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ogni libro Harmony è...

... un grande amore da vivere insieme alle nostre eroine. Un amore spesso contrastato, a volte gioioso, a volte esaltante, drammatico o commovente. Ma sempre vittorioso. Un amore che ti farà scoprire le passioni del cuore umano, oppure rivivere le emozioni sopite in te.

Quando la grande avventura Harmony è cominciata nel lontano 1981, queste, in sintesi, erano le parole con cui ogni collana della casa editrice dava il benvenuto alle proprie lettrici.

La collana I Nuovi Bestsellers Special nasce nel 1994 come serie nella quale verranno pubblicati i titoli dei migliori autori ai vertici della New York Times Bestsellers List.Il primo romanzo edito dalla casa editrice fu, nel novembre 1994, Pioggia e Fuoco di Diane Chamberlain.

La serie si dimostrò fin da subito una lettura di intrattenimento coinvolgente e immediata con trame avvincenti, un ritmo veloce e incalzante supportato da un ottimo stile narrativo. Intrigo e passione, sentimento e mistero la facevano, e la fanno tutt’ora, da padrone.

Nel corso di questi anni sono state molte le autrici apprezzate in tutto il mondo dalla critica e dal pubblico che hanno reso celebre

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I Nuovi Bestsellers Special: tra queste le regine della suspense Carla Neggers, Heather Graham, Brenda Novak, Sharon Sala e quelle del thriller Erica Spindler, Alex Kava, M.J. Rose e le nuove stelle che stanno sorgendo in questo firmamento come J.T. Ellison. Negli ultimi anni sono stati pubblicati anche titoli di autori di successo che si sono affacciati alla ribalta della classifica del New York Times come Rick Mofina, Joseph Teller, Paul Johnston e Jason Pinter.

La forza de I Nuovi Bestsellers Special consiste nel sapersi rinnovare continuando però a raccontare storie intense, imprevedibili, intriganti e mozzafiato che fanno restare incollati al romanzo fino all’ultima pagina.

Che dunque il sogno continui e che altre generazioni di lettrici possano sempre essere consapevoli che con I Nuovi Bestsellers Special “La suspense è donna”.

Grazie a tutte e buona lettura

Paola Ronchi Direttore Generale Harlequin Mondadori

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BRENDA NOVAK

CALDO PERICOLO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Killer Heat Mira Books

© 2010 Brenda Novak, Inc. Traduzione di Alessandra De Angelis

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione I Nuovi Bestsellers Special

ottobre 2011

Questo volume è stato stampato nel settembre 2011 presso la Rotolito Lombarda - Milano

I NUOVI BESTSELLERS SPECIAL

ISSN 1124 - 3538 Periodico mensile n. 121 del 7/10/2011

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 369 del 25/06/1994

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Francesca Moretti non credeva ai propri occhi. Nel de-posito di materiale di recupero c'erano così tanti ogget-ti sparsi e cianfrusaglie che quello che vedeva poteva essere qualunque cosa. Dopotutto non era così vicina da poter distinguere bene i particolari. Inoltre la sago-ma era avvolta in una tela cerata e nascosta in parte da bancali di legno accatastati insieme a cavalletti e a ta-vole. Tuttavia più lo guardava, e più si convinceva, a giudicare da forma e dimensioni, che doveva trattarsi di un corpo umano. Piena di repulsione, si ritrasse e tornò ad acquattarsi nell'ombra del capanno più vicino. Il sole di luglio, ab-bacinante e cocente, splendeva impietoso su rottami di auto contorti e arrugginiti, telai di biciclette, attrezzi abbandonati. Francesca aveva l'impressione di essere in un gigan-tesco forno. Stava seguendo una pista nella periferia di Prescott, in Arizona, e nonostante il clima torrido, non era il caldo a soffocarla, bensì il panico. Le sembrava impossibile che potesse succederle di nuovo. Nel suo ultimo caso di una certa importanza, a-veva trovato i resti di una donna scomparsa, Janice Grey. Era stata assunta per trovarla e la scoperta di ciò che rimaneva del suo corpo aveva avuto una risonanza nazionale. Probabilmente l'omicidio della donna sa-

