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Rapporto della Confindustria

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  • Milano, 16 - 17 marzo 2012

    CAMBIA ITALIACome fare le riforme e tornare a crescere

    Centro StudiCONVEGNO BIENNALE

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  • In copertina disegno di Domenico Rosa.

    La pubblicazione, curata da Luca Paolazzi e Mauro Sylos Labini, si avvalsa dellacollaborazione di Gianna Bargagli, Alessandro Gambini e Matteo Pignatti.

    Traduzioni dallinglese a cura di Elisa Comito (capitoli 7, 9 e 10) e Fabio Galimberti(capitoli 4, 6, 7 e 8).

    Editore S.I.P.I. SpAViale Pasteur, 6 - 00144 Roma

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  • INDICE

    LItalia alla sfida del cambiamento: le lezioni per le riforme

    e i benefici di un cammino appena iniziato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5

    LItalia al bivio: declino o rilancio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

    Come riformare l'Italia: le condizioni politiche

    e istituzionali della crescita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

    La competitivit dellItalia nel contesto globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

    Cinque segreti dellarte di fare e far funzionare le riforme . . . . . . . . . . . . . . 125

    Germania: il miracolo economico nellera globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

    Svezia: il cambio di marcia con le riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187

    Polonia: dalla transizione allo sviluppo tenendo dritta

    la barra delle riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221

    Europa dellEst: lezioni per uscire con slancio dalla crisi . . . . . . . . . . . . . . . 273

    Brasile: grandi progressi, ma unagenda da completare . . . . . . . . . . . . . . . . 299

    Cile: attori politici differenti nel segno della continuit riformista . . . . . . . . 327

    Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355

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  • INTRODUZIONE

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    LITALIA ALLA SFIDA DEL CAMBIAMENTO:LE LEZIONI PER LE RIFORMEE I BENEFICI DI UN CAMMINO APPENA INIZIATO

    Luca Paolazzi e Mauro Sylos Labini

    Sappiamo bene cosa fare. Quello che non sappiamo come farci rieleggere dopo averlo fatto.

    Jean-Claude Junker

    Non c mai unultima riforma.In un mondo che cambia velocemente dobbiamo adeguarci.

    Angela Merkel

    Il riformista ben consapevole di essere costantemente derisoda chi prospetta future palingenesi. Alla derisione di chi lo considera

    un impenitente tappabuchi, si aggiunge lo schernodi chi pensa che ci sia ben poco da riformare,

    n ora n mai, in quanto a tutto provvedeloperare spontaneo del mercato,

    posto che lo si lasci agire senza inutili intralci.Federico Caff

    La crescita economica cambiamento. Un cambiamento che insieme quantitativo e qua-litativo. Le due dimensioni, quella della quantit e quella della qualit, si combinano va-riamente nel tempo e si influenzano vicendevolmente. Non mai soltanto, nprincipalmente, una questione di aumento di volume.

    Per comprendere la vera natura della crescita e le reciproche interrelazioni tra quantit equalit basti pensare a come funzionano, intrecciandosi continuamente, le forze della de-mografia e dellinnovazione, cio i due grandi motori che spostano in avanti la potenza ele condizioni di benessere (non solo economico) di un paese.

    Entrambi agiscono sulla domanda e sullofferta: la demografia determina, gradualmente mainesorabilmente, stazza e composizione dei mercati di sbocco e le caratteristiche del capi-tale umano; linnovazione introduce, caleidoscopicamente e con salti, nuovi beni di con-sumo che mutano gli stili di vita fino a rivoluzionarli e nuovi processi e macchinari e formeorganizzative che accrescono la produttivit dei fattori impiegati.

    Luca Paolazzi, Centro Studi Confindustria.Mauro Sylos Labini, Centro Studi Confindustria e Universit degli Studi di Pisa.

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  • INTRODUZIONE

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    Sul fronte demografico, levoluzione verso una combinazione di meno giovani e pi an-ziani trasforma, per esempio, non solo il paesaggio umano delle citt, ma anche il panieredella spesa delle famiglie e quindi la domanda di beni tecnologicamente pi complessi edevoluti. Tendenzialmente, abbassa il profilo della crescita agendo su produttivit, creativite disponibilit di persone in et lavorativa.

    Specularmente, dal lato tecnologico, la diffusione e il continuo perfezionamento delle ICT(PC, cellulari, internet) agiscono sulla salute fisica e mentale delle persone, sulla comuni-cazione e mobilit, sui modi di lavorare e sulla tutela dellambiente.

    Sono esempi solo suggestivi ma bastano a cogliere tre aspetti importanti e troppo spessoignorati nel dibattito sulla crescita. Primo, la crescita economica pervasiva, perch coin-volge i vari campi della vita sociale. Secondo, avviene senza soluzione di continuit, seb-bene non con intensit costante, ed influenzabile ma ineludibile e sempre pi determinatada condizioni esterne al singolo paese; quindi pu essere, entro certi limiti, governata, gio-cando danticipo, oppure subita, se si reagisce in ritardo.

    Il terzo aspetto discende dai precedenti: in quanto la crescita cambiamento, che nei paesiavanzati sempre pi qualitativo e fondato sulla conoscenza (pi software e meno hardware,cio smaterializzata), lidea e lelogio della decrescita perdono contatto con la realt e quindifondamento materiale, mentre vengono illuminate da una luce diversa sia la ormai lungastagione di stagnazione dellItalia sia il significato e la valenza delle riforme.

    Riguardo alla bassa crescita, ormai diventato perfino stucchevole ripetere che da pi di undecennio leconomia dellItalia non cresce abbastanza (Grafico A). Abbracciando anche le

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    Fonte: elaborazioni CSC su dati OCSE.

    Grafico A - LItalia perde terreno nel lungo periodo(PIL a prezzi costanti, 1990=100)

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  • INTRODUZIONE

    violente ripercussioni della grande recessione, che ha colpito il Paese ben pi dei suoi omo-loghi1, il PIL (che nonostante i suoi limiti resta lindicatore pi affidabile, anche degli aspettiqualitativi di cui si parlato) nel 2010 era di appena il 3,8% sopra i livelli del 2000; in rap-porto alla popolazione, che nel frattempo era salita del 6,2% e che avrebbe perci dovutodare una spinta potente allespansione delleconomia, era sceso del 2,3%.

    Questa stata di gran lunga la peggiore dinamica tra i paesi avanzati: +7,6% ha messo asegno nel PIL totale il Giappone (che in deflazione da un ventennio), +9,5% la Germania(considerata non molto tempo fa malata dEuropa, come lItalia), +11,8% la Francia,+16,7% gli USA, +18,1% il Regno Unito, +22,2% la Svezia e +22,7% la Spagna. vero chealcune di queste economie stanno pagando ora lalto prezzo di squilibri nel frattempo ac-cumulati, ma leconomia italiana non certo ben bilanciata nei conti esteri e pubblici e,ormai, neppure pi nel tasso di risparmio delle famiglie.

    Nella chiave di lettura qui adottata riguardo allessenza della crescita, ci vuol dire cheleconomia e la societ italiane sono state incapaci di cambiare rispetto a quanto hanno sa-puto fare gli altri sistemi paese. Ci pu sembrare un paradosso, perch in base a moltissimiindicatori lItalia di oggi molto diversa da quella di dieci anni fa. Di nuovo, per, le tra-sformazioni sono state meno profonde e meno diffuse che altrove, e non tutte nella direzioneauspicabile, frutto di accidentalit molto pi che di disegno impresso dalle politiche (per es-sere benevoli; perch si pu anche sostenere che le politiche, oltre che manchevoli, sianostate in alcuni casi errate e/o contraddittorie).

    Peraltro, alla lenta crescita va ricondotta sia la questione salariale (insoddisfacenti livello edinamica delle retribuzioni, nel tempo e nel paragone internazionale) sia quella della scarsae calante redditivit degli investimenti (in aggregato). leconomia italiana nel suo com-plesso, e in media2, che si sta impoverendo.

    Perch accaduto ci? Perch si passati, nel volgere di un apparentemente breve lasso ditempo, dal non facile n scontato successo nel rincorrere gli standard di reddito e tecnolo-gia dei paesi guida, rincorsa culminata nel 1991 in termini di divario minimo nel reddito pro-capite, a una nuova divergenza?

    Se vero, infatti, che la convergenza non consegue meccanicamente allarretratezza, marichiede che si crei un insieme di condizioni, in particolare relative alle istituzioni e al ca-pitale umano, in grado di generare una capacit sociale di crescere3, come possibile chequesta capacit, una volta acquisita, sia andata perduta cos repentinamente? La rispostachiama in causa un insieme complesso di fattori interni ed esterni, che hanno operato con-

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    1. Facendo il confronto con le conseguenze della Grande crisi del 1929, landamento del PIL italiano dal 2007 in poi stato perfino peg-giore, perch la caduta stata quasi identica (-6,7% nel 1929-1931, contro -6,6% nel 2007-2009) ma allora si ripresero tra 1934 e 1935i livelli persi, mentre oggi nel pi favorevole degli scenari il PIL nel 2013 sar ancora del 5,5% inferiore a quello del 2007.

    2. Con forti differenziazioni e varianza di risultati dei singoli attori. Per esempio, tra imprese che operano nello stesso territorio, nella stessaclasse dimensionale, nello stesso comparto merceologico.

    3. Si veda Toniolo (2011, p. 8).

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  • giuntamente: linsufficiente accumulazione di capitale umano, il mancato pieno sfrutta-mento della rivoluzione pervasiva dellICT, la difficolt a cogliere le opportunit della glo-balizzazione, il disagio a convivere con i pi stretti corsetti imposti alla politica economicadalla maggiore integrazione europea, lincompleto passaggio nelle tecnologie da inseguitorea produttore che sta sulla frontiera4.

    In breve, lItalia tutta, economia e societ, si fatta cogliere impreparata o, meglio ancora,si dimostrata inadatta ad adeguarsi a queste novit, fatte di stimoli e di vincoli. Pi inges-sata e meno pronta a cambiare e quindi a continuare a crescere. Altri paesi si sono dati as-setti pi appropriati alla bisogna; beninteso, non senza sacrifici e costi di adeguamento.

