Campionari: una proposta per la classificazione · problema e alla sintesi di un criterio di...

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27 L’occasione di questa mostra propone o ripropone il pro- blema archivistico della classificazione descrittiva dei cam- pionari tessili. Quello dell’archiviazione è, naturalmente, il contesto di riferimento e, pur tenendo conto dei parametri tecnici e procedurali degli operatori tessili (per certi aspetti variabili da zona a zona e, in alcuni casi, da fabbrica a fab- brica) e del fatto che i campionari mantengono invariata la loro ragion d’essere (un campionario non “invecchia”, resta potenzialmente sempre attuale e non lo si può includere tout court nell’archivio storico secondo i canoni dell’archivistica classica), quanto segue non è destinato ai “tessili”, bensì agli archivisti che da qualche tempo stanno entrando in contatto con una realtà poco indagata, sebbene in tutta Italia la risco- perta degli archivi aziendali, tessili e non, stia assumendo una rilevanza crescente. 1 Quella di definire una casistica ed eventualmente una gerar- chia di descrizione dei campionari è una questione complessa che nasce dalla necessità di approfondire e di strutturare un “non metodo” di catalogazione che ad oggi, il più delle volte, si limita a un superficiale e generico riconoscimento formale della tipologia documentaria, anche se detta documentazione è prevedibilmente piuttosto frequente nei fondi archivistici industriali, in questo caso di natura tessile. In effetti, mal- grado tale frequenza e sebbene i campionari siano percepi- ti come “importanti”, quando non come “i più importanti” tra i documenti che compongono le testimonianze rimaste dell’attività produttiva delle fabbriche tessili (paradossalmen- te di un’azienda si può disperdere tutto, ma non il campio- nario), quasi sempre non si va oltre una indicazione seriale e Danilo Craveia Campionari: una proposta per la classificazione «Fate stampigliare le teste dei panni tinti in un buon colore nella testa colle sole parole Fratelli Sella a Torino perché spiccano assai, e tendono a far conoscere viepiù ns. firma. In eseguir questo fate applicar quelle parole accanto al nume- ro, e poi che non oltrepassi la metà, né si bagni poi più della metà, e così l’altra metà restando intatta ed asciutta serve per campione, e per far esaminare la qualità ai compratori senza essere stata alterata dal mordente o dall’acqua.» Lettera di Pietro Sella ai fratelli, 1820 ca. (Fondazione Sella, Biella) di genere. Questo atteggiamento palesa l’inadeguatezza degli strumenti metodologici oggi in possesso degli archivisti del settore e la “astensione” da una maggiore precisione ha ori- gine, in buona misura, dalla scarsa conoscenza del fenomeno archivistico rappresentato dai campionari (tessili). A titolo di parziale scarico di responsabilità non si può non rilevare che ogni singolo “pezzo” di campionario (e, di conseguenza, le più o meno estese raccolte o collezioni reperibili degli archi- vi aziendali) appare come un’entità archivistica difficile da trattare già di primo acchito perché, sia dal punto di vista fisico sia sotto il profilo concettuale, si tratta di un ibrido, di un “qualcosa” che si riconosce come “metà documento” e “metà oggetto”. La componente documentaria (scrittura su supporto cartaceo e/o affini) è reciprocamente affianca- ta, integrata e motivata da quella oggettuale (il campione o i campioni). Il campionario non è “solo” un documento (utilizzando per documento l’accezione più ampia) e quindi soltanto in parte appare descrivibile con un approccio archivistico tradizio- nale. Ciò non toglie che quelli che siamo abituati a indicare come “campionari”, attribuendo questo titolo a tutti i fogli di carta cui aderisce un lembo di tessuto, sono “cose” piuttosto diverse tra di loro e in non pochi casi si tratta di elementi non compatibili con la definizione lessicale di campionario. Ma quello che dovrebbe essere uno stimolo all’analisi del problema e alla sintesi di un criterio di classificazione e di de- scrizione, ossia la diversità dei tipi, dei formati e dei contenu- ti dei campionari tessili, è invece un ostacolo non percepito e un limite non superato.

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L’occasione di questa mostra propone o ripropone il pro-blema archivistico della classificazione descrittiva dei cam-pionari tessili. Quello dell’archiviazione è, naturalmente, il contesto di riferimento e, pur tenendo conto dei parametri tecnici e procedurali degli operatori tessili (per certi aspetti variabili da zona a zona e, in alcuni casi, da fabbrica a fab-brica) e del fatto che i campionari mantengono invariata la loro ragion d’essere (un campionario non “invecchia”, resta potenzialmente sempre attuale e non lo si può includere tout court nell’archivio storico secondo i canoni dell’archivistica classica), quanto segue non è destinato ai “tessili”, bensì agli archivisti che da qualche tempo stanno entrando in contatto con una realtà poco indagata, sebbene in tutta Italia la risco-perta degli archivi aziendali, tessili e non, stia assumendo una rilevanza crescente.1

Quella di definire una casistica ed eventualmente una gerar-chia di descrizione dei campionari è una questione complessa che nasce dalla necessità di approfondire e di strutturare un “non metodo” di catalogazione che ad oggi, il più delle volte, si limita a un superficiale e generico riconoscimento formale della tipologia documentaria, anche se detta documentazione è prevedibilmente piuttosto frequente nei fondi archivistici industriali, in questo caso di natura tessile. In effetti, mal-grado tale frequenza e sebbene i campionari siano percepi-ti come “importanti”, quando non come “i più importanti” tra i documenti che compongono le testimonianze rimaste dell’attività produttiva delle fabbriche tessili (paradossalmen-te di un’azienda si può disperdere tutto, ma non il campio-nario), quasi sempre non si va oltre una indicazione seriale e

Danilo Craveia

Campionari: una proposta per la classificazione «Fate stampigliare le teste dei panni tinti in un buon colore nella testa colle sole parole Fratelli Sella a Torino perché

spiccano assai, e tendono a far conoscere viepiù ns. firma. In eseguir questo fate applicar quelle parole accanto al nume-ro, e poi che non oltrepassi la metà, né si bagni poi più della metà, e così l’altra metà restando intatta ed asciutta serve

per campione, e per far esaminare la qualità ai compratori senza essere stata alterata dal mordente o dall’acqua.»

Lettera di Pietro Sella ai fratelli, 1820 ca. (Fondazione Sella, Biella)

di genere. Questo atteggiamento palesa l’inadeguatezza degli strumenti metodologici oggi in possesso degli archivisti del settore e la “astensione” da una maggiore precisione ha ori-gine, in buona misura, dalla scarsa conoscenza del fenomeno archivistico rappresentato dai campionari (tessili). A titolo di parziale scarico di responsabilità non si può non rilevare che ogni singolo “pezzo” di campionario (e, di conseguenza, le più o meno estese raccolte o collezioni reperibili degli archi-vi aziendali) appare come un’entità archivistica difficile da trattare già di primo acchito perché, sia dal punto di vista fisico sia sotto il profilo concettuale, si tratta di un ibrido, di un “qualcosa” che si riconosce come “metà documento” e “metà oggetto”. La componente documentaria (scrittura su supporto cartaceo e/o affini) è reciprocamente affianca-ta, integrata e motivata da quella oggettuale (il campione o i campioni).Il campionario non è “solo” un documento (utilizzando per documento l’accezione più ampia) e quindi soltanto in parte appare descrivibile con un approccio archivistico tradizio-nale. Ciò non toglie che quelli che siamo abituati a indicare come “campionari”, attribuendo questo titolo a tutti i fogli di carta cui aderisce un lembo di tessuto, sono “cose” piuttosto diverse tra di loro e in non pochi casi si tratta di elementi non compatibili con la definizione lessicale di campionario.Ma quello che dovrebbe essere uno stimolo all’analisi del problema e alla sintesi di un criterio di classificazione e di de-scrizione, ossia la diversità dei tipi, dei formati e dei contenu-ti dei campionari tessili, è invece un ostacolo non percepito e un limite non superato.

