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LA NOSTRA EREDITÀ PER IL FUTURO. MODELLI E PRATICHE PER REINVENTARE IL MONDO A cura di Artemissziò Foundation Bulgarian Gender Research Foundation arche noVa

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LA NOSTRA EREDITÀ PER IL FUTURO. MODELLI E PRATICHE PER REINVENTARE

IL MONDO

A cura di

Artemissziò Foundation

Bulgarian Gender Research Foundation

arche noVa

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Indice

Indice ....................................................................................................................................................... 2

1.1 Conflitti legati alla giustizia ambientale ............................................................................................ 5

1.1.2. Il controverso caso di un nuovo aeroporto nella Francia Occidentale...................................... 7

1.1.3. Deforestazione e attività estrattive illegali in Amazonia, Brasile .............................................. 8

1.1.4. Miniere d'oro contro locali e natura a Rosia Montana, Romania ............................................. 9

1.1.5. Smaltimento dei rifiuti e inquinamento in Cina ...................................................................... 10

2. Nuove alternative economiche ......................................................................................................... 13

2.1. Buen Vivir contro capitalismo naturale ..................................................................................... 13

2.2. Prodotto di Felicità Lordo (PFL) .................................................................................................. 15

2.3 Decrescita .................................................................................................................................... 17

2.4 Economia solidale ........................................................................................................................ 18

2.5. Commercio Equo Mondiale ........................................................................................................ 19

3. Modi alternativi di vivere e consumare............................................................................................. 21

3.1 Condividere, scambiare, donare ................................................................................................. 21

3.2 Economia dei beni comuni ed economia tra pari........................................................................ 22

3.3 Alimentazione .............................................................................................................................. 23

3.4 Abbigliamento e altro .................................................................................................................. 26

3.5 Servizi........................................................................................................................................... 27

3.6 Spazi di vita .................................................................................................................................. 28

3.7 Mobilità ....................................................................................................................................... 29

3.8 Condivisione di conoscenze e abilità ........................................................................................... 30

3.9 Comunicazione ............................................................................................................................ 30

3.10 Evitare gli sprechi ...................................................................................................................... 31

3.11 Rallentare .................................................................................................................................. 31

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Introduzione

La lezione “La nostra eredità per il futuro. Modelli e pratiche per reinventare il mondo”

intende delineare chiaramente quali siano le nostre responsabilità verso le popolazioni che

attualmente vivono in altre parti del mondo, nonché verso le generazioni future. Nel corso

della trattazione sarà introdotto il concetto di giustizia ambientale, in riferimento a una

visione condivisa della nozione di interdipendenza globale. La lezione intende fornire spunti

su come gestire le sfide attuali e far sì che la speranza di un mondo diverso e migliore

divenga una realtà concreta. Saranno inoltre illustrate alcune proposte alternative al nostro

attuale modello economico che possono essere attuate sia nel Nord sia nel Sud globale.

1. Cos'è la giustizia ambientale?

Capita frequentemente di sentir parlare di disastri ambientali. In molti casi, le problematiche

sociali e ambientali sono strettamente correlate: basti pensare all'epidemia di febbre Zika in

America Latina (la malattia, veicolata dalle zanzare, può causare seri problemi di salute alle

donne in stato di gravidanza, specialmente in comunità che vivono in zone isolate o

comunque in condizioni di emarginazione), allo smaltimento illegale di rifiuti tossici in

prossimità dei quartieri disagiati di Budapest o, infine, ai recenti flussi migratori. Da queste

situazioni apparentemente diverse si può trarre una lezione comune sul rapporto di

interdipendenza che lega l'ambiente e le società umane: i rischi sanitari, i conflitti e le guerre

hanno spesso cause o conseguenze di natura ambientale.

Il principio di "giustizia ambientale" si basa sull'assunto che i singoli e le comunità hanno il

diritto di vivere in un ambiente pulito e sano, senza che attività industriali e/o economiche

dannose influiscano sul loro benessere. In una società ideale, giusta e democratica, tutti

hanno diritto di accedere a risorse ambientali quali acqua e aria pulita, cibo sano e nutriente

etc. In realtà, spesso le attività umane generano rischi sanitari e condizioni di vita non sane,

che possono mettere a repentaglio la vita stessa degli esseri umani. Solitamente sono i

gruppi sociali più poveri o svantaggiati ad essere maggiormente vulnerabili all'impatto

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negativo di tali attività. In tal senso le ingiustizie sociali e ambientali risultano strettamente

correlate.

Il concetto di giustizia ambientale è nato in America negli anni '80, quando le comunità afro

e latino-americane iniziarono a protestare contro l'inquinamento ambientale e i danni causati

da aziende e istituzioni1. Negli USA, il problema venne portato per la prima volta

all'attenzione del pubblico quando dagli abitanti di un'area urbana del North Carolina,

popolata principalmente da comunità di afroamericani e da poveri, organizzarono una

protesta contro la realizzazione di discariche di rifiuti pericolosi nel quartiere. Essi

sostenevano che l'area in cui vivevano fosse stata scelta per ospitare tali attività proprio

perché abitata da membri di minoranze e gruppi svantaggiati. I movimenti per la giustizia

ambientale cominciarono dunque a stabilire un collegamento tra fattori ambientali e sociali.

Proprio in questo periodo fu inoltre introdotto il concetto di razzismo ambientale, in

riferimento al rapporto di interdipendenza esistente tra inquinamento, povertà e portata

dell'impatto ambientale su alcuni gruppi etnici o comunità minoritari.

Proprio grazie a questi movimenti di protesta risulta ormai chiaro come la giustizia

ambientale e le ineguaglianze globali siano interconnesse: l'1% più ricco della popolazione

globale detiene il 48% dei beni mondiali, mentre la metà più povera ne detiene soltanto

l'1%. Nel mondo, 702 milioni di persone vivono con meno di 1,9 dollari al giorno2, 795 milioni

soffrono la fame3 e più di 60 milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio

Paese4; 1,2 miliardi di persone (vale a dire, 1/5 della popolazione mondiale) non hanno

accesso a una quantità sufficiente di acqua pulita e 500 milioni di persone rischiano di

trovarsi in situazioni di scarsità idrica5.

I casi di studio a disposizione hanno dimostrato che i singoli e le comunità più poveri ed

emarginati tendono a subire in maggior misura le conseguenze dell'inquinamento ambientale

o gli effetti nefasti del cambiamento climatico, oltre a essere più vulnerabili ai danni

1 http://www.huffingtonpost.com/entry/a-look-at-environmental-j_b_4633223

2Vedi le proiezioni per il 2015 della Banca Mondiale all'indirizzo

http://www.worldbank.org/en/topic/poverty/overview

3 Vedi statistiche FAO all'indirizzo http://www.worldhunger.org/2015-world-hunger-and-poverty-facts-and-

statistics/#hunger-number

4 Vedi dati UNHCR all'indirizzo http://www.unhcr.org/news/latest/2016/6/5763b65a4/global-forced-

displacement-hits-record-high.html

5http://www.un.org/waterforlifedecade/scarcity.shtml

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provocati da inondazioni, siccità etc. Secondo il principio della giustizia ambientale tali

ingiustizie devono essere denunciate e contrastate attivamente.

1.1 Conflitti legati alla giustizia ambientale

Al principio di giustizia ambientale sono strettamente connesse svariate tipologie di conflitti:

dalla corsa all'approvvigionamento di fonti energetiche (petrolio, gas, nucleare etc.), alle

problematiche inerenti lo smaltimento dei rifiuti e l'inquinamento, sino agli scontri in merito

alla gestione dell'acqua, della sabbia o dei terreni. Le dinamiche che sottendono a tali

conflitti sono solitamente innescate dall'adesione a determinate logiche di mercato e politiche

e, molto spesso, dalla resistenza opposta dal pubblico. Spesso sono gli interessi contrastanti

delle diverse parti in gioco a creare focolai di potenziali conflitti futuri. Le problematiche

ambientali sono sempre state causa di contrapposizione tra diversi attori sociali; tuttavia, nel

ventunesimo secolo i casi di questo tipo sembrano moltiplicarsi a un ritmo vertiginoso.

Invariabilmente, sono le comunità più povere, emarginate o comunque svantaggiate a subire

maggiormente l'impatto del degrado ambientale, in termini economici, sanitari o socio-

culturali.

Illustriamo qui di seguito 5 diversi esempi di casi di violazione del principio della giustizia

ambientale, verificatisi in diverse parti del mondo. Alcuni di essi sono descritti anche

nell'Atlante della Giustizia Ambientale, un interessante progetto di mappatura della giustizia

ambientale e una preziosa risorsa per l'insegnamento, la costruzione di reti e l'attivismo

(https://ejatlas.org/).

1.1.1. Un conflitto per le terre in Sierra Leone, Africa6

La Sierra Leone Agriculture (SLA) ha siglato nel maggio del 2010 un accordo per la

concessione in leasing di 41.582 ettari di terreni per la coltivazione di olio di palma, destinato

alla produzione di biocarburanti. I biocarburanti sono, in linea di principio, fonti energetiche

"verdi": si tratta infatti di produrre energia a partire da prodotti vegetali invece che da fonti

energetiche fossili e proprio per questo motivo i biocarburanti sono considerati fonti di

energia "pulita". Tuttavia, per produrre i biocarburanti è necessario coltivare massicce

quantità di poche varietà di prodotti; ciò costituisce un serio problema, poiché in tal modo si

incoraggiano le monocolture e l'agricoltura su scala industriale, sottraendo così vaste aree di

terreni arabili a proprietari e coltivatori e alterando in modo irreparabile la fauna e la flora

6 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/sierra-leone-agriculture-siva-group-biopalm-project-in-port-loko-sierra-

leone

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locali. Nei Paesi meno ricchi, sono i poveri ad essere frequentemente vittime di tali fenomeni,

che coinvolgono aree anche molto vaste del territorio nazionale: i piccoli proprietari e

coltivatori vengono privati dei propri appezzamenti in seguito ad accordi spesso tutt'altro che

vantaggiosi per loro. Questo processo prende il nome di "land grabbing"; la definizione del

termine è fornita nella Dichiarazione di Tirana (2011) a cura della International Land

Coalition, un'organizzazione-ombrello che raggruppa 116 organizzazioni di varia portata,

dalle piccole associazioni locali alla Banca Mondiale.”7 “Le aree maggiormente colpite dal

fenomeno del land grabbing si trovano nel Sud Globale: il 70% dei casi di land grabbing

avviene infatti nell'Africa sub-sahariana; altre aree fortemente colpite dal fenomeno si

trovano nel Sud-Est Asiatico e in America Latina.”8. Come riportato dall'Oakland Institute, “si

stima che 500 milioni di acri di terra, un'area pari a circa dieci volte la Gran Bretagna, siano

stati acquistati o concessi in leasing nei Paesi in via di sviluppo negli ultimi dieci anni”9.

