Cafè l'aubette,

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1 Café l’Aubette: un’opera d’arte totale ovvero la sintesi tra le arti. Giacomo Galletti

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Café l’Aubette: un’opera d’arte totaleovvero la sintesi tra le arti.

Giacomo Galletti

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Giacomo Galletti

Café l’Aubette: un’ opera d’arte totaleovvero la sintesi tra le arti.

Csia, Liceo artistico, Lugano 2012

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Indice:

Introduzione ...............................................................................

L’Aubette e la sintesi fra le arti. ..................................................

I colori nell’architettura fra le due guerre. ..................................

L’Aubette: un’ opera d’arte totale. ..............................................

Il contributo di Theo van Doesburg. ...........................................

Il cine Dancing. ..........................................................................

La salles des Fêtes. ....................................................................

Il café-restourant e il café-brasserie. ..........................................

Il contributo di Sophie Taeuber Arp: ..........................................

Il salone da thè “five o’clock”. ...................................................

L’Aubette bar. .............................................................................

Il foyer-bar. .................................................................................

Il contributo di Hans Arp. ……………………………………...

Conclusione. …………………………………………………...

Bibliografia. ……………………………………………………

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Introduzione:

La scelta di trattare il cafè de l’Aubette mi ha permesso di studiare il pe-riodo degli anni venti in maniera diversa rispetto a come sono abituato nel contesto scolastico. Partendo da un’opera unica, per la quale hanno colla-borato Hans Arp, Sophie Taeuber Arp e Theo van Doesburg , ho fatto il per-corso inverso estrapolando il contributo apportato all’ opera da ognuno dei tre artisti. Partendo da un’unica opera infatti, che racchiude in se numerosi interventi artistici, cercherò di spiegare il lavoro di ogni artista tenendo in considerazione tutto il suo percorso.

Prendendo in considerazione un’ opera architettonica in cui convivono la pittura, l’architettura ed il design ho avuto la possibilità di conoscere una fetta di questo periodo non soltanto dal punto di vista “visivo”delle opere. Mi sono infatti potuto confrontare anche con informazioni molto “pratiche” dal punto di vista del metodo costruttivo, dei materiali utilizzati, delle dif-ficoltà riscontrate nel proporre un’opera così moderna a un pubblico e dei committenti non abituati ed i compromessi accettati dagli artisti per motivi finanziari, che comportano una rivisitazione dei progetti per poter mantene-re la stessa qualità di lavoro con materiali più “poveri”.

Il fatto che questo edificio è stato recentemente ristrutturato mi ha dato l’occasione di buttare un occhio anche sul modo con cui, una commissione come quella che si occupa della ristrutturazione delle sale, lavora. Anche se a dire il vero di tutto ciò non se ne parla molto nella mia ricerca.

Il mio lavoro si svolge nel seguente modo: un primo capitolo introduce al tema, che è poi in fondo il tema centrale della mia ricerca, della sintesi fra le arti. In questo capitolo si tiene conto anche del contesto storico olandese nel quale il gruppo di De Stijl, di cui fa parte Theo van Doesburg, si muove.Successivamente un capitolo sul colore nell’architettura fra le due guerre permette di capire meglio il significato storico-artistico del lavoro realizza-to all’ Aubette.Dopo aver introdotto l’edificio nel suo insieme, analizzerò il contributo di ogni artista sala per sala in relazione al suo percorso personale al di fuori di questa collaborazione.

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L’Aubette e la sintesi fra le arti:

Nel 1928 a Stasburgo, grazie ad una triplice collaborazione fra tre grandi artisti dell’epoca, i coniugi Hans Arp e Sophie Taueuber-Arp e l’architetto e pittore Theo van Doesburg, avviene la ristrutturazione e la riorganizzazione degli spazi interni del café de l’Aubette.L’opera nasce all’interno di un edifico costruito nel XVIII secolo da Jac-ques-François Blondel (1705-1774) su place Kléber nel cuore della città.

Ciò che i tre artisti hanno realizzato si muove tra l’architettura, il design, la pittura murale e l’installazione. Sarebbe perciò riduttivo parlare solo di “decorazione” riferendosi ai loro interventi.Il café è stato pensato come una “Gesamtkunstwerk”, un’opera d’arte totale dove questi diversi linguaggi, artistici convivono e si rafforzano a vicenda, pensati come un tutt’uno senza un ordine di importanza.

Questa opera rappresenta l’incarnazione dell’utopia del neoplasticismo e si colloca in linea con il pensiero costruttivista di rifiutare “l’arte per l’arte” in favore di un arte con maggiori scopi sociali e che non sia separata dalla vita quotidiana.

