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CAPRI›ISCHIA›PROCIDAinformazioni turistiche

CAPRI›ISCHIA›PROCIDA

Luoghi, eventi, festeShoppingGusto

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CAPRI›ISCHIA›PROCIDAinformazioni turistiche

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testo

Ciro Cenatiempo

foto

Marco Maraviglia by Clik for lookArchivio Com.Tur

realizzazione grafica e stampa a cura di

Massa Editore s.r.l.

Indice

Ischia

Procida

Capri

Luoghi, eventi, festeUn tour insulare attraverso i comuni dell’isola

GustoIl coniglio all’ischitana, il vino e gli ortaggi spontanei

ShoppingVasi, piatti e formelle in ceramica, i cestini in rafia

Luoghi, eventi, festeL’architettura isolana, il venerdì santo, il paesaggio

GustoIl limone, la pesca, la lingua in pastasfoglia

ShoppingLimoncello, merletti e gli orecchini fatti ad uncinetto

Luoghi, eventi, festeMarina Grande, dalla piazzetta a San Michele

GustoI ravioli, l’insalata, la torta

ShoppingBoutique, botteghe d’artigiani e laboratori di creazioni

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dani nella loro intimità, contri-buendo comunque a creare, dinuovo, altri miti globali intorno aitre microcosmi circondati dall’az-zurro del Mare Tirreno.

Capri, Ischia e Procida conti-nuano, così, ad essere tre isolediverse, irresistibili, affascinanti.Avvicinarsi ad esse, colma l’animodi una ebbrezza unica, ancora pri-ma dello sbarco.

Capri rappresenta la mondanitàesclusiva in un contesto di segnimillenari un po’ dionisiaci che sirinnovano da Augusto a Tiberio,da Malaparte a Fersen, e oltre.

Ischia è un vero continente inminiatura, per le sue caratteristi-che climatiche, i suoi paesaggi

mai uguali che ribollono d’acquatermale sulfurea.

Procida è più marittima, veracecome una vongola, quasi unatrappola magica di architetture,con la sua flotta di pescatori e isuoi marinai inossidabili.

Questa agile guida dedicataalle tre isole dell’arcipelago par-tenopeo è pertanto uno strumen-to utile per navigare tra le emo-zioni, è una piccola bussola perorientare i sentimenti verso lascoperta di scorci naturalistici,evidenze monumentali, curiosità,folclori e sapori tradizionali chetrasformano il viaggio in un’espe-rienza memorabile.

Per i viaggiatori dell’anti-chità le isole rappresen-tavano le sedi del Mito,dell’Utopia, della Mera-

viglia. I racconti e le storie delpassato consideravano le terre inmezzo al mare come i luoghi del-l’esotismo per eccellenza, diverse,misteriose, affascinanti.

Le descrizioni geografiche siarricchivano di simboli esotici, sicoloravano di atmosfere magichee leggendarie.

Per i turisti contemporanei chearrivano nel golfo di Napoli, loscenario di suggestioni non ècambiato: ancora oggi si dirigonoverso Capri, Ischia, e Procida,con il desiderio di ritrovare in

esse i paradisi lontani, l’Isola Feli-ce, l’Isola Beata, l’isola del Rubi-no.

Del resto, Capri, Ischia e Proci-da hanno condiviso per moltisecoli gli aspetti sfuggenti e accat-tivanti di quelle narrazioni insula-ri e visionarie, di cui erano prota-gonisti, di volta in volta, le amma-lianti e splendide Sirene, il vulca-nico gigante Tifeo, il poderoso edivino Eracle. Poi, durante ilGrand Tour ottocentesco, le sen-sazioni e le percezioni delle isolesi sono modernizzate. Anche permerito dell’arte e della letteratura,della ricerca scientifica, biologicae archeologica che hanno svelato iluoghi capresi, ischitani e proci-

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PRESENTAZIONE

PRES

ENTA

ZIO

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Presentazione Area Marina Protetta del Regno di Nettuno.Un rigoglioso popolamento coralligeno, su cuispiccano i grandi ventagli delle Gorgoniegialle.

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In nessun luogo al mondo, vi sono tante occasioni di deliziosa quiete,

come in questa piccola isola.

(Charles Dickens) ”“

CAPRI

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Capri è la seconda per estensione e nume-ro di abitanti tra le isole dell’arcipelagopartenopeo. Secondo alcuni studiosi sul-l’origine del nome c’è una duplice spie-

gazione, perché più che “isola delle capre”,potrebbe essere piuttosto “isola dei cinghiali”, dalgreco kapros, cinghiale appunto, animale del qua-le sono stati trovati numerosi reperti fossili.

È stata definita “una scheggia di promontorio”,perché in origine rappresentava l’estrema puntadelle penisola sorrentina, di cui conserva le carat-teristiche morfologiche carsiche (è ricca di grotte eanfratti), e dalla quale si è separata in seguito amovimenti tellurici. Colonizzata dai Greci dell’A-carnania, divenne romana con Augusto che visbarcò nel 29 avanti Cristo. In seguito a un prodi-gio, Augusto l’acquistò dalla Napoli greca in cam-bio di Ischia, e vi costruì grandi insediamenti, lan-ciandone lo sviluppo. Alla sua morte, nel 14 dopoCristo, Tiberio - che ereditò l’Impero - la scelseper trascorrervi i suoi ultimi dieci anni, lontano daRoma.

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Luoghi, eventi, feste

La Torre dell’orologio nellaPiazzetta.

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ISOLA DI CAPRI ISOLA DI CAPRI

Il suo territorio è diviso in due dal monte Solaro(589 metri) che, per gli strapiombi delle sue falesie,ne ha condizionato gli insediamenti in due luoghiseparati, Capri e Anacapri, che sono Comuni auto-nomi. Partendo da questi centri principali, i per-corsi si dipanano a raggiera verso l’interno e lecoste, tra i luoghi più significativi da visitare nell’I-sola delle Sirene.

CAPRIAppena scesi dal traghetto o dall’aliscafo, ci si

trova a Marina Grande, approdo commerciale eturistico. È un po’ come un gran bazar di negoziet-ti e uffici di agenzie, pullulante di escursionisti eviaggiatori d’un giorno; e un po’ è come un villag-gio galleggiante per le centinaia di natanti attracca-ti (molti altri ormeggiano in rada), i cui “abitanti”amano scendere a terra di sera, quando i gitantiabbandonano l’isola. Si può scegliere di andare afare un tuffo ai Bagni di Tiberio o alla spiaggia libe-ra, non lontana, oppure si va a piedi per le viuzzepedonali e le gradinate che spuntano su via Acqua-viva, alla fine della quale c’è la porta medievale diCapri. Salendo dal porto per la via provincialeMarina Grande, c’è la Chiesa di San Costanzo(divenuto patrono dell’isola contro le invasionisaracene) che è però dedicata alla Madonna della

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Vista sul porto.

Capri, l’arrivo al Porto.

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Libera, ed è stata sede vescovile fino al 1596. Pro-babilmente eretta su una preesistente basilicapaleocristiana, ha una struttura a croce greca diinfluenza bizantina. La festa in onore della MariaSantissima della Libera, rievoca una tradizione reli-giosa e folcloristica antichissima e molto sentita, e sicelebra la domenica successiva all’8 settembre pro-prio nel borgo marinaro. La cornice tradizionaledella processione e delle luminarie per le strade siconclude con un concerto, al quale, a mezzanotte,fa seguito lo spettacolo di fuochi pirotecnici.

Per spostarsi dall’approdo, in ogni caso, l’alterna-tiva è prendere la funicolare, da piazza Vittoria: incinque minuti si arriva in paese, dopo aver percor-so un tratto di 648 metri. Fu inaugurata ai primi del‘900 e, da allora, funziona senza soste, a gran ritmo,soprattutto in estate. Dalla sua terrazza panoramica

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La piazzetta di Capri.

La scala d’accesso dallafunicolare.

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si affacciano le coppie di innamorati: è il primoapproccio con un’infinità di punti di osservazioneincantevoli. Si entra così a piazza Umberto I, ovve-ro nella Piazzetta, espressione del mito e dell’iden-tità caprese, nonché la certificazione della monda-nità dell’isola. È il cuore dal quale si diparte la vita-lità caprese, di giorno e soprattutto di notte; il pun-to di riferimento del jet-set mondiale che qui amafarsi vedere, incontrarsi, mescolandosi ai turisti, tratavolini di bar, spazi angusti, chiacchiere multilin-gue. Nel Settecento (seconda metà) era il luogo delmercato, dunque strategico allora come oggi. InPiazzetta c’è il Municipio, la Torre dell’Orologio, laChiesa di Santo Stefano, già cattedrale (fino al1818, anno in cui fu abolito il vescovado), il cui edi-ficio attuale fu terminato verso la fine del Seicento:è interessante il pavimento policromo in tarsie mar-

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moree davanti all’altare maggiore, che provienedagli scavi di Villa Jovis. Qui è conservata la statuadi San Costanzo, il santo protettore di tutta l’isola.La festa in suo onore si celebra il 14 maggio. Il gior-no prima la statua viene esposta e, dunque, traspor-tata in processione nella Chiesa di Marina Grande,dove vengono allestite, per l’occasione, giostre ebancarelle. In pieno abitato e negli immediati din-torni, non è l’unica chiesa: c’è ad esempio quella di

Sant’Anna, eretta alla fine del ’300, con una faccia-ta seicentesca; senza dimenticare la Chiesa del SS.Salvatore con il convento delle Teresiane. Nel tre-centesco palazzetto di fronte alla Chiesa di SantoStefano c’è il Museo archeologico del Centrocaprense “Ignazio Cerio”, che fu fondato da EdwinCerio nel 1949 e dedicato al padre, che era unmedico naturalista divenuto un profondo conosci-tore dell’isola in cui si era trasferito nel 1868. Va

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La piazzetta di Capri.

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detto, tornando alla dimensione profana, che sideve all’inventiva di Raffaele Vuotto, giovanecaprese, la sistemazione dei primi tavolini in Piaz-zetta: era il lontano 1938. La Piazzetta, manco a dir-lo, è anche il teatro delle manifestazioni di Capo-danno ed Epifania (si svolgono anche ad Anacapri),caratterizzate dal ballo della Tarantella. Sono even-ti emblematici tra i tanti che l’isola accoglie anchedal punto di vista congressuale.

Le opzioni, spostandosi dalla Piazzetta, sonoovviamente molteplici e fascinose. Via Le Bottegheha una atmosfera araba, strettissima, nel centroantico: è qui che furono aperte le prime botteghe digeneri alimentari. In via Camerelle si entra nel para-diso dello shopping, tra negozi eleganti e griffemondiali: ma non bisogna dimenticare che questastrada che lega il piazzale del Quisisana con via Tra-gara, ha origini romane, ed era caratterizzata da unaserie di vani (camerelle, appunto: forse erano cister-ne) realizzati in un muro di sostegno. Tragara è con-siderata la più romantica tra le vie di Capri, ci simuove tra ville, alberghi, colori e profumi, fino a unbelvedere e giù alla cala dove, tra i Faraglioni e loScoglio del Monacone, c’era il principale porto deiRomani. Loro, in un’era di sfarzi, in questa zona,costruirono dimore e ninfei, e molto tempo dopofurono imitati da numerosi artisti che, nel Nove-cento, l’hanno eletta a rifugio ideale.

I Faraglioni, i tre scogli del mito, erano chiamatiSirenum Scopuli, gli scogli delle sirene. Sono tre pin-nacoli risparmiati da frane ed erosioni. Hanno trenomi diversi. Stella, che è alto 111 metri, è il primo,ed è il più vicino alla costa; il Faraglione di mezzo,alto 81 metri, è legato allo Scopolo (o Faraglione difuori), da uno spazio marino di otto metri che ha unarco nel centro. Solo sullo Scopolo vive la famosalucertola azzurra, Podarcis sicula coerulea o Lacerta

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Lo shopping per le vie delCentro.

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Lo scrittore russo MaximeGorkij.

I Faraglioni.

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coerulea faraglionensis, che fu scoperta da IgnazioCerio nel 1870.

A un quarto d’ora dalla Piazzetta, sul versantesud, c’è invece la baia di Marina Piccola, dove sigiunge percorrendo via Mulo che, per interi tratti, èstata costruita a gradini: qui c’è la Villa Pierina, chefu acquistata - con la vicina Villa Serafina - dal gran-de scrittore russo Maxime Gorkij che, agli inizi delNovecento, vi abitò impegnandosi a organizzare lascuola rivoluzionaria, con gli altri esuli russi. Mari-na Piccola è un polo del turismo balneare, con isuoi rinomati stabilimenti. Qui, fino alla fine del-l’Ottocento, c’erano solo le casupole dei pescatoridi corallo. Scendendo qualche gradino s’incontra lacappelletta di Sant’Andrea, fatta costruire nel 1900,su progetto del pittore Riccardo Fainardi, da UgoAndreas, ingegnere tedesco proprietario di VillaCapricorno a Tragara. Va detto che Ugo Andreas,con Mortiz von Bernus, pagò la fabbrica - tra il1899 e il 1901 - per la costruzione della chiesaEvangelica, sempre a Tragara, che veniva incontroalle esigenze della folta comunità tedesca di allora:si fa notare per il tetto spiovente e lo stile goticiz-zante. Continuando, comunque, si arriva allo Sco-

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glio delle Sirene che divide l’insenatura in due,Marina di Pennauro e Marina di Mulo. Secondoalcuni è qui che si trovava “il prato fiorito sulmare”, quello che nei racconti di Omero e di Apol-lonio Rodio era il luogo da cui le Sirene tentaronoUlisse con il loro canto melodioso. Al di sopra diMarina Picola, sul versante di sud-est del monteSolaro, a 150 metri sul mare, c’è la Grotta delle Fel-ci, dove sono state rinvenute le tracce umane piùantiche, datate dal paleolitico superiore all’età delbronzo, e in particolare del periodo neolitico inter-medio.

