrivendo. Nonè difficile sentire, nel tono generale del brano, una forma di disprezzo. Sono i dettagli atrasmetterla:

- la pettinatura da chierichetto - la giubba che sta tirata - il colore “gialliccio” dei pantaloni- le scarpe “malamente lustrate”

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Infine, c’è un aspetto ancor più notevole. Ed è che questo ragazzo non ha faccia. L’occhiospietato di chi scrive lo percorre dalla testa ai piedi, dai capelli alle calzature, ma non dicenulla sul suo viso, tranne che ha l’aria “giudiziosa e molto impacciata”. È un modo molto sottile per far capire la sua estraneità rispetto alla classe in cui è appe-na arrivato.

11.3. Presentazione da parte di un narratore esterno

C) “«In un borgo della Mancha», il cui nome non mi viene in mente,non molto tempo fa viveva un cavaliere di quelli con lancia nellarastrelliera, un vecchio scudo, un ronzino magro e un levriero corri-dore. Un piatto più di vacca che di castrato, un tritato di carne fred-da in insalata tutte le sere, frittata coi ciccioli il sabato, lenticchie ilvenerdì, qualche piccioncino in soprappiù la domenica, consumava-no tre quarti della sua rendita. Il resto se ne andava tra un mantellodi fino panno nero, calzoni di velluto per i giorni festivi, con sopra-scarpe della stessa stoffa, e un vestito di lana greggia della miglioreper tutti i giorni. […] L’età del nostro gentiluomo rasentava i cin-quant’anni: era di complessione robusta, asciutto di corpo, magro diviso, molto mattiniero e amante della caccia. […] Bisogna dunque sapere che il suddetto gentiluomo, nei momenti diozio (che erano la maggior parte dell’anno) si dedicava a leggerelibri di cavalleria…”

(Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, 1605)

La terza modalità, la più classica, è quella della presentazione di un personaggio effettua-ta da un narratore esterno alla vicenda. Nel brano appena citato troviamo, tutti insieme, molti tratti del personaggio DonChisciotte:- tratti fisici: robusto, asciutto, magro- tratti anagrafici: quasi cinquant’anni, provinciale (originario di un borgo della Mancia,

nel centro della Spagna)- abitudini: mattiniero ma ozioso, amante della caccia, non veste con abiti vistosi o son-

tuosi - posizione sociale: un “gentiluomo”, però non ricco (cibi frugali e sempre uguali gli con-

sumano quasi tutta la rendita); ha un “vecchio” scudo, il suo cavallo è un “ronzino” edè per giunta “magro”

- caratteri culturali e ideologici: è appassionato di romanzi cavallereschiPer completare il personaggio mancano ancora le sue azioni, ma certo il ritratto è riccoed esauriente.

11.4. Presentazione mista

D) “Fermo davanti alla porta della prigione di Tegel, era libero. Ancoraieri insieme agli altri aveva raccolto patate nei campi dietro al peni-tenziario, vestito da forzato, ora se ne andava attorno con un sopra-

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bito giallo, leggero, gli altri stavano ancora dietro a raccogliere pata-te, lui era libero. Lasciava i tram passargli dinanzi uno dopo l’altroe lui teneva poggiata la schiena alla parete rossa e non si moveva. Ilcustode gli passò dinanzi un paio di volte e gli mostrò il suo tram;ma lui non si moveva. Il momento terribile era venuto (terribile,Franz, perché terribile?). I quattro anni erano passati. I ferrei batten-ti neri della porta, che da un anno egli aveva osservato con crescen-te avversione (avversione, perché avversione?) s’erano chiusi dietroa lui. L’avevano messo fuori”.

(Alfred Döblin, Berlin Alexanderplatz, 1929)

Questa quarta modalità infine la potremmo definire mista: si compone di una presentazio-ne che unisce lo sguardo del narratore esterno e quello del personaggio stesso.Qui abbiamo un uomo che è stato appena rilasciato da un carcere, a Berlino. Il suo impatto con la libertà dopo quattro anni è raffigurato in modo complesso:- Osserva l’uso delle ripetizioni: “era libero” […] “lui era libero” / “e non si moveva” […]

“ma lui non si moveva” / “Ancora ieri insieme agli altri aveva raccolto patate” […] “glialtri stavano ancora dietro a raccogliere patate”.

- Questa tecnica ci mostra l’emozione del personaggio: fatica a rendersi conto che è tuttovero, e ha paura di fronte al mondo fuori dal carcere

- È come se fossimo dentro la sua testa: sentiamo i suoi pensieri e i suoi stati d’animo- C’è però anche un punto di vista descrittivo, che ce lo fa vedere dall’esterno: “ora se ne

andava attorno con un soprabito giallo, leggero”/ “Lasciava i tram passargli dinanzi unodopo l’altro e lui teneva poggiata la schiena alla parete rossa”.

- C’è poi una seconda voce, dentro le due parentesi. Una voce che dialoga con il perso-naggio e lo chiama anche per nome: Franz. In entrambi i casi, la voce “(terribile, Franz,perché terribile?)” […] “(avversione, perché avversione?)” contesta quanto il personag-gio sta pensando, gli chiede spiegazioni.

Questo può significare:- Che si tratti della voce di una parte della sua coscienza, che lo esorta a non aver paura- Oppure che il narratore prenda subito le distanze da lui

Tecniche miste di presentazione dei personaggi sono numerose e sempre diverse da unracconto all’altro. L’esempio scelto dimostra quanto possono arricchire e rendere più cre-dibile un testo.

12. Personaggi statici e personaggi dinamici

“Sotto il tavolo i piedi di Winston facevano certi movimenti convulsi.Non si era mosso dal suo posto, ma mentalmente stava correndo, cor-rendo con straordinaria rapidità, assieme alla folla, di fuori, e urlandofino ad assordarsi. Guardò ancora una volta in alto, verso il ritratto delGran Fratello. Il colosso che aveva conquistato il mondo! La rocciacontro cui le orde dell’Asia si erano accanite invano! Pensò che solopochi minuti prima (sì, solo dieci minuti prima) c’era stata ancora del-l’incertezza, nel suo cuore, mentre si chiedeva se le notizie dal frontesarebbero state di vittoria o di sconfitta. Ah, era assai di più che non lanotizia d’una armata eurasiana distrutta! Molte cose erano cambiate, in

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lui, fin dal primo giorno passato nel Ministero dell’Amore20, ma ilmutamento finale, e indispensabile, il tocco che lo aveva guarito com-pletamente, non era avvenuto prima di quel preciso momento.[…] Winston, sprofondato in un sogno di felicità, non si accorse nem-meno che il bicchierino gli veniva riempito. Non correva, non schia-mazzava più. Era di nuovo nel Ministero dell’Amore, con tutti i suoipeccati perdonati e rimessi, e l’anima candida come la neve. Era sulbanco degli accusati, e confessava tutto, e tradiva e compromettevatutti. […]Guardò su, alla faccia enorme. Gli ci erano voluti quaranta anni perimparare che specie di sorriso era nascosto sotto quei baffi neri. Oh, cheequivoco crudele, e inutile. Oh, quale indocile esilio volontario da quel-l’affettuoso seno. Due lacrime puzzolenti di gin gli sgocciolavano ai latidel naso. Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente siste-mato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo.Amava il Gran Fratello”.

(George Orwell, 1984, 1949)

Questa è la scena di un pentimento. Un grande, definitivo e terribile pentimento. Il ribel-le Winston Smith, cittadino di uno stato totalitario dominato da un dittatore chiamatoGrande Fratello, è stato costretto con la tortura fisica e mentale ad amare il Partito e il suocapo. In questa, che è l’ultima pagina del libro, Winston capisce di “amare” il GrandeFratello. Il fatto che questo cambiamento sia stato estorto non lo rende meno impressionante, anzi.Ed è il cambiamento che qui ci interessa. Nota come il personaggio sia consapevole di essere diventato una persona diversa: - Diverso da com’era nel passato, prima dell’arresto e della “rieducazione” (“Molte cose

erano cambiate, in lui, fin dal primo giorno passato nel Ministero dell’Amore”). - Diverso anche da come si sentiva in quello stesso giorno (“solo pochi minuti prima c’era

stata ancora dell’incertezza, nel suo cuore”)

Sappiamo che esistono personaggi “a tutto tondo” e personaggi “piatti”. Le creature difantasia che popolano i romanzi possono dunque essere complesse - dotate di molti tratti- oppure semplici - con pochi tratti elementari -. Quando si parla di personaggi statici e di personaggi dinamici, si intende proprio lacapacità di “muoversi”, cioè di trasformarsi, nel corso della storia. I personaggi statici di solito non subiscono grandi trasformazioni. La loro psicologia rima-ne abbastanza simile a com’era all’inizio del racconto.Invece i personaggi dinamici, proprio perché sono più ricchi e complicati, presentanoquasi sempre un percorso evolutivo che va di pari passo con l’andamento della loro vicen-da. Come gli uomini nella vita reale, i personaggi imparano da ciò che accade loro, dallepersone che incontrano, dalle occasioni che li segnano. Cambiano d’aspetto, e cambiano nel carattere.

Definizione: Personaggi statici sono quelli che non cambiano i loro tratti nel corso del racconto. Personaggi dinamici sono quelli che si trasformano in seguito alle avventure chevivono.

20 Ministerodell’Amore – Nelromanzo è in real-tà il luogo dove lapolizia del regimetortura gli opposi-tori.

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51Il metodo

“Il 15 settembre 1840, verso le sei del mattino, il Ville-de-Montereau,sul punto di partire, lanciava grosse spire di fumo davanti al quai21

Saint-Bernard. Finalmente la nave partì; e le due rive cominciarono a svolgersi comedue larghi nastri trascinando via la loro processione di magazzini, fab-briche, cantieri. Un giovane di diciott’anni, con i capelli lunghi, se ne stava vicino altimone tenendo un album sotto il braccio. Guardava passare, nella neb-bia, campanili e palazzi di cui non sapeva il nome; a un tratto, conun’ultima occhiata, abbracciò l’Ile Saint-Louis, la Cité, Notre-Dame;poi, mentre Parigi scompariva rapidamente, si lasciò sfuggire un gransospiro. […]Fredric pensava alla stanza dove sarebbe andato a vivere, al soggettod’un dramma, a dei quadri da dipingere, alle sue future passioni. Eraconvinto che la felicità dovuta alle sue doti spirituali fosse già in ritar-do. […]Fu come un’apparizione.Sedeva, tutta sola, al centro della panchina; o almeno, egli non videaltri, abbagliato dagli occhi di lei. Al suo passare, ella alzò la testa. […]Aveva un cappello di paglia, largo, con dei nastri rosa che il vento face-va palpitare. I capelli neri le scendevano in lunghe bande lisce, sfioran-do l’estremità dei grandi sopraccigli, come per serrare teneramente l’o-vale del suo viso. […]Mai aveva visto splendore come quello della sua pelle bruna, né graziapari a quella dei suoi fianchi, né la dolcezza fragile delle sue dita orla-te dalla luce. Contemplava il suo cestino da lavoro con meraviglia,come un oggetto straordinario”.

“Frequentò il mondo, ebbe altri amori. Ma il ricordo invincibile delprimo glieli faceva sembrare insipidi; e poi la violenza del desiderio, laparte alta e viva dei sensi eran perdute. Anche le sue ambizioni intellet-tuali s’erano appassite. Passarono gli anni; l’inattività della mente, l’i-nerzia del cuore erano tanti pesi che doveva portare.Verso la fine di marzo del 1867, al calare della sera, mentre se ne stavasolo davanti al suo scrittoio, una donna era entrata.«Madame Arnoux!»«Fredric!»[…]Quando rientrarono a casa, Madame Arnoux si tolse il cappello. Lalampada posata sulla console illuminò i suoi capelli bianchi. Federicone sentì come un colpo in pieno petto.Per nascondere la sua delusione s’era messo ai suoi piedi, le prese lemani, le disse delle cose tenere.

Laboratorio Verifica

Il primo e l’ultimo incontro con Madame Arnoux GUSTAVE FLAUBERT

21 Quai – banchi-na, molo, maanche lungofiume(francese).

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52 Canone Occidentale - Prosa

[…]Rapita, lei accettava d’essere adorata come la donna che non era più; eFredric, stordito dalle sue stesse parole, cominciava a provare le coseche le andava dicendo.[…]Fredric andava avanti e indietro fumando. Nessuno dei due trovava piùniente da dire. Quando ci si separa, c’è un momento in cui la personaamata è già lontana da noi.La lancetta dell’orologio aveva già superato i venticinque minuti; len-tamente, la signora raccolse per i nastri il suo cappello.«Mio amico, mio caro amico, addio. Non ci rivedremo mai più. È statala mia ultima impresa di donna… Ma con l’anima le starò sempre vici-na. Il cielo la benedica!»E gli posò, come una madre, le labbra sulla fronte.

(Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale, 1869)

A dividere queste due sequenze, ci sono oltre trecentocinquanta pagine di romanzo. Nella finzione della storia, sono trascorsi ventisette anni tra il primo e il secondo brano,ossia tra il primo e l’ultimo incontro di Fredric Moreau con il grande amore della sua vita,Madame Arnoux.Che cosa è successo?Metti a confronto i due brani, che per molti aspetti sembrano quasi speculari, cercando dinotare tutti i dettagli disseminati da Flaubert, ed evidenziati graficamente con delle sotto-lineature.

PRESENTAZIONE E TRATTI:

A) Come appare Fredric nel 1840?- Chi presenta Fredric Moreau al lettore?

a) Egli stessob) Un altro personaggio della storiac) Un narratore esterno

- Quali elementi del suo aspetto vengono messi in evidenza?- Quali elementi del suo carattere traspaiono da quello che vediamo di lui?- Sembra un personaggio incline alla fantasticheria, al romanticismo, o un uomo dagli

interessi concreti, con i piedi per terra?

B) Come appare Madame Arnoux nel 1840?- Chi presenta Madame Arnoux al lettore?

a) Ella stessab) Un altro personaggio della storiac) Un narratore esterno

- Quali elementi del suo aspetto esteriore vengono messi in evidenza?- Riusciamo a farci un’idea della sua interiorità (aspirazioni, interessi, desideri) come

è successo con Fredric, oppure no?

Esercizi

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53Parte prima

C) Come ritroviamo Fredric nel 1867?- Ci sono degli elementi ricorrenti rispetto al passato?- Sembra cambiato? E in cosa?

D) Come ritroviamo Madame Arnoux nel 1867?- Nella figura della donna, ci sono degli elementi ricorrenti rispetto alla sua immagi-

ne passata?

STATICITÀ E DINAMICITÀ:

- In base al confronto tra i brani, Fredric e Madame Arnoux appaiono come due personag-gi statici o dinamici?

- È comunque possibile individuare una componente “statica” e una “dinamica” in loro?

- Prova a immaginare altri possibili svolgimenti della seconda scena, quella dell’ultimoincontro:

- Con minori cambiamenti - Con maggiori cambiamenti

13. Il sistema dei personaggi: ruoli e funzioni

Per capire come è fatto il sistema dei personaggi in un testo narrativo, e cosa sono le fun-zioni, prendiamo un racconto dello scrittore tedesco Heinrich von Kleist (1777-1811),Michael Kohlhaas (1808). È la storia di un uomo comune che subisce prima un torto e poi una lunga umiliazione daparte di un nobile arrogante e dell’aristocrazia tutta. L’uomo cerca invano di ottenere giu-stizia affidandosi alla legge ma i tribunali non lo aiutano. Così, mano a mano che la suaesasperazione cresce, egli suscita una vasta rivolta popolare. Si pone a capo di una bandaarmata e mette a ferro e fuoco il paese sulle tracce del barone e di un intero sistema stata-le corrotto che lo ha offeso. Alla fine sarà catturato e messo a morte.

13.1. Il protagonista

“Sulle rive della Havel viveva intorno alla metà del sedicesimo secoloun mercante di cavalli di nome Michael Kohlhaas, figlio di un maestro,uno degli uomini più retti e insieme più terribili del suo tempo.Quest’uomo non comune avrebbe potuto passate per il modello delbuon cittadino fino ai trent’anni. Possedeva una fattoria in un villaggioche porta ancora il suo nome, e vi campava tranquillamente del propriomestiere, cresceva nel timor di Dio ed educava alla lealtà e al lavoro ifigli che sua moglie gli dava; né v’era uno solo dei suoi vicini che nonavesse da lodare la sua generosità e la sua dirittura […]”.

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54 Parte prima

A) Tra i personaggi di ogni storia abbiamo già detto che ne esiste uno principale, senza ilquale la vicenda non ci sarebbe affatto o sarebbe del tutto diversa. È il protagonista. Qui è appunto il mite Michael Kohlhaas.

Definizione: Il protagonista è il personaggio principale della narrazione.

13.2. L’oggetto del desiderio

“Insomma, il mondo ne avrebbe dovuto benedire la memoria se eglinon avesse ecceduto in una virtù. Il senso della giustizia fece di lui unbrigante e un assassino”.

B) Il protagonista di solito ha un obiettivo. Non si tratta necessariamente dell’obiettivoultimo della sua vita, ma certo è l’obiettivo principale per quella porzione di vita cheviene raccontata. Dunque per lui è molto importante (“il senso della giustizia fece di lui un brigante eun assassino”). Ciò che egli fa per ottenere l’oggetto del desiderio mette in moto la trama: - può essere l’amore per una persona - può essere l’affetto di qualcuno (un figlio verso il padre o un amico) - può essere la ricerca della salvezza da qualcosa o da una minaccia (la protezione di

un testimone da un assassino / la difesa di una città da un’invasione)- può essere il raggiungimento di una determinata condizione sociale (per esempio un

lavoro)- può essere l’inserimento in una comunità (per esempio, per un emigrante)- può essere la scoperta di se stesso (per un giovane che sta crescendo)- può essere una vendetta o la ricerca della giustizia (come nel caso di Michael

Kohlhaas)- può essere la realizzazione di un progetto (la scrittura di un libro / la costruzione di

un’impresa / la fondazione di un regno)- può essere la conquista di un oggetto (come nelle leggende sulla ricerca del Santo

Graal)- può essere la soluzione di un mistero (per esempio la spiegazione di un omicidio)

Definizione: L’oggetto del desiderio è lo scopo a cui punta un personaggio.

13.3. Il destinatario

“Kohlhaas se ne stava ancora lì a districare i crini dei cavalli, rifletten-do su cosa gli convenisse fare in quella situazione, quando improvvisa-mente […] il barone Wenzel von Tronka con uno stuolo di cavalieri,

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55Il metodo

garzoni e cani, di ritorno dalla caccia alla lepre, irruppe nella corte.Quando domandò che fosse accaduto, il castaldo22 prese subito la paro-la e […] svisando odiosamente il fatto, accusò quel sensale23 di cavallidi mettere il campo a rumore perché s’erano usati un po’ i suoi morel-li. E sghignazzando aggiunse che si rifiutava di riconoscerli per suoi. Kohlhaas gridò: «Questi non sono i miei cavalli, signore. Questi non sono i cavalli chevalevano trenta fiorini d’oro! Voglio riavere i miei cavalli sani e bennutriti!»Il barone, sbiancando per un attimo in viso, scese di sella e disse: «Se […] non vuole riprendersi i cavalli, che li lasci. Vieni Gunther!Hans! Venite!» mentre con la mano scuoteva polvere dai calzoni.«Portate vino» gridò ancora quando con i cavalieri fu sotto il portone.Ed entrò in casa. Kohlhaas […] lasciò i cavalli dov’erano, senza più curarsi di loro, balzòsul suo baio24, giurando che avrebbe saputo farsi giustizia, e partì”.

C) Le azioni compiute in una storia per raggiungere l’oggetto del desiderio vanno a riper-cuotersi su un destinatario,vantaggi o svantaggi che siano.In molti casi protagonista e destinatario coincidono. Prendiamo il più classico degliesempi fiabeschi: a) un cavaliere sposa la dama di cui è innamorato; b) l’amore della donna è l’oggetto del desiderio; c) ottenerla in sposa è il coronamento dell’azione del cavaliere. d) dunque il cavaliere (oltre che la dama) riceve vantaggio dalle sue azioni (corteggia

la dama / la sottrae agli altri pretendenti o al marito o alla famiglia / la protegge daipericoli)

Anche nel caso della pretesa di giustizia - come per Michael Kohlhaas - il destinatario èlo stesso protagonista.Come destinatario possiamo avere anche un’altra persona o un principio ideale o unacomunità. Avviene quando il protagonista si mette al servizio di qualcun altro: - l’avvocato che difende un innocente ingiustamente accusato (l’innocente è il destinata-

rio)- il detective che svela il colpevole di un omicidio (lavora per la legge)- l’eroe che difende la sua città dal nemico (combatte per il suo popolo)

Definizione: Il destinatario è colui che riceve le conseguenze dell’operato del pro-tagonista.

13.4. L’antagonista (o gli antagonisti)

“Kohlhaas partì alla volta di Dresda per presentare la sua querela in tri-bunale. Qui, con l’aiuto di un giurisperito che conosceva, stese un ricor-so in cui, dopo una descrizione circostanziata del sopruso che il baroneWenzel von Tronka aveva commesso contro di lui e il suo garzoneHerse, chiedeva che quello fosse punito a norma di legge, che i cavalli

22 Castaldo –L’amministratoredella corte di unsignore, il fattore.23 Sensale –Intermediarionella compraven-dita di prodottiagricoli o di ani-mali. Kohlhaas,appunto. 24 Baio – Cavallodal mantellorosso-bruno con lacoda, la criniera el’estremità dellezampe nere.

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56 Canone Occidentale - Prosa

fossero restituiti allo stato di prima, e il risarcimento dei danni soffertisia da lui che dal suo servo. La causa, infatti, era chiara. Che i cavallifossero stati trattenuti illegalmente gettava una luce decisiva su tutto ilresto”.

D) Ottenere l’oggetto del desiderio non è mai semplice. Di solito perché nella trama tro-viamo almeno un personaggio antagonista. Qui è l’arrogante barone von Tronka, cheha sottratto a Kohlhaas quasi per capriccio i suoi cavalli e non accetta mai di ascoltar-lo né di risarcirlo. L’antagonista svolge una funzione molto importante: è colui che si oppone al protago-nista. Ha mire esattamente opposte alle sue, lo ostacola e lo minaccia, è l’elemento didisturbo che bisogna necessariamente affrontare e superare. - Mentre il protagonista di solito è uno solo, gli antagonisti in una storia possono esse-

re più d’uno.- Possono comparire uno dopo l’altro, per esempio in un racconto impostato su una

serie di prove da superare, oppure tutti insieme. - L’antagonista può essere anche un intero ambiente. Per esempio quando una comuni-

tà fortemente religiosa si schiera contro un suo membro che ne abbia violato i valori.- Infine, se la trama si incentra sulla persecuzione di un antagonista nei confronti del

protagonista, quest’ultimo si configura come vittima. - Non sempre il cosiddetto “eroe” riesce vittorioso.

Definizione: L’antagonista è colui che si oppone al protagonista.

13.5. L’aiutante (o gli aiutanti)

a) “Raccontò quindi a Lisbeth, sua moglie, come s’era svolta tutta lastoria e che cosa c’era sotto, e dichiarò che era deciso ad appellarsialla pubblica giustizia, ed ebbe la gioia di vedere che ella lo confor-tava con tutta l’anima in questo suo proposito. Disse infatti cheparecchi altri viaggiatori, forse meno pazienti di lui, sarebbero pas-sati per quel castello, che sarebbe stata un’opera benedetta porresubito un freno a disordini come quelli, e avrebbe pensato lei a met-tere insieme i fondi necessari per far fronte alle spese del processo”.

b) “Ma passarono mesi ed era vicino a compiersi l’anno, senza che egliricevesse dalla Sassonia neppure una dichiarazione circa la causa dalui intentata, e tanto meno la sentenza. Dopo aver più volte reclama-to presso il Tribunale, chiese al suo avvocato in una lettera confiden-ziale la ragione di un ritardo così eccessivo; e apprese che l’istanza,per un alto intervento, era passata agli atti. Il mercante gli scrisseuna nuova lettera esprimendo il suo stupore e chiedendo ragguagli,e quegli l’informò che il barone Wenzel von Tronka era imparenta-to con due nobiluomini, Heinz e Kunz von Tronka, di cui uno eracoppiere e l’altro addirittura ciambellano presso il Principe”.

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57Il metodo

E) Il protagonista e l’antagonista rappresentano due forze contrapposte. A volte il bene eil male, a volte la giustizia e l’illegalità, a volte le ragioni del corpo e quelle dello spi-rito, e così via. Sempre, comunque, due forze in tensione. E spesso hanno bisogno diaiutanti.

Qui sopra abbiamo riportato due brani perché in essi troviamo: a) Un personaggio aiutante dalla parte del protagonista: la moglie Lisbeth offre prima

conforto e comprensione, poi un concreto aiuto economico al marito;b) Un personaggio aiutante dalla parte dell’antagonista: i due parenti del barone von

Tronka, vicini al Principe. Pur senza che venga detto esplicitamente, appare chiaro checostoro hanno fermato il processo intentato da Kohlhaas (“l’istanza, per un alto inter-vento, era passata agli atti”).

L’aiutante, buono o cattivo che sia, ricopre tanto la funzione di un personaggio principaleche di uno secondario, in base alle esigenze della storia. - L’aiutante può essere il compagno del protagonista o dell’antagonista lungo tutto l’arco

della vicenda (personaggio principale).- Oppure può comparire solo qualche volta a fianco del protagonista o dell’antagonista –

al limite anche una sola volta – e aiutarlo a svolgere un determinato compito, a uscireda una certa situazione, ottenere un qualche risultato (personaggio secondario)

- Se l’aiutante partecipa attivamente alle relazioni tra le persone in un racconto, lo si defi-nisce intermediario. Un servo astuto, un segretario intrigante, un parente curioso, pos-sono costruire rapporti complessi e ambigui tra i personaggi: possono raccontare bugie omezze verità o svelare notizie che dovevano restare segrete. Possono distorcere i fatti otacerli o denunciarli e causare così reazioni che modificano lo svolgimento dell’azione.