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È bene chiarire fin d’ora che questa proposta di classificazione è destinata ai soli supporti fisici, ovvero non può essere (se non con opportune modifiche) applicata al “campionario digita-le”. Questo intervento riguarda cioè i campionari composti di elementi di tessuto applicati su supporti cartacei e/o affini e non l’evoluzione elettronico-informatica (almeno parziale) del campionario tessile sia per quanto riguarda la sua preparazio-ne sia per quanto riguarda la sua eventuale diffusione. È ovvio che si tratta di una delimitazione formale perché i campionari “devono” sempre e comunque poter offrire la possibilità per i destinatari (siano essi clienti, rappresentanti od operatori in-terni al soggetto produttore del campionario stesso) di eser-citare una valutazione tattile e visuale che la digitalizzazione non consente. Ma gli effetti archivistici risultanti sono assai diversi rispetto alla natura fisica o digitale di un campionario o di una parte di esso. In ottica storico-documentaria è comun-que utile cercare di tracciare un confine tecnico-cronologico entro il quale collocare questa ipotesi archivistica. Gli estremi temporali potrebbero essere quelli del periodo compreso tra l’industrializzazione della produzione tessile e l’informatizza-zione della produzione tessile. Prima dell’industrializzazione, pur sussistendo regole tecniche per la confezione dei tessuti, pur potendo parlare di una codificazione e di un “linguaggio” descrittivo e rappresentativo uniformemente e universalmen-te interpretabile, si può parlare di veri e propri campionari intesi in senso contemporaneo? Il “mercante imprenditore” medievale o dell’epoca protoindustriale si recava alla fiera con dei ritagli esemplificativi, con un “librone” zeppo di campion-cini o, più semplicemente, con i suoi prodotti (le pezze fini-te)? L’opificio sei-settecentesco e il fondaco o la bottega, siti di produzione e di smercio di artigianato e di sapienzialità, dove il prodotto assumeva spesso caratteristiche di unicità (fino alla metà dell’Ottocento era piuttosto difficile, per esempio, replicare fedelmente le medesime coloriture delle stoffe tinte con pigmenti naturali o assicurare ai medesimi tessuti lo stesso peso o la compattezza dell’intreccio), fino a che punto hanno a che fare con i campionari industriali? Una prova “intuitiva” (da suffragare) del legame esclusivo che vincola il campiona-rio all’industrializzazione si può riscontrare nel fatto che gli esempi storicamente precedenti sono molto limitati (ammesso che li si possa considerare tali) e che non si trova quasi mai

Un “campionario” del tardo XVII secolo. Più precisamente si tratta di una breve raccolta di “mostre” di tessuti allegata a una lettera inviata da Ivrea il 28 maggio 1686 al «Signor Aiutante» Pezatto di Biella da Giuseppe Felice Nicolotti per consentire al destinatario di scegliere la stoffa di suo gradimento (Archivio di Stato di Biella, Famiglia Ferrero della Marmora, Miscellanea, mazzo 1, fascicolo 340; su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, aut. prot. AS-BI n. 309).

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traccia nelle “collezioni” delle aziende oggetto di studio (an-che quelle di antica costituzione) di campionari veri e propri antecedenti all’avvio dell’epoca industriale. Ma il nocciolo della questione sta nel fatto che la meccanizzazione ha portato alla standardizzazione dei processi produttivi e, di conseguen-za, i campionari sono diventati via via sempre più “affidabili”, credibili e meno approssimativi proprio perché le macchine consentivano una sempre maggiore e fedele replicabilità del prodotto campionato. Prima delle macchine, un campione, nel migliore dei casi, alludeva o indicava soltanto un prodotto che la manualità poteva restituire in forme più o meno simili all’esempio mostrato. Prima dell’industrializzazione un cam-pione di tessuto poteva essere estratto ex post rispetto a una pezza già tessuta, non esemplificarne fedelmente una ancora da tessere. L’informatizzazione della produzione tessile ha poi moltiplicato le possibilità d’uso e le interpretabilità funzionali dei campionari. Senza contare le facoltà di gestione diretta e automatica della produzione dei campionari e dei tessuti che esclude, o quasi, determinate mediazioni tecniche e culturali che nei campionari “vecchio stile” trovano memorie precise. In altri termini gli strumenti informatici consentono, anche con maggior velocità di esecuzione, di “saltare” alcuni passag-gi che, invece, nei campionari tecnici tradizionali sono ogni volta esplicitati e ripetuti. In sintesi si potrebbe considerare convenzionalmente il secolo e mezzo precedente al Duemila come range temporale valido per la tipologia di “documenti” in oggetto. Come a dire che il periodo 1850-2000 è l’era dei campionari.Dal punto di vista delle definizioni, in termini generali, l’ac-cezione comune di “campionario” è quella di strumento com-merciale (presentazione e vendita), accezione comune che rispecchia fedelmente la corretta definizione lessicale. Il cam-pionario, in questo senso, si riferisce a uno o più prodotti (non solo tessili, naturalmente), di origine per lo più industriale, quindi seriali, riproducibili e, soprattutto, declinabili secondo un numero ampio ma finito di varianti. Ma nell’ambito di ciò che si identifica genericamente come campionario si trovano altre tipologie di “documenti” che non sono “solo” sequenze di composizioni rappresentative dedicate alla clientela poten-ziale e/o effettiva. Tipi differenti di campionari custodiscono la memoria tecnica del prodotto (creatività e produzione-

riproduzione), spesso inclusiva delle “bozze” generate dalle successive (stagionali) preparazioni dei campionari (quelle che si possono indicare come raccolte delle “prove” che non hanno avuto esito). Quest’ultima porzione dell’articolato e complesso “mondo” dei campionari è da tenere fin da subito presente, soprattutto perché anche ciò che non è stato presen-tato o prodotto è una testimonianza del saper fare di un’azien-da. E poi è una dimostrazione del fatto che, in ambito indu-striale (tessile e non), non si scarta niente: ciò che in un dato momento appare improponibile può diventare una proposta di successo appena dopo o a distanza di tempo.Le prime due “categorie” (campionari commerciali e cam-pionari tecnici) sono il più delle volte cronologicamente se-riali, mentre per quelli che si possono definire “campionari speciali” si incontrano “pezzi” estemporanei, nati da necessi-tà o da occasioni particolari o contingenti. Sono riconoscibili come campionari speciali quelli prodotti in ambito didattico, come esercizio scolastico per la formazione dei tecnici, le rac-colte private di professionisti derivate da esperienze persona-li in aziende diverse, “edizioni speciali” o “da esposizione”, oppure i campionari particolari che sconfinano nell’ambito pubblicitario vero e proprio. A questo proposito è oppor-tuno segnalare quei campionari che si possono includere in questa terza categoria, ma che attengono trasversalmente an-che alle prime due (e che a esse vanno ricondotti di volta in volta), che non si limitano a proporre una successione più o meno organica e/o stagionale di prodotti o di producibili, bensì suggeriscono o “pilotano” l’utilizzo di uno o più ar-ticoli o tipologie di articoli rispetto alla composizione di un determinato “prodotto finito”. Esempi calzanti possono esse-re l’abito o l’allestimento di un ambiente, come le finiture in tessuto di un’auto. È un’evidente estremizzazione del concet-to di campionario perché, in realtà, si tratta di modulazioni dinamiche di accostamenti e di interazioni (anche di carat-tere funzionale) tra serie più o meno estese di prodotti. Con l’esempio dell’abito si può specificare meglio questo aspetto: accanto a un modellario che includa un numero discreto di varianti formali, è possibile porre un “campionario” di tes-suti possibili od opportuni lasciando al consumatore finale la scelta delle combinazioni. È altrettanto chiaro che l’ele-mento radice della proposta commerciale non è più (solo) il