    Questa risposta sposta lorizzonte a cui guardare, perch implica che la performance re-cente solo la manifestazione, il sintomo della malattia. Per capire la quale occorre scavareancora, risalire a ritroso e riconoscere che i semi della bassa crescita odierna furono gettatimolto tempo prima, quando si manifest unaltra impotenza di adattamento: quella di mo-dificare le istituzioni per adeguarle a un sistema economico-sociale che si era sviluppato,si era lasciato alle spalle le condizioni di arretratezza e aveva bisogno di darsi gli strumentiper raggiungere nuovi traguardi.

    Come ormai riconosciuto da molte parti, ci accaduto a met degli anni Sessanta,quando non era ancora terminato il galoppante quarto di secolo post-bellico (che nella cro-nologia ufficiale finisce nel 1973, con il primo shock petrolifero). Sebbene la vulgata cor-rente continui ad affermare che la lenta crescita un accadimento dellultimo periodo,molte variabili economiche convergono nel mostrare che senza il ricorso ad alcune dro-ghe la stagnazione sarebbe arrivata molto prima.

    A posteriori, non si pu che concludere che la mancata somministrazione di tali droghe sa-rebbe stata salutare, anche se politicamente sediziosa, perch avrebbe costretto potere ese-cutivo, potere legislativo e potere sindacale ad assumersi responsabilit da vera classedirigente, anzich inseguire il consenso rinviando il momento in cui i problemi sarebbero statiaffrontati. Problemi che, anzi, furono per molti versi aggravati e resi di pi ostica soluzione.

    Le scappatoie utilizzate sono note, ma bene rammentarle per mettere a tacere nostalgieanacronistiche e ricorrenti. La svalutazione del cambio: la lira, che nel 1959 e nel 1964aveva conquistato lOscar delle valute, perse oltre il 60% del suo valore esterno tra il 1972e il 1985 (Grafico B). Lo svilimento del potere dacquisto della moneta, eroso dallinfla-zione e diminuito a un decimo tra il 1972 e il 19935; nel medesimo periodo e misurato sem-pre sullindice dei prezzi al consumo, il valore reale del marco tedesco, sinonimo di stabilitmonetaria, si dimezz (Grafico C). Laccumulazione di un elevato debito pubblico attra-verso linanellamento di deficit pubblici primari (cio al netto della spesa per interessi), che

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    4. Si rimanda, per unanalisi meno sintetica, ancora a Toniolo (2011).5. Anno in cui fu disinnescata lindicizzazione delle retribuzioni, con laccordo sulla nuova contrattazione nazionale basata sullinflazione

    programmata. Nemmeno dopo laccordo del 2009, tuttavia, si pienamente realizzato lo sganciamento delle retribuzioni dai prezzi.

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  • cominciato nel 1965 (con un -2,9% del PIL) ed proseguito ininterrottamente fino al 1991(con il ritorno al pareggio del saldo primario; grafico D).

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    * Rispetto a 24 paesi (UE-15, Australia, Canada, Cina, Giappone, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Turchia).Fonte: elaborazioni CSC su dati Commissione europea.

    Grafico B - Lo svilimento del cambio(Italia, tasso di cambio effettivo nominale*, 1960=100)

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    Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Reuters.

    Grafico C - Ventanni per fermare linflazione(Indici dei prezzi al consumo, variazioni % annue)

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  • Svalutazione, inflazione e disavanzi vennero usati per ricomporre nellarena economicatensioni che avrebbero dovuto essere combattute e risolte in quella politico-sindacale. Inquesto modo gli ostacoli alla crescita, che gi avevano iniziato a rivelarsi, si accrebbero, so-prattutto nel funzionamento dei gangli vitali della pubblica amministrazione6.

    In altre parole, le difficolt di adattamento dellItalia ai mutamenti interni ed esterni vannoconsiderate come un fallimento dello Stato, pi che del mercato. Un fallimento che pu es-sere ricondotto a vizi dorigine molto antichi7. Ma su questo punto torneremo alla fine.

    Un fallimento che si sostanziato nella mancanza e nellinadeguatezza delle riforme. Que-sta affermazione, in certo qual modo, pu suscitare meraviglia. Perch da circa mezzo se-colo, ormai, lItalia un cantiere di riforme8. Sebbene talvolta di segno oppostonellispirazione e nelle conseguenze: dal tentativo mal congegnato, per assenza di dati e dimodelli, della programmazione economica negli anni Sessanta fino ai pi recenti interventidi liberalizzazione dei mercati e di riassetto del sistema previdenziale. In molti casi le riformesono state solo annunciate, in altri abbozzate, in altri ancora legiferate ma mai applicate.

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    6. Un indicatore grezzo della perdita di efficienza della pubblica amministrazione dato dallestensione del pubblico impiego. Soprat-tutto negli anni Settanta, ma anche negli anni Ottanta, esso svolse una funzione di polmone occupazionale. Crebbe, infatti, del 34,5%,contro un incremento del 7,2% degli addetti nel settore privato, nel decennio Settanta e del 15,0%, contro il 4,9%, in quello Ottanta.Il numero di abitanti per pubblico dipendente scese da 22 nel 1970 a 17 nel 1980 e a 15 nel 1990. Per raffronto, questo rapporto passnegli USA da 16 nel 1970 a 14 nel 1990.

    7. Si veda Salvati (2011).8. Il termine riforme qui utilizzato in senso molto ampio, coinvolgendo dalla condotta della politica di bilancio al regime di quella mo-

    netaria e valutaria, dai mutamenti costituzionali riguardanti parlamento e governo alla legge elettorale, dal ridisegno del sistema sco-lastico e universitario alle regole previdenziali, dalle liberalizzazioni al mercato del lavoro, e cos via.

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    * Nel saldo primario sono escluse le spese per interessi. quindi la fonte originaria, controllata dai governi, delle varia-zioni del debito pubblico.Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.

    Grafico D - La corsa del debito pubblico parte negli anni 60(Italia, saldo primario della PA in % del PIL*)

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    Altre volte, dopo averle approvate si tornati indietro, senza mai permettere loro di entrarea regime e valutarne gli effetti. Il fatto stesso che il cantiere delle riforme sia rimasto conti-nuativamente aperto sempre sulle medesime questioni ha avuto implicazioni negative, cre-ando incertezza e assorbendo energie e risorse intellettuali-politiche-finanziarie cheavrebbero dovuto meglio essere rivolte ad altri temi importanti per il futuro del Paese.

    Qualche esempio di lentezza, scarsa risolutezza, incompiutezza e incoerenza delle riformepu essere utile. Riguardo alleliminazione dellinflazione elevata e di quella che le analisi ave-vano indicato come la principale causa della sua persistenza, cio la scala mobile (indiciz-zazione automatica delle retribuzioni ai prezzi), tra lapogeo di tale meccanismo avvenutocon laccordo Agnelli-Lama sul punto unico di contingenza siglato nel 1975 e il suo defini-tivo accantonamento nel 1993 passarono diciotto anni, con in mezzo vari depotenziamentiattraverso sofferti accordi e addirittura un referendum popolare nel 1985. Riguardo al sistemaprevidenziale, che negli anni Settanta fu reso sempre meno sostenibile attraverso trattamentivia via pi generosi nei requisiti per accedere alla pensione e nel calcolo della stessa, tralemergere analitico della sua insostenibilit nei primi anni Ottanta e lestensione a quasi tuttii lavoratori dipendenti (quindi pi rispetto dellequit) di un sistema capace di reggere neltempo sono trascorsi circa trentanni, contrassegnati da numerosi interventi, ritocchi, ripensa-menti, molti dei quali avvenuti con estenuanti trattative sindacali, lunghi bracci di ferro par-lamentari, cadute di governi, scioperi generali e oceaniche manifestazioni di piazza.

    Un grave danno collaterale di tale condotta stato lo scetticismo dellopinione pubblica ri-guardo alle riforme stesse, al loro significato e alla loro utilit, che ne ha innalzato i costipolitici. Proprio perch quel modo di procedere ha diffuso la sensazione che tanto fossestato fatto e con sforzi enormi, ma che poco si fosse ottenuto in termini sia di completamentodelle misure adottate sia di esiti nel miglioramento della performance economica del Paese.Tutto ci ha condotto ad accumulare enormi ritardi nel rispondere alle esigenze interne delPaese e alle sfide competitive esterne.

    Eppure, le riforme sono e restano cruciali. Perch se la crescita la manifestazione e il fruttodel cambiamento del tessuto economico e sociale, le riforme sono il veicolo con cui cam-bia il contesto normativo e istituzionale, la cornice entro cui si muovono le scelte dellepersone, in qualit di consumatori, imprenditori, cittadini. Una cornice che, se non op-portunamente modificata, diventa inadeguata e stretta perch non tiene il passo con lin-cessante e inevitabile mutamento socioeconomico, dentro e fuori dal Paese; e agisce quindida freno. O peggio ancora, pu muoversi in direzione opposta a quel che sarebbe richie-sto. Ci accade in particolare quando le regole si stratificano fino a formare una matassa in-garbugliata che imbriglia, disorienta e scoraggia; a maggior ragione quando la loroapplicazione soggetta a discrezionalit e avviene quindi in modo non omogeneo, addi-rittura nelle medesime zone del Paese, e nel corso del tempo.

    Per comprendere perch ci sia avvenuto, quale percorso sarebbe stato opportuno seguiree attraverso il verificarsi di quali condizioni sarebbe stato possibile compierlo molto utile

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  • esaminare lesperienza internazionale. Da questa emergono significative indicazioni di re-golarit riguardo al come si fanno le riforme, ossia alla political economy delle stesse benesaminata nel saggio di Vincenzo Galasso.

    LItalia non stato il solo paese a trovarsi nella situazione di dover rovesciare una tendenzaalla stagnazione insediatasi da tempo per rimettere in moto il processo di sviluppo. Si pos-sono citare numerosi altri casi: Regno Unito, Paesi Bassi, Germania e Svezia, per rimanerenel novero dei paesi avanzati. Polonia, altre economie dellEuropa Centro-orientale, Cile eBrasile, tra le nazioni emergenti, hanno dovuto attraversare anche veri e propri cambi di re-gime politico e difficili transizioni. Tali economie hanno saputo cogliere, in toto o in parte,i momenti storici propizi per modernizzare le istituzioni economiche e ottenere cos risul-tati molto significativi nella performance economica.