La Sierra Leone è entrata a far parte del business internazionale del commercio di terreni su

vasta scala relativamente tardi: fino al 2002 infatti il Paese è stato in balia di una guerra

civile che ha scoraggiato gli investitori stranieri. Negli ultimi dieci anni, tuttavia, anche la

Sierra Leone si è allineata ad altri Paesi sottosviluppati dell'area sub-sahariana. Nel 2011

l'Oakland Institute riportava che "in Sierra Leone quasi 500.000 ettari di terreni agricoli sono

stati concessi in leasing o sono oggetto di trattative in tal senso.”10 Le comunità locali e i loro

capi spesso non sono al corrente delle condizioni degli accordi e hanno quindi poche

opportunità di trattare o vedere riconosciuti i propri diritti. La perdita di terreni arabili e la

fine dell'agricoltura di sussistenza minacciano la sicurezza alimentare di un ingente numero di

persone, obbligate a lasciare i propri villaggi per tentare la sorte nelle grandi città, dove

vanno ad ingrossare le già numerose fila degli abitanti degli slum urbani.

Il solo investimento di SLA nel 2010 ha comportato il trasferimento di più di 30.000 residenti

e agricoltori del distretto di Port Loko, Sierra Leone. Nel momento in cui l'accordo è stato

siglato, SLA era una controllata di Caparo Group, un gruppo britannico guidato dal baronetto

Swraj Paul, magnate di origine indiana stabilitosi in Gran Bretagna, attivo nel Partito

Laburista e vicino all'ex Primo Ministro Gordon Brown. Il progetto prevedeva la creazione di

7https://www.oxfamamerica.org/take-action/campaign/food-farming-and-hunger/land-grabs/

8http://www.stopafricalandgrab.com/

9http://www.oaklandinstitute.org/we-harvest-you-profit

10http://www.oaklandinstitute.org/sites/oaklandinstitute.org/files/OI_SierraLeone_Land_Investment_report_0

.pdf

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piantagioni di palme da olio su 40.000 ettari di terreno entro il 2017, nonché di impianti per

la produzione di biocarburanti, vivai e infrastrutture legate alla piantagione. Nel 2011, SLA è

stata acquistata dal Gruppo SIVA per 5 milioni di dollari; l'accordo di leasing è dunque stato

trasferito al gigante di proprietà indiana. Le comunità locali non hanno ricevuto ragguagli in

merito all'accordo e le informazioni continuano ad essere vaghe e contraddittorie. Ad

esempio, l'Oakland Institute (OI) riporta che i capo villaggio sono convinti che l'accordo di

leasing debba essere rinnovato ogni 7 anni, mentre il sito web di Crad-l (titolare dell'accordo

iniziale di leasing, ormai decaduto) parla di un accordo di 50 anni. Nonostante siano stati

promessi 8.500 posti di lavoro, nell'ottobre 2012 risultava che solo 600 persone stessero

lavorando, per la maggior parte su basi totalmente casuali e senza contratto.

Inoltre, il Ministro dell'Agricoltura della Sierra Leone ha affermato di non avere mai sentito

parlare di SLA: infatti, come riportato da Oakland Institute, SLA ha portato avanti le

necessarie contrattazioni direttamente con i capotribù locali, eludendo ogni contatto con il

governo nazionale (e, di conseguenza, la normativa vigente) e neppure i proprietari dei

terreni o gli abitanti del luogo possiedono una copia del contratto di leasing. Poiché il

contratto è stato negoziato in assenza del governo nazionale, non è mai stata effettuata

alcuna Valutazione d'Impatto Ambientale e Sociale.

1.1.2. Il controverso caso di un nuovo aeroporto nella Francia

Occidentale11

Il controverso progetto per la costruzione di un aeroporto a Notre-Dame-des-Landes, nella

Francia Occidentale, è divenuto un simbolo nazionale di resistenza e ricerca di proposte

alternative. Il presidente Francois Hollande ha annunciato un referendum per stabilire la

futura destinazione dell'area. Il progetto "Aéroport du Grand Ouest" consiste di un nuovo

aeroporto situato a nord-ovest della città di Nantes, destinato a sostituire l'attuale aeroporto

Nantes Atlantique e a diventare lo scalo internazionale per eccellenza della Francia

Occidentale. Il progetto, che risale ai primi anni '60, è supportato dallo Stato francese

(l'aeroporto è stato infatti dichiarato "opera di interesse pubblico" nel 2008). Oltre

all'aeroporto, svariate altre infrastrutture saranno costruite nella stessa area, quali, ad

esempio, linee ferroviarie ad alta velocità che connettano Nantes alle principali città francesi.

L'opposizione è composta soprattutto da agricoltori, abitanti del luogo e ambientalisti, che

11 http://ejatlas.org/conflict/zad-at-notre-dame-des-landes-aeroport-du-grand-ouest-france

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mettono fortemente in discussione la fondatezza della necessità di costruire infrastrutture

così mastodontiche per risollevare l'economia nazionale, nonché l'idea di investire fondi

pubblici a tale scopo. Il progetto è stato inoltre criticato per il suo forte impatto in termini di

cambiamento climatico (inquinamento etc.) e ambientale (l'area si contraddistingue per la

biodiversità e la ricchezza di specie protette), nonché per le conseguenze negative sulle

comunità locali (diversi agricoltori e le loro famiglie sarebbero obbligati a lasciare l'area). Le

principali azioni contro il progetto sono quindi finalizzate a trasformare l'area in una "Zona da

Difendere" ("Zone á Défendre"): gli attivisti e le loro famiglie hanno occupato fattorie e

campi e organizzato attività alternative, costruito case con intercapedini in paglia,

ristrutturato stalle, teatri e bar con l'ausilio di materiali riciclati quali pallet industriali etc.

1.1.3. Deforestazione e attività estrattive illegali in Amazonia, Brasile12

La deforestazione e le attività estrattive illegali costituiscono una minaccia per l'intera foresta

pluviale amazzonica. Gli Indiani, che hanno abitato la foresta amazzonica sin dai tempi più

antichi, stanno combattendo questa importante guerra ecologica in prima linea, poiché

dipendono interamente dalle risorse fornite appunto dalla foresta. "La costituzione brasiliana

riconosce il diritto delle popolazioni indigene di vivere nei territori in cui hanno sempre

tradizionalmente risieduto e in armonia con il proprio stile di vita. La Costituzione afferma

inoltre che il governo è responsabile della demarcazione delle terre indigene e di fornire a tali

popolazioni un'istruzione bilingue e assistenza sanitaria adattata ai bisogni e alle credenze

delle genti indigene.”13 Tuttavia, in pratica la tutela delle comunità indigene è minata in

misura crescente da una normativa sempre più -deliberatamente - indebolita e implementata

in maniera poco efficace. Di tanto in tanto alcune lobby propongono emendamenti

costituzionali e leggi intese a compromettere ulteriormente i diritti degli indigeni e a facilitare

lo sfruttamento delle loro terre. Una delle ultime proposte in tal senso è la bozza di Legge

sulle Attività Estrattive nelle Terre Indigene No.1610, la quale, una volta adottata,

consentirebbe alle società estrattive di accedere legalmente ai territori indigeni. Il Comitato

Nazionale di Difesa dei Territori si è opposto alla Legge che tuttavia nel 2014 continuava ad

essere oggetto di discussione da parte dei legislatori federali brasiliani.

Il popolo Yanomami sarebbe la prima vittima delle modifiche apportate alla normativa.

Poiché la foresta è stata esplorata e colonizzata per la prima volta attraverso i suoi fiumi, gli

12 Fonte: https://ejatlas.org/conflict/gold-mining-in-indigenous-yanomami-territory-brazil

13http://wwf.panda.org/what_we_do/where_we_work/amazon/about_the_amazon/people_amazon/indigeno

us_brazil/

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Yanomami hanno vissuto in parziale isolamento per un periodo di tempo molto lungo,

preservando il proprio stile di vita tradizionale e all'insegna dell'armonia con la natura. Their

territory Il loro territorio si estende dal bacino del fiume Orinoco nel Venezuela meridionale

sino al Rio delle Amazzoni nel Brasile Settentrionale ed è ricco di risorse minerali. Ciò ha

causato, sin dalla metà degli anni '70, la continua - e illegale - invasione delle terre degli

Yanomami da parte dei cercatori d'oro. La violenza e le malattie portate dagli invasori hanno

causato la morte di circa 1.500 Yanomami.

Nel corso degli anni '80 più di 40.000 cercatori d'oro illegali hanno invaso il territorio degli

Yanomami, uccidendo persone, demolendo interi villaggi e portando nuove malattie. In soli 7

anni, il 20% della popolazione è stata decimata.14 Un leader Yanomamy, Davi Kopenawa

Yanomami, è riuscito a mobilitare l'opinione pubblica internazionale e nel 1992 è stata

finalmente delimitata l'area del Parco Nazionale Yanomami. Tuttavia, i cercatori d'oro sono

tornati poco dopo a minacciare l'area, riaccendendo le precedenti tensioni.

Nonostante la delimitazione ufficiale, non esiste un programma che tuteli adeguatamente i

confini della riserva: di conseguenza, la presenza di cercatori d'oro illegali è addirittura

aumentata durante gli ultimi 10 anni del ventesimo secolo. Nel 1993, un gruppo di cercatori

d'oro ha assassinato 16 Indiani abitanti di un villaggio, incluso un neonato. Oggi più di 1.000

cercatori d'oro lavorano illegalmente nelle terre degli Yanomami, contribuendo a diffondere

malattie, favorendo la prostituzione e inquinando i fiumi. Secondo la ONG Survival

International, la salute del popolo Yanomami è in pericolo e gli indigeni necessitano di

assistenza medica immediata e di una tutela più efficace dei loro diritti sulle proprie terre.

L'applicazione di questa legge metterebbe le popolazioni Yanomami ancora più a rischio di

contaminazione del terreno e di diffusione di malattie e potrebbe addirittura costringerli a

dovere abbandonare le loro terre. Basti pensare che nel 2013 soltanto il loro territorio è stato

oggetto di ben 654 richieste di autorizzazione allo sfruttamento.