L’edificio di Blondel brucia nel 1870. Dopo essere passato alla città di Stra-sburgo viene dato in concessione ai fratelli Paul e Andrè Horn, che, amici degli Arp, nel 1926 chiedono alla coppia di occuparsi della ristrutturazione degli spazi interni degli spazi.Gli Arp non sentendosi all’altezza di affrontare il lavoro dal punto di vista architettonico, contattano l’amico Theo van Doesburg. Doesburg, che a quel tempo si muoveva nell’ambiente neoplasticista olan-dese, vede nella commissione un occasione per mettere in pratica e concre-tizzare le sue idee dell’arte in rapporto all’uomo e la società moderna. Si lancia subito nel progetto trasferendosi in loco per seguire ogni parte dei lavori.

Il café de l’Aubette, all’epoca della sua realizzazione non è stato accettato ne dai committenti ne dal pubblico che lo trovavano troppo “sterile”, lon-tano dall’ambiente dei locali pubblici ai quali erano abituati. Ben presto è stato ricoperto da decorazioni ed abbellimenti di scarso interesse artistico ed ha perso la completezza e il significato di come è stato progettato.

Questa realizzazione è un ottimo esempio di quella che viene definita “sin-tesi delle arti”. In questa opera il plurilinguismo artistico ha raggiunto una situazione di equilibrio notevole nelle esperienze artistiche della prima metà del novecento.

Culturalmente Strasburgo si presta bene come città ad accogliere un’opera di questi tipo: è bilingue e la cultura tedesca e quella francese in un certo senso convivono.

Il palazzo di Blondel, vista da piazza Klèber, Strasbur-

go.

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Anche i tre progettisti coinvolti provengono da tre diverse culture: Doesburg è olandese, Arp è di Strasburgo e Sophie Taeuber è svizzera.

La sintesi fra le arti, tendenza ricorrente in diverse avanguardie, non è però una prerogativa moderna. Nel corso della storia in tutte le culture che hanno prodotto opere monumentali si può osservare questo fenomeno.Si pensi ad esempio al tempio buddista di Borobudur sull’isola di Java, in Indonesia, dove architettura, scultura e pittura collaborano creando un’unica grande opera totale. Questa tendenza lega un edificio chiaramente moderno e avanguardistico ad un concetto che sembra essere universale nell’uomo, e che per estensione lo collega ad opere antichissime e ad atteggiamenti artistici che si perdono nella storia.

Il tema dei rapporti fra le varie arti è oggetto di studio già dai Greci ed è un tema che nella storia ha aperto grandi dibattiti nella teoria dell’arte.Il compositore e saggista Richard Wagner (1813-1883) comincia a parlare a questo riguardo utilizzando il termine “Gesamtkunstwerk” (opera d’arte totale) e fa una distinzione fra le due secondo lui possibili sintesi far le arti:Wagner raggruppa sotto l’architettura tutto ciò che riguarda le arti visive e sotto il teatro quelle arti che per loro stessa natura sono “effimere” come la musica, la letteratura il ballo e gli altri mezzi di espressione visiva.

Durante il novecento ci sono state due grandi scuole di pensiero riguardo a queste interazioni: una rincorreva l’ideale utopico di riuscire a riunirle tutte in modo da creare un nuovo ambiente totale dove vita e arte sono un tutt’uno.L’altra sosteneva invece la necessità di mantenere ogni arte pura, senza lasciare cioè che si “contamini” con gli altri linguaggi sostenendo l’autono-mia di ogni disciplina.

Questo insolubile dilemma è oggetto delle riflessioni del gruppo de Stijl che, anche se alcuni esponenti come Mondrian sono puramente pittori, è sostenitore della prima scuola.

Il gruppo de Stijl nasce nell’Olanda neutrale della prima guerra mondiale, si compone di un selezionato gruppo di archietti e pittori che ruotano in-torno alla rivista, che porta lo stesso nel gruppo, e alla figura di Theo van Doesburg. L’archiettto olandese è la figura più carismatica del gruppo e si occupa di mantenere allacciati i contatti con l’estero ed è uno dei principali redattori della rivista.De Stijl, o neoplasticismo, dopo il clima espressionista dei primi anni del novecento, vede il crescente individualismo e l’esasperazione dell’indivi-duo nell’arte come negativo. Questa tendenza viene intesa come un allonta-namento dai valori fontamentali dell’arte: l’universalalità ed un arte capace di “costruire” la società, che ne faccia parte nel quotidiano.Per fare ciò è essenziale compiere un percorso verso una riduzione ai mi-nimi termini del segno e delle forme, arrivando all’astrattismo puro – in questo senso è esemplare il lavoro di Piet Mondrian-. Si sviluppa perciò fra questi artisti un linguaggio pittorico composto da colori puri, principal-mente primari, verticali ed orizzontali – anche se in realtà con il maturare del gruppo la diagonale viene utilizzata- e l’utilizzo dei non colori – grigi,

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bianco e nero.Come detto l’atteggiamento di de Stijl in architettura va verso il concetto di sintesi fra le arti.