    In tutti i casi quel che emerge che riformare un percorso accidentato e per intraprenderlonon basta approvare nuove norme, ma occorre che queste siano applicate e accettate me-diante la profonda trasformazione della mentalit e delle abitudini di politici e cittadini. Leesperienze dei paesi che hanno avuto successo in questo percorso aiutano proprio a com-prendere come i cambiamenti nascono, incontrano resistenze, ma si rafforzano con il tempograzie ai risultati concreti in termini di benessere che con essi vengono ottenuti.

    Rispetto a unanalisi esclusivamente quantitativa sulle determinanti e sugli effetti delle ri-forme, un approccio comparato basato su una serie di casi di studio consente di compren-dere quali siano i contesti e le condizioni migliori per realizzare le riforme e di approfondirein modo dettagliato i fattori propizi al compimento del processo riformista.

    Ogni esperienza riformatrice rappresenta, inevitabilmente, un unicum storico e istituzio-nale. Non perci appropriato n accurato pensare di poter ricavarne prescrizioni auto-matiche e generali in grado di funzionare comunque e sempre in ogni paese e circostanza.Ma alcune costanti esistono e forniscono preziosi suggerimenti.

    I frutti delle riforme vanno valutati tenendo presente i costi dellinazione e le enormi oppor-tunit da cogliere. Lo scenario inerziale del tutto insoddisfacente e porta a condizioni di in-sostenibilit per la societ e per i conti pubblici. Se si compie una svolta netta, invece, la crescitapotr essere molto superiore a quella sperimentata nel recente passato.

    Occorre vincere le resistenze alle riforme cominciando proprio dal comunicare i loro van-taggi e i rischi a cui si va incontro se non si fanno. Anche la comparazione tra la situazionedi chi soffre per la mancata crescita e quella di chi beneficia dello status quo facilita il raf-forzarsi di unopinione pubblica pro-riforme.

    Occorre partire dalla spiegazione chiara ed esauriente della reale condizione in cui versail sistema economico, abbandonando analisi compiacenti e autoconsolatorie, ma al tempostesso rimarcando le potenzialit e quindi le capacit di tornare a svilupparsi. In altre pa-

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  • role, dire la verit sul presente e offrire una prospettiva di rilancio, pur attraverso i sacrifici,cos da infondere fiducia e motivazione.

    Big bang o sequenza? Cio, le riforme vanno fatte tutte insieme o realizzate man mano che si con-cretizzano i benefici degli interventi e che questi coagulano il consenso per nuovi provvedimenti?Lesperienza internazionale non fa pendere lago della bilancia da una parte o dallaltra.

    Ma ci sono vantaggi politici ed economici nel varare le riforme tutte insieme, specie nelcaso italiano. Vantaggi politici: non c nessun gruppo di interesse che viene salvaguardatoe quindi privilegiato e il costo delle riforme quindi sopportato da tutti (il che una formadi equit) e ciascun gruppo pu compensare i costi che deve affrontare con i benefici chepu ricavare dai miglioramenti introdotti in altri campi (efficienza). Inoltre, con la strategiadel big bang il cambiamento cos profondo che tornare indietro diventa (quasi) impossi-bile. Vantaggi economici: cambiare alcuni pezzi del sistema senza intervenire anche neglialtri non fa conseguire pienamente tutte le potenzialit delle riforme, mentre agire simulta-neamente sui vari fronti fa s che gli effetti di una riforma vadano a rafforzare gli effetti dellealtre. Si creano cio complementariet e sinergie.

    Disegno coerente: deve essere tale non solo nel mettere insieme il pacchetto delle varie ri-forme, ma proprio anche nellideare ciascuna singola riforma. Ci significa non lasciar spa-zio ai compromessi che finiscono per partorire assetti gi in partenza inadeguati e che quindidovranno essere nuovamente modificati: le riforme devono essere fatte per durare (nellepensioni, non era tale lo scalone Maroni, troppo violento e iniquo, n i nuovi sistemi Amatoe Dini, troppo graduali). Riforme parziali producono effetti anchessi parziali e tali da nonmutare le aspettative e quindi i comportamenti. Anzi, famiglie e imprese si attendono nuoviinterventi e ci li rende prudenti nelle scelte.

    Riguardo al consenso politico indispensabile, in modo da realizzare riforme efficaci e du-rature, avere un governo coeso ed auspicabile che tale governo abbia ricevuto un chiaromandato elettorale a effettuare le riforme. Le riforme introdotte di soppiatto o a sorpresanon hanno la forza di mutare i comportamenti. Per effettuare le riforme serve una maggio-ranza compatta: non occorre che sia ampia.

    La continuit nel tempo dellazione riformatrice richiede che essa abbia un consenso bi-partisan, nel senso che chi vincer le elezioni successive non deve disfare ci che statorealizzato da chi lha preceduto. Purtroppo, invece, questo accaduto molte volte in Italia.Occorre continuare a costruire su quello che stato gi edificato, migliorandolo. Riformemal fatte, ovviamente, si prestano a modifiche e ci causa continui mutamenti nellassettonormativo, che sono assolutamente controproducenti e da evitare.

    Non basta approvare nuove leggi, ma occorre cambiare profondamente anche mentalit eabitudini di amministratori pubblici, politici e cittadini. Le esperienze dei paesi che hannoattuato le necessarie riforme e hanno innalzato il tasso di crescita aiutano a comprendere IN

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    Introduzione:Layout 1 06/03/12 15:36 Pagina 13

  • lorigine del processo di cambiamento, come e perch esso incontri resistenze e in qualemodo queste possano essere superate, anche grazie ai frutti conseguiti nel tempo.

    Crisi e shock servono per catalizzare le forze riformiste e far maturare la consapevolezza a fa-vore delle riforme. Perci sbagliato sminuirli, occorre invece sfruttarli. Specie quando colpi-scono di pi un paese rispetto agli altri (shock asimmetrici). Devono essere shock profondi enon passeggeri, che non alimentino la convinzione che tutto torner come prima e che quindi inutile agire. In ci la crisi economica in atto pu rivelarsi per lItalia benevola: in sua assenzail Paese avrebbe proseguito lungo la traiettoria di un graduale e quindi meno percepibile de-clino. Il crollo del PIL e le difficolt di recupero, sebbene comportino elevati rischi e grandis-sima sofferenza, costringono a prendere di petto le cause della lenta crescita (Grafico E).

    INTRODUZIONE

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    Irlanda

    Grecia

    SpagnaPortogallo

    Austria

    Australia

    Corea del Sud

    Regno UnitoUngheria

    Finlandia

    DanimarcaItalia

    Svezia

    Rep. Ceca

    GiapponeFrancia

    OlandaNorvegia

    Canada

    Belgio

    Germania

    -15 -10 -5 0 5 10Variazione % del PIL 2007-2010 (IV trimestre)

    0,0

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    1,0

    Tass

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    CSE

    , 201

    0-20

    11*

    * Going for growth.Il tasso di risposta alle raccomandazioni OCSE assume valore 1 se a tutte le raccomandazioni sono seguite misure di ri-forma concrete, 0 se nessuna azione stata intrapresa.Fonte: elaborazioni CSC su dati OCSE.

    Grafico E - Lampiezza della crisi favorisce le riforme

    Tornano, perci di grandissima attualit e assolutamente rivelatrici le parole di Milton Friedman,scritte nel 1982: Esiste una enorme inerzia, una tirannia dello status quo, nelle istituzioni pri-vate e specialmente pubbliche. Soltanto una crisi, effettiva o percepita, produce un cambia-mento reale. Quando quella crisi avviene, le decisioni che vengono prese dipendono dalleidee che circolano in giro. Credo che la nostra funzione basilare sia di sviluppare alternative

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  • alle politiche esistenti, di mantenerle vive e disponibili fino a quando il politicamente impos-sibile diventa politicamente inevitabile9.

    Il risanamento macroeconomico cruciale: non solo perch senza di esso permane unin-stabilit di fondo che vanifica i benefici degli sforzi che si compiono con le riforme, ma so-prattutto perch la riduzione duratura del deficit pubblico e dellinflazione si ottiene solo seavviene attraverso il radicale cambiamento dei comportamenti di tutti gli attori del sistemaeconomico. , dunque, essa stessa una riforma.

    Le pressioni internazionali aiutano a spronare un paese ad adottare le riforme, ma il cam-biamento deve essere in nome e nellinteresse dei cittadini e del buon funzionamento del-leconomia e della societ nazionali.

    Cosa raccontano i casi di studio delle riforme? La Germania, che fino al 2004 era conside-rata il malato dEuropa, tornata a esserne locomotiva. Come stato possibile invertire larotta in cos breve tempo? Qual stato il ruolo delle riforme? Carlo Bastasin spiega che latrasformazione delleconomia tedesca non stata una virata repentina, ma iniziata circaquindici anni prima che il PIL ricominciasse a crescere a ritmi sostenuti. Lobiettivo perse-guito consapevolmente stato quello di non perdere competitivit in conseguenza deigrandi cambiamenti geopolitici in atto: la riunificazione, lEuro, lallargamento dellUE e laspettacolare performance economica dei paesi emergenti. Sia gli attori industriali e finan-ziari sia i politici tedeschi hanno compreso che era necessario governare e non subire queicambiamenti. Per parafrasare la retorica utilizzata da Helmut Kohl in poi, dunque, non cstata alternativa10.

    Il processo di trasformazione passato attraverso scelte impegnative: una riunificazione co-stosa che ha reso urgente cambiare quello che non funzionava nel modello sociale dellaGermania federale; la svalutazione interna ottenuta attraverso il mutamento del sistema dicontrattazione collettiva che ha generato moderazione salariale e permesso di riconquistarecompetitivit; il rafforzamento dellindustria manifatturiera con le catene di subfornitura deipaesi dellEst Europa; lo sfruttamento delle complementariet con le produzioni asiatiche.

    Le riforme hanno accompagnato questo processo che, come spesso succede in Germania, stato lungo. I cambiamenti hanno interessato tutti i pilastri dello stato sociale tedesco, in-cluso labbassamento della pressione fiscale e del livello della spesa pubblica. Nel caso delwelfare e del mercato del lavoro c stata una grande novit anche di metodo. Invece diestenuanti trattative con le parti sociali, la strada seguita stata quella della convocazionedi commissioni tecniche le cui raccomandazioni sono state attuate sotto la responsabilit delgoverno.

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    9. Friedman (1982).10. Una frase che riecheggia quella ripetuta nel Regno Unito degli anni 80 da Margaret Thatcher: There is no alternative. Sintetizzata con

    lacronimo TINA.