Sempre dalla Piazzetta, in alternativa, da via Lon-gano, per via Supramonte e, dopo il quadrivio del-la Croce, entrando in via Tiberio, si può procedereverso l’itinerario caprese più celebre, quello checonduce fino a Villa Jovis e al Monte di Tiberio(335 metri). Scenario rurale, tra vigneti, orti, giardi-

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I resti archeologici di VillaJovis.

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ni, agrumeti e boschetti, passando davanti alle cap-pelle di San Michele (piccolo complesso conven-tuale con campanile a vela e dai caratteri bizantini),in località Cesina, di Monetella e Moneta. Dedicataa Giove, il capo degli dei, la Villa Jovis dell’impera-tore Tiberio è la prima tra le dodici ville isolane d’e-poca romana. Immensa, con settemila metri qua-drati di costruzioni, tredicimila metri di parco conterrazze e ninfei disseminati su 40 metri di dislivel-lo, si protende, maestosa, verso la penisola sorrenti-na e Punta Campanella. Gli scavi di Amedeo Maiu-ri hanno riportato alla luce il nucleo centrale congrandi cisterne, intorno alle quali s’identificanoquattro aree: il quartiere dell’imperatore e dellacorte; la zona della servitù, quella delle terme e lospazio per le udienze pubbliche. Si possono comun-que notare almeno due fasi di stratificazione: la pri-ma dell’epoca augustea, con l’uso di pietra calcarearicoperta di opus reticolatum con intonaco e pitture,

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F. Alvino, Veduta delle rovine di Villa Jovis.

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i pavimenti in mosaico di marmo; e la seconda visi-bile nei pavimenti ricoperti di lastre di marmo epareti rivestite con mosaico di vetro. Andandooltre, verso l’estremità settentrionale della Villa, siarriva al cosiddetto Salto di Tiberio, 297 metri apicco sul mare, che - seguendo i leggendari raccon-ti di Svetonio - era il punto dal quale l’imperatorefaceva scaraventare “vittime umane per il propriodivertimento”. Sulla terrazza più alta della Villa,proprio per fronteggiare “l’atmosfera pagana”, icapresi vollero costruire la chiesetta di Santa Mariadel Soccorso, ritrovo dei pescatori che lì si incon-travano per ringraziare del buon andamento dellebattute di pesca. Qui, il 7 e l’8 settembre, si celebrala festa in onore della Vergine, cui si collega la Pie-digrotta Tiberiana, con concerti e degustazioni.

Dalla prima parte dell’itinerario precedente,deviando per via Lo Capo, si giunge a Villa Fersen,costruita dal poeta e conte francese Jacques d’Adel-sward Fersen (1880-1923), conosciuta anche comeVilla Lysis, dal nome del giovane amico del filosofoSocrate. Fersen era un dandy del Decadentismo, unesteta simbolista, che fu perseguitato in patria per lasua omosessualità. Il contesto naturalistico è mera-viglioso, e l’edificio è di gusto neoclassico, rivisitatoin stile liberty.

Dal quadrivio della Croce ci si può invece orien-tare verso gli scenari selvatici dell’Arco Naturale,della Grotta di Matermania (o Matromania), fino alPizzolungo e oltre, costeggiando le pendici delmonte Tuoro, fino a scoprire la curiosa sagoma diVilla Malaparte. L’Arco Naturale si trova a 200metri di altezza sul mare, nella cala di Matermania,ed è ciò che resta di uno smottamento di una gran-de cavità nella montagna, allargatosi nel tempo, pereffetto dell’erosione marina, prima; dell’acqua e delvento, dopo. Continuando, in discesa, la Grotta di

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Panorama verso la penisolasorrentina e Punta Campanella.

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ISOLA DI CAPRI ISOLA DI CAPRI

Matermania è interessante perché si pensa che fos-se la sede del culto di Cibele, la Mater Magna del-l’antichità, la dea della fecondità. In età imperiale fuutilizzata - lo dimostrano i decori con mosaici allepareti - come lussuoso ninfeo. Qui si riposava ebanchettava. Proseguendo, lo sguardo si posa sul-l’architettura particolare di Villa Malaparte. Loscrittore Curzio Malaparte, nel 1936, spese 360 lireper comprare il promontorio su Punta Massullo,dove fece costruire - dal 1938 al 1940 - la “Casacome me”. Pensata e fatta a propria immagine esomiglianza con l’aiuto del progettista razionalistaAdalberto Libera. Il panorama spazia dai Faraglio-ni alla parete di Matermania, mentre a est ci si per-de nella costiera amalfitana: è davvero un luogosuggestivo.

Ancora partendo dalla Piazzetta, l’orizzonte vici-no impone di andare ai Giardini di Augusto, apochi passi. A terrazze panoramiche, questi giardi-ni pubblici facevano parte delle proprietà dell’in-dustriale tedesco dell’acciaio Alfred Krupp, il re deicannoni che adorava Capri ma non fu ricambiato ditanto amore. Krupp donò questo parco, intitolatoal suo nome fino al 1918, al Comune. Ospita unmonumento a Lenin, in ricordo del suo soggiorno

caprese, che fu realizzato dallo scultore GiacomoManzù. A congiungere i Giardini di Augusto con laMarina di Pennaulo, sul versante di Marina Picco-la, c’è un altro spicchio di mito caprese: la viaKrupp, considerata non a caso una vera e propriaopera d’arte. Ripida, con i suoi tornanti a 90 gradi,si snoda a zig-zag per 1346 metri: fu opera dell’in-gegnere svizzero Emilio Mayer, fu costruita in menodi due anni nel 1902, e finanziata da Krupp intera-mente, con la somma di 43.000 lire.

A pochi minuti dai Giardini, c’è una conca pia-neggiante, scelta per costruirvi il monastero, la Cer-tosa di San Giacomo, fondata nel 1371 dal contecaprese Giacomo Arcucci, segretario della ReginaGiovanna I di Napoli. Seguendo le regole del codi-ce certosino (la preghiera, il lavoro, la solitudine),l’impianto monumentale presenta prima un ingres-so con la foresteria e la farmacia; quindi, il chiostropiccolo dell’ultimo quarto del Trecento, sul porticodel quale convergevano refettorio, biblioteca e chie-

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Villa Malaparte.

Via Krupp.

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La certosa.

ISOLA DI CAPRI ISOLA DI CAPRI

sa; poi, il vero e proprio convento con il chiostrogrande della fine del ’500 con le celle e le zone diservizio, la sala capitolare, gli orti e l’alloggio delpriore, esposti a ovest verso il mare. La chiesa, anavata unica, presenta tre volte a crociera, mentre ilrefettorio ospita la sala-museo con i dipinti del pit-tore simbolista tedesco Karl Wilhelm Diefenbachche visse a Capri dal 1900 alla sua morte, nel 1913;una collezione di pittura tra ’600 e ’800, e le statueromane rivenute sui fondali della Grotta Azzurra.La Torre dell’Orologio, infine, presenta una cuspi-de con volute barocche. Va ricordato che nel 1534la Certosa subì seri danni per l’incursione di Bar-barossa, alla quale seguirono quelle di MustafàPascià (1553) e quella del corsaro Dragut. Dopo lafuga dei monaci, il complesso fu ampliato e fortifi-cato. I lunghi lavori si conclusero nel 1636, ripren-dendo poi, nel 1691, con il restauro della torre, delchiostro grande e del presbiterio, oltre alla costru-zione del campanile a tre arcate posto tra i duechiostri e demolito nel 1908. Oggi la Certosa èsede, oltre che del museo, di una scuola e dellabiblioteca comunale.

ANACAPRISpostandosi sull’altro versante dell’isola, verso

occidente, c’è la Chiesa di Sant’Antonio da Padova,il protettore di Anacapri (è conosciuta anche comeChiesa de’ Marinai), che ha un impianto seicente-sco, ed è stata restaurata e ampliata nel 1899. Hauna piccola terrazza panoramica, ed è attraversatadalla cosiddetta Scala Fenicia, che in realtà è greca:questa era l’unica via d’accesso, verticale e faticosis-sima, diretta tra il porto e Anacapri, fino a quandofu costruita la strada nel 1874.

Giunti nel centro storico, da piazza Vittoria, siprocede per la strada pedonale alla sinistra delmonumento ai Caduti, e si trova la Casa Rossa,dipinta in rosso pompeiano. È stata realizzata conpiù stili architettonici, ispirati al collezionismo tar-do ottocentesco, ha finestre bifore e merlature,ingloba una torre Aragonese cinquecentesca a pian-ta quadrata e, all’interno, ha il cortile porticato. Lasua storia è legata alla vicenda del generale ameri-cano John Clay H. Mac Kowen, che sbarcò a Caprireduce dalla guerra civile americana, e vi rimase per23 anni. La sua vita presenta analogie con quella diAxel Munthe che pure trasformò Villa San Michelein una casa museo, infatti raccolse e custodì nume-rosi reperti archeologici, tra epigrafi, bassorilievi,statue recuperate qua e là sull’isola. La Casa Rossaospita una mostra permanente con tele di maestriitaliani e stranieri, collezione che è stata acquistatadal Comune di Anacapri grazie all’offerta di Spiri-dione e Savo Raskovich due appassionati che hannoraccolto e conservato opere dedicate a Capri. Dal2008 vi si trovano anche le tre statue romane ritro-vate nel 1964 e nel 1974 nella Grotta Azzurra.

La Villa San Michele è uno dei luoghi più visitatiin assoluto: si trova in zona Capodimonte, a cinqueminuti dal centro. Fu costruita con un personale

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La Casa Rossa.

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ISOLA DI CAPRI

progetto da Axel Munthe, il medico e scrittore sve-dese (1857-1949) autore del celebre romanzo auto-biografico “Storia di San Michele”, in parte su rovi-ne di epoca romana. Secondo alcuni ci troviamo difronte a una sorta di “follia personale”, sulla scortadi quella che ispirò il conte Fersen, per lo stile eclet-tico, discusso e affascinante, dell’architettura. LaVilla è gestita dalla Fondazione Axel Munthe “SanMichele”. Nel 1940 Munthe ottenne il divieto dicaccia agli uccelli di passo, con grande lungimiran-za. Alla sua morte, nella grande tenuta, l’Universitàdi Stoccolma ha impiantato una stazione ornitologi-ca di studio sulle migrazioni, che resta un punto diriferimento per gli studiosi che si occupano diricerca sull’avifauna e di tutela dell’ambiente, in uncontesto che comprende anche il Castello Barba-rossa, ricoperto di vegetazione a dir poco straordi-naria. Il Barbarossa in questione è Khair ad-Dîn,che anche per l’isola di Capri fu un vero flagello,cingendo d’assedio il castello di Anacapri (erettonell’anno Mille) e incendiandolo.

Restando in un contesto paesaggistico-naturali-stico, s’impone l’escursione al Monte Solaro; oall’eremo di Santa Maria a Cetrella e, eventualmen-te, azzardare una passeggiata per il Passetiello, cheera una volta l’unica e difficile via di collegamentotra Anacapri e Capri. Durante l’occupazione fran-cese, nel 1808, il Passetiello ricoprì un ruolo strate-gico, perché consentì il passaggio delle truppe daun Comune all’altro. La cima del Solaro, invece, sipuò raggiungere a piedi o, più comodamente, inseggiovia prendendo - da piazza Vittoria - per viaCaposcuro, a destra. Lo sguardo resta ammaliatodagli scenari che levano il fiato. Nella valle com-presa tra il Solaro e il monte Cappello, dominandoMarina Piccola, si trova l’eremo che deve il suonome alla cedrina, l’erba aromatica, simbolo pro-

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Panorama.Villa San Michele, progettata dallo svedeseAxel Munthe.

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ISOLA DI CAPRI

Il Faro di Punta Carena.

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fumato tra i tanti, in un angolo esclusivo di solitu-dine e contemplazione, scelto per questo dagli ere-miti domenicani alla fine del ’400. Annessa al con-vento c’è una chiesetta con il campanile quadrato,che costituisce un esempio dell’architettura tardo-gotica caprese. Qui si celebravano i riti di devozio-ne dei pescatori di corallo.