Non è un caso lo schieramento di de Stijl : L’Olanda ha infatti una lunga tradizione in questo senso.I’ architettura dei paesi bassi si è sviluppata per via di coincidenze sociali, politiche e religiosi, in maniera particolare rispetto al resto dei paesi Euro-pei.

Il calvinismo, nato con la rivoluzione protestante nel XVI secolo, vieta la decorazione e lo sfarzo nelle chiese, che appaiono austere e sobrie.Per questo motivo nei paesi Bassi le chiese non hanno svolto, dal 1500 in avanti, il ruolo di principale committente e fulcro delle arti. Questo compito viene perciò svolto dalla potente borghesia e delle istituzioni pubbliche che, meno severe, lasciavano la possibilità ad una maggiore crescita artistica.In epoca più moderna un edificio simbolo è la Scheepvaarthuis, la casa della marina, del 1912 realizzata ad Amsterdam. L’intero edificio è pensato quasi come fosse una scultura, non sono praticamente presenti muri posti ad angolo retto fra loro, le superfici sono molto plastiche e con forme arro-tondate, le sculture sono realizzate da van den Eyde e le vetrate, così come le sculture dialogano con lo spazio architettonico.

È in questo clima che si sviluppa la poetica di De Stijl. Poggiando sulle so-lide basi di lunga tradizione di interazione, il de Stijl sviluppa ulteriormente questo atteggiamento facendo però al contempo una distinzione sui ruoli delle varie arti:

Secondo van der Leck l’architettura tratta la forma tridimensionale degli spazi ed ha un carattere “costruttivo”. la pittura applicata all’architettura tratta il colore e le superfici bidimen-sionali, essa ha un carattere “distruttivo”, ha cioè la capacità di deformare visivamente la nostra percezione degli spazi.Idea condivisa anche da van Doesburg che all’Aubette sfrutta sapientemen-te queste forze contrastanti che non si annullano a vicenda ma convivono come complementari, permettendo di modellare con maggiore libertà lo spazio.

Al di fuori dell’ Aubette, a prova del loro interesse per queste teorie, il De Stjil è molto attivo nel campo delle arti applicate e della decorazione.Nel 1923 alla galleria L’Effort di parigi ha luogo una mostra dedicata a que-sto tema. In quegli anni van Doesburg collabora con l’architetto Cornelis Von Eesteren, la coppia in occasione della mostra presenta un grandissimo numero di progetti,disegni a colori e modellini.Tra le opere ideate c’è ad esempio la hall per uno stabilimento universitario con muri colorati e un soffitto pensato interamente in cemento e vetro.La coppia progetta anche una serie di progetti per abitazioni dove l’uso del colore applicate alle pareti fanno apparire l’edificio quasi spaccato in scheggie. La struttura appare scomposta e spostata nello spazio staccandosi da un aspetto puramente dovuto a fattori di stabilità costruttiva.Nessuna delle opere presentate verrà mai, pero, costruita.

J.M.van der Mey, Sheepva-arthuis (casa della marina),

Amsterdam circa 1920.

Theo van Doesburg, Cornelis van Eesteren, Mo-del Maison d’Artiste,1923, Collezione Gemeentemu-

seum Den Haag.

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Il costruttivista russo El Lissitzy nel 1923 prova a far continuare le sue ricerche pittoriche in un ambiente tridimensionale analogamente a come fecero più tardi Gli Arp e van Doesburg. È il caso della Prounenraum.

I colori nell’architettura fra le due guerre:

Dopo aver fornito una ampia visione sull’Aubette e il periodo in cui si colloca può essere utile, soprattutto per meglio capire il lavoro di van Do-esburg, analizzare brevemente il ruolo avuto dal colore nell’architettura del periodo infrabellico.

Le moderne discussioni sulla policromia architettonica iniziano verso la fine del ‘800 con le pubblicazioni del teorico dell’architettura A.C. Quatrè-mere de Quincy e dell’architetto e saggista Jacques Ignace Hittorff.(1792-1867)Hittorf prevedeva, non senza una vena profetica, un rinnovo dell’architettu-ra in favore di un maggiore uso del colore. Comincia lui stesso, soprattutto in ristrutturazioni di café sulla Avenue des Champs-Élysées a Parigi.Anche Henri Labrouste prosegue questo filone di pensiero e le sue teorie saranno uno dei punti di partenza per lo sviluppo dell’opera di Theo van Doesburg.Labrouste faceva distinzione fra la costruzione di un edificio in se, inteso come struttura portante ela sua forma esteriore, cioè la superficie che “copre” la parte portante dell’edificio, senza però affermare un indipendenza di quest’ultima.

