Cammarata Vol5 2003

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UNIVERSITÀ DI CATANIA FACOLTÀ DI INGEGNERIA ILLUMINOTECNICA GRANDEZZE FOTOMETRICHE VISIONE E COMFORT VISIVO ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE ILLUMINAZIONE NATURALE PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE E MECCANICA SEZIONE DI ENERGETICA INDUSTRIALE ED AMBIENTALE

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illuminotecnica

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UNIVERSITÀ DI CATANIA

FACOLTÀ DI INGEGNERIA

ILLUMINOTECNICA

GRANDEZZE FOTOMETRICHE VISIONE E COMFORT VISIVO

ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE ILLUMINAZIONE NATURALE

PROF. ING. GIULIANO CAMMARATA

DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA INDUSTRIALE E MECCANICA SEZIONE DI ENERGETICA INDUSTRIALE ED AMBIENTALE

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FILE: FISICA TECNICA VOL 5 - ILLUMINOTECNICA.DOC AUTORE: GIULIANO CAMMARATA

DATA: 22/03/2003

La riproduzione, con qualunque mezzo, di quest’opera è libera per solo uso didattico purché non siano cancellati i riferimenti ai diritti di Autore sopra indicati. E’ fatto assoluto divieto di qualunque uso commerciale, in tutto o in parte, di quest’opera senza una esplicita autorizzazione da parte dell’Autore.

Gli Allievi possono ottenere copia del presente volume in formato Acrobat® nel sito www.diim.unict.it/users/dguglie

.

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a

INTRODUZIONE ALL’ILLUMINOTECNICA

Una delle più innovative invenzioni scientifiche è certamente la lampada di Edison. Essa ha totalmente cambiato la vita di tutti noi consentendoci di vedere in ogni condizione senza dover dipendere dalla luce solare.

Certo i mezzi utilizzati fino ad inizio secolo erano stati sufficienti per l’illuminazione artificiale: in fondo dalla torcia al lume ad olio o alla candela in cera o al lume a petrolio non ci sono grandi evoluzioni tecnologiche se non nel materiale utilizzato.

Figura 1: “Donna che cuce alla luce della lampada” (1828) di Georg Friedrich Kersting

Ciò che caratterizza l’illuminazione artificiale con lampade moderne è la possibilità di ricreare una ambiente confortevole che consente non solo di vedere (o appena di vedere) ma di vivere in piena dignità e di produrre in piena sicurezza.

L’evoluzione della tecnica dell’illuminazione non è solamente tecnologica (mezzi più evoluti, meno costosi e più efficienti, ma anche funzionale nel senso che tende a creare le migliori condizioni di benessere visivo. Con questa definizione si intende, ancora una volta, l’atteggiamento mentale di piena accettazione senza sensazioni sgradevoli dell’ambiente visivo.

Oggi siamo in grado di illuminare in modo diverso a seconda delle esigenze: per lavoro, per svago, per arte, .. Disponiamo di numerose sorgenti luminose che consentono di vedere fedelmente i colori degli oggetti e di illuminare gli oggetti nel modo desiderato evitando, ad esempio, effetti indesiderati e sgradevoli quali l’abbagliamento visivo.

Per arrivare a questo stadio della ricerca e della tecnica si è passati in varie fasi, ancora non esaurite, che hanno avuto origine proprio con la piena disponibilità di luce mediante illuminazione artificiale.

La vita notturna è oggi possibile grazie alla possibilità di ricreare condizioni accettabili di visibilità e di poter lavorare in tutta sicurezza. Si parla già di città da utilizzare per 24 ore anziché per il solo periodo diurno.

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b

In questo modo si avrebbe un utilizzo più razionale delle risorse urbane (strade, uffici, negozi, trasporti, ..) distribuendolo nell’arco dell’intera giornata ed evitando gli affollamenti mattutini per gli uffici, la scuola, i negozi ,…

La nozione di comfort visivo è ormai, forse inconsciamente, diffusa e quasi banale per tutti. In realtà lo studio del comfort visivo è sempre in continua evoluzione e siamo ben lontani dall’avere esaurito l’argomento. In fondo a definire le condizioni di benessere visivo è l’Uomo mediante il suo organo della vista. Tanto più avanzano le conoscenze sugli organi umani tanto più si evolvono le conoscenze sul comfort in genere e in particolare su quello visivo.

L’analisi e la valutazione del livello di illuminazione che si vuole raggiungere in uno specifico ambiente (abitazione, ufficio, industria, scuola, ospedale, etc.), per una perfetta visione, assume primaria importanza in fase progettuale essendo ad essa legata il corretto svolgimento delle attività lavorative. La maggior parte delle informazioni necessarie per lo svolgimento di una attività lavorativa sono infatti di tipo visivo per cui, le modalità di illuminazione del compito devono essere attentamente valutate al fine di garantire il comfort dell’operatore.

Per raggiungere tale obiettivo bisogna: ⋅ realizzare un ambiente luminoso idoneo a soddisfare le esigenze fisiopsicologiche dell’operatore assicurando sempre,

ove possibile, il ricorso all’illuminazione naturale; ⋅ rendere ottimale la percezione delle informazioni visive, per assicurare buone condizioni di lavoro ed una

prestazione visiva veloce e precisa. Sulla base di queste premesse la progettazione degli interni non deve mirare esclusivamente al

raggiungimento di un illuminamento uniforme del piano di lavoro e quindi dell’ambiente, ma deve garantire una corretta visibilità del compito visivo mediante un’analisi accurata e dettagliata di tutti quei parametri che ne influenzano la prestazione visiva quali: il contrasto percepito dall’operatore, lo stato di adattamento, la presenza di fenomeni di abbagliamento e di riflessione, la procedura di svolgimento del compito visivo, etc.

Particolare importanza riveste lo studio dello spazio fisico e delle caratteristiche funzionali ad esso connesse quali: ⋅ corretta dimensione degli ambienti e delle superfici vetrate; ⋅ finitura, colore e caratteristiche di riflessione delle superfici; ⋅ dimensione e caratterizzazione di eventuali schermi; ⋅ definizione delle classi di utenza; ⋅ definizione delle attività svolte nell’ambiente; ⋅ profilo di occupazione dell’ambiente.

Questo testo, affrontando il problema dell’illuminazione di interni con luce artificiale e con luce naturale descrive inoltre i principali parametri da adottare in fase di progettazione e di verifica degli ambienti.

Riguardo ai metodi di calcolo essendo, l’illuminazione naturale legata ad una sorgente (il sole) con continue variazioni del flusso luminoso (la luce proveniente dal cielo infatti è caratterizzata dalla luminanza della volta celeste la cui distribuzione dipende da vari fattori quali: posizione del sole - altezza solare, azimut, etc -, dalla nuvolosità e dalla presenza nell’atmosfera di eventuali particelle in sospensione) si farà riferimento a dei parametri in grado di mettere in relazione l’illuminazione interna con quella esterna (illuminamento diffuso su piano orizzontale: il “Fattore medio di luce diurna” proposto dal Regolamento Edilizio dell’Emilia Romagna (maggio 1995).

Nei prossimi capitoli si vedranno i fondamenti dell’Illuminotecnica con particolare riferimento ai fattori ambientali che definiscono gli indici di benessere illuminotecnico, se ne studieranno le procedure di definizione, le normative e la legislazione vigente.

Data la limitatezza del tempo a disposizione per la trattazione dell’Illuminotecnica nell’ambito del corso di Fisica Tecnica si presentano in questa sede solo gli aspetti ritenuti più importanti e fondamentali rinviando per gli approfondimenti ai testi e manuali specializzati indicati in Bibliografia.

Catania 22 marzo 2003 Giuliano Cammarata

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1

1. LE PROBLEMATICHE DELL’ILLUMINOTECNICA

Il comfort visivo è oggi preso in seria considerazione per i molteplici aspetti che presenta nella vita quotidiana.

Con l’acuirsi di una maggiore sensibilità verso il risparmio energetico si sono sviluppati nuovi criteri di progettazione e di verifica dell’illuminazione (artificiale e diurna) sia per ridurre i consumi che per il raggiungimento di condizioni ottimali di comfort visivo.

In questi ultimi mesi si assiste, inoltre, ad un fiorire di regolamenti comunali che regolano il progetto delle finestre al fine di ottenere una corretta illuminazione naturale.

In campo industriale si hanno corpi illuminanti più efficienti e flessibili rispetto a quelli disponibili una decina di anni fa.

Contemporaneamente si assiste ad uno sviluppo anche di CAD illuminotecnici per la progettazione e verifica luminosa non solamente di impianti tradizionali di illuminazione artificiale ma anche per l’illuminazione di monumenti (illuminazione artistica), di sale museali, …

1.1 DEFINIZIONI PRINCIPALI

Per una migliore comprensione di quanto indicato nel presente testo si adottano le definizioni contenute nella pubblicazione CIE1 17 e seguenti. Molte di queste definizioni saranno studiate con maggio attenzione nei prossimi capitoli.

1.1.1 L'OCCHIO E LA VISIONE

Adattamento: processo mediante il quale le caratteristiche ottiche del sistema visivo sono modificate in relazione alla luminanza del campo visivo o alla distribuzione spettrale dello stimolo luminoso.

L’adattamento è assicurato da tre tipi di meccanismi: ⋅ Modificazione del diametro pupillare: miosi (restringimento pupillare) e midriasi (dilatazione

pupillare); ⋅ Adattamento retinico: la retina reagisce a livello biochimico all’aumento ed alla diminuzione

dell’intensità luminosa mediante generazione ed esaurimento (sbiancamento) della rodopsina; ⋅ Meccanismo nervoso; quando l’occhio passa dal buio alla luce i mutamenti biochimici (50 s circa)

sono sopraffatti dai più veloci adattamenti nervosi, così che l’adattamento alla luce è soprattutto un fenomeno nervoso. Accomodazione o accomodamento: modificazione del potere diottrico del cristallino al fine di

mettere a fuoco sulla retina l'immagine di un oggetto situato ad una data distanza dall'occhio. Acuità visiva:

⋅ a) qualitativamente: capacità di percepire nitidamente oggetti o dettagli di oggetti, molto vicini tra di loro;

⋅ b) quantitativamente: reciproco del valore (generalmente espresso in minuti di grado) della separazione angolare di due oggetti vicini (punti e linee) che l'occhio può appena vedere separati. Contrasto:

⋅ a) in senso soggettivo: valutazione della differenza dell'aspetto di due zone del campo visivo viste simultaneamente o successivamente;

⋅ b) in senso oggettivo: valore della grandezza definita per stabilire una correlazione con la valutazione soggettiva del contrasto, generalmente espressa mediante formule basate sulla

luminanza2 dominante dello sfondo (L1) e dell'oggetto (L2) visti simultaneamente: 2 1

1

L LL− .

1 Commisione Internationale pour l’Eclarage, è l’Ente che sovrintende all’emissione di standard nel campo

dell’Illuminotecnica. 2 La luminanza sarà definita nel prosieguo insieme alle altre grandezze illuminotecniche.

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2

quando i valori di luminanza delle zone considerate sono diversi ma di ordine comparabile, si può

definire un valore medio espresso dalla seguente relazione: 2 1

2 10,5( )L L

L L−

+

Brillanza: attributo della sensazione visiva secondo il quale un'area appare emettere, trasmettere e riflettere radiazione visibile. E’ il corrispondente soggettivo della luminanza.

Abbagliamento: condizione che genera fastidio e riduce la capacità di distinguere gli oggetti in conseguenza di una distribuzione o di un livello inadeguati della luminanza oppure di contrasti eccessivi nel campo visivo.

Abbagliamento da luce riflessa: abbagliamento (3.1.6) prodotto dalla riflessione di oggetti luminosi, soprattutto se l'immagine appare nella direzione dell'oggetto osservato o vicino ad essa.

Campo visivo: superficie o estensione di uno spazio fisico che l'occhio vede fisso in una direzione assegnata.

Compito visivo: oggetto della visione. Intorno del compito visivo: insieme dello spazio che può essere visto da una posizione

precisata quando si muovano la testa e gli occhi. Nota: in fisiologia si usa il termine “mira”. Postura: posizione abitualmente assunta dal corpo del lavoratore durante l’esecuzione della

singola operazione (per esempio: eretta, seduta, etc.) Interni e sistemi di lavoro Sistema di lavoro: combinazione di persone ed attrezzature che interagiscono nel processo di

lavoro, per effettuare il compito di lavoro, nello spazio di lavoro, all'interno dell'ambiente di lavoro, sotto le condizioni imposte dal compito di lavoro.

Spazio di lavoro: spazio dedicato a una o più persone nel sistema di lavoro (3.2.1) per completare il compito di lavoro.

Piano di lavoro: piano sul quale è svolto il compito visivo. Piano di lavoro di riferimento: piano orizzontale sul quale è calcolato l'illuminamento medio

nella fase di progetto3. Illuminazione generale: illuminazione progettata per illuminare una intera area

approssimativamente in modo uniforme. Illuminazione localizzata: illuminazione progettata per un interno al fine di ottenere anche una

maggiore illuminazione sopra una o più parti dei locale. Illuminazione locale: illuminazione per uno specifico compito visivo (3.1.9) complementare e

controllabile separatamente dalla illuminazione generale. Luce: agente fisico che stimolando l’occhio permette di vedere le cose che ci circondano. Può

essere inteso, relazionando le due teorie corpuscolare ed ondulatoria, come un flusso di particelle, i fotoni, i cui fenomeni possono essere spiegati dall’elettrodinamica quantistica (QED: Quantum Electro-Dynamics). Il Fotone è il quanto elementare di energia della luce; si misura in Joule ed è dato dalla relazione:

E = h f (1) ove h è la costante di Planck (J/s) ed f la frequenza (s).

Diottria: misura ottica definita come il reciproco della distanza focale (espressa in metri) di un sistema ottico.

Nel prosieguo si introdurranno i concetti fondamentali di Illuminotecnica Fisica e poi si vedranno alcuni cenni storici sulla teoria della luce anche per comprendere la complessità del fenomeno.

Successivamente si vedranno le condizioni di comfort visivo alla luce delle più recenti teorie e ricerche.

3 Se non altrimenti indicato, il piano di lavoro di riferimento è assunto ad una altezza di 0,85 m sopra il suolo; per le

scrivanie, per esempio, l'altezza secondo le UNI 7368 e UNI 9095 è di 0,72 m.

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2. ILLUMINOTECNICA: PRINCIPALI UNITÀ DI MISURA

Le leggi fondamentali e le unità di misura dell’Illuminotecnica sono qui riassunte. Prima di procedere avanti occorre subito osservare che le grandezze illuminotecniche differiscono da quelle energetiche, viste per l’irraggiamento, solo per il fatto che si riferiscono all’Uomo e quindi tengono conto della risposta soggettiva dell’occhio umano medio.

2.1 GRANDEZZE SOGGETTIVE E GRANDEZZE OGGETTIVE

La grandezza che definisce questo passaggio, da energetica a soggettiva o illuminotecnica, è il flusso luminoso per la cui definizione occorre anticipare due concetti che saranno ripresi e discussi ampiamente nel prossimo capitolo.

Innanzi tutto l’occhio umano medio è sensibilizzato (volgarmente diciamo che vediamo) da radiazioni elettromagnetiche con lunghezze d’onda fra 380 e 780 nm. Poi la visibilità (fenomeno soggettivo connesso alla visione, di cui di parlerà nel prosieguo) non è uniforme per tutte le lunghezze d’onde ma varia secondo la curva di Figura 2 (anch’essa ripresa nel prosieguo). Il massimo di visibilità è associato ad un valore pari a 680 lumen/Watt e rappresenta anche il valore di passaggio fra le grandezze illuminotecniche (soggettive) e quelle energetiche (oggettive).

Figura 2: Curve di visibilità relativa fotopica e scotopica

La lunghezza d’onda di massima visibilità è di 555 nm corrispondente alla luce gialla verdastra. Si osservi che la curva agli estremi si annulla: in effetti a 380 nm si ha luce viola (a sinistra della quale si hanno i raggi ultra violetti, non visibili) e a 780 nm si ha il rosso (a destra del quale si hanno i raggi infrarossi, non visibili). Non si confonda la visibilità con l’attenzione che il colore rosso genera nell’Uomo medio. In effetti illuminare un ambiente con luce rossa (vedi, ad esempio, gli studi di riproduzione fotografica) non porta ad avere un buon confort visivo, anzi si ha un grande sforzo di adattamento. La curva di visibilità relativa va considerata come rapporto fra effetti prodotti da radiazioni di data lunghezza d’onda rispetto a quella di massima emissione.

In Figura 2 si hanno due curve: una relativa alla visione fotopica nella quale l’occhio può pienamente percepire i colori (vedi nel prossimo capitolo) ed una relativa alla visione scotopica nella quale si possono percepire sono i grigi. Quest’ultimo caso è relativo a scarse illuminazioni (o meglio a bassi valori di luminanza) e non trovano applicazioni nell’impiantistica a luce artificiale dove, al contrario, si persegue la condizione di massimo comfort visivo in visione fotopica.

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4

2.1.1 FLUSSO LUMINOSO

In base a quanto detto se w(λ) è la distribuzione di flusso di una sorgente radiativa, chiameremo flusso luminoso l’integrale:

( )780

380( ) ,

nm

nmK w d Lumenλ λ λΦ = ∫ (2)

ove K(λ) è il fattore di visibilità assoluto e w(λ) la radianza mono energetica della sorgente. L’integrale è esteso fra 380 e 780 nm che corrisponde all’intervallo di visibilità dell’occhio umano

medio. Si osservi che la precedente relazione è il legame fra la grandezza fisica (oggettiva) w(λ) e la visione dell’Uomo. Normalizzando il fattore di visibilità assoluta si può anche scrivere:

( )780

380683 ( ) ,

nm

nmk w d Lumenλ λ λΦ = ∫ (3)

con 683 lumen/Watt valore massimo di K(λ).

Figura 3: Tipi di sorgenti luminose

Il tipo di distribuzione spettrale dipende dalla sorgente luminosa. In Figura 3 sono rappresentate le tre tipologie ricorrenti: ⋅ - 1° Distribuzione continua: tipica delle sorgenti che emettono radiazioni luminose per

effetto termico (ad esempio, filamenti delle lampade ad incandescenza); - 2° Distribuzione discreta a righe: tipica dell'emissione nelle lampade a scarica nei gas (a

luminescenza, ad Hg, Na, Ar,...). Le righe sono corrispondenti ai salti quantici dei livelli elettronici dello elemento utilizzato in questo tipo di lampade);

⋅ - 3° Distribuzione normale del corpo nero: si tratta di una distribuzione ideale relativa ad un corpo ideale (il corpo nero). Nella realtà anche i corpi grigi emettono una distribuzione continua omotetica a quella del corpo nero secondo l'emissività ε. In figura si ha un esempio dei tre tipi di sorgenti luminose: a distribuzione continua (come si ha nelle lampade ad incandescenza), a distribuzione discreta (vedi, ad esempio, nelle lampade a fluorescenza) e ideale (corpo nero secondo la legge di Planck).

Per calcolare il flusso luminoso occorre risolvere l’integrale (2), vedi Figura 4, e ciò può essere fatto con metodi numerici (ad esempio con il metodo di Simpson). Si osservi che l’azione di filtro della curva di visibilità diminuisce l’effetto di visibilità delle sorgenti luminose.

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Lunghezza d'onda

λ

Figura 4: Significato di Flusso Luminoso

Noi vediamo in un intervallo ristretto di frequenze e, all’interno di questo intervallo 380÷780 nm, con efficienze diverse. Vedremo nel prosieguo quali effetti produce questa osservazione sull’efficienza luminosa delle lampade.

2.1.2 INTENSITÀ LUMINOSA

L’intensità luminosa è il flusso luminoso che ricade nell’unità di angolo solido, cioè si ha: dI= d

CandeleΦΩ

(4)

per cui risulta anche:

max11 cd=K ( )

683Wsr

(5)

da cui:

maxK 683 cd sr lmW

⋅ ⋅= (6)

L'unità è la Candela definita come l'intensità di una sorgente luminosa emessa nell'angolo solido di 1 sr, di l=555 nm e di potenza pari a 1/683 W. E’ questa l’unità di misura fondamentale dell’Illuminotecnica e pertanto tutte le altre grandezze sono derivate da questa mediante relazioni inverse. Dalla precedente e si ottiene che il flusso luminoso vale:

I dΩ

Φ = ⋅ Ω∫ (7)

ove l'angolo solido è dato da:

2

cosdAdr

εΩ = (8)

Per i corpi lambertiani che emettono in un semispazio secondo la legge del coseno è: 0 cosI I ε=

2

0 002 sin cosId I d I

ππ ε ε ε π

Ω

Φ = Ω = =∫ ∫

0IπΦ =

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6

Figura 5: Relazione fra intensità ed angolo solido

Io

Io cos αα

Figura 6: Intensità per corpi lambertiani

Per le sorgenti puntiformi che emettono uniformemente in tutto l'angolo solido 4π si ha, ponendo I=I0 in tutte le direzioni:

4

0 00= Id 4I d I

ππ

Ω

Φ Ω = Ω =∫ ∫

Io

π

Figura 7: Sorgenti puntiformi 2.1.3 LUMINANZA

La luminanza è definita dalla relazione: dIL= ( / ²)

dAcos cosdE Nit cd m

dα α=

Ω (9)

Le unità utilizzate sono:

[ ] [ ] [ ] 42 2 Stilb 10 NitCd CdL Nit

m cm = = = =

Un confronto con la definizione dell’intensità energetica, definita a proposito dell’Irraggiamento, porta a riconoscere nella luminanza la grandezza analoga in campo illuminotecnico.

Per i corpi lambertiani si ha che la luminanza non dipende dalla direzione ε: 0 cosI Iε ε=

e quindi:

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7

0 coscos cosI I

LS S

ε εε ε

= =

cioè: 0I

LS

=

2.1.4 ILLUMINAMENTO

Una grandezza molto utilizzata nella pratica (forse quella maggiormente nota, anche per l’utilizzo che se fa in fotografia) è l’illuminamento dato dalla relazione:

ricevente

dE=dA

ricevuto LuxΦ (10)

Combinando con la relazione dell’intensità si ottiene anche l’importante relazione:

2cos

ricevutoP

ricevente

dad d d RE IdA d dA dAε

αΦ Φ Ω

= = ⋅ =Ω

(11)

Figura 8: Luminanza per corpi lambertiani

2

cosPE I

Rεα

= (12)

Si utilizza questa relazione per la verifica illuminotecnica degli impianti di illuminazione artificiali.

Figura 9: relazione fra flusso ed Intensità

Se vi sono più sorgenti luminose si applica il principio di sovrapposizione degli effetti per cui si ha:

1 2 1 2

1 22 21 2

cos cosP P PE E E I I

R Rε εα α

= + = + (13)

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E' opportuno osservare che la luminanza si riferisce alla superficie apparente della sorgente emittente mentre l'Illuminamento si riferisce alla superficie ricevente il flusso luminoso. Nel caso di superfici trasparenti si ha:

emesso incidenteτΦ = Φ

Essendo φemesso = π Ι0 per superfici lambertiani si ha: incidente 0IA S

τ πΦ

=

ossia: E= L τ π

da cui: EL= τ

π

Figura 10: Luminanza per superfici trasparenti

Per superfici lambertiani si ha: emesso incidenteρΦ = Φ

Essendo φεµεσσο=π Ι0 per superfici lambertiani si ha: incidente 0

IA S

τ πΦ

=

ossia: E= L ρ π

da cui: EL= ρ

π

Figura 11: Luminanza per superfici lambertiane

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2.1.5 RADIANZA

La radianza è definita dalla relazione: dR Lux sul biancodAΦ

= (14)

e risulta anche: R rE= (15)

con r fattore di riflessione della superficie su cui ricade l’illuminamento E. Questa relazione ci dice che la radiazione visibile emessa una superficie riflettente è pari al prodotto dell’illuminamento ricevuto per il suo fattore di riflessione. Poiché le radiazioni emesse dai corpi sono, per la legge di Wien, di lunghezza d’onda elevata (in genere oltre i 3 µm) allora la (15) ci dice che vediamo solo la loro luce riflessa. Ricordando dall’Irraggiamento che per corpi uniformemente diffondenti vale la relazione:

R Lπ= (16) per cui la luminanza si può calcolare con la relazione:

rEL=π

(17)

che la lega all’illuminamento ricevuto da una superficie. Questa relazione è importante nelle applicazioni perché consente di passare da E ad L, grandezza quest’ultima oggi preferita in Illuminotecnica.

2.2 LA SFERA DI ULBRICHT

La sfera di Ulbricht è cava e la superficie interna è dipinta con vernice uniformemente diffondente. Una lampada posta al suo interno produce un flusso dato da:

circolante diretto indirettoΦ = Φ + Φ (18)

Il flusso diretto è quello prodotto dalla lampada (lampada campione con F0 noto): 0direttoΦ = Φ (19)

Figura 12: Distribuzione interna del flusso nella sfera di Ulbricht

Pertanto si ha: 2 3 4

0 0 0 0 0.....1indiretto

ρρ ρ ρ ρρ

Φ = Φ + Φ + Φ + Φ + = Φ−

da cui:

0 0 01

1 1circolante diretto indirettoρ

ρ ρΦ = Φ + Φ = Φ + Φ = Φ

− −

da cui: 0 1

1circolante

totale totale

EA A ρ

Φ Φ= =

− (20)

Allora, nota la riflettività r della superficie interna si calcola il flusso:

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0 (1 )totaleEA ρΦ = − (21)

2.2.1 MISURA DEL FLUSSO LUMINOSO CON LA SFERA DI ULBRICHT

La misura del Flusso luminoso è effettuata mediante una Sfera di Ulbricht. Si pratica una finestra sulla superficie della sfera e si pone all'interno una lampada schermata

mediante un foglio di carta in modo da eliminare la componente di illuminazione diretta.

Figura 13: Sfera di Ulbricht

Il flusso incidente in un generico punto della sfera vale:

1incidente indirettoρ

ρΦ = Φ = Φ

e l'illuminamento che è possibile misurare con un luxometro:

( )02 24 4 1indiretto

misuratoER R

ρπ π ρ

Φ= = Φ

da cui si ricava: ( )2

0

4 1misurato misurato

RE E K

π ρρ

−Φ = =

(22)

con la costante della sfera K data da: ( )24 1R

Kπ ρ

ρ−

= (23)

Pertanto si determina F dalla misura di E sulla sfera.

2.3 METODI DI MISURA DELLE GRANDEZZE ILLUMINOTECNICHE

Si presentano brevemente alcuni metodi di misura utilizzati in campo illuminotecnico.

2.3.1 MISURA DEL FLUSSO CON IL LUXOMETRO

Per misurare l'Illuminamento si utilizza una cellula fotovoltaica che genera una corrente in funzione della radiazione incidente.

Figura 14: Schema di un luxometro a cellula fotovoltaica

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Un filtro sovrapposto alla cellula rende la risposta di questa simile alla curva di visibilità relativa e quindi la misura dell'irraggiamento totale può rendersi proporzionale all'illuminamento.

Figura 15: Tipologia di filtri per le celle fotovoltaiche

2.3.2 IL BANCO FOTOMETRICO

l Banco fotometrico è costruito come in figura sottostante. A sinistra si ha una lampada campione e a destra una lampada da esaminare.

Il carrello mobile porta un dispositivo ottico che presenta l'illuminazione prodotta da entrambi i lati dalle due lampade.

Figura 16: Banco fotometrico

Si sposta il carrello fino a quando gli illuminamenti sono eguali sulle due facciate e quindi vale la relazione (per direzioni normali):

1 22 21 2

I IEd d

= =

Allora nota I1 e le distanze d1 e d2 si calcola: 21

2 1 22

dI Id

= (24)

Ripetendo il calcolo per diverse direzioni si ha la costruzione della curva fotometrica di figura. Ruotando la lampada attorno allo zoccolo di montaggio e ripetendo per varie angolazioni si può

avere la costruzione del solido fotometrico.

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Figura 17: Solido fotometrico e sua sezione in piano

2.3.3 CALCOLO DEL FLUSSO CON IL METODO IEC

L'angolo solido di una zona sferica compresa fra α ed α+dα vale:

( )2 sin 2 cos ) cos(d d

d d dα α α α

α απ α α π α α α

+ +Ω = = − + ∫ ∫

Per un solido fotometrico avente simmetria di rotazione si può calcolare il flusso luminoso suddividendo la sfera in quattro zone corrispondenti agli angoli (IEC N. 52/1982):

3, , , 22 2π π π π

Il flusso Φ , ricordando quanto sopra scritto, vale:

( )2

00 0

2 [ cos ) cos( ]Id I dπ ππ

α αα α

π α α α= =

Φ = Ω = ∆Ω = − +∑ ∑∫

Figura 18: Sezioni per il metodo IEC

Figura 19: Calcolo del flusso con il metodo IEC

Di solito il flusso emesso nelle quattro regioni IEC viene espresso in termini percentuali rispetto al flusso emesso nel 2p sr ed indicato rispettivamente con FC1, FC2, FC3, FC4.

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2.3.4 CALCOLO DELL’ILLUMINAMENTO FRA SUPERFICI

Sia la superficie S1 emittente ed S2 ricevente. L'illuminamento in P vale:

1

11 0 1 2

coscos cosP SS

dSE L d j L jd

ε→= Ω =∫ ∫ (25)

Figura 20: Illuminamento fra due superfici

Il flusso emesso da S1 che raggiunge S2 risulta:

21 2

112 2 1 22

cos cospSS S

dSE dS L j dSd

εΦ = =∫ ∫ ∫ (26)

e quindi anche, moltiplicando e dividendo per πS1:

1 2

112 1 1 22

1

cos1 cosS S

dSS L j dSS d

εππ

Φ =

∫ ∫ (27)

Il termine in parentesi è il fattore di vista fra S1 ed S2:

1 2

112 22

1

cos1 cosS S

dSF j dSS d

επ

= ∫ ∫ (28)

per cui: 12 1 1 12L S FπΦ = (29)

Ricordando che per corpi lambertiani la radianza è R = πL si ha: 12 1

2 1 122 2

SE R FS S

Φ= = (30)

La risoluzione della (28) non è agevole se non per geometrie semplici per le quali si riesce ad effettuare il calcolo degli integrali di superfici.

In Figura 21 si ha un esempio di fattore di forma per due geometrie semplici: piani formanti un diedro retto e piani paralleli. Il fattore di forma è dato dalle curve nei rispettivi abachi al variare dei vari rapporti geometrici.

Nello studio dell’Irraggiamento si sono viste altre geometrie e altri metodi di calcolo (anche semplificati) per il calcolo di F12.

Si ricordi che vale la legge di reciprocità cioè deve aversi: 1 12 2 21S F S F= (31)

e pertanto nei calcoli applicativi basta calcolare solo uno dei fattori di forma.

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IILLUMINOTECNICA

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Figura 21: Scambio radiativo fra superfici

2.3.5 ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO DA SUPERFICIE ESTESA

Con riferimento alla Figura 22, dalle definizioni di Luminanza ed Illuminamento che qui si ripetono

2

cos,cos P

dI dI jL dEdS d

ε ε

ε= =

combinando insieme si ha:

02

coscos cosP SdSdE L j L j d

→ = = ⋅ Ω

(32)

Il termine in parentesi è l'angolo solido entro il quale l'oggetto vede la sorgente:

0 2

cosS

dSdd

ε→

Ω =

(33)

Allora se L =costante segue:

0

0cosS

P SE L j d→

→Ω

= ⋅ Ω∫ (34)

che è la relazione per il calcolo dell'Illuminamento in un punto P dovuto ad una sorgente estesa S e di luminanza costante L.

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IILLUMINOTECNICA

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Figura 22: Illuminamento da una superficie in un punto

2.3.6 ILLUMINAMENTO DA UNA SORGENTE LINEARE

Nelle applicazioni si utilizzano spesso sorgenti aventi dimensioni prevalenti linearmente (si pensi ai tubi fluorescenti). In questo caso il calcolo dell’illuminamento in un punto P si può effettuare suddividendo la sorgente in elementi differenziali di lunghezza dl ai quali compete una intensità dI. Ne segue che l’illuminamento infinitesimo vale:

2

cosP

dI jdEr

ε=

ove j è l’angolo fra la normale al punto P e la congiungente dl con P. La luminanza dell’elemento dl è data dalla relazione:

cosdIL

dlε

ε=

essendo ε l’angolo sotto il quale l’elemento dl vede il punto P. Sostituendo nella precedente si ha:

2

cos cosP

Ldl jdEr

ε=

con la luminanza misurata in cd/m. Integrando all’intera lunghezza della sorgente lineare si ha:

2

cos cos

l l

Ldl jE dEr

ε= =∫ ∫ (35)

Nel caso di L = cost si ha:

2

cos cos

l

dl jE Lr

ε= ∫ (36)

Il calcolo dell’integrale dipende dal tipo di sorgente lineare. Queste possono essere di varie tipologie. Ad esempio un tubo al neon la luminanza può essere espressa nella forma:

*cos CostantesL L Lε ε= = =

Per altre sorgenti, come ad esempio, tubi a vapore di mercurio, a vapori di sodio e fluorescenti, si ha la relazione:

* CostantesL Lε = =

In funzione delle tipologie di sorgenti si effettua, quindi, il calcolo della (36).

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3. LA STORIA DELLA TEORIA DELLA LUCE

Nel corso degli ultimi tre secoli due diverse teorie si sono contese il privilegio di spiegare la natura della luce, a seguito di studi condotti da Isaac Newton (1642-1727) e da Cristopher Huygens (1629-1695).

Figura 23: Ritratti di Cristopher Huygens, (da ignoto) e di Isaac Newton, (ritratto da C. Jervas) Secondo Isaac Newton la luce doveva essere formata da una successione di minuscole particelle mentre Cristopher

Huygens sosteneva l’esistenza di un sistema vibratorio, concepito sotto forma di sfere elastiche di un sistema vibratorio, in contatto fra di loro, che diffondeva i suoi impulsi nell’etere, un mezzo impercettibile ovunque presente.

Tale controversia, una delle più interessanti che si siano verificate nella storia della Scienza di tutti i tempi, ha origine dalla pubblicazione di Giovanni Keplero dal titolo “Ad vitellionem paralipomena” avvenuta nel 1604 con la quale viene dato un assetto definitivo alla spiegazione del meccanismo della visione sino a quel tempo ancora relegato a interpretazioni fantasiose e prive di qualsiasi supporto sperimentale, perfezionando quanto asseriva l’arabo Ibn – Al - Haitham nel XI secolo4. Keplero spiegò che da ogni punto di un corpo luminoso o illuminato partono in tutte le direzioni infiniti raggi rettilinei che, per rifrazione del sistema ottico dell’occhio, formano l’immagine sulla retina.

Dopo Keplero si affermò definitivamente il concetto di lumen, l’agente fisico esterno, e nel giro di pochi anni si sviluppò un’importante capitolo della scienza chiamata ottica geometrica con la quale furono condotte tra l’altro dettagliate ricerche per comprendere la natura del lumen abbandonando quasi definitivamente gli studi sulla lux (l’effetto psichico corrispondente al lumen). Si affermarono quindi due correnti di pensiero: una che considerava il lumen come sciame di particelle materiali, cioè una substantia e l’altra che lo considerava un movimento, cioè un accidens. Ci si pose anche la domanda: che cosa succede ai raggi di luce passando da un mezzo all’altro? Mediante semplici prove sperimentali si osservò che quando la luce entra obliquamente, formando cioè un angolo con la perpendicolare alla superficie, in una sostanza trasparente, essa viene rifratta secondo una direzione che forma, sempre con la perpendicolare, un angolo inferiore a quello d’incidenza.

4 Secondo Ibn-Al-Haitham, da ogni corpo si propagano, secondo delle traiettorie che uniscono l’oggetto considerato

con l’occhio, dei corpuscoli infinitamente piccoli e percettibili solo se capaci di penetrare entro le orbite oculari. In base a tali postulati, accettati da tutti i filosofi dell’epoca, la luce è un fenomeno psichico, cioè una rappresentazione a cui la psiche perviene quando sulla retina agisce un agente esterno di natura fisica. In funzione di quanto in precedenza descritto furono adottate due parole capaci di spiegare in maniera esauriente tali fenomeni: lumen fu chiamato l’agente fisico esterno (composto da raggi rettilinei) e lux si chiamò l’effetto psichico corrispondente

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Nel 1621 il filosofo olandese Willebrord Snell stabilì la relazione esistente fra l’angolo d’incidenza e l’angolo di rifrazione giungendo alle medesime conclusioni di Renè Descartes detto Cartesio5 (1596-1650). Cartesio nel suo trattato Diottrica si occupò delle leggi di riflessione della luce in uno specchio, considerando la luce stessa costituita da piccole sfere che si comportano come palle da biliardo che urtano la sponda del tavolo e rimbalzano sempre con la stessa angolazione pari a 45°.

Nonostante la deduzione cartesiana di luce fatta da corpuscoli, non si era ancora in grado di dare una risposta esauriente circa il problema dei diversi colori della luce. Nel 1672 Isaac Newton nella sua lettera Philosophical transactions espose le proprie idee circa la natura dei colori scaturite da circa dieci anni di esperienza mediante l’utilizzo di prismi ottici.

Egli fece in modo che un raggio di luce incidesse obliquamente su una faccia di un prisma triangolare di vetro: il raggio veniva rifratto una prima volta quando penetrava nel vetro ed una seconda volta nella stessa direzione, quando ne usciva da un’altra faccia del prisma verificando l’effettiva differente inclinazione tra raggio incidente e raggio rifratto.

Sempre con tale esperimento ci si accorse che il raggio luminoso che fuoriusciva dal prisma colpendo una superficie bianca formava una striscia di vari colori, che vanno dal rosso al viola, anziché una luce bianca. Nulla togliendo alla sua grandezza Newton, con la sua teoria corpuscolare, diede una spiegazione errata del fenomeno ammettendo che i corpuscoli della luce avevano forma e caratteristiche diverse a seconda del colore del raggio considerato, i quali venivano attratti dai corpi che attraversavano, secondo leggi simili a quelle della gravitazione universale. Nonostante i molti interrogativi che la teoria corpuscolare lasciava irrisolti6 questa divenne la teoria ufficiale del lumen durante tutto il secolo XVIII.

Il più noto oppositore della teoria corpuscolare fu il fisico olandese Cristian Huygens (1629-1695). Huygens dichiarava che il fenomeno della diffrazione era causato dalla minore velocità della luce nei mezzi più densi, prospettando con felice intuizione un’ipotesi che soltanto molti anni dopo doveva essere confermata sperimentalmente dal fisico francese Foucault. La teoria ondulatoria, così venne chiamata la teoria alternativa proposta da Huygens, si rifà all’idea di un lumen come accidens secondo la quale la luce è costituita da piccolissime onde.

Il fisico olandese sosteneva che le differenti lunghezze d’onda della luce fanno sì che l’occhio distingua i vari colori. I colori corrispondono quindi a precise lunghezze d’onda7, capaci di far stimolare la retina e di far percepire il senso del colore, al di là delle quali, in corrispondenza delle radiazioni infrarosse ed ultraviolette, l’occhio non è più in grado di vedere.

Nonostante la teoria di Huygens appariva del tutto soddisfacente rimanevano anche in questo caso molti interrogativi privi di risposta come ad esempio non si spiegava perché i raggi luminosi non aggirino gli ostacoli, come fanno le onde sonore; ed inoltre non si capiva il motivo per cui la luce poteva propagarsi nel vuoto essendo fatta di onde.

Nel 1801 Thomas Young, medico e fisico inglese (1773-1829), studiando il fenomeno della interferenza8 ebbe modo di calcolare la lunghezza delle onde luminose.

Da tale esperimento scaturì che tali lunghezze d’onda erano estremamente piccole, per cui incapaci di aggirare un ostacolo così come avveniva nelle onde sonore.

5 Cartesio formulò la legge della rifrazione legge del seno che dice: quando la luce passa da un mezzo A in un mezzo B il seno

dell’angolo d’incidenza sta al seno dell’angolo di rifrazione in un rapporto costante. Questo rapporto rappresenta l’indice di rifrazione relativo ai due mezzi e viene indicata con la lettera n.

6 Con tale teoria non era possibile spiegare per quale motivo due fasci di luce possono incrociarsi senza che le particelle costituenti entrino in collisione, ed ancora le differenti caratteristiche di rifrazione della luce di vario colore.

7 Le lunghezze d’onda sono maggiori per il rosso (780 nm) e diminuiscono man mano che ci si avvicina al violetto (300 nm). la luce bianca comprende luci di tutti i colori o meglio onde di tutte le lunghezze d’onda comprese fra quella del rosso e del violetto.

8 Tale fenomeno consiste nel far collimare un fascio di luce, emesso da una sorgente, con una fessura e successivamente viene fatto passare attraverso altre due fessure parallele. Su uno schermo trasparente posto dopo le due fessure si osserva una serie di frange scure e chiare. Infatti, secondo la teoria ondulatoria un’onda piana (linee parallele) che incontra una fenditura genera un sistema di onde specifiche (linee curve) che si propagano oltre la fenditura. Se le fenditure sono due, le onde si sovrappongono sommandosi o sottraendosi, cresta con cresta o cresta con cavo, ottenendo così le frange chiare e scure.

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Il fatto che le lunghezze d’onda abbiano valori così piccoli, le cui dimensioni sono enormemente minori di quelle degli oggetti, spiega il motivo per cui le onde luminose viaggiano in linea retta e proiettano ombre nette.

In seguito le lunghezze d’onda della luce vennero espresse in un’unità di misura suggerita da Anders Jonas Angstrom, fisico ed astronomo svedese (1814-1872): 1 Angstrom (A) corrisponde ad un centomilionesimo di centimetro (10-8 cm). Attualmente si preferisce usare dei prefissi per ogni ordine di grandezza e nano è il prefisso usato per indicare la miliardesima parte dell’unità.

Un nanometro (abbreviazione nm) è pari a 10-9 metri ed equivale a 10 A. Grazie agli ricerche condotte da Huygens, Young e Angstrom nel XIX secolo la teoria ondulatoria della luce fece progressi straordinari, debellando definitivamente la teoria corpuscolare di Newton. La conclusione di questo grande sviluppo dello studio delle onde si ebbe con James Clerk Maxwell (1831-1879) con la sua teoria elettromagnetica della luce. Egli elaborò un insieme di quattro equazioni che complessivamente descrivevano tutti i fenomeni riguardanti l’elettricità ed il magnetismo.

Tali equazioni pubblicate nel 1864 non solo descrivevano le interrelazioni tra i fenomeni elettrici e magnetici, ma mostravano anche che essi non potevano essere mai separati, giungendo alla conclusione che tali radiazioni presentano le proprietà di un’onda. In breve Maxwell riuscì a calcolare la velocità con cui un’onda elettromagnetica avrebbe potuto propagarsi, velocità che risultava essere precisa a quella della luce9. La luce è quindi una radiazione elettromagnetica e, come essa, vi sono altre radiazioni con lunghezze d’onda molto maggiori e molto minori di quelle della luce visibile (che vanno dai raggi cosmici alle microonde). In base a quanto precedentemente descritto le due teorie corpuscolare ed ondulatoria si relazionano per descrivere la luce come oggi la si intende e cioè come un flusso di particelle, i fotoni, i cui fenomeni possono essere spiegati dall’elettrodinamica quantistica (QED: Quantum Electro - Dynamics). Il Fotone è il quanto elementare di energia della luce; si misura in Joule ed è dato dalla relazione

E = hν [37]

ove h è la costante di Planck (J/s) e ν la frequenza (Hz).

Figura 24: Anatomia dell’occhio umano e dei recettori retinici: coni e bastoncelli Le radiazioni luminose presentano quindi diverse lunghezze d’onda; quelle a breve lunghezza

d’onda sono caratterizzate da un numero di onde maggiori rispetto alle radiazioni luminose di lunghezza d’onda più elevata. La luce naturale, al pari di quella generata con mezzi artificiali, si presenta quindi come formata da differenti radiazioni di diversa lunghezza d’onda.

9 Un astronomo danese Roemer (1644-1719) intento ad annotare le eclissi di quattro luminosi satelliti ruotanti in orbita attorno al pianeta Giove si accorse che queste succedevano ad intervalli regolari in rapporto alle variabili distanze i Giove e della Terra. Roemer concluse che l’irregolarità delle eclissi era in rapporto alla diversità del tempo impiegato dalla luce per coprire il percorso tra i satelliti di Giove e la Terra e che il tempo aumentava con l’aumentare della distanza perché la luce viaggiava con una certa velocità. In base a questi dati ed a una valutazione approssimativa della distanza del sole, il danese stabilì che la velocità della luce era di 308.000 km/s. Dato questo molto vicino a quello ottenuto con le moderne conoscenze sul diametro dell’orbita terrestre la quale velocità è stata corretta a circa 300.000 km/s, in presenza di vuoto assoluto.

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3.1 FISIOLOGIA DELL’OCCHIO

L’occhio umano, strumento sensoriale estremamente specializzato per la visione, dotato di una perfetta organizzazione anatomica e funzionale, consente per mezzo di una lente (lente cristallina) di proiettare l’immagine rimpicciolita e capovolta degli oggetti su dei fotorecettori situati al suo interno, capaci di trasformare l’energia luminosa ricevuta in una serie di impulsi elettrici intelligibili per il cervello. L’occhio è una macchina perfetta dotata di sei muscoli estrinseci, o esterni al globo oculare, che lo trattengono nella cavità orbitaria, lo fanno ruotare nella direzione degli oggetti in movimento e lo dirigono sugli oggetti fermi. Gli occhi partecipano alla visione in perfetto sinergismo cosicché normalmente si rivolgono su uno stesso oggetto, sul quale convergono al fine di comprenderne distanza e dimensioni; in altre parole gli occhi permettono di vedere in tre dimensioni.

Oltre ai muscoli estrinseci esistono altri muscoli denominati intrinseci, o interni. Uno di essi è l’iride, un muscolo anulare che forma la pupilla attraverso cui passa la luce proveniente dall’esterno per giungere sulla lente cristallina. L’iride con il suo movimento (contrazione muscolare) permette di restringere il foro pupillare, sia per la visione degli oggetti prossimi che per adattare l’occhio ad eccessiva intensità luminosa. Un altro muscolo intrinseco, denominato ciliare, controlla inoltre la messa a fuoco della lente e permette quindi una corretta visione degli oggetti. L’occhio può essere distinto anatomicamente e funzionalmente in una parte diottrica o anteriore ed in una posteriore o sensoriale. la parte diottrica comprende tutte quelle strutture che hanno la funzione di far sì che i raggi provenienti da qualsiasi oggetto fissato vadano a fuoco esattamente sulla retina che ne rappresenta la parte sensoriale. Per consentire la visione è indispensabile che i mezzi diottrici posseggano determinate caratteristiche quali potere rifrattivo ed una perfetta trasparenza alla luce. Le strutture rifrattive sono rappresentate da: cornea, umore acqueo, cristallino e corpo vitreo.

La cornea che costituisce l’1/6 anteriore della tonaca fibrosa riveste l’occhio detto anche sclera e rappresenta la lente principale del sistema diottrico oculare avendo un potere di circa 42 diottrie10. Dietro la cornea è situato l’iride al cui centro vi è la pupilla. L’iride presenta un pigmento colorato che ha la funzione con la sua opacità di limitare l’apertura delle lenti11. Il diaframma irideo è posto al davanti del cristallino, ed è delimitato da due anelli, uno periferico che lo collega al corpo ciliare e che delimita la base dell’angolo irido-corneale, e uno centrale che circoscrive il forame pupillare; il muscolo costrittore della pupilla è innervato dal III° nervo cranico, il muscolo dilatatore dal sistema nervoso simpatico. L’iride, come in precedenza accennato, ha la proprietà di dilatarsi e di contrarsi, per mezzo del muscolo ciliare, fungendo da diaframma per i raggi luminosi. E’ errato pensare che le variazioni di grandezza della pupilla, che rappresenta il foro centrale dell’iride, abbiano esclusivamente lo scopo di garantire il funzionamento dell’occhio a differenti intensità di luce. Infatti il foro pupillare può modificarsi in un rapporto di 16:1, mentre l’occhio riesce a funzionare entro un arco di intensità luminose che stanno in un rapporto di 100.000:1

La pupilla invece restringendosi limita esclusivamente l’ingresso dei raggi luminosi in corrispondenza della parte centrale della lente, che è la più funzionale dal punto di vista ottico, mentre si apre completamente in quei casi in cui si richiede la massima sensibilità. La pupilla12 si restringe anche nella visione prossima aumentando così la profondità del campo visivo. La lente dell’occhio umano, il cristallino, ha grande importanza nel regolare l’accomodazione alla distanza modificando, in virtù della notevole elasticità posseduta, il raggio di curvatura delle proprie superfici, mediante un notevole movimento muscolare (muscolo ciliare e zonula)13.

10 La diottria è una misura ottica definita come il reciproco della distanza focale (espressa in metri) d’un sistema

ottico. 11 Gli occhi privi di pigmento (albinismo) non possono funzionare perfettamente in presenza di luce intensa. 12 La pupilla non è una struttura anatomica ma un foro circoscritto dall’iride, che consente alla luce di giungere prima

sulla lente, e successivamente sulla retina per formare l’immagine. La pupilla ci appare di colore nero e non ci è possibile vedere, attraverso di essa, nell’interno dell’occhio di un’altra persona poiché il nostro occhio viene sempre a trovarsi sul cammino della luce destinata ad illuminare la parte della retina che dovremmo vedere.

13 Il cristallino è mantenuto nella sua posizione, ortogonale all’asse ottico, da un sistema di sospensione costituito da numerose e sottili fibre (fibre zonulari) disposte a raggiera, che si inseriscono ad un estremo in corrispondenza dell’equatore della lente e dall’altro estremo sui processi ciliari.

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Per tale motivo il cristallino può essere considerato come una lente positiva di potere variabile (circa 13D) il cui raggio di curvatura si riduce infatti per la visione prossima aumentando così il potere della lente che accentua la convergenza dei raggi luminosi, già operata dalla cornea.

Lo spazio compreso tra cornea ed iride è detto camera anteriore al cui interno circola l’umore acqueo, mentre lo spazio compreso tra il cristallino e la retina è occupato dal corpo vitreo. La parte neurosensoriale è rappresentata dalla retina, composta da elementi fotosensibili e da neuroni, il cui nome deriva dal fitto intreccio dei suoi vasi sanguigni che ne conferiscono un aspetto simile a quello di una rete.

La retina dell’uomo è una retina inversa cioè strutturata in maniera tale che le estremità dei fotorecettori non siano rivolte verso la sorgente dello stimolo e quindi verso il diottro, bensì all’opposto. A livello retinico si compie la conversione degli stimoli fotonici in impulsi nervosi che, raggiungendo i centri celebrali evocano la sensazione visiva. Tale percezione è dovuta a due tipi di fotorecettori (particolari cellule nervose), i coni ed i bastoncelli, aventi funzioni diversificate e diversa distribuzione topografica. In corrispondenza della periferia retinica si trovano in prevalenza i bastoncelli; a livello della fovea centrale (detta anche macula) sono presenti esclusivamente i coni.

Questi ultimi sono eccitati da radiazioni luminose intense, hanno cioè una soglia di eccitazione elevata e presiedono alla visione diurna o visione fotopica e lavorando alla piena luce diurna e producono la visione del colore. I bastoncelli sono invece eccitati da radiazioni luminose meno intense e pertanto forniscono la base per la visione crepuscolare o scotopica. Tale diversità funzionale è dovuta anche al diverso rapporto che i due tipi di recettori hanno con le fibre del nervo ottico: i coni sono in rapporto di 1:1; quindi ogni cono eccitato attiva una singola fibra nervosa; i bastoncelli hanno rapporti plurimi così che su una stessa fibra nervosa possono convergere impulsi provenienti da numerosi bastoncelli. Da quanto detto se ne deduce come la sensazione visiva più dettagliata è quella che ha origine nei coni e pertanto la fovea centrale è la sede della visione distinta e diretta.

Le zone periferiche della retina sono viceversa popolate dai bastoncelli ed idonei quindi alla visione notturna. Per concludere l’area retinica che corrisponde alla fuoriuscita dal bulbo delle fibre nervose che costituiscono il nervo ottico prende il nome di papilla ottica, una zona priva di fotorecettori e quindi insensibile allo stimolo luminoso

3.2 PRINCIPI DELLA VISIONE

La visione è garantita dall’eccitazione della retina che deve quindi considerarsi come un rilevatore di energia radiante compresa tra i 380 e i 780 nm; la gamma del visibile.

L’eccitazione dei recettori presenti nella retina è inizialmente un fenomeno fotochimico la quale si verifica quando il fotone viene captato da una molecola del pigmento fotolabile; successivamente tale stimolo viene trasformato in impulso elettrico trasmesso successivamente al cervello. La reazione fotochimica avviene in corrispondenza dei fotorecettori della retina sono: i coni ed i bastoncelli, i quali contengono nel loro articolo esterno due diversi tipi di pigmento visivo, la rodopsina e la jodopsina.

Lo stimolo luminoso porta quindi, attraverso fenomeni chimici (fotoisomerizzazione), alla scomposizione dei suddetti pigmenti, trasformandoli in lumirodopsina, in modo da consentire l’amplificazione e la partenza del segnale verso i centri superiori; subito dopo, sempre per mezzo di meccanismi fotochimici, viene rigenerata la rodopsina, attraverso la riconversione del trans-retinale in cis-retinale. Questi fenomeni fotochimici avvengono in 1/25 milionesimo di secondo, determinando una variazione di potenziale sinaptico14 in 1/500 ms, consentendo quindi la trasmissione ininterrotta di segnali da parte della retina, anche se esposta a stimoli intensi e continuativi. Attraverso le vie ottiche i segnali provenienti dalla retina raggiungono la corteccia visiva occipitale, dove vengono elaborati e trasformati in immagini. I fotopigmenti sono così distribuiti nell’occhio: la rodopsina è contenuta nei bastoncelli, il clorolabile, il cianolabile, l’eritrolabile sono contenuti in tre diverse varietà di coni (una per ciascun colore fondamentale: rosso, verde e blu15).

