Bossi G. (1810) DEL CENACOLO DI LEONARDO DA VINCI, Libri Quattro, Milano, Dalla Stamperia Reale

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Un grande pittore e direttore di Brera a Milano alle prese con un capolavoro dell'Arte mondiale: il Cenacolo Leonardiano.

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  • DEL

    CENACOLODI

    LEONARDO DA VINCI.

  • nsi'Joig ^erf, x-^/ve nemi^uvrcii.

    Non certamente vietato il dar giudizio su quelle arti in

    cui furono eccellenti pelle, Zeusi e Protogene ed altri Pittori

    rinomati, n anche a coloro i quali non hanno la stessa abilit

    che allevano quagli artefici.

    Dionie;i d' Alicarnasso, flel carattere di Tucidide.

  • DEL

    CENACOLODI

    LEONARDO DA VINCILIBRI QUATTRO

    .

    DI

    GIUSEPPE BOSSIPITTORE.

    DALLAMILANOSTAMPERIA

    M D C C C X.

    REALE

  • AL DUCA DI LODI

    L'AUTORE.

    Un vostro antenato o dello stesso vostro nome fudiscepolo, amico ed erede del divino Leonardo daVinci, e senza strane ingiurie di tempi e d'uomini, trale rare cose da Voi stesso raccolte vantereste ereditatii preziosi volumi lasciati da queII' artefice singolare,i quali son ora tra'primi ornamenti di varie realibiblioteche. Permettete adunque che io v intitoli , e

  • con lieta fronte accogliete quanto ho potuto radunare

    intorno alla maggior opera di quel sommo Pittore

    ,

    tanto pi che a ci non mi muove solo il nome e/' amor dell' arte che da quel suo discepolo ereditaste,

    ma la mia riconoscenza alt amichevole protezione

    ,

    colla (quale mi avete in ogni tempo cresciuto t animone' pittorici studj , unendo ai consigli occasioni nonvolgari cP operare. E come altro fine io non ho in(questa candida offerta se non che di darvi del rico-

    noscente animo mio quel migliore pubblico testimonio

    che per me si possa , non udrete qui il suono delle

    vostre lodi ; che nulla d' (dtronde per le mie parole

    si aggiungerebbe alla fama del benefico vostro genio,ne il vostro nome tale da ripararsi fra le oscure

    dediche delle letterarie produzioni, da che Voi stesso

    provvedeste (dia sua vera gloria,

    scolpendolo nelle

    menti e ne' cuori degli uomini con isplendidi beneficj

    e colf operosa devozione alla patria.

    \

    I

    )

  • DEL

    CENACOLOD I

    LEONARDO DA VINCILIBRO PRIMO.

    /

    INTRODUZIONE.

    Ho deliberato di scrivere alcune cose intorno al Cenacolo dipinto daLeonardo da Vinci nel convento delle Grazie in Milano

    ,perch ci che

    finora fu scritto di si mirabile opera , non mi sembrato bastare n per la curio-sit degli eruditi n per l'istruzione degh studiosi delle cose del disegno. Sebbenemi manchi il tempo e T ingegno sufficiente onde tessere tale lavoro , che interoottenga lo scopo di soddisfare agli uni ed agli altri

    ; pure ita queste mie me-morie spero di meglio ad esso avvicinarmi , che non fecero coloro che inquesto argomento mi precedettero, de qtiali altri poco o nulla seppero di pittura,altri sapendone non istudiarono abbastanza \ opera per degnamente parlarne.N altro fondamento so io vantare a sostegno di tale lusinga, se non i mag-giori e pi lunghi studj da me fatti su questo prodigio delF arte

    ,de' quali

    ebbi speciale occasione in una copia che di esso mi venne commessa dalVicer d'Italia. Considerato successivamente lo stato dell'originale ed il modocol quale fui costretto a ritrarlo, e pi le molte cose che l'esame delle opere

  • se de" precetti dell'autore mi costrinse d'introdurre o di lasciare nella mia copia,mi trovai a poco a poco sforzato a descrivere non solo I opera per s , maanche le varie copie clie ne esistono, e finalmente la mia, rendendo conto pertal mezzo di ci che in essa potrebbe parer nuovo ed arbitrario, perch diversoo dalle stampe o dalle altre copie , o dai ritocchi da' quali V originale fu de-turpato. Per una naturale conseguenza e specialmente ad oggetto di avvicinarmi,per quanto mi stato possibile , alla mente dell' autore nelle parti che orasono perdute affatto , ho dovuto stendere le mie indagini sulle di lui opinioniintorno varj rami dell' arte

    ,sempre in tutto servendomi dell' autorit o de' suoi

    scritti o delle sue opere di disegno. Pel tal modo questa descrizione, oltre ildare una idea pi ampia del dipinto del Vinci a coloro che non lo cono-scessero, ed oltre qualche notizia che potr somministrare alla storia dell'arte,render manifeste le fonti alle quali io attinsi per, direi quasi, ricomporre anziche copiare questo lume della pittura , talch se altri avr un' occasione parialla mia, potr, le sue aggiungendo alle mie fatiche, portare sempre piri versola perfezione la restituzione di si degno originale.A questi diversi fini uno ne aggiungo per me di non minore importanza

    ,

    quello cio di recare qualche vantaggio a que' giovani che praticano le artidel disegno, studiandomi in questo scritto, senza la gravit spesso nojosa deitrattati

    ,di raffinare la loro maniera , sia di vedere le opere altrui , sia di

    comporre le proprie. Pei quali siccome per gli altri che per diverse ra-gioni non isdegneranno di scorrere questo volume , mi sembrato comodo ildividerlo in quattro libri , riducendo cosi sotto un solo punto di vista ciche pu essere pi importante a tale o a tal altro lettore , e non isforzandoalla letmra , ai pii tediosa , di tutto lo scritto , onde avere sott' occhio ci checiascheduno preferisce a norma de' proprj studj. Perci in questo primo librodar ragguaglio degli autori che scrissero del Cenacolo: il secondo ne conterrla descrizione ; nel terzo ragioner delle copie : nel quarto finalmente tratter

    alcuni altri argomenti che a questa dipintura possono aver relazione o diret-tamente o rispetto all' autore.

    Intanto non solamente per chi fosse s digiuno della storia pittorica daignorare chi e qual fosse Leonardo, ma per quelli pure che amano richiamarsiprontamente a memoria l' epoche pi importanti della sua vita

    ,spero che

    anche da coloro alla cui dottrina si fa torto rammentandole, mi verr concessodi qui brevemente accennarle. Io non prometto in questo compendio n nuovecose u pellegrine notizie : mio solo vanto il non sostituire errori del mio

    ,

    ove tralascio di copiare gli altrui; l'esporre le congetture unicamente per tali,e non per fatti come fanno taluni ; e il dare in fine per fatti soltanto quelliche sono provati e sostenuti da una o pi ragionevoli autorit , e che nonsono in contrasto colle storie contemporanee di cose maggiori.

  • COMPENDIO DELLA VITA DI LEONARDO.

    Ljeonardo, figlio di Piero e d'una ignota donna da questo amata probabil-mente prima del suo matrimonio con Giovanna Amadori

    ,nacque in Vinci

    l'anno 1453. La bellezza, la grazia e gT indizj d'un ingegno maraviglloso lodistinsero fino dall' infanzia. Destro

    ,irrequieto

    ,intraprendente , si prov e

    riusci nelle cose pi difficili, e specialmente in quelle che si compongono deldoppio artifcio della speculazione profonda della mente e della industriosa edelegante imitazione della mano. Scoperta il padre una tal indole che porta conforza r ingegno e F animo verso le ard del disegno

    ,il pose sotto la disci-

    plina di Andrea Veroccliio che tutte le professava lodevolmente. Egli progredtanto neir esercizio di esse che in breve tempo fece cose per 1' et sua mira-bili

    ,specialmente in pittura ed in plasdca. Pare che la sua emancipazione dalla

    scuola del Verocchio avvenisse allorch questi, vedendosi vinto in pittura daldiscepolo, non volle pi dar mano ai pennelli. Se un tal fatto eccit tanta me-raviglia

    ,dee necessariamente essere avvenuto nella prima et di Leonardo :

    di fatto il Vasari, cui per vuoisi credere con discrezione, lo chiama a questaepoca giovinetto

    ,anzi fanciullo. Giovami di ci osservare , onde fiir vedere che

    al pari di Michelagnolo,di Raflaello e di altri molti che in qualsivoglia facolt

    apersero con gloria una strada mal tentata o sconosciuta, anche Leonardo lascidi buon'ora la scuola, e da solo attese allo studio della natura che direttamentee non per mediatori ama di confidare i suoi segreti agl'ingegni che predilige.Che SI facesse Leonardo in questa prima epoca della sua vita pittorica,

    assai incerto. Si in questo tempo come nel seguente, la tradizione spesso inlite colla critica. Si dice che vivesse splendidamente, e che quantunque di suacasa non ricco, signorilmente esercitasse le varie sue professioni, mantenendosiservi e cavalh. Da ci apparisce ch'egli guadagnasse assai, e questo difficilmenteavviene a giovane artefice che poco si affiitica. Per da credere che a tortosia stato di ci accasato.

    Gh uomini d'ingegno pronto ed acuto, che sciohi dagl'inviluppi delle felsedisciphne cercano da s stessi il vero nella natura, imparano rapidissimamente;e sebbene diano gran tempo allo studio, ne avanza loro ancora molto da con-sumare nelle brigate, fra le quali per lo pi non sono spind da vana curiosite da leggerezza, ma dal desiderio di conoscere i costumi degli uomini, scienzanon men che al filosofo necessaria al pittore. Il tempo che Leonardo spendevaallo svagarsi, non era perduto per l'arte, come i suoi precetd in pi luoghi nefanno fede. Che se si legge nelle storie, che grandissimi re e legislatori e filosofigravissimi solean rallegrare i loro ozj con piacevolezze che agl'ignoranti sembranoindegne di quelle alte condizioni; non sar da farsi stupore in vedere i mengravi magisteri delle arti della fantasia accompagnati da qualche lieta bizzarria

  • IO

    i costume. Il vero artefice, pari al filosofo, non esce di scuola che coU'uscir

    di vita, ed a ragione l'Aretino Bruni l dove parla della meraviglia che

    Dante eccitava attendendo a un tempo ai profondi studj scientifici d' ogni ma-

    niera , alle cose dello stato ed agli scherzi e a' giuochi de' giovani suoi pari, a

    ragione , dico , si ride di coloro i quali credono che per apprendere qualche

    arte o scienza sia necessaria la severa e continua solitudine e selvatichezza. Maper tornare a Leonardo che con questa corta digressione volli difendere dalla

    taccia datagli da taluni, di distratto e bizzarro , io penso che in quegli anni

    suoi primi gli si possano attribuire quelle sue pitture che tengono ancora della

    maniera vecchia , e che sebbene non manchino di forza nel chiaroscuro , sono

    languide di colorito e peccano di livido.

    Per molte ragioni che forse mi avverr di pi diffusamente esporre in se-guito, io son d'avviso che Leonardo partisse assai per tempo da Firenze, non

    sembrandomi sopra tutto credibile che ne sia uscito mentre principe di quella

    citt fioriva con tutte le arti belle il magnifico Lorenzo de'Medici, il quale fu

    chiamato a dirigere lo stato fino dal 1470. Avr dunque o intorno a tal anno

    o ben pochi anni dopo lasciata la sua patria , onde altrove cercare occasione

    d'impiegarsi nell'arte e poter godere di quella quiete tanto ai buoni studj ne-

    cessaria, che sotto il governo debole di Pier di Cosimo fu sempre mal sicura

    fra le congiure, le parti e le guerre, n parca potere prontamente ristabdn-sl

    nel nuovo ordine di cose che Lorenzo andava componendo. Giudico che fin

    d'allora ei si recasse in Lombardia ed a Milano, qui forse chiamato dal ge-

    neroso premio della decantata rotella comprata, a quanto si pu congetturare,

    dal duca Galeazzo allorch nel 1471 si rec pomposamente a Firenze colla moglie.

