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Brexit:la prospettiva degli Aspen Junior Fellows

e le proposte per l'Italia

Roma, 10 novembre 2017

R I C E R C A

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Presentazione

Executive Summary

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Contributi

1. Un nuovo rinascimento imprenditoriale italiano grazie alla Brexit

Marco Jean Aboav

4

2. Brexit: distruzione (creativa?) per i giovani europei

Nicolò Andreula

7

3. Brexit: un' opportunità di riflessione per l'Italia

Luigi De Curtis

9

4. Carpe diem

Villy de Luca

11

5. Brexit: Le priorità dell'Italia nell'Europa a 27

Alessandra Rizzo

14

6. Trionfo del populismo e rinascimento politico

Andrea Tortora della Corte

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Presentazione

La Brexit, avviata con il referendum inglese del giugno 2016, è un processo in pieno svolgimento e le cui prospettive sono ancora incerte. I giovani italiani che vivono nel Regno Unito sono una comunità rilevante, che subisce già oggi gli impatti di questo grande cambiamento. Aspen Institute Italia intende con questa ricerca approfondire “in presa diretta” la prospettiva dell’evoluzione della Brexit attraverso l’esperienza di alcuni Aspen Junior Fellows che lavorano a Londra e che hanno proposto di realizzare questo lavoro. Questa ricerca ha il duplice obiettivo da un lato di presentare, con una modalità colloquiale, il clima sociale e professionale che i giovani AJF vivono nel Regno Unito per un contributo alla riflessione su questo momento storico. L’altro obiettivo del documento è presentare una serie di proposte concrete per l’Italia che derivano dall’esperienza inglese. Tali proposte valorizzano l’entusiasmo e le idee dei giovani aspeniani. Si tratta di progetti che, in molti casi, possono essere rapidamente e facilmente promossi, poiché ispirati da concretezza, realizzabilità, economicità. La ricerca prosegue l’impegno di Aspen Institute Italia a promuovere, con una prospettiva intergenerazionale, le proposte dei giovani del nostro Istituto, dopo la ricerca presentata il 16 giugno u.s.: Le proposte degli Aspen Junior Fellows per il Sud 1. Con questo nuovo contributo di semplice lettura, Aspen Institute Italia rende disponibile a Istituzioni, imprese e cittadini idee per costruire obiettivi condivisi di valore economico e sociale.

Lucio Stanca Vice Presidente Aspen Institute Italia

Presidente Aspen Junior Fellows

1 http://www.aspeninstitute.it/attivita/benvenuti-al-sud-dal-mezzogiorno-%E2%80%9Cdimenticato%E2%80%9D-al-controesodo-dei-giovani

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Executive Summary

I dati parlano chiaro. Nel 2007 le registrazioni nelle Anagrafi consolari evidenziavano la presenza di circa 180.000 italiani residenti nel Regno Unito. Le stesse anagrafi al 31 Dicembre 2016 registravano più di 280.000 italiani (un aumento del 35% in 10 anni) a fronte di un una comunità reale stimata in tutto il Regno Unito di ben oltre mezzo milione di italiani. Tra le città inglesi è certamente Londra la mèta più ambita e la città che esercita la maggiore carica attrattiva tanto da

essere considerata la quinta città italiana dopo Roma, Milano, Napoli e Torino.2 Girando per i

quartieri di Londra è tangibile l’influenza dei nostri connazionali che sono ormai pienamente integrati a tutti i livelli del tessuto sociale inglese: si incontrano nei bar di Notting Hill a servire caffè, nei grattacieli della City a discutere di Finanza, seduti alle cattedre di Oxford e Cambridge, negli spazi di co-working di Shoreditch a progettare start-up.

L’alba del 24 Giugno 2016, tuttavia, ha rappresentato un giorno difficile per molti degli italiani che vivono e lavorano nel Regno Unito. Il paese, che per molti è ormai divenuto una seconda casa, ha deciso di intraprendere un lungo e complesso percorso che porterà all’uscita dall’Unione Europea.

Senza la pretesa di fornire un’analisi socio-economica completa, gli Aspen Junior Fellow riflettono sulle ripercussioni della Brexit sulle loro prospettive professionali nel Regno Unito e delineano alcune proposte, snelle e pragmatiche, che vorrebbero veder implementate in Italia affinché si riesca ad emulare il “modello Londra” che tanto successo ha avuto negli ultimi 20 anni.

In “Un nuovo rinascimento imprenditoriale italiano grazie alla Brexit”, Marco Jean Aboav presenta le sue considerazioni legate alla finanza e al fintech per il post-Brexit, proponendo un ulteriore incentivo fiscale per gli investiori in startup innovative per aumentare il capitale di rischio ed attrarre in Italia nuovi talenti imprenditoriali da Londra.

In “Brexit: distruzione (creativa?) per i giovani europei” Nicolò Andreula descrive il forte impatto che il referendum ha avuto sui giovani europei che avevano fatto di Londra la propria capitale. Pur manifestando il suo disaccordo con l’esito referendario, vede nell’evoluzione dell’economia inglese un esempio da seguire per l’Italia e suggerisce a settori storici della nostra economia come moda, agricoltura e automotive di individuare le tecnologie del domani, investire e spostare capitale umano e finanziario verso le componenti più dinamiche della catena del valore, per ritrovare o mantenere un vantaggio competitivo a livello globale.

Il lavoro si arricchisce con la riflessione di Luigi De Curtis che in “Brexit: un'opportunità di riflessione per l'Italia” analizza come, nonostante la Brexit non porterà ad uno sconvolgimento dello status quo, questa rappresenti un’occasione per l’Italia di rilanciare l'economia soprattutto con investimenti in tecnologia e snellimento dei processi burocratici.

Villy de Luca in “Carpe diem” analizza le possibili ripercussioni della Brexit sul mercato del lavoro inglese e come l’implementazione in Italia di alcune riforme mirate, quale l’azzeramento dei costi per la costituzione delle società a responsabilità limitata, potrebbero porre le basi per rendere l’Italia attraente ai giovani talenti Europei che oggi sono alla ricerca di un’alternativa a Londra.

Cosa accadrà ai 600.000 Italiani che vivono nel Regno Unito? Come si dovrà posizionare l'Italia nella futura Unione Europea a 27? Tra euroscetticismo, rischi e opportunità, Alessandra Rizzo in “Brexit: Le priorità dell'Italia nell'Europa a 27” volge uno sguardo alle conseguenze politiche della Brexit per il nostro Paese. Dopo la Brexit, l'Italia dovrebbe cercare di agganciarsi alla locomotiva

2 http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-02-08/tutti-londra-quinta-citta-italiana-063528.shtml?uuid=ACpmgjPC

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franco-tedesca che guida l'UE; promuovere la cooperazione europea con Londra in settori chiave come difesa e intelligence; e salvaguardare la ritrovata unità europea.