14 La sinapsi è una specie di membrana fra il neurone e l’assone (cioè il collegamento fra neuroni). La sinapsi controlla la concentrazione ionica di Na+ e K- mediante variazione del potere di permeabilità di questi ioni. Quando la permeabilità allo ione sodio diviene massima allora si ha una immissione di cariche positive che producono un innalzamento del segnale da circa –70 mV a – 30 mV. La transazione del segnale avviene in circa 0.5 ms.

15 Vedremo come questi tre colori (denominati Red, Green, Blue, con la sigla RGB) sono anche assunti come fondamentali per la Colorimetria.

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Riassumendo, la visione può essere scotopica, dovuta ai bastoncelli (condizione di illuminazione notturna), fotopica, dovuta ai coni (condizione di illuminazione diurna), ed mesopica (condizione di illuminazione intermedia) come appare dal grafico seguente.

Figura 25: Illuminamento in lux di una superficie per diverse situazioni

Se la visione notturna (caratterizzata da un valore di illuminamento inferiore a 0,1 lux16) è privilegiata nei confronti di quella diurna, per la capacità di percepire sorgenti luminose estremamente deboli (l’occhio è capace di percepire, in visione scotopica, la fiamma di una candela ad una distanza superiore a 10 km), tale incremento di sensibilità della retina resta decisamente molto labile potendo essere facilmente abolito da un improvviso abbagliamento.

A causa del mancato funzionamento dei coni la visione scotopica risulta decisamente limitata rispetto a quella fotopica. Con luce crepuscolare infatti l’acuità visiva si riduce a un valore uguale o inferiore a 1/10 e si verifica inoltre la mancanza di percezione dei colori con conseguente spostamento della curva di sensibilità retinica in funzione della lunghezza d’onda, in direzione delle lunghezze d’onda più corte. Per tale motivo all’alba ed al tramonto il colore blu appare più intenso di quello rosso più visibile di giorno17. Appare evidente come in visione fotopica (dovuta ai coni) la sensibilità dell’occhio è massima alla radiazione della zona centrale dello spettro luminoso (in corrispondenza della colorazione giallo-verde, intorno ai 550 nm) e decresce man mano che ci si sposta verso la periferia dello spettro come meglio evidenziato dalla curva del fattore di visibilità relativa.

In visione scotopica (dovuta ai bastoncelli) viceversa la curva di sensibilità dell’occhio è spostata verso le lunghezze d’onda inferiore in corrispondenza della colorazione blu-verde. La condizione di illuminazione intermedia definisce la visione mesopica in cui il senso del colore è ancora ridotto e gli oggetti si distinguono per la diversa luminosità.

Tale spostamento in termini di lunghezza d’onda viene definito effetto Purkinje e la lunghezza d’onda a cui corrisponde la massima visibilità è di circa 510 nm. Una simile risposta dell’occhio sembra essere dovuta al selettivo assorbimento dei mezzi oculari antistanti la retina caratterizzati ognuno da un proprio coefficiente di trasmissione τλ, dipende dalla lunghezza d’onda considerata ed infatti la percentuale di flusso monocromatico che incide sulla retina, in relazione al flusso pupillare φ, può essere espresso dalla relazione seguente

F = φ τλ [38] Riassumendo si ottiene quanto esposto nella seguente tabella:

Tipi di visione livelli di illuminamento (lux) Luminanza18 (cd/m2)Fotopica 10÷15 610 3÷ Mesopica 10÷5.10-3 23 10−÷ Scotopica 3 65 10 5 10x x− −÷ 510 10÷

Tabella 1: Tipologia della visione

16 Si ricorda che il lux è l’unità di misura dell’illuminamento e cioè è il rapporto fra flusso luminoso (espresso in

lumen) e la superficie di illuminazione (in m²). 17 I coni funzionano in condizioni di luminosità elevata, e sono molto sensibili alle lunghezze d’onda giallo e verde; i

bastoncelli funzionano a bassi livelli di luminosità e sono altamente sensibili alle lunghezze d’onda blu-verde. 18 La Luminanza è data dal rapporto fra l’intensità luminosa (espressa in candele) e la superficie apparente di emissione

e si misura in Nit.

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Per stabilire la visibilità sufficiente sul piano di lavoro si fa riferimento al concetto di livello di visibilità che comprende in un unico dato l’illuminazione dell’ambiente, il contrasto fra gli oggetti ed il tempo di percezione degli stessi. La valutazione di questo livello è quindi fondamentale per definire la prontezza della sensazione visiva.

Al livello di visibilità zero si fa corrispondere la soglia della visibilità Es, che coincide con la percezione visiva di un oggetto dopo un tempo molto lungo. I valori del livello della visibilità successivi al valore di soglia possono essere espressi da una curva detta appunto Curva della visibilità rappresentata in Figura 26.

Figura 26: Sensibilità relativa dell’occhio alle varie lunghezze d’onda

Su di essa sono riportati i livelli medi della visibilità di un oggetto sottoposto ad una illuminazione E in funzione dell’illuminamento relativo /r sE E E=

La soglia può quindi essere definita come la minima quantità di energia che permette la percezione la quale dipende da vari fattori quali: ⋅ la variabilità dei fotoni di stimolazione; ⋅ la soggettività; le diverse condizioni di adattamento; ⋅ il prestimolo e la variazione delle condizioni sperimentali.

Da quanto in precedenza descritto ne consegue la difficoltà pratica di determinare la soglia di visibilità in modo assoluto. Secondo esperimenti condotti nel 1942 da Hecht, Schlaer e Pinene venne definito l’occhio come il più sensibile strumento di misura di energia luminosa. Infatti, secondo questi sperimentatori basta che in condizioni di massima sensibilità (per occhi adattati al buio per un tempo non inferiore ad un’ora), un bastoncello assorba un fotone di 5000 A° di lunghezza d’onda per determinare la sua stimolazione e la conseguente sensazione luminosa.

Per successive stimolazioni è necessario che almeno 10-15 recettori assorbano un fotone ciascuno perché il soggetto percepisca una sensazione visibile. E’ evidente che per determinare la percezione di soglia è necessaria un’energia incidente nell’occhio sensibilmente superiore. Difatti è stato valutato che, a seguito dell’assorbimento dei diversi mezzi ottici, della riflessione corneale e dell’assorbimento da parte delle fibre nervose e dei vasi sanguigni che antistanno ai recettori, almeno 100 fotoni devono incidere sull’occhio. Questa energia corrisponde a circa 10-6 mL19. E’ stato inoltre determinato che per un occhio adattato alla luce diurna è necessaria un’intensità pari ad 1 mL, cioè un’intensità un milione di volte più grande della precedente.

La visione è l’effetto sensoriale generato dalla luce sull’organo visivo. Essa è frutto di una interpretazione cerebrale (zona occipitale del cervello) e pone alcuni problemi di ordine psicofisico.

19 E. Giannazzo, Nozioni di fisica e biofisica della visione, Piccin, Padova, 1989.

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23

Figura 27: Livello della visibilità al variare dell’illuminamento relativo

I parametri principali che caratterizzano la visione sono i seguenti: - Adattamento visivo - Accomodamento e Contrasto - Brillanza - Abbagliamento - Acuità Visiva - Senso Morfologico Alcuni di essi possono essere definiti analiticamente e misurati opportunamente, altri

costituiscono parametri accessori e derivano direttamente dall’interpretazione psicofisica della visione.

3.2.1 L’ADATTAMENTO VISIVO

L’occhio è in grado di riconoscere gli oggetti in condizioni di illuminazione che coprono un campo estremamente vario.

La Luminanza dello stimolo che costituisce la soglia luminosa assoluta è di circa 10-6 Nit (quella del pieno sole è di circa 109 Nit). La capacità che ha l’occhio di regolare la propria sensibilità al variare delle condizioni ambientali è detta adattamento.

E’ quindi un processo mediante il quale le caratteristiche ottiche del sistema visivo sono modificate in relazione alla luminanza del campo visivo o alla distribuzione spettrale dello stimolo luminoso.

L’adattamento è assicurato da tre tipi di meccanismi: 1. Modificazione del diametro pupillare20: miosi ed midriasi; 2. Adattamento retinico21: la retina reagisce a livello biochimico all’aumento ed alla diminuzione

dell’intensità luminosa mediante generazione ed esaurimento (sbiancamento) della rodopsina; 3. Meccanismo nervoso22; quando l’occhio passa dal buio alla luce i mutamenti biochimici sono sopraffatti

dai più veloci adattamenti nervosi, così che l’adattamento alla luce è soprattutto un fenomeno nervoso.

20 Miosi rappresenta il restringimento della pupilla (condizione di intensa illuminazione), midriasi indica la dilatazione

della pupilla in condizione di ridotta luminosità. 21 L’adattamento retinico avviene a livello biochimico mediante una rigenerazione della rodopsina (adattamento al

buio) e ad un suo esaurimento alla luce (adattamento alla luce in circa 50 s).

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Dopo essere rimasti all’oscurità per un certo tempo i nostri occhi diventano più sensibili ed un oggetto illuminato ci sembrerà più splendente che in altre circostanze. Questo fenomeno è l’espressione del processo di adattamento all’oscurità che si manifesta fin dai primi minuti quando si rimane al buio.

Analizzando l’esempio in precedenza esposto è facile intuire come la velocità di adattamento è diversa per i coni e per i bastoncelli: i primi infatti si adattano completamente entro sette minuti, mentre l’adattamento dei secondi si prolunga per un’ora e più, come dimostra la figura seguente, che riporta le rispettive curve d’adattamento dei fotorecettori come se ci fossero due retine indipendenti in ogni occhio.

Figura 28: Curva di adattamento visivo dei coni e dei bastoncelli

La spiegazione precisa di tale meccanismo è stata data dal fisiologo inglese W.A.H. Rushton, il quale ha dimostrato, mediante opportuni esperimenti sugli occhi delle rane e dell’uomo23, uno stretto rapporto tra le modificazioni fotochimiche della rodopsina e le variazioni di sensibilità dei bastoncelli.

Da tali studi è apparso che la luminosità della visione è legata alla quantità di fotopigmento presente nei fotorecettori e sottoposta allo sbiancamento.

Rushton dimostrò la modificazione cromatica del fotopigmento durante il processo di adattamento ed ha anche stabilito che il rapporto tra l’intensità energetica dello stimolo luminoso e la quantità di fotopigmento che diventa bianco, è di natura logaritmica.

3.2.2 L’ACCOMODAMENTO

Per accomodazione si intende la modificazione del potere diottrico del cristallino, regolazione focale dell’occhio, al fine di mettere a fuoco sulla retina l’immagine di un oggetto situato ad una data distanza dall’occhio.

3.2.3 IL CONTRASTO

Si definisce contrasto differenza di luminosità tra due oggetti o superfici vicine o ancora la valutazione soggettiva della differenza di spettro di due parti di un campo visivo viste simultaneamente o successivamente. Esiste inoltre una soglia di contrasto definita come la più piccola differenza di luminosità che permette il riconoscimento di un oggetto. Ma il contrasto può anche definirsi come differenza relativa delle luminanze fra due parti di un campo visivo (Luminance contrast).

Da quanto in precedenza esposto appare evidente come il contrasto sia strettamente condizionato dal livello di illuminamento del compito visivo. Infatti uno24 dei fattori che condizionano la sensazione luminosa e rappresentato dall’intensità della luce che colpisce le zone circostanti della retina

22 Quando si passa da un luogo a bassa intensità luminosa ad un altro caratterizzato da valori di illuminazione elevati i

mutamenti biochimici (50 s circa) sono preceduti dai più veloci adattamenti nervosi. Quindi l’adattamento alla luce è soprattutto un fenomeno nervoso.

23 La tecnica da lui adottata consiste essenzialmente nel proiettare un piccolo fascio di luce sull’occhio e nel misurare successivamente, per mezzo di una fotocellula molto sensibile, la quantità di luce riflessa dall’occhio, potendo dimostrare la modificazione cromatica del fotopigmento durante l’adattamento dell’occhio.

24 R. L. Gregory: Occhio e Cervello: la psicologia della vista, Il Saggiatore, Milano 1966.

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Un determinato oggetto risulta più luminoso su uno sfondo scuro, e un particolare colore acquista una tonalità più intensa se circondato dal colore complementare. (questo fatto deve essere messo senza dubbio in rapporto all'esistenza di connessioni crociate tra i recettori).

L'effetto di potenziamento della sensazione luminosa cromatica operato dal contrasto rientra probabilmente nel quadro generale dell'importanza dei contorni per la percezione visiva. Sembra infatti che siano soprattutto i contorni che vengono segnalati con particolare evidenza al cervello, mentre, per le zone che presentano una illuminazione uniforme, le informazioni sono molto più generiche. Il sistema visivo, completando il quadro definito dai contorni, risparmia le energie del suo sistema periferico, sia pure a costo di un maggior lavoro dei centri nervosi.

Sebbene i fenomeni di contrasto e di rinforzo che si manifestano a livello dei contorni siano fondamentalmente determinati dall’attività retinica, si deve ritenere che anche i centri nervosi abbiano una certa influenza, come risulta dalla figura seguente, che ci sottopone un caso evidente di contrasto.

Il cerchio grigio appare infatti più chiaro sullo sfondo nero che sullo sfondo bianco ed ancor più marcato risulta questo effetto quando, lungo il diametro traverso del cerchio, si dispone un filo bianco che si continua sul fondo dividendolo in due meta.

Il contrasto è dunque più evidente se la figura viene interpretata come due meta distinte anziché come una figura unica e questo fenomeno deve essere verosimilmente provocato dall'intervento dei centri nervosi cerebrali.

Un'idea della complessità del sistema che controlla la sensazione luminosa può essere ricavata dal “paradosso di Fechner”. Se l'occhio umano viene stimolato da una sorgente di modesta intensità, esso avrà una certa sensazione luminosa e la pupilla si restringerà; aggiungendo un'altra sorgente di intensità ancora più debole, a una certa distanza dalla prima in modo che vada a stimolare una differente regione della retina, la pupilla non si restringe ulteriormente, come ci si potrebbe aspettare, ma piuttosto si dilata con un'apertura che può essere messa in rapporto ad una intensità di luce intermedia tra quella della prima e quella della seconda sorgente di luce, adattandosi evidentemente, non alla illuminazione totale, ma a quella media, in virtù di un meccanismo retinico di cui s'ignora il funzionamento.

Se si chiude un occhio la sensazione luminosa non varia, cioè praticamente non v’è alcuna differenza sia che uno solo, o tutti e due gli occhi contemporaneamente, ricevano lo stimolo.

Ma le cose vanno diversamente nel caso delle piccole luci di debole intensità viste in un ambiente oscuro: in queste condizioni la sensazione luminosa risultare molto più evidente se si guarda con entrambi gli occhi anziché con un occhio solo. Anche le ragioni di questo fenomeno sono ancora sconosciute.

Figura 29: Contrasto luminoso

La sensazione luminosa è inoltre condizionata dal colore. Se sui nostri occhi arrivano contemporaneamente delle luci di colore diverso, ma di uguale intensità, la zona intermedia dello spettro risultare più brillante rispetto a quelle periferiche, come dimostra dalla curva di luminosità dello spettro.

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Questo fatto ha una certa importanza pratica perché un segnale di pericolo, per risultare chiaramente visibile, dovrebbe essere di un colore appartenente alla zona intermedia dello spettro cui l'occhio e particolarmente sensibile.

Mediante le Griglie di Hermann è possibile comprendere i fenomeni legati al contrasto nelle quali delle strisce bianche perpendicolari tra loro poste in uno sfondo nero in corrispondenza degli incroci determinano una depressione luminosa per cui si crea la sensazione di una macchietta grigia.

Figura 30: La Griglia di Hermann

La valutazione dell’indice di contrasto è basata sulla differenza relativa delle luminanze fra due parti di un campo visivo e valutare quindi la situazione più confortevole: ⋅ in senso soggettivo: valutazione della differenza dell’aspetto di due zone del campo di visivo viste

simultaneamente o successivamente; ⋅ in senso oggettivo: valore della grandezza definita per stabilire una correlazione con la valutazione soggettiva

del contrasto, generalmente espressa mediante formule basate sulla luminanza dominante dello sfondo (L1), ad esempio una pagina bianca, e dell’oggetto (L2), ad esempio i caratteri sulla pagina, visti simultaneamente:

2 1

1

L LCL−

= [39]

Quando i valori di luminanza delle zone considerate sono diversi ma di ordine comparabile, si può definire un valore medio espresso dalla seguente relazione:

( )2 1

2 10,5L LC

L L−

=+

[40]

Da quanto in precedenza descritto si evince come grandi riduzioni di luminosità possono causare una forte riduzione nella costanza del contrasto.

Appare infatti evidente come indici di contrasto tendenti a zero, la visione tende a non essere nitida; viceversa elevati valori dello stesso ne migliorano le condizioni di visibilità. L’indice di contrasto viene quindi penalizzato dall’abbagliamento, dai riflessi disturbanti, dalla errata dislocazione della fonte luminosa e dai bassi livelli di illuminamento

Ritornando alla Griglia di Hermann, a livelli di illuminazione molto bassi, i quadratini posti nella parte inferiore della griglia appaiono più chiari. Questo spiega il motivo per cui una superficie bianca appare più grande di una scura.

3.2.4 LA BRILLANZA

Attributo della sensazione visiva secondo il quale un’area appare emettere, trasmettere e riflettere radiazioni visibili e rappresenta il corrispondente soggettivo della luminanza.

Nelle condizioni di tutti i giorni, in cui si verificano bruschi sbalzi di illuminazione, l’adattamento alla luce è sufficiente veloce da assicurare la costanza della percezione: un muro bianco in un giorno d’estate o in uno d’inverno, presenta sempre la stessa luminosità, benché la quantità di illuminazione sia molto differente.

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Interviene a questo punto la luminosità di una sorgente o sua brillantezza soggettiva, che è funzione sia della luminanza della sorgente che dello stato di adattamento della retina di chi osserva.

La luminosità di uno stimolo dipende anche dagli altri oggetti che gli sono vicini e dallo sfondo sul quale sono posti.

In genere un oggetto che riflette una minore percentuale di luce rispetto ad altri ci appare scuro, grigio o addirittura nero, mentre può apparirci bianco se gli altri elementi dello spazio riflettono ancora meno luce di esso.

Figura 31: Esempi di brillanza

Attraverso l’induzione di luminosità e di contrasto si possono creare delle sensazioni di bordo la quale può essere considerata come l’aspetto psicofisico più importante per il riconoscimento degli oggetti. Tale fenomeno è visibile chiaramente con le bande di Mach. Tale esperimento consiste nell’accostare tre bande contigue di cui una è più luminosa dell’altra.

Figura 32: Le Bande di Mach

3.2.5 L’ABBAGLIAMENTO VISIVO

Si definisce abbagliamento la condizione che genera fastidio e riduce la capacità di distinguere gli oggetti, ed ancora quella condizione che provoca ambedue gli effetti, in conseguenza di una distribuzione o di un livello inadeguati della luminanza o di contrasti eccessivi nel campo visivo25.

Si usa quindi sintetizzare nel termine abbagliamento il complesso dei fenomeni di disconfort aventi come origine una cattiva distribuzione delle luminanze nel campo visivo.

25 Si definisce campo visivo la superficie o estensione di uno spazio fisico che l’occhio vede fisso in una direzione

assegnata; il compito visivo è invece l’oggetto della visione.

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Nella sua forma più leggera si riduce ad attirare l’attenzione dell’osservatore verso la zona di maggiore luminanza; in un grado appena più intenso può produrre una sensazione più o meno forte di disagio che, prolungata nel tempo, provoca un fenomeno di fatica; nelle forme più gravi determina un abbassamento generale anche se temporaneo della visibilità.

Holladay ha proposto un modello per esprimere l’abbagliamento che determina un abbassamento temporaneo e transitorio della visibilità, denominato disability glare26 o abbagliamento simultaneo o perturbante, il quale si manifesta con effetto simile a quello derivante dalla interposizione tra il campo visivo e l’osservatore di un velo luminoso - velino glare - dovuto in parte alla diffusione della luce nell’occhio e in parte a situazioni di origine fisiologica a seguito di una interazione fra i canali nervosi27.

Holladay ha inoltre espresso tale abbagliamento con la seguente relazione: E nL Kθ

= [41]

dove: ⋅ L = luminanza di velo, cioè di un campo periferico uniforme che produce la stessa perturbazione

dell’abbagliamento in questione ed è espressa in cd/m2. ⋅ E = l’illuminamento sulla pupilla prodotto dalla sorgente abbagliante, in lux con K ed n costanti. ⋅ θ = angolo formato dalla direzione dello sguardo con il raggio proveniente dalla sorgente

abbagliante. Oltre all’abbagliamento perturbatore esiste un’altra forma di abbagliamento definito disconfort

glare28 o non confortevole espresso da: m h

stf

LGLθ

Ω= [42]

dove: ⋅ Ω = angolo solido sotto cui è vista la sorgente; ⋅ sL = luminanza della sorgente; ⋅ θ = l’angolo tra la direzione della sorgente e quella dello sguardo, detto indice di posizione; ⋅ fL = luminanza del fondo; ⋅ m, h, t: esponenti variabili a seconda delle condizioni sperimentali.

Secondo due studiosi Petherbridge e Hopkinson sono stati definiti i seguenti valori del fattore di abbagliamento:

G=3000 l’abbagliamento è considerato intollerabile G=600 l’abbagliamento è considerato fastidioso G=120 l’abbagliamento è considerato sopportabile G=24 l’abbagliamento è considerato impercettibile

Tabella 2: Valori dell’indice di abbagliamento Dopo la soppressione dell’abbagliamento sopravvengono dei fenomeni che vanno dalla

comparsa iniziale di un buco nero ad un successivo e graduale recupero delle capacità visive che corrisponde ad una rigenerazione dei pigmenti retinici valutabile intorno ai 15 secondi.

I valori dell’abbagliamento perturbante e confortevole in precedenza esposti non devono essere considerati come una vera e propria misura dell’effetto prodotto, ma ne rappresentano esclusivamente un termine indicativo.

26 L’abbagliamento che produce una diminuzione di visibilità è definito disability glare o abbagliamento simultaneo o

perturbante. Il vocabolario CIE lo definisce: Abbagliamento che turba la visione senza causare necessariamente una sensazione sgradevole”.

27 L’abbagliamento simultaneo è dovuto alla coesistenza di luminanze molto differenti in termini di intensità come ad esempio il faro dell’automobile in piena notte.

28 Il vocabolario internazionale CIE lo definisce: Abbagliamento che produce una sensazione sgradevole senza necessariamente disturbare la visione.

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La difficoltà di uso di tali formule ha indotto gli studiosi ad usare regole più semplici ed empiriche come quella di considerare la luminanza della sorgente e la luminanza media del campo visivo in un rapporto compreso tra 1/5 e 1/10. Di recente è stato introdotto contrast rendering factor CRF, proposto dalla CIE 29/2, con il quale è possibile valutare in modo esauriente le caratteristiche di comfort visivo di un ambiente e di conseguenza l’assenza di fenomeni di abbagliamento che impediscono o limitano la visibilità del compito visivo.

3.2.6 FATTORE DI RESA DEL CONTRASTO

Il contrast rendering factor (fattore di resa del contrasto) è un parametro che individua il rapporto fra il contrasto misurato nella situazione progettata ed il contrasto di riferimento che equivale ad una situazione di totale diffusione della luce con livelli di illuminamento uniformi in un ambiente semisferico. Tale parametro si individua con la seguente espressione:

CRF = C/Cr [43] dove:

⋅ C = Contrasto realizzato; ⋅ Cr = Contrasto di riferimento pari a 0,91.

Appare evidente dalla precedente espressione come il massimo comfort visivo si ottiene con valori del CRF superiori od uguali ad 1.

Parametro correlato al CRF è la riduzione del contrasto di luminanza R parametro facile da rilevare con un misuratore di contrasto e che consente una rapida valutazione del CRF.

La norma UNI 10530 definisce inoltre l’abbagliamento da luce riflessa come: abbagliamento prodotto dalla riflessione di oggetti luminosi, soprattutto se l’immagine appare nella direzione

dell’oggetto osservato o vicino ad essa. 3.2.7 L’ACUITA’ VISIVA

⋅ Qualitativamente: capacità di percepire nitidamente oggetti o dettagli di oggetti, molto vicini tra loro;

⋅ Quantitativamente: Reciproco del valore (generalmente espresso in minuti di grado) della separazione angolare di due oggetti vicini (punti e linee) che l’occhio può appena vedere separati.

Considerando che l’immagine retinica è costituita da una distribuzione disuniforme e discontinua di illuminamento, dovuto al potere riflessivo delle superfici degli oggetti, si può definire l’acuità visiva come il rapporto tra le caratteristiche fisiche dei corpi e la distribuzione retinica dell’energia riflessa che ne determina l’immagine.

E’ da precisare inoltre che la diversa distribuzione dei coni e dei bastoncelli nella retina e la loro diversa convergenza in cellule monopolari per i primi e bipolari per i secondi, ci permette di affermare che la periferia retinica presenta una bassa capacità di discriminazione, che cresce man mano che dalla periferia ci si sposta verso la fovea centrale dove è presente il massimo addensamento di coni.

Bisogna precisare che le dimensioni dell’immagine retinica non dipendono dalle dimensioni assolute dell’oggetto ma dall’angolo di visuale sotteso dall’oggetto ai punti nodali dell’occhio. Si valuteranno quindi in radianti le dimensioni dell’oggetto e dell’immagine retinica. L’occhio umano deve essere capace di discriminare i dettagli ed in particolare. ⋅ la più piccola superficie percettibile o il minimo visibile: da semplici esperimenti è possibile rilevare che

passando dall’osservazione di un punto scuro presentato su uno sfondo chiaro ad una retta nera la dimensione angolare si riduce a vantaggio della discriminazione visiva.

⋅ il più piccolo intervallo tra due linee o acuità di Vernier: è la misura dell’angolo che separa due linee. Tale valore cresce lievemente passando da linee verticali a linee disposte in orizzontale. Tale differenza è di origine psicovisiva: la verticalità è più agevole da discriminare.

⋅ la più piccola distanza visibile tra due punti: essendo la più facile da esaminare, è quella utilizzata nella pratica per indagare l’acuità visiva. Essa è il reciproco della distanza angolare che deve separare alcuni oggetti perché possano essere visti come distinti. Molti fattori, oltre alla dimensione angolare dell’oggetto, ne influenzano il suo riconoscimento. Grande importanza hanno infatti la sua luminosità, la luminosità dello sfondo, il contrasto e la forma.

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Sulla base delle superiori premesse bisogna distinguere tre tipi fondamentali di acuità visiva: di rivelazione, di risoluzione e di localizzazione.

Ricordando infatti che la sensazione visiva è legata fondamentalmente al contrasto tra due luminanze, il sistema visivo è in grado di discernere due sensazioni diverse, se esiste una determinata variazione percentuale di illuminamento. Pertanto la rivelazione di piccoli oggetti (punti o linee) è legata alla variazione percentuale che esse determinano in relazione all’illuminamento ambientale.

Risulta evidente che distinguere particolari oggetti è più difficoltoso in un ambiente assai illuminato (spazi fortemente illuminati dalla luce solare) che in una stanza con una lampada accesa. Se si considerando dei piccoli punti luminosi si avrà un’immagine retinica di dimensioni maggiori delle reali per effetto di quella che viene denominata diffrazione29. La capacità che ha l’occhio di distinguere due sorgenti puntiformi o due particolari di un oggetto viene definito invece acuità visiva di risoluzione.

Misurazioni dell’acuità visiva di risoluzione danno valori medi di circa 4,6 10-4 rad30, valore questo dovuto, secondo le teorie di Helmholtz, alla distribuzione spaziale dei ricettori foveali. Secondo tale teoria due punti determinano una visione separata, se le energie luminose delle loro immagini retiniche interessano due coni distinti non contigui, separati da almeno un fotorecettore non sensibilizzato. Se si valuta invece la capacità di determinare la posizione relativa di due linee verticali, tra loro separate in senso orizzontale si fa riferimento all’acuità visiva di localizzazione, con la quale si ottengono i valori minimi di circa 2 10-10 rad, per cui si suole parlare iperacutezza visiva.

Figura 33: Acuità visiva

L’acuità visiva è fortemente condizionata dall’estensione della visione. Dai precedenti disegni appare infatti evidente come per una persona in piedi l’estensione della visione verticale periferica è di 60° verso l’alto e di 70° verso il basso; in condizione di rilassamento l’asse visivo risulta inclinato verso il basso di 10° (per persone in piedi) o di 15° (per persone sedute).

La visione distinta è limitata dalle dimensioni della fovea; mentre la retina copre un angolo visivo di un centinaio di gradi, la fovea sottende un angolo di soli 2°.

Pertanto, per percepire i dettagli di un compito visivo esteso le fovee di entrambi gli occhi si devono muovere. Se la misura degli oggetti è elevata l’illuminamento può essere ridotto; ad esempio, in una aula scolastica, avvicinarsi di un metro verso la lavagna può corrispondere, in termini di miglioramento visivo, ad un incremento di circa 30 volte il livello di illuminazione. Ritornando alla percezione degli oggetti un punto più scuro dello sfondo viene infatti percepito solo a partire da un determinato valore di dimensione angolare. Il punto più luminoso dello sfondo invece, è sempre visto indipendentemente dalla sua grandezza spaziale, perché il rapporto da luminanza oggetto-sfondo eccede il valore di soglia. L’acuità visiva tra due punti decade progressivamente quando la loro differenza di luminanza rispetto allo sfondo aumenta, a causa della diffusione della luce che non viene bilanciata sufficientemente dallo sfondo.

29 Questo è quello che avviene quando ci si sofferma a guardare la volta celeste stellata. 30 In casi eccezionali sono stati riscontrati valori di acuità visiva di risoluzione di circa 2 10-4 rad, che non possono

essere spiegate secondo la teoria di Helmoltz, ma tuttavia superiori alla risoluzione energetica delle immagini di diffrazione considerata.

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Figura 34: Acuità visiva in funzione della luminanza

Il metodo più semplice per ridurre il deterioramento della acuità visiva per effetto della diffusione della luce è quello di aumentare l’intensità dello sfondo, almeno quando le mire sono più luminose dello sfondo, mentre la migliore acuità visiva si ottiene quando la luminanza dell’ambiente, che rappresenta quella del campo che circonda lo sfondo, risulta uguale a quella del fondo.

Appare evidente come molti fattori, oltre alla dimensione angolare dell’oggetto, ne influenzano il suo riconoscimento quali: la sua luminosità, la luminosità dello sfondo, il contrasto e la forma.

3.2.8 OGGETTI IN MOVIMENTO E TEMPO NECESSARIO PER LA VISIONE

La percezione di un oggetto in movimento richiede uno spostamento dell'immagine dell'oggetto sulla retina. La periferia della retina presenta un’acuità visiva limitata ma e più sensibile al movimento.

Gli oggetti in movimento sono dunque meglio individuati, rispetto a quelli immobili, se osservati alla periferia del campo visivo. Questa sorta di segnale di avvertimento impegna il globo oculare a ruotare nella direzione dell'oggetto osservato per riportarlo al centro della retina ed esaminarlo con maggior precisione. La precisione nella percezione dell'oggetto in movimento dipende dalle dimensioni, dalla forma, dal contrasto e dal tempo di osservazione. La visibilità di un oggetto in movimento può essere migliorata se lo si segue con lo sguardo per un tempo appropriato. Se la velocità del movimento attraverso il campo visivo e elevata e/o la traiettoria e irregolare, la visibilità peggiora rapidamente.

La velocità o il tempo di percezione non deve riguardare esclusivamente oggetti in movimento ma anche e soprattutto compiti visivi di tipo fisso.

Essendo il compito visivo un’attività percettiva strettamente collegata ad un determinato lavoro da svolgere in un certo tempo, occorre armonizzare la velocità di esecuzione dell’operazione lavorativa alla velocità di percezione dell’individuo. Per ottenere tale risultato occorre una adeguata illuminazione. Infatti la velocità di risposta percettiva, intesa come il tempo che occorre fra l’atto della percezione di un oggetto e la risposta operativa, è di circa 0,18 secondi a 500 lux ed aumenta notevolmente al diminuire dell’illuminazione già da 150 lux.

3.2.9 POSIZIONE DELL'IMMAGINE SULLA RETINA

Con riferimento alle caratteristiche fisiologiche dell’occhio, trattate nei capitoli precedenti, l'acuita visiva diminuisce rapidamente quando l'immagine dell'oggetto osservato non cade nella parte centrale della retina (fovea centralis).

Per compiti che richiedono il riconoscimento di ciascun dettaglio, il sistema visivo funziona con la massima efficacia quando l'oggetto da osservare e situato sulla linea principale di vista e la sua immagine si forma sulla parte centrale della retina.

II movimento e lo sfarfallamento sono più facilmente rilevabili alla periferia del campo visivo. L’immagine di un oggetto una volta percepito dall’occhio viene elaborata ed interpretata dal

cervello il quale possiede una notevole capacità organizzativa; infatti i vari elementi che costituiscono lo spazio tendono ad essere riuniti in gruppi sulla base di determinati schemi quali:

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⋅ La legge della vicinanza: Considerando un compito costituito da una serie di punti neri disposti secondo linee orizzontali e verticali le parti più vicine di tale sistema percettivo si organizzano nella formazione di un margine dando luogo a delle unità figurali.

⋅ La legge della somiglianza: gli elementi uguali di un compito visivo tendono a raggrupparsi in figure.

⋅ La legge di chiusura: le regioni delimitate da margini chiusi tendono ad essere percepite più facilmente di quelle con contorni aperti od incompleti.

3.3 IL SENSO MORFOLOGICO

Particolare importanza riveste il rapporto tra lo sfondo e l’oggetto che può dar luogo a delle ambiguità di interpretazione comunemente.

Le percezioni sono in alcuni casi soggette ad errori capaci di far apparire reale il mondo creato dalla fantasia e ciò accade quando la materia percettiva non appare in alcun modo legata allo stimolo sensoriale. In questo ultimo caso si manifesta quella che viene comunemente detta illusione.

Figura 35: Posizione dell’immagine ed acuità visiva

Figura 36: Legge della vicinanza

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. Figura 37: Legge della somiglianza

Figura 38: Legge della chiusura

Per concludere bisogna inoltre considerare l’attitudine del cervello ad unificare in una sola unità percettiva le parti che si muovono insieme in una stessa direzione ed ancora la capacità di organizzazione percettiva al fine di ottenere la massima omogeneità del compito visivo.

Figura 39: Esempi di illusione ottica

3.4 IL COLORE

Il colore è una qualità degli oggetti ma è anche funzione della luce che li illumina. Ogni corpo ha un fattore di assorbimento, di riflessione e di trasmissione variabile in funzione della lunghezza d'onda.

Ne consegue che se lo si illumina con una luce bianca (che è la somma di tutte le componenti cromatiche visibili) allora il corpo riflette una radiazione che dipende dalle proprie caratteristiche.

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Se, ad esempio, il corpo non assorbe la lunghezza d'onda corrispondente al verde ma assorbe tutte le altre allora la luce riflessa è verde e noi attribuiremo il colore verde al corpo.

Se, però, la luce illuminante è solo monocromatica e di colore giallo allora il corpo non può apparire verde perché il verde non è presente nella radiazione originaria; esso appare, in questo caso, nero. Il colore si caratterizza per le seguenti tre qualità: ⋅ Tono o Tinta :é dato dalla lunghezza d'onda dominante e quindi individua il colore

fondamentale con cui viene visto un oggetto; ⋅ Purezza o Saturazione: é la vivacità del colore che quindi si differenzia dalla visione del grigio; ⋅ Luminanza o Luminosità: esprime l'intensità luminosa nella direzione della visione. In

relazione all’impiego della luce naturale per l’illuminazione degli interni il colore interviene come elemento modificatore e condizionatore del comfort visivo dell’utente.

Infatti lo stimolo originario (o luce incidente) qualora venga condizionato per trasparenza o riflessione da una superficie colorata, causa una reazione psico-fisiologica, definita sensazione, dipendente dallo stimolo condizionato (luce secondaria che si ottiene quando parte dell’energia luminosa incidente è assorbita dalla superficie e solo una porzione di essa è trasmessa o riflessa selettivamente).

Figura 40: Spettro della luce visibile

La norma UNI 10530 al punto 4.1.4 così definisce il colore:

Il colore è un attributo della luce che contribuisce all’osservazione ed alla percezione dell’ambiente. Tra gli attributi della luce esso è notoriamente il più utile per identificare rapidamente e agevolmente gli oggetti situati nello spazio di lavoro. La percezione e la discriminazione dei colori variano nelle diverse zone della retina; la capacità di discernere i colori è massima nella zona centrale della retina ed aumenta con l’illuminamento, almeno entro un limitato intervallo di valori. La qualità di “resa di colore” di una sorgente luminosa è determinata dalla composizione spettrale della luce emessa in rapporto alle caratteristiche spettrali della luce del giorno.

La percezione del colore è dovuta alla complessa interazione tra una sorgente luminosa, un oggetto, l’occhio e il cervello. Va fatta quindi una distinzione tra il colore come sensazione e il colore come lunghezza d’onda. La luce infatti non è colorata, ma è capace di generare, a seconda della lunghezza d’onda, le sensazioni della luminosità e del colore quando stimola gli occhi e un sistema nervoso dotati di particolare recettività.

Un colore può essere ottenuto dalla mescolanza di tre colori diversi definiti come primari; in questo caso si parla di sintesi additiva31. Dalla sintesi additiva dei colori primari (blu + verde + rosso) si ottiene il colore bianco. Dai tre colori fondamentali si derivano altri tre colori detti secondari o complementari (ciano, magenta e giallo): il giallo è complementare al blu; il magenta è complementare del verde; il ciano è complementare del rosso.

Tali coppie di colore per sintesi sottrattiva producono il nero, per cui un colore può essere ottenuto sottraendo alla luce una parte dei suoi componenti.

Essendo il colore una questione di percezione e di interpretazione soggettiva si è cercato di esprimere i colori in maniera univoca e senza fraintendimenti stabilizzando in sede normativa sia la struttura del fascio di radiazioni che la capacità sensitiva dell’occhio.

31 E’ questa la prima legge di Grassmann che è alla base della Colorimetria.

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La CIE (Commissione Internationale pour l’Eclarage) a tal proposito ha introdotto un codice numerico internazionale (sistema CIE 1931) di notazione delle caratteristiche fisiche del colore mediante un sistema di coordinate che fa riferimento a tre colori fondamentali: X, Y, Z considerati come primari nella sintesi additiva.

Il sistema CIE si basa sulla misurazione dei valori spettrofotometrici di un colore in tutte le lunghezze d’onda. I valori che risultano vanno confrontati con i valori dei tre colori primari (rosso, verde e blu); i dati che ne risultano rappresentano la quantità di colori primari necessaria per riprodurre quel determinato colore dello spettro.

La somma dei dati relativi al rosso, verde e blu si chiama “valore-tristimolo” di un determinato colore e viene definito con le lettere X per il rosso, Y per il verde e Z per il blu.

Figura 41: Sintesi additiva e sottrattiva dei colori

I valori tristimolo servono per calcolare le coordinate della cromaticità di un colore; tali coordinate rappresentano le percentuali relative di ciascun colore primario presente in un certo colore e il loro valore è indicato con lettere minuscole: x valori del rosso, y valori del verde e z valori del blu.

3.4.1 COLORIMETRIA

I tre colori fondamentali rosso, verde e blu non riescono a formare per semplice additività tutti i colori visibili ma occorre, in alcuni casi, andare in tricromia sottrattiva, cioè occorre togliere un colore fondamentale dagli altri due colori. Per evitare questo passaggio la CIE ha ipotizzato una costrizione fittizia dei colori mediante l’applicazione delle due leggi di Grassmann: ⋅ Se si sommano tre sorgenti di colore diverso si ottiene un nuovo colore che non é distinguibile

dai componenti: D = A + B + C

⋅ Se ciascuna sorgente viene variata di intensità anche il colore risultante varia la sua intensità e colore.

nD = nA + nB + nC Il CIE ha stabilito di scegliere tre componenti cromatiche fittizie aventi andamento dato in Figura

42 e in valori frequenziali dati in Tabella 3. Si osservino subito che le tre componenti sono fittizie e cioè non corrispondono a componenti reali, come erano invece il rosso, il verde e il blu. La componente Y è scelta in modo tale da coincidere con la curva di visibilità relativa. Inoltre la somma dei valori corrispondenti alle singole frequenze è pari a 21.37 per tutte e tre le componenti cromatiche. Considerata la grandezza di stimolo f(λ) (di solito L o R), applicando la seconda legge di Grassmann si hanno tre coordinate cromatiche:

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IILLUMINOTECNICA

36

( ) ( )cosX t f x dλ λ λ= ∫ (44)

( ) ( )cosY t f y dλ λ λ= ∫ (45)

( ) ( )cosX t f z dλ λ λ= ∫ (46)

Figura 42: Componenti cromatiche X, Y e Z della CIE

Tabella 3: Valori frequenziali delle componenti cromatiche

Page 41: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

37

In forma discreta si possono sostituire gli integrali per ottenere le relazioni: ( ) ( )cosX t f xλ λ λ= ∆∑

( ) ( )cosY t f yλ λ λ= ∆∑

( ) ( )cosZ t f zλ λ λ= ∆∑

che in forma normalizzata divengono: ( )/x X X Y Z= + + (47)

( )/y Y X Y Z= + + (48)

( )/z Z X Y Z= + + (49)

La forma normalizzata consente di riferirsi solamente a due componenti, x e y, ottenendo la terza, z, per complemento ad 1, cioè

z = 1 - (x + y) (50)

Riportando in assi x e y i valori delle componenti cromatiche ottenute per i vari colori reali si ottiene una curva a campana. All’interno si hanno tutti i colori combinazione di più componenti cromatiche. Il diagramma cromatico CIE presenta una forma di tipo triangolare, devi Figura 43, nella quale le tre luci primarie sono poste ai vertici e si irradiano verso l’interno con intensità luminosa, fatta uguale ad 1. Lungo i lati del triangolo sono posti i colori ottenuti per miscela dei due colori situati alle estremità. I colori posti all’interno sono ottenuti invece per mescolanza. La quantità di rosso, verde e blu, presenti in un qualunque punto P sono espresse dal valore delle tre distanze di P dai corrispettivi lati del triangolo. Considerando inoltre che la somma delle tre coordinate di un punto qualsiasi è sempre uguale all’unità ed è quindi possibile dare i valori di due sole grandezze per dedurne la terza.

Considerando un punto P interno al diagramma CIE32 il suo colore può essere ottenuto da una miscela di un colore monocromatico più il bianco di eguale energia (W). Per identificare tale colore basta unire P con W fino ad incontrare la linea dei corpi spettrali.

La lunghezza d’onda relativa a tale colore monocromatico, che miscelato in proporzioni opportune con W può dare luogo al colore P, si chiama lunghezza d’onda dominante (rappresentato dal punto D) ed il rapporto tra la luminosità del colore monocromatico incontrato sulla linea dei colori spettrali e la luminosità del colore miscelato P si chiama fattore di energia.. Tale fattore risulta sempre inferiore ad uno, salvo il caso in cui P coincide sulla linea dei colori spettrali e viene chiamato colore puro (monocromatico). In conclusione il punto P può identificarsi come intersezione della retta parallela all’asse delle ascisse e di ordinata py e della congiungente il punto D con W33.

L’aspetto cromatico non dipende soltanto dalla composizione spettrale della luce ma anche dalle caratteristiche della superficie osservata, dalla luminanza, dai contrasti di colore e dallo stato di adattamento cromatico34. L’occhio è in grado di percepire contenute differenze di colore tra due superfici adiacenti in condizioni di pari livello di luminanza.

32Tale diagramma gode di alcune proprietà alcune delle quali verranno di seguito citate. Il punto W, a cui corrispondono le coordinate x=y=z=0,333 rappresenta il “bianco di eguale energia” o punto

acromatico di riferimento. I punti della linea a campana rappresentano i colori spettrali o puri, corrispondenti alle lunghezze d’onda a fianco indicate. I punti del segmento che unisce W con un punto qualunque della curva a campana (linea VRG) indicano i colori di eguale tono di colore, e di saturazione via che il punto si avvicina a W. Nei corrispettivi colori non saturi, la lunghezza d’onda del colore saturo si chiama lunghezza d’onda dominante. Inoltre i punti che si trovano fuori dall’area limitata dalla curva a campana rappresentano la luce non visibile.

33 La lunghezza d’onda dominante ed il fattore di purezza individuano un determinato colore. 34 Se si pongono davanti ad una sorgente luminosa due filtri di colore complementare questi non faranno passare la

luce (sintesi sottrattiva); viceversa se si pongono questi due filtri davanti a due sorgenti luminose orientate verso lo stesso punto, questo punto sarà illuminato da una luce bianca (sintesi additiva). Se le superfici appaiono colorate ciò lo si deve al fatto che sono irradiate da fasci pancromatici, costituiti cioè da tutte le radiazioni dello spettro solare. L’intervento della superficie sulle radiazioni luminose consiste nel variarne la composizione spettrale mediante una riflessione selettiva. Ma anche la composizione spettrale della radiazione luminosa emessa dalla sorgente può alterare il fascio riflesso da una superficie, ed in questo caso si parla di azione selettiva della sorgente luminosa.

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IILLUMINOTECNICA

38

L’occhio dell’uomo percepisce una relazione tra la lunghezza d’onda piuttosto che una percezione diretta di una singola lunghezza d’onda, perciò il rapporto tra i colori non varia con i cambiamenti dello spettro di colore della sorgente; l’occhio si adatta quindi ad un nuovo punto neutrale in maniera tale che il colore resta più o meno lo stesso.

Figura 43: Il triangolo del colore

Tale fenomeno è chiamato costanza del colore. Sorgenti di luce differenti possono influenzare la capacità di discriminazione tra alcuni colori. In particolari attività professionali l’aspetto dell’immagine colorata e la discriminazione tra i colori possono assumere una notevole importanza.

3.4.2 PLANCK'S LOCI

Se la funzione di stimolo è costituita dalla radiazione del corpo nero (Legge di Planck) allora possiamo calcolare le coordinate cromatiche per varie temperature di emissione mediante i seguenti passaggi:

780

380( ) ( )

nm

nmX w X dλ λ λ= ⋅ ⋅∫

780

380( ) ( )

nm

nmY w Y dλ λ λ= ⋅ ⋅∫

780

380( ) ( )

nm

nmZ w Z dλ λ λ= ⋅ ⋅∫

Page 43: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

39

Figura 44: Diagramma cromatico CIE 1931

ove le funzioni w(λ) sono la radiazione del corpo nero, legge di Planck:

2

1

5

W( ) ( )m

1cT

Cweλ

λµ

λ=

(51)

ove le costanti valgono: 8 4

1 2c 3.742 10 , c 1.439 10= ⋅ = ⋅

Il risultato dei calcoli porta a tracciare la curva (ben visibile in basso a destra del triangolo del colore in Figura 43) detta Planck's Loci che rappresenta il luogo delle coordinate cromatiche corrispondenti a ciascuna di emissione del corpo nero. Per gli emettitori radiativi (ad esempio per il filamento di una lampada) si suole indicare il colore di emissione mediante la temperatura del corpo nero corrispondete: Temperatura dal Colore (TC). Il sole, ad esempio, ha una temperatura dal colore di circa 6000 K, mentre il filamento di una lampadina normale ha una TC di circa 2200 K e quello di una lampada allo iodio ha una TC di circa 2500 K.

Per i corpi non radiativi (ad esempio le lampade a luminescenza) si indica la Temperatura del Colore Correlata (TCC) come la temperatura del corpo nero che più si avvicina come tinta al colore desiderato. Nel triangolo del colore si hanno alcune linee guida che aiutano ad individuare la temperatura corrispondente. Per le lampade a luminescenza si parla di TCC variabile da 2800 K a 6500 K. In quest'ultimo caso si ha una luce bluastra. Si osservi che a temperatura ambiente il corpo nero apparirà nero, sarà rosso ad 800 K, giallo a 3000K, bianco caldo a 4000K, bianco freddo a 5000K e azzurro a 8000K.

Le sorgenti luminose che la CIE ha selezionato come sorgenti modello sono quelle definite: ⋅ “A” pari a 2854K (incandescenza normale), ⋅ “B” pari a 4870K (sorgente A più un filtro) ⋅ “C” pari a 6770K (sorgente A più un filtro).

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IILLUMINOTECNICA

40

Va precisato che la sorgente “B” è un modello che dovrebbe avvicinarsi al calore della luce naturale del mezzogiorno del centro Europa in primavera, mentre il modello “C” dovrebbe imitare la luce delle ore 12 con cielo coperto nella stessa situazione geografica e stagionale35.

L’escursione della temperatura di colore del sole è di 4000K, mentre per il cielo coperto il suo valore è di circa 20000K (da 7000 a 28000K). Tali valori sono di importanza fondamentale nei casi in cui si intende abbinare la luce artificiale a quella naturale36.

3.4.3 EFFETTO CROMATICO E INDICE DI RESA CROMATICA

Altro parametro importante della visione del colore è l’effetto cromatico. L’effetto cromatico di una superficie dipende sia dal suo colore effettivo che dal tipo di sorgente luminosa.

Si definisce indice di resa cromatica (IRC o CRI Colour Rendering Index) la misura di una sorgente luminosa di rendere i colori.

Inizialmente la CIE (1948) raccomandò un metodo per specificare le proprietà di resa del colore delle lampade dividendo lo spettro visibile in otto bande e confrontando la qualità della luce contenuta in ciascuna banda con quella contenuta nella banda corrispondente della sorgente di riferimento.

Con la CIE 1965-74 viene introdotto, per la classificazione delle sorgenti luminose, l’indice di resa generale del colore aR .

In questo metodo l’indice di resa cromatica è dato da un numero che esprime in percentuale il rapporto tra la definizione cromatica di otto colori campioni illuminati da una sorgente qualsiasi e la definizione degli stessi illuminati da una sorgente campione di riferimento CIE.

Tale indice è quindi calcolato come la media aritmetica degli spostamenti di resa colore relativi a ciascuno degli otto colori di prova secondo la seguente formula

,100 4,6a a iR E= − ∆ [52] dove ,a iE∆ rappresenta lo spostamento di resa colore relativo ai colori prova. Con valori

compresi tra 90 e 100 si ottiene una elevata resa cromatica.

35 Sopra i 5000K la luce artificiale è paragonata a quella naturale. 36 La miscelazione tra la luce naturale e quella artificiale è sempre possibile attuarla purché la curva spettrale delle

lampade si armonizzi con quella della luce naturale. Per fare un esempio, se le ombre presenti in un ambiente non avranno colore unico, significherà che le luci (naturale ed artificiale) non si miscelano in modo coerente; per ovviare a tale inconveniente e compensare quindi l’elevata temperatura di colore della luce naturale si dovranno utilizzare lampade non più fredde di 5000K.

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IILLUMINOTECNICA

41

4. LE GRANDEZZE FOTOMETRICHE DI RIFERIMENTO

La luce è l’energia radiante rilevata dall’osservatore umano attraverso le sensazioni visive che nascono dallo stimolo della retina dell’occhio. Fisicamente è una perturbazione che si propaga nello spazio sotto forma di onde elettromagnetiche.

L’illuminamento in un punto di una superficie, come già detto in precedenza, è il flusso luminoso ricevuto da un elemento infinitamente piccolo di superficie nell’intorno di un punto considerato, diviso per l’area dell’elemento stesso, altrimenti si parla di illuminamento medio o illuminazione media, per cui:

dEdSφ

= [53]

espresso in lux, (lumen per metro quadrato). Se la sorgente luminosa è puntiforme ed ha l’intensità luminosa di una candela alla distanza di un metro,

si distribuisce su una superficie sferica di 1 2m l’illuminamento massimo di un lux.

2IEr

= [54]

dove: ⋅ I = intensità luminosa; ⋅ r = distanza normale tra la sorgente luminosa e la superficie illuminata.

L’illuminamento è spesso considerato una grandezza di riferimento per l’illuminotecnica e per la progettazione impiantistica. Questa grandezza è facile da misurare, concettualmente semplice e spesso preferita all’intensità e alla luminanza (che è poi la vera grandezza fisiologica di riferimento). Questo ha reso possibile la disponibilità di numerose norme (alcune invero vecchiotte) e tabelle con valori di illuminamento caratteristici per dato compito visivo.

La normativa vigente (D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, art. 10), con riferimento all’illuminazione naturale ed artificiale, così recita: A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione e salvo che non si tratti di locali sotterranei, i locali devono essere convenientemente illuminati a luce naturale diretta...Per quanto riguarda l’intensità (si fa riferimento al livello di illuminamento medio), ove esigenze tecniche non ostino, devono essere assicurati i valori minimi seguenti:

per ambienti destinati a deposito di materiali grossi 10 lux per passaggi, corridoi e scale 20 “ per lavori grossolani 40 “ per lavori di media finezza 100 “ per lavori fini 200 “ per lavori finissimi 300 “

Tabella 4: Valori minimi di illuminazione consigliati Per lavori di media finezza, fini e finissimi i suddetti valori possono essere conseguiti mediante

sistemi di illuminazione localizzata sui singoli posti di lavoro; in tal caso si deve provvedere a che il livello medio di illuminazione generale dell’ambiente non sia inferiore ad un quinto di quello esistente nei posti di lavoro.

La tabella seguente illustra l’illuminamento medio di esercizio En previsti per i vari tipi di locale adibiti ad uso civile ad uso civile37, tonalità di colore, gruppo di resa del colore e classe di controllo dell’abbagliamento raccomandati per le varie applicazioni dalla norma UNI 10380, la quale mostra valori decisamente superiori rispetto a quelli proposti dalla vigente legislazione nazionale ed a parere dello scrivente più idonei per lo svolgimento delle varie attività all’interno dei locali.

