Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. ·...

20
DOMENICA 24 LUGLIO 2005 D omenica La di Repubblica WASHINGTON L a bestia nacque sessant’ anni or sono dalla Pra- teria americana, creatura di silicio, nickel, ferro, caucciù. Figlia della terra, dunque, come gli uo- mini che avrebbe carbonizzato a decine di mi- gliaia. Era identica a tutte le altre bestie partorite in quello stesso luogo, a Omaha, in Nebraska, ma destinata a portare un nome che avrebbe bruciato per sempre nella memoria dell’umanità: Enola Gay. Sotto la volta dell’enorme hangar museo accanto all’aero- porto internazionale di Washington, dove il B29 che rese pos- sibile Hiroshima è venuto due anni or sono a finire il suo viag- gio, la bestia che divorò una città non fa più paura neppure agli studenti attorno a me che vengono a frugarle nella pan- cia e a toccare ridendo i bulloni che tengono insieme la sua pelle. Sono bambini nella loro uniforme scolastica, gonnel- line plissettate e scozzesi, giubbetti scuri e calzoncini grigi, non molto diversi da quei bambini e quelle uniformi fusi e ve- trificati nel calore del 6 agosto 1945. (segue nelle pagine successive) VITTORIO ZUCCONI cultura Mattotti, la rivincita dell’arte PINO CORRIAS l’inchiesta Così Internet ci ha cambiato la vita GABRIELE ROMAGNOLI e RICCARDO STAGLIANÒ il fatto Addio Bunker, la “canaglia” del pulp NICCOLÒ AMMANITI e ANTONIO MONDA l’incontro La nuova stagione di Simona Ventura DARIO CRESTO-DINA spettacoli Le canzoni del mio Tour GIANNI MURA i luoghi Viaggio nel paese di Maigret SILVANA MAZZOCCHI HIROSHIMA-LOS ALAMOS « A vevo otto anni e facevo la seconda ele- mentare a Hiroshima» ricorda Takashi Tanemori. «Il 6 agosto del 1945 era comin- ciato come una bellissima mattina d’esta- te. C’era stato un solo allarme aereo alle sette ma era finito su- bito, alle otto ero già fuori dal rifugio e a scuola con gli amici. Giocavamo a nascondino nel cortile. Toccava a me contare perciò ero appoggiato contro il muro con gli occhi chiusi e la mano davanti a coprire il viso. Il lampo, un bagliore bianco pu- ro, fu così forte che ricordo di aver visto le ossa nude della mia mano, trasparente come ai raggi X. Poi il silenzio assoluto. So- lo in seguito arrivò un tremore assordante, come se centinaia di carriarmati stessero correndo contro di noi. Da quel mo- mento deve essere passato del tempo di cui non ho memoria». La voce di Tanemori si spezza per la commozione. «Il ri- cordo successivo è un senso di soffocamento, l’aria manca- va, attorno era buio, tutto bruciava. Sentivo la puzza di bru- ciato e i miei compagni che gridavano: scotta!». (segue nelle pagine successive) FEDERICO RAMPINI Bomba Sessant’anni fa l’atomica spazzava via Hiroshima. Oggi, uno dei sopravvissuti marcia verso Los Alamos perché il mondo non dimentichi. Questa è la sua storia e quella della “Bestia” . Che da allora lo perseguita Sessant’anni fa l’atomica spazzava via Hiroshima. Oggi, uno dei sopravvissuti marcia verso Los Alamos perché il mondo non dimentichi. Questa è la sua storia e quella della “Bestia” . Che da allora lo perseguita La FOTO CORBIS Repubblica Nazionale 25 24/07/2005

Transcript of Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. ·...

Page 1: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

DOMENICA 24 LUGLIO 2005

DomenicaLa

di Repubblica

WASHINGTON

La bestia nacque sessant’ anni or sono dalla Pra-teria americana, creatura di silicio, nickel, ferro,caucciù. Figlia della terra, dunque, come gli uo-mini che avrebbe carbonizzato a decine di mi-

gliaia. Era identica a tutte le altre bestie partorite in quellostesso luogo, a Omaha, in Nebraska, ma destinata a portareun nome che avrebbe bruciato per sempre nella memoriadell’umanità: Enola Gay.

Sotto la volta dell’enorme hangar museo accanto all’aero-porto internazionale di Washington, dove il B29 che rese pos-sibile Hiroshima è venuto due anni or sono a finire il suo viag-gio, la bestia che divorò una città non fa più paura neppureagli studenti attorno a me che vengono a frugarle nella pan-cia e a toccare ridendo i bulloni che tengono insieme la suapelle. Sono bambini nella loro uniforme scolastica, gonnel-line plissettate e scozzesi, giubbetti scuri e calzoncini grigi,non molto diversi da quei bambini e quelle uniformi fusi e ve-trificati nel calore del 6 agosto 1945.

(segue nelle pagine successive)

VITTORIO ZUCCONI

cultura

Mattotti, la rivincita dell’artePINO CORRIAS

l’inchiesta

Così Internet ci ha cambiato la vitaGABRIELE ROMAGNOLI e RICCARDO STAGLIANÒ

il fatto

Addio Bunker, la “canaglia” del pulpNICCOLÒ AMMANITI e ANTONIO MONDA

l’incontro

La nuova stagione di Simona VenturaDARIO CRESTO-DINA

spettacoli

Le canzoni del mio TourGIANNI MURA

i luoghi

Viaggio nel paese di MaigretSILVANA MAZZOCCHI

HIROSHIMA-LOS ALAMOS

«Avevo otto anni e facevo la seconda ele-mentare a Hiroshima» ricorda TakashiTanemori. «Il 6 agosto del 1945 era comin-ciato come una bellissima mattina d’esta-

te. C’era stato un solo allarme aereo alle sette ma era finito su-bito, alle otto ero già fuori dal rifugio e a scuola con gli amici.Giocavamo a nascondino nel cortile. Toccava a me contareperciò ero appoggiato contro il muro con gli occhi chiusi e lamano davanti a coprire il viso. Il lampo, un bagliore bianco pu-ro, fu così forte che ricordo di aver visto le ossa nude della miamano, trasparente come ai raggi X. Poi il silenzio assoluto. So-lo in seguito arrivò un tremore assordante, come se centinaiadi carriarmati stessero correndo contro di noi. Da quel mo-mento deve essere passato del tempo di cui non ho memoria».

La voce di Tanemori si spezza per la commozione. «Il ri-cordo successivo è un senso di soffocamento, l’aria manca-va, attorno era buio, tutto bruciava. Sentivo la puzza di bru-ciato e i miei compagni che gridavano: scotta!».

(segue nelle pagine successive)

FEDERICO RAMPINI

BombaSessant’anni fal’atomica spazzavavia Hiroshima. Oggi,uno dei sopravvissutimarcia versoLos Alamosperché il mondonon dimentichi.Questa è la suastoria e quelladella “Bestia” .Che da alloralo perseguita

Sessant’anni fal’atomica spazzavavia Hiroshima. Oggi,uno dei sopravvissutimarcia versoLos Alamosperché il mondonon dimentichi.Questa è la suastoria e quelladella “Bestia” .Che da alloralo perseguita

La

FO

TO

CO

RB

IS

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 2

5 24

/07/

2005

Page 2: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

la copertinaSessant’anni dopo

Takashi Tanemori giocava nel cortile della sua scuolaquando la bomba atomica gli portò via l’infanzia:“Il bagliore bianco fu così forte che ricordo di aver vistole ossa nude della mia mano”. Adesso, perché non si perdala memoria dell’orrore è andato in pellegrinaggioa Los Alamos insieme agli ultimi sopravvissuti

FEDERICO RAMPINI

“Un lampo,poi il grande fuoco”

Hiroshima 6 agosto 1945

26 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

ratura Kenzaburo Oe ha usato altre parole per definire glihibakusha: «Coloro che non si suicidarono nonostante tut-te le ragioni per farlo; che hanno salvato la dignità umanain mezzo alle più orrende condizioni mai sofferte dall’u-manità». Gli hibakusha sono un gruppo unico fra noi: sonoi soli esseri viventi, finora, che hanno subìto un bombarda-mento nucleare e possono raccontarcelo. Hanno visto inazione contro di loro l’arma più terribile mai creata, a un’e-poca in cui il mondo ne ignorava l’esistenza, e gli effetti del-la sua radioattività erano praticamente sconosciuti. Glistessi medici di Hiroshima — quei 68 dottoriche non morirono subito e tentarono di prodi-garsi nei soccorsi — non avevano la minimaidea di cosa fosse successo, come prime curesomministravano olio sui corpi ustionati (latemperatura nelle immediate vicinanze dellabomba era salita a 7.000 gradi) e mercurocro-mo sulle piaghe. Tanemori è la cavia di unesperimento bellico che attraverso le radiazio-ni ha prolungato le sofferenze per decenni:leucemie, cancro, malattie immunitarie, dan-ni genetici, malformazioni.

«A me la bomba ha portato via tutto — dice— . Ha annichilito la mia infanzia, ha distruttola mia famiglia. Di mia madre e mia sorella mi-nore si perse ogni traccia il 6 agosto, non fu mai ritrovatoneanche un frammento dei loro corpi. Mio padre morì il 3settembre per le ustioni, le ferite e le radiazioni; mia sorel-la maggiore il 5. Un mese dopo erano morti anche i nonni.Io solo ero vissuto per miracolo, non so se per la volontà diDio o di Buddha. Ma la società da quel giorno prese a guar-darmi con disgusto, ero un relitto dell’atomica, un orfanodella disfatta. A 16 anni tentai il suicidio. Ho perso la vista.Ho avuto un cancro e hanno dovuto togliermi lo stomaco.A 40 anni avevo già sofferto due infarti. Sono stato manda-to in California una prima volta nel 1956 per curarmi, e fuiquasi ammazzato di nuovo, ridotto a topo da laboratorioper le prime ricerche di un certo dottor Gallop sugli effetti

delle radiazioni atomiche. I duecentomila che a Hiroshimae Nagasaki morirono sul colpo non furono i più sfortunati.Loro sono andati in paradiso subito».

Dopo l’atomica i superstiti hanno dovuto soffrire l’isola-mento e l’emarginazione. In seguito alla resa del Giappo-ne il generale americano Douglas MacArthur che coman-dava le forze di occupazione impose la censura sui dannidella bomba-A. Le notizie sulla sorte degli hibakusha e sul-le loro spaventose malattie potevano mettere in ombra lalegittimità morale di chi aveva lanciato le due atomiche.

Terufumu Sasaki, chirurgo all’ospedale dellaCroce Rossa a Hiroshima, un sopravvissutoche portò i primi soccorsi ai suoi concittadini,durante l’occupazione Usa dichiarò: «Vedoche un tribunale speciale sta giudicando i cri-minali di guerra a Tokyo. Dovrebbe giudicareanche gli uomini che hanno deciso di usare labomba». La versione dei vincitori ènota: la bomba atomica sirese necessaria perevitare carneficinesenza fine sui campidi battaglia e un bilanciodi vittime ancora superiore trai militari americani, vi-

sta l’ostinazione dei leader giap-ponesi nel combattere a ol-tranza. La battaglia “conven-zionale” di Okinawa aveva fattonei due campi più morti (212.000) diHiroshima. Ma gli americani prima del 6 agosto ave-vano considerato altre opzioni. Se proprio bisognava usa-re l’atomica (e l’obiettivo era di impressionare l’Unionesovietica almeno quanto i giapponesi), la si poteva mirarecontro obiettivi militari invece di sterminare popolazionicivili. Oppure si poteva preavvisare la gente di Hiroshima:l’inaudita efficacia della nuova arma sarebbe stata rivela-ta ugualmente radendo al suolo una città evacuata. E do-

LA BOMBAFu soprannominata Little Boy la primaatomica mai usata in un conflitto. Era lunga3 metri per 71 centimetri di diametro e4.400 chilogrammi di peso. Esplose alle8.16 del mattino, esplodendo dopo 60secondi a mezzo chilometro di altezza delsuolo. Sotto di lei, un edificio che oggi èdiventato famoso come “A-bomb dome”.Little Boy sprigionò una potenza pari a 15mila tonnellate di Tnt. Aveva una formaallungata e diverse copie sono oggiesposte in vari musei del mondo

LA REAZIONE A CATENADei 63 chili di uranio 235 di cui era caricaLittle Boy, solo l’1,38% subì effettivamentela fissione nucleare. Gli scienziati avrebberopiù tardi definito «molto bassa» l’efficienzadell’ordigno. La reazione a catena iniziòquando il proiettile (un atomo di uraniosituato in testa alla bomba), venne sparatocontro la massa restante di uranio. Gliatomi iniziarono a spezzarsi, sprigionandoun’energia micidiale e liberando neutroni,che a loro volta andarono a spezzare altriatomi: è il processo di fissione nucleare