Infine, in “Trionfo del populismo e rinascimento politico”, Andrea Tortora della Corte offre uno spunto di analisi sulla Brexit come fallimento di un modello di politica europea considerando il processo di uscita del Regno Unito quale affermazione dell’individualismo nazionale sul collettivismo europeo. In tale ambito, viene altresì messa in risalto l’opportunità per l’Italia e per gli altri Stati membri dell’Unione di far tesoro degli errori di funzionamento e sviluppo del progetto Europa commessi nel tempo e di ricompattarsi nella prospettiva di una rinascita culturale e politica e di rilancio economico da attuarsi, in particolare nel nostro Paese, anche attraverso serie politiche d’investimento finalizzate ad attrarre capitale umano.

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Un nuovo rinascimento imprenditoriale italiano grazie alla Brexit

Autore: Marco Jean Aboav Aspen Junior Fellow; Portfolio Manager - Numen Capital LLP - Londra; Associate Professor in Financial Technology - Cass Business School Londra

Premessa

Il risultato del referendum sulla Brexit ha scosso l’opinione pubblica internazionale, ma non mi ha sorpreso particolarmente visto le strutturali disuguaglianze sociali sempre più marcate che ho potuto osservare nei miei sette anni a Londra. Come ci si aspettava, la “vecchia guardia” lontana dalla capitale ha deciso di tradire gli ideali europei con il voto favorevole alla Brexit, anche se, come molti sostengono, la disinformazione ha sicuramente giocato un ruolo preponderante nelle decisioni dei cittadini. Cercherò di delineare in poche righe come la parabola della Brexit possa essere un'opportunità per l’Italia.

Londra ha offerto a molti di noi, italiani e non, opportunità lavorative impensabili in altre capitali europee, ma soprattutto ci ha permesso di costruire un ecosistema di connessioni con persone di grande spessore culturale, professionale ed umano. La facilità con cui negli anni ho potuto connettermi con questo tipo di persone è sempre stato davvero disarmante, l’Inghilterra ha sempre favorito un’immigrazione costruttiva, e non stupisce come spesso, e non solo in Italia, si consideri Londra la capitale dei talenti europei, soprattutto in ambito finanziario.

Talenti che lavorano duramente perché qui nulla è regalato, consapevoli che la città può offrire ancora tutti gli strumenti per eccellere. Talenti che sebbene spesso svolgono lavori ben pagati come dipendenti, hanno un’attitudine imprenditoriale ed una capacità di esecuzione sul lavoro non paragonabile a nessuna città europea. Questo ha portato molti di loro a lasciare le grandi aziende o banche per poter provare a lanciare iniziative professionali, e anche in questo caso l’Inghilterra è stata molto intelligente nel favorire l’ecosistema di queste nuove aziende, spesso caratterizzate da un forte DNA tecnologico. Non è una sorpresa vedere che Londra detiene ancora il primato di città europea con maggiore finanziamenti da parte dei venture capital, soprattutto nel fintech, settore in cui lavoro e oggetto del mio insegnamento alla Cass Business School. Il tesoro di Londra a mio parere sono sempre state le persone che sono passate da questa città, una burocrazia/fiscalità estremamente fluida, ed un mercato del lavoro molto dinamico. Ognuno di questi elementi può essere esportato e probabilmente nel lungo termine l’Italia dovrebbe cercare di accelerare su tutti e tre i fronti, ma cercherò di soffermarmi sull’aspetto fiscale legato all'imprenditorialità.

Conseguenze e ripercussioni

Dall’annuncio di voler proporre ai cittadini inglesi il referendum ho riscontrato come qualcosa sia cambiato a Londra. Sono cominciate infinite discussioni negli uffici della City sul cosa fosse giusto fare e su quali fossero le possibili ripercussioni economiche. I social sono stati bombardati da opinioni contrarie alla Brexit, e spesso i sostenitori della Brexit sono stati attaccati duramente nei circoli finanziari. L’unica certezza è che la Brexit porterà un ridimensionamento del settore finanziario, quindi probabilmente le persone con cui spesso mi sono confrontato hanno un conflitto di interesse che non permette una valutazione imparziale, ma il nocciolo della questione rimane: scoprire che il Regno Unito voglia implicitamente ridurre questo flusso di talenti

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che è sempre stato considerato il motore dell’economia inglese in nome di una forma di nazionalismo non ben definito rende tutti noi meno propensi a costruire un futuro a lungo termine in Inghilterra.

Dalla data del voto, complice la crisi del settore finanziario e le opportunità offerte da altre capitali economiche mondiali, è cominciato un lento e silenzioso esodo verso nuove destinazioni. Molti degli italiani in finanza a me vicini ritengono che l’impatto si farà sentire, già molte banche hanno avvisato molti dei loro dipendenti su possibili spostamenti in altre capitali europee se si dovesse propendere per una “hard” Brexit. Alcuni hanno addirittura accelerato i tempi decidendo di lasciare il loro posti di lavoro per lanciare iniziative imprenditoriali, spesso non con base a Londra. L’impatto di una “hard” Brexit per il mio lavoro nello specifico non è chiaro (al momento sto preparando il lancio di un hedge fund), ma voglio essere fiducioso poiché l’Inghilterra è un paese pragmatico sin dai tempi della Thatcher, che ha dimostrato nel tempo di favorire il business per attrarre capitali e persone. Londra è la mia città, mi ha forgiato come individuo e professionista e credo che questo terremoto politico non comprometterà totalmente la mia vita qui, ma la mia generazione non può escludere che se ci dovessero essere delle scelte drastiche a sfavore degli stranieri è possibile un ripensamento.

Proposte per l’Italia

Tra le tante cose che ho osservato in Inghilterra l’ecosistema imprenditoriale legato alle startup tecnologiche mi ha particolarmente colpito. La mia esperienza è prettamente legata al fintech, ma credo si possa estendere a molti settori dell’economia. Negli ultimi anni un “oceano” di professionisti in uscita dalle banche hanno fondato startup per cogliere i nuovi bisogni digitali dei consumatori e delle aziende, i talenti disponibili non sono mai mancati, il sistema legale inglese è solido per attrarre capitali e soprattutto gli incentivi fiscali per investire in queste iniziative è stato eccezionale. Intraprendere è rischioso, ma il governo inglese si è reso conto da subito dell'opportunità’ di creare nuovi posti di lavoro tramite le startup e ha offerto un sistema di incentivi fiscali chiamato “enterprise investment scheme” (EIS) e “seed enterprise investment scheme” (SEIS). E’ un sistema di incentivi fiscali collaudato che è partito nella sua prima forma ben nel lontano 1994, ma che ha avuto un notevole successo con la rivoluzione tecnologica degli ultimi 5 anni.