37 Per i valori descritti nella tabella seguente si fa riferimento alla norma italiana illuminazione di interni con luce artificiale,

UNI 10380, maggio 1994.

Page 46: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

42

INTERNI CIVILI

Tipo di locale, compito visivo o attività

Illuminazione di esercizio.

Valore medio (lx)

Tonalità di colore

Resa di colore: Ra’

Classe di qualità per la limitazione

dell’abbagliamento G

ABITAZIONI E ALBERGHI zona di conversazione o di passaggio

50-100-150 W 1A A

zona di lettura 200-300-500 W 1A A zona scrittura 300-500-750 W 1A A zona dei pasti 100-150-200 W 1A A cucina 200-300-500 W 1A A bagno, illuminazione generale 50-100-150 W 1A B bagno, zona specchio 200-300-500 W 1A B camere, illuminazione generale 50-100-150 W B camere, zone armadi 200-300-500 W 1A B camere letti 200-300-500 W 1A B

camere, stiratura, cucina e rammendo

500-750-1000 W 1A A

AMBIENTI COMUNI aree di passaggio, corridoi 50-100-150 WI 2 D scale, ascensori 100-150-200 WI 2 D magazzini e depositi 100-150-200 WI 2 D

AMBIENTI SPORTIVI bocce 300-500 I 1B A palestre 300-500 I 1B A piscine 300-500 I 1B A tennis, pallavolo 500-750 I 1B A

AUDITORIUM teatri e sala da concerto 50-100-150 WI 1B B Multiuso 150-200-300 WI 1B B

BIBLIOTECHE scaffalature (deposito) 150-200-300 WI 2 C tavoli da lettura 300-500-750 WI 1B B banchi catalogazione e classificazione

200-300-500 WI 1B B

Legatura 200-300-500 WI 2 B Tabella 5: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento

Page 47: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

43

Tipo di locale, compito

visivo o attività Illuminazione

di esercizio valore medio

(lux)

Tonalità di colore

Resa di colore

Ra’

Classe di qualità per la limitazione

dell’abbagliamentoG

CHIESE ambiente generale, banchi 50-100-150 WIC 2 B altare, pulpito 150-200-300 WIC 2 B

NEGOZI E MAGAZZINI aree di circolazione 150-200-300 I 1B B esposizione merci 300-500-750 I 1B B vetrine 500-750-1000 WIC 1B B

OSPEDALI corsie, illuminazione generale 50-100-150 W 1A A corsie, esami 200-300-500 W 1A A corsie, lettura 150-200-300 W 1A A corsie, circolazione notturna 3-5-10 W 1A - locali per esami, illuminazione generale

300-500-750 W 1A A

locali per esami, ispezioni 750-1000-1500 WI 1A A terapie intensive 200-300-500 W 1A A chirurgia, illuminazione generale

500-750-1000 I 1A A

chirurgia, illuminazione localizzata

10000-30000-100000

IC 1A A

sale autopsia, illuminazione generale

500-750-1000 IC 1A A

sale autopsia, illuminazione localizzata

5000-10000-15000

IC 1A A

laboratori e farmacie, illuminazione generale

300-500-750 IC 1A A

laboratori farmacie, illuminazione localizzata

500-750-1000 IC 1A A

locale per consulti, illuminazione generale

300-500-750 WI 1A A

locale per consulti, illuminazione localizzata

500-750-1000 WI 1A A

SCUOLE classe, illuminazione generale 300-500-750 WI 1B B classe, lavagna 300-500-750 WI 1B B laboratori artistici e scientifici 500-750-1000 WIC 1B B aule universitarie, illuminazione generale

300-500-750 WI 1B B

aule universitarie, lavagna 500-750-1000 WI 1B B aule universitarie, banchi per dimostrazioni

500-750-1000 WI 1B B

laboratori officine e sale per l’istruzione d’arte

300-500-750 WI 1B B

sale per assemblee 150-200-300 WI 1B B Tabella 6: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento

Page 48: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

44

Tipo di locale, compito visivo o attività

Illuminazione di esercizio

valore medio (lux)

Tonalità di colore

Resa di colore

Ra’

Classe di qualità per la limitazione dell’abbagliamento

G UFFICI uffici generici, dattilografia, sale computer

300-500-750 WI 1B B

uffici per disegnatori e per progettazione

500-750-1000 WI 1B B

sale per riunioni 300-500-750 WI 1B B Tabella 7: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento

4.1 L’EMITTANZA LUMINOSA O RADIANZA

L’Emittanza luminosa o radianza rappresenta la densità del flusso luminoso emesso per unità di superficie. L’emittanza luminosa (M) è espressa in lumen/m2

dMdSφ

= [55]

Come si nota la formula è la stessa dell’illuminamento ma la superficie considerata è quella emittente e non quella ricevente.

4.2 L’ESPOSIZIONE LUMINOSA

L’esposizione luminosa rappresenta i lumen che in un tempo determinato investono una superficie di area unitaria.

dH dtdSφ

= ∫ [56]

oppure in funzione della quantità di luce l’esposizione luminosa diviene: dQHdS

= [57]

dove Q si definisce quantità di luce ed esprime il prodotto del flusso luminoso per la sua durata: Q dtφ= ∫ [58]

4.3 COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO

E’ indicato con a ed è il rapporto tra flusso luminoso assorbito da una superficie e flusso luminoso incidente.

4.4 COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE

E’ indicato con r ed è il rapporto tra flusso luminoso riflesso da una superficie e flusso luminoso incidente. Per corpi opachi (non trasparenti) vale la relazione:

r = 1 - a

4.5 VALORI DI R CONSIGLIATI PER LE SUPERFICI INTERNE DI UNA STANZA

Tipo di superficie Fattore di riflessione

Soffitti minimo 0.6 Pareti laterali 0.3 - 0.8 Pavimenti 0.2 - 0.4

Tabella 8: Fattori di riflessione consigliati

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IILLUMINOTECNICA

45

4.6 LE SORGENTI LUMINOSE

Le sorgenti luminose si possono dividere in: ⋅ Monocromatiche, quando l’energia luminosa è emessa con una sola lunghezza d’onda o con poche

lunghezze comprese in una stretta banda. ⋅ Eterocromatiche, quando l’energia è emessa con poche lunghezze d’onda assai nettamente delimitate

in una banda dello spettro. ⋅ Pancromatiche, quando l’energia è emessa attraverso varie lunghezze che occupano interamente lo

spettro; è questo il caso della luce solare.

4.7 CLASSIFICAZIONE DELLE LAMPADE

Storicamente sono nate per prime le lampade ad incandescenza (Edison) e successivamente quelle a scarica nei gas.

Queste ultime raggruppano una grande famiglia di lampade e sono sempre caratterizzate da un fenomeno di emissione fotonica associato ad riassesto elettronico in atomi (che possono essere di Hg, Na, Ar) che vengono ionizzati per urto con particelle elementari o che, per effetto di urti anelastici, spostano elettroni da un livello ad un altro.

Ci sono due tipi di lampade:

Ad incandescenza, con filamento in tungsteno Queste possono essere:

- a filamento sotto vuoto; - a filamento con gas inerti (argon); - a filamento a ciclo di alogeni (iodio, bromo):

- a tensione di rete; - a bassa tensione (6, 12, 24 V);

A scarica in gas Queste possono essere:

- fluorescenti: - tubolari; - compatte;

- a vapori di mercurio ad alta pressione; - a vapori di mercurio ad alta pressione con alogenuri (metal halide); - a vapori di sodio a bassa pressione; - a vapori di sodio ad alta pressione.

4.8 CARATTERIZZAZIONE DELLE LAMPADE

I principali parametri usati per caratterizzare una lampada sono i seguenti: ⋅ - Flusso luminoso [lm]: quantità di luce emessa per unità di tempo. ⋅ - Efficienza luminosa [lm/W]: rapporto tra flusso luminoso emesso e potenza elettrica assorbita. ⋅ - Temperatura di colore [K]: temperatura di un corpo nero che emette luce dello stesso colore della

luce emessa dalla lampada. ⋅ - Resa cromatica: indice che indica quanto la lampada è capace di riprodurre fedelmente, in

relazione alla luce naturale, i colori degli oggetti illuminati. ⋅ - Durata media [h]: numero di ore di funzionamento dopo il quale il 50% delle lampade di quel tipo

ha smesso di funzionare. In generale, per uno stesso tipo di lampada, alte efficienze energetiche si accompagnano a basse

rese cromatiche e viceversa, come avviene in generale nelle lampade fluorescenti ove, a causa dello spettro di emissione a righe e dell’effetto di luminescenza si raggiungono efficienze elevate ma rese cromatiche basse.

Page 50: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

46

Lampada Efficienza luminosa

lm/W

Temperatura di colore

K

Resa cromatica %

Durata media ore

Incandescenza a filamento 10-17 2500 100 1000 Alogena 20-25 3190 100 1500-2000 Fluorescente bianco freddo 65-100 6500 62-98 5000 Fluorescente bianco caldo 62-96 3000 52-95 5000 Vapori di mercurio alta pressione

70-83 5710 50-70 8-10000

Vapori di mercurio con alogenuri

75-80 3720 60-80 5000

Sodio bassa pressione 80-200 < 20 8-10000 Sodio alta pressione 30-120 2500 30-80 6000

Tabella 9: Valori tipici dei parametri caratteristici per vari tipi di lampade 4.8.1 LAMPADE AD INCANDESCENZA

Queste lampade sono le più antiche: un filamento di tungsteno portato alla temperatura di circa 2000 K emette una luce giallo-rossastra.

Figura 45: Schema costruttivo di una lampada ad incandescenza

Sono oggi costruite in tre tipologie: GLS, REFLECTOR ed ALOGENE, vedi Figura 46.

Figura 46: Tipologie di lampade ad incandescenza

Nella seguente tabella si hanno alcune proprietà delle lampade ad incandescenza.

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IILLUMINOTECNICA

47

Tabella 10: Caratteristiche delle lampade ad incandescenza

Dalla tabella è possibile calcolare il flusso luminoso nota l'efficienza luminosa e la potenza elettrica assorbita mediante la relazione:

WηΦ = ⋅ (59)

4.8.2 LAMPADE ALOGENE

Nelle lampade ad incandescenza del tipo alogene si pone all'interno delle lampade dello iodio che si associa al tungsteno depositato sul bulbo (più freddo) e, per convezione termica, lo riporta sul filamento (caldo) dove, ad alta temperatura si dissocia. Il ciclo dello iodio é il seguente:

20002 2KI I>→

200022 KW I WI+ →

28002 2KWI W I→ +

Il vantaggio che si ottiene è duplice: da un lato lo iodio, mediante il suo ciclo di associazione-dissociazione, ricostituisce il filamento di tungsteno che man mano si assottiglierebbe per sublimazione, dall'altro, proprio per questa nuova possibilità di ripristinare il tungsteno sublimato, è possibile aumentare la temperatura del filamento in modo da innescare la reazione di dissociazione (a 2800 K).

Figura 47: Lampada alogena

Questo secondo effetto porta ad una maggiore temperatura del colore (TC), ad una maggiore radiazione visibile (lo spettro si sposta verso la zona del visibile) e quindi l'efficienza luminosa di queste lampade è più elevata rispetto alle lampade normali raggiungendo anche 25 lm/W.

4.8.3 LAMPADE A LUMINESCENZA

In queste lampade si ha una scarica a valanga per effetto degli urti elastici ed anelastici che elettroni ed ioni di segno opposto subiscono nell'accelerazione fra gli elettrodi. L’emissione fotonica è di solito (almeno per lampade a bassa pressione a vapore di mercurio) di bassa lunghezza d’onda, nel campo dell’ultravioletto e quindi non visibile.

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IILLUMINOTECNICA

48

Figura 48: Schema di funzionamento di una lampada a luminescenza

Si utilizzano, pertanto, dei sali di fosforo, detti fosfòri, che fungono da convertitori di lunghezza d’onda. Essi in pratica assorbono un fotone molto energetico e ne riemettono due o tre di minore energia ma nel visibile. In questo modo si ha l’effetto di luminescenza che è alla base di queste lampade.

La curva caratteristica, per un ampio intervallo di tensioni e correnti, é data in Figura 49. Queste lampade necessitano di un reattore di stabilizzazione e di uno starter per l'avviamento.

Figura 49: Curva caratteristica di una lampada a luminescenza

Il reattore serve a stabilizzare le lampade nella zona a destra della curva sopra indicata, dove si ha un andamento a pendenza negativa della curva. Si ricorda per una resistenza reale si può sempre definire un rapporto:

DVRI

= (60)

Ma se la curva ha pendenza negativa allora il valore differenziale della resistenza ohmica è negativo e il componente si comporta come tendenzialmente instabile. Si osservi la Figura 50 che riporta la parte finale della curva caratteristica generale delle lampade a scarica nei gas. In un qualunque punto della curva (formata di due specie di archi con una zona di discontinuità) si può definire la resistenza R in base alla (60).

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49

Essendo la pendenza negativa se ne ricava che ad un aumento della corrente occorrerebbe avere una diminuzione della tensione ai capi. Ciò non risulta possibile perché il generatore, elemento attivo che fornisce potenza, ha un comportamento ohmico e quindi al crescere della corrente fornisce anche una maggiore tensione. E viceversa.

Figura 50: Polarizzazione di una lampada a luminescenza

Per bloccare il funzionamento della lampada si inserisce nel circuito una resistenza, nell’ipotesi di alimentazione in corrente continua, e pertanto per avere una caduta nei componenti passivi (lampada e resistenza) pari alla tensione V0 applicata si deve polarizzare la lampada o nel punto A o nel punto B (unici punti di equilibrio).

Dei due punti evidenziati solo B e stabile: si vede, infatti, come un incremento di corrente porterebbe ad avere una somma delle cadute di tensioni maggiore della tensione disponibile e pertanto si ha una diminuzione della corrente che riporta indietro il sistema. Analogamente si ragiona per una diminuzione (a sinistra di B) della corrente. La polarizzazione, quindi, pur stabilizzando la lampada porta ad avere una caduta di tensione supplementare e quindi anche un consumo di energia supplementare che va tenuto in conto nella progettazione degli impianti.

La polarizzazione in corrente alternata viene effettuata con un elemento reattivo, solitamente induttivo, detto reattore che non dissipa potenza attiva. Le lampade a luminescenza hanno buona efficienza luminosa, pari a circa 40 lumen/Watt. Le caratteristiche delle lampade commerciali sono riportate nella seguente Tabella 11. Si osservi che questo tipo di lampade non ha una buona resa cromatica a causa della distribuzione dello spettro luminoso ricco di righe nella zona del blu e assente di una componente continua a bassa lunghezza d’onda (rosso).

In Figura 51 si hanno vari esempi di spettri per lampade a luminescenza. Si osservino le righe spettrali ben evidenti e il colore ad esse corrispondente (riportato in sottofondo). La componente continua è dovuta alla presenza di un filamento ad incandescenza. Le lampade a luce combinata, vedi Figura 52 (a luminescenza e ad incandescenza) sono molto utilizzate per illuminazione commerciale poiché associano elevate efficienze e buone rese cromatiche (Ra >85).

Senza la presenza della componente continua del filamento si avrebbe solo uno spettro a righe con valori di resa cromatica inferiore a 80. Nella tabella sono riportate anche le TCC spesso utilizzate come riferimento cromatico. Si osservi come queste sono di gran lunga più elevate di quelle delle lampade ad incandescenza essendo la luce a luminescenza bluastra.

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50

Tabella 11: Caratteristiche delle lampade a luminescenza

4.8.4 LAMPADA A VAPORE DI MERCURIO AD ALTA PRESSIONE

Queste lampade sono del tipo a bulbo ed hanno una pressione elevata, rispetto a quelle a luminescenza, e tale da dar luogo ad uno spettro continuo per via dell’allargamento delle righe per effetto Compton. Sono utilizzate nell’illuminazione stradale e pubblica in genere. Richiedono sempre un circuito di polarizzazione e di reattori ma compensano la maggiore complessità circuitale con buona efficienza e minore manutenzione.

4.8.5 LAMPADE A VAPORI DI SODIO

Si tratta di lampade che utilizzano ioni di sodio al posto di quelli di mercurio. Sono costruite in modo da avere nello stesso corpo lampada una piccola lampada a vapore di mercurio che serve da innesco, cioè a portare ad alta temperatura il sodio in modo che possa vaporizzare e quindi innescare il proprio funzionamento. Queste lampade emettono una luce a righe giallastre, come indicato in Figura 53. Hanno un’efficienza luminosa elevata (oltre 60 Lumen/Watt) e sono utilizzate molto nell’illuminazione stradale ove si richiede un servizio di illuminazione a basso costo e con un buon indice di contrasto. Queste lampade, infatti, consentono di distinguere bene gli oggetti e quindi sono efficaci per l’illuminazione negli svincoli stradali, in galleria e nei luoghi dove la sicurezza è elemento fondamentale di progetto pur con un’alterazione del colore.

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51

Figura 51: Spettri di lampade a luminescenza

4.8.6 LAMPADE AD ARGON

Con la stessa filosofia della lampade a scarica nei gas si hanno le lampade ad argon che raggiungono efficienze elevatissime (oltre 120 Lumen/Watt) e che pertanto sono utilizzate soprattutto per l’illuminazione di grandi spazi pubblici.

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52

Figura 52: Distruzione spettrale di alcune lampade a luce combinata

Figura 53: Distribuzione spettrale di lampade al sodio

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53

4.9 APPARECCHI ILLUMINANTI

Le lampade sono raramente utilizzate nude. Esse vengono inserite in opportuni apparecchi illuminanti che hanno lo scopo di modificare (anche sensibilmente) le caratteristiche illuminotecniche delle stesse lampade. Ogni lampada è caratterizzata dal solido fotometrico (cioè dalla distribuzione spaziale dei vettori intensità luminosa). I corpi illuminanti modificano proprio il solido fotometrico delle lampade in modo da soddisfare le esigenze progettuali per l'impiantistica illuminotecnica. Ad esempio possono direzionare il flusso luminoso solo in una direzione e con una modesta dispersione angolare (fari, proiettori), ovvero possono direzionare il flusso luminoso in più direzioni con limiti angolari precisi (ad esempio i corpi illuminanti per illuminazione stradale hanno angoli di emissione limite fissati dalle norme, detti angoli di cut-off). I corpi illuminanti possono ospitare più di una lampada e possono anche filtrare la radiazione emessa mediante opportuni schermi filtranti. I corpi illuminanti possono avere o non lenti direzionali e in alcuni casi (vedi le lampade scialitiche utilizzate negli ospedali) si hanno vetri stratificati a curvatura multipla per ridurre lo spazio occupato. In pratica gli apparecchi illuminanti adeguano le lampade alle esigenze dell’illuminazione. Ciò che non può essere modificata è la natura dello spettro luminoso (continuo per le lampade ad incandescenza e a righe per le lampade a luminescenza) e di questo si deve tenere conto nella progettazione degli impianti di illuminazione.

Figura 54: Tipologia dei diffusori

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54

4.9.1 TIPOLOGIA DEI DIFFUSORI

I diffusori o corpi illuminanti modificano il solido fotometrico delle lampade che ospitano. Di solito essi orientano il flusso:

-prevalentemente verso il basso; -prevalentemente verso l’alto; -in entrambe le direzioni.

In corrispondenza del tipo di solido fotometrico si hanno tre tipologie di illuminazione: -illuminazione diretta; -illuminazione indiretta o diffusa; -illuminazione semidiretta o semi indiretta.

Nelle figura a lato si possono vedere le percentuali di flusso orientato nella varie direzioni al variare del corpo illuminante.

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55

5. PROGETTO DI UN IMPIANTO DI ILLUMINAZIONE

Scopo dell'illuminazione artificiale é di rendere visibile all'osservatore quanto lo circonda in condizioni di luce naturale carente o nulla e di favorire il suo compito visivo facilitando la rapidità e l'accuratezza con cui gli oggetti vengono percepiti. Questo requisito si colloca tuttavia all'interno di un'esigenza più generale definibile come comfort o benessere visivo.

Si tratta infatti non solo di assicurare al soggetto una facile e rapida funzione visiva ma anche di rendere complessivamente gradevole e attraente l'ambiente dal punto di vista della illuminazione, ossia di caratterizzare luministicamente il locale e/o i suoi oggetti e procurare all'osservatore una sensazione di soddisfazione e di consenso.

5.1 L’AMBIENTE INTERNO ILLUMINATO ARTIFICIALMENTE

Il comfort stesso, per quanto categoria molto ampia, che riunisce in sé molti requisiti e finalità, non é l'unico obbiettivo della progettazione.

Oltre a questo si impongono ulteriori esigenze quali la flessibilità dell'impianto -perché si possa adattare a esigenze che mutano nel tempo-, la contemporanea fruibilità del locale da parte di soggetti diversi chiamati a compiti visivi diversi, gli effetti che si vogliono creare, l'immagine che si vuole trasmettere, la sicurezza globale, il risparmio energetico, i limiti di spesa etc.

Per soddisfare tutte queste esigenze è necessaria una assennata e ragionevole mediazione, il che rende il lavoro di progettazione illuminotecnica - come del resto quello della progettazione in genere- un'arte oltre che una scienza.

Il compito visivo, il tipo di utenza, l'uso del locale, il tono dell'ambiente, condizionano il tipo di scelte da fare. Per potersi orientare, conviene classificare in due grandi categorie le tipologie impiantistiche: l'illuminazione primaria e l'illuminazione secondaria.

Con l’illuminazione primaria si creano i requisiti illuminotecnici essenziali e le buone condizioni di visibilità mediamente in ogni punto del locale. Essa comprende gli :

⋅ impianti di illuminazione generale : destinati a fornire luce su aree molto vaste e con un certo grado di uniformità (per es. grandi magazzini, locali pubblici, ambienti industriali etc.). Tali impianti sono dimensionati per il compito visivo più gravoso tra quelli che si svolgono nel locale, realizzati con apparecchi prevalentemente a luce diretta o diretta più diffusa e disposti in file equidistanziate o in maglie regolari. La distribuzione tendenzialmente uniforme della luminanza tende a conferire un carattere freddo e impersonale all'ambiente servito.

⋅ impianti di illuminazione localizzata : usati quando si vuole esaltare l'illuminamento sulle aree in cui si svolge il compito visivo. Ciò si ottiene con apparecchi a luce diretta, puntati sulle aree di lavoro e orientati opportunamente in modo da evitare ombre marcate, riflessioni fastidiose e abbagliamento. Gli impianti di illuminazione localizzata solitamente si accompagnano a impianti di illuminazione generale onde assicurare che fuori dalle zone di lavoro l'illuminamento sia non inferiore al 50% di quello richiesto per il compito visivo. Attraverso il gioco delle luminanze così generato, é possibile creare ambienti luministicamente più vari e atmosfere più vive e dinamiche.

All'illuminazione secondaria si ricorre quando dalla luce si vuole ottenere qualcosa di più che condizioni di normale visibilità. Viene usata per creare particolari atmosfere, per generare messaggi, promuovere una certa immagine, esaltare un oggetto o un particolare, creare effetti luministici insoliti e drammatici (teatro, vetrine, musei, etc.) esaltare le forme e/o la natura di oggetti o materiali.

Si distinguono le seguenti forme di illuminazione secondaria: ⋅ Illuminazione d'accento. É quella mirata ad esaltare la presenza di un oggetto o gruppi di oggetti e

richiamarvi l'attenzione dell'osservatore. La illuminazione d'accento é largamente usata nelle vetrine espositive, nei musei, nelle esposizioni etc. Si ottiene con lampade a luce diretta, con fascio luminoso più o meno concentrato e con ottima resa del colore. Il contrasto di luminanza qui é l'effetto cercato e serve a sottolineare la presenza esclusiva dell'oggetto. Nella illuminazione d'accento rientra anche quella a volte citata come Illuminazione decorativa o artistica

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56

⋅ Illuminazione d'effetto. Interessa prevalentemente i locali chiusi, e quindi l'ambiente nel suo complesso. Consiste nel "disegnare con la luce", creando effetti luministici su qualche parete, per es. proiettandovi strisce o macchie di luce con funzione decorativa, quasi in alternativa ad altri elementi d'arredo, o inondando di luce qualche superficie di colore o natura particolare, che a sua volta rifletta producendo l'effetto coloristico o luministico voluto .

⋅ Mood Lighting. Non si tratta di una vera tecnica di illuminazione, ma consiste nel creare con la luce il tono giusto, l'atmosfera adatta alle esigenze del momento. In un edificio residenziale qualche ambiente può per esempio, secondo le circostanze, servire da stanza di rappresentanza o per l'ordinaria vita domestica. In un ristorante, a seconda che sia di giorno o di sera, al fine di creare condizioni di volta in volta adatte a colazioni di lavoro, riunioni conviviali o atmosfere raccolte e intime, si necessita di un livello di illuminamento diverso e di diverso tipo di luce. Il Mood Lighting consiste nell'adattare la luce a queste varie circostanze.

⋅ Illuminazione architettonica É quella modellata su una struttura o complesso architettonico, al fine di evidenziarne, anche a distanza, le forme e i volumi (più che i colori). L'illuminazione va fatta collocando gli apparecchi fuori dalla vista dell'osservatore e dosando sapientemente il gioco di luci e ombre per esaltare la dimensione spaziale della struttura.

É chiaro che realizzare di volta in volta l'illuminazione più adatta richiede una serie di conoscenze, esperienza, sensibilità, metodologie di analisi, strumenti di calcolo, dati di riferimento che é impossibile trovare tutte insieme in una persona o in un libro. A ciò aggiungi che spesso il problema sconfina nella pura creazione artistica.

Quello che é possibile fare in questa sede é la presentazione in forma sintetica di alcuni metodi classici per la determinazione del numero di corpi illuminanti, necessari ad assicurare un assegnato livello di illuminamento medio in ambiente, e successivamente alcuni approcci avanzati, tipici del calcolo automatico per la verifica illuminotecnica, in forma più puntuale e rigorosa. Si lascia quindi al progettista il compito della sintesi tra obbiettivi da raggiungere, approcci di calcolo adottati, fattibilità tecnico-economica etc.

C'é al più da ricordare che in tema di progettazione illuminotecnica in questo ultimo quarto di secolo molti progressi sono stati fatti. Sì é acquisito un patrimonio cospicuo di conoscenze e di esperienze, sia in fatto di tecnologie delle lampade che di filosofia d'impianto; sono stati attivati diversi Organismi nazionali e internazionali per la emanazione di raccomandazioni tecniche intese alla corretta concezione e realizzazione degli impianti; é maturata una conoscenza dei requisiti di base del comfort visivo, a beneficio del progettista che ora può assumere tali requisiti alla base del calcolo o utilizzarli per la verifica delle soluzioni indagate.

E infine la disponibilità di calcolatori a basso costo che non solo hanno consentito maggiore rapidità e precisione di calcolo, ma hanno stimolato nuovi metodi di analisi e possibilità di indagine.

5.2 PROCEDURE DI CALCOLO

I metodi globali sono quelli di più antica formulazione, sono di facile e rapido impiego e adatti al calcolo manuale. Essi consentono di determinare l'illuminamento medio sul piano di lavoro in funzione delle caratteristiche geometriche del locale, delle proprietà riflettenti delle pareti e delle caratteristiche ottiche dei corpi illuminanti.

I metodi qui presentati sono sostanzialmente due: il metodo del fattore di utilizzazione e il Basic Method CIE. Il primo metodo si fonda sulla determinazione del fattore di utilizzazione, definito come rapporto tra il flusso che ricade sul piano di lavoro e quello effettivamente emesso dagli apparecchi.

Il metodo verrà presentato in due versioni: quella più approssimata e rapida ed una più rigorosa. La prima, che presso taluni Autori prende anche il nome di metodo del flusso totale, fornisce il coefficiente di utilizzazione sulla base di una classificazione dei corpi illuminanti per grandi categorie, definite solo sulla base di generica somiglianza del solido fotometrico. La seconda é quella più rigorosa e articolata , nota come Metodo BZ, proposto dalla IES nel 1971, e caratterizzata dal fatto che i corpi illuminanti vengono classificati con un criterio più razionale e controllabile. Oggi tuttavia gran parte delle Case costruttrici di apparecchiature illuminotecniche forniscono direttamente i coefficienti di utilizzazione dei singoli apparecchi.

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In ogni caso con questo metodo é possibile solo ottenere il flusso luminoso complessivamente richiesto per assicurare un assegnato illuminamento sul piano di lavoro o, che é lo stesso, il numero di corpi illuminanti.

Il Basic Method CIE, formulato nel 1978, parte invece da una approssimazione più precisa del flusso emesso dall'illuminante e giunge a determinare, per dato numero e tipo di apparecchi, l'illuminamento che compete al piano utile, alle pareti e al soffitto. In alternativa, assegnati questi ultimi, il metodo fornisce il numero di lampade necessarie. Com'è chiaro c'è una successione storica nella formulazione di questi metodi che corrisponde a una progressione nel grado di attendibilità conseguita.

Prima di passare alla enunciazione delle procedure di calcolo nei vari casi, é necessario premettere alcune formulazioni fondamentali .

5.3 METODI DI CALCOLO GLOBALI

Si tratta di metodi che cercano di calcolare il flusso utile mediante considerazioni geometriche globali. Essi si contrappongono ai metodi numerici a tracciamento di raggi (ray tracing) con i quali si simula il percorso di vari raggi luminosi dalla sorgente al piano di lavoro. Saranno esaminati nel prosieguo.

5.3.1 CALCOLO DEL FLUSSO CIRCOLANTE

Com'è noto, nel caso degli ambienti chiusi, l'illuminamento sul piano di lavoro é dovuto al contributo del flusso luminoso diretto e del flusso riflesso. Per correlare tra loro il flusso luminoso globale, l'illuminamento, e le caratteristiche geometriche e ottiche del locale conviene riferirsi al semplice caso della sfera cava, dotata al suo interno di un corpo illuminante in grado di emettere il flusso globale Φo (sfera di Ulbricht). Su ogni elemento di superficie della sfera il flusso totale circolante é dato da :

. . .circ dir indΦ = Φ + Φ

Sull'intera superficie interna Atot della sfera il flusso diretto coincide col flusso globale Φo emesso:

dir oΦ = Φ

Φ ρ

2

3

o

oΦ ρ

Φ ρo

Φ = Φdir o

Φ = Φdir o

Φindir

...

Figura 55: Flusso circolante nella Sfera di Ulbricht

Il flusso indiretto é il risultato di infinite riflessioni pertanto, detta ρ la riflettività, si ha, seguendo quanto già detto in precedenza per la sfera di Ulbricht:

2 3 4. ...ind o o o oρ ρ ρ ρΦ = Φ + Φ + Φ + Φ +

2 3. (1 ...)ind o ρ ρ ρ ρΦ = Φ + + + +

Ricordando lo sviluppo in serie geometrica si ha:

.1

1ind o ρρ

Φ = Φ−

per cui:

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58

. . .1

11

1

circ dir ind o o

o

ρρ

ρ

Φ = Φ + Φ = Φ + Φ =−

= Φ−

Infine: . 1

1circ o

tot tot

EA A ρ

Φ Φ= =

Se la cavità non é sferica la relazione precedente può ancora essere utilizzata purché sussista il concetto di cammino libero medio del raggio luminoso. Ciò accade se nessuna delle superfici dell'ambiente ha dimensione e riflettività molto diversa da quella delle altre. In questo caso allora é lecito parlare di Illuminamento medio E e riflettività media ρ per cui :

11

o

tot

EA ρΦ

=−

Da qui la formula per il calcolo del flusso richiesto per aversi l'illuminamento medio in un ambiente di riflettività media ρ :

(1 )o totE A ρΦ = − (61)

La stessa espressione poteva ottenersi dal bilancio dell'energia luminosa in ambiente. Il flusso che l'apparecchio deve fornire deve eguagliare quello assorbito. Allora, detti α1 , α2, ... gli assorbimenti delle pareti di superficie A1 , A2 ..., si ha :

1 1 2 2 3 4 1 1 1 2 2 2 3 3 3( ) ( ) ( ) ... ...o inc inc inc k k kk

E A E A E A E Aα α α α α α αΦ = Φ + Φ + Φ + = + + + = ∑

Se é lecito approssimare l'illuminamento delle varie superfici Ek con un illuminamento medio E , allora

o k kk

E AαΦ = ∑

Introdotto ora l'assorbimento medio

k kk

kk

A

A

αα =

e poiché 1α ρ= − risulta : (1 )o tot totEA EAα ρΦ = = − (62)

che é la (61).

5.3.2 FATTORE DI MANUTENZIONE

La relazione (61) non é direttamente applicabile nei casi pratici perché non tiene conto di alcuni fattori che penalizzano la emissione luminosa. Questi sono attribuibili a:

⋅ 1) guasto delle lampade (LSF = Lamp Survival Factor); ⋅ 2) attenuazione del flusso luminoso per effetto dell'invecchiamento della lampada (LLDF

= Lamp Lumen Depreciation Factor) ⋅ 3) dello sporcamento delle superfici emittenti (LMF = Luminaire Maintenance Factor) ⋅ 4) dello sporcamento delle superfici riceventi (pareti murarie) (RSMF = Room Surface

Maintenance Factor). L'effetto combinato di questi quattro fattori si esprime attraverso il prodotto

MF = LLMF x LSF x LMF RSMF

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59

e prende il nome Fattore di Manutenzione MF (Maintenance Factor ). I valori raccomandati sono raccolti nelle Tabella 12, Tabella 13 Tabella 14 (da Philips Lighting Manual, 1993)

Ore di funzionamento (x1000) 0.1 1 2 4 6 12 18 24 Incandescenti LLMF

LSF 1.00 1.00

0.93 0.50

Fluorescenti. Trifosfori

LLMF LSF

1.00 1.00

0.96 1.00

0.94 1.00

0.91 1.00

0.87 0.99

0.84 0.75

Fluorescenti. Alofosfati.

LLMF LSF

1.00 1.00

0.94 1.00

0.89 1.00

0.83 1.00

0.80 0.99

0.74 0.75

Vapori di mercurio

LLMF LSF

1.00 1.00

0.97 1.00

0.93 0.99

0.87 0.98

0.80 0.97

0.68 0.88

0.58 0.75

0.52 0.50

Alogeni. metallici

LLMF LSF

1.00 1.00

0.93 0.97

0.87 0.95

0.78 0.93

0.72 0.91

0.63 0.71

0.52 0.50

Sodio alta pressione.

LLMF LSF

1.00 1.00

0.98 1.00

0.96 0.99

0.93 0.98

0.91 0.96

0.87 0.89

0.83 0.75

0.80 0.50

Tabella 12: Valori raccomandati per LLMF e LSF

Tempo trascorso tra due interventi di manutenzione (Anni)

0 0.5 1.0 2.0 3.0

AMBIENTE (°) P N S P N S P N S P N S Tipo di Luminaria Lampada nuda

1 0.95 0.92 0.88 0.93 0.89 0.83 0.89 0.84 0.78 0.85 0.79 0.73

Riflettore aperto superiorm.

1 0.95 0.91 0.88 0.90 0.86 0.83 0.84 0.80 0.75 0.79 0.74 0.68

Riflettore chiuso superiormente

1 0.93 0.89 0.83 0.89 0.81 0.72 0.80 0.69 0.59 0.74 0.61 0.52

Lamp. in riflettore chiuso trasparente

1 0.92 0.87 0.83 0.88 0.82 0.77 0.83 0.77 0.71 0.79 0.73 0.65

Lamp. in riflettore antipolvere

1 0.96 0.93 0.91 0.94 0.90 0.86 0.91 0.86 0.81 0.90 0.84 0.79

Flusso indirizzato superiormente

1 0.92 0.89 0.85 0.86 0.81 0.74 0.77 0.66 0.57 0.70 0.55 0.45

(°) P = Pulito ; N = Normale ; S =Sporco

Tabella 13: Valori raccomandati per LMF Tempo trascorso tra due interventi di manutenzione (Anni)

0.5 1.0 2.0 3..0

AMB (°) P N S P N S P N S P N K (*) Direzione

del Flusso

Diretto 0.97 0.96 0.95 0.97 0.94 0.93 0.95 0.93 0.90 0.94 0.92 0.88 0.7 Dir./Indiretta 0.94 0.88 0.84 0.90 0.86 0.82 0.87 0.82 0.78 0.84 0.79 0.74 Indiretto 0.90 0.84 0.80 0.85 0.78 0.73 0.81 0.73 0.66 0.75 0.68 0.59 Diretto 0.98 0.97 0.96 0.98 0.96 0.95 0.96 0.95 0.94 0.96 0.95 0.94 2.5 Dir./Indiretta 0.95 0.90 0.86 0.92 0.88 0.85 0.89 0.85 0.81 0.86 0.82 0.78 Indiretto 0.92 0.87 0.83 0.88 0.82 0.77 0.84 0.77 0.70 0.78 0.72 0.64 Diretto 0.99 0.97 0.96 0.98 0.96 0.95 0.96 0.95 0.94 0.96 0.95 0.94 5.0 Dir./Indiretta 0.95 0.90 0.86 0.92 0.88 0.85 0.89 0.85 0.81 0.86 0.82 0.78 Indiretto 0.92 0.87 0.83 0.88 0.82 0.77 0.84 0.77 0.70 0.78 0.72 0.64

(°) P = Pulito ; N =Normale ; S =Sporco (*) K = a b / hm /(a+b) con a,b =dimensioni in pianta del locale ; hm altezza di montaggio

Tabella 14:Valori raccomandati per RSMF

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60

5.3.3 COEFFICIENTI DI RIFLESSIONE

Da misure globali dei coefficienti di rinvio eseguite impiegando luce bianca, si possono ricavare i valori raccolti nella Tabella 15 (Parolini - Paribeni, 1977) Tali dati sono utilizzabili per la luce diurna e per le sorgenti a incandescenza, ma possono perdere di attendibilità nel caso di illuminazione con lampade del tipo a scarica.

Intonaco comune bianco (latte di calce o simile) 0.8 Intonaco comune o carta molto chiara (avorio, giallo, grigio) 0.7 Intonaco comune o carta molto chiara (grigio perla, avorio, rosa chiaro) 0.6-0.5 Intonaco comune o carta di colore medio (verdino, azzurro, beige) 0.5-0.3 Intonaco comune o carta di colore scuro (verde oliva, rosso ) 0.3-0.1 Pavimenti in tinta chiara 0.6-0.4 Pavimenti in tinta scura 0.2-0.1 Alluminio 0.8-0.9 Vernice bianca 0.5 Smalto bianco 0.6 Plastica chiara 0.55

Tabella 15: Coefficienti di riflessione per vari materiali di rivestimento delle pareti

5.3.4 METODO DEL FATTORE DI UTILIZZAZIONE

Ai fini del calcolo del flusso che la lampada deve emettere affinché sul piano di lavoro si abbia un assegnato illuminamento, é opportuno suddividere lo spazio che circonda il corpo emittente nelle 4 zone di emissione evidenziate in Figura 56. La zona 1 é interessata dal flusso diretto la cui efficacia dipende dall'altezza di montaggio hm ; le altre zone emettono per riflessione, quindi la porzione di flusso che ne proviene dipende sia dalla riflettività delle pareti che dalle rispettive superfici.

Si intuisce pertanto che il flusso luminoso sul piano utile é legato ai seguenti parametri: ⋅ Tipo di corpo illuminante ( solido fotometrico, armatura etc...); ⋅ Geometria del locale ( a x b ); ⋅ Altezza di montaggio rispetto al piano utile hm; ⋅ Riflettività delle pareti.

Piano di lavoro

1

2 23 3

4

h m

Figura 56: Sezione di riferimento del locale

Il parametro che esprime questo legame é il Fattore di Utilizzazione definito come:

Flusso luminoso incidente sul piano utileFlusso totale installatouF =

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IILLUMINOTECNICA

61

Esso si deduce da apposite tabelle, come si dirà in seguito, in funzione dei parametri su menzionati. In particolare la geometria del locale e l'altezza di montaggio si possono compendiare nell' indice del locale K che va calcolato in base alle relazioni seguenti :

( )m

a bKh a b

=+

(63)

Il flusso richiesto si calcola infine dalla formula :

uu

E AF MF

Φ = (64)

dove : E = Illuminamento medio (lux) A = Superficie del piano di lavoro (a b) MF = Fattore di manutenzione

Il numero delle lampade si determina ovviamente dal rapporto: N =Φu/Φlamp, (Φlamp= Flusso della singola lampada). La distribuzione delle lampade nel locale deve essere il più possibile uniforme. A tal proposito la CIE raccomanda che tra l'indice K del locale e il numero M di lampade in direzione longitudinale ed N in direzione trasversale, ci siano le corrispondenze espresse dalla Tabella 16.

Tabella 16: Valori di M e di N Ka 0.6 0.8 1.0 1.25 1.50 2 2.5 3 4 5 M 2 2 3 3 4 4 5 6 8 10 N 1 2 2 3 3 4 4 4 5 6

Infine i valori del coefficiente di utilizzazione Fu in relazione al tipo di corpo illuminante, sono dati in Tabella 17 (da Sacchi - Caglieris, 1990). In essa vengono pure indicati, in intervalli discreti, i fattori di riflessione delle pareti (10%, 30%, 50%) e del soffitto (30%, 50%, 75%) e tra i quali é lecito interpolare; il fattore di manutenzione (b = pulizia frequente, m = mediocre, n = scarsa) per ogni categoria di apparecchio, l'indice del locale (A ÷ J), e la relazione tra distanza minima (d) degli apparecchi tra loro e l'altezza (h = hm) di montaggio.

Curva Fotometrica

Indice del

locale

Fattore di utilizzazione

Fattore di manutenzione

b m n Illuminazione

semidiretta 0,50-0,70 0,28 0,22 0,18 0,26 0,21 0,18 0,20 0,17

d = 1,1h 0,70-0,90 0,35 0,29 0,25 0,33 0,27 0,24 0,26 0,240,90-1,12 0,39 0,33 0,30 0,37 0,32 0,28 0,30 0,271,12-1,38 0,45 0,38 0,33 0,40 0,36 0,32 0,33 0,301,38-1,75 0,49 0,42 0,37 0,43 0,39 0,34 0,37 0,331,75-2,25 0,56 0,50 0,44 0,49 0,44 0,40 0,42 0,382,25-2,75 0,60 0,55 0,50 0,53 0,48 0,44 0,47 0,442,75-3,50 0,64 0,55 0,54 0,56 0,51 0,47 0,50 0,473,50-4,50 0,68 0,62 0,55 0,61 0,56 0,53 0,54 0,524,50-6,00 0,70 0,65 0,62 0,65 0,62 0,60 0,55 0,57 0,50-0,70 0,26 0,23 0,21 0,23 0,21 0,19 0,19 0,170,70-0,90 0,32 0,29 0,27 0,28 0,26 0,24 0,23 0,210,90-1,12 0,37 0,33 0,31 0,31 0,29 0,27 0,26 0,241,12-1,38 0,40 0,36 0,34 0,34 0,31 0,30 0,28 0,261,38-1,75 0,42 0,39 0,36 0,36 0,33 0,32 0,30 0,281,75-2,25 0,46 0,43 0,40 0,41 0,38 0,35 0,32 0,302,25-2,75 0,50 0,46 0,43 0,44 0,40 0,39 0,34 0,332,75-3,50 0,52 0,48 0,45 0,46 0,44 0,41 0,37 0,363,50-4,50 0,55 0,52 0,49 0,48 0,46 0,45 0,39 0,384,50-6,00 0,57 0,54 0,5l 0,49 0,47 0,46 0,42 0,41

Illuminazione mista d = 1,1h

Plafoniera nuda o

con coppa diffondente

0,80 0,70 0,60

Diffusore

0,75 0,70 0,65

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62

0,50-0,70 0,35 0,32 0,28 0,37 0,32 0,28 0,3l 0,280,70-0,90 0,46 0,42 0,38 0,46 0,41 0,38 0,41 0,380,90-1,12 0,50 0,46 0,43 0,50 0,46 0,43 0,46 0,431,12-1,38 0,54 0,50 0,48 0,53 0,50 0,47 0,49 0,471,38-1,75 0,58 0,54 0,51 0,56 0,53 0,50 0,52 0,501,75-2,25 0,62 0,55 0,56 0,60 0,58 0,56 0,55 0,562,25-2,75 0,67 0,64 0,61 0,65 0,63 0,61 0,62 0,612,75-3,50 0,69 0,66 0,63 0,67 0,65 0,63 0,64 0,623,50-4,50 0,72 0,70 0,67 0,70 0,68 0,66 0,67 0,664,50-6,00 0,74 0,71 0,69 0,72 0,70 0,68 0,65 0,67 0,50-0,70 0,35 0,32 0,30 0,35 0,32 0,30 0,32 0,300,70-0,90 0,43 0,39 0,37 0,42 0,39 0,37 0,39 0,370,90-1,12 0,48 0,45 0,42 0,47 0,44 0,42 0,43 0,411,12-1,38 0,53 0,50 0,47 0,52 0,49 0,47 0,48 0,461,38-1,75 0,57 0,53 0,50 0,55 0,52 0,50 0,52 0,501,75-2,25 0,61 0,57 0,55 0,55 0,57 0,54 0,56 0,542,25-2,75 0,64 0,61 0,55 0,62 0,60 0,55 0,55 0,572,75-3,50 0,66 0,63 0,61 0,63 0,61 0,60 0,61 0,553,50-4,50 0,68 0,66 0,63 0,66 0,64 0,63 0,63 0,62

Illuminazione diretta d = h

Illuminazione diretta d = 0,9h

4,50-6,00 0,69 0,67 0,66 0,67 0,66 0,64 0,65 0,63

Riflettore a fascio largo

0,75 0,65 0,55

Riflettore a fascio medio

0,75 0,65 0,55

Tabella 17: Fattori di Utilizzazione

5.4 IL COMPORTAMENTO DEI CORPI COLPITI DA RADIAZIONI LUMINOSE

I corpi colpiti da radiazioni luminose, reagiscono mediante la trasmissione, la riflessione e l’assorbimento. Si parla di trasmissione quando i corpi (trasparenti) lasciano passare parte della radiazione incidente. Si chiama fattore di trasmissione il rapporto tra la luce trasmessa e quella incidente

La riflessione avviene in modo speculare o diffuso a seconda della asperità. si chiama coefficiente di riflessione della superficie il rapporto tra il flusso riemesso da una superficie ed il flusso incidente sulla stessa.

r

i

cr φφ

= [65]

quando la superficie riflettente presenta una scabrosità contenuta entro limiti di grandezza paragonabili a quelli delle onde incidenti (10-3 - 10-4 mm per luce visibile) si verifica la riflessione speculare.

Se le asperità superano i limiti in precedenza descritti, si verificano varie riflessioni e quindi un effetto di diffusione dell’energia luminosa, in ogni direzione, con conseguente splendore uniforme della superficie illuminata. L’assorbimento è il fenomeno complementare ai due precedenti nel caso in cui i corpi illuminati non trasmettono né riflettono l’energia incidente, bensì l’assorbono.

5.5 DISTANZA MINIMA TRA GLI APPARECCHI, D

La distanza tra corpi e pareti si pone pari a d/2, ove d è la distanza fra lampade.

L'illuminamento necessario sul piano di lavoro può essere fornito in parte (ad es. 30-50%) dagli apparecchi a soffitto (illuminazione generale) e parte da apparecchi collocati vicino all'utente, fuori del volume d'offesa (illuminazione locale), vedi Figura 70.

Tipo di corpo d A 1.1 h B 1.1 h C h D 0.9 h

Tabella 18: Distanza fra apparecchi illuminanti

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5.6 METODI AVANZATI DI PROGETTAZIONE

Con l'avvento dei computer si sono resi disponibili metodi di calcolo e di verifica illuminotecnica assai sofisticati che non avrebbero potuto essere sviluppati prima con le tecnologie di calcolo manuale.

Si tratta di metodologie di calcolo che fanno uso di algoritmi ripetitivi e che tendono a simulare la scena visuale reale sia con riguardo all'illuminazione che agli effetti di visualizzazione (rendering). Si esamineranno ora, in modo sintetico, due metodologie di calcolo denominate ray-tracing e radiosità.

5.7 3.2.1 RAY-TRACING

Per costruire un'immagine tracciata a raggi si inizia col definire una scena tridimensionale composta da sorgenti luminose ed oggetti ed aventi proprietà di colore, riflettività, campitura, etc. assegnate 38. Si stabilisce, quindi, il punto di vista ed il quadro di vista (solitamente il monitor39 del computer), una ipotetica finestra nello spazio tridimensionale attraverso cui si vede la scena40. Si inizia la procedura di tracciamento dei raggi luminosi a partire dalle sorgenti presenti nel campo ed inseguendo gli stessi nelle loro riflessioni all'interno della scena. Un tale procedimento, però, risulterebbe molto oneroso per i tempi di calcolo poiché verrebbero presi in esame anche i raggi che non interessano il quadro di vista e pertanto lo si é reso più efficiente invertendo il tracciamento dei raggi (ray-tracing inverso), cioè partendo dal punto di vista e generando un raggio che passi attraverso ogni pixel41 del quadro di vista verso la scena tridimensionale. Quando un raggio colpisce un oggetto della scena il pixel dello schermo attraverso il quale il raggio é passato assume il colore dell'oggetto interessato più vicino. Se tale punto di intersezione ha la vista libera verso la sorgente esso non é in ombra ma pienamente illuminato dalla sorgente. Se, invece, qualche altro oggetto della scena é posto tra il punto di intersezione e la sorgente luminosa l'oggetto in quel punto é in ombra e la intensità del pixel corrispondente viene diminuita conseguentemente.

Viene qui presentato uno pseudo-codice42 della procedura da seguire.

Procedura ray-tracing

Per ogni riga R dell'immagine Per ogni colonna C dell'immagine

38 Queste procedure avanzate sono di solito utilizzate per ottenere una rappresentazione realistica della scena

disegnata (rendering) e si compone di diverse operazioni quali, ad esempio, l'eliminazione delle linee nascoste, l'illuminazione della scena con una o più sorgenti, la rappresentazione prospettica in funzione del punto di vista,... Le immagini grafiche ottenute sono grande effetto e suggestività e consentono di simulare la realtà scenica (realtà virtuale) senza doverla costruire materialmente. Le applicazioni di questi algoritmi vanno dall'architettura (valutazioni di impatto visuali, arredamenti di interni, allestimenti scenici, design industriale, ...) alla cinematografia, all'editoria elettronica, ad applicazioni mediche (interventi chirurgici in modo virtuale) e scientifiche in genere.

39 Applicazioni di ray tracing e di rendering in genere richiedono risorse di calcolo notevoli sia in termini di velocità del processore che di visualizzazione grafica. I computer tipicamente utilizzati a tali scopi sono le workstation grafiche cioè computer di grandi potenze elaborative dotati di periferiche grafiche particolarmente veloci (processori grafici, video a più piani di colore, z-buffer per l'eliminazione rapida delle linee nascoste, librerie grafiche tridimensionali ottimizzate per il processore grafico utilizzato,..). Oggi i PC hanno potenza elaborativa paragonabile a quella delle workstation ma per un'efficace utilizzo degli algoritmi di ray tracing o di rendering in generale occorre dotarli di periferiche grafiche molto veloci il cui costo é superiore a quello delle stesse unità base.

40 Per scena si intende una rappresentazione spaziale il più possibile fedele alla realtà che si desidera simulare e pertanto la sua preparazione richiede l'uso di programmi di grafica tridimensionale particolarmente sofisticati (CAD tridimensionali del tipo wire frame, cioè a fili di ferro, o del tipo composite geometry, cioè a geometria composita) ai quali si aggiungono, sotto forma di moduli opzionali, il ray tracing e il rendering.

41 I pixel sono i punti luminosi dello schermo nel quale si sta rappresentando la scena e il loro numero dipende dalla qualità e potenza della periferica grafica. É chiaro che quanto più elevato é il numero dei pixel tanto maggiore é la qualità dell'immagine ma al tempo stesso tanto maggiore é il tempo di calcolo necessario.

42 Per pseudo-codice si intende l'enunciazione di uno o più passi di calcolo in un linguaggio non specializzato ma di uso comune. La scrittura del codice vero e proprio viene poi eseguita con l'uso del linguaggio di programmazione prescelto (Fortran, C, ADA, Pascal, ...). Lo pseudo-codice descrive le operazioni da eseguire in forma sintetica, utilizzando le strutture di controllo elementari della programmazione sequenziale : iterazione (per ogni ), scelta (Se), etc.

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Genera un raggio R dal punto di vista V al pixel P(R,C) Per ogni oggetto O della scena Calcola l'intersezione I tra O ed R Se l'intersezione esiste Se é la più vicina a V Conserva I Fine se Fine se Prossimo oggetto Prossima colonna Prossima riga Se esiste l'intersezione Calcola il punto d'intersezione I del raggio R con l'oggetto O più vicino Calcola la normale alla superficie di O nel punto I Per ogni sorgente luminosa S della scena Genera un raggio da I ad S Per ogni oggetto O° della scena, escluso O Calcola l'intersezione I° tra R ed O° Se I° non esiste (I non é in ombra) Calcola il colore e l'intensità nel pixel come funzione di S Fine se Prossimo oggetto Prossima sorgente Fine se Per determinare il colore dell'oggetto nel punto di intersezione occorre tener conto che esso oltre

ad essere riflettente e/o rifrangente può avere una campitura,43 per cui il colore rappresentato nel punto diventa funzione del colore proprio dell'oggetto in quel punto, del colore della sorgente e di ogni contributo di riflessione o rifrazione del raggio luminoso considerato.

Come é facile intuire, quindi, il calcolo del colore é un procedimento ricorsivo che prende il nome di shading (ombreggiatura). Ogni volta che il raggio intercetta un oggetto riflettente o rifrangente vengono generati ulteriori raggi ognuno dei quali deve essere ritracciato all'inverso fino ad ogni sorgente per determinare il contributo di ognuno di essi al colore. Per la ricorsività44 del procedimento viene generato un albero di raggi in cui ogni ramo descrive il contributo al colore finale dell'oggetto: conviene limitarlo al massimo a cinque - dieci livelli o al raggiungimento di una soglia in cui ulteriori contributi sarebbero trascurabili per il colore finale45. Come applicazione della teoria del ray-tracing si vuole qui esaminare la procedura per il calcolo dell'intersezione tra un raggio ed un poliedro nello spazio.