1.1.4. Miniere d'oro contro locali e natura a Rosia Montana, Romania15

Nel 2002 Rosia Montana ha ospitato un incontro di 350 persone provenienti da tutta la

regione. L'incontro ha prodotto la prima Dichiarazione emessa dalla Romania dopo il 1989: si

tratta della Dichiarazione di Rosia Montana, che ha posto le basi di e legittimato Alburnus

Maior, l'associazione locale. La Dichiarazione è stata sostenuta da un gruppo di 25 ONG 14http://www.survivalfrance.org/peuples/yanomami

15 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/rosia-montana-romania

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ambientaliste romene. Lo scopo di tale organizzazione di base era mobilitare tutte le correnti

di opposizione alla più grande miniera aurifera di cianide a cielo aperto in Europa, un

progetto facente capo alla corporazione canadese Gabriel Resources e, in seguito, alla Rosia

Montana Gold Corporation. Gli abitanti del luogo si sono divisi sul tema: alcuni sostenevano

che l'investimento avrebbe favorito lo sviluppo economico (e la creazione di posti di lavoro)

nella Regione, mentre altri ribattevano che il progetto di estrazione avrebbe messo a

repentaglio l'ambiente nonché le culture locali.16Negli ultimi 14 anni Alburnus Maior è riuscita

non solo a bloccare il progetto di estrazione, ma anche a sviluppare il più grande e duraturo

movimento socio-ambientalista della Romania grazie a un intenso lavoro di networking

internazionale. Attualmente il movimento ha raccolto più di 100.000 sostenitori attivi che,

tramite l'attivismo e la partecipazione diretta, le donazioni e la promozione dell'attività

dell'associazione, sono stati coinvolti nelle diverse azioni messe in atto a favore di Rosia nella

località romena o in contesti internazionali. Il fine del movimento è riscattare l'area,

trasformando un luogo isolato e destinato a uso mono-industriale in una regione dinamica e

vivace, con un'economia basata sull'agricoltura e l'ecoturismo, un punto di riferimento per i

dibattiti socio-politici sui futuri alternativi. Questo successo ha dimostrato che lo sviluppo

economico e la tutela dell'ambiente non sono affatto, come sostenuto da molti, due obiettivi

in contrapposizione.

1.1.5. Smaltimento dei rifiuti e inquinamento in Cina17

Nell'agosto 2014, i residenti del villaggio di Qingpuling, nella provincia di Fujian, hanno vinto

una causa intentata nei confronti di una società locale operante nell'ambito dello smaltimento

dei rifiuti, dopo una battaglia legale durata 5 anni. La società incriminata, la quale produceva

emissioni tossiche e inquinanti che contribuivano pesantemente all'inquinamento ambientale,

è stata condannata a pagare 6 milioni di yuan (US$976,626) agli abitanti del villaggio, in

veste di risarcimento per i danni causati alla loro salute e all'ecosistema locale. Tuttavia, non

tutti sono soddisfatti dell'entità del risarcimento e molti hanno deciso di abbandonare il

villaggio.

La Società di Smaltimento dei Rifiuti Solidi di Fujan è stata fondata nel villaggio di

Qingpuling, nella provincia di Fujian, nel 2000. La società è specializzata nell'incenerimento

dei rifiuti medici provenienti da Fuzhou. A causa del ricorso a tecniche improprie, della scarsa

16Vedi il documentario New Eldorado, che illustra esaurientemente la situazione

(https://www.youtube.com/watch?v=Y_OmmmibA8o)

17 Fonte: http://ejatlas.org/conflict/dioxin-pollution-in-qingpuling-village-fujiang-china

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supervisione e dell'isolamento dell'area, la società pare avere scaricato più volte i propri rifiuti

tossici in maniera illegale, causando una catastrofe ambientale per il villaggio. Gli alberi che

crescono in prossimità dello stabilimento non producono più frutti dal 2003. Un fumo nero e

maleodorante fuoriusciva dal sito di smaltimento. Le acque del canale di irrigazione sono

diventate nere e gli alberi da frutto sono avvizziti e poi morti. Gli abitanti del villaggio, entrati

in contatto con le acque inquinate del canale, hanno sviluppato un'intensa orticaria. Nel

2009, con l'assistenza legale di avvocati professionisti, i locali hanno intentato una causa

collettiva contro la fabbrica, richiedendo un risarcimento per 10 anni di perdite finanziarie,

l'effettuazione di test sulla qualità del suolo, l'adozione di eventuali misure atte a ripristinarla

e controlli medici per l'intera popolazione del villaggio. Nell'ottobre 2010, il caso è stato

accolto dal tribunale locale. Lo stabilimento ha ripreso la sua attività dopo avere adottato le

necessarie misure. I residenti hanno lasciato il villaggio e pare che le autorità locali abbiano

attivamente partecipato a trovare una nuova sistemazione per la popolazione.

1.2 Caratteristiche comuni dei diritti alla giustizia ambientale

Come si può evincere dagli esempi, il degrado ambientale è spesso causato dall'attività

umana. Le regole del mercato liberista rendono i territori abitati da popolazioni povere

vulnerabili a pratiche commerciali che si rivelano distruttive. L'elemento comune a queste

pratiche è il principio per cui distruggere la natura ha un effetto negativo anche sugli esseri

umani. Le conseguenze più a lungo termine probabilmente finiranno per toccare tutti noi,

mentre le conseguenze a breve termine riguardano in primo luogo le persone che vivono

nelle aree colpite, il cui diritto di vivere una vita dignitosa, nonché al cibo, alla salute e alla

casa risulta compromesso. Poiché queste persone hanno meno potere, la loro voce non ha

altrettanta risonanza di quella delle grandi multinazionali, sostenute da potenti lobby e a

volte persino dai governi nazionali e da organizzazioni internazionali quali la Banca Mondiale.

Tuttavia, molti casi di mobilitazione si sono conclusi con esito positivo: quindi, nonostante

queste azioni possano essere molto dispendiose in termini di tempo ed energie, è molto

importante intraprenderle. Nella maggior parte dei casi, il successo è frutto di azioni creative

e del lavoro svolto dalle organizzazioni di base, che riescono ad attirare l'attenzione dei

media sui problemi e a insistere nella propria azione. Purtroppo, molti di questi casi non

trovano adeguata copertura mediatica.

1.3 Le cause primarie dell'ingiustizia ambientale

Nonostante sia abbastanza istintivo scindere i problemi socio-politici da quelli ambientali,

sempre più esperti sostengono che sia necessario operare un'analisi maggiormente

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complessa18. Essi sostengono che l'eguaglianza sociale, la sostenibilità ambientale e i

nostri modelli economici siano tutti strettamente correlati. Secondo questi

esperti, alla radice del problema vi sono l'attuale sistema economico globale e le

diseguaglianze sociali che esso crea. Una di questi studiosi, Sasskia Sassens19, sostiene che

l'impoverimento delle classi bassi e medio-basse della società sia soltanto un lato della

medaglia: dall'altro lato vi è una situazione in cui la terra, l'aria o l'acqua non costituiscono

più una fonte di sostentamento alla vita. Secondo l'esperta, le nostre attività economiche

producono "terra morta" e, di conseguenza, il degrado delle condizioni di vita fa allontanare

gli uomini dalla natura e dai territori da cui hanno tratto la vita.

L'economia basata sulla crescita e il consumo sfrutta le risorse ambientali e le persone "non

solo la mercificazione della terra e dell'acqua, ma anche l'ulteriore monetizzazione dei beni

che se ne traggono"20, aggiungerebbe Sassens. “La disastrosa diminuzione della qualità dei

terreni, dell'acqua e dell'aria ha avuto effetti particolarmente devastanti sulle comunità più

povere: si stima che globalmente 800 milioni di persone siano state costrette dai luoghi in cui

vivevano. “21

Le società multinazionali sono attori importanti in questo contesto. Lo scopo principale delle

multinazionali infatti è aumentare i propri profitti: i fattori sociali o ambientali non

costituiscono certo delle priorità. Queste società, orientate al profitto, hanno spesso sede nel

Nord Globale. Una delle motivazioni per cui ciò avviene è l'eredità coloniale: il colonialismo

ha infatti ostacolato lo sviluppo dell'economia manifatturiera nelle ex colonie. I Paesi del Sud

Globale non sono riusciti a superare questa impostazione e soffrono tuttora delle

conseguenze del neocolonialismo, anche perché forniscono importanti materie prime. I

consumatori del Nord Globale comprano prodotti fabbricati grazie a queste risorse e

entrambi (società e consumatori) producono rifiuti. Perciò limitarsi a combattere per un

sistema più giusto è inutile se non tentiamo di modificare le nostre abitudini di consumo. Ad

esempio, se tutti consumassero la stessa quantità di risorse di un americano medio

sarebbero necessari altri 5 pianeti come il nostro per attingere a una quantità di risorse

18 vedi Naomi klein, This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate , 2015, and What Every

Environmentalist Needs to Know About Capitalism: A Citizen’s Guide to Capitalism and the Environment di Fred

Magdoff and John Bellamy Foster, 2011

19 vedi: Expulsions: Brutality and Complexity in the Global Economy, di Saskia Sassen, 2014

20 idem. 290

21 idem

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sufficiente. Vi sono migliaia di modi per ridurre il nostro consumo energetico e la quantità di

rifiuti che produciamo, così come ci sono migliaia di modi per esprimere la nostra solidarietà

verso chi non ha avuto le nostre stesse possibilità. "Al centro della nozione di consumo

responsabile vi è il concetto di scegliere, usare e smaltire i beni responsabilmente. Il

consumo responsabile tutela le risorse offerte dal nostro pianeta e migliora la qualità della

vita sia del singolo consumatore sia della società in generale. Ha a che fare con la giustizia

sociale, i diritti umani, la povertà, il commercio globale, e gli ecosistemi sostenibili”.22

Altri riferimenti:

Atlas of Environmental Justice, http://ejatlas.org/

Unità 2 e Unità 3 del Kit Educativo Same World Educational

Environmental Justice Foundation, http://ejfoundation.org/

Beautiful troube, a toolbox for revolution, http://beautifultrouble.org/

This Changes Everything: Capitalism vs. The Climate , 2015, di Naomi Klein (Autore)

What Every Environmentalist Needs to Know About Capitalism: A Citizen’s Guide to

Capitalism and the Environment di Fred Magdoff and John Bellamy Foster, 2011

Expulsions. Brutality and Complexity in the Global Economy, di Saskia Sassen, 2014

2. Nuove alternative economiche

2.1. Buen Vivir contro capitalismo naturale

Il concetto di "Buen Vivir" può essere tradotto come "vivere bene" e sta a significare la

convivenza degli esseri umani in una "situazione ambientale unica". Non esiste un'unica

definizione di "Buen Vivir"; tuttavia, il significato principale del termine è quello di "un

sistema di conoscenze e di vita basato sulla comunione di esseri umani e natura e su

un'esperienza olistica di esistenza, improntata all'armonia spazio-temporale". Il concetto ha

origine nell'America Latina contemporanea e si basa su una relazione tra esseri umani e

natura all'insegna dell'armonia, nonché sulla condanna dell'eccessivo sfruttamento delle

risorse naturali. Si tratta di una filosofia di vita basata sulla trasmissione (di generazione in

22http://citizenshipresponsability.blogspot.hu/2014/06/responsible-comsuption.html?view=snapshot

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generazione) delle conoscenze dei popoli indigeni. Al cuore del concetto vi sono l'equilibrio e

l'armonia tra gli esseri umani e la natura su una base di parità nonché il ritorno a uno stile di

vita ormai soppresso dalla colonizzazione.