In Italia ci sono agevolazioni fiscali per le startup innovative, ma credo che debbano essere aumentate per attirare questo possibile flusso di italiani che deciderà di lasciare Londra per mettersi in proprio. Al momento l’incentivo IRES è del 30%, ma per esempio in Inghilterra per gli SEIS si arriva fino al 50% di detrazione fiscale, con la possibilità’ di arrivare al 75% nel caso cui la società’ non funzioni.

E’ purtroppo noto che in Italia ci sia una mancanza di capitale di rischio per intraprendere e talvolta anche le nuove generazioni sono avverse ad attività imprenditoriali o ad investimenti in attività imprenditoriali. Il possibile ritorno dei cervelli (tra l’altro già incentivati a livello fiscale grazie al decreto internazionalizzazione) avrebbe un ulteriore impulso se i fornitori di capitale fossero maggiormente incentivati a livello fiscale. Questo permetterebbe potenzialmente ad una nuova fetta di popolazione italiana di accedere ad una forma di investimento rischiosa con un rischio più contenuto rispetto alla situazione attuale. In Inghilterra è argomento di conversazione comune, l’investimento in startup non è un tabù come in Italia e l’accesso informativo è completo per poter valutare questo tipo di investimenti.

Credo che la Brexit possa offrire un'opportunità unica per l’Italia per attirare gli imprenditori italiani del futuro che sono cresciuti professionalmente in Inghilterra. Una legge semplice che possa

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allineare gli interessi dei cervelli, degli investitori e dello Stato non andrebbe a gravare particolarmente sulle finanze pubbliche e potrebbe fornire nel medio lungo termine un'opportunità per creare decine di migliaia di posti di lavoro ed un nuovo tessuto imprenditoriale. Proporrei una credito fiscale del 100% sull’investimento in startup in maniera da far confluire ingenti capitali su settori che potrebbero essere da traino per l’economia Italiana nei prossimi decenni.

La speranza è ancora che la Brexit non accada nella sua versione più stringente (o che non accada nemmeno), ma allo stesso tempo spero che il nostro paese si renda conto che replicare il sistema Londra non è altro che un cambio, seppur radicale, di mentalità.

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Brexit: distruzione (creativa?) per i giovani europei

Autore: Nicolò Andreula Aspen Junior Fellow; Economista e Consulente Strategico; Principal AlphaBeta Singapore

Premessa

Nella primavera del 2016 abitavo ormai a Londra da quattro anni, e per ragioni di lavoro e personali facevo la spola tra Francoforte e Atene. Da una parte i banchieri tedeschi - freddi, disciplinati ed efficienti - dall'altra i greci, con il sorriso amaro di chi la crisi se l’è un po' cercata ma non si merita una punizione così dura e cerca di arrabattarsi per andare avanti con dignità.

Pensavo che fosse quello l'asse su cui si giocava il futuro dell'Europa. Sui concetti di unione e disciplina fiscale, solidarietà e immigrazione. E di questo discutevamo naturalmente nei caffè di Londra, noi europei che avevamo trovato la nostra capitale comune su un'isola fredda ma accogliente, che andavamo al lavoro in una metro affollata ma efficiente, e poi tutti insieme a cena nelle pizzerie di Fulham o nei tapas bar di East London. Ma non ci eravamo accorti che mentre discutevamo in euroenglish delle ragioni e dei torti di Tsipras, Merkel, Draghi e Holland, il paese che ci ospitava non ascoltava più il cuore, ma la pancia.

Conseguenze e ripercussioni

Quella primavera finì con una doccia gelata, e così la visione di quell'Europa e di Londra come sua capitale. Quel giorno di giugno ci ritrovammo all’improvviso indesiderati, traditi in quello che era iniziato come un sogno, un’impresa che - giorno dopo giorno - era diventata una realtà cui sentivamo di appartenere. Sconfitti da una campagna elettorale basata su razzismo e proiezioni economiche sbagliate di proposito (come la bufala dei fondi che sarebbero dovuti ritornare al sistema sanitario nazionale inglese NHS in caso di Brexit).

Io non mi sentivo più a casa: ero uno straniero, un “migrante economico”. E Londra aveva già perso un po’ di quel fascino multietnico che misto a una solida cultura di stampo tradizionale la rendeva unica e irresistibile. Ho cominciato a pensare che volevo andare via, e grazie ad una bellissima opportunità di lavoro, eccomi a Singapore. E dalla mia nuova casa in Asia, ripenso al mio vecchio continente... a Cameron, che non era stato in grado di proporre un sogno, ma solo altri calcoletti economici che magari non erano attraenti come quelli di Farage & co.

La Brexit è stata a mio parere un grande tradimento in cui il mero spicciolo interesse economico e politico del momento ha prevalso su storia, cultura, ideologia, ricchezza del domani e sicurezza - che può derivare solo da una integrazione reale.

Ma anche la nostra generazione di giovani europei ha una grande responsabilità: non è stata capace di proporre una visione alternativa ai populismi xenofobi e nazionalisti che stanno distruggendo l'Unione. I nostri master e dottorati ci stanno facendo fare delle carriere meravigliose, ma con la scusa che le ideologie del '900 sono morte e che non vogliamo sporcarci le mani stiamo lasciando il campo e la politica a chi grida sempre no e fomenta odio, paure e divisioni.

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Proposte per l’Italia

Cosa possono fare Italia ed Inghilterra per trasformare la Brexit in qualcosa di positivo?

Prima di tutto i governi, ma anche i giovani, dovrebbero spostare e alzare il livello del dibattito da mera negoziazione economica a un confronto e una ricerca di valori comuni da cui ripartire. Rischiare un po' di più, mettersi in gioco in prima persona per trovare e spingere una nuova visione europea di apertura agli stranieri, alle nuove tecnologie, alle nuove forme di lavoro. Una nuova visione europea dove intraprendenza, solidarietà e ottimismo trovino slancio prendendo spunto dalle nostre risorse tradizionali.