Dal cuore di Anacapri si diparte un’altra passeg-giata cruciale per gli escursionisti dal pollice verdeche, partendo a sinistra della stazioncina della seg-giovia, conduce al belvedere della Migliera. Quisono stati ritrovati resti di costruzioni di età impe-riale. Ci si affaccia sulle rocce scoscese delle cale delTuono e del Limno o, verso ovest, si punta lo sguar-do fino a Punta Carena e al Faro che, inaugurato il1 dicembre 1867, è il secondo in Italia per impor-tanza e potenza d’illuminazione. La migliera è “illuogo dove si coltiva il miglio”, che era un cerealediffuso moltissimo, prima dell’arrivo del granturco.Si cammina tra vigneti, uliveti, giardini e orti, e lameta finale è davvero spettacolare. Volendo, un po’più in alto, ai piedi di una croce di ferro, si godefinanche della vista dei Faraglioni. Punta Carena eil Faro sono raggiungibili comunque da via Nuovadel Faro, sempre tra scenari unici, che evocano la

storia, per la presenza dei Fortini (di Pino, di Meso-la, di Orrico) che, insieme alle torri di Damecuta edella Guardia, costituivano il sistema difensivooccidentale fino a nord, fino alla Grotta Azzurra, inun’alternanza di baiette, tra le quali Cala del Tom-bosiello e Cala del Rio, caratterizzate da una bellez-za memorabile.

Della grandiosa Villa imperiale di Damecuta,restano pochi resti sull’altopiano: lo scavo fu inizia-to nel 1937 da Amedeo Maiuri. Si è riusciti a defi-nire l’esistenza di una lunga loggia sostenuta daarcate, la presenza di frammenti di colonne in puromarmo greco. Di certo era ricca di pavimenti inmarmo, di stucchi, e decorazioni di pregio. La Tor-re cilindrica di Damecuta, all’estremità ovest dellaVilla, a 151 metri sul mare, fu costruita a difesa del-

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Resti archeologici della Villaimperiale di Damecuta

Uno dei Fortini lungo lacosta.

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Grotta Azzurra.

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le incursioni saracene, e riutilizzata come fortinodagli inglesi nel periodo del conflitto con i francesi(1806-1815). Dal belvedere si intravede il piccoloscalo di Gràdola con la spiaggetta rocciosa a ridos-so della Grotta Azzurra.

Della Grotta Azzurra, che lo scrittore DomenicoRea definì come “la grotta più celebre dopo quelladi Betlemme”, si sa che nell’immaginario collettivorappresenta uno dei luoghi più famosi del mondo.Fu esplorata il 18 aprile 1826 da quattro personag-gi entrati nella leggenda: c’era il pittore tedescoAugust Kopisch, con l’amico paesaggista ErnstFries, spinti dall’unico oste dell’isola dell’epoca,don Giuseppe Pagano. Con loro c’era il pescatoreAngelo Ferraro detto “Il Riccio”, l’unico ad averlavisitata tra i contemporanei che ne ignoravano l’esi-stenza, a dispetto di un profondo passato durante ilquale la grotta era stata frequentata e conosciuta.Kopisch, ne “La scoperta della Grotta Azzurra”,descrisse con entusiasmo e meraviglia quei momen-ti: da allora in poi, la grotta è entrata nel mito pla-

netario. L’ingresso è largo due metri e alto uno. Ilcolore azzurro del mare con gli avvolgenti riflessisulle rocce è dovuto a un varco sottomarino da cuipenetra la luce. Vi sono stati trovati resti di un anti-co approdo: i Romani la usarono come ninfeo,adorno di mosaici e statue.

Tornando, infine, al centro di Anacapri, da visita-re restano alcuni luoghi di culto. La chiesa monu-mentale di San Michele, barocca, settecentesca, conarchitetture ideate da Antonio Vaccaro: ha unapianta centrale con una cupola su un ottagono chesi dirama in sei nicchie absidate. Sul pavimento inmaiolica, c’è la famosa Cacciata di Adamo ed Eva dalParadiso terrestre. La Chiesa di Santa Maria diCostantinopoli è invece della fine del ‘300, quandofu eretta con il nome di Santa Maria “alli Curti”. LaChiesa di Santa Sofia, a tre navate, è il risultato dinumerose stratificazioni: presenta una facciatabianca settecentesca, con un campanile a più orolo-gi e si apre sulla piazzetta. Da non dimenticare, poi,Le Boffe, il quartiere seicentesco descritto da Maiu-ri. Sul nome, “le boffe”, pare che venga dal dialettoperché così si indicano le bolle sotto la crosta delpane; ma, per altri, il termine da una deformazionedi d’Elboeuf, il comandante della guarnigione fran-cese sull’isola. In tale scenario, il 13 giugno si tienela festa patronale di Sant’Antonio, con la proces-sione della statua del santo. All’inizio di settembre,si svolge la Settembrata Anacaprese, una coinvol-gente kermesse folclorica organizzata dal Comune,in una cornice di sagra dell’uva, enogastronomia,artigianato, eventi musicali, sfilata di carri allegori-ci, che è una vera e propria gara tra le quattro con-trade locali: Le Boffe, La Porta, Le Stalle, la Pietra.Ogni anno c’è un tema da seguire, in un gioco diabilità non solo di tipo organizzativo e creativo, maanche estetico e artistico.

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Gusto jISOLA DI CAPRI

Iravioli, l’insalata, la torta: tutto è unito all’agget-tivo “caprese” e, dunque, ogni piatto è un verosimbolo dell’identità, in una cornice di semplici-

tà assoluta. In questo modo anche i tesori isolani delgusto hanno conquistato un’eco internazionale. Iravioli capresi sono considerati il “primo piatto pereccellenza” dell’isola: sono molto delicati e farciticon la caciotta, accompagnati da un fresco condi-mento di pomodoro e basilico. Ma c’è chi li prefe-risce con burro e salvia oppure fritti. L’insalatacaprese, lo sanno tutti, è composta da mozzarella,pomodoro, basilico e olio di oliva, ma molti ignora-no che fu inventata ad Anacapri nei primi anni delNovecento. E che dire della torta caprese, a base dimandorle e cioccolato, alla quale proprio non sipuò rinunciare? Da assaggiare anche nella versioneal limone o accompagnata con il gelato. Si dice chesia arrivata a Capri al seguito di una famiglia di rus-si, grazie alle mani di una cuoca che, pare, la prepa-rasse per ufficiali delle truppe napoleoniche duran-te la campagna di Russia. Nella tradizione culinarianon manca mai l’accostamento tra pesce e ortaggi,come resta consolidato, nelle cucine di casa, il tota-no ripieno o il totano con le patate. La pasta con ilsugo della cernia o dello scorfano o, ancora, con lapolpa di riccio, è sempre un must, così come laminestra di ceci con le seppioline. In generale, ilpesce pregiato, con crostacei e i molluschi, nonmanca mai. La pezzogna all’“acqua pazza”, adesempio, conquista per la sua bontà. Altrettantosaporite: le alici indorate e fritte o marinate agliagrumi, i calamaretti in umido o ripieni con uvapassa e pinoli. Una storia di gastronomia più ruralela si incontra nello specifico ad Anacapri, dove c’èsempre chi prepara le quaglie con la pancetta affu-micata, i piselli e gli aromi selvatici. In tavola, tra le

carni, ci sono anche il pollo e il coniglio allevati inzona. Più tipica ancora è la zuppa di cicerchie, legu-me ormai raro, che comunque trova ancora spazionei campi ed estimatori convinti. Il vino buono,oggi a denominazione d’origine controllata (da viti-gni autoctoni), sia bianco che rosso, era apprezzatogià dall’imperatore Tiberio. Dai profumatissimilimoni capresi, si ricava, infine,un ottimo limoncello.

Fino a qualche decennio fa lapezzogna veniva considerata daipescatori, ma anche dai cuochiun pesce minore e di scarsaimportanza ma, da qualche tem-po, la pezzogna, conosciutaanche come “occhialone”, nonmanca mai nelle proposte dellagastronomia di eccellenza, per laqualità organolettica delle suecarni. In particolare le acque allargo di Anacapri, a qualchemiglio da Punta Carena, sonotra le più ricche di questo pesceche vive sui fondali rocciosi tra icento e i trecento metri di pro-fondità.

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PEZZOGNA ALL’”ACQUA PAZZA”Pulire la pezzogna eviscerandola e privarla delle squame, inuna padella alta prepara-re un fondo con aglio incamicia, olio e peperonci-no. Quando il tutto saràrosolato, aggiungere ipomodori tagliati inquattro, la pezzogna e lepatate precedentementetagliate a quadri e fatecuocere in acqua per 5 minuti con il sale, il pepe e il vino bian-co. Dopo che il vino sarà sfumato, aggiungere due mestoli difumetto di pesce e portare a cottura per circa 10 minuti. Allafine si uniscono le erbe e servire con il pane raffermo tostato.

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La cucina veloce dell’estate caprese è riccadi molteplici preparazioni semplici, dagustare spesso all’aperto, dopo aver appa-recchiato la tavola in giardino, al riparo diun caratteristico pergolato, e lasciandosiavvolgere dalla brezza salmastra e rilassantedei pomeriggi in cui soffia il nobile vento dimaestrale. Uno di questi piatti è un primo abase di pasta, ed è conosciuto popolarmen-te come la “Chiummenzana”. È caratteriz-zato da una freschezza esemplare. In praticaè una variazione sul tema dei classicissimispaghetti “saltati” in padella con l’aglio,l’olio e il peperoncino piccante. In questocaso c’è l’aggiunta di pomodori rossi tagliatigrossolanamente, con un bel po’ di basilicoe un pizzico di origano selvatico. È pronto inun quarto d’ora. Con i suoi colori mediterra-nei, e il suo profumo unico, è un peccato digola al quale è difficile resistere.

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ShoppingCapri e Anacapri, per definizione, costituisco-

no due location esclusive amate dai grandipersonaggi che contano, della politica, del-

l’industria, del cinema, della moda, dell’arte, dellospettacolo, della cultura in generale. Una ambienta-zione internazionale senza frontiere che, anche perquesto, rappresenta un contenitore completo di tut-to quanto ci si sia di “firmato”, tra negozi e bouti-que, botteghe d’artigiani e laboratori di creazioni“da comprare”, come ricordo, souvenir, ma anchenel segno dell’originalità e del lusso. Tutto si tra-sforma nel marchio distintivo di Capri. E tutte leGrandi Firme si trovano qui, nelle vie più impor-tanti e note. Capi d’abbigliamento e gioielli esage-rati, perle e coralli; bigiotteria raffinata, monili eorecchini, ma anche t-shirt o ceramiche artistiche dialta qualità. E ancora, stoffe che evocano una tradi-zione lontana; oppure scarpe di corda, come quellemitiche espadrillas che diventarono qui le «zappate-

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glie», tanto per citare un oggetto “portato”, soprat-tutto nel recente passato, e che oggi fanno il paiocon i sandali fatti su misura. Per non dimenticareun’altra esclusiva, quella dei profumi capresi creatiartigianalmente usando le erbe speciali e le spezieche la Natura ha regalato all’isola nel corso deisecoli, e che si cercano con cura lungo le coste e icamminamenti scoscesi. Essenze che, a dir poco,sono inebrianti, eleganti. E poi, antiquariato, stam-pe, quadri d’autori isolani, sculture, pizzi e merlettifatti a mano, come i parei, i costumi da bagno, gliscialli, o gli intarsi in legno. Come dire, si passeggia,si ammira e si compra, sempre in uno stupefacenteBarnum. Da non perdere.

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L'isola d'Ischia, che separa il golfo di Gaeta da quellodi Napoli ed è separata, da uno stretto canale, dall'isola diProcida, non è che una montagna a picco, la cui cima bian-ca e folgorante immerge i denti scheggiati dal cielo. I suoifianchi scoscesi, solcati da vallette, da burroni, letti di tor-renti, sono rivestiti dall'alto in basso da castagneti di un ver-de scuro. I pianori più vicini al mare e inclinati sui flutti han-no delle casupole, delle ville rustiche e dei villaggi per metàcelati sotto i pergolati delle vigne. Ognuno di questi villaggiha la sua marina. Si chiama così il piccolo porto dove si don-dolano le barche dei pescatori dell'isola e dove ondeggianoalcuni alberi di navi a vela latina (la vela latina è triangolare,stretta e sospesa a un albero leggermente inclinato indietro).I pennoni quasi toccano gli alberi e le vigne della costa.

