Bulgarian Gender Research Foundation · 2017-11-23 · LA NOSTRA EREDITÀ PER IL FUTURO. MODELLI E...
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LA NOSTRA EREDITÀ PER IL FUTURO. MODELLI E PRATICHE PER REINVENTARE
IL MONDO
A cura di
Artemissziò Foundation
Bulgarian Gender Research Foundation
arche noVa
Indice
Indice ....................................................................................................................................................... 2
1.1 Conflitti legati alla giustizia ambientale ............................................................................................ 5
1.1.2. Il controverso caso di un nuovo aeroporto nella Francia Occidentale...................................... 7
1.1.3. Deforestazione e attività estrattive illegali in Amazonia, Brasile .............................................. 8
1.1.4. Miniere d'oro contro locali e natura a Rosia Montana, Romania ............................................. 9
1.1.5. Smaltimento dei rifiuti e inquinamento in Cina ...................................................................... 10
2. Nuove alternative economiche ......................................................................................................... 13
2.1. Buen Vivir contro capitalismo naturale ..................................................................................... 13
2.2. Prodotto di Felicità Lordo (PFL) .................................................................................................. 15
2.3 Decrescita .................................................................................................................................... 17
2.4 Economia solidale ........................................................................................................................ 18
2.5. Commercio Equo Mondiale ........................................................................................................ 19
3. Modi alternativi di vivere e consumare............................................................................................. 21
3.1 Condividere, scambiare, donare ................................................................................................. 21
3.2 Economia dei beni comuni ed economia tra pari........................................................................ 22
3.3 Alimentazione .............................................................................................................................. 23
3.4 Abbigliamento e altro .................................................................................................................. 26
3.5 Servizi........................................................................................................................................... 27
3.6 Spazi di vita .................................................................................................................................. 28
3.7 Mobilità ....................................................................................................................................... 29
3.8 Condivisione di conoscenze e abilità ........................................................................................... 30
3.9 Comunicazione ............................................................................................................................ 30
3.10 Evitare gli sprechi ...................................................................................................................... 31
3.11 Rallentare .................................................................................................................................. 31
Introduzione
La lezione “La nostra eredità per il futuro. Modelli e pratiche per reinventare il mondo”
intende delineare chiaramente quali siano le nostre responsabilità verso le popolazioni che
attualmente vivono in altre parti del mondo, nonché verso le generazioni future. Nel corso
della trattazione sarà introdotto il concetto di giustizia ambientale, in riferimento a una
visione condivisa della nozione di interdipendenza globale. La lezione intende fornire spunti
su come gestire le sfide attuali e far sì che la speranza di un mondo diverso e migliore
divenga una realtà concreta. Saranno inoltre illustrate alcune proposte alternative al nostro
attuale modello economico che possono essere attuate sia nel Nord sia nel Sud globale.
1. Cos'è la giustizia ambientale?
Capita frequentemente di sentir parlare di disastri ambientali. In molti casi, le problematiche
sociali e ambientali sono strettamente correlate: basti pensare all'epidemia di febbre Zika in
America Latina (la malattia, veicolata dalle zanzare, può causare seri problemi di salute alle
donne in stato di gravidanza, specialmente in comunità che vivono in zone isolate o
comunque in condizioni di emarginazione), allo smaltimento illegale di rifiuti tossici in
prossimità dei quartieri disagiati di Budapest o, infine, ai recenti flussi migratori. Da queste
situazioni apparentemente diverse si può trarre una lezione comune sul rapporto di
interdipendenza che lega l'ambiente e le società umane: i rischi sanitari, i conflitti e le guerre
hanno spesso cause o conseguenze di natura ambientale.
Il principio di "giustizia ambientale" si basa sull'assunto che i singoli e le comunità hanno il
diritto di vivere in un ambiente pulito e sano, senza che attività industriali e/o economiche
dannose influiscano sul loro benessere. In una società ideale, giusta e democratica, tutti
hanno diritto di accedere a risorse ambientali quali acqua e aria pulita, cibo sano e nutriente
etc. In realtà, spesso le attività umane generano rischi sanitari e condizioni di vita non sane,
che possono mettere a repentaglio la vita stessa degli esseri umani. Solitamente sono i
gruppi sociali più poveri o svantaggiati ad essere maggiormente vulnerabili all'impatto
negativo di tali attività. In tal senso le ingiustizie sociali e ambientali risultano strettamente
correlate.
Il concetto di giustizia ambientale è nato in America negli anni '80, quando le comunità afro
e latino-americane iniziarono a protestare contro l'inquinamento ambientale e i danni causati
da aziende e istituzioni1. Negli USA, il problema venne portato per la prima volta
all'attenzione del pubblico quando dagli abitanti di un'area urbana del North Carolina,
popolata principalmente da comunità di afroamericani e da poveri, organizzarono una
protesta contro la realizzazione di discariche di rifiuti pericolosi nel quartiere. Essi
sostenevano che l'area in cui vivevano fosse stata scelta per ospitare tali attività proprio
perché abitata da membri di minoranze e gruppi svantaggiati. I movimenti per la giustizia
ambientale cominciarono dunque a stabilire un collegamento tra fattori ambientali e sociali.
Proprio in questo periodo fu inoltre introdotto il concetto di razzismo ambientale, in
riferimento al rapporto di interdipendenza esistente tra inquinamento, povertà e portata
dell'impatto ambientale su alcuni gruppi etnici o comunità minoritari.
Proprio grazie a questi movimenti di protesta risulta ormai chiaro come la giustizia
ambientale e le ineguaglianze globali siano interconnesse: l'1% più ricco della popolazione
globale detiene il 48% dei beni mondiali, mentre la metà più povera ne detiene soltanto
l'1%. Nel mondo, 702 milioni di persone vivono con meno di 1,9 dollari al giorno2, 795 milioni
soffrono la fame3 e più di 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio
Paese4; 1,2 miliardi di persone (vale a dire, 1/5 della popolazione mondiale) non hanno
accesso a una quantità sufficiente di acqua pulita e 500 milioni di persone rischiano di
trovarsi in situazioni di scarsità idrica5.
I casi di studio a disposizione hanno dimostrato che i singoli e le comunità più poveri ed
emarginati tendono a subire in maggior misura le conseguenze dell'inquinamento ambientale
o gli effetti nefasti del cambiamento climatico, oltre a essere più vulnerabili ai danni
1 http://www.huffingtonpost.com/entry/a-look-at-environmental-j_b_4633223
2Vedi le proiezioni per il 2015 della Banca Mondiale all'indirizzo
http://www.worldbank.org/en/topic/poverty/overview
3 Vedi statistiche FAO all'indirizzo http://www.worldhunger.org/2015-world-hunger-and-poverty-facts-and-
statistics/#hunger-number
4 Vedi dati UNHCR all'indirizzo http://www.unhcr.org/news/latest/2016/6/5763b65a4/global-forced-
displacement-hits-record-high.html
5http://www.un.org/waterforlifedecade/scarcity.shtml
provocati da inondazioni, siccità etc. Secondo il principio della giustizia ambientale tali
ingiustizie devono essere denunciate e contrastate attivamente.
1.1 Conflitti legati alla giustizia ambientale
Al principio di giustizia ambientale sono strettamente connesse svariate tipologie di conflitti:
dalla corsa all'approvvigionamento di fonti energetiche (petrolio, gas, nucleare etc.), alle
problematiche inerenti lo smaltimento dei rifiuti e l'inquinamento, sino agli scontri in merito
alla gestione dell'acqua, della sabbia o dei terreni. Le dinamiche che sottendono a tali
conflitti sono solitamente innescate dall'adesione a determinate logiche di mercato e politiche
e, molto spesso, dalla resistenza opposta dal pubblico. Spesso sono gli interessi contrastanti
delle diverse parti in gioco a creare focolai di potenziali conflitti futuri. Le problematiche
ambientali sono sempre state causa di contrapposizione tra diversi attori sociali; tuttavia, nel
ventunesimo secolo i casi di questo tipo sembrano moltiplicarsi a un ritmo vertiginoso.
Invariabilmente, sono le comunità più povere, emarginate o comunque svantaggiate a subire
maggiormente l'impatto del degrado ambientale, in termini economici, sanitari o socio-
culturali.
Illustriamo qui di seguito 5 diversi esempi di casi di violazione del principio della giustizia
ambientale, verificatisi in diverse parti del mondo. Alcuni di essi sono descritti anche
nell'Atlante della Giustizia Ambientale, un interessante progetto di mappatura della giustizia
ambientale e una preziosa risorsa per l'insegnamento, la costruzione di reti e l'attivismo
(https://ejatlas.org/).
1.1.1. Un conflitto per le terre in Sierra Leone, Africa6
La Sierra Leone Agriculture (SLA) ha siglato nel maggio del 2010 un accordo per la
concessione in leasing di 41.582 ettari di terreni per la coltivazione di olio di palma, destinato
alla produzione di biocarburanti. I biocarburanti sono, in linea di principio, fonti energetiche
"verdi": si tratta infatti di produrre energia a partire da prodotti vegetali invece che da fonti
energetiche fossili e proprio per questo motivo i biocarburanti sono considerati fonti di
energia "pulita". Tuttavia, per produrre i biocarburanti è necessario coltivare massicce
quantità di poche varietà di prodotti; ciò costituisce un serio problema, poiché in tal modo si
incoraggiano le monocolture e l'agricoltura su scala industriale, sottraendo così vaste aree di
terreni arabili a proprietari e coltivatori e alterando in modo irreparabile la fauna e la flora
6 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/sierra-leone-agriculture-siva-group-biopalm-project-in-port-loko-sierra-
leone
locali. Nei Paesi meno ricchi, sono i poveri ad essere frequentemente vittime di tali fenomeni,
che coinvolgono aree anche molto vaste del territorio nazionale: i piccoli proprietari e
coltivatori vengono privati dei propri appezzamenti in seguito ad accordi spesso tutt'altro che
vantaggiosi per loro. Questo processo prende il nome di "land grabbing"; la definizione del
termine è fornita nella Dichiarazione di Tirana (2011) a cura della International Land
Coalition, un'organizzazione-ombrello che raggruppa 116 organizzazioni di varia portata,
dalle piccole associazioni locali alla Banca Mondiale.”7 “Le aree maggiormente colpite dal
fenomeno del land grabbing si trovano nel Sud Globale: il 70% dei casi di land grabbing
avviene infatti nell'Africa sub-sahariana; altre aree fortemente colpite dal fenomeno si
trovano nel Sud-Est Asiatico e in America Latina.”8. Come riportato dall'Oakland Institute, “si
stima che 500 milioni di acri di terra, un'area pari a circa dieci volte la Gran Bretagna, siano
stati acquistati o concessi in leasing nei Paesi in via di sviluppo negli ultimi dieci anni”9.