Nello specifico, una cosa che l’Italia potrebbe “copiare” a Londra è la capacità di rimanere leader in settori chiave della propria economia travasando talenti e capitali dalle parti più statiche della catena del valore a quelle più dinamiche e promettenti. Per esempio, nel settore finanziario, Londra è sempre stata un centro chiave nel mondo, dai tempi della East India Company fino all’odierno fintech, e l’ha fatto perché ha sempre saputo cavalcare queste “distruzioni creative”, senza esserne spaventata. Adesso, per esempio, la regolamentazione britannica ha introdotto dei “sandboxes” legislativi, che permettono di sperimentare prodotti finanziari innovativi con una autorizzazione temporanea facilissima da ottenere.

Questo approccio funziona: l’Inghilterra è al primo posto nel sondaggio globale condotto da EY come “most fintech-friendly jurisdiction”, ha ricevuto miliardi di investimenti nel settore e moltissimi giovani non hanno paura di lasciare grandi banche e società di consulenza per andare a mettersi in gioco in start-up rivoluzionarie.

Quest’attitudine, imprenditoriale e legislativa, si potrebbe applicare a settori storici dell’economia italiana, dove non si fa ancora abbastanza per stare al passo coi tempi. Prendiamo come esempio la moda, l’agricoltura e il settore automobilistico.

Grandi e piccole aziende italiane in questi settori si sono finalmente accorte che la vera partita non è sul segmento low cost – dove saremo inevitabilmente battuti da paesi con condizioni salariali più basse ed economie di scala più vantaggiose – e si stanno riorientando su prodotti ad alta qualità e sostenibilità ambientale. Questi sono passi importanti, ma non sono abbastanza, perché andavano fatti venti anni fa per mantenere un vantaggio competitivo sostenibile. Oggi occorre già individuare le tecnologie del domani, e investire capitale umano e finanziario con il supporto di istituzioni, associazioni di categoria e realtà universitarie: quante case d’abbigliamento o giovani stilisti si stanno cimentando nell’abbinare moda e tecnologia disegnando “smart clothes”? Quante aziende agricole stanno investendo in tecnologie geospaziali, e usando droni per migliorare il monitoraggio e l’efficienza dell’uso dei fertilizzanti? Quanti nel settore trasporti stanno scommettendo sulle auto autonome (“self-driving”) invece di ostacolare i servizi di “ride-sharing” e “carpooling”?

E’ da queste scommesse che l’Italia e l’Europa dovrebbero ripartire: cultura imprenditoriale, giovani e nuove tecnologie. Ma senza dimenticare, che senza valori comuni di apertura, solidarietà e condivisione non si va lontani. Si rimane su un’isola, anzi su un’isoletta, come rischia di diventarlo l’Inghilterra dopo questa Brexit.

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Brexit: un’opportunità di riflessione per l’Italia

Autore: Luigi De Curtis Aspen Junior Fellow; Partnerships Lead Deliveroo Londra

Premessa

Da quando avevo 14 anni, i miei genitori mi hanno dato la possibilità di venire ogni estate nel Regno Unito per poter imparare l’inglese. A 18 anni ho iniziato gli studi universitari di Economia e Management presso l'Università di Oxford e da allora ho sempre vissuto all’estero, per 9 anni a Londra e per 3 anni negli Stati Uniti dove ho avuto esperienze di studio (MBA a Stanford) e di lavoro.

L’Inghilterra mi ha sempre affascinato per le sue tradizioni (dalle cabine telefoniche agli autobus a doppio piano) e per l’eccellenza e l’autorevolezza del sistema educativo che talora può sembrare troppo formale (per esempio, nel college di Oxford indossavamo come studenti una toga durante le cene settimanali) ma estremamente valido nella sostanza. Nonostante le forti tradizioni, Londra è, a mio avviso, tra le città più aperte a culture straniere. Ci sono zone della città dove ci sono tanti cittadini stranieri e talora si ha l’impressione di vivere in un altro paese europeo o addirittura anche extracomunitario. Non è un caso che Londra viene spesso citata, in termini di popolazione, come la quinta città italiana.

La notizia della Brexit del 23 giugno 2016 mi ha molto sorpreso: il paese più internazionale d’Europa è voluto uscire dall’Unione Europea! L’Inghilterra è sempre stata orgogliosa di mantenere differenze nei confronti di altri paesi: per esempio, non ha l’euro, è fuori dall’area Schengen, etc. Però’ la decisione del 23 giugno è stata drastica: ‘Non crediamo nell’Unione Europea, pensiamo di avere maggiori benefici se siamo indipendenti’. Senza dubbio, la disinformazione ha giocato un ruolo importante, però la maggioranza degli inglesi ha espresso la sua decisione.

Conseguenze e ripercussioni

Cosa vuol dire la Brexit per gli Italiani? C'è tanta incertezza per tutti, italiani e non. Tenendo presente che Londra è la principale città che attira talenti in tutte le discipline, si fa fatica a pensare ad un’alternativa, che ancora si spera non sia necessaria. Si parla di Francoforte o Dublino come centri finanziari, Amsterdam o Berlino come centri tecnologici, ma al momento nessuna di queste città ha la stessa capacità di attrazione di Londra, come unico centro di eccellenza per il business, associazioni governative e universitarie.

In generale, non sono molto pessimista sulla Brexit e sull’effetto che gli italiani possano avere dalla sua applicazione per due motivi. Primo, l’Inghilterra, se dovesse uscire dal mercato unico e limitare la circolazione di talenti, avrebbe conseguenze molto pesanti per la sua economia. Oggi la finanza europea è gestita a Londra dove sono presenti i più importanti centri di consulenze legali ed aziendali. Una Brexit “dura” avrebbe conseguenze gravissime per l’economia britannica basata sul settore servizi, che ha la base del suo successo proprio grazie ai mercati europei. Per questo motivo, credo che il Regno Unito adotterà una Brexit “lieve”. Secondo, nell’eventualità invece che l’Inghilterra dovesse adottare una Brexit “dura”, una parte degli gli Italiani oggi nel Regno Unito

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troveranno un nuovo posto di lavoro in un altro paese europeo molto contento di attirare il talento straniero. Questa situazione potrebbe essere finalmente un’occasione per poter far ritornare in Italia molti italiani di valore. Il problema di difficile soluzione invece potrebbe riguardare i numerosissimi italiani che sono venuti nel Regno Unito a lavorare in settori non particolarmente qualificati.