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tessuto ma piuttosto l’abito in sé, ma è comunque vero che la componente “secondaria” (termine improprio da intendere come sequenziale), cioè il tessuto, gode di un ampio spettro di opzioni di preferenza, spettro che può essere assimilabile a un campionario ancorché piuttosto particolare.Va inoltre evidenziato che, dal punto di vista “giuridico”, molte aziende non sempre sono i “soggetti produttori” dei campionari che conservano. Spesso accade, infatti, che una certa realtà produttiva o commerciale abbia acquisito (ma an-che copiato, “rubato” o ereditato) campionari di altre ditte. Si tratta di bacini di know how implementati con investimen-ti anche cospicui che accrescono le possibilità di ispirazione, di imitazione e di sviluppo di idee altrui.Questa abitudine è oltremodo invalsa in un universo, quello del tessile e dell’abbigliamento in generale, dove l’intuizione di uno o di pochi genera una scia coerente di variazioni sul tema che si identifica come “moda” o “tendenza”.Entrando nello specifico, questa proposta di classificazione (è bene esplicitarlo anche se è piuttosto scontato) non approda alla definizione di una schedatura di dettaglio o, meglio, si limita a tentare di assegnare ai campionari una determinata titolazione tipologica. In altre parole non ambisce ad arrivare fino alla descrizione del “contenuto” di ogni singola unità ar-chivistica ove detto contenuto non sia in qualche modo già in-dicato nell’unità archivistica stessa. Le ragioni di questa limi-tazione sono essenzialmente due. La prima riguarda la scelta di occuparci in questa sede di un livello generale di identifica-zione che già di per sé comporta non pochi problemi metodo-logici che necessitano di essere valutati e discussi. La seconda è ancora di carattere archivistico ma anche squisitamente tec-nico. In effetti, al di là di una descrizione “estrinseca” e per sommi capi di un volume di campionario (dove, oltre al “sog-getto conservatore” e al “soggetto produttore”, alla stagione di riferimento e alle informazioni più o meno generiche sulla tipologia di tessuti in esso raccolti, è difficile trovare altro), è quasi impossibile andare senza una notevole competenza di tecnologia tessile e una spiccata propensione al riconoscimen-to dello stile. In altri termini e a titolo di esempio, in mancan-za di una precisa indicazione che circoscriva una raccolta di tweed, di rasi, di uniti o di jacquard, per un semplice archivista privo di cognizioni specialistiche è piuttosto difficile elaborare

e restituire un simile tipo di informazioni. Per un catalogatore “normale” è già molto complicato riuscire a stabilire, sem-pre per esempio, se si tratta di un campionario di drapperia (uomo) o di laneria (donna) o di entrambi, oppure se, sebbe-ne cromaticamente omogenei o magari definiti per stagione, gli intrecci proposti siano analoghi o molto differenti tra di loro. Senza contare che, spesso, un campionario stagionale di un’azienda che produce tessuti (ma anche filati o altro) contie-ne una tale molteplicità di dati (alcuni direttamente desumibi-li, altri “occulti”) da meritare una classificazione specialistica a latere secondo metodiche che, fortunatamente, si possono nel caso far applicare da chi le ha già sviluppate.2 Tenendo anche conto del fatto che, nel caso dei campionari tessili (ma non solo tessili), una piena restituzione descrittiva e catalo-grafica dell’oggetto in quanto tale compete a professionalità e ambiti disciplinari differenti che spaziano dalla chimica alla zoologia, dalla storia dell’arte alla letteratura, dall’antropolo-gia culturale alla sociologia, ecc.Va da sé che occorrerebbe una formazione dedicata e non è detto che il tecnico tessile non possa diventare un archivista, o viceversa, ma il dato statistico consegna queste probabili-tà alla sezione “casi remotissimi”. Nella realtà gli archivisti che si occupano di riordini di archivi tessili dovrebbero po-ter avere uno strumento di descrizione generale che li metta in condizione di operare agevolmente (è già questa sarebbe una conquista) senza eccedere nella ricerca di un dettaglio tecnicistico, peraltro soggetto a un’alea di incertezza e di interpretazione soggettiva molto forte, che non attiene alla archivistica “semplice”.Ma questo non deve fornire la scusante per praticare gene-ralizzazioni frettolose e preconcette né derogare alle regole basilari di una buona descrizione ove vi siano le condizioni per farlo. In questo senso la schedatura di descrizione dei campionari non inficia, bensì include e valorizza le schede riferite ai singoli campioni di tessuto.Nel tentativo di porre in discussione un’ipotesi di classifica-zione è necessario rilevare che, in ambito tessile, il termine “campionario” identifica pressoché sempre una raccolta più o meno organica e organizzata di ritagli di tessuti. È il “pensiero comune”, ma poco aderente all’articolata realtà dell’industria tessile che, a ben vedere, può produrre e produce campionari

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differenti per ognuna (o quasi) delle sue molteplici lavorazio-ni. Basta accennare alla tintura e, ancor più, alla filatura per ampliare il concetto di campionario svincolandolo dalla sola tessitura. Vero è che sono i lanifici (drapperie e lanerie) a gio-care il ruolo del protagonista perché sono i tessuti i prodotti che “escono” dalla filiera tessile verso quella dell’abbiglia-mento o direttamente verso i consumatori, ma si tratta di una visione ristretta viziata da una merceologia troppo spicciola e, più che altro, dall’abitudine e dalla scarsa esperienza specifi-ca. Naturalmente è quello “esterno” il mercato più importan-te, ma esiste anche quello “interno” al comparto tessile, dove i “semilavorati” sono a tutti gli effetti “prodotti finiti” che sono acquisiti per alimentare il processo successivo. Se fosse tenuta per esclusiva la definizione secondo cui per campionari tessili vanno intesi solo quelli costituiti da tessuti, si dovrebbero non considerare le “offerte di prodotto” di grandi entità produtti-ve che si dedicano in modo univoco, per l’appunto, alla realiz-zazione di filati, alla tintoria, ecc.Stabilito che i campionari tessili possono riferirsi non solo alle stoffe ma anche ad altri prodotti della filiera, è fonda-mentale discernere tra i campionari commerciali e quelli che non lo sono. Accogliere questa radicale ripartizione di base ha conseguenze logiche e archivistiche importanti. Già que-sto discrimine, oggettivamente ed empiricamente verificabi-le, comporta, in chiave archivistica, un automatico aumento delle categorie e un infittirsi delle serie.Oltre alle considerazioni delle premesse e a quelle più este-samente affrontate di seguito, sono qui elencati alcuni spunti generali di riflessione che potrebbero tornare utili nella disa-mina della proposta di classificazione:

il campionario tessile appare come un insieme comples-1. so spesso non costituito o contenuto da un unico sup-porto;il campionario tessile può assumere varie forme a secon-2. da delle specifiche funzioni a cui è destinato e, spesso, si assumono come campionari tessili tout court dei “pro-dotti” molto diversi tra di loro. Pur potendo rilevare al-cune caratteristiche condivise, originate soprattutto dalla comune preparazione tecnica degli addetti derivata dalla didattica specifica ricevuta nelle scuole tessili (anche se

non così determinante, mentre invece lo è la prassi azien-dale), le strutture dei campionari risultano piuttosto va-riabili, almeno nella forma;il campionario tessile, essendo strumento e risultato di 3. un’azione produttiva declinabile sia in chiave economi-ca, sia in senso creativo (quando non artistico):

sfugge in una certa misura a regole di razionalizzazio-•ne e di confezione standardizzate e normalizzate (ogni azienda crea e mantiene un proprio campionario se-condo regole proprie);3

pur essendo anche un elemento legato all’ambito com-•merciale (per la pubblicità e la vendita dei tessuti), resta un “patrimonio concreto e intellettuale” di chi lo ha via via creato e archiviato e, di conseguenza, con-serva caratteristiche peculiari e riservate non sempre agevolmente decifrabili (ogni azienda crea e mantiene un proprio campionario secondo abitudini proprie e ne difende la segretezza);sfuggendo in una certa misura a regole di razionaliz-•zazione e di confezione standardizzate e normalizzate, muta nel tempo anche all’interno della stessa realtà che lo ha generato e, a volte, anche in uno stesso pe-riodo rispetto al suo o ai suoi soggetto/i produttore/i (un’azienda può variare il modo di creare e mantene-re i propri campionari modificando il proprio assetto produttivo o anche semplicemente cambiando gli ad-detti all’elaborazione del campionario);non necessita, nella sua “vita attiva” (che peraltro non •ha fine anche quando il campionario “passa” all’archivio storico), di classificazioni archivistiche se non per quel-le strettamente connesse alla sua consultabilità tecnica (l’interesse storico-documentario e, di conseguenza, ar-chivistico per i campionari tessili è un fatto recente).

Queste osservazioni si accompagnano ad alcuni rilevamenti di situazioni “sfavorevoli”:

non esiste una vera e propria letteratura di riferimento 1. e, in ogni caso, le informazioni in merito non sono un “bagaglio culturale” comodo e alla portata di tutti gli operatori culturali del settore;

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le poche righe scritte e divulgate sul tema sono frutto per 2. lo più di tentativi (come questo) personali o puntuali e non hanno avuto l’intento o assunto l’effettività di una metodologia consolidata;uno degli effetti peggiori che le mutate condizioni del-3. la creazione e della gestione dei campionari (anche te-nendo conto delle forti modificazioni registrate sia dalla moda sia dalle caratteristiche intrinseche dei tessuti, mo-dificazioni che rendono “interessanti e attuali” i disegni dei vecchi campionari, ma brutti e non riproducibili i tessuti) è che i disegnatori di oggi a volte non “ricono-scono” tecnicamente né sanno agevolmente interpretare i campionari più datati.

Per sopperire alle situazioni “sfavorevoli” e per far suggerire alcune modalità operative è fondamentale:

incrementare il più possibile il numero di casi, di esem-1. pi, di varianti, ecc. con un’osservazione e una raccolta di dati (anche con immagini) condotta con metodo archi-vistico che consenta confronti utili all’individuazione di tipologie, di serialità e di analogie;

confrontarsi con gli addetti ai lavori delle singole realtà 2. (disegnatori, tecnici produttivi, ecc.) per avere comun-que ragguagli circa le caratteristiche e le funzioni per cui dati campionari sono stati creati e mantenuti;confrontarsi con gli addetti ai lavori delle singole realtà 3. (disegnatori, tecnici produttivi, ecc.) per avere comunque ragguagli circa la nomenclatura specifica degli elementi in corso di schedatura. Tale operazione è consigliabile per due ragioni: da una parte, integrando sistematicamente le informazioni, si può creare un thesaurus di lemmi sempre più vasto e dall’altra si dovrebbe arrivare a distillare una nomenclatura “ufficiale” come conseguenza diretta e statistica dei dati raccolti;prendere confidenza con un vocabolario tecnico minimo 4. e condiviso, specialmente per quanto riguarda la parte tecnica del campionario e della sua elaborazione. Molto importanti in questo senso sono parole come:

tipo• (o articolo): “idea” o prototipo di base per un (nuo-vo) tessuto da strutturare ed eventualmente da svilup-pare. Si tratta di un’ipotesi di intreccio o di tipologia con caratteristiche generali da declinare e da valutare sulla scorta di prove empiriche. Per articolo si può an-che intendere quel tipo che, superate tutte le selezioni, entra nella collezione da proporre con il campionario vero e proprio e quindi, almeno potenzialmente, anche in produzione;provini• (o prove): sviluppi empirici di un tipo variato per coloritura ed effetti di tessimento con varianti mi-nime. A parità di tipologia di intreccio si possono ot-tenere varianti “pure” o “giuste” (dove ordito e trama corrispondono o dove l’effetto di tessitura è quello già “noto” in partenza) o “bastarde”, che a volte offrono i migliori risultati, più o meno attesi, su cui effettuare le selezioni;“fazzoletti”• (o campioni grandi): porzioni di maggiore ampiezza di tessuti sviluppati dalle prove selezionate (e ulteriormente rielaborate) da cui ricavare ritagli per comporre i campionari e, soprattutto, per sottoporre alla clientela i tessuti producibili anche sotto forma di “referenze”.

Provini di preparazione al campionario del Lanificio di Pray.

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Schematicamente e con tutte le precauzioni del caso, a segui-re sono esemplificate, riprodotte fotograficamente e descritte le varie tipologie di campionari sin qui indicate. Elenco di certo non esaustivo e che attende migliorie e integrazioni, la sequenza proposta mette in primo piano i campionari di tes-suto e a seguire quelli di prodotti tessili diversi. Inoltre, per ragioni desumibili dalle premesse, il primissimo piano è stato assegnato alla variante tecnica e non a quella commerciale dei campionari. Alla fine è proposta una tabella riassuntiva.

Un quadratino di tessuto incollato a un foglio non fa un campionario...