Secondo il Buen Vivir, le persone non sono proprietarie della Terra e delle sue risorse, ma

possono soltanto gestirle in un'ottica di "zero povertà e zero estinzione delle specie". Il Buen

Vivir è una critica al consumatore e alla società individualisti e rappresenta una proposta di

sensibilizzazione ecologica che sottolinea il bisogno di costruire una relazione armoniosa con

la natura. È la risposta ad anni di giogo coloniale e neocoloniale, basato sullo sfruttamento

delle risorse naturali a detrimento del pianeta e delle comunità indigene che vivono in aree

ricche di petrolio, gas, minerali e biodiversità.

Il Buen Vivir si contrappone all'idea di capitale naturale, vale a dire di quella visione del

mondo che considera la Terra un bacino di risorse che fornisce beni, flussi e servizi ecologici

necessari a sostenere la vita. Il capitale naturale ha valore finanziario, poiché il suo utilizzo

attira diverse aziende; ne consegue che la tutela e l'attribuzione di un giusto prezzo alle

risorse naturali sono state ampiamente trascurate dalle teorie e dalle pratiche economiche.

Un'altra definizione di Buen Vivir potrebbe essere quindi "consumo collaborativo ed economia

di condivisione".

Esempi di Buen Vivir

Paesi come l'Ecuador e la Bolivia bene illustrano il paradigma dello sviluppo basato sul Buen

Vivir nell'America Latina contemporanea. Questi sono due Paesi in cui il concetto è stato

ampiamente articolato da movimenti sociali guidati dai nativi e si manifestano in piani di

sviluppo nazionale. Le popolazioni indigene rappresentano un'ampia parte della popolazione

in entrambi i Paesi e in Bolivia costituiscono la maggior parte degli abitanti. Nello sforzo di

superare il proprio passato coloniale, che ha contrassegnato la storia del Sudamerica, i

movimenti indigeni stanno chiedendo a gran voce di rifondare i principi che guidano la

società. Sia la Bolivia sia l'Ecuador hanno recentemente adottato nuove costituzioni,

all'insegna della filosofia del Buen Vivir. Tale principio è stato persino incorporato nella

costituzione formale dell'Ecuador, la Costituzione di Montecristi (2008) come sintesi di tre

elementi: i diritti della natura (o Pachamama); il regime del Buen Vivir, che include i

principali elementi dei valori da promuovere all'interno del tessuto sociale; e un "regime di

sviluppo", vale a dire un sistema di linee guida per la creazione di politiche concrete

finalizzate alla tutela dell'ambiente e dei diritti degli indigeni.

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Il governo della Bolivia ha delineato dieci elementi chiave del Buen Vivir quale parte

integrante delle strategie per salvare il pianeta e, di conseguenza, l'umanità:

o rinunciare al modello capitalista

o denunciare e porre fine alle guerre

o sviluppare relazioni di convivenza pacifica, non di assoggettamento, tra i Paesi. Un

mondo senza imperialismo o colonialismo

o l'acqua come diritto umano e una risorsa la cui privatizzazione deve essere prevenuta,

poiché l'acqua è vita

o sviluppo di energia rispettosa dell'ambiente per porre fine agli sprechi energetici

o rispetto per la Madre Terra

o servizi di base quali l'acqua, l'istruzione, la salute, la comunicazione e i trasporti

pubblici sono da considerarsi veri e propri diritti umani e beni pubblici piuttosto che

fonte di profitti privati

o consumare solo ciò che è necessario, dando priorità a ciò che viene prodotto a livello

locale. Mettere fine al consumismo, agli sprechi e al lusso

o promozione della diversità di culture e economie

o vivere in armonia con la Madre Terra

Il Buen Vivir suggerisce di tornare a modalità di produzione agricola biologiche o "agro-

ecologiche", che consentano di garantire a tutti la sicurezza alimentare e lavorativa, nonché

di promuovere uno stile di coltivazione basato maggiormente sul lavoro manuale.

2.2. Prodotto di Felicità Lordo (PFL)

Anche la felicità trova spazio nel Buen Vivir in qualità di nuovo principio guida: basti pensare

che il Regno del Bhutan promuove la felicità in quanto parte integrante della sua

Costituzione:

“Il Prodotto di Felicità Lordo è più importante del Prodotto Nazionale Lordo”– Sua Maestà

Jigme Singye Wangchuck, Quarto Re del Bhutan (1970)

Il Bhutan è un Paese situato sulle pendici orientali della catena dell'Himalaya, tra la pianura

di Assam-Bengal in India e l'Altopiano del Tibet nella Cina sud-occidentale. La sua posizione

fa sì che il Bhutan ricopra un importante ruolo geopolitico. La popolazione ammonta a circa

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682.000 persone (2008) e il Paese, un tempo una monarchia assoluta, è ora una democrazia

parlamentare multipartitica. Il 70% della popolazione vive in aree rurali; un quarto della

popolazione vive con meno di 1,25 dollari al giorno e il 70% degli abitanti non ha elettricità.

Nel 1972, il Re del Bhutan ha introdotto la filosofia del Prodotto Lordo di Felicità nazionale e i

suoi quattro pilastri di sviluppo: (1) Buona Governance; 2) Sviluppo socio-economico

sostenibile; 3) Tutela e promozione di valori culturali; 4) Tutela e protezione dell'ambiente

naturale.

Il concetto di PFL ha ispirato un moderno movimento politico basato sulla felicità. Con il

contributo di diversi studiosi occidentali e non, economisti e politici, il concetto si è

trasformato in un modello di sviluppo socioeconomico. Nel luglio 2011, le Nazioni Unite

hanno passato la Risoluzione 65/309, adottata all'unanimità dall'Assemblea Generale nel

luglio 2011, grazie alla quale la felicità veniva inserita nel programma di sviluppo globale.

https://en.wikipedia.org/wiki/Gross_National_Happiness - cite_note-3

"La felicità: verso un approccio olistico allo sviluppo" è un documento sponsorizzato

congiuntamente da 68 Paesi. Esso afferma che "la felicità è un obiettivo fondamentale

dell'essere umano, nonché un'aspirazione universale", che il Prodotto Interno Lordo per sua

natura non riflette questo obiettivo, che i modelli di produzione e consumo non sostenibili

impediscono lo sviluppo sostenibile e che un approccio maggiormente inclusivo, equo ed

equilibrato è necessario per promuovere la sostenibilità, cancellare la povertà e creare vero

benessere e vera felicità."

La politica del PFL è la visione che sottende la legge di pianificazione dello stato del Bhutan

per i prossimi 5 anni, il documento guida per la programmazione delle azioni volte allo

sviluppo e alla gestione dell'economia nazionale. Il termine "felicità", intesa come un bene

comune e condiviso, indica la capacità dei singoli di perseguire il benessere grazie a percorsi

di sviluppo sostenibile. Il significato del termine "felicità" in Bhutan è diverso da quanto si

intenda nel Nord Globale. Per gli abitanti del Buthan, la "felicità" è un concetto oggettivo

piuttosto che soggettivo e individualistico. Il PFL è stato adottato ufficialmente in Bhutan,

dove un'apposita Commissione per il PFL è stata incaricata di monitorare le politiche adottate

e la distribuzione dei fondi pubblici. Il Buthan ha scuole di ogni ordine e grado in tutto il

Paese (l'istruzione pubblica non esiste dal 1961) e gli insegnanti lavorano a rotazione, nelle

aree urbane così come in quelle rurali. Ciò fa sì che tutti gli studenti abbiano eguale accesso

ai migliori insegnanti. Per quanto concerne invece la sanità, soltanto il 65% della popolazione

accede alle cure mediche; tuttavia, gli abitanti del Bhutan possono scegliere se farsi curare

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secondo i principi della medicina tradizionale o di quella occidentale. Il fine di questo stile di

vita non è, semplicemente, la produzione e il consumo: più importante è che la vita umana

continui a essere fonte di vitalità e benessere e sia fondata su principi e valori etici.

2.3 Decrescita

"Decrescita" non è soltanto una parola, ma indica la trasformazione dell'impalcatura socio-

economica di una società in base alla "comprensione dell'economia tramite il linguaggio della

fisica". Per "decrescita" si intende una graduale diminuzione della produzione economica e

del consumo, al fine di garantire che la produttività della società (vale a dire le risorse

utilizzate e i rifiuti prodotti) rimanga all'interno di ecosistemi protetti e accuratamente

delimitati. La decrescita consiste nel riorientare le economie in senso contrario alla continua

ricerca della crescita. La scala dell'economia potrebbe dovere essere ridimensionata per

adattarsi ai limiti posti dal pianeta Terra. Infatti, il processo di industrializzazione negli ultimi

300 anni ha contribuito certamente alla crescita economica, ma anche provocato danni

ambientali, a causa di un utilizzo smodato delle risorse energetiche e di eccessive emissioni

di CO2.

I sostenitori della decrescita affermano che soltanto riducendo la domanda sarà possibile

colmare per sempre il divario tra domanda e offerta. La riduzione progressiva dell'attività

economica e la conseguente diminuzione della ricchezza materiale devono rappresentare una

priorità, poiché le risorse del pianeta sono limitate e l'economia non può continuare a

crescere per sempre. In base ai calcoli effettuati, il genere umano dovrebbe disporre di un

pianeta e mezzo per sostenere la crescita economica.