Cosa ne pensano gli inglesi? Premetto che la mia prospettiva è influenzata prevalentemente dal circolo di amici e di colleghi che vivono nel centro di Londra, anche se ho avuto modo di interagire con inglesi che vivono in molte cittadine del Nord e del Sud del Regno Unito. Le principali reazioni che ho ricevuto sono: quelle di inglesi che sono contrari e pensano che la Brexit sia un evento negativo per la loro economia e per l'idea europeista (soprattutto il circolo di amici e colleghi). Il loro pensiero si basa su riflessioni più pragmatiche che ideali. Molti sperano in un annullamento della Brexit. D’altra parte vi sono le reazioni degli inglesi a favore della Brexit, che non sono d’accordo sull’aumento delle tasse e sul fatto che diminuiscono per loro le opportunità lavorative a differenza di quello che avviene per i cittadini stranieri che le vedono aumentare in modo esponenziale. Vogliono un limite all’immigrazione, o la certezza di un miglioramento del loro stato sociale. In generale, per quanto mi riguarda, la Brexit non è un tema frequente di discussione con gli inglesi, ma soprattutto con gli altri cittadini stranieri.

Proposte per l’Italia

La Brexit può essere un'opportunità di attirare giovani italiani di valore e i professionisti con esperienza internazionale. Anche se non credo che ci siano formule rapide e magiche, si possono oggi forse creare le basi per una rinascita economica del nostro paese.

Per primo, credo molto nel potere della tecnologia. Molte industrie (se non tutte) saranno in un prossimo futuro modificate da cambiamenti tecnologici (businesses, finanza, educazione...). L’Italia deve investire il prima possibile in tecnologia sia a livello di infrastrutture che a livello didattico. Per esempio, bisogna aumentare la penetrazione della rete internet in tutto il territorio; si devono inserire corsi di programmazione durante gli studi superiori, come corsi interdisciplinari per gli studi universitari ed aumentare gli investimenti in computer science con scholarships e creazione di nuove cattedre. L’Italia ha molte persone con grandissimo talento che possono guidare le nuove multinazionali tecnologiche del futuro. In termini pratici, investirei in proposte tecnologiche e affiderei progetti nazionali di tecnologia ad esperti di riconosciuta capacità, come è già avvenuto nel passato con i dott. Caio, dott. Stanca, dott. Piacentini.

Inoltre, è anche urgente snellire i processi burocratici. Per esempio, una multinazionale potrebbe preferire pagare le multe piuttosto che adempiere alla registrazione di specifiche campagne marketing (concorso a premio), dal momento che i processi necessari per avere l’autorizzazione sono lunghi. Questo è un esempio specifico, ma in generale ci sono tante pratiche nella realtà del business che sono lunghe, costose e finiscono con il disincentivare completamente importanti attività commerciali nel nostro paese. Gli stessi processi, per esempio, nella gran parte dei casi non sono necessari nel Regno Unito.

La strada del cambiamento è lunga e non rapida, ma sarà sempre più difficile raggiungere la rinascita economica se non verranno messi subito in atto tutti gli interventi necessari. Spero Brexit possa essere un’occasione per raggiungere questo cambiamento.

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Carpe diem

Autore: Villy de Luca Aspen Junior Fellow; Avvocato; Associate in Derivati e Finanza Strutturata Allen & Overy LLP Londra

Premessa

Il 24 giugno 2016 non è di certo stata una giornata semplice per chi, come me, ha deciso di stabilirsi e perseguire i propri obiettivi professionali nel Regno Unito. Il percorso di integrazione europea dell’Inghilterra, iniziato nel 1972 con la ratificazione dello European Communities Act, ha subito una brusca interruzione a seguito della vittoria del “Leave” nel referendum sulla Brexit. Una decisione non del tutto inaspettata data la diffidenza con cui il popolo britannico ha sempre visto le istituzioni di Bruxelles percepite quali distanti ed estranee alla cultura nazionale ma, al contempo, sorprendente considerata lo status di capitale finanziaria che la City di Londra è riuscita ad assicurarsi all’interno dell’Unione Europea, con i conseguenti benefici economici che ne derivano. Al pari di New York per gli Stati Uniti d’America, Londra è riuscita ad ergersi come centro nevralgico della finanza europea. Una megalopoli senza bandiera in cui persone con storie e background diversi decidono di stabilirsi per realizzare i loro sogni. Molto è stato scritto sulle ragioni che hanno portato alla Brexit e sulle ripercussioni economiche che ne potrebbero derivare, raramente, però, il focus è stato posto sull’effetto che tale scelta avrà su chi ha deciso di investire personalmente e professionalmente sull’Inghilterra.

Terminata la laurea in Giurisprudenza a Milano ed un master ad Oxford, mi sono trovato a dover affrontare la difficile questione di dove iniziare la mia carriera professionale. Era il 2012 e al tempo c’erano pochi dubbi sul fatto che Londra fosse l’opzione migliore in Europa. Il mix unico tra città cosmopolita, disponibilità di capitali e crocevia di business internazionale la rendeva una meta ambita per chiunque volesse lavorare nei settori che ruotano attorno alla finanza. Un’esperienza a Londra era un bollino di qualità che molto aggiungeva al curriculum.

È proprio tale reputazione, complice la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea, ha spinto negli anni migliaia di ragazzi europei a scegliere l’Inghilterra, innescando, così, un circolo virtuoso che ha permesso a Londra di affermarsi come la capitale europea del talento. I “cervelli in fuga” nostrani trovavano oltremanica quell’ambiente stimolante dove iniziare a costruire il proprio futuro, consapevoli che in una società realmente meritocratica come quella inglese il talento viene apprezzato e valorizzato.

Conseguenze e ripercussioni

Anche se è prematuro trarre delle conclusioni, il voto sulla Brexit ha di certo modificato nell’immaginario collettivo la percezione dell’Inghilterra come paese realmente internazionale capace di guidarci verso un futuro sempre più globalizzato. Nonostante Londra rappresenti fieramente (ed i voti largamente in favore del “Remain” ne sono la prova) il frutto del processo di integrazione europea, il resto dell’Inghilterra ha ribadito con forza la voglia di porre un freno a questo processo.

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Ritengo che la Brexit, almeno nel breve periodo, non riuscirà a scalfire il primato di Londra come capitale della finanza europea. Considerata la fitta rete di professionisti e organizzazioni che da decenni sono radicate nella capitale britannica, un cambiamento repentino è difficile da ipotizzare. Ciò che invece è possibile notare è come stia progressivamente diminuendo agli occhi dei giovani l’appeal, un tempo indiscutibile, di Londra. Sia chi vive e lavora a Londra da tempo, sia chi sta decidendo dove perseguire le proprie ambizioni professionali, inizia a mettere in discussione il valore aggiunto che la città ha da offrire. Una certezza prima assoluta e ora fortemente in dubbio.