    Continuati in Milano i suoi studj e rendutosi in processo di tempo famoso,

    preparossi a poco a poco la strada alle grandi opere cui dee principalmente

    la sua riputazione. Che non rimanga ricordo de' lavori suoi di quel priiuo

    tempo , non meraviglia,

    perch forse versarono principalmente intorno alla

    meccanica militare, arte che non suole di s lasciare piacevoli memorie; e ci

    lo induco da una sua lettera in cui assai pi che delle altre arti che pure

    egregiamente professava, egli fa gran pompa di questa, e vanta, probabilmente

    a buon diritto, grandi invenzioni che suppongono le ricerche e l'esperienza

    di molti anni (o. N senza fondamento potrebbe anche taluno arguire chein Lombardia egli venisse, proponendosi di fare la statua equestre di Fran-

    cesco Sforza , della quale opera verisimile che vi fosse pubbhco argomento

    immediatamente dopo la morte di quel grand' uomo , come pu giudicarsi da

    alcuni versi del Taccone, che pongo fra le note (), e da un modello che

    allo stesso oggetto fa eseguito dal Veroccliio. Forse anche il chiam fra noi il

    lieto principio del governo di Galeazzo Maria che pari a Nerone ebbe nei

    primi anni nome di ottimo e libralissimo principe. Ch se poi non si volesse

  • credere s antico fra noi,parmi non si possa il suo spatriamento collocare pi

    tardi del ritorno di Lodovico dalla relegazione di Pisa nel 1477, alla qualcongettura potrebbe in qualche modo rispondere un passo del Bellincione (3).

    Salito ultimamente al governo della Lombardia Lodovico il Moro che fecevelo alla sua tirannide col prestar favore a tutte le nobili discipline, la sortedi Leonardo fu stabilita. Una ricchissima pensione e i replicati generosi donidel principe lo misero in istato di attendere alle arti con tutti que' comodi diche lo studio ed il liberale esercizio di esse abbisogna. Allora fu ch'ei rifondl'accademia milanese, istituendone una nuova cui diede il suo nome, e insegnan-dovi tutto ci che al disegno appartiene, col fondamento delle scienze e colleattratdve dell'eloquenza, nella quale era maraviglioso non solo per l'avvenenzadell'aspetto e per la grazia de' modi e del sermone natio, ma per la forza delsentimento, per la perspicuit delle sentenze e per la profondit della dottrina.

    Oltre minori opere delle quali assai incerto il catalogo e l'esistenza, ebbeallora l' incarico del gran Cenacolo delle Grazie e del colosso equestre delduca Francesco. Quesd due grandiosi lavori l' occuparono probabilmente tuttoil tempo eh' ei servi la corte presso Lodovico. Sedici anni impieg egli afare il modello del colosso : quanti si pu giudicare che ne impiegasse alCenacolo

    ,si dir in altro luogo. La direzione dell' accademia di pittura e di

    molte opere d'ogni genere, lo studio delle scienze tutte, ma specialmente del-le idrauliche e delle meccaniche

    ,

    1' esercizio dell' architettura , il passatempoin fine della musica e della poesia, avranno renduto assai brevi le ore che aLeonardo avanzavano dalle dette due grandi opere di scultura e di pittura.

    Caduto il Moro nel i5oo, e involta la Lombardia in tristissime vicissitudini,o fosse amore di patria riacceso dall'avversa fortuna, o fosse quello stesso amoredella quiete che io suppongo lo allontanasse da Firenze durante la tempestacivile del governo di Piero

    ,egh vi si restitu e vi fece il famoso cartone

    della sant'Anna, non tralasciando gli altri suoi studj. Nel i5oa viaggi granparte d' Italia

    ,stipendiato dal duca Valentino , come architetto militare (4)

    .

    Tornato nuovamente a Firenze, fece il celeberrimo cartone della Vittoria d'An-ghiari, col cpale

    , come gi a Milano col Cenacolo e col Cavallo, diede inpatria un luminoso saggio della sua nuova maniera della quale gli arteficitutti approfittarono, non eccettuati Michelagnolo e Raffaeho. Mentre piegavanom meglio le cose di Lombardia nel 1607

    ,egli ritorn a Mdano

    ,ed ebbevi

    stipendio dal re di Francia. Dopo altri viaggi o incerti o poco importanti

    ,

    recossi a Roma nel pontificato di Leone , ma poco vi si trattenne, male ac-

    comodandosi la sua vita filosofica ed il suo lento meditare le proprie opere,

    ad una corte romorosa, brigante ed avvezza in fatto d'arti, specialmente dopola furia di Giulio

    ,a veder prontamente poste ad effetto imprese grandissime

    da artefici risoluti, vivacissimi, quali erano Bramante, Raffaello e Michelagnolo.

  • l

    In traccia sempre di quella tranquillit che se in Toscana e in Lombardiagli venne turbata ora dalle fazioni, ora dalle vicende della guerra

    ,venivagli

    tolta in Roma dalla vigile emulazione e forse dalle brighe, non de' suoi grandirivali, ma de" cortigiani loro fautori, s'appigli al partito di andare in Franciaagli stipendj del gran re Francesco. Ivi poco operando si trattenne fino allasua morte che avvenne il a di maggio del iSig a Cloux , e secondo alcuniscrittori, nelle braccia stesse del re. Della quale circostanza, osservato il silen-

    zio del Melzo ed alcuni passi del Lomazzo (') e d'altri, e pi le recenti ricerchedel chiarissimo signor Venturi , la critica non pu ammettere l' incerta tradi-zione , che d'altronde fa assai pi onore al re Francesco che a Leonardo.

    Pochi lavori sembra che facesse in sua vita questo artefice sommo, il cjuale,profondissimo indagatore della inesauribile natura , ora trovava , ora imaginavanuove perfezioni

    ,seguendo le quali non sapea torre le mani dalle sue opere

    ,

    e tutte a parer suo le lasci imperfette. Questa lodevole insaziabilit, propriade' grandissimi ingegni, diminu certamente il numero delle sue produzioni,ma ne accrebbe il pregio e l'eccellenza. Se si crede ai cataloghi che delle sue

    opere si leggono , ed ai tanti Leonardi che vantano le gallerie e i mercanti

    di quadri , si trover fuor di dubbio ingiusta la taccia data da pi scrittori aquesto grand" uomo, d'aver poco dipinto; ma chi osservasse con cognizione la

    maggior parte delle opere attribuitegli , troverebbe forse ingiusti altres glielogi che da tre secoli gli si danno, per la perfezione con cui soleva con-durle

    , e della quale sono testimonio le opere veramente sue , e specialmente

    il Cenacolo per la parte che ne rimane, e il ritratto di monna Lisa che ancorasi ammira in Parigi w . Quale de' due partiti sia il ragionevole , facile ilgiudicarlo. Certo parmi per , che chiunque si porr a considerare il grannumero delle sue invenzioni in meccanica, le grandi opere idrauliche da luicondotte, i trattati che di molte facolt ei compose; chi esaminer, a dir tuttoin breve, quanto debbangli tutte le scienze e tutte le arti, non trover ch'egliabbia poco operato di pittura e di rilievo

    ,quando non facendo parola dei

    varj ritratti e storie minori , si abbia riguardo alla grandezza ed importanzadelle tre maggiori sue opere, il Cenacolo, il Cavallo e la Vittoria d'Anghiari,tutte ora quasi interamente perite con incalcolabile danno dell'arte. L'angustoconfine d'un compendio non mi permette di qui parlare delle altre opere sue,n de' suoi scritti de' quali mi venne fatto di scoprirne alcuni del tutto sconosciutied importantissimi. Mi limiter dunque a dire che Leonardo

    ,una intera et

    prima di Galileo, di Bacone e degli altri luminari della moderna filosofia, poseper fondamento universale d'ogni scienza, l'osservazione della namra e l'espe-rienza: che primo spinse le arti del disegno alla perfezione degli antichi; chein fine fu superiore al suo secolo in ogni parte dell' umano sapere e che inmolte parti di esso non stato ancora dai moderni sorpassato.

  • SCRITTORI CHE FANNO MENZIONE DEL CENACOLO.

    Troppo lungo sarebbe il qui riportare Y intero catalogo degli autori,

    spe-

    cialmente moderni, che parlarono del Cenacolo; accenner dunque i principalisoltanto che giunsero a mia notizia; e cominciando dai pi antichi, scenderper ordine fino a quelli de" tempi nostri

    , dandone pi o men lungo ragguaglioa seconda dell' importanza e della rarit delle loro opere.

    'LUCA FAGIOLO.

    (1498W)

    Il primo ne' cui scritti veggo lodata cpesta pittura , frate Luca Paciolodal Borgo S. Sepolcro. Nella prima sua opera pubblicata sul finire dell' anno1494 , che ha per titolo Summa de Aiithmedca

    ,Geometria, Froportioni et Fropor-

    tionalit,sebbene si faccia onorevole ricordo di molti artefici illustri , di Leo-

    nardo non si parla affatto ; il che fa congetturare che non solo Leonardo fuignoto di persona al frate innanzi che questi venisse alla corte del Moro, mache la fama sua non era a quel tempo uscita di Lombardia, n prima, comeil Vasari fa credere , stabilita altrove. Perch siccome il frate aveva avuto pri-ma di quell'epoca stanza e commercio in tutte le grandi citt d'Italia, eccettoMilano

    ,se avesse trovato grande il nome di Leonardo o a Firenze o altrove,

    non r avrebbe dimenticato l dove nomina tanti artefici inferiori a lui. Ci vollidire per avvalorare la mia congettura che Leonardo uscisse di Toscana innanzial fiorire del governo di Lorenzo, e che fra noi facesse gran parte de' suoistudj e ottenesse quella riputazione che gli diede in seguito il primato fra isuoi pari.

    Nella seconda opera poi dal Paciolo composta intorno al 1498, che vennealla luce nel i Sog e che porta per titolo Divina Froportione, non solo si parladi Leonardo e del Cenacolo

    ,ma ancora del famoso colosso equestre di cui

    il Paciolo d esattamente la misura, e fin anche il peso del metallo che vi

    abbisognava per fonderlo. Nella dedica al Soderini ci assicura che le figuredel codice della Divina Proporzione erano di mano di Leonardo (s). ivi daosservare 1' inesatta espressione Scliemata . . . Vincii nostri Leonardi manibusscalpta

    ,la quale fece dire al Tiraboschi dove parla di tal opera

    ,Aggiuntevi le

    jgure scolpite per mano di Leonardo da Vinci, nel qual caso si doveva dir di-segnate. Nel primo capitolo diretto al Moro accenna un consesso tenuto avantia lui il d 9 di febbrajo del 1498, al quale intervennero gli uomini della cortepi distinti per dignit e per sapere , e fra questi era Leonardo da Vinci

    ,

    qual, die' egli, de scultura, getto e pittura con ciascuno el cognome verif,ca, cio

  • 4

    vince tutti O). A prova di questo freddo elogio; dopo aver citata e descritta lastatua equestre di Francesco Sforza, rammenta il ligiadro de F ardente desideriode nostra salute simolacro nel degno e devoto luogo de corporale e spirituale re-fectione del sacro tempio de le Cratie de sua mano penolegiato.

    Nel capo III enfaticamente lodando la pittura , Ohim , dice , chi quelloche vedendo una ligiadra figura con suoi debiti liniamenti ben disposta, a cui soloel fiato par che manchi

    ,non la giudichi cosa pi presto divina che umana ? E

    tanto la pictura imita la natura quanto cosa dir se possa. El che agli occhi no-stri evidentemente appare nel prelibato simulacro de l' ardente desiderio de nostrasalute

    , nel qual non possibile con maggiore attentione vivi gli apostoli imaginareal suono de la voce de l'injallibil verit, quando disse: unus vestrvm mh tradi-TDRUS EST. Dove con acti e gesti l'uno a l'altro, e l'alao a l'uno con viva e af-flicta admiratione par che parlino, si degnamente con sua ligiadra mano el nostroLionardo lo dispose.

