Breve storia dei numeri immaginari e dell’analisi...

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Breve storia dei numeri immaginari e dell’analisi complessa Enrico Rogora 12 dicembre 2015 1 I numeri complessi I numeri complesi o immaginari furono considerati per la prima volta dagli algebristi italiani del secolo sedicesimo che, per utilizzare le formule risolutive delle equazioni di grado tre, si trovarono a dover operare su espressioni con- tenenti radici quadrate di numeri negativi. Tali espressioni, che nel caso delle equazioni di secondo grado ax 2 + bx + c = 0 portavano ad escludere la riso- lubilit` a di quelle per cui b 2 - 4ac < 0 conducevano invece, per le equazioni di terzo grado, alle corrette soluzioni pur di estendere le regole dell’algebra alla manipolazione delle quantit` a immaginarie. Per Bombelli si trattava quindi di artifizi che per` o, trattati come veri numeri, quando scomparivano alla fine dei calcoli, portavano a risultati corretti. Le concezioni di Bombelli sollevarono numerose obiezioni e contrariet`a ma, lentamente, l’uso dei numeri complessi cominci` o ad attirare i matematici, tra cui, per esempio, Descartes, Leibniz, Wallis (che per primo ne cerc` o un’interpretazione geometrica) e de Moivre, che stabil` ı il fatto che un numero complesso non nullo z , la cui espressione in forma esponenziale sia z = ρe , ammette n radici complesse distinte w k = n ρe i(α/n+2kπ/n) . Le 7 radici complesse settime dell’unit`a 1

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Breve storia dei numeri immaginari edell’analisi complessa

Enrico Rogora

12 dicembre 2015

1 I numeri complessi

I numeri complesi o immaginari furono considerati per la prima volta daglialgebristi italiani del secolo sedicesimo che, per utilizzare le formule risolutivedelle equazioni di grado tre, si trovarono a dover operare su espressioni con-tenenti radici quadrate di numeri negativi. Tali espressioni, che nel caso delleequazioni di secondo grado ax2 + bx + c = 0 portavano ad escludere la riso-lubilita di quelle per cui b2− 4ac < 0 conducevano invece, per le equazioni diterzo grado, alle corrette soluzioni pur di estendere le regole dell’algebra allamanipolazione delle quantita immaginarie. Per Bombelli si trattava quindidi artifizi che pero, trattati come veri numeri, quando scomparivano alla finedei calcoli, portavano a risultati corretti.

Le concezioni di Bombelli sollevarono numerose obiezioni e contrarietama, lentamente, l’uso dei numeri complessi comincio ad attirare i matematici,tra cui, per esempio, Descartes, Leibniz, Wallis (che per primo ne cercoun’interpretazione geometrica) e de Moivre, che stabilı il fatto che un numerocomplesso non nullo z, la cui espressione in forma esponenziale sia z = ρeiα,ammette n radici complesse distinte wk = n

√ρei(α/n+2kπ/n).

Le 7 radici complesse settime dell’unita

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Eulero, utilizzando i numeri complessi, fu in grado di chiarire la nozione dilogaritmo di un numero negativo che aveva suscitato numerose controversietra Leibniz e Giovanni Bernoulli e di scoprire, attraverso gli sviluppi in seriedi potenze, l’intima relazione tra le funzioni trigonometriche e la funzioneesponenziale, compendiata nella celebre formula

eiz = cos z + i · sin z.

Furono Wessel nel 1797 e Argand bel 1806 che fornirono la ben nota inter-pretazione geometrica dei numeri complessi, che fu successivamente diffusada Gauss in una celebre nota del 1831 alla sua seconda memoria sui residuibiquadratici, cfr. [?]. Grazie all’autorita di Gauss i numeri complessi ces-sarono di essere un artifizio formale per acquistare pari dignita con gli altrinumeri.

Al numero complesso z = x+ iy si fa corrispondere il punto A di coordinate cartesiane(x, y). Lo stesso punto A e identificato anche dalle coordinate polari ρ, θ, legate a quellecartesiane dalle formule x = ρ cos θ, y = ρ sin θ. L’espressione z = ρ cos θ + i sin θ e laforma trigonometrica del numero complesso z. Usando la formula di Eulero, la forma

trigonometrica si puo anche convertire nella forma esponenziale z = eiθ.