La Sierra Leone è entrata a far parte del business internazionale del commercio di terreni su
vasta scala relativamente tardi: fino al 2002 infatti il Paese è stato in balia di una guerra
civile che ha scoraggiato gli investitori stranieri. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, anche la
Sierra Leone si è allineata ad altri Paesi sottosviluppati dell'area sub-sahariana. Nel 2011
l'Oakland Institute riportava che "in Sierra Leone quasi 500.000 ettari di terreni agricoli sono
stati concessi in leasing o sono oggetto di trattative in tal senso.”10 Le comunità locali e i loro
capi spesso non sono al corrente delle condizioni degli accordi e hanno quindi poche
opportunità di trattare o vedere riconosciuti i propri diritti. La perdita di terreni arabili e la
fine dell'agricoltura di sussistenza minacciano la sicurezza alimentare di un ingente numero di
persone, obbligate a lasciare i propri villaggi per tentare la sorte nelle grandi città, dove
vanno ad ingrossare le già numerose fila degli abitanti degli slum urbani.
Il solo investimento di SLA nel 2010 ha comportato il trasferimento di più di 30.000 residenti
e agricoltori del distretto di Port Loko, Sierra Leone. Nel momento in cui l'accordo è stato
siglato, SLA era una controllata di Caparo Group, un gruppo britannico guidato dal baronetto
Swraj Paul, magnate di origine indiana stabilitosi in Gran Bretagna, attivo nel Partito
Laburista e vicino all'ex Primo Ministro Gordon Brown. Il progetto prevedeva la creazione di
7https://www.oxfamamerica.org/take-action/campaign/food-farming-and-hunger/land-grabs/
8http://www.stopafricalandgrab.com/
9http://www.oaklandinstitute.org/we-harvest-you-profit
10http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_SierraLeone_Land_Investment_report_0
piantagioni di palme da olio su 40.000 ettari di terreno entro il 2017, nonché di impianti per
la produzione di biocarburanti, vivai e infrastrutture legate alla piantagione. Nel 2011, SLA è
stata acquistata dal Gruppo SIVA per 5 milioni di dollari; l'accordo di leasing è dunque stato
trasferito al gigante di proprietà indiana. Le comunità locali non hanno ricevuto ragguagli in
merito all'accordo e le informazioni continuano ad essere vaghe e contraddittorie. Ad
esempio, l'Oakland Institute (OI) riporta che i capo villaggio sono convinti che l'accordo di
leasing debba essere rinnovato ogni 7 anni, mentre il sito web di Crad-l (titolare dell'accordo
iniziale di leasing, ormai decaduto) parla di un accordo di 50 anni. Nonostante siano stati
promessi 8.500 posti di lavoro, nell'ottobre 2012 risultava che solo 600 persone stessero
lavorando, per la maggior parte su basi totalmente casuali e senza contratto.
Inoltre, il Ministro dell'Agricoltura della Sierra Leone ha affermato di non avere mai sentito
parlare di SLA: infatti, come riportato da Oakland Institute, SLA ha portato avanti le
necessarie contrattazioni direttamente con i capotribù locali, eludendo ogni contatto con il
governo nazionale (e, di conseguenza, la normativa vigente) e neppure i proprietari dei
terreni o gli abitanti del luogo possiedono una copia del contratto di leasing. Poiché il
contratto è stato negoziato in assenza del governo nazionale, non è mai stata effettuata
alcuna Valutazione d'Impatto Ambientale e Sociale.
1.1.2. Il controverso caso di un nuovo aeroporto nella Francia
Occidentale11
Il controverso progetto per la costruzione di un aeroporto a Notre-Dame-des-Landes, nella
Francia Occidentale, è divenuto un simbolo nazionale di resistenza e ricerca di proposte
alternative. Il presidente Francois Hollande ha annunciato un referendum per stabilire la
futura destinazione dell'area. Il progetto "Aéroport du Grand Ouest" consiste di un nuovo
aeroporto situato a nord-ovest della città di Nantes, destinato a sostituire l'attuale aeroporto
Nantes Atlantique e a diventare lo scalo internazionale per eccellenza della Francia
Occidentale. Il progetto, che risale ai primi anni '60, è supportato dallo Stato francese
(l'aeroporto è stato infatti dichiarato "opera di interesse pubblico" nel 2008). Oltre
all'aeroporto, svariate altre infrastrutture saranno costruite nella stessa area, quali, ad
esempio, linee ferroviarie ad alta velocità che connettano Nantes alle principali città francesi.
L'opposizione è composta soprattutto da agricoltori, abitanti del luogo e ambientalisti, che
11 http://ejatlas.org/conflict/zad-at-notre-dame-des-landes-aeroport-du-grand-ouest-france
mettono fortemente in discussione la fondatezza della necessità di costruire infrastrutture
così mastodontiche per risollevare l'economia nazionale, nonché l'idea di investire fondi
pubblici a tale scopo. Il progetto è stato inoltre criticato per il suo forte impatto in termini di
cambiamento climatico (inquinamento etc.) e ambientale (l'area si contraddistingue per la
biodiversità e la ricchezza di specie protette), nonché per le conseguenze negative sulle
comunità locali (diversi agricoltori e le loro famiglie sarebbero obbligati a lasciare l'area). Le
principali azioni contro il progetto sono quindi finalizzate a trasformare l'area in una "Zona da
Difendere" ("Zone á Défendre"): gli attivisti e le loro famiglie hanno occupato fattorie e
campi e organizzato attività alternative, costruito case con intercapedini in paglia,
ristrutturato stalle, teatri e bar con l'ausilio di materiali riciclati quali pallet industriali etc.
1.1.3. Deforestazione e attività estrattive illegali in Amazonia, Brasile12
La deforestazione e le attività estrattive illegali costituiscono una minaccia per l'intera foresta
pluviale amazzonica. Gli Indiani, che hanno abitato la foresta amazzonica sin dai tempi più
antichi, stanno combattendo questa importante guerra ecologica in prima linea, poiché
dipendono interamente dalle risorse fornite appunto dalla foresta. "La costituzione brasiliana
riconosce il diritto delle popolazioni indigene di vivere nei territori in cui hanno sempre
tradizionalmente risieduto e in armonia con il proprio stile di vita. La Costituzione afferma
inoltre che il governo è responsabile della demarcazione delle terre indigene e di fornire a tali
popolazioni un'istruzione bilingue e assistenza sanitaria adattata ai bisogni e alle credenze
delle genti indigene.”13 Tuttavia, in pratica la tutela delle comunità indigene è minata in
misura crescente da una normativa sempre più -deliberatamente - indebolita e implementata
in maniera poco efficace. Di tanto in tanto alcune lobby propongono emendamenti
costituzionali e leggi intese a compromettere ulteriormente i diritti degli indigeni e a facilitare
lo sfruttamento delle loro terre. Una delle ultime proposte in tal senso è la bozza di Legge
sulle Attività Estrattive nelle Terre Indigene No.1610, la quale, una volta adottata,
consentirebbe alle società estrattive di accedere legalmente ai territori indigeni. Il Comitato
Nazionale di Difesa dei Territori si è opposto alla Legge che tuttavia nel 2014 continuava ad
essere oggetto di discussione da parte dei legislatori federali brasiliani.
Il popolo Yanomami sarebbe la prima vittima delle modifiche apportate alla normativa.
Poiché la foresta è stata esplorata e colonizzata per la prima volta attraverso i suoi fiumi, gli
12 Fonte: https://ejatlas.org/conflict/gold-mining-in-indigenous-yanomami-territory-brazil
13http://wwf.panda.org/what_we_do/where_we_work/amazon/about_the_amazon/people_amazon/indigeno
us_brazil/
Yanomami hanno vissuto in parziale isolamento per un periodo di tempo molto lungo,
preservando il proprio stile di vita tradizionale e all'insegna dell'armonia con la natura. Their
territory Il loro territorio si estende dal bacino del fiume Orinoco nel Venezuela meridionale
sino al Rio delle Amazzoni nel Brasile Settentrionale ed è ricco di risorse minerali. Ciò ha
causato, sin dalla metà degli anni '70, la continua - e illegale - invasione delle terre degli
Yanomami da parte dei cercatori d'oro. La violenza e le malattie portate dagli invasori hanno
causato la morte di circa 1.500 Yanomami.
Nel corso degli anni '80 più di 40.000 cercatori d'oro illegali hanno invaso il territorio degli
Yanomami, uccidendo persone, demolendo interi villaggi e portando nuove malattie. In soli 7
anni, il 20% della popolazione è stata decimata.14 Un leader Yanomamy, Davi Kopenawa
Yanomami, è riuscito a mobilitare l'opinione pubblica internazionale e nel 1992 è stata
finalmente delimitata l'area del Parco Nazionale Yanomami. Tuttavia, i cercatori d'oro sono
tornati poco dopo a minacciare l'area, riaccendendo le precedenti tensioni.