La definizione di memoria tecnica del prodotto è quella che archivisticamente e documentalisticamente appare più inte-ressante perché designa una completezza che negli altri tipi di campionario non si ravvisa. In effetti, la distinzione prin-cipale tra un campionario “tecnico” e uno “commerciale”, al di là della forma e dell’estetica che nel secondo caso hanno, per ovvi motivi, una certa rilevanza, sta nel fatto che il pri-mo è e deve essere completo o almeno ricco di informazioni

tecniche, mentre il secondo ne deve contenere solo alcune o esserne del tutto privo. Semplificando: una “memoria tec-nica” deve assicurare la possibilità di riprodurre un deter-minato tessuto riportando dati, modalità esecutive, ecc. con un’organizzazione gerarchicamente efficace su base annua o stagionale che tenga anche conto di elementi di discrimine commerciale (tipologie di tessuti “di successo”, destinatari del prodotto, report sintetici sulle vendite, ecc.). Il tutto per consentire la totale replicabilità non solo degli intrecci ma an-che delle materie prime (tipi di fibre, tipi di filati, ecc. anche arrivando a livelli di dettaglio minimi, come la composizione delle “miste” di filatura) e delle procedure di finissaggio.La scheda tecnica, ossia la parte “documentale” del campio-nario, fissa e tramanda le specifiche costitutive e produttive del tessuto (anche con la rappresentazione grafica dell’intrec-cio, o armatura, anche detta “messa in carta”). L’insieme lo-gicamente inscindibile (fisicamente non è detto) della scheda tecnica e del campione è accostato ad altri insiemi analoghi. Il tutto è “legato” virtualmente in uno o più volumi (non sempre rilegati) che corrispondono quasi sempre a una data stagione o, meno di frequente, a una determinata tipologia di tessuto “non stagionale” (per esempio un’azienda che pro-duce panni per abiti da uomo può avere dei campionari non stagionali per le flanelle o per i paletot, oppure dedicare una parte della propria produzione a classici che caratterizzano lunghi periodi senza variazioni significative).Solitamente il legante logico tra scheda e tessuto è un codice (numerico o alfanumerico) che ogni azienda studia e assume autonomamente (la codificazione può variare nel luogo e nel tempo). Spesso la codifica principale riguarda il tipo o l’arti-colo a cui si aggiungono subcodifiche per le varianti.Detto campionario può presentarsi “a pezzi”, ossia a serie di componenti parallele e concordi dove le schede si trovano da una parte e i campioni da un’altra (a volte anche sotto forma di lembi di stoffa più o meno grandi privi di contenitore e semplicemente appesi). In questo caso il principio non varia, a patto che sia comprovato un vincolo a codice tra le une e gli altri.A livello descrittivo si potrebbero generare dalla serie “cam-pionario” due sottoserie: schede tecniche e campioni di tes-suto con le opportune notazioni di rimando.

Raccolta di scampionature degli anni ’70 dell’Ottocento del Lanificio G. B. Vercellone e Figli di Sordevolo. Per “scampionatura” si intende la scompo-sizione analitica dei tessuti (Archivio Lanificio Vercellone di Sordevolo).

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Di norma il campionario tecnico è il testimone degli artico-li creati ed effettivamente sviluppati in una stagione, cioè di tutti i tessuti proposti alla clientela, prodotti e potenzialmen-te venduti.La composizione fisica (rilegatura o archiviazione semplice) del campionario tecnico era ed è di solito successiva alla pre-

sentazione del campionario commerciale. Questo assunto ne enfatizza il concetto di memoria tecnica rispetto alla contin-genza stagionale del campionario commerciale perché, di fat-to, il campionario tecnico cristallizza storicamente un “fatto” accaduto, l’esperienza di una stagione, traducendolo in un insieme di conoscenze da tramandare.

Il campionario tecnico “personale” di Ermenegildo Zegna. Questo insieme di volumi e di scatolette metalliche contenenti porzioni discrete di stoffe costituiva la copia propria dell’imprenditore rispetto a quella conservata nella sua azienda. La descrizione e l’archiviazione di questo campionario erano a cura dello stesso Ermenegildo Zegna che lo custodiva nella sua abitazione. Il campionario “personale” di Ermenegildo Zegna copre il pe-riodo 1910-1966, ovvero dall’inizio dell’attività del lanificio alla morte del fondatore (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Come detto, dal punto di vista archivistico e documentale, quello tecnico è il “migliore dei campionari possibili”. Esi-stono, però, insiemi o serie di documenti/oggetti similari che godono della stessa impostazione metodologica, ma che assol-vono funzioni particolari o parziali, per esempio nel processo di formazione del campionario, quindi si presentano come segmentazioni logiche del campionario tecnico vero e pro-prio. Si incontrano, a volte, delle raccolte più o meno estese di schede tecniche compilate solo parzialmente o selettivamente, senza dettagli, a volte senza il corrispondente ritaglio di tessu-to. Spesso si tratta di volumi che raccolgono le tracce dei tipi

(effettivamente sviluppati o meno) o delle prove (gli sviluppi dei tipi, anche quando tali tentativi non sono stati condotti fino al campionario). Per ogni stagione esistono variazioni “infinite” rispetto a un singolo tipo, per esempio nel colore o nei dettagli della filettatura. Di fatto i tipi sono i temi su cui si è esercitata la creatività dei disegnatori, ma i campionari tecnici di cui sopra non ne conservano la totalità bensì solo alcune delle interpretazioni possibili (quelle effettivamente sviluppa-te tramite le prove e tra queste ultime selezionate).La differenza sostanziale tra il campionario (tecnico) e queste schede si basa perciò sulla “incompletezza” dei dati o sull’as-

Dettaglio della scheda tecnica con stoffa allegata del campionario “personale” di Ermenegildo Zegna. L’immagine si riferisce a un “satin pesante” proposto nel 1923.

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senza del campione (sostituito per esempio dalla “messa in carta” dell’armatura del tessuto), fatti questi che non rendo-no percepibile l’aspetto “fisico” e le varianti tecnico-croma-tiche di quel prodotto, oppure che ne connotano solo alcuni degli elementi costitutivi (merceologia delle fibre e titolazioni dei fili) o la modalità di intreccio e le specifiche di finissag-gio o lo specifico ambito di produzione (come i tessuti per le commesse militari). Altri “simil-campionari” si possono trovare in grande quanti-tà e possono “confondere le idee”. Si tratta di schedari, più o meno rilegati, che pur avendo un ritaglio di tessuto applicato e una serie di dati tecnici, non rivestono il ruolo del cam-pionario tecnico precedentemente definito. Si tratta, per fare qualche esempio concreto, di quelle schede che, identificato un tessuto tramite il campione, lo intendono come pezza e ne indicano la quantità prodotta (ambito aziendale di produ-zione) o venduta (ambito commerciale) in una data stagione, oppure la giacenza a magazzino (ambito aziendale di post-produzione). In questi casi, piuttosto che come campionari, è opportuno intendere tali documenti più come “tabelle” o

“prospetti” per quanto riguarda la produzione e il commer-ciale, mentre per il magazzino si può parlare di inventari, di situazioni, ecc. arrivando a specificare di quale tipo merce-ologico si sta trattando. La proposta è di identificare questa tipologia come schede (se sciolte) o schedari di produzione, commerciali o di magazzino a seconda del caso.Accanto ai campionari tecnici “propriamente detti” si trovano d’abitudine anche collezioni piuttosto cospicue e di grande valore (almeno dal punto di vista delle opportunità di ispirazione) costituite da volumi o da fascicoli che conservano al loro interno solo ritagli di tessuto, pochissime o, più spesso, nulle informazioni di tipo tecnico e solo qualche sommaria indicazione sulla tipologia dei tessuti “campionati” (come peignés se i ritagli si riferiscono a quei panni). Queste collezioni, non prodotte dall’azienda che le possiede, ma acquisite in blocco o formatesi per accumulo, hanno lo scopo di stimolare la creatività dei disegnatori, di rendere conto delle ultime novità cui più o meno conformarsi a seconda dell’originalità e del coraggio della ditta (in passato, per esempio, si riferivano alla “moda”