Definizione: L’aiutante è colui che viene in aiuto di personaggi più importanti di lui, il prota-gonista o l’antagonista.

13.6. Il destinatore

“Verso mezzogiorno tornò Herse e gli confermò […] che il barone si trovava nel conven-to di Erlabrunn presso la vecchia badessa Antonia von Tronka, sua zia. […]La badessa, bianca come lino, discese la scalinata e con tutte le sue donzelle si gettò aipiedi del suo cavallo. Mentre Herse e Sternbald riducevano all’impotenza il castaldo, cheera senza spada, e lo conducevano prigioniero tra i cavalli, Kohlhaas le chiese dove fosseil barone Wenzel von Tronka; e poiché essa, sciogliendo dalla cintola un grosso mazzo dichiavi, rispondeva «A Wittemberg, degno Kohlhaas» e aggiungeva con voce tremante:«Temi Iddio e non far del male!», Kohlhaas, ricacciato nell’inferno della vendetta inappa-gata, voltò il cavallo ed era lì per gridare «Appiccate il fuoco», quando un terribile fulmi-ne cadde proprio accanto a lui. […]Kohlhaas si placò. Un improvviso e pauroso scroscio di pioggia, che si abbatté sul lastri-co della corte spegnendo le fiaccole, sciolse il dolore nel suo petto infelice; sollevandoappena il cappello davanti alla dama, voltò il cavallo e diede di sprone dicendo:«Seguitemi fratelli, il barone è a Wittemberg!» e lasciò il convento”.

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F) Esiste in alcuni racconti anche un elemento esterno, superiore alle parti in causa, chemuove la vicenda. Può assumere molti nomi, ma in sostanza è sempre lo stesso prin-cipio: nei Promessi Sposi lo incontriamo spesso col nome di Provvidenza, altrove è ilcaso, o la volontà degli Dei o del Fato. Quando in una storia è presente, si manifestaindirizzando gli eventi in un modo o in un altro. È il destinatore. In questo caso l’intervento divino (prima il fulmine, poi la pioggia) impedisce aKohlhaas di dar fuoco al convento dal quale il suo nemico era già scappato.

Definizione: Il destinatore è una forza al di sopra delle parti che guida gli eventi.

Personaggi e funzioni nella teoria di V. J. Propp

Morfologia della fiaba è uno dei grandiclassici del XX secolo nell’indagine delleforme narrative. Lo pubblicò nel 1928 aLeningrado uno studioso del folklore russodi nome Vladimir Jakovlevic Propp (1895-1970), dopo aver raccolto e confrontato peranni un patrimonio composto da centinaiadi fiabe di magia.Propp fu il primo a osservare che nellafiaba ciò che conta sono le azioni: mentre ipersonaggi cambiano dall’una all’altra nar-razione, le azioni rimangono le stesse. Esempre nella stessa sequenza. Ne può man-care qualcuna, ma l’ordine non si sovvertemai.Lo studioso russo isolò trentuno momentidell’azione, e le chiamò funzioni. Tali momenti costituiscono le tappe neces-sarie dello svolgimento di una fiaba. Dunque le «funzioni» non sono nient’altroche l’operato di un personaggio in relazio-ne allo svolgimento della vicenda. Eccol’elenco di Propp:

I. Allontanamento Uno dei membridella famiglia si allontana da casa.

II. Divieto All’eroe è imposto un divieto(o un ordine o un invito).

III. Infrazione Il divieto viene infranto.IV. Investigazione L’antagonista (che

entra in scena ora) cerca di scoprirequalcosa che possa danneggiare l’eroe.

V. Delazione L’antagonista ottieneinformazioni sull’eroe.

VI. Tranello L’antagonista tenta diingannare la vittima per impadronirsidi lei o dei suoi beni.

VII. Connivenza La vittima cade nell’in-ganno e involontariamente favorisceil suo avversario.

Le prime sette funzioni sono una partepreparatoria del racconto.

Da qui comincia l’azione narrativa verae propria.

VIII. Danneggiamento L’antagonista arre-ca un danno a uno dei membri dellafamiglia. Può trattarsi di un rapimen-to, di un furto, di una menomazione,di una maledizione e simili.

VIII b. Mancanza A un membro dellafamiglia manca qualcosa o viene ildesiderio di qualcosa. Questa funzio-ne equivale alla precedente per ilsenso di mancanza o di insufficienza,dunque spesso la fiaba utilizza ol’una o l’altra.

IX. Mediazione La sciagura o mancanzadiventa evidente: si prega l’eroe o glisi ordina di intervenire: lo si manda olo si lascia partire. L’eroe sarà: a) un cercatore (la favola ne segue laricerca)b) una vittima (la favola ne rappre-senta la persecuzione)

X. Inizio della reazione Il cercatoreacconsente o si decide a reagire.

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XI. Partenza L’eroe abbandona la casa.Qui compare il donatore.

XII. Prima funzione del donatore L’eroe èmesso alla prova, interrogato, aggredi-to: sono tutte prove che lo preparano aottenere un oggetto magico (aiutante).

XIII. Reazione dell’eroe L’eroe supera laprova: risponde alle domande, scon-figge un rivale, oltrepassa un limite,presta un servizio.

XIV. Conseguimento del mezzo magico Ilmezzo magico entra in possesso del-l’eroe.

XV. Trasferimento nello spazio L’eroegiunge o viene portato nel luogo dovesi trova ciò che sta cercando.

XVI. Lotta L’eroe e l’antagonista si scontra-no direttamente o si sfidano in abilità.

XVII. Marchiatura All’eroe viene impres-so un marchio. Può essere un segno,una ferita, un oggetto o altro.

XVIII. Vittoria L’antagonista è sconfitto osuperato.

XIX. Rimozione Il danno o la sciagura ini-ziale vengono risarciti. Si ottiene l’og-getto della ricerca. Questo secondoPropp è l’apice della narrazione.

XX. Ritorno L’eroe ritorna indietro.XXI. Persecuzione L’eroe è perseguitato o

inseguito.XXII. Salvataggio L’eroe si salva dal per-

secutore.

Qui - con il fallimento del persecutore -terminano molte fiabe.

Ma la fiaba può anche “ripartire” connuove funzioni dette “di movimento”: altre mancanze, altri antagonisti, altre

prove da superare

XXIII. Arrivo in incognito L’eroe arriva acasa ma non si fa riconoscere.

XXIV. Pretese infondate C’è un falso eroe(l’antagonista) che si attribuisce leimprese dell’eroe.

XXV. Compito difficile All’eroe viene pro-posta una nuova prova da superare (divalore, di abilità o di furbizia).

XXVI. Adempimento L’eroe supera laprova.

XXVII. Identificazione L’eroe viene final-mente riconosciuto grazie anche a unsegno particolare.

XXVIII. Smascheramento Si smaschera ilfalso eroe / antagonista che non riescea superare la stessa prova.

XXIX. Trasfigurazione dell’eroe L’eroecambia d’aspetto, spesso per magia.

XXX. Punizione L’antagonista viene puni-to.

XXXI. Nozze L’eroe ottiene una ricompen-sa, che di solito consiste nel matrimo-nio o nell’ascesa al trono, o entrambe.

Ricapitolando: gli elementi essenziali di unafiaba sono le azioni e ciò che tali azionicomportano all’interno dell’intreccio. I personaggi, per quanto appaiano diversi insuperficie, ricoprono dei ruoli fissi:Il protagonista (o l’eroe) Il personaggioprincipale della storia, quello che la spingeavanti. È sempre caratterizzato in sensopositivo.L’antagonista Colui che si oppone in tuttoe per tutto all’eroe. È sempre caratterizzatoin senso negativo.L’aiutante (o donatore) Colui che viene inaiuto dell’eroe, dopo averlo messo allaprova. Spesso ha poteri magici o possiedeoggetti dai poteri magici. Il mandante Colui che affida all’eroe ilcompito.

Avvertenza: l’analisi di Propp si riferiscesoltanto alle fiabe, e anzi a un insiemeparticolare, le fiabe di magia. Però indivi-duare i personaggi e le «funzioni» narra-tive è possibile in ogni tipo di narrazione. La lezione più importante che si imparada un libro come Morfologia della fiabaè che ogni racconto è una macchina, uncongegno composto di tanti pezzi chedevono incastrarsi tra loro in manierafunzionale.

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60 Canone Occidentale - Prosa

I modi per raccontare una storia sono probabilmente infiniti. Però ci sono due componen-ti che non si possono in nessuna maniera evitare: il tempo e lo spazio.Dello spazio parleremo poi, ora occupiamoci del tempo, vera spina dorsale di ogni narra-zione.

“Il giorno che l’avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5.30 delmattino per andare ad aspettare il bastimento con cui arrivava il vesco-vo. Aveva sognato di attraversare un bosco di higuerones25 sotto unapioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ride-starsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d’uccelli. «Sognavasempre di alberi» mi disse sua madre 27 anni dopo, nel rievocare i par-ticolari di quel lunedì ingrato.”

(Gabriel Garcia Marquez, Cronaca di una morte annunciata, 1981)

Il racconto di Marquez che così incomincia, ci informa di molte cose. Soprattutto, lega idiversi fatti in una precisa relazione di tempi: - un certo Santiago Nasar è stato ucciso- l’ultima giornata della sua vita è cominciata di prima mattina - noi sappiamo già che, qualunque direzione prenda la trama, dalle 5.30 del mattino in poi

Santiago Nasar avrà da vivere solo poche ore, ma non sappiamo quante: potrebbe esse-re stato ucciso a tarda sera, oppure appena uscito di casa. Questa notizia, insieme tantoprecisa eppure tanto vaga, suscita un forte effetto di suspense.

- chi racconta i fatti lo fa ventisette anni dopo l’omicidio, parlando con i testimoni soprav-vissuti (qui per esempio con la madre di Santiago)

Osserva qui come in poche righe troviamo intrecciati: - un fatto lontano, vecchio di quasi trent’anni (l’omicidio)- il presente di chi ricorda (la madre e con lei il narratore)- il presente di Santiago, che si alza ignaro di andare a morire - il passato prossimo (per Santiago) dell’ultimo sogno fatto - un passato ancora più remoto (sempre per Santiago ma anche per sua madre): il fatto che

il figlio “sognava sempre di alberi”.- il futuro immaginato da Santiago per sé: andare al porto per l’arrivo del vescovo

L’arte di raccontare è quella di riuscire a tenere insieme in maniera comprensibile e cre-dibile un numero a volte molto grande di personaggi e fatti diversi. Il filo del tempo èessenziale per legare tutto.La parola “testo”, con cui si indicano le opere di narrativa, deriva dal latino “textus”, chesta a significare appunto “il tessuto”. Cioè una superficie composta di tanti fili annodatiinsieme.

3. Il tempo e lo spazio

14. Il tempo nel racconto

25 Higuerones –Alberi tropicali dilegno duro, usatiper costruireimbarcazioni.

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Per questo si parla del “filo del racconto”.Il tempo in una vicenda comporta: - successione degli eventi naturali - esempio: “Il giorno seguente pioveva a dirotto”

- successione delle azioni umane - esempio: “Scese da cavallo, lo legò a un palo, salutò- alcuni passanti ed entrò nel saloon”

- trasformazione dei personaggi - esempio: “Dopo quell’esperienza non ero più lo stesso”

- trasformazione dei luoghi - esempio: “Per la lunga siccità la valle era diventata - un deserto”

15. La descrizione

Anche la descrizione della perfetta immobilità, per esempio il catalogo di un insieme dioggetti, quella che in pittura si chiama natura morta, in un testo si distende nel tempo:

“La prima porta darebbe in una camera col pavimento ricoperto di unamoquette chiara. Un largo letto inglese ne occuperebbe tutto il fondo. Adestra, ai lati della finestra, due scansie alte e strette conterrebbero alcu-ni libri instancabilmente ripresi, album, carte da gioco, collane, ogget-tini da nulla. A sinistra, un vecchio armadio di quercia e due servimutidi legno e ottone avrebbero di fronte una poltroncina imbottita, ricoper-ta di seta grigia finemente rigata,e un mobile di toeletta. Una portasemiaperta, comunicante con una stanza da bagno, lascerebbe intrave-dere spugnosi accappatoi, rubinetti di ottone a collo di cigno, un gran-de specchio girevole, un paio di rasoi inglesi e i loro astucci di pelleverde, boccette, spazzole dal manico di corno, spugne”.

(Georges Perec, Le cose, 1965)

Il tempo della descrizione si può cogliere chiaramente nel brano qui riportato. Al cinema, lo spettatore riesce ad afferrare e dominare l’immagine cinematografica tuttainsieme con un unico colpo d’occhio. L’interno di una abitazione, come questo, sarebbecontenuto in una sola inquadratura. Invece chi scrive è costretto a presentare gli oggetti uno per volta. Il lettore li scorge manoa mano che li incontra nella lettura. Come se seguisse una telecamera che si muove den-tro le stanze.Ci sono cinque frasi che compongono il brano. Osserva come ogni frase concentra l’atten-zione su uno specifico gruppo di particolari: 1) “La prima porta darebbe in una camera col pavimento ricoperto di una moquette chiara”

(l’occhio del lettore guidato dal narratore è obbligato a posarsi sul pavimento)2) “Un largo letto inglese ne occuperebbe tutto il fondo”

(l’occhio si alza, e scorge il letto e la parete di fondo)3) “A destra, ai lati della finestra, due scansie […]

(panoramica a destra, compare solo una metà della stanza)4) “A sinistra, un vecchio armadio […]

((panoramica a sinistra, compare l’altra metà della stanza)

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5) “Una porta semiaperta […] lascerebbe intravedere […]”(grazie alla porta semiaperta del bagno ci possiamo addentrare nella stanza vicina)

Questo esempio ci dimostra anche che il tempo e lo spazio in un racconto sono legati stret-tamente insieme, spesso dipendono l’uno dall’altro.

16. Tempo della fabula e tempo dell’intreccio

Tra il tempo nel mondo reale e il tempo all’interno di un testo narrativo esiste almeno unadifferenza fondamentale. Il primo è composto di istanti tutti uguali, e non può accelerare né rallentare. Il secondo, ossia il tempo raccontato, può essere invece abbreviato o allungato a piaceredallo scrittore.

16.1. Il tempo abbreviato

“Percorsi nuovi regni, nuovi imperi. Nell’autunno del 1066 militai sulponte di Stamford, non ricordo più se nelle file di Harold, che non tardòa trovare il suo destino, o in quelle dell’infausto Harald Hardrada che siconquistò sei piedi di terra inglese, o poco più. Nel settimo secolodell’Egira, nel sobborgo di Bulaq, trascrissi con lenta calligrafia, in unidioma che ho dimenticato, in un alfabeto che ignoro, i sette viaggi diSinbad e la storia della Città di Bronzo. In un cortile del carcere diSamarcanda ho giocato lungamente agli scacchi. A Bikanir ho profes-sato l’astrologia, e così in Boemia. Nel 1638 mi trovai a Kolozsvár epoi a Leipzig. Ad Aberdeen, nel 1714, mi sottoscrissi ai sei volumidell’Iliade di Pope; so che li lessi con diletto. Intorno al 1729 discussil’origine di quel poema con un professore di retorica, chiamato, credo,Giambattista; le sue ragioni mi parvero inconfutabili. Il quattro ottobredel 1921, il Patna, che mi portava a Bombay, dovette gettàr l’ancor inun porto della costa eritrea. Scesi a terra; ricordai altre mattine, anti-chissime, trascorse anch’esse di fronte al Mar Rosso quand’ero tribunodi Roma e la febbre, la magia e l’inazione consumavano i soldati”.

(Jorge Luis Borges, L’immortale in L’aleph, 1949)

Ecco un esempio macroscopico di quanto abbiamo detto. Il narratore di questo racconto - come dichiarato fin dal titolo – ha il dono dell’immorta-lità. Qui in poche righe egli ripercorre quasi duemila anni di storia, da quando cioè era unsoldato dell’impero romano, fino al 1921. È del tutto evidente che c’è una enorme differenza tra il tempo della fabula (i due mil-lenni vissuti da questo personaggio) e il tempo dell’intreccio (occorrono pochi minuti alnarratore per compilare il suo elenco di ricordi). Nel racconto di Borges il tempo della fabula è immensamente lungo, viceversa il tempodell’intreccio è eccezionalmente breve.

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16.2. Il tempo dilatato

“Pr-prego, entri. Come sta?”. Il direttore si appoggiò con entrambe lemani ai braccioli della poltrona per farsi forza e, mantenendo la testarivolta ai fogli che aveva sul tavolo, fece per alzarsi. Quando fu defini-tivamente in piedi, mi guardò con interesse. Aggirò la scrivania e miraggiunse, tendendomi la mano. Sembrava una presentazione e in effet-ti, da tre anni che lavoravo al giornale, quella era la prima volta cheentravo nel suo ufficio. Con me avevano sempre trattato i marescialli,ogni tanto qualche ufficiale26. Il Colonnello si sprecava per la primavolta.“Stavo pe-pensando a quando ero un giovane cronista come lei, Bauer”,continuò. Muoveva la testa in avanti con impercettibili tremiti ognivolta in cui gli si inceppava in gola l’emissione di una parola. Non erauna vera e propria balbuzie, era piuttosto un tic di linguaggio, un tic cheprobabilmente aveva dovuto nascondere agli inizi della carriera, cor-reggere, forse vincere, ma che ora lasciava correre senza problemi, anzicon una specie di compiacimento, come si mostrano le cicatrici ottenu-te in un combattimento. Voleva semplicemente dire: da questa poltronaposso permettermi di parlare come voglio e tu sei obbligato a capire”.

(Pier Vittorio Tondelli, Rimini, 1986)

Il secondo esempio rappresenta il caso contrario. Qui il tempo di un rapido scambio di bat-tute si dilata in virtù di tre fattori: - la ricchezza di particolari descrittivi: osserva come le prime due frasi scompongono il

semplice gesto del direttore di alzarsi. Tondelli lo analizza in quattro tempi. a) Appoggiarsi ai braccioli b) Continuare a guardare i fogli (il direttore di un giornale è sempre molto impegnato) c) “Fece per alzarsi” d) Essere “definitivamente” in piedi.

- La breve analessi contenuta tra la prima e la seconda battuta del direttore: “Con me ave-vano sempre trattato i marescialli, ogni tanto qualche ufficiale. Il Colonnello si spreca-va per la prima volta”.

- Le riflessioni del protagonista che commenta tra sé prima l’inatteso gesto di vedersitendere la mano, poi il difetto di pronuncia del direttore.

In questo caso il tempo della fabula è molto breve, mentre il tempo dell’intreccio apparelungo e rallentato.

16.3. Il tempo effettivo

- Ehi, galantuomo, dove andate?- Alla città.- Ci sapete dire un po’ che razza di bestia siete?- Io sono… molto… un uomo.

26 I marescialli…qualche ufficiale –Espressione ironi-ca per intendere iredattori, sottopo-sti al direttore delgiornale e superio-ri ai singoli corri-spondenti.

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- Voi siete poco un uomo, di uomo mi sembra non abbiate che le scarpe.- Di dove venite?- Di lassù.- Bel discorso, ehi galantuomo, lo sapete con chi parlate?- Con la scorta del Re.- Meno male, allora le ciarle sono inutili.- Dimandiamogli di che cos’è.- Domandaglielo te imbecille.- Di che cosa siete fatto, signore?- Io sono… molto leggero.- Volevo dire: di quale materia è formato il vostro corpo?- Fumo.- L’avevo detto! Ecco! Ecco! È un uomo di fumo. Un uomo di fumo!

Fumo! Fumo! Fumo!- Taci marmocchio, se non vuoi andare anche te in fumo.- Ma egli ha ragione!- Perché ostinarsi poi?- Non si vede bene tutti?- Fumo! Fumo! Fumo!- Taci…- Ma no che è vero, ha ragione.- A voi sta a cuore la vostra scommessa, ecco.- Come sono belle quelle scarpe!- Tacete…- Ma è inutile, è vero.- Fumo! Fumo! Fumo!- Lo vediamo tutti.- Andiamo a dirlo al Re?- Andiamo a dirlo al Re.- Sì sì, andiamo.- Può aver piacere di vederlo.- Chi sa che cosa dice!- Un uomo di fumo!- Fumo! Fumo! Fumo!

(Aldo Palazzeschi, Il codice di Perelà. 1911)

Questo terzo e ultimo caso presenta una coincidenza perfetta tra tempo della fabula etempo dell’intreccio. Si tratta di una sequenza interamente dialogica, perciò il lettore assiste allo svolgersi deifatti – in questo caso al primo incontro tra gli uomini del Re Torlindao e l’Uomo di FumoPerelà – senza che ci siano né rallentamenti né accelerazioni. Perché non ci sono rallentamenti:Mancano sia le pause descrittive sia i commenti del narratore sia i pensieri dei personag-gi. Tutti questi elementi potrebbero arricchire e dilatare la scena. Abbiamo invece solo unoscambio di battute, come se fossimo a teatro e ascoltassimo degli attori che recitano. Perché non ci sono accelerazioni:Lo scrittore non ha tralasciato le ripetizioni nel dialogo e il battibecco tra i soldati dellaguardia. Palazzeschi riporta ogni parola di questo immaginario incontro, così che noiabbiamo l’impressione di seguirlo interamente, dall’inizio alla fine.

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Avvertenza:Chi costruisce un racconto non è affatto obbligato a limitarsi a una sola di queste tre moda-lità. Di solito gli scrittori le contaminano liberamente, a seconda degli effetti che desideranoottenere.

Definizione: Il tempo della fabula corrisponde alla durata effettiva degli eventi, mentre il tempodell’intreccio si osserva in base alla durata della narrazione.

Al tramonto Ambanelli smetteva di lavorare e andava a sedersi a casacon il figlio del padrone perché voleva imparare a leggere e a scrivere.«Cominciamo dall’alfabeto,» disse il ragazzo che aveva undici anni.«Cominciamo dall’alfabeto.»«Prima di tutto c’è A.»«A,» disse paziente Ambanelli.«Poi c’è B.»«Perché prima e dopo?» domandò Ambanelli.Questo il figlio del padrone non lo sapeva.«Le hanno messe in ordine così, ma voi le potete adoperare come vole-te.»«Non capisco perché le hanno messe in ordine così,» disse Ambanelli.«Per comodità.» rispose il ragazzo.«Mi piacerebbe sapere chi è stato a fare questo lavoro.»«Sono così nell’alfabeto.»«Questo non vuol dire,» disse Ambanelli, «se io dico che c’è prima B epoi c’è A forse che cambia qualcosa?»«No,» disse il ragazzino.«Allora andiamo avanti.»«Poi viene la C che si può pronunciare in due modi.»«Queste cose le ha inventate della gente che aveva tempo da perdere.»Il ragazzo non sapeva più che cosa dire.«Voglio imparare a mettere la firma,» disse Ambanelli, «quando devofirmare una carta non mi va di mettere una croce.»Il ragazzino prese la matita e un pezzo di carta e scrisse “AmbanelliFederico”, poi fece vedere il foglio al contadino.«Questa è la vostra firma.»«Allora ricominciamo da capo con la mia firma.»«Prima c’è A,» disse il figlio del padrone, «poi c’è M.»«Hai visto?» disse Ambanelli, «adesso cominciamo a ragionare.»«Poi c’è B e poi A un’altra volta.»

Laboratorio Verifica

La scoperta dell’alfabeto LUIGI MALERBA

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66 Canone Occidentale - Prosa

«Uguale alla prima?» domandò il contadino.«Identica.»Il ragazzo scriveva una lettera alla volta e poi la ricalcava a matitatenendo con la sua mano quella del contadino.Ambanelli voleva sempre saltare la seconda A che a suo parere non ser-viva a niente, ma dopo un mese aveva imparato a fare la sua firma e lasera la scriveva sulla cenere del focolare per non dimenticarla.Quando vennero quelli dell’ammasso del grano e gli diedero da firma-re la bolletta, Ambanelli si passò sulla lingua la punta della matitacopiativa e scrisse il suo nome. Il foglio era troppo stretto e la firmatroppo larga, ma a quelli del camion bastò “Amban” e forse è per que-sto che in seguito molti lo chiamarono Amban, anche se poco alla voltaimparò a scrivere la sua firma più piccola e a farla stare per intero sullebollette dell’ammasso.Il figlio dei padroni diventò amico del vecchio e dopo l’alfabeto scris-sero insieme tante parole, corte e lunghe, basse e alte, magre e grassecome se le figurava Ambanelli.Il vecchio ci mise tanto entusiasmo che se le sognava la notte, parolescritte sui libri, sui muri, sul cielo, grandi e fiammeggianti come l’uni-verso stellato. Certe parole gli piacevano più di altre e cercò di inse-gnarle anche alla moglie. Poi imparò a legarle insieme e un giornoscrisse “Consorzio Agrario Provinciale di Parma”.Ambanelli contava le parole che aveva imparato come si contano i sac-chi di grano che escono dalla trebbiatrice e quando ne ebbe imparatecento gli sembrò di aver fatto un bel lavoro.«Adesso mi sembra che basta, per la mia età.»Su vecchi pezzi di giornale Ambanelli andò a cercare le parole checonosceva e quando ne trovava una era contento come se avesse incon-trato un amico.

(da Luigi Malerba, La scoperta dell’alfabeto, 1963)

Prova a individuare e isolare nel racconto di Malerba esempi di tutti e tre i rapporti tratempo della fabula e tempo dell’intreccio:

- Dov’è che il tempo della fabula è lungo mentre il tempo dell’intreccio è breve? - In che modo l’autore ha ottenuto questa accelerazione?

- Dov’è che il tempo dell’intreccio è lungo mentre il tempo della fabula è breve?- In che modo l’autore ha ottenuto questo rallentamento?