Equazione parametrica del raggio

Un raggio ha una origine Po ed una direzione Pd (vettore di lunghezza unitaria: xd2+yd2+zd2=1)

43 La campitura (o texture) é il tipo di disegno applicato all'oggetto in esame. Ad esempio esso può essere a righe

equispaziate e alternate di colore bianco e nero, oppure si può avere un disegno a scacchi di vario colore e dimensioni, ... In definitiva se l'oggetto non é uniformemente colorato ma presenta variazioni di colore si ha una campitura.

44 Per ricorsività si intende una definizione dell'algoritmo che implica se stesso. Ad esempio si può definire un numero fattoriale in funzione della stessa definizione di fattoriale del numero intero precedente : n!=(n-1)!*n. Gli algoritmi ricorsivi sono eleganti nella formulazione ma richiedono risorse di calcolo elevate a seconda del linguaggio utilizzato e della memoria disponibile.

45 La definizione del colore rappresentato nello schermo dipende dalle potenzialità grafiche della periferica. Se é possibile rappresentare in ciascun pixel n piani di colore allora il numero dei colori rappresentabili é dato dalla potenza 2n . Si intuisce che la rappresentazione migliore si ha con schede professionali ad elevato numero di piani di colore e che in schede grafiche economiche la definizione del colore può spesso essere solo schematica.

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Indicando con t>0 il tempo, la traiettoria del raggio in forma vettoriale diventa: Traiettoria del raggio = direzione * tempo + origine

cioé: R(t) = Rd * t + Ro

La funzione R(t) descrive l'insieme dei punti che formano la traiettoria del raggio. Questa equazione, scomposta nelle sue componenti spaziali, porta alle equazioni parametriche:

0

0

0

***

x d

y d

z d

P X t XP Y t YP Z t Z

= += +

= +

Tramite le equazioni parametriche, l'intersezione del raggio con una qualunque superficie definita come funzione nello spazio diventa relativamente semplice.

Intersezione raggio-poliedro

Nelle tecniche di ray-tracing é conveniente tenere in conto di tmax, cioè la massima distanza significativa lungo il raggio che nelle procedure di ombreggiamento é posta uguale alla distanza della sorgente luminosa dall'origine del raggio. Per i raggi nei quali si cerca l'intersezione con l'oggetto più vicino tmax é inizializzato ad infinito (una qualunque grande distanza) e quindi aggiornato alla distanza con l'oggetto correntemente più vicino mano a mano che il test procede. Un oggetto intersecato oltre tmax non dovrà essere esaminato oltre perché, ad esempio, in ombra rispetto alla sorgente. Ponendo inoltre tvicino all'infinito negativo e tlontano=tmax si tiene conto delle intersezioni logiche dei semispazi formati dalle facce dell'oggetto (poliedro) con il raggio: quando tvicino diventa più grande di tlontano il raggio non interessa l'oggetto ed il test ha fine. Ogni piano P é definito da quattro parametri (a, b, c, d) ed ogni punto (x, y, z) di esso rende soddisfatta l'equazione:

ax +by +cz +d = 0 mentre la direzione normale Pn al piano ha coseni direttori (a, b, c). La distanza misurata

dall'origine del raggio all'intersezione con il piano P é : n o

n d

P R dtP R

+= −

Se il denominatore si annulla, il raggio é parallelo al piano e non avviene nessuna intersezione: si controlla, pertanto, se l'origine del raggio é dentro il semispazio definito dal piano. Se il numeratore é maggiore di zero, l'origine del raggio é esterna al semispazio in oggetto ed il raggio stesso non interseca il solido, così il test ha fine. Nel caso che il denominatore sia diverso da zero si deve considerare il fatto che il piano in esame presenta una faccia frontale ed una posteriore. La faccia presentata é quella esterna al poliedro se il denominatore é positivo ed in questo caso se t<0 il poliedro é esterno al raggio; se t<tlontano , tlontano deve essere aggiornato a t. Similmente se la faccia presentata dal piano é quella frontale, t>tvicino , tvicino deve essere aggiornato a t, inoltre se tvicino>tlontano il raggio non interseca il poliedro, mentre se tvicino<tlontano il raggio colpisce l'oggetto essendo tvicino la distanza nel punto di entrata e tlontano quella per la quale il raggio viene fuori dal solido. Se tvicino<0 il raggio é originato all'interno del poliedro: in questo caso si controlla se tlontano<tmax, per cui tlontano é la prima valida intersezione.

Radiosità

Il metodo della radiosità si basa su analogie del trasferimento radiativo del calore. Questa tecnica non è adatta a trattare superfici rifrangenti o riflettenti speculari, ma i risultati relativi alla illuminazione globale (in cui l'energia in gioco é bilanciata dalle superfici diffondenti ed irradiata all'infinito), sono eccellenti. Il metodo di ray-tracing modella ottimamente scene con oggetti lucidi o rifrangenti mentre é preferibile usare il metodo della radiosità per l'ambientazione di interni o oggetti architettonici.

La natura prevalentemente fisica del metodo della radiosità rende quest'ultimo paradigma ideale per accurate simulazioni fisiche; qui le intensità sono calcolate nell'intero spazio da simulare, in punti discreti sulle superfici degli oggetti, ed é possibile cambiare speditamente il punto di vista una volta che i calcoli siano stati effettuati.

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Un difetto del metodo della radiosità é quello di richiedere grandi quantità di memoria, dovendosi conservare valori di intensità per tutti i punti della scena. Il calcolo principale del metodo della radiosità riguarda i fattori di forma, che possono essere valutati, ad esempio, usando la tecnica del semi-cubo (Cohen: e Greenberg, 1985). Questa teoria si basa principalmente sulla rimozione delle superfici nascoste mediante un algoritmo che calcola la parte di luce (shooting path) che arriva su un elemento da ogni altro elemento trasformando il sistema in modo che il centro dell'elemento ricevente venga portato sull'origine e la sua normale coincida con l'asse delle Z. Un cubo immaginario é costruito attorno al centro dell'elementino ricevente: la metà superiore del cubo é formata da quattro mezze-facce laterali più una faccia intera superiore sulle quali viene proiettata la scena.

Ognuna di queste facce é divisa in quadratini piccoli a piacere in funzione della risoluzione voluta per l'immagine. Ogni percorso relativo alla parte di scena che é posta superiormente o che intercetta il piano Z=0 viene tagliato così che possa stare dentro uno solo dei cinque volumi di vista definiti dai piani z=0, z =x, z = -x, z =y, z = -y, x =y, x = -y.

Questi percorsi sono proiettati sulla appropriata faccia del cubo secondo una proiezione prospettica e si procede alla rimozione delle superfici nascoste con un algoritmo a profondità bufferizzata46.

Figura 57: Rappresentazione con il metodo della radiosità

L'algoritmo può essere migliorato facendo passare l'asse Z da un vertice del cubo, anziché dal centro di una faccia, e facendo diventare il semi-cubo un tetraedro: questo permette la diminuzione del tempo di calcolo, dovendo proiettare la scena su tre anziché cinque superfici.

Radiosità progressiva

Viene usata una risoluzione progressiva per calcolare i risultati: ogni iterazione é formata dai seguenti passi:

⋅ 1) trovare il percorso per il raggio (shooting path): scegliere il prossimo percorso luminoso che abbia la maggiore energia da distribuire, se questa é minore di un valore scelto il ciclo si arresta (ciclo al punto 4);

⋅ 2) calcolare il fattore di forma: posizionare un semi-cubo al centro del percorso luminoso ed orientarlo in direzione normale al raggio stesso, proiettare tutti gli elementi su tutte le cinque facce del semi-cubo, sommare i fattori di forma parziali associati ad ogni faccetta del semi-cubo al fine di calcolare i fattori di forma dal percorso luminoso ad ogni elemento;

⋅ 3) distribuire la radiosità residua (unshot) del raggio ad ogni elemento (tornare al punto 1); ⋅ 4) mostrare i risultati. Un semplice metodo per una progressiva rifinitura della radiosità é quello relativo

all'aggiornamento veloce della radiosità nei vertici.

46 Questa procedura viene indicata con il termine z-buffer e può essere implementata sia per via software (cioé da

programma) che per via hardware (cioé dalla periferica grafica). Le workstation sono caratterizzate dall'avere schede grafiche a più piani di colore e dallo z-buffer già implementato. In pratica lo z-buffer mantiene le coordinate z dei vari punti in modo che possa immediatamente essere nota la sua posizione nella scena e quindi decidere se é in luce o deve essere spento.

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Figura 58: Metodo della radiosità

Si usano i fattori di forma del metodo di ray-tracing e ad ogni iterazione l'algoritmo riduce il numero di superfici la cui radiosità deve essere aggiornata.

Ad ogni iterazione é scelto un percorso di calcolo e la radiosità di ogni vertice della maglia con cui é composta la scena viene aggiornata con il contributo calcolato.

La radiosità lungo la normale alla superficie nel vertice é data dai contributi delle faccette che convergono in quel vertice, come dalla figura:

Figura 59: Metodo della radiosità progressiva

Un semplice algoritmo consiste nello scorrere sequenzialmente tutti i vertici per aggiornarne i valori. L'aggiornamento consiste nel tracciare uno o più raggi a partire dal vertice sorgente per determinare i fattori di forma relativi e i contributi di radiosità.

Se il vertice é nascosto l'intero calcolo può essere trascurato perché nessuna energia raggiunge il vertice. In pratica se P(xp,yp,zp) é la posizione del vertice ed il piano su cui giace il raggio é definito da ax+by+cz+d=0, allora se axp+byp+czp+d=0 il vertice é dietro il raggio altrimenti é davanti.

Così basta un semplice prodotto scalare per eliminare dai calcoli un vertice e la procedura può essere velocizzata applicandola ad un gruppo di vertici per volta; ad esempio se i vertici appartengono ad una superficie piana basta controllarne i vertici perimetrali.

Più in generale, per ogni oggetto conviene verificare la scatola ideale che lo contiene: se i sei vertici della scatola non sono visti dal percorso l'oggetto é in ombra relativamente al raggio considerato.

Un altro metodo é quello della rifinitura progressiva della radiosità usando il ray-tracing per valutare il trasporto dell'energia.

Si assuma che la scena sia divisa in N zone superficiali di area Ai; per ogni zona si determina la riflettività media Ri, mentre le incognite sono le radianze Li di tutte le areole. Queste sono determinate una volta che si conosca la potenza Φι in gioco per ciascuna areola, secondo la:

ii

i

LAπ

Φ=

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Assegnata nulla la potenza per le zone che non siano sorgenti luminose, la prima iterazione avviene per le zone rimanenti. Si calcola, quindi, la potenza ricadente sulle zone viste dalle sorgenti °i che sarà inviata al successivo passo di calcolo. Uno schema per il calcolo della radianza Li iterando B volte i calcoli (B=4÷20), é qui sinteticamente riportato in meta-linguaggio:

per i=1 a N Φ°i = Φi prossimo i per j=1 a B per i=1 a N invia Φ°i alla superficie i;

ii

i

LAπ

Φ= ;

prossimo i prossimo j La potenza inviata alle superfici é proporzionale al coseno dell'angolo tra il raggio luminoso

spiccato dall'areola i e la normale alla superficie ricevente j. La frazione di potenza così ricevuta é il fattore di forma Fij.

Ombreggiamento

Lo scopo dell'ombreggiamento é quello di calcolare il colore e l'intensità luminosa degli elementi superficiali visibili in una data scena rispetto al punto di vista ed é la parte più complessa della costruzione di un ambiente virtuale, specialmente se il modello usato deve tenere conto delle frequenze delle componenti monocromatiche (cioè del colore) e degli angoli di intersezione dei raggi.

Il sistema luce-superficie ha molte proprietà che devono essere accuratamente simulate al fine di rendere la scena più reale possibile: l'occhio umano usa queste informazioni per determinare la natura degli oggetti che osserva. Per semplificare i calcoli, si adopera uno spazio tridimensionale per la definizione completa dei colori; i tre assi corrispondono al Rosso, al Verde ed al Blu (sistema RGB), ed ogni componente é definita nel campo che va da 0 (intensità nulla) ad 1 (massima intensità).

Il sistema di colori RGB é di tipo additivo: la terna RGB = (0, 0, 0) indica il nero, e la terna RGB = (1, 1, 1) rappresenta il bianco. Quando un raggio interagisce con la superficie di un oggetto, l'ombreggiamento ci informa su quanta luce é passata o si é propagata dalla superficie fino all'osservatore. La propagazione può essere spezzata in due componenti: una speculare, orientata direzionalmente, ed una diffusa, propagata uniformemente in tutte le direzioni senza relazione con la direzione del raggio incidente. Entrambe devono essere pensate in termini di riflessione e trasmissione.

In totale, quindi, vi sono quattro possibili propagazioni da considerare per un completo modello di ombreggiamento, spesso indicati in letteratura come i quattro modi di trasferimento della luce. Per complicare le cose si tenga presente che questi meccanismi di trasporto si possono considerare sia per la luce che arriva direttamente dalle sorgenti luminose che per quella derivante dagli altri oggetti contenuti nella scena. Molti programmi di ray-tracing tendono a semplificare il modello di ombreggiamento descritto nei seguenti modi:

⋅ 1 rimuovendo i termini dipendenti dalla frequenza: in questo caso, ad esempio, non si potrebbe modellare un prisma rifrangente;

⋅ 2 ignorando riflessioni e trasmissioni tra gli oggetti: alcuni oggetti, infatti, diffondono la luce ricevuta e contribuiscono indirettamente ad aumentare i livelli di illuminazione dell'intera scena. Queste interriflessioni possono essere realmente valutate solo implementando il metodo della radiosità. Per semplificare i calcoli, però, si può introdurre un termine di luce ambiente;

⋅ 3 trascurando la distanza: in realtà nel suo cammino attraverso lo spazio la luce viene attenuata col quadrato della distanza d. Spesso, però, il termine 1/d2 é sostituito da 1/(d+d°), dove d° é una distanza fittizia scelta arbitrariamente minore di d: l'effetto visivo raggiunto é migliore di quello a cui si arriva trascurando del tutto le distanze.

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In definitiva, ogni implementazione dell'ombreggiamento deve tenere conto della luce dell'ambiente, delle riflessioni diffuse e speculari e delle trasmissioni speculari (rifrazioni).

Luce ambiente

L'illuminazione dovuta alle interriflessioni può essere calcolata in due modi. Il primo deriva dalla formula:

Ia = ka * Il dove Il é l'intensità luminosa delle sorgenti contenute nell'ambiente e ka é l'assorbimento costante

dell'ambiente stesso che descrive quanta luce direttamente incidente sulle superfici viene riflessa dalle superfici stesse. Il problema, però, é che la luce reirraggiata in questo modo é funzione esclusivamente del colore delle sorgenti e non della superficie investita: un effetto più realistico si ottiene adoperando un differente calcolo per la luce ambiente:

Ia = ka * I° dove I° é il colore della superficie dell'oggetto colpito e ka determina quanto del colore

superficiale é visibile con la luce ambiente. Tipicamente viene posto: ka = 40%

Nello spazio RGB l'equazione diventa: IaR = kaR * I°R IaG = kaG * I°G IaB = kaB * I°B

Molti metodi possono semplificare il modello proposto ponendo: kaR = kaG = kaB = costante

anche se é noto che molte superfici reali assorbono diversamente le frequenze monocromatiche della luce.

Riflessioni diffuse

In questo temine non entra in gioco la posizione dell'osservatore in quanto i contributi di luce sono riemessi in tutte le direzioni uniformemente e l'ampiezza dell'intensità emessa Id é funzione del coseno dell'angolo θ formato dal raggio incidente L con la normale n alla superficie e del coefficiente di assorbimento ka della superficie stessa secondo la Legge di Lambert:

Iδ = L*n Il ka = Il ka cosθ Anche questa equazione é proiettabile nello spazio RGB.

Riflessioni speculari

Le riflessioni speculari avvengono solo per superfici lucide e non risultano (in generale) funzioni del colore della superficie colpita perché vengono interamente riflesse dalla superficie stessa.

L'angolo del raggio uscente é uguale a quello del raggio incidente per cui l'effetto visivo finale nella scena é funzione del punto di vista. In un punto P di una superficie nella scena V indica la direzione dell'osservatore da P, n é la normale alla superficie in P, L é il raggio luminoso incidente in P ed R é il raggio riflesso. Poiché R, L ed n sono nello stesso piano, la direzione del raggio riflesso risulta data dalla relazione:

R = 2n (L * n)-L Si tratta ora di determinare l'intensità del raggio riflesso relativamente al punto di vista, nel punto

P, che risulta funzione del grado di lucidità della superficie. Da una valutazione empirica del problema dovuta a Phong si può calcolare l'illuminazione dovuta alla riflessione speculare come

Is = Ιλ ks (R * V) In essa per grandi valori di λ (superfici molto lucide) l'abbagliamento speculare decresce molto

speditamente man mano che la direzione del punto di vista diverge dal raggio riflesso. La costante di assorbimento ka presente nella equazione é funzione della superficie del materiale

e deve essere spezzata nelle sue componenti RGB. Più esattamente questa costante varia anche con l'angolo di incidenza del raggio.

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Figura 60: Riflessioni speculari

Rifrazione

Il fenomeno avviene quando un raggio luminoso attraversa materiali di diversa densità e devia dalla traiettoria rettilinea originale tanto più quanto maggiore é la differenza di densità dei due elementi. La deviazione del raggio, in effetti, avviene nelle superficie di passaggio da un elemento all'altro.

Per definire il problema si introduce l'indice di rifrazione ir dato dal rapporto fra la velocità della luce nell'elemento considerato e la velocità nel vuoto: l'aria ha un ir pressoché unitario, l'acqua 1,333 e il vetro tra 1,46 ed 1,66. La legge di Snell mette in relazione l'angolo di incidenza i con l'angolo di rifrazione r :

221

1

i

r

sennnn sen

θθ

= =

La direzione (non normalizzata) del raggio trasmesso é data dalla:

( ) ( )2221 21 211 1T n V n n V n n V n = + ∗ ∗ − + ∗ −

Se la quantità sotto radice risultasse minore di zero si sarebbe nella condizione di totale riflessione interna che avviene quando l'angolo di incidenza della luce sia abbassa al di sotto di un angolo limite.

Il contributo relativo alla trasmissione speculare, allora, può essere espresso nella forma: Its = Ιλ kts (T * V)n

dove ogni termine é analogo al suo speculare: l'equazione mostra come anche la luce trasmessa in questo modo ha dei picchi direzionali come la luce riflessa specularmente.

5.7.1 CONCLUSIONI

Volendo riassumere un'equazione globale che tiene conto sia dell'illuminazione ambientale, sia delle riflessioni diffuse e speculari che della rifrazione si può porre nella forma:

( ) ( ) ( )10 * * * *n n

d s ts a aII K L n k R V k T V k I

d d = + + + +

Si intuisce dalla formulazione analitica sopra esposta che tutti i metodi di calcolo sopra esposti sono implementabili solo mediante l'ausilio di computer e i programmi oggi disponibili riescono, con l'ausilio di hardware adeguato, a risolvere questi problemi in tempi accettabili.

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6. IL BENESSERE VISIVO E LA PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA

L’analisi e la valutazione del grado di illuminazione, di tipo naturale, che si vuole ottenere in uno specifico ambiente (abitazione, ufficio, industria, scuola, ospedale, etc.), per una perfetta visione, assume primaria importanza in fase progettuale essendo ad essa legata il corretto svolgimento delle attività lavorative.

Infatti, la maggior parte delle informazioni necessarie per lo svolgimento di una attività lavorativa sono di tipo visivo per cui, le modalità di illuminazione del compito visivo devono essere attentamente valutate al fine di garantire il comfort visivo dell’operatore.

Per raggiungere tale obiettivo è indispensabile: ⋅ realizzare un ambiente luminoso idoneo a soddisfare le esigenze fisiopsicologiche dell’operatore

assicurando sempre, ove possibile, il ricorso all’illuminazione naturale; ⋅ rendere ottimale la percezione delle informazioni visive, per assicurare buone condizioni di lavoro

ed una prestazione visiva veloce e precisa.

Figura 61: Compito visivo e prestazione visiva

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La norma italiana UNI 10530 del febbraio 1997 dal titolo Principi di ergonomia della visione (sistemi di lavoro e illuminazione) con riferimento ai principali obiettivi dell’ergonomia della visione nell’ambito dei sistemi di lavoro afferma che l’assenza del benessere visivo dipende in gran parte dalle caratteristiche del compito visivo più che da altri47. Nella Figura 61 sono riportati i parametri che influenzano la prestazione lavorativa in un assegnato ambiente visivo, suddivisi in relazione al compito visivo, alle capacità visive del soggetto e alle caratteristiche dell’ambiente.

Sempre con riferimento alla UNI10530, la condizione generale di benessere visivo può essere conseguita attraverso numerose combinazioni dei fattori che influenzano la prestazione visiva; eventuali carenze relative ad uno o più fattori possono essere parzialmente compensate da un opportuno incremento degli altri.

In base alle superiori premesse la progettazione degli interni non deve mirare esclusivamente al raggiungimento di un illuminamento uniforme del piano di lavoro e quindi dell’ambiente, ma deve garantire una corretta visibilità del compito visivo dipendente dal contrasto percepito dall’operatore, dallo stato di adattamento dell’operatore, dalla presenza di fenomeni di abbagliamento e di riflessione, da eventuali ostruzioni e dalla procedura di svolgimento del compito visivo.

La fase progettuale dovrà sempre essere preceduta da uno studio dettagliato dello spazio fisico e delle caratteristiche funzionali ad esso connesse, indispensabili per la definizione, in termini di prestazioni, dell’ambiente luminoso e degli indici significativi per la sua valutazione, ed in particolare dovrà prendere in considerazione quanto segue: ⋅ la corretta dimensione degli ambienti; ⋅ le finitura, colore e caratteristiche di riflessione delle superfici; ⋅ le dimensioni e caratteristiche di trasmissione delle superfici vetrate; ⋅ la dimensione e caratterizzazione di eventuali schermi; ⋅ la definizione delle classi di utenza; ⋅ la definizione delle attività svolte nell’ambiente; ⋅ il profilo di occupazione dell’ambiente.

6.1 I PARAMETRI CHE INFLUENZANO LA PRESTAZIONE VISIVA

La progettazione illuminotecnica48,come in precedenza citato, mira al raggiungimento del comfort visivo dell’operatore o fruitore di un determinato ambiente mediante uno studio in termini di prestazione dello spazio fisico e delle caratteristiche funzionali ad esso connesse. A tal proposito la norma UNI10530 al punto 4 così recita:

47 Temperatura, ventilazione, etc. 48 Citeremo alcune definizioni tratte dalla norma UNI10530 indispensabili per una rapida comprensione degli

argomenti di seguito descritti: intorno del compito visivo: Insieme dello spazio che può essere visto da una posizione precisata quando si

muovano la testa e gli occhi. sistema di lavoro: Combinazione di persone ed attrezzature che interagiscono nel processo di lavoro, per

effettuare il compito di lavoro, nello spazio di lavoro, all'interno dell'ambiente di lavoro, sotto le condizioni imposte dal compito di lavoro.

piano di lavoro: Piano sul quale e svolto il compito visivo. piano di lavoro di riferimento: Piano orizzontale sul quale è calcolato l'illuminamento medio nella fase di

progetto. Se non altrimenti indicato, il piano di lavoro di riferimento e assunto ad una altezza di 0,85 m sopra il suolo; per le scrivanie, per esempio, l'altezza secondo le UNI 7368 e UNI 9095 e di 0, 72 m.

illuminazione generale: Illuminazione progettata per illuminare una intera area approssimativamente in modo uniforme.

illuminazione localizzata: Illuminazione progettata per un interno al fine di ottenere anche una maggiore illuminazione sopra una o più parti del locale.

illuminazione locale: Illuminazione per uno specifico compito visivo complementare e controllabile separatamente dalla illuminazione generale.

fattore di utilizzazione: Rapporto tra il flusso luminoso che incide sul piano di lavoro e il flusso luminoso totale emesso dalle lampade.

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La natura del sistema visivo dell'operatore è determinante nella progettazione dell'ambiente visivo, la cui efficacia e misurata in termini di prestazione visiva. Per valutare una prestazione visiva è necessario esaminare le interazioni tra sistema visivo e caratteristiche del compito da svolgere nell'ambiente. La prestazione visiva deve quindi essere analizzata sulla base di tutti i fattori che la influenzano. II termine "prestazione visiva" è utilizzato per esprimere la capacita di rilevazione e l'attitudine a reagire manifestate da un individuo quando i dettagli del "compito visivo" entrano nel "campo visivo". Tale attitudine può essere valutata in termini di velocità, precisione e accuratezza della percezione. La prestazione visiva dipende: ⋅ - dalle caratteristiche proprie del compito visivo da svolgere (dimensioni, forma, posizione, colore e fattore di

riflessione del dettaglio osservato e del fondo); ⋅ - dalle condizioni d'illuminazione.

E’ inoltre influenzata da altri fenomeni quali l'abbagliamento, la mancanza d'uniformità dell'illuminazione, la natura dello sfondo e, più in generale, dal modo in cui e concepito lo spazio di lavoro. I parametri da prendere in considerazione per una corretta percezione visiva sono:

luminanza contrasto dimensione, forma e caratteristiche della superficiecolore movimento e tempo necessario per la visione posizione dell’immagine sulla retina

Tabella 19: Parametri per una corretta percezione visiva Nei capitoli seguenti definiremo i parametri che influenzano la prestazione visiva ed i rimedi da

attuare per attenuarne gli effetti indesiderati.

6.2 L’ILLUMINAMENTO DEL COMPITO VISIVO

Le condizioni di illuminazione dell'ambiente visivo influiscono sulle funzioni visive fisiologiche (prestazione visiva), su quelle psicologiche (benessere) e, di conseguenza, possono contribuire alla prestazione, alla sicurezza, al benessere ed al senso di soddisfazione dell'uomo nel proprio ambiente.

Lo svolgimento di un compito visivo diviene più agevole all'aumentare della luminanza a partire da una soglia definita dalla sensibilità dell'occhio al contrasto49. In condizioni normali, un aumento dell'illuminamento induce un miglioramento della prestazione visiva inizialmente molto rapido (da 0 a 100 lux) e che va successivamente riducendosi fino ad annullarsi. La prestazione visiva relativa ad un lavoro di precisione e/o a debole contrasto può essere in parte migliorata mediante elevati livelli di luminanza, mentre l'esecuzione di compiti visivi su superfici di dimensioni rilevanti o a forte contrasto può essere effettuata in modo confortevole anche con livelli di luminanza non elevati.

In generale si rileva che l’occhio è lento ed incerto nella percezione degli oggetti e dei colori particolari in condizione di scarsa illuminazione; crescendo l’illuminazione da 1 fino a 100 lux, l’occhio umano acquista una maggior velocità di percezione.

Aumentando l’illuminazione oltre i 100 lux, si ha sempre un vantaggio per la visione, ma l’incremento è minore. Da notare che verso i 100 lux anche le persone astigmatiche vedono come le persone normali, e ciò è molto importante se si pensa che circa il 50% della popolazione mondiale ha gli occhi astigmatici.

Per fare un esempio se calcoliamo infatti che per svolgere una determinata attività per cui sono richiesti 500 lux, occorrono n ore lavorative, per svolgere lo stesso lavoro a 150 lux le ore di mano d’opera aumenteranno del 15-30%.

Con la riduzione dei livelli di illuminamento, i danni dovuti a scarso rendimento si identificano nell’aumento degli errori, delle pause inconsce, nell’insorgere di malattie anche di tipo psicosomatico e dei casi di incidenti ed infortuni.

Appare evidente come un lavoro prolungato svolto in condizioni di illuminamento non appropriate (debole illuminamento, mancanza di uniformità, abbagliamento fastidioso ecc.).determina un inevitabile affaticamento visivo.

49 Vedi capitolo 3.2 Principi della VISIONE

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Tale affaticamento interessa il sistema nervoso centrale, in relazione allo sforzo richiesto per interpretare segnali ambigui o non sufficientemente nitidi; ed il sistema muscolare per lo sforzo di mantenere una postura non corretta adottata al fine di ridurre la distanza dal compito visivo, oppure per evitare di essere distratti o di essere disturbati da riflessi fastidiosi.

Riguardo i requisiti illuminotecnici degli ambienti l'illuminazione mediante luce naturale od artificiale deve fornire le condizioni ottimali per lo svolgimento del compito visivo richiesto anche quando si distoglie lo sguardo dal compito o per riposo o per una variazione del compito stesso. Situazioni particolari possono richiedere requisiti specifici.

L'impressione visiva di un interno è influenzata dall'aspetto delle seguenti superfici nel campo visivo: a) oggetti visivi principali: per esempio i compiti, i visi delle persone e gli arredi; b) grandi superfici all'interno dell'ambiente: pareti, soffitti, pavimenti, finestre (di notte) e superfici di arredi e

macchinari; c) sorgenti di luce: apparecchi di illuminazione e finestre (di giorno).

In un sistema di lavoro, il campo visivo dell'operatore è diverso a seconda che egli sia concentrato sul compito o che guardi lontano; se ne deduce come l'illuminazione del compito e quella dell'ambiente devono essere distinte al fine di evitare:. distrazione ed adattamento sfavorevole e situazioni di disagio visivo durante lo svolgimento del

compito; di conseguenza l’illuminazione deve:

incrementare la prestazione visiva50; e contribuire a migliorarne le condizioni ambientali.

Figura 62: Esempio di corretta illuminazione: lo studio

Importante diviene quindi lo studio ergoftalmico del posto di lavoro per cui è necessario mantenere all'interno del "campo visivo professionale" dell'operatore, la presenza di valori contenuti dei rapporti di luminanza, in particolare nell'area della visione distinta. Occorre poi evitare il continuo ed intenso lavoro di dilatazione-costrizione pupillare e di adattamento retinico, che possono provocare stati di affaticamento e di irritazione oculare.

Bisogna progettare l’ambiente in modo da permettere al fruitore di osservare durante il lavoro anche immagini poste a distanza maggiore di 6 m, in modo da ottenere un rilasciamento, e perciò un riposo, delle strutture che regolano l'accomodazione e la convergenza, intensamente attivate nella visione ravvicinata.

50 Ai fini del compito visivo sono fattori generalmente rilevanti i contrasti di luminanza e i contrasti cromatici; questi

ultimi possono essere impiegati per migliorare la prestazione visiva, soprattutto quando i contrasti di luminanza sono contenuti

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L’illuminazione di un ambiente deve essere appropriata all’attività che dovrà svolgersi al suo interno il quale deve risultare visivamente piacevole e privo di abbagliamento. Gli obiettivi da perseguire, mediante l'appropriata illuminazione dell'ambiente, includono la necessita di:

⋅ ottenere una adeguata luminosità dello spazio in modo che si possano percepire con chiarezza gli oggetti all'interno

⋅ garantire condizioni di sicurezza e di facilita di movimento all'interno dell'ambiente stesso ⋅ favorire la concentrazione dell'osservatore sull'area del compito visivo ⋅ prevedere aree di luminanza (leggermente) inferiore a quella delle aree relative al compito

visivo per consentire un adeguato riposo della vista ⋅ determinare un buon modellato soprattutto dei visi ed ammorbidire le ombre dure

mediante un appropriato equilibrio tra luce direzionale e diffusa ⋅ rendere naturali i colori delle persone e degli arredi dell'interno mediante l'impiego di

sorgenti di luce con buone caratteristiche di resa del colore; ed inoltre adeguare le caratteristiche delle sorgenti di luce artificiale al livello di illuminamento

⋅ ottenere una piacevole varietà di luminanze e di colori per contribuire al benessere degli occupanti ed alla riduzione dello stress da lavoro (per la definizione di stress da lavoro, vedere ISO 6385); una soluzione e quella di prevedere, nell'ambiente visivo, aree di luminanza diversa, rispetto alla media, poste fuori del campo di osservazione del compito visivo;

⋅ favorire in linea di massima la pulizia mediante la scelta di colori chiari

I valori di illuminamento consigliati per differenti compiti ed attività, necessari per ottenere soddisfacenti prestazioni visive ed il raggiungimento delle condizioni di benessere, definiti in relazione alle esigenze visive del compito ed alla capacità visiva dei soggetti sono riportati nella tabella seguente.

Tipo di area, compito o attività Intervallo di illuminamento (lux)

Aree esterne di circolazione e lavoro 20 30 50 Aree di circolazione, semplice orientamento o brevi visite temporanee

50 100 150

Locali non usati con continuità per scopi di lavoro 100 150 200 Compiti con semplici requisiti visivi 200 300 500 Compiti con requisiti visivi medi 300 500 750 Compiti con requisiti visivi di precisione 500 750 1000 Compiti con requisiti visivi difficili 750 1000 1500 Compiti con requisiti visivi speciali 1000 1500 2000 Svolgimento di compiti visivi molto precisi >2000

Tabella 20: Illuminamenti consigliati Per ogni tipo di compito o attività sono riportati tre valori (per una descrizione più dettagliata

dei livelli di illuminamento consigliati si fa riferimento alle tabelle proposte nel capitolo 4.6: L’illuminamento).

I valori più elevati possono essere assunti a riferimento: ⋅ in presenza di modesti valori del fattore di riflessione o di contrasto; ⋅ quando gli errori commessi nell'esecuzione del compito comportano conseguenze rilevanti; ⋅ quando la prestazione visiva è critica; ⋅ nei casi in cui la precisione o una maggiore produttività rivestono grande importanza; ⋅ quando la capacita visiva del soggetto lo renda necessario.

Particolare attenzione bisogna porre, in fase progettazione, sulla qualità riflettenti dei materiali di rivestimento degli ambienti allo scopo di evitare che le luminanze delle singole superfici risultino eccessivamente diverse tra loro.

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In generale si identificano tre zone distinte: la prima è quella propria del campo visivo interessato, la seconda indica una zona immediatamente prossima alla prima e la terza è l’intorno generale che può rientrare nel campo visivo.

Per ottenere un comfort visivo, la prima zona non deve superare una luminanza di 200 cd/m2 (i valori raccomandati sono compresi tra 40 e 120 cd/m2). L’area adiacente (zona) da 1 a 1/3 del valore del campo visivo specifico (minimo 1/5).

L’area generale (zona 3) da 1/5 a 5 volte il campo visivo specifico (minimo da 1/10 a 10 volte). Bisogna inoltre considerare i seguenti apporti di luminanza:

tra compito visivo ed immediati intorni, quali le superfici di un banco o di una scrivania; tra soffitto, pareti e pavimento; tra apparecchi di illuminazione e finestra

Figura 63: Identificazione delle zone in rapporto alla luminanza

I valori di riflessione raccomandati per le superfici interne degli ambienti sono riportati nella tabella seguente

superficie potere riflettente soffitto 60/90% pareti 35/60% pavimenti 15/35% arredi 25/45% Rivestimenti, tendaggi 45/85%

Tabella 21: Poteri riflettenti delle pareti

6.3 IL CONTRASTO

Ove possibile, il compito e l'illuminazione devono essere progettati al fine di fornire un contrasto ottimale. La sensibilità al contrasto aumenta, entro certi limiti, con la luminanza; essa è anche influenzata dal gradiente di

luminanza o colore al contorno tra due zone adiacenti. Risulta ridotta quando si hanno variazioni molto forti di luminanza e di colore nel campo visivo che circonda l'immagine da osservare. Per esempio, se una sorgente di luce intensa si trova nel campo visivo, la presenza di condizioni di abbagliamento debilitante ad essa connesse può provocare una riduzione apparente del contrasto. Una riduzione del contrasto si può verificare anche quando si distoglie lo sguardo dal compito visivo per dirigerlo verso una zona più illuminata, poiché si verifica una variazione rapida dell'adattamento dell'occhio (adattamento transitorio).

Se a causa di riflessioni dovute a superfici di elevata luminanza51 il contrasto può essere ridotto un’appropriata diffusione dell'illuminazione all’interno di un ambiente, per esempio per riflessione sul soffitto e/o sulle pareti, può attenuare la riduzione del contrasto.

51 Tale condizione produce una sorta di velo che impedisce o disturba la visione (da cui il termine riflessioni di velo).

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Figura 64: Influenza del contrasto

6.4 L’ABBAGLIAMENTO

Valori elevati del fattore di riflessione delle superfici in presenza di sorgenti ad elevata luminanza ed anche alla presenza di superfici con riflessione di tipo speculare come nel caso di metallo lucidato, possono essere causa di fenomeni di abbagliamento fastidioso e/o debilitante i quali determinano una inevitabile riduzione del comfort visivo con conseguente senso di disagio del fruitore, che tende ad aumentare con il tempo ed a costituire un fattore di affaticamento.

Normalmente la luminanza dello sfondo determina il livello generale dell'adattamento dell'occhio; quando la sorgente luminosa e di grandi dimensioni, come per esempio una finestra, si deve tener conto dell'effetto della luminanza della sorgente sul livello di adattamento.

Particolare attenzione bisogna porre riguardo l’abbagliamento debilitante che interviene abitualmente quando una sorgente di debole luminanza ma di appropriata superficie (o una piccola sorgente di elevata luminanza) è percepibile nell'intorno prossimo del compito visivo.

Un esempio è rappresentato dalla difficoltà che si incontra nella lettura di immagini a bassa luminanza poste di fronte o in prossimità di una finestra.

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Figura 65: Posizioni per evitare l’abbagliamento

Come è chiaramente visibile dalla precedente immagine una corretta posizione del posto di lavoro rispetto alla superficie vetrata di una finestra, nel caso di illuminazione esclusivamente naturale, può ridurre i problemi inerenti all’abbagliamento ed alle ombre.

6.5 LA PSICOLOGIA DEL COLORE

Il colore è un attributo della luce che contribuisce all’osservazione ed alla percezione dell’ambiente. Tra gli attributi della luce esso è notoriamente il più utile per identificare rapidamente e agevolmente gli oggetti situati nello spazio di lavoro. Nella progettazione illuminotecnica bisogna tener conto degli effetti psicologici del colore; negli ambienti con colori forti e saturi, la luce calda aumenta la forza del colore (il caso della luce naturale), mentre le luci fredde, smorzano i colori caldi e creano senso di spaziosità. In ogni caso sarà sempre utile in fase progettuale utilizzare colori con buona capacità di riflessione, sia per un risparmio energetico che per un addolcimento delle ombre provocate sia dalla luce proveniente dalle finestre che da quella artificiale.

Colore Fattore di rifl. (%)bianco 70/85% Grigio chiaro 45/65% Grigio 25/40% grigio scuro 10/20% nero 5% giallo 65/75% bruno giallastro 30/50% marrone scuro 10/25% verde chiaro 30/55% verde scuro 10/25% rosa 45/60% rosso chiaro 25/35% rosso scuro 10/20% celeste 30/55% blu 10/25%

Tabella 22: Fattori di riflessione dei colori Per quanto concerne lo studio cromatico delle superfici è possibile rifarsi ad uno studio condotto

da Maurice Deribere e dalla National Chemical & Manufacturing Company, che si basa sulla scelta dei colori in base all’orientamento , alla posizione delle finestre ed al numero delle finestre stesse del locale preso in considerazione52. Il procedimento è il seguente: determinare l’orientamento delle finestre se queste si trovano su di un solo lato del locale. Se il locale ha le finestre su più lati, si determina l’esposizione con un compromesso: per finestre su pareti adiacenti si esegue una media fra le due direzioni (es. con finestre sul lato sud e sul lato ovest, l’esposizione sarà sud-ovest).

52 Tale sistema nasce da uno studio condotto per la scelta cromatica delle dominanti cromatiche in aule scolastiche ed è stato progettato tenendo in considerazione il sistema percettivo degli studenti. I buoni risultati ottenuti hanno esteso l’uso di questo tipo di progettazione cromatica, con le dovute modificazioni, a tutto il mondo del lavoro.

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Se invece le finestre si trovano su lati opposti o su tre lati, si sceglie il sud come esposizione anche se la parete sud non presenta aperture. Tutte le combinazioni possibili possono essere per semplicità rappresentate nel diagramma e nella tabella seguente:

Figura 66: Combinazione dei colori in funzione dell’esposizione delle finestre

SCHEMA DELLE DOMINANTI

Soffitto Pareti A bianco verdemare, avorio B bianco verde salvia chiaro, avorio C bianco grigio, verde salvia, grigio freddo D bianco crema, beige, avorio scuro E bianco grigio caldo, beige caldo F bianco avorio scuro, azzurro G bianco avorio, beige, grigio caldo H bianco grigio rosato, beige rosato, verde salvia, grigio caldo I bianco grigio, verde salvia, avorio L bianco giallo, verde mare chiaro e scuro, avorio

Tabella 23: Schema delle dominanti 6.5.1 LA PSICOLOGIA DEL COLORE NEL LAVORO

Per un corretto svolgimento delle attività lavorative occorre valutare attentamente la sensazione del colore; spesso si cerca con lo sguardo un colore o inconsciamente ci si sofferma su una tinta che ci coinvolge con il suo potere evocativo. La sensazione del colore dovrà essere presa in considerazione nella progettazione di tutti gli ambienti ed in particolare per quelli destinati ad attività lavorative di qualunque genere. In particolare negli uffici, è indispensabile che i soffitti non incombano spiacevolmente e non appesantiscano l’atmosfera in modo da produrre senso di schiacciamento o di limitatezza dell’aria respirabile per chi svolge un’attività, come è anche necessario che gli stessi non producano all’inverso una situazione di fuga da uno spazio in cui non si riesce a definire una propria dimensione di lavoro indispensabile per una corretta concentrazione.

Sarà quindi corretto, negli ambienti lavorativi, l’uso di colori chiari che contribuiscono a dare respiro ed equilibranti proporzioni, mentre i particolari dell’arredamento, gli oggetti e gli spazzi di raccordo, di transito e i servizi riusciranno più confortevoli se si useranno colori caldi che, nei limiti di un potere riflettente adeguato, avvicinano le superfici e ne rendono più piacevole l’uso quotidiano.

Per l’attività intellettuale che si svolge in tutti i livelli negli uffici si deve privilegiare la possibilità di una serena, distesa, producente concentrazione da cui sia bandita ogni possibilità di affaticamento fisico e mentale ed ogni forma di aggressività che potrebbe condurre a lungo andare a pericolose nevrosi.

In base alle superiori premesse l’occhio non lo si deve considerare esclusivamente come un semplice apparecchio di ricezione a servizio del cervello ma i suoi processi fotochimici assumono un ruolo primario nella regolazione biochimica dell’intero organismo e della psiche in particolare.

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Figura 67: Influenza del colore delle pareti

Esiste, infatti, una via di comunicazione nervosa, fino ad oggi assai poco considerata e non connessa con la capacità visiva, che va direttamente dall'occhio a quella porzione di cervello chiamata ipotalamo e che controlla l'ipofisi. L'ipofisi e l'ipotalamo esercitano una azione congiunta di controllo quasi completo di tutte le altre ghiandole endocrine (tiroide, gonadi, surrenali).

Dell’aspetto cromatico delle superfici se ne occupa anche la norma UNI 10530 la quale, così recita a riguardo: In particolari attività professionali l’aspetto dell’immagine colorata e la discriminazione tra i colori possono assumere una notevole importanza.

Occorre quindi per un corretto svolgimento delle attività lavorative valutare attentamente la sensazione del colore; spesso si cerca con lo sguardo un colore o inconsciamente ci si sofferma su una tinta che ci coinvolge con il suo potere evocativo. La sensazione del colore dovrà essere presa in considerazione nella progettazione di tutti gli ambienti ed in particolare per quelli destinati ad attività lavorative di qualunque genere. In particolare negli uffici, è indispensabile che i soffitti non incombano spiacevolmente e non appesantiscano l’atmosfera in modo da produrre senso di schiacciamento o di limitatezza dell’aria respirabile per chi svolge un’attività, come è anche necessario che gli stessi non producano all’inverso una situazione di fuga da uno spazio in cui non si riesce a definire una propria dimensione di lavoro indispensabile per una corretta concentrazione.

Sarà quindi corretto, negli ambienti lavorativi, l’uso di colori chiari che contribuiscono a dare respiro ed equilibranti proporzioni, mentre i particolari dell’arredamento, gli oggetti e gli spazzi di raccordo, di transito e i servizi riusciranno più confortevoli se si useranno colori caldi che, nei limiti di un potere riflettente adeguato, avvicinano le superfici e ne rendono più piacevole l’uso quotidiano.

Per l’attività intellettuale che si svolge in tutti i livelli negli uffici si deve privilegiare la possibilità di una serena, distesa, producente concentrazione da cui sia bandita ogni possibilità di affaticamento fisico e mentale ed ogni forma di aggressività che potrebbe condurre a lungo andare a pericolose nevrosi.

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In base alle superiori premesse l’occhio non lo si deve considerare esclusivamente come un semplice apparecchio di ricezione a servizio del cervello ma i suoi processi fotochimici assumono un ruolo primario nella regolazione biochimica dell’intero organismo e della psiche in particolare. Esiste infatti una via di comunicazione nervosa, fino ad oggi assai poco considerata e non connessa con la capacità visiva, che va direttamente dall'occhio a quella porzione di cervello chiamata ipotalamo e che controlla l'ipofisi. L'ipofisi e l'ipotalamo esercitano una azione congiunta di controllo quasi completo di tutte le altre ghiandole endocrine (tiroide, gonadi, surrenali).

Figura 68: Interrelazione colori/emotività

Ne consegue che: L'ipotalamo è in grado di controllare direttamente, oppure indirettamente tramite l'ipofisi, un ampio ventaglio di funzioni dell'organismo di cui oggi si sa che sono condizionate dalla percezione della luce.

Tra tali funzioni annoveriamo: la crescita e il metabolismo, la regolazione dell'equilibrio idrico e della temperatura, i livelli di glucosio, le funzioni sessuali e riproduttive. Inoltre controlla anche altre funzioni vitali come l'appetito, l'alternarsi dello stato di veglia e di sonno, certi aspetti comportamentali come la paura, l'ira, le pulsioni sessuali e l'equilibrio tra le due componenti del sistema nervoso autonomo: il simpatico e il parasimpatico. Gli effetti che la luce ha sull’uomo, sono testimoniati da numerosi documenti molti dei quali antichi (da Plinio a Jonh Ott sino agli studi di Fritz Hollwich) e da recenti esperimenti mediante i quali è stato possibile dimostrare che nella luce solare le radiazioni dominanti variano al variare delle ore della giornata53 influendo in maniera differente sull’organismo. Chi conosce, anche solo minimamente, l'azione dei singoli colori sulla nostra persona, non può fare a meno di notare che le radiazioni solari accompagnano la nostra giornata in modo assai mirabile.

La natura infatti, ci fornisce per esempio, radiazioni indaco che favoriscono l'azione mentale all'aurora; radiazioni che vanno dal giallo al rosso, quindi sempre più stimolanti per la nostra attività fisica, col trascorrere delle ore della giornata; ed infine radiazioni violette, ad azione equilibrante sul nostro tono neuro-muscolare, nella prima parte della notte, cioè nel momento in cui inizia il riposo. A conclusione di questo capitolo dedicato al cromatismo della luce aggiungiamo alcuni cenni sull’effetto dei colori sulla sfera fisica ed emotiva al fine di giungere ad una corretta scelta di un colore per un corretto svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa.

Bianco Essendo la sintesi di tutte le radiazioni dello spettro è però un colore molto stimolante che facilmente può risultare irritante.

Nero Può essere definito come l’assenza di ogni radiazione riflessa e secondo alcuni studiosi rappresenta la scissione dell’IO e può perciò portare alla depressione totale.

Rosso E’ il colore più caldo dello spettro luminoso scatenando nell’organismo uno stato di tensione.

Arancione Tale colore determina ottimismo ed entusiasmo ed ha un effetto equilibratore negli stati depressivi con conseguente sensazione di benessere.

Giallo Tale colore rinforza i nervi ed esercita quindi un’azione benefica sul cervello aumentandone le capacità percettive. Esso evoca inoltre gioia, spensieratezza, allegria, successo.

53 Blu al mattino presto, gialle a mezzogiorno, rosse alla sera. Le radiazioni verdi predominano tra il mattino e

mezzogiorno, mentre le radiazioni arancione sono più abbondanti tra mezzogiorno e la sera. Infine è all'aurora che vi è una maggiore quantità di raggi indaco mentre all'inizio della notte si riscontrano le radiazioni violette perché in questo momento esiste nell'atmosfera notturna una mescolanza uguale di raggi blu del mattino e di raggi rossi della sera.

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Verde E’ il colore della vita, dell’equilibrio e può essere definito come armonizzatore, rinfrescante, rigeneratore e calmante ed è indicato in tutti i casi di disturbi attentivi da iperattività o da interferenze emozionali importanti; aiuta quindi a liberarsi dei problemi mentali od emozionali importanti.

Blu E’ un colore ad effetto distendente e rilassante soprattutto sui muscoli, riduce quindi tensioni e spasmi a livello muscolare. Un blu acceso può però provocare stanchezza e depressione.

Viola E’ il colore con la maggior frequenza d’onda quindi è il più carico di energia e risulta eccellente per moderare l’irritabilità, la collera, e tutte le emozioni violente e permette di diminuire l’angoscia e la paura. Deve essere usato in tutti quei casi nei quali sia necessario stimolare una maggiore concentrazione attentiva sia a livello di attenzione selettiva che a livello di attenzione prolungata.

Indaco Cromaticamente è una combinazione di blu e di viola. E’ il colore dell’energia intensa in senso cosmico. L’energia contenuta in questo colore è infatti di capitale importanza per lo sviluppo della vita. L’indaco è un colore rinfrescante e astringente ed un efficace tonico muscolare. Stimola l’acutezza dei cinque sensi e l’intuizione mentre calma l’eccitazione mentale. Si è inoltre scoperto che l’indaco sembra avere, unico tra tutti i colori, un effetto filtrante sulla radiatività.

Tabella 24: Effetti psicologici del colore

6.6 VOLUME DI OFFESA

Le superfici (ad esempio carta e inchiostro) solo raramente sono perfettamente diffondenti. Spesso sono piuttosto di tipo diffondente-speculare presentano cioè una intensità maggiore in direzione speculare rispetto ai raggi incidenti. Questo riduce il contrasto, e quindi la prestazione visiva, per un osservatore posto specularmente rispetto alla sorgente (velo luminoso). Si introduce allora il concetto di volume d'offesa, definito come il volume che comprende tutte le direzioni speculari a quelle di osservazione dell'area di lavoro, o di osservazione.

Per evitare la perdita di prestazione dovuta al velo luminoso, è opportuno che tutte le sorgenti luminose siano collocate al di fuori di questo volume specie in presenza di superfici con elevato comportamento speculare. Nelle figure seguenti sono mostrate due esempi di corretta disposizione e scelta degli apparecchi illuminanti. L'apparecchio A della Figura 70 presenta una curva fotometrica asimmetrica, in modo da ridurre le perdite di flusso luminoso attraverso la finestra; l'apparecchio B presenta una curva simmetrica (ad "ali di pipistrello") e attenua le ombre causate dal corpo A. Non ci sono sorgenti di luce nel volume d'offesa.

6.6.1 POSIZIONE DELL’APPARECCHIO ILLUMINANTE

La posizione del corpo luminoso può determinare effetti dannosi o indesiderabili di abbagliamento visivo. Di ciò si deve tenere conto nel considerare l’ergonomia dei posti di lavoro.

L’illuminazione localizzata può dare luogo ad abbagliamento per contrasto qualora l’illuminazione del fondo non sia adeguata.

Per il posizionamento dei corpi luminosi si usano le curve di Sollner. In Tabella 25 si ha la classificazione della qualità visiva.

Tabella 25: Classe di qualità visiva

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Figura 69: Volume di offesa

Figura 70: Volume di offesa in un posto di lavoro

Con riferimento alla Figura 72, scelto un valore di illuminamento nella riga corrispondente alla qualità visiva desiderata, proseguendo verso il basso nei diagrammi di Figura 73 o di Figura 74, a seconda del tipo di apparecchio illuminante, si ottiene una linea guida che riporta l’angolo limite di abbagliamento al variare della luminanza dell’apparecchio illuminante.

I Costruttori di corpi illuminanti forniscono i diagrammi si Sollner per la loro produzione.

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Figura 71: Corretta posizione dell’apparecchio illuminante

Figura 72: Definizione di angolo di abbagliamento

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Figura 73: Curve di luminanza A: apparecchi senza bordo luminoso.

Figura 74: Curve di luminanza B: apparecchi con bordo luminoso

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7. ELEMENTI PER IL PROGETTO DI IMPIANTI DI ILLUMINAZIONE

Le fasi progettuali possono essere così esplicitate: 1. Analisi del progetto o dello stato dei luoghi: definizione della immagine aziendale e tipo di

atmosfera che si vuole ottenere. 2. Analisi ergonomica: medicina del lavoro, incidenti, malattie. 3. Analisi dei comportamenti: esperienze precedenti, assenteismo, pause consce ed inconsce sul

lavoro, atteggiamenti di accettazione o rifiuto dell'ambiente di lavoro. 4. Analisi prossemica: dimensioni dei locali, numero di persone per ogni spazio delimitato. 5. Analisi sulla acustica degli ambienti: materiali di finiture, volume dei locali, rumori presenti, suono,

comunicazioni parlate o simboliche. 6. Analisi dei sistemi di sicurezza: organizzazione dei movimenti, segnaletica, abbandono repentino del

posto di lavoro. 7. Analisi delle installazioni tecniche: impianto elettrico, idraulico, altri impianti tecnici. 8. Analisi dei sistemi di aerazione e climatizzazione: ricambi d'aria, condizionamento, possibilità di

integrare il sistema di condizionamento con quello relativo agli apparecchi di illuminazione.