(Alphonse de Lamartine)

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Ischia è l’isola più estesa e popolata delle perledel Golfo di Napoli. Occupa da millenni unaposizione di rilievo sulle rotte di navigazione nelbacino centrale del Mediterraneo e, in partico-

lare, i Greci d’Eubea decisero di realizzarvi il primoinsediamento durante la loro colonizzazione del-l’Occidente, nell’ottavo secolo avanti Cristo. È divi-sa in sei Comuni: Ischia, Casamicciola Terme, Lac-co Ameno, Forio, Serrara Fontana, Barano. Ognu-no di questi municipi, che si susseguono geografica-mente nel tour insulare, è identificato come una sta-zione termale di cura e soggiorno, per esprimere lepeculiarità storiche del territorio, che sono legatealla ospitalità nel segno del benessere. Una caratteri-stica secolare che si è evoluta negli ultimi decennicon la realizzazione - lungo la costa - di splendidiparchi e giardini balneo-termali, vere e proprie oasinaturalistiche, uniche nel loro genere, realizzate daoperatori lungimiranti. Proprio per la sua naturaaffascinante, del resto, Ischia (sul cui nome si sonofatte numerosissime ipotesi, circa l’origine) è soprat-tutto conosciuta, oggi, come l’Isola Verde.

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Luoghi, eventi, feste

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è tra gli angoli caratteristici della movida. Sulla ban-china, a pochi passi dalle bitte, c’è la chiesa parroc-chiale di Santa Maria di Portosalvo e, a brevedistanza, lo stabilimento termale militare FrancescoBuonocore: era il palazzo del protomedico delregno di Napoli, che lo fece costruire nella primametà del secolo XVIII. Da qui si entra nel regnodello shopping, attraverso via Roma. Si incontra lachiesa cosiddetta di San Pietro con il piazzale Batti-stessa: qui, nella prima decade di settembre, si tie-ne il Settembre sul Sagrato, una kermesse dimostre, presentazioni di libri, spettacoli musicali edegustazioni enogastronomiche. Si procede per ilcorso Vittoria Colonna, fino alla Piazzetta dove, traboutique e locali notturni, spunta la cappellina det-ta di San Girolamo: esisteva già all’inizio del secoloXVI.

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ISCHIA PORTOLa città capoluogo dell’isola, Ischia, è il centro

più popoloso. E’ delimitata a nord-est dalle spiaggedi sabbia sottile e dalle pinete pubbliche e private,mentre verso sud c’è una prevalenza di paesaggiocollinare boscoso e agricolo che domina il luogo-cartolina per eccellenza: il Castello Aragonese con ilsuo isolotto. Si sbarca a Ischia Porto che, con il vici-no borgo di Sant’Alessandro, un tempo era chiama-to Villa dei Bagni per la presenza di diverse sorgen-ti termali, che oggi sono sfruttate grazie a moderneaziende ricettive. In tempi remoti qui c’era un lagoformatosi su un antico cratere vulcanico poi spro-fondato, che il re Ferdinando II di Borbone tra-sformò in porto nel 1854. La suggestiva Riva Destradell’approdo accoglie ristoranti e american bar, ed

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Ischia Porto.

Castello Aragonese.

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del mare, ricco di testimonianze della vita dei mari-nai e dei pescatori isolani.

Il Castello Aragonese, che si scorge subito dopo,è il paradigma della storia locale. Sorge sulla cosid-detta “isola minore”: con essa forma un unicummonumentale e naturalistico. La fortezza fu costrui-ta nel 474 avanti Cristo da Gerone I, sbarcato peraiutare i Cumani nella guerra contro i Tirreni. Ma lasua importanza è tangibile a partire dal V secolo, esi accresce fino a raggiungere il massimo splendoretra XIV e XVI secolo. Il Castello è alto 115 metri, evi si accede da una strada scavata nella roccia pervolontà di Alfonso I d’Aragona (1447 circa): primac’era solo una scala esterna, che si intravede pas-sandovi vicino in barca. Il collegamento con il bor-go antico di Ischia è garantito da un ponte, volutosempre da Alfonso I. Da visitare: la Chiesa dell’Im-macolata, barocca, costruita nel XVIII secolo; ilConvento delle Clarisse (è del 1575) con il cimitero;i ruderi della Cattedrale dell’Assunta, che risale al1301: nella cripta ci sono affreschi della scuola diGiotto. L’antica cattedrale era a tre navate con cap-pelle laterali. All’altare in fondo alla navata di sini-stra, nel 1509, si celebrarono le nozze tra il condot-tiero Ferrante d’Avalos e la poetessa Vittoria Colon-

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Si procede verso la costa, in direzione Ischia Pon-te, fino al limitare della colata lavica dell’Arso, rico-perta dalla pineta borbonica, dove si trovano lachiesa e il convento francescano di Santa Maria del-le Grazie e Sant’Antonio, e la Biblioteca Antoniana.

Verso Ischia Ponte, conosciuta come l’antico Bor-go di Mare medioevale o, in epoca più moderna,come il Borgo di Gelsa, si avverte subito l’impor-tanza del Palazzo del Seminario, dove c’è l’abitazio-ne del vescovo della Diocesi ischitana. Fu fondatonel 1741. D’intorno si notano il palazzo della fami-glia Lanfreschi di Bellarena e quello della famigliaLauro. Più avanti, tra le caratteristiche botteghedegli artigiani e dei pittori, la chiesa Collegiata del-lo Spirito Santo, fondata intorno al 1570 dai marinaidel Borgo di Gelsa: è la sede del culto di San Gio-van Giuseppe della Croce, francescano alcantarino(nacque a Ischia nel 1654 con il nome di Carlo Gae-tano Calosirto e morì a Napoli nel 1734), personali-tà di spicco nella storia religiosa napoletana delsecolo XVIII e patrono dell’isola. Nel calendarioecclesiastico viene ricordato il 5 marzo, ma i festeg-giamenti veri e propri si svolgono per quattro gior-ni a partire dalla prima domenica di settembre. Lareliquia del Santo viene portata in processione perle strade e per mare con un lungo corteo di imbar-cazioni di pescatori. Al termine dei festeggiamenti,si svolge uno spettacolo di fuochi pirotecnici.

A pochi passi c’è la chiesa cattedrale dedicataall’Assunta o Santa Maria della Scala. Nella primacappella della navata di sinistra vi è il battistero: lavasca è quella dove fu battezzato il 15 agosto 1654proprio il futuro San Giovan Giuseppe della Croce.All’angolo della Cattedrale vi è il Palazzo dell’Oro-logio, con l’orologio pubblico sulla facciata. NelXVIII secolo era chiamato la Casa dei Parlamenta-ri: era la sede del municipio. Oggi ospita il Museo

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Ischia Ponte.

Castello Aragonese

Jacob Philip Hackert,Veduta del lago di Ischia.

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secolo XVI. Qui venivano in pellegrinaggio le fami-glie ischitane con le proprie barche, il 26 luglio,giorno della festa di Sant’Anna, per onorare la san-ta e concludere il rito con un classico rendez-vousgastronomico a base di parmigiana di melanzane.Nel 1934, alcuni giovani pensarono di addobbarecon luci e festoni le barche dei fedeli: nacque così lafesta con il corollario di fuochi d’artificio straordi-nari, che è diventata uno degli eventi più caratteri-stici dell’estate ischitana, caratterizzata da un con-corso tra imbarcazioni addobbate come carri alle-gorici e teatrali, che si contendono un Palio realiz-zato da un artista di chiara fama, ed assegnato dauna giuria composta da personaggi illustri in vacan-za sull’isola.

Ischia Ponte e il Piazzale Aragonese ospitano altrinumerosi eventi di rilievo, nel corso dell’estate. Dal-la zona costiera si procede verso l’interno fino allapiazza di Campagnano, con la Chiesa parrocchialedi San Domenico nella SS. Annunziata. La piazza èil punto di partenza per escursioni-mozzafiato, ver-so Piano Liguori ed i promontori orientali: paesag-gi indimenticabili.

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na, donna di eccezionale personalità che sul Castel-lo creò uno dei più importanti cenacoli di intellet-tuali del Rinascimento. Le nozze sono rievocate inoccasione della festa di Sant’Alessandro, il 26 ago-sto, con uno straordinario corteo in costumi d’epo-ca che rappresentano le varie fasi storiche dell’isola:si snoda nelle vie del centro ed è organizzato dagliabitanti del borgo di Sant’Alessandro, appunto, conil corollario di sbandieratori e importanti gruppifolcloristici italiani gemellati per l’occasione.

L’itinerario sul castello continua con la Chiesaortogonale di San Pietro a Pantaniello del periodorinascimentale (metà secolo XVI) che conservaancora tutto il suo fascino. Nelle vicine carceri,durante il periodo risorgimentale, furono detenutialcuni patrioti. Oggi i locali ospitano mostre e per-formance artistiche e sono inseriti nel percorso “delsole” che si affaccia sulle isole di Vivara e Procida,abbracciando il maestoso golfo partenopeo e la baiadi Cartaromana, dominata dalla svettante torre det-ta di Michelangelo, con le sue sale ricche di affre-schi del secolo XVI: ai suoi piedi c’è la chiesetta diSant’Anna, da cui prendono il nome gli scogli che sitrovano a pochi metri. Risale alla prima metà del

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Anonimo, Veduta di Ischianella prima metàdell’Ottocento.

Vittoria Colonna.

Castello Aragonese.

Festa di Sant’Anna.

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Buchner, il grande archeologo, rispecchiano l’abili-tà tecnica dei vasai del tempo. Muovendosi dall’a-rea portuale di piazza Marina, che durante la setti-mana Santa di Pasqua ospita rappresentazionisacre, s’incontra la chiesetta del Buon Consiglio,detta anche la Chiesa dei Marinai, fondata da ungruppo di padroni marittimi a partire dal 1821.Orientandosi verso il corso Vittorio Emanuele, c’èla Chiesa di San Pasquale Baylon, fondata nella pri-ma metà del 1700 da Francesco Antonio Corbera,nipote di San Giovan Giuseppe della Croce. Sientra poi nel cuore termale di Casamicciola, oltre ilbacino del Gurgitello: qui c’è la famosa piazzaBagni con i suoi antichi stabilimenti di soggiorno ecure.

Tutte le chiese dei dintorni mostrano segni di unastoria avvincente, come la parrocchia dedicata alSacro Cuore e a Santa Maria Maddalena Penitente,a tre navate e con nove altari. Per via Castanito ver-so la Sentinella, oltre l’antica sede dell’OsservatorioGeofisico di Casamicciola, c’è la Chiesa dell’Imma-colata, fondata nel 1703. A pochi c’è Villa ParodiDelfino, che una volta era l’hotel Bellevue VillaZavota, che ospitò dal 21 giugno al 18 luglio 1864,Giuseppe Garibaldi reduce dall’Aspromonte. Altroospite di illustre talento fu Ernest Renan, che vi tor-nò, dopo il primo soggiorno del 1875, anche nel ’77e nel ’79, con la moglie Cornelia Scheffer. A Renanresero omaggio, in visita, anche intellettuali e scrit-tori quali il norvegese Henrik Ibsen e il danese Vilh-lem Bergsøe.

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CASAMICCIOLA TERMELa località dove è nato il termalismo curativo,

come riferisce il nome di questo centro costiero, siè evoluta negli ultimi anni come polo del diporti-smo nautico grazie allo sviluppo delle infrastruttureportuali: quello di Casamicciola è il secondo scalo,per importanza, dell’isola, anche da un punto divista commerciale. Le terme di piazza Bagni hannoattratto personaggi quali Lamartine, Renan, Ibsen,Garibaldi (che qui ha curato le ferite d’Aspromon-te), mentre i ricchi giacimenti di argilla, nel corsodei secoli, hanno consentito la crescita di un fioren-te artigianato, incrociandosi con i destini storicidegli abitanti e lo sviluppo del turismo. Il marchiodelle fabbriche locali di ceramica è ancora piuttostonoto. Sull’etimologia di Casamicciola, svariate sonole supposizioni e il toponimo è attestato per la pri-ma volta nel 1265 come Casamiczula. Sulla collinadel Castiglione sorse un villaggio di capanne con icaratteri tipici della civiltà appenninica (età delbronzo medio-inizi età del Ferro). Vi si sono rinve-nute ciotole, anfore e catini di grandi dimensioni;vasi decorati a incisione, che secondo Giorgio

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William J. Ferguson. Vedutadi Casamicciola.

Villa Bellavista.

Bagni di Casamicciola.

Casamicciola.