Doesburg segna in questo senso un ritorno alla superficie e alla policromia. Con l’avvento del metallo e del cemento armato che permetteva grandi costruzioni con il vetro, in architettura si era visto un rapido abbandono della superficie, in favore di un architettura più nuda, che non nascondeva gli elementi costruttivi.L’atteggiamento di Doesburg potrebbe essere ritenuto azzardato tenendo conto anche del pensiero dell’epoca dove si era andato sempre più, dalla fine dell’art nouveau in poi, delineando il concetto che la decorazione è una sorta di “crimine”.Doesburg conscio di queste teorie e in parte d’accordo cerca di realizzare una nuova forma di policromia architettonica, non puramente decorativa ma parte integrante della struttura e della progettazione dell’edificio in sin-tonia con l’atteggiamento di sintesi fra le arti.Esso è alla ricerca di quello che lui stesso chiama pittura di “spazio-tempo”.

Per sottolineare ancora il ruolo del colore nell’architettura del periodo in-frabellico è neccessario concentrarsi sull’idea di colore intesa come la de-finisce nel 1949 Alfred Roth: Räumliches Gestaltungselement, ovvero ele-

El Lissitzky, Prounenraum 1923

Ricostruzione al Van Abbe-museums (1965)

Eindhoven.

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mento spaziale della creazione.

Un grande contributo alla rivalutazione della policromia non intesa come puramente decorativa arriva dall’architetto tedesco Bruno Taut (1880 – 1938). Nelle sue pubblicazioni e nella sua opera l’approccio di Taut per il colore va verso il concetto di creazione/ distruzione di cui si era parlato prima, esso infatti utilizza la policromia per “controllare lo spazio e la sua dissoluzione”.Taut si oppone all’urbanistica di fine ottocento arrivando a sognare addirit-tura il colore nella pianificazione urbana con scopi sociali, utilizzandolo ad esempio per permettere una migliore identificazione degli edifici pubblici, utopia realizzata nel progetto del quartiere “onkel toms hütte” tra il 1926-27 a Berlino. Taut è importante anche per il suo rapporto con l’industria. Dal 1911 in poi si è impegnato per coinvolgere le industrie del colore nella produzione di pitture di alta qualità da utilizzare in architettura.

L’architettura razionalista esalta la semplicità assoluta in favore di un ar-chitettura “nuda” che mostri le strutture e di una immediata conoscenza spaziale. Le Corbusier e Loos sostengono che un’architettura senza colore è meglio di una con i colori mal messi. Questo non vuol dire abolire del tutto la policromia, piuttosto non utilizzarlo in maniera puramente decorativa.Dopotutto come sostenuto da Taut l’architettura senza colore non esiste, ogni materiale ha in se una prorpia tonalità, il colore quando è imposto arti-ficialmente non è altro che un modo per ontrolare lo spazio.Per ritornare a parlare di van Doesburg voglio citare un concetto espresso sia da lui che da F. Legèr con una frase analoga che dice: “ Il colore è indi-spensabile all’uomo quanto lo è la luce. (Doesburg 1928 “Farben im raum und zeit” p 26 .)Doesburg considera il ruolo della luce e quello dei colori, nel definire gli spazi, come complementare.

L’Aubette: un opera d’arte totale.

Sebbene sia una collaborazione i ruoli nella decorazione delle sale sono sta-ti definiti già da subito., o almeno così sembrerebbe dai progetti rinvenuti. È anche vero pero che esistono sale in cui presumibilmente la collabora-zione diretta c’è stata. Ogni artista ha dunque agito negli spazi che gli sono stati assegnati in maniera piuttosto autonoma tenendo conto dell’idea di impostazione che si voleva dare all’opera e cercando di creare un continuo fra le sale per realizzare qualcosa che non sia solo un accostamento di tre personalità diverse ma anche un opera totale e omogenea.

Dall’analisi delle sale è dunque possibile stabilire, studiando il modo con cui l’artista è intervenuto, i ruoli che hanno avuto i tre personaggi coinvolti così come capire cosa della loro ricerca personale hanno portato.

La ristrutturazione dell’Aubette, cominciato nel 1994, grazie all’attenzione

dettaglio di un edificio della Onkel-Toms-

Hütte,Berlino

1926-1932.

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posta sull’opera e alla grande ricerca di documenti compiuta ha dato la possibilità di rivalutare l’importanza del ruolo dei coniugi Arp e soprattutto quello di Sophie Taeuber. La loro importanza è stata di solito meno ricono-sciuta rispetto a quella di van Doesburg anche perché tramite un edizione speciale della rivista de Stijl è stato l’unico fra i tre artisti coinvolti a pubbli-care materiale sull’Aubette. Il lavoro inoltre è impostato su una poetica che appare ad un primo sguardo più affine a quella di de Stijl e meno a quella di Arp e della moglie Sophie; anche se con un analisi più attenta il loro ruolo risulta importante sia dal punto di vista progettuale e concettuale, sia per i risultati artistici raggiunti nelle loro sale.

Il contributo di Theo van Doesburg.