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  • Un aspetto peculiare del caso tedesco che la coscienza per le riforme maturata nella so-ciet attraverso lesperienza dellunificazione, che ha spostato lenfasi dalla solidariet almerito individualistico.

    Le riforme svedesi rappresentano un caso particolarmente interessante. Le caratteristichedel periodo in cui sono state avviate ricordano, infatti, quelle dellItalia contemporanea:nella prima met degli anni Novanta il paese scandinavo era reduce da un ventennio dilenta crescita e fu costretto ad affrontare una grave crisi di debito pubblico. La ricostruzionedi Lars Calmfors mostra che la consapevolezza diffusa dei difetti del modello svedese haconsentito di creare un laboratorio riformista permanente, che sopravvissuto a governi didiverso colore e che continua a funzionare anche oggi che leconomia va bene e la crisisembra essere alle spalle.

    Lapproccio stato ispirato a un pragmatico eclettismo e ciascun problema stato affron-tato con una strategia diversa: come prima cosa si curata la febbre degli alti tassi di inte-resse sul debito, risanando il bilancio pubblico; la medicina stata resa meno amara dallasvalutazione della corona, che ha fatto ripartire leconomia attraverso la domanda estera,possibilit oggi preclusa ai paesi dellEurozona. Ma era chiaro che non bastava svalutareper curare la malattia della lenta crescita. Si quindi proceduto con il primo blocco di ri-forme vere e proprie nel quale sono state inserite quelle meno controverse e divisive: il si-stema fiscale diventato pi semplice ed efficiente spostando la tassazione dai redditi aiconsumi, riducendo le aliquote e allargando la base imponibile; le liberalizzazioni hannointeressato i principali settori dei servizi e quelli dove operavano molte imprese statali.

    Il secondo blocco di riforme ha visto il contributo fondamentale delle parti sociali. Le quali, te-nendo fede alla tradizione scandinava, sono state capaci di rivedere le regole della contratta-zione collettiva in modo da legare le rivendicazioni salariali agli aumenti di produttivit, senzabisogno di interventi legislativi ad hoc. I nodi pi difficili da sciogliere, quelli relativi alle nuoveregole di politica macroeconomica e alla riforma delle istituzioni del mercato del lavoro, hannopotuto contare rispettivamente sulle spinte delladesione allUnione Europea e su un chiaromandato elettorale. Molto importante stato, nellideazione delle riforme, il contributo diesperti ed economisti, che ha permesso di disegnare meccanismi coerenti e ben funzionanti.

    Lesperienza riformista della Polonia, raccontata da Hartmut Lehmann, insegna che, se esi-ste ampio consenso tra cittadini, esperti e politici di diverso orientamento sulla necessit diun profondo cambiamento, la stabilit politica non una condizione necessaria per fare leriforme. Infatti, nonostante la breve durata media dei governi che hanno gestito la transizionepolacca verso uneconomia di mercato, nessuno di essi ha messo in discussione le riformefatte in precedenza, dando loro il tempo di produrre effetti positivi sulla crescita e mettendoin moto un circolo virtuoso che ha rafforzato il consenso per nuove riforme. Occorre rico-noscere limportanza di fattori geopolitici e culturali in un certo senso unici. In particolare,il sentirsi parte dellEuropa e lambizione di aderire allUE sono stati fondamentali per in-debolire le resistenze dei gruppi sociali maggiormente contrari alle riforme.

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  • Anche nel caso polacco possibile individuare tre grandi blocchi di riforme. Il primo, quellopi incisivo, ha, da un lato, salvato la Polonia dalliperinflazione e, dallaltro, dato il via allatransizione da uneconomia pianificata a una di mercato. stato un periodo straordinarionel quale lopinione pubblica ha accettato riforme davvero radicali, attuate con una tera-pia durto (o big bang). Il secondo blocco di riforme, iniziato circa un decennio dopo la ca-duta della cortina di ferro, stato pi graduale e si concentrato sulla modernizzazione dialcune istituzioni nate durante il periodo comunista (sanit, istruzione, previdenza e am-ministrazioni territoriali). Infine, un terzo blocco ha consentito di perfezionare le riformeintraprese precedentemente.

    Le esperienze riformiste dei paesi dellEuropa centrale e orientale (ECO) e, in particolare,di quelli baltici mostrano che le opportunit offerte da una crisi sono enormi: grazie al sensodi urgenza che generano, le crisi indeboliscono le resistenze dei gruppi sociali che trag-gono vantaggio dallo status quo; in queste condizioni nessun cambiamento impossibile.Il resoconto di Anders slund rivela che, anche nei paesi che avevano un regime di cambiofisso (Lettonia, Lituania, Estonia e Bulgaria), gli effetti delle riforme sui tassi di crescita sonostati rapidi e positivi. Limplicazione per i paesi dellEurozona evidente: i vincoli impostidallappartenenza allarea della moneta unica non devono essere un alibi per evitare il cam-biamento. Come nel caso della Polonia, il sostegno popolare spesso incondizionato dato aipolitici impegnati a realizzare le riforme dipeso anche dalle aspirazioni europee di citta-dini e parti sociali.

    Non tutte le riforme, comunque, sono state ugualmente facili da approvare e implementare.In particolare, i progressi sono stati complessi sul versante delle pensioni, dove cambiamentiprofondi avrebbero ulteriormente depresso la domanda aggregata venendo dopo i tagli inci-sivi operati nella pubblica amministrazione e dopo laumento della disoccupazione. Quelleche invece hanno avuto maggiore supporto sono state le liberalizzazioni, che, guidate dalleindicazioni dei rapporti della Banca Mondiale, hanno reso pi facile fare impresa.

    La politica riformista cilena ha trasformato il paese latinoamericano in un caso unico fra leeconomie del subcontinente americano per la sua straordinaria esperienza di crescita. Vit-torio Corbo spiega che, oltre a essere basate su solidi principi economici, le riforme cilenehanno potuto contare su una drastica trasformazione istituzionale che ha limitato il poterediscrezionale di politici e burocrati rendendo credibili le istituzioni, indipendentemente dachi fosse al governo. Occorre riconoscere che linizio di questa trasformazione avvenutoverso la met degli anni Settanta, durante una fase politica tragica e controversa per la sto-ria cilena, in cui lordine democratico era stato sovvertito da un colpo di Stato. Il successivoritorno alla democrazia rappresenta, comunque, un caso da manuale di come la transizioneda un regime autoritario a uno democratico pu essere gestita senza fratture istituzionali econ una sostanziale continuit nella politica economica.

    Le caratteristiche di alcune riforme cilene sono cos originali che anche i paesi OCSE hannoimparato lezioni importanti dalla loro formulazione e applicazione. La riforma delle pensioni IN

    TRODUZIONE

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    Introduzione:Layout 1 06/03/12 15:36 Pagina 17

  • stata per esempio la prima a cambiare un sistema a ripartizione in un sistema a capitaliz-zazione. La regola del rispetto del pareggio di bilancio stata una delle prime a tenereconto del ciclo economico e quindi della differenza tra PIL effettivo e PIL potenziale. Lap-proccio cileno alla regolamentazione dei servizi di pubblica utilit, infine, che ha privatiz-zato dove cera concorrenza ed intervenuto in modo severo nei settori di monopolionaturale, diventato un modello seguito da molti paesi emergenti.

    Il caso del Brasile forse quello in cui il legame tra lottima performance economica e le ri-forme meno chiaro e robusto. Laspetto pi interessante, che dal punto di vista della po-litical economy rende lesperienza di quel paese simile a quella tedesca, il fatto che igoverni che hanno goduto degli effetti positivi delle riforme non sono stati quelli che lehanno approvate e quindi non ne hanno pagato il costo politico. Teresa Ter-Minassian so-stiene che il grande merito di questi governi, comunque, stato quello di non tornare in-dietro e non mettere in discussione le riforme fatte.

    Il Brasile non pi solo il paese del futuro; il suo merito principale stato quello di es-sere riuscito a met degli anni Novanta a stabilizzare gli indicatori macroeconomici: gra-zie a una severa politica monetaria ha sconfitto linflazione e a una legge di bilancio cheobbliga il governo a fissare con anticipo gli obiettivi di finanza pubblica ha guadagnato lafiducia dei mercati internazionali.

    Da questi brevissimi sunti, e ancor pi dalla lettura completa dei capitoli che compongonoquesto volume, si comprende quanto lItalia possa fruttuosamente ispirarsi alle esperienzedi successo di altri paesi. E quanto le condizioni attuali rappresentino unoccasione irripe-tibile e da non sprecare.

    La posta in palio altissima: la perdita di terreno rispetto ai paesi concorrenti pu acquistareancor pi velocit e compromettere in pochi lustri il benessere conquistato in alcune ge-nerazioni. LItalia rischia di diventare economicamente irrilevante in breve tempo, ammo-niscono Jennifer Blanke e Roberto Crotti, se non argina lemorragia di competitivit messain luce dai pilastri del World Economic Forum, nella cui graduatoria globale lItalia figuraal 43 posto, mentre era al 29 nel 200011.

    LItalia, non solo economicamente, a un bivio. Da un lato, rimane inerte di fronte alle ten-denze che la inchiodano a ritmi di crescita dello 0,7% annuo da qui al 2030, con un PIL to-tale che dunque aumenta del 16,0% e un PIL pro-capite che sale di appena il 10,6%; sitratterebbe gi di un successo alla luce della performance del passato decennio. Dallaltro,reagisce con vigore, determinazione, coesione, costanza e coerenza, in ogni sfera del vivereeconomico, civile, demografico e sociale; e trasforma i grandi svantaggi competitivi in al-trettante leve di rilancio.

    INTRODUZIONE

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    11. Anche se tra le due graduatorie sono cambiati sia la metodologia sia il numero di paesi considerati.

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  • Con una tale reazione, come mostrano i calcoli effettuati da Fedele De Novellis, la crescitaannua triplica al 2,2% (e potrebbe rivelarsi una stima prudente), il PIL totale aumenta in unventennio del 55,2% e quello per abitante del 42,9%. Un cambio di ritmo che proprio laSvezia insegna essere possibile. Per conseguirlo occorre agire su entrambe le grandi forzedella crescita: produttivit e occupazione.