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rebbe rimasto un caso irrisolto senza l'intervento di Francesca, che invece aveva trovato le prove dell'as-sassinio e permesso agli inquirenti di incastrare il col-pevole. Tuttavia non capitava spesso che un investigatore privato fosse coinvolto in un caso di omicidio. Eppure ora sembrava proprio che avesse trovato di nuovo un cadavere. Appena Francesca aveva messo piede nel deposito, un grosso dobermann aveva cominciato ad abbaiare come un forsennato. Per fortuna era legato con una ca-tena dietro la casa per cui non doveva preoccuparsi di essere aggredita mentre cercava di controllare se quel-lo fosse il cadavere della sorella della sua cliente, come sospettava. Le parve di vedere delle ciocche di capelli castani che spuntavano da sotto il telo chiazzato di ver-nice. Annusò l'aria e avvertì l'odore della carne in decom-posizione. La posizione del corpo era tale da farle so-spettare che fosse in pieno rigor mortis. Non serviva avvicinarsi di più. Quello che avrebbe visto l'avrebbe tenuta sveglia di notte e lei preferiva che fosse l'ispet-tore della Omicidi a occuparsi del caso da quel mo-mento in poi. Sì, doveva chiedere aiuto alla polizia. Al più presto. Non voleva rischiare di compromettere eventuali prove che avrebbero permesso alla Scientifica di capire chi a-veva ucciso April Bonner. Con mani tremanti frugò nella borsa che portava a tracolla, in cerca dell'iPhone. Aveva il fiato corto e i battiti del cuore accelerati, e s'impose la calma. Era tut-ta colpa sua, perché aveva aggiunto all'elenco dei ser-vizi investigativi che forniva anche la ricerca di perso-ne scomparse. Il suo intento era quello di risolvere casi difficili, ma il suo obiettivo era di trovarle vive.

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Finalmente trovò a tastoni il cellulare e lo tirò fuori. Stava scorrendo la rubrica per cercare il numero dell'i-spettore Finch quando sentì dei passi pesanti che si av-vicinavano e alzò la testa. Dunque non era sola... Ep-pure non aveva ricevuto risposta quando aveva bussato alla porta della catapecchia adiacente al deposito, e non aveva sentito arrivare nessuna vettura. Le gambe la reggevano a stento per l'agitazione, tan-to che temeva di non riuscire a correre se fosse stato necessario darsi alla fuga. Sbirciò dietro l'angolo della costruzione di legno ma non vide chi si stava avvicinando. Aveva la fronte imperlata di sudore freddo ed era in preda al panico. Che cosa le stava succedendo? Trovarsi in situazioni pericolose faceva parte dei ri-schi del mestiere, l'aveva sempre saputo. Però era con-vinta di essere più forte e di riuscire a mantenersi luci-da e calma davanti alle emergenze, come quando era in polizia. Il ritrovamento dei resti di Janice non le aveva fatto questo effetto, e allora perché adesso era così agitata? In effetti questa situazione era più delicata. Quando era agente di polizia a Phoenix non si occupava di o-micidi e neanche dopo, quando lavorava per lo sceriffo della contea di Maricopa. Il giorno in cui aveva trovato Janice, era con una squadra che doveva perlustrare la zona. Aveva trovato delle ossa, non un corpo martoria-to. La violenza di cui era stata vittima Janice non era stata immediatamente visibile. Quel caso era diverso. Francesca aveva trovato il corpo di una persona uc-cisa da poco ed era sola in un posto isolato. Per giunta nessuno era a conoscenza dei suoi movimenti né sape-va che fosse lì, neppure Heather, la sua segretaria, a cui Francesca aveva detto semplicemente che sarebbe

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stata tutto il giorno fuori a seguire degli indizi. Abitava a Chandler, che era a due ore di macchina da lì, quindi non conosceva nessuno in quella zona. «Chi c'è?» gridò un uomo. A giudicare dal tono ostile, non era affatto contento di avere visite. La sua voce fece scatenare ancora di più il cane, che continuava a latrare sempre più agitato. Francesca non aveva intenzione di rispondere, anzi aveva il timore di essere vista se avesse fatto capolino da dietro la baracca, perciò aderì con le spalle alle assi di legno della costruzione. Il barista di un locale le aveva detto di aver visto una donna che corrispondeva alla descrizione di April sali-re su una vettura. Al volante c'era il proprietario del deposito, Butch Vaughn. Francesca era venuta lì nella speranza di parlare con Vaughn ma, dopo aver visto quello che sembrava un cadavere sotto il telo, si rende-va conto che non era né il posto né il momento di af-frontare un possibile omicida, specialmente se poteva liberare il dobermann contro di lei. Meglio che ci pen-sasse la polizia. «So che c'è qualcuno, lo sento da come abbaia De-mon» continuò l'uomo. Demon doveva essere il cane. Nome azzeccato..., pensò Francesca. «Che modo è d'introdursi in una proprietà privata?» insistette in tono minaccioso. I suoi passi erano diventati più esitanti, il che signi-ficava che non era sicuro di dove fosse l'intruso. Di solito Francesca era una persona decisa e tenace; faceva parte del suo lavoro. Il suo zelo l'aveva indotta a superare la naturale riluttanza a ficcare il naso negli affari altrui. Un investigatore privato timido non arrivava a nes-