ORE 8.15: IL LANCIOSu ordine delcomandante PaulTibbets, il bombardiereThomas Ferebee sganciala bomba atomica sullacittà di Hiroshima

ORE 1.45: IL DECOLLOL’Enola Gay, con a bordola bomba atomicachiamata “Little Boy”,parte da Tinian ecomincia il lungo viaggioverso il Giappone

(segue dalla copertina)

Sessant’anni dopo Tanemori non trattiene le la-crime mentre rivede quegli attimi della sua vitadi bambino, nel cortile di una scuola pubblica, asoli mille metri di distanza dal punto dove esplo-se la bomba atomica. «C’erano dei soldati in unaccampamento lì vicino, uno di loro è venuto a

tirarmi fuori dai detriti. Ero coperto di sangue, l’urto del-l’esplosione mi aveva polverizzato il muro addosso. Il sol-dato mi ha preso in braccio e si è messo a correre verso ilfiume, dove molti cercavano la salvezza dalle fiamme e dal-l’ondata mortale di calore. Tutto intorno sentivo le grida dibambini che chiamavano le mamme, i lamenti degli uo-mini e delle donne che chiedevano acqua, acqua. Una gio-vane mamma portava un piccolo sulle sue spalle e cercavadisperatamente l’altro figlio, ma quando le siamo passati afianco ho visto il bambino che teneva sulla schiena: avevala testa fracassata. Quell’immagine ritorna continuamen-te ad angosciarmi. Arrivati al fiume c’era un inferno, mi-gliaia di esseri umani anneriti, nudi e bruciati come dei ver-mi orrendi. Tutti volevamo acqua, anche chi non riuscivapiù a muoversi implorava un po’ dell’acqua che scorreva.Qualcuno mi chiamò per nome: era mio padre che mi ave-va ritrovato, mi prese dalle braccia del soldato, per un atti-mo mi sentii finalmente al sicuro, protetto. Il cielo piombònell’oscurità, grandi gocce di pioggia sporca cominciaro-no a caderci addosso, picchiavano sulla nostra pelle ustio-nata ed era un altro dolore. Il fiume si ingrossava, la cor-rente trascinava corpi neri e detriti. Due giorni dopo quelfiume lo potemmo traversare a piedi, camminando su unponte fatto di cadaveri».

Tanemori è un uomo minuto, un metro e mezzo di statu-ra, capelli e baffetti candidi, spessi occhiali neri. Porta unagiacca celeste e una cravatta a fiori, è accompagnato da unlabrador, cane-guida per non vedenti. Lo incontro al molo35 del porto di San Francisco davanti alla nave giapponeseNippon Maru. Tiene in mano la “fiaccola atomica”, alla pri-ma tappa di una marcia contro la guerra che arriverà fino adAlamogordo nel deserto del New Mexico. Là sessant’anni fagli scienziati nucleari del laboratorio di Los Alamos feceroil primo test della bomba-A, la prova generale per lanciarel’atomica sul Giappone. A Hiroshima morirono in 140.000.Altri 75.000 furono uccisi a Nagasaki dove la seconda bom-ba fu lanciata tre giorni dopo. A 68 anni Tanemori è uno deipochissimi ancora in vita, tra coloro che il 6 agosto 1945 al-le 8.15 si trovavano a Hiroshima nel primo raggio della mor-te nucleare, entro mille metri dal centro dello scoppio. Luiè un hibakusha, termine che traduciamo con “sopravvissu-to” ma che in giapponese suona più freddo: “persona affet-ta dall’esplosione”. Il premio Nobel giapponese della lette-

Takashi Tanemori

IL PONTE AIOISi trovava accantoall’Ufficio per lapromozionecommerciale e avevaun’inconsueta formaa “T”: per questo fuscelto come bersaglio

L’EPICENTRO

Page 3: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 27DOMENICA 24 LUGLIO 2005

po lo choc di Hiroshima sui leader giapponesi — dilì a poco l’imperatore avrebbe capitolato — era dav-

vero necessario fare il bis a Nagasaki? Queste domandeerano tanto più scomode se espresse dagli hibakusha. Nonerano rivolte solo all’America. Il calvario dei sopravvissu-ti divenne un atto di accusa verso il loro paese. Prima del-l’atomica, c’era stata una guerra espansionista scatenatadal Giappone in tutta l’Asia. C’era stata Pearl Harbor. Il ri-brezzo dei giapponesi sani di fronte allo spettacolo osce-no di quelle povere larve umane, orribilmente sfiguratedalle “cheloidi” — escrescenze della pelle a forma di gran-chio — era la parte visibile di un altro disagio inconfessa-to, quello che il paese non ha superato neanche oggi. Lepiaghe degli hibakusha inchiodano il Giappone alle suecolpe, evocano altre atrocità: le stragi e le torture di inno-

centi commesse dalle truppe nipponiche.Un crudele ricordo di quel passato

è la sorte riservata ai piùsfortunati tra

g l i h i -bakusha,

gli ultimitra i paria: i

prigionieri-schiavicoreani che erano stati

deportati a Hiroshima e Na-gasaki e furono colpiti dall’esplo-

sione atomica non figurano nemmenonel conteggio delle vittime, né i loro figli hanno

avuto il diritto alla cittadinanza nipponica. «L’associa-zione delle vittime delle bombe — ha scritto il premio No-bel Oe — per decenni chiese invano ai governi di Tokyo ildiritto alle indennità di guerra invece dell’assistenza indi-viduale. La distinzione è cruciale. Difendendo la propriacausa in quei termini le vittime sollevavano la questionedella responsabilità degli Stati Uniti per avere lanciato lebombe atomiche, e del Giappone per aver cominciato laguerra del Pacifico». Gli hibakusha non si lasciarono stru-mentalizzare da nessuno, negli anni Sessanta presero le

IL FUNGO ATOMICOL’esplosione causò uno sconvolgimento nell’atmosfera.La pressione dell’aria aumentò all’improvviso, raggiungendoi tre chili e mezzo per metro quadro. Le raffiche di ventotoccarono i 1.600 chilometri all’ora: cinque volte in piùrispetto agli uragani più potenti. La bomba inghiottì ognicosa entro il primo chilometro di diametro, provocò gravidistruzioni per i successivi 1.400 metri e causò danninei 2.800 metri a seguire. Il fungo si innalzò per 18 chilometrinel cielo e la temperatura al suolo fuse ogni cosa con i suoi3.870 gradi . Alcune delle foto più note vennero scattateproprio dall’Enola Gay che si allontanava

ORE 8.17: L’ONDA D’URTOL’Enola Gay è a 15chilometri dal luogodell’esplosione quandoviene investito dall’ondad’urto provocata dalloscoppio della bomba

ORE 8.16: L’ESPLOSIONELa bomba esplode, menodi un minuto dopo il lancio,a un’altezza sull’obiettivodi 576 metri e comincia adispiegare il suo enormepotenziale distruttivo

LE VITTIMESi calcola che l’esplosione di Hiroshima abbiafatto 140mila morti tra il 6 agosto e il dicembre

del 1945: quasi la metà della vittime morìimmediatamente per le ferite e per le fortissime

ustioni, gli altri per i danni delle radiazioni. Dialcuni, nonostante le ricerche, non sono maistati trovati i corpi. Molti sono rimasti sotto le

macerie degli edifici crollati, altri sono statiscagliati in aria per l’urto

distanze dal pacifismo unilaterale, quando le manifesta-zioni per il disarmo in Giappone furono egemonizzate dalpartito comunista che distingueva tra l’atomica buona(sovietica) e quella cattiva (americana). Il dolore degli hi-bakusha resta un messaggio universale, espresso dallapoesia di uno di loro, Sankichi Toge, scolpita sulla sua tom-ba al Memoriale della pace di Hiroshima:

“Ridatemi mio padre, ridatemi mia madreRidatemi il nonno e la nonnaRestituitemi i miei figli e le mie figlieRidatemi me stessoRidatemi la razza umana”.Presto saranno scomparsi anche gli ultimi hibakusha. Il

club delle potenze atomiche intanto continua ad accoglie-re nuovi membri. Dopo Stati Uniti, Russia, Inghilterra,Francia, India, Pakistan, Israele, arrivano la Corea del Nord,l’Iran, e aumenta il rischio che gruppi terroristici come AlQaeda riescano a procurarsi armi nucleari. La prima bom-ba-A era un ordigno rudimentale rispetto a quelli di oggi.America e Russia da sole hanno arsenali pronti a lanciare indue minuti 2.000 testate, per una potenza complessiva100.000 volte superiore a Hiroshima.

Tanemori sa che il tempo sta scivolando via. Ha voluto es-sere alla manifestazione della “fiamma atomica”, il pelle-grinaggio americano a Los Alamos e Alamogordo, dove ri-cevette il battesimo l’arma di distruzione assoluta che ri-marrà il simbolo del XX secolo. I suoi coetanei ormai sonoombre sbiadite nella cronaca di una mattina di sessant’an-ni fa. Per conto loro, lui è tornato nel luogo da cui ebbe ini-zio il lungo viaggio della bomba.

«Avevo solo quattro anni — dice — quando il Giapponeattaccò l’America a Pearl Harbor: che cos’avevo fatto, io,per meritarmi la vendetta atomica? Hiroshima rimane par-te di me, il mio corpo porta tutte le ferite, la mia memoriavivrà finché vivo io. Quando non ci sarò più, non dimenti-cate la mia agonia di questi sessant’anni. Questa è la storiapersonale di Takashi Tanemori che aveva otto anni il 6 ago-sto 1945, questa è la storia che dovete continuare a rac-contare a tutto il mondo».

FO

TO

GR

AZ

IAN

ER

I

FO

TO

CO

RB

IS

FO

TO

CO

RB

IS

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 2

7 24

/07/

2005

Page 4: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

la copertinaSessant’anni dopo

28 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

Faccia a faccia con la Bestia

ORE 9.45: IL RIENTROL’Enola Gay vola verso labase. Ma pur trovandosiormai a 650 chilometri daHiroshima i membridell’equipaggio vedonoancora il fungo atomico

VITTORIO ZUCCONI

IL MONUMENTO ALLE VITTIMEIl cenotafio per le vittimedell’atomica è stato eretto nelParco della Pace, dietro almuseo, nel 1952: nel sarcofagodi pietra all’interno dell’arco c’èun registro con i nomi dei morti

L’A-BOMB DOMEÈ stato costruito nel 1915 comeufficio di promozione industriale:la sua cupola in ferro è il simbolodella tragedia perché è l’unicoedificio rimasto in piedinell’epicentro dell’esplosione

L’Enola Gay fu progettata per volare più in alto, più lontanoe più veloce di ogni cosa costruita sulla terra e per portare in grembola più terribile arma da guerra della storia dell’umanità. Adessoquel B29 riposa nell’aeroporto internazionale di WashingtonE non fa più paura a nessuno, nemmeno agli studenti che vannoa visitarlo nell’hangar diventato un museo della memoria

ORE 13.58: L’ATTERRAGGIOL’Enola Gay termina ilsuo viaggio di rientro, altermine del quale toccaterra sulla pista diatterraggio della basemilitare di Tinian

3.890 bestie d’alluminio prodotte fra il 1944 e il 1945 andaro-no a impastarsi sull’erba alta della Prateria.

Il B29 era un aereo troppo complesso, troppo ambizioso perla tecnologia del tempo, troppo caratteriale per i ventenni aisuoi comandi, sfornati dalle catene di montaggio dell’adde-stramento di guerra. Ma non lei. Non l’Enola Gay, l’aereo scel-to e protetto dagli dei della vendetta, o della giustizia america-na. Era buonissima, affidabile, una studentessa diligente e poiuna madre premurosa, che si prese sempre cura dei propri fi-gli. Nessuno morì mai nel suo grembo d’alluminio. Morì sol-tanto chi era sotto di lei.

Si capì che era destinata a una vita speciale, quando la spo-gliarono delle 20 mitragliatrici e del cannoncino da 20 milli-metri che difendevano gli altri B29, per alleggerirla, lascian-dola disarmata. La macchina più micidiale nella storia dellaguerra era completamente vulnerabile. Se un caccia giappo-nese l’avesse intercettata, nel viaggio verso Hiroshima, l’a-vrebbe abbattuta con una sola raffica, sprofondando lei e labomba negli abissi del Pacifico occidentale. Ma non c’eranopiù caccia intercettori giapponesi, nel cielo del 1945, e certa-mente non sopra una città come Hiroshima di nessun inte-resse militare e che non era mai stata bombardata.