- Dov’è che il tempo dell’intreccio coincide con il tempo della fabula?- In che modo l’autore ha realizzato la coincidenza?

Che aspetto ha il tempo in questo racconto?a) Lineare e concentrato in un solo episodiob) Lineare con accelerazioni e rallentamenti e vari episodic) Circolare con ritorni indietro (analessi) e spostamenti in avanti (prolessi)

Esercizi

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67Il metodo

Sono presenti delle parti descrittive? Quale funzione temporale hanno?a) Ci sono e conducono comunque avanti la vicendab) Ci sono e servono a recuperare aspetti o vicende del passatoc) Ci sono e approfondiscono il carattere dei personaggi tenendo ferma l’azioned) Non ci sono, il racconto non si ferma mai

Sono presenti sequenze dialogiche?Sono presenti commenti del narratore o altri tipi di digressioni?

17. Il sistema dei tempi verbali

Se il tempo, come abbiamo sottolineato, è così importante in ogni racconto, sarà necessa-rio osservare anche l’uso dei tempi del verbo nella narrazione.Eccone alcuni esempi:

17.1. Il passato remoto

1) “Quando la campana suonò la terza Messer Grande entrò nella stan-za e mi disse che aveva l’ordine di rinchiudermi nei Piombi27. Loseguii. Su un’altra gondola, dopo un giro attraverso piccoli canali,imboccammo il Canal Grande e scendemmo davanti alle prigioni.Dopo aver salito alcune rampe di scale, traversammo il ponte alto ecoperto28 che mette in comunicazione il Palazzo Ducale con le pri-gioni traversando il canale detto Rio di Palazzo. Attraversammo poiuna galleria ed entrammo in una seconda sala dove Messer Grandemi presentò ad un patrizio che, dopo avermi osservato, disse: «Èlui; mettetelo in deposito».

(Giacomo Casanova, Storia della mia fuga dai Piombi, 1787)

27 Piombi - Leterribili prigionidella Repubblicadi Venezia, così

chiamate perchésistemate sotto iltetto del PalazzoDucale, tetto per

l’appunto ricopertoda lastre di piom-bo. A causa del-l’alta conducibilità

termica del metal-lo, erano freddissi-me d’inverno easfissianti d’estate.

28 Il ponte alto ecoperto - Il famo-so Ponte detto deiSospiri.

Come la maggior parte dei racconti, questo brano è scritto al passato remoto. Fa parte di un racconto autobiografico del libertino Giacomo Casanova, e contiene ricor-di di fatti reali, avvenuti circa trent’anni prima: la sua reclusione e poi la sua fuga dallaprigione più temuta e sicura d’Europa, il carcere dei Piombi di Venezia. Di solito, sulla linea del tempo della fabula, si posizionano prima i fatti; in seguito un nar-ratore può raccontarli. Poiché ogni storia, da un semplice aneddoto quotidiano a un intero poema epico, prendeforma dopo gli avvenimenti di cui tratta, la scelta del passato sembrerebbe obbligata.

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2) “Remigio, svegliandosi, sentì ch’era sudato. Un senso di scontento,quasi di rimpianto, gli invadeva l’anima; e, ricordandosi, come unpeso improvviso, che suo padre era stato sotterrato la sera innanzi,richiuse gli occhi; credendo di poter dormire ancora. Ma, sbadiglia-to due o tre volte, andò ad aprire la finestra.Lontano, dalla Montagnola, bubbolava; e le nuvolette primaveriliattraversavano il cielo come se sobbalzassero. Il ciliegio, dinanzialla finestra, aveva messo le foglie; e i tralci delle viti, le gemme. Igrani, d’un pallore quasi doloroso, luccicavano; perché la notte erapiovuto.Tutte queste cose le aveva viste anche i giorni innanzi; ma, quellamattina, capì che gli sarebbero piaciute per la prima volta; e chedoveva amarle, perché non c’era altro per lui.Vestitosi in fretta, scese le scale; evitando di parlare con quelli dicasa; e si trovò con Berto.Il saluto dell’assalariato gli destò simpatia per tutti gli altri; e, per-ché si sentiva arrossire d’essere ormai il padrone, non gli rispose.L’assalariato, credendo che fosse per superbia, gli voltò le spalle; ese n’andò nel campo, fischiettando”.

(Federigo Tozzi, Il podere, 1918)

Questo secondo brano appartiene a un romanzo dello scrittore senese Federigo Tozzi. Quidi realmente avvenuto non c’è nulla, è una normale pagina d’invenzione. Ma anche qui, aparte alcune descrizioni paesaggistiche all’imperfetto, tutti i verbi sono al passato remo-to. Eppure nessun lettore pensa che l’autore stia parlando di fatti avvenuti tanto tempoprima.Infatti il passato remoto è considerato per eccellenza il tempo della funzione narrativa.Esprime quello che si definisce l’aspetto puntuale dell’azione. Cioè il fatto che sia con-clusa, come circoscritta in un punto.Per questo motivo non è necessario che il narratore si riferisca a eventi molto lontani dal-l’oggi, come accade nella conversazione comune (o come nel primo caso fa Casanova). Ciò che il passato remoto segnala ai lettori, piuttosto, è il fatto che siamo in presenza diun racconto. La vera lontananza che rappresenta è quella tra il mondo reale e l’invenzio-ne narrativa.

17.2. L’imperfetto

“Finalmente, la Baronessa!Letteralmente uscita dalle voluttuose pagine del Verga più frivolo emondano, talora ella vestiva di un pallore claustrale29, quasi di un cili-cio30 espiatorio, la sua austerità; e passava le giornate in letture asceti-che, pallida e fiera: il massimo dello chic.Talaltra, invece, fresca come una rosa! Labbro color di rosa, rosee nari-ci frementi di sdegno, insomma tutta rosea sotto il padiglione di vellu-to cremisi, o addirittura più rossa delle fucsie che aveva sul cappellino,quando un’ondata di sangue saliva rapida al viso, una specie di vertigi-ne, e tra gli aranci del giardino, tra le rose canine sempre fiorite, pren-deva volentieri un altro po’ di fragole!

29 Claustrale –Come di unasuora che vivechiusa in un con-vento (dachiostro).30 Cilicio – Uncrudele strumentomedievale di peni-tenza. Si indossa-va sotto le vesti emartoriava lecarni.

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69Il metodo

Era civetta, orgogliosa, egoista, marmo di Carrara dentro e fuori; talquale si vedeva, con quel sorriso glaciale, si diceva avesse spinto al sui-cidio il solo uomo che avesse mai amato, e amato alla follia, un amoreda leonessa, da tigre reale31, da pantera nera, da gattoparda rosa32;aveva tutte le avidità, tutti i capricci, tutte le sazietà, tutte le impazien-ze nervose di una natura selvaggia e d’una civiltà raffinata – era boema,e cosacca, e parigina – e nella pupilla felina corruscavano33 delle bra-mosie indefinite e ardenti mentre stendeva verso il fuoco le mani palli-de e scintillanti di gemme, e fissava in volto gli occhi febbrili, e facevamanovre machiavelliche, e dava uno sguardo circolare sulla folla alballo, e scoppiava in un riso stridente che la faceva tossire e le impor-porava le gote…”

(Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame, 1974)

Questo brano fortemente ironico di Arbasino è invece tutto costruito con verbi all’imper-fetto. Nel ritratto – quasi una caricatura – che ci viene fatto di questa Baronessa, all’autore inte-ressa sottolineare l’aspetto della ripetizione. L’imperfetto è infatti un tempo iterativo (dal latino iterum = due volte) e ci comunica nontanto la dimensione del passato quanto il fatto che una certa cosa si ripresenta sempreuguale. Infatti l’autore non descrive una singola giornata o una singola festa nella quale laBaronessa si comporta in quel modo, ma il suo modo ricorrente di atteggiarsi. Arbasino rende manifesta la sua intenzione anche con degli avverbi di tempo indetermi-nati: “Talora…vestiva…passava […] / talaltra…prendeva…”.

17.3. Il presente indicativo

1) “Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sab-biosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Nonche egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto,perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda.Non sta contemplando, perché per la contemplazione ci vuole untemperamento adatto, uno stato d’animo adatto, e un concorso dicircostanze adatto: e per quanto il signor Palomar non abbia nullacontro la contemplazione in linea di principio, tuttavia nessuna diquelle condizioni si verifica per lui. Infine, non sono «le onde» chelui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare lesensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limi-tato e preciso”.

(Italo Calvino, Lettura di un’onda, in Palomar, 1983)

Ora abbiamo un esempio tutto al presente indicativo. È una modalità di racconto entrata in uso soprattutto nella narrativa contemporanea. Chi

31 Da tigrereale –Allusione a

uno deiromanzi gio-vanili di

GiovanniVerga, Tigrereale (1873).

32Gattopardarosa – Ironica

contamina-zione tra unpersonaggio

dei fumetti, laPantera Rosa, e ilGattopardo, famo-so romanzo diGiuseppe Tomasidi Lampedusa(1896-1957) sulladecadenza dell’a-ristocrazia sicilia-na.33 Corruscavano– Mandavanolampi di luce.

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parla lo fa come se fosse direttamente presente sulla scena e vedesse svolgersi i fattidavanti ai propri occhi. Perciò sulla linea del tempo della fabula, l’attimo in cui le coseaccadono e l’attimo in cui le si riporta vengono a coincidere. Qui l’intento di Calvino è quello di scrivere nella maniera più descrittiva possibile, e ilpresente è il tempo che meglio si adatta alla descrizione: è il tempo della presenza, appun-to. Ma può essere usato anche per ottenere un altro effetto:

2) “L’auto che mi insegue è più veloce della mia; a bordo c’è un uomosolo, armato di rivoltella, buon tiratore, come ho visto dai colpi chemi hanno mancato per pochi centimetri. Nella fuga mi sono direttoverso il centro della città; è stata una decisione salutare; l’inseguito-re è sempre alle mie spalle ma siamo separati da parecchie altremacchine; siamo fermi a un semaforo, in una lunga coda.”

(Italo Calvino, L’inseguimento, in Ti con zero, 1967)

Questa volta è lo stesso protagonista a parlare al presente indicativo, e lo fa con un’otti-ma ragione. Si trova nel bel mezzo dell’azione, con un misterioso assassino che lo stainseguendo per ucciderlo, ma bloccato dentro un ingorgo del traffico. Dunque la storia èin corso e allo stesso tempo forzatamente immobile. La scelta del tempo verbale fatta da Calvino mette noi lettori al fianco del suo protagoni-sta, ci fa entrare nell’intreccio come se lo stessimo vivendo a nostra volta.

Nota bene: Se nel testo avessimo trovato il passato remoto, noi avremmo saputo, fin dalleprime righe, che quella pericolosa avventura era finita bene, e che l’assassino non erariuscito ad uccidere il narratore. Infatti il narratore sarebbe lì, virtualmente davanti a noi,a raccontarcela. Invece in questo modo i lettori non conoscono il futuro, alla pari del protagonista dellastoria.

17.4. Il presente storico

«Dove ha imboscato la grana ‘sta carogna?» dice a voce alta. Ma non articola queste parole, le pensa soltanto, e gli escono in ungroppo dalla gola come uno sputo. È un rantolo.Va da un mobile all’altro. Si spazientisce. Si spezza le unghie nelle sca-nalature. Lacera stoffe. Cerca di recuperare il sangue freddo, si ferma ariprendere fiato e (nel silenzio), in mezzo a oggetti che hanno perdutoogni significato, ora che chi li usava abitualmente non è più, si sente tut-t’a un tratto in un mondo mostruoso, fatto dell’anima dei mobili, dellecose: il panico lo afferra con violenza. Si gonfia come un pallone,diventa enorme, capace di inghiottire il mondo e se stesso insieme, poisi sgonfia. Vuole scappare. Il più lentamente possibile. Non pensa piùal corpo dell’assassinato né al denaro perduto, né al tempo perduto, néall’atto perduto.

(Jean Genet, Notre-Dame-des-Fleurs, 1944)

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Solo in apparenza questo brano si confonde con i due precedenti. Anche qui il tempo ver-bale usato è il presente indicativo, ma stavolta si tratta di un presente storico.Si parla di “presente storico” quando, all’interno di una narrazione al passato remoto,d’improvviso lo scrittore passa all’uso del presente per rendere con maggiore immediatez-za una sequenza particolarmente importante. Di solito il presente storico serve a:- conferire rilievo drammatico (nel nostro esempio, un ladro che fruga in cerca di soldi

nella casa di un anziano dopo averlo ucciso) - aumentare la velocità dell’esposizione (una scena concitata, con molte azioni)

17.5. Il futuro

E) E lui lo interromperà e si metterà a correre, e in quel momento sen-tirà urlare: “Guarda!” e voltandosi di scatto vedrà il colonnello coldito puntato verso il basso, la bocca ancora aperta, e finalmente luisentirà il rumore degli spari, il fitto scrosciare della fucileria pertutta la campagna, e vedrà la lunga fila di giubbe bianche avanzaresui prati allentandosi e tendendosi come una corda mentre dal bosco,una fila dopo l’altra, continueranno a uscire, lente e ostinate, centi-naia di giubbe bianche, e poi il colonnello gli passerà davanti cor-rendo, rotolando, cadendo e rialzandosi per ricominciare a correre,e allora anche lui si metterà a correre trascinato dallo slancio giù perla discesa, e guardando verso il paese vedrà un cavallo senza cava-liere, la sella allentata sotto la pancia, attraversare la piazza quasivolando, le magre gambe legnose aperte in una falcata inverosimileda un capo all’altro della piazza, mentre il colonnello continuerà agridare “Guarda! Guarda!”…

(Emilio Tadini, Le armi l’amore, 1963)

Quest’ultimo esempio, piuttosto singolare, presenta tutti verbi al futuro. È un caso senzadubbio molto raro, ma interessante. Qui l’autore ha voluto rappresentare una sequenzaimmaginata dal protagonista, come in un sogno o in una visione.È possibile e persino facile trasformare la scena in un racconto convenzionale, voltando

tutti i verbi al futuro in passati remoti: “E lui lo interruppe e si mise a correre e in quel momento sentì urlare: “Guarda!” e vol-tandosi di scatto vide il colonnello col dito puntato verso il basso […] ”Però quel che andrebbe perduto è l’aspetto di possibilità trasmesso dal futuro. Nel testo originale c’è una atmosfera vagamente allucinata, da incubo, causata propriodalla scelta dei tempi verbali. Invece nel nostro testo trasformato al passato remoto avrem-mo davanti una normale sequenza d’azione, descritta in maniera serrata.

Definizione:a) Il passato remoto = azione puntuale, conclusa nel passato (“se ne andò”)b) L’imperfetto = azione ripetuta, in corso nel passato (“ogni mattina se ne andava”)c) Il presente = azione in corso nel presente (“se ne va”)d) Il presente storico = azione compiuta nel passato ma vista come presentee) Il futuro = azione immaginata o desiderata nel futuro (“se ne andrà”)

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Prendiamo una porzione più ampia del brano di Jean Genet che hai già letto in precedenza. Analizziamo l’uso dei tempi verbali:

«Dove ha imboscato la grana ‘sta carogna?» dice a voce alta. Ma non articola queste parole, le pensa soltanto, e gli escono in ungroppo dalla gola come uno sputo. È un rantolo.Va da un mobile all’altro. Si spazientisce. Si spezza le unghie nelle sca-nalature. Lacera stoffe. Cerca di recuperare il sangue freddo, si ferma ariprendere fiato e (nel silenzio), in mezzo a oggetti che hanno perdutoogni significato, ora che chi li usava abitualmente non è più, si sente tut-t’a un tratto in un mondo mostruoso, fatto dell’anima dei mobili, dellecose: il panico lo afferra con violenza. Si gonfia come un pallone,diventa enorme, capace di inghiottire il mondo e se stesso insieme, poisi sgonfia. Vuole scappare. Il più lentamente possibile. Non pensa piùal corpo dell’assassinato né al denaro perduto, né al tempo perduto, néall’atto perduto. La polizia deve essere appostata lì vicino. Andarsenealla svelta. Dà una gomitata a un vaso posato su un comò. Il vaso cadee ventimila franchi si spargono graziosamente ai suoi piedi.Aprì la porta senz’ansia, uscì sul pianerottolo, si sporse e guardò, infondo a quel pozzo silenzioso che divide gli appartamenti, la sfera dicristallo sfaccettata e scintillante. Poi, sul tappeto notturno e nell’arianotturna, attraverso un silenzio che è quello degli spazi eterni, scese, digradino in gradino, nell’Eternità.La strada. La vita non è più immonda. Leggero, corre verso un alber-ghetto, che si rivela essere un albergo a ore e prende una camera. Là,per conciliargli il sonno, la notte vera, la notte degli astri, scende a pocoa poco, un fremito d’orrore gli dà la nausea: è il disgusto fisico deiprimi momenti, che l’assassino prova per la sua vittima, e di cui mihanno parlato in molti”.

(Jean Genet, Notre-Dame-des-Fleurs, 1944)

Una volta che hai individuato i vari tempi usati, prova a interpretarne il valore:- Genet usa un unico tempo verbale o li alterna nel corso del racconto?- Puoi suddividere delle sequenze in base all’uso dei tempi?- Secondo te che cosa significa nel brano in questione il passaggio dal presente al passa-

to remoto?- Che cosa significa invece il passaggio dal passato remoto al presente?Trasforma l’uso dei tempi in questo racconto:a) Come cambia l’atmosfera del brano se si usa soltanto il passato remoto?b) È possibile utilizzare qui soltanto l’imperfetto?c) È possibile utilizzare soltanto il presente indicativo?d) Quale ti sembra più adatto al brano, il tempo della presenza o il presente storico?e) Come cambia il tono del brano se lo si volge al futuro?

Esercizi

Laboratorio Verifica

Notre-Dame-des-Fleurs JEAN GENET

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18. La distanza

Ogni volta che leggiamo una storia, in qualche modo vi prendiamo parte. Complice la bra-vura dell’autore, il fascino della trama, la nostra capacità di immedesimarci. E, ancora unavolta, il trattamento del tempo è un elemento cruciale. Confronta queste due favole russe:

Un vecchio, dopo aver raccolto la legna nel bosco, se la caricò sullespalle. Doveva andare lontano con quel carico. Poco dopo, affranto,depose la legna al suolo e disse:«Ah, meglio la morte che questa vita!»La morte accorse.«Eccomi» disse, «Che vuoi da me?»Preso dalla paura, il vecchio le rispose: «Voglio che tu mi aiuti a rimet-termi sulle spalle la mia legna».

(Lev N. Tolstoj, Il vecchio e la morte, da I quattro libri di lettura, 1875)

a) In questo caso il racconto, dopo un minimo antefatto, si risolve tutto nella conversa-zione tra il vecchio e la morte. Non è la morale della favola a interessarci, ma notareche il tempo del racconto e il tempo della lettura coincidono. La conversione del vec-chio, che un istante prima si augurava la morte, avviene in presa diretta davanti a noi.

Due cavalli tiravano ognuno il proprio carro. Il primo cavallo non si fer-mava mai; ma l’altro sostava di continuo. Allora tutto il carico vennemesso sul primo carro. Il cavallo che era dietro e che ormai tirava uncarro vuoto, disse sentenzioso al compagno: «Vedi? Tu fatichi e sudi!Ma più ti sforzerai, più ti faranno faticare».Quando arrivarono a destinazione, il padrone si disse: «Perché devomantenere due cavalli, mentre uno solo basta a trasportare i miei cari-chi? Meglio sarà nutrir bene l’uno, e ammazzare l’altro; ci guadagneròalmeno la pelle del cavallo ucciso!»E così fece.

(Lev N. Tolstoj, I due cavalli, da I quattro libri di lettura, 1875)

b) La seconda favola è concisa quanto la prima, ma a ben guardare si articola in più tappe: - i due cavalli tirano due carri- a causa delle soste di uno, il carico viene spostato tutto all’altro- il cavallo “pigro” apostrofa quello “lavoratore”- i due cavalli, uno carico l’altro libero, continuano fino a destinazione- il padrone a questo punto riflette sull’inutilità del cavallo “pigro”- il padrone fa uccidere il cavallo “pigro”

Ogni tappa ha una estensione temporale che lo scrittore ha semplificato. È una caratteri-stica dello stile fiabesco. Tolstoj ci ha raccontato insomma in poche frasi qualcosa che èavvenuto nell’arco di un tempo più lungo, magari una giornata o in alcune ore. Si poteva verificare anche il procedimento inverso, quello di allungare i passaggi. Peresempio Tolstoj poteva commentare l’avventatezza del cavallo pigro, che crede di rispar-miarsi dalla fatica e invece si condanna a morte.

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Qual è dunque la differenza tra le due favole? È la visibilità del lavoro dell’autore.A) Più l’autore scompare, cioè più si annulla nel resoconto dei fatti, e più il lettore ha la

sensazione di essere vicino a ciò che accade nella storia. Se lo scrittore fosse un regista, diremmo che tende verso lo stile del documentario.Nelle scene interamente dialogate il tempo della fabula, il tempo dell’intreccio e iltempo della lettura si identificano alla perfezione.

B) Al contrario, quanto più l’autore si fa sentire, per esempio inserendo commenti o lun-ghe descrizioni, oppure manipolando il tempo del racconto, tanto più il lettore si trovadistanziato dal racconto stesso.

Perciò nel caso della favola Il vecchio e la morte diciamo che il modo del racconto èmimetico (dal greco mímesis = imitazione). Con “imitazione” si intende una rappresenta-zione il più possibile diretta e immediata delle cose che accadono. Da documentario,appunto.È una tecnica molto usata dai narratori veristi perché riduce al minimo la sensazione cheesista un filtro (l’autore) tra chi legge e la vicenda descritta. Serve insomma ad aumentare l’impressione di realismo.

Nel caso invece della favola I due cavalli il modo del racconto è di tipo diegetico (dalgreco diéghesis = narrazione), perché è più facile riconoscervi l’intervento di colui cheracconta.

Definizione: Si parla di distanza per indicare il rapporto tra il tempo dei fatti raccontati e iltempo del lettore.

19. Durata e ritmo narrativo

Abbiamo più volte paragonato i racconti a dei viaggi, a dei percorsi nel tempo e nello spa-zio in compagnia di una storia. Come qualunque viaggiatore reale, anche un racconto non va sempre alla stessa velocità. Vediamo allora in che modo si individuano la durata del racconto e il ritmo narrativo.

“Aprì la grossa scatola davanti a lui, per dargli soddisfazione, perchéquando un vecchio fa un regalo a una ragazzina che mantiene, è unregalo importante e bisogna che la ragazzina si dimostri felice, e al prin-cipio, quando vide quello che c’era nella grossa scatola, stava già atteg-giando il viso alla scena di gioia, poi non poté, perché l’ombra dei suoiquattro unici paltò34 che aveva avuto nella sua vita era davanti a lei: ilpaltò verde di quando aveva undici anni, ricavato forse da una giaccaragnata35 del padre, e il freddo che conteneva dentro negli implacabiliinverni torinesi; quando l’aveva addosso, sentiva più freddo che senza.E se l’era portato appresso, per non andare in vestina per le stradeghiacciate, fino a quindici anni. Poi il paltò nero, della mamma, quan-do la mamma era andata all’ospedale dei cronici, e non ne era più usci-

34 Paltò –Cappotto.35 Ragnata –Logora, lisa.

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ta; sembrava legno, non scaldava niente e quando sedeva in tram quasifaceva cric. E il paltò marrone fatto con una pezza ottenuta in regalo,meglio in elemosina? Gliel’aveva cucito la zia e sembrava un cartoccio,si vergognava di portarlo, così lungo, melenso e sbilenco. E poi l’altropaltò nero, se l’era comprato da sé, non certo con la paga dello stabili-mento. E poi aveva trovato quel vecchio, gentile, borbonico36, genero-so meridionale che l’aveva portata con sé, e la teneva nascosta in unquartierino vicino a casa sua, deplorevole ma bellissimo vizio segreto,nutrita, ingioiellata, vestita, adorata.«È visone», disse lui, con senile vanità.Lei tirò fuori la pelliccia dalla scatola, un sorriso acre in viso.Adesso, adesso!, il visone, lì a Catania la solare, dove neppure a dicem-bre riusciva a mettere il golf e le calze le davano fastidio, dopo tuttiquegli inverni di freddo e paltò stracci.«Bellissimo», disse acre.

(Giorgio Scerbanenco, Un regalo alla ragazzina, in Il Cinquecentodelitti, 1994)

36 Borbonico –Letteralmente“suddito del regnodei Borboni”, cioèmeridionale.Nell’aggettivoperò è contenutal’allusione a qual-cosa di elegantema passato, fuorimoda.

Malgrado la sua brevità, questo intenso racconto presenta un uso molto variegato del ritmonarrativo. Analizziamolo insieme:

a) C’è prima di tutto il tempo delle azioni compiute. Una sola scena di estensione temporale minima: una ragazza apre un regalo, vede diche si tratta, lo estrae e formula un apprezzamento di circostanza. In tutto, lo scambiodi due battute. Come una cornice, questa scena contiene il racconto nella sua interezza.

b) Dentro la cornice si apre un’articolata analessi della ragazza che riceve il regalo. È una serie di quattro ricordi, quattro momenti del suo passato incasellati insieme, lacui comparsa è causata proprio dal regalo. Il presente svanisce, scalzato dai quattro flash della memoria. Il tempo fa un balzo istantaneo all’indietro.

c) Il filo che unifica i ricordi è l’oggetto-cappotto. Quattro ne ha avuti la ragazza, e quat-tro sono stati i momenti della sua vita che lei rivede. Li rivede uno dopo l’altro, comein un film che scorre a velocità estremamente accelerata. Il movimento all’indietro del tempo si rovescia subito in un moto in avanti.

d) I quattro ricordi non sono tutti trattati alla stessa maniera. Il primo e il secondo paltòsono connessi con le figure dei genitori, con l’infanzia e con la sensazione del freddo. Uno rimanda alla giacca lisa del padre (miseria), l’altro al ricovero della madre (malat-tia e morte). Entrambi vengono descritti e situati entro un arco di tempo. Dagli undiciai quindici anni il primo, dal ricovero della mamma nella “casa dei cronici” alla suamorte il secondo. Le due sequenze trasmettono un’idea di tempo lento e lungo, di ripetizioni umilianti,di un supplizio interminabile: “negli implacabili inverni torinesi; quando l’avevaaddosso, sentiva più freddo che senza. E se l’era portato appresso […] fino a quindicianni […]. Sembrava legno, non scaldava niente e quando sedeva in tram quasi facevacric”. Osserva l’uso degli imperfetti, che sono verbi iterativi, della ripetizione.