Figura 75: Percorsi progettuali

In relazione alle categoria dei posti di lavoro: 1. Analisi dei compiti visivi: attiene alle attivati visive richieste per svolgere bene un determinato lavoro

in un certo spazio di tempo. 2. Analisi prossemica: distanza fra due o più operatori, isolamento o raggruppamento di più persone in

certi spazi. 3. Analisi della organizzazione degli arredi: sistemazione ritmica o aritmica degli arredi, spazi e volumi

che circondano il posto di lavoro, organizzazione degli stimoli visivi presenti. Controllo della luce naturale: distanza dei posti di lavoro dalle finestre, abbagliamento, integrazione artificiale della luce naturale o eliminazione della stessa.

Nell’immagine di Figura 76 sono evidenziati i livelli di luminanza e illuminazione consigliati per un posto di lavoro con normale difficoltà percettiva.

7.1 CRITERI ILLUMINOTECNICI

Le condizioni di illuminazione dell'ambiente visivo influiscono sulle funzioni visive fisiologiche (prestazione visiva), su quelle psicologiche (benessere) e, di conseguenza, possono contribuire alla prestazione, alla sicurezza, al benessere ed al senso di soddisfazione dell'uomo nel proprio ambiente.

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Lo svolgimento di un compito visivo diviene più agevole all'aumentare della luminanza a partire da una soglia definita dalla sensibilità dell'occhio al contrasto. In condizioni normali, un aumento dell'illuminamento induce un miglioramento della prestazione visiva inizialmente molto rapido (da 0 a 100 lux) e che va successivamente riducendosi fino ad annullarsi.

La prestazione visiva relativa ad un lavoro di precisione e/o a debole contrasto può essere in parte migliorata mediante elevati livelli di luminanza, mentre l'esecuzione di compiti visivi su superfici di dimensioni rilevanti o a forte contrasto può essere effettuata in modo confortevole anche con livelli di luminanza non elevati. In generale si rileva che l’occhio è lento ed incerto nella percezione degli oggetti e dei colori particolari in condizione di scarsa illuminazione; crescendo l’illuminazione da 1 fino a 100 lux, l’occhio umano acquista una maggior velocità di percezione.

Aumentando l’illuminazione oltre i 100 lux, si ha sempre un vantaggio per la visione, ma l’incremento è minore. Da notare che verso i 100 lux anche le persone astigmatiche vedono come le persone normali, e ciò è molto importante se si pensa che circa il 50% della popolazione mondiale ha gli occhi astigmatici.

Con la riduzione dei livelli di illuminamento, i danni dovuti a scarso rendimento si identificano nell’aumento degli errori, delle pause inconsce, nell’insorgere di malattie anche di tipo psicosomatico e dei casi di incidenti ed infortuni. Appare evidente come un lavoro prolungato svolto in condizioni di illuminamento non appropriate (debole illuminamento, mancanza di uniformità, abbagliamento fastidioso ecc.).determina un inevitabile affaticamento visivo. Tale affaticamento interessa il sistema nervoso centrale, in relazione allo sforzo richiesto per interpretare segnali ambigui o non sufficientemente nitidi; ed il sistema muscolare per lo sforzo di mantenere una postura non corretta adottata al fine di ridurre la distanza dal compito visivo, oppure per evitare di essere distratti o di essere disturbati da riflessi fastidiosi.

7.1.1 REQUISITI ILLUMINOTECNICI

L’illuminazione di un interno mediante luce naturale ed artificiale deve fornire le condizioni ottimali per lo svolgimento dei compito visivo richiesto anche quando si distoglie lo sguardo dal compito o per riposo o per una variazione dei compito stesso. Situazioni particolari possono richiedere requisiti specifici. L'impressione visiva di un interno è influenzata dall'aspetto delle seguenti superfici nel campo visivo: a) oggetti visivi principali: per esempio i compiti, i visi delle persone e gli arredi; b) grandi superfici all'interno dell'ambiente: pareti, soffitti, pavimenti, finestre (di notte) e superfici di

arredi e macchinari; c) sorgenti di luce: apparecchi di illuminazione e finestre (di giorno).

7.1.2 ILLUMINAZIONE E POSTO DI LAVORO

In un sistema di lavoro, il campo visivo dell'operatore è diverso a seconda che egli sia concentrato sul compito o che guardi lontano; l'illuminazione dei compito e quella dell'ambiente devono essere distinte. L'efficacia dell'illuminazione dei compito è giudicata principalmente sulla base della prestazione visiva, che è influenzata dai parametri riportati nel §3.2.1.

Condizioni appropriate di illuminazione dell'ambiente possono: ⋅ evitare distrazione, adattamento sfavorevole e situazioni di disagio visivo durante lo svolgimento

dei compito; ⋅ essere assai utili per incrementare la prestazione visiva; ⋅ contribuire a migliorare le condizioni ambientali.

Ai fini dei compito visivo sono fattori generalmente rilevanti i contrasti di luminanza e i contrasti cromatici; questi ultimi possono essere impiegati per migliorare la prestazione visiva, soprattutto quando i contrasti di luminanza sono contenuti. Ambienti con apparecchiatura informatizzate dotate di schermi video

L'attività di un operatore ad un schermo video è caratterizzata, sotto il profilo ergoftalmologico, da due elementi: ⋅ - la fissità della sua posizione di lavoro; ⋅ - il carattere peculiare delle immagini e degli oggetti che deve osservare.

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Dalla prima deriva un campo visivo ben delimitato e poco variabile nel tempo (campo visivo professionale), all'interno dei quale sono normalmente rilevabili gran parte degli elementi di disagio relativi all'ambiente luminoso che possono contribuire a produrre affaticamento visivo o a favorire insorgenza di disturbi astenopici.

Dal secondo consegue un intenso impegno visivo (fissazione di "mire" poste a distanza inferiore al metro, statiche, in parte dotate di luce propria) che in alcune situazioni (individuali ed ambientali) può, per se, provocare stati di insofferenza alla luce (fotofobia).

Pertanto, la progettazione illuminotecnica di ambienti di lavoro ove si faccia uso di apparecchiature informatizzate dotate di schermi video (in particolare ove vengono utilizzati sistemi CAD, CAM, CAE ecc. o sistemi di "Computer Graphic"), deve principalmente rispettare i due criteri generali connessi alle caratteristiche fisiologiche dell'apparato visivo umano, di seguito riportati.

Il primo è relativo alla necessità di mantenere all'interno dei "campo visivo professionale" dell'operatore, la presenza di valori contenuti dei rapporti di luminanza, in particolare nell'area della visione distinta. Occorre poi evitare il continuo ed intenso lavoro di dilatazione-costrizione pupillare e di adattamento retinico, che possono provocare stati di affaticamento e di irritazione oculare. Il secondo criterio riguarda la necessità, ove risulti possibile, di permettere all'operatore di osservare durante il lavoro anche immagini poste a distanza maggiore di 6 m, in modo da ottenere un rilasciamento, e perciò un riposo, delle strutture che regolano l'accomodazione e la convergenza, intensamente attivate nella visione ravvicinata.

7.1.3 ILLUMINAZIONE DELL'AMBIENTE

La relazione tra luminanza e colore delle superfici dell'ambiente deve essere appropriata alla funzione dell'ambiente stesso, il quale deve risultare visivamente piacevole e privo di abbagliamento. Gli obiettivi da perseguire, mediante l'appropriata illuminazione dell'ambiente, includono (non in ordine di priorità) la necessità di: a) ottenere una adeguata luminosità dello spazio in modo che si possano percepire con chiarezza gli

oggetti all'interno; b) garantire condizioni di sicurezza e di facilità di movimento all'interno dell'ambiente stesso; c) favorire la concentrazione dell'osservatore sull'area del compito visivo; d) prevedere aree di luminanza (leggermente) inferiore a quella delle aree relative al compito visivo

per consentire un adeguato riposo della vista; e) determinare un buon modellato soprattutto dei visi ed ammorbidire le ombre dure mediante un

appropriato equilibrio tra luce direzionale e diffusa; f) rendere naturali i colori delle persone e degli arredi dell'interno mediante l'impiego di sorgenti di

luce con buone caratteristiche di resa dei colore; ed inoltre adeguare le caratteristiche delle sorgenti di luce artificiale al livello di illuminamento;

g) ottenere una piacevole varietà di luminanze e di colori per contribuire al benessere degli occupanti ed alla riduzione dello stress da lavoro (per la definizione di stress da lavoro, vedere ISO 6385); una soluzione è quella di prevedere, nell'ambiente visivo, aree di luminanza diversa, rispetto alla media, poste fuori dei campo di osservazione dei compito visivo;

h) favorire in linea di massima la pulizia mediante la scelta di colori chiari.

Nel caso di contrasto tra i fattori sopra elencati occorre un accettabile compromesso sulla base della sicurezza e dei benessere.

7.1.4 I VALORI DELL’ILLUMINAMENTO

Nel prospetto 1 sono riportati i valori di illuminamento per differenti compiti ed attività. Essi mettono in relazione le esigenze visive dei compito, la capacità visiva dei soggetti e la necessità di un uso razionale dell'energia; consentono di ottenere soddisfacenti prestazioni visive e contribuiscono a raggiungere condizioni di benessere.

Per ogni tipo di compito o attività sono riportati tre valori. I valori più elevati possono essere assunti a riferimento:

− in presenza di modesti valori dei fattore di riflessione o di contrasto; − quando gli errori commessi nell'esecuzione dei compito comportano conseguenze rilevanti;

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− quando la prestazione visiva è critica; − nei casi in cui la precisione o una maggiore produttività rivestono grande importanza; − quando la capacità visiva dei soggetto lo renda necessario.

I valori minori possono essere assunti a riferimento quando: − il fattore di riflessione o l'entità dei contrasto sono elevati; − la velocità o la precisione non risultano particolarmente importanti; − il compito viene eseguito solo occasionalmente.

Il valore di illuminamento minimo da realizzare nel caso di mansioni che richiedono lunghi periodi di lavoro è assunto pari al livello di illuminamento al di sotto dei quale un interno di lavoro viene generalmente ritenuto "buio" (valori di illuminamento minori di 200 lux).

Quando sono previsti valori di illuminamento elevati, i sistemi di illuminazione possono essere costituiti da combinazioni appropriata di illuminazione generale e localizzata. Compiti caratterizzati da apprezzabili difficoltà o che implichino requisiti illuminotecnici particolari (per esempio illuminazione direzionale) possono richiedere una illuminazione addizionale locale, vedi Tabella 20.

7.1.5 LUMINANZA DELLE SUPERFICI INTERNE

La luminanza di una superficie dipende dalle caratteristiche dell'illuminazione e da quelle di riflessione della superficie stessa.

Figura 76: Ergonomia visiva del posto di lavoro

Il progetto illuminotecnico di un interno deve prendere in considerazione i valori di illuminamento e quelli di luminanza delle diverse superfici. Deve essere inoltre prestata particolare attenzione ai seguenti rapporti di luminanza: a) tra compito visivo ed immediati intorni, quali le superfici di un banco o di una scrivania; b) tra soffitto, pareti e pavimento; c) tra apparecchi di illuminazione e finestre.

La luminanza degli intorni immediati dei compito visivo deve essere, se possibile, minore di quella dei compito, ma non minore, indicativamente, di 1/3 di questo valore. Negli interni degli ambienti di lavoro il fattore di riflessione diffusa dei soffitto (o dei controsoffitto) deve essere elevato, specialmente se sono impiegati apparecchi di illuminazione da incasso, al fine di ridurre i rischi di abbagliamento diretto e riflesso e di contenere le eventuali riflessioni di velo, vedi Tabella 21.

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Particolare attenzione bisogna porre, in fase progettazione, sulla qualità riflettenti dei materiali di rivestimento degli ambienti allo scopo di evitare che le luminanze delle singole superfici risultino eccessivamente diverse tra loro. In generale si identificano tre zone distinte: la prima è quella propria del campo visivo interessato, la seconda indica una zona immediatamente prossima alla prima e la terza è l’intorno generale che può rientrare nel campo visivo.

Per ottenere un comfort visivo, la prima zona non deve superare una luminanza di 200 cd/m2 (i valori raccomandati sono compresi tra 40 e 120 cd/m2). L’area adiacente (zona) da 1 a 1/3 del valore del campo visivo specifico (minimo 1/5). L’area generale (zona 3) da 1/5 a 5 volte il campo visivo specifico (minimo da 1/10 a 10 volte), vedi Figura 76.

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8. L’ILLUMINAZIONE NATURALE

In questi ultimi anni si è rinnovato l’interesse nei riguardi della qualità ambientale degli interni con particolare riferimento all’illuminazione di tipo naturale; aspetto questo che ha ricevuto una sistemazione in termini di strumenti conoscitivi e di controllo a partire dalla metà del XIX sec. In tale secolo infatti venne affrontato per la prima volta il problema degli ambienti malsani tipici delle grandi città industriali europee e nord americane. L’utilizzo della luce naturale trae origine dalle seguenti motivazioni: ⋅ igieniche; la finestra ha lo scopo di illuminare ed aerare gli ambienti chiusi e consentire inoltre ai

fruitori la vista dell’esterno circostante. ⋅ psicologiche; è stato dimostrato il maggior rendimento dell’individuo, conseguente allo svolgimento

di attività lavorative in ambienti illuminati da luce naturale; ⋅ energetiche; per ridurre l’utilizzo di luce artificiale e di conseguenza la spesa di energia elettrica.

Appare evidente come una corretta illuminazione di interni mediante luce naturale deve considerare, per la definizione di un ambiente idoneo alle esigenze dell’individuo, sia l’aspetto quantitativo del problema, legato al raggiungimento di un adeguato valore di illuminamento, sia quello qualitativo della materia, aspetto quest’ultimo indispensabile per assicurare agli operatori più confortevoli condizioni di lavoro.

Il problema del comfort degli ambienti ed in particolare la corretta Illuminazione sfruttando esclusivamente la radiazione solare non è un fatto nuovo in architettura, basti pensare che sin dai tempi remoti il problema del soleggiamento ha condizionato spontaneamente le culture tradizionali; il clima e la luce del sole sono da sempre fattori che incidono sulla scelta di determinate tipologie abitative.

Vitruvio54 infatti nel VI libro "De Architettura" affronta il problema dell'orientamento delle finestre e fornisce alcune indicazioni su come verificare la quantità di luce naturale che entra all’interno di un ambiente attraverso una finestra in presenza di una ostruzione esterna: "Dal lato dal quale la luce dovrebbe entrare, si tracci una linea dalla sommità della parete che sembra ostruire la luce fino al punto in corrispondenza dei quale essa avrebbe dovuto essere introdotta, e se una considerevole porzione di cielo può essere vista quando uno guarda sopra tale linea, non ci sarà ostruzione della luce in tale situazione".

Con riferimento alle condizioni climatiche esterne sempre Vitruvio così recita nel I libro: Occorre poi che l’architetto conosca la scienza medica, in considerazione delle zone determinate dall’inclinazione dell’asse terrestre (in greco Klimata), e delle proprietà dell’aria e dei luoghi, che possono essere salubri o malsani, e delle acque; se non si prendono in considerazione infatti questi elementi non è possibile costruire alcuna abitazione salubre. Con la Rivoluzione Francese l’uomo del XVIII secolo pone come fine del proprio operare i “diritti dell’uomo”, ed il conseguente interesse per la salute dell’individuo porta alla riformulazione, mediante un approccio di tipo scientifico, del principio della triade vitruviana, ampliando di conseguenza il concetto di utilitas inglobando in essa l’idea di igiene e di comodità.

Nella seconda metà dell'ottocento viene clonato per la prima volta il concetto di comfort, al quale la modernità ha attribuito il significato di espressione della qualità della vita., ed il tema dell'igiene e della salubrità delle abitazioni e degli spazi di lavoro diventa una responsabilità sociale e, ad un tempo, una preoccupazione economica in relazione alla salute e quindi alla produttività dei lavoratori.

Sempre in tale periodo nei diversi paesi industrializzati, vengono emanati i primi regolamenti di igiene edilizia e urbana e l’edificazione può avere seguito solo dietro approvazione, da parte degli organi competenti, di un nuovo strumento di controllo: la licenza di abitabilità, che contempla, quasi sempre, il rispetto di standard di illuminazione naturale, soleggiamento e ventilazione, espressi per lo più in termini di distanze minime fra edifici, dimensioni delle aperture e delle vetrature, rapporti fra altezza di vano e larghezza del fronte.

54 I Romani stabilirono inoltre le prime norme sulle "distanze legali" fra le costruzioni e sul diritto ad aprire luci

e vedute, anticipando le più recenti norme presenti nei codici civili e nelle normative urbanistiche attuali. La distanza fra le costruzioni assume anche il significato di salvaguardia della possibilità di veduta, nelle più tarde norme stabilite per le "Nuove costruzioni nelle città marittime" in epoca giustiniana. le nuove costruzioni dovevano rispettare almeno una distanza di 100 piedi dalle preesistenti, in modo da non impedire a queste ultime la vista dei mare.'

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Ernest Flagg – Singer Building, New York, 1906-1908 - Ripresa in fase di costruzione

Ma la necessità di realizzare nuove e più confortevoli abitazioni55 ha determinato la lievitazione dei costi dei terreni edificabili ed il conseguente sfruttamento speculativo delle strette superfici del centro delle maggiori città industriali quali New York, Chicago, etc, con l’inevitabile sviluppo delle costruzioni in verticale56; i nuovi edifici, progettati per consentire l’ingresso della luce naturale all’interno degli ambienti adibiti ad uffici57, sono caratterizzati dal rivestimento delle facciate in mattone e da grandi finestre organizzate serialmente.

A seguito dell’evoluzione tecnologica l’altezza degli edifici cresceva vertiginosamente tanto che le strade diventavano sempre più scure con conseguente diminuzione di luce all’interno degli ambienti; per tale motivo l’architetto Ernest Flagg propose nel 1898 di lasciar avanzare verso la strada solo le parti basse dell’edificio e di limitare le alte torri a un quarto della superficie del terreno da edificare.

55 Gli accorgimenti in precedenza citati e mirati al raggiungimento di idonei spazi di lavoro, (ed un inevitabile ritorno

economico), traggono origine dalle esperienze funzionaliste e razionaliste, in cui per la prima volta vengono condotti studi su organismi edilizi rispondenti ai requisiti di minimo esistenziale e funzionale (scuola di Chicago, Bahaus di Gropius, Le Corbusier, etc.); il neo progettista mira in virtù di tali esperienze alla realizzazione di ambienti artificiali che consentano lo svolgimento delle attività lavorative e siano perfettamente inseriti in un contesto urbano e rispondano alle esigenze individuali e collettive dell’individuo. Nasce a seguito di tali premesse il Performance Designer il quale deve intendersi come uno schema progettuale ordinato secondo sistemi di prestazioni conformi alle esigenze dell’utenza.

56 Gli edifici poterono svilupparsi in altezza grazie alla scoperta dello scheletro di acciaio antincendio, con conseguente riduzione dello spessore dei muri e del conseguente peso della struttura, e soprattutto per l’invenzione dell’ascensore di sicurezza, presentato nel 1857 a New York da Elisha Otis.

57 James McLaughlin nel 1877 aveva dato a una struttura a scheletro di acciaio di un grande magazzino di Cincinnati un aspetto che sarebbe presto diventato tipico per i grandi magazzini commerciali in tutta l’America

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Paul Hangar: Casa-studio Cianberlani, Bruxelles

Si rese inoltre necessario per una uniforme distribuzione della luce solare limitare le profondità degli ambienti. Vengono utilizzate per gli edifici industriali e per uffici non solo larghe superfici vetrate per consentire l'illuminazione degli ambienti durante le ore lavorative, ma sempre più sovente, nelle zone centrali dell’edificio, pozzi di aerazione e di illuminazione, che in alcuni casi assumevano dimensioni tali da precorrere le moderne tipologie ad atrio; per gli edifici monopiano, invece, cominciarono a svilupparsi diverse soluzioni di lucernari e coperture a shed vetrati58.

Tra il finire del XIX secolo e gli inizi del XX il tema dell’illuminazione naturale nel progetto si sviluppa inoltre come ricerca architettonica intorno all’espressività di nuovi materiali e nuove tecnologie; il ferro ed il vetro, abbinati al nuovo sistema produttivo della industrializzazione, rappresentano un nuovo modo di creare un’immagine innovativa per quegli ambienti permeabili alla luce ma che sicuramente poco avevano in comune con l’idea di igiene e di comfort, ma rappresentano il primo passo verso un’architettura moderna in funzione della luce solare.

Con il Movimento Moderno viene infatti data particolare importanza agli aspetti tecnici e funzionali del progetto ambientale e la tendenza a tradurli in termini di standard di progettazione alla scala dell'alloggio, dell'edificio e del quartiere. I nuovi concetti di progettazione proposti dal Movimento Moderno, un'abitazione ben aerata, ben illuminata, ben soleggiata, trovano applicazione al CIAM del 1929 sull'alloggio e del 1930 sul quartiere. La relazione dell'edificio con la luce naturale è assunta come criterio costruttivo e urbanistico59.

58 A Bruxelles fu la piccola casa borghese a caratterizzare la città la cui forma fu minuziosamente precisata nei

regolamenti edilizi comunali che indicavano chiaramente l’altezza degli edifici e dei locali, dei cornicioni, dei balconi, etc. 59 gli studi sul rapporto fra densità edilizia, conformazione e orientamento del fabbricato e dell'alloggio in

particolare, la definizione di valori limite del rapporto altezza/distanza tra cortine edilizie contrapposte, sono documentati nelle proposte di Gropius al CIAM del 1930 e negli studi di Hilberseimer.

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La Defence – Parigi

Caratteristico edificio di Parigi

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Per l'architettura europea nazionalista degli anni venti60, il problema del comfort ambientale diviene quasi il traguardo da raggiungere tanto che al Bauhaus di Meyer dal 1928 vengono attivati corsi di fisica tecnica mirati allo studio di metodi di calcolo della illuminazione artificiale e naturale. Su tale argomento, intorno agli anni venti P.J. e J.M. Waldram mettono a punto uno strumento di calcolo e di verifica ancora in uso che è il diagramma che porta il loro nome e che permette di calcolare la componente cielo del fattore di luce diurna, mentre Fruhling nel 1928 per primo dà rilievo con i suoi studi alla quantificazione della componente della illuminazione naturale riflessa internamente all'ambiente. Vengono con maggiore taglio scientifico studiati gli effetti che la luce ha sull’uomo e ripresi gli studi condotti da Plinio ed elaborati successivamente da Jonh Ott e da Fretz Hollwich per giungere alla realizzazione di soluzioni innovative e tecnologicamente avanzate finalizzate alla migliore relazione fra salute, benessere degli individui e condizioni abitative.

Richard Neutra con il suo approccio biorealista estende l’obiettivo razionalista dell’abitazione “a misura d’uomo”, alla considerazione di altre scienze, oltre alla fisiologia e alla Fisica Tecnica: la psicologia, l’antropologia, la teoria della percezione danno significato e misura all’uso di tecnologie innovative, perché l’uomo crei per sé e per ogni altro essere vivente le condizioni di una sopravvivenza possibile61. Negli anni settanta oltre agli aspetti quantitativi dell’illuminazione, vengono presi in considerazione nuovi parametri qualitativi per il raggiungimento del benessere visivo, aspetti questi non analizzati dalla cultura razionalista. Accanto al livello di illuminamento sul piano di lavoro si considerano -. la distribuzione spaziale della illuminazione naturale, i rapporti di luminanza, gli effetti delle ombre, la percezione del colore e l'abbagliamento il tutto in funzione delle esigenze dell'utenza, in un'accezione dell'idea di comfort che va dalla salvaguardia della salute (rapporto fra illuminazione e metabolismo umano), al potenziamento delle capacità percettive e cognitive (la visione come reazione di informazioni e non solo di sensazioni luminose"), alla influenza di fattori psicologici nella sensazione del buio e dell'abbagliamento (concetto di illuminazione apparente di un ambiente, relativo allo stato di adattamento e ad altri fattori soggettivi).

Scrive A. Alto nel suo “La géographie de l’habitat”…una cosa che, molto spesso non è stata del tutto presa in considerazione, o almeno che è stata molto spesso tralasciata, è la qualità della luce. Cosa si deve intendere per qualità della luce? La luce è un fenomeno di cui l’uomo ha costante bisogno…illuminare per servire l’uomo, adattare l’illuminazione all’igiene degli occhi, assicurare all’uomo la qualità della luce migliore.

Intorno agli anni ’50 con l’invenzione delle lampade fluorescenti era stato risolto il problema del riscaldamento dei corpi illuminanti e dei costi di gestione per l’illuminazione dei grandi spazi, per cui il tema della luce naturale passa in secondo piano in fase progettuale e le grandi superfici vetrate non sono più il mezzo per illuminare convenientemente uno spazio, ma diventano elementi riflettenti sotto il sole, superfici opache quando il cielo è coperto, pareti trasparenti solo di notte. Il loro compito è quello di entrare in rapporto con la scala urbana riflettendo la città circostante e allo stesso tempo escludendo, per chi è all'interno dell'edificio, ogni rapporto con l'ambiente esterno. Appare evidente come in quegli anni il raggiungimento del comfort, inteso ancora come miglioramento degli ambienti di lavoro, ha come finalità la necessità di innalzare la produttività dei lavoratori e, nel contempo l’intenzione di comunicare una immagine di efficienza e di qualità aziendale62.

Successivamente la crisi energetica e il tentativo di ridurre l'inquinamento ambientale63 mise in evidenza i limiti di questo modello e diede inizio ad un filone di studi e di approfondimenti teorici e

60 si vedano i contributi di fisiologia sulla rivista "Esprit Nouveau" (1920-25), e in particolare quelli relativi alla

risposta dell'occhio alla luce, e gli scritti di Walter Gropius. 61Particolarmente interessanti sono gli studi condotti negli anni settanta da Fanger in USA e da Givoni in Israele sulla

parametrizzazione delle condizioni di bilancio energetico uomo-ambiente. 62 L’utilizzo di impianti, come in precedenza descritto, per il raggiungimento del comfort non è visto per tutti gli anni

settanta e primi' anni ottanta come un problema rilevante fra quelli da affrontare nell'ambito delle politiche sul risparmio energetico specificatamente rivolte al settore delle costruzioni

63 Il BRE britannico anticipa tale orientamento realizzando nella sede di Garston, alla fine degli anni settanta, un edificio per uffici quale laboratorio "al vero" per verificare soluzioni a basso consumo energetico, nel quale sono presi in considerazioni anche gli aspetti relativi alla illuminazione. Da questo punto di vista gli accorgimenti edilizi utilizzati riguardano l'orientamento dell'edificio secondo l'asse est-ovest, la notevole dimensione delle superfici vetrate, variabile secondo l'orientamento, e la ridotta profondità dei locali, mentre gli accorgimenti impiantistici prevedono il controllo della accensione della illuminazione artificiale con sistemi a cellula fotoelettrica e interruttori a tempo. I consumi per la

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sperimentali orientati prevalentemente sui seguenti settori: ricerca di fonti di energia alternativa con particolare riferimento a quella solare ed a quella geotecnica.

Sulla base di tali ricerche tra gli anni ’70 ed ’80 si sviluppò una moderna architettura (o tipo edilizio) definita appunto bioclimatica, concepita in funzioni delle caratteristiche climatiche e morfologiche dell'ambiente esterno, finalizzata al raggiungimento del comfort ambientale interno, minimizzando i consumi energetici per la climatizzazione quali: il riscaldamento, il condizionamento estivo e, limitando di conseguenza, l'inquinamento ambientale. I principi di tale progettazione non sono un fatto nuovo, infatti, la tipologia di alcuni edifici del passato non è certo casuale ma è finalizzata al comfort dello spazio abitativo.

L'architettura vernacolare mirava alla realizzazione di organismi edilizi nei quali, sfruttando la posizione reciproca degli edifici, le caratteristiche costruttive e la scelta dei materiali, era possibile rendere il microclima interno soddisfacente. In altre parole un'architettura che poteva essere facilmente modificata in base alle mutevoli esigenze dei fruitori in cui il clima influenzava in modo determinante i procedimenti costruttivi.

Alcuni esempi potrebbero essere la Kasba o cittadella araba in cui la disposizione degli edifici era mirava ad aumentare la superficie ombreggiamento; le case a schiera di Acoma nel Nuovo Messico; le terme e i bagni romani; o ancora accorgimenti come il portico con pensilina, le Toldos spagnole (veli da sole), le Badgir pakistane realizzate per convogliare la brezza pomeridiana all'interno degli edifici e ancora gli schermi di protezione spagnoli denominati Miradores.

La ricerca in tal senso, in particolare per edifici destinati ad uffici, subisce un notevole slancio in Gran Bretagna all'interno di uno specifico progetto finanziato dal Dipartimento dell'Energia attraverso la BRECSU (Building Research Energy Conservation Support Unit) che ha permesso di sottoporre a monitoraggio una serie di casi studio fornendo dati sui consumi energetici per la illuminazione in edifici a bassa dispersione termica quali: edifici solari ed edifici con sistemi di gestione controllata della illuminazione artificiale.

Tuttavia, come ha rilevato un'indagine del BRE pubblicata nel 1988 e relativa ai progettisti di alcuni fra i più significativi edifici per uffici realizzati fra il 1978 e il 1981, anche in Gran Bretagna architetti e ingegneri sembrano, nella generalità dei casi, ancora poco interessati al tema della luce naturale sia come tema progettuale, che come tema prestazionale per il comfort e il risparmio energetico.

A partire dagli anni ’90 i regolamenti edilizi impongono ai progettisti di prendere in considerazione l’aspetto energetico dell’opera da realizzare al fine di conciliare consumi e risparmio energetico. Questo rinnovato interesse è manifesto in alcuni recenti regolamenti edilizi come quello olandese del 1992 e danese del 1994. In tali regolamenti viene affrontato fra gli altri il tema della illuminazione naturale nel quadro della politica mirata al risparmio energetico e come criterio essenziale su cui fondare la certificazione ecologica di edifici destinati all'industria, agli uffici e alla residenza.

L'interesse per la illuminazione naturale ha prodotto, in particolare in Gran Bretagna, in Germania ed in USA, nuove tecniche volte a migliorare l'utilizzo della stessa negli edifici mediante il controllo e la distribuzione della luce diretta del sole così da poterla effettivamente utilizzare negli ambienti di lavoro e permetterne la penetrazione più in profondità.

I criteri e le tecniche costruttive per il contenimento dei consumi energetici sono attualmente definiti dalla legge a carattere prestazionale n. 10 del 9/1/1991. Prima dell'approvazione della legge n. 10/91, il contenimento dei consumi energetici degli edifici era affidato alle leggi n. 373/76 e n. 645/83 dove nella prima si stabilivano i limiti di temperatura interna delle dispersioni termiche e della potenza dell'impianto e nella seconda si poneva il limite del numero di ore di funzionamento dell'impianto

Sempre in vista di un migliore utilizzo della illuminazione naturale questi ultimi anni hanno visto anche lo sviluppo di sistemi di controllo della luce artificiale volti a permettere una conveniente integrazione fra le due sorgenti, attraverso, ad esempio, la regolazione o lo spegnimento automatico dei flusso di luce artificiale in rapporto alla disponibilità di luce diurna".

illuminazione furono sottoposti a monitoraggio permettendo di verificare consumi pari ad un decimo di quelli raccomandati dalla Chartered lnstitution of Building Services.

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Jean Nouvel – Istituto del mondo arabo - Schema dei pannelli con il posizionamento dei diaframmi

8.1 PROBLEMATICHE DELLA ILLUMINAZIONE NATURALE

La luce naturale o illuminazione naturale appartiene alla scienza, all’evoluzione e ai progressi di quest’ultima, alla pari dell’aria, del suono e di tutti gli elementi che formano l’ecosistema del nostro pianeta ed è quindi necessario saperne di più per vivere meglio e in modo più confortevole. Quanto detto giustifica gli innumerevoli sforzi condotti in quasi tutti i paesi del globo per cercare di sfruttare in maniera idonea l’infinita energia offerta dal sole: energia pulita.

Il primo progetto europeo è del 1987 che ha portato alla pubblicazione nel 1993 di un "testo di riferimento europeo dal titolo "Daylighting in architecture”, sulla base di una ricerca, denominata Daylighting Action, finanziata nell'ambito del terzo programma di ricerca e sviluppo delle applicazioni dell'energia solare coordinata dal prof. A. Fanchiotti in collaborazione con venticinque esperti di varie nazionalità europee (italiani, francesi, spagnoli, olandesi, tedeschi e britannici). La motivazione di base di tale ricerca è fornire ai progettisti strumenti ed informazioni aggiornati ed affidabili, che permettano loro di utilizzare, nella progettazione di edifici non residenziali di grandi dimensioni, concetti e componenti relativi all’impiego della luce naturale, con l’obiettivo di ridurre i consumi di energia e di migliorare la qualità ambientale dei luoghi di lavoro. La ricerca tuttavia non è arrivata ad indicare nuovi metodi di previsione o verifica, né a fornire delle raccomandazioni di tipo manualistico64. Gli strumenti più significativi che emergono dallo studio denominato Daylighting Action sono65:

64 La ricerca ancora in atto dovrebbero portare:

1) alla disponibilità di un più ampio e significativo sistema di dati ambientali sulla illuminazione naturale; 2) allo sviluppo di strumenti di progettazione e controllo, 3) allo sviluppo dei componenti innovativi per la illuminazione naturale.

65 E’ stata inoltre redatta una tassonomia dei componenti tecnici che svolgono funzione di illuminazione naturale (finestre, schermi, lucernari, pareti traslucide, atri, componenti prismatici, films olografici) e l'analisi morfologica di alcuni edifici, condotta secondo i metodi della analisi tipologica, attraverso i quali ogni intervento è descritto secondo parametri e loro variabili che ne permettono la identificazione dei caratteri significativi rispetto alla illuminazione diurna.

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1) i modelli di simulazione su basi probabilistiche della distribuzione della luminanza del cielo, basati sul monitoraggio di alcuni parametri per vari tipi di cielo ;

2) i modelli di simulazione dei comportamento fotometrico dei materiali e in particolare i modelli di riflessione delle superfici;

3) i metodi matematici di calcolo del trasferimento della luce diurna in ambienti interni, metodi analitici e metodi che utilizzano modelli computerizzati.

Successivamente un altro progetto di ricerca sul tema dell’illuminazione naturale è stato attivato sempre su iniziativa CEE, finalizzato anch’esso al risparmio energetico. Nell’ambito di tale programma denominato THERMIE66 è stata pubblicata, da parte dell'Energy Research Group, School of Architecture di Dublino, la ricerca Daylight in buíldings che rivolta ai progettisti ed ai committenti affronta aspetti del comfort e del risparmio energetico connessi con la illuminazione di ambienti non residenziali in relazione alle diverse condizioni climatiche dei paesi europei67.

Nel 1989 l’Ecole Polytechnique Federale de Lausanne (EPFL) e l'università di Ginevra attivano il Programma “LUMEN - Lumière naturelle et énergétique".

La ricerca coinvolgendo tre discipline: Architettura, Fisica Tecnica e Ergonomia visiva, ha per obiettivo la corretta progettazione tipologica per il raggiungimento del comfort ambientale interno nel caso di illuminazione esclusivamente naturale. Sulla base di tale ricerca sono state definite delle raccomandazioni guida alla gestione del progetto pubblicate successivamente dalla rivista Baudoc Bulletin.

La Gran Bretagna, nazione leader nella ricerca sull’illuminazione naturale degli ambienti artificiali, con il Building Research Establishment (BRE) ha affrontato nel 1988 un'interessante ricerca68, i cui risultati sono stati pubblicati da V.H.C. Crisp, RJ. Littiefair, I. Cooper e G. McKennan, dal titolo: Daylighting as a passive solar energy option.- an assessment of its potential in non domestic buildings. Il testo affronta congiuntamente il tema degli edifici solari passivi e della illuminazione naturale e definisce di un codice di pratica per una maggiore sensibilità alla qualità ambientale nelle costruzioni, mediante:

1) una valutazione su modelli previsionali dei contributo al risparmio energetico della illuminazione naturale e della sua corretta integrazione con quella artificiale in un campione di edifici non residenziali;

2) una indagine presso i progettisti per valutare l'importanza data da questi al controllo della illuminazione naturale;

3) una valutazione dettagliata sulla base di rilevamenti e prove di un edificio scolastico solare in base a diversi criteri di comfort visivo.

Nel 1990 presso il BRE è stato attuato un sistema di certificazione ambientale degli edifici (BREAM, BRE Environmental Assessment Method) che porta fra i criteri di valutazione anche alcuni relativi alla illuminazione naturale, espressi in termini di fattore minimo di luce diurna, limitatamente al caso di nuovi edifici residenziali e per uffici. Di recente anche la Francia, nell'ambito delle attività del “Plan Construction et Architecture”, ha avviato un programma sperimentale per la costruzione di edifici ad alta qualità ambientale (Réalisation Expérimentales Haute Qualité Environnementale REX HQE 1993-94) mediante la realizzazione di ben quattordici progetti che rispondono agli obiettivi prefissati fra i quali il comfort visivo.

In Italia il Ministero dei lavori pubblici, attraverso il CER, ha finanziato nel quadro di quanto previsto dalla legge 94 dei 1982; un programma che prevede la sperimentazione delle specifiche ambientali messe a punto negli anni settanta con le ricerche sulle Normative tecniche regionali per l'edilizia residenziale. I risultati di tale ricerca sono stati pubblicati in un Quaderno (n.9 del segretariato del CER), dal quale si evince il rispetto della specifica del requisito di comfort visivo negli alloggi, espressa in termini di fattore di luce diurna, ed a tal fine sono stati prodotti i risultati delle verifiche di calcolo e delle verifiche in opera condotte sugli alloggi dei programmi sperimentali finanziati.

Nonostante l’interesse per l’iniziativa la sperimentazione è andata nel tempo affievolendosi tanto che al momento non sono ancora disponibili letture ufficiali dei risultati nel loro insieme.

66 Che promuove l’uso razionale dell’energia negli edifici. 67 Tale ricerca ha portato alla suddivisione del territorio europeo in trenta Daylighting Design Zones. 68 ricerca condotta nell'ambito dei programma Department of Energy Passive Solar Design (R&D).

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Di recente il comitato europeo di normalizzazione (CEN) ha istituito una commissione tecnica (CT 169) articolata in sette gruppi di lavoro, per le applicazioni dell’illuminazione, in collaborazione con l’istituto normativo tedesco (DIN). Purtroppo alla data attuale non sono state emanate alcune norme.

Nonostante gli innumerevoli studi e sperimentazioni condotti in diversi paesi della comunità europea il settore normativo nel campo dell’illuminazione naturale si presenta attualmente carente ed in alcuni casi del tutto inadeguato; infatti, tutt’oggi le norme sul settore si limitano a fornire le raccomandazioni generali per ottenere un adeguato livello di illuminazione diurna degli ambienti, mentre, fatta eccezione per il problema dell’abbagliamento, per cui è stata condotta una notevole mole di studi, mancano quasi completamente i parametri e le specifiche necessarie per la verifica della qualità dell’illuminazione di tipo naturale69. Oggi le vigenti prescrizioni normative mirano quasi esclusivamente ad una valutazione quantitativa del fenomeno70 (quantità minima di luce naturale disponibile in un ambiente) che può essere condotto mediante l’utilizzo di due differenti metodologie quali: 1. metodi basati sul concetto di coefficiente di utilizzazione (Lumen Method), prevalentemente studiati ed

utilizzati negli Stati Uniti; 2. metodi basati sul concetto di fattore di luce diurna (Daylighting Factor), prevalentemente utilizzati in

Europa. I metodi basati sul Lumen Method mettono in relazione l’illuminamento sul piano di lavoro con il flusso

luminoso incidente sul piano della finestra tramite un coefficiente di utilizzazione; i metodi basati sul fattore di luce diurna sono invece quelli raccomandati dal CIE (Comité International de l’Eclairage) ed attualmente proposti dalla normativa italiana, che definisce un fattore medio di luce diurna caratteristico dell’ambiente, per la verifica dell’illuminamento naturale. Il metodo proposto dal CIE considera l’illuminamento di un punto interno di un ambiente dovuto ai seguenti contributi luminosi di tipo diretto ed indiretto:

DF SC ERC IRC= + + dove:

⋅ SC = componente diretta dovuta all’illuminamento della porzione di cielo vista attraverso la finestra (Sky Component);

⋅ ERC = componente riflessa esterna dovuta alle eventuali ostruzioni urbane esterne (Externally Reflected Component);

⋅ IRC = componente riflessa interna dovuta ai rinvii multipli delle pareti che delimitano l’ambiente (Internally Reflected Component); Ma il criterio di garantire, anche nelle situazioni di cielo più critiche, una quantità minima di luce

naturale degli ambienti (considerando quindi la possibilità o meno di integrazione con luce artificiale) è da considerarsi carente per i seguenti motivi: 1. non viene considerata la qualità dell’illuminazione diurna per il raggiungimento del comfort visivo

in settori edilizi ove questo è richiesto quali le scuole, gli uffici, ecc; 2. il valore minimo del fattore di luce diurna, espresso come rapporto in percentuale fra la luce

ricevuta nell'ambiente considerato e la luce dovuta all'intero emisfero celeste in quel luogo, deve essere definito conoscendo le condizioni più critiche di luminanza del cielo in un dato contesto geografico. L’adozione degli stessi livelli di specifica e dello stesso tipo di cielo come riferimento, su un'area geografica estesa come l'Europa, appare pertanto non opportuna; è auspicabile invece una definizione di valori con riferimento a zone geografiche omogenee sotto questo profilo.

Si rende quindi necessario la definizione di una normativa ispirata ad un approccio esigenziale che tiene quindi conto non solo dell’aspetto quantitativo del fenomeno ma in particolar modo l’aspetto

69 Nella maggior parte dei paesi della Comunità Europea la normativa riguardante il settore dell’illuminazione

naturale è espressa in termini di standard minimi a fini igienici e nessuna indicazione viene data nel quadro delle norme sul risparmio energetico, unica eccezione, per quanto ci è stato possibile conoscere, è la Danimarca che, nelle modifiche introdotte nel 1994 al regolamento della costruzione 'in materia di risparmio energetico, prende in considerazione anche i consumi energetici per la illuminazione degli ambienti.

70 Una raccolta CEE, pubblicata nel 1984 Recueil CEE de dispositions modèles de réglement de la construction" forniva un quadro dei parametri utilizzati in alternativa in ambito di edilizia residenziale:. finestratura dei locale, fattore di luce diurna, componente cielo dei fattore di luce diurna, rapporto fra la superficie vetrata di chiusura esterna e la superficie di pavimento dei locale.

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puramente qualitativo (Abbagliamento, contrasto, etc.) per il raggiungimento del comfort degli ambienti artificiali.

8.2 L’ILLUMINAMENTO IN FUNZIONE DEL TIPO DI FINESTRA

Per le particolari condizioni climatiche delle nostre latitudini solamente alcuni tipi di edifici, quali l'edilizia ospedaliera, scolastica, industriale, ecc. 71, dove i requisiti igienici e funzionali sono assolutamente determinanti nella fase progettuale, il problema dell'orientamento viene posto ed affrontato nei suoi termini reali. Nei moderni nosocomi infatti particolare attenzione viene posta alle condizioni climatiche del sito orientando i corpi di fabbrica destinati alle zone di degenza secondo direzioni di massimo o migliore soleggiamento. Anche nelle scuole sono ormai acquisiti e sistematicamente adottati precisi orientamenti, a seconda della destinazione d'uso delle aule e di tutti i principali ambienti. Aule generiche intorno a sud-est, aule speciali per disegno, ricerche e osservazioni scientifiche, laboratori, biblioteche, ecc., intorno a nord-ovest e nord-est, ecc.

Nonostante le precedenti considerazioni nelle zone residenziali, anche di recente insediamento, gli edifici non hanno una precisa prevalente disposizione ma risultano comunque orientati. Spesso appare evidente come la vicinanza di una strada, di uno spazio pubblico, siano gli unici fattori utilizzati per la pianificazione della zona o dei quartiere, siano stati determinanti nell'orientamento degli edifici indipendentemente dalla loro correttezza e validità scientifica.

Viceversa nelle case rurali, ove, non preesistendo generalmente vincoli di natura urbanistica o ambientale, l'orientamento è stato stabilito esclusivamente con criteri di igienicità e di funzionalità che potremmo definire spontanea. Tali edifici, prevalentemente a corpo semplice, presentano infatti il loro fronte principale a sud davanti al quale, nelle regioni agricole, sono disposti gli spazi per l'esposizione al sole e l'essiccamento dei prodotti agricoli, con conseguente condizionamento delle aperture72. Il problema dell’orientamento degli edifici rispetto al percorso solare era noto, come più dettagliatamente analizzato nel capitolo 1, sin dall’antichità, infatti, attraverso Pitagora, Tolomeo, Copernico, Galilei, e molti altri, si giunse praticamente alla completa conoscenza della complessa meccanica celeste.73

Ma la scelta, scientificamente determinata, del migliore orientamento non è sufficiente per assicurare anche il migliore soleggiamento. Pure prescindendo da fattori di ventilazione esterna ed interna e dalla umidità, si può osservare che il soleggiamento realmente godibile all'interno dell'edificio dipende dalle caratteristiche dimensionali, di forma e di posizionamento delle finestrature e soltanto in parte, certamente determinato ma non esclusivamente dipendente, dall'orientamento.

71 Fra i tipi edilizi la cui concezione maggiormente risentì della necessità di dare soluzione al problema della

illuminazione naturale si citano le scuole ed i musei. Nelle scuole, in particolare in Gran Bretagna dopo lo Education Act dei 1870, le aule di grandi dimensioni dovevano essere riscaldate e illuminate a bassi costi. I primi progressi nella progettazione della illuminazione naturale delle scuole sono illustrati in un testo "School Architecture" scritto da E.R. Robson nel 1874. In relazione alla salute dell'occhio e alla efficacia dei compito visivo egli scrive: "La luce laterale, in particolare quella da sinistra, è di tale importanza da dover avere una opportuna influenza nel disegno delle nostre piante. (... ) Una aula è ben illuminata solamente quando ha 30 pollici quadrati d'i vetratura per ogni piede quadrato di superficie dei pavimento". Un rapporto elevato (superficie illuminante pari a circa il 20% della superficie dei pavimento) giustificato forse dal notevole inquinamento dell'aria e conseguente bassa luminosità dei cielo. Ancora: "Si sa che i raggi dei sole hanno un effetto benefico sull'aria della stanza, tendendo a promuovere la ventilazione, e sono per un giovane molto di più di quello che essi sono per un fiore. In base a ciò i costruttori di alcune scuole hanno cercato di assicurare il maggior soleggiamento possibile, procurando con ciò eccessi di quantità di luce e disturbi di abbagliamento nel periodo caldo estivo, o agli insegnanti o agli alunni o a entrambi”. Per quanto riguarda le gallerie e i musei, con l'inizio dell'ottocento si misero a punto nuove tipologie edilizie che introducevano la illuminazione dall'alto. li prototipo è indicato nella Duiwich Picture Gallery, nei dintorni di Londra, progettata nel 1 814 da Sir John Soane, dove la luce entra da lucernari posti in copertura. Con F.P. Cockereli, nel 1850, fu messa a punto una vera e propria teoria sulla illuminazione naturale delle gallerie d'arte, volta a garantire la illuminazione delle pitture, senza effetti di abbagliamento e riflessione. Cockereli propose l'uso dei "velarium", ovvero di uno schermo traslucido sull'area centrale della galleria, dal quale la luce veniva diretta sulle pareti per ottenere una illuminazione riflessa diffusa. La geometria in alzato delle gallerie espositive fu in Inghilterra oggetto di ricerca nella seconda metà dell'ottocento e fino ai primi anni dei novecento, con l'obiettivo prioritario di realizzare le migliori soluzioni per la illuminazione naturale.

72 praticamente tutte le aperture compreso gli ingressi si aprono verso sud. 73 anche le moderne architetture di Le Corbusier, Gropius, Schwagenscheidt, Vinaccia, Neuzil, ecc. mirano al

raggiungimento del comfort interno sfruttando le caratteristiche climatiche del sito.

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Le finestre sono delle aperture ricavate nei muri esterni di un fabbricato allo scopo di illuminare ed arieggiare gli ambienti chiusi e per consentire alle persone che vi si trovano la vista dell'esterno circostante.

Ai fini della loro essenziale funzione, fornire luce ed aria ad uno spazio confinato, hanno primaria importanza i parametri dimensionali, la forma e la posizione; ma oltre a queste caratteristiche determinate da esigenze di igienicità, di illuminamento e di ventilazione, le finestre rivestono un valore qualificante degli spazi interni mentre all'esterno la loro quantità, qualità e disposizione, congiuntamente con gli altri elementi costruttivi e decorativi, hanno importanza assolutamente definitiva nella composizione architettonica dell'insieme.

Indubbiamente le finestre, considerate come episodio architettonico a se stante, costituiscono un fatto estetico che implica problemi di forma, proporzioni, decorazioni, che hanno ricevuto nelle varie epoche, dagli stili, dall'importanza e dalla natura e carattere degli edifici le più svariate espressioni, talvolta anche irrazionali tanto da comprometterne la sostanziale funzionalità.

Vanno altresì tenuti presenti gli aspetti strutturali derivanti dai materiali, dalle tecnologie, dagli elementi costruttivi74.

Nella maggior parte dei casi gli edifici non monofronti presentano finestre quasi uguali (le cui dimensioni sono solamente legate a fattori estetici, alla dimensione della superficie esterna e solo di rado da considerazioni di ordine bioclimatico), il che dice a sufficienza quanto scarsa sia ancora la competenza. M. Matteotti così recita su tale argomento praticamente non si sa ancora che le finestre ubicate nelle diverse facciate di uno stesso edificio, dovrebbero essere diverse fra loro e per la forma , la dimensione, la ubicazione, a seconda della loro esposizione al sole e della loro funzione nel locale che servono.

Dei fattori: luce, aria e visibilità, che hanno dato origine alle finestre focalizzeremo la nostra attenzione sul primo. Per una rapida e sintetica analisi del fenomeno75 è stato fissato un ambiente, che fungerà da banco di prova, avente le seguenti caratteristiche: larghezza e lunghezza metri cinque, altezza metri tre; finestra posta assialmente; spessore del muro centimetri trenta.

Altri fattori assunti e mantenuti costanti sono gli orientamenti assegnati al vano: sud; sud-est (valido anche per sud-ovest); est (ovest); nord-est (nord-ovest); nord.

Per ognuno di questi orientamenti si sono ricercati i soleggiamenti corrispondenti ai solstizi d'estate e d'inverno e degli equinozi di primavera e d'autunno; cioè al 22 giugno, al 22 dicembre e ai 21 marzo e 23 settembre, per la città di Palermo.

Riguardo alle caratteristiche dimensionali e di forma delle finestre, fissata la superficie di metri quadrati 2.50, pari a 1/10 della superficie di pavimento (25 mq), si sono calcolati i livelli di illuminamento e di soleggiamento, ottenibili con quattro diverse forme. ⋅ Primo tipo: finestra rettangolare di proporzioni definibili normali, metri 1,40 di larghezza per 1,80

di altezza con davanzale a centimetri 90 dal pavimento e centimetri 30 di architrave. ⋅ Secondo tipo: finestra quadrata di metri 1,58 di lato, davanzale ancora a centimetri 90 di altezza dal

pavimento e centimetri 52 di architrave. ⋅ Terzo tipo: finestra rettangolare ad asse verticale praticamente estesa da pavimento a 30 centimetri

dal soffitto, larghezza metri 0,93 e altezza di metri 2,70. ⋅ Quarto tipo: finestra rettangolare a nastro orizzontale, con base di metri 2,70 - quindi con spalle di

centimetri 1,15 - e altezza di metri 0,93; la finestra è stata posta con il davanzale a circa metri 1,00 dal pavimento e l'architrave a metri i dal soffitto. Questa posizione è stata fissata dopo avere riscontrata la grande importanza che l'altezza rispetto al pavimento rappresenta per la qualità e quantità del soleggiamento ed illuminamento. E’ facilmente comprensibile che più è elevata la posizione della finestra, maggiore è la superficie soleggiata; per contro, un posizionamento nella

74 O. Marchi, Il soleggiamento degli ambienti in funzione del tipo di finestra, ed. CEDAM, Padova, 1980.

75 Tale studio tiene conto delle ricerche effettuate da Walter Schwagenscheidt negli anni venti per i quartieri residenziali di Francoforte sul Meno (le ricerche riguardavano un sistema di case a schiera dell'altezza di quattro piani poste in parallelo con una distanza tra gli edifici di cinquanta metri) e da Luigi Mattioni per la definizione del livello ottimale di soleggiamento degli ambienti.

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parete troppo alto impedisce la vista dell'esterno; si è ritenuto quindi di adottare una posizione tale da consentire ad una persona adulta in posizione eretta una soddisfacente visuale.

TIPO DI FINESTRA Periodo Orient. Quadrata Rettangolare Rettangolare ad

asse verticale A

nastro 1.825 1.733 1.492 1.720 0.688 0.691 0.387 0.555

Equinozio Di primavera

21 marzo

Sud Max Med Min 1.148 1.125 0.789 1.031

1.911 1.813 1.806 2.094 0.783 0.767 0.306 0.581

Solstizio d’estate

22 giugno

Sud Max Med Min 1.254 1.223 0.577 1.098

2.683 2.631 2.268 2.346 0.907 0.892 0.392 0.647

Equinozio d’autunno

23 settembre

Sud Max Med Min 1.654 1.609 0.847 1.364

1.913 5.405 0.949 1.142 0.550 1.279 0.127 0.280

Solstizio D’inverno

22 dicembre

Sud Max Med Min 1.040 2.355 0.343 0.601

TIPO DI FINESTRA Periodo Orient.