Quando la sfioro adesso, nell’aria condizionata dell’hangarmuseo approfittando della distrazione del vecchio sergente Hot-chkiss impegnato da un nugolo di ragazzini annoiati, la sua pelled’alluminio è fresca al tatto. Non ci sono appiccicate tracce di pel-le umana, come 60 anni or sono, quando i meccanici novizi pog-giavano le dita nude sull’alluminio arroventato dai Tropici. Im-piegò cinque giorni, l’Enola Gay, a compiere la sua migrazione atappe, dal Nebraska, allo Utah, a Los Angeles, alle Hawaii, aMidway e finalmente a Tinian, la rampa di lancio di sabbia e co-ralli più vicina al Giappone, pilotata dal capitano Lewis.

Quasi ogni giorno, Lewis scuoteva la splendida bestia all’al-ba, e a volte anche di notte, perché caricasse e poi sganciasse uo-va di ferro sempre più grosse, prima da un quintale, poi da cin-que, poi da una tonnellata, poi da due e su obbiettivi sempre piùpiccoli. Il 24 luglio del 1945, Hiroshima meno 13 giorni, andò inmissione sulla città di Kobe per sganciare una “zucca”, unabomba da addestramento, con l’ordine di centrare la ciminie-

ra della fabbrica. La “zucca” piombò in un cortile e ilbombardiere, al ritorno dalla missione, si preseuna sciacquata tremenda dal generale Hap Ar-nold. Il giorno dopo, la spedirono con i suoi do-dici omini a bordo a sganciare un’altra “zucca”su una fabbrica di Nagoya, la Toyota. Sbricio-larono un ponticello di legno sopra un ruscel-lo, come da ordini. Gli operai giapponesi do-vettero ridere di questi americani scemi chemandavano un bombardiere per sganciare unpallone di ferro su un ponte di legno. Non pote-vano sapere che il bersaglio scelto per centrare Hi-roshima era proprio un ponte.

L’incontro della bestia con il suo uovo avvenne il31 luglio. Nella baia di Tinian era attraccato l’incro-ciatore “Indianapolis” dopo un viaggio talmente se-greto che nella rotta del ritorno, quando fu silurato,affondò con tutti i suoi marinai perché nessunosapeva che esistesse o dove fosse. Scaricaronoun enorme cassa di legno e la base le si mobi-litò attorno come una famiglia attorno al neona-to. Arrivò Paul Tibbets, il colonnello comandante il re-parto, il 509esimo stormo, per sostituire Lewis ai comandi. LaBestia, l’uomo e la bomba si erano finalmente riuniti nello stes-so luogo, Tinian, perché ciò che era scritto si compisse.

Tibbets condusse il B29 in un volo di prova su Hiroshima, il 31luglio, e quando rientrarono a Tinian, spiegò che tutto era statoperfetto, che il ponte a “T” sull’isolotto del fiume Aioi scelto co-me riferimento era visibilissimo nel mirino automatico “Nor-den”. Ok, dissero i generali e aprirono una busta presa dalla cas-saforte del comando. Ci fu uno scambio di messaggi cifrati conla Casa Bianca a Washington e l’ordine segreto fu confermato.La missione operativa che avrebbe sganciato la prima arma ato-mica nella storia della Terra portava, per chi fosse superstizio-so, il numero 13. “Special Order number 13”.

La sera del 5 agosto, aprirono il portellone di carico anterio-re, che ora è aperto permanentemente nel museo e tutti noi ciandiamo sotto, per guardare dentro rabbrividendo, come se daquell’apertura potesse ancora cadere una bomba atomica.

(segue dalla copertina)

Èormai una vecchia, la Enola Gay. È la nonna dell’A-pocalisse, innocua come il reduce con la bustina az-zurra degli ex combattenti, il sgt. Hotchkiss, che ri-pete a chiunque voglia ascoltarla la storia del bom-bardiere Boeing modello B29, matricola 44-86292,che da solo uccise 75mila persone in un secondo e

altre 150mila con la implacabile pazienza della radioattività.Tutti ricordano e raccontano sempre la bomba, la bomba, sol-tanto la bomba, si agita il vecchietto che di questi B29 fu mec-canico motorista. Tutti dimenticano che senza di lei, la bombanon sarebbe servita ad altro che a fare botti dimostrativi spa-ventosi nel deserto del New Mexico.

Per rendere la bomba un’arma, per poterla depositare sulbersaglio quando non esistevano missili intercontinentali, fucreata l’Enola Gay, l’arco senza il quale la freccia è inutile. Fuprogettata per volare più in alto, più lontano e più veloce di ognicosa o creatura mai esistita sul pianeta, la macchina più com-plessa mai prodotta in tutta la seconda guerra mondiale. Ora,nel tempo dei jumbo jet e dei bombardieri invisibili ai radar, l’E-nola Gay sembra goffa, piccola, lei che alla nascita parve a chi lafabbricava un animale gigantesco. Il suo peso alla nascita era di75 tonnellate, il grido dei suoi quattro motori Wright Cyclone da2mila e duecento cavalli ciascuno, dieci auto di Formula Unoappese alle ali, era già un’arma psicologica. Chiunque abbiaascoltato dal suolo italiano, o tedesco, o giapponese, il tuono deiB29 sopra la propria testa, non lo ha mai più dimenticato.

Con le sue ali lunghe 45 metri riusciva a volare per cinque-mila chilometri senza fermarsi mai, a 600 chilometri all’orae a quasi 10 mila metri di altezza, perfettamente pressuriz-zata come la cabina di un aereo commerciale. Non che vo-larle dentro fosse un viaggio in prima classe. Il povero navi-gatore nella serra di plexiglas sul naso bolliva quando l’aereopuntava verso il sole e gli ingegneri di volo, nella carlinga,sbarcavano assordati dal fragore dei quattro “Cyclone” sen-za isolamento acustico. Se sbarcavano, perché molte delle

FO

TO

CO

RB

IS

FO

TO

CO

RB

IS

I testi dell’infografica in queste paginesono a cura di Elena Dusi e Ilaria Zaffino.

Illustrazioni di Mirco Tangherlini

1

1 2

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 2

8 24

/07/

2005

Page 5: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

IL MUSEO DELLA PACERacconta il dramma della

città con immagini, inalcuni casi viste infinitevolte sui libri o in tv, e inaltri casi inedite. Su una

parete poster con cifre egrafici sulla tragedia

LE CELEBRAZIONISono previste intutto il mondo. AGenova fino al21 agosto c’è lamostra“Hiroshima-Nagasaki.Fotografia dellamemoria”. Il 6agosto saràinaugurata aPadova la mostra“Mai piùHiroshima! Maipiù Nagasaki!”

LA RICOSTRUZIONEDieci anni dopo lafine della guerra,Hiroshima vienecompletamentericostruita. Ilgoverno nazionalefinanzia le opere:al posto dibaracche usatecome riparo diemergenzavengono costruitele case vere. Lestrade sonoallargate

AL DECOLLOIl comandante Paul Tibbets salutadalla cabina dell’Enola Gaygli uomini della base militare di Tinian al momento del decolloverso Hiroshima.

ALLO SCOPPIOBen 75mila personemorirono all’istante: la palladi fuoco del diametro di 280metri che aveva unatemperatura in superficie di5.000 gradi provocò ustioniletali a chi si trovava nelraggio di 500 metri.Altrettanto micidiale fu lospostamento d’aria

NEL TEMPOSi registrarono febbre erarefazione dei globuli bianchi.Fino alla fine del ‘45, altre 60milapersone furono uccisedalle radiazioni. Leucemie,tumori alla pelle e ad altri organicolpirono soprattuttonei successivi tre anni.Ma gli effetti si protrasserofino alla metà degli anni ‘50

GLI EFFETTI SULL’UOMO

ALLO SCOPPIOVento e calore distrusserotutto. Furono polverizzatiperfino gli edifici di cementonel raggio di mezzo chilometro,schiacciati da unapressione di 15 tonnellateper metro quadro. Il ventoesplosivo trasportòovunque frammenti dipalazzi, vetri e piante

NEL TEMPOAll’esplosione nuclearesegue il fall out, o ricadutaradioattiva: le particelleradioattive sparate versol’atmosfera tornano giù.Acqua, terreno, piante,animali e uomini rimangonocontaminati per anni,soprattutto nelle vicinanzedell’esplosione

E QUELLI SULL’AMBIENTE

Hiroshima 6 agosto 2005

“Lit-tle Boy”,il ragazzino,chiamato cosìperché più smilzodel fratello rotondo,“Fat Man”, il ciccione, cheun altro B29, il “Bock’s Car”avrebbe buttato su Nagasaki, fu ca-ricato a bordo, sotto gli occhi di unoscienziato del Progetto Manhattan, il capitano William DekeParsons. Tibbets, non avendo niente da fare prima del decol-lo decise di passare il tempo facendo dipingere sulla guanciadell’aereo il nome della mamma, la signora Enola Gay, bat-tezzata così dal nome della protagonista di un romanzo senti-mentale che aveva colpito sua madre. Era ancora notte a Ti-nian, quando i quattro motori “Cyclone” furono spinti fuorigiri a tutta manetta. Le luci erano accese e le sagome di tutti gliuomini e le donne della base erano stagliate ai lati della pista agridare «go, baby, go», vola, vola. Nessuno sapeva se ce l’a-vrebbe fatta o sarebbe finita tra le carcasse delle sue sorelle edei suoi fratelli schiantati al decollo e visibilissimi a bassa quo-ta nell’acqua trasparente delle lagune.

Ma l’Enola Gay aveva il vento degli dei sotto le ali. Raggiunsela quota di crociera, 24mila piedi, 8mila metri, senza un proble-ma. «Good girl», disse il colonnello Tibbets nell’intercom, bra-

va ragazza, e il primoufficiale, Lewis, quello

che l’aveva addestrataper settimane rispose:

«Non avevo dubbi, la co-nosco bene». Il resto del

viaggio fu puro tedio, una mis-sione come mille altre ma senza

rischi. Una rotta da charter di turistiverso una vacanza, diritta su Hiroshi-

ma che le nubi della notte frantumate dalsole avevano reso perfettamente visibile. La Be-

stia creata nella Prateria del Nebraska scese dolcementealla quota di attacco, cinque mila metri.

I radaristi, Beser e Stiborik, curvi dentro il visore di gommadel loro schermo, ripeterono per la millesima a volta al co-lonnello Tibbets l’“all clear”, nessun altro in vista, Tibbets se-gnalò al bombardiere, maggiore Ferebee, che l’aereo era suoe ora toccava a lui guidarlo attraverso il mirino computeriz-zato Norden. La temperatura dentro la pelle d’alluminio eraconfortevole, il ponte a “T” sul fiume Aioi entrò nel campo divisuale di Ferebee. Quando la croce sulla terra, il ponte a “T”coincise con la croce nel mirino, la Bestia fece volare l’uovoe 30 secondi più tardi la città sotto, gli impiegati che andava-no al lavoro, i tram che sferragliavano, i pazienti negli ospe-dali, le bambine delle scuole medie, non c’erano più. I quat-tro motori “Cyclone” gridarono ubbidienti sotto la mano delpilota e del secondo pilota che li spinsero a due mani per al-zarsi più in alto del fungo di polvere umana e di raggi gammache stava arrampicandosi verso di loro dalla città che nonc’era più. L’Enola Gay li riportò tutti a casa.