Allo stesso tempo, un significativo numero di persone nel mondo vive in condizioni disumane

e l'intenzione di alleviare la povertà globale non farà che aumentare la pressione

sull'ambiente. Si prevede che la popolazione mondiale nel corso di questo secolo arriverà a

toccare gli 11 miliardi di persone e che gli stati più ricchi si predispongano a mettere in atto

strategie economiche che consentano loro di crescere senza limitazioni, giacché il modello

dominante si basa su una civiltà orientata alla crescita senza limiti sul pianeta Terra.

Ma le persone accetterebbero davvero volontariamente la decrescita dei

consumi?

L'accettazione della decrescita economica può avere inizio con il ridimensionamento delle

ambizioni individuali e sociali di sviluppo materiale nella vita quotidiana. La maggior parte dei

bisogni umani può essere soddisfatta in modo semplice e a basso costo. Il modello di

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decrescita richiede la creazione di un'ecologia sociale alternativa, perché la crescita

economica non è economicamente sostenibile. L'economia necessita infatti di una quantità

crescente di risorse per realizzare profitti e crescita; al contrario, i sostenitori della decrescita

affermano che una maggior parsimonia renderebbe possibile invertire i consumi verso il

basso. Alcuni di noi riescono a ridurre i consumi grazie a una forte motivazione orientata alla

tutela dell'ambiente, ma la maggior parte degli individui continua a consumare

smodatamente.

2.4 Economia solidale

Il termine "economia solidale" è stato utilizzato come concetto base di organizzazione

economica sin dal 1937: l'espressione venne infatti coniata durante la Guerra Civile spagnola

per indicare il sostegno alla realizzazione della solidarietà economica tra le cooperative di

lavoratori nelle aree urbane e rurali. Il termine è stato poi "ufficializzato" a Lima, in Perù, nel

1997 e presentato in occasione del Forum Economico Sociale Mondiale in Brasile nel 2001.

L'espressone indica un'economia basata sul principio dell'aumento della qualità della vita a

livello regionale o di comunità, finalizzato al raggiungimento di traguardi non legati al

profitto. Lo scopo finale è rendere più "umana" l'economia capitalista, affiancando la

globalizzazione capitalistica a reti di sicurezza sociale attive nella comunità, quali, ad

esempio, cooperative, associazioni di mutuo soccorso, ONG finalizzate ad attività che

generino reddito, gruppi di auto-aiuto destinati alle donne, guardia forestale di comunità e

altre organizzazioni, associazioni di lavoratori nel settore informale, reti di imprenditoria

sociale e organizzazioni per il commercio equo e solidale. Queste ultime possono essere

definite parte dell'economia solidale poiché sono finalizzate a esprimere solidarietà agli

agricoltori dei Paesi in via di sviluppo in modo concreto, pagando compensi equi per i loro

prodotti. I gruppi di auto-aiuto fanno anch'essi parte dell'economia della solidarietà, poiché i

membri si sostengono l'un l'altro per risolvere i propri problemi. Le cooperative e i sindacati

sono spesso considerati parte integrante dell'economia solidale, poiché sono basati sul

principio di solidarietà tra i lavoratori. L'economia solidale consiste, infine, in un approccio

allo sviluppo basato sull'etica e i valori, finalizzato a promuovere il benessere delle persone e

del pianeta attraverso la promozione di principi quali il supporto reciproco, la solidarietà

(globalizzazione della solidarietà), la democrazia a livello sociale e politico, la giustizia, la

lotta alla discriminazione basata sul genere, la razza, l'appartenenza etnica, la classe, l'età,

l'empowerment delle donne e di altri gruppi vulnerabili.

Ecco alcuni esempi:

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Le 62.000 imprese sociali attive nel Regno Unito contribuiscono all'economia generando flussi

monetari pari a 24 miliardi di sterline (37,1 miliardi di dollari); le organizzazioni solidali

impiegano al contempo 800.000 persone.

In India, più di 30 milioni di persone (soprattutto donne) si sono auto-organizzate in 2,2

milioni di gruppi di auto-aiuto. Inoltre, la più grande corporazione indiana nel settore

alimentare è la cooperativa Amul, che conta 3,1 milioni di membri produttori di generi

alimentari. La Amul genera annualmente un reddito di 2,5 miliardi di dollari.

In Nepal, 5 milioni di persone che usufruiscono delle risorse offerte dalla foresta si sono

riunite nell'organizzazione della società civile più grande del Paese.

Il flusso monetario generato dal mercato del commercio equo e solidale globale ha raggiunto

i 4,9 miliardi di euro (6,4 miliardi di dollari) e coinvolge circa 1,2 milioni di lavoratori e

agricoltori che producono prodotti certificati.

Le società di mutuo aiuto forniscono servizi di tutela sanitaria e sociale a 170 milioni di

persone in tutto il mondo.

Circa 1,8 milioni di persone in Brasile sono impiegate in questo modello economico

alternativo tramite 20.000 imprese. L'economia della solidarietà ha conosciuto la sua maggior

espansione negli anni '90, periodo in cui l'America Latina si trovò a fronteggiare una crisi

economica che causò altissimi tassi di disoccupazione. Coloro che cercavano fonti di reddito

alternative iniziarono a riunirsi in gruppi, cooperative e associazioni finalizzate a ridurre la

povertà e la fame.

Il movimento di solidarietà economica ha raggiunto il suo picco a metà degli anni '90 come

movimento sociale dotato di un programma di ricerca e attivismo condiviso in America

Latina, Europa e Canada. L'economia della solidarietà rappresenta un modo di pensare

l'economia tale da dare vita a un vero e proprio movimento in grado di trasformare la vita

economica.

2.5. Commercio Equo Mondiale

Il commercio equo si sta affermando quale approccio alternativo al commercio tradizionale

ed è basato su un partenariato tra produttori e consumatori. Quando gli agricoltori vendono i

propri prodotti in base ai principi del Commercio Equo riescono ad ottenere contratti e

condizioni migliori. Ciò significa avere l'opportunità di migliorare le proprie vite e fare piani

per il futuro. Il commercio equo offre ai consumatori un potente strumento per contribuire a

ridurre la povertà semplicemente facendo la spesa. Queste iniziative possono essere

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intraprese in tutti i continenti, a patto che i produttori si attengano a 4 principi: prezzi stabili,

destinazione di parte dei profitti del commercio equo a investimenti nell'ambito

dell'istruzione, della sanità, delle migliorie all'agricoltura etc., unione in partenariati e

empowerment.

Il commercio equo riunisce nello stesso circolo i produttori, i consumatori e i sostenitori della

tutela ambientale, i quali condividono gli stessi valori. La protezione dell'ambiente è al cuore

del commercio equo, che ha tra i suoi principi la tutela delle risorse idriche naturali e delle

foreste vergini, la gestione razionale dei rifiuti e la rinuncia al ricorso a organismi

geneticamente modificati.

Bibliografia

1. Eduardo Gudynas, Buen Vivir: Today’s tomorrow, Society for International Development 1011-6370/11 http://www.womin.org.za/images/the-alternatives/fighting-destructive-

extractivism/E%20Gudynas%20-%20Buen%20Vivir%20-%20Todays%20Tomorrow.pdf

2. Rights of Nature Articles in Ecuador’s Constitutionhttps://therightsofnature.org/wp-

content/uploads/pdfs/Rights-for-Nature-Articles-in-Ecuadors-Constitution.pdf

3. Tara Ruttenberg, Wellbeing Economics and Buen Vivir: Development Alternatives for Inclusive

Human Security, PRAXIS The Fletcher Journal of Human Security, VOLUME XXVIII – 2013, pp 68-88

(http://fletcher.tufts.edu/Praxis/~/media/Fletcher/Microsites/praxis/xxviii/article4_Ruttenberg

_BuenVivir.pdf)

4. Jocelyn Mercado, Buen Vivir: A New Era of Great Social Change,

http://www.pachamama.org/blog/buen-vivir-new-era-great-social-change

5. Ethan Miller, Solidarity Economy: Key Concepts and Issues, Published in Kawano, Emily and

Tom Masterson and Jonathan Teller-Ellsberg (eds). Solidarity Economy I: Building Alternatives for People and Planet Amherst, MA: Center for Popular Economics. 2010.

6. Social and Solidarity Economy and the Challenge of Sustainable Development, A Position Paper by the United Nations Inter-Agency Task Force on Social and Solidarity Economy

(TFSSE), June 2014, http://unsse.org/wp-content/uploads/2014/08/Position-

Paper_TFSSE_Eng1.pdf

7. Euclides Mance, Solidarity Economy

http://solidarius.com.br/mance/biblioteca/solidarity_economy.pdf

8. Social and Solidarity Economy: Our common road towards Decent Work, The Reader 2011,

International Training Centre of the IL ISBN 978-92-9049-609 http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_emp/---emp_ent/---

coop/documents/instructionalmaterial/wcms_166301.pdf

9. Federico Demaria, François Schneider ,Filka Sekulova and Joan Martinez-ALIER, What is Degrowth? From an Activist Slogan to a Social Movement, Environmental Values 22 (2013):

191–215 The White Horse Press. doi: 10.3197/096327113X13581561725194 http://www.jnu.ac.in/sss/cssp/What%20is%20degrowth.pdf

10. François Schneider, , Giorgos Kallis, Joan Martinez-Alier, Crisis or opportunity? Economic degrowth for social equity and ecological sustainability. Introduction to this special issue ,

Journal of Cleaner Production 18 (2010) 511-517 http://www.degrowth.org/wp-content/uploads/2011/08/Schneider-et-al-special-issue.pdf

11. Peter A. Victor, Growth, degrowth and climate change: A scenario analysis, Ecological

Economics xxx (2011) xxx-xxx http://degrowth.org/wp-content/uploads/2011/05/Victor_Growth-Degrowth-and-Climate-Change.pdf

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12. The Story of GNH, Gross National Happiness in Action, http://www.gnhcentrebhutan.org/what-is-gnh/the-story-of-gnh/

13. What is GNH? http://gnhusa.org/what-is-gnh/

14. Dasho Karma Ura, An Introduction to Gross National Happiness (GNH) Centre for Bhutan Studies,Thimphu, Bhutan https://www.reflectiongroup.org/stuff/gnh-introduction

15. Gross National Happiness , Berkshire Publishing Group 2012

http://www.ciis.edu/Documents/Academic%20Departments/PCC/Gross-National-Happiness-Allison-1.pdf

16. Lawrence H. Goulder and William A. Pizer The Economics of Climate Change , June 2006 RFF DP 06-06 http://www.rff.org/files/sharepoint/WorkImages/Download/RFF-DP-06-06.pdf

17. The Economics of Global Climate Change , Jonathan M. Harris, Brian Roach and Anne-Marie Codur, lobal Development And Environment Institute Tufts Iniversity Medford, MA 02155

http://www.ase.tufts.edu/gdae/education_materials/modules/The_Economics_of_Global_Climate_Change.pdf

3. Modi alternativi di vivere e consumare

Come è possibile far sì che tutti vivano una vita soddisfacente entro i limiti ecologici imposti

dal nostro pianeta? Si tratta di una domanda molto complessa per cui non esiste una singola

risposta. L'autore teatrale Martin Schick afferma che "esistono molte fantastiche -e realistiche

- alternative"23. A dimostrazione di ciò, basti pensare che nel mondo milioni di persone

stanno tentando di cambiare la società in base ai principi della solidarietà, della giustizia

sociale e della sostenibilità ecologica. Questi progetti (principalmente messi in atto su piccola

scala) e pratiche servono a incoraggiarci a scoprire e sperimentare diversi modi di vivere,

lavorare, consumare e pensare. Consumare e vivere in maniera alternativa implica operare

un cambiamento non soltanto dei nostri modelli di vita e consumo, ma anche del nostro

sistema di valori: essere autosufficienti, rinunciare al consumismo e cooperare invece di

competere. Questo capitolo è finalizzato a illustrare le alternative alle pratiche economiche

basate sulla crescita attualmente messe in atto e a fornire esempi concreti, per combattere

così l'opinione diffusa che non esistano alternative.