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Dal punto di vista dell’azione, non sta accadendo niente. L’azione è in pausa. Noi lettori seguiamo il corso dei ricordi della ragazza.

e) Si tratta comunque di una pausa necessaria a capire la storia e il carattere della prota-gonista. Se avessimo incontrato una descrizione più lunga e dettagliata, con altri aspet-ti marginali della sua infanzia, avremmo avuto una digressione. In un racconto così breve non c’è spazio per digressioni, mentre ne troviamo semprenelle narrazioni più lunghe, specie nei romanzi.

f) Gli altri due paltò ci conducono all’adolescenza e alla giovinezza. Sono segnati anco-ra dal tema della miseria ma soprattutto della vergogna. Il terzo fa vergognare la ragaz-za perché è “melenso e sbilenco”. La vergogna provata a mostrarsi in giro con quel cappotto rimane viva nella mente efa sì che il ricordo imbarazzante scivoli via in fretta. Questo ricordo infatti appare escompare molto più velocemente dei primi due.

g) Il quarto paltò è quasi del tutto taciuto. “L’altro paltò nero, se l’era comprato da sé, noncerto con la paga dello stabilimento”. Questa, all’interno della pausa, è una ellissi, (dal greco élleipsis = mancanza). Il testoci dice abbastanza per farci capire che la ragazza ha ottenuto i soldi vendendosi, ma lofa con un brusco aumento della velocità. Chi ricorda, in questo caso, preme l’accele-ratore della memoria per non vedere. Nel caso più radicale di ellissi, cioè quando un periodo di tempo viene saltato, si diceche il ritmo ha velocità infinita.

h) C’è poi un’ultima sequenza nell’analessi, ed è la più vicina al presente, tanto che vi siricollega. Veniamo a sapere che la ragazza torinese ha conosciuto un anziano signoredi cui ora è l’amante segreta: “E poi aveva trovato quel vecchio […] generoso meri-dionale che l’aveva portata con sé, e la teneva nascosta […] vicino a casa sua […],nutrita, ingioiellata, vestita, adorata”. In una sola frase appaiono condensati molti fatti: l’incontro con il vecchio, la partenzadalla città natale di lei, Torino, per il sud Italia, la nuova sistemazione, una nuova vitafatta di tutto quel che le era sempre mancato. Ha cibo, gioielli, begli abiti, perfino l’a-more. I ricordi mano a mano che si fanno più vicini all’oggi della ragazza scorrono piùveloci. Non hanno la pesantezza dolorosa di quelli d’infanzia né la vergogna di quellidella giovinezza. Questa soluzione è quel che si definisce un riassunto, o sommario.

Definizione: - Scena = il tempo della fabula è uguale al tempo dell’intreccio: ritmo normale- Riassunto / Sommario = il tempo della fabula è maggiore del tempo dell’intreccio:

ritmo accelerato- Pausa = il tempo dell’intreccio è maggiore del tempo della fabula: ritmo rallentato- Digressione = come sopra, il tempo dell’intreccio è maggiore del tempo della fabu-

la: ritmo rallentato- Ellissi = una parte del tempo della fabula viene cancellato/evitato dal tempo dell’in-

treccio: velocità infinita

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37 Scriptorium –In una abbazia erail luogo in cui imonaci copiavanoi libri. 38 Sala capitola-

re – Sala dove siriunivano i reli-giosi addetti a unacattedrale o a unachiesa collegiata.39 Antiquarii –

Monaci studiosidell’antichitàclassica, eruditi.40 Librarii –Monaci addettialla copiatura dei

testi.41 Rubricatori –Monaci che scri-vevano coninchiostro colora-to le maiuscole o

i titoli.42 Miniare –Dipingere leminiature suicodici.

77Il metodo

20. Spazio interno e spazio esterno

L’elemento dello spazio è anch’esso molto importante nella costruzione di un racconto.Però è allo stesso tempo un problema, per ogni scrittore.Che lo spazio nella narrativa sia meno fondamentale del tempo, deriva da un motivo moltopreciso: a ogni testo scritto manca la dimensione visiva, ed è soprattutto attraverso la vistache noi misuriamo le grandezze spaziali. Non solo: sempre grazie alla vista, riusciamo acapire di cosa è riempito lo spazio che ci circonda. Degli oggetti di una stanza, degli albe-ri in un bosco, delle dune in un deserto, delle case in una città, tutto questo è immediata-mente visto e compreso dall’occhio. Invece per ogni narratore la scenografia è un fondale che va allestito a parole, davanti aglispettatori impazienti di vedere come la storia procede. Mostriamo con alcuni esempi come gli scrittori affrontano questo compito.

20.1. Lo spazio interno

“Arrivati al sommo della scala entrammo, per il torrione settentrionale,allo scriptorium37 e quivi non potei trattenere un grido di ammirazione.Il secondo piano non era bipartito come quello inferiore e si offrivaquindi ai miei sguardi in tutta la sua spaziosa immensità. Le volte,curve e non troppo alte (meno che in una chiesa, più tuttavia che in ognialtra sala capitolare38 che mai vidi) sostenute da robusti pilastri, rac-chiudevano uno spazio soffuso di bellissima luce, perché tre enormifinestre si aprivano su ciascun lato maggiore, mentre cinque finestreminori traforavano ciascuno dei cinque lati esterni di ciascun torrione;otto finestre alte e strette, infine, lasciavano che la luce entrasse anchenel pozzo poligonale interno. […] Antiquarii39, librarii40, rubricatori41 estudiosi stavano seduti ciascuno al proprio tavolo, un tavolo sotto cia-scuna delle finestre. […] Ogni tavolo aveva tutto quanto servisse perminiare42 e copiare: corni da inchiostro, penne fini che alcuni monacistavano affinando con un coltello sottile, pietra pomice per rendereliscia la pergamena, regoli per tracciare le linee su cui si sarebbe stesala scrittura. Accanto a ogni scriba stava un leggìo, su cui posava il codi-ce da copiare, la pagina coperta da mascherine che inquadravano lalinea che in quel momento veniva trascritta. E alcuni avevano inchiostrid’oro e di altri colori”.

(Umberto Eco, Il nome della rosa, 1981)

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A) Questa accurata descrizione presenta al lettore, che per la prima volta vi mette piede,lo scriptorium di una abbazia medievale. Qui, tra monaci copisti, Umberto Eco haambientato il suo primo e più famoso romanzo, Il nome della rosa. Abbiamo davanti agli occhi uno spazio interno, un luogo molto vasto ma chiuso. - Il narratore prima ne individua i confini:

a) Il soffitto a voltab) Le pareti c) Le finestre, indicate per posizione e in ordine decrescente di grandezza

- La luce riempie tutto lo spazio- Poi compaiono gli uomini e l’arredamento, colti insieme: i monaci seduti ai tavoli- Infine abbiamo la rappresentazione minuziosa degli oggetti da lavoro su ogni tavolo

Eco procede nella descrizione sempre dal grande al piccolo. Si va dalla “spaziosa immen-sità” dell’intero scriptorium fino alle singole righe di scrittura inquadrate dalla mascheri-na sui codici aperti.Anche i nostri occhi prima individuano le cose più voluminose e centrali per poi metterea fuoco i dettagli e le parti marginali dell’immagine. In questo modo la sua rappresenta-zione dello spazio è molto vivida e realistica perché funziona in maniera simile ai nostrisensi.

20.2. Lo spazio esterno

“Volsi intorno gli occhi e mi ricorderò sempre l’abbagliante piacere equasi lo sbigottimento di maraviglia che ne ricevetti. Aveva43 dinanziun vastissimo spazio di pianure verdi e fiorite, intersecate da grandissi-mi canali simili a quello che avevo passato io, ma assai più larghi e piùprofondi. I quali s’andavano perdendo in una stesa d’acqua assai piùgrande ancora; e in fondo a questa sorgevano qua e là disseminati alcu-ni ponticelli, coronati taluno da qualche campanile. Ma più in là anco-ra l’occhio mio non poteva indovinar cosa fosse quello spazio infinitod’azzurro, che mi pareva un pezzo di cielo caduto e schiacciatosi interra: un azzurro trasparente, e svariato da strisce d’argento che si con-giungeva lontano lontano coll’azzurro meno colorito dell’aria. Era l’ul-tima ora del giorno; da ciò m’accorsi che io doveva aver camminatoassai assai. Il sole in quel momento, come dicono i contadini, si volta-va indietro, cioè dopo aver declinato un fitto tendone di nuvole, trova-va vicino al tramonto un varco da mandare alla terra un ultimo sguar-do, lo sguardo d’un moribondo sotto una palpebra abbassata.D’improvviso i canali, e il gran lago dove sboccavano, diventarono tuttidi fuoco: e quel lontanissimo azzurro misterioso si mutò in un’irideimmensa e guizzolante dei colori più diversi e vivaci. Il cielo fiammeg-giante ci si specchiava dentro, e di momento in momento lo spettacolosi dilatava s’abbelliva agli occhi miei e prendeva tutte le apparenzeideali e quasi impossibili d’un sogno”.

(Ippolito Nievo, Confessioni d’un Italiano, 1867)

43 Aveva – Usoarcaico dell’italia-no che utilizza laforma della terzapersona singolareanche per laprima. Qui sta per“io avevo”.

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B) Il secondo esempio ci mostra uno scrittore alle prese con lo spazio esterno, addirittu-ra con una panoramica che tende all’infinito. Il piccolo Carlo Altoviti, protagonista delromanzo di Nievo, qui è solo un bambino che si è per la prima volta allontanato dalcastello dove vive. La pagina, famosa, è quella del primo incontro con il mare, descrit-to con tutta la meraviglia possibile. Nota che in tutto il brano il bambino non pronuncia mai la parola “mare”, perchéappunto ancora non sa cosa sia lo spettacolo grandioso che ha dinanzi.

Si era in estate, una giornata molto calda. Sulla strada del ritorno a casapassai con mia sorella davanti al portone di un cortile. Non so se leiabbia dato di proposito o per sbadataggine un colpo al portone o seinvece abbia soltanto minacciato con il pugno di farlo e non abbia col-pito niente. Cento passi più in là, lungo la strada maestra che gira a sinistra, comin-ciava il villaggio. Non lo conoscevamo, ma, subito dopo la prima casa, sbucò della genteche ci faceva dei cenni, in segno di amicizia o per metterci in guardia,essa stessa spaventata, piegata dallo spavento. Ci indicava il cortiledavanti al quale eravamo passati e ci rammentava il colpo dato al por-tone. I proprietari del cortile ci avrebbero denunciato, l’inchiesta sareb-be cominciata subito. Io ero molto calmo e tranquillizzai anche mia sorella. Forse lei nonaveva neppure dato il colpo e, se anche lo avesse fatto, in nessun postodel mondo si intenta una causa per questo motivo. Cercai di spiegarloanche a quella gente, la gente mi ascoltò ma si astenne dal dare un giu-dizio. Più tardi disse che non solo mia sorella, ma anch’io, come fratel-lo, sarei stato denunciato. Annuii sorridendo. Tutti noi guardavamoindietro verso il cortile, come quando si osserva lontano una nuvola difumo e si aspetta di vedere la fiamma. E, invero, subito vedemmo deicavalieri entrare nel portone completamente aperto. Si alzò la polvere,velò tutto, luccicavano soltanto le punte delle alte lance. Il gruppo deicavalieri era appena sparito nel cortile, quando sembrò che avesse subi-to girato i cavalli e si fosse diretto verso di noi. Volevo allontanare mia sorella, avrei chiarito tutto da solo. Lei nonvolle lasciarmi solo. Le dissi di andare almeno a cambiarsi d’abito, perpresentarsi a quei signori con un vestito migliore. Alla fine mi ascoltò,e prese la lunga via del ritorno a casa.I cavalieri erano ormai presso di noi, da cavallo domandarono di miasorella. «Momentaneamente non è qui», fu risposto con ansia, «ma verrà piùtardi».

Laboratorio Verifica

Il colpo al portone del cortile FRANZ KAFKA

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La risposta fu accolta quasi con indifferenza; soprattutto sembravaimportante che avessero trovato me.Spiccavano due signori, il giudice, una persona giovane e vivace, e ilsuo silenzioso assistente che veniva chiamato Assmann. Fui invitato aentrare nell’abitazione del contadino. Piano, dondolando la testa, aggiu-standomi le bretelle, mi incamminai sotto gli sguardi taglienti dei signo-ri. Credevo ancora che sarebbe stata sufficiente una parola per liberareme, il cittadino, da quei bifolchi, magari con tutti gli onori. Ma, quan-do ebbi varcata la soglia della casa, il giudice, che era corso avanti e giàmi attendeva, disse: «Quest’uomo mi fa pena». Non c’era dubbio che siriferisse non al mio stato di allora, ma a quel che sarebbe successo. La casa somigliava a una prigione, più che a una casa di contadini.Grandi mattonelle di pietra, pareti scure, interamente spoglie, in unpunto un anello di ferro infisso nel muro e al centro qualcosa, mezzopagliericcio e mezzo tavola operatoria.Potrei mai sentire un’aria diversa da quella del carcere? Questa è lagrossa questione, o piuttosto lo sarebbe, se avessi ancora qualche pos-sibilità di rilascio.

(da: Franz Kafka, Racconti postumi in Tutti i romanzi e i racconti)

Il racconto, come molti altri di Kafka, sembra la trascrizione di un sogno o di addiritturadi un incubo. Per questo il trattamento del tempo e dello spazio è molto particolare.

TEMPO DEL LETTORE, TEMPO DELLA STORIA E TEMPO DELL’INTRECCIO

- Qual è la durata del racconto per il lettore?

- Cerca ora di stabilire la durata effettiva (cioè a livello della fabula) degli avvenimentinarrati:a) Pochi minutib) Poche orec) Alcuni giorni o piùd) Una durata impossibile da determinare

- In che rapporto si trova il narratore con i fatti del racconto?a) Di anteriorità (cioè li immagina / prevede nel futuro)?b) Di posteriorità (cioè li ricorda nel passato)?c) In coincidenza (cioè li osserva nel presente durante il loro svolgersi)?

- Il rapporto del narratore con i fatti rimane stabile o si modifica? Cioè la tua risposta èsempre a) b) o c) per qualunque punto del racconto?

LA DISTANZA

- In quali punti la distanza del testo dal lettore è minore?

Esercizi

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81Il metodo

- In quali punti invece aumenta?- Ci sono sequenze di tipo mimetico e sequenze di tipo diegetico?- Quali sono quantitativamente in maggioranza?

LA DURATA E IL RITMO

- Come ti sembra il ritmo del racconto? a) Rimane costante b) Appare irregolare

- Riesci a trovare nel racconto delle scene, dei riassunti, delle pause e delle ellissi?Evidenziale.

- Vi sono delle parti di dialogo? - Vi sono delle digressioni?

LO SPAZIO

- Isola, sottolineandoli, gli spazi che figurano nel racconto.- Ci sono spazi sia interni che esterni? Quali sono?Evidenziali, magari con colori diver-

si.- Come sono rappresentati gli spazi?

a) Con ricchezza di dettagli b) Con pochi tratti

- Ci sono dei momenti nel racconto in cui lo spazio, e il modo in cui è descritto, assumeun ruolo significativo nella storia?

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Fin qui abbiamo parlato dei vari elementi che compongono le storie: gli eventi, il tempo,lo spazio, i personaggi. C’è un ultimo aspetto, assolutamente necessario perché una narrazione prenda vita, daconsiderare. È il ruolo di chi la storia la racconta.

21.1. L’autore

“L’indomani ero partita per il Vietnam. C’era la guerra in Vietnam e seuno faceva il giornalista finiva prima o poi per andarci. Perché ce lomandavano, o perché lo chiedeva. Io l’avevo chiesto. Per dare a mestessa la risposta che non sapevo dare a Elisabetta, la vita cos’è, perricercare i giorni in cui avevo troppo presto imparato che i morti nonrinascono mai a primavera. Ed ora mi trovavo a Saigon. [...] E pensaiche in quel momento, nel resto del mondo, la polemica infuriava sui tra-pianti del cuore: la gente, nel resto del mondo, si chiedeva se fosse leci-to togliere il cuore a un malato cui restano dieci minuti di respiro perdarlo a un altro malato cui restano dieci mesi di vita, qui invece nessu-no si chiedeva se fosse lecito togliere l’intera esistenza a un interopopolo di creature giovani, sane, col cuore a posto. E l’ira mi avvolsepenetrandomi sotto la pelle, bucandomi fino al cervello, e promisi discrivere questa incoerenza, e da questa incoerenza crebbe un diario perte, Elisabetta. [...] Tu che non sai come la vita sia molto più del tempoche passa fra il momento in cui si nasce e il momento in cui si muore,su questo pianeta dove gli uomini fanno miracoli per salvare un mori-bondo e le creature sane le ammazzano a cento, mille, un milione pervolta”.

(Oriana Fallaci, Niente e così sia, 1969)

Se qualcuno ci domanda, mettendoci di fronte a un romanzo o a un racconto, “chi ha scrit-to questa storia?”, la risposta più logica e immediata è quella di andare a leggere il nomeche figura in copertina, o sopra il titolo. E sarebbe, nella maggioranza dei casi, anche larisposta giusta. Nelle prime pagine del libro-reportage Niente e così sia, la giornalista e scrittrice OrianaFallaci spiega ciò che l’ha spinta a raccontare la sua esperienza di inviata durante la guer-ra del Vietnam.La persona reale che materialmente ha scritto un testo è l’autore. In questo caso, OrianaFallaci.

4. Autore, narratore, punto di vista

21. L’autore e il narratore: “CHI PARLA”

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L’autore

Il nome che compare sulla copertina diun libro o sopra il titolo di un raccontoindica l’autore.Spesso è così, ma possiamo dire con cer-tezza che sia sempre vero?Ecco alcune eccezioni:

A) Il nome che troviamo sopra il titolopotrebbe essere un nome di fantasia. In questo caso l’autore ha usato unopseudonimo. I motivi per cui si usa uno pseudoni-mo sono molti e diversi:

a) A volte l’invenzione di un autorefantasma deriva dalla necessità dinon farsi riconoscere per ragioniideologiche o politiche, per aggi-rare la censura o evitare persecu-zioni.

b) A volte nasce dal desiderio daparte di uno scrittore di dar vita aun personaggio cui attribuire rac-conti diversi da quelli che scrivedi solito. Ci sono stati scrittori, come ilfrancese Stendhal (1783-1842) oil portoghese Fernando Pessoa(1888-1935), o l’argentino JorgeLuis Borges (1899 - 1986), chehanno creato molti autori di fanta-sia a cui attribuivano le loroopere. Addirittura, Stendhal stessoè già uno pseudonimo, perché inrealtà l’autore de Il Rosso e ilNero si chiamava Henry Beyle.

c) A volte nasce come omaggio di unautore a un altro. L’autore di fan-tascienza americano Philip JoséFarmer (1918 - vivente) nel 1974scrisse un romanzo intitolatoVenere sulla conchiglia e lo pub-blicò con lo pseudonimo di

Kilgore Trout. Ebbene, KilgoreTrout era il nome di un personag-gio creato da un altro scrittore difantascienza, Kurt Vonnegut(1923 - vivente). Tutto il libro diFarmer è scritto alla maniera diVonnegut, e la scelta dello pseu-donimo è come un suggerimentoofferto ai lettori per comprendereil legame tra i due testi.

B) Il nome che troviamo sopra il titolopotrebbe coincidere solo in parte conl’autore.

a) Un esempio famoso è quello dellibro Il Milione. Vi sono narrate leavventure di Marco Polo allacorte dell’Imperatore della Cina, equalunque copia del libro reca ilnome di Marco Polo come autore.In realtà il mercante venezianoraccontò soltanto la sua storia,durante la prigionia nelle carcerigenovesi, a un suo compagno dicella, Rustichello da Pisa. Fu poiRustichello - il quale era unoscrittore di romanzi - a mettereper iscritto i ricordi di MarcoPolo.

b) Un altro esempio si ha quando unpersonaggio noto, un campionesportivo o un divo del cinema,decide di pubblicare le propriememorie. Spesso i campioni e idivi non se la cavano altrettantobene con la penna, e allora qual-che professionista della scrittura liaiuta.

Dunque, non sempre l’autore dichiaratoè il reale responsabile di quel che gliviene attribuito.

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21.2. Il narratore

“Io e mia moglie entrammo nella sala. C’era odore di muffa e di umi-dità. Milioni di sorci e di topi si sparpagliarono da tutte le parti, quan-do rischiarammo quei muri che non avevano veduto la luce nel corso diun secolo intero. Quando chiudemmo la porta dietro di noi, soffiò unafolata di vento e agitò dei mucchi di fogli che giacevano negli angoli.La luce cadde su questi fogli e vedemmo dei caratteri antichi e dellefigure medievali. Sulle pareti, rese verdi dal tempo, erano appesi i ritrat-ti degli avi. Essi ci guardavano alteri e arcigni [...]. I nostri passi rim-bombavano per tutta la casa. Ai miei colpi di tosse rispondeva l’eco,quella stessa eco che un tempo aveva risposto ai miei avi...E il vento urlava e gemeva, Nella cappa del camino qualcuno piangevae in questo pianto si sentiva la disperazione. Grosse gocce di pioggiapicchiavano contro le opache e buie finestre e il loro rumore riempivad’angoscia”.

(Anton Cechov, Lo specchio deformante, in Tutti i racconti, 1883)

Qui abbiamo invece un inizio che, per ambientazione e atmosfera, sembra promettere unclassico racconto del terrore, o di fantasmi.Se ora la domanda di sopra suonasse “chi racconta questa storia?”, ci accorgeremmo chenon si tratta della stessa domanda. Perché qui chi racconta la storia è il narratore, cioè un personaggio di fantasia. Un per-sonaggio inventato tanto quanto la vicenda in cui si trova. L’autore è il novelliere e drammaturgo russo Anton Cechov (1860-1904), il narratoreinvece è l’uomo senza nome che vediamo aggirarsi in compagnia della moglie per unavilla aristocratica chiusa da un secolo.È molto raro che l’autore decida di raccontare la storia direttamente. Tanto è vero che ilprimo caso che abbiamo citato non proviene da un testo di finzione, bensì da un diario diguerra. Per lo più l’autore inventa un narratore, che può ricoprire ruoli diversi all’interno del rac-conto. Vediamo quali:

21.3. Narratore interno

I tre esempi che seguono ci presentano vari tipi di narratore interno:

A) “Da molti anni desideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e diAlberto, del professor Ermanno e della signora Olga – e di quantialtri abitavano o come me frequentavano la casa di corso Ercole Id’Este, a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Ma laspinta, l’impulso a farlo veramente, l’ebbi soltanto un anno fa, unadomenica d’aprile del 1957”.

(Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, 1962)

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A) In questo primo caso abbiamo un testimone delle vicende che verranno narrate. Il narratore si presenta come qualcuno che era presente ai fatti. Non parlerà di sé se non in maniera marginale, e lo dice a chiare lettere: “Da molti annidesideravo scrivere dei Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno edella signora Olga –”.

B) “Robert Cohn era stato campione dei pesi medi a Princeton. Nondovete credere che questo come titolo sportivo faccia impressione ame, ma Cohn ci teneva moltissimo. In realtà del pugilato non gliimportava, non gli piaceva affatto, ma l’aveva dolorosamente impa-rato alla perfezione per controbattere la sensazione di inferiorità e ditimidezza che l’essere trattato da ebreo a Princeton gli procurava.C’era un certo intimo conforto nella coscienza di poter mettere aterra chiunque fosse stato insolente con lui, per quanto Cohn, ragaz-zo molto timido e perbene, non facesse mai a pugni tranne che inpalestra”.

(Ernest Hemingway, Fiesta, 1926)

B) Nel secondo caso il narratore si offre come un personaggio tra gli altri della storia. L’uomo di cui ci racconta, Robert Cohn, è un suo amico, ed egli lo tratta da pari a sé:“Non dovete credere che questo come titolo sportivo faccia impressione a me”.

C) “È l’autunno del mio secondo anno a Parigi. Ci sono stato manda-to per una ragione che ancora non sono riuscito a penetrare.Non ho soldi, né risorse, né speranze. Sono l’uomo più felice delmondo. Un anno, sei mesi fa, pensavo di essere un artista. Ora nonlo penso più, lo sono. Tutto quel che era letteratura, mi è cascato didosso. Non ci sono più libri da scrivere, grazie a Dio.E questo, allora? Questo non è un libro. E libello, calunnia, diffama-zione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No, questoè un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’Arte, un calcioalla Divinità, all’Uomo, al Destino, al Tempo, all’Amore, allaBellezza… a quel che vi pare. Canterò per voi, forse stonando unpo’, ma canterò. Canterò mentre crepate, danzerò sulla vostra spor-ca carogna…Per cantare bisogna prima aprire la bocca. Ci vogliono un paio dipolmoni, e qualche nozione di musica. Non occorre avere fisarmo-nica, o chitarra. Quel che conta è voler cantare. E dunque questo ècanto. Io canto”.

(Henry Miller, Tropico del Cancro, 1935)

C) Nel terzo e ultimo caso abbiamo invece il protagonista che assolve la funzione di nar-ratore. Si capisce fin dalle prime righe che sarà lui stesso l’oggetto della vicenda.