Il campionario delle Lanerie Agnona costituitosi a partire dal 1953 (anno di fondazione dell’azien-da) e attualmente implementato e in uso. I tagli di tessuto sono semplicemente appesi e appaiono privi di notazioni. Ma ognuno dei supporti a uncino riporta un codice alfanumerico di riferimento con cui poter reperire le informazioni tecniche relative al singolo tessuto (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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parigina o inglese quali modelli da seguire per stare al passo coi tempi) e di trasmettere input anche a distanza di molto tempo. Sono a tutti gli effetti uno strumento tecnico e, a seconda dei periodi, possono esercitare una certa influenza avendo effetti anche sulla produzione. Solitamente si tratta di prodotti dovuti a un ristretto numero di “case” inglesi o, il più delle volte, francesi che si occupavano di documentare e di diffondere la tendenza contingente. Ecco qualche nome tra i più frequenti: The International Textile Design Co. Ltd della Bombay House di Manchester (le cui schede recano il significativo “motto”: designs that create more business),

Claude Frères di rue d’Uzès, Bibille & Co. di rue Réaumur, Société des Nouveautés Textiles di rue du Paradis e Textiles-Paris-Echos, successori della Textile Argus, di rue de la Paix e Modes et Techniques di Montmartre, tutte di Parigi. Dal punto di vista cronologico sono i precitati Claude Frères i più antichi (metà XIX secolo), a cui si possono aggiungere i contemporanei Bertin e Levieux, entrambi di Elbeuf.4 La proposta è di chiamare questa tipologia raccolte o quaderni di tessuti di tendenza. Le sottoserie, se è il caso, saranno ricavate dal nome della “casa” produttrice.

Campionario tecnico delle varianti del “Tipo 9202” dei tessuti “Drapperia Signora / & Berretti” della stagione invernale 1930-31 del Lanificio Gian Mario Bozzalla di Crevacuore (Fondo Lanificio Gian Mario Bozzalla, Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

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Schedari stagionali delle pezze vendute del Lanificio Ermenegildo Zegna. Le scatolette conservano, stagione per stagione (identificate con una lettera dell’alfabeto), raccolte di “referenze” codificate a cui è apposto il numero delle pezze vendute. A destra la scatoletta riferita alla stagione invernale 1956-1957, a sinistra un riassuntivo del decennio 1959-1969 (Archivio Ze-gna, Casa Zegna, Trivero).

Schedario di magazzino riferito alle disponibilità di tessuto della In.Co. Industria Confezioni S.p.a., l’azienda novarese del Gruppo Ermenegil-do Zegna dedicata alla confezione. Le schede offrono anche dettagli di tipo commerciale (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

Quaderni di tessuti di tendenza prodotti a Elbeuf dal “dessinateur indu-striel” F. A. Levieux negli anni ’70 dell’Ottocento (Archivio Lanificio Ver-cellone di Sordevolo).

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Campionario: raccolta ordinata di campioni di merci a scopo di propaganda commerciale 5

La tipologia che più fedelmente si deve far ricondurre alla de-finizione lessicale di “campionario” è quella dei campionari commerciali. Concettualmente il campionario commerciale più che un oggetto fisico è un’operazione di comunicazio-ne piuttosto articolata che si basa su procedure periodiche, ripetitive ma complesse, dove concorrono competenze tecni-che diverse. Le risultanti archivistiche, al di là dei documenti d’appoggio, sono riconoscibili negli assemblati carta/tessuti che sono sottoposti ai clienti in occasione delle fiere o del-le presentazioni, per l’appunto, del campionario stagionale dell’azienda (inteso come proposta generale delle possibilità produttive della ditta). Oppure sono consegnati ai rappre-sentanti, nei punti vendita, ecc. Spesso, tali confezioni, che per ovvie ragioni mostrano ritagli di tessuto in grande quan-tità (più ancora del campionario tecnico), recano solo alcune informazioni tecniche (o nessuna), per comprensibili ragioni commerciali e di sicurezza del segreto aziendale. Per lo più, almeno di recente, questi elaborati appaiono sotto forma di cartelline (difficilmente in grossi volumi per motivi di prati-cità e di consultabilità) curate nella cartotecnica fino ad asso-migliare a “riviste patinate”. La proposta di denominazione è: cartelle campionario per clienti e rappresentanti. Ogni realtà produttivo-commerciale ha un approccio leggermente diver-so rispetto alle modalità di offerta del proprio campionario e una nomenclatura specifica (oggi quasi sempre in inglese) è di norma adottata in ciascuna azienda per identificare i vari supporti per i campioni in visione. L’organizzazione della presentazione dei prodotti è naturalmente molto variabile (soprattutto se si tratta di tessuti “uomo” o “donna”, cioè drapperia o laneria) e rispecchia gli indirizzi della comunica-zione dell’azienda associando testi e immagini ai campioni, che possono essere raggruppati per tipologia, per possibilità di accostamento, per caratteristiche tecniche, segmento di mercato di riferimento, ecc. Restando in ambito commer-ciale si devono segnalare anche altri elementi che rientrano nell’orbita concettuale del campionario pur non avendo l’aspetto della cartella o della scheda. Raccolte tematiche o stagionali di tessuti, il più delle volte prive di note tecniche,

Dorsi dei volumi e dettaglio interno di raccolte di tessuti di tendenza della “casa” Claude di Parigi. Da notare le varianti della ragione sociale, da Ca-mille Claude a Jean Claude Frères et Balliman a Jean Claude Frères & Co. La collezione Zegna parte dal 1859 e arriva fino agli anni ’30. Quello in basso è un particolare del volume “23” della primavera del 1887 (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Cartelle colori con varianti cromatiche degli articoli proposte dal Lanificio Fratelli Zignone fu Carlo negli anni ’50 (Fondo Fratelli Zignone, Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

Cartella campionario della metà degli anni ’80 per tessuti in lino e seta della A.D.A.M. Anonima Drapperia Abbigliamento Maschile del Gruppo Ermenegildo Zegna (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

Cartelle campionario speciali della Lantex Lanificio Faudella di Pavignano. La silhouette trasparente permette di osservare l’effetto del tessuto sulla sagoma del capo d’abbigliamento (Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

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ma più ricche di stoffa per favorire valutazioni di tipo tattile su superfici più ampie sono le mazzette o, meglio, i bunches in tutte le loro possibili forme e dimensioni. Si tratta di raccolte di campioni dedicate ai sarti, ai grossisti o ai dettaglianti di tessuti (generalmente è lo strumento dei rappresentanti per i clienti da incontrare). Rispetto alle cartelle campionario, i bunches hanno, il più delle volte, un aspetto compatto e si riferiscono in modo diretto a tipi specifici o a categorie com-merciali di tessuti.