3.1 Condividere, scambiare, donare

Perché comprare un trapano quando magari il mio vicino ne possiede uno? Perché buttare

un maglione soltanto perché non mi sta più o non mi piace più il colore rosso? Condividere,

scambiare e donare non sono certamente concetti nuovi: infatti, questo tipo di economia è

un'antica tradizione, praticata di fatto in tutto il mondo. Ci sono diversi motivi per

condividere, scambiare e donare. Mentre alcuni preferiscono condividere e donare perché

23 https://martinschick.wordpress.com/projekte/carte-blanche/

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non dispongono di denaro, per altri questo modello economico è un modo di esprimere il

proprio apprezzamento per determinate risorse e comunità o di affermare che il possesso di

molti oggetti non è necessariamente sinonimo di una vita felice. Infine, alcuni mettono in

atto questo modello economico semplicemente perché è divertente.

Nell'ampio campo della filosofia del condividere, scambiare e donare, la stessa idea può

essere alternativa/ecologica, "stylish" e commerciale. Oltre alle iniziative orientate al bene

comune, anche diverse imprese a scopo di lucro hanno iniziato a guardare al mondo della

condivisione dei beni: si pensi alle imprese di car sharing e di prenotazione, alle deduzioni

per gli indumenti e agli spazi di co-working. Visti questi ultimi sviluppi, alcuni attivisti hanno

iniziato a chiedere che tali iniziative vengano regolamentate dal punto di vista normativo.

Essi sostengono infatti che le iniziative orientate al bene comune dovrebbero essere

sostenute e tutelate dalla possibile concorrenza di iniziative orientate invece al profitto.24

La filosofia del condividere, scambiare e donare non si limita a un solo aspetto della vita. Gli

esempi seguenti dimostrano la grande varietà che caratterizza questa forma di economia.

3.2 Economia dei beni comuni ed economia tra pari

I seguenti progetti e iniziative non ricadono soltanto nelle categorie dell' "Economia di

Condivisione" e/o della "Libera Economia" ma presentano inoltre alcune caratteristiche

dell'economia "dei beni comuni" o "tra pari" ”. Per questo motivo forniamo in seguito una

breve spiegazione di questi concetti.

L'espressione "economia dei beni comuni" descrive un sistema di relazioni tra persone e cose

basata su vari principi (ad esempio, la cooperazione, la comunicazione, lo scambio, l'uso

collettivo delle risorse e la loro tutela e manutenzione) e su regole auto-determinate. Per

"beni comuni" non si intendono le risorse in sé, bensì l'interazione tra gli esseri umani e le

risorse, che possono essere rappresentate dal suolo, dall'acqua, da strumentazioni o

conoscenze. Caratteristiche di questo tipo di economia sono un accesso equo e una gestione

collettiva delle risorse: infatti, chiunque ne faccia uso fa parte di una "comunità", il che rende

la risorsa un "bene comune". Le regole di utilizzo dei beni comuni sono stabilite all'interno

della comunità e questo tipo di economia ha successo soltanto se i soggetti coinvolti hanno

una visione comune su come gestire una determinata risorsa. Il processo sociale di ricerca di

questa visione comune è definito, appunto, "messa in comune"(in inglese "commoning").25

24 Vgl. http://www.postwachstum.de/sharing-economy-gutes-teilen-schlechtes-teilen-20160209 25 Vgl. https://commons-institut.org/commons-einfach-erklaert/

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In un'economia “tra pari”, i singoli individui desiderosi di scambiarsi o sviluppare prodotti

interagiscono direttamente gli uni con gli altri. La produzione tra pari si basa sui seguenti

principi: beni comuni (qualcosa che può essere utilizzato da tutti), "possesso invece di

proprietà" (non è importante chi possiede qualcosa, ma chi di questo qualcosa ha bisogno e

lo usa), libera cooperazione (il progetto può essere suddiviso in caso di conflitti) e

apprezzamento per ciò che una persona fa, non per ciò che possiede o per la posizione che

occupa in una determinata gerarchia ufficiale. Per trasferire l'economia tra pari dalla

produzione immateriale a quella materiale, Christian Siefkes aggiunge inoltre il principio di

"contribuire invece di scambiare". I beni non sono quindi prodotti e immessi sul mercato; si

decide preventivamente cosa si vuole ottenere e come si può contribuire a produrre tali beni.

In questo processo "condividi ciò che puoi" è un altro importante principio.26

Friederike Habermann ha coniato il termine "Ecommony", che potrebbe essere tradotto come

"Ecommonia" (basato su un gioco di parole tra "economia" e beni "comuni") per descrivere il

modello di produzione tra pari basato su beni comuni nell'ambito delle economie

alternative.27

3.3 Alimentazione

Condivisione del cibo

Ovunque nel mondo il cibo viene condiviso. In molte regioni e culture è pratica comune

donare cibo a chi non ha di che nutrirsi, mangiare insieme alla famiglia, agli amici e ai vicini

o condividere lo stesso piatto. Ciò avviene, per esempio, in posti quali il Sudan e il Marocco,

ma anche in Svizzera (pensiamo alla famosa "fonduta") o nelle aree sud-occidentali della

Germania, in cui in occasione delle feste popolari è prassi condividere un grande bicchiere di

vino all'interno di un gruppo. Ma specialmente nei Paesi del Nord Globale, in cui è presente

uno spiccato individualismo, il desiderio di provare l'emozione della comunità e della

condivisione dei pasti è in aumento. La piattaforma www.foodsharing.de ad esempio offre la

possibilità di incontrare altre persone per cucinare e mangiare insieme. Tuttavia, la

piattaforma ha anche un altro obiettivo. Il surplus e lo spreco di cibo in molti Paesi "ricchi"

del mondo hanno generato svariate iniziative finalizzate a far sì che il cibo non finisca nella

spazzatura. La piattaforma consente di gestire la distribuzione degli avanzi di cibo in

Germania e Austria. Commercianti, produttori e semplici cittadini privati possono offrire o

ritirare gratuitamente cibo che altrimenti finirebbe, appunto, nella spazzatura.

26 Vgl. https://commonsblog.wordpress.com/2008/05/24/beitragen-statt-tauschen/ 27 Vgl. Friederike Habermann: Ecommony. UmCARE zum Miteinander, 2016

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Cooperative alimentari

Ultimamente, cooperative alimentari e gruppi d'acquisto sono andati formandosi in numero

sempre crescente, specialmente nelle città europee. In molti infatti preferiscono acquistare

generi alimentari direttamente da agricoltori e allevatori locali o regionali; tuttavia, i

produttori solitamente non organizzano il trasporto in città dei prodotti per consegnare le

merci a una sola persona. Per questo motivo i consumatori collaborano e ordinano, tutti

insieme, una grande quantità di cibo, equivalente all'ordine di un commerciante all'ingrosso.

In questo modo, il produttore "ammortizza" i costi del trasporto verso la città. Inoltre, i

prezzi sono inferiori rispetto al commercio al dettaglio, poiché i generi alimentari hanno costi

inferiori per i membri delle cooperative alimentari. Queste ultime, specialmente se piccole,

tendono a condividere non solo il cibo ma anche il lavoro. Esistono diverse forme di

cooperativa: quelle create esclusivamente allo scopo di effettuare gli ordini, quelle che

raccolgono le derrate in magazzini dove tutti i membri passano poi a ritirarle e si aiutano a

vicenda auto-organizzandosi e, infine, le cooperative alimentari che funzionano come veri e

propri negozi, con i loro dipendenti. Le cooperative alimentari non mirano soltanto a

sostenere i coltivatori locali, ma anche l'agricoltura rispettosa dell'ambiente e il commercio

equo.28

Agricoltura di Comunità

L'Agricoltura di Comunità (in Germania nota come "Agricoltura solidale") costituisce

un'ulteriore opportunità di acquistare cibo direttamente dai produttori locali e di lavorare e

prendere decisioni collettivamente. Uno o più produttori si uniscono a un gruppo di

consumatori, con cui stipulano un contratto normalmente della durata di un anno. Mentre il

produttore contribuisce alla comunità con le proprie terre e le proprie conoscenze, i

consumatori pagano -su base mensile o con un anticipo di un anno - le spese previste per

piantare e raccogliere i prodotti agricoli. L'ammontare del contributo dipende da cosa viene

piantato e in che quantità. La comunità di produttori e consumatori decide collettivamente e

su base annuale l'ammontare del contributo e i prodotti da fornire. Tale forma di economia

solidale offre vantaggi a entrambe le parti: mentre il produttore gode della sicurezza

finanziaria per un anno e può proporre diversi metodi di agricoltura rispettosa dell'ambiente,

i consumatori sanno da dove proviene il cibo che mangiano, possono partecipare

all'agricoltura ecologica e sostenere la produzione di cibo di stagione prodotto localmente. A

seconda del tipo di produzione, i consumatori possono anche contribuire alla comunità con la