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dagli scavi e gli studi del grande Giorgio Buchner,del prete-archeologo don Pietro Monti e di DavidRidgway. Esperti dell’arte figulina, i Greci sfrutta-rono i giacimenti argillosi dell’isola, dando vita aduna fiorente industria vasaria. La produzione in unprimo tempo ripeteva le forme euboiche, poi siarricchì fino a creare vasi tipicamente pithecusani.Si specializzarono anche come modellatori del fer-ro, importato dall’isola d’Elba, e si dimostraronoabili nella lavorazione degli oggetti preziosi. Gliscavi archeologici, eseguiti alle falde di Monte diVico hanno anche messo in luce un tempio di etàrepubblicana ed una palestra recintata da parapettiin opus reticulatum, segni d’un villaggio romano delI secolo a. C. Il complesso, detto Eraclius, era ilcentro di vita del villaggio. Un insieme di repertifanno pensare alla presenza di una comunità cri-stiana, pronta ad accogliere la salma di Santa Resti-tuta, la martire cartaginese che, secondo un raccon-to dell’XI secolo, fu sepolta “in loco qui diciturEraclius”: la Santa è l’altra patrona dell’isola d’I-

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LACCO AMENOIl più piccolo per superficie tra i Comuni isolani

si distende sulla sottile striscia di costa punteggiatadal notissimo scoglio tufaceo dalla forma di un Fun-go, ed è uno degli approdi ideali per la piccola nau-tica, per i boat delle gite turistiche via mare e i goz-zi dei pescatori. Lacco Ameno divenne la perla del-le vacanze d’élite per merito di Angelo Rizzoli, valo-rizzatore su scala mondiale di una ricchezza terma-le che resta il cuore pulsante degli alberghi di pre-stigio della zona. Il toponimo deriva da laccos, con-ca, avvallamento. La cittadina è legata indissolubil-mente a quanto accadde verso la metà dell’VIIIsecolo a.C., quando i Greci provenienti da Calcidee da Eretria, importanti centri dell’isola Eubea,sbarcarono, fondandovi Pithekoussai. Scelsero ilpromontorio di Monte di Vico, facile da difendere,e con una superficie piuttosto pianeggiante cherisultò adatta a farvi sorgere l’acropoli. Si sviluppa-rono poi la necropoli nella valle di San Montano, unquartiere metallurgico a Mazzola sulla collina diMezzavia e gli approdi. Il sito fu individuato dalsacerdote e fisico di Lacco Ameno, Francesco DeSiano (1740-1813), le cui tesi sono state confermate

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Il caratteristico “Fungo”sul lungomare di LaccoAmeno.

La spiaggia del parcotermale Negombo.

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“Scavi e Museo Santa Restituta”, voluti sempre dadon Monti: sono un esempio di aree di scavo diven-tate entità museali autonome. Un affascinantemuseo sotterraneo. Gli scavi mostrano le traccelasciate dall’uomo nell’intrecciato succedersi delleculture del passato: è uno spaccato visivo della sto-ria isolana, dalla preistoria al periodo greco-elleni-stico-romano fino alle testimonianze del primo cri-stianesimo sull’isola.

Dagli scavi di Santa Restituta al Museo archeolo-gico di Villa Arbusto, il passaggio è obbligato. Gra-zie a questa struttura, la mitica “Alba della MagnaGrecia” è diventata una testimonianza visibile. Ilmuseo è suddiviso in sale tematiche che vanno dal-la Preistoria (Neolitico medio superiore, Età delBronzo), alla Preistoria (Età del Ferro); poi la colo-nia greca di Pithecusae e la necropoli; dal VI al IVsecolo a. C. e in età ellenistica; infine Ischia in etàromana. Le sale contengono i più significativireperti dell’insediamento fondato dai Greci. Lepopolazioni dell’Italia centrale mutuarono propriodai Greci pitecusani l’alfabeto, come testimonia l’e-pigramma in tre versi inciso dopo la cottura su unafamosa tazza che allude, in euboico, alla celebreCoppa di Nestore descritta nell’Iliade. Squarci diun’epoca di traffici intensi e di un’importanza poli-tica forte che cominciò a declinare solo dopo lo svi-luppo di Cuma.

Nella piccola Lacco Ameno, passando dal lungo-mare Angelo Rizzoli, ai dolci pendii collinari, sirespira un’atmosfera nobile e popolare insieme,spostandosi fino alla frazione di Fango, con la chie-sa di San Giuseppe. Tornando verso la costa, infine,non si può sfuggire alla mole della Torre di Monte-vico, costruita da Alfonso I d’Aragona (XV secolo)come torre di avvistamento e di difesa contro leincursioni saracene.

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schia. La festa religiosa, si svolge nel mese di mag-gio, dal 16 al 18. Per le strade, bancarelle e lucicolorate, rinnovano un rituale antico che ha il suoclou il primo giorno, quando, nella baia di SanMontano, si organizza la rappresentazione del mar-tirio e dell’approdo della Santa a Lacco Ameno.

Il cuore di Lacco Ameno è appunto la piazza San-ta Restituta che ospita eventi estivi di grande respi-ro, ai quali partecipano personaggi dello spettacolodi grande notorietà. La piazza, in ogni caso, daitempi remoti, conserva una fortissima peculiaritàreligiosa, ben evidenziata dalla singolare vicendadei templi che vi sono stati costruiti e dal percorsospirituale e intellettuale di don Pietro Monti, il pre-te-archeologo, che ha contribuito a svelare i segretidel passato. Il Santuario di Santa Restituta si distin-gue per una chiesa cosiddetta “grande”, costruitadai Carmelitani con l’annesso convento; e la chie-setta e la basilichetta ricavata da un edificio roma-no. Nel complesso del Santuario ci sono anche gli

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La coppa di Nestore.Villa Arbusto.

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FORIO D’ISCHIAPalazzi, vicoli, contrade, monumenti come i Tor-

rioni, e scorci architettonici, contribuiscono a con-ferire al flos, il fiore dell’isola, Forio, una inconfon-dibile identità. Buen retiro di artisti e intellettualiprovenienti da ogni parte del mondo, da W. H.Auden a Visconti, da Moravia a Capote, da Waltona tanti altri, il più ampio territorio comunale isola-no è stato considerato per decenni come un salottomultilingue che aveva il suo “centro di attrazionefatale” tra i tavoli del mitico Bar Internazionale diMaria. Geograficamente, scivola dall’Epomeo allesabbie di Citara, fino a San Francesco, e s’incuneanei quartieri di Santa Maria al Monte, Monterone,Cierco, San Vito, Soccorso con i loro luoghi di cul-to, come la Basilica pontificia di Santa Maria diLoreto, l’Arciconfraternita di Santa Maria delleGrazie, la Chiesa di Santa Maria della Neve, laChiesa di San Carlo Borromeo ed altre. Luoghi checonservano molteplici segreti da scoprire, fin dalcentro storico, la piazzetta Luca Balsofiore con laChiesa di San Gaetano, con una facciata tipica del-

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Ad un tavolo del mitico BarMaria in una foto degli anniSessanta.

Chiesa del Soccorso.

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Dalla via dello shopping e dello struscio, il cuorepulsante della cittadina, ci si inoltra verso il pro-montorio del Soccorso. Sulla piazza del Municipiodue chiese: San Francesco di Assisi, con l’anticoconvento (oggi è la sede del palazzo comunale), el’Arciconfraternita di Santa Maria Visitapoveri. Nelchiostro del convento vi sono i resti di pitture raffi-guranti episodi della vita di San Francesco e deisuoi primi seguaci, opera del pittore napoletanoFilippo Baldi. La confraternita e la chiesa furonofondate verso il 1614 e costituirono il centro diun’intensa attività spirituale e di culto verso laMadonna delle Grazie. L’architettura presenta unacaratteristica propria nella duplice facciata: quella

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le chiese locali e la cupola che caratterizza il pano-rama. Pochi metri dopo, ecco una vera e propriapinacoteca: la Basilica Pontificia di Santa Maria diLoreto che, con l’annesso antico ospedale e l’orato-rio dell’Assunta, appartiene all’Arciconfraternita diSanta Maria di Loreto. Considerata il centro dellaspiritualità mariana, ha avuto origine, secondo latradizione, nel secolo XIV. Nel corso dei secoli èstata il centro di una intensa attività benefica che sirealizzava attraverso forme di assistenza e con lagestione dell’ospedale, fondato nel 1596. La vene-razione speciale è rivolta soprattutto alla Madonnadi Loreto la cui icona è collocata in fondo all’absi-de su un trono di marmo.

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Chiesa di San Gaetano. Chiesa del Soccorso.

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L’opera più importante conservata è proprio la sta-tua di San Vito, in argento e rame dorato del 1787,opera degli orefici napoletani Del Giudice, su boz-zetto dello scultore Giuseppe Sanmartino. La festareligiosa di San Vito si celebra dal 14 al 17 giugnoed è caratterizzata da momenti intensi sia dal puntodi vista della fede che del folclore, tra messe, pro-cessioni (anche via mare) e concerti bandistici, inun coinvolgente scenario di bancarelle e giostre,oltre che di spettacolari fuochi artificiali. TuttaForio è coinvolta e invasa da migliaia di turisti,curiosi e fedeli.

La via Gaetano Morgera, già via Cierco, ospitainvece la Chiesa di San Carlo Borromeo, un capola-voro architettonico fatto costruire dai fratelli Spor-tiello nel 1620. La chiesa è a croce latina con unasola navata ed è singolare per l’uso del tufo verdelocale, abituale materiale di costruzione per le abi-tazioni, qui utilizzato per il portale esterno, gliarchi, il cornicione; i pilastri, le basi delle lesene e ilrivestimento di alcune cappelle che presentano unamezza valva di conchiglia realizzata con un soloblocco di tufo. Meraviglioso. Tutte le opere pittori-che sono opera del pittore foriano Cesare Calise.Senza dimenticare l’importanza del borgo di Mon-terone, e della zona panoramica, sull’altro versante,di San Francesco, non si può sfuggire all’arrampi-cata che conduce quasi alle pendici dell’Epomeo.Qui, ad oltre quattrocento metri sul livello delmare, spicca la Chiesa di Santa Maria al Monte, fon-data dalla famiglia Sportiello nel 1596: è proprio alculmine di un percorso immerso in un habitat affa-scinante, ideale per gli appassionati di trekking. Daquesto strategico punto di partenza, si può sceglie-re tra un’escursione ai Frassitelli, la terra del vinobianco, o dirigersi al Bianchetto, per raggiungere ilbosco della Falanga, un’oasi di macchia e castagne-

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della chiesa e quella che chiude il cortile. La chiesapresenta una “summa” del pittore Alfonso Di Spi-gna. Pochi passi verso il mare ed ecco la Chiesa delSoccorso, dedicata a Santa Maria della neve, unadelle cartoline più belle d’Italia per la sua tipica fac-ciata. Il sagrato, parte delle pareti laterali, sono rive-stiti di maioliche con motivi ornamentali, scene del-la passione di Gesù e vari Santi che risalgono alsecolo XVIII.

Sul piazzale antistante, il venerdì santo, si con-clude la processione sacra dell’Actus Tragicus, rap-presentazione in stile teatrale di rara intensità, chevede protagonisti veri e propri attori in costume.Prelude alle manifestazioni della settimana santa,che culminano con il cosiddetto Volo dell’Angelonel giorno di Pasqua.

Sul versante collinare si incontrano scorci di rarasuggestione ed ancora templi religiosi importantiper le loro caratteristiche storico-culturali. Da nonperdere la chiesa madre del paese dedicata al patro-no San Vito, elevata al titolo di Basilica Pontificia.Le sue origini sono antiche: un documento del 1306rivendica ai Foriani il diritto di patronato sulla chie-sa che essi detenevano già da epoca precedente.

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La Chiesa di Santa Maria sul MonteEpomeo in una foto d’epoca.

Giardini termali.

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miscela con quella del mare) e verso Sant’Angelo.Al centro dell’abitato, sull’alto di una gradinata conampio cortile, c’è la Chiesa parrocchiale di San Leo-nardo Abate. La sua esistenza è documentata giànel 1536.

Ma una escursione nel territorio di Forio imponeanche una tappa a Villa La Mortella, nel bosco diZaro, dove si svolge una lunga stagione concertisti-ca durante tutti i weekend da aprile a settembre, econosciuta anche come Villa Walton, con il suo stu-pendo giardino, già considerato il più bel parco d’I-talia, alcuni anni fa. Sir William Walton, grandemusicista inglese, con la moglie Susana si stabilì nel1956 a Ischia, e decise di costruire la sua dimoracon uno splendido giardino nella zona vulcanica diMonte Zaro. Un luogo denso di magnetismo e sug-gestioni. Progettato dal paesaggista Russel Page, ilgiardino ospita oltre 3000 piante rare. Lady Susanasi spostò dall’Argentina in Europa nel 1948, anno incui sposò William: entrambi, insieme al trio dei fra-telli Sitwell, parteciparono a una delle stagioni piùsignificative del Novecento inglese. Il giardino eso-tico, per quel gruppo, era la “summa” del pensieroestetico, interpretato poi dal genio di Page. Il giar-dino è progressivo, ed i microclimi costituiscono ilsuo segreto, in un trionfo di biologia e tecnologia.Una ampia serra tropicale ospita la più grande nin-fea del mondo, la Victoria Amazonica, che presentafiori larghi fino a 40 centimetri e foglie-vassoio daldiametro che raggiunge anche i due metri e mezzo.Non lontano dalla Mortella, sempre nel bosco diZaro, è possibile visitare la Colombaia, villa sugge-stiva, con un notevole giardino, di cui fu proprieta-rio il grande regista di cinema e teatro LuchinoVisconti, che qui decise di farsi tumulare.