A conferma della lentezza con la quale la nozione di numero complesso sie liberata presso i matematici di ogni oscurita, sara opportuno ricordare chelo stesso Cauchy nel 1821 scriveva1 (Analyse algebrique, p. 173):

En analyse, on appelle expression symbolique ou symboletoute combinaison de signes algebriques qui ne signifie rien parelle-meme, ou a laquelle on attribue une valeur differente de cel-le qu’elle doit naturellement avoir.... Parmi les expressions ou

1Cfr. Scorza in [3]

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equations symboliques dont la consideration est de quelque im-portance en analyse, on doit surtout distinguer celles que l’on anommees imaginaires.

2 Funzioni complesse

Sia w = f(z) una funzione complessa di variabile complessa. Scrivendow = u+ iv e z = x+ iy si vede che la funzione f equivale a due funzioni realidi due variabili reali

u = u(x, y) v = v(x, y).

Un esempio importante e quello delle funzioni lineari complesse, cioe dellaforma

w = f(z) = α · z

con α = a+ ib. Si verifica immediatamente che, in questo caso,

u(x, y) = ax− by v(x, y) = bx+ ay.

La moltiplicazione per il numero complesso α = a + ib corrisponde quindialla matrice 2× 2 (

a −bb a

)(1)

Le matrici di questa forma sono composizioni di una rotazione con una omete-tia. Quelle non nulle sono le piu generali trasformazioni lineari che preservanogli angoli in misura e orientazione. Tali trasformazioni si dicono conformi.

Ci interessa selezionare, tra le funzioni complesse di variabile complessa,quelle che in ogni punto hanno la matrice Jacobiana della forma (1). Sonopossibili tre approcci distinti ed equivalenti a queste funzioni che prendonoil nome di funzioni olomorfe. I tre approcci equivalenti si possono far risalirea Cauchy, Riemann e Weierstrass rispettivamente.

2.1 Il metodo di Cauchy

Cauchy limita la sua attenzione alle funzioni complesse che siano derivabiliin senso complesso, cioe tali che, per ogni z del dominio di f esista finito ilnumero complesso α tale che

limh→0

f(z + h)− f(z)

h= α.

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Si richiede quindi che nell’intorno infinitesimo di un punto la funzione fsi possa approssimare come la funzione lineare αz. Quindi l’esistenza delladerivata complessa di f equivale a chiedere che l’approssimazione lineare dellafunzione x, y → u(x, y), v(x, y), cioe la matrice(

ux uyvx vy

)sia del tipo (1), ovvero che siano verificate le condizioni (dette di monogenitao di Cauchy-Riemann)

vx = −uy ux = vy.

Esempi di funzioni monogene sono:

• le funzioni zα;

• i polinomi e le funzioni razionali;

• Le funzioni trigonometriche, logaritmiche ed esponenziali.

Una funzione f(z) = u(x, y) + i(x, y) si puo integrare su una qualsiasicurva completamente contenuta nel dominio di definizione di f . In particola-re, se γ e una curva chiusa contenuta in una regione semplicemente connessaΩ sulla quale f e olomorfa, ∫

γ

f(z)dz = 0

Infatti, per il teorema di Green e per le condizioni di monogeneita,∫γ

f(z)dz =

∫Ω

df ∧ dz =

∫Ω

du ∧ dz + i ·∫

Ω

dv ∧ dz =∫Ω

(uxdx+ uydy) ∧ (dx+ i · dy) + i ·∫

Ω

(vxdx+ vydy) ∧ (dx+ i · dy) =∫Ω

i · uxdx ∧ dy +

∫Ω

uydy ∧ dx−∫

Ω

vxdx ∧ dy + i ·∫

Ω

vydy ∧ dx =∫Ω

(−uy − vx)dx ∧ dy + i ·∫

Ω

(ux − vy)dx ∧ dy = 0

Questo risultato noto come teorema integrale di Cauchy (1823) e invertibi-le. Sia ha cioe che una funzione complessa f , definita su un dominio sem-plicemente connesso Ω tale che, per ogni curva chiusa γ contenuta in Ω,∫γf(z)dz = 0, e olomorfa (teorema di Morera, 1886).