Nonostante la delimitazione ufficiale, non esiste un programma che tuteli adeguatamente i
confini della riserva: di conseguenza, la presenza di cercatori d'oro illegali è addirittura
aumentata durante gli ultimi 10 anni del ventesimo secolo. Nel 1993, un gruppo di cercatori
d'oro ha assassinato 16 Indiani abitanti di un villaggio, incluso un neonato. Oggi più di 1.000
cercatori d'oro lavorano illegalmente nelle terre degli Yanomami, contribuendo a diffondere
malattie, favorendo la prostituzione e inquinando i fiumi. Secondo la ONG Survival
International, la salute del popolo Yanomami è in pericolo e gli indigeni necessitano di
assistenza medica immediata e di una tutela più efficace dei loro diritti sulle proprie terre.
L'applicazione di questa legge metterebbe le popolazioni Yanomami ancora più a rischio di
contaminazione del terreno e di diffusione di malattie e potrebbe addirittura costringerli a
dovere abbandonare le loro terre. Basti pensare che nel 2013 soltanto il loro territorio è stato
oggetto di ben 654 richieste di autorizzazione allo sfruttamento.
1.1.4. Miniere d'oro contro locali e natura a Rosia Montana, Romania15
Nel 2002 Rosia Montana ha ospitato un incontro di 350 persone provenienti da tutta la
regione. L'incontro ha prodotto la prima Dichiarazione emessa dalla Romania dopo il 1989: si
tratta della Dichiarazione di Rosia Montana, che ha posto le basi di e legittimato Alburnus
Maior, l'associazione locale. La Dichiarazione è stata sostenuta da un gruppo di 25 ONG 14http://www.survivalfrance.org/peuples/yanomami
15 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/rosia-montana-romania
ambientaliste romene. Lo scopo di tale organizzazione di base era mobilitare tutte le correnti
di opposizione alla più grande miniera aurifera di cianide a cielo aperto in Europa, un
progetto facente capo alla corporazione canadese Gabriel Resources e, in seguito, alla Rosia
Montana Gold Corporation. Gli abitanti del luogo si sono divisi sul tema: alcuni sostenevano
che l'investimento avrebbe favorito lo sviluppo economico (e la creazione di posti di lavoro)
nella Regione, mentre altri ribattevano che il progetto di estrazione avrebbe messo a
repentaglio l'ambiente nonché le culture locali.16Negli ultimi 14 anni Alburnus Maior è riuscita
non solo a bloccare il progetto di estrazione, ma anche a sviluppare il più grande e duraturo
movimento socio-ambientalista della Romania grazie a un intenso lavoro di networking
internazionale. Attualmente il movimento ha raccolto più di 100.000 sostenitori attivi che,
tramite l'attivismo e la partecipazione diretta, le donazioni e la promozione dell'attività
dell'associazione, sono stati coinvolti nelle diverse azioni messe in atto a favore di Rosia nella
località romena o in contesti internazionali. Il fine del movimento è riscattare l'area,
trasformando un luogo isolato e destinato a uso mono-industriale in una regione dinamica e
vivace, con un'economia basata sull'agricoltura e l'ecoturismo, un punto di riferimento per i
dibattiti socio-politici sui futuri alternativi. Questo successo ha dimostrato che lo sviluppo
economico e la tutela dell'ambiente non sono affatto, come sostenuto da molti, due obiettivi
in contrapposizione.
1.1.5. Smaltimento dei rifiuti e inquinamento in Cina17
Nell'agosto 2014, i residenti del villaggio di Qingpuling, nella provincia di Fujian, hanno vinto
una causa intentata nei confronti di una società locale operante nell'ambito dello smaltimento
dei rifiuti, dopo una battaglia legale durata 5 anni. La società incriminata, la quale produceva
emissioni tossiche e inquinanti che contribuivano pesantemente all'inquinamento ambientale,
è stata condannata a pagare 6 milioni di yuan (US$976,626) agli abitanti del villaggio, in
veste di risarcimento per i danni causati alla loro salute e all'ecosistema locale. Tuttavia, non
tutti sono soddisfatti dell'entità del risarcimento e molti hanno deciso di abbandonare il
villaggio.
La Società di Smaltimento dei Rifiuti Solidi di Fujan è stata fondata nel villaggio di
Qingpuling, nella provincia di Fujian, nel 2000. La società è specializzata nell'incenerimento
dei rifiuti medici provenienti da Fuzhou. A causa del ricorso a tecniche improprie, della scarsa
16Vedi il documentario New Eldorado, che illustra esaurientemente la situazione
(https://www.youtube.com/watch?v=Y_OmmmibA8o)
17 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/dioxin-pollution-in-qingpuling-village-fujiang-china
supervisione e dell'isolamento dell'area, la società pare avere scaricato più volte i propri rifiuti
tossici in maniera illegale, causando una catastrofe ambientale per il villaggio. Gli alberi che
crescono in prossimità dello stabilimento non producono più frutti dal 2003. Un fumo nero e
maleodorante fuoriusciva dal sito di smaltimento. Le acque del canale di irrigazione sono
diventate nere e gli alberi da frutto sono avvizziti e poi morti. Gli abitanti del villaggio, entrati
in contatto con le acque inquinate del canale, hanno sviluppato un'intensa orticaria. Nel
2009, con l'assistenza legale di avvocati professionisti, i locali hanno intentato una causa
collettiva contro la fabbrica, richiedendo un risarcimento per 10 anni di perdite finanziarie,
l'effettuazione di test sulla qualità del suolo, l'adozione di eventuali misure atte a ripristinarla
e controlli medici per l'intera popolazione del villaggio. Nell'ottobre 2010, il caso è stato
accolto dal tribunale locale. Lo stabilimento ha ripreso la sua attività dopo avere adottato le
necessarie misure. I residenti hanno lasciato il villaggio e pare che le autorità locali abbiano
attivamente partecipato a trovare una nuova sistemazione per la popolazione.
1.2 Caratteristiche comuni dei diritti alla giustizia ambientale
Come si può evincere dagli esempi, il degrado ambientale è spesso causato dall'attività
umana. Le regole del mercato liberista rendono i territori abitati da popolazioni povere
vulnerabili a pratiche commerciali che si rivelano distruttive. L'elemento comune a queste
pratiche è il principio per cui distruggere la natura ha un effetto negativo anche sugli esseri
umani. Le conseguenze più a lungo termine probabilmente finiranno per toccare tutti noi,
mentre le conseguenze a breve termine riguardano in primo luogo le persone che vivono
nelle aree colpite, il cui diritto di vivere una vita dignitosa, nonché al cibo, alla salute e alla
casa risulta compromesso. Poiché queste persone hanno meno potere, la loro voce non ha
altrettanta risonanza di quella delle grandi multinazionali, sostenute da potenti lobby e a
volte persino dai governi nazionali e da organizzazioni internazionali quali la Banca Mondiale.
Tuttavia, molti casi di mobilitazione si sono conclusi con esito positivo: quindi, nonostante
queste azioni possano essere molto dispendiose in termini di tempo ed energie, è molto
importante intraprenderle. Nella maggior parte dei casi, il successo è frutto di azioni creative
e del lavoro svolto dalle organizzazioni di base, che riescono ad attirare l'attenzione dei
media sui problemi e a insistere nella propria azione. Purtroppo, molti di questi casi non
trovano adeguata copertura mediatica.
1.3 Le cause primarie dell'ingiustizia ambientale
Nonostante sia abbastanza istintivo scindere i problemi socio-politici da quelli ambientali,
sempre più esperti sostengono che sia necessario operare un'analisi maggiormente
complessa18. Essi sostengono che l'eguaglianza sociale, la sostenibilità ambientale e i
nostri modelli economici siano tutti strettamente correlati. Secondo questi
esperti, alla radice del problema vi sono l'attuale sistema economico globale e le
diseguaglianze sociali che esso crea. Una di questi studiosi, Sasskia Sassens19, sostiene che
l'impoverimento delle classi bassi e medio-basse della società sia soltanto un lato della
medaglia: dall'altro lato vi è una situazione in cui la terra, l'aria o l'acqua non costituiscono
più una fonte di sostentamento alla vita. Secondo l'esperta, le nostre attività economiche
producono "terra morta" e, di conseguenza, il degrado delle condizioni di vita fa allontanare
gli uomini dalla natura e dai territori da cui hanno tratto la vita.