    Per migliorare la produttivit i campi di intervento sono la conoscenza, la concorrenza e laburocrazia, ciascuno dei quali ha precise e cruciali diramazioni. I benchmark internazionalimostrano che c grande spazio di progresso e i guadagni potenziali sono enormi. Il mer-cato del lavoro vitale anche per la coesione sociale, considerati i divari territoriali, di ge-nere e tra generazioni e linnalzamento dellimpiego delle persone fondamentale persuperare i limiti demografici alla crescita, pur in presenza di un esercito di inoccupati. Lap-porto dellimmigrazione continuer a rimanere decisivo e occorrer essere ben attrezzati perricavarne il massimo contributo. Sia nella produttivit sia nel mercato del lavoro i beneficimaggiori arriverebbero per il Sud e dal Sud si irradierebbero allintero Paese.

    Nellimboccare la strada del rilancio lItalia si affidata, una volta ancora, a un governo chenon stato espresso direttamente dal mondo politico e che composto principalmente datecnici. Sebbene sia un esecutivo nel pieno dei poteri e politico, perch opera con la fidu-cia e lapporto del parlamento ed dunque democraticamente legittimato, il Governo Montirappresenta una sorta di tempo sospeso (seppure molto fattivo per le riforme strutturali) nellacompetizione allinterno dellarena politica. La sfida pi importante, perci, riguarda quelche accadr proprio sulla scena politica quando, nel futuro prossimo, si arriver alla natu-rale fine della legislatura.

    Per far s che la svolta appena intrapresa non duri una sola e particolare stagione, quella at-tuale, ma si prolunghi e diventi permanente, occorre che si radichi la cultura delle riformecome bene collettivo. Le leadership politiche, spiega Sergio Fabbrini, dovranno essere essestesse riformiste. Dovranno rimuovere i grumi di interessi e i corporativismi, anzich far levasu di essi per vincere qualche battaglia elettorale ma far perdere al Paese la guerra dello svi-luppo e del benessere.

    questo il compito pi difficile e la responsabilit di assolverlo ricade sulle spalle della po-litica e dei partiti. il compito pi difficile perch deve eliminare due difetti antichi del si-stema politico italiano stesso: il trasformismo e la presenza di importanti forze antisistemae divisive. Tramontate le ideologie, questi difetti sono diventati vizi che mascherano, sem-pre pi malamente, interessi particolari o addirittura personali. Per superare questi vizi oc-corrono nuovi meccanismi istituzionali ed elettorali sui quali le forze politiche si stannoconfrontando con il costante e vigile sprone del Presidente della Repubblica. La caduta diconsenso delle rappresentanze politiche e lascesa della disaffezione degli elettori spingononella medesima direzione.

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  • Lapprovazione riscontrata nei sondaggi per il metodo di lavoro del Governo Monti e la vo-glia di cambiamento degli italiani, che numerose indagini demoscopiche hanno misurato12,sottolineano che nella popolazione del Paese, come nella Germania dopo la riunificazione,la coscienza della necessit delle riforme molto pi diffusa di quanto comunemente sipensi. In ci lItalia appare gi cambiata e pronta a raccogliere le sfide.

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    11. Si vedano Cor e Diamanti (2009) e Diamanti et al. (2010).

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  • 1. L

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    1. LITALIA AL BIVIO: DECLINO O RILANCIO

    Fedele De Novellis

    Gli orizzonti lunghi esaltano le differenze ed eliminano le contingenze. Fanno balzare, cio,subito allocchio le tendenze di uneconomia rispetto a se stessa e a quelle di riferimento.E il PIL pro-capite una buona misura sintetica della performance relativa. Se lo sguardo rivolto al passato si nota che nel 1980 il livello del PIL pro-capite italiano era del 5% infe-riore a quello della Germania, mentre nel 2010 il divario si era allargato al 15%; rispetto allaFrancia il gap si ampliato dal -3% al -7%; nei confronti del Regno Unito si addiritturapassati da un vantaggio del 10% a un delta sfavorevole del 12%. E si tratta, tutto sommato,di paesi che non fanno certo parte del gruppo dei pi dinamici nel panorama internazionale.Se questi trend proseguissero, le distanze tra lItalia e i leader europei diverrebbero abissalie il Paese si autorelegherebbe ai margini dei processi di sviluppo internazionali.

    Perci cruciale rivolgere lo sguardo in avanti e porsi la questione: dove si collocher leco-nomia italiana nel 2030? Sar in grado di superare limpasse sperimentata dal 1990 in poi?E dove occorre intervenire per innalzare in modo netto il ritmo di crescita?

    Il modo migliore e pi comprensibile di rispondere attraverso la costruzione di due sce-nari opposti. Il primo nasce dallestrapolazione quasi inerziale degli andamenti gi speri-mentati negli ultimi anni, tenendo conto dei vincoli demografici. Il secondo scenario programmatico, nel senso che il risultato di un insieme di riforme che permettono di ri-muovere gli ostacoli che frenano il dinamismo del sistema economico e sociale dellItalia.

    I percorsi, al netto delle oscillazioni cicliche, non potrebbero essere pi divaricanti e gliesiti pi distanti. Protraendo le tendenze in corso, lItalia destinata a un futuro economicomisero, con un ritmo di espansione nel reddito per abitante di poco sopra lo 0,5% annuofino al 2030, cio un +10,6% cumulato; +16,0% se si considera il PIL totale. Il cambia-mento di rotta (e di regime) pu innalzare nettamente e durevolmente la velocit di cre-scita, portandola almeno all1,8% nel prodotto pro-capite, +42,9% cumulato; +55,2% nelPIL complessivo1.

    Questo secondo scenario alla portata del Paese e perci va colto da unopportuna azionedella politica economica. Il declino economico pu essere arrestato, intervenendo su tuttii principali elementi di fragilit del sistema. I frutti delle riforme, avviate in questa stagione

    Fedele De Novellis, REF Ricerche.1. Le variazioni medie annue e quelle cumulate sono state calcolate sul periodo 2010-2030.

    1. De Novellis CSC12:Layout 1 06/03/12 16:12 Pagina 21

  • 1. LITALIA

    AL B

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    ma che dovranno proseguire anche nelle prossime legislature, possono dunque essere ab-bondanti; soprattutto se paragonati alle conseguenze meschine e immiserenti dellinazione.

    Daltronde nulla predeterminato, come insegnano molti casi storici. Le traiettorie seguitedai sistemi economici, infatti, possono essere nel lungo periodo difficilmente prevedibili. Al-linizio del Novecento, le prospettive di sviluppo dellArgentina parevano superiori a quelledegli Stati Uniti. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso qualsiasi analisi volta a indi-viduare i paesi con le migliori prospettive avrebbe incluso il Giappone, mentre un decen-nio fa pochi avrebbero incluso la Cina tra gli attuali protagonisti del proscenio globale.

    Ci accade perch lo sviluppo economico un processo storico che si realizza contestual-mente a una serie di cambiamenti di carattere sociale, politico, culturale. Unanalisi deitrend delleconomia che prescinda dalla contestualizzazione storica di tali processi ha moltilimiti. Nel definire i percorsi di sviluppo di un paese nel medio termine occorre, per, anchetenere conto delle riforme. In questottica ci si deve domandare se le istituzioni formali e in-formali non debbano essere considerate esse stesse, assieme alle politiche economiche, en-dogene al processo storico. Oppure fattori di rottura. Certamente, sono figlie del propriotempo, della capacit di comprendere le questioni rilevanti, del grado di dedizione e per-severanza della classe dirigente verso gli obiettivi di lungo periodo e, quindi, anche deimeccanismi di formazione delle decisioni e di selezione della classe dirigente stessa. Societi cui leader non sono allaltezza, o sono guidati da incentivi distorti, si pongono immanca-bilmente lungo sentieri fragili.

    Vi sono, dunque, insieme alle leggi e alle regole delle istituzioni politiche, elementi cultu-rali dai quali non possiamo prescindere per caratterizzare levoluzione economica di unpaese. Non un caso che da alcuni anni la nozione di capitale sociale inizi a entrare coninsistenza nelle analisi sulle potenzialit di sviluppo di una nazione o di una macroregione.

    Per lItalia tali considerazioni acquisiscono uneccezionale attualit nella fase storica chestiamo attraversando, perch rendono evidente lurgenza di una rottura nella condotta dellapolitica economica che imponga una discontinuit nei comportamenti e innalzi il tasso dicrescita della produttivit.

    La drammaticit del quadro che si delineato nel corso dellultimo anno origina dalla in-congruenza tra la condivisione di ununica moneta e il perseguimento per molti anni di po-litiche nazionali diverse che hanno condotto a esiti molto divergenti. sempre pi evidenteche nellEuropa del futuro non vi sar spazio per le economie che restano indietro. Questo,a ben vedere, fa capire che quanto richiesto oggi allItalia nellinteresse della costruzioneeuropea lo anche, e forse soprattutto, nellinteresse dellItalia stessa. Il cambio di rotta elavvio lungo un sentiero di crescita pi elevata sono una necessit conseguibile.

    1. De Novellis CSC12:Layout 1 06/03/12 16:12 Pagina 22

  • 1. L

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    1.1 LA CADUTA DELLA CRESCITA DELLECONOMIA ITALIANA

    Il degrado della crescita italiana

    La performance delleconomia italiana andata degradando nel corso degli ultimi decenni.Dai ritmi di sviluppo elevati degli anni Cinquanta e Sessanta gradualmente passata a unacrescita nulla nel corso dellultimo decennio. Lestrapolazione di tale tendenza nel mediotermine prefigurerebbe per il Paese una fase di estrema difficolt, caratterizzata addirittura,negli scenari pi pessimistici, dalla contrazione del prodotto pro-capite: il declino del-leconomia e, prima ancora, della societ italiane.

    Tali scenari, oltre a determinare la problematica sostenibilit dei conti pubblici, comportanovalutazioni preoccupanti sulla tenuta del sistema di welfare, considerando la naturale cre-scita della domanda di interventi sociali in funzione dellinvecchiamento della popolazione.La mancanza di sviluppo condizionerebbe la dinamica delle entrate pubbliche e quindi lerisorse a disposizione per sostenere la spesa sanitaria e quella pensionistica.

    Un assaggio delle conseguenze di un simile deterioramento delle prospettive si manifestatogi con estrema chiarezza negli ultimi mesi, quando sui principali mercati internazionali si affermato il forte pessimismo riguardo alla capacit dellItalia di servire il proprio debito pub-blico. Perch al costante abbassamento delle stime sul potenziale produttivo si associa, comedetto, la flessione della dinamica delle entrate pubbliche. Ci impone obiettivi di riduzione deldeficit pubblico ancora pi ambiziosi (e ancor meno conseguibili), data lesigenza di stabiliz-zare la dimensione del debito in rapporto al PIL in presenza di una crescita economica lenta.