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sun risultato, questo lo sapeva. D'altra parte Francesca non avrebbe mai osato introdursi in quel deposito se il proprietario non fosse stato visto con April, che era scomparsa da tre giorni. Lanciò un'occhiata alle sue spalle, indecisa. Forse a-vrebbe potuto tentare di correre alla macchina, ma non era sicura di riuscire a fare il giro della casa e arrivare alla strada prima che l'uomo l'acciuffasse. Cinque anni prima aveva cominciato a dedicarsi alla corsa per tenersi in forma e scaricare la tensione. Era fiera delle proprie capacità atletiche, ma in quel mo-mento era troppo agitata e non credeva di poter sfuggi-re a un uomo prestante come Butch Vaughn. Aveva vi-sto il suo profilo sul sito web d'incontri in cui April l'a-veva conosciuto sotto il nome di Harry Statham. Se era davvero lui, e la foto che aveva pubblicato sul profilo gli rendeva giustizia, era decisamente in forma... «Ehi, chiunque tu sia, cos'hai? Il gatto ti ha mangia-to la lingua?» esclamò l'uomo. Francesca rifletteva. La sua unica alternativa era lo spray al peperoncino. Subito dopo essere stata accetta-ta alla scuola di polizia, suo padre era stato colpito per sbaglio dal proprio collega durante un'operazione anti-droga e da allora era ridotto su una sedia a rotelle. Francesca ne era rimasta traumatizzata e, appena la-sciata la polizia per aprire un'agenzia investigativa, a-veva smesso di girare armata. Era convinta che non le servisse una pistola e non ne possedeva una. Però ave-va bisogno di proteggersi in qualche modo, per cui a-veva sempre con sé lo spray al peperoncino. «Perché stai ficcando il naso a casa mia, amico?» in-sistette l'uomo. Doveva essere Butch Vaughn, pensò Francesca. A-veva detto casa mia. Forse aveva capito che lei aveva trovato un cadavere.

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Temendo di non riuscire a seminarlo, Francesca in-filò la mano in borsa. Intanto i passi si avvicinavano dall'altro lato della costruzione. Vaughn doveva aver indovinato dov'era nascosta. Il rumore delle suole che facevano scricchiolare il terreno arido di quella zona desertica aumentò la sua tensione. Dov'era lo spray? L'aveva perso? Non aveva mai a-vuto bisogno di usarlo, ma lo teneva in borsa per pre-cauzione. Pur tastando affannosamente in mezzo al contenuto della borsetta, Francesca non riusciva a tro-varlo. Aveva ancora il cellulare in mano per cui com-pose il numero del pronto intervento ma non osò parla-re. Vaughn l'avrebbe individuata appena avesse pro-nunciato una parola e, anche se fosse intervenuta una volante, non sarebbe arrivata in tempo. Non le restava che mettersi a correre. Mentre ruotava su se stessa, pronta a scattare, toccò finalmente la bomboletta di metallo, che si era nasco-sta tra le innumerevoli cose che aveva nella borsa. Si preparò ad affrontare Vaughn brandendo lo spray, ma lui non girò l'angolo come Francesca si aspettava. Non sentiva più i passi. Forse Vaughn non aveva capi-to dove fosse? Tese l'orecchio, trattenendo il fiato e chiedendosi cosa stesse facendo. Ebbe subito la risposta ai suoi in-terrogativi. Al suo fianco c'era la finestra della costru-zione, con il vetro opaco per lo sporco. Con la coda dell'occhio Francesca colse un movimento all'interno e si rese conto che era un ufficio e che Vaughn lo stava attraversando per coglierla di sorpresa. La porta era proprio accanto a lei! Balzò di lato con uno scatto fulmineo quando lui spalancò la porta. Cercò di spruzzargli in faccia lo spray ma dalla bomboletta non uscì nulla. Probabil-mente era rimasta inutilizzata per così tanto tempo che