L'economia basata sulla crescita e il consumo sfrutta le risorse ambientali e le persone "non
solo la mercificazione della terra e dell'acqua, ma anche l'ulteriore monetizzazione dei beni
che se ne traggono"20, aggiungerebbe Sassens. “La disastrosa diminuzione della qualità dei
terreni, dell'acqua e dell'aria ha avuto effetti particolarmente devastanti sulle comunità più
povere: si stima che globalmente 800 milioni di persone siano state costrette dai luoghi in cui
vivevano. “21
Le società multinazionali sono attori importanti in questo contesto. Lo scopo principale delle
multinazionali infatti è aumentare i propri profitti: i fattori sociali o ambientali non
costituiscono certo delle priorità. Queste società, orientate al profitto, hanno spesso sede nel
Nord Globale. Una delle motivazioni per cui ciò avviene è l'eredità coloniale: il colonialismo
ha infatti ostacolato lo sviluppo dell'economia manifatturiera nelle ex colonie. I Paesi del Sud
Globale non sono riusciti a superare questa impostazione e soffrono tuttora delle
conseguenze del neocolonialismo, anche perché forniscono importanti materie prime. I
consumatori del Nord Globale comprano prodotti fabbricati grazie a queste risorse e
entrambi (società e consumatori) producono rifiuti. Perciò limitarsi a combattere per un
sistema più giusto è inutile se non tentiamo di modificare le nostre abitudini di consumo. Ad
esempio, se tutti consumassero la stessa quantità di risorse di un americano medio
sarebbero necessari altri 5 pianeti come il nostro per attingere a una quantità di risorse
18 vedi Naomi klein, This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate , 2015, and What Every
Environmentalist Needs to Know About Capitalism: A Citizen’s Guide to Capitalism and the Environment di Fred
Magdoff and John Bellamy Foster, 2011
19 vedi: Expulsions: Brutality and Complexity in the Global Economy, di Saskia Sassen, 2014
20 idem. 290
21 idem
sufficiente. Vi sono migliaia di modi per ridurre il nostro consumo energetico e la quantità di
rifiuti che produciamo, così come ci sono migliaia di modi per esprimere la nostra solidarietà
verso chi non ha avuto le nostre stesse possibilità. "Al centro della nozione di consumo
responsabile vi è il concetto di scegliere, usare e smaltire i beni responsabilmente. Il
consumo responsabile tutela le risorse offerte dal nostro pianeta e migliora la qualità della
vita sia del singolo consumatore sia della società in generale. Ha a che fare con la giustizia
sociale, i diritti umani, la povertà, il commercio globale, e gli ecosistemi sostenibili”.22
Altri riferimenti:
Atlas of Environmental Justice, http://ejatlas.org/
Unità 2 e Unità 3 del Kit Educativo Same World Educational
Environmental Justice Foundation, http://ejfoundation.org/
Beautiful troube, a toolbox for revolution, http://beautifultrouble.org/
This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate , 2015, di Naomi Klein (Autore)
What Every Environmentalist Needs to Know About Capitalism: A Citizen’s Guide to
Capitalism and the Environment di Fred Magdoff and John Bellamy Foster, 2011
Expulsions. Brutality and Complexity in the Global Economy, di Saskia Sassen, 2014
2. Nuove alternative economiche
2.1. Buen Vivir contro capitalismo naturale
Il concetto di "Buen Vivir" può essere tradotto come "vivere bene" e sta a significare la
convivenza degli esseri umani in una "situazione ambientale unica". Non esiste un'unica
definizione di "Buen Vivir"; tuttavia, il significato principale del termine è quello di "un
sistema di conoscenze e di vita basato sulla comunione di esseri umani e natura e su
un'esperienza olistica di esistenza, improntata all'armonia spazio-temporale". Il concetto ha
origine nell'America Latina contemporanea e si basa su una relazione tra esseri umani e
natura all'insegna dell'armonia, nonché sulla condanna dell'eccessivo sfruttamento delle
risorse naturali. Si tratta di una filosofia di vita basata sulla trasmissione (di generazione in
22http://citizenshipresponsability.blogspot.hu/2014/06/responsible-comsuption.html?view=snapshot
generazione) delle conoscenze dei popoli indigeni. Al cuore del concetto vi sono l'equilibrio e
l'armonia tra gli esseri umani e la natura su una base di parità nonché il ritorno a uno stile di
vita ormai soppresso dalla colonizzazione.
Secondo il Buen Vivir, le persone non sono proprietarie della Terra e delle sue risorse, ma
possono soltanto gestirle in un'ottica di "zero povertà e zero estinzione delle specie". Il Buen
Vivir è una critica al consumatore e alla società individualisti e rappresenta una proposta di
sensibilizzazione ecologica che sottolinea il bisogno di costruire una relazione armoniosa con
la natura. È la risposta ad anni di giogo coloniale e neocoloniale, basato sullo sfruttamento
delle risorse naturali a detrimento del pianeta e delle comunità indigene che vivono in aree
ricche di petrolio, gas, minerali e biodiversità.
Il Buen Vivir si contrappone all'idea di capitale naturale, vale a dire di quella visione del
mondo che considera la Terra un bacino di risorse che fornisce beni, flussi e servizi ecologici
necessari a sostenere la vita. Il capitale naturale ha valore finanziario, poiché il suo utilizzo
attira diverse aziende; ne consegue che la tutela e l'attribuzione di un giusto prezzo alle
risorse naturali sono state ampiamente trascurate dalle teorie e dalle pratiche economiche.
Un'altra definizione di Buen Vivir potrebbe essere quindi "consumo collaborativo ed economia
di condivisione".
Esempi di Buen Vivir
Paesi come l'Ecuador e la Bolivia bene illustrano il paradigma dello sviluppo basato sul Buen
Vivir nell'America Latina contemporanea. Questi sono due Paesi in cui il concetto è stato
ampiamente articolato da movimenti sociali guidati dai nativi e si manifestano in piani di
sviluppo nazionale. Le popolazioni indigene rappresentano un'ampia parte della popolazione
in entrambi i Paesi e in Bolivia costituiscono la maggior parte degli abitanti. Nello sforzo di
superare il proprio passato coloniale, che ha contrassegnato la storia del Sudamerica, i
movimenti indigeni stanno chiedendo a gran voce di rifondare i principi che guidano la
società. Sia la Bolivia sia l'Ecuador hanno recentemente adottato nuove costituzioni,
all'insegna della filosofia del Buen Vivir. Tale principio è stato persino incorporato nella
costituzione formale dell'Ecuador, la Costituzione di Montecristi (2008) come sintesi di tre
elementi: i diritti della natura (o Pachamama); il regime del Buen Vivir, che include i
principali elementi dei valori da promuovere all'interno del tessuto sociale; e un "regime di
sviluppo", vale a dire un sistema di linee guida per la creazione di politiche concrete
finalizzate alla tutela dell'ambiente e dei diritti degli indigeni.
Il governo della Bolivia ha delineato dieci elementi chiave del Buen Vivir quale parte
integrante delle strategie per salvare il pianeta e, di conseguenza, l'umanità:
o rinunciare al modello capitalista
o denunciare e porre fine alle guerre
o sviluppare relazioni di convivenza pacifica, non di assoggettamento, tra i Paesi. Un
mondo senza imperialismo o colonialismo
o l'acqua come diritto umano e una risorsa la cui privatizzazione deve essere prevenuta,
poiché l'acqua è vita
o sviluppo di energia rispettosa dell'ambiente per porre fine agli sprechi energetici
o rispetto per la Madre Terra
o servizi di base quali l'acqua, l'istruzione, la salute, la comunicazione e i trasporti
pubblici sono da considerarsi veri e propri diritti umani e beni pubblici piuttosto che
fonte di profitti privati
o consumare solo ciò che è necessario, dando priorità a ciò che viene prodotto a livello
locale. Mettere fine al consumismo, agli sprechi e al lusso
o promozione della diversità di culture e economie
o vivere in armonia con la Madre Terra
Il Buen Vivir suggerisce di tornare a modalità di produzione agricola biologiche o "agro-
ecologiche", che consentano di garantire a tutti la sicurezza alimentare e lavorativa, nonché
di promuovere uno stile di coltivazione basato maggiormente sul lavoro manuale.
2.2. Prodotto di Felicità Lordo (PFL)
Anche la felicità trova spazio nel Buen Vivir in qualità di nuovo principio guida: basti pensare
che il Regno del Bhutan promuove la felicità in quanto parte integrante della sua
Costituzione:
“Il Prodotto di Felicità Lordo è più importante del Prodotto Nazionale Lordo”– Sua Maestà
Jigme Singye Wangchuck, Quarto Re del Bhutan (1970)
Il Bhutan è un Paese situato sulle pendici orientali della catena dell'Himalaya, tra la pianura
di Assam-Bengal in India e l'Altopiano del Tibet nella Cina sud-occidentale. La sua posizione
fa sì che il Bhutan ricopra un importante ruolo geopolitico. La popolazione ammonta a circa
682.000 persone (2008) e il Paese, un tempo una monarchia assoluta, è ora una democrazia
parlamentare multipartitica. Il 70% della popolazione vive in aree rurali; un quarto della
popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno e il 70% degli abitanti non ha elettricità.
Nel 1972, il Re del Bhutan ha introdotto la filosofia del Prodotto Lordo di Felicità nazionale e i
suoi quattro pilastri di sviluppo: (1) Buona Governance; 2) Sviluppo socio-economico
sostenibile; 3) Tutela e promozione di valori culturali; 4) Tutela e protezione dell'ambiente
naturale.
Il concetto di PFL ha ispirato un moderno movimento politico basato sulla felicità. Con il
contributo di diversi studiosi occidentali e non, economisti e politici, il concetto si è
trasformato in un modello di sviluppo socioeconomico. Nel luglio 2011, le Nazioni Unite
hanno passato la Risoluzione 65/309, adottata all'unanimità dall'Assemblea Generale nel
luglio 2011, grazie alla quale la felicità veniva inserita nel programma di sviluppo globale.
https://en.wikipedia.org/wiki/Gross_National_Happiness - cite_note-3
"La felicità: verso un approccio olistico allo sviluppo" è un documento sponsorizzato
congiuntamente da 68 Paesi. Esso afferma che "la felicità è un obiettivo fondamentale
dell'essere umano, nonché un'aspirazione universale", che il Prodotto Interno Lordo per sua
natura non riflette questo obiettivo, che i modelli di produzione e consumo non sostenibili
impediscono lo sviluppo sostenibile e che un approccio maggiormente inclusivo, equo ed
equilibrato è necessario per promuovere la sostenibilità, cancellare la povertà e creare vero
benessere e vera felicità."
La politica del PFL è la visione che sottende la legge di pianificazione dello stato del Bhutan
per i prossimi 5 anni, il documento guida per la programmazione delle azioni volte allo
sviluppo e alla gestione dell'economia nazionale. Il termine "felicità", intesa come un bene
comune e condiviso, indica la capacità dei singoli di perseguire il benessere grazie a percorsi
di sviluppo sostenibile. Il significato del termine "felicità" in Bhutan è diverso da quanto si
intenda nel Nord Globale. Per gli abitanti del Buthan, la "felicità" è un concetto oggettivo
piuttosto che soggettivo e individualistico. Il PFL è stato adottato ufficialmente in Bhutan,
dove un'apposita Commissione per il PFL è stata incaricata di monitorare le politiche adottate
e la distribuzione dei fondi pubblici. Il Buthan ha scuole di ogni ordine e grado in tutto il
Paese (l'istruzione pubblica non esiste dal 1961) e gli insegnanti lavorano a rotazione, nelle
aree urbane così come in quelle rurali. Ciò fa sì che tutti gli studenti abbiano eguale accesso
ai migliori insegnanti. Per quanto concerne invece la sanità, soltanto il 65% della popolazione
accede alle cure mediche; tuttavia, gli abitanti del Bhutan possono scegliere se farsi curare
secondo i principi della medicina tradizionale o di quella occidentale. Il fine di questo stile di
vita non è, semplicemente, la produzione e il consumo: più importante è che la vita umana
continui a essere fonte di vitalità e benessere e sia fondata su principi e valori etici.