Quadrata Rettangolare Rettangolare ad asse verticale

A nastro

2.867 2.920 1.943 1.676 0.756 0.751 0.283 0.494

Equinozio Di primavera

21 marzo

Sud/est

Max Med Min 0.156 1.545 0.543 1.011

4.898 4.175 8.568 3.793 1.396 1.372 0.766 0.916

Solstizio d’estate

22 giugno

Sud/est

Max Med Min 2.473 2.403 1.878 1.799

3.886 3.986 3.082 2.402 0.942 0.926 0.286 0.639

Equinozio d’autunno

23 settembre

Sud/est

Max Med Min 2.074 2.049 0.779 1.458

1.532 1.491 0.831 0.993 0.415 0.408 0.119 0.253

Solstizio D’inverno

22 dicembre

Sud/est

Max Med Min 0.833 0.814 0.305 0

.535

TIPO DI FINESTRA Periodo Orient. Quadrata Rettangolare Rettangolare ad

asse verticale A

nastro 0.706 0.656 0.638 0.691 0.428 0.422 0.198 0.352

Equinozio Di primavera

21 marzo

Est Max Med Min 0.535 0.522 0.276 0

.481 1.658 1.509 1.507 1.688 0.755 0.738 0.301 0.559

Solstizio d’estate

22 giugno

Est Max Med Min 1.091 1.062 0.515 0.944

1.077 0.986 0.984 1.007 0.626 0.606 0.226 0.435

Equinozio d’autunno

23 settembre

Est Max Med Min 0.805 0.781 0.363 0.638

0.508 0.492 0.477 0.433 0.327 0.313 0.103 0.204

Solstizio D’inverno

22 dicembre

Est Max Med Min 0.406 0.392 0.172 0.297

Page 107: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

103

TIPO DI FINESTRA Periodo Orient.

Quadrata Rettangolare Rettangolare ad asse verticale

A nastro

0.662 0.623 0.609 0.626 0.422 0.414 0.198 0.337

Equinozio Di primavera

21 marzo

Nord/est

Max Med Min 0.513 0.502 0.268 0.451

1.284 1.183 1.143 1.166 0.737 0.719 0.298 0.530

Solstizio d’estate

22 giugno

Nord/est

Max Med Min 0.896 0.872 0.437 0.748

1.017 0.933 0.940 0.919 0.615 0.595 0.226 0.417

Equinozio d’autunno

23 settembre

Nord/est

Max Med Min 0.776 0.752 0.352 0.601

0.503 0.488 0.474 0.438 0.330 0.317 0.102 0.197

Solstizio D’inverno

22 dicembre

Nord/est

Max Med Min 0.408 0.394 0.173 0.292

Le precedenti tabelle riportano i valori massimi, medi e minimi (espressi in kLux) dell’illuminamento interno per diverse forme di finestra rispettivamente per i solstizi e gli equinozi. Tali valori sono stati ottenuti utilizzando il software ADELINE 2.

In merito alla forma riteniamo che i tipi qui esaminati siano sufficienti a dimostrare la validità di una determinata forme in relazione all’esposizione della superficie stessa.

Circa il posizionamento è abbastanza intuitivo il legame o l'interdipendenza di questo con l'orientamento e la forma della finestra. Sempre tenendo in considerazione aperture del tipo di quelle qui esaminate, cioè di fori ricavati in un muro di cospicuo spessore, possiamo ritenere acquisito che per orientamenti nord e sud le finestre vanno poste in posizione centrale. Per gli altri orientamenti le finestre, ai fini dell'efficacia del soleggiamento, soprattutto sotto il profilo quantitativo, vanno poste, di massima, verso il lato più prossimo a sud.

La convenienza della posizione assiale in locali orientati a nord e a sud è dovuta al fatto che per queste esposizioni il diagramma solare è simmetrico.

Da un’attenta analisi dei risultati si osservano le ottime prestazioni della finestra di forma classica (rettangolare) per ogni orientamento e per tutti i periodi dell’anno. In particolare per l'orientamento a nord sarebbe opportuno aumentare la larghezza della superficie vetrata al fine di consentire la massima penetrazione dei raggi solari ed ottenere la maggiore durata del soleggiamento.

Va osservato inoltre che per ottenere in tale esposizione valori sufficientemente accettabili è indispensabile che l'architrave sia tenuto ad altezza ridotta (finestra posizionata molto in basso) perché i raggi sono appena dopo l'alba e prima del tramonto ancora bassi sull'orizzonte ed è bene, per quanto possibile, soleggiare il pavimento o il piano di lavoro (meglio se il sottodavanzale non ha tamponatura e la finestra si estende fino al pavimento); con tali accorgimenti tuttavia il soleggiamento si potrà avere soltanto per un periodo di circa cinque mesi, per gran parte del quale l'efficacia è ridottissima, è opportuno quindi tenere presente l'enorme la dispersione di calore che ne conseguirebbe, per cui, in sintesi, le prestazioni ottimali, almeno dal punto di vista termico, sono quelle che si hanno da una finestra di forma classica.

In conclusione si possono trarre le seguenti indicazioni: evitare di orientare verso nord vani abitabili, cioè di soggiorno diurno e notturno, e si dispongano invece locali di servizio, ripostigli, scale, ecc., anche se le cucine e i bagni - locali molto riscaldati avrebbero da una parete fredda come quella rivolta a nord una forte attivazione della ventilazione naturale. L'orientamento a nord è però più indicato per soddisfare le esigenze di locali di speciale destinazione, quali biblioteche, certi tipi di laboratori, edifici industriali, sale operatorie, ecc. Riguardo agli altri orientamenti la forma ottimale è quella classica ma per aumentare le possibilità di penetrazione dei raggi solari il taglio superiore dei foro finestra va alzato, e questo vale per tutte le stagioni. I valori ottenuti indicano chiaramente come la distribuzione dell’illuminamento all’interno dell’ambiente, e di conseguenza il soleggiamento, con l’esposizione sud, non è né il maggiore né il migliore.

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IILLUMINOTECNICA

104

In effetti si rileva che nel solstizio d'inverno i lux massimi si misurano con questo orientamento, ma va tenuto presente che si tratta di prestazioni che si verificano per un arco di tempo piuttosto limitato. Per contro si osserva che negli equinozi e nel solstizio d'estate, data la notevole altezza del sole, le superfici soleggiate sono generalmente modeste e, particolarmente in estate, sono ridotti anche i tempi dell'insolazione. Riesaminando il soleggiamento offerto dal periodo invernale merita una speciale considerazione quello dato dalla finestra verticale, cioè stretta e alta, la quale determina il massimo assoluto della superficie soleggiata e del valore di illuminamento (solstizio d’estate) dovuto proprio alle proporzioni delle dimensioni: praticamente niente parapetto, quindi ombre alla base del foro quasi nulle e penetrazione dei fascio luminoso al limite derivante dagli angoli dei raggi sull'orizzonte.

Dopo quanto detto è abbastanza conseguente il contenuto delle osservazioni per gli orientamenti nord-est, est e sud-est e gli equivalenti nord-ovest, ovest e sud-ovest. L'apparente comportamento del sole nei settori di questi orientamenti regola le prestazioni offerte dalle varie forme di foro in funzione delle variazioni dei vettori orizzontale e verticale.

Da ciò discende che dalle forme-limite già verificate, orizzontale per gli orientamenti nord e verticale per quelli a sud, per gli orientamenti compresi tra questi le forme ottimali rassomiglieranno più o meno all'una o all'altra di quelle a seconda che l'orientamento tenda verso nord o sud. E’ da precisare inoltre come gli orientamenti sud-est e sud-ovest determinano i valori più elevati di illuminamento tra gli equinozi. Circa il posizionamento del foro, come già dimostrato dalle figure e come già ricordato, è conveniente compatibilmente con le esigenze di ordine estetico un disassamento verso il lato sud del locale con possibilità per i raggi solari di colpire una più grande porzione di pavimento e di pareti.

Tuttavia va osservato che i valori da noi calcolati testimoniano come le superfici soleggiate che si conseguono con finestre centrate siano già molto buone. Per contro è da escludersi uno spostamento della finestra verso il lato nord del locale. Nel caso di locale destinato a stanza da letto, esso va ubicato in modo da ricevere direttamente i raggi solari e per ottenere un buon soleggiamento anche nelle ore antimeridiane; perciò con finestra a nord-est la testata del letto va ubicata sulla parete nord-ovest del locale; con finestra a est, su quella a nord; con finestra a sud-est, o quella nord-est; infine con finestra a sud, sulla parte ovest. Questi orientamenti vanno inoltre considerati con attenzione per le caratteristiche dei soleggiamenti conseguibili con le maggiori possibilità di penetrazione dei fascio luminoso. Questo fatto si traduce in concrete indicazioni circa l'orientamento di locali di notevole profondità rispetto alla parete esposta. Un’altra considerazione può essere fatta sulla relazione fra la profondità dei locali ed il loro orientamento. In genere i locali potranno essere tanto più profondi quanto più basso è il sole che in media annuale ricevono: a parità di requisiti potranno essere più profondi quelli orientati ad est o ad ovest che non quelli orientati a sud.

8.3 L’ORIENTAMENTO

L'orientamento indica il punto cardinale verso il quale è rivolta una facciata dell'edifico; nel caso di edifici a sviluppo lineare, il punto cardinale verso il quale è rivolta ciascuna delle due facciate a sviluppo maggiore. L'azimut di una parete indica l'angolo che la normale alla parete stessa forma con il Sud geografico; una parete esposta a Sud ha azimut = 0.

Poiché, nel nostro emisfero, l'arco apparente percorso dal sole si svolge in direzione Sud76 (come visibile dalle carte solari), questo orientamento è quello ottimale per il guadagno energetico nella stagione invernale; viceversa, l'orientamento verso nord, che riceve la radiazione solare in misura ridottissima ed è spesso esposto a venti freddi, è molto suscettibile alle dispersioni termiche dell'involucro edilizio.

8.4 IL DIAGRAMMA DELLE TRAIETTORIE SOLARI

Per mezzo di un diagramma polare o cartesiano è possibile visualizzare le traiettorie del sole (moto apparente del sole) nel corso dell’anno per una determinata località. Il diagramma, che è una proiezione delle traiettorie del sole su un piano orizzontale, è ottenibile diagrammando i valori

76 In generale, una rotazione fino a 15 gradi non porta sensibili riduzioni nel guadagno termico.

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IILLUMINOTECNICA

105

dell’altezza solare (α)77 e dell’azimut (a)78 riferiti ad una determinata località, in funzione del tempo solare vero e della declinazione.

Gli angoli in precedenza descritti, caratteristici della posizione istantanea del sole e visualizzati sulla sfera celeste riportata nella figura seguente, possono essere valutati per mezzo delle seguenti relazione.

Sfera celeste e coordinate solari

cos cos coshsen senLsen Lα δ δ= +

coscos

senhsena δα

=

dove δ rappresenta la declinazione solare che può essere calcolata per mezzo della formula approssimata di Cooper79:

28423,45 360365

nsenδ + =

77 l’altezza del sole (β) è l’angolo misurato tra la direzione dei raggi solari ed il piano orizzontale.

78 l’azimut del sole (a) è da intendersi come l’angolo formato tra la proiezione sul piano orizzontale dei raggi solari e la direzione sud; tale valore è positivo se la proiezione cade verso est (prima del mezzogiorno solare) ed è negativo se la proiezione cade verso ovest (dopo il mezzogiorno solare).

79 La declinazione solare (δ) è l’angolo che la direzione dei raggi solari forma a mezzogiorno, sul meridiano considerato, col piano equatoriale; risulta anche pari all’angolo che i raggi solari formano a mezzogiorno con la direzione dello zenit sull’equatore e coincide inoltre con la latitudine geografica alla quale in un determinato giorno dell’anno il sole a mezzogiorno sta sullo zenit; è positiva quando il sole sta al di sopra del piano equatoriale ed è negativa quando il sole è al di sotto di esso come indicato nella figura seguente.

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IILLUMINOTECNICA

106

Essendo n l’ennesimo giorno dell’anno. La declinazione è considerata costante nel corso di una giornata, essendo la sua variazione massima dell’ordine di 0,4°/giorno e pertanto viene trascurata l’influenza della longitudine stessa.

L’angolo orario è invece pari a : (12 ) 15h orasolare x= −

Dalla precedente espressione si evince come l’angolo orario varia nel corso della giornata con una velocità costante di 15°/ora, dato che una rotazione completa (360°) della terra avviane in 24 ore. Esso vale zero al mezzogiorno solare, aumenta di 15° ogni ora contata a partire dal mezzogiorno, con valori positivi la mattina e negativi il pomeriggio.

L’angolo orario relativo all’alba ha o al tramonto ht può essere calcolato annullando il senα nella espressione dell’altezza solare, per cui si ottiene:

cos( )a th h ar tgLtgδ= − = −

Per l’equatore essendo la latitudine L=0, si ottiene ha = -ht =90° e pertanto la durata del giorno è sempre pari a 12 ore; per le altre località ciò si verifica se si annulla la declinazione (δ=0), cioè agli equinozi. Occorre però notare che generalmente l’ora solare non coincide con l’ora civile; per convertire quindi l’ora indicata dall’orologio nell’ora solare vera bisogna apportare una prima correzione dovuta alla differenza di longitudine tra il meridiano locale ed il meridiano di riferimento, rispetto al quale è computato il tempo convenzionale, tenendo presente che ad ogni grado di differenza di longitudine corrisponde una correzione di quattro minuti primi ed una seconda correzione, chiamata equazione del tempo (ET), dovuta al fatto che la velocità angolare della terra non è costante nel corso dell’anno ma subisce delle variazioni positive e negative al valore convenzionale di 360/24 gradi/h.

L’ora solare vera è quindi espressa dalla seguente espressione: . . . . 4 '( )l ro s v o civile ETλ λ= + − +

Dove λl = longitudine del luogo λr = longitudine del meridiano di riferimento. Le longitudini vanno considerate positive se ad est di Greenwich. Per l’Italia il meridiano di

riferimento è quello di 15° est, passante per l’Etna. Per mezzo di questo diagramma è possibile determinare graficamente i periodi di tempo nei quali

un punto di una superficie rimane in ombra a causa di ostacoli che intercettano i raggi solari. Per determinare infatti quando un ostacolo intercetta i raggi solari, basta rappresentare nel diagramma delle traiettorie solari la forma angolare dell’ostacolo rispetto al punto di osservazione, plottando su di esso l’azimut e l’altezza angolare dei punti che contornano l’ostacolo stesso.

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IILLUMINOTECNICA

107

9. MODELLO DI CIELO PER IL CALCOLO DELL’ILLUMINAZIONE

Prima di iniziare la descrizione dei parametri che influenzano il calcolo illuminotecnico, con esclusivo apporto di luce naturale, sarebbe opportuno fare alcune brevi premesse indispensabili per meglio comprendere quando più avanti verrà esposto. Il livello di luce naturale che riesce a penetrare all’interno di un ambiente è strettamente legato al sito geografico, latitudine del luogo, e quindi al clima che esso offre nei vari giorni dell'anno.

Per clima si intende l’effetto risultante dalla combinazione dei vari fattori metereologici di una regione in un lungo periodo.

I fattori meteorologici sono: − la temperatura dell’aria; − le precipitazioni; − la pressione atmosferica; − l’umidità relativa; − lo stato del cielo; − il regime dei venti; − la radiazione solare80.

Aree climatiche per la stagione calda

Relativamente al territorio italiano è stato sviluppato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) una classificazione climatica81 riferita alla stagione calda ed a quella fredda basata sull’esame comparato di una serie di fattori meteorologici ed in particolare:

80 C. Benedetti, Manuale di architettura bioclimatica, Maggioli Editore, Rimini, 1994. 81 CNR, Guida al controllo energetico della progettazione, Roma, 1985.

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IILLUMINOTECNICA

108

Aree climatiche per la stagione fredda

Dalle figure precedenti si evince come Palermo ricada nella zona classificata con il numero 1 per cui le caratteristiche di tale zona sono le seguenti:

Stagione calda

Temperatura (°C) Durata esi)

Numero ore con T>26°C

Media nel

periodo (°C)

Media nel mese più caldo

(°C)

Max medie nel mese più

caldo (°C)

Media in corrisp. Della tmax (%)

Velocità media

del vento (m/s)

Radiazione solare

media del periodo

(kWh/m2G

4 >720 >23 >24 >28 <55 >3 6,8

Stagione fredda

Temperatura (°C) Durata (mesi)

Numero ore con T>26°C

T<0°C

Media nel

periodo (°C)

Media nel mese più freddo (°C)

Min. medie nel mese più freddo

(°c)

Velocità media

del vento (m/s)

Radiazione solare

media del periodo

(kWh/m2G

6 1000÷1500

Irrilev. 12÷13,5 10÷11,5 8,5÷9,5 4÷6 3,4

Per una corretta progettazione edilizia-urbanistica particolare importanza riveste inoltre lo studio bioclimatico locale. Infatti le caratteristiche del microclima e del clima locale condizionano fortemente le scelte progettuali finalizzate al comfort ed al benessere ambientale. Il microclima è infatti fortemente condizionato dalle caratteristiche geografiche e dai materiali del luogo tali da determinare a parità di fattori metereologici situazioni climatiche differenti anche a brevi distanze. I principali fattori geografici che producono il clima locale sono82:

82 Stringer, E.T., Geografical Meteorology, Weather, 1958.

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IILLUMINOTECNICA

109LEMENTO ARATTERISTICHE DA ALALIZZARE PO DI SUPERFICIE ccia po, colore, conduttività termica. olo po, colore, strutture chimico-fisica, contenuto di aria e di acqua, conduttività termica. qua perficie (area) dell’acqua, profondità. getazione po, altezza, densità, colore, caducità stagionale. ricoltura po, colore, altezza, intensità.

dustria e città ateriali (calcestruzzo, legno, acciaio, etc.), colore, conducibilità termica, sorgenti di calore, umidità, quinamento, etc.

OPRIETA’ DELLE SUPERFICI rma geometrica tta, convessa, concava. ergia titudine ed altitudine, grado di copertura dell’orizzonte naturale. posizione hermatura dovuta a strutture macro o micro orografiche, alberi, edifici, etc. ievi topografici ee rurali, estensioni dei boschi, erba, zone arabili, presenza di frangivento, grado di agglomerazione

r gli edifici, aree urbane, distribuzione di zone costruite, orientamento delle strade, densità dei rcheggi, giardini e spazi aperti, profili verticali presenti nell’area.

bedo po di superficie e riflessione ottica. pacità radiante mperatura superficiale osservata dalla radiazione terrestre.

Per una corretta progettazione edilizia ed in particolare di quella bioclimatica è indispensabile

conoscere inoltre quei parametri che consentono di rappresentare e conoscere sinteticamente la situazione climatica locale ed in particolare: − i gradi giorno; − l’anno tipo; − il giorno medio mensile.

9.1 GRADI GIORNO

E’ la sommatoria estesa all’arco di un anno o di un mese, delle differenze fra la temperatura esterna (media giornaliera) e la temperatura ottimale per l’interno degli ambienti abitati (espressi in gradi centigradi) per i giorni dell’anno in cui la temperatura esterna è inferiore a quella interna considerata.

( )1

n

i eG t t= −∑

Dove: G = gradi giorno ti = temperatura interna ottimale di riferimento te = temperatura esterna - media giornaliera n = numero dei giorni compresi nel periodo considerato.

Successivamente alla legge 30.4.1976 n. 373, il Decreto Ministeriale 10 marzo 1977 ha suddiviso il territorio italiano in sei zone climatiche in funzione dei Gradi-Giorno ed indipendentemente dall’ubicazione geografica; successivamente le singole Giunte Regionali hanno emanato decreti con i quali sono stati fissati per ogni comune della relativa regione, i gradi giorno annuali, l’appartenenza alla zona climatica ed i valori di dispersione termica. Per la città di Palermo si ha:

Gradi giorno Zona climatica 690 B: comuni con gradi giorno compresi

tra 600 e 900

9.2 ANNO TIPO

L’anno tipo è un anno costruito con dati meteorologici tali da rappresentare, ai fini del sistema che si vuole esaminare, un periodo di tempo compreso tra i 15 ed i 20 anni.

E’ possibile ottenere quindi un anno convenzionale i cui valori orari giornalieri sono ottenuti dall’interpolazione di quelli ottenuti per il periodo di tempo lungo considerato ed in particolare: − temperatura dell’aria; − umidità relativa; − intensità del vento;

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IILLUMINOTECNICA

110

− radiazione globale; − soleggiamento; − Precipitazioni atmosferiche.

9.2.1 GIORNO MEDIO MENSILE

Il giorno medio mensile è un giorno fittizio i cui valori orari di temperatura, irraggiamento solare, umidità e velocità del vento, vengono determinati come media, per ciascuna ora di ciascun mese, dei valori orari misurati in un lungo periodo.

9.3 CALCOLO ILLUMINOTECNICO CON LA LUCE NATURALE

Un corretto calcolo illuminotecnico deve considerare la posizione del sole ora per ora, per definire il soleggiamento di una assegnata superficie quale potrebbe essere il prospetto di un edificio, ed inoltre lo stato del cielo dal quale dipende il livello di illuminamento esterno che influenzerà inevitabilmente quello interno all’ambiente per un corretto svolgimento di qualsivoglia attività lavorativa. La luce che giunge sulla terra viene fornita dal sole la cui energia irraggiata nell’unità di tempo su una superficie unitaria posta all’esterno dell’atmosfera terrestre ed orientata perpendicolarmente ai raggi solari viene denominata costante solare Ics.

Ics=1670 W/m2 (1175 kcal/m2h, 1,960 cal/cm2 1’) ipotizzando che il sole si comporti, ai fini dell’irraggiamento, come un corpo nero a temperatura

uniforme, utilizzando la legge di Stefan-Boltzmann, è possibile valutare facilmente la temperatura del corpo nero equivalente.

Essendo il flusso solare sulla superficie esterna del sole pari a: 2

263.253 /s csdI kW mR

φ = =

dove d è la distanza media terra-sole (149,5 106) ed R il raggio solare (6,95 105). La temperatura equivalente è pari a:

0,25

5779ssT Kφ

σ = =

Essendo σ la costante di Stefan-Boltzmann (5,67 10-8 w/m2 k4). Considerando che mediamente in un anno solo un terzo della radiazione solare raggiunge la superficie terrestre e che il 70% di questa viene perduto negli oceani, tale energia è circa 1500 volte superiore al fabbisogno mondiale annuo pari a 9,55 1013 kWh nel 1990.

9.4 7.1 IRRAGGIAMENTO EXTRATERRESTRE

L’irraggiamento extraterrestre varia nel corso dell’anno per effetto della variazione della distanza terra-sole (si trascura l’attività periodica delle macchie solari), in seguito alla ellitticità dell’orbita terrestre attorno al sole83, come rappresentato nel grafico seguente.

Ed analiticamente mediante la seguente espressione: ( )0 csI I e t=

( ) ( )21 0,033cos

365n t

e tπ

= +

dove n(t) è il numero progressivo del giorno dell’anno.

83 La variazione è pari a ±3,3%dipendente dalla variazione del ±1,7% circa della distanza terra sole.

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Figura 77: Irraggiamento extraterrestre nel corso dell’anno

9.5 VALUTAZIONE DELLE ORE DI SOLEGGIAMENTO

Per valutare le ore di soleggiamento giornaliere e stabilire quindi il modello di cielo da porre come riferimento per i successivi calcoli illuminotecnici faremo riferimento ai dati registrati dai servizi nazionali dal 1913 al 1972 (ore di cielo sereno) come indicato nella tabella seguente.

Mese 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 ore sole/mese 138 146 200 231 290 310 356 326 256 218 170 130

Dividendo i precedenti valori (ore di sole/mese) per i giorni di ogni mese solare si ottiene: ore sole mis./g. 4,5 5,2 6,5 7,7 9,4 10,3 11,5 10,5 8,5 7,0 5,7 4,2

Essendo ha e hb l’angolo orario relativo all’alba ed al tramonto

( )cosa th h ar tgLtgδ= − = −

È possibile calcolare l’ora in cui il sole sorge e tramonta mediante le seguenti espressioni:

Ora all’alba

1215

ah −

Ora al tramonto

1215

th −

La lunghezza del giorno (ore di sole dall’alba al tramonto) è pari a: 2

15 tN h=

Sviluppando le precedenti formule per i giorni dell’anno nei quali la declinazione è pari al valore medio mensile (declinazione calcolata con la formula di Cooper) si ottengono le ore di sole teoriche medie mensili

ore sole /g. 9,0 10,1 11,3 12,4 13,4 13,9 13,6 12,8 11,6 10,3 9,2 8,7

Confrontando i valori delle ore di sole teoriche medie mensili si ricava la percentuale teorica di effettive ore di sole giorno

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(Kp)% ore sole/g.

49,5 51,6 57,1 62,1 69,8 74,3 84,4 82,2 73,6 68,3 61,6 48,2 (%)

Media (%) 64 (%) (percentuale giorni anno con cielo sereno)

36 (%) (percentuale giorni anno con cielo diverso dal sereno)

DISTRIBUZIONE DELLE ORE DI SOLE DURANTE L'ANNO

0,0

5,0

10,0

15,0

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12

MESI

(h)

ORE SOLEMISURATEORE SOLETEORICHE

9.6 METODO DI CALCOLO PER LA DEFINIZIONE DELL’ILLUMINAMENTO ORIZZONTALE.

I dati illuminotecnici da porre a base dei calcoli sono stati tratti da apposite tabelle pubblicate dal Comitato Termotecnico Italiano (CTI) e riportanti i valori orari dell’illuminamento su piano orizzontale e verticale, espressi in lux, alle varie esposizioni, per ogni mese dell’anno e per i capoluoghi di provincia italiani. In tale capitolo faremo riferimento esclusivamente all’illuminamento diffuso su piano orizzontale, valore questo dell’illuminamento esterno presente nella formula del fattore di luce diurna proposta dalla vigente legislazione.

Valore dell'illuminamento solare orario diffuso su piano orizzontale (klux) 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17

Gennaio 4,8 10,5 15,3 18,4 19,5 18,4 15,3 10,5 4,8 0 Febbraio 8,27 14,5 19,6 22,9 24 22,9 19,6 14,5 8,27 1,99 Marzo 12,7 19,2 24,3 26 27,1 26 24,3 19,2 12,7 9,17 Aprile 16,8 22 26,6 29,3 30 29,3 26,6 22 16,8 9,76 Maggio 18,3 23,4 27,1 28,8 29,1 28,8 27,1 23,4 18,3 12,6 Giugno 18,7 23,3 26,4 27,5 24,2 27,5 26,4 23,3 18,7 13,4 Luglio 17,9 22,3 22,9 23,6 23,4 23,6 22,9 22,3 17,9 12,8 Agosto 16,1 20,6 21,8 23,2 23,5 23,2 21,8 20,6 16,1 10,7 Settembre 13,5 18,7 22,7 25,3 26,1 25,3 22,7 18,7 13,5 7,36 Ottobre 9,26 15,3 19,4 22,2 23,2 22,2 19,4 15,3 9,26 3,21

0 5,6 11,4 16,2 19,4 20,4 19,4 16,2 11,4 5,6 0 3,9 9,36 14 17 18,1 17 14 9,36 3,86

Al fine di comprendere la validità di quanto indicato nella precedente tabella è opportuno descrivere la metodologia di calcolo per la definizione di tali valori.

Essendo il flusso luminoso la quantità di energia luminosa emessa nell’unità di tempo

( )780

,380

nm

m enm

K V dλφ φ λ λ= ∫

dove:

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⋅ ,e λφ = flusso energetico corrispondente ad un piccolissimo intervallo di lunghezza d’onda intorno a λ;

⋅ V(λ)=fattore di visibilità relativa dato, con buona approssimazione, da:

( ) ( )2exp 278,5 0,555V λ λ = − −

⋅ Km = costante che permette di passare dall’unità energetica (watt) all’unità luminosa (lumen) pari a 683lm/W.

L’illuminamento rappresenta il flusso luminoso incidente su una superficie unitaria (misurato in lux) quindi un flusso di energia

( )G dλ λ (W/mq)

incidente su una superficie unitaria produce un flusso di energia luminosa pari a espressa in lux: ( ) ( ) ( )683lumW d V G dλ λ λ λ λ=

Mediante il Modello Perez è possibile calcolare l’efficienza luminosa della radiazione diffusa mediante la seguente espressione

( )0

0

cos lndi i i i

d

i a b w c z dI

= + + + ∆

Dove id0 e Id0 sono rispettivamente l’illuminamento diffuso e l’irraggiamento diffuso sul piano orizzontale; stesso procedimento vale per la componente diretta.

( )0

0

exp 5,73 5bi i i i

b

i a b w c z dI

= + + − + ∆

Quindi id0 , espresso in lux, è pari a: ( )0 0( cos ln )d i i i i di a b w c z d I= + + + ∆

Dove ai, bi, ci e di si desumono da apposite tabelle per un determinato valore di , più avanti descritto, mentre w rappresenta l’acqua precipitabile (cm) calcolabile con la seguente relazione

( )exp 0,07 0,075dw T= −

e ∆ l’indice di brillanza. Per ottenere il valore di Id0 (irraggiamento diffuso su piano orizzontale), espresso in W/mq, indicato nella precedente espressione, è indispensabile seguire il seguente metodo di calcolo. Mediante la formula di Cooper si ricava la declinazione solare δ84

28423,45 360365

nsenδ + =

Essendo n l’ennesimo giorno dell’anno85. L’ora solare alla quale il sole sorge e tramonta, sempre riferita all’ennesimo giorno dell’anno, e per la latitudine “L” della località presa in esame sarà pari a:

[ ]cosha ht ar tgLtgδ= − = −

L’angolo orario è invece pari a: ( )12 15h ora x= −

I valori orari della radiazione diffusa Dh e diretta Bh (MJ/mq) per il giorno medio mensile si valutano, secondo Liu e Jordan, a partire dai valori di radiazione media mensile indicati (MJ/mq), dalla norma UNI10349 per i capoluoghi di provincia italiani.

d dhDh r H=

84 La declinazione solare può considerarsi costante nel corso di una giornata, essendo la variazione massima

dell’ordine di 0,4°/giorno e pertanto viene trascurata l’influenza della longitudine stessa. 85 Si considera come giorno da porre a base del calcolo quello in cui la declinazione è pari al valore medio mensile.

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bhtBh r H=

I coefficienti indicati nelle formule precedenti sono pari a:

( ) cosh coshcosh24 cosh

180

at

a a a

r a bsenh h

ππ−

= +−

cosh cosh24 cosh

180

ad

a a a

rsenh h

ππ−

=−

dove: ( )0, 409 0,5016 60aa sen h= + −

( )0,6609 0, 4767 60ab sen h= − −

Mediante il modello di calcolo proposto da Perez si calcolo l’indice di serenità . 0

06 3

06 3

5,535 10

1 5,535 10

bd

d

IIsen z

Iz

α

ε

++ ⋅

=+ ⋅

Dove z rappresenta l’angolo zenitale mentre α è l’altezza solare cos coshsen senLsen conLα δ δ= +

Il coseno dell’angolo zenitale è pari a: cos z senα=

Ponendo 1m

senα=

La massa d’aria relativa si calcola l’indice di brillanza ∆ 0

0

dImI

∆ =

Dove I0 è l’irraggiamento normale extraterrestre ( ) ( )

2 ( )( ) 1 0,033cos365

o csI t I e tn te t π

=

= +

Il modello di cielo corrispondente a tale livello di illuminamento esterno è quello uniforme proposto dal CIE come visibile dalla seguente tabella, in cui i livelli di lux differiscono di una minima quantità rispetto ai valori proposti dal CTI.

Mese di riferimento Valori medi mensili proposti dal CTI (klux)

Corrispondenti valori proposti dal CIE Per cielo UNIFORME(klux)

Corrispondenti valori proposti dal CIE Per cielo COPERTO (klux)

Marzo 19,0 18,65 20,9 Giugno 21,2 22,00 18,8 Settembre 19,0 19,15 15,1 Dicembre 14,6 12,50 8,45

Valori dell’illuminamento medio mensile su piano orizzontale proposti da CTI e CIE per cielo Uniforme e Coperto

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10. LO SPAZIO COSTRUITO

Il raggiungimento del comfort ambientale, con riferimento all’illuminazione naturale, è strettamente legato al raggiungimento di un adeguata quantità di luce solare necessaria per lo svolgimento di qualsivoglia attività all’interno di un ambiente. Un idoneo illuminamento consente infatti una corretta visibilità del compio visivo.

Per raggiungere tali finalità è indispensabile, nel caso di ostruzioni esterne, (tipico esempio di edilizia urbana), che da un determinato punto interno dell'edificio si possa vedere una sufficiente porzione di cielo. Secondo la norma britannica BS8206 quanto detto si traduce nell'assicurare e nel verificare che l'angolo formato fra la retta orizzontale passante per il centro della finestra più bassa dell'edificio e quella congiungente questo punto con la sommità dell'edificio prospiciente non sia superiore a 25°86.

Condizione limite di illuminamento prevista dalla BS8206

Tale condizione, se verificata, è sufficiente a garantire che una idonea quantità di luce raggiunga le aperture più svantaggiate dell'edificio. Nel caso di espansioni edilizie che vadano ad ostruire parzialmente la vista del cielo di un edificio preesistente, è possibile definire la posizione della no sky line. Tale linea, assunto un piano di riferimento che, per l'edilizia residenziale, è posto a 85 cm dal pavimento, mentre per gli uffici a 70 cm, delimita la zona dalla quale è ancora possibile vedere direttamente il cielo; se l'espansione è tale da ridurre la porzione di cielo inquadrata dalla finestra a meno di 0,8 volte il valore precedente, la possibilità di sfruttare l'illuminazione naturale nell'edificio esistente sarà seriamente compromessa.

Se invece l'ostruzione esterna non possieda un'altezza costante e cioè che si abbia un sky line non uniforme (con profili vari o in presenza di vegetazione), è meglio calcolare il fattore di luce diurna nel centro delle finestre più penalizzate. Tale fattore, che rappresenta il rapporto fra l'illuminamento nel punto in esame nella condizione attuale e quella che si avrebbe in assenza di ostruzioni, è funzione della porzione di cielo ancora visibile e deve risultare maggiore del 27% affinché vi siano opportunità di illuminazione naturale87.

Nel caso infine di nuove costruzioni che vadano a disporsi perpendicolarmente a quelle esistenti, un metodo molto semplificato permette di valutare la quantità di luce naturale che ancora può essere ricevuta dalle vecchie costruzioni. Disegnando l'ombra portata dell'ampliamento secondo linee di proiezione disposte a 45° rispetto agli spigoli verticali ed orizzontali dello stesso, si deve verificare che il centro di tutte le finestre dell'edificio esistente non sia interessato da tale ombra.

86 In generale, la retta orizzontale di riferimento deve passare per un punto posto a 2 metri di altezza dal piano di

calpestio. 87 In generale, la retta orizzontale di riferimento deve passare per un punto posto a 2 metri di altezza dal piano di

calpestio.

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Metodo basato sulla proiezione delle ombre per la valutazione della disponibilità di luce diurna in un interno

Anche in questo caso se in seguito all'espansione la luce solare ricevuta dall’edificio preesistente risulta ridotta a meno di 0,8 volte quella della situazione originaria, il cambiamento verrà probabilmente avvertito in maniera negativa dagli interessati.

Particolare attenzione bisogna porre sulla necessità di evitare che i raggi di sole riflessi dalle grandi superfici vetrate delle costruzioni possano abbagliare gli occupanti di altri edifici o i passanti per strada. L’artifizio tiene conto del fatto che la capacità di riflessione luminosa del vetro aumenta con l'aumentare dell'angolo di incidenza dei raggi rispetto alla normale alla superficie, e quindi un vetro posto perpendicolarmente alla direzione dei raggi del sole produce una minore riflessione e nel contempo permette ad una maggiore quantità di luce di penetrare all'interno.

10.1 RIDUZIONE DELL’OMBRA PORTATA DA EDIFICI LIMITROFI

Per determinare le ore del giorno, in cui un ostacolo impedisce alla radiazione solare di raggiungere un punto stabilito, è possibile utilizzare il diagramma solare corrispondente alla latitudine del luogo e tracciare quindi il profilo di tali ostacoli così come sono visti da quel punto. La procedura per la definizione delle zone d’ombra e del loro periodo di permanenza (maschera di ombreggiamento) è il seguente: ⋅ aggetto orizzontale: per costruire la maschera di ombreggiamento di una finestra con un aggetto

orizzontale si determina innanzitutto l'angolo (α) formato con l'orizzontale da una linea che va dalla base della finestra al bordo esterno dell'aggetto; questo angolo rappresenta l'ombreggiamento del 100% della finestra. L'angolo formato con l'orizzontale, da una linea che va dal centro della finestra al bordo dell'aggetto α’, rappresenta un ombreggiamento del 50% della finestra. Usando la maschera per il calcolo delle ombre si individuano le linee di ombreggiamento che rappresentano i due angoli α e α’. Scelto il diagramma solare corrispondente alla latitudine del luogo, si fa collimare la linea di riferimento della maschera di ombreggiamento con l'angolo azimutale della finestra. Questa sarà completamente in ombra durante le ore in cui il sole è sopra la linea di ombreggiamento del 100% e parzialmente in ombra (50%) quando il sole è sopra la linea di ombreggiamento del 50%.

⋅ - aggetto verticale: le schermature verticali possono sporgere perpendicolarmente dal piano della finestra od inclinate. In ambedue i casi si determinano innanzitutto gli angoli β e β’ che rappresentano l'ombreggiamento del 100% della finestra. Allineando la maschera di ombreggiamento con il diagramma solare secondo l'angolo azimutale della finestra, questa sarà completamente in ombra quando il sole si trova all'esterno delle linee di ombreggiamento. - aggetto orizzontale e verticale: la maschera di ombreggiamento per tale combinazione è data dalla

sovrapposizione delle maschere di ombreggiamento per ciascun tipo di schermatura.

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10.2 POSIZIONAMENTO DELL’EDIFICIO SUL LOTTO

La posizione dell’edificio sul lotto, rappresentando la collocazione del volume costruito sull'area di pertinenza in relazione agli indici urbanistici edilizi del sito (indice di densità fondiaria, distanza minima dai confini, rapporto di copertura, rapporto altezza dell'edificio/distanza dagli altri edifici) e alla tipologia edilizia, riveste una particolare importanza non tanto per l'edificio e per il lotto di cui trattasi, quanto piuttosto sugli effetti di ombreggiamento che una posizione casuale può provocare sugli edifici e sui lotti adiacenti. In tal senso, il parametro "distanza minima dai confini", normalmente usato nello strumento urbanistico, non è più sufficiente, ma occorre definire l'involucro solare, cioè il volume di inviluppo nel quale devono essere contenute le parti dell'edificio affinché esse non proiettino ombra sui lotti adiacenti. Una procedura per la definizione delle eventuali ostruzioni che possono produrre ombra sugli edifici limitrofi è la costruzione della piramide solare.

Essa viene costruita tenendo conto di un'altezza minima utile del sole di 15 gradi per la città di Palermo (valore, questo, riferito ad un orario compreso tra le 8,00 e le 9,00 a.m. del solstizio d’inverno). Il vertice della piramide è la sommità di un segmento verticale, pari all'altezza massima consentita per l'edificio dalla normativa, misurato alla stessa scala della planimetria del sito. I due vertici settentrionali della base della piramide corrispondono invece alla estremità delle ombre proiettate sul piano orizzontale dal segmento verticale quando il sole si trova all'altezza minima prescelta e al corrispondente angolo azimutale nel giorno dell’anno più sfavorevole: il solstizio invernale (21 dicembre). Il lato meridionale della base della piramide è allineato nella direzione est-ovest; la facciata meridionale della piramide è verticale e contiene nel suo piano il segmento di cui sopra, il quale, può essere suddiviso in parti e quindi la piramide può essere suddivisa in varie curve di livello, che rappresentano le ombre proiettate sul piano da spigoli dell'edificio di altezza diversa.

Definita la piramide solare la si sovrappone alla mappa del luogo avendo cura di rappresentare la piramide su carta trasparente. Spostando la piramide parallelamente a se stessa lungo il perimetro del lotto, in modo che almeno due vertici dei quadrilatero di base insistano sui lati del perimetro dei lotto (e mantenendo ovviamente sempre orientato nella direzione est-ovest il lato di base passante per il segmento verticale che dà l'altezza massima realizzabile con l'edificio) si ottiene l'involucro solare: Esso è quindi, in pianta, un poligono entro il quale devono essere compresi i volumi edilizi di massima altezza affinché non proiettino ombra sui lotti vicini.

Piramide solare

Sulla base delle superiori premesse e di quanto stabilito ai punti 12, 12.1, etc. è possibile stabilire per la città di Palermo le seguenti distanze minime tra cortine edilizie essendo H l’altezza dell’edificio: ⋅ esposizione sud >1,5 H; ⋅ esposizione est ed ovest >1,5H; ⋅ esposizione nord >2H.

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10.3 IL VOLUME EDIFICATO

Per un corretto posizionamento dell’edificio in un contesto urbano oltre alla reciproca distanza tra le cortine edilizie bisogna considerare la posizione dell’edificio rispetto al tessuto viario.

In funzione della direzione delle strade si possono trarre le seguenti considerazioni: Per le strade lungo la direzione est-ovest, dimensionate secondo le precedenti indicazioni, nelle

ore più calde della stagione invernale: ⋅ -privilegiano la facciata degli edifici rivolta a sud; ⋅ -penalizzano la facciata degli edifici rivolta a nord; ⋅ -lasciano in ombra il piano stradale, e quindi riducono, se non eliminano, i fenomeni di riflessione

e/o di restituzione dell'energia termica; ⋅ -per migliorare le condizioni di eccessivo soleggiamento sui percorsi pedonali a terra durante la

stagione calda, possono essere adottati diversi accorgimenti che riguardano sia la configurazione della sezione stradale (filari di alberi con ampia chioma ed a foglia caduca), sia la forma degli edifici prospicienti (porticati, pensiline continue, corpi aggettanti sopra al piano terra).

Quando le strade sono orientate lungo la direzione nord-sud, sempre in relazione al rapporto h/L, si ottiene: ⋅ -che le ore di soleggiamento sono distribuite in misura omogenea sui due fronti e che, comunque,

esse si verificano quando il sole non è molto alto sull'orizzonte; ⋅ -che, nelle ore più calde, quando cioè il sole è più alto sull'orizzonte, i fronti degli edifici sono

lambiti tangenzialmente dai raggi solari, i quali cadono direttamente sul piano stradale; sono quindi accentuati i fenomeni di riflessione e di restituzione dell'energia termica nelle ore serali. Un corretto orientamento non deve trascurare gli effetti del vento, i quali sono tanto maggiori

quanto più l'asse stradale coincide con la direzione dei venti dominanti. Una strada definita dalle "facciate" degli edifici "percorsa" da vento di notevole velocità e/o freddo, provoca disagi per i pedoni ed aumenta le dispersioni termiche dell'involucro degli edifici stessi, paragonarsi ad una "condotta" definita su tre lati, percorsa da un fluido.

Infatti il passaggio di calore dall'interno dell'edificio all'esterno (o viceversa) avviene per conduzione (attraverso l'involucro) e convezione.

La convezione ha luogo quando almeno uno dei due corpi che prendono parte al fenomeno è un fluido. In un mezzo con temperatura non uniforme si manifestano delle correnti convettive (dovute alla diversa densità, da punto a punto) che provocano la miscelazione della massa fluida e quindi la trasmissione del calore: è il caso della convezione naturale.

Nel fluido possono verificarsi anche moti convertivi generati da cause meccaniche esterne (ad esempio un ventilatore) o naturali (il vento): si parla in questo caso di convezione forzata.

Il caso che qui si considera è quello della faccia piana di un corpo solido (la parete di un edifico) sottoposta all'azione dei vento. L'esperienza dimostra che la maggior parte delle differenze di temperatura si localizza nei pressi della superficie della parete scaldante (o raffreddante) a contatto con la massa fluida. Ciò è dovuto alla esistenza di un sottile strato di fluido ("strato limite") aderente alla parete, strato che si muove scarsamente rispetto al resto dei fluido.

Nello strato limite il fluido è pressoché immobile o si muove di moto laminare; in tale situazione il calore si trasmette prevalentemente per conduttività interna.

Lo spessore “s” dello strato limite dipende dalla natura del fluido e dalla velocità “v” dei moti convettori, e diminuisce al crescere di tale velocità. Data la complessità del fenomeno, non è facile stabilire esattamente la legge che collega lo spessore “s” alla velocità “v”.

( )c s fQ h A T T= −

E' stato proposto, comunque, che lo spessore dello strato limite possa essere considerato inversamente proporzionale alla radice quadrata della velocità “v” (a meno di un fattore K).

Il flusso termico Q che si verifica è esprimibile mediante la seguente relazione: ( )c s fQ h A T T= −

dove

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h = fattore di convezione A = area della superficie a contatto con il fluido (Ts - Tf) = differenza fra la temperatura della superficie e quella del fluido. Alla luce delle precedenti considerazioni, si può concludere che, al fine di ridurre gli scambi

termici, è opportuno ubicare gli edifici nei siti ove la velocità del vento è minima (per ragioni meteorologiche od a causa dell'esistenza di barriere frangivento) dato che così si aumenta lo spessore dello strato limite aderente all'involucro dell'edificio stesso.

10.4 LA NORMAZIONE NEL SETTORE EDILIZIO

In questo capitolo vengono considerati gli "edifici" nel loro complesso, quali masse edificate costituenti il "pieno" dell'ambiente costruito (e quindi le sue caratteristiche fisiche e geometriche).

Sarebbe opportuno fare alcune brevi precisazioni per meglio comprendere quando verrà di seguito esposto. La superficie di territorio occupata dagli edifici può essere intesa: in senso assoluto: indica la superficie dell'area compresa nel perimetro "dell'attacco a terra" di tutti gli edifici esistenti in un ambito territoriale considerato; viene espressa in mq e non rappresenta un indice molto significativo perché non è posta in relazione con la superficie di territorio libera da edifici; in senso relativo: è chiamata, in certe normative urbanistiche, rapporto di copertura, ed indica appunto il rapporto (espresso in mq/mq) fra la superficie dell'area su cui insiste l'edificio e quella del relativo lotto edificabile.

Anche il rapporto di copertura non costituisce un indicatore significativo della densità del tessuto urbano e delle sue influenze sulla qualità del clima dell'ambiente costruito. Infatti: − tale rapporto è un indice puramente matematico, non essendo accompagnato da indicazioni in merito al "trattamento"

delle parti di lotto che non sono coperte dall'edificio (marciapiedi, strade private, rampe, piazzali lastricati, sistemazioni a verde privato, alberature, ecc.);

− tale rapporto è riferito alle superficie del lotto edificabile, e non tiene conto, della quota parte di territorio riservata alle attrezzature di uso pubblico, alle sistemazioni a verde, alla rete stradale;

− il rapporto non tiene conto dell'altezza degli edifici costruiti, e quindi del loro volume vuoto per pieno. In definitiva, un indicatore più significativo della densità del tessuto urbano, in un ambito più o

meno vasto, è il così detto "indice di fabbricabilità", che indica il rapporto (espresso in mc/mq) fra il volume degli edifici realizzati o realizzabili e la superficie del territorio interessato (indice di fabbricabilità territoriale) ovvero del singolo lotto (indice di fabbricabilità fondiaria). Ovviamente il secondo indice è sempre maggiore del primo, ed il loro rapporto dipende dal valore assoluto della densità territoriale e della percentuale di superficie territoriale riservata alle attrezzature pubbliche, alle sistemazioni a verde ed alle strade.

Per spazio occupato dagli edifici si intende qui il volume vuoto per pieno degli edifici stessi. Tale volume è condizionante, ai fini climatici per i seguenti motivi. 1. sottrae porzioni di atmosfera, quindi riduce, teoricamente le quantità di aria a disposizione degli

abitanti; 2. proietta ombra sul suolo e sugli altri edifici, diminuendo il soleggiamento e l’illuminamento degli

spazi interni; 3. può costituire ostacolo al vento.

Il volume degli edifici, in un intorno territoriale più o meno vasto, ha poco significato se viene espresso con un valore quantitativo assoluto e un significato migliore se esso viene espresso con l'indice della densità edilizia (mc/mq). Quest'ultimo dato, infatti, è un valore medio: la cubatura può essere concentrata in pochi edifici di elevata altezza e molto distanziati, oppure, al limite opposto, in un insieme di costruzioni di modesta altezza, senza soluzione di continuità.

Naturalmente il dato o l'indice quantitativo della edificazione è poco significativo per determinare la qualità dell'ambiente costruito: a tal fine interessa la disposizione dei volumi degli edifici sul territorio e le relative tipologie. Notevoli sono stati nel tempo gli studi condotti al fine di ottenere una disposizione ottimale degli edifici, per un corretto soleggiamento, ed una densità del costruito adeguata alle dimensioni del lotto in funzione tra l’altro degli edifici limitrofi.

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A tal proposito è opportuno citare gli studi condotti da J. J. Oud per la realizzazione delle "case operaie" Tusschendijken (edificate a Rotterdam nel 1919); i grandi isolati, iscritti in una infelice lottizzazione periferica, danno luogo a cortili ampi ed utilizzabili dalla gente, ma non si sottraggono tuttavia alla logica della "strada corridoio", con tutte le caratteristiche dei cortili angusti e senza luce della soluzione ottocentesca, prima fra tutte quella di un orientamento obbligato dei fronti degli edifici.

Nel 1929, Walter Gropius presentò sulla rivista "Die Wohnformen, Flach ~ Mittel oder Hochbau" la tipologia edilizia delle case lamelliformi ("Slab Houses"), da lui progettata insieme a Marcel Breuer. La Slab Houses sono disposte a pettine rispetto alle strade di traffico; esse sono distanziate, le une dalle altre in relazione alla rispettiva altezza, mentre l'area non occupata dagli edifici è sistemata a verde, e quindi a disposizione degli abitanti. Citando W. Gropius " .... questa schiera ha il vantaggio di rendere possibile un uguale insolazione per tutti gli alloggi, di abolire le case disposte trasversalmente (le quali impediscono una buona circolazione dell'aria) e gli appartamenti d'angolo, dove l'areazione è sempre cattiva". Anche se non esplicitamente indicato, l'asse maggiore degli edifici è orientato secondo la direzione est -ovest.

Ma il quesito che si posero subito i progettisti degli inizi del novecento fu quello di una organizzazione urbanistica della città in cui viene presa in considerazione l'altezza degli edifici più vantaggiosa per un migliore uso del terreno, sotto il profilo del massimo volume realizzabile e del conseguimento delle condizioni ottimali di soleggiamento e di aerazione degli alloggi. Secondo C. Benedetti, nel suo libro “Manuale di architettura bioclimatica” si legge come …a parità di superfici del lotto e di condizioni di soleggiamento, il numero di metri cubi realizzabili aumenta con il numero di piani, con un valore ottimale pari a 9; a parità di metri cubi realizzabili (altezza 9 piani) e di condizioni di soleggiamento, la superficie necessaria occorrente è minore; a parità di superfici del lotto e di metri cubi realizzabili, le condizioni di soleggiamento migliorano.

La valutazione critica della soluzione non affrontò, tuttavia, il problema della unicità del tipo edilizio e quindi della conformità della soluzione stessa alle diverse realtà della città, alla organicità, spesso complessa, del tessuto edilizio, alle ragioni della storia. Inoltre non furono svolte considerazioni di tipo sociologico (altezza degli edifici - nove piani per la soluzione ottimale - e rapporto degli abitanti con gli spazi verdi) nonché di ordine pratico (soleggiamento degli stessi spazi verdi e quindi loro manutenzione). Interessanti sono gli studi di Alexander Klein88 il quale, nella sua opera "Das Einfamilienhaus - Súdtyp - ecc.", pubblicata a Stoccarda nel 1934 prende in considerazione tipologie abitative uni e bifamiliari, alte due piani. Lo studio riguarda la distribuzione interna, secondo i canoni del razionalismo, ma anche le ombre portate da ogni edificio su quelli vicini e sul terreno, in primavera, autunno ed inverno, con una metodologia senz'altro più moderna, valida per qualsiasi tipo edilizio e quindi compatibile con le più diverse configurazioni dell'ambiente costruito.

Tra il 1968 ed il 1970 un gruppo di ricerca della University of Southern California89,sulla base degli studi condotti per l'edificazione della Owens Valley, in California ha messo a punto un metodo raffinato per la definizione del volume massimo ammissibile in un lotto di qualsiasi dimensione; esso prevede la suddivisione del territorio preso in esame in unità elementare di 100x100 piedi (m 33x33) e prende in considerazione non soltanto il soleggiamento, ma altri fattori climatici (venti, precipitazioni) e morfologici (clivometria, orientamento dei pendii).

Per quanto riguarda il soleggiamento, per ogni unità elementare si arriva a determinare, nelle diverse stagioni e ore del giorno e per diverse pendenze del terreno, una piramide teorica entro la quale deve essere compreso l'inviluppo dell'edificio affinché l'ombra da esso proiettata sul terreno sia tutta compresa nel perimetro dell'unità elementare stessa.

Per un reticolo più vasto, comprendente numerose unità elementari, gli effetti di ombreggiamento vengono accorpati per le unità contigue, al fine di definire le condizioni per entità maggiori, e quindi per controllare l'ombreggiamento stesso su edifici di maggiore estensione e di volumetria più complessa.

88 Altri studi sull’argomento sono stati condotti da Ray Pidoux, di G. Vinaccia, di Diotallevi e Marescotti nei quali si

vanno delineando i principi dell'architettura bioclimatica applicati all'urbanistica ed anche il concetto giuridico di "diritto al sole".

89 Lavoro pubblicato nel volume di R. L. Knowles "Energia e Forma".

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10.5 FORMA DEGLI EDIFICI

Uno studio illuminotecnico non può trascurare come in precedenza citato altri fattori, primo fra tutti quello energetico dell’edificio. Progettare una forma architettonica non vuol dire esclusivamente definire edifici perfettamente inseriti nel contesto urbano, sia in termini di dimensione, che di forma, che di reciproche distanze, ma deve mirare in particolare alla realizzazione di ambienti interni confortevoli ed alla riduzione delle dispersioni termiche e di conseguenza dei consumi.