28 Vgl. www.solidarische-oekonomie.de/index.php/formen-und-beispiele/projekte-hierzulande/lebensmittel-&-

konsum/108-food-coops

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propria forza lavoro. Una comunità di questo tipo si basa sulla fiducia reciproca e ha

caratteristiche diverse a seconda dell'azienda agricola su cui si basa. Questa modalità ha

riscosso molto successo in tutto il mondo: solo negli Stati uniti esistono 1.500 comunità,

mentre in Giappone quasi la metà delle famiglie si rifornisce tramite i "teikei", le

organizzazioni che hanno ispirato il concetto di agricoltura di comunità. Diverse comunità di

questo tipo si sono diffuse anche in Mali, Cina, Brasile, Cile, Argentina e Ecuador.29

Orti di comunità

Gli orti di comunità vengono coltivati collettivamente da gruppi di persone. Questo tipo di

organizzazione è particolarmente popolare nelle città e proprio per questo è conosciuta

anche come "orti urbani". Lo stato giuridico di questi orti è diverso di caso in caso, poiché i

terreni possono essere occupati, privati o pubblici. Gli orti possono essere coltivati da gruppi

di vicini, organizzazioni politiche, scuole, chiese o i cosiddetti "ortolani di guerriglia". Questi

ultimi piantano in segreto piante in spazi pubblici, come forma di protesta politica e per

abbellire spazi urbani abbandonati. Gli orti di comunità consentono inoltre di prodursi da soli

il cibo, specie nelle città, di partecipare attivamente alla pianificazione urbana o dell'ambiente

in cui si vive e di fare un'esperienza di comunità. Non tutti gli orti di comunità sono fissi: in

molti casi gli ortaggi non vengono piantati nel terreno ma in aiuole sopraelevate o su pallet,

come avviene ad esempio quando le autorità cittadine concedono solo temporaneamente

l'usufrutto di aree in disuso a gruppi di agricoltori.30 Gli orti di comunità sono sempre esistiti

nel mondo quale modalità di agricoltura collettiva, mentre il movimento degli orti urbani vero

e proprio è nato a New York negli anni '70. Oggi, gli orti di comunità sono parte integrante

dei movimenti sociali per la giustizia alimentare, la resistenza antirazzista e le politiche per la

tutela degli indigeni, delle donne e per l'uguaglianza di genere. A Cuba gli orti di comunità

hanno sempre svolto e continuano a svolgere un ruolo fondamentale nel fornire cibo ai

cittadini. In alcuni municipi del Sud Africa gli orti di comunità sono molto diffusi. Essi

rappresentano da una parte una fonte di cibo, dall'altra luoghi di speranza, solidarietà e, a

volte, di resistenza attiva alle politiche economiche neoliberali. A Buenos Aires vi sono più di

1.000 orti di comunità. Essi non contribuiscono soltanto ad aiutare le persone in difficoltà,

ma anche a costruire reti sociali e a concretizzare in maniera attiva utopie di natura politica o

economica.31

29 Vgl. http://www.makecsa.org/wie_funktioniert_CSA 30 Vgl. https://de.wikipedia.org/wiki/Gemeinschaftsgarten 31 Vgl. http://www.eine-andere-welt-ist-pflanzbar.de/index.php?article_id=4&clang=0

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3.4 Abbigliamento e altro

Non sono soltanto i generi alimentari a potere essere condivisi e donati. Molte persone

posseggono così tanti oggetti che non sanno più nemmeno dove metterli. Alcuni non

vogliono contribuire ad innalzare ulteriormente la montagna di spazzatura che continua ad

accumularsi. Altri ancora non hanno denaro a sufficienza per comprare cose nuove o non

vogliono contribuire alla produzione di nuovi oggetti, a causa del loro elevato impatto

ambientale. Quindi perché buttare un maglione soltanto perché non mi sta più? E viceversa:

perché comprare un nuovo maglione quando qualcun'altro ce l'ha e non ne ha più bisogno?

Freeshop e Freebox

Un sito web giveaway o un freeshop (come, ad esempio, la rete mondiale

www.freecycle.org) si basa proprio su questa logica. Questi punti vendita funzionano come

negozi di abiti di seconda mano, ma senza scopo di lucro e al di fuori della logica dello

scambio. La domanda che ci si pone non è: quanto costa? Bensì: di cosa ho bisogno?

Chiunque abbia qualcosa di cui non ha più bisogno può portarlo al freeshop; viceversa, se si

trova in un freeshop qualcosa di cui si ha bisogno è possibile prenderlo e portarlo a casa. Si

può portare al freeshop di tutto, dai vestiti agli strumenti ai dispositivi elettronici, dagli

utensili da cucina ai libri, giocattoli e strumenti musicali. I freeshop hanno svariate origini:

alcuni sono sorti come finanziamento di attività di benficenza, altri per motivi più

prettamente ecologici. Per prevenire una mentalità del tipo "compra al prezzo più basso

possibile", nonché per evitare che i freeshop diventino modi per accaparrarsi oggetti da

rivendere al mercato delle pulci, il numero degli oggetti da portare via è spesso limitato a tre

per visita. Poiché vi è sempre il rischio che i freeshop si trasformino in accumuli di oggetti

inutili, il negozio deve essere accuratamente gestito. Di questo si occupano solitamente i

volontari; tuttavia, anche alle persone che usufruiscono dei freeshop viene solitamente

chiesto di contribuire alla gestione, ad esempio, suddividendo da sé le proprie cose negli

scaffali.32

Oltre ai freeshop e ai siti web gratuiti esistono anche le free box. Si tratta di scatole da porre

fuori dal portone di casa, agli angoli della strada, negli androni delle scale etc., dove mettere

cose che non si usano più e che si desidera donare gratuitamente agli altri.

Comunità di utenti

32 Vgl. Friederike Habermann: Halbinseln gegen den Strom. Anders leben und wirtschaften im Alltag. Ulrike

Helmer Verlag, 2009, S. 46ff

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Un altro modo di condividere è costruire una comunità, una rete di persone che usano

qualcosa insieme o si offrono oggetti e conoscenza a vicenda. Esistono alcuni siti web per

tale scopo, ma solitamente queste comunità si formano tra vicini di casa e persone che

condividono la propria sfera privata. A volte sono i freeshop stessi a sostenere la creazione di

tali comunità. Le comunità di utenti si basano sul principio che non tutti devono possedere

tutto, magari solo per usarlo una volta o due. Il concetto non riguarda soltanto gli oggetti ma

anche le abilità e le conoscenze. Normalmente gli oggetti restano di proprietà privata, ma le

comunità possono anche creare un magazzino o una lista virtuale. Per far sì che le comunità

di utenti funzionino, la fiducia reciproca è una pre-condizione necessaria.33

Swap-Parties

Gli swap-parties sono al momento molto di moda tra i giovani dell'America Settentrionale e in

Europa. Come suggerito dal nome, i party seguono la logica dello scambio (swapping). Gli

interessati possono organizzare essi stessi uno swap party in una casa privata o recarsi a un

party su invito o perché hanno visto un annuncio su internet. Gli ospiti o gli invitati portano

le proprie cose (soprattutto indumenti) e possono scambiarle con gli altri ospiti. Esistono

anche swap party organizzati da strutture commerciali che fanno pagare costosi biglietti

d'ingresso.

3.5 Servizi

"Un'ora di uso del computer e di internet" in cambio di "un'ora di baby-sitting" o di "un pacco

di caffè". Anche i servizi possono essere condivisi all'interno dei cosiddetti sistemi o circoli di

scambio. I circoli di scambio esistono da lungo tempo e sono diffusi in tutto il mondo.

Nascevano e nascono come modo di reagire alla povertà, specialmente nei periodi post-

bellici e dopo ondate di crisi economica. La gente, rimasta senza denaro, è quasi costretta a

cooperare: si va dai vicini, si mettono a disposizione la propria forza lavoro e il proprio tempo

in cambio di ciò di cui si ha bisogno. L'idea di regalare ore di attività lavorativa costituisce

tuttora l'idea di base dei circoli di scambio nel Nord Globale. Nella versione classica del

circolo di scambio, il lavoro (e gli oggetti) vengono scambiati con una valuta immaginaria che

costituisce il simbolo del tempo messo a disposizione. Quindi ogni membro del circolo di

scambio ha a disposizione un bonus di tempo o un conto corrente di valuta immaginaria su

cui può accumulare o trasferire le ore a credito/debito o i "Taler" (valuta immaginaria). Lo

svantaggio principale di questi circoli è rappresentato dal fatto che gli scambi così concepiti

33 Vgl. Friederike Habermann: Halbinseln gegen den Strom. Anders leben und wirtschaften im Alltag. Ulrike

Helmer Verlag, 2009, S. 76

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possono contribuire a monetizzare le relazioni tra vicini: se non ci fosse stato un circolo di

scambio, probabilmente gli oggetti o l'aiuto sarebbero stati forniti gratis, mentre in un circolo

di scambio tutto ciò che si dà e riceve viene conteggiato. Tuttavia, per molti membri dei

circoli di scambio, specialmente nelle grandi città, l'idea di avere un contatto diretto con le

persone e incontrare i vicini costituisce la spinta principale a prendere parte a un circolo.

Invece di fare la spesa in un anonimo supermercato o di cliccare un prodotto presente su un

sito web è possibile incontrare persone diverse, parlare e negoziare con loro. I circoli di

scambio sono spessi organizzati tramite siti web.34

3.6 Spazi di vita

Ovunque nel mondo ci sono persone che condividono gli ambienti di vita. All'interno delle

famiglie, due, tre o più generazioni spesso convivono sotto lo stesso tetto; amici o studenti

che non si conoscono neppure condividono appartamenti e vi sono gruppi che si uniscono in

comuni ed eco-villaggi. Le circostanze e i motivi che spingono le persone a condividere gli

ambienti in cui vivono spaziano dalla mancanza di denaro al desiderio di fare un'esperienza

di comunità e vivere in maniera sostenibile.