    Al capo XXIII,avendo negli antecedenti parlato de' tredici principali effetti

    della sua divisione proporzionale, si protesta di non voler oltrepassare questosacro numero a reverentia de la turba duodena e del suo sanctissimo capo . . .del qual collegio

    ,continua il frate

    ,comprehendo V. D. Celsitudine havere

    singoiar dcvotione per haverlo nel preaducto luogo sacratissimo tempio de Cratiedal nostro prefacto Lionardo con suo ligiadro penello facto disporre.

    Al capo VI delle cose arcliitettoniche ci assicura di nuovo ci che disse alSoderini intorno alle figure de' corpi. Ho sperato invano cjualche pi utile no-tizia del Cenacolo , a compenso della nojosa lettura di questo libro del qualeavr nonostante occasione di parlare altrove.

    Panni dover qui avvertire essere necessario di procedere con cautela nelprestar fede alle proposizioni di questo autore. L' incerto ed imbrogliato suofraseggiare cagione di mille dubbj

    , ed ha indotto molti in errore. Egli in-trodusse con pessimo esempio, e in ci fu forse il primo, lo stile contorto,affettato e ripieno di tropi

    ,che in quel tempo applaudivasi sul pergamo

    , nelle

    materie didascaliche che pi d'ogni altra esigono scrupolosa lindura, semplicit epropriet, sia ne' vocaboli sia ne' modi. La maniera con cui all'epoca del libro,non gi della stampa di esso, cio al principiare dell'anno 1498, descrive ilcolosso equestre, lo fa credere fuso in bronzo. Il secondo e terzo passo quisopra citati intorno al Ceitacolo fanno cjuasi sospettare che quest" opera non fossea quel tempo condotta al termine a cui lasciolla l'autore, ma soltanto disposta,cio abbozzata. La frase che indicai usata per dire di Leonardo le figure dellibro della Divina Proporzione , fa pensare che quelle fossero incise in rame oin legno. Un passo (.) dove parla della sua partenza da Milano farebbe cre-der.e che soli tre anni fosse stato Leonardo pensionato dal duca Lodovico. Ecos dicasi di altri luoghi di detta opera che ogni paziente pu esaminare, e

  • 5

    fbe risvegliano non irragionevoli congetture di cose false. Intorno ai duLbj quisopra indicati esistono fortunatamente notizie e ragioni in contrario che tolgono

    ogni pericolo di errore: ma si pu da questi imparare con quanta precauzione,in grazia delle frondose sue frasi , si deliba usare della sua autorit nelle cose

    che da altri autori non vengano dichiarate o confermate. Ad ogni modo perle sue opere, sebbene ora quasi dimenticate, sono per molti titoli assai prege-

    voli, ed certo che le Matematiche gli hanno gran debito, come pu vedersinello Ximenes ed in altri. Se egli poi siasi o no fatto bello delle opere di Pierodella Francesca suo maestro , come attesta solennemente il Vasari , difficile il

    chiarirlo ad evidenza , n vi riusci il Tiraboschi. Il Della Valle , confratello delPaciolo perch anch' egli dell' ordine di san Francesco , il difende assai debol-mente colla gran fama della quale godeva in Italia e con altre men forti ragioni.

    La lettura de' suoi libri mi ha posto in istato di addurne una pi valida, e chesola a mio parere pu bastare all' intento. Il Tiraboschi e il Della Valle credet-tero morto Piero della Francesca prima d'assai che non fu in fatti; e l'opinione

    ch'egli abbia cessato di vivere intorno al 1484 fu anche ultimamente accreditata

    dall'egregio abate Lanzi nell'uhima impressione della sua Storia Pittorica. Se gli

    autori che scrissero del Paciolo , avessero letto la sua Simiina de Aritlunctica

    stampata nel 1494

  • Se poi il libro lungamente qui sopra descritto sia lo stesso che quello citato,

    nella dedica al duca d' Urbino e che chiama Compendioso tractcuo de l' artepictora e de la lineai forza in perspectiva , il lascio volentieri all'altrui giudizio.Ci che parrai sicuro egli che se in un uomo distinto e stimato per tantititoli, C|ual era il Paciolo

    , improbabile il plagio^supponendo morto l'au-

    tore dell'opera trafugata, diventa una impudenza incredibile e del tutto nuovanegli annali delle ruberie letterarie

    ,lo spacciare per propria un' opera altrui

    ,

    virente l'autore, dedicandola a tali uomini quali erano il Moro, Guidubaldo) da Montefeltro e Pier Soderini. Il che se il frate avesse fatto

    , come attesta il

    \ Vasari, pii assai col titolo di pazzo che di sfacciato parmi dovrebbesi nomi-

    Inare

    ;perch o da que' principi o dai letterati delle lor corti , l' impostura sa-

    li rebbe stata immediatamente scoperta , e l' impostore ne avrebbe avuto dannoe vergogna perpetua. Restami a notare che il Vasari istesso nella seconda

    f\^

    edizione eh' ei pubblic delle Vite , tralasci l' epitaffio di Piero che avevastampato nella prima, nel quale veniva infamato il Paciolo (>), la qual cosa fasupporre che l'autore dell'epitaffio avesse cangiato opinione intorno al frate,e temesse di offenderlo senza ragione. Aggiungasi in fine che il Paciolo pro-mette di dare un compendio da lui fatto dell' opera (.s) del suo maestro , con

    I

    che si prova quanto ei fosse lontano dal defraudarlo non che del libro, della

    lode dovutagli, da lui anzi con cieco amor patrio esagerata ad ogni occasione.Della quale esagerazione, perdonabile ad un riconoscente discepolo, pu esser

    '.^

    testimonio la citata frase di monarca della pictara, con cui Piero fu da lui

    esaltato, non solo nella Sumnia pubblicata nel 1404, ma anche nel Trattatoarchitettonico del i $09 , epoca in cui Milano e Firenze godevano le meravi-gliose opere del Vinci e del Buonarroti, e Roma gi vedea risorgere in Vaticanoper mano di Raffaello l'antica eleganza de' Greci e de' Romani.

    Ma il Vasari non fu il solo nemico della memoria del Paciolo. Un altropi antico accusatore di cpiesto povero frate fu Goffredo Tory de Bourgesche pubbhc in Parigi l'anno 1.529 il suo curioso libro intitolato Cliampjleury

    ,nel quale diede le proporzioni delle lettere attiche

    ,dette romane o

    antiche, regolate secondo il corpo e il viso umano, opera stravagante, ma riccadi varia erudizione, e nella quale si fa menzione di varj artefici italiani. A tergodella pagina xxxiv pretende cjuesto autore di correggere il frate sulla pro-porzione della lettera A

    ,e citando due righe della sua Divina Proporzione

    ,

    osa dire eh' ei ragiona di tai cose come un prete ragionerebbe d'armi, eche cominciando a sbagliare dalla prima lettera , allo stesso modo procede intutte l'altre, come qua e l pel libro si studia d'avvertire. Il quale rimprovero esagerato non solo

    , ma del tutto disdicevole nel Tory che mentre accusa ilPaciolo in cose piccolissime

    , ne copia tutto il sistema con poche aggiunte oriforme, come prima di lui, senza dirne n bene n male, aveva fatto Alberto

  • >7

    Durer. Aggiunge poi ci che pi mi preme di qui notare, cio ch'egli avevainteso dire che l' opera del Paciolo fosse stata da lui segretamente rubata alfai messire Lonard Vince, qui estoit gmnt Mathematicieii , Paintre et Imageur.Ma di ci non adduce il Tory prova veruna, ed egli che fu in Italia e a Roma,e che pot conoscere Leonardo in Francia, avea ficile via di verificare ci cheaveva udito susurrarsi , n avrebbe mancato di farlo

    ,cjualora per effetto delle

    sue ricerche avesse sperato verificare la colpa del frate , non l' innocenza. Macontento di screditar l'opera del Paciolo onde dar credito alla sua, n potendopositivamente asserir nulla del suo plagio

    ,si accontenta di dargli mala voce

    ,

    con che non si accorge di una patente contraddizione, cio che poco dopo averdetto che il Paciolo tratta della forma delle lettere, camme clerc d'armcs, dice cheil lavoro dato per suo era del grande matematico, pittore e scultore Leonardo.Col qual colpo in fallo verrebbe a dire che Leonardo parlava di tali cose dapresontuoso ignorante, il che non accordandosi con gl'infiniti elogi da lui ripetutia questo grand'uomo, scuopre all'evidenza la sua cattiva fede contro frate Luca.Che se poi il frate si fosse servito per f opera delle lettere della mano di Leo-nardo

    ,non avrebbe mancato di parlarne onde accrescer pregio al suo lavoro

    ,

    come fece pei corpi regolari da Leonardo delineatigli. Con tale ingenuo modoegh si professava di cavare la maggior parte della sua grande opera , non soloda Euclide e da Boezio

    ,ma da Leonardo da Pisa , dal Giordano

    , da Biagio daParma

    ,da Giovanni Sacrobosco e da Prodocimo Padovano. E se finalmente il

    frate avesse tolto a Leonardo il sistema delle lettere, il che sarebbe avvenuto direciproca intelligenza, ci in sostanza si poca cosa per un tanto artefice, e spiccola parte della gloria matematica del frate, che la fama di questo non avrebbedetrimento da tale mancanza o superchieria, anche qualora venisse provata (.4).Mi rimane ad avvertire che dopo tante vane ricerche la fortuna mi ha rendutonel mio ultimo viaggio d'Italia possessore del libro di Prospettiva di Piero dellaFrancesca, prezioso codice colle figure di sua mano e colla traduzione latinadi Matteo dal Borgo

    ,quale in somma il Paciolo lo descrive ; e nulla in esso

    si legge che il Paciolo abbia usurpato nelle opere sue. Solo dalia maniera dimolte teste in tal codice disegnate, si scorge ad evidenza che le due incise inlegno nel libro della Divina Proporzione sono prese da disegni di Piero, e malefurono da taluni attribuite a Leonardo; e da ci si pu congetturare che anchele cose architettoniche abbiano la stessa origine, perch, al pari delle accennateteste

    ,sono di troppo lontane e dallo stde di Leonardo e dalla perfezione cui

    questi era giunto tanti anni prima dell'epoca di quel libro.Dalle quali osservazioni, sfuggite alla diligenza del Tiraboschi

    , del padreDella Valle e d'altri che parlarono di questo autore, sembrami aver sufficienteargomento onde assicurargli la propriet e il merito de' suoi scritti. Bramo misia perdonato questo lungo diviamento dalla materia: io ho creduto di dovermivi

  • abbandonare per conservare all'Italia in frate Luca, non l'inventore delle lettereattiche, che ci poco monterebbe, ma uno de" ristauratori delle matematiche, il

    cui nome, siccome di plagiario, sarebbe scomparso dalla storia letteraria, o visarebbe rimasto con infamia. Cos, restituendogli il suo senza tor nulla a Pierodella Francesca, parmi d'aver fatto due grandi uomini di coloro de' quali il Vasarivolea fare un solo, seguendo inconsideratamente una falsa tradizione (").

    GIOROTO EOVECNATINO.

    ( i5oo )

    Da un Dialogo MS. di Giorgio Rovegnatino colTaegio, opera ch'esisteva pressoi domenicani alle Grazie

    ,trasse il Pino (> il seguente passo circa il Cenacolo: Quce

    vero in refectioms domo,

    ipsius (Ludovici) pariter jiissu,apostoloriun tabula depicta

    est, quari multomm per longissirnas horas defixit obtutus. E a lungo e pi volte deb-bonsi osservare le opere famose da chi ne brama vera istruzione e vero diletto.