Non potendo progettare l’edificio dal punto di vista architettonico van Do-esburg è costretto a sfruttare al meglio le sue teorie sulla pittura per “gesti-re” gli spazi preesistenti al fine di ottenere quella che lui definisce un’archi-tettura di “spazio-tempo”.Doesburg pensa di collegare le sale in modo da rendere il café de l’Aubette circolabile senza interruzione, quasi a continuazione stessa della città e le sue strade.Protagonisti diventano quindi i materiali, la suddivisione dello spazio,la luce e soprattutto il colore.

Doesburg si occupa singolarmente delle sale principali, vale a dire il cinè-dancing, la sala per le feste piccola e il café-reastourant.Nella sua idea di opera d’arte completa il caffè doveva riuscire a distaccare l’osservatore dal mondo reale e trasportarlo su di un piano puramente spirituale.Il lavoro di Doesburg dal punto di vista compositivo risulta avere meno differenze da sala a sala rispetto a quello dei coniugi Arp. Appartenente al gruppo de Stijl l’artista ha sviluppato un linguaggio fatto di composizioni ortogonali geometriche.

Il cine Dancing:

Il cinè-dancing, detto anche Salon gran dè fêtes o grande sala da ballo è forse la sala più importante del café. Doesburg non ha a disposizione nessuna parete senza interruzione fatta eccezione per la facciata adibita a schermo cinematografico.Per contrastare la forte verticalità e orizzontalità dovuta alle numerose finestre e porte Doseburg adotta una decorazione diagonale,se pur sempre ortogonale. Le superfici colorate sono in rilievo rispetto al soffitto e lasciando uno spazio fra esse che crea delle fasce grigie. Le composizioni iniziano

Due sale dell’aubette prima del restauro cominciato nel

1994

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da un metro e venti da terra: la parte inferiore della sala è percorsa da una banda grigia nella quale sono incassati i caloriferi.Sul pavimento, in linea con il suo pensiero di rendere l’Aubette facilmente percorribile, le composizioni formano dei “percorsi” colorati che dividono lo spazio. Il pavimento è dunque diviso con linee parallele alle pareti e non diagonali come nel resto delle composizioni della stanza.Per l’illuminazione artificiale sono pensati dei lunghi elementi tubolari me-tallici pendono dal soffitto in corrispondenza delle fasce bianche che sepa-rano la zona dei tavolini dalla pista da ballo in parquet.Le luci sono punte verso l’alto e si vanno a riflettere sulle ampie zone neutre della composizione del soffitto diffondendo la luce in tutta la stanza. Oltre a riflettere la luce in prossimità delle zone neutre sono presenti gli orologi e gli interruttori.

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1. Theo van Doesburg, durante la costruzione dell’Aubette.

2. maquette delle sale di Theo van Doesburg, acrilico su legno, 1927, MoMa New York.

3. Veduta dello schermo da proiezione nella sala del ciné-bal, Theo van Doesburg, 1928

4. Café Aubette, Strasbourg, France, versione preliminare dello schema dei colori per il soffitto e il muro corto del ciné-bal, Theo van Doesburg, 1927, MoMa New York.

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La salles des Fêtes

Questa sala da ballo più piccola si trova dopo il foyer che la collega alla sala da ballo grande( o cinè-dancing). Il carattere delle composizioni in questa sala è diverso: in questo caso sono le bande neutre che separano le superfici colorate ad es-sere in rilievo,larghe 30 cm e profonde circa 3. Inoltre rispet-to al cinè-dancing le superfici colorate sono tutte disposte su di verticale e orizzontali.Interessante in questa sala il ruolo che svolgono le ventole di areazione,le finestre e l’illuminazione, esse infatti sono per-fettamente integrate nella composizione e ne fanno a tutti gli effetti parte.

Il café-restourant e il café-brasserie.

In queste due sale il sistema dei percorsi è particolarmente evidente. I pavimenti sono composti da rettangoli colorati che si incontrano senza giunzioni. sono esistenti diversi pro-getti nel quale vene cambiata la disposizione dei colori seb-bene il concetto rimane lo stesso.Per questa sala van Doesburg ha ideato personalmente i ta-voli, i divanetti e le loro separazioni. Dai progetti rinvenuti si sa che l’architetto ha pensato pure ad una versione modi-ficata della sedia Thonet, non realizzata preferendola ad una versione standard probabilmente per questioni finanziarie. L’illuminazione è trattata in modo analogo al Cine-dancing : le luci pendenti dal soffitto si riflettono sulle parti bianche diffondendo la luce.Le composizioni senza bande che separano le superfici co-lorate continuano dal pavimento si tutte le pareti della sala. Questa sala adibita al ristoro assomiglia dunque, dal punto di vista visivo, al foyer-bar di Sophie Taeuber, che verrà trattato in seguito.

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5. La sala delle feste, muro sud a lato di piazza Kléber, dopo la restrutturazione.

6. Theo van Doesburg, interno del cafè-restourant, 1928.

7. Composizione per i pavimenti del café-restourant e il café-brasserie,1927,matita e tempera, 53,5x81 cm, Parigi, Museo nazionale d’arte moderna.