Campionario commerciale degli anni ’90 per tessuti mohair del Lanificio Vitale Barberis Canonico (Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

Bunch dedicato al tessuto “High Performance” creato alla metà degli anni ’80 dal Lanificio Ermenegildo Zegna di Trivero (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Campioni in stoffa

Bunch di tessuti “Zephyrus” della King Edward realizzato con “ultraleg-geri” del Lanificio Carlo Barbera facente parte dell’archivio del Lanificio Trabaldo Togna di Pray (Fondo Lanificio Trabaldo Togna, Centro di Docu-mentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

I campionari speciali

Quella dei campionari speciali è una sezione che amplifica il concetto di campionario e lo traduce secondo canoni tecnici, logici e archivistici piuttosto ampi, ma non meno interessanti. Quelli che nelle premesse sono stati indicati come campiona-ri prodotti in ambito didattico, cioè come i frutti degli eserci-zi scolastici per la formazione dei tecnici, rappresentano una tipologia non così diffusa ma significativa per poter cogliere quale sia stata l’importanza delle scuole tecniche per la pre-parazione dei “tessili”. I campionari scolastici trovano spesso precise corrispondenze in quelli di fabbrica (specialmente in quelli di tipo tecnico) e questa è la testimonianza di come il mestiere sia stato in debito verso il metodo acquisito sui banchi di scuola.Altra tipologia non ricorrente, ma altrettanto significativa, è quella delle raccolte private di professionisti derivate da espe-rienze personali (anche in aziende diverse). Molti disegnatori, sia per semplice gusto sia per ambizione professionale, crea-vano campionari “paralleli” a quelli che producevano all’in-terno delle realtà produttive in cui erano attivi. Con una certa

Campionari scolastici realizzati nella Scuola Professionale o presso il Regio Istituto Industriale “Quintino Sella” tra la fine dell’Ottocento e gli anni ’30 del Novecento (Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

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Due campionari “personali” realizzati dal disegnatore Policarpo Cerruti durante la sua attività professionale in varie ditte biellesi e non (tra cui il Lanificio Tedeschi & Giudici di Torino). Le immagini si riferiscono ai lanifici Boussu (per la stagione invernale 1878-1879, a sinistra) e Rosazza Agostinetti Ferrua (per la stagione invernale 1885, a destra). L’attività di Policarpo Cerruti (morto nel 1918) passò al figlio Felice, che nel 1946 fondò a Vittorio Veneto un lanificio, chiuso di recente, che portava il nome del padre (Fondo Disegnatori Cerruti, Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

Campionario speciale, ossia volume dei “Tessuti applicati” delle Lanerie Agnona. Ritagli di tessuto venivano accostati alle immagini dei capi disegnati da grandi stilisti (nel dettaglio del volume aperto si riconoscono i nomi di Balenciaga, Givenchy e Balmain per l’estate parigina del 1964) che avevano utilizzato quegli stessi tessuti per le loro creazioni (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Campioni in stoffa

Copertina e pagina interna di uno dei campionari da esposizione realizzati dall’Associazione dell’Industria Laniera Italiana in occasione della Esposizione Universale Internazionale di Bruxelles del 1910. Il sodalizio laniero partecipò all’evento belga con una «esposizione campionaria collettiva» in cui i grandi campionari proposti in un unico forma-to dovevano rappresentare la qualità produttiva e la compattezza del settore dei lanieri italiani. Ventinove lanifici, per lo più biellesi, aderirono all’inizia-tiva fornendo le proprie stoffe migliori ottenendo dalla giuria un diploma di Grand Prix. La ditta Massimiliano Vez-zosi di Torino, che aveva impaginato le cartelle e creato le coperte di cuoio de-corato in oro, si meritò una «distinzio-ne» (vedi Fondo Associazione dell’In-dustria Laniera Italiana, Mostre Fiere Promotion, mazzo 1, Fondazione Sella, Biella). Quello riprodotto si riferiva al Lanificio Lesna Tamellino Giacomo di Coggiola (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

Campionario speciale degli anni ’90 per la promozione del tessuto in pura lana del Lanificio Ermenegildo Zegna di Trivero. L’assenza di fibre artificiali o sintetiche poteva essere dimostrata con la “prova del fuoco” proposta con un piccolo lembo di tessuto e il fiammife-ro allegato (Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbri-ca della ruota”).

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larghezza di vedute in merito alla correttezza commerciale, l’esperienza acquisita in una fabbrica poteva diventare un re-pertorio di idee da “portare in dote” ad altre ditte qualora si verificassero degli spostamenti (frequenti anche in passato) o da utilizzare nel caso in cui il disegnatore si trasformasse in imprenditore impiantando un proprio lanificio. In alcune aziende è poi possibile imbattersi in collezioni di tessuti del tutto prive di indicazioni tecniche e di caratteri-stiche tipicamente commerciali, ma ugualmente fondamentali per testimoniare la storia della ditta attraverso l’abbinamen-to tra un determinato tipo di tessuto e il nome di un grande sarto o di un famoso stilista. Queste raccolte sono una sorta di “albo d’oro” ove si annoverano i migliori risultati, a volte corredando il campione di tessuto di un’immagine dell’abito o degli abiti realizzati con quella specifica stoffa. Infine ecco le “edizioni speciali”, i campionari “da esposizione” e quelli che sconfinano nell’ambito pubblicitario vero e proprio. Le prime sono varianti di campionario realizzate per occasioni partico-lari diverse dalla presentazione delle collezioni e hanno nella forma celebrativa o autocelebrativa la loro più spiccata carat-teristica. I secondi, per certi versi simili ai campionari com-merciali, hanno però valore extrastagionale, si riferiscono a un tessuto specifico o a una linea con determinate peculiarità (per esempio riguardo i trattamenti nobilitanti, le performan-ce chimico-fisiche, ecc.) e ne promuovono la diffusione anche tra i non addetti ai lavori o tra la clientela tradizionale.

Tessili ma non tessuti: i campionari dei semilavorati

Per altre tipologie di prodotti tessili, come i filati, le possibili-tà e le opportunità di proposta alla clientela sono ovviamente diverse. I tessuti si prestano molto di più a una visualizzazio-ne e a una tattilità che ha invece meno senso per un campione di fibra tinta o per un singolo filo. Il prodotto tessile “finito” ha, come si è detto, una visibilità e una dignità commercia-le maggiore. Ma ciò non toglie che la necessità di far fronte alle sfide del mercato aguzzi l’ingegno dei produttori dei se-milavorati o degli ausiliari tessili. I filati si presentano sotto forma di filzuoli o di fiocchi per evidenziarne la consistenza, la struttura e i colori. Oppure veicolano l’effetto del tessuto

Un particolare bunch della Filatura e Tessitura di Tollegno in cui, grazie ai ritagli di tessuto, sono proposti i migliori filati fini per tessitura secondo la tabella propria della “Tollegno” (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Campioni in stoffa

per dimostrare le caratteristiche della “materia prima”, ossia del filato. I campionari commerciali delle industrie chimiche destinati alla tintura tessile sono invece spesso declinati a seconda delle fibre o delle stoffe (naturali, artificiali, sinteti-che e miste) e mostrano risultati cromatici generici o molto specifici con adeguate campionature. Anche per i semilavo-rati è, a rigor di logica, possibile distinguere tra campionari

squisitamente commerciali, altri di tipo tecnico-produttivo, e in ultimo anche delle versioni speciali. Con minor enfasi dal punto di vista archivistico è comunque possibile applicare gli stessi criteri metodologici suggeriti per i tessuti.A titolo di segnalazione finale: fanno parte del mondo archi-vistico tessile anche i campionari degli “accessori” di fattura tessile o affine, quali le cravatte, le sciarpe, le velette, ecc.,