    POMPONIO GAURICO.

    ( i5o3 )

    Nel Libro de Sculptura di Pomponio Gaurico si loda il Vinci in ispecie pelCenacolo e pel Cavallo. Postremo (commendatur) , ecco le parole dell' autore

    ,

    et ipse Alverochii discipulus Leonardus Vmcms,equo ilio

    ,quem ei perficere non licuit,

    in Bois maximo, Pictura Symposii , nec niinus et archimedeo ingenio notissimus.

    RAFFAELLO MAFFEL

    ( i5i6 = 17 )

    Ne' Comuientarj urbani di RaiTaello Volterrano al libro XXI dell'Antropologia

    ,

    l dove r autore ricorda alcuni illustri artefici e qualche lor opera principale, a

    ragione cita il Cenacolo in proposito di Leonardo. Leonardus Vincius , die' egli,XII Apostolos Mediolani in cede (Uvee genitricis de gratiis

    ,opus prcedicatissimum

    (vi si sottintende dipinse). Scrisse il Volterrano un tal passo poco dopo il t5i6,come apparisce dalla morte di Giovanni Bellino, ivi presso accennata come casorecentissimo ("7). L' inesattezza circa il luogo ove trovasi la pittura, compensatadal giudizio nella scelta dell'opera che l'autore elesse per saggio del valor dell' ar-tefice. Il contrario fecero a gran torto il Moreri e il Milizia che molte inutilitaffastellarono ne'loro brevi articoli sul Vmci, e del Cenacolo non fecero parola (n).

  • BERNARDINO ARLUNO.9

    ( iSao = 3o )

    Tra i molti valenti uomini di ogni facolt riccamente stipendiati da Lodo-vico il Moro, novera l' Arluno Leonarduin pictorem inoUissimum

    ,

    cujiis in lumediem picturce vivunt. Quantunque il Cenacolo non sia qui specificato

    , chiaro

    accennarvisi complessivamente ; e il non leggersi anzi in questo passo verunulteriore ragguaglio di tal opera , fa pensare che all' epoca dello scritto del-l' Arluno non avesse essa soffrto alcun detrimento notabile. Questo lezioso la-tinista scrisse prima del i53o, e le parole qui citate si leggono alla pagina 56dell'edizione delle sue storie

    ,procurata dal Magioragio in Basilea co' torchj

    deU'Oporino, e al foglio 98 del codice ambrosiano della stessa opera.

    PAOLO GJOFIO.

    (i5.,)

    La vita di Leonardo scritta latinamente dal Giovio, e gi fatta pubblica dalTn-abosclii, doveva ricomparire alla luce unita a cpelle di Michelagnolo e diRaffaello similmente stampate nella Stona letteraria, illustrate tutte da copiose notedel conte Anton Giuseppe Rezzonico. Questo eruditissimo scrittore dopo averletutte tradotte in italiano, o il seducesse l'ainenit dell'argomento o l'allettassela messe abbondante de' materiali raccold per le note , s' invogli di fare unapi ampia storia di Leonardo nelle due lingue ; ma qual che ne fosse la ca-gione, sgraziatamente non la condusse a termine. Il signor Marco Cigahni , de-gno erede de' Rezzonici

    , mi ha cortesemente comunicato l'autografo dal qualesi comprende che il conte Anton Giuseppe non era contento del modo concui le dette vite furono pubblicate, e che riconosciutivi molti errori e manca-menti

    ,pubblicando la sua di Leonardo

    ,pensava a quella premetterle corre-

    date di vane illustrazioni. La nuova vita del Rezzonico,quantunque sembri

    la met circa di cpello a che parrebbe doversi estendere, non giunge a de-scrivere 0 Cenacolo

    ,e un solo foglio volante che alla descrizione di questa

    opera appartiene, comecch lo scrittore appaja sempre buon critico nelle cosestoriche

    ,noi prova tale nelle cose della pittura. Imperocch in quel foglio

    dice finita la testa del Salvatore, e loda la mediocrissima copia del Loniazzo,eseguita da questo negli anni giovanili senza badare altrimend all'originale, conpessimo colorilo e con grandissime scorrezioni di disegno.

    La brevit e l' eleganza dell' opera mi consigha di cjui riprodurre intera ecorretta la vita del Giovio

    ,alla cpiale unisco la traduzione del Rezzonico.

  • \'20

    Ex codice Paul. Jovii extante in hibliothecala Antonii Joseph a Taire Rezzonici.

    Leonardi Vincii vita.

    Leonardus a Vincio, ignobili Etmrce vico,magnani picturce addidit claritateni,

    negans ab iis rccte posse tractari, qui disciplinas nobilesque artes velati necessariopictum famulantes non attigissent. Plasticeni ante alia penicillo prceponebat, velatiarchetypum ad planas iniagines expiiinendas. Optices vero praceptis nihil antiquiusduxit, quorum subsidiis fretus luminum et unibrariun rationes diligentissime vel innuninus custodwit. Secare quoque noxiorum hominuni cadavera m ipsis medicorianscholis inhuniano fasdoque labore didicerat, ut vani menibroruni Jlexus et conatusex vi nervorum vertebranunque naturali ordine pingerentur. Propterea panicularumomnium formam in tabellis usque ad exiles venidas interioraque ossium mirasolertia figuravit, ut ex eo tot annorum opere infinita exempla ad artis utilitatemexcuderentur. Sed dum in qimrendis plunbus angustw arti admimculis niorosiusvacaret

    ,paucissima opera levitate ingenii naturalique fastidio, repudiatis semper

    initiis , absolvit. In admiratione tamen est Mediolani in pariete Christus cimi di-scipulis discuinbens

    ,cujus operis libidine adeo accensian Liidovicum regeni feriint,

    ut anxie sjxctando proximos interrogavit an circuniciso pariete tolli posset , ut inCalliani vel diruto eo insigni Ccenaculo protiniis asportaretur. Extat et infans

    Christus in tabula cum mave Virgine Annaque avia colludens, quam Franciscusrcx Calila coemptani in sacrario collocavit. Manet etiam in comitio Carice Flo-rcntince pugna atcpie Victoria de Pisanis, preclare admodum sed infeliciter inchoatavitio tectorii colores juglandino oleo intritos singidari contumacia respuentis ; cujusinexpeclatce injaricB juslissimas dolor interrupto operi gratice plurimum addidissevidetur. Finxit etiam ex argilla colosseum equum Ludovico Sfortice, ut ab eo panter

    ceneus superstante Francisco paO'e illustri imperatore Junderetur; in cujus vehementerincitati ac anhelantis habitu et statuarice artis et rerum naturce eruditio summa

    deprehenditur. Fuit ingenio vcdde comi, nitido, liberali, vultu aiitem longe venu-stissimo; et cum elegantim omnis delitiarumque maxime theatralium mirificus inventarac arbiter esser, ad lyramque scite cancret, cunctis per omnem cetatein principibusmire placuit. Se.ragesimum et septimum agens annum in Callia vita functus est

    ,

    eo majore amicorum luctu, quod in tanta adolescentium turba qua maxime officinaejiis jlorebat , nullum celebrem discipulum reliquerit.

    Traduzione.

    Leonardo nato in Vinci, terreita della Toscana, rec alla pittura grandissimo onore col dichiarare non potersi esercitar rettamente da quelli i quali non11 avessero apparate le scienze e l'arti liberali che servono di sostegno necessario

  • alla stessa pittura. Voleva egli che il travaglio di plasma la precedesse, co- me vero modello da cui trarne le pianate immagini. Niente ebbe pi a cuore che le ottiche istruzioni, coli' agiuto delle quali attenne per fino in51 parti minutissime la teoria delle ombre e della luce. Per seguire le tracce della natura

    ,e dalla disposizione dei nervi e delle vertebre rappresentare le

    1' differenti piegature e sforzi dei membri, non si era stancato di apprendere con applicazione inumana e stomachevole nelle stesse scuole anatomiche a tagliare i cadaveri dei malfattori. Figur con ci in tavolette ogni esile par-li ncella, non tralasciando le sottili venuzze e la tessitura interiore delle ossa,i> con tale accuratezza che da un travaglio di tanti anni si dovessero inciderew m rame innumerevoli sposizioni a benefizio dell'arte. Mentre per nella ri-y> cerca di moltiplicati sussidj ad un arte ristretta soverchiamente moroso affati-li cavasi, condusse a termine pochissime opere, spinto da naturale leggerezza e volubilit di talento a scartarne sempre le prime idee. Si ammira non per- tanto con istupore la Cena di Ges Cristo co' suoi Apostoli dipinta sul muro1) m Milano, la quale tanto piacque a Luigi XII che rimirandola con passione, richiese agli ascoltanti se si avesse potuto trasportare in Francia col tagliarla1) dal muro

    ,

    sebbene con un tal fatto si minasse il famoso refettorio ove cam- peggiava. Esiste in tavola il fanciuUetto Ges scherzante colla Vergine madre e r avola sant' Anna

    ,quadro che comperato dal re Francesco venne da lui

    posto tra gli ornamenti pi preziosi del suo gabinetto. Campeggia nella sala del Consiglio di Firenze la battaglia e vittoria riportata contro i Pisani

    , in-). cominciata con una grandezza incomparabile, ma che ebbe un esito infelice1. per difetto dell'intonacato il quale non sosteneva i colori stemprati alf olio

    ,

    .1 sebbene grande fosse stata la diligenza nell' applicarli. Sembra che il rammarico giustissimo d'un tale accidente abbia accresciuto il pregio all' opera lasciata imperfetta. Travagli per Lodovico il Moro in creta un cavallo colossale da fondersi susseguentemente in bronzo

    ,e sopra vi doveva figurare il di lui

    padre Francesco celebre guerriero, nella stessa materia. Ammirasi in questo1) travaglio la veemente disposizione al corso e lo stesso anelito, nelle quali cose si comprende la somma perizia dello scultore, e quanta fosse la sua intelli-i> genza in tutto ci che appartiene agli effetti della natura. Spiccarono in Leonardo

    '

    1) doti di grande compitezza, accostumatissime generose maniere accompagnate da un bellissimo aspetto; e poscia che egU era raro e maestro inventore d'ogni1) eleganza e singolarmente dei dilettevoli teatrali spettacoli, possedendo anche la musica esercitata sulla lira in canto dolcissimo

    , divenne caro in supremo grado a tutti li principi che lo conobbero. Trovandosi in Francia nell' eti> di sessantasette anni cess di vivere , con pena tanto pi sensibile de' suoiV amici, che tra s grande copia di giovani i quali studiavano sotto la di lui disciplina

    ,non lasci verun scolare di primo grido.

  • Troppo aspro il giudizio del Giovio intorno ai discepoli di Leonardo. Ben

    altro era il giudizio del modesto Raffaello che quasi si mettea del pari con

    Cesare da Sesto, e il confondersi con quelle di Leonardo le opere del Melzi,

    del Boltraffio e del Luino che pure pu dirsi della sua scuola, distrugge l'opi-

    nione del Giovio, e fa onor grande ai discepoli non meno che al maestro.

    Ho creduto per ordine di tempo dover qui porre cjuesta vita, perch quantun-

    que non si sappia in qual anno sia stata scritta, non debb' essere di molto poste-

    riore alla morte di Leonardo; imperocch quella che segue, di Michelagnolo , non

    parla della famosa pittura del Giudizio universale, con che da credere che il

    Giovio la scrivesse non solo vivente Michelagnolo, come fecero il Vasari e il Con-

    divi, ma prima che fosse fatta o almeno scoperta quella pittura, cio verso il 1540.

    Le migliori cose inedite de conti Anton Giuseppe e Gastone Rezzonici non

    rimarranno ignote lungamente. Il lodato erede le ha di gi in gran parte dih-

    gentemente ordinate onde elegantemente pubblicarle.