8. Pianta del piano terreno con composizioni provvisorie dei pavimenti. 1927, 52,9x98,7 cm, Parigi,Museo nazionale d’arte moderna.

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Il contributo di Sophie Taeuber Arp:

Sophie Taeuber non è nuova nel campo delle arti applicate, negli anni degli studi a Monaco e Amburgo ha ricevuto una formazione artistica che spazia fra il design, l’architettura e la pittura murale. Questo le consente in pro-getto come quello dell’Aubette di disegnare con disinvoltura assonometrie e tavole di disegno svolgendo un lavoro progettuale di alta professionalità.

Sophie si avvicina al movimento Dada e incontra Hans Arp nel 1915, Insegnante di tessitura ricamo e arti tessili presso la Scuola di Zurigo di Arti e Mestieri (1916 – 1929.) partecipa anche come ballerina alla scuola di danza di Rudolf Laban e balla alla serate al cabaret Voltaire. Coinvolta nell’ambiente dada produce marionette, tessuti e costumi e coreografie per gli eventi al locale zurighese anche se non si legherà mai a nessun formali-smo restando molto libera nella sua produzione artistica.Abituata a progettare tessuti e lavorare al telaio Sophie Taeuber arriva con naturalezza a sofisticate composizioni geometriche caratterizzate da una grande sensibilità al colore e alla forma.La sua ricerca pittorico-plastico, si compone di moduli e ritmi compositivi, superfici piane che possono avere una certa affinità con le opere neoplasti-ciste anche se mantengono una maggiore freschezza e flessibilità. Le sue composizioni sono frutto di forti semplificazione e di un uso predominante di “superfici ortogonali disposte in senso orizzontale e verticale” come le definisce Arp parlando della produzione della moglie.

Già prima dell’Aubette Sophie si era lanciata in sperimentazioni di pitture murali, arredamento e in alcuni casi anche di grafica. Realizza per esempio per uno dei Fratelli Horn una pittura murale nel suo appartamento.

Il salone da thè “five o’clock”.

È la sala più importante di cui la Taeuber si occupa. La sala pensata per essere un salone da thè. L’artista, sempre mantenendo coerente il lavoro con l’opera nel suo insieme, progetta una sala perfettamente funzionale al suo scopo. Tra-dizionalmente i saloni da thè francesi sono sale che presen-tano caratteristiche simili ad una pasticceria con servizio ai tavoli ed un ambiente per lo più pensato per una clientela femminile. Il salone “five o’clock” invece sembra più ricor-dare uno Chashitsu, la sala tradizionale giapponese in cui si svolge la cerimonia del thè. Il Chashitsu è una sala sobria , costruita secondo precisi canoni architettonici, ed è volta ad

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esaltare le caratteristiche estetiche e intellettuali della ceri-monia del thè.Di questa sala , che non è ancora stata ristrutturata, non sono presenti molti documenti fotografici anche se sono state tro-vate un discreto numero di opere post prodotte: tre rilievi in cartone che ne riproducono parte delle composizione, pro-babilmente realizzati da Arp dopo la morte della moglie, un ricamo a punto piatto in cotone su tela di cotone e una seri-grafia datata 1953.Per quanto riguarda i progetti esiste una assonometria a co-lori che mostra la composizione del soffitto e che potrebbe essere particolarmente interessante per ricostruire la decora-zione di questa sala dal punto di vista cromatico. Così come diverse prove su carta della composizione.Le pareti della sala sono divise in grandi superfici monocro-matiche in diverse tonalità di grigi, divise da bande ricoperte di fogli d’argento.Fatta eccezione per nove pannelli non è presente il colore. Le composizioni di questa sala mostrano bene cosa si intende quando si parla di un prolun-gamento della propria opera personale all’interno dell’Aubette.Le composizioni dei pannelli a colori, sviluppate tutte da un modulo qua-drato sono una continuazione della ricerca di ritmi compositivi geometrici della sua ricerca personale. I moduli colorati puramente astratti creano un rapporto di pieno,vuoto con lo sfondo chiaro dello sfondo. L’utilizzo delle bande permette alla sala di tracciare un collegamento visivo con le sale di van Doesburg.Come detto prima importante in questa sala è la ricerca di un atmosfera, la dominanza dei non colori crea un ambiente che oggi verrebbe definito “minimal”, un po’ zen, affine alle sale orientali adibite allo stesso scopo.L’illuminazione artificiale disposta lungo le bande ricoperte di lamina d’argento,che riflettono la luce. Le lampadine sferiche avvitate direttamen-te nelle prese sul soffitto introducono un altro elemento plastico in con-trapposizione al modulo quadrato. Questo è già presente nel linguaggio dell’artista che, nelle sue opere su carta comincia già prima dell’Aubette ad introdurre cerchi e la linea curva, in questo senso compone nel una serie 1930 intitolata “Composition à cercle à bras”. Questo dimostra come l’Au-bette non sia un punto di arrivo ma parte di una ricerca che continua sulle stesse problematiche.