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ti, misteriosa e avvolgente, con le sue case di pietra,cantine e antichi ricoveri dei pionieri contadini del-la zona, tra le quali spuntano le «neviere», le fosseper la conservazione della neve, riconoscibili dallefelci tropicali che vi hanno attecchito lungo i muri asecco di contenimento. Lo scenario è unico. Natu-ralmente, da qui, la via che conduce alla vetta del-l’Epomeo è una traccia da sogno. Dall’alto si domi-nano le baie, come quella splendida di Citara, conla teoria di arenili fino a Cava dell’Isola e oltre, dal-la Chiaia a San Francesco; e, ovviamente, gli abitatiperiferici, come la popolosa frazione di Panza, pun-to di riferimento per le escursioni verso Sorgeto, laminuscola baia marina e termale (le sorgenti caldesgorgano tra gli scogli: l’acqua delle sorgenti si

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Giardini La Mortella.

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luogo del cuore, in tutti i sensi, ed è il centro turi-stico principale del Comune, anche per le sue carat-teristiche geografiche intrise di storia, e legate inmodo speciale alle vicende dell’istmo alto 106 metriche si congiunge al paese con una striscia di sabbialunga 119 metri. Lassù c’era un mini monastero. Inseguito vi fu costruita una torre di vedetta, dellaquale si vede ancora la parte inferiore e che fudistrutta dalle cannonate nel 1809.

Vi si celebra la festa di San Michele Arcangelo,durante la settimana che include il 29 Settembre(quando si celebrano i Santi Arcangeli). La kermes-se è coinvolgente per una serie di particolarità,caratterizzate non solo dalla banda musicale ma,soprattutto da una affascinante processione permare, con l’imbarco nel porticciolo dei pescatori: sifa rotta verso punta Chiarito e poi verso la baia deiMaronti, in un contesto di fuochi d’artificio che si

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SERRARA FONTANAIl clima è quello dell’alta collina, un po’ conti-

nentale, se si resta in vetta al Monte Epomeo, lacima dell’isola (788 metri), che è diventato ormai ilconsolidato punto d’arrivo di un’escursione tra lepiù belle della Campania. Calanchi scoscesi, orti evigneti eroici, boschi e radure sono gli aspetti tipicidel territorio. È diviso nelle due frazioni principalidi Serrara e Fontana, ed è punteggiato da toponimicome Kalimera e Noia, villaggi di chiara improntagreca, ed ancora avvolti nel mistero per i residui diun dialetto misto-ellenico tuttora in uso; poi ilCiglio e Succhivo, con le loro immancabili chieset-te bianche; e infine, l’istmo di Sant’Angelo, l’oasipedonale col porticciolo frequentato dai vip e dayachtmen di ogni nazionalità, le sue scalinatelle estradine che avvolgono il borgo. Sant’Angelo è un

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L’istmo di Sant’Angelo. Il centro turistico di Sant’Angelo.

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neggia sull’altare. Procedendo in salita, verso Fon-tana, a metà strada, spunta il villaggio di Kalimera(dal greco: “bel giorno”) e, non lontano, quello diNoia, altro nome di chiarissima etimologia greca(significherebbe “luogo alto - terra di sopra”), chenasconde alle spalle il sito di un antichissimo luogoabitato. Comunque quell’eredità greca è rimastaper secoli con tracce evidenti nel dialetto locale,come si è ricordato prima. In questa zona, va detto,è stata trovata una notevole quantità di reperti fitti-li che vanno dal III secolo a.C. all’VIII d.C. Fonta-na è un antico villaggio medioevale del quale si par-la già nei Registri Angioini del 1270 e in un monu-mento marmoreo del 1374 del vescovo Bussolaro,proveniente dalle fabbriche fatte da questo costrui-re a Noia. Da questo punto,l’emozione si moltiplicapuntando gli occhi allacima dell’Epomeo con l’e-remo di San Nicola, rag-giungibile tra itinerari difenomenale bellezza a piedio a dorso di mulo. La vettaè un enorme masso di tufoverde nel quale sono scava-ti i locali dell’ex eremo e lachiesetta dedicata SanNicola di Bari. La presenzadell’eremo e della chiesarisale al secolo XV, ma ebbeun momento di grande fer-vore nel corso del secoloXVIII, quando vi soggior-narono alcuni eremiti famosi, come fra’ Giorgio ilBavaro e il governatore dell’isola Giuseppe d’Ar-gouth di origine fiamminga: sono rimasti qui finoalla seconda guerra mondiale.

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prolungano senza soluzione di continuità fino allospettacolo finale, notturno, in un rincorrersi di sug-gestioni uniche.

Verso Succhivo e le zone interne, s’incontra laChiesa della Madonna di Montevergine, fondatanel 1684 dalla famiglia Mattera. Nel XVIII secolo,per alcuni anni, fu custodita da un eremita. A Ser-rara la sosta tradizionale è quella intorno alla balco-nata che si apre al panorama marino e costiero chedomina l’istmo santangiolese, e si rivolge alle isolepontine ad occidente ed a Capri, verso sud-est. Neipressi c’è la Chiesa parrocchiale di Maria SS. delCarmine: si compone di due navate. Quella didestra non è che l’antica cappella di San Pasquale,fondata da Natale Iacono nel 1733. Oggi costituiscela cappella di San Vincenzo Ferreri (il suo culto quiè molto avvertito), la cui immagine ovviamente tro-

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Vedute di Sant’Angelo.

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Giugno si celebra la festa di San Giovanni Battista,patrono del borgo: sul sagrato della chiesa vieneeseguita la più nota danza del folclore ischitano, la‘Ndrezzata, un ballo caldo e ritmato, molto caratte-ristico e denso di significati simbolici, che si svolgeanche il lunedì dopo Pasqua.

Partendo da sud, da Testaccio, a sud, si domina lasplendida baia marontiana. La piazza ospita ilmonumento a San Giorgio, santo patrono dellalocalità, con la lapide che ricorda l’opera del gene-rale Giorgio Carafa, di origine greca che, nel 1763,a proprie spese, fece costruire la strada che condu-ce appunto al litorale dei Maronti. Non lontano,verso la collina, c’è la Chiesa della Madonna delleGrazie fondata nel 1748 dal sacerdote AnielloNobilione. Oltrepassata la chiesa, si scorge l’anticaTorre della famiglia Siniscalchi e la Chiesa parroc-chiale di San Giorgio, molto antica, di cui si hannonotizie a partire dal secolo XVI. Il culto di SanGiorgio è documentato già dal secolo XIV: del restoè venerato come patrono minore dell’isola. Non va

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BARANO D’ISCHIAPer estensione, è il secondo Comune dell’isola e

conserva una fisionomia agricola di fascino indiscu-tibile. Ha uno sviluppo collinare che digrada versoil mare sul versante meridionale, dove si apre la baiadei Maronti, polo turistico molto importante. Oltreal capoluogo, l’itinerario tra gli agglomerati internioffre opportunità di escursioni e trekking, tra canti-ne, case dal tetto “a botte” e segni eloquenti dellacultura contadina, da Chiummano allo Schiappone,dalla Molara a Testaccio. A Buonopane, la sorgentedi Nitrodi, conosciuta già nel primo secolo avantiCristo per le sue proprietà miracolose, è una tappairrinunciabile per i vacanzieri del benessere, comela fonte di Buceto, a Fiaiano, tra boschi e pinete.Proprio a Buonopane, l’antica Moropano, il 24

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Belvedere di Barano.

La spiaggia dei Maronti.

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Visitando invece il centro di Barano, il capoluo-go, s’incontrano la Chiesa parrocchiale di san Seba-stiano Martire, eretta forse alla fine del secolo XVI,e la chiesa di San Rocco, restaurata di recente. Sulfronte opposto del territorio comunale, non biso-gna tralasciare il Santuario dello Schiappone, dedi-cato alla Natività della Madonna, un antico eremi-taggio fondato nel secolo XVII dalla famiglia Sini-scalchi. La chiesa, all’inizio del secolo XIX, fudecorata da stucchi da Domenico Savino, mentrel’altare e la balaustra di marmo sono del secoloXVIII. Da qui, altra tappa essenziale, non solo deipellegrini che lo frequentano durante il mese dimaggio, è il promontorio di San Pancrazio con lacappellina dedicata al santo che ha dato il nome alluogo: si affaccia su uno scenario naturale davverostraordinario di costa scoscesa e macchia mediter-ranea.

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dimenticato che, grazie all’archivio parrocchiale,sono state tramandate preziose informazioni stori-che sull’invasione dell’isola d’Ischia, ad opera dalcorsaro turco di origine greca Khair ad-Dîn, detto ilBarbarossa nel 1536 e, soprattutto, nel 1544; non-ché il numero dei prigionieri che portò via per esse-re venduti schiavi in Algeria.

Costeggiando le Pianole, la pianura ancora colti-vata a mele ed alberi da frutta, ci si avvia verso il

Vatoliere, con il suo pro-fondo vallone vulcanico,il mitico “fosso”, pocodopo la chiesa di San-t’Alfonso Maria de’Liguori: da qui si puòprocedere per un trek-king fino al panorama diChiummano, a picco sulmare, e percorrere lamulattiera che conduceal bagnasciuga ciottolo-so della Scarrupata. Pro-seguendo, c’è il borgo diPiedimonte, anticamen-te Piejo, con la Chiesa diSanta Maria la Porta, un

tempo dedicata all’Immacolata. Si va poi in salita,verso la frazione di Fiaiano da dove nel 1301 sgor-gò la lava vulcanica che creò la zona dell’Arso d’I-schia. C’è una bella pineta, e poi ci inoltra nell’oasiboscosa del Cretaio con la fonte di Buceto, unadestinazione obbligata per i camminatori, grazie adun percorso attrezzato. La strada per il Cretaio, chesi apre alla veduta del golfo di Napoli, si snoda inmezzo ai castagneti fino alla suggestiva chiesettarurale del Crocifisso, costruita dalla famiglia Menganel 1731.

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La spiaggia di Fumarole, sul versante ovest dellabaia dei Maronti, è nota per i fenomeni di vulcanesimosecondario: acqua e vapori a 100 gradi raggiungono lasuperficie. Qui si conserva la tradizione di cuocere il cibodirettamente in buche scavate nell’arenile, veri e propriforni naturali. Si preparano patate, pesci, polli, uovaavvolti in cartocci legati ad una fune, infilati con atten-zione nella “bocca della fumarola” e ricoperti di sabbiabollente. Alle patate, non sbucciate, si aggiunge unrametto di rosmarino. Analogamente, le uova diventanoquasi sode, con leggero sapore sulfureo, in poche deci-ne di minuti. Molto apprezzato il pollo: tagliato in pez-zi, unito alle erbe aromatiche, in un involucro di cartaargentata, viene sistemato a 70 centimetri di profondi-tà. Dopo circa un’ora è pronto: si ritira lentamente lafune con il fagotto nascosto sotto la sabbia e si mangiacaldissimo.

Il Testaccio visto da Sant’Angelo.

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Espressione di una terra molto fertile, vocataall’agricoltura e alla viticoltura soprattutto,la gastronomia ischitana deve tutto alla for-

mula di cucinare “alla cacciatora” il coniglioruspante, che è allevato in fosse scavate nel tufo onel lapillo dei fondi rurali, e in gabbie. Viene anchecatturato nei boschi dove vive tuttora allo stato bra-do, in un contesto ambientale ricco peraltro di fun-ghi porcini straordinari, more, corbezzoli, asparagi.La ricetta è entrata negli annali dell’alta cucina. Intavola prevalgono i profumi degli aromi dell’orto eselvatici quali origano, mentuccia, rosmarino, ane-to, timo, maggiorana, ma anche le molte erbe checrescono spontanee: bietola, rughetta, melissa, bor-ragine. Antica e consolidata è l’eccellente tradizionedel pane cotto a legna che, un po’ ovunque, è pos-sibile acquistare presso i maestri fornai. Gli innu-merevoli tesori ischitani del gusto sono accompa-gnati da una millenaria produzione di vino a deno-minazione d’origine controllata da parte di nume-rose aziende che lo esportano anche in Italia e all’e-stero. La fortuna del vino è legata ad alcuni vitigninobili denominati Biancolella, Forastera (è stataintrodotta nel 1850 ed è diventata una peculiaritàdel territorio); Rilla, per i vini bianchi; Guarnacciae Per’ e palummo, variante locale del Piedirosso,per i rossi. Di rilievo, anche San Lunardo, Canna-melu e altri vitigni autoctoni, ma non mancano lecoltivazioni di Fiano, Aglianico e uve speciali utiliz-zate per produrre blend di prestigio. Da secoli,inoltre, sulle colline dell’isola si allevano capre epecore, dalle quali si ricavano latte e formaggi; edancora, buoi, cinghiali, e moltissimi maiali, grazie aiquali è stata rilanciata la produzione di insaccati. Laprevalente cultura rustica è rafforzata dalle coltiva-zioni di tutte le specie di vegetali: fagiolini di diver-

se tipologie (rari, quelli “a spaghetto”), broccoli,melanzane, zucchine, patate, carciofi, peperoni.Non mancano lenticchie, piselli, cicerchie e fagioli,questi ultimi nelle curiose e varietà denominatezampognari, maculati dal colore rosso porporino,ideali per le zuppe; tabacchini, e fascisti, piccoli,allungati e dalle sfumature bianche e nere. Il suolovulcanico favorisce la crescita dei pomodori, chesono abitualmente raccolti in grappoli ed intreccia-ti uno sull’altro per formare i caratteristici pendoli,poi conservati in luoghi areati e asciutti per l’inver-no. Trionfale, appare poi la frutta coltivata nei giar-dini: arance, limoni, mandarini, mandaranci, mele,pere, prugne, fichi, pesche, albicocche; e poi olive,dalle quali si ricava anche un ottimo olio. Diffusaanche la produzione di miele. Lungo le coste, l’atti-vità dei pescatori fornisce ogni giorno, seguendo lestagioni, una buona quantità di spigole, saraghi,pagelli, orate, rombi, merluzzi, piccoli tonni, pesceazzurro; e poi gamberi, calamari, totani e aragosteche, con i pesci meno pregiati, finiscono in tavolasecondo un ricettario semplice e saporito.