Quanto detto si traduce nella definizione di una corretta esposizione della fabbrica rispetto al sole e delle sue dimensioni rispetto al lotto che deve occupare (parlando di dimensioni entra in gioco il rapporto altezza/distanza da altro edificio).

Se riguardo all’esposizione nel capitolo “L’orientamento dello spazio costruito” si è visto come l’orientamento migliore sia quello che segue il percorso apparente del sole che alle nostre latitudini si svolge verso sud; per cui l’esposizione e la forma architettonica mette in primo piano l’aspetto energetico. Sulla base delle superiori premesse sarebbe opportuno fare alcune brevi precisazioni in merito ai problemi energetici degli edifici sicuri di indagare in un argomento non estraneo al tema della ricerca: l’illuminamento degli interni.

Ogni edificio infatti, in base alla sua configurazione, si pone in modo diverso rispetto allo spazio circostante; infatti proprio le sue peculiarità geometriche (estensione superficiale, perimetro di base, altezza) determinano certe qualità e non altre. Di conseguenza deve essere oculata la scelta della forma da utilizzare per l'involucro. Tale scelta deve tener conto delle condizioni climatiche e ambientali del sito, da cui derivano i requisiti che un edificio deve possedere per realizzare condizioni di comfort.

Il libro di C. Benedetti “Manuale di architettura bioclimatica” a tal proposito così recita: l'adattamento della geometria dell'edificio al funzionamento energetico, perseguito in funzione del comfort ambientale e del risparmio, può essere studiato in modo sistematico e metodologico vedendo come le variabili, introdotte di volta in volta, modificano la geometria dell'edificio e incidono sulle prestazioni energetiche. Per contenere il consumo di energia occorre tendere a ridurre le dispersioni termiche e sfruttare al meglio l'apporto di calore della radiazione solare. Fra le tante variabili in gioco quella che ha un peso maggiore è sicuramente la compattezza dell'edificio.

I guadagni termici e le dispersioni di calore di un edificio variano infatti al variare della sua forma. La condizione migliore si raggiunge utilizzando le forme più compatte; ciò si realizza quando ad una certa superficie corrisponde il minore perimetro, e ad un dato volume corrisponde la minima superficie esterna. Ogni edificio o complesso di edifici è caratterizzato da un coefficiente di forma, dato dal rapporto tra superficie di inviluppo e volume, che indica la sua compattezza. Quanto minore è la superficie di inviluppo rispetto al volume compreso tanto maggiore è la compattezza. Un basso rapporto superficie/volume comporta una minore superficie disperdente per unità di spazio utilizzabile. La sfera è la forma geometrica che, con la minima superficie, racchiude il massimo volume. Non potendo utilizzare praticamente la sfera come elemento edilizio, si può considerare il cubo, quale forma geometrica che maggiormente si avvicina alla sfera. Nel cubo di lato = d, il rapporto S/V è uguale a 6/d. All'aumentare della dimensione del lato, il valore del rapporto S/V diminuisce e si realizza quindi una compattezza maggiore. Si può quindi affermare che il valore del rapporto S/V è funzione della dimensione del lato.

Rappresentando la funzione xy = 6 (ramo di iperbole equilatera) in un diagramma (dove x = rapporto S/V ed y = dimensione del lato del cubo d) si può osservare che per valori di "d" elevati (da 12 a 22 m) si hanno piccole variazioni del rapporto S/V, che rimane piuttosto modesto (quindi si hanno forme molto compatte). Va rilevato, tuttavia, che tale conclusione (basata su dati di ordine geometrico) non sempre è coerente con le esigenze di ordine funzionale e distributivo; infatti un edificio di forma cubica con "profondità" superiore ai 12-13 m pone problemi per una corretta aerazione ed illuminazione naturale degli ambienti. Un cubo di lato doppio di quello unitario e "posato" sul terreno (essendo un edificio), ha 5 facce esposte (di superficie totale uguale a 20) e volume pari a 8 volte il volume unitario. Il rapporto S/V ha un valore pari a 20/8 = 2.5. Si considerino altre aggregazioni, sempre di volume pari a 8 volte il volume unitario. L'aggregazione a torre ed in linea danno luogo a valori di S/V rispettivamente pari a 4.125 e 3.25. La quantità della superficie esposta a parità di volume riveste un ruolo molto importante in relazione alle condizioni climatiche del sito su cui il solido (edificio) è "posato" (una maggiore superficie esposta consente inoltre la realizzazione di un numero maggiore di superfici vetrate con conseguente incremento del livello di illuminazione interno).

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Con questo si vuole rimarcare che non esiste una forma ottimale in assoluto. Fino ad ora si è affrontato il problema focalizzando l’attenzione esclusivamente sull’aspetto geometrico e non tenendo conto delle caratteristiche fisico-tecniche delle facce comprendenti il solido (ovvero delle pareti dell'edificio). La trasmittanza delle superfici esterne condiziona sensibilmente una scelta architettonica rispetto ad un’altra. Infatti la forma cubica, come si è visto, sarebbe quella ottimale a condizione che tutte le facce abbiano uguale trasmittanza.

Per gli edifici questa condizione non si verifica, dato che la superficie appoggiata sul terreno e la superficie di copertura sono caratterizzate generalmente da una trasmittanza più bassa. Esse quindi, al fine di ottenere un equilibrio termico complessivo, possono avere una estensione diversa. Si configura quindi una forma parallelepipeda, in alternativa a quella cubica90.

90 Se si considera un parallelepipedo di dimensioni a, h, h, il rapporto fra la superficie e il volume è dato da:

SV

h a b ababh a b h

=+ +

= + +2 2 2 2 2( )

Ad esempio, assegnano alle tre facce i rispettivi valori della trasmittanza media: - faccia a x h t = 0. 5 kcal/mq h °C - faccia h x h t = 1. 2 kcal/mq h °C - faccia a x h t = 1. 4 kcal/mq h °C L. March ha formulato un teorema che lega le caratteristiche geometriche e quelle fisico-tecniche (trasmittanza)

dell'involucro edilizio: La dimensione di ogni spigolo risulta proporzionale al valore della trasmittanza media delle facce definite dagli altri due spigoli. Si può scrivere allora un sistema di tre equazioni in tre incognite.

h x h x 1.2 a x h x 1.4 a x h x 0. 5 Risolvendo questo sistema di equazioni si ricavano a, h, h. Si può concludere che la forma più corretta di un edificio è quella parallelepipeda, le cui tre dimensioni sono

funzione dei valori della trasmittanza delle superfici dell'involucro. Per concludere i fattori che influenzano le prestazioni sono:

a) orientamento: l'edificio va posto con il lato più lungo ortogonale al sud geografico, se si vogliono avere guadagni termici più elevati; in questo caso è infatti maggiore la superficie captante;

b) soleggiamento: se le caratteristiche fisico-tecniche delle pareti sono uguali, essendo diverso l'apporto della radiazione solare su facce diversamente orientate, per avere un edificio equilibrato termicamente, si deve sviluppare la superficie a sud (che ha l'apporto tecnico maggiore) e ridurre quella a nord (che non riceve la radiazione solare). Vanno inoltre differenziate le superfici est e ovest, in quanto le temperature più alte del pomeriggio avvantaggiano l'esposizione ovest rispetto a quella est.

Se si vuole mantenere invece la forma parallelepipeda vanno differenziate le caratteristiche fisico-tecniche delle pareti (trasmittanza). La parete a nord deve essere la più coibentata e con minore superficie finestrata, quella a sud la parete più leggera e più vetrata per consentire il maggiore guadagno termico.

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IILLUMINOTECNICA

123

11. QUALITATÀ DEGLI AMBIENTI ILLUMINATI NATURALMENTE

11.1 IL FATTORE DI LUCE DIURNA

La valutazione del livello di illuminamento di un ambiente, illuminato da luce naturale, può essere condotta, mediante il fattore di luce diurna (FLD). Esso esprime il rapporto percentuale tra l’illuminamento naturale in un punto interno dell’ambiente analizzato (Ei) e quello che simultaneamente è prodotto all’esterno, su un piano orizzontale, dall’intera volta celeste in assenza di irraggiamento diretto (Eo):

i

o

EFLDE

=

L’espressione precedente esprime il fattore puntuale di luce diurna, i cui valori a numeratore e denominatore possono essere definiti mediante uno dei metodi descritti in appendice: “metodi di calcolo”, e permette di conoscere la distribuzione dell'illuminazione naturale in un certo ambiente (ad esempio lungo una sezione trasversale per verificare la riduzione del fattore di luce diurna all'aumentare della distanza dalla finestra) e di determinare i valori di minimo e di massimo del suddetto parametro.

I problemi principali connessi all'uso dei fattore puntuale di luce diurna sono la complessità del procedimento di calcolo (è infatti necessario calcolare distintamente le tre componenti: componente cielo CC, la componente riflessa esternamente CRE e la componete riflessa internamente CRI: si veda il capitolo “metodi di calcolo”) e la necessità di conoscere le caratteristiche definitive dell'ambiente esaminato (posizione e dimensione della finestra, coefficiente di trasmissione e riflessione luminosa dei vetri e delle superfici interne, ostruzioni esterne ecc.). Quest'ultimo limite è particolarmente condizionante quando ci si trovi ancora nella fase preliminare della progettazione ed il calcolo dell'illuminamento naturale è più un input progettuale che una verifica a posteriori. In questo caso è più utile fare riferimento al fattore medio di luce diurna, che rappresenta il rapporto fra l'illuminamento orizzontale medio interno e quello che è prodotto, simultaneamente, all'esterno, dall'intero emisfero celeste, in assenza di irraggiamento solare diretto.

Il fattore medio di luce diurna, al contrario di quello puntuale, è indipendente dalla forma e dalla posizione del vano finestra e pertanto può essere più facilmente posto in relazione con la dimensione della superficie vetrata. Per questo motivo si può utilizzarlo anche per un primo dimensionamento delle finestre (sulla base del solo requisito illuminotecnico) le quali, possono, in una fase più avanzata della progettazione, essere verificate dal punto di vista termico (perdite di calore e guadagni solari passivi) e per quello che riguarda gli altri requisiti del sistema ambientale come la veduta, la privacy etc.).

Il calcolo del fattore medio di luce è un metodo di calcolo analitico che ha quindi come variabili i dati dimensionali del vano, il coefficiente di trasmissione luminosa dei vetro e l'ampiezza dell'ostruzione esterna. Crisp e Littiefair, della Building Research Station, riprendendo e ampliando uno studio dei 1979 di Lynes, forniscono la seguente formula per il calcolo dei fattore medio di luce diurna91:

( ) (%)2(1 )

MAf tFLDm

Stot m

θ

δ=

dove: Af = area vetrata totale; Stot = area totale delle superfici interne; δm = coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne; M = fattore di correzione per la presenza di sporco o di altre ostruzioni sul piano della finestra; t = coefficiente di trasmissione luminosa dei vetri puliti;

= angolo di vista libera dei cielo (in gradi), a partire dal baricentro esterno della finestra. Nel 1928 Fruhling, estendendo il concetto di coefficiente di utilizzazione, solitamente utilizzato

nel calcolo dell’illuminazione naturale, al calcolo del fattore di luce diurna definisce una nuova formula

91 risultati ottenuti in base alla presente formula, posti a confronto con i dati misurati sperimentalmente (mediante modelli fisici in scala), hanno mostrato errori medi dell'ordine dei 10%.

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IILLUMINOTECNICA

124

in cui il FLD viene espresso in funzione della dimensione dell’area vetrata, Af, della superficie del pavimento, Spav, di un coefficiente di utilizzazione, U, variabile tra 0,2 e 0,5, e del coefficiente di vista del cielo .

(%)AfUFLDmSpavε

=

In Italia il requisito della illuminazione naturale è specificato in alcuni Decreti Ministeriali o Circolari con riferimento a determinati settori edilizi, ed è ripreso nei Regolamenti Edilizi Comunali in termini di dimensionamento della superficie vetrata o, più raramente, di fattore di luce diurna92.

Sulla base delle raccomandazione del CIE, la Circolare Ministeriale n.3151 del 22.5.1967 definisce al punto 2.1.01 il fattore medio di luce diurna93 come rapporto tra l’illuminamento del piano di lavoro in una porzione determinata e l’illuminamento che si avrebbe nelle identiche condizioni di tempo e di luogo, su una superficie orizzontale esposta all’aperto in modo da ricevere luce dall’intera volta celeste, senza irraggiamento diretto del sole; ed inoltre al punto 1.1.03 si legge: “L’area delle porzioni vetrate delle pareti perimetrali opache...non deve di norma eccedere il valore necessario per ottenere che il coefficiente medio d’illuminazione diurna (fattore medio di luce diurna) degli ambienti risulti inferiore o almeno uguale a 0.06”.

Per il calcolo di tale fattore la maggior parte dei regolamenti edilizi italiani e la sopraccennata circolare 3151 fanno riferimento alla seguente espressione:

(1 )f

m

S tFLD

δ=

− (1)

dove i simboli assumono il seguente significato: Sf Superficie vetrata della finestra in metri quadrati; tale valore equivale alla superficie del

vano finestra ridotta del 30% nel caso di infissi in legno e del 15% per infissi metallici; t Fattore di trasmissione luminosa del vetro della finestra da assumersi uguale a 0,8 per

finestra con una sola lastra di vetro e uguale a 0,6 per finestre munite di due lastre parallele;

92 Le norme nazionali che riguardano l’illuminazione naturale nelle costruzioni edilizie sono attualmente contenute

nei seguenti provvedimenti: Decreto del Presidente della Repubblica n.547 del 27.4.1955. Norme per la prevenzione degli infortuni e l’igiene sul

lavoro. Decreto del Presidente della Repubblica n.303 del 19.3.1956. Norme generali per l’igiene del lavoro. Decreto del Ministro della sanità del 5.7.1975 (G.U. 18-7-1975, n.190). Modifiche alle istruzioni ministeriali 20

giugno 1896 relative all’altezza minima ed ai requisiti igienico sanitari principali dei locali d’abitazione. Circolare Ministero dei Lavori Pubblici n.3151 del 22 5.1967 (Pres. Cons. Sup. – Servizio Tecnico Centrale). Criteri di

valutazione delle grandezze atte a rappresentare le proprietà termiche, igrotermiche, di ventilazione e di illuminazione nelle costruzioni edilizie.

Decreto Ministeriale del 18.12.1975. Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici minimi di funzionalità didattica ed urbanistica da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica.

Circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n.13011 del 22.12.1974 (Pres. Del Cons. Superiore – Servizio Tecnico Centrale). Requisiti fisico-tecnici per le costruzioni edilizie ospedaliere. Proprietà termiche, igrotermiche, di ventilazione e di illuminazione.

Normativa Tecnica della regione Emilia Romagna n.48 del 3.11.1984 per l’edilizia residenziale pubblica. Decreto Legge n.626 del 19.9.1994. Riguardante, in attuazione alle direttive CEE, il miglioramento della sicurezza e

della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Decreto Legge n.242 del 19.3.1996. Miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Particolarmente utili sono inoltre le norme proposte dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione (UNI), in

precedenza accennate, ed in particolare: UNI 8459 del febbraio 1993: Ergonomia dei sistemi di lavoro - terminologia di base e principi generali; UNI 10380 del maggio 1994: Illuminazione di interni con luce artificiale; UNI 10530 del febbraio 1997: Principi di ergonomia della visione - Sistemi di lavoro e illuminazione. 93 Il fattore medio di luce diurna, al contrario di quello puntuale, è indipendente dalla forma e dalla posizione della

finestra e pertanto può essere facilmente posto in relazione con la dimensione della superficie vetrata

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IILLUMINOTECNICA

125

δm Coefficiente medio di rinvio delle superfici interne dell’ambiente, il cui valore medio

viene calcolato dalla seguente espressione: 1 1 2 2

1 2

......

n n

n

S r S r S rrS S S

+ + +=

+ + +

S Superficie totale di involucro, comprendente tutte le superfici che delimitano l’ambiente.ε Coefficiente di illuminazione diurna (o fattore finestra) calcolato in corrispondenza del

baricentro della finestra. =100% per superfici orizzontali prive di ostruzioni; =50% per superfici verticali prive di ostruzioni; < 50% per superfici verticali in presenza di ostruzioni.

Il coefficiente ε al numeratore della (1) può essere dedotto da appositi diagrammi, nomogrammi IUAV ed in presenza di un paesaggio urbano complesso tramite il diagramma di Waldram, o analiticamente con la formula di Pugno - Grespan e, la formula di Rossi e Vio, come meglio specificato al punto seguente.

Il regolamento edilizio dell’Emilia Romagna (maggio 1995) propone invece una formula per la valutazione del livello di illuminamento interno che tiene conto inoltre della effettiva posizione del serramento rispetto al filo esterno della parete mediante l’utilizzo del coefficiente ψ per cui, il fattore medio di luce diurna viene espresso dalla seguente espressione94:

(1 )

n

i i i ii

m

AfFLD

S

τ ε ψ

δ=

∑ (2)

dove i simboli hanno lo stesso significato di quelli proposti dalla circolare 3135 ed inoltre: n= numero di superfici vetrate; ψ= coefficiente di riduzione del fattore finestra, dipendente dalla posizione del vetro e dallo spessore

della parete, desumibile da apposito grafico.

TIPOLOGIA EDILIZIA 0.01mµ ≥ 0.02mµ ≥ 0.03mµ ≥ EDILIZIA RESIDENZIALE

- Tutti i locali di abitazione

-

EDILIZIA SCOLASTICA uffici, spazi di distribuzione, scale e servizi igienici

Palestre e refettori

ambienti ad uso didattico, laboratori

EDILIZIA OSPEDALIERA come edilizia scolastica Palestre e refettori

ambienti di degenza, diagnostica e laboratori

Valori del fattore medio di luce diurna relativo all’edilizia residenziale (D.M.S. del 5/7/75), scolastica (D.M. del 18/12/75) ed ospedaliera (C.M.L.PP. 13011 del 22/11/74).

Tipo di ambiente Norma Parametro di riferimento Valore FLD

Residenze D.M. 05/07/75 Circ. 25/05/67 L.48 9/11/84 NTR

Fattore medio di luce diurna FLD. (per tutti gle ambienti) FLD. (attività domestiche)

≥ 2 ≤6 ≥ 2

94 Lo stesso regolamento contiene inoltre precise disposizioni per la verifica in opera ed a tal proposito così recita…le

due misure di illuminamento interno ed esterno devono essere effettuate contemporaneamente con due luxometri. In caso contrario, le due misure devono essere eseguite alternativamente con frequenza tanto maggiore quanto più mutevoli sono le condizioni di climatizzazione esterna. Le misure di illuminamento interno dovranno essere condotte a 0,9 m dal pavimento e a una distanza di 1,5 m dalle pareti contenenti le finestre e superiore a 0,6 m dalle altre pareti. Le misure di illuminamento esterno saranno eseguite su di un piano orizzontale posto in prossimità dell’alloggio e con visuale sull’intera volta celeste senza essere sottoposto all’irraggiamento diretto del sole…Il valore del F.L.D. medio è quindi ottenuto dal rapporto tra la media dei valori di illuminamento rilevati all’interno e la media dei valori di illuminamento rilevati all’esterno.

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IILLUMINOTECNICA

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Emilia Romagna B.S. 8206, part 2

FLD. nelle camere nei soggiorni nelle cucine

≥ 1 ≥ 1.5 ≥ 2

Scuole D.M. 18/12/75 B.S. 8206, part 2

FLD. Nelle aule nelle palestre e nei refettori negli uffici, spazi di circ. e servizi FLD. se solo luce naturale se luce naturale ed artificiale

≥ 3 ≥ 2 ≥ 2 ≥ 5 ≥ 5

Ospedali Circ. Min. 13011 BSI CP3

FLD. nelle degenze nelle palestre e nei refettori in corrispondenza del letto meno illuminato nel punto meno illuminato delle sale di attesa

≥ 3 ≥ 2 ≥ 1 ≥ 0.6

Uffici IES ≥ 1 Confronto fra i valori consigliati dalle diverse normative per il fattore di luce diurna

LOCALITA’ RAPPORTO Sf/Sp POSIZIONE ALTIMETRICA DEL LOCALE

Bergamo Sf/Sp≥1/7 Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/10 Sf/Sp≥1/12

Al piano interrato Al piano terra Ai piani superiori Al piano sottotetto

Varese Sf/Sp≥1/6 Sf/Sp≥1/10

Al piano terra Ai piani superiori

Trento Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/10

Al piano terra Ai piani superiori

Belluno Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/10 Sf/Sp≥1/12

Al piano terra Ai piani superiori All’ultimo piano di edifici con almeno 3 piani

Pordenone Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/10

Al paino terra Ai piani superiori

Piacenza Sf/Sp≥1/7 Sf/Sp≥1/8

Nei locali abitabili ricavati nei seminterrati In tutti gli altri casi

Perugia Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/9 Sf/Sp≥1/10 Sf/Sp≥1/12

Nei locali seminterrati abitabili Al piano terra Ai piani superiori Nel piano sottotetto abitabile

Valori del rapporto Sf/Sp in funzione del posizionamento altimetrico del locale

LOCALITA’ RAPPORTO Sf/Sp ALTEZZA DEL LOCALE

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IILLUMINOTECNICA

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Potenza Sf/Sp≥1/6 Sf/Sp≥1/8

2,8 m ≤ H ≤ 3,0 m H ≥ 3,0 m

V. Valentia Sf/Sp≥1/6 Sf/Sp≥1/8

2,8 m ≤ H ≤ 3,0 m H ≥ 3,0 m

Enna Sf/Sp≥1/8 Sf/Sp≥1/10

2,8 m ≤ H ≤ 3,0 m H ≥ 3,0 m

Valori del rapporto Sf/Sp in funzione delle caratteristiche geometriche dell’ambiente

LOCALITA’ RAPPORTO Sf/Sp DESTINAZIONE D’USO Brindisi Sf/Sp≥1/8

Sf/Sp≥1/10 In tutti gli altri casi Solo per edifici rurali

Valori del rapporto Sf/Sp in funzione della destinazione d’uso degli ambienti

LOCALITA’ RAPPORTO Sf/Sp TIPOLOGIA AGGETTO Bologna Sf/Sp≥1/8

Sf/Sp≥1/16

Nel caso di edifici di nuova costruzione. Per parti apribili sotto porticati il rapporto Sf/Sp dovrà essere calcolato facendo riferimento alla superficie del pavimento dell’ambiente interessato più quello dell’intero porticato prospiciente all’ambiente stesso. Per le parti apribili sotto balconi con aggetto >1,30m le dimensioni dovranno essere proporzionalmente maggiori dei minimi prescritti, secondo la progressione di 0,06 m2 ogni 0,05 m di ulteriore aggetto e fino ad uno sporto massimo del balcone di 2 ,00m.

Siracusa Sf/Sp≥1/6 Sf/Sp≥1/7 Sf/Sp≥1/8

Per sporgenze compresa tra 2,5 e 3,5 m. Per sporgenza compresa tra 1,5 e 2,5 m. Per sporgenza di larghezza ≤1,5 m.

Valori del rapporto Sf/Sp in presenza di sporgenze o aggetti 11.1.1 CALCOLO DEL FATTORE FINESTRA

Nonostante sia funzione degli angoli sottesi dalle ostruzioni esterne e del coefficiente di riflessione luminosa delle stesse, nella pratica il contributo dovuto a quest’ultimo parametro viene sovente trascurato (le tabelle o i grafici attualmente disponibili tengono conto esclusivamente della distanza e dell’altezza dell’ostruzione).

( ) ( ) ( )( )0

11/ 2 11 2 1 / 1m m

sensena tg a

αε αα+

= − ++ + −

Diagramma che fornisce il valore di al variare del rapporto (H-h)/L

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IILLUMINOTECNICA

128

E’ possibile quindi, al fine di ottenere risultati dotati di un maggiore livello di precisione, utilizzare due differenti formule, fornite da G.A. Pugno e O. Grespan e da G. Rossi e M. Vio.

La formula Pugno - Grespan è valida nell’ipotesi che il cielo e le superfici esterne siano caratterizzate da radiazione uniforme.

dove: α e α0 = angoli sottesi dalla ostruzione a partire dal baricentro della finestra e dalla

linea di attacco a terra dell’edificio; am = coefficiente medio ponderato di assorbimento luminoso di tutte le superfici

esterne. Considerando nullo il contributo della componente riflessa esternamente e cioè ponendo am = 1 si

ottiene: ( )1/ 2 1 senε α= −

Nel caso di presenza di logge o altri tipi di ostruzione come indicato nella figura seguente il fattore finestra assume la seguente forma:

( )21/ 2 1 senε α= −

dove: α2 = angolo individuato dal piano orizzontale passante per P (baricentro della

finestra) ed il punto più esterno dell’aggetto. α = angolo individuato dal piano orizzontale passante per P (baricentro della

finestra) ed il punto più esterno dell’ostruzione.

Individuazione degli angoli α e α2

Nel caso di presenza di ostruzioni di entrambi i tipi sopra citati (vedi il caso di un edificio frontale e di una loggia) si ottiene:

( )21/ 2 sen senε α α= −

La formula di Rossi e Vio può invece considerarsi come un’applicazione del diagramma di Waldram ed è valida nell’ipotesi di cielo a radianza uniforme e permette di considerare anche ostruzioni verticali orientate perpendicolarmente alla facciata dell’edificio in esame.

1,2 1,21,2

cos ( cos )(%)

2M Marctg tg

fDβ α β α−

Dove: α = angolo formato tra il piano orizzontale passante per il baricentro P della finestra e ad essa

perpendicolare e quello passante per P e per il bordo superiore della porzione di cielo visibile;βm = angoli formati tra il piano della verticale passante per P e quelli passanti per P ed i due

spigoli verticali che delimitano l’ostruzione; fD = fattore finestra calcolato rispetto ad una delle due porzioni in cui rimane diviso il panorama

dal piano verticale passante per il baricentro della finestra P e perpendicolare a questa.

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IILLUMINOTECNICA

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Per le ostruzioni frontali gli angoli α e βm si individuano in modo da sottendere la parte di cielo ostruita, per cui la formula precedente fornisce il valore del fattore finestra che sarebbe dovuto alla parte della volta celeste ostruita. Per questo è necessario sottrarre questa quantità al valore del fattore finestra che si avrebbe con panorama completamente libero (corrispondente ad ½). Si ha quindi:

1,2 1,21,2

cos ( cos )1/ 2 (%)

2M Marctg tg

fDβ α β α−

= −Π

In entrambi i casi, per ottenere il valore del fattore finestra si deve sommare il contributo della parte di destra a quello di sinistra e l’angolo β deve essere calcolato sia per la parte destra che per quella sinistra del panorama. Nel caso di logge, ballatoi e di ostruzioni perpendicolari al piano della facciata, la formula da utilizzare è la prima delle due in cui

1 2fD fDε = +

dove fD1 rappresenta il fattore finestra riferito esclusivamente alla parte destra mentre fD2 quello dovuto alla parte sinistra.

Nell’ipotesi di ostruzione frontale di lunghezza infinita con β1=β2=π/2 ( )1 cos / 2fD α= −

E quindi: (cos ) / 2ε α=

Individuazione in pianta ed in sezione degli angoli α e βM per ostruzioni in direzione perpendicolare alla facciata

Individuazione in pianta ed in sezione degli angoli α e βM per ostruzioni frontale parallela al piano della facciata

11.1.2 CALCOLO DEL COEFFICIENTE ψ

Il coefficiente ψ, utilizzato nella formula del regolamento edilizio della regione Emilia Romagna, serve per tenere conto dell’ostruzione alla vista del cielo per la presenza dell’imbotte della finestra. L’individuazione di tale valore si effettua mediante l’utilizzo di un apposito diagramma in funzione del rapporto h/p (altezza della finestra su distanza del vetro dal filo esterno) e del rapporto L/p (larghezza della finestra su distanza dal filo esterno). Nel considerare tale coefficiente si deve però tenere conto del fatto che la variazione non deve essere apportata quando la ostruzione rappresentata dallo spessore del muro cade all’interno di una grande ostruzione (ad esempio nel caso di finestre sotto logge o balconi).

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Relazione tra il coefficiente ψ, in ordinata, il rapporto h/p ed il rapporto L/p

11.2 L’INDICE DI ABBAGLIAMENTO

Riguardo ai metodi di calcolo per lo studio di tale fenomeno sino al 1940 il fenomeno dell’abbagliamento, se pur considerando il rapporto tra la luminanza della sorgente luminosa e dello sfondo, faceva esclusivamente riferimento a sistemi di illuminazione artificiale (la maggior parte di tali algoritmi sono validi per sorgenti luminose che sottendono angoli solidi sino a 0,01 radianti). Tra gli anni ’60 e ’70 presso la Building Research Establishment in Inghilterra e la Cornell University negli Stati Uniti, venne approfondito il problema dell’abbagliamento relativo ad ampie superfici luminose quali sono le finestre esposte a luce diurna ed in seguito a tali ricerche sperimentali definiti nuovi algoritmi di calcolo. Holladay propone un modello per esprimere l’abbagliamento che determina un abbassamento temporaneo e transitorio della visibilità, denominato disability glare95 o abbagliamento simultaneo o perturbante, il quale si manifesta con effetto simile a quello derivante dalla interposizione tra il campo visivo e l’osservatore di un velo luminoso - veiling glare- dovuto in parte alla diffusione della luce nell’occhio e in parte a situazioni di origine fisiologica a seguito di una interazione fra i canali nervosi96. Holladay ha inoltre espresso tale abbagliamento con la seguente relazione:

E nL Kθ

=

dove: L = luminanza di velo, cioè di un campo periferico uniforme che produce la stessa perturbazione

dell’abbagliamento in questione ed è espressa in cd/m2. E = l’illuminamento sulla pupilla prodotto dalla sorgente abbagliante, in lux con K ed n costanti. θ = angolo formato dalla direzione dello sguardo con il raggio proveniente dalla sorgente

abbagliante. Oltre all’abbagliamento perturbatore esiste un’altra forma di abbagliamento definito discomfort

glare97 o non confortevole espresso dal fattore di abbagliamento: m h

stf

LGLθ

Ω=

95 L’abbagliamento che produce una diminuzione di visibilità è definito disability glare o abbagliamento simultaneo o

perturbante. Il vocabolario CIE lo definisce: Abbagliamento che turba la visione senza causare necessariamente una sensazione sgradevole”.

96 L’abbagliamento simultaneo è dovuto alla coesistenza di luminanze molto differenti in termini di intensità come ad esempio il faro dell’automobile in piena notte.

97 Il vocabolario internazionale CIE lo definisce: Abbagliamento che produce una sensazione sgradevole senza necessariamente disturbare la visione.

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IILLUMINOTECNICA

131

dove: Ω = angolo solido sotto cui è vista la sorgente;

sL = luminanza della sorgente; θ = l’angolo tra la direzione della sorgente e quella dello sguardo, detto indice di posizione;

fL = luminanza del fondo; m, h, t: esponenti variabili a seconda delle condizioni sperimentali.

Secondo due studiosi Petherbridge e Hopkinson sono stati definiti i seguenti valori del fattore di abbagliamento:

G=3000 l’abbagliamento è considerato intollerabile G=600 l’abbagliamento è considerato fastidioso G=120 l’abbagliamento è considerato sopportabile G=24 l’abbagliamento è considerato impercettibile

La costante di abbagliamento naturale e l’indice di abbagliamento naturale98, successivamente definito, è un valore caratteristico di ogni punto di un ambiente interno funzione delle condizioni atmosferiche e delle caratteristiche fotometriche delle superfici interne (coefficiente di riflessione luminosa, specularità). Generalmente per stabilire il comfort dell’ambiente, con riferimento all’abbagliamento, è indispensabile effettuare il calcolo rispetto a dei punti significativi dello spazio interno in cui è maggiormente probabile che si trovi l'utente (come le scrivanie per il terziario, i letti per un reparto di degenza) ed alla più probabile direzione dello sguardo dell'utente stesso. Inoltre è necessario definire delle condizioni al contorno specifiche, come le condizioni meteorologiche ed il periodo dell'anno poiché se il calcolo viene eseguito per la condizione di cielo coperto, i valori della costante di abbagliamento e dell'indice di abbagliamento possono essere ritenuti costanti e pertanto funzione solo delle caratteristiche della stanza e della direzione dello sguardo.

Altri metodi di calcolo, sicuramente di più semplice esecuzione rispetto al calcolo della costante di abbagliamento, che necessita la conoscenza di tutti i parametri progettuali, fanno riferimento esclusivamente alla luminanza del cielo (grandezza facilmente misurabile) e alle dimensioni della superficie vetrata99. E’ questo il caso della formula di Cornell la quale è stata accettata come metodo per la valutazione dell'abbagliamento da sorgenti estese a partire dal 1960 e la sua validità è stata confermata da successivi studi teorico sperimentali condotti da Hopkinson all'inizio degli anni '70.

Il valore della costante di abbagliamento (Daylighting Glare Constant, dG), in precedenza definito fattore di abbagliamento, assume la seguente forma:

( )( )

1,6 0,8

0,511

0,07s

b a

LdG

L Lω

Ω=

+

dove: Ls = luminanza della sorgente (in candele a metro quadrato); Lb = luminanza dello sfondo (in candele a metro quadrato); La = luminanza misurata sul piano dell'apertura (in candele a metro quadrato); Ω = angolo solido in steradianti sotteso dalla sorgente, modificato per tenere conto della

posizione della sorgente rispetto alla direzione dello sguardo; ω = angolo solido sotteso dalla sorgente in steradianti rispetto al punto di vista.

La luminanza sul piano dell'apertura La, può essere calcolata nel seguente modo:

98 Sia la costante che l'indice di abbagliamento sono parametri validi solo nell'ipotesi di assenza di

irraggiamento solare diretto. In questi casi si ritiene infatti che la vista diretta del sole crei sicuramente effetto di abbagliamento.

99 Studi sul problema dell’abbagliamento sono stati inoltre condotti da Sollner e Fischer, mentre sono disponibili norme e prescrizioni sul tema in oggetto (con riferimento all’illuminazione di tipo artificiale) ed in particolare: la DIN 5035, la pubblicazione CIE n.55 “CIE Glare Index”.

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132

La=0,3178Ea (cd/m2) dove:

E100

a = illuminamento sul piano dell'apertura in lux costituito dalla sola componente diffusa dell'illuminamento naturale nel caso di cielo sereno; nelle giornate di cielo coperto, dall'intero valore dell'illuminamento.

La luminanza della sorgente Ls viene invece definita dalla seguente espressione:

( )2/0,85

sps

EL cd m

=

dove: Esp = illuminamento nel punto in esame; v = fattore di direzione dello sguardo; τ = coefficiente di trasmissione luminosa dei vetro, in direzione normale alla superficie.

Per il calcolo del fattore di direzione dello sguardo si fa riferimento alla seguente espressione: 0,07330,8536 Av e=

con:

A = angolo, in gradi, tra la direzione dello sguardo ed il centro dell'apertura.

Quando A < 0,2°, si assume v = l; per cui quando la sorgente abbagliante si trova ad un angolo superiore a 60° in orizzontale ed a 50° in verticale rispetto alla direzione dello sguardo, non si dovrebbero avere problemi di abbagliamento.

La luminanza di sfondo può essere così ricavata: 2( / )

0,85bIRI IREL z cd mτ

π+

=

con: IRI = illuminamento riflesso

internamente; IRE = illuminamento riflesso

esternamente;

IRI e IRE si possono ottenere moltiplicando i valori della componente riflessa internamente e della componente riflessa esternamente, in precedenza descritti, per il valore dell’illuminamento esterno.

z = fattore della sorgente che serve per tenere conto delle condizioni di illuminamento esterno (EH) pari a: ( )1,9785ln 15,9164Hz E= −

Con EH = illuminamento esterno orizzontale in posizione non ostruita101. L'indice di abbagliamento (Daylight Giare Index, dGI) si ottiene quindi da una funzione di tipo

logaritmico che serve per comprimere i margini di variabilità della costante di abbagliamento.

1010logdGI dG= Σ

dove dG = costante di abbagliamento, mentre il segno di sommatoria si riferisce alla diverse sorgenti abbaglianti (finestre) che si possono trovare nel campo visivo.

I valori dell’abbagliamento perturbante e non confortevole in precedenza esposti non devono essere considerati come una vera e propria misura dell’effetto prodotto, ma ne rappresentano

100 Il valore dell'illuminamento naturale sul piano dell'apertura può essere valutato servendosi dei

fattore finestra ε (che verrà di seguito descritto) e dei dati sulla luminanza del cielo ripresi dal testo di G. Parolini e M. Paribeni "Tecnica dell'illuminazione" e validi per cielo nuvoloso, piano verticale o orizzontale della finestra e diversi angoli di orientamento della superficie e di altezza del sole sull'orizzonte ed indicati in apposite tabelle.

101 Per valori dell'illuminamento esterno orizzontale (EH) Inferiori a 5000 lux si hanno difficilmente problemi di abbagliamento negli interni correttamente illuminati.

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IILLUMINOTECNICA

133

esclusivamente un termine indicativo. La difficoltà di uso di tali formule ha indotto gli studiosi ad usare regole più semplici ed empiriche come quella di considerare la luminanza della sorgente e la luminanza media del campo visivo in un rapporto compreso tra 1/5 e 1/10. Le precedenti espressioni hanno evidenziato chiaramente come l’abbagliamento può essere provocato direttamente dalla sorgente luminosa (la finestra), dall’eccessiva luminanza delle superfici che delimitano l’ambiente in oggetto o dalla direzione del fascio luminoso. Al fine di ridurre gli effetti fastidiosi prodotti dalla sorgente luminosa sull’oggetto osservato (sia direttamente che per riflessione) si rende necessario evitare che i raggi luminosi incidano sull’oggetto con un angolo pari a quello di osservazione; i provvedimenti da adottare possono essere per semplicità così esposti: − Disporre le superfici illuminanti fuori dalla zona di offesa o zona di rischio di abbagliamento; − prevedere una illuminazione generale di tipo indiretto. Questa soluzione che presenta una elevata e

sicura resa del contrasto e la completa assenza di abbagliamento ha il difetto di appiattire l'ambiente e gli oggetti tridimensionali in esso presenti. Inoltre è un tipo di illuminazione poco stimolante perché non porta l'attenzione dell'osservatore a concentrarsi sul campo di lavoro, dato che la sua luminanza d'adattamento è quella generale dell'ambiente, anzichè quella del compito visivo;

− adottare materiali diffondenti per gli oggetti che costituiscono gli usuali compiti visivi (carta, superfici di finitura dei tavoli, etc.);

− inclinare il piano di lavoro.

11.2.1 CALCOLO DEGLI ANGOLI SOLIDI Ω ED ω

Si definisce angolo solido l’angolo tridimensionale formato da tre o più piani convergenti in un punto e la cui unità di misura e lo steradiante (sr).

Per il calcolo degli angoli solidi Ω ed ω è possibile utilizzare i seguenti grafici (tratti da C.L. Robbins, Daylighting design & analysis102, le cui curve sono state tracciate in funzione dei rapporti L/d ed H/d.

11.3 9.3 FATTORE DI UNIFORMITA’ DELL'ILLUMINAMENTO

Il rapporto di illuminamento è un importante parametro di verifica della qualità ambientali degli spazi interni; l’insorgere di fenomeni di disturbo visivo è connesso in misura maggiore al rapporto tra le luminanze della sorgente e del contorno (abbagliamento per contrasti) che non al valore assoluto della luminanza (abbagliamento per saturazione). Tale rapporto può essere definito sia rispetto ai valori assoluti (lux) che a quelli relativi (fattore di luce diurna) dell'illuminamento di due zone o due punti dell'ambiente in esame103. Nel primo caso una volta definita la zona dell'ambiente da verificare, che può coincidere con tutta la superficie in pianta oppure con la sola parte in cui si svolge l'attività, la si divide in tre zone di uguale area poste a crescente distanza dalla finestra.

102 C.L. Robbins, Daylighting design & analysis, 1986. 103Il rapporto può essere fatto, oltre che tra l'illuminamento di due punti specificati, anche tra il valore massimo e

quello minimo o tra quello medio e quello minimo del livello di illuminamento dell'ambiente, o riferendosi ai fattori puntuali di luce diurna.

Determinazione dell’angolo solido ω in funzione dei rapporti L/d e H/d

Determinazione dell’angolo solido Ωin funzione dei rapporti L/d e H/d

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IILLUMINOTECNICA

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Si calcolano quindi i valori medi dell'illuminamento nella zona più vicina ed in quella più lontana dalla finestra, espressi come valori relativi, in termini di fattore di luce diurna e successivamente il loro rapporto:

U=FLDm1/FLDm2 dove FLDm1,2 rappresenta il fattore di luce diurna calcolato rispettivamente nelle zone definite. Nel secondo caso il calcolo del rapporto tra l'illuminamento in punti specifici dell'ambiente è

consigliato quando si dispone di un software specifico per il calcolo illuminotecnico. E’ possibile quindi tracciare una sezione dell'ambiente passante per il baricentro della finestra (o per il punto di mezzo, nel caso di due finestre affiancate, o per il baricentro della finestra più grande, con finestre disposte su pareti differenti) e calcolare il fattore di luce diurna nel primo e nel quinto sesto della sezione; per cui si ottiene:

UE1/6/E5/6 L’illuminamento può essere calcolato in due soli punti, come indicato nella figura A, o come

media dei valori relativi a due fasce in pianta dell’ambiente, figura B, avendo cura di porre i punti di misura ad una distanza minima di 1-1,5 metri dalle finestre e di 50-60 centimetri dalle pareti. Nel caso in cui l’ambiente oggetto di studio presenta finestre disposte su più pareti (figura C), è necessario eseguire il rapporto tra l’illuminamento relativo alla zona più illuminata e quello della zona meno illuminata.

E’ possibile inoltre utilizzare la formula riportata sul testo della C.I.B.S.E. (Window design:

Application Manual), che permette di definire il grado di uniformità dell'illuminamento naturale a prescindere dal calcolo dei fattori di luce diurna ed è valida per interni dalla forma rettangolare con una sola finestra. Il fattore di uniformità viene espresso in funzione delle dimensione della stanza, dell'altezza della finestra e dei coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne e deve soddisfare la seguente disequazione:

P/L+P/H<2/(1-δm) dove: P = profondità della stanza, L = larghezza della stanza; H = altezza dal pavimento del bordo superiore della finestra, δm = coefficiente medio di riflessione luminosa delle superfici interne.

Relazione tra il coefficiente medio di riflessione delle pareti δm, la profondità dell’ambiente e l’altezza della

finestra, per ambiente largo m. 4

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IILLUMINOTECNICA

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La precedente formula può essere utilizzata in una fase preliminare della progettazione per stabilire la profondità massima della stanza in funzione dell'altezza della finestra. Mediante il diagramma seguente è possibile stabilire rapidamente la profondità di un ambiente in funzione del coefficiente medio di riflessione luminosa della pareti δm e dell'altezza della finestra (avendo assunto una larghezza costante dell’ambiente pari a 4 metri). La verifica in situ può essere effettuata in presenza di cielo uniformemente coperto o sereno (avendo cura di valutare nel secondo caso gli effetti del soleggiamento). Si devono tenere chiuse le finestre ed aperti tutti i sistemi di oscuramento.

La strumentazione necessaria consiste in un luminanzometro o in un luxmetro in grado di rilevare anche le luminanze. Le luminanze vengono misurate ponendo la cellula dello strumento all’altezza degli occhi del probabile fruitore individuando la posizione più critica dei fenomeni di abbagliamento. Cerchiamo ora di applicare tale metodo di calcolo all’ambiente di 14 mq in precedenza utilizzato per la verifica dell’indice di abbagliamento.

11.4 IL FATTORE DI RESA DEL CONTRASTO

Di recente è stato introdotto contrast redering factor CRF, proposto dalla CIE 29/2, con il quale è possibile valutare in modo esaustivo le caratteristiche di comfort visivo di un ambiente e di conseguenza l’assenza di fenomeni di abbagliamento che impediscono o limitano la visibilità del compito visivo. Il contrast redering factor (fattore di resa del contrasto) è un parametro che individua il rapporto fra il contrasto misurato nella situazione progettata ed il contrasto di riferimento che equivale ad una situazione di totale diffusione della luce con livelli di illuminamento uniformi in un ambiente semisferico. Tale parametro si individua con la seguente espressione:

CRF = C/Crif

dove: ⋅ C = Contrasto realizzato; ⋅ Crif = Contrasto di riferimento pari a 0,917.

La CIE104 ha inoltre previsto tre classi di valutazione della resa del contrasto applicabili ad ambienti di tipo ufficio105 o aule scolastiche o biblioteche. Il valore del CRF deve essere tanto più alto quanto più i compiti visivi sono otticamente lucidi.

Classe di valutazione Buono Elevato Ottimo CRF 0,75 0,9 1

E’ da precisare come il fattore di resa del contrasto sia fortemente condizionato dalle caratteristiche del compito visivo106; infatti le superfici scure hanno una bassa riflessione diffusa ed un’alta riflessione speculare, viceversa, le superfici chiare hanno una riflessione elevata diffusa ma bassa specularmente. Appare evidente come il contrasto sarà basso i situazioni dove la sorgente luminosa si trova in una situazione tale da illuminare la superficie secondo una direzione speculare; al contrario sarà alto nelle altre situazioni.

11.4.1 MODELLO DI CALCOLO

Quello proposto è un metodo di calcolo semplificato che permette di ottenere valori che si approssimano abbastanza bene a quelli ottenuti con la formula descritta al paragrafo precedente e nonostante sia particolarmente adatto alla verifica dell'illuminamento fornito dai sistemi di illuminazione artificiale, esso può essere utilizzato anche al caso dell'illuminazione diurna.

Il metodo è stato sviluppato dalla B.R.E. a partire dalle seguenti ipotesi semplificative: ⋅ - riflessione speculare della luce (angolo formato dal raggio riflesso rispetto alla normale uguale a

quello formato tra raggio incidente e normale)

104 La BRE Digest n.256 del dicembre 1981: Office lighting for good visual task conditions, propone dei valori

consigliati del CRf; valori superiori a 0,7 sono proposti per gli uffici. 105 Si veda la BRE, Office lighting for good visual task conditions, n.256, dicembre 1981. 106 Si legga a tal proposito la pubblicazione CIE n.29/2 già citata.

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⋅ - direzione di osservazione dei compito visivo che forma un angolo compreso tra 0° e 40° rispetto alla normale.

Le condizioni di base e gli strumenti necessari sono gli stessi descritti per la misura del fattore puntuale di luce diurna; in questo caso è necessario però un solo luxmetro corretto secondo la legge dei coseno. Si deve rilevare l'illuminamento nel punto stabilito con il luxmetro inclinato di 30° rispetto al piano stesso, come mostrato nella figura seguente. E’ possibile quindi definire l’indice K mediante la seguente espressione:

K = (lt – l0)/lt dove: lt = illuminamento orizzontale nel punto P; l0 = illuminamento proveniente dalla “offending zone”.

Metodo di misura del FRC con un luxmetro

L’indice K, ottenuto dalla precedente espressione, fornisce un valore che si avvicina a quello del CRF. Per la verifica di calcolo su dati di progetto del CFR è possibile utilizzare programmi di calcolo in grado di simulare la traiettoria dei raggi di luce dalla sorgente al punto di osservazione (o viceversa).

11.5 L’INDICE DI RILIEVO

L'indice di rilievo è un parametro che serve a quantificare il grado di direzionalità della luce, cioè la sua capacità di produrre forti contrasti tra zone in ombra e zone in luce.

Vi sono due metodi di misura dell'indice di rilievo, entrambi validi per finestre di varia forma e dimensione, ma non per lucernari.

Il primo metodo proposto, valido per una o più finestre disposte anche su pareti differenti, pone in relazione l'illuminamento cilindrico con quello orizzontale che si ha nel punto di verifica (il centro della stanza). Tanto maggiore è l'illuminamento orizzontale rispetto a quello cilindrico, tanto meno accentuata è la sensazione di rilievo degli oggetti collocati nel punto considerato.

Il secondo metodo proposto richiede il calcolo anche dell'illuminamento orizzontale per luce proveniente dal basso (luce riflessa dal pavimento).

Un valore dell'indice di rilievo compreso tra 1 e 2 permette in genere buoni livelli di visibilità in ambienti destinati ad ufficio.

11.5.1 MODELLO DI CALCOLO

Le condizioni di base per la misurazione dell'indice di rilievo sono le stesse dei fattore puntuale di luce diurna. In questo caso è sufficiente però un solo luxmetro corretto per la legge dei coseno, nel caso di verifica in situ; per la verifica su dati di progetto è possibile utilizzare appositi software.

L’indice di rilievo è espresso dalla seguente espressione: Ω = Ec/Eo

dove: Ec = illuminamento cilindrico misurato al centro della stanza, a 1,2 metri di altezza dal suolo

(vedi norma DIN 5035). Eo = illuminamento orizzontale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri di altezza dal suolo.

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L’illuminamento cilindrico rappresenta l'illuminamento medio sulla superficie laterale di un piccolo cilindro verticale collocato nel punto di misura, al centro della stanza, e può essere misurato come valore medio degli illuminamenti verticali calcolati secondo quattro direzioni tra di loro perpendicolari. Inserendo nella formula precedente i valori medi degli illuminamenti verticali calcolati secondo direzioni tra di loro ortogonali si ottiene:

Ω = (Evi + Ev2 + Ev3 + Ev4)/(4Eo) dove:

⋅ Ev1,2,3,4 = illuminamento verticale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri dal suolo e nella quattro direzioni definite in figura;

⋅ Eo = illuminamento orizzontale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri dal suolo.

Il secondo metodo di calcolo dell'indice di rilievo è il seguente.

Ω = (Ev1 + Ev2 + Ev3 + EV4 + Eo + Eob)/(6Eo) dove: Eo = illuminamento orizzontale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri di altezza dal suolo; Eob = illuminamento orizzontale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri di altezza dal suolo,

con la cellula del luxmetro rivolta verso il basso; Ev1,2,3,4= illuminamento verticale misurato al centro della stanza, a 1,2 metri dal suolo e nella

quattro direzioni definite in precedenza.

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12. STUDIO CROMATICO DELLE SUPERFICI

Nella progettazione illuminotecnica bisogna tener conto degli effetti psicologici del colore; negli ambienti con colori forti e saturi, la luce calda aumenta la forza del colore (il caso della luce naturale), mentre le luci fredde, smorzano i colori caldi e creano senso di spaziosità. In ogni caso sarà sempre utile in fase progettuale utilizzare colori con buona capacità di riflessione, tenendo in debito conto gli effetti dell’abbagliamento, sia per un risparmio energetico che per un addolcimento delle ombre provocate sia dalla luce proveniente dalle finestre che da quella artificiale. Per quanto concerne lo studio cromatico delle superfici è possibile rifarsi ad uno studio condotto da Maurice Deribere e dalla National Chemical & Manufacturing Company, che si basa sulla scelta dei colori in base all’orientamento , alla posizione delle finestre ed al numero delle finestre stesse del locale preso in considerazione107.

Il procedimento è il seguente: determinare l’orientamento delle finestre se queste si trovano su di un solo lato del locale. Se il locale ha le finestre su più lati, si determina l’esposizione con un compromesso: per finestre su pareti adiacenti si esegue una media fra le due direzioni (es. con finestre sul lato sud e sul lato ovest, l’esposizione sarà sud-ovest). Se invece le finestre si trovano su lati opposti o su tre lati, si sceglie il sud come esposizione anche se la parete sud non presenta aperture.

Tutte le combinazioni possibili possono essere per semplicità rappresentate nel diagramma e nella tabella seguente:

Combinazione dei colori in funzione dell’esposizione delle finestre

SCHEMA DELLE DOMINANTI

Soffitto Pareti A Bianco verdemare, avorio B Bianco verde salvia chiaro, avorio C Bianco grigio, verde salvia, grigio freddo D Bianco crema, beige, avorio scuro E Bianco grigio caldo, beige caldo F Bianco avorio scuro, azzurro G Bianco avorio, beige, grigio caldo H Bianco grigio rosato, beige rosato, verde salvia, grigio caldoI Bianco grigio, verde salvia, avorio L Bianco giallo, verde mare chiaro e scuro, avorio

107 Tale sistema nasce da uno studio condotto per la scelta cromatica delle dominanti cromatiche in aule scolastiche

ed è stato progettato tenendo in considerazione il sistema percettivo degli studenti. I buoni risultati ottenuti hanno esteso l’uso di questo tipo di progettazione cromatica, con le dovute modificazioni, a tutto il mondo del lavoro.

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12.1 DIMENSIONAMENTO DELLA SUPERFICIE VETRATA

Il valore minimo della superficie finestrata varia, con riferimento ai Regolamenti Edilizi Comunali, da un minimo di 0,6 mq ad un massimo di 2,0 mq.

Tali differenze non dipendono spesso dalle diverse caratteristiche geografiche del sito (altitudine, latitudine, tipo di cielo di riferimento, etc.), ma sono nella maggior parte dei casi casuali; ad esempio in città molto vicine tra loro, come Napoli, Caserta, Salerno i Regolamenti Edilizi impongono valori sensibilmente diversi: da un minimo di 1,0 mq ad un massimo di 2,0 mq, come più chiaramente visibile dalla tabella seguente.

Un altro aspetto singolare è la prescrizione di medesimi valori della finestra per realtà differenti come Trieste e Taranto.

Si è riscontrato inoltre, in alcuni casi, la variazione del valore minimo della superficie finestrata all’interno dello stesso Regolamento Edilizio; ad esempio quello di Trento propone valori diversi per gli edifici di fondovalle e di montagna, quello di Pavia per gli edifici rurali e di città, quello di Perugia per i locali posti nei seminterrati abitabili, al piano terra e ai piani superiori.