    La contabilit della crescita

    Il dibattito sulle ragioni del rallentamento dellItalia ha messo in luce un insieme di concauseche si sono sovrapposte nel determinare gli andamenti in aggregato. Allo scopo di eviden-ziarle, utile far ricorso alla scomposizione contabile della crescita. In tal modo possibileindividuare quali siano i fattori che hanno evidenziato nel corso degli anni una discontinuitpi evidente rispetto al passato.

    In particolare, la crescita delleconomia pu essere misurata dallandamento del PIL pro-capite,variabile pi appropriata rispetto allandamento del prodotto interno in assoluto, in quanto mag-giormente rappresentativa del cambiamento nel benessere di una popolazione, almeno dal puntodi vista del reddito. Mutamenti di passo nella crescita della popolazione possono compensare(spiegandoli pienamente) corrispondenti cambiamenti di velocit nella crescita del PIL, cosic-ch non si determinano variazioni nelle condizioni economiche della popolazione stessa.

    Landamento del PIL pro-capite pu essere scomposto, secondo la derivazione algebricaposta in appendice al capitolo, facendo riferimento ai contributi delle seguenti sei variabili: 1) Produttivit del lavoro, a sua volta legata a:

    1a - processo di accumulazione del capitale (effetto di capital deepening);

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    1. De Novellis CSC12:Layout 1 06/03/12 16:12 Pagina 23

  • 1b - andamento della produttivit totale dei fattori (PTF), che sintetizza la parte della cre-scita non spiegata dallaumento degli input produttivi e che racchiude in s linno-vazione nei prodotti, il cambiamento tecnologico e quello organizzativo.

    2) Ore lavorate per abitante, che a loro volta dipendono: 2a - positivamente dalle ore lavorate per occupato, e quindi da aspetti socioeconomici e

    istituzionali, come la diffusione del part-time e le ore contrattuali;

    2b - negativamente dal tasso di disoccupazione, e quindi da tutti i fattori che nel mediotermine influenzano il tasso di disoccupazione di equilibrio;

    2c - positivamente dalla partecipazione al mercato del lavoro, e quindi da fattori socio-culturali, tra i quali spicca il coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro;

    2d - negativamente dal tasso di dipendenza, e quindi dalla struttura demografica della po-polazione (tassi di nati-mortalit e flussi migratori).

    La stagnazione delleconomia italiana: una quantificazione

    A partire dalla schematizzazione appena esposta, possibile scomporre la crescita del PILpro-capite delleconomia italiana secondo il contributo fornito dalle sei variabili indicate. Ladisponibilit delle serie storiche di base costringe lanalisi a partire dal 1980. Gli anni Ottantae Novanta sono posti a confronto sia con il periodo 2000-2007, non condizionato dagli ef-fetti della recessione del 2008-2009, sia con lintero periodo 2000-2010, evidentementemolto influenzato da quella recessione (Tabella 1.12). Per agevolare la lettura delle tendenze

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    Tabella 1.1 - Italia: il benessere rallenta con la produttivit(Contributi alla variazione del PIL pro-capite espressi in valori % medi annui*)

    * I numeri in tabella sono approssimati alla prima cifra decimale e per questo la somma dei singoli contributi potrebbedifferire dai totali.Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

    2. Nella tabella le variazioni percentuali sono approssimate dalla variazione dei logaritmi delle variabili in modo da consentire una let-tura pi agevole. In questo modo, infatti, la somma delle variazioni delle singole variabili in cui scomposto il prodotto pro-capite egua-glia la variazione di questultimo.

    Anni Ottanta Anni Novanta 2000-2007 2000-2010

    PIL pro-capite 2,3 1,5 0,5 -0,4

    Produttivit oraria del lavoro 1,8 1,5 0,1 0,0PTF 1,2 0,9 -0,1 -0,4Effetto capital deepening 0,6 0,5 0,2 0,4

    Ore lavorate/popolazione 0,5 0,1 0,4 -0,3Ore lavorate per occupato 0,0 0,0 -0,3 -0,5Andamento del tasso di disoccupazione 0,0 -0,1 0,7 0,2Andamento del tasso di partecipazione -0,2 0,1 0,6 0,4Andamento del tasso di dipendenza 0,7 0,0 -0,5 -0,4

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  • sono stati elaborati anche i risultati di un tradizionale esercizio di contabilit della crescitadel PIL, che quantifica il contributo dei singoli fattori, ed evidenzia landamento di alcune va-riabili di sintesi, come il rapporto capitale/lavoro e la produttivit del lavoro (Tabella 1.2).

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    Dai dati traspare con chiarezza il mutamento del ritmo di crescita delleconomia italiana.Tale andamento peculiare non solo in prospettiva storica, ma anche nel confronto inter-nazionale: fra i maggiori paesi soltanto il Giappone e la Svizzera hanno evidenziato esiticomparabili ai nostri negli ultimi anni (Grafico 1.1). Il tasso di crescita del PIL pro-capite in

    Tabella 1.2 - ma tiene grazie al lavoro e al capitale(Contributi alla variazione del valore aggiunto espressi in valori %medi annui e variazioni % medie annue*)

    * Valore aggiunto calcolato al costo dei fattori, a prezzi concatenati.Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

    Anni Ottanta Anni Novanta 2000-2007 2000-2010Valore aggiunto 2,4 1,5 1,1 0,2

    Contributi dei singoli fattoriPTF 1,2 0,9 -0,1 -0,4Stock di capitale 0,8 0,5 0,5 0,4Ore lavorate 0,4 0,1 0,7 0,2

    Altre variabili di sintesiProduttivit del lavoro 1,8 1,4 0,1 0,0Rapporto capitale/lavoro 2,0 1,6 0,8 1,2

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    Fonte: elaborazioni su dati FMI.

    Grafico 1.1 - In Italia la dinamica pi lenta del benessere(Crescita del PIL pro-capite, variazione % media 1990-2010)

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  • Italia si riduce di circa un punto al decennio, anche escludendo lultima crisi: se negli anniOttanta si osservavano incrementi vicini al 2,5%, nel periodo 2000-2007 gli aumenti sonostati di appena lo 0,5%. Poi arrivato il crollo della fine del decennio.

    Il degrado dello sviluppo delleconomia italiana legato essenzialmente allandamentodella produttivit. Importante soprattutto landamento della PTF, che passa da valori intornoal punto percentuale allanno a contributi pre-crisi sostanzialmente nulli. I dati evidenzianoanche un altro tratto peculiare delle tendenze negli ultimi anni: al rallentamento della cre-scita corrisposta una sostanziale tenuta della domanda di lavoro. La crescita delle ore la-vorate ha mantenuto un apporto positivo allo sviluppo, fatto salvo limpatto della recessionepost-2008, quando la caduta della richiesta di manodopera ha dominato sulle tendenze difondo delleconomia.

    In effetti, la domanda di fattori produttivi ha continuato a espandersi a ritmi soddisfacentinel primo decennio degli anni Duemila. Anche laccumulazione di capitale risultata so-stenuta, sebbene la crescita del rapporto capitale/ore lavorate abbia decelerato, ma per ef-fetto dellandamento relativamente sostenuto del denominatore.

    Il contributo delle ore lavorate alla crescita del prodotto pro-capite derivato dal 2000 inpoi dallaumento delloccupazione: la crescita del numero di occupati ha attinto dal ba-cino dei disoccupati, determinando una contrazione del tasso di disoccupazione e solleci-tando anche una maggiore partecipazione. Purtroppo, entrambi i risultati si ridimensionanoquando si includono nelle quantificazioni gli effetti dellultima recessione.

    Vi anche una tendenza demografica avversa: leffetto del cambiamento della struttura peret della popolazione, che ha determinato dal Duemila in poi una perdita di mezzo puntoallanno nel reddito pro-capite degli italiani.

    La stagnazione delleconomia italiana: chiavi di lettura

    Per cogliere le prospettive di medio termine, pur senza ambire a una trattazione sistematicadi ciascuna delle sei variabili individuate, possiamo commentare le singole dinamiche.

    La prima delle variabili probabilmente la pi importante: la produttivit totale dei fattori.Al crollo del contributo di questa variabile si deve in buona misura larresto della crescitadelleconomia italiana. Questo crollo stato oggetto di un ampio dibattito anche in rela-zione al fatto che la divergenza tra la dinamica della PTF in Italia e negli altri paesi del-lArea euro avrebbe contribuito in maniera determinante a generare una costante perdita dicompetitivit dei settori esposti alla concorrenza internazionale, favorendo il deterioramentodei conti con lestero italiani e conducendo il Paese in una posizione difficilmente sosteni-bile rispetto al resto dellEurozona.

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  • La stagnazione della PTF in Italia viene interpretata alla luce di due chiavi di lettura, fra lorocomplementari. La prima privilegia le questioni interne allindustria, mentre la seconda fariferimento prevalentemente ad aspetti di sistema.

    Il primo filone di analisi enfatizza alcuni elementi di fragilit del settore manifatturiero ita-liano, come la piccola dimensione dimpresa e il modello di specializzazione, che si sa-rebbero rivelati penalizzanti a fronte dellaccelerazione della globalizzazione. Unainterpretazione che il modello italiano, basato su imprese piccole ed estremamente fles-sibili, organizzate sovente nella forma dei distretti, in cui meccanismi relazionali compen-savano le carenze dinformazione dovute alla scala ridotta, potrebbe essere stato messo incrisi per effetto dellaumento dellampiezza dei nuovi mercati e della loro distanza fisica eculturale, che avrebbe ampliato la stazza degli investimenti necessari per essere competi-tivi. Un aspetto collegato alla dimensione dimpresa , infatti, linternazionalizzazione, stra-tegia onerosa per le imprese pi piccole, abituate a relazionarsi prevalentemente con iltessuto economico del territorio in cui sono localizzate o con sbocchi esteri prossimi e benconosciuti, grazie alla lunga frequentazione nel tempo.

    Nel dibattito, inoltre, ha acquisito rilievo il tema dellaccumulazione di capitale umano spe-cifico, dato che i cambiamenti tecnologici legati allICT (Information and CommunicationTechnology) hanno modificato il tipo di competenze richieste per governare i processi pro-duttivi e la stessa organizzazione aziendale3. Il tema della relativamente bassa presenza dilaureati in discipline scientifiche allinterno delle nostre imprese si ricollega esso stesso allaridotta dimensione delle imprese.