2.3 Decrescita
"Decrescita" non è soltanto una parola, ma indica la trasformazione dell'impalcatura socio-
economica di una società in base alla "comprensione dell'economia tramite il linguaggio della
fisica". Per "decrescita" si intende una graduale diminuzione della produzione economica e
del consumo, al fine di garantire che la produttività della società (vale a dire le risorse
utilizzate e i rifiuti prodotti) rimanga all'interno di ecosistemi protetti e accuratamente
delimitati. La decrescita consiste nel riorientare le economie in senso contrario alla continua
ricerca della crescita. La scala dell'economia potrebbe dovere essere ridimensionata per
adattarsi ai limiti posti dal pianeta Terra. Infatti, il processo di industrializzazione negli ultimi
300 anni ha contribuito certamente alla crescita economica, ma anche provocato danni
ambientali, a causa di un utilizzo smodato delle risorse energetiche e di eccessive emissioni
di CO2.
I sostenitori della decrescita affermano che soltanto riducendo la domanda sarà possibile
colmare per sempre il divario tra domanda e offerta. La riduzione progressiva dell'attività
economica e la conseguente diminuzione della ricchezza materiale devono rappresentare una
priorità, poiché le risorse del pianeta sono limitate e l'economia non può continuare a
crescere per sempre. In base ai calcoli effettuati, il genere umano dovrebbe disporre di un
pianeta e mezzo per sostenere la crescita economica.
Allo stesso tempo, un significativo numero di persone nel mondo vive in condizioni disumane
e l'intenzione di alleviare la povertà globale non farà che aumentare la pressione
sull'ambiente. Si prevede che la popolazione mondiale nel corso di questo secolo arriverà a
toccare gli 11 miliardi di persone e che gli stati più ricchi si predispongano a mettere in atto
strategie economiche che consentano loro di crescere senza limitazioni, giacché il modello
dominante si basa su una civiltà orientata alla crescita senza limiti sul pianeta Terra.
Ma le persone accetterebbero davvero volontariamente la decrescita dei
consumi?
L'accettazione della decrescita economica può avere inizio con il ridimensionamento delle
ambizioni individuali e sociali di sviluppo materiale nella vita quotidiana. La maggior parte dei
bisogni umani può essere soddisfatta in modo semplice e a basso costo. Il modello di
decrescita richiede la creazione di un'ecologia sociale alternativa, perché la crescita
economica non è economicamente sostenibile. L'economia necessita infatti di una quantità
crescente di risorse per realizzare profitti e crescita; al contrario, i sostenitori della decrescita
affermano che una maggior parsimonia renderebbe possibile invertire i consumi verso il
basso. Alcuni di noi riescono a ridurre i consumi grazie a una forte motivazione orientata alla
tutela dell'ambiente, ma la maggior parte degli individui continua a consumare
smodatamente.
2.4 Economia solidale
Il termine "economia solidale" è stato utilizzato come concetto base di organizzazione
economica sin dal 1937: l'espressione venne infatti coniata durante la Guerra Civile spagnola
per indicare il sostegno alla realizzazione della solidarietà economica tra le cooperative di
lavoratori nelle aree urbane e rurali. Il termine è stato poi "ufficializzato" a Lima, in Perù, nel
1997 e presentato in occasione del Forum Economico Sociale Mondiale in Brasile nel 2001.
L'espressone indica un'economia basata sul principio dell'aumento della qualità della vita a
livello regionale o di comunità, finalizzato al raggiungimento di traguardi non legati al
profitto. Lo scopo finale è rendere più "umana" l'economia capitalista, affiancando la
globalizzazione capitalistica a reti di sicurezza sociale attive nella comunità, quali, ad
esempio, cooperative, associazioni di mutuo soccorso, ONG finalizzate ad attività che
generino reddito, gruppi di auto-aiuto destinati alle donne, guardia forestale di comunità e
altre organizzazioni, associazioni di lavoratori nel settore informale, reti di imprenditoria
sociale e organizzazioni per il commercio equo e solidale. Queste ultime possono essere
definite parte dell'economia solidale poiché sono finalizzate a esprimere solidarietà agli
agricoltori dei Paesi in via di sviluppo in modo concreto, pagando compensi equi per i loro
prodotti. I gruppi di auto-aiuto fanno anch'essi parte dell'economia della solidarietà, poiché i
membri si sostengono l'un l'altro per risolvere i propri problemi. Le cooperative e i sindacati
sono spesso considerati parte integrante dell'economia solidale, poiché sono basati sul
principio di solidarietà tra i lavoratori. L'economia solidale consiste, infine, in un approccio
allo sviluppo basato sull'etica e i valori, finalizzato a promuovere il benessere delle persone e
del pianeta attraverso la promozione di principi quali il supporto reciproco, la solidarietà
(globalizzazione della solidarietà), la democrazia a livello sociale e politico, la giustizia, la
lotta alla discriminazione basata sul genere, la razza, l'appartenenza etnica, la classe, l'età,
l'empowerment delle donne e di altri gruppi vulnerabili.
Ecco alcuni esempi:
Le 62.000 imprese sociali attive nel Regno Unito contribuiscono all'economia generando flussi
monetari pari a 24 miliardi di sterline (37,1 miliardi di dollari); le organizzazioni solidali
impiegano al contempo 800.000 persone.
In India, più di 30 milioni di persone (soprattutto donne) si sono auto-organizzate in 2,2
milioni di gruppi di auto-aiuto. Inoltre, la più grande corporazione indiana nel settore
alimentare è la cooperativa Amul, che conta 3,1 milioni di membri produttori di generi
alimentari. La Amul genera annualmente un reddito di 2,5 miliardi di dollari.
In Nepal, 5 milioni di persone che usufruiscono delle risorse offerte dalla foresta si sono
riunite nell'organizzazione della società civile più grande del Paese.
Il flusso monetario generato dal mercato del commercio equo e solidale globale ha raggiunto
i 4,9 miliardi di euro (6,4 miliardi di dollari) e coinvolge circa 1,2 milioni di lavoratori e
agricoltori che producono prodotti certificati.
Le società di mutuo aiuto forniscono servizi di tutela sanitaria e sociale a 170 milioni di
persone in tutto il mondo.
Circa 1,8 milioni di persone in Brasile sono impiegate in questo modello economico
alternativo tramite 20.000 imprese. L'economia della solidarietà ha conosciuto la sua maggior
espansione negli anni '90, periodo in cui l'America Latina si trovò a fronteggiare una crisi
economica che causò altissimi tassi di disoccupazione. Coloro che cercavano fonti di reddito
alternative iniziarono a riunirsi in gruppi, cooperative e associazioni finalizzate a ridurre la
povertà e la fame.
Il movimento di solidarietà economica ha raggiunto il suo picco a metà degli anni '90 come
movimento sociale dotato di un programma di ricerca e attivismo condiviso in America
Latina, Europa e Canada. L'economia della solidarietà rappresenta un modo di pensare
l'economia tale da dare vita a un vero e proprio movimento in grado di trasformare la vita
economica.
2.5. Commercio Equo Mondiale
Il commercio equo si sta affermando quale approccio alternativo al commercio tradizionale
ed è basato su un partenariato tra produttori e consumatori. Quando gli agricoltori vendono i
propri prodotti in base ai principi del Commercio Equo riescono ad ottenere contratti e
condizioni migliori. Ciò significa avere l'opportunità di migliorare le proprie vite e fare piani
per il futuro. Il commercio equo offre ai consumatori un potente strumento per contribuire a
ridurre la povertà semplicemente facendo la spesa. Queste iniziative possono essere
intraprese in tutti i continenti, a patto che i produttori si attengano a 4 principi: prezzi stabili,
destinazione di parte dei profitti del commercio equo a investimenti nell'ambito
dell'istruzione, della sanità, delle migliorie all'agricoltura etc., unione in partenariati e
empowerment.
Il commercio equo riunisce nello stesso circolo i produttori, i consumatori e i sostenitori della
tutela ambientale, i quali condividono gli stessi valori. La protezione dell'ambiente è al cuore
del commercio equo, che ha tra i suoi principi la tutela delle risorse idriche naturali e delle
foreste vergini, la gestione razionale dei rifiuti e la rinuncia al ricorso a organismi
geneticamente modificati.
Bibliografia
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http://www.ase.tufts.edu/gdae/education_materials/modules/The_Economics_of_Global_Climate_Change.pdf
3. Modi alternativi di vivere e consumare
Come è possibile far sì che tutti vivano una vita soddisfacente entro i limiti ecologici imposti
dal nostro pianeta? Si tratta di una domanda molto complessa per cui non esiste una singola
risposta. L'autore teatrale Martin Schick afferma che "esistono molte fantastiche -e realistiche
- alternative"23. A dimostrazione di ciò, basti pensare che nel mondo milioni di persone
stanno tentando di cambiare la società in base ai principi della solidarietà, della giustizia
sociale e della sostenibilità ecologica. Questi progetti (principalmente messi in atto su piccola
scala) e pratiche servono a incoraggiarci a scoprire e sperimentare diversi modi di vivere,
lavorare, consumare e pensare. Consumare e vivere in maniera alternativa implica operare
un cambiamento non soltanto dei nostri modelli di vita e consumo, ma anche del nostro
sistema di valori: essere autosufficienti, rinunciare al consumismo e cooperare invece di
competere. Questo capitolo è finalizzato a illustrare le alternative alle pratiche economiche
basate sulla crescita attualmente messe in atto e a fornire esempi concreti, per combattere
così l'opinione diffusa che non esistano alternative.