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Dal teorema integrale di Cauchy segue, per una funzione olomorfa su unaperto semplicemente connesso Ω ⊆ C, la formula integrale di Cauchy,

f(z) =1

2πi

∫γ

f(w)

w − zdw

dove γ e una qualunque curva chiusa contenente z e contenuta in Ω.Dalla formula integrale di Cauchy segue che una funzione olomorfa su

un aperto ammette derivate di tutti gli ordini e, inoltre, che una funzioneolomorfa all’interno di un disco di centro z0, ammette uno sviluppo in seriedi Taylor in (z − z0), convergente all’interno del disco.

Per una funzione olomorfa all’interno di una corona circolare di centro z0

si ha uno sviluppo in serie di potenze intere, positive e negative, di z − z0,detta serie di Laurent (1843). Per esempio, la serie di Laurent nel pianoprivato dell’origine della funzione

f(z) =ez

z+ e

1z .

e

f(z) = · · ·+(

1

3!

)z−3+

(1

2!

)z−2+2z−1+2+

(1

2!

)z+

(1

3!

)z2+

(1

4!

)z3+· · · .

2.2 Il metodo di Riemann

Nell’approccio di Riemann alla teoria delle funzioni complesse, cfr. [2], ilruolo centrale viene svolto dalle funzioni reali di variabile reale u e v chedeterminano una funzione complessa di variabile complessa w = f(z) dallecondizioni

f(z + iy) = u(x, y) + iv(x, y).

Riemann, come Cauchy, si limita alle funzioni che verificano le equazioni dimonogeneita,

ux = vy uy = −vxda cui segue

uxx = vyx uyy = −vxye quindi

uxx + uyy = 0

e analogamentevxx + vyy = 0

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e quindi, la parte reale e la parte immaginaria di una funzione monogenasono funzioni armoniche. Viceversa, ogni funzione armonica si puo pensarecome la parte reale di una funzione monogena e quindi lo studio delle funzionimonogene si puo identificare con quello delle coppie di funzioni armonicheper cui sussistono le condizioni di monogeneita,

Le funzioni armoniche erano state gia riconosciute come fondamentali perle applicazioni alla fisica matematica. Esse sono completamente determinatedal valore ce assumono sul contorno di un aperto semplicemente connesso C.E questo il famoso principio di Dirichlet che Riemann assunse in tutta lasua generalita e a partire dal quale dedusse molte importanti proprieta dellefunzioni olomorfe. Weierstrass mostro invece come il principio di Dirichletnon fosse stato stabilito con il dovuto rigore e i successivi tentativi di dimo-strazione occuparono i matematici per diversi decenni, tra cui C. Neumann,H. A. Schwarz, H. Poincare, C. Arzela, D. Hilbert, B. Levi, G. Fubini, S. Za-remba, H. Lebesgue, fino al risultato finale di Hilbert del 1900, che giustificacompletamente l’uso di Riemann di tale principio.

Le funzioni armoniche verificano la condizione che il valore che assumo-no al centro di un disco su cui sono definite e uguale alla media aritmeticadei valori assunti sul bordo. Di qui segue che una funzione armonica puoassumere i valori massimi e minimi solo al bordo di ogni dominio di defini-zione. Di qui, oltre che dalla formula integrale di Cauchy, segue il Teoremadel massimo modulo per le funzioni olomorfe.

Sia f(z)una funzione olomorfa in un dominio (aperto e con-nesso) D, allora |f(z)| ammette un massimo in D se e solo se f(z)e una funzione costante.

In particolare, se f(z) e una funzione analitica non costante in un dominiolimitato D e continua sul bordo ∂D allora il valore massimo di |f(z)| sullachiusura diD (che esiste per il teorema di Weierstrass) viene raggiunto su ∂D.Analogo risultato vale per il minimo, se la funzione non ha zeri all’internodel dominio D.

Le condizioni di monogeneita pongono ulteriori restrizioni al modolo diuna funzione olomorfa. Il teorema di Liouville afferma che una funzioneolomorfa intera, cioe definita su tutto il piano complesso e avente modulolimitato e necessariamente costante. Dal teorema di Liouville si ottine facil-mente una dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra secondo cuiogni polinomio a coefficienti complessi non costante ha una radice complessa,che era gia stato dimostrato da Gauss per altra via. E sufficiente conside-rare la funzione olomorfa 1/P (z) che, se P (z) fosse un polinomio privo dizeri avrebbe modulo limitato e quindi sarebbe costante per il teorema diLiouville.