    MATTEO BINDELLO.-

    ( i5.. )

    Le vicende della guerra che lungamente turb la Lombardia , ruppero il

    corso felice delle arti e delle lettere in Milano nel momento in cui prepara-

    vano frutti migliori , e per l' appunto allorch Leonardo stava per gettare in

    bronzo il colosso equestre e forse per dare l'ultimo finimento al Cenacolo.

    Questa , a mio credere, la ragione per la quale s pochi sono gli autori di tal

    epoca che parhno di queste due opere insigni. Sbandati qua e l n ad altro

    volti che alla propria salvezza, male potevano dar pensiero a commendare le

    opere altrui ; e allorquando attesero a scrivere , si volsero a lodare i potenti ,

    da che se traevan poca fama, avean oro e protezione in mezzo alle pubbliche

    calamit. Da questa fame degli scrittori avviene che presso ogni nazione ed in

    ogni tempo abbondano i pi minuti ragguagli intorno agli abusi sanguinosi

    della forza umana, e mancano le memorie delle opere d'ingegno che pi

    onorano 1' umanit. L' Italia certamente si onora assai pi dell' unico Leonardo

    che de tanti feroci ed astuti guerrieri del secolo XV e XVI, e pure di costoroabbiamo lunghi elogi e storie minute di ogni azione, mentre non abbiamo

    dell'altro che poche e mal certe notizie. Dopo il poco che ho citato, per quante

    diligenze mi abbia fatte , non mi venne alle mani altro scrittore che parli del

    Cenacolo, pi antico di Matteo Bandello , autore delle famose Novelle. Mi

    necessario di riportare intiero il passo che fa menzione della nostra opera,

    perch sparge moldssima luce sulla storia di essa, e rinforza diverse conget-

    ture sul tempo e sul modo con cui fu eseguita. Esso tratto dalla dedica della

    Novella LVIII della Parte I , diretta a Ginevra Rangona Gonzaga.

  • Erano in Milano al tempo di Lodovico Sforza Vesconte Duca di Milanoalcuni gentiluomini nel monastero delle Grazie dei frati di s. Domenico , e nelrefettorio cheti se ne stavano a contemplare il miracoloso e famosissimo Cenacolodi Cristo con i suoi discepoli, che allora V eccellente pittore Leonardo Vinci Fio-rentino dipingeva; il quale aveva molto caro che ciascuno veggenda le sue pitture,Uberamente dicesse sovra quelle il suo parere. Soleva anco spesso, et io pi volteFho veduto e considerato, andar la mattina a buon'ora e montar sul ponte, perchil Cenacolo alquanto da terra alto: soleva, dico, dal nascente sole sino all' im-brunita sera non levani mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et ilbere, di continovo dipingere. Se n
  • neir anno in cui Francesco I diede il vescovado di Agen al Batidello. anche da osservarsi , per giudicare dell' el del Bandello , eli egli era gi frate

    neir ultimo decennio del secolo antecedente , e clie la licenza delle sue

    Novelle, se male conveniva al vescovo, non naturale, anzi diventa incredi-

    bile nel settuagenario. Aggiungasi in fine che nota la data di molte sue No-

    velle che retrocede d'assai dall'epoca della prima edizione delle Vite del Vasari,

    il che ognuno pu scorgere dalle sole dediche; e chi di ci bramasse piili

    ampie notizie, le cerchi nelle opere del Napione e del Mazzucchelh. Per le

    stesse ragioni ho citato il Bandello prima del Sabba da Castighone e del Biondo

    che d' un solo anno prevennero il Vasari co' libri de' quaU si fa c^ui menzione.

    Di ci volli avvertire il lettore, perch le Novelle del Bandello furono stam-

    pate, la prima volta, quattro anni dopo la detta prima edizione del Vasari.

    SABBA DA CASTIGLIONE.

    (1549)

    Nei Ricordi ovvero Ammaestramenti di monsignor Sabba da Castiglione, al

    ricordo centesimonono Circa gli ornamenti della casa, nel quale vengono ac-

    cennate le opere varie con cui soglionsi abbellire le camere secondo il gusto

    di ciascheduno, leggesi il seguente curioso passo intorno a Leonardo. E chi ( le

    adorna di opere ) di mano di Leonardo di Vinci, uomo di grandissimo ingegno e

    nella pittura eccellentissimo e famosissimo discepolo del Vrocchio , come alla dol-cezza delle arie si conosce, e primo inventore delle figure grandi tolte dalle ombre

    delle lucerne, ancora che dal Cenacolo di santa Maria delle Grazie eh Milano in

    fuora (opera certamente divina, e per tutto il mondo famosa e celebre) pochi cdtn

    lavori si trovano di sua mano , perch quando doveva attendere alla pittura nella

    quale senza dubbio un nuovo Apelle riuscito sarebbe , tutto si diede alla geome-

    tria, all'architettura e notomia ; e oltre ci si occup nella forma del cavallo di

    Milano ove sedici anni contimd consum, e certo che la dignit dell'opera era

    tale che non si poteva dire avere perduto il tempo e la fatica. Ma la ignoranzia etrascuragine di alcuni (li quali siccome non conoscono le virt , cosi nulla l esti-

    mano ) la lasciamo vituperosamente roinare, et io vi ricorda ( e non senza dolore

    e dispiacere il dico ) una cosi nobile et ingegnosa opera fatta bersaglio a' bale-

    strieri guasconi.

    In niun altro autore, cred' io, tranne questo, si legge come invenzione di

    Leonardo l' ingrandire le figure coli' ombre delle lucerne. Quest'uso debb' essere

    certamente di grande antichit, e secondo alcuni retrocede fino all' invenzione

    della pittura attribuita a varj nomi favolosi. Ma io opino che egh si servisse

    delle lucerne non gi per ingrandire le figure , ma per disegnare prontamente

    /

  • 25

    gli scorci i pi difficili, metodo usato anche dal Buonarroti, secondo che narra

    il Cellini. Ad ogni modo questa invenzione, sia pur sua, trattandosi di cosavolgare e continuamente sotto gli occhi di ognuno , non tale da far onoread un ingegno qual era quello di Leonardo; e l'uso che se ne pu fare perritrarre figure in iscorcio, non potr esser utile che per coloro che le sapreb-bero disegnare anche senza un tal mezzo , e non giover che per farle pipresto senza notabili scorrezioni. L' eccezioni per altro alle quali questo modova soggetto e per la collocazione del lume, e pel piano su cui dee battere Y om-bra

    ,e per gli angoli degli aggetti del corpo ombreggiante varj secondo le di-

    stanze, e per le diverse distanze del corpo e dal lume e dal piano ombreggiato,sono tante, che l'utilit vera di quest'uso si riduce a pochissimo, e il peri-colo di gravi errori grande e continuo, quanto in copiare le figure dal verodirettamente. Pu forse giovare ad abituare 1' occhio allo scorciare delle mem-bra ; ma per comporre con esattezza una figura stranamente atteggiata, sar pisicura guida il telajo graticolato che fin dal tempo del Paciolo, e certamentemolto prima

    , era comunemente in uso neh' arte.L'edizione dalla quale trassi il passo citato, la veneta del i555, che credo

    sia l'edizione originale dell'opera accresciuta, in vece di quella del i56o ripor-tata per tale dall' Ltaym.

    11 Sabb debbe aver conosciuto Leonardo personalmente: egli era vecchissimonel 1 549 nel c|ual anno scriveva la prefazione de' suoi Ricordi. Egli scrivevacolla mano manca , conforme dicesi essere stato uso del Vinci.

    MICHELAGNOLO BIONDO.

    ( 1549 )

    Fka le tante mediocri opere mediche e filologiche pubblicate da Michela-gnolo Biondo avvi un raro libercolo di piccola mole e di prolisso titolo , in cuiquesto autore tratta della pittura come ne avrebbe trattato il noto calzolajod'Apelle. Non vi ha cosa delle infinite che il fronuspizio fastosamente pro-mette, alla opale il libro soddisfaccia ragionevolmente. Nulla, a dir vero, inesso si leggerebbe intorno al Cenacolo, se si badasse all'autore cui viene attri-buito : ecco ad ogni modo il passo che riguarda a quest' opera.

    Nel capitolo XIV che ha per titolo Della memoria di Mantegna mantovanoe delle sue pitture e dove, per accrescere gli esempj de' grandi artefici. Sappiate,dice, o voi innamorati della pittura, che non molti anni addietro vi stato Man-tegna mantovano pittore raro di quei tempi, il che vi accerta la sua quasi impre-ziabl pittura , come si dice e vede , cotesto pittor eccellente dipinse U istoria diCristo e delli sua discepoli, cio la tavola della Cena di Jes , e tal pittura si

  • 26

    vede in la citt di Milano, la qual pittura Frcmcesco Cristianissimo re di Fran-cia volse portare nel suo reame. Nondimeno egli non pot soddisfare al suo desioper essere tal cosa pinta nel muro.

    Ognun vede che F ignorante medico confuse il Mantegna con Leonardo , nonpotendosi dubitare clie queste parole non si riferiscano al nostro Cenacolo. DiLeonardo poi appena fa menzione nel capitolo di Maturino e d'altri, nel qualedopo molti nomi di secondo grado , chiamato raro pittore e autore di unlibro di anatomia. E pure il Biondo era scolaro del famoso Nifo che scrisse wa.libro del bello ; era amico del Doni e delV Aretino eh' entrambi facevano dadottori in pitttira ; ed era nato ventidue anni in punto prima che Leonardomorisse. Ci prova che il solo buon giudizio fa T autorit degli scrittori; e dovemanchi il giudizio

    ,poca autorit procacciano i tempi e le circostanze. E utile

    combinazione che i pi rari libri siano per lo pi cattivi.

    GIORGIO VASARI

    (i55o)

    Un gran nitmero di valenti critici ha ora purgato da una notabile quantitd'errori la dilettevole istoria di questo scrittore; ma siccome tali correzioni,oltre che non sono sempre senza eccezione, non si possono introdurre nel testosenza ruinar l'opera, rimarr ad ogni giudizioso lettore il dispiacere di ricor-rere, leggendola, a nojosi commenti pei passi dichiarati, e il dubbio intorno aci che la mancanza di monumenti o di notizie non ci lasci verificare. Sa-rebbe lungo r elenco delle inesattezze nelle quali incorse il Vasari nella vitadi Leonardo, facendolo ora nipote, non figlio di Piero (-s); ora conducendoloa Milano sotto il duca Francesco, ora dopo la morte di Galeazzo, ora solonel 1494 regnante Lodovico; ora infine confondendo le pere, ora l'epoche,ora le persone. E gli sbagli della prima edizione s' incontrano ripetuti nellaseconda ch'egli ampli, a dir vero, d'assai, ma di poco corresse. Pure in cjue-sto autore le cose ch'egli fu costretto ad apprendere dalla tradizione, debbonsiconsiderare diversamente da quelle che dice sulle opere che prende a descrivere,perch da lui viste ed esaminate per l'arte. Ecco pertanto la descrizione delCenacolo cjuale sta nell'edizione del i55o, pubblicata da Lorenzo Torrentino.