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l'ugello si era otturato. Ma il suo gesto improvviso al-larmò l'uomo che sollevò un braccio per proteggersi il volto. Vedendolo da vicino, Francesca ebbe la confer-ma che il sedicente Harry Statham era Butch Vaughn, come aveva sospettato. L'uomo ritratto nella foto pub-blicata sul profilo di Statham sul sito di incontri era i-dentico al proprietario del deposito, che era presumi-bilmente l'ultima persona ad aver visto viva April. Francesca gli buttò contro la bomboletta colpendolo in faccia poi corse via ma, per quanto accelerasse il passo, lo sentiva guadagnare terreno. Il cane ringhiava e abbaiava come un forsennato, ti-rando la catena, Francesca lo ignorò. Per quanto sem-brasse minaccioso, non poteva nuocerle, almeno finché Vaughn non l'avesse liberato. Tuttavia un attimo dopo Butch riuscì ad afferrare la cinghia della borsa e a tirarla con uno strattone così vi-olento da romperla. Francesca cadde per il contraccol-po e il cellulare le sfuggì di mano. Anche Vaughn per-se l'equilibrio e rovinò a terra, ma non si perse d'animo e l'afferrò per una caviglia. «Chi sei? Che diavolo fai qui?» l'apostrofò, ansante, tirandola verso di lui. L'attrito con il terreno brullo le fece male alle braccia perché indossava una camicetta senza maniche. «Rispondi, stronza!» gridò lui, sempre più in collera. Rotolarono supini. Francesca si dibatteva nel tentati-vo di liberarsi e fuggire, anche se le escoriazioni per il contatto con il terreno le bruciavano. Butch Vaughn era molto più forte di lei e riuscì a immobilizzarla sotto di sé senza troppa fatica. Le bloc-cò il polso sinistro ma, prima che riuscisse ad afferrare anche il destro, Francesca gli affondò le unghie nella guancia provocandogli un graffio profondo. Avvertendo una fitta di dolore, lui imprecò e si ri-

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trasse, permettendole così di sfuggire alla sua presa. Francesca agguantò la borsetta ma lui capì che stava per scappare e afferrò la tracolla un secondo dopo. Per non perdere il vantaggio, Francesca dovette la-sciare la borsa che cadde facendo rovesciare a terra tut-to il contenuto. Si rimise in piedi e corse via, girò l'angolo della casa e puntò dritto verso la sua auto, anche se non aveva le chiavi, che erano rimaste nella borsa o erano cadute a terra. La suola di cuoio liscio dei sandali la fece scivo-lare più volte sul terreno accidentato, ma riuscì ad arri-vare al piazzale davanti alla costruzione. Guardò in en-trambe le direzioni, nella speranza di veder passare un'auto e poter fare cenno al conducente di fermarsi per soccorrerla. Il deposito di Vaughn era isolato; non c'erano vicini a cui poter chiedere aiuto. L'unico vantaggio di Francesca era che, con il suo graffio, aveva leso Vaughn più di quanto si aspettasse. Voltandosi, vide che la inseguiva ancora, ma più lenta-mente. Barcollava tenendosi una mano premuta sulla guancia insanguinata. Francesca si preoccupò perché ora Vaughn era an-cora più infuriato. Se l'avesse raggiunta forse l'avrebbe uccisa. Per fortuna aveva lasciato l'auto aperta, una pessima abitudine che però ora le tornava utile. Arriva-ta alla macchina, spalancò la portiera dal lato del pas-seggero, che era più vicina, salì a bordo e la sbatté pro-prio mentre Vaughn stendeva il braccio per afferrare la maniglia. Lui ritrasse il braccio di scatto per non farsi schiacciare le dita e Francesca riuscì a premere il pul-sante della chiusura centralizzata che bloccava gli sportelli. Vaughn tirò la maniglia ma era troppo tardi. Francesca chiuse gli occhi e prese un respiro profon-do mentre l'uomo batteva con forza sul finestrino. Se avesse rotto il vetro, per lei era finita.