«Ha salvato centinaia di migliaia di vite umane, questa bestia»mi scuote dall’ipnosi il sergente a riposo Hochkiss che deve ri-cordare a tutti perché essa volò, e perché Hiroshima parve, inquell’agosto del 1945, il minore dei mali, rispetto all’operazione“Olympic”, l’invasione del Giappone che sarebbe potuta costa-re 500mila morti americani e chissà quanti giapponesi. In moltinon avrebbero più voluto vederla, la bestia, neppure a pezzi, co-me fu esposta una prima volta allo Smithsonian di Washingtonnel centro della città. L’avrebbero voluta smembrare, come lo so-no state tutte le sue sorelle e i suoi fratelli, come una vergogna, co-me uno di quei mostri da seppellire in pozzi senza fine perché nonpossano mai essere rievocati e tornare. Come se fosse stata sua lacolpa, povera Bestia, di ciò che gli uomini le fecero fare.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 29DOMENICA 24 LUGLIO 2005F

OT

O A

NS

A

FO

TO

AN

SA

FO

TO

AP

FO

TO

AP

IL VELIVOLOL’Enola Gay è unBoeing B29 dotatodi quattro motoriWright Cyclone.Ha un’apertura alaredi 43 metri e pesa,senza carico, 31tonnellate. Potevaraggiungere i 576chilometri orari aun’altezza di 7.620metri. Ora è visitabilenell’aeroportointernazionaledi Washington

L’EQUIPAGGIOSono 12 le persone che partecipanoalla missione. A capo dell’Enola Gayc’è il comandante Paul Tibbets,che sceglie come navigatoreTheodore Van Kirk e comebombardiere Thomas Ferebee.Quest’ultimo, l’uomo che sganciòla bomba, è morto nel 2000, mentreVan Kirk è ancora vivo, insiemea Tibbets, oggi in pensione con ilgrado di generale di brigata, eall’ufficiale d’armata Morris Jeppson.È morto nel 2003 Richard Nelson, ilradio operatore, il più giovane dei 12, allora ventenne. Tra gli altri membridell’equipaggio c’erano il copilotaRobert Lewis, l’ingegnere di voloWyatt Duzenbury e il capitano dellaMarina William Parsons che avevapartecipato alla costruzione dellabomba. Nelle foto qui sotto, dasinistra, l’equipaggio dell’Enola Gay,il velivolo al momento dell’atterraggioa Tinian e il comandante Paul Tibbetsin uno scatto recente

2

3

3

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 2

9 24

/07/

2005

Page 6: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

l’inchiestaTempi moderni

Tra luglio e agosto 1995 Netscape si quota al Nasdaq,nasce Amazon e la Cnn apre il suo sito. Sono i mesiin cui tutti scoprono le potenzialità del web, che diventaall’improvviso un fenomeno di massa. Ecco come,dieci anni dopo, l’era digitale ha trasformato il mondo.A cominciare dalle nostre abitudini quotidiane

30 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

RICCARDO STAGLIANÒ

L’estate in cui Internet nacque per davvero nessunaanagrafe la registrò. In teoria l’embrione di quellasuper-rete di computer aveva visto la luce nell’u-niversità di Los Angeles nel ‘69. A dar retta all’uffi-cialità, poi, il protocollo Tcp/Ip che le dette il no-me fu messo a punto nell’82. E l’architettura world

wide web che abbassò la complessità della navigazione dal livel-lo ingegnere a quello casalinga venne varata nel ‘91. Ma quella èla Storia, e racconta solo la buccia. La polpa arrivò nel ‘95, diecianni fa esatti. Quel dicembre Newsweek, e Panorama in Italia, de-cretarono i dodici mesi trascorsi «l’anno di Internet». D’altrondeerano successe troppe cose per non notare il cambiamento. Net-scape, che con il suo browser facile da usare era stata la principa-le responsabile della popolarizzazione della rete, fece il gran pas-so. Il 9 agosto si quotò in Borsa e gli investitori reagirono come lefan dei Beatles ai concerti: fu la terza performance nella storia delNasdaq, in un giorno solo il prezzo delle azioni schizzò da 28 a 75dollari. E fu subito new economy, la sorella finanziaria di Internet,che visse una stagione orgiastica lunga cinque anni per poi entra-re in una quaresima che solo adesso sembra stemperarsi. ConGoogle che in questi giorni ha superato ogni record, arrivando auna capitalizzazione di 88 miliardi di dollari, più di General Mo-

genti metteva soggezione. E spiazzava. Aveva le sueidee sulla natura di Dio e sul destino della scienza.Le esponeva con serenità e autoironia. Un altro suotormentone, riapparso perfino durante una recen-te, ostile intervista con Lou Dobbs alla Cnn, era:«It’s all blue skies», pressoché intraducibile affer-mazione di fiducia nell’avvenire.

Per quanto genio del calcolo, come ogni impre-vedibile, preferiva quel che non gli riusciva altret-tanto bene: inglese e filosofia. Tuttavia fu iscritto aScienze informatiche in una università dell’Illi-nois. Per mantenersi agli studi il ragazzo che avreb-be sbancato Wall Street lavorava part time comeprogrammatore a 6 dollari e 85 centesimi l’ora. Ilcentro ricerche universitario gli mise a disposizio-ne risorse umane ed economiche senza un proget-to preciso. Come ricorderà poi: «Avevo più budgete più staff che cose da fare». Anni dopo disse: «Mihanno fatto vicepresidente di una società con la de-lega a fare cose». Marc era uno che faceva cose. Senon gliele assegnavano se le inventava. Venne fuo-ri l’idea di una visualizzazione tridimensionale per

un supercomputer, qualunque cosa sia. Lui disse:«E se provassimo a fare un browser diverso per na-vigare su Internet?». Poteva essere un nuovo sba-glio, se non altro. All’epoca sul web si navigava conun pattino, avere una documentazione richiedevaun tempo di poco inferiore a quello reale. Marc e ilsuo amico Eric Bina si chiusero in una cantina. Nel-le storie di rivoluzione informatica c’è sempre ungarage o una cantina: i mondi paralleli non nasco-no mai in uno studio con il bovindo. Ne uscirono seisettimane dopo con un’idea chiamata Mosaic cheaveva trasformato il pattino in un motoscafo. L’U-niversità ringraziò e acquistò la proprietà intellet-tuale dell’invenzione.

Marc si laureò e si trasferì dove andavano tuttiquelli come lui: in California. Era il ‘94. Affittò unacasa con due camere, noleggiò una Ford Mustang,si fidanzò con un’agente immobiliare di nome Eli-zabeth Horn e avrebbero potuto continuare a vive-re così ragionevolmente felici e contenti. La sera ce-navano al ristorante e noleggiavano video di filmd’azione con Jackie Chan o altri duri ma con gioia.

Il tormentone di Marc Andreessen, quando sirivolgeva ai ragazzi che aveva importato dal-l’Illinois alla Silicon Valley, era: «Avanti! Fac-ciamo nuovi sbagli». L’importante era pro-varci, creare, rivoluzionare. In effetti, fecequalche errore del tutto inedito, poi inventò

un browser, guadagnò cinquanta milioni di dollariin un giorno e riuscì, perfino, a rimanere quello diprima, salvo una catasta di cd di musica classica equalche maglietta Polo Ralph Lauren in più. Unastoria americana: grandi pianure e ottimismo, lemagnifiche e progressive sorti di Internet, una ra-gazza, due bulldog e la più grande offerta pubblicad’acquisto che Wall Street ricordi.

Comincia il 9 luglio del 1971 a Cedar Falls, Iowa.Trattasi di una cittadina il cui principale vanto è unserpentone trasparente che collega i principali edi-fici del centro. Se ci nasci immagini, per forza di co-se, un mondo parallelo. Il padre di Marc faceva ilvenditore di semi, la madre era impiegata in un’a-zienda che vendeva abbigliamento per catalogo(l’antenato del commercio on line). Si trasferirono,di lì a breve, a New Lisbon, nel Wisconsin. Il picco-lo Marc vide molte famiglie sul lastrico per la crisidell’agricoltura. Gli restò una fissazione per la crea-zione di nuovi posti di lavoro. Crebbe robusto, manon atletico; alto, ma non agile. Nelle ore del dopo-scuola evitava lo sport e andava in biblioteca. Se-guendo un’ispirazione borgesiana trascurò unarealtà che poteva toccare e preferì entrarvi dallaporta dell’immaginazione: imparò il sistema Basicsui libri, senza aver mai avvicinato un computer.Inventò un programma di calcolo che andava ap-plicato a una macchina per lui sconosciuta. Cercòpoi di sperimentarlo e pare funzionasse ma, primache l’avesse installato, un bidello tolse la corrente atutta la scuola, cancellandolo. A quel punto i geni-tori gli comprarono un rudimentale Commodore64 e fu come aver dato una matita a Leonardo daVinci: un ottimo investimento.

Per prima cosa inventò qualche gioco. Il ragazzoaveva il senso dell’umorismo. Come tutti gli intelli-

Marc Andreessen avevapoco più di vent’anni

quando la sua“creatura” sbancò

Wall Streetregalandogli la

copertina di Time

Internet, l’estate che ci cambiò la vita

I geniali erroridel ragazzo padredi Netscape

tors, Ford e Chrysler messe insieme.Microsoft sino ad allora aveva snobbato la rete. «Comunista», fu

l’epiteto con cui Bill Gates gelò un suo dirigente che gli consigliavadi puntarci, dal momento che non era affatto chiaro come si potes-se cavarci dei soldi. Ma nel discorso del 7 dicembre di quell’annol’uomo più ricco del mondo annunciò urbi et orbiche «avevano sve-gliato un gigante dormiente» — con riferimento all’attacco giappo-nese a Pearl Harbor di cui quel giorno ricorreva l’anniversario — edi lì in poi ogni attività della sua azienda sarebbe diventata «inter-net-centrica». Comprarono Explorer, ci attaccarono sopra il logo dicasa e, da zero, conquistarono alla svelta l’86 per cento del mercatorintanando Netscape nello sgabuzzino delle anticaglie.

Il 16 luglio era stata la volta di Amazon. Alla faccia delle Cassandreche vaticinavano la fine della lettura liquidata dalla rete, l’ex brokerJeff Bezos, un tipo dalla risata sguaiata che qualcuno tentò di descri-vere come un picchiatello, puntò tutto su quel negozio online chevendeva appunto libri. Non fu una passeggiata, tutti dicevano «chebello» ma pochi tiravano fuori la carta di credito. Anni di bilanci inprofondo rosso e, un attimo prima che i venture capitalist gettasserola spugna, il primo profitto. Adesso, dopo un periodo in cui ha ven-duto anche le librerie, è diventato il Wal-Mart del commercio elettro-nico: frullatori, maglioni, scarpe da tennis con sconti inimmaginabi-li altrove. E nell’evoluzione della specie è diventato anche una piat-taforma per le vendite all’asta, spina nel fianco di quella stessa eBay

che dieci anni fa — guarda caso — fu pioniere del genere.Anche il giornalismo ebbe in quei mesi la sua data memorabile.

Cnn andò online il 30 agosto e persino la vecchia guardia, che pen-sava che le news in rete fossero roba da ragazzini, fu indotta a piùmiti consigli. Aggiornamenti 24 ore al giorno, Natale e feste coman-date incluse. E per la prima volta l’America si divise tra telecoman-do e mouse per seguire il processo a O. J. Simpson e le cronache del-l’attentato all’Oklahoma Building, quando il delirante Timothy Mc-Veigh (dopo che si era pensato alla pista islamica) fece 168 morti.Adesso non c’è giornale che non abbia una versione elettronica. Unitaliano su due sopra i 18 anni — dati Ipso di aprile — le notizie le tro-va in rete. E Repubblica.it, per restare in casa, ormai veleggia su unamedia di 500 mila lettori al giorno.

Per non dire di un altro dato, tanto oggettivo quanto penalizzatodal «tecnicalese», la vera pietra miliare della svolta. Di tutti i sot-toinsiemi della rete, tra cui e-mail e newsgroup, il world wide websuperò quell’anno il “file transfer protocol”. In italiano corrente: perla prima volta ci furono più persone che navigavano rispetto a quel-le che scaricavano i file, sin lì attività prediletta dagli “smanettoni”.Un salto di paradigma, il modem era diventato di moda, lo usavanole persone “normali”. Poi apparve RealPlayer, per ascoltare l’audioin diretta e il Vaticano registrò il suo sito (vatican.va), tutte le enci-cliche su sfondo paglierino. Per proseguire l’opera di evangelizza-zione in un non-luogo dove “sesso” e “dio” si contendevano il pri-

GABRIELE ROMAGNOLI

IERI16milioni di utenti

OGGI888milioni di utenti

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

0 24

/07/

2005

Page 7: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 31DOMENICA 24 LUGLIO 2005

mo e secondo posto nelle classifiche delle parole più cercate sui mo-tori di ricerca d’antan, i dimenticati Altavista o HotBot. Google se liè mangiati tutti. La settimana scorsa dichiarava otto miliardi e spic-cioli di pagine setacciate. E da pochi mesi ha lanciato Earth, il servi-zio di mappe satellitari che consente a chiunque di ottenere una fo-to aerea di ogni fazzoletto di terra, eccezion fatta per Pentagono, Ca-sa Bianca e poco altro. Motivi di sicurezza, non di algoritmi.

Tutti snodi importanti, fra i tanti tralasciati, segni che la creaturaera diventata grande. Proprio due lustri fa. Con le prime scocciatureassociate allo sviluppo. Lo spam, ad esempio, l’acne di Internet. In-ventato sul finire del ‘94 dai biasimatissimi avvocati Canter & Spiegelche volevano reclamizzare i loro servizi per aspiranti titolari di “greencard”. E che oggi intasa i tubi della rete come un calcare debordante,tanto da far registrare a giugno un milione di messaggi di posta mon-nezza al giorno — quelli legittimi sono minoranza assoluta — nelle ri-levazioni di Commtouch. Viagra e Xanax contro ogni tipo di depres-sione o schemi infallibili per diventare milionari in cinque mosse.