    Fece ancora in Milano ne' frati di san Domenico a santa Maria delle Grazieun Cenacolo, cosa bellissima e maravigliosa; ed alle teste degli apostoli diede tantamaest e bellezza che quella del Cristo lasci imperfetta, non pensando poterledare quella divinit celeste che all' immagine di Cristo si richiede. La quale operarimanendo cosi per finita , stata dai Milanesi tenuta del continuo in grandis-sima venerazione

    ,e dagli altri forestieri ancora , attesoch Lionardo s' imagin

  • 17

    e riuscirli di esprmere quel sospetto che era entrato negli apostoli di voler saperechi tradiva il loro maestro. Per il che si vede nel viso di tutti loro l'amore, lapaura e lo sdegno, ovvero il dolore di non poter intendere lo animo di Cristo.La qual cosa non arreca minor maraviglia che il conoscersi allo incontro l' osti-nazione

    ,l' odio e'I tradimento di Giuda, senza che ogni minima parte dell' opera

    mostra una incredibile diligenza. Avvenga che insino nella tovaglia contraffattor opera del tessuto d' una maniera che la rema stessa noti mostra il vero meglio.La nohdt di questa pittura , s per il compimento

    , si per essere finita con unaincomparabile diligensia

    , fece venir voglia ed re di Francia di condurla nel regno;onde tent per ogni via se ci fossi stato architetti che con travate di legnami edi ferri l'avessino potuta armare di maniera eli ella si fosse condotta salva, senzaconsiderare a spesa che vi si fosse potuta fare , tanto la desiderava. Ma V esserfatta nel muro fece che Sua Maest se ne port la voglia

    , ed ella si rimase aiMilanesi.

    Nella edizione poi del i568 dopo l'elogio della tovaglia aggiunge:Dicesi che il priore di quel luogo sollecitava molto importunamente Lionardo

    che finisse F opera; parendogli strano veder talora Lionardo starsi un mezzogiorno

    per vota astratto in considerazione, et avrebbe voluto come faceva delle opere che

    zappavano nelt orto,

    eh' egli non avesse mai fenno il pennello. E non gli ba-stando questo, se ne dolse col duca, e tanto lo rinfocol che fu costretto a man-dar per Lionardo e destramente sollecitaiii Papera, mostrando con buon modoche tutto faceva per l' importunit del priore. Lionardo conoscendo /' ingegno diquel principe esser acuto e discreto, volse (quel che non uvea mai fatto con quelpriore) discorrere col duca largamente sopra di questo. CU ragion assai dell'arte,e lo fece capace che gl'ingegni elevati talor che manco lavorano, pi adoperano,cercando con la mente le invenzioni e formandosi quelle perfette idee che poi espri-mono e ritraggono le mani da quelle gi concepute nell' intelletto. E gli soggiunseche ancor gli mancava due teste da fare, quella di Casto della quale non volevacercare m terra, e non poteva tanto pensare che nella imaginazione gli paresse poterconcipere quella bellezza e celeste grazia che dovette essere quella della divinitincarnata. Gli mancava poi quella di Giada che anco gli metteva pensiero

    , noncredendo potersi imaginare una forma da esprimere il volto di colui che dopo tantibenefizi ricevuti

    ,avesse avuto l' animo si fiero che si fosse risoluto di tradire il

    suo signore e creator del mondo: pur che di questa seconda ne cercherebbe; mache alla fine non trovando meglio , non gli mancherebbe quella di quel priore tantoimportuno et indiscreto. La qual cosa mosse il duca maravigliosamente a riso, edisse ch'egli uvea mille ragioni. E cosi il povero priore confuso attese a sollecitarV opera dell'orto, e lasci star Lionardo. Il quale fin bene- la testa di Giuda chepare il vero ritratto del tradimento et inumanit. Quella di Cristo rimase, come si detto

    ,imperfetta.

  • 2

    Dopo questa aggiunta segue , come nella prima edizione : La nobilt di questapittura ecc.

    Nella vita poi di Girolamo da Carpi leggiamo che il Vasari fu a Milanonel 1 566 , e vide il Cenacolo di Leonardo tanto mal condotto che non vi siscorgeva pi se non una macchia abbagliata. Quivi pai;la anche della copia dis. Benedetto di Mantova , sulla quale veggasi il terzo lijjro.

    E cosa strana che il Bottari 0) asserisca che poco o nulla si dica dal Vasariintorno al Cenacolo nella sua prima edizione, mentre, eccettuatane la storiadel priore, vi si legge precis miente altrettanto quanto nella seconda. Ma il cor-reggere gli errori di giudizio e di fatto che abbondano nei lunghi commentidi diversi al Vasari, sarebbe lunga impresa, ed meglio dare al Vasari stessosiffatti studj , e ci anche qualora non si abbia qualche cosa di meglio a fare.Ho posto sotto un solo articolo le due edizioni che parlano dell' opera con

    osservazioni di diverse epoche : il lettore le accomoder alla cronologia con fa-cilit, e risparmier un articolo dello stesso autore. Far lo stesso del Lomazzoe degli altri scrittori di cui cito pi d'un' opera. Questo metodo mi sembraaver meno inconvenienti dell' altro che ponesse i passi d' ogni autore secondoi tempi, su di che troppo sovente s'incontrano oscurit, incertezze e con-traddizioni.

    Il Lanzi, umanissimo scrittore, gentile ed elegante sempre, e non di rado felicenel dipingere i caratteri veri, sia delle scuole sia degli artefici, diede intorno al

    Vasari un mirabile squarcio che vorrei posto in fronte a tutte 1' edizioni dellesue Vite, acci fosse letto da chiunque imprende a scorrerle, ignaro o mal pre-venuto dell' autore ()

    .

    Il ComoUi che ne descrisse diffusamente le varie edizioni, solo non avviso non seppe esservi un diverso frontispizio all'edizione seconda, il che aveadeliito di notare essendosi assunto l'impegno di dare gl'interi titoli di tutti i

    libri della sua Bibliografia.

    GIOVAMBATISTA GIRALDI.

    ( i554 )

    L'opera del Giraldi che fa al caso nostro, intitolata Discorsi intorno al comporre

    dei romanzi, delle commedie e delle tragedie ecc., fu quella che il pose in acre con-tesa col Pigna che ne stampava una simile nel tempo che rjuesta veniva alla luce;su di che pu vedersi il Fontanini e il Barotti. Molte utili cose leggonsi in questiDiscorsi, e non vi manca qua e l qualche paragone pittorico che prova che il Gi-raldi dilettossi o della pittura o del conversar co' pittori. Allorch, per esempio, ciparla della perfezione alla quale condusse Virgilio la latina poesia raccogliendo

  • \9in un bellissimo corpo il bello sparso nella moltitudine delle antiche composi-zioni greche e latine. Mi pare

    ,dicagli, che Virgilio in ci imitasse gli eccel-

    lenti dipintori, i quali volendo formare una imagine singolare che rappresenti ladonnesca bellezza, mirano tutte le belle donne che mirar panno; e da ciascunatoghono le parti migliori, ed accoltene tante, quante lor pajono bastare a com-pire la idea ch'hanno nell'animo, si danno poscia a fare la conceputa figura laquale essendo composta delt eccellenti parti di molte bellezze, riesce ella non purbella ma eccellentissima

    , tale che non si trova forma umana che in viva donnale si possa rassomigliare : tanto desiderano i nobili artefici asseguire l' ultima perfe-zione. Dal qual periodo ognuno scorge finamente sviluppato il principio delbello ideale, e con tanta chiarezza che sarebbe desiderabile che akrettanta nesplendesse ne' trattati di cpesta pericolosa materia. Vi si trova ancora una cu-riosa spiegazione del famoso quadro di Calatone descrittoci da Ebano, una deh-nizione della bellezza pittorica (") e degli esempj d'Apelle e di Leonardo. Mal'esempio che riguarda il nostro pittore, vuol essere trascritto per intiero.

    Ciova,

    dice il Giraldi , anco ed poeta far quello che soleva fare LeonardoVmei eccellentissimo dipintore. Questi

    ,qualora voleva dipingere qualche figura

    ,

    considerava prima la sua qualit e la sua natura : cio se doveva ella essere nobileo plebea, giojosa o severa

    ,turbata o lieta

    , vecchia o giovane, irata o d' animo

    tranquillo, buona o malvagia: e poi conosciuto l'esser suo, se ne andava ove eglisapea che si ragunassero persone di tal qualit ; ed osservava diligentemente i lorvisi

    ,le lor mciniere

    ,gli abiti ed i movimenti del corpo : e trovata cosa che gli

    paresse atta a quel che far voleva, la riponeva collo stile al suo libricino chesempre egli teneva a cintola. E fatto ci molte volte e molte, poich tanto raccoltoegli aveva quanto gli parca bastare a quella imagine eli egli voleva dipingere

    ,

    SI dava a formarla e la faceva riuscire maravigliosa. E posto eh' egli questo inogni sua opera facesse, il f con ogni sua diligenza in quella tavola ch'egli di-pinse in Milano nel convento dei frati predicatori , nella quale effigiato il Re-dentor nostro co' suoi discepoli che sono a mensa.Mi soleva dir M. Cristoforo mio padre che fu uomo di acutissimo giudicio e

    di grandissimo discorso,

    quando del comporre egli meco ragionava ( il che erasovente), che avendo il Vinci finita l' imagine di Cristo e di umlici discepoli, egliaveva dipinto il corpo di Giuda solo insino alla testa, n pi oltre procedeva.Laonde i frati di ci si lamentavano col duca il quale per questa dipintura davagran premio al Vinci. Il duca, intesa la querela dei frati, fe' chiamare a s Leo-nardo

    ,e gh disse che si maravigliava eli egli tanto prolungasse il fine di quella

    dipintura. Gli rispose il Vinci eh' egli si maravigliava che Sua Eccellenza di cisi lamentasse

    ,perch non passava mai giorno eli egli intorno non vi spendesse due

    ore intere. Acquetassi d duca a queste parole , e tornando i frati a querelarsidella tardanza del Vinci

    ,disse egli loro che n' aveva parlata con lui , e che gli

  • So

    aveva risposto che non era mai giorno ch'egli non spendesse intorno a quella tavoladue ore. A cui dissero i frati: Signore, vi resta solo a fare la testa di Giuda, chetutte le altre imagini sono compue ; ed avuto rispetto al tempo cK egli ha spesoper fare le altre teste , se vi lavorasse due ore di un giorno , come dice a VostraEccellenza che fa , sarebbe ornai compita tutta la tavola ; ma pi d' un annointero che non stato a vederla, non che vi abbia messa mano. Allora il ducaadirato mand a dimandare il Vinci, e con viso_ turbato gli disse: CK cpicstoche mi dicono questi frati? tu mi di che non passa mai giorno che tu non spendadue ore intomo alla tavola ; ed essi mi dicono eli pi d' un anno che tu nonsei stato al lor convento. Il Vinci allora disse : Che scarno questi frati di dipingere ?

    dicono il vero eh' gran tempo eh' io non sono ito l; ma non dicono gi vero,

    negando eh' io non spenda ogni giorno almeno due ore intorno a quella iinagine.E come pu egli ci essere , disse il duca , se non ci vai ? Allora il Vinci , quasiridendo

    ,rispose : Signore Eccellentissimo

    , restami a fare la testa di Giuda il quale stato quel gran traditore che voi sapete : e per merita essere dipinto con visoche a tanta scelleraggine si confaccia. E quantunque io ci avessi potuto aver moltitra quelli che mi accusano , c/ie si sariano maravigliosamente assimigliati a quel diGiuda: nondimeno per non gli far vergognar di lor medesimi, ha gi un anno eforse pi, che ogni giorno, se?ri e mattina, mi son ridotto in Borghetto ove abitanotutte le vili ed ignobili persone e per la maggior parte malvage e scellerate , soloper vedere se mi venisse veduto un viso che fosse atto a compir l'imagine di quelmalvagio. N insino ad ora i' V ho potuto trovale: tosto ch'egli mi verr innanzi,in un giorno dar fine a quanto mi avanza a fare. O se forse noi trover , io vij)orr quello di questo padre priore , che ora mi si molesto , che maravigliosa-mente gli si confar. Rise il duca a queste ultime parole del Vinci, e rest ap-pagato di quanto egli gli disse , e conosciuto con cjuanto giiidicio egli componevale sue figure , non gli parve maraviglia se quella tavola riusciva negli occhi delinondo cosi eccellente.