Ed è proprio questo dubbio che, lentamente, potrebbe portare ad una modifica dello status quo. Qualora si iniziasse a considerare le altre capitali europee valide alternative a Londra, rallenterebbe il flusso dei talenti in entrata, reale motore del ciclo virtuoso che ha portato Londra ad affermarsi nel contesto Europeo. Questo avrebbe delle pesanti ripercussioni sull’economia britannica che a sua volta spingerebbe sempre meno giovani a stabilirsi nel Regno Unito.

Fintanto che i termini della Brexit non saranno concordati, è difficile concludere con certezza la magnitudo del potenziale cambiamento. Quello che è certo, però, è la delusione dei tanti cittadini europei che, dopo aver contribuito in maniera sostanziale allo sviluppo e alla crescita dell’Inghilterra, si sono visti imporre una decisione che ha delle ripercussioni sul loro futuro. Cittadini che per quanto radicati nel tessuto economico inglese potrebbero decidere, in mancanza di alternative, di “votare con i piedi” e ricollocarsi in uno degli altri centri finanziari europei o internazionali.

Proposte per l’Italia

Se da un lato la Brexit può essere un passo indietro per l’Inghilterra, dall’altro può rappresentare una grande occasione di rilancio per l’Italia. L’incertezza che avvolge il futuro di Londra concede agli altri paese europei un'occasione, forse unica, di lanciare una sfida al dominio inglese sul mercato del lavoro Europeo.

Replicare il modello Londra non è di certo un compito facile ma vi sono alcuni riforme che, se attuate correttamente ed in tempi brevi, potrebbero porre le basi per rendere alcune delle città italiane delle valide alternative. Questo non solo potrebbe fermare l’emorragia dei cervelli che ogni anno decidono di lasciare il nostro Paese, ma riuscirebbe anche ad attrarre tanti giovani talenti europei che oggi guardano al di fuori dei propri confini nazionali. Tralasciando in questo contesto complesse riforme strutturali, a mio avviso una legge collegata ai costi di costituzione delle società a responsabilità limitata porterebbe benefici immediati.

L’avvento di internet spinge sempre più giovani a lanciarsi in attività imprenditoriali. La prima questione che i giovani imprenditori devono necessariamente affrontare è quella legata al paese in cui costituire la società. La libera circolazione delle persone e dei capitali in Europa lascia ampia scelta, ma la decisione spesso ricade sul paese che offre le condizioni più semplici ed economiche. Il decreto legge del 2012 che ha introdotto la Società a Responsabilità Limitata Semplice (SRLS) ha ridotto i costi di costituzione delle società con capitale sociale inferiore ai 10.000 euro ma, per quanto questo rappresenti un primo passo nella direzione giusta, va fatto di più. Costituire una società a Londra oggi costa 50 euro e può essere fatto online in meno di 20 minuti. La stessa procedura in Italia comporta un appuntamento con il notaio ed il pagamento di circa 600 euro tra imposta di registro, costi dovuti alla Camera di Commercio e denuncia di inizio attività. L’abbattimento di questi costi rappresenterebbe un piccolo aiuto per i giovani imprenditori che verrebbe lautamente ricompensato nel momento in cui la società dovesse iniziare ad avere successo.

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Questa è solo uno dei tanti interventi che potrebbero attuarsi a livello normativo per rendere l’Italia attraente ai giovani talenti Europei, la vera posta che l’Inghilterra rischia di lasciare sul tavolo il momento che uscirà definitivamente dall’Unione Europea. Se l’Italia vorrà essere protagonista nel new normal Europeo che verrà a crearsi una volta terminato il processo della Brexit è necessario mettere in cantiere, fin da subito, quelle riforme che ci porteranno ad essere competitivi. L’opportunità è davanti ai nostri occhi, spetta solo a noi trovare la via per saper cogliere l’attimo.

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Brexit: Le priorità dell'Italia nell'Europa a 27

Autore: Alessandra Rizzo Former Aspen Junior Fellow; Giornalista; Political Reporter at Sky News Londra

Premessa

Quando si parla di Brexit si pensa soprattutto al rischio che il Regno Unito, la quinta potenza economica del mondo e la seconda nell’Unione Europea dopo la Germania, si ritiri nel suo isolamento, ritraendosi dall’Europa e riscoprendo quell’insularità che così spesso ha tentato il paese nel corso della sua storia. Si pensa all’immagine della “Little England”, che Theresa May ha cercato di dispensare parlando, con uno slogan ripetuto ad nauseam, di “Global Britain”. Ma la Brexit comporta rischi anche per l’Italia e il suo status all’interno del blocco, e qualche opportunità.

Roma e Londra hanno tradizionalmente avuto un atteggiamento opposto verso l’Unione Europea: entusiasti noi italiani, provati da decenni di malgoverno e da una radicata sfiducia verso la nostra classe politica; scettici, quando non apertamente ostili, i britannici, sospettosi di farsi dettare leggi da un gruppo di burocrati di stanza a Bruxelles o Strasburgo. Ma negli ultimi anni le cose sono cambiate. In Italia l’euroscetticismo è cresciuto, con un fenomeno cominciato negli anni successivi all’introduzione dell’euro e poi accentuatosi con la crisi finanziaria degli anni 2008-09. Dati dell’Economist Intelligence Unit dimostrano che il PIL dell’Italia nel 2017 è sostanzialmente invariato rispetto ai livelli del 1999. L’ascesa di partiti populisti come il Movimento Cinque Stelle, che ha accompagnato la crescente disillusione verso la moneta unica, è l’espressione politica dell’euroscetticismo italiano. Secondo una ricerca condotta dal Pew Research Center nella primavera di quest’anno, solo il 40% degli italiani (rispetto, per esempio, all’80% dei tedeschi) ritiene che la Brexit sia una cosa negativa per il Regno Unito. Da questo lato della Manica, il terremoto della Brexit ha prodotto una vera e propria crisi di identità politica.