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Le condizioni di monogeneita, come abbiamo gia osservato, implicanoche le funzioni olomorfe inducono trasformazioni conformi tra il dominiodi definizione e l’immagine. Riemann dimostra, utilizzando il principio diDirichlet, che

e sempre possibile rappresentare in modo conforme un’areapiana limitata da un solo contorno, su un’altra area piana qual-siasi, limitata anch’essa da un solo contorno, e in guisa tale chela corrispondenza fra le due aree sia biunivoca e continua nei duesensi. Di tale interessantissimo problema si occuparono (dopoRiemann), apportandovi complementi e generalizzazioni impor-tanti, H. Poincare, H. A. Schwarz, P. Painleve, E. Picard, P.Koebe, D. Hilbert, C. Caratheodory, L. Lindelof, P. Montel, L.Bieberbach e altri. cit. Tonelli L., voce Funzione in [3].

2.3 Funzioni olomorfe, rappresentazioni geometriche

Esistono diverse maniere per rappresentare geometricamente una funzioneolomorfa. Un’immagine utile di una funzione olomorfa si ottiene disegnan-do l’immagine di un reticolo di linee coordinate, cioe di un insieme di retteparallele all’asse delle x e un insieme di rette parallele all’asse delle y. Ladistorsione del reticolo operata da una funzione olomorfa preserva l’ortogo-nalita delle immagini dei due sistemi ortogonali di linee coordinate. Eccoalcuni esempi:

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2.4 Il metodo di Weierstrass

Weierstrass definı e studio le funzioni olomorfe con le serie di potenze, elimi-nando ogni ricorso all’integrazione. Ricordiamo brevemente che una serie dipotenze e un’espressione del tipo

∞∑i=0

aixi

dove i coefficienti possono essere indifferentemente numeri reali o complessie xi e una variabile reale o complessa.

Come si sa dalla teoria generale delle serie, in un dato pun-to x la serie di potenze sopra scritta e convergente, divergente oindeterminata, a seconda che, in quel punto, la somma parzialea0 + a1x+ ...+ anx

n, ha, al crescere indefinito di n, limite finito,oppure infinito, oppure manca di limite. Nel primo caso, il limiteindicato e la somma della serie. Un fatto notevolissimo e che ilcampo di convergenza di una data serie di potenze di x e sempreun cerchio (detto cerchio di convergenza della serie) avente il cen-tro nell’origine O del piano complesso. In ogni punto interno alcerchio di convergenza, la serie converge; in ogni punto esterno,la serie diverge; nei punti della circonferenza la serie puo essere oconvergente o divergente o indeterminata. Al raggio del cerchiodi convergenza si da il nome di raggio di convergenza della serieconsiderata. Tale raggio puo cssere nullo, puo avere un valorepositivo qualunque e puo anche essere +∞.

Il teorema di Cauchy-Hadamard asserisce che il raggio R di convergenzadi una serie di potenze di coefficienti c(n) vale

1

R= lim sup

n→∞

(|cn|1/n

)Per le serie vale un principio di identita analogo a quello che vale per

i polinomi. Se due serie convergono agli stessi valori su un insieme con unpunto di accumulazione, le due serie coincidono.

Cauchy aveva gia osservato che ogni funzione monogena si puo sviluppa-re in serie di potenze nell’intorno di ogni punto interno al suo dominio didefinizione e che una serie di potenze convergente definisce una funzione mo-nogena. Queste osservazioni sono alla base della definizione di Weierstrass difunzione olomorfa come funzione analitica. Le idee dei Weierstrass, esposte

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nei corsi che teneva all’Universita di Berlino, vennero raccolte da Pincherlein un articolo pubblicato sul Giornale di Battaglini. Questo lavoro contribuınotevolmente alla diffusione in Italia del punto di vista di Weierstrass sul-l’analisi complessa, come il libro di Casorati contribuı a diffondere quello diRiemann.

Sia P (x − a) una serie di potenze centrata in a e convergente in un cer-to disco, ove definisce una funzione monogena. Sia a1 un punto interno alcerchio di convergenza. Sviluppando in serie di potenze centrata in a1 lafunzione monogena, otteniamo una serie P (x− a|a1) che si dice detotta im-mediatamente da P (x − a). Se il disco di convergenza P (x − a|a1) non econtenuto in quello di P (x− a), otteniamo un prolungamento analitico dellafunzione P (x− a). Iterando la procedura possiamo ottenere una successioneP (x − a|a1!a2|...|an) di serie di potenze che si dicono dedotte mediatamentedalla prima.