Fastidi a parte, come ogni rivoluzione che si rispetti anche quel-la digitale necessitava di un manifesto. Che trovò quel medesimoanno in Essere digitali di Nicholas Negroponte, di lì in poi “il” gu-ru. Scriveva: «L’informatica non si occupa più di computer ma del-la vita» e ancora che «i bit, il dna dell’informazione, stanno rapi-damente rimpiazzando gli atomi come materia prima di base del-l’interazione umana». E aveva ragione. Oggi ha perso un po’ di

smalto, lo si sente meno, surclassato quanto a esposizione media-tica dal fratello John, discusso ambasciatore Usa in Iraq.

Allora come oggi i censimenti della rete erano azzardi colossali.Solo per dare il senso della crescita, con fonti le più possibile omo-genee, si può dire che a dicembre 1995 Idccontava 16 milioni di per-sone online (lo 0,4 per cento della popolazione mondiale) mentrea marzo 2005 Internet World Stats parlava di 888 milioni (il 13,9 percento). Numeri che servono solo per tenere un minimo di punteg-gio. La profezia più azzeccata resta quella generale: un’invenzioneche ha cambiato il modo di vivere. A New York come a Roma. Solochi non ha ancora provato l’alternativa, oggi, può incaponirsi a fa-re la fila allo sportello della stazione piuttosto che ordinare il ticke-tless di Trenitalia.com. Si sceglie, si paga, e il biglietto te lo stampain treno il controllore senza passare dal via. E soltanto la speranzadi un incontro fortunato dal vivo può distogliervi dal sito di Poste.itper pagare tutte le bollette in tre clic. E chi frequenterà più un’a-genzia di viaggi o una banca? Con Expedia o Travelonline, per ci-tarne un paio, prenotate volo e albergo come se foste un tour ope-rator. Mentre Fineco ha appena introdotto un servizio per cui ognibonifico sopra una certa cifra o da un destinatario prescelto vienenotificato via sms. Una lista, volendo, appena iniziata. Tuttocitta.itvi spiega la strada per arrivare ovunque: punto di partenza, puntod’arrivo e al resto ci pensa lui, segnalando ogni svolta e i sensi uni-ci. Per non dire dell’antidoto definitivo alle amnesie librarie/cine-

matografiche. Quando non basta Google a far venire a galla le tes-sere mancanti nel puzzle della memoria, ci sono le banche dati spe-cializzate. Come Amazon che ha introdotto il “search inside” che,all’interno di centinaia di migliaia di libri, scova la pagina esatta diciò che nella vostra testa è solo un ricordo sfumato. O Internet Mo-vie Database che scandaglia l’universo di celluloide per regista, at-tore, trama e battute memorabili.

Da quell’estate di dieci anni fa a oggi non è cambiato tutto maquasi niente è più lo stesso. Per cercare una fidanzata il territoriodi caccia prediletto dagli adolescenti statunitensi sono ora le chat.E anche i grandi, nella “modernità fluida” brevettata da ZygmuntBauman, si rivolgono alla grande facilitatrice elettronica dell’in-contro tra domanda e offerta di sentimenti. Quaranta milioni diamericani, uno su sei, si collegano ogni mese in cerca di compa-gnia. Una volta c’era la piazza del paese, oggi Match.com o uDate,gli unici servizi telematici per cui la gente è disposta a pagare (469milioni di dollari l’anno scorso solo negli Stati Uniti). Millenove-centonovantacinque, un secolo fa. Solo qualche risposta è piùchiara. Di cosa parliamo quando parliamo di Internet? Di amori,di viaggi, di multe da pagare per parcheggi in divieto di sosta, di ro-se da comprare in zona Cesarini perché la lite è fresca e il fioraiochiuso, di canzoni da scaricare come colonna sonora della serata,con tanto di testi per cantarci sopra. Dell’ordinario caos della vita,insomma. Nient’affatto di computer.

Era un’estate di promesse. Governava Bill Clin-ton e, qualunque sia il giudizio politico, l’Americasi muoveva a marcia avanti. Il vicepresidente, se-condo la sua visione della storia, aveva appena in-ventato Internet e a Pasadena Roberto Baggio tira-va un rigore nel cyberspazio.

La più grande leggenda della Silicon Valley èuna e-mail. Mittente: Jim Clark, fondatore dellaSilicon Graphics. Destinatario: Marc Andreessen,programmatore geniale e annoiato. Subject: Vor-resti creare una nuovasocietà per l’alta tecnologiainsieme con me? Re: Al volo. Clark pensava a un’i-dea televisiva. Marc suggerì Internet. All’epocanon c’era esattamente traffico in rete: professori,studenti, qualche maniaco. Clark si fidò. Agli in-vestitori e amministratori disse: «Credete anchevoi in questo tipo. Questa è la sua società. Lui è lamente creativa. Lui sa che cosa farà la prossimagenerazione». Marc fece arrivare cinque suoicompagni di studi dall’Illinois. All’inizio lavoraro-no anche tre giorni di seguito. Poi si diedero unaroutine: sveglia alle dieci del mattino, pausa po-

meridiana (lui portava a passeggio due bulldogcon Elizabeth), avanti fino a cena, da mezzanottealle tre per rispondere alle e-mail. In un anno Marcprese due giorni di ferie: andò e tornò dalla NuovaZelanda. Voleva viaggiare su Internet alla velocitàdella luce, trasferire immagini. Voleva fare nuovisbagli e poi provare che era possibile. Ci riuscì.Chiamò il nuovo browser Netscape Mosaic, poisolo Netscape dopo aver liquidato l’universitàdell’Illinois con tre milioni di dollari. Ne avrebbeavuti molti di più. In poche settimane il traffico suInternet crebbe a dismisura e tre quarti degli uten-ti usavano Netscape. Per festeggiare Marc si com-prò casa, una Mercedes e tutti i cd di classica di-sponibili alla Tower Records.

«Fu una montagna russa di emozioni — ha ri-cordato — Un giorno eravamo euforici, il giornodopo depressi. Avevamo sempre paura che un or-so sbucasse dalla foresta a sbranarci». Un orsochiamato Bill Gates, ma Internet Explorer nonaveva ancora affilato i denti. Prepararono il de-butto in Borsa per l’estate del ‘95. Era la consacra-

zione. Marc finì su People come fosse il Brad Pittdel cyberspazio e sulla copertina di Time, iconadella stagione di Internet: giovane, venuto dal nul-la, geniale e, ora, ricchissimo. «Do tante interviste,faccio tante conferenze — si lamentò — che nonho più tempo per lavorare».

Netscape divenne una delle parole magiche diquella stagione. Poi, come molte, perse il suo po-tere. Gli utenti si dimezzarono in tre anni. La poli-tica aggressiva e l’evoluzione continua del brow-ser di Microsoft ebbe la meglio. Clark fece un er-rore non tanto nuovo: cedette all’ingordigia e ac-cettò una commissione di Mci, il gigante della co-municazione. L’assegno era pazzesco. «Ma ci ven-demmo l’anima — capì troppo tardi Marc — Unsolo grosso cliente finisce per possederti». Era ine-vitabile che il sole non splendesse per sempre: suBill Clinton e Al Gore, sulla stagione delle novità,sulla net economy e su Marc Andreessen.

A differenza di molti, non essendosi arrampica-to troppo in alto in quei giorni non è caduto rovi-nosamente. Lo hanno aiutato l’ironia, l’origina-lità e forse perfino il Wisconsin, terra di realtà. Hacontinuato a progettare novità, a creare società.L’ultima si chiama Open Media Network e inten-de facilitare la condivisione di immagini video.Quando l’ha presentata era, perfino, abbronzato:deve essersi preso una vacanza vera. In una re-cente intervista televisiva ha ribadito la sua fidu-cia nel commercio («È la sola cosa che ti dà moti-vazioni»), nei nuovi posti di lavoro («Internet neha distrutti 325 mila e creati 342 mila, nei prossi-mi dieci anni il bilancio sarà 400mila contro450mila»). Ha addirittura fornito una ricetta per lasicurezza nazionale: «Se diamo lavoro all’India ealla Cina, se lo diamo al Medio Oriente, creeremolà delle classi medie che saranno la nostra migliorgaranzia contro il terrorismo». È sicuro che il cy-berspazio non esploderà mai per una congestio-ne di traffico. Concepisce il mondo come un cer-chio concentrico. «In mezzo, ricordalo, ci sei tu».E, intorno: «It’s all blue skies».

Da piccolo videi contadinidel Wisconsin messiin ginocchio dalla crisie gli venne la fissazionedi creare nuovi postidi lavoro. Riuscendoci

IL WEB NEL MONDO

poco

niente

molto

abbastanza

FO

TO

BLO

OM

BE

RG

ILLU

ST

RA

ZIO

NE

ST

EF

AN

OB

AD

IALI

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

1 24

/07/

2005

Page 8: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

32 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

le storieMusica maledetta

Il 31 luglio del 1960, il grande jazzista viene fermatodalla polizia mentre si droga chiuso in un bagnodi una stazione di servizio a Lucca. Per l’Italia, in piena Dolce vita, è il processo dell’estate,per il trombettista è solo un’altra tappa del suo personalecalvario. Come raccontano i protagonisti di allora

LUCCA

La gente nonstava chiusa alcesso tuttoquel tempo.

Mina cantava: quando seiqui con me, questa stanzanon ha più pareti. «Apri,apri, polizia, buttiamo giùla porta». L’agente bussò.Era stato il figlio del benzi-naio ad avvisarlo: «È lì den-tro, da un sacco di tempo».San Concordio, provinciadi Lucca, 31 luglio 1960.Quarantacinque anni fa,pomeriggio pigro, stazio-ne di servizio Shell. L’Ita-lia aveva la dolce vita,Chet il buco amaro. L’e-state era calda. La sua eradrogata. «Mi fermai aduna pompa di benzinaper farmi una pera. Mi civollero tre quarti d’ora pertrovare una vena». La por-ta s’aprì, l’agente Neri Gu-gliermino vide: il lavandi-no sporco di sangue, lemaniche tirate su, la sirin-ga, le mani che tremava-no, le due fiale rotte, le oc-chiaie, il pallore, la barbalunga. «Mi trovai davantiun fantasma». L’uomoera docile, barcollava,balbettava. Cose senzasenso. Senza senso anchele sue vene: sembravanofil di ferro. Al commissa-riato ritrovò lucidità. «Michiamo Henry ChesneyBaker». Chiese di fare unachiamata. Arrivò il dottorFrancesconi, spiegò cheBaker si stava disintossi-cando nella sua clinica. Iltrombettista venne rila-sciato. La notizia compar-ve su tutti i giornali euro-pei e in Usa: Chet Bakerera stato trovato in statod’incoscienza nel bagnodi una stazione di servi-zio, sporco di sangue.

Lo scandalo dell’eroina

L’America era andata oltrei biscotti alla marijuana, aNew York alla fine deglianni ’50 una dose giorna-liera di eroina costava po-chi dollari. Come ricordaJames Gavin nel libro“Chet Baker” i jazzisticompravano da Biondino,Smilzo e Nick lo Sporco,spacciatori che trafficava-no nei bagni dei locali. Main Italia l’eroina non circolava, se nonnei romanzi. Il fascicolo passò al sosti-tuto procuratore, Fabio Romiti, pubbli-co ministero. «In estate restano semprei fessi. Avevo 35 anni, mi era appena na-ta la prima figlia. Lucca era una cittàtranquilla: solo un po’ di prostituzionee qualche rapinetta. Droga? Figurarsi,allora lo sballo era un piatto di tortelli».E magari annusare la mortadella, con lapaga oraria di un operaio (144 lire) nevenivano fuori due etti. Romiti non eraappassionato di jazz, ignorava la famadi Baker. «Conoscevo solo il valzer e lemarce militari. Non sapevo leggere lamusica, che tra l’altro intenerisce il cuo-re, meglio non sentirla, perché penetra.Lessi però il rapporto della polizia e tro-vai troppi medici compiacenti. Era ilprimo grande caso di droga in Italia».Romiti interrogò Chet. «Pareva un uc-cello sperduto, ma il suo italiano eracomprensibile, quel Joey Carani, suoamico, invece non mi piaceva, era un ti-po strafottente». Chet suonava da Dio,non tratteneva niente, spifferò tutto.«Parlò dalla mattina fino alle 4,30 delpomeriggio. Mai visto uno così sincero,i nostri delinquenti non lo sono. Il colle-ga che trascriveva s’intenerì, si misequasi a piagnucolare, io invece insiste-vo: scrivi, scrivi. Baker fece i nomi deimedici, dei farmacisti, disse come siprocurava il Palfium. Che era ’sta so-stanza? Andai a leggere, m’informai, eraappena stata approvata una legge suistupefacenti. Mi accorsi che il rapportoera stato fatto con i piedi, che non c’eranessuna intenzione di arrestarlo: laquestura era sempre stata benevola,

na di sei mesi a Rikers Island, il terribilecarcere che guardava Manhattan dal-l’altra parte dell’East River. Baker salvòla pelle e uscì con la busta dei suoi ave-ri: un panino alla mortadella a un quar-to di dollaro per la metropolitana.