    Avvenne dopo queste parole , che un giorno gli venne per ventura veduto unoeh' aveva viso al suo desiderio conforme , ed egli subito preso lo stile

    ,grossamente

    il disegn , e con quello e con le altre parti eli egli in tutto cpiello anno aveva dili-

    gentemenle raccolte in varie facce di vili e malvage persone, andato ai frati, compiGiuda con viso tale die pare eli egli abbia il tradimento scolpito nella fronte.Cosi deve anco fare il poeta, volendo egli co' colori delle scritture mostrare gli abiti,

    i costumi, i ragionamenti, le azioni di diverse persone, perch non potr inditrarre se non utile incredibile.

    Sembra che da" questo squarcio del Giraldi traesse il Vasari V aggiunta chefece alla storia del Cenacolo nella seconda edizione delle sue Vite. Se si jJo-tcsse prestar fede intera a questo scrittore in una cosa che non appartiene nalla sua professione n alF argomento del suo libro , si potrebbero da questo

  • 3i

    passo dedurre varie conseguenze che si oppongono parte alle altre storie,, parte

    al costume di Leonardo. Primieramente converrebbe credere che Leonardo avessecompiutala testa del Salvatore , al che contraddicono il Vasari e il Lomazzo, entram-bi pittori di buon giudizio. Converrebbe poi cangiare opinione intorno al metododi dipingere di Leonardo, o alla sua lentezza, o alla perfezione colla cpiale condu-ceva le sue figure, cjualora si voglia credere che in un giorno ei potesse, come quisi legge, cominciare e finire la testa eh Giuda, sebbene da oltre un anno l'andassestudiando. Neil' accennare le cjuali cose sarebbe stato pi circospetto il Giraldise avesse avuto qualche idea della pratica dell'arte, come pare che intendessela teorica

    ,e soprattutto se avesse conosciuto i metodi pratici di Leonardo

    ,il

    quale per quanto si apparecchiasse innanzi di por mano al lavoro, sappiamodalla storia che sempre vi si accostava tremando. dunque da giudicare che ilGiraldi dica finita la testa del Salvatore, perch da quel tempo nulla pi il pittorevi facesse, o perch come di cosa finita se ne accontentavano i frati, sebben Leo-nardo volesse forse riporvi le mani. Similmente parrai da credere che non vi man-casse gi del tutto la testa di Giuda, come il Giraldi asserisce, ma che vi maucassei-osoltanto que' tratti principali coi rpiali voleva Leonardo caratterizzarlo, e che co-stavangli s lunghe ricerche. In fatti, essendo l'opera dipinta a olio, ed avendoegli il costume di ripassare pi volte che non d'uopo, i suoi lavori, ed essendonecessario un certo tempo tra l'uno e l'altro ritocco acci il pi-ecedente sia bensecco, chi credesse altrimenti, mostrerebbesi allatto ignaro dell'arte.

    Il costume poi di Leonardo,qui proposto dal Giraldi in esempio agli scrit-

    tori,non si pu abbastanza raccomandare agli studiosi del disegno

    , come ilsolo metodo onde perfezionarsi nell' espressione degli affetti

    ,eh' la vera vita

    dell'arte, e quella pane che la rende pi cara alla generalit degli uomini,essendo non solo una imitazione muta delle loro forme, ma, direi rpasi , unaparlante rappresentazione degli animi loro.

    LEANDRO ALBERTI.( i56i )

    Vedi Francesco Sansovino = iSyS, alla pagina 56.

    GASPARE BUCATI.

    ( iSyo )

    Nel libro sesto della sua Storia universale d il Bugati un ragguaglio dellequalit e della fortuna del Moro, e ragionando dell'amore ch'ei portava ai vir-tuosi, e della sua liberalit, dice: Diede mille scudi E anno a Giasone Maini,trecento a Ciorgio Menda d'Alessandria istorico

    ,cinquecento a Leonardo da Vinci

  • 3i ~

    pittore eccellente fiorentino , che pinse il miracoloso Cenacolo di Cristo alle Grazie:am grandemente e don a Bramante grande architetto e pittore , da cui egli fecefare la chiesa di s. Satiro e piantare quella di s. Celso : gli furono cari AmbrosioBasate dotto in ogni cosa

    , Caradosso statuario , e Giacobo lapidario.La pensione qui stabilita dal Moro a Leonardo non si accorda con la notata

    di sopra,die il Bandello ud dalla propria bocca di lui

    ,presente il cardinal

    Gurcense. Potrebbe darsi che all' epoca in cui il Bandello convers col Vinci

    ,

    cio negli ultimi anni della dimora di questo presso il Moro , la pensione glifosse stata aumentata , e che i cinquecento scudi gli fossero stati assegnati finoda quando si pose al servizio del duca, cio forse intorno al 1477 (s). danotarsi che il Bugati nella postilla al luogo qui citato

    ,chiama Bramante archi-

    tetto nnkuiese, per distinguerlo dall'urbinate che forse fu suo discepolo e certa-mente fu maestro del Cesariano. Si aggiunga anche questa alle tante autorit cheprovano esservi stati almen due Bramanti contemporanei, oltre varj Bramantini.

    FRANCESCO BOCCHI.

    ( 1571 )

    Nel Ragionamento del Bocchi sulla statua di s. Giorgio di Donatello, diconsiparti allo scnltore necessarie il costume

    ,la vivacit e la bellezza. In proposito

    poi del costume. Fu, die' egli,y&e in questo Leonardo a maraviglia, come si

    dice del miracoloso Cenacolo che in Milano egli dipinse; dove negli apostoli espresse ilcostume tanto nobilmente, che sempre perci da tutti srato commendato ; ma nellatesta di Cristo ( m cui sovrana bellezza e maest mirabile e ogni divina perfezionevolea dimostrare ) non pot fornire il suo avviso, e non trovando co' suoi pensieri comea questo rispondesse degnamente , lasci quella senza fine e imperfetta. Questo scrittofu composto dal Bocchi nel i57[

    ,e si stamp la prima volta nel i503.

    PAOLO MINI M.( i5-3 )

    Il Mini, nella sua Difesa di Firenze e dei Fiorentini, ove parla delle gloriepittoriche della sua patria, seguendo il piano del Vasari, di cui fa un epilogo inpochi fogli, fa morire tutte le arti in Italia per poi risuscitarle per opera de' suoiconcittadini. Quindi pianta il solito albero genealogico pittorico

    ,alla radice del

    quale sta Cimabue, sebbene questi fosse in fasce quando in altre citt d'Italia s'erangi fatti i funerali a varj artefici forse migliori di lui, fra i quali a Guido da Siena.Da Cimabue scendendo in Gaddo, in Giotto e nella scuola di cptest' ultimo chepe" suoi tempi fu in vero uom grande e meraviglioso, passa a Masaccio, a fra Gio-vanni, alGozzoli, alLippi, ed in fine a Leonardo, intorno a cui ecco le sue parole:

  • 33

    Lonardo da Vinci fnalmente abbracciando tutte queste forze vendute alla pit-

    tura , con la vivacit , con la grandezza con la perfezione del disegno gne n

    conferm di maniera , che non pure per risuscitata, ma ella ne' suoi tempi per le

    sue onorate mani fu conosciuta ritornata in tutto e per tutto al suo antico fiore.Testimonio ne lo stupendissimo Cenacolo che di sua mano principiato , ammez-

    zato e finito , nella citt di Milano in s. Maria delle Grazie , e testimonioefficacissimo ne il re Luigi duodecimo il quale non si sdegn d et gli morissenelle braccia : l onde Ciovambatista Strozzi non si perit , sendo egli morto , di

    dire di lui,

    Vince costui pur solo

    Tutti altri, e vince Fidia e vince Apelle

    E tutto il lor vittorioso stuolo.E le notizie e F epigramma sono, come ognun vede, tratti dal Vasari. Egli

    vi aggiunse di suo lo sproposito di far morire Leonardo nelle braccia di LuigiXII che mori molti anni prima di lui.

    Rimarrebbe ad investigare che si voglia intendere con quel principiato , am-mezzato e finito

    ,

    parlando del Cenacolo. Forse volle con ci asserire che

    Leonardo non permise che alcuno dessegli ajuto o ponesse mano in questaopera ; o pure che in diversi tempi , e forse ia tre riprese la conducesse.

    RAFFAELLO BORCHINI.

    ( i584 )

    Un brve estratto dal Vasari senz' alcuna aggiunta , se si eccettua un freddoepitaffio , tutto quello che intorno a Leonardo abbiamo nell" opera del Bor-ghini , che ha per titolo il Riposo. A parer mio , che per volentieri sottomettoair altrui

    ,questo libro pi utile per la lingua che per la pittura.

    GIO. PAOLO LOMAZZO.

    ( i584 e iSgo )

    Ad onta di moltissimi difetti , errori e pregiudizj de' quali sono sparse leopere del Lomazzo , a lui si debbe il pi compiuto trattato che ci rimangadella pittura. Lo stesso aureo libro di Leonardo, quale dalle stampe si conosce,ottimo per lingua e per filosofia nelle parti che tratta, troppo breve in altre;d'altre, come lavoro incompiuto, non parla affatto. A ragione l'illustre autoredella Storia pittorica brama la ristampa degli scritti del Lomazzo , e ne vor-rebbe tale editore , che

    ,per usar di sua frase, sceverandone le foglie., ne serbasse

  • 34

    i frani. Ma un editore di tal tempra pi difficile a trovarsi che non si erde, equalora si accoppjno in un solo ingegno il sapere

    , la costanza e il giudizioche sarebbero necessarj ad un simile lavoro, difficilissimo che un tale inge-gno s'impieghi in opera altrui con poca speranza di fama, mentre con minorfatica e maggiore lusinga potrebbe tentare cpalche cosa di proprio ed originale.E ad ogni modo le opere

    ,per chi meglio sa

    ,vogliono essere lette come fu-

    rono scritte, ed il giudizio che il lodato Lanzi vorrebbe nell'editore, io lobramo nel lettore. Se questi non in grado di scernere le Ijuone dalle cattiveautorit storiche e poetiche che il Lomazzo prende a fascio indistintamente;se non erudito abbastanza per intendere ove Fautore troppo credulo o siabbandona a pazzie astrologiche, che in lui sono piuttosto modi d'esprimereche opinioni scientifiche

    ; se in fine non munito di molta pazienza e discre-zione per penetrare dentro la mente dell'autore, supplendo anche, ove bisogna,ai gravi errori tipografici che accrescono sovente le difficolt del testo

    ,poco'

    profitto trarr da queste opere, e non compenser il tempo e la fatica eh'

    d'uopo impiegarvi. Che pei lettori d'altronde leggieri e di minor vista, che nonconoscono l'oro se non quando depurato da ogni lordura, bastano e par-ranno auree molte opere minori delle quali abbiamo gran copia in moltelingue

    ;poich

    ,

    se non erro,.non giungereljbero ad intendere le cose buone

    di queste, comunque si riducano, le quali esigeranno sempre attenzione gran-dissima, e non volgare acume d'ingegno ond' essere intese e proficue.Ma venendo al proposito nostro, nel capo nono del primo libro del gran

    Trattato dove questo autore ragiona della proporzione del corpo virile di ottoteste

    ,leggesi il seguente passo :

    Fra i moderni Leonardo Vinci, pittore stupendissimo, dipingendo nel refettoriodi s. Maria delle Grazie in Milano una Cena di Cristo con gli apostoli, e avendodipinto tutti gli apostoli, fce Ciacomo Maggiore e il Minore di tanta bellezzae maest, che volendo poi far Cristo mai non pot dar compimento e perfzionea quella scuna faccia, con tutto eh' egli fosse singolarissimo; onde cosi disperato,non VI potendo far altro, se ne and a consigliarsi con Bernardo Zenale , ilquale per confortarlo gli disse: O Leonardo, tanto e tale questo errore che haicommesso, d cdtro che Iddio non lo pu levare. Imperocch non in potest tuan ci: altri di dare maggior divinit e bellezza ad alcuna figura, di cjuella chehcd dato a Ciacomo Maggiore e Minore, si che sta di buona voglia, e lasciaCristo cosi imperfetto, perch non lo farcd esser Cristo appresso quegli apostoli;e cosi Leonardo fece , come oggid si vede , bench la pittura sia rovinata tutta.^