In tutti e tre i casi, il narratore si definisce interno perché fa egli stesso parte della vicenda.Il narratore interno utilizza sempre la prima persona singolare.

Avvertenza: Il narratore interno può usare a volte anche la prima persona plurale, per-ché dire “noi” in un racconto equivale a dire “io più altri”.

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21.4. Narratore esterno

I due esempi che seguono ci presentano altrettanti tipi di narratore esterno:

A) “Nessun treno poteva partire se non dopo un attento esame dellalinea. Molti venivano fucilati per rappresaglia, ma ciò non serviva anulla. [...] Il gelido odio s’accrebbe con l’inverno, quel tetro odiosilente, quell’odio fatto di attesa. [...] E l’odio fu profondo negliocchi del popolo, sotto la superficie.E avvenne che il conquistatore fu assediato, che gli uomini del bat-taglione furono soli tra nemici silenziosi e nessuno poteva allentarela sorveglianza per un solo istante. Se lo faceva, scompariva e il suocorpo era sepolto sotto un mucchio di neve. Se andava con unadonna, scompariva e il suo corpo era sepolto sotto un mucchio dineve. Se beveva, scompariva. Gli uomini del battaglione potevanocantare soltanto quand’erano insieme, potevano ballare soltantoinsieme, e il ballo a poco a poco cessò e le loro canzoni erano pienedi nostalgia per la loro casa. I loro discorsi si aggiravano su amici eparenti che li amavano e i loro desideri erano per il tepore e gli affet-ti [...].E gli uomini pensavano sempre a casa. Gli uomini del battaglionefinirono col detestare il luogo che avevano conquistato, ed eranobruschi con la gente e la gente era brusca con loro; e a poco a pocola paura cominciò a insinuarsi negli invasori, una paura che non sene sarebbe andata più, la paura che quella tensione non sarebbe piùcessata, ch’essi non avrebbero più potuto tornare a casa, che un gior-no avrebbero dovuto rifugiarsi sulle montagne come lepri braccate,perché i vinti non abbandonavano mai il loro odio. Le pattuglie dironda, vedendo delle luci, ne erano attratte come da un fuoco; maquando comparivano, le risa si smorzavano, il calore spariva e lagente si mostrava fredda e remissiva. E i soldati, fiutando l’aromadei cibi caldi sulle soglie delle piccole trattorie, ordinavano cibicaldi, per accorgersi poi che vi era stato messo troppo sale o troppopepe”.

(John Steinbeck, La luna è tramontata, 1942)

A) Il brano è tratto da un romanzo ambientato nella Seconda Guerra Mondiale. Le forzein campo sono la resistenza norvegese e gli invasori nazisti. Steinbeck sceglie per questa storia un narratore quasi totalmente impersonale, cheinterviene poco o affatto nella descrizione degli eventi e dei personaggi. Questo narratore vede ogni cosa dall’alto, è come se fosse dappertutto, e conosce i sen-timenti sia degli oppressori che degli oppressi.

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B) “Nozdriòv era, sotto molti aspetti, un uomo poliedrico, vale a direun uomo pronto a qualsiasi cosa44. In un medesimo momento vi pro-poneva di partire per qualunque destinazione, fosse pure in capo almondo, di lanciarvi in qualunque altra impresa, cambiare qualunquecosa con qualsiasi altra, a vostra volontà, un fucile, un cane, uncavallo, tutto poteva essere oggetto di scambio, non per guadagnar-ci sopra ma per una certa irrequieta versatilità e arditezza di caratte-re. Se alla fiera gli capitava la fortuna di imbattersi in un sempliciot-to e di pelarlo al gioco, andava a comperare mucchi di tutto quel cheaveva poco prima visto nelle vetrine: collari per cavalli, profumi dabruciare, fazzoletti per la bambinaia, uno stallone, uva passa, unbacile d’argento, tela d’Olanda, semolino, tabacco, pistole, aringhesalate, quadri, una macchina per arrotolare vasi, stivali, un serviziodi Faenza, finché gli bastavano i soldi. Del resto, accadeva di radoche tutte queste cose arrivassero fino a casa: quasi nello stesso gior-no tutto passava nelle mani di un altro più fortunato giocatore equalche volta vi si aggiungeva anche la sua pipa personale, con laborsa del tabacco e il bocchino [...] . Così era Nozdriòv! Forse i let-tori lo giudicheranno un carattere superato, diranno che di Nozdriòv,ora, non ne esistono più. Ahimè, non saranno nel giusto coloro chediranno siffatte cose. Per un bel pezzo ancora Nozdriòv non scom-parirà dal nostro mondo; è dappertutto fra di noi e, forse, porta sol-tanto un’altra giacca: ma la gente è leggera e superficiale: un uomocon un’altra giacca le sembra un uomo diverso.

(Nikolaj Gogol’, Le anime morte, 1842)

B) Nel secondo caso abbiamo un narratore molto più presente. Fin dall’inizio della presentazione di Nozdriòv, chi parla utilizza l’arma dell’ironia.Ma, soprattutto, dialoga con il lettore, lo rende partecipe della sua opinione, fa deicommenti e delle digressioni: “Forse i lettori lo giudicheranno un carattere superato”/ “Ahimè, non saranno nel giusto coloro che diranno siffatte cose” / “la gente è legge-ra e superficiale”.

In entrambi i casi, il narratore esterno non fa parte della storia che racconta. Utilizza sempre la terza persona, singolare o plurale.

Per concludere, segnaliamo un caso particolare:

“Tu non sei esattamente il tipo di persona che ci si aspetterebbe di vede-re in un posto come questo a quest’ora del mattino. E invece eccoti qua,e non puoi certo dire che il terreno ti sia del tutto sconosciuto, anche sei particolari sono confusi. Sei in un nightclub e stai parlando con unaragazza rapata a zero. Il locale è lo Heartbreak oppure il Lizard Lounge.Tutto diventerebbe più chiaro se potessi fare un salto in bagno a sniffa-re una bella riga di Tiramisu Boliviano45. Una vocina dentro di te insi-ste che questa epidemica mancanza di chiarezza è già il risultato di uneccesso di biancolina. La notte ha ormai girato quell’impercettibilechiavetta con cui si passa dalle due alle sei del mattino. Tu sai benissi-mo che il momento è arrivato e passato, ma non sei ancora disposto ad

44 In realtà polie-drico significa let-teralmente “che hamolte facce”.Cioè, se detto diuna persona, “cheha capacità oaspetti moltepli-ci”. L’autore quiutilizza la parolapoliedrico insenso ironico perindicare il caratte-re imprevedibiledel suo personag-gio.

45 TiramisuBoliviano –Allusione allacocaina, di cuiuno dei maggioriproduttori almondo è laBolivia.

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ammetter di aver superato il limite oltre il quale tutto è effetto collate-rale gratuito e paralisi di terminazioni nervose. A un certo punto avrestipotuto decidere di fermarti, ma sei andato oltre su una coda di cometadi polvere bianca, e adesso stai cercando disperatamente di cavalcarla.In questo momento il tuo cervello è uno schieramento di soldatini boli-viani. Sono stanchi e infangati per la lunga marcia attraverso la notte.Hanno i buchi nelle scarpe, hanno fame. Hanno bisogno di sostenta-mento, di un po’ di Tiramisu Nazionale”.

(Jay McInerney, Le mille luci di New York, 1984)

Nel suo romanzo d’esordio, il giovane scrittore americano Jay McInerney utilizzò una tec-nica abbastanza singolare: tutto il racconto, come si vede in questo brano, è scritto inseconda persona singolare.Quel che McInerney così ottiene è un incrocio tra un narratore esterno e un narratoreinterno. Infatti, il narratore non dice “io” e guarda il protagonista per così dire da fuori = narrato-re esterno. Però, nello stesso tempo, è il protagonista stesso che si guarda e si descrive in questo modo= narratore interno.

21.5. Narratore di primo e secondo grado

“Il traffico della grande città proseguiva nella notte sempre più profon-da sul fiume insonne. Continuavamo a guardare, in paziente attesa; nonc’era altro da fare prima della fine del flusso; ma fu solo quando, dopoun lungo silenzio, egli disse, con voce incerta: «Immagino ricordiatequella volta che per un po’ di tempo divenni marinaio di acqua dolce»,che comprendemmo di essere destinati ad ascoltare, prima che inizias-se il riflusso, la storia di una delle inconcludenti esperienze di Marlow.– Non voglio stare a seccarvi troppo con ciò che mi accadde personal-mente, – cominciò, dimostrando con questo suo rilievo la debolezza ditanti che narrano storie e sembrano molto spesso ignari di ciò che ailoro ascoltatori piacerebbe udire; – tuttavia, per capire l’effetto cheebbe su di me, bisognerà che sappiate come avvenne che io mi recailaggiù, che cosa vidi, come risalii quel fiume fino al punto dove per laprima volta incontrai quel poveraccio. Fu il punto più lontano dellanavigazione e quello culminante della mia esperienza. In qualche modoparve gettare una sorta di luce su tutto quanto intorno a me, e nei mieipensieri. Una faccenda molto triste, anche, e penosa, per niente straor-dinaria e neppure molto chiara. No, non molto chiara. Eppure, sembrògettare una sorta di luce”.

(Joseph Conrad, Cuore di tenebra, 1902)

Questo brano ci mostra che a volte i racconti possono essere uno dentro l’altro. Non è raro osservare, infatti, il caso di un narratore che cede la parola (cioè la funzione diraccontare) a un’altra voce.

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89Il metodo

In questo, come in altri romanzi di Joseph Conrad, la storia viene introdotta da un narra-tore di primo grado. Si tratta della voce che parla alla prima persona plurale (“Continuavamo a guardare” /“comprendemmo di essere destinati ad ascoltare”). Il plurale indica che il narratore faparte di un gruppo di marinai riuniti attorno al personaggio di nome Marlow. Marlow compare anche in altre opere di Conrad, è un marinaio che ha viaggiato molto, eha sempre delle avventure da raccontare. Marlow è un narratore di secondo grado.La scena in cui ci troviamo, una barca ancorata al tramonto sul Tamigi, con un gruppo diuomini intenti ad ascoltarne uno che parla, si chiama cornice. Come la cornice in un qua-dro, infatti, la prima parte del racconto circoscrive la rievocazione di un’altra vicenda.

Definizione: Autore: la persona reale che materialmente ha scritto un testoNarratore: la voce che racconta la storia

Il narratore può essere:a) Narratore interno: il protagonista o un altro personaggio della storia o un testi-

mone dei fattib) Narratore esterno: qualcuno che dall’esterno della vicenda racconta ciò che è

avvenuto, le parole e i pensieri dei personaggi

Inoltre il narratore può essere:a) Di primo grado: chi racconta una storia dall’inizio alla fineb) Di secondo grado: chi, all’interno di un racconto altrui, assume la funzione di

narratore e racconta un’altra storia

Cornice: ogni storia dentro alla quale si aprono altre storie

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22. Il punto di vista o focalizzazione: “CHI VEDE”

È inevitabile che chi racconta una storia abbia un suo punto di vista, proprio come chiun-que di noi nella vita di tutti i giorni. Il punto di vista è la prospettiva dalla quale si guarda ciò che è accade o è accaduto. Gli studiosi per indicarlo usano il termine focalizzazione, ossia “messa a fuoco di unobiettivo”, come se si trattasse di una macchina fotografica o di una cinepresa. La focalizzazione è un fattore cruciale nell’organizzazione di un testo narrativo, e puòessere di vari tipi:

22.1. Focalizzazione zero

“Era un alligatore pezzato: aveva le squame di un bianco pallido e di unnero color alga. Si spostava velocemente, ma in modo goffo. Potevadarsi che fosse pigro, o vecchio, o anche stanco. Profane pensava cheforse era stanco di vivere.L’inseguimento era iniziato fin dal calare della sera. Il condotto in cuisi trovavano misurava centoventi centimetri di diametro, e Profaneaveva un mal di schiena tremendo. Sperava che l’alligatore non svoltas-se in una conduttura più piccola, dove non avrebbe potuto seguirlo [...].Per Profane non sarebbe stata la prima preda. Erano ormai due settima-ne che faceva quel lavoro e aveva al suo attivo quattro alligatori e untopo. Tutte le sere e tutte le mattine, prima di ogni turno, gli uomini incerca di lavoro si radunavano davanti a un negozio di dolciumi diColumbus Avenue, dove si svolgeva il reclutamento. Il desiderio segre-to del capo, un certo Zeitsuss, era di fare il sindacalista. Portava abiti diraion e occhiali cerchiati di corno. Di solito, non c’era neppure unnumero di volontari sufficiente a coprire il quartiere portoricano[...],figurarsi tutta la città di New York. Eppure, tutte le mattine alle sei, ivolontari si trovavano davanti a Zeitsuss che misurava il marciapiede apassi lenti, ostinato nel suo sogno. Zeitsuss lavorava alle dipendenzedel Comune”.

(Thomas Pynchon, V., 1963)

Quello che ci troviamo davanti in un brano come questo si definisce un narratore onni-sciente. Cioè la voce narrante appartiene a qualcuno che conosce ogni aspetto del mondodel racconto. a) Conosce i luoghi e i tempi in cui la storia si svolge (“Tutte le sere e tutte le mattine, gli

uomini in cerca di lavoro si radunavano davanti a un negozio di dolciumi di ColumbusAvenue” / “Il condotto misurava centoventi centimetri di diametro”).

b) Conosce i pensieri e le aspirazioni dei personaggi (“Profane pensava che forse erastanco di vivere” / “Il desiderio segreto del capo, un certo Zeitsuss, era di fare il sin-dacalista”).

c) Li vede in azione anche quando sono completamente soli (Profane nelle condottofognario mentre insegue l’alligatore)

d) È al corrente del loro passato e del loro presente (“Per Profane non sarebbe stata la

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prima preda. Erano ormai due settimane che faceva quel lavoro e aveva al suo attivoquattro alligatori e un topo” / “Zeitsuss lavorava alle dipendenze del Comune”).

Poiché l’obiettivo del racconto non è focalizzato su nulla in particolare ma comprendetutto, in questo caso si parla di focalizzazione zero.Il narratore onnisciente può essere sia interno sia esterno, ma di solito è esterno, poiché èmolto più credibile. Infatti, un narratore interno (protagonista personaggio o testimone che sia) proprio perchéè a sua volta dentro la storia, non può trovarsi dappertutto e non può leggere nei pensieridegli altri uomini. Invece a un narratore esterno è concessa la massima libertà di spostamento: - può permettersi analessi e prolessi, commenti e digressioni - può raccontare eventi che accadono nello stesso momento anche in luoghi distanti tra

loro- può fornire informazioni su tutto e su tutti- può sapere – ed è il privilegio massimo – quel che i vari personaggi coinvolti pensano.

Per questo si dice che il narratore onnisciente ne sa sempre: a) più dei singoli personaggi b) più del lettore

22.2. Focalizzazione interna

“Prima d’attraversare una via piena d’animazione, esitò un poco: glipiaceva camminare a passo eguale; per non dover attraversare in frettaaspettò il momento propizio. In quel mentre qualcuno chiese forte a unaltro: «Mi sa dire dov’è la Mutstrasse?». L’interrogato non replicò paro-la. Kien ne fu stupito: dunque v’erano per strada, oltre a lui, altri indi-vidui taciturni. Tese l’orecchio senza alzare gli occhi. Come avrebbereagito di fronte a quel silenzio l’uomo che aveva fatto la domanda?«Mi scusi, potrebbe dirmi per favore dov’è la Mutstrasse?». Raddoppiòla propria gentilezza ma non ebbe miglior fortuna: l’altro non disseniente. «Forse lei non mi ha sentito. Avrei bisogno di un’informazione.Vuol essere così gentile da dirmi come posso trovare la Mutstrasse?».L’impulso conoscitivo di Kien – lui non conosceva curiosità – s’eradestato. Si propose di guardare in faccia il taciturno, nel caso che aves-se insistito anche adesso nel suo silenzio. Senza dubbio l’uomo eraimmerso nei suoi pensieri e desiderava evitare ogni interruzione. Restòzitto di nuovo. Kien l’elogiò. Un carattere, fra mille, capace di resiste-re ai casi esteriori. «Ma dico, è sordo?», gridò il primo. Adesso l’altrorisponderà, pensò Kien, e cominciò a perder gusto all’avventura del suoprotetto. Chi sa tenere a freno la lingua quando lo si offende? Si giròverso la strada: il momento di attraversare era arrivato. Stupito che ilsilenzio continuasse, si fermò. Il secondo ancora non parlava.[...] La scena si svolgeva alla sua destra. Qui il primo strepitava: «Lei èsenza educazione! Le ho rivolto la domanda con la massima cortesia!Ma chi crede di essere? Villanzone! È forse muto?». L’altro taceva.«Dovrà chiedermi scusa! Me ne infischio della Mutstrasse! Quella puòindicarmela chiunque. Ma lei dovrà scusarsi con me. Ha capito?».

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L’altro non se ne dette per inteso.[...] A questo punto Kien ricevette una forte spinta. Qualcuno gli affer-rò la borsa e cercò di strappargliela. Con uno strattone, lui sottrasse ilibri agli artigli dell’altro e si girò verso destra. Il suo sguardo era diret-to alla borsa ma cadde su un uomo piccolo e grasso che l’investiva congrida furibonde. [...] L’altro, l’uomo taciturno e di carattere che sapevatenere a freno la lingua anche nella collera era lui stesso, Kien.

(Elias Canetti, Auto da fé, 1935)

Questo curioso brano dello scrittore bulgaro Elias Canetti offre un perfetto esempio dicosa sia una focalizzazione interna. Si tratta di un punto di vista ristretto. Qui il personaggio, un professore di nome Peter Kien, è talmente concentrato sui suoi pen-sieri da non rendersi conto, fin quando non riceve lo spintone, che il passante in cerca diinformazioni sta parlando proprio con lui. Dunque Kien immagina tutta una conversazione tra il primo che domanda e l’altro chenon risponde, senza comprendere che è proprio il suo estraniamento a generare la scena. Il brano in questione dimostra anche che la focalizzazione interna non richiede necessa-riamente un narratore interno. La soluzione più “facile” per chi vuole ottenere una focalizzazione interna resta quella didare la parola a un narratore in prima persona, il quale vede e sa solo ciò che gli accadeintorno. Tuttavia Canetti dà prova che anche un narratore esterno – cioè in terza persona - può ade-rire così strettamente al punto di vista di un solo personaggio da essere, per così dire, pri-gioniero dei suoi occhi.

Per questo si dice che il narratore a focalizzazione interna ne sa : a) quanto il suo personaggio b) a volte di meno a volte di più del lettore

22.3. Focalizzazione esterna

“L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi esingulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbiaai campanili della Matrice46: solo il rombo dell’autobus e la voce delvenditore di panelle47, panelle calde panelle [...]. Il bigliettaio chiuse losportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultimaocchiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito discuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista – un momento– e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentironodue colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sulpredellino, restò per un attimo sospeso, come tirato per i capelli da unamano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamen-te si afflosciò.Il bigliettaio bestemmiò: la faccia gli era diventata colore di zolfo, tre-mava. Il venditore di panelle, che era a tre metri dall’uomo caduto,

46 Matrice – È lachiesa del paese,dedicata allaMadonna.47 Panelle –Tipiche frittellepalermitane, abase di farina diceci.

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muovendosi come un granchio cominciò ad allontanarsi verso la portadella chiesa. Nell’autobus nessuno si mosse, l’autista era come impie-trito, la destra sulla leva del freno e la sinistra sul volante. Il bigliettaioguardò tutte quelle facce che sembravano facce di ciechi, senza sguar-do; disse – l’hanno ammazzato – si levò il berretto e freneticamentecominciò a passarsi la mano tra i capelli; bestemmiò ancora.– I carabinieri – disse l’autista – bisogna chiamare i carabinieri”.

(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961)

93Il metodo

È una pagina cruciale, in ogni romanzo giallo, quella in cui avviene l’omicidio. Sciascia,in questo che è il suo primo romanzo sulla mafia, utilizza per la scena una rigorosa foca-lizzazione esterna. La focalizzazione esterna si ha quando lo sguardo del narratore (a volte esterno, a volteinterno e testimone) è in grado di cogliere soltanto ciò che è visibile a occhio nudo. Cioè non gli è permesso di sapere che cosa le persone pensano o come si sentono. Può sol-tanto immaginarlo in base a come gli altri parlano o si comportano.Nel brano che abbiamo scelto la focalizzazione esterna assume anche un valore simboli-co: in questa scena così dettagliata, infatti, c’è soltanto un elemento che manca, ed è l’im-magine dell’assassino. Il narratore non ci dice se qualcuno lo ha visto o meno, né dovefosse appostato. Fa risuonare gli spari, e mostra le varie reazioni: il bigliettaio che impre-ca, il venditore di panelle che cerca di andarsene senza farsi notare, l’autista “impietrito”.E i volti delle persone sull’autobus “sembravano facce di ciechi, senza sguardo”. Il chesignifica due cose: a) Sono come ciechi = non hanno visto nullab) Sono inespressivi = non si può capire cosa pensanoQuest’ultimo elemento è cruciale. Perché con la focalizzazione esterna, unita al mutismoe alla impenetrabilità della gente, Sciascia suggerisce al lettore che qui diventa impossibi-le raggiungere la verità. È il grande tema dell’omertà mafiosa, rappresentato in manieraindiretta.

Per questo si dice che il narratore a focalizzazione esterna ne sa: a) meno dei singoli personaggib) quanto il lettore

22.4. Focalizzazione variabile

Abbiamo parlato di focalizzazione esterna, interna e zero, e ne abbiamo mostrato degliesempi mirati. Però è abbastanza raro che il punto di vista in un testo narrativo non subisca mai dellemodificazioni. A seconda delle necessità del racconto, lo scrittore è libero di alterare la focalizzazione. Infatti se prendiamo in considerazione un brano più ampio dei precedenti, troviamo unafocalizzazione variabile, che oscilla dai modi tipici del narratore onnisciente, a punti divista più circoscritti, coincidenti con quelli dei personaggi.

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“Demetrio Pianelli, la mattina della prima domenica di quaresima versole sette, andava a sentire la sua messa alla vicina chiesa diSant’Antonio, quando, giunto sull’angolo di San Clemente, s’incontròin Ferruccio, che correndo e ansando gli domandò collo spavento negliocchi e nella voce: – È lei il fratello del sor Cesarino?– Eh? – esclamò Demetrio, accartocciando la pelle delle faccia, in unasmorfia d’uomo che stenta a capire.– Venga, il sor Cesarino s’è ammazzato.– Chi, chi? Chi sei?- balbettò Demetrio agitando le mani.– Mi manda mio padre.– Chi, chi? Chi è tuo padre?– Il portinaio del Carrobbio48, il Berretta. L’hanno trovato morto sta-mattina sul solaio.Ferruccio tremava come una foglia nel dire queste parole.Demetrio vide dapprima innanzi a sé un gran buio, poi gli parve di per-dere l’equilibrio. Al buio successe un bagliore fosforescente comequando uno ti lascia andare una terribile frustata attraverso la faccia.Poi si mosse per una forza istintiva dietro al ragazzo che, voltandosi ditempo in tempo, cercava di raccontare la storia. – Come ammazzato? daquando si è ammazzato? perché si è ammazzato? Chi? Cesarino? ohpovero me…, o Signore, o Madonna Santissima. – E quanta fu lunga lastrada da San Clemente al Carrobbio, il povero Demetrio non seppe diraltro. [...]Intanto giungeva anche un delegato della polizia con alcune guardie.Svegliato al bisbiglio e al rumore dei passi su e giù per la scala, mivestii in fretta e scesi anch’io in corte a vedere. Il Berretta, smorto comeuna rapa, mi raccontò il caso. Il guattero49 dell’osteria, salito tra le cin-que e le sei a prendere un cesto di carbone, aveva dato del capo in duegambe. Corse giù senza anima, senza una goccia di sangue, contò50 lacosa al Berretta che mandò a chiamare le guardie. In silenzio andaronosu, passando in punta di piedi davanti all’uscio dei Pianelli che dormi-vano ancora. Il macellaio, un giovinotto tarchiato e forte come un toro,prese in braccio Giovedì, che seguitava ad abbaiare contro l’uscio, conuna mano gli strinse il muso per farlo tacere, e se lo portò via. La pove-ra bestia si dibatteva nelle strette come un’anguilla.Il Berretta stava facendomi vedere la mano con cui aveva aiutato adistaccare il morto, che teneva aperta in aria, lontano dal corpo, comese non fosse più sua, quando sopraggiunse il signor Demetrio”.

(Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli, 1890)

Nella pagina appena riportata troviamo un caso davvero evidente di focalizzazione varia-bile. - Il racconto comincia con un narratore esterno che in terza persona ci descrive l’igna-

ro Demetrio che va a messa e incontra Ferruccio. - Ferruccio avverte Demetrio che suo fratello si è ucciso, e qui il narratore si fa onniscien-

te perché ci descrive le reazioni interiori dell’uomo di fronte alla notizia tragica.- La scena si sposta sul luogo del suicidio, e compare un narratore interno che in prima

persona prende in mano la narrazione (“Svegliato al bisbiglio e al rumore dei passi su

48 Il Carrobbio –Il crocicchio cheimmette a PortaTicinese e a PortaGenova, a Milano.49 Guattero –Sguattero.50 Contò –Raccontò.

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e giù per la scala, mi vestii in fretta e scesi anch’io in corte a vedere”).- Il nuovo narratore però non sa cosa è successo, per cui deve farsi raccontare l’accadu-

to. Ecco che subentra una ulteriore focalizzazione interna, questa volta sul Berretta. Èil Berretta infatti che riferisce chi e come ha trovato il corpo del suicida.

Uno dei maestri assoluti delle tecniche narrative legate al punto di vista fu l’americanoHenry James (1843 – 1916). Leggiamo insieme una parte del romanzo breve La bestianella giungla, osservando come è rappresentato l’incontro tra un uomo e una donna, JohnMarcher e May Bartram, che si ritrovano dopo dieci anni ad una festa.