LOCALITA’ DIMENSIONE MINIMA

FINESTRA (mq)

NOTE

Trento 0,8 1,2

Per le zone di montagna Per le zone di fondovalle

Perugia 1,0 1,2 1,4

Nel sottotetto abitabile Nel piano terra e nei piani superiori Nel piano seminterrato reso abitabile

Caserta 1,2 Nelle case rurali Brindisi 1,3 Alessandria 1,4 Bergamo 1,5 Nel caso di ambienti con una sola finestra Teramo 1,5 Nei piani superiori Arezzo, Matera, Reggio Calabria

1,5

Varese 1,5 1,8

Nei piani superiori Al piano terra

Pavia 1,5 2,0

Una sola finestra in edifici rurali Nel caso di ambienti con una sola finestra

Napoli 1,0 Salerno 2,0 Trieste, Taranto 0,6 Pescara 1,6 Nel caso di ambienti con una sola finestra

Dimensione minima della superficie vetrata proposta da alcuni regolamenti edilizi Da ricerche sperimentali (simulazioni condotte dallo scrivente con procedure di calcolo manuale

o automatico) per la città di Palermo è stato possibile stabilire la superficie minima che dovrebbe avere la finestra al fine di ottenere un livello di illuminamento interno confortevole.

Tale valore è risultato pari ad 1/9 dell’area calpestabile dell’ambiente in oggetto. Per meglio comprendere quanto in precedenza citato è stato preso in considerazione un ambiente

di 14 mq e superficie vetrata pari a 1,55 mq (1/9 Ap) e verificato il livello di illuminamento per il solstizio d’inverno (22 dicembre).

Con tale superficie vetrata si è ottenuto un livello di illuminamento, superate le ore 9,00 a.m., di circa 150 lux sul piano di lavoro, posto a distanza di circa 40 cm dalla parete di fondo come chiaramente visibile dalla tabella seguente.

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Ora di calcolo Esterno (kLux) Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux) 9,00 8.1 1930 129 349 10,00 11 2633 176 476 11,00 12.8 3057 204 553 12,00 13.3 3169 212 574

Illuminamento interno (massimo, minimo e medio in lux) in ambiente di 14 mq al solstizio d’inverno in condizione di cielo uniforme per la città di Palermo.

L’illuminamento ottenuto può considerarsi sufficiente per lo svolgimento di un’attività lavorativa non impegnativa.

Per compiti con requisiti visivi di precisione è possibili avvicinare il piano di lavoro verso la finestra; uno spostamento di circa 120cm, sempre dalla parete di fondo, determina un incremento di illuminamento superiore al 33%, il tutto in assenza di fastidiosi fenomeni di abbagliamento.

Ora di calcolo

Esterno (klux)

Ei 3,6 metri dalla finestra

(lux)

Ei 2,8 metri dalla finestra

(lux)

Ei 2,0 metri dalla finestra

(lux) 9,00 8.1 139 185 303

10,00 11 190 252 414 11,00 12.8 220 293 481 12,00 13.3 228 304 498

Illuminamento interno in ambiente di 14 mq al solstizio d’inverno in condizione di cielo uniforme per la città di Palermo rispettivamente a 3,6; 2,8 e 2,0 metri dalla finestra.

E’ evidente come il valore di illuminamento valutato a 40cm dalla parete di fondo della stanza

rappresenta la condizione più critica difficilmente raggiungibile in situazioni reali in quanto una scrivania correttamente posizionata dovrebbe essere distanziata dalla parete per non meno di 75cm.

La scelta di utilizzare per la città di Palermo una superficie vetrata pari ad 1/9 del pavimento trae inoltre origine da considerazioni di carattere energetico. La seguente tabella mostra la distribuzione dei lux e del rispettivo FLD (riferito all’asse di simmetria dell’ambiente) per interno avente dimensioni pari a 3,5x4,0x3,0 metri (14mq) per varie superfici della vetratura (al netto dell’infisso): − 1,4 mq ; 1,00 x 1,40 metri pari ad 1/10 della superficie calpestabile; − 1,55mq; 1,00 x 1,55 metri pari ad 1/9 della superficie calpestabile; − 1,75mq; 1,03 x 1,70 metri pari ad 1/8 della superficie calpestabile; − 2,00mq; 1,20 x 1,70 metri pari ad 1/7 della superficie calpestabile;

Si considera inoltre la finestra in asse alla parete che la contiene ed un’altezza del davanzale pari a 0,90 metri.

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I valori seguenti sono riferiti ad un modello di cielo UNIFORME CIE in assenza di ostruzioni, o per distanza fra le cortine superiore di 1,5 volte l’altezza dell’edificio ostruente, e riflessione delle pareti interne pari rispettivamente a: − pareti 50% − soffitto 70% − pavimento 30%

Coordinate Orizzontali (m)

0,90 0,00

(asse finestra) 0,90

Area vetratura

(mq)

Rapporto Af/Ap

Ei (lux) Ei (lux) Fld (%) Ei (lux)

Coordinate Verticali

(m)

1,4 1/10 276.39 3056.30 23.04 276.39 1,55 1/9 301.71 3169.22 23.89 301.71 1,75 1/8 337.84 3313.92 24.95 337.84 2,00 1/7 429.93 3474.04 26.19 429.93

0,40

1,4 1/10 442.59 989.73 7.46 442.59 1,55 1/9 490.80 1081.67 8.16 490.80 1,75 1/8 547.55 1183.36 8.92 547.55 2,00 1/7 714.42 1350.68 10.18 714.42

1.20

1,4 1/10 338.62 439.09 3.31 338.62 1,55 1/9 384.26 498.91 3.76 384.26 1,75 1/8 435.88 569.91 4.26 435.88 2,00 1/7 508.89 653.52 4.93 508.89

2,00

1,4 1/10 238.78 266.85 2.01 238.78 1,55 1/9 271.24 304.39 2.29 271.24 1,75 1/8 308.53 346.92 2.62 308.53 2,00 1/7 359.46 403.11 3.04 359.46

2,80

1,4 1/10 187.68 202.21 1.52 187.68 1,55 1/9 211.81 228.73 1.72 211.81 1,75 1/8 240.08 259.53 1.96 240.08 2,00 1/7 279.71 302.05 2.28 279.71

3,60

TABELLA DI RAFFRONTO

Af/Ap

Af (mq)

Illuminamento 40cm dalla parete di fondo (lux)

Dispersione termica (Kcal/h)

1/10 1,4 202,21 151,2 1/9 1,55 228,73 167,4 1/8 1,75 259,53 189,1 1/7 2 302,05 220,3

Dalla precedente tabella si evince come un ampliamento della superficie vetrata pari all’11% per passare da 1,4 a 1,55 mq, del 25% per passare da 1,4 a 1,75 mq e 44,5% per passare da 1,4 a 2 mq determina un incremento di illuminazione interna (riferita ad un punto posto a 40 cm dalla parete interna) rispettivamente del 13%, del 28,5% e del 49,5%. L’incremento del livello di illuminazione (che può definirsi soddisfacente già per superficie vetrata pari ad 1/9 di Ap), a seguito dell’ampliamento della finestra, determina inevitabili incrementi della dispersione termica attraverso il vetro pari a 151,2 Kcal/h per finestra da 1,4mq, 167,4 Kcal/h per finestra da 1,55mq, 189,16 per finestra da 1,75mq e 220,32 per finestra da 2mq.

Da un’attenta lettura dei valori di illuminamento forniti dal programma ADELINE 2, ed indicati in appendice, si evince come una superficie vetrata pari ad 1/9 del pavimento determina un illuminamento in ogni punto dell’ambiente non inferiore a 150 lux. E’ possibile quindi affermare che

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tale superficie vetrata è tale da definire un ambiente confortevole per lo svolgimento di attività lavorative privo di fenomeni legati all’abbagliamento e con un livello di illuminamento uniforme.

12.1.1 PROFONDITA’ DELL’AMBIENTE

Per una buona distribuzione della luce diurna all’interno di una stanza, la profondità dell’ambiente non dovrebbe superare il doppio dell’altezza della finestra, calcolata dal bordo superiore della stessa al pavimento. Come si vede non si tiene conto dell’altezza del davanzale ed infatti la presenza di questo è scarsamente significativo ai fini dell’illuminamento naturale dell’interno poiché, la luce che proviene dalla parte più bassa della finestra illumina prevalentemente il pavimento che è spesso caratterizzato da un basso fattore di riflessione. Le schede 1, 2 e 3 riportano il livello di illuminamento massimo, minimo e medio per ambienti di 14 mq i quali differiscono esclusivamente per le dimensioni delle pareti di chiusura: − Ambiente1 da 14 mq - larghezza (L)= 3,5 metri; profondità (P)= 4,0 metri.

Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq; altezza della finestra (hf)=2,45 metri; rapporto P/hf=1,91.

− Ambiente2 da 14 mq - larghezza (L)= 3,0 metri; profondità (P)= 4,7 metri. Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq; altezza della finestra (hf)=2,45 metri; rapporto P/hf=1,63.

− Ambiente3 da 14 mq - larghezza (L)= 2,5 metri; profondità (P)= 5,6 metri. Af=1/9 di Ap pari a 1,55 mq; altezza della finestra (hf)=2,45 metri; rapporto P/hf=2,28.

12.1.2 GEOMETRIA E POSIZIONE DELLA FINESTRA

I fattori più importanti nella determinazione dell'illuminazione naturale di un interno sono la dimensione e l'altezza della finestra. Si è in precedenza evidenziata l'importanza della dimensione dell'apertura rispetto alla quantità di luce che penetra in un interno mentre, per quanto riguarda l'altezza, questa risulta più importante dell'altra dimensione della finestra, la larghezza, per la migliore distribuzione della luce diurna che si può ottenere modificandone la grandezza.

Infatti le finestre alte, inquadrando una maggiore porzione di cielo, permettono di incrementare la profondità di penetrazione della luce diurna nella stanza e, poiché all'aumentare dell'altezza della finestra l'illuminamento orizzontale nelle zone più prossime alla stessa rimane pressoché uguale, si ottiene in questo modo una migliore uniformità nella distribuzione della luce nell'ambiente.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5046 337 913 10,00 5746 385 1043 11,00 6203 415 1123

Solstizio D’estate

12,00 6333 423 1146 9,00 1930 129 349 10,00 2633 176 476 11,00 3057 204 553

Solstizio D’invern

o 12,00 3169 212 574 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap)

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5304 317 960 10,00 6058 359 1096

Solstizio D’estate 11,00 6520 373 1180

Page 147: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

143

12,00 6657 384 1204 9,00 2029 109 367 10,00 2768 148 501 11,00 3212 180 581

Solstizio D’invern

o 12,00 3331 193 603 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,25x1,25 (1/9 Ap) In seguito ad una riduzione dell’altezza della finestra da 1,55 a 1,25 metri, si registra una

riduzione dell’illuminamento in corrispondenza del fondo della stanza del 10%. Questo fenomeno è essenzialmente dovuto a due fattori: oltre alla minore quantità di luce

diretta (proveniente dal cielo) ricevuta dai punti dell'interno situati a maggiore distanza dalla finestra, anche al minore illuminamento del soffitto della stanza che, agendo da superficie diffondente della luce, contribuisce alla distribuzione della stessa nell'interno. Affinché il contributo del soffitto sia massimo è però necessario che questo abbia un alto coefficiente di riflessione luminosa e che la sua superficie sia prossima al bordo superiore della finestra. Inoltre, quando quest'ultimo è proprio tangente al piano del soffitto, questo riceve luce radente direttamente dall'esterno e risulta pertanto molto illuminato. Così facendo si ha una maggiore sensazione di luminosità nella stanza per quanto la quantità complessiva di luce diurna in ingresso sia la stessa.

6333

1146

423

1204

384

6657

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

(lux) Af=1,00x1,55

Af=1,25x1,25

Af=1,00x1,55 6333 1146 423

Af=1,25x1,25 6657 1204 384

max med min

Variazione dell’illuminamento il relazione all’altezza della finestra

Un risultato analogo a questo si può ottenere spostando la finestra verso la parete laterale della stanza o con finestre d'angolo. Con queste ultime soluzioni si può anche ottenere l'impressione di un maggiore soleggiamento della stanza poiché per diverse ore della giornata il sole può illuminare direttamente una considerevole porzione di parete.

Infatti è stato riscontrato che le persone apprezzano non tanto la quantità complessiva di radiazione solare che entra nell'ambiente, quanto la dimensione dell'area investita direttamente dai raggi del sole.

Da dati sperimentali (simulazioni dell’ambiente mediante software di calcolo) è possibile affermare come la finestra non dovrebbe essere posta a distanza inferiore a 60cm dalla parete laterale; in tale posizione si riduce l’effetto della riflessione delle restanti pareti ed una conseguente disuniformità dell’illuminamento con evidenti zone buie all’interno dell’ambiente.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5046 337 913 10,00 5746 385 1043 11,00 6203 415 1123

Solstizio D’estate

12,00 6333 423 1146

Page 148: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

144

9,00 1930 129 349 10,00 2633 176 476 11,00 3057 204 553

Solstizio D’invern

o 12,00 3169 212 574 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) posta in asse alla parete

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 4277 187 852 10,00 4875 213 971 11,00 5249 230 1045

Solstizio D’estate

12,00 5362 235 1067 9,00 1633 72 325 10,00 2229 97 444 11,00 2586 113 515

Solstizio D’invern

o 12,00 2681 117 534 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) posta a 0,9 metri dall’asse della parete

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5338 170 845 10,00 6092 193 964 11,00 6558 208 1038

Solstizio D’estate

12,00 6697 213 1060 9,00 2040 65 323 10,00 2784 89 441 11,00 3231 103 511

Solstizio D’invern

o 12,00 3350 106 530 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) posta a 1,2 metri dall’asse della parete A parità di altezza della finestra, è importante anche la posizione in verticale della stessa: le

finestre poste in alto, come pure i lucernari, sono maggiormente consigliati per compiti visivi orizzontali; in questi casi, la provenienza dall’alto della luce migliora sia il livello di illuminamento orizzontale che i rapporti di illuminazione nel campo visivo, riducendo la radianza delle superfici verticali che fanno da sfondo.

Viceversa le finestre poste in basso, oltre ad illuminare in misura minore l’ambiente, sono più indicate per compiti visivi verticali. Secondo Neufert, l’illuminazione più favorevole si ha quando i raggi incidenti formano un angolo maggiore di 20° con il piano di lavoro, mentre la luce radente produce ombre fastidiose, più o meno lunghe (per angolo di incidenza si considera quello formato fra il piano di lavoro e la bisettrice dell’angolo con cui è vista la finestra).

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 3952 280 749 10,00 4508 319 855 11,00 4853 344 920

Solstizio D’estate

12,00 4957 351 940 9,00 1510 107 286 10,00 2061 146 391 11,00 2391 169 453

Solstizio D’invern

o 12,00 2479 176 470

Page 149: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

145

Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) con centro posto a 1,48 metri.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5050 326 885 10,00 5769 373 1011 11,00 6208 401 1088

Solstizio D’estate

12,00 6338 410 1111 9,00 1932 125 339 10,00 2635 170 462 11,00 3059 198 536

Solstizio D’invern

o 12,00 3172 205 556 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) con centro posto a 1,58 metri.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5046 337 913 10,00 5746 385 1043 11,00 6203 415 1123

Solstizio D’estate

12,00 6333 423 1146 9,00 1930 129 349 10,00 2633 176 476 11,00 3057 204 553

Solstizio D’invern

o 12,00 3169 212 574 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) con centro posto a 1,68 metri.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 4387 344 884 10,00 5008 392 1009 11,00 5391 422 1086

Solstizio D’estate

12,00 5505 431 1110 9,00 1677 131 338 10,00 2289 179 461 11,00 2656 208 535

Solstizio D’invern

o 12,00 2754 216 555 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) con centro posto a 1,78 metri.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 3536 352 840 10,00 4036 402 958 11,00 4344 433 1031

Solstizio D’estate

12,00 4436 442 1053 9,00 1352 135 321 10,00 1844 184 438 11,00 2140 213 508

Solstizio D’invern

o 12,00 2219 221 527 Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di

dimensioni 1,00x1,55 (1/9 Ap) con centro posto a 1,88 metri.

Page 150: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

146

Analizzando infine finestre con sviluppo orizzontale si ottiene un incremento del livello di illuminamento in prossimità dell’apertura ed una riduzione nel fondo della stanza.

Ora di calcolo

Ei max (lux) Ei min (lux) Ei med (lux)

9,00 5230 275 915 10,00 5974 314 1045 11,00 6430 338 1125

Solstizio D’estate

12,00 6565 345 1149 9,00 2000 105 350 10,00 2730 144 478 11,00 3168 167 554

Solstizio

D’inverno 12,00 3285 173 575

Valori di illuminamento massimo, minimo e medio (espressi in lux) per ambiente da 14 mq e finestra di dimensioni 1,55x1,00 (1/9 Ap) con centro posto a 1,40 metri.

12.1.3 VARIAZIONE DELLA SUPERFICIE VETRATA SULLA FACCIATA DI UN EDIFICIO

Per qualsiasi edificio il problema della sufficienza o meno della luce diurna disponibile sussiste solo quando si hanno cortine edilizie che fanno da ostruzione all'edificio analizzato, in quanto, nel caso di edificio isolata, l'illuminamento è uguale in tutti i punti della facciata e, data l'ipotesi di radianza uniforme dei cielo, pari al 50% di quello prodotto dall'intera volta celeste (componente diretta = componente cielo = 0,5).

I parametri che intervengono nella determinazione del livello di illuminamento orizzontale in un punto P della facciata sono l'altezza H dell'edificio che fa da ostruzione (calcolata rispetto al livello di un punto di riferimento - punto P- posto a due metri dal piano stradale), la lunghezza L dello stesso, la distanza D fra i due edifici contrapposti ed il coefficiente medio di riflessione ρm delle superfici interessate.

Variazione della sola componente diretta al variare dei rapporti H/D e L/D per un edificio in linea ostruito da

una cortina edilizia di lunghezza L

Page 151: Cammarata Vol5 2003

IILLUMINOTECNICA

147

Da ricerche sperimentali si può osservare come l’illuminamento sul fronte dell’edificio è tanto più omogeneo in senso verticale quanto minore è il rapporto L/D e cioè quanto più distanti sono fabbricati e quanto minore è la lunghezza di quello ostruente.

Variazione della componente diretta al variare del rapporto Altezza su distanza dell’edificio frontale, per diversi

valori del coefficiente di riflessione esterno Poiché nei normali contesti urbani la lunghezza delle cortine edilizie è tale da fare assumere al

rapporto L/D un valore praticamente costante (L=∞), come variabile rimane solo il rapporto H/D ed il coefficiente medio di riflessione delle superfici.

Essendo ρm certamente non nullo, si dovrà prendere in considerazione anche la componente riflessa esternamente con conseguente variazione della componente diretta come chiaramente visibile dal diagramma seguente.

Le precedenti considerazioni consentono di affermare come, data la variazione dell'illuminazione nei diversi punti della facciata, per avere una stessa quantità di luce diurna in tutti gli interni dell'edificio analizzato, si dovrebbe variare la dimensione delle superfici vetrate sia in senso verticale che longitudinale; in quest'ultima direzione la variazione dovrebbe inoltre essere più accentuata ai piani più bassi. Per concludere è importante prendere atto di questa disuniformità nell'illuminazione naturale in determinate tipologie e variare quindi le destinazioni funzionali degli ambienti interni (ad esempio mettendo i vani di servizio in corrispondenza degli angoli interni) o aumentare la quantità di luce artificiale di complemento o la trasmissione luminosa dei vetri impiegati.

Variazione della superficie vetrata sulla facciata di un edificio Ostruito da cortina edilizia parallela, al fine di

ottenere un uguale illuminamento in tutti gli interni

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IILLUMINOTECNICA

148

13. METODO BRS PER L’ILLUMINAZIONE NATURALE

Anche l’illuminazione naturale contribuisce al comfort visivo e anzi si può dire che tutta l’illuminazione artificiale tende all’optimum dato dalla luce solare. Essa costituisce una fonte luminosa di straordinaria potenza con la più alta ricchezza cromatica possibile tanto che tutto l’apparato visivo dell’Uomo si è, nei millenni, sviluppato attorno alla maggiore sorgente di luce disponibile, quella solare.

13.1 ILLUMINAMENTO INTERNO DOVUTO ALLA VOLTA CELESTE

Il flusso luminoso totale che raggiunge un punto di una superficie all'interno di un ambiente è il risultato di tre contributi, vedi Figura 78: ⋅ a). il flusso che arriva sul punto direttamente dal cielo (componente cielo); ⋅ b). il flusso che arriva sul punto per effetto di riflessioni da parte di superfici poste all'esterno

(componente riflessa esterna); ⋅ c). il flusso che arriva sul punto per effetto di riflessioni da parte di superfici poste all'interno

(componente riflessa interna).

13.2 FATTORE DI LUCE DIURNA (O DAYLIGHT FACTOR), DF

Il fattore di luce diurna in un punto appartenente ad una superficie interna è definito come il rapporto tra l'illuminamento in quel punto, dovuto ad una distribuzione di luminanza del cielo nota o assegnata, e l'illuminamento su superficie orizzontale esterna in assenza di ostruzioni, prodotto dalla volta celeste con la stessa distribuzione di luminanza. Per entrambi gli illuminamenti si esclude la componente solare diretta. Per quanto riguarda l'illuminamento esterno, la Figura 79 riporta i valori dell'illuminamento naturale all'aperto prodotto dalla volta celeste con cielo sereno in funzione dell'ora del giorno, e dei mesi.

Figura 78: Le componenti fondamentali dell’illuminazione naturale

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IILLUMINOTECNICA

149

Figura 79: Livelli di illuminamento in diverse ore del giorno

13.3 CALCOLO DEL FATTORE DI LUCE DIURNA

Trattandosi di un rapporto, si può ipotizzare che, in prima approssimazione il valore di D in un dato punto dipenda solo dalla configurazione e non dalle condizioni di luce esterna (al variare di questa, varierà circa allo stesso modo l'illuminamento interno).

Per configurazione deve intendersi: le dimensioni e la posizione delle pareti ed i loro coefficienti di riflessione; la forma, posizione e dimensioni delle aperture ed i coefficienti di trasmissione delle superfici vetrate; forma, posizione e dimensioni delle occlusioni esterne, e coefficienti di riflessione delle superfici che li costituiscono.

In definitiva D dipende fortemente dalle scelte progettuali. Esistono vari metodi per il calcolo, più o meno accurato, di D, ai quali si rimanda:

⋅ - quando è richiesta una maggiore precisione, oppure in presenza di geometrie di aperture piuttosto complesse o su piani non verticali: Diagrammi di Waldram (BRS, British Standard Institution); Goniometri del British Research Establishment.

⋅ - strumenti più semplici: Metodo tabulare del British Research Establishment; Diagrammi puntinati (Lynes, 1968; Turner 1969); Diagrammi di Pleijel. Il metodo del fattore di luce diurna è stato sviluppato assumendo i modelli di cielo C.I.E. coperto o

uniforme a luminanza uniforme: in quest'ultimo caso il fattore non dipende né dall'ora del giorno, né dal periodo dell'anno. Ciò non significa che l'illuminamento sia costante al variare del tempo, ma che è costante il rapporto tra illuminamento interno ed esterno.

Più recentemente sono state proposte estensioni del metodo anche a condizioni di cielo differenti, come la distribuzione clear e average, che rappresenta una media di distribuzioni di cielo reali.

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IILLUMINOTECNICA

150

TIPO DI AMBIENTE D MINIMI (%) Edifici in generale Ingressi 1 Uffici e studi Generale 2 Banche Banconi, aree pubbliche 2

Banchi di accettazione, aree per dogana, immigrazione

2 Aeroporti e stazioni

Aree di transito 1 Corridoi 0.5 Atrii, auditorium 1

Sale da concerto e da riunione

Scale 1 Navate 1 Pulpito, coro 1.5 Altare 3-6

Chiese

Sagrestie 2 Scaffali 1 Biblioteche Aree di lettura 1

Musei e gallerie Generale 1 Sale di riunione e aule 2 Aule per arte 4

Scuole e università

Banchi di laboratorio 3 Uffici 1

Sale di attesa e ricevimento 2 Corsie 1 Farmacie 3 Camere operatorie 2

Ospedali

Laboratori 3 Edifici sportivi Generale 2

Superficie della vasca 2 Piscine Zone adiacenti alla vasca 1

Tabella 26- Valori minimi consigliati per il fattore di luce diurna La verifica dell'illuminazione diurna consiste nel calcolare, in percentuale, il valore

dell'illuminamento diurno in un punto rispetto a quello provocato dal cielo coperto. Si definiscono due tipi di cielo: - cielo internazionale - cielo uniforme standard. Nel primo caso la luminanza varia secondo la relazione:

01 2sin

3B Bα

α+=

ove B0 è la luminanza del cielo allo zenit e a l'angolo di elevazione del punto del cielo considerato rispetto all'orizzonte. Nel secondo caso la luminanza del cielo si suppone costante, qualunque sia l'angolo considerato. In questo caso l'illuminamento prodotto si considera pari a 5000 lux.

Detto DF il dayligth factor, definito come rapporto fra l'illuminamento in un punto interno e quello del cielo coperto, questo è dato dalla somma di tre fattori:

DF = SC + CRE + CRI ove:

⋅ SC è la componente cielo; ⋅ CRE è il componente di riflessione esterno; ⋅ CRI è il componente di riflessione interno.

Ciascuno di questi fattori è sempre inteso in termini percentuali rispetto all'illuminazione con cielo coperto. Per una buona illuminazione diurna deve essere DF>4.

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IILLUMINOTECNICA

151

13.4 CALCOLO DELLA COMPONENTE CIELO

La componente cielo, SC, è definita come rapporto percentuale fra l'illuminamento dovuto ad una apertura sul punto desiderato per effetto della radiazione solare diffusa e l'illuminamento ottenuto con cielo internazionale. Se il riferimento è il cielo standard a luminanza costante si definisce allo stesso modo il fattore cielo, SF.

Entrambi i componenti dipendono dal tipo di cielo considerato (internazionale o standard) dai rapporti B/d e H/d fra la base della semiapertura e la distanza del punto P (valutata normalmente alla finestra) e fra l'altezza dell'apertura e la medesima distanza.

Figura 80: Parametri geometri per il calcolo della componente cielo con il metodo BRS

Il metodo BRS per il calcolo del DF fornisce due tabelle (una per ciascun tipo di cielo) che fornisce SC o SF in funzione dei due rapporti B/d e H/d.

Qualora il vetro considerato sia doppio è bene ridurre del 15% il valore individuato nelle tabelle. Se l'apertura ha un'ostruzione esterna che limita l'illuminamento solare allora si applica lo stesso

metodo una volta per tutta la finestra ottenendo SC1 ed una seconda volta per la parte di finestra oscurata ottenendo SC2. Il valore finale è dato dalla differenza:

SC = SC1 - SC2 I riferimenti per il calcolo di SC e SF sono dati in Figura 80. Se è presente l'ostruzione esterna allora si calcola la Componente di riflessione esterna, CRE,

utilizzando ancora le due tabelle già descritte per SC e SF ed individuando CRE mediante B/d e a (angolo di ostruzione).

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IILLUMINOTECNICA

152

Tabella 27: Calcolo del SF per cielo uniforme

CRE va sommato a SC (o SF a seconda del cielo considerato).

13.5 CALCOLO DELLA COMPONENTE DI RIFLESSIONE INTERNA

La componente di riflessione interna, CRI, è definita, sempre in termini percentuali, come rapporto dell'illuminamento prodotto dalle riflessioni interne della luce diurna su una superficie e l'illuminamento del cielo coperto (internazionale o standard).

Essa dipende dai fattori di riflessione del pavimento, rp, e delle pareti, rw, e dal rapporto fra superficie vetrata e superficie del pavimento o anche della percentuale di superficie vetrata rispetto a quella del pavimento.

Il metodo BRS fornisce una tabella nella quale, mediante i suddetti parametri, si individua CRI (valore minimo).

Nell'ultima riga in basso si ha un fattore di correzione che deve essere applicato al valore sopra individuato per ottenere il valore medio nella stanza.

CRI va sommato alle altre componenti (SC e CRE) per ottenere il DF.

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IILLUMINOTECNICA

153

Tabella 28: Calcolo del SF per cielo internazionale

13.6 CALCOLO DEL O DAYLIGHT FACTOR, DF

Il calcolo del DF può essere schematizzato nelle seguenti fasi:

DF = SC + CRE + CRI ⋅ SC - si calcolano i rapporti B/d ed H/d della semifinestra e, scelto il tipo di cielo

(Internazionale o Standard), si legge nella tabella corrispondente il valore di SC. ⋅ CRE - nel caso di presenza di ostruzione esterna si calcola SC sottraendo dal valore per la

finestra intera quello relativo alla ostruzione. Quindi si calcola, sempre con la medesima tabella, il valore di CRE utilizzando il rapporto B/d e l'angolo a con il quale il punto di verifica P sottende l'ostruzione.

⋅ CRI - si utilizza un'apposita tabella nella quale occorre conoscere il fattori di riflessione del pavimento e delle pareti e il rapporto fra superficie vetrata e quella del pavimento (o anche in valore percentuale).

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IILLUMINOTECNICA

154

Tabella 29: calcolo del CRI con il metodo BRS

Nel caso di lucernari (illuminamento dall'alto) si trascura CRE e si calcola SC mediante la relazione:

100vetro

pavimento

ASC uA

= ⋅ ⋅

ove u è funzione della pendenza del vetro secondo la tabella:

Angolo inclinazione u 30° 0,30 60° 0,20 90° 0,15

Tabella 30: Valori di u per alcuni angoli di inclinazione Per l'illuminazione dall'alto la CRI si calcola con una nuova tabella nella quale, oltre ai parametri

sopra indicati, entra anche la pendenza della apertura.

13.7 METODI GRAFICI PER IL CALCOLO DEL DF

Esistono anche metodi grafici per il calcolo del fattore di luce diurna. Essi si basano essenzialmente sul metodo di Lagrange detto anche principio della sfera unitaria.

Il principio della sfera unitaria dice che l'illuminamento prodotto da una superficie in un punto P giacente sul piano orizzontale è equivalente a quello prodotto da un elemento dS giacente sulla sfera di raggio unitario avente centro in P e che vede con lo stesso angolo solido la superficie illuminante.

Tale illuminamento è proporzionale anche alla proiezione sul piano orizzontale della superficie dS intercetta sulla sfera.

La dimostrazione è immediata come qui di seguito indicato. Dalla definizione di Luminanza:

Acos L α

φΩ⋅=

con φ flusso luminoso, Acosα l’area apparente e Ω l’angolo solido di emissione. Ricordando ancora che l’Illuminamento è legato all’Intensità luminosa dalla relazione:

2

cosIER

α⋅=

ove è I=φ/Ω. Combinando le due relazioni si ottiene:

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IILLUMINOTECNICA

155

2

( cos ) cosI

L AE

R

β α⋅ ⋅ ⋅

=14243

A parità di angolo solido si ha: 'cosI L A L Aα= ⋅ ⋅ = ⋅

ove A’ è la proiezione dell’area A sulla sfera di raggio unitario. Ne segue che l’illuminamento E vale:

2

' cosL AER

α⋅ ⋅=

Si osserva che A’cosα è la proiezione di A’ sul piano orizzontale interno alla semisfera. Detta A” questa proiezione si ha:

2

'' '' L AE L AR⋅

= = ⋅

poiché R=1. I riferimenti grafici sono dati in Figura 81.

13.8 METODO GRAFICO- REGOLO BRS

Il metodo grafico BRS per il calcolo della componente cielo si basa sul principio della sfera unitaria ed è applicato mediante due serie di regoli predisposti appositamente per il calcolo dello SC per finestre verticali.

Nella Figura 82 a sinistra si ha il principio suddetto. Per una finestra di apertura infinita la figura a destra mostra le due semicirconferenze intercette dalle proiezioni di un segmento pari all'altezza sulla sfera unitaria e che si proiettano in due ellissi sul piano orizzontale.

Le semiellissi proiettate sul piano orizzontale hanno assi maggiori pari al diametro ed assi minori pari a R cosa ed R cosb. L'illuminamento prodotto è proporzionale all'area racchiusa fra le due semiellissi e quindi vale:

Ec=1/2 p R2(cosa - cosb) Poiché l'illuminamento prodotto da tutto il cielo è proporzionale all'area della sfera proiettata sul

piano orizzontale (e quindi pR2) si può allora definire il fattore cielo come: SF=1/2 (cosa - cosb) . 100 = 50.(cosa - cosb) %

Il primo regolo BRS consente di calcolare proprio questa differenza. Esso riporta su una semicirconferenza la funzione:

50.(1 - cosb ) % che corrisponde al valore di SF per cosa=1 . Nella Figura 82 si ha un esempio di applicazione: si posiziona il centro del regolo nel punto P, si

congiungono i punti superiore ed inferiore dell'apertura e si leggono i due valori SF1 e SF2. Il valore risultante è la differenza fra i due.

Per aperture vetrate di applica una riduzione del 15% per tenere conto dell'assorbimento del vetro. Per tenere conto dell'apertura finita delle finestre si utilizza un regolo (detto secondario) che effettua il calcolo dell'area AEFB intercetta in pianta per la semiapertura della finestra (come indicato in figura). Quest'area è data dalla relazione:

1 12 2 2 2 2 2

1

arcsin arcsin2 2AEEF

ab b ab bAreab a tag b a tagϕ ϕ

= −+ +

(66)

ove a = R, b = Rcosα, b1 = Rcosβ sono rispettivamente l’asse maggiore (pari al raggio) e gli assi minori dei due ellissi.

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α

β

Figura 81: Principio della sfera unitaria

β

α

Figura 82: Il principio di calcolo del metodo BRS

Il regolo secondario calcola proprio quest'area per finestre aventi inclinazione con angoli pari a 0°, 30°, 60° e 90°.

Il regolo secondario BRS è composto da alcune semicirconferenze relative ad angoli di inclinazione delle finestre pari a 0°, 30°, 60° e 90°.

Trasversalmente alle semicirconferenza si hanno alcune curve che riportano il valore dell'area AEFB (per ciascun lato della finestra) in corrispondenza delle linee di proiezione dal punto P dei limiti orizzontali della finestra.

Il regolo in oggetto va utilizzato sui disegni in pianta e il valore risultante (somma delle letture sui due lati) va a moltiplicare il SF determinato con il regolo primario.

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Figura 83: Uso del regolo primario BRS

Per angoli diversi occorre interpolare fra le curve.

Figura 84: Principio di funzionamento del regolo secondario BRS

Figura 85: Uso del regolo secondario BRS

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158

14. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Testi Fondamentali di riferimento

1. D. FACONTI, S. PIARDI: “ La qualità ambientale degli edifici”, MAGGIOLI Editore, 1998 2. A. SACCHI, G. CAGLIERIS: “Fisica Tecnica - Acustica e Illuminotecnica”, UTET, Torino 3. AA.VV. : Manuale di Progettazione edilizia, HOEPLI, 1995 4. AA.VV. : Il Nuovo Manuale dell’Architetto”, Ed. MANCOSU, 5. G. CAMMARATA, A. FICHERA, L. MARLETTA: “C.N.R. - Manuale sulla qualità Fisico-Tecnica

dell'ambiente costruito” - Progetto Finalizzato edilizia 1994, vol. II: Simulazione, Capitolo CII 6. G. CAMMARATA: “Il comfort luminoso”, Dispense per il Corso di Master in Ergonomia, Catania

1999-2000 7. AGHEMO C. AZZOLINO, Il progetto dell’elemento di involucro esterno opaco, CELID, Torino,

1996; 8. AGHEMO C. AZZOLINO, Illuminazione naturale, metodi ed esempi di calcolo, CELID, Torino,

1995; 9. ARGAN G. C., La storia dell’arte italiana, Sansoni, Firenze, 1975; 10. BAKER N., FANCHIOTTI A., STEEMERS K., Daylighting in Architecture, A European

Reference Book, Commission of the Communities Directorate-General XII for Science Research and Development; James & James, 1993;

11. BIANCHI F., L’architettura della luce, Edizioni Kappa, Roma, 1991; 12. BIANCHI F., PULCINI, Manuale di Illuminotecnica, La nuova Italia, 1995; 13. BIASIOTTI, S. BIASIOTTI, Termologia e gestione degli edifici, EPC, 1995; 14. CHIOLINI P., Il contributo dell’illuminazione naturale negli edifici per l’industria, Tamburini

Editore, Milano, 1966; 15. CODEGONE C., Problemi di illuminazione, V. Giorgio, 1950; 16. FORCOLINI G., Illuminazione di interni, Hoepli, 1988; 17. HOCHBERG J. E., Psicologia della percezione, A. Martello e Giunti, 1975; 18. GOETHE J. W., La teoria dei colori, Il Saggiatore, Milano, 1979; 19. GREGORY R.L., Occhio e cervello la psicologia del vedere, Casa editrice il Saggiatore, Milano,

1966; 20. LONGO P., La cromoterapia applicata alle disabilità attentive: cromoterapia in classe, UPSEL,

Torino, 1993; 21. MAIONE M., La visione e suoi meccanismi, Editrice Maccari, Parma, 1985; 22. MANZONI L., La luce , progetto scienza filosofia, Reggiani Editore, Milano, 1991; 23. PAROLINI M. PARIBENI, Tecnica dell’illuminazione, UTET, Torino, 1977; 24. RONCH V., Storia della luce da Euclide a Einstein, Laterza, Bari, 1983; 25. ROSSINI D. SEGRÈ, Tecnologia Edilizia, Hoepli, Milano, 1972; 26. TORRICELLI SALA SECCHI, La luce del giorno, Alinea, 1995; 27. G. LEONE: Tesi di dottorato su: Illuminazione Naturale e sue problematiche”, Palermo 1999 28. AA. VV: Manuale di Progettazione Edilizia, Hoepli; 29. AA. VV.: Nuovo Manuale dell’Architetto, MANCOSU Editore 30. Manuale di Progettazione Edilizia, Hoepli.

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INDICE GENERALE

1. LE PROBLEMATICHE DELL’ILLUMINOTECNICA 1

1.1 DEFINIZIONI PRINCIPALI 1 1.1.1 L'OCCHIO E LA VISIONE 1

2. ILLUMINOTECNICA: PRINCIPALI UNITÀ DI MISURA 3

2.1 GRANDEZZE SOGGETTIVE E GRANDEZZE OGGETTIVE 3 2.1.1 FLUSSO LUMINOSO 4 2.1.2 INTENSITÀ LUMINOSA 5 2.1.3 LUMINANZA 6 2.1.4 ILLUMINAMENTO 7 2.1.5 RADIANZA 9 2.2 LA SFERA DI ULBRICHT 9 2.2.1 MISURA DEL FLUSSO LUMINOSO CON LA SFERA DI ULBRICHT 10 2.3 METODI DI MISURA DELLE GRANDEZZE ILLUMINOTECNICHE 10 2.3.1 MISURA DEL FLUSSO CON IL LUXOMETRO 10 2.3.2 IL BANCO FOTOMETRICO 11 2.3.3 CALCOLO DEL FLUSSO CON IL METODO IEC 12 2.3.4 CALCOLO DELL’ILLUMINAMENTO FRA SUPERFICI 13 2.3.5 ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO DA SUPERFICIE ESTESA 14 2.3.6 ILLUMINAMENTO DA UNA SORGENTE LINEARE 15

3. LA STORIA DELLA TEORIA DELLA LUCE 16

3.1 FISIOLOGIA DELL’OCCHIO 19 3.2 PRINCIPI DELLA VISIONE 20 3.2.1 L’ADATTAMENTO VISIVO 23 3.2.2 L’ACCOMODAMENTO 24 3.2.3 IL CONTRASTO 24 3.2.4 LA BRILLANZA 26 3.2.5 L’ABBAGLIAMENTO VISIVO 27 3.2.6 FATTORE DI RESA DEL CONTRASTO 29 3.2.7 L’ACUITA’ VISIVA 29 3.2.8 OGGETTI IN MOVIMENTO E TEMPO NECESSARIO PER LA VISIONE 31 3.2.9 POSIZIONE DELL'IMMAGINE SULLA RETINA 31 3.3 IL SENSO MORFOLOGICO 32 3.4 IL COLORE 33 3.4.1 COLORIMETRIA 35 3.4.2 PLANCK'S LOCI 38 3.4.3 EFFETTO CROMATICO E INDICE DI RESA CROMATICA 40

4. LE GRANDEZZE FOTOMETRICHE DI RIFERIMENTO 41

4.1 L’EMITTANZA LUMINOSA O RADIANZA 44 4.2 L’ESPOSIZIONE LUMINOSA 44 4.3 COEFFICIENTE DI ASSORBIMENTO 44 4.4 COEFFICIENTE DI RIFLESSIONE 44 4.5 VALORI DI R CONSIGLIATI PER LE SUPERFICI INTERNE DI UNA STANZA 44 4.6 LE SORGENTI LUMINOSE 45 4.7 CLASSIFICAZIONE DELLE LAMPADE 45

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4.8 CARATTERIZZAZIONE DELLE LAMPADE 45 4.8.1 LAMPADE AD INCANDESCENZA 46 4.8.2 LAMPADE ALOGENE 47 4.8.3 LAMPADE A LUMINESCENZA 47 4.8.4 LAMPADA A VAPORE DI MERCURIO AD ALTA PRESSIONE 50 4.8.5 LAMPADE A VAPORI DI SODIO 50 4.8.6 LAMPADE AD ARGON 51 4.9 APPARECCHI ILLUMINANTI 53 4.9.1 TIPOLOGIA DEI DIFFUSORI 54

5. PROGETTO DI UN IMPIANTO DI ILLUMINAZIONE 55

5.1 L’AMBIENTE INTERNO ILLUMINATO ARTIFICIALMENTE 55 5.2 PROCEDURE DI CALCOLO 56 5.3 METODI DI CALCOLO GLOBALI 57 5.3.1 CALCOLO DEL FLUSSO CIRCOLANTE 57 5.3.2 FATTORE DI MANUTENZIONE 58 5.3.3 COEFFICIENTI DI RIFLESSIONE 60 5.3.4 METODO DEL FATTORE DI UTILIZZAZIONE 60 5.4 IL COMPORTAMENTO DEI CORPI COLPITI DA RADIAZIONI LUMINOSE 62 5.5 DISTANZA MINIMA TRA GLI APPARECCHI, D 62 5.6 METODI AVANZATI DI PROGETTAZIONE 63 5.7 3.2.1 RAY-TRACING 63 5.7.1 CONCLUSIONI 70

6. IL BENESSERE VISIVO E LA PROGETTAZIONE ILLUMINOTECNICA 71

6.1 I PARAMETRI CHE INFLUENZANO LA PRESTAZIONE VISIVA 72 6.2 L’ILLUMINAMENTO DEL COMPITO VISIVO 73 6.3 IL CONTRASTO 76 6.4 L’ABBAGLIAMENTO 77 6.5 LA PSICOLOGIA DEL COLORE 78 6.5.1 LA PSICOLOGIA DEL COLORE NEL LAVORO 79 6.6 VOLUME DI OFFESA 82 6.6.1 POSIZIONE DELL’APPARECCHIO ILLUMINANTE 82

7. ELEMENTI PER IL PROGETTO DI IMPIANTI DI ILLUMINAZIONE 86

7.1 CRITERI ILLUMINOTECNICI 86 7.1.1 REQUISITI ILLUMINOTECNICI 87 7.1.2 ILLUMINAZIONE E POSTO DI LAVORO 87 7.1.3 ILLUMINAZIONE DELL'AMBIENTE 88 7.1.4 I VALORI DELL’ILLUMINAMENTO 88 7.1.5 LUMINANZA DELLE SUPERFICI INTERNE 89

8. L’ILLUMINAZIONE NATURALE 91

8.1 PROBLEMATICHE DELLA ILLUMINAZIONE NATURALE 97 8.2 L’ILLUMINAMENTO IN FUNZIONE DEL TIPO DI FINESTRA 100 8.3 L’ORIENTAMENTO 104 8.4 IL DIAGRAMMA DELLE TRAIETTORIE SOLARI 104

9. MODELLO DI CIELO PER IL CALCOLO DELL’ILLUMINAZIONE 107

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9.1 GRADI GIORNO 109 9.2 ANNO TIPO 109 9.2.1 GIORNO MEDIO MENSILE 110 9.3 CALCOLO ILLUMINOTECNICO CON LA LUCE NATURALE 110 9.4 7.1 IRRAGGIAMENTO EXTRATERRESTRE 110 9.5 VALUTAZIONE DELLE ORE DI SOLEGGIAMENTO 111 9.6 METODO DI CALCOLO PER LA DEFINIZIONE DELL’ILLUMINAMENTO ORIZZONTALE. 112

10. LO SPAZIO COSTRUITO 115

10.1 RIDUZIONE DELL’OMBRA PORTATA DA EDIFICI LIMITROFI 116 10.2 POSIZIONAMENTO DELL’EDIFICIO SUL LOTTO 117 10.3 IL VOLUME EDIFICATO 118 10.4 LA NORMAZIONE NEL SETTORE EDILIZIO 119 10.5 FORMA DEGLI EDIFICI 121

11. QUALITATÀ DEGLI AMBIENTI ILLUMINATI NATURALMENTE 123

11.1 IL FATTORE DI LUCE DIURNA 123 11.1.1 CALCOLO DEL FATTORE FINESTRA 127 11.1.2 CALCOLO DEL COEFFICIENTE ψ 129 11.2 L’INDICE DI ABBAGLIAMENTO 130 11.2.1 CALCOLO DEGLI ANGOLI SOLIDI Ω ED ω 133 11.3 9.3 FATTORE DI UNIFORMITA’ DELL'ILLUMINAMENTO 133 11.4 IL FATTORE DI RESA DEL CONTRASTO 135 11.4.1 MODELLO DI CALCOLO 135 11.5 L’INDICE DI RILIEVO 136 11.5.1 MODELLO DI CALCOLO 136

12. STUDIO CROMATICO DELLE SUPERFICI 138

12.1 DIMENSIONAMENTO DELLA SUPERFICIE VETRATA 139 12.1.1 PROFONDITA’ DELL’AMBIENTE 142 12.1.2 GEOMETRIA E POSIZIONE DELLA FINESTRA 142 12.1.3 VARIAZIONE DELLA SUPERFICIE VETRATA SULLA FACCIATA DI UN EDIFICIO 146

13. METODO BRS PER L’ILLUMINAZIONE NATURALE 148

13.1 ILLUMINAMENTO INTERNO DOVUTO ALLA VOLTA CELESTE 148 13.2 FATTORE DI LUCE DIURNA (O DAYLIGHT FACTOR), DF 148 13.3 CALCOLO DEL FATTORE DI LUCE DIURNA 149 13.4 CALCOLO DELLA COMPONENTE CIELO 151 13.5 CALCOLO DELLA COMPONENTE DI RIFLESSIONE INTERNA 152 13.6 CALCOLO DEL O DAYLIGHT FACTOR, DF 153 13.7 METODI GRAFICI PER IL CALCOLO DEL DF 154 13.8 METODO GRAFICO- REGOLO BRS 155

14. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 158

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INDICE DELLE FIGURE

Figura 1: “Donna che cuce alla luce della lampada” (1828) di Georg Friedrich Kersting a Figura 2: Curve di visibilità relativa fotopica e scotopica 3 Figura 3: Tipi di sorgenti luminose 4 Figura 4: Significato di Flusso Luminoso 5 Figura 5: Relazione fra intensità ed angolo solido 6 Figura 6: Intensità per corpi lambertiani 6 Figura 7: Sorgenti puntiformi 6 Figura 8: Luminanza per corpi lambertiani 7 Figura 9: relazione fra flusso ed Intensità 7 Figura 10: Luminanza per superfici trasparenti 8 Figura 11: Luminanza per superfici lambertiane 8 Figura 12: Distribuzione interna del flusso nella sfera di Ulbricht 9 Figura 13: Sfera di Ulbricht 10 Figura 14: Schema di un luxometro a cellula fotovoltaica 10 Figura 15: Tipologia di filtri per le celle fotovoltaiche 11 Figura 16: Banco fotometrico 11 Figura 17: Solido fotometrico e sua sezione in piano 12 Figura 18: Sezioni per il metodo IEC 12 Figura 19: Calcolo del flusso con il metodo IEC 12 Figura 20: Illuminamento fra due superfici 13 Figura 21: Scambio radiativo fra superfici 14 Figura 22: Illuminamento da una superficie in un punto 15 Figura 23: Ritratti di Cristopher Huygens, (da ignoto) e di Isaac Newton, (ritratto da C. Jervas) 16 Figura 24: Anatomia dell’occhio umano e dei recettori retinici: coni e bastoncelli 18 Figura 25: Illuminamento in lux di una superficie per diverse situazioni 21 Figura 26: Sensibilità relativa dell’occhio alle varie lunghezze d’onda 22 Figura 27: Livello della visibilità al variare dell’illuminamento relativo 23 Figura 28: Curva di adattamento visivo dei coni e dei bastoncelli 24 Figura 29: Contrasto luminoso 25 Figura 30: La Griglia di Hermann 26 Figura 31: Esempi di brillanza 27 Figura 32: Le Bande di Mach 27 Figura 33: Acuità visiva 30 Figura 34: Acuità visiva in funzione della luminanza 31 Figura 35: Posizione dell’immagine ed acuità visiva 32 Figura 36: Legge della vicinanza 32 Figura 37: Legge della somiglianza 33 Figura 38: Legge della chiusura 33 Figura 39: Esempi di illusione ottica 33 Figura 40: Spettro della luce visibile 34 Figura 41: Sintesi additiva e sottrattiva dei colori 35 Figura 42: Componenti cromatiche X, Y e Z della CIE 36 Figura 43: Il triangolo del colore 38 Figura 44: Diagramma cromatico CIE 1931 39 Figura 45: Schema costruttivo di una lampada ad incandescenza 46 Figura 46: Tipologie di lampade ad incandescenza 46 Figura 47: Lampada alogena 47 Figura 48: Schema di funzionamento di una lampada a luminescenza 48 Figura 49: Curva caratteristica di una lampada a luminescenza 48 Figura 50: Polarizzazione di una lampada a luminescenza 49 Figura 51: Spettri di lampade a luminescenza 51

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Figura 52: Distruzione spettrale di alcune lampade a luce combinata 52 Figura 53: Distribuzione spettrale di lampade al sodio 52 Figura 54: Tipologia dei diffusori 53 Figura 55: Flusso circolante nella Sfera di Ulbricht 57 Figura 56: Sezione di riferimento del locale 60 Figura 57: Rappresentazione con il metodo della radiosità 66 Figura 58: Metodo della radiosità 67 Figura 59: Metodo della radiosità progressiva 67 Figura 60: Riflessioni speculari 70 Figura 61: Compito visivo e prestazione visiva 71 Figura 62: Esempio di corretta illuminazione: lo studio 74 Figura 63: Identificazione delle zone in rapporto alla luminanza 76 Figura 64: Influenza del contrasto 77 Figura 65: Posizioni per evitare l’abbagliamento 78 Figura 66: Combinazione dei colori in funzione dell’esposizione delle finestre 79 Figura 67: Influenza del colore delle pareti 80 Figura 68: Interrelazione colori/emotività 81 Figura 69: Volume di offesa 83 Figura 70: Volume di offesa in un posto di lavoro 83 Figura 71: Corretta posizione dell’apparecchio illuminante 84 Figura 72: Definizione di angolo di abbagliamento 84 Figura 73: Curve di luminanza A: apparecchi senza bordo luminoso. 85 Figura 74: Curve di luminanza B: apparecchi con bordo luminoso 85 Figura 75: Percorsi progettuali 86 Figura 76: Ergonomia visiva del posto di lavoro 89 Figura 77: Irraggiamento extraterrestre nel corso dell’anno 111 Figura 78: Le componenti fondamentali dell’illuminazione naturale 148 Figura 79: Livelli di illuminamento in diverse ore del giorno 149 Figura 80: Parametri geometri per il calcolo della componente cielo con il metodo BRS 151 Figura 81: Principio della sfera unitaria 156 Figura 82: Il principio di calcolo del metodo BRS 156 Figura 83: Uso del regolo primario BRS 157 Figura 84: Principio di funzionamento del regolo secondario BRS 157 Figura 85: Uso del regolo secondario BRS 157

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INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1: Tipologia della visione 21 Tabella 2: Valori dell’indice di abbagliamento 28 Tabella 3: Valori frequenziali delle componenti cromatiche 36 Tabella 4: Valori minimi di illuminazione consigliati 41 Tabella 5: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento 42 Tabella 6: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento 43 Tabella 7: Illuminamento, Tonalità del colore, Resa cromatica e Abbagliamento 44 Tabella 8: Fattori di riflessione consigliati 44 Tabella 9: Valori tipici dei parametri caratteristici per vari tipi di lampade 46 Tabella 10: Caratteristiche delle lampade ad incandescenza 47 Tabella 11: Caratteristiche delle lampade a luminescenza 50 Tabella 12: Valori raccomandati per LLMF e LSF 59 Tabella 13: Valori raccomandati per LMF 59 Tabella 14:Valori raccomandati per RSMF 59 Tabella 15: Coefficienti di riflessione per vari materiali di rivestimento delle pareti 60 Tabella 16: Valori di M e di N 61 Tabella 17: Fattori di Utilizzazione 62 Tabella 18: Distanza fra apparecchi illuminanti 62 Tabella 19: Parametri per una corretta percezione visiva 73 Tabella 20: Illuminamenti consigliati 75 Tabella 21: Poteri riflettenti delle pareti 76 Tabella 22: Fattori di riflessione dei colori 78 Tabella 23: Schema delle dominanti 79 Tabella 24: Effetti psicologici del colore 82 Tabella 25: Classe di qualità visiva 82 Tabella 26- Valori minimi consigliati per il fattore di luce diurna 150 Tabella 27: Calcolo del SF per cielo uniforme 152 Tabella 28: Calcolo del SF per cielo internazionale 153 Tabella 29: calcolo del CRI con il metodo BRS 154 Tabella 30: Valori di u per alcuni angoli di inclinazione 154