L’avventura italiana

Così Chet partì per l’Italia. Agli europeipiaceva il suo fascino tragico. Il suoaspetto orribile. Non applaudivano lamusica, ma la sua melanconia disgra-ziata. Il pianista Enrico Pieranunzi: «Eracosì dolce quando suonava, così miste-rioso». Chet aveva anche fatto l’attore inun film «Urlatori alla sbarra» (con Minae Celentano) di Lucio Fulci. Nell’ultimascena era un angelo innocente e langui-do. Bello, ma imbottito di morfina e dioppio. L’eroina in Italia allora non si tro-vava. Baker trovò un sostituto: il Pal-fium 875, un analgesico creato in Belgiotre anni prima, per far smettere con ladroga. All’inizio era venduto libera-mente come aspirina, ma nel ’57 le au-torità scoprirono che disintossicarsi dalPalfium era più difficile che dall’eroina.Baker polverizzava le pastiglie nell’ac-qua, filtrava il liquido con una garza ocon la manica, riempiva la siringa e siiniettava il contenuto. In più contrab-bandava Jetrium. Tra Germania e Italia.In un mese diecimila pillole. Girava inAlfa Romeo, occhiali neri e sandali. Unanecessità più che una moda. Le pupilleridotte a spilli dovevano stare nascoste,i piedi gonfi di buchi non entravano nel-le scarpe. Si iniettava 250 pillole al gior-no. Aveva i brividi. Girava per Milano(suonava al Santa Tecla) infagottato inun cappotto di lana. Il 4 dicembre ’59entrò a Villa Turro per disintossicarsi.Ma la sua musica ne risentiva. «Mi man-cano le idee». Dopo due mesi di cura del

sonno tornò a farsi. A mar-zo entrò in una clinica diMonza, poi si ributtò sulledroghe. A maggio i proble-mi. E il contratto. Un’inte-ra stagione al Bussolotto,piano-bar della Bussola, aFocette. Davanti ai dottorirecitava, si prendeva inmano le tempie, diceva diaver avuto due gravi inci-denti di auto. «Sinusite,trigemino?», chiedevanoquelli. «Sì, sì», era la rispo-sta. Spiegava che solo ilPalfium gli faceva effetto.Quasi tutti, impietositi, glifacevano la ricetta. Unasola scatola di cinque pa-stiglie, il minimo per farsiuna dose, ma lui aveva bi-sogno di più. Cominciò asaltare le serate. Carlo Lof-fredo, che suonava con lui:«Quando veniva a chie-dermi le chiavi della mac-china era impressionante,aveva gli occhi di fuori. In-dossava sempre lo stessosmoking un po’ liso, cami-cia aperta senza papillon,e sandali da frate marroni.Dava nell’occhio, eranoaltri tempi e eravamo pursempre alla Bussola».

Baker il 20 maggio 1960aveva conosciuto RobertoBechelli, un medico di Via-reggio che da lì al 27 lugliogli consegnò 23 prescri-zioni. Nello stesso periodoentrò in contatto con Ser-gio Nottoli, andò anche daun altro dottore, EnricoLanducci, che non era inambulatorio. Chet rubò ifogli di prescrizione e sipresentò alla farmacia Vi-gnoli, fuori Pisa. Lì si inso-spettirono. Le date eranosegnate all’americana7/15/60 e non 15/7/60. Il16 luglio Baker suonò inmaniera troppo strana.Perfino per lui. Da stordi-to. Bernardini chiese sec’era un medico in sala.Pierluigi Francesconi, pri-mario alla Santa Zita, si fe-ce avanti. E capì. «Possia-mo provare con la disin-tossicazione». Vitamine edose decrescenti di Pal-fium. «Ma non potevochiuderlo a chiave». Ro-miti ricorda: «Fui colpitodalla disinvoltura diBaker, aveva saccheggiatotutte le farmacie della Ver-silia, con quell’aria da po-vero diavolo, e ce lo venivapure a dire. Il resto l’aveva

fatto Carol, la sua compagna, che avevaun bel sedere da agitare davanti ai me-dici». La dolce vita, già. Il più potenteavvocato di Lucca, Mario Frezza, si of-frì di difendere Baker gratuitamente.Chet venne contattato anche da DinoDe Laurentis che gli offrì tremila dolla-ri per i diritti cinematografici. Il proces-so cominciò tra i flash dei paparazzi edelle contadine che gridarono «putta-na» a Carol, visto che era stata arresta-tata anche Halema, la moglie di Chet.Baker continuava a toccarsi il capo si-mulando dolore. Perfino Oriana Falla-ci ne fu intenerita e lo difese sull’Euro-peoscrivendo che Chet «suona la trom-ba che a momenti sembra un inno al Si-gnore». Baker venne dichiarato colpe-vole di contrabbando di droga e falsifi-cazione. Una condanna clemente: 1anno, 7 mesi, 10 giorni di prigione. Loportarono via ammanettato verso il pe-nitenziario di San Giorgio, in centrocittà. Il trattamento fu di riguardo. Leguardie gli insegnavano l’italiano e glipermettevano Playboy e visite coniu-gali con Carol. Lui suonava in cella. Do-po il tramonto. Si lamentava, con la suamusica. C’era chi andava ad ascoltarlofuori dalle mura. «Un’esperienza mi-stica». Grazie alla buona condotta ot-tenne uno sconto di pena e uscì il 15 di-cembre, prima di Natale. Aveva trenta-due anni. «Chet is back», si intitolò il suoprimo album dopo la galera, registratoa Roma. Sì, Chet era tornato, quello diprima. Energico e audace. Gagarin vo-lava nello spazio. Chet chiese a un col-lega di stringergli la cintura al braccio.«Solo una volta, poi smetto».

Sergio Bernardini, patron della Busso-la, si era comprato con dei servizi lacompiacenza dei dottori, qualche me-dico per diecimila lire si era venduto laricetta. Insomma, tutti sapevano: Bakerper suonare doveva prendere le droghe.Nessuno voleva vederlo soffrire, ma ame questa complicità sembrò una for-ma di eutanasia. Poi da Roma, dal mini-stero di Grazia e Giustizia mi arrivò unatelefonata. Erano preoccupati. C’eraappena stato il caso Montesi. Capivo?».Chet Baker era l’amico americano, il go-verno Fanfani aveva appena preso il po-sto, dopo i fatti di Genova, di quelloTambroni. Roma non voleva noie, maRomiti fece le sue indagini. Trovò 25dottori che avevano prescritto Palfiuma Baker. Il 22 agosto i poliziotti si pre-sentarono con un mandato a Villa Gem-ma per il trombettista. Due giorni dopola polizia arrestò Carani e i dottori Be-chelli, Nottoli, Francesconi e Giamba-stiani per complicità con un tossicodi-pendente. Finirono dentro anche altrimedici e farmacisti. Baker aveva canta-to: in maniera straziante, ma nomi e co-gnomi li aveva detti bene. L’uomo chenegli anni Cinquanta aveva il mondo aisuoi piedi, ammise di aver contrabban-dato enormi quantità di Jetrium dallaGermania e di aver rubato e falsificatoricettari. L’America gli aveva voltato lespalle. «È solo un drogato spietato e unuomo lagnoso», aveva detto il produt-tore Orrin Keepnews. «Sembra che ab-bia la bocca piena di polenta», era statol’oltraggio di Dinah Washington, che siera preso gioco della sua versione di OldDevil Moon. L’ultimo giudice america-no che lo aveva arrestato aveva cercatoun po’ di innocenza nella sua fedina pe-nale. Ma otto precedenti non meritava-no clemenza. Chet beccò una condan-

DAL MITO ALLA FICTIONLe vicende italiane di Bakersono diventate lo spunto peril romanzo “Un’estate conChet”, di Massimo Basile eGianluca Monastra, edito daNutrimenti. Nelle foto, Bakerin manette al processo e, inalto, alla finestra del suoalbergo a Lucca

“Il giornoche arrestaiChet Baker”

EMANUELA AUDISIO

FO

TO

GR

AZ

IAN

O A

RIC

I / G

RA

ZIA

NE

RI

FO

TO

PO

PP

ER

FO

TO

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

2 24

/07/

2005

Page 9: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA VITA

L’INFANZIA

Edward Bunkernasce nel 1933,a Hollywood.A nove anni, dopo ildivorzio dei genitori,entra in riformatorio.A diciassette è il piùgiovane detenuto diSan Quintino

LA PRIGIONE

A San QuintinoBunker incontraCaryl Chessman,che lo introduce allaletteratura. In cellalegge Cervantes e Dostoevskij e comincia a scrivere racconti

IL SUCCESSO

Nel ’75 la svolta:estinto il debitocon la giustizia,pubblica il primoromanzo: “Comeuna bestia feroce”(edito in Italia,come gli altri suoilibri, da Einaudi)

IL CINEMA

Scrivesceneggiaturee interpreta Mr.Bluene “Le Iene”di Tarantino.È morto martedì 19luglio nell’ospedaledi Burbankin California

il fattoNoir in lutto

«In questa incredibile bar-zelletta che è la mia vita»,raccontava pochi mesi fa,dopo una cena in un ri-storante di Mantova, «lapiù grande barzelletta è

che io sia seduto fianco a fianco ai premiNobel, che loro mi riempiano di compli-menti, e che mi chiedano della mia tecni-ca di scrittura, tra gli scatti dei fotografi».La cena si era svolta dopo un suo affolla-tissimo reading al Festival della Lettera-tura, ed Edward Bunker, che aveva rispo-sto sorridendo alle domande di John M.Coetzee sul libro che stava preparando, siera distinto per esser stato l’unico ad avermangiato con gusto uno stufato d’asino,offerto generosamente dal ristorante, erispettosamente respinto da tutti gliscrittori invitati. Il suo incontro con ilpubblico aveva riscosso un successo cla-moroso, ed aveva oscurato, per calore epartecipazione, perfino quello di autoridel calibro di Toni Morrison e lo stessoCoetzee. Lui non se ne era curato troppo,e continuava a parlare di barzelletta, an-che se pronunciava il termine “joke” conun’ironia nella quale la malinconia pre-valeva sulla vogliadi rivalsa.

Non aveva alcunproblema a parlaredel proprio passa-to, e non nasconde-va nulla della vio-lenza che avevacontraddistintoogni momento del-la propria esisten-za, ma preferivaparlare dei progetticinematograficiche aveva avviato,grazie all’amiciziacon Michael Mann,ed i nuovi libri, deiquali si confidava inprima battuta conl’amico James Ell-roy, al quale diceva«devo tutto». In en-trambi i casi trova-va ispirazione nellapropria vita, e ride-va di gusto quandoqualcuno aveval’ardire di suggerir-gli di “inventare” o“creare” qualcosadi diverso. Anchequel suggerimentoper lui rappresen-tava una barzellettaa cui reagire conmalinconia, perchéla sua vita, che si èspenta martedìscorso nell’ospeda-le californiano diBurbank, era stato ilpiù incredibile, vio-lento e drammaticodei romanzi.

Era nato la nottedi capodanno del1932 ad Hol-lywood durante unterremoto, da unaballerina di secon-da fila di Busby Berkeley, ed un diretto-re di scena irrimediabilmente alcoliz-zato. I due divorziarono quando lui eraancora un bambino, ed “Eddie”, cheebbe sin da allora il nomignolo che siportò per tutta la vita, venne affidato adun collegio, dal quale fuggì quandoaveva cinque anni. Nessuno dei genito-ri lo volle con sé, ed il piccolo ritornò incollegio, dove preoccupò i precettoriper il carattere ribelle e violento, e li la-sciò a bocca aperta per il risultato di 152punti che ottenne quando fu sottopo-sto a nove anni ad un test per misurareil quoziente intellettivo. È un punteg-gio che a quell’età rientra nei parame-tri attribuiti ai geni, ma Eddie non se necurò assolutamente, come ignorò conun fastidio pieno di disprezzo i suggeri-menti degli insegnanti che gli consi-gliavano di far fruttare con lo studioquel sorprendente dono di natura. Pre-ferì sfogare la propria energia inconte-nibile con gli amici di strada che fre-quentava nei pochi momenti di libertà,e con loro si perse rapidamente. Il suocurriculum criminale è impressionan-te, e dopo esser stato espulso dal colle-gio per aver infilato una forchetta nel-l’occhio di un compagno, cominciò amantenersi con rapine, scippi, estor-sioni e protezione di prostitute con lequali conviveva. Era ancora giovanissi-mo e a diciassette anni ebbe il triste re-

ge Raft, e l’ex campione del mondo deipesi massimi Jack Dempsey. Durante lefrequentazioni di casa Hearst non smisemai di commettere crimini di ogni gene-re, e dopo una rapina a mano armatacommessa a pochi giorni da una graziafaticosamente ottenuta da Louise Wal-lis, si diede alla macchia e venne inseritonella lista delle dieci persone più perico-lose d’America.