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Riaprì gli occhi e lo fissò terrorizzata. Non aveva neanche il cellulare e poteva solo sperare che il centra-lino del pronto intervento fosse riuscito a localizzare la chiamata. Però non era sicura che mandassero una pat-tuglia... lei non aveva parlato e, forse, il centralinista a-veva pensato che si trattasse di un errore o, peggio, di uno scherzo. «Perché fai così? Io voglio solo parlare, non intendo farti niente. Voglio sapere per quale motivo sei qui» insistette lui, cambiando strategia. Vaughn sapeva che Francesca aveva trovato il cada-vere. Glielo leggeva nello sguardo. Cercava di convin-cerla che poteva fidarsi di lui, ma lei non era tanto sciocca. «Vada via!» gridò, isterica. Vaughn doveva solo rompere il finestrino per ac-ciuffarla. Non c'era nessuno nei paraggi, nessuno che potesse sentire il rumore del vetro infranto o le sue gri-da di aiuto. Lui smise di dare colpi al finestrino, si asciugò il sangue con il palmo della mano che pulì sulla magliet-ta, poi si allontanò improvvisamente. Francesca lo vide dirigersi verso l'unico albero del cortile. Da un grosso ramo pendeva un'altalena da bambini, e vicino c'era una piscinetta gonfiabile, ma lei non si lasciò inganna-re da quei segni della presenza di una famiglia. Spesso i maniaci e gli assassini più cruenti erano mariti irre-prensibili e padri affettuosi. Al tronco era appoggiata una mazza da baseball e a terra c'erano il guantone e la palla. Vaughn afferrò la mazza e tornò verso la sua auto, brandendola con l'in-tenzione di rompere il vetro. Prima che potesse sferrare il colpo, però, si udì il ru-more di un motore. Si stava avvicinando un'auto, pen-sò Francesca speranzosa.

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Vaughn si fermò e si voltò verso la strada. C'era una vecchia Impala che si dirigeva verso il deposito. Francesca passò al posto di guida e suonò più volte il clacson per attirare l'attenzione del conducente che svoltò nel piazzale e parcheggiò con noncuranza in mezzo al cortile, come se fosse il suo. Alla guida c'era una donna e Vaughn la guardò, chiaramente combattuto. Vicino alla donna era seduto un bambinetto che agi-tò la mano sorridendo nel vedere Vaughn. «Papà! Papà!» gridò attraverso il finestrino. L'espressione di Butch cambiò all'istante. Buttò la mazza a terra e si avviò verso la vettura. Francesca ne approfittò per sgattaiolare fuori. Non poteva sperare che la donna l'aiutasse, se era la moglie di Vaughn. Tenendosi bassa per non farsi scorgere, infilò una mano all'interno del paraurti posteriore e, a tentoni, in-dividuò il contenitore magnetico in cui teneva una chiave di scorta. Lo staccò mentre il bambino si butta-va addosso a Vaughn e chiedeva di essere preso in braccio. La donna scese dall'auto e Francesca sentì che gli domandava, meravigliata, cosa gli fosse successo alla faccia. Butch rispose a voce troppo bassa perché lei potesse sentire, ma la donna reagì in tono isterico. «Che cosa? Ma perché? Chi è?» strillò visibilmente preoccupata. Francesca pensò che il ritorno a casa della moglie di Vaughn le aveva salvato la vita, ma non aveva di certo il tempo di fermarsi per ringraziarla o per riferirle del corpo nascosto sotto un telo nel cortile sul retro, in mezzo al deposito. Risalì in macchina e si mise al volante, tirò fuori la chiave dal contenitore che buttò sul sedile accanto, mi-se in moto e partì a tutto gas.

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di B. Novak Francesca Moretti, dinamica e coraggiosa investiga-trice privata dell'Arizona, sta indagando sulla scomparsa di una giovane, e gli indizi la portano in contatto con una famiglia decisamente singolare, in cui tutti sono sospetti. Presa di mira dall'aggressivo Butch e dal cognato, lo svitato Dean, guardata con diffidenza da una moglie tradita, ostacolata da un poliziotto corrotto, ha dalla sua parte solo l'aitante consulente investigativo, Jonah Young di Department 6. Peccato che la presenza di Jonah, invece di aiu-tarla, complichi una situazione già ingarbugliata...

di J. Teller Harrison J. Walker, brillante avvocato,conosciuto da tutti come Jaywalker, può vantare un incredibile tas-so di assoluzioni, ma ci sono cause che neppure lui può vincere. Quando un ragazzo, dopo una rissa di strada, insegue l'avversario e lo uccide con un colpo di pistola, l'accusa definisce quell'atto esecuzione. Il contrasto, però, tra la violenza dell'omicidio e il carattere mite del ragazzo che l'ha commesso forni-rà a Jaywalker la chiave per giungere a una diversa verità. Il suo appassionato lavoro sarà sufficiente per vincere un caso così disperato?

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Intrighi avvincenti e imprevedibili, personaggi disposti a tutto, finali ad altissima tensione: tutto il meglio dei romanzi

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