L’Aubette bar:

Questo piccolo spazio è caratterizzato rispetto alla sala da thè da un maggiore impatto cromatico.Anche in questo caso le composizioni si sviluppano da un modulo quadrato e e volte sfociano in superfici rettangolari.La tavolozza cromatica assomiglia a quella della sala da thè anche con la differenza che non sono praticamente presenti grigi.

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Il concetto di portare il pubblico a non osservare un’ opera standone davan-ti, ma creare uno spazio in cui l’osservatore è immerso, è particolarmente vera per questa sala: le composizione derivano da una serie intitolata “Ver-tical, horizontal, carrè, rectangulaire” del 1917.Come nel salone da thè anche in queste composizioni è presente un gioco fra i rapporti di pieno/vuoto.

Il foyer-bar:

lo spazio trapezoidale del foyer bar si colloca fra la grande sala per le feste e il cinè-dancing. Con il termine foyer si definisce solitamente un locale adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove gli spettatori hanno la possibilità di intrattenersi prima e dopo lo spettacolo e durante le pause. Come spesso accade nei foyer anche all’Aubette è integrato un bar semi-circolare che era contro la parete nord.Riguardo a chi abbia realizzato questo locale, si hanno po-che e controverse informazioni, il numero speciale di de Stijl lo attribuisce ad Arp anche se buona parte dei proget-ti rinvenuti,come i due di esempio sono di Sophie Taeuber. Questo fa piuttosto pensare ad una collaborazione fra i due e che Sophie dato le sue capacità nel disegno geometrico abbia prodotto i progetti.I due progetti rinvenuti mostrano una sorta di sviluppo della stanza e la composizione in ognuno dei due disegni è pensata come una continuazione fra il pavimento e i soffitti nel quale elementi come porte, finestre e illuminazione entrano a far parte della composizione.Nella seconda tavola spiccano i verdi e l’azzurro a far eco con i colori dell’Aubette bar e della sala da thè al piano ter-reno.Il primo progetto sembra essere più simile alla realizzazione, le composizioni di grandi superfici grigie e rosse erano state pensate inizialmente in rilievo, come quelle di van Doesburg nella sala per le feste e il cinè-dancing, si è poi preferito agire facendo si che questa sala diventi un rimando invece al café restourant. Il foyer è sta-

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to voluto dall’architetto olandese come collegamento fra le sue due sale , in modo da continuare il discorso dei percorsi iniziato. Non deve dunque sorprendere lo stile più neoplasticista di questa sala rispetto alle altre pro-gettate da Sophie Taeuber e/o Hans Arp.Anche in questo caso per l’illuminazione Sophie utilizza le lampadine sfe-riche applicate direttamente al soffitto.Questa è l’unica sala non realizzata da Theo van Doesburg che fino ad ora è stata ristrutturata, come si può vedere dalle immagini.

Oltre a queste sale l’artista svizzera progetta la sala da biliardo, in questa sala le composizioni in stile neoplastico sono sviluppate con rettangoli co-lorati in orizzontale e verticale che vanno a interagire visivamente con il massiccio tavolo al centro della stanza.

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9. Sophie Taeuber-Arp nell’atelier in piazza kleber durante la costruzione dell’Aubet-te,1927-28.

10. Vista parziale del salone da thè five o’ clock. 1928.

11. Sophie Taeuber-Arp, progetto assonometrico per il salone da thè, piano “Aubette 127”, 1927, tempera matita e china su carta, 123x99 cm.

12. Sophie Taeuber-Arp, Taches quadrangulaires dispersées, 1920, acquarello,tempera e matite colorate su carta, 32.5x24.

13. Sophie Taeuber-Arp, due progetti per l’Aubette-bar, piano “Aubette 186” e “Aubette 198”, 1927, tempera e matita su carta, 22x72.5 e 22x73.

14. Composition verticale-horizontale, 1927,olio su tela, 100x65, Casa Rusca Locarno.

15. Il Foyer-bar di Sophie Taeuber-Arp, angolo nord-est, dopo il restauro.

16. Terzo e primo progetto per il foyer-bar, non realizzati,1927,tempera su carta, 55x48 cm.

17. La sala da biliardo di Sophie Taeuber-Arp, 1927.

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Il contributo di Hans Arp:

Sull’insegna del café si leggere riferito alla sala di Hans Arp: “pittura pre-morfista”. Nel Caveau dancing dell’artista le forme biomorfe a metà stra-da fra dadaismo e surrealismo si scontrano con le geometrie neoplasticista delle altre sale.