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IL CONIGLIO ALL’ISCHITANA

«Il coniglio insieme a una testa d’aglio intera, viene rosolato a tocchi nella sartana, latradizionale padella di rame. Dopo la rosolatura, viene trasferito nel “tiano”, pentola diterracotta, particolarmente indicata perché uniforma il calore della fiamma e mantienel’umidità. Si aggiungono quindi vino bianco, pomodorini e un rametto di timo. A cottu-ra ultimata, l’intingolo è insaporito con basilico eprezzemolo, mentre le interiora, in particolare‘mbrugliatelli e fegato, considerato uno dei pezzipiù pregiati, precedentemente pulite e messe abagno in acqua, limone e vino, sono cucinate (ven-gono aggiunte dopo la fase di rosolatura) avvoltenel prezzemolo. Il sugo che si ottiene al terminedella cottura è utilizzato per condire la pasta».

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Per acquistare un souvenir si va a colpo sicuro.L’abilità dei vasai di Ischia risale ad epocheremote, ed è rimasta un po’ magica questa

capacità degli artigiani e maestri locali della terra-cotta, di lavorare l’argilla con grande passione ecreatività: sono gli eredi perfetti di una passato glo-rioso, fatto di scambi e splendidi affari commercia-li, di caratura internazionale, che rievocano la civil-tà greca. Le loro botteghe si trovano proprio nelcuore di tutti i centri storici dell’isola e nei luoghistrategici del turismo dove è possibile assistere auna vera e propria gara di colori, forme e inventiva,tra vasi, piatti, formelle dai motivi floreali; maioli-che fantasiose, raffinate raffigurazioni paesaggisti-che ed oggetti preziosi che sono da considerare del-le vere opere d’arte in esposizione permanente. Untipo di artigianato che esprime il radicamento dellacultura contadina è poi quello della lavorazione aintreccio delle canne o dei rami di mortella: conquesta tecnica, in particolare a Buonopane, si rea-

lizzano ceste di varie dimensioni, gerle, contenitoridi varia misura, oggetti d’uso comune, che è possi-bile trovare soprattutto durante le manifestazionifieristiche e le diverse feste patronali che si celebra-no durante l’anno. A Forio, nel ricordo della tradi-zione della coltivazione del grano, ormai scompar-sa, è ancora possibile incontrare chi utilizza lapaglia e la rafia per creare cestini di varia misura ecuriose bambole. Non mancano, sull’isola, i negozidi ispirazione etnica, ricchi di una oggettistica viva-ce e colorata, e le botteghe dove si utilizza il legnoper dare sfogo alla fantasia artistica. Per gli amantidelle stampe antiche, a Ischia Ponte e Forio, infine,è possibile comprare pezzi da collezione.

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PROCIDA

Ah, io non chiederei di essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei di essere uno scorfano,

ch'è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell'acqua

(“L’isola di Arturo”- Elsa Morante, 1957)

“”

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Procida è la più piccola delle isole parteno-pee. Conserva un fascino autentico, cheesprime una profonda identità marinarapunteggiata da tradizioni contadine. Il suo

nome deriva da Prochyta, che significa profusa, sol-levata dalle acque ed è inserita nel contesto vulcani-co dell’area flegrea. Del resto, è possibile identifica-re ben sette crateri intorno alle sue coste che sicaratterizzano per l’alternanza di falesie e spiaggeall’interno di insenature e suggestivi golfi. I repertirinvenuti nel vicino isolotto di Vivara testimonianoche fu abitata dai Micenei a partire dal XVII e XVIsecolo avanti Cristo: epoche durante le quali diven-ne un importante crocevia per la lavorazione e lacommercializzazione dei metalli. Il passato piùrecente rievoca invece le vicende del signore e feu-datario Giovanni da Procida, noto per aver orga-nizzato i Vespri Siciliani.

Ma l’aspetto più accattivante dell’isola è attribui-to all’architettura delle abitazioni che costituisconol’anima dei suoi borghi vecchi. Le case sono colora-te, affinché fossero riconoscibili da lontano, ovvero

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Luoghi, eventi, feste

Marina Grande in unavecchia cartolina.

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ISOLA DI PROCIDA

renza. Alla sinistra della darsena c’è invece il lidodella Lingua, presa d’assalto abitualmente dai pen-dolari dei tuffi e delle nuotate che arrivano in tra-ghetto da Pozzuoli e Napoli. Si entra nel cuore del-lo struscio da via Roma, tra ristoranti, negozi e bar,e si nota un altro simbolo dell’identità, il crocifissodi legno che, dal 1845, rappresenta la testimonian-za della devozione dei marinai, a pochi passi dallapiazza di Sent’ Cò (termine dialettale che sta perSancio Cattolico), che è il polo d’attrazione per glieventi folclorici e pubblici più importanti, con lachiesa di Santa Maria della Pietà, il cui primonucleo, una cappella, è del 1616. Proseguendo lun-go il porto nuovo si può avvertire una suggestionelontana, tra i luoghi dove soggiornò Alphonse deLamartine, l’autore del romanzo Graziella, scrittonel 1852, che ha trasformato in mito globale le vir-tù delle donne isolane. Un edificio del 1786, con unalto portale, è la sede dell’Istituto tecnico nauticoFrancesco Caracciolo, il più antico d’Europa.

La zona portuale è quella che esprime, anche intermini spettacolari, l’orgoglio procidano. Questo èil teatro della Sagra del Mare che si svolge a fineluglio. Un avvenimento che, al di là degli aspetti latiludici, divertenti e sportivi, offre due momenti mol-to significativi: il lancio a mare della corona di allo-ro, e l’elezione della Graziella. La corona, dopouna messa di suffragio per quanti hanno perso lavita in mare, celebrata nella chiesa dei Marinai, vie-ne lanciata nelle acque del canale di Procida, da unamotovedetta della capitaneria di Porto. Graziella èovviamente la protagonista del capolavoro diLamartine, scritto pare in seguito al naufragio pati-to nelle acque dell’isola. Lo scrittore si innamora diuna dolce fanciulla procidana che morirà d’amorealla sua partenza per Parigi. Ma la storia esaltaanche l’amore per l’isola. L’elezione della ragazza,

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dai naviganti in mezzo al mare; e originali, quasiincastonate come un puzzle: colpiscono i viaggiato-ri fin dallo sbarco a Marina Grande, il porto com-merciale che è affiancato dall’approdo per i pesche-recci e dalla marina turistica per gli yacht e i natan-ti dei diportisti.

L’impatto visivo è immediatamente accattivante.Non a caso il grande Cesare Brandi, fondatore del-l’Istituto del restauro, esaltava questi scorci chelasciano «senza fiato», sottolineando l’«allineamen-to di case alte, di tutti colori, strette come una bar-ricata, con tante arcate chiuse a mezzo, come striz-zassero un occhio». Simbolo di un raccoglimentocruciale, di una architettura che «è mediterranea erappresenta la propaggine ancora viva, fino a pocotempo fa, dell’architettura tardo-romana e bizanti-na. Archi e volte, niente altro che archi e volte, concerte soluzioni di scale esterne che sono amabilicome un complimento». Espressioni emblematiche,che fanno da guida lungo i percorsi e gli itinerariprocidani. Dal porto lo sguardo si rivolge alla strut-tura merlata di Palazzo Montefusco, detto della Cate-na (era sistemata come barriera mobile all’ingresso,per ostacolare i più indiscreti tra i passanti), giàbuen retiro per l’estate della famiglia reale. In que-st’area, caratterizzata in passato da ricoveri scavatinel tufo per ospitarvi le barche in secca, si notano icantieri navali, segni tangibili delle attività e dellevocazioni storiche degli abitanti. Sulla destra, versooccidente, c’è la spiaggia delle Grotte o della Silu-

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La Graziella.

Alphonse de Lamartine.

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L’Istituto Nautico visto dalmare a Marina Grande.

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Si entra nel cuore antico delle architetture di Ter-ra Murata, Marina Corricella, Casale Vascello, in unrincorrersi di panorami incantevoli. Terra Murata èdi fatto la rocca procidana, ed è la splendida sintesidelle emozioni più avvolgenti, trasformate in pagineindimenticabili di letteratura da Elsa Morante,autrice de L’Isola di Arturo. Del resto proprio a lei,va ricordato, all’inizio di settembre, è dedicato ilPremio internazionale di Letteratura «Procida Iso-la di Arturo Elsa Morante», nell’ambito di una ker-messe di assoluto interesse. A Terra Murata, dun-que, si trova l’Abazia di san Michele Arcangelo, ilpatrono dell’isola. E qui ci si rifugiava quando l’iso-la era assalita dai pirati. L’Abazia è l’emblema dellastoria ed è una pinacoteca ricca di libri e testimo-nianze straordinarie del passato. Risale all’annoMille, quando ospitò una comunità Benedettina,per essere poi secolarizzata nel XV secolo: subìdevastazioni, incendi e saccheggi durante le inva-sioni. Nell’abside c’è una tela di Nicola Russo del1690 che raffigura l’affondamento della flotta deibarbari grazie all’intervento miracoloso dell’Arcan-gelo protettore, ma tutto il contesto degli ambientisottostanti, con gli oratori che appartenevano allevarie congreghe, è denso di fascino. Accanto, c’è ilCastello d’Avalos, imponente edificio del XVI seco-

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scelta per bellezza, accessori e acconciatura tra lerappresentanti delle «grancie» (quartieri), simboli-camente erede di quella Graziella ormai mitizzata,vuole perpetuare la dolcezza delle donne procidaneche, per l’occasione, indossano il costume dell’epo-ca, il vestito alla greca, con ricami d’oro, di cui esi-stono ormai pochi esemplari originali.

Folclore e cultura viaggiano insieme anche per glialtri appuntamenti di richiamo, quale il percorso diProcida Portoni Aperti, in agosto con la visita agliandroni dei palazzi storici isolani, animati da varieiniziative artigianali, culturali e musicali.

Ci si inoltra nel centro antico, in via VittorioEmanuele II, passando per la chiesa dedicata a sanLeonardo (fine secolo XVI), che era il patrono deglischiavi, ovvero degli abitanti dell’isola catturati ingran numero durante le invasioni barbaresche.

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Terra Murata.

Piazza dei Martiri.

S. Michele Arcangelo.

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Terra Murata vengono portati, a braccia, dai giova-ni isolani, i cosiddetti Misteri, ovvero tavole icono-grafiche rappresentanti gli episodi della vita e dellamorte del Cristo. Queste tavole sono costruite, dianno in anno, dai ragazzi di Procida nei portoni deipalazzi antichi che, così, nel periodo pasquale,diventano un vero e proprio laboratorio d’artigia-nato artistico. I Misteri, dopo essere stati preparati,sono trasferiti a Terra Murata nella notte del giove-dì santo. Durante la stessa sera ha luogo la Proces-sione dei dodici Apostoli incappucciati che visitanoi cosiddetti Sepolcri, allestiti nelle otto parrocchieprocidane. Va sottolineato che questa processione èorganizzata dalla Confraternita dei Bianchi, mentrequella del venerdì santo è opera della Confraternitadei Turchini. Oltre ai Misteri, nel venerdì santo, vie-ne portata, sempre a spalla, una statua lignea raffi-gurante il Cristo Morto, opera dello scultore napo-letano Carmine Lantriceni, nel 1724, insieme adaltri simboli funebri. I partecipanti indossano tuttiuna veste bianca e una mantellina turchina. Un sen-so di grande commozione, alimentato dalle marcedella banda cittadina, si insinua tra le migliaia dipersone (moltissimi i turisti) assiepate lungo le stra-de per assistere al rito. L’isola è coinvolta completa-mente nella processione alla quale partecipanoanche i piccoli in tenera età che, in braccia ai loropapà, con un vestitino nero, ricamato in oro zecchi-no, rappresentano gli angioletti in lutto.