3.1 Condividere, scambiare, donare
Perché comprare un trapano quando magari il mio vicino ne possiede uno? Perché buttare
un maglione soltanto perché non mi sta più o non mi piace più il colore rosso? Condividere,
scambiare e donare non sono certamente concetti nuovi: infatti, questo tipo di economia è
un'antica tradizione, praticata di fatto in tutto il mondo. Ci sono diversi motivi per
condividere, scambiare e donare. Mentre alcuni preferiscono condividere e donare perché
23 https://martinschick.wordpress.com/projekte/carte-blanche/
non dispongono di denaro, per altri questo modello economico è un modo di esprimere il
proprio apprezzamento per determinate risorse e comunità o di affermare che il possesso di
molti oggetti non è necessariamente sinonimo di una vita felice. Infine, alcuni mettono in
atto questo modello economico semplicemente perché è divertente.
Nell'ampio campo della filosofia del condividere, scambiare e donare, la stessa idea può
essere alternativa/ecologica, "stylish" e commerciale. Oltre alle iniziative orientate al bene
comune, anche diverse imprese a scopo di lucro hanno iniziato a guardare al mondo della
condivisione dei beni: si pensi alle imprese di car sharing e di prenotazione, alle deduzioni
per gli indumenti e agli spazi di co-working. Visti questi ultimi sviluppi, alcuni attivisti hanno
iniziato a chiedere che tali iniziative vengano regolamentate dal punto di vista normativo.
Essi sostengono infatti che le iniziative orientate al bene comune dovrebbero essere
sostenute e tutelate dalla possibile concorrenza di iniziative orientate invece al profitto.24
La filosofia del condividere, scambiare e donare non si limita a un solo aspetto della vita. Gli
esempi seguenti dimostrano la grande varietà che caratterizza questa forma di economia.
3.2 Economia dei beni comuni ed economia tra pari
I seguenti progetti e iniziative non ricadono soltanto nelle categorie dell' "Economia di
Condivisione" e/o della "Libera Economia" ma presentano inoltre alcune caratteristiche
dell'economia "dei beni comuni" o "tra pari" ”. Per questo motivo forniamo in seguito una
breve spiegazione di questi concetti.
L'espressione "economia dei beni comuni" descrive un sistema di relazioni tra persone e cose
basata su vari principi (ad esempio, la cooperazione, la comunicazione, lo scambio, l'uso
collettivo delle risorse e la loro tutela e manutenzione) e su regole auto-determinate. Per
"beni comuni" non si intendono le risorse in sé, bensì l'interazione tra gli esseri umani e le
risorse, che possono essere rappresentate dal suolo, dall'acqua, da strumentazioni o
conoscenze. Caratteristiche di questo tipo di economia sono un accesso equo e una gestione
collettiva delle risorse: infatti, chiunque ne faccia uso fa parte di una "comunità", il che rende
la risorsa un "bene comune". Le regole di utilizzo dei beni comuni sono stabilite all'interno
della comunità e questo tipo di economia ha successo soltanto se i soggetti coinvolti hanno
una visione comune su come gestire una determinata risorsa. Il processo sociale di ricerca di
questa visione comune è definito, appunto, "messa in comune"(in inglese "commoning").25
24 Vgl. http://www.postwachstum.de/sharing-economy-gutes-teilen-schlechtes-teilen-20160209 25 Vgl. https://commons-institut.org/commons-einfach-erklaert/
In un'economia “tra pari”, i singoli individui desiderosi di scambiarsi o sviluppare prodotti
interagiscono direttamente gli uni con gli altri. La produzione tra pari si basa sui seguenti
principi: beni comuni (qualcosa che può essere utilizzato da tutti), "possesso invece di
proprietà" (non è importante chi possiede qualcosa, ma chi di questo qualcosa ha bisogno e
lo usa), libera cooperazione (il progetto può essere suddiviso in caso di conflitti) e
apprezzamento per ciò che una persona fa, non per ciò che possiede o per la posizione che
occupa in una determinata gerarchia ufficiale. Per trasferire l'economia tra pari dalla
produzione immateriale a quella materiale, Christian Siefkes aggiunge inoltre il principio di
"contribuire invece di scambiare". I beni non sono quindi prodotti e immessi sul mercato; si
decide preventivamente cosa si vuole ottenere e come si può contribuire a produrre tali beni.
In questo processo "condividi ciò che puoi" è un altro importante principio.26
Friederike Habermann ha coniato il termine "Ecommony", che potrebbe essere tradotto come
"Ecommonia" (basato su un gioco di parole tra "economia" e beni "comuni") per descrivere il
modello di produzione tra pari basato su beni comuni nell'ambito delle economie
alternative.27
3.3 Alimentazione
Condivisione del cibo
Ovunque nel mondo il cibo viene condiviso. In molte regioni e culture è pratica comune
donare cibo a chi non ha di che nutrirsi, mangiare insieme alla famiglia, agli amici e ai vicini
o condividere lo stesso piatto. Ciò avviene, per esempio, in posti quali il Sudan e il Marocco,
ma anche in Svizzera (pensiamo alla famosa "fonduta") o nelle aree sud-occidentali della
Germania, in cui in occasione delle feste popolari è prassi condividere un grande bicchiere di
vino all'interno di un gruppo. Ma specialmente nei Paesi del Nord Globale, in cui è presente
uno spiccato individualismo, il desiderio di provare l'emozione della comunità e della
condivisione dei pasti è in aumento. La piattaforma www.foodsharing.de ad esempio offre la
possibilità di incontrare altre persone per cucinare e mangiare insieme. Tuttavia, la
piattaforma ha anche un altro obiettivo. Il surplus e lo spreco di cibo in molti Paesi "ricchi"
del mondo hanno generato svariate iniziative finalizzate a far sì che il cibo non finisca nella
spazzatura. La piattaforma consente di gestire la distribuzione degli avanzi di cibo in
Germania e Austria. Commercianti, produttori e semplici cittadini privati possono offrire o
ritirare gratuitamente cibo che altrimenti finirebbe, appunto, nella spazzatura.
26 Vgl. https://commonsblog.wordpress.com/2008/05/24/beitragen-statt-tauschen/ 27 Vgl. Friederike Habermann: Ecommony. UmCARE zum Miteinander, 2016
Cooperative alimentari
Ultimamente, cooperative alimentari e gruppi d'acquisto sono andati formandosi in numero
sempre crescente, specialmente nelle città europee. In molti infatti preferiscono acquistare
generi alimentari direttamente da agricoltori e allevatori locali o regionali; tuttavia, i
produttori solitamente non organizzano il trasporto in città dei prodotti per consegnare le
merci a una sola persona. Per questo motivo i consumatori collaborano e ordinano, tutti
insieme, una grande quantità di cibo, equivalente all'ordine di un commerciante all'ingrosso.
In questo modo, il produttore "ammortizza" i costi del trasporto verso la città. Inoltre, i
prezzi sono inferiori rispetto al commercio al dettaglio, poiché i generi alimentari hanno costi
inferiori per i membri delle cooperative alimentari. Queste ultime, specialmente se piccole,
tendono a condividere non solo il cibo ma anche il lavoro. Esistono diverse forme di
cooperativa: quelle create esclusivamente allo scopo di effettuare gli ordini, quelle che
raccolgono le derrate in magazzini dove tutti i membri passano poi a ritirarle e si aiutano a
vicenda auto-organizzandosi e, infine, le cooperative alimentari che funzionano come veri e
propri negozi, con i loro dipendenti. Le cooperative alimentari non mirano soltanto a
sostenere i coltivatori locali, ma anche l'agricoltura rispettosa dell'ambiente e il commercio
equo.28
Agricoltura di Comunità
L'Agricoltura di Comunità (in Germania nota come "Agricoltura solidale") costituisce
un'ulteriore opportunità di acquistare cibo direttamente dai produttori locali e di lavorare e
prendere decisioni collettivamente. Uno o più produttori si uniscono a un gruppo di
consumatori, con cui stipulano un contratto normalmente della durata di un anno. Mentre il
produttore contribuisce alla comunità con le proprie terre e le proprie conoscenze, i
consumatori pagano -su base mensile o con un anticipo di un anno - le spese previste per
piantare e raccogliere i prodotti agricoli. L'ammontare del contributo dipende da cosa viene
piantato e in che quantità. La comunità di produttori e consumatori decide collettivamente e
su base annuale l'ammontare del contributo e i prodotti da fornire. Tale forma di economia
solidale offre vantaggi a entrambe le parti: mentre il produttore gode della sicurezza
finanziaria per un anno e può proporre diversi metodi di agricoltura rispettosa dell'ambiente,
i consumatori sanno da dove proviene il cibo che mangiano, possono partecipare
all'agricoltura ecologica e sostenere la produzione di cibo di stagione prodotto localmente. A
seconda del tipo di produzione, i consumatori possono anche contribuire alla comunità con la
28 Vgl. www.solidarische-oekonomie.de/index.php/formen-und-beispiele/projekte-hierzulande/lebensmittel-&-
konsum/108-food-coops
propria forza lavoro. Una comunità di questo tipo si basa sulla fiducia reciproca e ha
caratteristiche diverse a seconda dell'azienda agricola su cui si basa. Questa modalità ha
riscosso molto successo in tutto il mondo: solo negli Stati uniti esistono 1.500 comunità,
mentre in Giappone quasi la metà delle famiglie si rifornisce tramite i "teikei", le
organizzazioni che hanno ispirato il concetto di agricoltura di comunità. Diverse comunità di
questo tipo si sono diffuse anche in Mali, Cina, Brasile, Cile, Argentina e Ecuador.29
Orti di comunità
Gli orti di comunità vengono coltivati collettivamente da gruppi di persone. Questo tipo di
organizzazione è particolarmente popolare nelle città e proprio per questo è conosciuta
anche come "orti urbani". Lo stato giuridico di questi orti è diverso di caso in caso, poiché i
terreni possono essere occupati, privati o pubblici. Gli orti possono essere coltivati da gruppi
di vicini, organizzazioni politiche, scuole, chiese o i cosiddetti "ortolani di guerriglia". Questi
ultimi piantano in segreto piante in spazi pubblici, come forma di protesta politica e per
abbellire spazi urbani abbandonati. Gli orti di comunità consentono inoltre di prodursi da soli
il cibo, specie nelle città, di partecipare attivamente alla pianificazione urbana o dell'ambiente
in cui si vive e di fare un'esperienza di comunità. Non tutti gli orti di comunità sono fissi: in
molti casi gli ortaggi non vengono piantati nel terreno ma in aiuole sopraelevate o su pallet,
come avviene ad esempio quando le autorità cittadine concedono solo temporaneamente
l'usufrutto di aree in disuso a gruppi di agricoltori.30 Gli orti di comunità sono sempre esistiti
nel mondo quale modalità di agricoltura collettiva, mentre il movimento degli orti urbani vero
e proprio è nato a New York negli anni '70. Oggi, gli orti di comunità sono parte integrante
dei movimenti sociali per la giustizia alimentare, la resistenza antirazzista e le politiche per la
tutela degli indigeni, delle donne e per l'uguaglianza di genere. A Cuba gli orti di comunità
hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel fornire cibo ai
cittadini. In alcuni municipi del Sud Africa gli orti di comunità sono molto diffusi. Essi
rappresentano da una parte una fonte di cibo, dall'altra luoghi di speranza, solidarietà e, a
volte, di resistenza attiva alle politiche economiche neoliberali. A Buenos Aires vi sono più di
1.000 orti di comunità. Essi non contribuiscono soltanto ad aiutare le persone in difficoltà,
ma anche a costruire reti sociali e a concretizzare in maniera attiva utopie di natura politica o
economica.31
29 Vgl. http://www.makecsa.org/wie_funktioniert_CSA 30 Vgl. https://de.wikipedia.org/wiki/Gemeinschaftsgarten 31 Vgl. http://www.eine-andere-welt-ist-pflanzbar.de/index.php?article_id=4&clang=0
3.4 Abbigliamento e altro
Non sono soltanto i generi alimentari a potere essere condivisi e donati. Molte persone
posseggono così tanti oggetti che non sanno più nemmeno dove metterli. Alcuni non
vogliono contribuire ad innalzare ulteriormente la montagna di spazzatura che continua ad
accumularsi. Altri ancora non hanno denaro a sufficienza per comprare cose nuove o non
vogliono contribuire alla produzione di nuovi oggetti, a causa del loro elevato impatto
ambientale. Quindi perché buttare un maglione soltanto perché non mi sta più? E viceversa:
perché comprare un nuovo maglione quando qualcun'altro ce l'ha e non ne ha più bisogno?