Quando venne arrestato, fu destinatoal carcere di massima sicurezza di SanPedro, e lì rimase per diciotto anni. Inquesti ultimi anni la definiva come un’e-sperienza che avrebbe dovuto vivereogni uomo che voleva definirsi tale, maall’epoca maledisse la propria esistenza,e la sua incapacità di essere diverso da sestesso. Soffrì, per usare i suoi termini, co-me un animale in gabbia, ma in quel mo-mento di disperazione, scoprì la lettera-tura, ed una serie di scrittori che gli sem-brava parlassero direttamente alla suaanima: Dostoevskj, Camus, He-mingway, e colui che riteneva il più gran-de di tutti: Cervantes. Fu un compagno dicarcere di nome Caryl Chessman, incar-cerato per numerosi stupri, e sopranno-minato “il bandito a luce rossa” che loconvinse a scrivere, dopo essere rimastoincantato a sentire il modo in cui sapevaraccontare, e fu sempre lui a valutare iprimi scritti, sui quali dava suggerimentiche Bunker ha definito sino alla fine

“estremamente preziosi”. Ma ci vollerodiciassette anni, sei romanzi e centinaiadi racconti prima che riuscisse a trovareun editore presso la “No Exit Press”, i cuiresponsabili si appassionarono al suo sti-le violento e cristallino grazie alla racco-mandazione di un altro grande narrato-re dalla vita tragica come James Ellroy, ilquale ne individuò immediatamente ilfolgorante talento. Il suo primo libro, in-titolato Come una bestia feroce divenneun best seller e fu adattato in un film di-retto da Ulu Grosbard con il titolo Vigila-to Speciale. Ne fu protagonista DustinHoffman, che cadde a sua volta vittimadel suo fascino e lo volle come consulen-te per preparare la parte. Il libro ottenneeccellenti recensioni, l’ammirazione diuno scrittore diversissimo quale WilliamStyron, e l’interesse di una Hollywoodcambiata drasticamente dai bagni nellepiscine della reggia di Hearst. Trovò unagente che gli commissionò il lavoro da“script doctor” per una serie di oscuri po-lizieschi, finchè non gli venne chiesto diamericanizzare il copione scritto da unregista giapponese di cui non aveva maisentito parlare: Akira Kurosawa. Il film,che venne diretto da Andrej Konchalow-sky, uscì con il titolo di Runaway Train e

gli assicurò unacandidatura per lamigliore sceneg-giatura. Sentì di es-sere finalmente en-trato ad Hollywooddalla porta giusta,ma il vero successoarrivò in campo let-terario con AnimalFactory, che diven-ne un film con SteveBuscemi, Little BoyBlue, Educazione diuna canaglia e so-prattutto Canemangia cane,che futradotto in tutto ilmondo (in Italia daEinaudi, editore ditutti i suoi libri) econquistò tra gli al-tri un giovane ap-passionato di cine-ma che stava pre-parando il propriodebutto alla regia. Ilsuo nome eraQuentin Tarantino,e definiva Comeuna bestia feroce lapiù bella “crimestory” mai scritta.Non sapeva nulladel suo autore, maquando venneinformato della vitache aveva vissuto, evide una sua foto sulretro di un libro,volle immediata-mente offrirgli unruolo in quello chesarebbe diventatoReservoir Dogs.Bunker, incuriositoda questa nuovabarzelletta, volleleggere il copione eaccettò di interpre-tare il personaggio

di Mr. Blue, divertendosi al punto da uti-lizzare in seguito il nome per la sua bio-grafia Mr. Blue: memoirs of a renegade.Ormai era diventato un personaggio diculto, e non fu affatto sorpreso quandoMichael Mann lo avvicinò per Heat. Inquesto caso non gli venne chiesto di re-citare, ma di farsi studiare ed imitare peril personaggio interpretato da John Voi-ght. Sul set, anche De Niro lo consultòper studiare il modo di parlare e di gesti-colare di un vero gangster, ma fu Mannche ne divenne realmente amico, e co-minciò a progettare con lui una serieambientata nelle carceri. Negli ultimianni, raccontava con divertimentoquanti fossero gli attori che si erano ispi-rati a lui, ma chi ha avuto modo di cono-scere da vicino si è accorto immediata-mente da un graduale distacco e dalmondo del cinema, che gli apparve co-me una chimera, vacua e inappagante.Cercò di riavvicinarsi alla letteratura,ma si accorse di scrivere con maggior fa-tica, e proprio a Mantova si interrogòsulla veridicità di una delle sue massi-me: «Datemi il caos, ne farò un libro».Riuscì a trovare alcuni momenti di feli-cità con Jennifer, la donna che sposò nel1994 e che era stata il suo più valente av-vocato. Da lei ha avuto un figlio di nomeBrendam, al quale ha dedicato il suo ul-timo libro ed ha considerato l’unica co-sa seria della sua intera esistenza.

ANTONIO MONDA

Addio Bunker, “canaglia” del pulp

cord di essere il detenuto più giovanemai internato nella terribile prigione diSan Quintino.

Ma anche quello stesso periodo fece ilprimo degli incontri che avrebbero cam-biato la sua esistenza: divenne infatti unprotetto di Louise Wallis, moglie delgrande produttore Hal Wallis, che, se-dotta dai suoi bellissimi azzurri, e affasci-nata dal fascino criminale, lo inserì nelmondo hollywoodiano, invitandolo ri-petutamente nella sua villa principesca ein quella degli amici miliardari. Una pa-rodia di questo invaghimento, che ladonna giustificava come un atto di beneper «ragazzo di talento da salvare» venneripreso molti anni dopo da Woody Allen,che ne rielaborò il rapporto in chiave li-beral newyorkese in Tutti dicono I loveyou, attribuendo a Tim Roth il ruolo delcriminale, e a Drew Barrymore quellodella Wallis. In quella che rappresentò laprima barzelletta della sua vita, Eddie sitrovò a dialogare con personaggi qualiTennessee Williams, Humphrey Bogarted Aldous Huxley, che rimanevano rego-larmente affascinati dalla sua intelligen-za, e a frequentare abitualmente la prin-cipesca reggia di William RandolphHearst a San Simeon, dove chiamavatutti “fratello”, in puro linguaggio da ga-lera, e preferiva entrare in intimità conpersonaggi con cui sentiva affine, comel’attore con un passato di gangster Geor-

L’autore iconadi Quentin Tarantino

e della nuovaHollywood è morto

martedì scorsoin California

Dopo una vitatra rapine e prigioni,

aveva trovatonella scrittura

la via del riscatto

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 33DOMENICA 24 LUGLIO 2005

FO

TO

CO

NT

RA

ST

O

Quegli occhi da vecchio pellerossa

L’ultima volta che venne da Los Ange-les in Italia, circa tre anni fa, aEdward Bunker non gli arrivarono le

valigie e per due giorni, con ottomila gradi, sitrascinò senza lamentarsi tra incontri con igiornalisti e presentazioni in una Roma arro-stita dal sole con addosso una camicia bian-ca e un paio di pantaloni neri. Era vecchio e sivedeva che non stava più bene. Una sera an-dammo a mangiare in un ristorante del cen-tro e poi ci facemmo, parlando appena, unalenta passeggiata fino a piazza Navona. LìBunker si sedette su una fontana del Berninie mise le mani nell’acqua tiepida e rimase co-sì con quella sua faccia da grande capo pelle-rossa e quelle due fessure azzurre che avevaal posto degli occhi a guardare i tetti, le cupo-le e i piccioni. Ad un tratto, come se stesseparlando con se stesso, disse sottovoce chemai e poi mai avrebbe potuto immaginare,

quando era in galera, che un giorno sarebbestato in un posto come quello. Anzi, conti-nuò, a quei tempi non immaginava neanche«che esistessero posti così belli e antichi almondo. La vita non fa che sorprendermi». Poisi afferrò i bordi lerci della camicia e sorrise:«È schifosa, vero? Domani per la lettura mitocca comprarmene una nuova». Il giornodopo, sotto le mura di Massenzio, la lettura fuindimenticabile. La platea era così affollatache non si riusciva neanche ad entrare e ilpubblico romano lo accolse con un tale affet-to ed entusiasmo che quell’omone che perquarant’anni della sua esistenza aveva pas-sato più giorni dietro le sbarre che in libertàun po’ si commosse. Non mi va di parlare delBunker scrittore. C’è poco da dire. Immensoe basta. I suoi romanzi sono così onesti e ri-gorosi che ci hanno illuminato per sempre lamente e il cuore criminale. Ci mancherà.

NICCOLÒ AMMANITI

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

3 24

/07/

2005

Page 10: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

i luoghiRealtà e finzione

Viaggio a Delfzijl, una piccola città olandese, dove GeorgeSimenon, di passaggio durante una crociera in barca, ebbel’ispirazione per scrivere le storie del suo indimenticabilecommissario con la pipa. Una statua nel parco vicinoal porto celebra l’avvenimento, ma nessuno vuol parlaredel famoso concittadino letterario. Come in un giallo

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

Nel paese dove è nato MaigretDELFZIJL

L’immancabile pipa, ilmantello a ruota e lo“chapeau melon”, laclassica bombetta.

Maigret, il celebre commissario inven-tato da Georges Simenon, protagonistadi oltre ottanta romanzi tradotti in unacinquantina di paesi del mondo è dibronzo e sta in un piccolo parco verdis-simo a poca distanza dal porto. In unluogo tranquillo sulla foce dell’Ems, ilfiume che l’attraversa e che incrociacon il Mare del Nord. Il monumento agrandezza naturale divide la via Ruk-sweg dalla Jaagpad, posa su un piccolopiedistallo di pietra grigia e ha accantouna piccola teca che racconta quantopuò essere straordinaria la fantasia. Manon sembra attirare né turisti né curio-si. O almeno in un qualunque sabatod’estate, intorno alla statua dello scul-tore Pieter D’Hont, non c’è nessuno.

Non è un caso che Delfzijl, città ge-mellata con la nostra Cesenatico e cen-tro industriale e marittimo a poca di-stanza da Groningen, sede di una anti-ca università olandese, abbia dedicatoquarant’anni fa una statua a Maigret.Proprio qui, sui canali, Simenonavrebbe avuto l’idea di far nascerequell’infallibile commissario, più psi-cologo che uomo d’azione, che neltempo avrebbe conquistato centinaiadi milioni di lettori.

Il borgo sull’acqua

Nel paese sull’acqua che «era piccolo:dieci o quindici strade al massimo, pa-vimentate con bei mattoni rossi...»,tanto da sembrare «un giocattolo», Si-menon era arrivato per caso nel set-tembre del 1929. Nato a Liegi, in Belgio,all’epoca viveva a Parigi già da una de-cina d’anni, era sposato e aveva colle-zionato decine di amanti, con in testaquella “natiche ridenti”, al secolo la leg-gendaria ballerina nera JosephineBaker, ritenuta tra le donne più belle delmondo. Nell’anno in cui la grande crisiaveva reso tutti più poveri, Simenongodeva di un certo benessere; se l’eraconquistato con il suo lavoro di giorna-lista e di collaboratore di riviste alla mo-da e con i molti romanzi e romanzetti disuccesso scritti sotto pseudonimo.

Aveva comprato un battello, l’Ostro-goth, ed era salpato dalla riva della Sen-na con sua moglie Tuzy e la cuoca Bou-le, diretto in Olanda per arrivare in Ger-mania e in Norvegia. Improvvisamen-te però, all’altezza di Delfzijl, il motoredel cutter era andato in avaria.

La cittadina lo aveva subito colpitoprofondamente. «Poche case, di fron-te alla foce del fiume, attraversata daicanali e circondata da una diga checingeva completamente il centro abi-tato, interrotta qua e là da aperture chesi potevano chiudere, in caso di maregrosso, con pesanti saracinesche simi-li a quelle delle chiuse». Quanto a Mai-gret, la leggenda si intreccia alla crona-ca fedele. È stato lo stesso Simenon araccontare di aver inventato il com-missario proprio in quei giorni, mentreaspettava che l’Ostrogoth venisse ri-messo in sesto. Troppo forti i rumoriprodotti dalle riparazioni per rimane-re a vivere a bordo; aveva traslocato suuna chiatta abbandonata e, sistematala macchina da scrivere su una casset-ta da frutta vuota, seduto su un’altracassetta, aveva scritto per cinque gior-ni senza sosta, fino a completare il pri-mo romanzo con Maigret protagonistae firmato con il suo vero nome, “Pietrle letton”, “Pietro il lettone”.