Secondo il Weierstrass, si chiama funzione analitica la fun-zione definita dall’insieme di tutte le serie di potenze dedotteimmediatamente o mediatamente da una serie di potenze data.Tutte queste serie sono gli elementi della funzione analitica. L’in-sieme di tutti i punti interni al cerchio di convergenza di almenouno degli elementi della funzione analitica costituisce il campo diesistenza della funzione; e tale campo risulta sempre connesso.Scelti due qualsiasi elementi di una stessa funzione analitica, unoqualunque di essi puo sempre considerarsi come dedotto media-tamente dall’altro. La funzione analitica risulta cosı determinatada uno qualsiasi dei suoi elementi. Da tutto cio segue che, fra ivalori di una funzione analitica, nelle varie parti del suo campod’esistenza, vi e piena solidarieta; e tale solidarieta si manife-sta anche col fatto che le proprieta analitiche essenziali, che lafunzione presenta in una parte del campo di esistenza, vengonoconservate anche in tutte le altre parti, come appunto affermail principio di conservazione delle proprieta analitiche, messo inluce dallo stesso Weierstrass.

Partendo da un dato elemento P (x - a), di una funzione anali-tica f (x), si puo giungere, per successive continuazioni analitiche,all’elemento relativo a un altro qualsiasi punto b, del campo diesistenza della funzione, in molti modi diversi. Ora. puo darsiche, qualunque sia la via seguita, si giunga sempre a uno stessoelemento relativo a b; ma puo anche avvenire che, seguendo viediverse, si ottengano elementi diversi. Nel primo caso, la funzio-ne analitica ha un solo valore in ciascun punto del suo campo di

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esistenza, e si dice che essa e uniforme, o anche monodroma; nelsecondo, la funzione e a piu valori e si dice multiforme o anchepolidroma.

Osserviamo che, applicando a piu funzioni analitiche le opera-zioni elementari di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divi-sione, come anche quelle superiori di derivazione e d’integrazione,si ottengono sempre delle funzioni analitiche. Inoltre, le funzionipiu semplici, come le razionali, l’esponenziale, la logaritmica, lecircolari (dirette e inverse) sono tutte funzioni analitiche.

Una funzione analitica e monogena in tutto il suo campo diesistenza; viceversa, una funzione monogena, in un dato campoconnesso C, da una funzione analitica, al cui campo di esistenzaappartengono tutti i punti interni a C. In tal modo e messa in evi-denza la piena concordanza dei due concetti di funzione analitica,secondo Weierstrass, e di funzione monogena, nel senso di Cauchy.Tuttavia la teoria di Weierstrass, delle funzioni analitiche, proce-de con metodo essenzialmente distinto da quello di Cauchy, comeanche da quello di Riemann; in essa, e bandito completamen-te l’uso del concetto d’integrale, non ci si giova in nessun mododei risultati sulle funzioni di variabili reali, e, restando sempre nelcampo complesso, tutto e ottenuto con la semplice considerazionedelle serie di potenze. cit. Tonelli L., voce Funzione in [3].

3 La superficie di Riemann di una funzione

analitica

Ad una funzione reale di una variabile reale y = f(x) si puo associare il graficoΓf ⊆ R2 che permette di vedere le proprieta principali della curva, almenoquando la curva e continua. Anche nel campo complesso si puo associare aduna funzione w = F (z) il grafico

ΓF = (z, w)|w = F (z) ⊆ C2.

A differenza del caso reale, tale oggetto non puo essere immediatamentevisualizzato. In questo paragrafo vedremo come Riemann concepisce il graficodi una funzione analitica come una superficie, la superficie di Riemann dellafunzione F .

La superficie di Riemann e una superficie intrinseca, munita di una strut-tura analitica che permette di definire tutte le nozioni analitiche che si posso-no definire sul piano complesso: la nozione di funzione olomorfa, meromorfa,

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di forma differenziale ecc.. In questa maniera e possibile estendere tuttal’analisi complessa a da C a una superficie di Riemann.

In questa sezione ci limiteremo a considerare esclusivamente una superficiesi Riemann dal punto di vista topologico.

Riportiamo la costruzione della superficie di Riemann della funzione y =f(x), contenuta nel libro di Enriques Chisini sulle curve algebriche.