    Laltro filone si sofferma in prevalenza su aspetti di sistema. In particolare, il punto di par-tenza dellanalisi rappresentato dalle caratteristiche del processo di cambiamento tecno-logico degli ultimi decenni, basato sulle tecnologie dellICT. Londata di innovazioniconnesse alle nuove tecnologie ha difatti portato guadagni di efficienza in molte economie,ma solo scarsi in quella italiana. Le spiegazioni di questo mancato effetto sono diverse: in-nanzitutto, a livello aggregato, conta la specializzazione settoriale delleconomia. Il peso ri-dotto dei settori produttori di ICT ha una rilevanza sulla modesta performance complessivain quanto lICT impatta sulla crescita complessiva della PTF sia mediante il progresso tec-nico nei settori che producono ICT sia con effetti indiretti dovuti agli spillover positivi.

    Le analisi sul tema mostrano come siano in genere i settori (manifatturieri o di servizi) cheproducono ICT quelli che hanno registrato i maggiori guadagni di produttivit proprio gra-zie ai miglioramenti di efficienza legati alle nuove tecnologie. In Italia, per, il contributodiretto dellICT alla PTF stato modesto, dato il ridotto peso di tali settori sulla struttura pro-duttiva, soprattutto a seguito della scarsa presenza italiana nellindustria elettronica.

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    3. Su questi aspetti si veda Centro Studi Confidustria (2010a).

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  • Un aspetto importante poi quello relativo alle condizioni necessarie affinch le nuove tec-nologie possano risultare efficaci a livello di sistema in modo da incrementare la PTF nei set-tori utilizzatori di ICT.

    Conta innanzitutto il sistema dellistruzione. Infatti, le nuove tecnologie, per poter essere ef-ficaci nellincrementare la produttivit, necessitano di persone in grado di utilizzarle, ciouna determinata qualit delle risorse umane. Altre analisi hanno focalizzato lattenzionesullassetto normativo e di regolazione. Un contesto concorrenziale favorisce la crescitadella produttivit, perch incrementa gli incentivi ad effettuare investimenti nelle nuove tec-nologie; a tal fine sono necessarie alcune riforme strutturali in grado di incrementare il gradodi liberalizzazione e di concorrenza nei settori eccessivamente protetti e regolati.

    A fronte della caduta della crescita della PTF, la domanda di fattori produttivi nel corso degliultimi due decenni non ha invece presentato elementi di forte discontinuit rispetto al pas-sato. Lassorbimento di ore lavorate ha anzi accelerato il ritmo di aumento, mentre la dina-mica della domanda di capitale si mantenuta tutto sommato su ritmi soddisfacenti.Lincremento del rapporto capitale/lavoro decelera, ma pi per laccelerazione del deno-minatore che per reali difficolt dal lato del processo di accumulazione. Daltronde, anchein Italia, come nella maggior parte delle economie avanzate, nel corso dei primi anni Due-mila le imprese hanno operato in un contesto di condizioni di finanziamento degli investi-menti relativamente favorevoli. Per un sistema in cui le imprese tendono a ricorrere in misuraprevalente al credito bancario, certamente le condizioni creditizie pi facili che si sonoavute tra il 2000 e il 2007 hanno fornito un sostegno agli investimenti.

    chiaro anche che, in Italia come in altre economie, laccumulazione di capitale nei primianni Duemila stata influenzata dal peso crescente al suo interno della componente im-mobiliare, tant che alla crescita dello stock di capitale hanno contribuito significativa-mente anche le famiglie, il cui grado di indebitamento aumentato, pur a partire da livellirelativamente pi bassi in una prospettiva internazionale.

    Lintensit dellaccumulazione di capitale di quel periodo non si presta quindi ancora a ungiudizio univoco proprio per il peso rilevante giocato al suo interno dallimmobiliare. Nonvi nemmeno concordanza di vedute riguardo alla possibilit che si sia verificata unabolla allinterno del mercato immobiliare italiano, tuttavia difficile negare che ci siastata una ricomposizione a sfavore della quota delle altre forme di investimento a maggiorecontenuto di tecnologia e innovazione.

    Con la crisi finanziaria della fine dello scorso decennio si osserva una battuta darresto delprocesso di accumulazione di capitale anche in Italia. Tale frenata risulta legata in alcuni set-tori manifatturieri alla formazione di un eccesso di capacit produttiva di carattere struttu-rale, perch la domanda si stabilizzata su livelli inferiori a quelli precedenti la crisi. probabile che la caduta della domanda di beni di investimento rifletta il mutamento dellecondizioni di accesso al credito che ha modificato le disponibilit finanziarie per la realiz-

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  • zazione di nuovi investimenti, penalizzando soprattutto le filiere a monte dellauto e del-limmobiliare.

    Il fatto che si sia formato un eccesso strutturale di capacit produttiva importante nellamisura in cui leffetto dellaccumulazione di capitale sulla crescita potrebbe risultare in partesovrastimato e da esso deriverebbe anche una sottostima del contributo alla crescita dellaPTF. Ci, peraltro, potrebbe essere vero, seppure in misura molto pi contenuta, anche peril periodo immediatamente precedente, caratterizzato da una profonda trasformazione deltessuto manifatturiero, con un netto ampliamento della varianza delle performance azien-dali; le imprese rimaste indietro potrebbero aver via via osservato un minor utilizzo degli im-pianti, che statisticamente si traduce in una sottostima della PTF.

    Allo stesso tempo, con la crisi si verificato un vero e proprio crollo degli investimenti pub-blici. prevalentemente leffetto della caduta delle risorse a disposizione degli enti localiche, dato anche il vincolo sui saldi di bilancio legato al Patto di stabilit interno, hanno op-tato per un drastico taglio alle spese in conto capitale, pi agevoli da comprimere nel breve. uno dei paradossi della crisi, per cui con la diminuzione del tasso di crescita vengono ri-dotte in misura maggiore proprio le voci di spesa che pi contano per lo sviluppo.

    Nel primo decennio degli anni Duemila la pur bassa dinamica delleconomia italiana ha at-tivato un aumento delle ore lavorate analogo a quello del valore aggiunto, tant che la pro-duttivit del lavoro ha ristagnato e, volendo guardare lo stesso fenomeno dallaltro lato,lelasticit della domanda di lavoro alla crescita fortemente aumentata. Il paradossodelloccupazione senza crescita ha riflesso i cambiamenti di carattere istituzionale nelfunzionamento del mercato del lavoro, conseguiti dalla seconda met degli anni Novantaattraverso le riforme Treu e Biagi che hanno introdotto una maggiore flessibilit nellimpiegodi contratti diversi da quello a tempo pieno e a scadenza indeterminata, sempre pi appli-cati alle persone che cercano per la prima volta un impiego lavorativo. Guardando, in ef-fetti, alla dimensione quantitativa dei fenomeni, lesperienza delle politiche del lavoro degliultimi anni un caso di successo. Anche nel corso del periodo pi recente, caratterizzatoda contrazioni della domanda di lavoro, la diminuzione degli occupati appare nel com-plesso contenuta, una volta tenuto conto dellampiezza delle perdite di output. anchevero, per, che la prevalenza di forme di flessibilit contrattuale nelle fasi iniziali dei per-corsi professionali ha accentuato gli effetti coorte della recessione, ponendone i costi pre-valentemente a carico dei pi giovani.

    Prendendo il periodo 2000-2007, il contributo delle ore lavorate alla crescita del PIL pro-capite stato dello 0,4% allanno, valore prossimo a quello osservato negli anni Ottanta,quando lincremento del prodotto viaggiava su ritmi ben pi elevati.

    Considerando anche la parte finale del decennio, i conti cambiano, visto che il contributodelle ore lavorate alla crescita del PIL pro-capite muta di segno, circostanza del resto ab-bastanza scontata in una fase di profonda recessione delleconomia. Il contributo risulta, 1.

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  • per, considerando lintero decennio, solo leggermente negativo, il che, se si considera len-tit della crisi, non un cattivo risultato.

    Nellandamento del rapporto monte ore lavorate su popolazione si verificata, a partiredalla seconda met degli anni Novanta, una fase di crescita pi marcata di quella della se-conda met degli anni Ottanta, periodo contraddistinto da una dinamica del PIL ben mag-giore (Grafico 1.2). Il crollo osservato nel corso dellultima recessione appare poi nondissimile da quello che si ebbe durante la recessione dei primi anni Novanta, decisamentemeno intensa di quella del 2008-2009. Fra laltro, le tendenze rilevate nel corso dei primianni Duemila circa le ore lavorate rispetto alla popolazione acquisiscono un significatomaggiore se si tiene conto dellaumento della stessa popolazione che si avuto a partire dal-linizio del decennio scorso rispetto alla stabilit demografica nel decennio precedente4.

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    4. In ogni caso tutte le variabili che presentiamo vanno lette come tendenze di medio periodo, senza prestare particolare attenzione ai va-lori puntuali in quanto la dinamica della popolazione rilevata dallISTAT condizionata dalle modalit di computo del numero di im-migrati, che dipende dalle scadenze amministrative dei diversi provvedimenti di regolarizzazione varati nel corso del tempo. possibile,quindi, che parte dellincremento della popolazione rilevato dal Duemila derivi di fatto dallemersione di immigrati irregolari gi pre-senti negli anni Novanta sul territorio nazionale. Anche le serie delloccupazione allinizio dello scorso decennio hanno risentito di que-gli stessi provvedimenti di emersione, dato che lindagine sulle forze di lavoro fa rifermento alla popolazione regolarmente residente.

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    Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

    Grafico 1.2 -Prima della crisi in Italia si lavorava di pi(Monte ore lavorate/popolazione, Italia 1990=1)

    In effetti, i dati sullevoluzione del mercato del lavoro negli ultimi anni si prestano a una du-plice lettura: se si guarda agli andamenti in assoluto gli esiti sono preoccupanti, ma se in-vece li si contestualizza allinterno del quadro economico pi generale limmagine cambia.

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  • Tanto pi che anche nel confronto internazionale quanto accaduto negli ultimi venti annial rapporto fra ore lavorate e popolazione appare favorevole alleconomia italiana, nono-stante la pi bassa crescita del PIL (Grafico 1.3).