“Quando finalmente cominciarono a parlare, erano rimasti soli in unadelle sale – impreziosita da un bel ritratto sopra il camino – per la qualegli amici erano già passati, e l’incanto di tale incontro era dovuto allacircostanza che, prima ancora di dirsi qualcosa, si fossero tacitamenteaccordati per rimanere indietro e attaccare discorso. [...]Comunque, a modo suo, quest’incontro appariva troppo bello per esse-re sciupato; così, per pochi minuti ancora, continuarono a chiedersivanamente perché – pur avendo, come sembrava, un certo numero diamici in comune – fosse stato tanto a lungo differito il loro ritrovarsi.[...]Si sarebbero separati, e questa volta senza la possibilità di altri incon-tri, se anche quel tentativo si fosse concluso senza successo. E fu pro-prio allora, quando una svolta s’imponeva, come egli comprese piùtardi, che, venendo meno ogni altro mezzo, lei si decise a prendere l’i-niziativa e, di fatto, a salvare la situazione. Non appena May cominciòa parlare, Marcher sentì che ella aveva deliberatamente taciuto ciò cheora stava per dire sperando di poterne fare a meno; e questo scrupolo locommosse quando, tre o quattro minuti dopo, ebbe modo di misurarneil valore. Ciò che May disse, ad ogni modo, alleggerì non poco l’atmo-sfera e riallacciò l’anello mancante… quell’anello che con strana leg-gerezza aveva perso.«Un giorno, sapete, mi diceste una cosa che non ho mai dimenticato eche da allora mi ha fatto pensare a voi più volte; era un giorno caldissi-mo e stavamo attraversando il golfo per andare a Sorrento in cerca diun po’ di refrigerio. Fu mentre tornavamo, godendoci il fresco sotto latenda della barca, che mi diceste appunto… non ricordate?»Marcher aveva dimenticato, e ne fu più sorpreso che vergognoso. Ma ilbello fu che non colse in quelle parole nessun richiamo volgare a qual-che “tenero” discorso. La vanità delle donne ha la memoria lunga, main quel caso non sembrava proprio che May stesse vantandosi con lui di

Laboratorio Verifica

L’incontro HENRY JAMES

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un complimento o di un malinteso. Con un’altra donna, una donnatotalmente diversa, avrebbe magari potuto temere la rievocazione diqualche avventata “profferta”. Così, costretto ad ammettere d’aververamente dimenticato, ebbe l’impressione che si trattasse di una per-dita piuttosto che di un guadagno; gli sarebbe stato utile ricordare lacosa menzionata da May. «Ci sto pensando ma… no, ci rinuncio.Eppure ricordo quel giorno di Sorrento».«A questo punto non credo che voi possiate ricordare» disse dopo un

attimo May Bartram; «e non sono neppure sicura che io debba deside-rarlo. È terribile riportare una persona indietro a ciò che era dieci anniprima. Se avete vissuto finora prescindendo da quella cosa,» accennòun sorriso, «tanto meglio».[...]S’interruppe, quasi volesse dargli il tempo di ritrovarla da solo; ma sic-come, limitandosi a incrociare lo sguardo di lei con aria sempre più stu-pita, Marcher non accennava risposta, May a un tratto si decise: «È maisuccessa?»Fu allora che, continuando a fissarla, una luce gli balenò dentro e il san-gue lentamente gli affluì al volto che prese a bruciargli man mano cheil ricordo si chiariva. «Volete dire che vi confidai…?» Ma si trattenne,per paura di tradirsi, o che la sua supposizione potesse essere errata.«Era una cosa che vi riguardava personalmente, che era difficile dimen-ticare… beninteso, sempre che ci si ricordasse di voi. Ecco perché vichiedo» May sorrise, «se la cosa che mi diceste, è poi avvenuta».Ora sì che capiva Marcher, ma venne sopraffatto dallo stupore e dal-l’imbarazzo e May, aveva capito anche questo, ne fu dispiaciuta per luicome se la sua allusione fosse stata un errore. Gli bastò un attimo peravvertire che non a un errore era dovuto il suo imbarazzo, bensì allasorpresa. Anzi, dopo lo shock iniziale, il fatto che lei sapesse cominciò,per quanto abbastanza stranamente, a prendere per lui un dolce sapore.May era dunque la sola persona al mondo che sapesse, e l’aveva conti-nuato a sapere per tutti quegli anni, mentre la circostanza di averle sus-surrato un segreto così gli era inspiegabilmente svanita dalla mente. [...]«Credo, di sapere» disse alla fine Marcher «di sapere a cosa alludete.Solo, è curioso, ma avevo perduto perfino la sensazione di avervi intro-dotto a tal punto nella mia intimità.»«Forse perché l’avete fatto con molte altre persone?»«Al contrario. Nessun altro da allora.»«Così, io sarei l’unica persona a sapere?»«L’unica al mondo». «Bene,» continuò lei in fretta, «in quanto a me, non ne ho mai fattoparola. Mai, mai ho riferito, parlando di voi, quanto mi diceste allora».

(Henry James, La bestia nella giungla, 1903)

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L’AUTORE E IL NARRATORE

- In base a quanto si legge nel testo, puoi dire se c’è coincidenza tra autore e narratore?a) Chi ha scritto questa storia?b) Chi racconta questa storia?

- Prova, facendo una breve ricerca su delle enciclopedie o su internet, a trovare informa-zioni sull’autore di questo racconto, e ad inserirle nel testo. In che modo potresti farcomparire in scena Henry James, o il narratore?

- Prova a inventare un autore e un narratore diversi, mantenendo più o meno immutata lascena.

NARRATORE INTERNO ED ESTERNO

- Che tipo di narratore abbiamo in questo brano? a) Narratore interno (protagonista / personaggio / testimone)b) Narratore esterno

- Quale atteggiamento ha il narratore verso la storia che racconta?a) È del tutto impersonaleb) Partecipa con commenti, giudizi, digressioni

- Ci sono narratori di primo e di secondo grado?- Se sì, in quali momenti sembra affacciarsi un narratore di secondo grado?- Prova a inserire un narratore di secondo grado ampliando il racconto in una direzione

possibile

Esercizi

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A) “Nei primi giorni d’estate, Agostino e sua madre uscivano tutte lemattine sul mare in patino. Le prime volte la madre aveva fatto veni-re anche un marinaio, ma Agostino aveva mostrato così chiari segniche la presenza dell’uomo l’annoiava, che da allora i remi furonoaffidati a lui. Egli remava con un piacere profondo su quel marecalmo e diafano del primo mattino e la madre seduta di fronte a lui,gli discorreva pianamente51, lieta e serena come il mare e il cielo,proprio come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredicianni.

B) «Tu mi tratti sempre come un bambino» disse ad un tratto Agostino,non sapeva neppure lui perché.La madre rise e gli accarezzò una guancia «Ebbene, d’ora in poi titratterò come un uomo… va bene così? e ora dormi… è moltotardi». Ella si chinò e lo baciò. Spento il lume, Agostino la sentìcoricarsi nel letto.Come un uomo, non poté fare a meno di pensare prima di addor-mentarsi. Ma non era un uomo: e molto tempo infelice sarebbe pas-sato prima che lo fosse”.

(Alberto Moravia, Agostino, 1945)

Abbiamo riportato qui la prima e l’ultima pagina di un famoso racconto di AlbertoMoravia, Agostino.Non è affatto casuale che le righe iniziali e quelle conclusive del testo coincidano in unpunto, e cioè nella frase “come se lui fosse stato un uomo e non un ragazzo di tredicianni”. Perché Agostino è la storia di un adolescente, la storia di una estate al mare nella quale unbambino avverte per la prima volta che sta crescendo, sta abbandonando l’infanzia.Scopre il mondo fuori dalle sua famiglia, le differenze sociali, il mistero della sessualità. E appunto la tensione tra l’essere trattato “come un bambino” e l’impazienza di sentirsigià “un uomo” è il tema di questo racconto.Si potrebbe semplicemente dire che il tema di un testo narrativo è l’argomento trattato. In realtà, però, il tema è qualcosa di più. Vediamo allora di chiarire la differenza tra tema e argomento: a) l’argomento di un testo è ciò che risponde alla domanda “di che cosa parla il raccon-

to?” La nostra risposta, in questo caso, sarebbe: “di Agostino e dell’estate dei suoi tre-dici anni al mare, con tutto quel che gli accade”.

5. Tema, Messaggio, Contesto

23. L’argomento e il tema

51 Gli discorrevapianamente – Gliparlava tranquilla-mente.

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b) il tema invece è ciò che risponde alla domanda “di che cosa vuole parlarci l’autorecon il suo racconto?” Allora dovremmo piuttosto dire: “Moravia racconta la difficol-tà di crescere. La storia di Agostino esprime il passaggio da una fase della vita adun’altra facendoci vedere il momento di trapasso”.

Insomma l’argomento è il contenuto superficiale di una storia, il tema è il contenuto pro-fondo.Spesso gli autori non dichiarano apertamente il tema che hanno scelto, e perciò ognuno dinoi deve porsi, durante o dopo la lettura, la domanda: che cosa voleva dirmi l’autore rac-contandomi questa storia? Ogni lettore può darsi risposte differenti, a seconda della cultura e della sensibilità chepossiede. La ricchezza della letteratura sta nel fatto che un testo non è come un problemamatematico: non esiste una singola risposta giusta contro infinite risposte sbagliate. I testiletterari sopportano infinite letture giuste, anche fortemente contrastanti tra loro. I temi di un racconto possono essere i più vari: dai sentimenti – come l’amore o la gelo-sia – alle esperienze della vita – come la guerra o il lavoro, il successo o il fallimento – etanti altri ancora. Grandi temi sempre validi sono il rapporto tra l’uomo e la natura, tral’individuo e la società, o tra la generazione dei padri e quella dei figli.Infine, non è necessario che il tema sia unico. Un testo può avere un tema principale emolteplici temi secondari che emergono lungo la narrazione. Specie nei romanzi lunghi, quando la trama si snoda nel tempo fra molti personaggi e inluoghi diversi, è facile che varie tematiche si incrocino l’una con l’altra.

Definizione: L’argomento è il contenuto superficiale di una storia, il tema ne è il contenuto pro-fondo.L’argomento: “di che cosa parla il racconto”Il tema: “di che cosa vuole parlarci l’autore con il suo racconto”

24. Le finalità

Varie possono essere le finalità di chi incomincia a scrivere una storia. Leggiamo insieme alcune famose dichiarazioni d’autore:

A) “Mi accingo a un’impresa che non conosce esempi e che non cono-scerà imitatori. Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta laverità della propria natura, e quell’uomo sono io.Io solo. So leggere nel mio cuore e conosco gli uomini. Non sonofatto come nessuno di quanti ho visto; oso credere di non esser fattocome nessuno di quanti esistono; se non valgo di più, sono almenodiverso. Se la natura abbia fatto bene o male a infrangere lo stampoin cui m’ha forgiato, lo si potrà giudicare solo dopo avermi letto”.

(Jean Jacques Rousseau, Confessioni, 1782-1789)

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B) “Prego il lettore di considerarmi con simpatia, giacché la mia con-fessione ha il solo fine di divertirlo. Se un libro di questo genere nonfosse una confessione sincera, bisognerebbe gettarlo dalla finestra,perché un autore che si loda non è degno di essere letto. [...] Dopotrentadue anni mi decido a scrivere la storia di una vicenda occorsa-mi52 quando ne avevo trenta, «nel mezzo del cammin di nostravita»53. Mi sono deciso a scriverla per evitare la fatica di raccontar-la dal principio ogni volta che una persona degna di riguardo o diamicizia mi preghi o mi obblighi a farlo”.

(Giacomo Casanova, Storia della mia fuga dai Piombi, 1787)

C) “Per ingannare le ore d’ozio in questa terra straniera, vorrei scrivereuna breve memoria di quanto m’è accaduto nella mia più recentedimora a Parigi, dal 21 giugno 1821 al … novembre 1830: nove annie mezzo. Vado rimproverandomi da due mesi: da quando mi sonoadattato alla novità della mia situazione per intraprendere un lavoropurchessia. Senza lavoro, la nave della vita umana è priva di zavor-ra. Confesso che non avrei il coraggio di mettermi a scrivere se nonpensassi che queste pagine saranno un giorno stampate, e le leggeràqualche creatura cui voglio bene, qualcuno come la signora Rolando il geometra Gros. Ma gli occhi che leggeranno queste parole s’a-prono solo oggi alla luce: calcolo che i miei futuri lettori hanno oradieci o dodici anni”.

(Stendhal, Ricordi d’egotismo54, 1832)

D) “Questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nullaa quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietanteargomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto alloscopo di formulare nuovi capi d’accusa [...].Se non di fatto, come intenzione e come concezione esso è nato giàfin dai giorni di Lager. Il bisogno di raccontare agli «altri», di faregli «altri» partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione edopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da riva-leggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto persoddisfare questo bisogno; in primo luogo quindi a scopo di libera-zione interiore”.

(Primo Levi, Se questo è un uomo, 1947)

Ovviamente non sono tutti qui i motivi possibili per cui si prende la penna in mano. Peròpossiamo riconoscere nei quattro esempi citati alcuni filoni che hanno sempre ispirato gliscrittori:esempio a) “Voglio mostrare ai miei simili un uomo in tutta la verità della propria natu-

ra” = lo studio dell’animo umanoesempio b) “il solo fine di divertire (il lettore)” = l’intrattenimento, il piacere del

= raccontoesempio c) “queste pagine saranno un giorno stampate, e le leggerà qualche creatura cui

voglio bene” = lasciare un segno di sé,= sconfiggere la morte

52 Occorsami –Che è capitata ame.53 Ironica citazio-ne del primo versodella DivinaCommedia diDante.

54 Egotismo –Tendenza smodataa occuparsi, scri-vendo o parlando,di sé. Da ego (lati-no = io).

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esempio d) “Il bisogno di raccontare agli altri” = la testimonianza di fatti storici (nel = caso di Primo Levi, l’incubo dei = Lager, i campi di sterminio nazisti)

Definizione: Analizzare, descrivere, divertire, testimoniare, suscitare riflessioni, sono le finali-tà di ogni gesto narrativo.Finalità: “Perché lo scrittore ha deciso di scrivere questo racconto”

25. Il contesto

“Questa è la vera storia di Kraputnyk Armadillynk così come mi fu rac-contata dalla sua viva voce.Una mattina presto stavo pescando nel fiume di Sompazzo quando sen-tii alle mie spalle un fragore impressionante. Vidi gli alberi tremare egli uccelli fuggire. Poi uno scoppio e più nulla. Attraversai l’argine e miapparve una creatura singolare: un barilotto di metallo con un nasoneda talpa e due braccini snodabili con catarifrangente. Stava prendendoa calci un disco volante e con voce irosa gridava più o meno così:– Zukunnuk dastrunavi baghazzaz minkemullu mekkanikuz!”Vedendomi si inchinò e disse:– Signore, mi dispiace assai di averla disturbata, ma se sarà tanto gen-tile da ascoltarmi, penso che potrà capirmi e darmi l’aiuto necessario. Mi chiamo Kraputnyk Armadillynk e vengo dal pianeta Becoda. Il miopianeta è a settecento anni luce dal vostro e la temperatura media è dicinquanta gradi all’ombra. È un pianeta rosolato e desolato. Ci si pos-sono coltivare solo due cose: il Trond e il Quazz. Il Trond è un tuberotondo dal sapore insipido. Il Quazz è un tubero quadrato dello stessosapore del Trond. Si potrebbe tranquillamente dire che sono la stessacosa, ma per il morale di noi becodiani è meglio distinguerli. Così pos-siamo dire: «Cosa abbiamo stasera di buono per cena, Trond o Quazz?»e creare un po’ di suspense.Esistono tre modi di mangiare il Trond: e precisamente seduti, in piedie sdraiati. Parimenti esistono tre modi di cucinare il Quazz: con sugo diTrond, con sugo di Quazz e con ripieno di Trond.Avrà perciò capito che la vita sul nostro pianeta è assai dura. Non abbia-mo altro che terra bruciata e campi di Trond e di Quazz, rocce nere,montagne di lava e qualche Nerpero (vulcano) che sputa in aria lapillibollenti. Non esistono animali, ad eccezione di un verme che si chiamaKrokuplas ed è immangiabile, ma costituisce un’ottima esca per i pesci.Sfortunatamente su Becoda non esistono né acqua né pesci. Beviamoperò ottime spremute di Trondquazz”.

(Stefano Benni, Il marziano innamorato, in Il bar sotto il mare, 1987)

Abbiamo già parlato all’inizio dell’importanza del contesto. Senza contesto è molto dif-ficile, se non impossibile, comprendere a fondo un’opera letteraria. Più in generale, qual-siasi racconto si appoggia su una serie di sfondi che lo rendono possibile.

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55 De Sade –AlphonseDonatienFrançois mar-chese de Sade,scrittore e filosofofrancese (Parigi1740 – Charenton1814). Per i con-tenuti scandalosidelle sue opere,trascorse oltretrent’anni dellasua vita tra pri-gioni e manico-mio, sebbene per-fettamente lucido.L’importanzadella sua opera èstata riconosciutasolo nelVentesimo secolo. 56 Saint-Just –Louis Antoine-Léon de Saint-Just (Decize1767 - Parigi

1794). Politicofrancese.Deputato allaConvenzione,sostenneRobespierre con-tro i girondini.Eletto nelComitato di salutepubblica nel 1793per salvare laRivoluzione,divenne teorico eartefice delTerrore. Travoltonel crollo del

regime il novetermidoro, fu ghi-gliottinato il gior-no successivo.Dallo storicoMichelet ricevettel’appellativo di“Arcangelo delTerrore”.57 Fouché –Joseph Fouché(Le Pellerin 1759- Trieste 1820).Politico francese.Deputato giacobi-no alla

Convenzione, fuun protagonistadel Terroresoprattutto neimassacri diLione. Fu respon-sabile della cadu-ta e della condan-na di Robespierre.Nel 1799 appog-giò il colpo distato diNapoleone.Ministro dellapolizia fino al1810 e nei Cento

giorni, rimase incarica per brevetempo dopo ilritorno di LuigiXVIII. Nel 1816fu esiliato a vitacome regicida.58 Bonaparte –NaturalmenteNapoleoneBonaparte,primo imperatoredei Francesi(Ajaccio 1769 –Isola diSant’Elena 1821).

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Questo racconto comico di Stefano Benni ci mostra in maniera divertente che l’assenza diun contesto comune rende molto difficile capirsi. Il marziano deve illustrare continuamen-te gli oggetti di cui parla paragonandoli ad altri che esistono sulla Terra, altrimenti nonpotremmo seguirlo. Se parlasse con un altro marziano, invece, non dovrebbe spiegarglinulla sul Trond o sul Quazz.Il contesto è tutto il mondo al di fuori del libro. Perciò ci sono diversi livelli di contesto, uno dentro l’altro come cerchi concentrici:a) L’autore, la sua vita, il resto della sua produzione letteraria.b) La tradizione letteraria, il genere, in cui la sua opera si colloca.c) Il periodo storico (contemporaneo, antico o futuro) in cui il testo è ambientato.d) L’orizzonte storico, sociale e culturale nel quale l’autore e l’opera si sono formati.

Definizione: Il contesto è tutto il mondo al di fuori del libro che abbia rapporti con il libro stes-so

Laboratorio Verifica

Il puzzo PATRICK SÜSKIND

“Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure piùgeniale e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scelleratefigure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamen-te al nome di altri mostri geniali quali de Sade55, Saint-Just56, Fouché57,Bonaparte58, ecc., oggi è caduto nell’oblìo, non è certo perchéGrenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spa-valderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì per-ché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella sto-ria non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

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103Il metodo

Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento imma-ginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili inter-ni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, lecucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze nonaerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuolabisunte, dell’umido dei piumini e dell’odore pungente e dolciastro deivasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie venivail puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gentepuzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzodi denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quandonon erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio elatte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze,puzzavano le chiese, c’era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadi-no puzzava come il prete, l’apprendista come la moglie del maestro,puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un anima-le feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d’estate sia d’inver-no. Infatti nel diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limi-te all’azione disgregante dei batteri, e così non v’era attività umana, siacostruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in decli-no, che non fosse accompagnata dal puzzo.E naturalmente il puzzo più grande era a Parigi, perché Parigi era la piùgrande città della Francia. E all’interno di Parigi c’era poi un luogodove il puzzo regnava più che mai infernale, tra Rue aux Fers e Rue dela Ferronerie, e cioè il Cimetière des Innocents. Per ottocento anni sierano portati qui i morti dell’ospedale Hôtel-Dieu e delle parrocchiecircostanti; per ottocento anni, giorno dopo giorno, dozzine di cadave-ri erano stati portati qui coi carri e rovesciati in lunghe fosse; per otto-cento anni in cripte e ossari si erano accumulati, strato su stato, ossa eossicini.[...]Qui dunque, nel luogo più puzzolente di tutto il regno, il 17 luglio 1738nacque Jean-Baptiste Grenouille”.

(Patrick Süskind, Il profumo, 1985)

IL TEMA E L’ARGOMENTO

Il profumo si colloca a metà tra romanzo storico e racconto fantastico. Racconta la sto-ria di un uomo senza scrupoli né sentimenti, Jean-Baptiste Grenouille, dotato di un pote-re straordinario. Grenouille ha un olfatto finissimo, in grado di percepire tutte le più sot-tili sfumature negli odori. E a sua volta sa crearne. Fin da ragazzo trova lavoro come gar-zone da un famoso profumiere italiano che lavora a Parigi, Giuseppe Baldini, e da quicominciano per lui una terribile serie di avventure.

- Per quale motivo secondo te, se il titolo del romanzo è Il profumo, la storia si apre conquella terribile carrellata di cattivi odori?

Esercizi

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IL CONTESTO

Il romanzo di Süskind Il profumo fu pubblicato a metà degli anni Ottanta del secolo scor-so, e diventò in breve tempo un caso letterario internazionale, ottenendo un grandissimosuccesso di critica e pubblico.Si tratta di un romanzo storico, poiché è ambientato nella Francia del Settecento. I riferi-menti storici nascosti tra le righe sono numerosi. Prendi per esempio la sequenza di personaggi, tutti realmente esistiti, a cui Grenouilleviene paragonato: de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte.

- Aiutandoti con una enciclopedia o con le banche dati su internet, cerca di farti un’ideapiù precisa su questi quattro personaggi.

- Sono vissuti tutti nello stesso periodo? Hanno avuto vite paragonabili? - Per quale motivo l’autore li considera come se fossero tutti “simili”?

La pagina che abbiamo preso in considerazione disegna un ritratto dell’epoca interamen-te basato su un dato sensoriale: i cattivi odori.

- Che quadro del diciottesimo secolo ci viene dal brano descrittivo con cui si apre ilromanzo?

- Prova a confrontare questa descrizione con l’immagine del Settecento che di solito siincontra nei film o nelle fiction televisive: la pagina di Süskind conferma o rovesciaquell’immagine?

- I cattivi odori sono concentrati solo in alcuni luoghi circoscritti o sono dappertutto?- Prova a sottolineare nel brano con colori diversi quanti diversi luoghi, mestieri e strati

sociali vi vengono raffigurati. Riuniscili poi in un elenco.

LE FINALITA’

Nelle prime righe del testo, l’autore ci informa che il protagonista del romanzo non saràun eroe positivo, anzi. Lo definisce “geniale” e “scellerato”, e addirittura “figlio delletenebre”.

- Quali finalità può avere uno scrittore che sceglie di raccontare la storia di un uomo“scellerato”?

- Quali finalità può avere uno scrittore che sceglie di raccontare la storia di un uomo“geniale”?

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Per comprendere il senso di una storia, i lettori devono capire perché i personaggi agisco-no in un modo o in un altro. Devono sapere cosa questi personaggi pensano, cosa prova-no, qual è il loro carattere. Lo scrittore quando inventa una storia ha un potere assoluto: ha il potere, se vuole, diosservare i suoi personaggi da svegli e mentre dormono, quando sono in compagnia equando sono soli, di sapere se mentono o dicono la verità. Registra tanto le loro parole, idiscorsi pronunciati in pubblico e quelli che ognuno fa tra sé e sé, quanto i loro sentimen-ti più privati.Per mostrare tutto questo al lettore, può scegliere due soluzioni:a) il discorso citato = lo scrittore riporta letteralmente i pensieri e le parole dei personaggib) il discorso raccontato = lo scrittore ne riassume il contenuto

27. Il discorso citato

27.1. Forme del discorso citato: il discorso diretto(o dialogo)jdjdjjdjdjdjjdjdjdjdjjdjdjdjdjdjjjjjjjjjjj

– Ho sentito delle storie sulla nave.– La nave continua a cambiare nome. La sapevi questa?– No, ti confesso di no.– La nave è salpata da un molo dello Hudson River con un nome chenon so quale fosse, ma l’ha cambiato tre mesi dopo al largo della costaoccidentale africana. Poi l’hanno cambiato di nuovo. Questa volta daqualche parte nelle Filippine.– Enormi quantità di eroina, ho sentito dire. Ma da quando in qua l’e-roina viene spedita dagli Stati Uniti in estremo oriente? Non ha senso.– Non ha senso – confermò Sims. – Salvo che coincide con un’altravoce. Sai quale?– Non credo.– È in mano alla mala. [...]– Cos’è che è in mano alla mala?– La società amatoriale che possiede le navi che affittiamo. La crimina-lità ha un sacco di interessi nel trasporto dei rifiuti. Quindi perché nonnella manipolazione dei rifiuti, nella spedizione dei rifiuti, in tutto quel-lo che riguarda i rifiuti?