La Corricella (dal greco: kora kalè, «il luogo bel-lo»), è uno dei set preferiti dai registi che scelgonoProcida per ambientarvi le scene di un film: è unvillaggio di pescatori, ma anche un punto d’appro-do per la nautica e, soprattutto, una location per-fetta dell’accoglienza, con i suoi ristoranti e nego-zietti. Le case, tutte aggrappate tra loro, evocanouna dimensione presepiale, con vefi (terrazze), sca-

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lo, conosciuto anche come Palazzo Reale: durante ilregno borbonico fu adibito a residenza del sovrano.Il re arrivava a Procida, che era un dei tanti siti rea-li di caccia, per catturare i fagiani. Nel 1800 ilCastello venne modificato e adibito a Casa Penale.Il carcere è stato chiuso nel 1986. Al Casale Vascel-lo si arriva da Piazza dei Martiri, dove furonoimpiccati i patrioti che avevano aderito alla Repub-blica Napoletana del 1799, ed è un’ampia cortecompletamente cinta dalla schiera di abitazioni sutre livelli. Fu il primo nucleo edilizio edificato ad difuori del borgo medievale di Terra Murata, ed èdatabile intorno alla fine del XVI secolo.

Dalla Piazza d’Armi nel giorno del venerdì santoparte la Processione dei Misteri o del Cristo Mor-to l’evento più avvincente e rappresentativo delprofondo legame di Procida alla cultura religiosa.La Processione si svolge all’alba del venerdì. Da

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Il Castello d’Avalos. Processione del Venerdì Santo.

Processione del Venerdì Santo.

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dipartono le discese affiancate da limoneti stupefa-centi. Sulla destra, altrettanto interessanti, ancorchéprivi dei camminamenti diretti sulla baia dellaChiaia, ci sono palazzo Scotti Lachianca dettoanche Mamozio (così come è definito popolarmen-te il mascherone ornamentale del portone); Para-scandola, Esposito, Figoli, e altri. Dopo la chiesettadi san Vincenzo (1571) c’è un’altra stradina checonduce al lido, la via dei Bagni: più avanti ci sonoi Giardini di Elsa, Parco Letterario dedicato a ElsaMorante che qui scrisse il suo romanzo che ha tra-sformato Procida nell’isola di Arturo. Tra abitazio-ni residenziali e altri palazzi (il Manzo è del 1865) siarriva alla chiesa di Sant’Antonio Abate (secoloXVII), all’inizio di via Cavour da cui ci si può orien-tare verso la torre dei De Jorio oppure inoltrarsiverso gli spazi fertili, tra campi e vigneti, della loca-lità Starza, fino a percorrere i sentieri che conduco-no a Punta Pioppeto con il suo faro, acceso dal lon-tano 1849. A ritroso, si possono scoprire ulterioriscorci di campagna, fino a Punta Cottimo, per giun-gere alla Torre di difesa aragonese, una delle tre fat-te costruire nel XVI secolo dal viceré di Napoli donPietro da Toledo.

Attraversando ancora vigneti e frutteti si giungeal culmine della collina da dove si gode il panoramadell’insenatura del Pozzo Vecchio (uno dei crateriantichi), con la spiaggetta detta ora «Spiaggia delPostino», dopo le scene girate nel film di MassimoTroisi, sovrastata dal piccolo cimitero, e chiusa asud da Punta Serra, oltre la quale si distende il lito-rale di Ciraccio. Questo si conclude con una stri-scia, una lingua di terra che lega l’isola al promon-torio di Santa Margherita che fa da sfondo al borgodella Chiaiolella. Ed è da qui che si «salta» sull’iso-lotto di Vivara (o Vivaro) risorsa ambientale, cultu-rale e turistica di valenza internazionale che, dal

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le e ballatoi comuni. Vi si accede attraverso ampiscaloni o strette scalinate come la caratteristica«Grariata scura», situata a Callìa (altro toponimo dimatrice greca che allude alla bellezza); poi la Gra-dinata larga e la Gradinata del Pennino, la più fre-quentata, di fronte alla chiesetta di san Rocco (XVsecolo). In un vortice di strettoie, sono segni viariche rappresentano una delle dimensioni della mobi-lità isolana: dai centri, si snodano percorsi e scaleche conducono tutte sulla fascia costiera. Alla Cor-ricella, che è un’oasi pedonale, tra i ritmi lenti mari-nareschi e le visioni monumentali e paesaggistiche,con l’eco dei pescatori che lavorano le reti, si restaabbagliati da una luce naturale davvero unica, spe-ciale.

Da via san Rocco, per Callia, si giunge alla viaMarcello Scotti, erudito e sacerdote che fu vittimadella reazione borbonica del 1799. Il contesto,quindi, da via Vittorio Emanuele a Piazza Olmo, èformato sulla sinistra da palazzi con bellissimi cor-tili interni e giardini, insediamenti dei notabili diepoca settecentesca e degli inizi dell’Ottocento,quali Minichini, Romeo, Miramare o Scotto diPagliara, e altri che dominano il mare e la spiaggiadella Chiaia, verso la quale - da un belvedere - si

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La Corricella.

Chiaiolella

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ospiti hanno acquistato per trasferirsi d’estate. Dal-la marina ci si può addentrare in via Simone Schia-no dove c’è villa Chiaiozza, fatta costruire nell’im-mediato dopoguerra dal console inglese M. Went-worty Gurney in stile neoclassico; oppure di nuovoverso il cuore di Procida alla ricerca di ulteriori sor-prese, percorrendo via Giovanni da Procida e i sen-tieri alternativi, in un gioco di ricerca che può ave-re come punto di riferimento Piazza Olmo. Si arri-va alla zona delle «parùle», terreni un tempo palu-dosi irrigati con l’impiego di caratteristiche norie,che estraevano l’acqua dai pozzi artesiani. Così, davia monsignor Dom. Scotto Pagliara, si giunge allachiesa di sant’Antonio di Padova fondata nel 1635da Scipione e Giacomo Cacciuttolo, poi per via IVNovembre fino allapunta di Pizzàco,dove sulla via Raiac’è la casa dove abi-tò Cesare Brandi,che è stata pureidentificata comel’abitazione dellaGraziella di Lamar-tine. Dallo spiazzodella chiesa si vaavanti fino a unatappa d’obbligo, ilmaestoso palazzoGuarracino giàcasino di caccia deiBorbone: costruitosu due piani, coninterni che presentano stucchi ed elementi decora-tivi piuttosto raffinati, domina la Cala del Carbonioin località Centane, con il suo belvedere sula maresud-occidentale.

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1956, è attaccata a Procida grazie a un piccolo pon-te, costruito dalla Cassa del Mezzogiorno per soste-nere le tubazioni dell’acquedotto che fornisce l’ac-qua potabile all’isola d’Ischia, proveniente dallasorgente continentale del Serino. Per accoglieredegnamente la principessa Maria Josè, moglie di reUmberto di Savoia, era stata invece costruita unascala di accesso, che in origine era un canalone. Con34 ettari di superficie, tre chilometri di sviluppocostiero, Vivara con la sua macchia fittissima di flo-ra e fauna protetta, è stata istituita quale RiservaNaturale dello Stato, ed è un vero e proprio labora-torio della Natura. Vi sono stati censiti 800 biotopifloristici, mentre sono alcune centinaia le specie diuccelli di passo e stanziali, in un ambito archeologi-co importante, visto che vi sono reperti miceneiscoperti nella zona di Punta D’Alaca e nel prospi-ciente braccio di mare del golfo del Genito.

Alla Chiaiolella, da decenni marina turistica del-l’isola, con un porticciolo altamente attrezzato peril diportismo nautico (non mancano alberghi eristoranti), lungo la salita verso Punta Solchiaro, sitrovano ancora piccole case di pescatori che molti

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Il porto turistico della Chiaiolella.

L’isolotto di Vivara .

L’isolotto di Vivara e ilponte d’accesso dalpromontorio di SantaMargherita.

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LIMONE AL PIATTO

Si tritano l’aglio, la men-ta e il peperoncino, e siversano in un piatto,dove, insieme ai limonisbucciati e tagliati a pez-zi, c’è una piccola quanti-tà d’acqua. Si condiscecon olio e sale. In molti non conoscono questa zuppa, ma èuna vera bandiera gastronomica, profumatissima e coloratadell’isola di Procida.

Gusto jISOLA DI PROCIDA

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Ovviamente il pesce, in tutte le opzioni,meglio se «povero» (ovvero la saporitissima«mazzamma», il pesce minuto di paranza),

ma comunque per tutti i gusti, e per tutte le tasche,è il piatto che eccelle in una cucina semplice, sem-pre accompagnata da vinelli locali, bianchi e rossi(Aglianico in prevalenza), tuttora prodotti in ver-sione domestica e familiare. A Procida ci sono unadecina di pescherecci che, ogni giorno, scaricanonell’isola diversi quintali di pescato: alici, polpi epregiatissime mazzancolle, orate, spigole, frutti dimare, crostacei e moltissime altre tipologie e varie-tà. Il ricettario è molto variegato, ed evoca curiosetradizioni. In tempi di miseria, quando non ci sipoteva permettere neppure l’acquisto dei pescettipiù modesti, fu inventato un piatto emblematico, il«pesce fjiuto», ovvero una zuppa di pesce dallaquale il pesce «fugge» dalla pentola: aglio, prezze-molo, pomodorino, olio, e tanto peperoncino che simettono a bollire e poi si versano sul pane raffermo.Quasi a dire: «acqua calda con desiderio di pesce!».Altra ricetta tipica è il limone al piatto, conosciutacome «insalata di limone» che in realtà è una zuppapreparata con i limoni procidani (grossi come melo-

ni e con un alpedo molto spesso), che sintetizza labontà fenomenale degli agrumi locali, ai quali siinneggia anche con la produzione di liquori e di unottimo limoncello. La carne non manca, ed èsoprattutto quella del pollame ruspante e del coni-glio, che si prepara nel giorno difesta. Gli ortaggi e le verduredelle famose «parùle» trovanouna sintesi ideale nella «bobba»,una minestra a base di melanza-ne, zucchine, patate, zucchettadel prete e basilico. Ma le ver-dure finiscono anche nell’im-bottitura delle pizze, come quel-la di scarole e carciofi. Proprio icarciofi sono a dir poco eccezio-nali, e rappresentano il cibo del-la quaresima e della settimanasanta. In parallelo la parmigianadi melanzane tocca livelli diassoluta squisitezza. Tra i dolci,caratteristica (anche se d’impor-tazione) di Procida è la cosid-detta «Lingua», preparata con lapasta sfoglia e la crema.

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C’è un “frutto” del mare, non troppo conosciuto, che - proprio per la sua definizione -sembra piuttosto un prodotto della terra. È la carnummola: non somiglia affatto a unacozza o a una vongola, è conosciuta come “limone di mare” o “uovo di mare”, ha peròla forma di un grosso tartufo nero, e vive aggrappato alle rocce sommerse, anche lungole coste procidane. Le carnummole sono ricche di acido fenico e di potassio e, per que-sto, sono considerate un leggendario e potentissimo afrodisiaco. I pescatori di solito lemangiano appena pescate, aperte, con l’aggiunta di qualche goccia di limone. Ma a Pro-cida è diffusa una ricetta che le abbina alla pasta. Si possono fare macerare per due gior-ni nel frigo condite con aglio, prezzemolo, menta, peperoncino, olio e sale: il tutto deveessere pestato, possibilmente nel “murtieddu”, il mortaio. Poi, a freddo, si mescola congli spaghetti.

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Il gigantesco limone di Procida, acquistato sulcarrettino dell’ambulante, è il souvenir più gra-devole. Non mancano i laboratori di ceramica, e

quelli dove si lavorano le pietre dure policrome. Mal’isola nel suo insieme esprime non pochi tesorettidell’artigianato. Alcuni dei quali vantano un radica-mento profondo nella cultura locale, come i segnidelicati dei merletti e dei ricami attraversano i qua-li si identificavano i corredi delle spose: sono sem-pre conservati gelosamente nei mobili a cassettoni,e racchiudono la memoria di una tradizione semprepiù rara. Del resto ogni ricamo ha una storia eriproduce una «appartenenza» irrinunciabile. Ingenere, poi, ci sono le tecniche della maglia e del-l’uncinetto che sono ancora oggi molto diffuse,dopo essere state utilizzate a lungo per la produzio-ne di capi d’abbigliamento e di biancheria per lacasa. In particolare c’è usa l’uncinetto per realizza-re orecchini di vari di modelli e molteplici colori,

con filo e cotoni pregiati, impreziositi da accurateapplicazioni di bigiotteria: oggetti originali, la cuifama ha trovato ampio spazio su magazine e rivistespecializzate. Una forma d’arte che si collega inqualche modo anche a quella dell’intreccio dellereti, evidente nelle velocissime pratiche quotidianedei pescatori, ed al lavoro dei vimini e della paglia,nelle zone di campagna. Ma sull’isola c’è anche unaproduzione vasta e varia, di ceramica dai colorisolari e marini dell’arancio, del blu e del giallo: taz-ze, bicchieri, mestoli, piatti, brocche. E ci son o arti-giani che preparano complementi d’arredo tra lam-padari e vasi, orologi e piatti di sicuro effetto, por-taombrelli, portacandele, orologi, piatti murali, epoi centrotavola, cesti e borse intrecciate, bamboledi porcellana e così via.

Shopping Orecchini realizzati con l’uncinetto.

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Finito di stampare nel mese di maggio 2010per conto della Massa Editore s.r.l. - Napoli