Conseguenze e ripercussioni

Il risultato del referendum del 23 giugno scorso è stato uno shock in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa. Meno di ventiquattr’ore prima del voto autorevoli fonti diplomatiche europee esprimevano certezza che il fronte “Remain” avrebbe vinto. Nelle conversazioni avute con tante persone a Londra il giorno dopo il referendum, e nei mesi successivi, ho riscontrato un misto di incredulità e rabbia. Sentimenti che condivido, avendo vissuto a Londra dal 2011. Ma naturalmente la capitale poliglotta e multiculturale è cosa ben diversa dal resto del Paese, coma New York lo è dall'America che ha eletto Trump. Oggi le difficoltà associate ad un divorzio che avviene dopo quarant’anni di vita trascorsa, bene o male, in comune sono evidenti ai più, così come la complessità di negoziati che alcuni Brexiteer avevano superficialmente bollato come “i più facili nella storia dell’umanità”. Ma il paese non ha cambiato idea: resta spaccato esattamente come lo era l’anno scorso. E così la metà dei britannici spera ancora che si possa tornare indietro, o più realisticamente vorrebbe almeno limitare i danni e rendere la separazione meno netta possibile, mentre l'altra metà guarda fiduciosa al momento in cui il paese tornerà finalmente pienamente sovrano e si riprenderà il controllo delle proprie leggi e frontiere. Per il mio futuro professionale di giornalista, settore in crisi per altri motivi, non vedo rischi determinati dalla Brexit, anzi. Il paese resterà avviluppato nel dibattito per anni: in Parlamento, dove i deputati, oltre a dover

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discutere la legislazione di uscita, dovranno passare centinaia di leggi cosiddette secondarie per dare attuazione alla Brexit; nei board delle aziende, dove si attende di sapere quale sarà la relazione futura con L’UE e il grado di accesso o meno al mercato unico dopo il periodo di transizione; nelle università, dove studenti e ricercatori vorranno sapere che ne sarà dei fondi europei o del progetto Erasmus. E la lista potrebbe andare avanti. C’è molto da decifrare e raccontare in un momento cruciale nella storia del Regno.

Proposte per l’Italia

I cittadini italiani già presenti nel paese (siamo più di mezzo milione, su 3 milioni e passa di cittadini comunitari), non corrono rischi imminenti, nonostante i negoziati siano ancora in corso su questo punto. Fonti vicine alle trattative lasciano intendere che l’accordo in questo ambito si troverà. E David Davis, il ministro che guida i negoziati per Londra, ha rassicurato quanti sono già qui: servirà una registrazione, ha detto, ma non saremo cacciati, e il processo di registrazione sarà semplificato. Theresa May ha detto all’ultimo vertice di Bruxelles che l’accordo su questo punto è “within touching distance”, ad un passo. Del resto, basta farsi un giro per gli ospedali, i bar o i negozi di Londra per capire quanto la città conti sui lavoratori che arrivano dal continente. E credo che Londra, almeno nel breve periodo, resterà nonostante tutto un polo di attrazione anche per gli “high-skilled workers”, capace di continuare ad attirare talenti da tutto il mondo, anche se molto dipenderà dall'esito dei negoziati e dal futuro accordo con Bruxelles.

Nonostante le differenze di atteggiamento, Londra e Roma sono state spesso alleate in Europa in chiave di contrappeso all’egemonia di Berlino e Parigi. Con la Brexit, l’Italia rischia di restare “un po’ più sola”, soprattutto se non riuscira’ a allargare, entrandovi, l’asse franco-tedesco che tradizionalmente guida il processo decisionale europeo. Roma dovrebbe cercare di favorire l’impegno e la partecipazione di Londra ai progetti europei, cui i britannici hanno ancora molto da contribuire. Penso soprattutto ai temi cruciali della difesa (Londra è tra i pochi paesi NATO che assegna il 2% del PIL alla difesa), della lotta al terrorismo e della condivisione dell'intelligence. Stabilire un quadro di cooperazione chiaro e robusto in questo senso sarebbe vantaggioso per entrambe le parti.

Questo potrebbe voler dire, di fatto, promuovere un’Europa a più velocità. E’ un’idea contraria alla volontà espressa da Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione Europea, nel suo ultimo discorso sullo stato dell’Unione. Ma a ben pensarci l’Europa è già in un certo senso a “geometria variabile”, tra UE, Schengen, NATO, EEA, EFTA… Al tempo stesso, Roma dovrà fare di tutto per salvaguardare l’unità europea ritrovata con la Brexit: Nigel Farage aveva previsto un effetto domino che, dopo il voto britannico, avrebbe travolto il resto dell’Europa, mentre i tabloid eurofobici del paese già parlavano di "Grexit", "Frexit" e "Quitaly". Il pericolo, per ora, è scongiurato (molto si deve alla vittoria di Macron in Francia, e un po’ anche alla rinnovata fiducia nella ripresa economica), ma chissà per quanto. Questa ritrovata unità europea è forse l’unica conseguenza positiva del terremoto Brexit. Sta all’Europa, con il contributo di Roma, farne buon uso.

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Trionfo del populismo e rinascimento politico

Autore: Andrea Tortora della Corte Aspen Junior Fellow; Senior Associate presso Legance Avvocati Associati Londra

Premessa

Il 24 giugno 2016 mi ero trasferito a Londra soltanto da tre mesi e l’esito del referendum non ha rappresentato certamente il benvenuto che mi sarei aspettato dal popolo inglese.

“Leave”: una parola diventata uno slogan che ha rimbalzato per settimane, sempre più insistentemente, nella testa dei tanti abitanti del Regno Unito che sono andati a votare e che, sull’onda di una campagna politica inquinata e poco trasparente, capitanata in primis dal leader dell'UKIP (partito anti-europeista inglese), Nigel Farage, ha evidenziato la grande falla della tanto vantata democrazia inglese. La Brexit, infatti, ha rappresentato la vittoria del populismo, quello stesso populismo che recentemente ha invaso, con effetti devastanti, il nostro mondo politico e culturale.

L’intero popolo inglese, con la mente annebbiata da desideri anti-europeisti dettati da una certa intolleranza all’integrazione, ha bocciato - senza consapevolezza alcuna - un progetto, iniziato circa 60 anni fa, nato dall’ispirazione di un gruppo di leader lungimiranti ai quali dobbiamo la creazione dell'Unione Europea in cui viviamo oggi. Senza la loro caparbietà ed il loro impegno non vivremmo nel clima di pace e stabilità che oggi tutti diamo per scontato. Il loro obiettivo era uno, riportare in Europa la pace, l'unità e la prosperità dopo anni di guerra e divisioni. Se pensiamo ai leader politici che hanno dato vita al progetto Europa: Konrad Adenauer, Joseph Bech, Winston Churchill, Alcide de Gasperi, Jean Monnet, Robert Schuman, solo per citarne alcuni, comprendiamo le enormi differenze di statura politica e di spessore umano e culturale che esistono con i leader (anche se questo appellativo sarebbe da attribuire soltanto ad alcuni e non a tutti) di oggi. Certo, è cambiato il mondo, sono cambiate le persone e sono cambiati gli ideali, ma resta il fatto che il Regno Unito non avrebbe mai dovuto delegare al popolo una decisione di tale importanza. La gestione (economica) di uno Stato serio ed illuminato ha bisogno della democrazia rappresentativa e non della democrazia di piazza. Il referendum non è stato il trionfo della democrazia, è stato un errore.