(Don DeLillo, Underworld, 1997)

6. Lingua e stile

26. Le parole e i pensieri in un testo narrativo

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Una scena di dialogo nudo e senza didascalie è la forma più essenziale di discorso citato. Il narratore, a parte la minima indicazione “confermò Sims”, non si fa sentire affatto. Cisono solo due persone, anzi soltanto le loro voci, davanti a noi, registrate secondo lamodalità del discorso diretto, cioè letteralmente. Non è necessario che il narratore sia così assente. Di solito, anzi, tra una battuta e l’altrasi usa descrivere i gesti dei personaggi, le loro espressioni, le loro reazioni. Ma abbiamoscelto un esempio tanto “povero” di elementi di contorno per dimostrare che nel discorsodiretto l’importante è l’assenza di filtro. Il personaggio apre la bocca, parla, e il lettore“sente” le sue parole.

27.2. Forme del discorso citato: il monologo

“Io sono una persona malata… sono una persona cattiva. Io sono unoche non ha niente di attraente. Credo d’avere una malattia al fegato.Anche se d’altra parte non ci capisco un’acca della mia malattia, e nonso che cosa precisamente ci sia di malato in me. Non mi curo e non misono mai curato, anche se la medicina e i dottori io li rispetto. Per di piùsono anche superstizioso al massimo grado; o perlomeno quanto bastaper rispettare la medicina. (Sono abbastanza istruito da non esseresuperstizioso, ma sono superstizioso). Nossignori, non mi voglio cura-re, e non lo voglio appunto per cattiveria. Ecco, forse questa cosa voial-tri non vi degnerete di capirla. Be’, io invece la capisco. Ovviamentenon so spiegarvi a chi di preciso io intenda far dispetto in questo casospecifico, con la mia cattiveria; so benissimo che nemmeno ai dottorimedesimi potrò in alcun modo “farla sporca”, col mio non andar da loroa curarmi; e so meglio di chicchessia che così sto danneggiando unica-mente me stesso e nessun altro. Cionondimeno, se non mi curo è giu-stappunto per cattiveria. Il mio fegatuccio soffre? Bene, che soffra pure,e ancora di più!”

(Fjodor Michajlovic Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo, 1865)

Questo è il secondo esempio più comune da incontrare, il monologo. Anche il monologo, alla pari del dialogo, ha una natura fondamentalmente teatrale. Noilettori rimaniamo silenziosi, come il pubblico in sala mentre un attore interpreta la suaparte. Spesso nei romanzi del Settecento e dell’Ottocento il narratore interno protagonista –colui che parla in prima persona – si rivolge, come qui, a un’ipotetica platea di ascoltato-ri. Altre volte il narratore si presenta come uno scrittore intento a comporre un romanzo oun’autobiografia, e allora si rivolge direttamente ai suoi lettori.

27.3. Forme del discorso citato: il monologo interiore

“Il burattino, ritornato in città, cominciò a contare i minuti a uno a uno;e, quando gli parve che fosse l’ora, riprese subito la strada che menavaal Campo dei miracoli. E mentre camminava con passo frettoloso, il cuore gli batteva forte e gli

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faceva tic, tac, tic, tac, come un orologio da sala, quando corre davve-ro. E intanto pensava dentro di sé: - E se invece di mille monete, ne trovassi su i rami dell’albero duemi-la?... E se invece di duemila, ne trovassi cinquemila?... E se invece dicinquemila ne trovassi centomila? Oh che bel signore, allora, chediventerei!... Vorrei avere un bel palazzo, mille cavallini di legno emille scuderie, per potermi baloccare, una cantina di rosoli e di alcher-mes, e una libreria tutta piena di canditi, di torte, di panettoni, di man-dorlati e di cialdoni colla panna. Così fantasticando, giunse in vicinanza del campo, e lì si fermò a guar-dare se per caso avesse potuto scorgere qualche albero coi rami carichidi monete: ma non vide nulla”.

(Carlo Collodi, Pinocchio, 1883)

Un altro tipo di monologo, detto soliloquio o monologo interiore, lo vediamo qui messoin pratica dall’ingenuo Pinocchio mentre torna al Campo dei Miracoli. Pinocchio ha cre-duto all’inganno del Gatto e della Volpe, ha sepolto i suoi soldi in un terreno che gli hannodetto magico, e ora torna per ritrovarli moltiplicati. Quindi parla tra sé, fantastica sui suoifacili guadagni. Ciò che differenzia il monologo interiore dal monologo vero e proprio, è che il personag-gio che pensa o parla ad alta voce non si rivolge a nessun altro che a se stesso.

27.4. Forme del discorso citato: il flusso di coscienza

“[...] e la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che face-va il suo giro con la sua lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù infondo Oh e il mare e il mare qualche volta cremisi come il fuoco e glisplendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Alameda sì e tutte quellestradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsominie i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fior di monta-gna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazzeandaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro more-sco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi dichiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fiordi montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tiraiaddosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì e ilsuo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì”.

(James Joyce, Ulisse, 1922)

Una donna, di nome Molly Bloom, ripensa nel dormiveglia a quando e come suo maritole ha chiesto di sposarlo. Su questo triplice gioioso “sì” termina un romanzo tra i impor-tanti del Novecento, Ulisse di James Joyce. L’irlandese Joyce non fu l’inventore, ma fu certo colui che più di tutti sperimentò e perfe-zionò la tecnica del flusso di coscienza (in inglese stream of consciousness). Il fine delloscrittore era quello di rappresentare al meglio la rapidità del pensiero e le sue spessoimprevedibili associazioni tra immagini, ricordi, sensazioni. L’assenza completa di punteggiatura rende questo tipo di tecnica narrativa particolarmen-te incalzante e vertiginosa, ma anche molto coinvolgente.

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28. Il discorso raccontato

28.1. Forme del discorso raccontato: il discorso indiretto

“Entrò correndo Sanneo, il capo corrispondente. [...] Chiese un librod’indirizzi ad Alfonso e, la parola non abbastanza pronta, con le manicercava d’indicare la forma del libro, fremendo d’impazienza. Quandol’ebbe, scartabellandolo nervosamente, guardò Miceni sorridendo concortesia e lo pregò di rimanere perché doveva dargli ancora del lavoro.Miceni, pronto, si levò il soprabito, lo appese con cura, sedette e presela penna in mano in attesa delle istruzioni”.

(Italo Svevo, Una vita, 1892)

Nel frammento tratto da Una vita, ciò che ci deve colpire è la fretta ansiosa nei gesti delcapo corrispondente Sanneo, più volte sottolineata (“con le mani cercava d’indicare laforma del libro, fremendo d’impazienza” / “scartabellandolo nervosamente”). È un trat-to del personaggio.Al contrario, le due frasi che Sanneo pronuncia sono del tutto insignificanti (“Chiese unlibro d’indirizzi” / “lo pregò di rimanere perché doveva dargli ancora del lavoro”), eSvevo le riporta in maniera sbrigativa, senza perder tempo a sceneggiare un dialogo. Questo è un esempio di discorso indiretto. Il narratore non dà la parola al personaggio,ma la “traduce” dentro al suo discorso senza interrompersi.Di solito troviamo il discorso indiretto in una frase subordinata introdotta da verbi comedire, rispondere, raccontare, sostenere, affermare, o – come qui – chiedere e pregare.Sono naturalmente tutti verbi connessi con le tante forme possibili del dire.Il discorso indiretto solitamente non si discosta molto dal discorso diretto che sostituisce.Per esempio:- “Sanneo lo pregò di rimanere perché doveva dargli ancora del lavoro”

può con facilità essere la trasformazione di: - “Sanneo disse: «La prego, rimanga un po’ perché ho ancora del lavoro da darle».

28.2. Forme del discorso raccontato:il discorso indiretto liberokkkkkkkkkkkkkkkkk

A) “Le dita di Gabriel calde e tremanti tamburellavano sul vetro gelatodella finestra. Come doveva far freddo fuori! E che piacere sarebbestato passeggiare là, solo, prima lungo il fiume e poi attraverso ilparco! Certo la neve doveva ricoprire i rami degli alberi e rivestiredi un cappuccio scintillante le sommità del monumento diWellington. Quanto sarebbe stato più bello trovarsi laggiù che nonlì, al tavolo della cena!”

(James Joyce, I morti, da Gente di Dublino, 1914)

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109Il metodo

Qui incontriamo una tecnica narrativa relativamente recente: compare nell’Ottocento inautori come l’inglese Jane Austen e il francese Gustave Flaubert ma si afferma soprattut-to tra Otto e Novecento. Va sotto il nome di discorso indiretto libero.Osserva il brano: il narratore riporta i pensieri e gli stati d’animo del suo personaggioGabriel. Non si tratta però di un semplice narratore onnisciente, che come tale sa cosa provano lepersone e vede dentro le loro menti anche se restano in silenzio. Questo narratore fa di più: per qualche istante parla e pensa come se lui stesso fosseGabriel.

Non cita tra virgolette le sue parole = Gabriel pensò: “Chissà che freddo fa fuori! Comemi piacerebbe passeggiare là da solo…” (discorso diretto)Non le riassume = Gabriel pensò che fuori doveva far molto freddo, e che gli avrebbe fattopiacere passeggiare là da solo…” (discorso indiretto)

A segnalarci la presenza del discorso indiretto libero, qui, sono le frasi esclamative:“Come doveva far freddo fuori! E che piacere sarebbe stato passeggiare là, solo” /“Quanto sarebbe stato più bello trovarsi laggiù che non lì, al tavolo della cena!” Il narratore non ci dice esplicitamente che si tratta delle fantasie di Gabriel, ma è quest’ul-timo a desiderare il freddo e la solitudine del parco innevato

Il discorso indiretto libero è un singolare incrocio tra narratore e personaggio:mantiene a livello grammaticale la voce esterna del narratore ma assume la foca-lizzazione interna del personaggio. Insomma CHI PARLA è ancora il narratore,CHI VEDE (ossia CHI PENSA/SENTE) è il personaggio.

B) La signora Dalloway disse che i fiori li avrebbe comperati lei. Lucyne aveva fin che voleva, del lavoro. C’era da levare le porte dai car-dini; e per questo dovevano venire gli uomini di Rumpelmayer”.

(Virginia Woolf, La signora Dalloway, 1925)

Un brevissimo esempio utile per affiancare un esempio di discorso indiretto e uno didiscorso indiretto libero. L’autrice, Virginia Woolf, inizia bruscamente il suo romanzo in medias res, ponendoci nelbel mezzo di un colloquio. - La prima frase riporta una battuta del personaggio: “La signora Dalloway disse che i

fiori li avrebbe comperati lei” = discorso indiretto.- Con la modalità del discorso diretto invece avremmo avuto “La signora Dalloway

disse: “I fiori li compero io”.- La frase seguente, però, è più ambigua: “Lucy ne aveva fin che voleva, del lavoro”.

Chi sta parlando/pensando, qui? Il narratore o la signora Dalloway? Il narratore ha lasciato sottinteso, per non ripetersi, un verbo di dire che introduce ildiscorso indiretto: “[La signora Dalloway disse/pensò che] Lucy ne aveva fin che vole-va, del lavoro”. Sta tutta qui la differenza tra discorso indiretto e indiretto libero, nel dubbio su chi stiaparlando. Il narratore si assottiglia fin quasi a scomparire, e noi sentiamo molto più davicino il pensiero o le parole di Mrs. Dalloway. Ma il narratore non scompare del tutto,resta comunque un filtro, e lo si vede dall’uso dei verbi all’imperfetto. È ancora possi-

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bile passare questa frase al discorso diretto. - Con la modalità del discorso diretto avremmo avuto “La signora Dalloway disse/pensò:

“Lucy ne ha fin che ne vuole, di lavoro”.

28.3. Forme del discorso raccontato: il resoconto

“Il signor Maller aperse la porta e dopo essersi accertato che c’eraSanneo entrò nella stanza. [...] Non guardò i due impiegati che s’eranolevati in piedi e non rispose al loro saluto. Consegnò un telegramma aSanneo con un sorriso. [...] Sanneo aveva compreso e impallidì. Quel dispaccio gli toglieva le oredi riposo sulle quali aveva contato. Con uno sforzo risoluto si dominòe stette a udire con attenzione le istruzioni che gli venivano impartite. L’emissione si faceva due giorni appresso, ma la casa Maller dovevaconoscere le firme dei sottoscrittori la sera della dimane59. Il signorMaller indicò alcune case a cui gli premeva che l’offerta venisse indi-rizzata. Gli altri indirizzi dovevano essere dei medesimi clienti ai qualis’erano già fatte offerte consimili. Quella sera stessa bisognava spedireun centinaio di dispacci, preparati da giorni senza l’indirizzo e senza ilnumero delle azioni che dovevano variare secondo l’importanza dellacasa cui si dirigevano. Il lavoro [...] consisteva nelle lettere di confermada scriversi subito”.

(Italo Svevo, Una vita, 1892)

Qui Svevo sta rappresentando nel dettaglio una comune scena d’ufficio. Ma molto spessoanche uno scrittore minuzioso non vuole dedicare troppo spazio a dettagli poco importan-ti. Perciò decide di riassumere. E allo stesso modo in cui riassume più azioni o eventi inuna sola frase, può sintetizzare anche quello che i personaggi si dicono.Questo passo si può classificare come esempio di resoconto. Il resoconto non è molto diverso dal discorso indiretto: anche qui lo scrittore toglie laparola al personaggio e riassume il senso del suo discorso. La differenza principale è che nel resoconto di solito manca il tipico verbo di parola cheinvece introduce il discorso indiretto. Inoltre, il riassunto si fa ancor più abbreviato, diven-ta quasi impossibile risalire alle parole pronunciate.Sia il discorso indiretto che il resoconto presentano nella maggior parte dei casi il verboall’imperfetto.

“Quando egli rientrava a notte fonda, non osava svegliarla. Il lume danotte di porcellana proiettava sul soffitto una sfera di luce tremula, e letendine chiuse della piccola culla formavano come una capanna bianca

Laboratorio Verifica

59 Della dimane –del giorno seguen-te, di domani.

Charles ed Emma GUSTAVE FLAUBERT

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che tondeggiava nell’ombra, a fianco del letto. Charles la guardava.Credeva di udire il respiro leggero della bambina. [...] Ah! come sareb-be stata carina, più tardi, a quindici anni, quando, rassomigliante allamadre, avrebbe portato al pari di lei, grandi cappelli di paglia! Da lon-tano, le avrebbero prese per due sorelle. [...] Avrebbe riempito le stan-ze della sua grazia e allegria. Infine, loro [lui e sua moglie Emma]avrebbero pensato a sistemarla; le avrebbero trovato un bravo ragazzo,con una posizione solida; l’avrebbe resa felice; sarebbe stato così persempre.Emma non dormiva, fingeva d’essere addormentata; e mentre lui s’as-sopiva al suo fianco, essa si ridestava ad altri sogni.Al galoppo di quattro cavalli, era da otto giorni trasportata verso unpaese nuovo, da cui [lei e il suo amante Rodolphe] non sarebbero tor-nati più. Andavano, andavano, a braccia allacciate, senza parlare.Spesso, dall’alto d’una montagna, scorgevano d’improvviso qualchecittà splendida, con cupole, ponti, navi, boschi di limoni e cattedrali dimarmo candido, dai campanili aguzzi su cui erano nidi di cicogne. [...]E poi arrivavano, una sera, in un villaggio di pescatori, con reti bruneche asciugavano al vento, lungo la scogliera e le capanne. Là si ferma-vano per viverci: avrebbero abitato una casa bassa dal tetto piatto, conuna palma che faceva ombra, in fondo a un golfo, sulla riva del mare.Avrebbero passeggiato in gondola, si sarebbero cullati sulle amache; ela loro esistenza sarebbe stata facile e larga come i loro vestiti di seta,tutta calda e stellata come le dolci notti che avrebbero contemplato”.

(Gustave Flaubert, Madame Bovary, 1856)

DISCORSO CITATO

In questo brano Flaubert mette a confronto due solitudini. Charles Bovary e sua moglieEmma si ritrovano a sera nella stessa stanza da letto, ma non si parlano. Entrambi sonopersi nelle proprie fantasticherie.

- Ci sono esempi di discorso diretto in questo brano? Se non ci sono, prova a ottenerli solotrasformando le frasi che lo permettono:

a) Prova a inserire un esempio di dialogob) Prova a inserire un esempio di monologoc) Prova a inserire un esempio di monologo interiored) Prova a inserire un esempio di flusso di coscienza

- Osserva ora il brano che hai modificato inserendo frasi di discorso diretto: in che manie-ra è cambiato? È rimasto rispettoso dell’originale di Flaubert o lo ha stravolto?

a) Se inserisci un dialogo fra i due sposi, come devi comportarti? - Possono entrambi dire ad alta voce quello che pensano realmente, o solo uno di loro

può farlo?

Esercizi

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60 Acquiescente –Accondiscendente,obbediente.61 Empiaggini –Parola inventatadallo scrittore,che unisce l’ideadi “scempiaggini”(sciocchezze,

cose di pococonto, da scempio= sciocco) a quel-la di “empietà”(letteralmente“assenza dipietas” = compor-tamento o pensie-

ro contrario alvolere divino). Ilmedico di cui siparla infattiamava chiacchie-rare con i pazientidelle sue convin-zioni antireligio-

se.62 Gocciolantipellicole – Leradiografie.63 Roseola –Termine medico.In alcune malattiedi origine infetti-

va o, più rara-mente, parassita-ria, la roseola èuna piccola chiaz-za eritematosa,rosea o rossa,piana o appenarilevata.

112 Canone Occidentale - Prosa

- A chi lasceresti dire liberamente i suoi pensieri e chi invece deve nasconderli?b) Quale dei quattro tipi di discorso citato ti permette di rimanere più vicino all’originale?

Il dialogo e il monologo oppure il monologo interiore e il flusso di coscienza? c) Per quale motivo, secondo te, non tutte le soluzioni sono equivalenti?

DISCORSO RACCONTATO

- Ci sono esempi di discorso indiretto in questo brano? Sottolineali e prova a classificarli:a) Quale ti sembra un esempio di discorso indiretto? Se non ne trovi, prova a trasforma-

re in tal senso le frasi che lo permettono.b) Quale ti sembra un esempio di discorso indiretto libero?c) Quale ti sembra un esempio di resoconto? Se non ne trovi, prova a trasformare in tal

senso le frasi che lo permettono.

29. I registri della prosa

Quando leggiamo un romanzo o una novella, molto spesso ci sembra che la storia sia ilsolo elemento che conta. Se la trama ci appassiona, i personaggi ci affascinano, lo sfondoci conquista, la lettura diventa una immersione totale in un mondo a sé stante. Ma in realtà ogni narrazione è fatta di parole. Sia la trama sia i personaggi sia lo sfondo,che noi spesso vediamo così reali, sono creati soltanto dalla magia delle parole. Dunque, non sarà una questione secondaria la scelta del modo in cui queste parole vengo-no messe l’una accanto all’altra.

29.1. Sublime o Tragico

“Mi chiedo tuttora cosa cercasse nella mia compagnia, se gli servissesolo un ascoltatore acquiescente60 per le sue empiaggini61 d’ogni sera,oppure obbedisse alla professionale curiosità di censire da vicino i pro-gressi del male dentro di me, le crepe neonate, i capisaldi persi, ripresi,ripersi; e tutto questo non su una di quelle gocciolanti pellicole62 chedetestava, bensì attraverso più sottili spionaggi: una veemenza nellatosse che prima non c’era; una nota che la voce avesse improvvisamen-te fallito o riacciuffato a fatica sull’orlo; un’unghia spaccata, una roseo-la63 sul labbro, un lampo di febbre nell’iride. A meno che non venisseper bere, bere gli piaceva, gli dava la parlantina. E dunque io mi leva-

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vo dal letto, cavavo dall’armadio di ferro una bottiglia di porto e la miacaraffa privata (lui, a scanso di contagi, il suo bicchiere da tasca da unatasca della vestaglia, guardandomi di sbieco e scusandosi della precau-zione con una sfacciataggine delle labbra). Uscivamo a bere sullaveranda, io anima, lui condottiero e arcidiavolo64, fra sedie a sdraionere di corpi distesi e sussurranti, dinanzi alla pineta che non stormiva,quasi, e nascondeva la lama di mare, laggiù”.

(Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore, 1981)

64 Arcidiavolo –Un capo dei dia-voli, comeArciprete è unprete di gradosuperiore (dalgreco arché =cominciamento,principio).

Fin dall’antichità si definiva sublime o tragico (perché usato nel genere letterario più illu-stre di tutti, la tragedia greca) lo stile che incontriamo in un brano come questo. Autore neè il siciliano Gesualdo Bufalino, il romanzo narra una vicenda ambientata in un sanatorioper ammalati di tubercolosi.Lo stile tragico è il registro più elevato e solenne della prosa, e lo si riconosce da alcunitratti caratteristici:a) L’uso di parole rare, a volte d’invenzione, spesso tratte da lingue antiche come il greco

e il latino. b) La presenza di allusioni o citazioni letterarie e colte (“io anima, lui condottiero e arci-

diavolo”. Con questa perifrasi che allude alla Divina Commedia, il narratore si imma-gina già morto, e vede il suo medico come un capo dei diavoli, o come un “condottie-ro” per il viaggio nell’aldilà, cioè come Virgilio per Dante).

c) L’uso di metafore ricche e complesse, che trasformano e nobilitano le cose (“i capisal-di persi, ripresi, ripersi”, indica l’avanzata della tubercolosi come se i polmoni fosse-ro un campo di battaglia tra la salute e la malattia).

d) Frasi lunghe e articolate, con coordinate e subordinate (in tal caso si parla diipotassi,dal greco hypotáxis = sottomissione). L’ipotassi viene usata per esprimereanalisi e ragionamenti.

e) La preferenza per temi seri e drammatici: lo stile sublime di solito non sopporta l’iro-nia o l’umorismo.

29.2. Medio

“Una sera di dicembre in una casa di campagna italiana non lontana daimonti coperti di neve una famiglia cenava: in tavola c’era una pentolarettangolare di alluminio con un pollo spezzato, patate nel sugo dipomodoro e una insalatiera colma di radicchio rosso dal gambo biancocon molto pepe; c’era pane, alcune fette di polenta abbrustolita, vinorosso e denso dentro un fiasco di paglia impregnata del colore del vino.La cucina era riscaldata da una stufa bianca a gasolio dove erano staticotti i cibi, la famiglia e due amici sedevano alla grande tavola copertada una tovaglia bianca e parlavano [...]. Il vecchio alto che stava a capo-tavola aveva parlato delle zanzare in trincea nella prima guerra mondia-le, ora sorrideva dietro gli occhiali a se stesso e seguiva la conversazio-ne partecipando solo con qualche parola. Il barometro aveva smesso disegnare bel tempo e si trovava in quello stato di indecisione che prelu-de un mutamento improvviso. Il vento era cessato, il freddo era ancora

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molto forte [...] e tutti sentivano che sarebbe caduta la neve. Un giova-ne bracco bianco e nero entrava e usciva spalancando la porta di casa equalcuno a turno si alzava da tavola e correva a chiudere”.

(Goffredo Parise, Casa, in Sillabario n. 1, 1971)

In tutti i racconti che si trovano nella raccolta dei Sillabari, lo scrittore Goffredo Parise hautilizzato uno stile medio, come ben si vede dal brano citato. Lo stile medio cerca di mantenersi equidistante tanto dalle raffinatezze del sublime quan-to dalle bassezze del comico. Evita l’eleganza ma anche la volgarità.a) La scelta delle parole è precisa ma non ricercata. Sostantivi, aggettivi e verbi compaio-

no nella loro forma più comune.b) Luoghi, oggetti e personaggi sono rappresentati direttamente per quello che sono. c) Le frasi sono semplici e brevi, per lo più coordinate. d) La sintassi è lineare: per esempio, il soggetto si trova quasi sempre all’inizio di frase e

il verbo lo segue da vicino. Gli ultimi due elementi si definiscono paratassi (dal greco paratáxis = coordinazione). Lacaratteristica della paratassi è che lascia maggiore libertà a chi legge, sembra non volerimporre un ordine gerarchico alle varie parti del discorso.

29.3. Comico-realistico

“Il mio disgraziato fratello ha sempre avuto tante pretese nella vita, e dapiccolo non mi lasciava mai in pace a volermi raccontare tutte le suestorie e sogni di ragazzo. Io non sapevo neanche di cosa parlasse, maper calmarlo facevo quella funzione di ascoltare i suoi discorsi eapplaudirlo, in quanto ero il fratello minore. Erano bei discorsi ma unpo’ lunghi, mettiamo sui transatlantici che attraversano l’equatore e gliviene il mal di mare, oppure sulle isole Molucche che un giorno glicasca addosso un monsone. Oppure sugli esploratori che vanno a esplo-rare i ghiacci del polo. Ma quello che gli piaceva di più erano le avven-ture nei sette mari, con le giunche cinesi che vanno all’arrembaggio epoi un certo signor Jim che corre via su un’isola deserta piena di canni-bali che lo vogliono fare arrosto. Il fratello la sua idea sarebbe stata dipartire un bel giorno per Singapore e portarmi me come aiutante indi-geno. Per questo dovevo obbedire e star zitto quando parla, perché midiceva: tu non vai lontano senza di me. Mi reputava poco abile a sbri-garmela da solo casomai mi trovassi in un deserto di leoni o nelle step-pe accerchiato dai tartari”.

(Gianni Celati, La banda dei sospiri, 1976)

Il livello più basso tra i registri della scrittura è occupato da quello che si definisce stilecomico o comico-realistico. Come per lo stile tragico, il nome deriva da un genere lette-rario dell’antichità, la commedia greca. Noi oggi diamo alla parola “comico” un significato legato al riso e all’umorismo, ma inrealtà lo stile comico non dipende da ciò che chiamiamo “comicità”. È, invece, il più vici-no alle forme popolari del parlato, in apparenza il meno letterario:a) Utilizza parole di ogni tipo, di ogni provenienza, tanto della lingua “ufficiale” che dia-

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lettali e gergali. Non esclude nemmeno il turpiloquio e le oscenità. Per parodia può con-tenere anche i termini aulici dello stile tragico.

b) Semplifica molto le strutture sintattiche (“da piccolo non mi lasciava mai in pace avolermi raccontare tutte le sue storie e sogni di ragazzo”).

c) Usa espressioni colloquiali di tutti i giorni (“Erano bei discorsi ma un po’ lunghi, met-tiamo sui transatlantici”).

d) Non corregge neppure gli errori e le sgrammaticature (“Il fratello la sua idea sarebbestata di partire e portarmi me come aiutante indigeno” / “dovevo obbedire e star zittoquando parla, perché mi diceva”).