Freeshop e Freebox
Un sito web giveaway o un freeshop (come, ad esempio, la rete mondiale
www.freecycle.org) si basa proprio su questa logica. Questi punti vendita funzionano come
negozi di abiti di seconda mano, ma senza scopo di lucro e al di fuori della logica dello
scambio. La domanda che ci si pone non è: quanto costa? Bensì: di cosa ho bisogno?
Chiunque abbia qualcosa di cui non ha più bisogno può portarlo al freeshop; viceversa, se si
trova in un freeshop qualcosa di cui si ha bisogno è possibile prenderlo e portarlo a casa. Si
può portare al freeshop di tutto, dai vestiti agli strumenti ai dispositivi elettronici, dagli
utensili da cucina ai libri, giocattoli e strumenti musicali. I freeshop hanno svariate origini:
alcuni sono sorti come finanziamento di attività di benficenza, altri per motivi più
prettamente ecologici. Per prevenire una mentalità del tipo "compra al prezzo più basso
possibile", nonché per evitare che i freeshop diventino modi per accaparrarsi oggetti da
rivendere al mercato delle pulci, il numero degli oggetti da portare via è spesso limitato a tre
per visita. Poiché vi è sempre il rischio che i freeshop si trasformino in accumuli di oggetti
inutili, il negozio deve essere accuratamente gestito. Di questo si occupano solitamente i
volontari; tuttavia, anche alle persone che usufruiscono dei freeshop viene solitamente
chiesto di contribuire alla gestione, ad esempio, suddividendo da sé le proprie cose negli
scaffali.32
Oltre ai freeshop e ai siti web gratuiti esistono anche le free box. Si tratta di scatole da porre
fuori dal portone di casa, agli angoli della strada, negli androni delle scale etc., dove mettere
cose che non si usano più e che si desidera donare gratuitamente agli altri.
Comunità di utenti
32 Vgl. Friederike Habermann: Halbinseln gegen den Strom. Anders leben und wirtschaften im Alltag. Ulrike
Helmer Verlag, 2009, S. 46ff
Un altro modo di condividere è costruire una comunità, una rete di persone che usano
qualcosa insieme o si offrono oggetti e conoscenza a vicenda. Esistono alcuni siti web per
tale scopo, ma solitamente queste comunità si formano tra vicini di casa e persone che
condividono la propria sfera privata. A volte sono i freeshop stessi a sostenere la creazione di
tali comunità. Le comunità di utenti si basano sul principio che non tutti devono possedere
tutto, magari solo per usarlo una volta o due. Il concetto non riguarda soltanto gli oggetti ma
anche le abilità e le conoscenze. Normalmente gli oggetti restano di proprietà privata, ma le
comunità possono anche creare un magazzino o una lista virtuale. Per far sì che le comunità
di utenti funzionino, la fiducia reciproca è una pre-condizione necessaria.33
Swap-Parties
Gli swap-parties sono al momento molto di moda tra i giovani dell'America Settentrionale e in
Europa. Come suggerito dal nome, i party seguono la logica dello scambio (swapping). Gli
interessati possono organizzare essi stessi uno swap party in una casa privata o recarsi a un
party su invito o perché hanno visto un annuncio su internet. Gli ospiti o gli invitati portano
le proprie cose (soprattutto indumenti) e possono scambiarle con gli altri ospiti. Esistono
anche swap party organizzati da strutture commerciali che fanno pagare costosi biglietti
d'ingresso.
3.5 Servizi
"Un'ora di uso del computer e di internet" in cambio di "un'ora di baby-sitting" o di "un pacco
di caffè". Anche i servizi possono essere condivisi all'interno dei cosiddetti sistemi o circoli di
scambio. I circoli di scambio esistono da lungo tempo e sono diffusi in tutto il mondo.
Nascevano e nascono come modo di reagire alla povertà, specialmente nei periodi post-
bellici e dopo ondate di crisi economica. La gente, rimasta senza denaro, è quasi costretta a
cooperare: si va dai vicini, si mettono a disposizione la propria forza lavoro e il proprio tempo
in cambio di ciò di cui si ha bisogno. L'idea di regalare ore di attività lavorativa costituisce
tuttora l'idea di base dei circoli di scambio nel Nord Globale. Nella versione classica del
circolo di scambio, il lavoro (e gli oggetti) vengono scambiati con una valuta immaginaria che
costituisce il simbolo del tempo messo a disposizione. Quindi ogni membro del circolo di
scambio ha a disposizione un bonus di tempo o un conto corrente di valuta immaginaria su
cui può accumulare o trasferire le ore a credito/debito o i "Taler" (valuta immaginaria). Lo
svantaggio principale di questi circoli è rappresentato dal fatto che gli scambi così concepiti
33 Vgl. Friederike Habermann: Halbinseln gegen den Strom. Anders leben und wirtschaften im Alltag. Ulrike
Helmer Verlag, 2009, S. 76
possono contribuire a monetizzare le relazioni tra vicini: se non ci fosse stato un circolo di
scambio, probabilmente gli oggetti o l'aiuto sarebbero stati forniti gratis, mentre in un circolo
di scambio tutto ciò che si dà e riceve viene conteggiato. Tuttavia, per molti membri dei
circoli di scambio, specialmente nelle grandi città, l'idea di avere un contatto diretto con le
persone e incontrare i vicini costituisce la spinta principale a prendere parte a un circolo.
Invece di fare la spesa in un anonimo supermercato o di cliccare un prodotto presente su un
sito web è possibile incontrare persone diverse, parlare e negoziare con loro. I circoli di
scambio sono spessi organizzati tramite siti web.34
3.6 Spazi di vita
Ovunque nel mondo ci sono persone che condividono gli ambienti di vita. All'interno delle
famiglie, due, tre o più generazioni spesso convivono sotto lo stesso tetto; amici o studenti
che non si conoscono neppure condividono appartamenti e vi sono gruppi che si uniscono in
comuni ed eco-villaggi. Le circostanze e i motivi che spingono le persone a condividere gli
ambienti in cui vivono spaziano dalla mancanza di denaro al desiderio di fare un'esperienza
di comunità e vivere in maniera sostenibile.