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    Per qualificare levoluzione del contenuto occupazionale della crescita, utile lanalisi delcontributo delle quattro variabili attraverso le quali scomponibile la dinamica del rapportofra ore lavorate e popolazione.

    Si osserva immediatamente come vi siano stati trend molto diversi, con due variabili che pre-sentano un contributo positivo e crescente e altre due che vanno in direzione opposta, es-sendo peraltro il comportamento di ciascuna in parte legato a quello delle altre (Grafico1.4). La forte contrazione a fine decennio ha inciso in maniera diversa, a seconda dei casi.

    La prima variabile rappresentata dal tasso di attivit. Il tema della partecipazione al mer-cato del lavoro uno dei nodi fondamentali dello sviluppo economico italiano. Difatti, lIta-lia uno tra i paesi con tasso di partecipazione pi basso nel mondo occidentale. E il tassodi partecipazione alle forze di lavoro ha continuato ad aumentare sino ai primi anni Due-mila, stabilizzandosi poi nel periodo successivo. La crisi ha provocato, invece, luscita di la-voratori dal mercato, data la diffusione di fenomeni di scoraggiamento.

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    Fonte: elaborazioni su dati ISTAT e OCSE.

    Grafico 1.3 -anche rispetto ai paesi concorrenti... (Monte ore lavorate/popolazione, 1991=1)

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  • Considerazioni per certi versi simili valgono con riferimento allanalisi del tasso di disoc-cupazione. Il suo andamento stato cedente nellintero periodo precedente la crisi. In par-ticolare, le riforme del mercato del lavoro avviate dagli anni Novanta avevano determinatoil suo costante abbassamento, tant che dalla fine degli anni Novanta sino al 2007 la ridu-zione del tasso di disoccupazione giunge a spiegare un aumento del 5% del livello del PILpro-capite italiano. Con larrivo della crisi, per, il tasso di disoccupazione aumentato, an-nullando quasi del tutto i guadagni conseguiti nel periodo precedente.

    Se landamento del tasso di partecipazione e di quello di disoccupazione hanno evidenziatonegli anni precedenti la crisi un trend favorevole, le altre due componenti hanno invecemostrato la tendenza opposta, ridimensionando il contributo delloccupazione alla crescitadel reddito degli italiani.

    La prima di queste due tendenze costituita dallevoluzione delle ore lavorate per occupato,che ha esibito un trend decisamente decrescente e ha contribuito nei primi anni Duemilaallabbassamento della crescita del PIL pro-capite per mezzo punto percentuale allanno. Inbuona misura tale andamento il riflesso della trasformazione del mercato del lavoro e co-stituisce la controparte delle stesse dinamiche del tasso di partecipazione. In particolare, hacontato la diffusione del lavoro part-time, che inevitabile se si desidera aumentare la par-tecipazione femminile. per anche vero che la riduzione delle ore lavorate per occupatoda sola spiega in dieci anni una caduta del PIL pro-capite di quasi il 5%, compensando

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    Ore lavorate per occupato

    Occupati/forza lavoro

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    Popolazione in et lavorativa/popolazione

    Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

    Grafico 1.4 -grazie alla crescita del tasso di attivit(Determinanti del rapporto monte ore lavorate/popolazione, Italia 1990=1)

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  • buona parte dei guadagni derivanti dallaumento del tasso di attivit. Tale andamento paresegnalare come laumento della partecipazione, pi che accrescere la quantit di ore lavo-rate, le abbia in parte distribuite allinterno di una pi ampia platea di lavoratori. Il quadrodelle ore lavorate per occupato poi peggiorato negli anni della crisi, quando sono cre-sciute la quota dei part-time involontari, cio di quei lavoratori che hanno accettato un con-tratto a tempo parziale solamente perch non hanno trovato un lavoro a tempo pieno, elincidenza dei lavoratori in Cassa Integrazione Guadagni.

    Il secondo elemento di freno alla crescita stato costituito dalla componente demografica,sintetizzata dal rapporto fra popolazione in et lavorativa e popolazione totale. Si tratta di untrend sfavorevole, legato alla caduta della fecondit avvenuta negli ultimi quarantanni, e leprospettive in questo caso sono quanto mai preoccupanti, visto il progressivo invecchiamentodella popolazione italiana. Basti considerare che questa variabile ha sottratto nel corso deglianni Duemila quasi mezzo punto percentuale allanno alla crescita del PIL pro-capite, purin presenza di un flusso migratorio che ha sistematicamente superato le aspettative.

    Si tratta di un fenomeno che in termini qualitativi ha interessato molte economie, ma chein Italia stato nettamente pi marcato rispetto ad altri contesti in cui da tempo le politicheper la famiglia hanno cercato di contrastare la denatalit (come nel caso della Francia) o chehanno puntato in misura maggiore sui flussi migratori in ingresso. Una tendenza quantita-tivamente simile a quella italiana ha caratterizzato negli ultimi due decenni leconomia te-desca (Grafico 1.5).

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    Fonte: elaborazioni su dati ISTAT e OCSE.

    Grafico 1.5 - Italia e Germania: popolazioni sempre pi vecchie(Rapporto tra popolazione in et lavorativa e popolazione totale, 1991=1)

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  • 1.2 UNA SVOLTA PER CAMBIARE LE TENDENZE NEGATIVE

    Alla luce delle dinamiche osservate nel passato pi o meno recente, quale percorso di crescitaseguir leconomia italiana in futuro? E quali misure di politica economica occorre varare permigliorare la sua performance? I sei ambiti nei quali abbiamo declinato le determinanti dellosviluppo economico definiscono una tassonomia utile proprio per individuare i campi in cuila politica economica chiamata ad agire per innalzare il tasso di crescita. Si possono quindiassegnare degli obiettivi per ciascuno di quegli ambiti. Tali obiettivi devono essere realistici eambiziosi nello stesso tempo. Il grado di realismo garantito dal fatto che tutte le quantifica-zioni dei miglioramenti possibili che qui individuiamo derivano da valutazioni prudenzialidegli effetti di impatto che le riforme strutturali avrebbero, stando agli studi e alle analisi di-sponibili, oltre che dal fatto che teniamo conto dei vincoli desunti dallesercizio di contabilitdella crescita sopra proposto. Lambizione deriva invece dallassunzione di ipotesi di politichevirtuose ad ampio spettro, su un insieme vasto di materie, la cui adozione rappresenterebbe evi-dentemente una discontinuit rispetto alle esperienze della politica economica italiana degli ul-timi anni. Si pu quindi a ragione affermare che lo scenario proposto definisce gli esiti del tuttoragionevoli cui pu condurre una svolta nellazione della politica economica italiana. Svoltache cominciata con gli interventi varati in tempi rapidi dal Governo Monti.

    I benefici delle riforme in termini di PIL vengono calcolati come differenza tra gli andamentiche si determinerebbero in due ipotesi alternative. La prima costituita dallo scenario baseche costruito di fatto estrapolando le tendenze degli ultimi anni in maniera inerziale. Laseconda rappresenta lo scenario programmatico che stato ottenuto dallaumento del con-tributo allo sviluppo delle diverse variabili nelle quali abbiamo scomposto la crescita.

    Il declino a cui lItalia sta andando incontro

    Nella definizione del quadro base possiamo procedere disegnando le traiettorie per le seivariabili secondo le quali abbiamo sviluppato lesercizio di scomposizione della crescita. Lalogica con cui stato costruito tale scenario sostanzialmente basata sulla estrapolazionedelle tendenze spontanee osservate nel corso degli ultimi dieci-quindici anni. Ci significache consideriamo quelle tendenze come rappresentative delle potenzialit di sviluppo delsistema economico italiano, qualora non muti il contesto regolatorio e normativo che formagli incentivi e plasma i comportamenti.

    Il primo elemento, probabilmente il pi rilevante ai fini della crescita economica, costituitodalla produttivit totale dei fattori. Nel costruire lipotesi base ci si pu limitare a proiettare la so-stanziale stagnazione di questa variabile in atto dallavvio degli anni Duemila. possibile, tutta-via, che gli andamenti pi recenti della PTF siano stati frenati da fattori di carattere ciclico, percidisegniamo un leggero recupero nel decennio in corso, cosicch nel periodo di previsione la di-namica in media danno supera leggermente quella osservata fin qui negli anni Duemila. A favoredi tale recupero della PTF gioca anche il fatto che in genere le crisi determinano una selezionedel tessuto produttivo tale per cui, al termine della fase negativa, le imprese sopravvissute sonoquelle pi forti e innovative e meglio posizionate per cogliere le opportunit della ripresa.

    1. LITALIA

    AL B

    IVIO

    : DEC

    LINO

    O R

    ILAN

    CIO

    34

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  • Unaccelerazione spontanea pi marcata della PTF appare, invece, improbabile giacchnei primi anni Duemila si registrata una buona fase di accumulazione di capitale da partedi diversi settori, che hanno poi subito una drastica riduzione dei livelli di attivit. difficilequindi immaginare un innalzamento della PTF dovuto a investimenti che incorporino mi-glioramenti organizzativi e innovazioni a livello aggregato. probabile, infatti, che, alla lucedelle tendenze osservate nel corso degli ultimi anni, per questi settori si sia costituito un li-vello dello stock di capitale strutturalmente eccedente i fabbisogni produttivi e questo giu-stifica laspettativa di una fase protratta di bassi investimenti.

    Certamente nei prossimi anni non osserveremo un contributo significativo dellaccumula-zione di capitale fisico alla crescita del prodotto potenziale e quindi nemmeno accadr chela maggiore intensit di capitale dar impulso alla produttivit.

    In conclusione, nello scenario base la crescita della produttivit del lavoro, che include sta-tisticamente sia la PTF sia gli effetti della maggiore intensit di capitale, si mantiene mode-sta, di pochi decimi allanno, decisamente inferiore rispetto ai ritmi osservati sia negli anniOttanta sia nel corso degli anni Novanta (Grafico 1.6).

    1. L

    ITA

    LIA

    AL

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    IO:

    DEC

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    O O

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    CIO

    35

    -0,5

    0,0

    0,5

    1,0

    1,5

    2,0

    AnniOttanta

    AnniNovanta

    Anni2000

    Anni2010

    Anni2020

    Capital deepening PTF Produttivit del lavoro

    Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.

    Grafico 1.6 -Senza riforme la crescita lenta: lo scenario base(Contributi alla variazione della produttivi