Se chiedi al popolo se è contento di pagare le tasse, risponderà di NO. Ma molti di noi sanno che così si compromette il funzionamento di uno Stato di diritto, perché ovviamente le istituzioni hanno dei costi che vanno finanziati collettivamente. Questo è mero opportunismo di chi non vuole pagare le tasse, ma vuole beneficiare lo stesso dei servizi pubblici. Ebbene, con la Brexit, l’effetto è stato simile, il contenuto vero arrivato dal mondo politico e percepito dalla popolazione della gente comune è stato: volete pagare meno tasse all’Europa rimanendo comunque nell’UE? Volete circolare liberamente tra gli Stati dell’UE senza però consentire il libero accesso nel Regno Unito ad altre popolazioni degli Stati dell’UE come Romania, Bulgaria e forse, in un futuro non così lontano, Turchia ? Gli inglesi, in coro hanno risposto “NO”. Con una visione di breve periodo, il 51% degli inglesi ha calpestato, con egoismo, il futuro delle generazioni avvenire.

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Conseguenze e ripercussioni

Difficile prevedere, adesso, cosa accadrà esattamente all’esito della procedura d’uscita del Regno Unito dell’Unione Europea. Alcuni, la maggior parte, intravedono scenari catastrofici per il Regno Unito e d’opportunità per i restanti 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Non dubito che, almeno all’inizio, sarà così ma credo anche che sarà un’opportunità per il Regno Unito, un’occasione per dare nuovo respiro alla dimensione politica, culturale ed economica del Paese. Presumo che la politica inglese pianificherà aggressive strategie d’investimento che metteranno in difficoltà gli altri stati della vecchia Europa. Gli inglesi non vorranno rimanere isolati ed immobili a guardare il fuoco della loro economia spegnersi lentamente.

Centinaia di migliaia di persone si ricollocheranno in altri Paesi, molte aziende cambieranno la loro sede legale. Tutto rientra nella normalità dello scorrere fluido della storia, dopo un po’ anche questo terremoto politico si assesterà. Se sarà meglio o peggio di prima? Chi può saperlo..!?

Fermo restando quanto precede, non ritengo sia nemmeno da escludersi che il Governo Inglese nel panico delle trattative con l’UE e nel dubbio tra “soft” e “hard” Brexit, possa decidere di tornare dal popolo per chiedere di votare nuovamente per il “Leave” o per il “Remain”, e molto probabilmente in questo caso il risultato non sarà lo stesso di Giugno 2016.

Proposte per l’Italia

Se Brexit davvero rappresenta un’opportunità, l’Italia è, purtroppo, già in ritardo. Non lo scopriamo oggi, l’Italia è già in ritardo da tempo, per molti anni, durante le varie campagne elettorali, ci sono stati spesso riproposti gli stessi temi e progetti di sviluppo ormai noti a tutti (e.g. il Mezzogiorno, la riforma della giustizia, l’abbassamento delle tasse) che non hanno sempre avuto un effettivo riscontro pratico negli anni a seguire. La difficoltà di raggiungere in tempi ragionevoli, attraverso le riforme, dei risultati concreti ha contribuito ad aumentare il disinteresse e la distanza del popolo dalla vita (anche politica) del Paese. In un momento del genere dovremmo fare squadra, rimboccarci le maniche e proporci, anche se non ne abbiamo, del tutto, le capacità, come nuovo “porto sicuro” per gli investitori e per le istituzioni finanziarie. L’instabilità politica non ci consente di fare ciò né di adottare politiche di lungo periodo ma soltanto di breve, e così accade che ciascuno approvi le proprie riforme non appena sale al governo ed intanto, da lontano, i principali player del mondo finanziario ed industriale ci guardano con sospetto e diffidenza. Oggi si fa una legge, dopo qualche anno quella stessa legge viene modificata, peggiorata o migliorata, tutto si cambia e nulla si conserva. Come potrebbe uno straniero essere stimolato ad investire in Italia in un contesto di tale incertezza ? Quando parlo con i clienti stranieri che hanno già investito in Italia o vorrebbero farlo, noto che le loro perplessità riguardano quasi sempre: la burocrazia, la corruzione, lo strapotere dei sindacati e i tempi della giustizia e delle amministrazioni. Conosciamo tutti i nostri problemi e tutti sappiamo - in teoria - quello che andrebbe fatto. Cos’è allora la Brexit per noi? Un’occasione di riflessione per arrivare, finalmente, alla consapevolezza che siamo meno lontani dalla Grecia che dalla Germania e che oggi è già tardi. Dovrebbe essere l’occasione per risvegliare la classe dirigente dormiente, quella onesta, la nostra, fatta dei tanti che si sono impegnati ed hanno raggiunto con sacrificio alcuni, seppur modesti, obiettivi ma che hanno ancora una visione ed una speranza nel futuro, come di coloro che - nel profondo - ci credono ancora ma che si tengono, purtroppo, alla larga dalla politica.

Il sentimento di divisione evidenziato da Brexit dovrebbe servirci a spronarci per sentirci più uniti. Ora che in Europa qualcuno ha deciso di lasciarci, dovremmo riflettere sulle ragioni alla base di tale scelta. Qualche errore c’è stato, questo è sicuro. Allora riflettiamo tutti su come davvero l’Europa Unita può cambiare marcia pensando a politiche realmente condivise e sviluppate

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nell’interesse di tutti gli Stati Membri e non soltanto dettate da pochi; e riflettiamo, invece, noi italiani sul ruolo che l’Italia può avere nel contesto offerto da questa prospettiva ed opportunità di rinascimento politico e culturale soprattutto anche pianificando una ragionata e solida politica d’investimento finalizzata, anche attraverso la previsione di importanti agevolazioni fiscali ed aiuti economici, ad attrarre – non in via temporanea - nuovo capitale umano e/o il rientro degli italiani all’esterno. Noi italiani siamo la più grande ricchezza che l’Italia possiede.

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