Si consideri l’equazione algebrica

y2 = f(x) = (x− a1)(x− a2) . . . (x− am);

essa vale a definire una funzione a due rami

y(x) = ±√f(x).

I detti rami vengono scambiati fra loro per un giro chiuso della xche comprenda uno o un numero dispari di punti di diramazioneai; per conseguenza un giro esterno un cerchio sufficientementegrande che comprenda tutti i punti a1 . . . am vale a dire un gi-ro intorno al punto all’infinito, produce o no lo scambio dei duerami di y(x) secondoche m e dispari o pari: quindi se m e di-sparisi aggiunge ai punti di diramazione a1 . . . am anche il puntoall’infinito; questo caso si riduce al caso in cui m e pari con unatrasformazione lineare sulla x.

Poniamo per semplicita che m sia pari e cosı la y(x) posseggasoltanto i punti di diramazione al finito a1, . . . , am. Per quantoabbiamo detto, il piano della variabile complessa x non porge unarappresentazione delle soluzioni (xy) dell’equazione y2 = f(x),perche in ogni punto x sono, per cosı dire, deposti due valori del-le y(x); per ovviare all’inconveniente viene l’idea di consideraredue piani fogli sovrapposti, sopra ciascuno dei quali si depongonoi valori di uno dei due rami; ma non e possibile ottenere in talguisa una rappresentazione adeguata allo scopo, imperocche lecoppie(xy) formano un continuo inseparabile, permutandosi, co-me si e detto, i due rami di y(x) per giri chiusi delle x; cosı apparela necessita di collegare fra loro due fogli, stabilendo opportuneconvenzioni circa il passaggio dall’uno all’altro, in corrispondenzaai movimenti di x nel proprio piano. Un sistema di convenzionirispondenti allo scopo puo essere stabilito come segue.

A partire da un punto generico, o, del piano delle x, si esegui-scano dei tagli, per esempio rettilinei, lungo linee congiungentio coi punti di diramazione ai, le quali non si traversino tra lo-ro. Questo sistema di tagli supponendosi eseguito, accade che

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un qualunque giro chiuso della x (non potendo attraversare untaglio, ne quindi involgere alcun punto di diramazione) non pro-duce alcuno scambio fra i due rami della y(x). Ora immaginiamodi deporre i due valori della y(x) sopra due piani sovrapposti alpiano delle x su cui vengano eseguiti i medesimi tagli; finche la xsi muove senza attraversare uno dei tagli, i due rami y si muovo-no nei rispettivi fogli senza passaggio dall’uno all’altro; sugli orliopposti di un medesimo taglio si trovano deposti valori della yuguali e di segno contrario, giacche il passaggio dall’uno all’altrocasi effettua per mezzo di un giro chiuso della x attorno ad unpunto di diramazione, aumentando (o diminuendo) l’argomentodi f di 2π. Cio posto i due fogli, su cui vengono rappresentatii due rami della y(x), debbono naturalmente collegarsi lungo itagli, saldando ciascun orlo del primo foglio all’orlo dell’altro sucui vengono deposti i medesimi valori della x; cosı quando la xattraversa un taglio si passa con la y da un foglio all’altro. Ilmodo del passaggio puo essere reso evidente con un modello: siha una superficie a due fogli orizzontali che si traversano lungouna linea doppia, e l’annessa figura ne porge la sezione verticale,perpendicolare ad un taglio.

Sezione normale della superficie di Riemann della radice quadrata.

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Proiezione tridimensionale della superficie di Riemann della radice

quadrata vicino al punto (0, 0).

La superficie a due fogli cosı costruita rappresenta senza ec-cezione il continuo (xy) definito dalla equazione y2 = f(x) , edicesi superficie di Riemann relativa alla funzione algebrica y(x),od anche alla curva y2 = f(x).

4 Funzioni meromorfe

Sia f una funzione olomorfa definita su un aperto Ω ⊆ C. Supponiamo chef non sia definita in un punto z0 ∈ C ma sia definita du un disco punturato0 < |z − z0| < r centrato in z0. Diremo che z0 e una singolarita isolata di f .Esistono tre tipi di singolarita isolate.

• eliminabili,

• polari,

• essenziali.