    Al capo secondo poi del secondo libro , dove ragiona de' moti secondo ladiversit delle passioni ed affisiti dell' animo

    , dice che in questa parte Leonardonon fece mai alcuno errore. Del che

    ,aggiunge egli

    , tra tutte l' altre sue cose

    fa chiarissinm prova la maravigliosa Cena di Cristo e de suoi apostoli, che si vede

  • dipinta nel refettorio di santa Maria delle Grazie in Milano ; nella quale espressedi maniera i moti delle passioni degli animi di quelli apostoli, nei volti ed intutto il resto del corpo

    ,che ben si pu dire che il vero non fosse punto diverso

    da quella rappresentazione; e che queir opera sia stata una delle maravigliose operedi pittura, che giammai in alcun tempo fosse fatta da alcuno pittore, per eccel-lente cAe fosse

    ,a olio ; del qual modo di dipingere ne fu a quel tempo imentore

    Giovanni da Bragia. Imperocch in quelli apostoli appartatamente si vede l'am-mirazione, lo spavento, la doglia, il sospetto, l' amore e simili passioni ed affetti, inche tutti allora si trovarono; efinalmente in Giuda il tradimento concetto neWanimocon un sembiante di punto simile ad un traditore. Si che ben dimostr quanto per-fettamente intendesse i moti che l'animo suol cagionare ne corpi , de qucdi siccomedi necessarissima parte ed pittore quasi in tutto questo libro ne sar trattato.Nel libro terzo al capo quinto dove parla del colorare a pastelli, segue a

    dire: Il che si fa in carta, e fu molto usato da Leonardo Vinci, il quale fecele teste di Cristo e degli apostoli a questo modo eccellenti e miracolose in carta.

    Nel capo secondo finalmente del settimo libro, parlando della forma di Dioe della necessit che gli atti che gli si attribuiscono, siano corrispondenti allamaest di lui

    ,soggiunge che T artefice deve sforzarsi di rappresentarvi dentro

    la deit con l' eccellenza e differenza della forma , statura , moto , collocazione elume dagli altri corpi che si fingono attorno a lui, cosa tanto difficile che F istcssoLeonardo non pot consegidrla nel Cristo che dipinse nel refettorio delle Graziedi Milano.

    In altri cinquanta e pi luoghi del Trattato fa menzione il Lomazzo delnostro pittore

    ,

    senza per parlare del Cenacolo. Chi fosse curioso di vederli

    ,

    li riscontri coi numeri delle pagine che pongo fra le notet.^).Trovo poi nuovamente ricordo della nostra opera nel capo decimoterzo della

    sua Idea del Tempio della Pittura, libro che sebbene fosse composto, per quantoapparisce

    ,

    prima del Trattato,fu stampato dopo di quello sei anni. Nel qual

    capo,

    dopo aver detto che Leonardo ha colorito a olio quasi tutte le operesue, continua come qui trascrivo:

    Ora Leonardo fu quello che lasciato l' uso della tempera pass all' olio il qualusava

    ^

    di assottigliare con i lambicchi, onde causato che quasi tutte le operesue si sono spiccate dai muri

    ,siccome fra le altre si vede nel Consiglio di Fio-

    renza la mirabile battaglia, ed in Milano la Cena di Cristo in santa Maria delleGrazie, che sono guaste per l'imprimitura ch'egli gli diede sotto. Di che abbiamograndemente da dolerci che opere cosi eccellenti si perdano , restando solamentei disegni, i quali certo ne il tempo n la morte n cdtro accidente sar maiper vincere, ma con grandissima lode e gloria di lui viveranno in eterno.

    In una ventina d' altri luoghi ne quali in questa Idea del Tempio della Pitturaoccorre il nome e Y esempio di Leonardo

    , non si parla della Cena, sebbene

  • 36

    non ne manchi occasione,sopra tutto dove il Lomazzo rammemora le migliori

    opere di lui. Bla ci avvenne probabilmente perch era in allora del tutto perduta.E questa perdita

    ,di si gran danno per Y arte

    ,gi accennata dal Vasari sotto

    l'anno i566, non dee credersi dal Lomazzo confermata sotto la data delle operestampate, ma prima di molto; perch tanto il Tempio quanto il Trattato furonodall' autore composti in et assai giovenile , come dalle sue stesse parole appa-risce chiaramente. Che se in taluno de' suoi capricciosi sonetti ne' quali l' estroe la bizzarria lo allontanano per costume e sistema dalla verit , ei dice a casoaltrimenti

    , debb' essere preferita l' autorit de" suoi trattati e quanto assicuranelle dediche a re ed a principi contemporanei ai quali non potea mentiresenza ignominia

    ,n avrebbe mentito con vantaggio. Imperocch del suo Tem-

    pio cosi egli parla nell'epistola al re di Spagna, che sta in fronte all'opera:Questo pano che usci da me negli anni della mia gioveimi , concetto in quelleore che stanco del dipingere avea bisogno di ricreazione ecc. E con quella espres-sione concetto avvalora la mia congettura che cpiest' opera sia stata da lui com-posta prima del Trattato ; di cui , sebbene a taluni semlsri un compendio ( nelqual caso dovrebb' essere posteriore

    ,n quella espressione sarebbe opportuna ) ,

    piuttosto un apparato o prolegomeno,

    anzi il primo seme,per cosi espri-

    mermi,

    di quella maggior opera che divenne un Trattato compiuto , allorchfu arricchita in tutte le sue parti di tutto ci che la susseguente pratica dell'artee gli studj profondi nelle materie d'erudizione vi poterono recare in tributo.Del Trattato poi , se mai fu , come probabile , fatica di molti anni , bastil'assicurarci che i primi libri dove trovansi i passi pi importanti che ho ci-tati, sono stati da lui scritti assai prima della sua cecit, la quale non gi invecchiaja

    ,come male asserisce l'Orlandi, ma nel fiore dell'et e nel momento

    migliore di mettere in pratica le sue speculazioni , lo tolse per sempre allapittura. E di ci verremo facilmente assicurati dall' osservare ci che scrive eglistesso poche linee prima del secondo passo sopra trascritto , nel qual luogoavverte che il trattare de' moti delle passiorii e degli affetti opera piuttosto dauomo consumato che da giovane: per il che, continua egli, non senza qualcherossore io mi pongo a volerne trattare ecc. E o si stabilisca l' epoca della suacecit all'anno trentesimo della sua vita, cio nel i568, come egli stesso avvisaneir ultimo capitolo del Trattato ; o si ponga di tre anni pi tardi

    , secondoquanto ei dice nella dedica del Tempio

    , nella sua Vita e in un distico in finedei Grotteschi ( il che si conciha col corso della malattia eh' ebbe il funesto fineche il gran Cardano ed il Vicenza gii avevano predetto ), avuto riguardo allaet giovenile in cui assicura aver comjoosti gli scritti suoi

    , evidente chequanto ei dice intorno al Cenacolo , si debbe considerare anteriore non checontemporaneo a quanto ne fu detto dal Vasari , il che si scorger ancora pipatentemente da alcuni suoi versi che fra poco mi accadr di citare.

  • 37

    Nulla d' importante allo scopo nostro ho tratto dalle altre tre opere stampatedi questo autore , che sono i Grotteschi

    ,la Forma delie Muse e i Rabisch o

    Versi del compare Zavargna ecc. Il poco di alcuna di esse che vi avr qualcherelazione, verr citato nel corso dell'opera o nelle note.

    Filippo Picinelli nel suo Ateneo, forse coli' autorit del Morigia,registra di lui

    un'altra opera stampata, intitolata Esposizione sopra il Trattato dell' arte della pittura.Io credo che non esista aflfatto, almeno alle stampe, se pure non fosse ( il che mipare assai probabile ) l'Idea del Tempio , cui il Lomazzo , come vedemmo , diedeforma d' introduzione al sqo Trattato

    ,sebbene la pubblicasse alcuni anni dopo

    ,

    cosa eh' egli stesso non manca d' avvisare nell' uldmo capitolo. Dal quale avvisosi prova r errore del Tirabosclii che suppone esservi una edizione dell' Idea delTempio contemporanea al Trattato, come altro errore del Tiraboschi , del DuFresne e d'altri il credere che il Lomazzo dettasse le sue opere dopo averperduta la vista. Su eh che abbiamo gi osservato eh' egli stesso dice d' averfatto in prima giovent le due opere sue principali

    , almeno in gran parte ; e perCI che spetta ai suoi versi

    , comech pajano per lo pi versi da cieco,sicco-

    me il Lanzi nota facetamente,

    s' egli fece , come asserisce , il proprio ritrattocolle insegne di principe dell' accademia della Val di Bregno

    , facile il vederech'egb si era ottenuto quell'onore per mezzo delle sue poesie anche anterior-mente alla sua cecit. A provare pi ampiamente che i Grotteschi suoi furonoscritri prima che perdesse la vista , mi venuto alle mani un curioso codicetutto di suo pugno

    ,che ha per titolo CU Sogni e Ragionamenti composti da

    Ciovan Paolo Lomazzo milanese con le figure de' Spiriti che gli raccontano,da

    esso disegncue. Nell'avviso al lettore non solo ei parla delle sue poesie, ma siscorge che questi Sogni furono da lui composti per farne una sola opera conquelle, frammezzando la recita de' versi con dialoghi e ragionamenri stranissimi.E come nel decorso del libro si ragiona di Michelagnolo vivente , chiaroche quest'opera fu scritta prima del i56.3 all'uso fiorendno e 64 al volgare,anno di lutto per la morte di quel sommo uomo

    ,ristorato in parte dalla nascita

    del gran Galileo: Cosi essendo tal opera posteriore ai suoi poedci capricci, sipu giudicare che quesd siano di ben due dozzine d' anni anteriori alla stampa.In fatd, checch si dica circa d tempo di tali scritd dal Lanzi, dal Ghihni, dalLe Comte e da molti altri autori, e fin anche dal Lomazzo stesso in qualcheluogo (-5)

    ,quelle sue poesie

    ,poche eccettuate

    , sembrano pi esuberanze disfrenata e confusa fantasia giovenile

    , che produzioni d' uomo maturo. Ch sealcune ne aggiunse di poi cogli stessi griUi e stravaganze insignificanti ondesono stipate le antecedenti, ci fu per mighorare ed arricchire d suo volume

    ,

    senza allontanarsi dal metodo tenuto negh anni primi del suo furore poetico./Cosi rendendo all' et del molto estro e del poco giudizio queste bizzarre com-posizioni

    ,se ne viene a scusare la stranezza e la mediocrit. Ma chi non fosse

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    appieno soddisfatto delle prove da me qui addotte, e ne volesse sott' occhio una

    pi autentica e solenne che smentisce quanto dal pi degli scrittori fu asseritointorno all' epoca di questi ghiribizzi

    ,legga le terzine deUo stesso Lomazzo a

    Carlo Emanuello duca di Savoja, da lui cantate veramente da cieco in ogni

    senso nel iSSy. In queste egli dichiara d'aver composti i suoi sette libri diGrotteschi nella etade terza, quella, cio, che vien dopo la puerizia e l'adole-scenza; e per toghere ogni dubbio intorno alla sua espressione, soggiunge:

    Se quella vuol supere il fermo chiodo,

    Ci che la terza et, c' ho detto , sia

    ,

    Acci non sia lasciato oscuro nodo;

    Ella quella di Fener (7) dove stiaLa forza del mostrar di ciascun opra

    ,

    Quel che dianzi Mercurio ha fatto in via.Ove col fare a