Ecovillaggi e comuni

Gli ecovillaggi e le comuni, ad esempio, sono progetti pilota di vita collettiva e di

elaborazione di strategie di sopravvivenza. Essi costituiscono valide esperienze atte a

dimostrare come sia possibile vivere in modo alternativo e cambiare la società nel suo

insieme. Gli ecovillaggi e le comuni si trovano in Africa, Asia, America Latina, America

Settentrionale ed Europa: Auroville in India, Tiberkul in Siberia, Gaviotas in Colombia,

Siebenlinden in Germania sono soltanto alcuni degli esempi più noti. In Senegal alcuni di

questi villaggi sono persino parte di politiche governative. La maggior parte delle comuni e

degli ecovillaggi condividono risorse e alcuni cercano di ridurre il proprio impatto ambientale

al minimo, altri si occupano di fornire assistenza a malati e persone anziane, altre

sostengono uno stile di vita che unisca le diverse generazioni, altri ancora si basano su

pratiche spirituali. L'edilizia e la fornitura di energia sono soltanto alcune delle attività di cui

si occupano queste realtà. Le comunità desiderano integrare quanti più aspetti della vita

possibile: la produzione, l'istruzione, la sicurezza sociale. Le comuni e gli ecovillaggi sono

organizzati in maniera anche molto diversa tra loro e si basano su diversi fondamenti, che

possono spaziare da vaghe nozioni di economia solidale alla condivisione del denaro, al

divieto di proprietà privata; inoltre, ospitano diverse tipologie di gruppi di persone, dalle

34 Vgl. http://ethik-heute.org/tauschkreise-wirtschaften-ohne-geld/

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strutture famigliari alternative a coppie di stampo tradizionale, sposate con figli. Tuttavia,

tutte queste esperienze hanno in comune l'obiettivo di uno stile di vita più sostenibile grazie

a un'organizzazione collettiva della vita.35

Città di Transizione

L'idea delle Città di Transizione ha raggiunto le dimensioni di un movimento internazionale

sin dalla sua creazione da parte di Rob Hopkins nel 2006. Il Rapporto 2014 della Rete di

Transizione conta 1.170 iniziative in 47 Paesi del mondo. Visti il cambiamento climatico e il

picco del petrolio, le città di transizione vogliono essere un modo di riconsiderare il modo in

cui viviamo in Occidente. Inoltre, queste realtà si preparano alle possibili future conseguenze

negative del nostro stile di vita, quali, ad esempio, la scarsità di risorse. Le Città di

Transizione costituiscono la realizzazione del concetto di "Nowtopia", vale a dire l'idea per cui

le iniziative intraprese per cambiare l'ambiente in cui viviamo devono essere messe in atto

immediatamente, senza attendere eventuali decisioni in tal senso prese a livello politico. Nei

progetti di comunità, i rappresentanti delle città di transizione sperimentano nuove forme di

convivenza ed economia regionale: la riduzione dei carburanti fossili, il sostegno alle

economie regionali e locali e il ricorso alla "permacultura".36 Quest'ultimo concetto si basa

sullo studio dei modelli e delle strutture presenti in natura e sui principi che regolano gli

ecosistemi naturali. Si tratta quindi di applicare i meccanismi di funzionamento dei cicli

naturali all'agricoltura e ad altri settori quali l'edilizia, l'auto-sostentamento, i fondamentali

dell'economia e la costruzione di comunità. 37

3.7 Mobilità

Condividere un'auto o una bicicletta è comune in molte regioni del mondo. È auspicabile che

questa pratica vada sempre più diffondendosi, poiché il traffico, l'inquinamento e lo spreco di

risorse e energia sono in aumento. In molti Paesi del Nord Globale si stanno moltiplicando le

iniziative e i siti web, sia no-profit sia di stampo commerciale, finalizzati a facilitare la

condivisione di automobili tra soggetti privati. Rispetto al passato, ad oggi sono in aumento i

casi di sfruttamento commerciale di iniziative nate senza scopo di lucro.

Le officine di riparazione delle biciclette sono il tipo più comune di manutenzione gratuita. I

volontari che lavorano all'interno delle officine insegnano ai clienti come ripararsi da soli le

35 Vgl. https://reset.org/knowledge/ganz-schoen-anders-oekodoerfer-und-kommunen,

http://gen.ecovillage.org/de 36 Vgl. http://www.endlich-wachstum.de/kapitel/perspektiven-alternativen/methode/nowtopia/ 37 Vgl. www.permakultur.de

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biciclette e condividono gli strumenti necessari alla riparazione. Queste iniziative si

sostentano principalmente grazie alle donazioni.

3.8 Condivisione di conoscenze e abilità

Anche i dispositivi elettronici possono essere portati in officina per la riparazione. Queste

officine sono un esempio di condivisione di abilità: condividere significa infatti trasmettere

abilità ad altri. Quando questo passaggio avviene gratuitamente esso prende il nome di

"freeskilling". A Bristol e Londra, ad esempio, le Comunità Freeconomy offrono sessioni di

freeskilling: la raccolta di fondi per iniziative di beneficenza, la gestione della rabbia, la

manutenzione delle biciclette, la cottura del pane, l'organizzazione di campagne di

sensibilizzazione sono soltanto alcuni dei corsi gratuiti organizzati.38 (Per ulteriori esempi e

offerte, vedi il sito: <http://www.streetbank.com/just_for_the_love_of_it?locale=en>).

“Se ami i tuoi libri, lasciali andare": così il New York Times ha descritto l'iniziativa

<www.bookcrossing.com>. Il sito web infatti offre non soltanto la possibilità di condividere e

donare i propri libri, ma anche di seguirne il percorso in seguito al "rilascio". La donazione e

condivisione dei libri può essere effettuata anche senza ricorrere a Internet: basta portare i

libri in un freeshop, creare o riempire scaffali e freebox in strada o lasciarli in luoghi adatti

quali fermate di autobus, treni, bagni pubblici, bar e panchine.

3.9 Comunicazione

Sicuramente posso condividere un computer con altri. Ma posso condividere un software?

Posso modificarlo o migliorarlo? I software più comunemente usati, come Microsoft Word o

Adobe Photoshop sono software "chiusi" o "proprietari" perché il codice sorgente non può

essere modificato o copiato da nessuno se non la persona o organizzazione che l'ha creato e

che mantiene il controllo esclusivo su di esso. I software open source funzionano invece in

modo diverso. Gli autori del software mettono il codice sorgente a disposizione di chiunque

voglia prenderne visione, copiarlo, trarne ispirazione, modificarlo o condividerlo. Esempi di

software open source sono Libre Office e GNU Image Manipulation Program. Come illustrato

da Opensource.com: "Ci piace pensare che l'open source rappresenti non solo un modo di

sviluppare e sottoporre a licenza il software, ma anche un atteggiamento. Affrontare la vita

in tutti i suoi aspetti con "mentalità open source" significa esprimere la propria volontà di

condividere, collaborando con gli altri in modo trasparente (cioè facendo in modo che anche

gli altri possano unirsi), considerando il fallimento uno strumento di miglioramento e

incoraggiando gli altri a fare altrettanto. Significa impegnarsi a svolgere un ruolo attivo nel 38 Vgl. https://en.wikipedia.org/wiki/Mark_Boyle_%28Moneyless_Man%29

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migliorare il mondo, il che è possibile soltanto se tutti hanno accesso al modo in cui il mondo

viene strutturato.”39

3.10 Evitare gli sprechi

Gli sprechi possono essere evitati riducendo, condividendo, riparando e riusando i prodotti

che utilizziamo, come auspicato dalle diverse iniziative illustrate in precedenza. La strategia

della "coerenza" o "ecoefficienza" si basa sulla nozione che non esistano rifiuti ma solo

prodotti. Secondo la strategia della "coerenza", la produzione può e deve seguire un circuito

chiuso, come in natura. Le catene di produzione modellate su tale concetto sono a volte

denominate "dalla culla alla culla", in contrapposizione al modello di produzione "dalla culla

alla tomba". Un simile circuito chiuso può essere realizzato in due modi: uno è utilizzare

componenti completamente biodegradabili, che possano essere completamente assimilati

dalla biosfera in un periodo di tempo relativamente breve, per poi tornare all'interno del ciclo

biologico sotto forma di nutrienti (ad esempio, le t-shirt prodotte senza ricorrere a materiali

tossici). Un'altra strategia concerne i materiali non biodegradabili completamente o

abbastanza velocemente. Ad esempio la scocca del computer può non essere gettata una

volta raggiunto il termine della sua vita utile, bensì venire utilizzata a scopi differenti, a volte

di valore ancora maggiore. Proprio le scocche del computer potrebbero essere progettate in

modo da poterle riutilizzare come scaffali o dispense. In base a tale principio, noto come

upcycling, qualsiasi forma di rifiuto può essere riutilizzato come risorsa per la creazione di un

nuovo prodotto utile. Molte società adattano già i propri processi di produzione a tale

modello di coerenza. La società austriaca Gugler, ad esempio, produce carta e inchiostri che

non contengono sostanze dannose per l'ambiente, consentendo di riciclare una parte molto

più ampia del prodotto. Tuttavia, poiché è inevitabile perdere un certo quantitativo di massa

ed energia, è impossibile realizzare appieno il principio di coerenza.40

L'Alleanza Internazionale Zero Sprechi (Zero Waste International Alliance - http://zwia.org/)

guida le persone nel cambiamento del proprio stile di vita e delle proprie pratiche e offre

esempi di come sia possibile creare prodotti in modo da non doverne gettare alcuna parte.

Inoltre, numerose idee per l'upcycling e il fai da te sono reperibili su internet.

3.11 Rallentare

Molti abitanti dei Paesi "ricchi" percepiscono di non avere mai abbastanza tempo, o,

comunque, di non avere tempo sufficiente a disposizione per le cose realmente importanti

39 https://opensource.com/resources/what-open-source 40 http://www.endlich-wachstum.de/wp-content/uploads/2016/02/Chapter2-Three_Strategies-Consistency.pdf

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della vita. Persone con redditi diversi, appartenenti a generazioni diverse e con retroterra

sociali diversi condividono la percezione dello stress derivante dal dovere, semplicemente,

fare troppe cose. I concetti di "rallentare" e "ricchezza di tempo" sono finalizzati a

contrastare il ritmo troppo veloce della vita odierna e a far riscoprire la lentezza. Proprio la

lentezza può aiutarci a ricominciare a prestare l'attenzione necessaria a noi stessi, alle cose

che facciamo, alla natura e alle persone che ci circondano, nonché al pianeta in cui viviamo.

La "ricchezza di tempo" potrebbe includere anche la libertà di decidere da soli come vivere e

passare il proprio tempo e può iniziare quando finalmente ci liberiamo di tutto ciò di cui non

abbiamo bisogno. Ciò implica inoltre nuove definizioni di tempo, ricchezza e lavoro. Molti dei

progetti e delle iniziative illustrati in precedenza si basano su una gestione diversa del tempo,

un modo diverso di lavorare, vivere e consumare. Implicano quasi tutti il rinunciare a

qualcosa per guadagnare in benessere e qualità delle relazioni. Infine, è davvero così bello

possedere sempre più cose ma non avere tempo per godere della propria vita?41

41 Vgl. http://www.konzeptwerk-neue-oekonomie.org/wp-content/uploads/2012/07/Zeitwohlstand.pdf, S. 9