Le singolarita eliminabili sono quelle per cui esiste una funzione continua gsul disco |z− z0| < r che coincide con f sul disco punturato 0 < |z− z0| < r.Se tale funzione continua g esiste, allora g e olomorfa in z0.

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Le singolarita polari sono quelle per cui esiste un intero positivo m taleche (z − z0)mf(z) ha in z0 una singolarita eliminabile. Il piu piccolo interom per cui si verifica questa condizione si dice ordine del polo.

Le singolarita essenziali sono quelle che non sono polari ne eliminabili.Esempi: La funzione sin(x)/x ha una singolarita eliminabile in zero. La

funzione 1/xm ha un polo di ordine (o molteplicita m in zero. La funzionee1/x ha una singolarita essenziale in zero.

Se z0 e un polo di ordine m per una funzione olomorfa f , allora esiste unaserie convergente in tutti i punti di un opportuno disco puntato centrato inz0 del tipo

∞∑i=−m

ai(x− a0)i.

Uno zero di una funzione f olomorfa e un numero a tale che f(a) = 0.Accanto alla nozione di ordine di un polo bisogna considerare quella di ordinedi uno zero (o molteplicita): l’ordine di uno zero di f in a e quel numerointero positivo n per il quale c’e una funzione olomorfa g tale che

f(z) = (z − a)ng(z) e g(a) 6= 0.

In conseguenza della sviluppabilita in serie di una funzione olomorfa nell’in-torno di ogni punto dove e definita, gli zeri di una funzione olomorfa nonidenticamente nulla sono isolati.

Un funzione meromorfa e una funzione olomorfa in un dominio Ω \a1, . . . a2, . . . che ha ad ogni punto singolare ai un polo.

Supponiamo che f sia una funzione meromorfa con un numero finito dipoli a1, ..., ar di ordine rispettivamente m1, . . . ,mr, e un numeri finito di zeri,b1, ..., bs di ordine rispettivamente n1, . . . , ns: Il divisore di f , che indicheremocon il simbolo (f), e la combinazione lineare formale

D = m1a1 + ...+mrar − n1b1 − · · · − nsbs.

Il grado di un divisore si definisce deg(D) = m1 + · · ·+mr − n1 − · · · − ns.Una funzione meromorfa su un dominio Ω si puo pensare come una

funzione a valori in P1C definendo il valore nei poli uguale a ∞.

Il teorema dei residui in analisi complessa e uno strumento percalcolare gli integrali di linea di funzioni olomorfe o meromorfesu curve chiuse. Puo essere usato anche per calcolare integralireali. Esso generalizza il teorema integrale di Cauchy e la formulaintegrale di Cauchy.

Sia Ω un insieme aperto del piano complesso C. Siano z1, . . . , znpunti di singolarita della funzione ω = f(z)inΩ. Sia inoltre γ una

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curva semplice chiusa in Ω \ z1, . . . , zn tale che z1, . . . , zn siacontenuto nel sottoinsieme limitato di C delimitato da γ.

Se f(z) e una funzione olomorfa su Ω \ z1, . . . , zn, alloral’integrale della funzione su γ e dato dalla:∮

γ

f(z) dz = 2πin∑k=1

Izk(γ) Reszk(f)

dove Reszk(f) denota il residuo di f in zk, e Izk(γ) e l’indice diavvolgimento della curva γ attorno a zk.

L’indice di avvolgimento (o winding number) e un intero cherappresenta intuitivamente il numero di volte con cui la curva γ siavvolge attorno a zk; esso e positivo se γ gira in senso antiorarioattorno a zk e negativo viceversa, nullo se non circonda alcunpunto singolare.

Il residuo di f in yn punto z0 e Res(f, z0) = 12πi

∮γrf(z) dz e

coincide con il coefficiente del termine 1z−z0 dello sviluppo in serie

di Laurent di f centrato in z0. Citazione da Wikipedia - Teoremadei residui

Le coordinate omogenee (x0, x1) su P1C danno luogo a due sistemi di coor-

dinate locali su U0 = p ∈ P1C | x0 6= 0 e U1 = p ∈ P1

C | x1 6= 0rispettivamente. Le coordinate sono z = x1/x0 e w = x0/x1. Una funzionef : C → P1

C si dice olomorfa se la composizione z(f(u)) e w(f(u)) con en-trambe le carte e olomorfa. Ogni funzione meromorfa f : C → C si estendea un funzione olomorfa f : C→ P1

C2.