Avvertenza:Lo stile comico e lo stile medio non sono meno letterari dello stile tragico: lo scrittoredecide volta per volta quale sia il registro che si adatta meglio alla sua storia. Ma ogni suascelta nasce sempre da esigenze di espressione.

Definizione:Stile sublime o tragico: è il registro più elevato e solenne della prosaStile medio: è una forma intermedia; cerca di evitare l’eleganza ma anche la vol-garità Stile comico: è il più vicino alle forme del parlato popolare, però può accogliereogni genere di parola

30. Denotazione e connotazione

“un romanzo [I promessi sposi] ove la componente indipendentista èstata avvertita già prima del ’40, […]: romanzo che dice di nuora(Spagna) perché di suocera si possa intendere (Austria)”.

(Carlo Emilio Gadda, Il tempo e le opere, 1982)

Ci sono frasi, come questa di Gadda, che ci insegnano qualcosa non solo per quello chedicono, ma anche e soprattutto per come lo dicono. Una frase del genere ci fa capire la differenza tra denotazione e connotazione.La denotazione è il significato primario, immediato e superficiale di una parola o di unaespressione. La connotazione è invece un significato secondo, indiretto, allusivo.- La parte denotativa della frase è: I Promessi Sposi è ambientato nel Seicento sotto la

dominazione spagnola; Manzoni non poteva criticare direttamente gli Austriaci che allo-ra occupavano il nord Italia, e allora ha scelto un’altra nazione (la Spagna), e un’altradominazione, per criticare quella presente e sfuggire alla censura.

Tutto ciò è noto, e Gadda stesso lo sottolinea (“la componente indipendentista è stataavvertita già prima del ’40”). Quel che è nuovo e geniale è come Gadda esprime il con-cetto.

- La parte connotativa infatti è rappresentata da un proverbio popolare (“dire di nuoraperché suocera intenda”). Il proverbio significa “criticare qualcuno per colpire indiret-tamente qualcun altro”.

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Cosa ottiene Gadda con questa connotazione?a) Una sintesi rapidissima del concetto: è impossibile dire la stessa cosa in maniera più

concisa.b) Una sorprendente sostituzione di ruoli: al posto del linguaggio della critica letteraria

usa quello della saggezza popolare. c) Un effetto ironico-comico: abbassa il grande tema del Risorgimento a livello di un bat-

tibecco familiare.

Nelle opere letterarie l’uso della connotazione è molto frequente, perché il valore di unracconto o di una poesia nasce proprio dalla ricchezza del linguaggio, dalla sua capacitàdi esprimere cose note in maniere nuove o più suggestive.Al contrario, in un testo scientifico predomina la denotazione, perché lì sono necessarieprecisione e chiarezza.

Definizione:Denotazione: la denotazione è il significato primario, immediato e superficiale diuna parola o di una espressione.Connotazione: la connotazione è un significato secondo, indiretto, allusivo di unaparola o di una espressione.

31. Le figure retoriche

Le figure retoriche sono abusi del linguaggio. Servono a esprimere dei concetti al di làdel valore letterale di una espressione. In ogni discorso si trovano figure retoriche, non solo nella letteratura. Hai mai pensato chequando parli del “collo” della bottiglia o della “gamba” del tavolo usi una metafora? Chequando dici “è una vita che ti aspetto” stai pronunciando un’iperbole? Che quando dici“è agile come un gatto” formuli una similitudine? Naturalmente nella letteratura, che è il luogo dove ogni libertà è concessa al linguaggio,di figure retoriche se ne trovano molte e diverse. Vediamole insieme:

31.1. Figure sintattiche

Anacoluto

“Il fratello la sua idea sarebbe stata di partire un bel giorno perSingapore”

(Gianni Celati, La banda dei sospiri, 1976)

L’anacoluto è una “rottura nella costruzione” della frase, o un “cambiamento in corsa diprogetto” (dal greco anakólouthos = “senza seguito”). Si comincia una frase con un ele-mento e lo si lascia senza l’appoggio di una funzione sintattica, in evidenza come un pontelasciato a metà.

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Asindeto

“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,Le cortesie, l’audaci imprese io canto”

(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso)

L’asindeto (dal greco asyndeton = “senza legame”) si ha quando l’autore sopprime le con-giunzioni coordinanti, cioè le “e”, le “o”, i “ma”, eccetera, per ottenere un ritmo narrati-vo più rapido e incalzante.

Ellissi

“D’accordo allora. Tu vai con loro, se vuoi, e lasciami le chiavi dellamacchina”.“Oh, Cristo, non attaccare con questa storia delle chiavi della macchi-na. Perché devi sempre…”“Senti, Frank.” Gli occhi di April erano ancora chiusi. “Io con quellagente non ci esco. Si dà il caso che non mi senta molto bene e…”“D’accordo”. Frank stava arretrando, protendendo entrambe le manirigide e tremanti. “D’accordo, d’accordo, scusami. Glielo dico. Tornosubito, scusami.”[...]“Siete pronti, voi due?” chiese Shep Campbell.“Be’”, disse Frank, “a dire il vero, ho paura che ci toccherà rinunciare.Sai com’è. April ha promesso alla baby-sitter di tornare a casa presto, edavvero…”

(Richard Yates, Revolutionary Road, 1961)

L’ellissi è una forma di sottinteso (dal greco élleipsis = “mancanza”). Nota che ben tre bat-tute di dialogo nel brano riportato finiscono interrotte. L’ellissi può servire a:a) Snellire le frasi sopprimendo gli elementi inutili. b) Creare suspense.c) Riprodurre – come qui – realisticamente i discorsi che spesso rimangono sospesi.

Polisindeto

“Sprofonderò nella tenebra divina [...], e in questo sprofondarsi andràperduta ogni eguaglianza e ogni disuguaglianza, e in quell’abisso il miospirito perderà se stesso, e non conoscerà né l’uguale né il disuguale, néaltro: e saranno dimenticate tutte le differenze”.

(Umberto Eco, Il nome della Rosa, 1981)

Il polisindeto è l’esatto contrario dell’asindeto, cioè una sequenza di termini legati tra loroda congiunzioni. Se l’asindeto genera accelerazione della lettura e del racconto, il polisin-deto provoca piuttosto il rallentamento. Come in questo caso nel romanzo di Eco, cherichiama intenzionalmente il procedere della preghiera.

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Iterazione

“Ricordate Charlot65 in mezzo agli specchi? Ricordate Charlot inmezzo al labirinto degli specchi? Ricordate Charlot in mezzo al labirin-to della «riflessione»? Ricordate Charlot circondato da innumerevoliCharlot, da infiniti Charlot, da nient’altro che Charlot che lo affrontanoda ogni parte, lo guardano da ogni parte, muovono contro di lui da ogniparte; e alzano tutti assieme un braccio se lui alza un braccio, si volta-no tutti assieme se lui si volta, ridono tutti assieme se lui ride?”

(Alberto Savinio, Maupassant e l’Altro, 1944)

L’iterazione o ripetizione è data, come dice il nome, dal ripresentarsi del medesimo ele-mento più volte nella stessa frase o in frasi vicine. Serve a sottolineare con molta enfasi ilconcetto che si vuole esprimere.

31.2. Figure semantiche o di significato

Accumulazione

“Questa nave trasporta granaglie, comunissime, banali granaglie. Assaipiù mi piacerebbe comandare una nave carica di spezie esotiche dainomi favolosi, cardamomo, nepente, issopo, ipecacuana, o di piantemedicinali familiari ai monaci dei nostri conventi, ma dai nomi ancorpiù misteriosi ai profani, melissa giusquiamo estragone, dulcamaramadreselva laudano… oppure vorrei un carico di stoffe pregiate, nonper il loro valore ma per la magia che fin da bambino avvertivo in queisuoni, parole come paesi lontani, zendado broccato damaschinotaftà…o legni, di quelli rari, odorosi [...] il sandalo, l’eucalipto, il cedro,la tuia…”

(Michele Mari, La stiva e l’abisso, 1992)

L’accumulazione si ha quando il narratore mette insieme in maniera ordinata(elenco/enumerazione) o disordinata (accumulazione caotica) un gran numero di oggetti,parole, sensazioni, personaggi. Nota che qui Michele Mari ricorre sempre all’asindeto. Non per accelerare il ritmo bensìper mettere in evidenza, uno accanto all’altro, solo i nomi favolosi delle spezie, dei tessu-ti e dei legni.

Climax

“Eh, troppo bella, barone, troppo perfetta… Anzi, direi troppo ideale.”(Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio, 1976)

Climax, una parola greca che significa “scala”, è anche il nome di una figura retorica cheappunto procede per gradini. Chi scrive ribadisce la propria idea intensificandola sempredi più.

65 Charlot – Ilfamoso personag-gio del vagabondocreato e interpre-tato dal registaCharlie Chaplin(1889-1977).

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In questo caso la climax sale da “bella” a “perfetta” a “ideale”.Se invece la scala si percorre a rovescio, cioè in diminuzione, si parla di anticlimax o cli-max discendente.

Iperbole

“Mi piace da morire / È accecato dall’ira / Non ha un briciolo di cer-vello”

L’iperbole è una forma di esagerazione (dal greco hyperbolé = “sollevo, oltrepasso”) cheperò spesso serve a sottolineare meglio un concetto o un’immagine, non a renderla incre-dibile.

Ironia

“la Menegazzi [era] tutta trepida [...] di speranze in ritardo, nel sogno enel patema66 delle ahimè rasentate ma non patite servizzie”

(Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, 1957)

L’ironia è una figura retorica molto diffusa. In questo caso il narratore ironizza su unadonna non più giovane che è stata aggredita da un rapinatore. Gadda ci fa capire maligna-mente (con quell’ “ahimè”) che la Menegazzi in cuor suo ha provato una certa attrazioneper il criminale. L’ironia si arricchisce con la ripresa di una parola sbagliata: la Menegazzi in precedenzaha detto “servizzie” per “sevizie” (cioè “maltrattamenti / violenze”), e qui il narratore ripe-te la parola per fare il verso alla sua ignoranza.

Litote

“Don Abbondio (il lettore se n’è già avveduto) non era nato con un cuordi leone”

(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)

Lo scrittore ci dice una cosa attraverso un curioso stratagemma: la negazione del suo con-trario. (“Non era nato con un cuor di leone = non era nato coraggioso = era un vile). La litote si usa di frequente con intenzioni ironiche, ma non di rado anche per attenuareun concetto. Definire don Abbondio “un vigliacco” sarebbe stata una scelta espressivatroppo severa.

Metafora

“Il deserto dello scrittoio andrà arato a lungo prima che su di esso fio-riscano le prime righe”.

(Vladimir Nabokov, Il dono, 1937)

Una metafora (dal greco metaphorá = “trasferimento”) è la sostituzione di un termine con

66 Patema –Timore, paura.

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un altro sulla base di qualche elemento di somiglianza in comune. Tra il primo e il secon-do vocabolo si stabilisce un paragone implicito, senza il “come” a unirli. Qui l’immagine di una scrivania vuota, in una casa nuova, appena affittata, suscita nel nar-ratore il pensiero di un terreno arido e desertico. L’elemento in comune è il vuoto.Dalla prima metafora ne nasce un’altra, conseguente. Ci vorrà molto tempo e molto lavo-ro paziente per riuscire a comporre poesie sulla nuova scrivania, pensa il narratore: lascrittura sarà il frutto di questo lavoro come il raccolto dei campi lo è dell’aratura. L’elemento in comune è la fioritura.

Metonimia

La metonimia (dal greco metonymía = “scambio di nome”) è una sostituzione come lametafora, però tra il primo e il secondo termine deve esserci un legame di reciproca dipen-denza. Eccone alcuni esempi:a) il contenente per il contenuto (“bersi una buona bottiglia” = bersi una buona bottiglia

di vino)b) l’autore per l’opera (“leggere Leopardi, ascoltare Mozart” = leggere i Canti di

Leopardi, ascoltare una sinfonia di Mozart)c) la marca per il prodotto (“una Fiat, una Volkswagen” = una Punto, una Golf)d) lo strumento per lo strumentista (“il primo violino dell’orchestra” = il primo violinista)e) il patrono per il luogo (“la messa in San Pietro” = la messa nella chiesa di San Pietro)f) il concreto per l’astratto (“rispettare i capelli bianchi” = rispettare la vecchiaia)g) la materia per l’oggetto (“l’ultima tela di Picasso” = l’ultimo quadro dipinto da Picasso)e molte altre simili.

Ossimoro

“Una lucida follia” / “Insensato senso” / “Piacevole dolore” / “Un gustodolce-amaro”

L’ossimoro (dal greco oxymoron = “acuta follia”) è una specie di corto circuito del senso.Si ha quando lo scrittore avvicina due termini assolutamente contraddittori.

Reticenza

“La sventurata rispose.”(Alessandro Manzoni, I promessi sposi)

La reticenza o sospensione, si incontra quando lo scrittore deliberatamente sceglie di nondire altro su un determinato argomento. Nel brano riportato, siamo nel punto più drammatico e celebre della storia della Monacadi Monza. Suor Virginia, costretta con la forza a farsi monaca senza vocazione, incontraun uomo, di nome Egidio, che osa rivolgerle la parola che la sedurrà. Ma lo scrittore non ha bisogno di dir altro che: “La sventurata rispose”. Nel solo atto dirispondere da parte di lei è già contenuto tutto lo svolgimento futuro della vicenda.

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Similitudine

“Sui davanzali delle finestruole, strette quasi come feritoie, si vede qual-che volta una pianta di garofano, coltivata in un barattolo di latta; oppu-re, una gabbietta che si direbbe adatta per un grillo, e rinchiude una tor-tora catturata. Le botteghe sono fonde e oscure come tane di briganti”.

(Elsa Morante, L’isola di Arturo, 1957)

La similitudine può essere di due tipi: a) paragone: vedi il brano della Morante: finestre come feritoie / botteghe come rifugi di

briganti b) comparazione: la comparazione è un paragone reversibile: Marco è alto come Luca

= Luca è alto come Marco

Sineddoche

MONTANO: Dalla punta del promontorio che cosa vedete in mare?PRIMO GENTILUOMO: Nulla, tanto sono alte e frementi le onde. Frail mare e il cielo non vedo una vela.[...]QUARTO GENTILUOMO: Una vela! Una vela! Una vela!

(William Shakespeare, Otello)

La sineddoche è un caso particolare della metonimia. Si ha quando lo scrittore utilizza laparte per il tutto, o il genere per la specie, e viceversa. Anche in questo caso, il rapportotra un termine e l’altro deve essere evidente: deve essere un rapporto di quantità. Nell’esempio di Shakespeare, come spesso succede, la “vela” viene nominata per indica-re la “nave”, di cui è una parte (la più visibile da lontano).

Sinestesia

“La luce era una crema voluttuosa e iridata. L’aria era piumata e pie-ghevole, come piena di molle languidissime. A quando a quando l’alitodel sole, colle sue sete granulose e le sue spugne calde. La sabbia nonpompava più i passi. Innumerevoli, i formiconi rossi e lucenti, impre-ziosivano come rubini la carne serica67 della sabbia”.

(Filippo Tommaso Marinetti, Gli Indomabili, 1922)

Abbiamo una sinestesia quando vengono avvicinati termini che coinvolgono sfere senso-riali diverse. Per esempio qui, fin dalla prima frase, alla luce – che si può solo vedere – vengono dateproprietà che si apprezzano con il tatto e con il gusto (“la luce era una crema voluttuosa”). Altre metafore e sinestesie nel brano:- “l’alito del sole”: per indicare il vento caldo del deserto, Marinetti fa del sole una per-

sona e del vento il suo respiro.- “l’aria era piumata e pieghevole”: anche qui troviamo due aggettivi tattili per rappresen-

tare la densità dell’aria. - “la carne serica della sabbia”: unisce la morbidezza come di seta (“serica”) della sabbia

con il suo esser tiepida, come se fosse la superficie di un corpo vivente.

67 Serica –Morbida comeseta.

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32. Il finale

L’inizio di una storia è molto importante, e lo abbiamo dimostrato. Anche il finale lo è,come è facile immaginare. Per concludere il nostro percorso dentro il testo narrativo, osserviamo alcuni finali famo-si, e le loro caratteristiche:

32.1. Finale narrativo

“E all’improvviso ciò che lo tormentava e che non tornava – tuttoall’improvviso cominciò a tornare, da un lato, da due, da dieci, da tuttii lati. Ho pietà di loro, bisogna non farli soffrire. Liberarli e liberare mestesso da queste sofferenze. «Come torna bene e come è facile, – pensò.– E il male? – si chiese – Dov’è andato? Ebbene, dove sei, male?»Stette attento.«Sì, eccolo. E con questo? Dolga pure.»«E la morte? Dov’è?»Cercò la sua solita paura della morte e non la trovò. Dov’è? Ma chemorte? Non c’era più paura perché non c’era più morte.Invece della morte, la luce.– Dunque è così! – disse d’un tratto ad alta voce. – Che gioia!Tutto questo non fu che un attimo per lui, ma il senso di quell’attimoormai non poteva più mutare. Per i presenti la sua agonia durò ancoradue ore. Qualcosa gorgogliava nel suo petto; il suo corpo macerato siscuoteva. Poi il gorgoglio e il rantolo si fecero sempre più rari.– È finito! – disse qualcuno.Egli udì questa parola e se la ripeté nell’anima.«Finita la morte, – si disse – Non c’è più, la morte».Trasse il fiato, si fermò a mezzo, s’irrigidì e morì.

(Lev N. Tolstoj, La morte di Ivan Ilic, 1889)

È la conclusione più canonica. Il racconto finisce esattamente nel momento in cui si veri-fica l’ultimo degli eventi della fabula, ossia la morte del protagonista.

32.2. Finale sentenzioso

“Ascoltando, infatti, i gridi di allegria che salivano dalla città, Rieuxricordava che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quelloche ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillodella peste non muore né scompare mai, che può restare per decine dianni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta paziente-mente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nellecartacce e che forse verrebbe il giorno in cui, per sventura e insegna-

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mento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli amorire in una città felice”.

(Albert Camus, La peste, 1948)

La conclusione della storia propone un insegnamento o una riflessione di carattere gene-rale sull’esistenza.

32.3. Finale aperto

“Presto sarà sera e il chiaro cielo notturno s’impolvererà densamente distelle estive. E io sarò qui, come sempre, a fumare in riva al mare. Hodeciso di non rispondere alla lettera di Clea. Non desidero più coinvol-gere nessuno, fare promesse, pensare alla vita in termini di patti, deci-sioni, accordi. Starà a Clea interpretare il mio silenzio a seconda deisuoi bisogni e desideri, decidere se venire da me se ne ha bisogno oppu-re no, come si dia il caso. Non dipende poi tutto dall’interpretazione chediamo al silenzio che ci circonda? Cosicché…”

(Lawrence Durrell, Justine, in Il Quartetto di Alessandria, 1957-1960)

Il racconto rimane sospeso, e il lettore può liberamente immaginarne gli sviluppi. Il nar-ratore stesso suggerisce che ce ne saranno ma che non sa quali saranno (“Starà a Cleainterpretare il mio silenzio a seconda dei suoi bisogni e desideri, decidere se venire da mese ne ha bisogno oppure no, come si dia il caso”).

32.4. Finale a sorpresa

“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dallasperanza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo perla prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito cheero stato felice, e che lo ero ancora. Perché tutto sia consumato, perchéio sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori ilgiorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio”.

(Albert Camus, Lo straniero, 1946)

Una conclusione imprevista e sconvolgente. Il libro di Camus termina su una imminentecondanna a morte, e non ci propone né un finale conciliante (un pentimento) né un finalefelice (una liberazione/evasione/grazia). Al contrario, si chiude su una frase che conferma il personaggio (“lo straniero” del titolo)nella sua totale estraneità al mondo (“mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatoriil giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio”).

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32.5. Finale lirico

“Così in America quando il sole va giù e io siedo sul vecchio diroccatomolo sul fiume a guardare i lunghi, lunghissimi cieli sopra il New Jerseye avverto tutta quella terra nuda che si svolge in un’unica incredibileenorme massa fino alla Costa Occidentale, e tutta quella strada che va,tutta la gente che sogna nell’immensità di essa, e so che nello Iowa aquell’ora i bambini stanno certo piangendo nella terra in cui lascianopiangere i bambini, e che stanotte usciranno le stelle, e non sapete cheDio è l’Orsa Maggiore?, e la stella della sera deve star tramontando espargendo il suo fioco scintillìo sulla prateria, il che avviene proprioprima dell’arrivo della notte completa che benedice la terra, oscura tuttii fiumi, avvolge i picchi e rimbocca le ultime spiagge, e nessuno, nessu-no sa quel che succederà di nessun altro, se non il desolato stillicidio deldiventar vecchi, penso a Dean Moriarty, penso persino al vecchio DeanMoriarty, il padre che mai trovammo, penso a Dean Moriarty”.

(Jack Kerouac, Sulla strada, 1957)

Abbiamo un finale lirico, come in questo caso, quando il narratore tira le fila del suo rac-conto non esponendo dei fatti ma piuttosto un intreccio di ricordi e sentimenti. La pagina conclusiva di Sulla strada, che è un romanzo sull’America e sul viaggio, appa-re come un brano poetico in prosa, che riassume il senso dell’intera opera.

Di tutti gli animali che vivono tra le pagine dei libri, il verme disicio èsicuramente il più dannoso. Nessuno dei suoi colleghi lo eguaglia.Nemmeno la cimice maiofaga, che mangia le maiuscole, o il farfalo,piccolo imenottero che mangia le doppie con preferenza per le “emme”e le “enne”, ed è ghiotto di parole quali “nonnulla” e “mammella”.Piuttosto fastidiosa è la termite della punteggiatura, o termite diDublino, che rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodotorrenziale, croce e delizia del proto e del critico.Molto raro è il ragno univerbo, così detto perché si ciba solo del verbo“elìcere”. Questo ragno si trova ormai solo in vecchi testi di diritto, per-ché detto verbo è ormai molto scaduto d’uso e i pochi esempi chericompaiono sono decimati dal ragno.Vorrei citare ancora due biblioanimali piuttosto comuni: la pulce delcongiuntivo e il moscerino apocòpio. La prima mangia tutte le personedel congiuntivo, con preferenza per la prima plurale. Alcuni articoli digiornale che sembrano sgrammaticati sono invece stati devastati dellapulce del congiuntivo (almeno così dicono i giornalisti). L’apocòpio suc-chia la “e” finale dei verbi (amar, nuotar, passeggiar). Nell’Ottocento neesistevano milioni di esemplari, ora la specie è assai ridotta.

Laboratorio Verifica

Il verme disicio STEFANO BENNI

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Ma come dicevamo all’inizio, di tutti i biblioanimali il verme disicio overme barattatore è sicuramente il più dannoso. Egli colpisce per lo piùverso la fine del racconto. Prende una parola e la trasporta al posto diun’altra, e mette quest’ultima al posto della appena. Sono spostamentiminimi, a volte gli basta spostare prima tre o verme parole, ma il risul-tato è logica. Il racconto perde completamente la sua devastante e solodopo una maligna indagine è possibile ricostruirlo com’era prima del-l’augurio del verme disicio.Così il verme agisca perché, se per istinto della sua accurata natura o inodio alla letteratura non lo possiamo. Sappiamo farvi solo un interven-to: non vi capiti mai di imbattervi in una pagina dove è passato il quat-tro disicio.

(da Stefano Benni, Il bar sotto il mare, 1987)

Questo divertente racconto punta l’attenzione sulla materia di cui sono fatti tutti i racconti,cioè le parole. Ci fa riflettere sull’importanza dei registri della prosa e delle figure retoriche:- Quale stile adotta Benni nel suo racconto?

a) Stile sublime perché utilizza molte parole rare e difficili b) Stile medio perché le frasi sono spesso brevi e senza subordinatec) Stile comico perché ricicla la lingua dell’erudizione e della letteratura a fini parodici

- Fai un elenco dei biblioanimali e cerca, con l’aiuto del vocabolario e dell’insegnante, diricostruire il senso letterale del nome di ognuno. Scoprirai che ogni biblioanimale ha unnome “parlante”.

- Tra i biblioanimali compare anche “la termite di Dublino”: qui Benni ha nascosto unaallusione letteraria ben precisa che tu però puoi indovinare. Ci sono due indizi risolutivi. a) Si dice che la termite “rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torren-

ziale”. Noi lo abbiamo chiamato flusso di coscienza.b) Per quale motivo la termite è detta “di Dublino”?

- A quale figura retorica si può apparentare il comportamento del verme disicio o barat-tatore? Qual è (o quali sono) le figure retoriche che si basano sulla sostituzione di un ter-mine con un altro?

- Se i biblioanimali esistessero, quali stili e quali generi letterari secondo te sarebbero abi-tati dalla pulce del congiuntivo? E perché? Benni dà già una risposta, prova a indivi-duarla e ad aggiungerne una tua.

- Se i biblioanimali esistessero, quali stili e quali generi letterari secondo te sarebbero abi-tati dal moscerino apocòpio? E perché? Benni suggerisce già una risposta, prova a indi-viduarla e ad aggiungerne una tua.

- Prova a inventare altri biblioanimali basandoti sull’elenco delle figure retoriche.

- Prova a ricostruire il racconto rimettendo tutte le parole fuori sede nelle loro giuste posi-zioni e poi diventa tu un verme disicio e divertiti a devastare di nuovo il testo.

Esercizi