Cartelle colori databili attorno alla metà del Novecento per filati prodotti dalla Filatura Fratelli Galfione di Pianezze (Pettinengo) e dalla Manifattura di Lane in Borgosesia (Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

Bunch della metà del Novecento dell’Ovattificio Delfino Bracco di Chiavazza (Biella) relativo ai feltri di ovatta di colore grigio (Fondo Ovattificio Bracco, Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

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e quelli per l’arredamento nelle loro varie sfumature merce-ologiche. Non è raro incontrare queste tipologie particolari all’interno di aziende tessili tradizionali e, viceversa, è possi-bile trovare campionari tessili classici in contesti particolari come quello della cravatteria. Il settore dell’abbigliamento, quello dello stile e quello del design sono inclusivi e onni-comprensivi, i richiami sono prevedibili e inevitabili e, spes-

so, le aziende si occupano di total look proponendosi al mer-cato con un unico “messaggio” commerciale (corrispondente al o ai brand aziendali) declinato su più prodotti coordinati o coordinabili. Va da sé che, anche in questi casi, esisteranno (sempre) dei campionari per i clienti o per i rappresentanti, altri “interni” che avranno la funzione di mantenere la me-moria tecnica del prodotto, e anche delle varianti speciali.

Cartella colori per il Rislan Elasticizzato, «l’unica fibra sintetica di origine vegetale» (Fondo Lanificio Trabaldo Togna, Centro di Documentazione dell’Industria Tessile Biellese, “Fabbrica della ruota”).

Raccolta di campioni di velette della fine dell’Ottocento (Archivio Zegna, Casa Zegna, Trivero).

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Campioni in stoffa

CAMPIONARI TESSUTI

CAMPIONARI TECNICI (veri e propri) CARTELLE CAMPIONARIO

BUNCHES e/o AFFINIRACCOLTE dei TIPI, delle PROVE ecc.

RACCOLTE di TESSUTI di TENDENZA

SCHEDARI di PRODUZIONE, COMMERCIALI o di MAGAZZINO

Ambito tecnico-produttivo

Campionarispeciali

Ambito commerciale

Ambito tecnico-produttivo

Campionarispeciali

Ambito commerciale

Ambito tecnico-produttivo

Campionarispeciali

Ambito commerciale

CAMPIONARI ACCESSORI

CAMPIONARI dei SEMILAVORATI

SCHEMA RIASSUNTIVO PER LA CLASSIFICAZIONE DEI CAMPIONARI TESSILI

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Note

1. Una parte delle notazioni proposte è frutto di “impressioni” dirette, acquisite sul campo, durante l’archiviazione di alcuni fondi industriali tessili (quelli conservati presso la “Fabbrica della ruota” di Pray, quello del Cotonificio Crespi di Ghemme e, soprattutto, quello del Lanificio Ermenegildo Zegna di Tri-vero). Altre provengono da un lavoro di elaborazione di una scheda-tipo descrittiva per i campionari tessili storici sottoposta alla valutazione dell’Università di Mulhouse qualche anno fa. Altre ancora sono state generate da confronti con alcuni esperti disegneurs o autorevoli tecnici del settore (in particolare Rober-to Pozzi e Franco Pozzo del Lanificio Fratelli Cerruti, Luciano Barberis del Lanificio Zegna e Paolo Galfione col padre Erman-no, il primo del Lanificio Fratelli Ormezzano e il secondo già titolare della Filatura Galfione di Pianezze). Un’ultima piccola parte deriva da fonti bibliografiche (non così estese, non così specifiche e non così facilmente reperibili) consultate per que-sto lavoro e indicate in bibliografia. Per il corredo iconografico: Archivio del Gruppo Ermenegildo Zegna, DocBi - Centro Studi Biellesi (“Fabbrica della ruota”) e Archivio Vercellone.

2. Si veda a proposito il sistema di schedatura elaborato dal CIETA Centre International d’Etudes des Textiles Anciens di Lione, ormai diventato lo strumento standard a livello internazionale.

3. Dal punto di vista della standardizzazione delle definizioni, è significativo notare che uno dei limiti sta nell’assenza di una nomenclatura tecnica ufficiale giuridicamente riconosciuta. Se i campionari nelle loro differenti declinazioni fossero stati in qualche modo oggetto di brevetto si sarebbe assistito alla nascita di un lemmario specifico. Il deposito legale di “invenzioni” avrebbe forse avuto come effetto in questo campo una più precisa e condivisa terminologia da utilizzare anche in ambito archivistico.

4. Le collezioni “marchiate” Claude Frères si impongono all’atten-zione soprattutto per il formato grande ed elegante dei volumi. Reperibili in diverse aziende biellesi (e non solo), queste raccolte meriterebbero un approfondimento storico. Avendo la “casa” cessato la sua attività da molto tempo (a quanto pare già negli anni ’40 del Novecento), non è stato possibile raccogliere molte notizie in merito, però può essere utile fornire alcune notazioni. Prima di tutto la ragione sociale, che è variabile sebbene ricon-ducibile sempre alla stessa radice e allo stesso indirizzo parigino. Se ne trovano semplicemente come Claude Frères, oppure come

J[ean]. Claude Frères o come Camille Claude & C. Più raramente come Claude Frères & Balliman (quest’ultimo nominativo ha di sicuro a che fare con Léon Balliman, titolare della «ancienne mai-son J. Hartmann» che si trovava al 27 di rue Bleue e che fino agli anni ’80 dell’Ottocento proponeva per corrispondenza «abonne-ments aux échantillons de nouveautés»). I Claude “commercian-ti di campionari” per corrispondenza sono probabilmente una diramazione dell’omonima famiglia di imprenditori tessili origi-naria e attiva nella valle della Bruche, in Alsazia, fin dal primo Ottocento. Un’ultima osservazione sui campionari Claude Frères riguarda la loro “segnatura” archivistica. Sul dorso dei volumi sono riportate indicazioni generiche circa l’anno e la stagione di riferimento, il paese d’origine delle stoffe, le tipologie dei tessuti campionati e altre informazioni in codice. Queste ultime, lettere e numeri, potrebbero rimandare a classificazioni proprie della “casa”, al numero del singolo volume all’interno della serie e alla sequenza dei voyages, ovvero (forse) alla campagna (viaggio) di raccolta dei campioni, campagne che potevano anche essere più d’una in una determinata annata o stagione. Altrettanto interes-santi, anche in chiave storico-cronologica, sono le pubblicazioni di Louis Bertin e di F. A. Levieux di Elbeuf. Entrambe le ditte (la prima fondata nel 1851 e la seconda pressoché coeva) pro-ponevano sia raccolte di tessuti di hautes nouveautés sia schede tecniche a dispensa di renseignements per la produzione di stoffe di tutti i generi. Louis Bertin pubblicò anche una vera e propria rivista di settore denominata «Les Tissus». Anche a Biella era-no e sono ancora attive alcune aziende specializzate in questo particolare settore. Tra le altre è facile imbattersi nei “quaderni di tendenza” della Alberto & Roy Società Italiana Novità Tessili oppure nelle schede della Selection of Novelty Designs.

5. La definizione è quella del vocabolario Devoto-Oli del 2007.

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