Doesburg è molto affascinato dall’elementarismo della pittura di Arp, in qualche modo le forme embrionali si collegano all’universale ed in questo senso c’è molta affinità fra i due. Del Caveau esiste solo una assonome-tria che ne mostra due muri, gli altri unici documenti sono le fotografie dell’epoca ed una serigrafia che verosimilmente riporta gli stessi colori del-la sala originale.Diverse tavole di studio per le forme però esistevano e se ne possono vede-re ad esempi nella fotografia che ritrae la coppia nel loro atelier di piazza Klebèr.Anche Hans come Sophie si era già cimentato nel mondo delle arti applicate: in ambiente dada aveva progettato sceno-grafie per, ad esempio, lo spettacolo “Il Rè cervo”, occasione per la quale Sophie Taeuber progetta le marionette.Nell’universo poetico di Hans Arp, con le sue forme ele-mentari in evoluzione,che decora le pareti del Caveau sono presenti tutte le forme piu care all’artista.L’ombelico, tema molto trattato che rimanda alla nascita, alla crescita. L’albero fungo, che è alo stesso tempo una forma della natura ed un rimando al corpo della donna, con le sue curve. Grazie alla serigrafia si possono ricostruire i colori della sala: spiccano il blu notte posto in orizzontale, un grigio verde che contorna l’ombelico bianco, i bianco ed il giallo acceso dei due alberi-fungo. Alle pareti gli specchi riflettono le forme ampliando visivamente lo spazio della sala. I colori ricorda-no un paesaggio marino o cosmico.Come nel resto dell’edificio anche l’atteggiamento di Arp va verso un distaccarsi dall’individuale senza lasciare nelle ope-re nessuna traccia di se. Arp è infatti interessato alla crescita della forma in se in cui il caso ha un ruolo predominante assieme alla metamorfosi.

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Conclusione.

Questo lavoro mi ha permesso di conoscere un’ opera che sebbene l’abbia scoperta quasi per caso è molto affine ai miei gusti. Sono affascinato dal discorso della sintesi fra le arti, mi è piaciuto poter tracciare collegamenti fra correnti artistiche viste a storia dell’arte e sfaccettature delle medesime che non conoscevo. All’inizio ero più propenso a trattare Sophie e Hans Arp piuttosto che van Doesburg anche se poi, sia lui che il gruppo di de Sti-jl sono piuttosto interessanti per quanto riguarda questa tendenza, che alla fine è uno dei temi principali di cui si parla nella mia ricerca.Non tutte le sale all’Aubette sono state restituite perciò rimangono aperti molti punti. Trovo interessante che questo tema appaia quasi “nuovo” ho infatti trovato pochissime pubblicazione che ne parlano.Per quanto riguarda il pubblico al quale penso di rivolgere una ricerca come questa è sicuramente un pubblico medio, interessato magari a vedere due artisti come Arp e la moglie Sophie in un contesto diverso da come sono presentati solitamente.Se dovessi pensare ad un museo per esporla infatti sceglierei la Pinacoteca Casa Rusca di Locarno. Dato che ospita già la Donazione Jean e Marguerite Arp ha più volte organizzato esposizione dedicate a Jean Arp. Si è sempre sottolineato quanto Arp fosse un artista internazionale, mi sembra quindi appropriato che in una città che è stata tappa delle sue esperienze in Europa e che ospita il lascito della sua collezione, si dia visibilità anche a questa opera per la quale ha collaborato.Sono rimasto sopreso dal ruolo e dalla figura di Sophie Taeuber-Arp, che conoscevo poco ed ho per questo deciso di dedicargli particola attenzione.Trovo ancora particolarmente aperto il contributo di Hans Arp. Il suo ruolo nonostante l’importanza che mi ero prefissato di dargli, ha perso un po’ il mio interesse in favore delle figure di van Doesburg e della Teauber.

18. Hans Arp nell’atelier in piazza Kléber, 1927.

19. Hans Arp, Decorazione sul muro principale del caveau-dancing, 1928.

20. H. Arp, serigrafia sulla base del caveau-dancing, 1965, stampa serigrafica a colori 26x52.8 cm.

21. 22. due viste del caveau-dancing, 1928.

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bibliografia

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Jean Arp & Sophie Taeuber Arp, dada e oltre , a cura di Elena Càrdenas Malagodi, Stefano Cecchetto , Venezia, Museo Correr, 2006.

Collezione Arp, a cura di Rudy Chiappini, città di Locarno Pinacoteca Comunale-Casa Rusca, Locarno, 1987.

Le avanguardie artistiche del Novecento, Mario De Micheli, Feltrinelli editore, Milano, 1988.

Theo van Doesburg: l’opera architettonica , Evert van Straaten, Electa, Milano,1993.

L’Aubette ou la couleur dans l’architecture: une oeuvre de Hans Arp, Sophie Taeuber-Arp, Theo van Doesburg.”, a cura di Emmanuel Guigon, Hans van der Werf, Mariet Willinge, Association Theo van Doesburg, Musées de la Ville de Strasbourg, Strasburgo 2008.

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