Ecovillaggi e comuni
Gli ecovillaggi e le comuni, ad esempio, sono progetti pilota di vita collettiva e di
elaborazione di strategie di sopravvivenza. Essi costituiscono valide esperienze atte a
dimostrare come sia possibile vivere in modo alternativo e cambiare la società nel suo
insieme. Gli ecovillaggi e le comuni si trovano in Africa, Asia, America Latina, America
Settentrionale ed Europa: Auroville in India, Tiberkul in Siberia, Gaviotas in Colombia,
Siebenlinden in Germania sono soltanto alcuni degli esempi più noti. In Senegal alcuni di
questi villaggi sono persino parte di politiche governative. La maggior parte delle comuni e
degli ecovillaggi condividono risorse e alcuni cercano di ridurre il proprio impatto ambientale
al minimo, altri si occupano di fornire assistenza a malati e persone anziane, altre
sostengono uno stile di vita che unisca le diverse generazioni, altri ancora si basano su
pratiche spirituali. L'edilizia e la fornitura di energia sono soltanto alcune delle attività di cui
si occupano queste realtà. Le comunità desiderano integrare quanti più aspetti della vita
possibile: la produzione, l'istruzione, la sicurezza sociale. Le comuni e gli ecovillaggi sono
organizzati in maniera anche molto diversa tra loro e si basano su diversi fondamenti, che
possono spaziare da vaghe nozioni di economia solidale alla condivisione del denaro, al
divieto di proprietà privata; inoltre, ospitano diverse tipologie di gruppi di persone, dalle
34 Vgl. http://ethik-heute.org/tauschkreise-wirtschaften-ohne-geld/
strutture famigliari alternative a coppie di stampo tradizionale, sposate con figli. Tuttavia,
tutte queste esperienze hanno in comune l'obiettivo di uno stile di vita più sostenibile grazie
a un'organizzazione collettiva della vita.35
Città di Transizione
L'idea delle Città di Transizione ha raggiunto le dimensioni di un movimento internazionale
sin dalla sua creazione da parte di Rob Hopkins nel 2006. Il Rapporto 2014 della Rete di
Transizione conta 1.170 iniziative in 47 Paesi del mondo. Visti il cambiamento climatico e il
picco del petrolio, le città di transizione vogliono essere un modo di riconsiderare il modo in
cui viviamo in Occidente. Inoltre, queste realtà si preparano alle possibili future conseguenze
negative del nostro stile di vita, quali, ad esempio, la scarsità di risorse. Le Città di
Transizione costituiscono la realizzazione del concetto di "Nowtopia", vale a dire l'idea per cui
le iniziative intraprese per cambiare l'ambiente in cui viviamo devono essere messe in atto
immediatamente, senza attendere eventuali decisioni in tal senso prese a livello politico. Nei
progetti di comunità, i rappresentanti delle città di transizione sperimentano nuove forme di
convivenza ed economia regionale: la riduzione dei carburanti fossili, il sostegno alle
economie regionali e locali e il ricorso alla "permacultura".36 Quest'ultimo concetto si basa
sullo studio dei modelli e delle strutture presenti in natura e sui principi che regolano gli
ecosistemi naturali. Si tratta quindi di applicare i meccanismi di funzionamento dei cicli
naturali all'agricoltura e ad altri settori quali l'edilizia, l'auto-sostentamento, i fondamentali
dell'economia e la costruzione di comunità. 37
3.7 Mobilità
Condividere un'auto o una bicicletta è comune in molte regioni del mondo. È auspicabile che
questa pratica vada sempre più diffondendosi, poiché il traffico, l'inquinamento e lo spreco di
risorse e energia sono in aumento. In molti Paesi del Nord Globale si stanno moltiplicando le
iniziative e i siti web, sia no-profit sia di stampo commerciale, finalizzati a facilitare la
condivisione di automobili tra soggetti privati. Rispetto al passato, ad oggi sono in aumento i
casi di sfruttamento commerciale di iniziative nate senza scopo di lucro.
Le officine di riparazione delle biciclette sono il tipo più comune di manutenzione gratuita. I
volontari che lavorano all'interno delle officine insegnano ai clienti come ripararsi da soli le
35 Vgl. https://reset.org/knowledge/ganz-schoen-anders-oekodoerfer-und-kommunen,
http://gen.ecovillage.org/de 36 Vgl. http://www.endlich-wachstum.de/kapitel/perspektiven-alternativen/methode/nowtopia/ 37 Vgl. www.permakultur.de
biciclette e condividono gli strumenti necessari alla riparazione. Queste iniziative si
sostentano principalmente grazie alle donazioni.
3.8 Condivisione di conoscenze e abilità
Anche i dispositivi elettronici possono essere portati in officina per la riparazione. Queste
officine sono un esempio di condivisione di abilità: condividere significa infatti trasmettere
abilità ad altri. Quando questo passaggio avviene gratuitamente esso prende il nome di
"freeskilling". A Bristol e Londra, ad esempio, le Comunità Freeconomy offrono sessioni di
freeskilling: la raccolta di fondi per iniziative di beneficenza, la gestione della rabbia, la
manutenzione delle biciclette, la cottura del pane, l'organizzazione di campagne di
sensibilizzazione sono soltanto alcuni dei corsi gratuiti organizzati.38 (Per ulteriori esempi e
offerte, vedi il sito: <http://www.streetbank.com/just_for_the_love_of_it?locale=en>).
“Se ami i tuoi libri, lasciali andare": così il New York Times ha descritto l'iniziativa
<www.bookcrossing.com>. Il sito web infatti offre non soltanto la possibilità di condividere e
donare i propri libri, ma anche di seguirne il percorso in seguito al "rilascio". La donazione e
condivisione dei libri può essere effettuata anche senza ricorrere a Internet: basta portare i
libri in un freeshop, creare o riempire scaffali e freebox in strada o lasciarli in luoghi adatti
quali fermate di autobus, treni, bagni pubblici, bar e panchine.
3.9 Comunicazione
Sicuramente posso condividere un computer con altri. Ma posso condividere un software?
Posso modificarlo o migliorarlo? I software più comunemente usati, come Microsoft Word o
Adobe Photoshop sono software "chiusi" o "proprietari" perché il codice sorgente non può
essere modificato o copiato da nessuno se non la persona o organizzazione che l'ha creato e
che mantiene il controllo esclusivo su di esso. I software open source funzionano invece in
modo diverso. Gli autori del software mettono il codice sorgente a disposizione di chiunque
voglia prenderne visione, copiarlo, trarne ispirazione, modificarlo o condividerlo. Esempi di
software open source sono Libre Office e GNU Image Manipulation Program. Come illustrato
da Opensource.com: "Ci piace pensare che l'open source rappresenti non solo un modo di
sviluppare e sottoporre a licenza il software, ma anche un atteggiamento. Affrontare la vita
in tutti i suoi aspetti con "mentalità open source" significa esprimere la propria volontà di
condividere, collaborando con gli altri in modo trasparente (cioè facendo in modo che anche
gli altri possano unirsi), considerando il fallimento uno strumento di miglioramento e
incoraggiando gli altri a fare altrettanto. Significa impegnarsi a svolgere un ruolo attivo nel 38 Vgl. https://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Boyle_%28Moneyless_Man%29
migliorare il mondo, il che è possibile soltanto se tutti hanno accesso al modo in cui il mondo
viene strutturato.”39
3.10 Evitare gli sprechi
Gli sprechi possono essere evitati riducendo, condividendo, riparando e riusando i prodotti
che utilizziamo, come auspicato dalle diverse iniziative illustrate in precedenza. La strategia
della "coerenza" o "ecoefficienza" si basa sulla nozione che non esistano rifiuti ma solo
prodotti. Secondo la strategia della "coerenza", la produzione può e deve seguire un circuito
chiuso, come in natura. Le catene di produzione modellate su tale concetto sono a volte
denominate "dalla culla alla culla", in contrapposizione al modello di produzione "dalla culla
alla tomba". Un simile circuito chiuso può essere realizzato in due modi: uno è utilizzare
componenti completamente biodegradabili, che possano essere completamente assimilati
dalla biosfera in un periodo di tempo relativamente breve, per poi tornare all'interno del ciclo
biologico sotto forma di nutrienti (ad esempio, le t-shirt prodotte senza ricorrere a materiali
tossici). Un'altra strategia concerne i materiali non biodegradabili completamente o
abbastanza velocemente. Ad esempio la scocca del computer può non essere gettata una
volta raggiunto il termine della sua vita utile, bensì venire utilizzata a scopi differenti, a volte
di valore ancora maggiore. Proprio le scocche del computer potrebbero essere progettate in
modo da poterle riutilizzare come scaffali o dispense. In base a tale principio, noto come
upcycling, qualsiasi forma di rifiuto può essere riutilizzato come risorsa per la creazione di un
nuovo prodotto utile. Molte società adattano già i propri processi di produzione a tale
modello di coerenza. La società austriaca Gugler, ad esempio, produce carta e inchiostri che
non contengono sostanze dannose per l'ambiente, consentendo di riciclare una parte molto
più ampia del prodotto. Tuttavia, poiché è inevitabile perdere un certo quantitativo di massa
ed energia, è impossibile realizzare appieno il principio di coerenza.40
L'Alleanza Internazionale Zero Sprechi (Zero Waste International Alliance - http://zwia.org/)
guida le persone nel cambiamento del proprio stile di vita e delle proprie pratiche e offre
esempi di come sia possibile creare prodotti in modo da non doverne gettare alcuna parte.
Inoltre, numerose idee per l'upcycling e il fai da te sono reperibili su internet.
3.11 Rallentare
Molti abitanti dei Paesi "ricchi" percepiscono di non avere mai abbastanza tempo, o,
comunque, di non avere tempo sufficiente a disposizione per le cose realmente importanti
39 https://opensource.com/resources/what-open-source 40 http://www.endlich-wachstum.de/wp-content/uploads/2016/02/Chapter2-Three_Strategies-Consistency.pdf
della vita. Persone con redditi diversi, appartenenti a generazioni diverse e con retroterra
sociali diversi condividono la percezione dello stress derivante dal dovere, semplicemente,
fare troppe cose. I concetti di "rallentare" e "ricchezza di tempo" sono finalizzati a
contrastare il ritmo troppo veloce della vita odierna e a far riscoprire la lentezza. Proprio la
lentezza può aiutarci a ricominciare a prestare l'attenzione necessaria a noi stessi, alle cose
che facciamo, alla natura e alle persone che ci circondano, nonché al pianeta in cui viviamo.
La "ricchezza di tempo" potrebbe includere anche la libertà di decidere da soli come vivere e
passare il proprio tempo e può iniziare quando finalmente ci liberiamo di tutto ciò di cui non
abbiamo bisogno. Ciò implica inoltre nuove definizioni di tempo, ricchezza e lavoro. Molti dei
progetti e delle iniziative illustrati in precedenza si basano su una gestione diversa del tempo,
un modo diverso di lavorare, vivere e consumare. Implicano quasi tutti il rinunciare a
qualcosa per guadagnare in benessere e qualità delle relazioni. Infine, è davvero così bello
possedere sempre più cose ma non avere tempo per godere della propria vita?41
41 Vgl. http://www.konzeptwerk-neue-oekonomie.org/wp-content/uploads/2012/07/Zeitwohlstand.pdf, S. 9