Analogamente si puo definire localmente la nozione di funzione olomorfaf : P1

C → C e di funzione meromofa g : P1C \ a1, . . . , ar → C. Una funzione

meromorfa g : P1C \ a1, . . . , ar → C si puo sempre estendere a una funzione

olomorfa g : P1C → P1

C.Valgono i seguenti risultati:

• le sole funzioni olomorfe f : P1C → C sono le costanti;

• il grado del divisore di una funzione meromorfa g : P1C → C vale zero.

Il teorema di Riemann Roch per la retta proiettiva Sia D un divisoresulla retta proiettiva (per esempio D = p+q). Quante e quali sono le funzionimeromorfe f tali che (f) + D ≥ 0? In altre parole, vogliamo calcolare ladimensione dello spazio OD delle funzioni meromorfe che hanno poli al piu

2aggiungere esempi., cfr. [1], p. 11.

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poli semplici n p e q. Ci sono almeno le costanti, la funzione 1z−p e la funzione

1z−q .

Il teorema di Riemann Roch asserisce che ogni altra funzione meromorfain OD e combinazione lineare di queste.

Piu in generale, sia D = m1a1 + · · ·+mrar un divisore effettivo, cioe taleche mi > 0 per ogni i. Oltre alle costanti, appartengono a OD le funzioni

1z−ai ,

1(z−ai)2 , . . . ,

1(z−ai)mi

e, ancora, ogni altra funzione di OD e combinazionelineare di queste e quindi,

dimOD = degD + 1

Il teorema di Riemann Roch generale riguarda, come vedremo, la dimen-sione dello spazio delle funzioni meromorfe OD su una superficie di Riemannqualsiasi. Il risultato generale e

dimOD −OK−D = degD − g + 1

dove, OK−D e definito a partire dalle forme olomorfe, che su P1C non esistono,

e g e il genere della superficie di Riemann, cioe il numero di 1-forme olomorfelinearmente indipendenti, che per P1

C e uguale a zero.

Dimostrazione analitica del teorema di Riemann Roch per la rettaproiettiva Sia f in OD. Sia fi =

∑mi

j=1 αi1

(x−ai)j la parte principale della

serie di Laurent di f in ai. Allora f −∑r

i=1 fi e olomorfa e limitata e quindicostante e pertanto f = c+

∑ri=1 fi e combinazione lineare delle m1 +· · ·+mr

funzioni 1(x−ai)m e di una costante.

Dimostrazione geometrica Per interpretare geometricamente il teoremadi Riemann Roch all’interno della teoria delle curve algebriche piane e neces-sario introdurre il concetto di divisore segato da una curva C su una curva Γ.Si tratta della combinazione lineare di punti (di Γ) C∩Γ =

∑p∈ΓmultpC∩Γ·p

Una realizzazione geometrica particolarmente utile della retta proiettivae una conica del piano proiettivo. Ogni funzione razionale r sulla conica sipuo realizzare come la restrizione di una funzione razionale del piano, ovverocome la restrizione del quoziente di due polinomi omogenei p(x0, x1, x2) eq(x0, x1, x2) dello stesso grado. Ogni polinomio separatamente non definisceuna funzione, ma la coppia p e q definisce due curve algebriche piane. Sia Bil divisore degli zeri comuni a p, q e alla conica. Il divisore di intersezionedella conica con p sia B + E e il divisore di intersezione della conica con qsia B + F . Allora il divisore della funzione r e (r) = E − F .

Il teorema di Riemann Roch per la conica afferma allora che assegnato unqualsiasi divisore effettivo D, sia C una curva che taglia la conica in D+D′.

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Le curve dello stesso grado di C, che passano per D′ e che non contengono laconica, tagliano sulla conica la serie lineare completa |D|, cioe l’insieme deidivisori D tali per cui esiste una funzione meromorfa f tale che (f) = D−D.

Riferimenti bibliografici

[1] Gunning R., Lectures on Riemann surfaces, Princeton University Press.

[2] Riemann B., Inaugural dissertation, Gottinga 1851.

[3] Enciclopedia Italiana, Istituto dell’Enciclopedia italiana.

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Indice analitico

Divisore, 14effettivo, 16

Funzione meromorfa, 14

Numericomplessi, 1

Immaginari, 1

Poloordine di, 14

Zeroordine di, 14

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