I biografi ufficiali non hanno maipreso sul serio i ricordi di Simenon.Chissà se fu proprio il freddo precocedi quel settembre a Delfzijl a far sì chea Maigret venisse messo addosso quelpesante cappotto con il collo di vellutoe la bombetta che sarebbero diventatiper sempre la sua divisa. E chissà se fuproprio per l’umidità patita a bordodella chiatta che Simenon concesseuna stufa di ghisa allo spartano ufficioparigino di Quai D’Orsay. All’inizio ilsuo editore Fayard (qualche anno do-po Simenon sarebbe passato a Galli-mard), non si era detto convinto del-l’appeal del nuovo personaggio, nonsapeva se avrebbe funzionato. Avevacomunque esortato Simenon ad anda-re avanti e aveva pubblicato “Pietr leletton” sulla rivista Ric Rac. Mentre, perriproporlo in volume, Fayard avevapreferito attendere. Lo diede alle stam-pe nel 1931, solo quando fu sicuro chesarebbe stato un successo. Dopo che ilBal antropométrique, la megafesta or-ganizzata nella sala Boule Blanche aMontparnasse, alla presenza di tutta la

Parigi letteraria e modaiola dell’epoca,aveva celebrato in pompa magna i na-tali di Maigret.

Più di settant’anni dopo, quelle po-che strade di Delfzijl «pavimentate coibei mattoni rossi, allineati regolar-mente come le piastrelle di una cuci-na...» sono state risanate dai guasti deltempo. E trasformate nel piccolo cen-tro storico di una cittadina vivace,estesa e fiorente grazie al commercioin ascesa. “Le case basse”, che in segui-to sarebbero state descritte in “Delittoin Olanda”, settima storia maigrettia-na, sono ormai soffocate dalle insegneinvasive delle botteghe. Né è più rin-tracciabile Le Pavillon, il caffè dove Si-menon, per scrollarsi il freddo di dos-so, beveva i suoi bicchierini di gineproprima di mettersi a scrivere.

Intorno al porto, in città e fuori, è oratutto un brulicare di segherie, di indu-strie estrattive e meccaniche, di uffici edi agenzie di spedizioni. Raccontano idepliant locali che lo sviluppo dellacittà è partito all’inizio degli anni cin-quanta, quando nei pressi di Delfzijlvennero trovati alcuni giacimenti disali minerali. Una scoperta che fruttòfabbriche di soda, commercio e be-nessere. Da allora nuovi quartieri resi-denziali hanno circondato il centrostorico e i tanti posti di lavoro indottihanno cambiato il tessuto sociale.

Nella Delfzijl conosciuta da Sime-non, quella del primo Maigret, la po-polazione era impiegata nel settoremarittimo e l’economia della città ruo-tava interamente intorno al mare.Adesso è l’industria il principale moto-re di ogni attività. E, in controtenden-za con il diffuso svuotamento dei pic-coli centri, i cinquemila abitanti di untempo sono diventati ventimila. L’isti-tuto nautico, tante volte citato in “De-litto in Olanda”, prepara il personaleper la marina mercantile. E si aggiungeall’ulteriore opportunità dell’unicascuola olandese per la formazione deidragatori.

Presente e passato: se il Maigret, fir-mato Simenon, era nato ufficialmentecon “Pietr le letton”, la sua controfigu-ra era apparsa già prima. Un personag-gio ancora non definito e appena ab-bozzato compare in “Le Train de nuit”, “La jeune fille aux perles”, “La femmerousse” e ne “La maison de l’inquiétu-de”, romanzi popolari d’epoca consu-

SILVANA MAZZOCCHI

‘‘MaigretIl paese era piccolo:

dieci o quindici strade,di bei mattoni rossi;

le case basse, sempredi mattoni. Sembrava

un giocattoloDa Un delitto in Olanda

Adelphi Edizioni

mati tra delitti, amori e tradimenti. Masolo nell’ultimo, la trama investigativasi era fatta più solida e Maigret era di-ventato più credibile. Questa, forse, laragione per cui Simenon non volle mairiconoscerli tra i suoi romanzi mai-grettiani.

Due anni dopo aver inventato il“suo” commissario a Delfzijl, ecco“Delitto in Olanda”. I luoghi conosciu-ti durante la pausa dovuta all’avariadell’Ostrogoth e il suo vezzo di usare iricordi e le immagini che gli capitava diosservare. «Faccio come le spugne, as-sorbo da ogni luogo e, con il tempo, re-stituisco con la scrittura». Un’abitudi-ne, non certo un’eccezione. In Nor-mandia, dopo aver soggiornato nel ‘29a Fecamp, aveva scelto la città sullaManica come scenario per “Al conve-gno dei Terranova”, storia di pescatorie di disperazione. Come sono tante lelocation di Liegi travasate nei suoi rac-conti; gli angoli storici della città e lesue chiese, il quartiere dell’Oltre Mosae quella rue du Pont D’Avroy dove Si-menon immaginò la boîte che avreb-be offerto sfondi e atmosfere per “Laballerina del Gai Moulin”.

Nessuno a Delfzijl sembra conosce-re la storia di Maigret. Nell’unica libre-ria del centro storico non c’è neancheun pieghevole per turisti dedicato al-l’argomento e cadono dalle nuvole an-che nell’antico “Grandcafé ‘T Lokaad”,sulla Schoolstaad, di fronte al mulino avento d’epoca sopravvissuto nel cen-tro storico, a pochi passi dai canali.«Non sapevamo niente di questo Si-menon. Sì, certo la statua l’abbiamo vi-sta qualche volta, ma...». Né si vendo-no cartoline del monumento dedicatoal commissario parigino nelle tantebotteghe che espongono zoccoli colo-rati e tulipani versione souvenir. Ep-pure nel 1966 quella statua era statainaugurata con tutti gli onori e, per

Page 11: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 24 LUGLIO 2005

l’occasione, erano accorsi ben quat-tordici degli editori di Georges Sime-non e almeno quattro degli attori chegià all’epoca avevano interpretatoMaigret in tv e al cinema. Gino Cervi,interprete di una fortunatissima serietrasmessa dalla tv italiana fino al ’72,che avrebbe reso famoso il commissa-rio anche in casa nostra. E AndreinaPagnani, “madame Louise”, sua mo-glie nello sceneggiato a puntate. Dol-ce, comprensiva e soprattutto prezio-

sa per l’equilibrio del bonario poliziot-to. E Jean Gabin, che in Francia era sta-to il protagonista in film di grande suc-cesso come “Maigret e il caso Saint Fia-cre”. Gabin, un attore molto conosciu-to, forse il più conosciuto. Ma certonon il più amato da Simenon che, per ilsuo commissario, gli preferiva di granlunga Pierre Renoir, fratello del registaJean , che aveva esordito nel ’32 in “Lanuit du carrefour”.

Nell’anno della cerimonia per la sta-tua di Delfzijl, Simenon aveva da tem-po ripreso a scrivere le storie di Mai-gret. Una prima volta lo aveva conge-dato nel ’34. Avrebbe voluto dedicarsi,disse, alla scrittura di libri più seriosi.Ma qualche anno dopo, in seguito allepressioni dei lettori, aveva dovuto fareun passo indietro e riportarlo alla ri-balta. E, sebbene con qualche pausa, lotenne in vita fino al ’72, data in cui de-cise di mandarlo definitivamente inpensione con l’ultima storia “Maigret

et monsieur Charles”. Si giustificò conironia: «Quando l’ho immaginato,Maigret aveva 45 anni ed io potevo es-sere suo figlio. Trent’anni dopo ne ave-va ancora appena 52 ed io potevo esse-re suo padre».

Le bevute nei caffè

“Delitto in Olanda” è un’ottima tracciaper ridisegnare la Delfzijl di oggi. Ecco icanali, l’ Amsterdiep, scenario dell’in-chiesta di Maigret. Al porto e sulle ac-que brumose ancora sonnecchia qual-che barca abbandonata. Su una simile,quella dove si era rifugiato in attesa diripartire sull’Ostrogoth, Simenon ave-va immaginato Maigret. Nei caffè an-dava a bere il liquore di ginepro perscaldarsi, e chissà quante volte in quel-le settimane aveva mangiato l’hutspot,il piatto nazionale olandese non certoleggero a base di sugo, carne e verdure.In “Delitto in Olanda” l’hutspot vieneservito a Maigret immerso nella salsa.

Oggi, nel menu di qualche ristorante, sipuò trovare ancora la versione estiva,appena un po’ meno grassa.

Quando Maigret arriva a Delfzijl perindagare sul delitto di Conrad Papinga.capitano di lungo corso ed ex professo-re alla scuola navale, il paese lo affasci-na. «Uno scenario che non aveva nullain comune con i paesaggi olandesi dacartolina, e il cui carattere era mille vol-te più nordico di quanto avesse imma-ginato… Con le case basse, sempre dimattoni. E con una profusione di rive-stimenti in legno dai colori chiari e vi-vaci...». Il primo impatto lo aveva avutoall’inizio della storia, arrivando in tre-no immaginiamo da Groningen. «C’e-ra il sole, il capostazione portava un belberretto arancione, se lo tolse affabil-mente per salutare il viaggiatore sco-nosciuto. Di fronte c’era un caffè, Mai-gret vi entrò e quasi non osava seder-si...». Settanta anni dopo il viaggiatoresi ferma nella stessa stazione, rimasta

piccola, deserta fino a sembrare ab-bandonata. Il caffè di fronte non c’èpiù, ma a pochi passi, dietro la fermatadegli autobus, ecco quel centro storicoche tanto colpì Simenon e che alloracostituiva l’intero paesino, mentre og-gi è solo una macchia minuscola nellacittà. arricchita dei nuovi quartieri.

Nel centro trasformato in enorme su-permarket, le antiche case non sono più“racchiuse” dalle dighe e, dei legni chia-ri di un tempo, non è rimasto quasi nul-la. I mattoni rossi diffondono solo qual-che lampo di quell’atmosfera di «lumi-nosità calda e quasi raffinata...». Lungol’Amsterdiep; si può ancora vederequalche bella nave a vela risalire l’Emse, se ancora si scorgono «l’ampia foce elo scintillio del Mare del Nord», non c’èpiù lo stesso incanto. Ma, quando scen-de la sera, anche se la luna rossa del tra-monto non rende più «ancor più rosso ilpaese di mattoni», per un attimo torna lamagia della scrittura di Simenon.

LO SCINTILLIODEL MARE DEL NORDA sinistra, il mulinodi Delfzijl e, sotto,un canale. Nella paginaaccanto: scorcidella città olandese,e al centro, la statuadi Maigret. In basso,una veduta del porto

FO

TO

ME

DIA

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

5 24

/07/

2005

Page 12: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

L’inizio difficile, il fumetto underground e la voglia di sperimentare. Poigli incontri con gli esuli sudamericani, gli studi di architettura a Venezia e la fuga a Parigi dove trova la strada del successo che lo porta sino

alle copertine del “New Yorker”. L’abbiamo incontrato nella sua casa francese dove spiegacosì l’ultima svolta: “Dipingo l’unica cosa che conta: l’amore”. A settembre, l’Italialo riscopre con alcune mostre e un nuovo libro. Di cui anticipiamo le immagini

PARIGI

Colori Mattotti per un gior-no intero, disegnando lasua storia. Incanto di Pari-gi piena di sole e acqua.

Quartiere nero di Chateau d’Aux. Par-rucchieri africani nel giallo neon. Don-ne con unghie color smeraldo. Cani apois. Il grigio del selciato con ombre ce-nere e alberi viola. Indirizzo carico diazzurro, Rue de Paradis.

Lorenzo Mattotti, mancino, esule damolte vite, re del disegno, pittore diamori circolari, narratore di perpetuiaddii, sta al centro delle sue stanze sen-timentali che hanno le forme curve de-gli abbracci rosa,disegnati a cera.Sta seduto concaffè macchiatocrema, e musica insottofondo di J. J.Cale. Dice: «Per metutti i colori hannoun significato e unmistero. Posso so-vrapporli per ore,assecondarli sino aquando trovo l’ar-monia. L’armonia,dice un mio amicofrancese, è il mo-mento in cui tutti icolori si mettono acantare». Ma cantare non è ancora ilpunto finale. Dice: «I disegni sono dav-vero finiti quando tutti i loro colori nonspiegano, ma comunicano, respirano».

Una serie di mostre celebrerannoLorenzo Mattotti a settembre, a Mo-dena, Milano e Roma. Escono in mez-za Europa i suoi libri vertiginosi, “Il si-gnor Spartaco”, “Linea fragile”, “Pi-nocchio”, i viaggi di “Caboto”, i suoicapolavori “Fuochi” e “Stigmate”,scritto da Claudio Piersanti. Transita-

no, nella sequenza cromatica delle sueimmagini, l’acrobazia in rosso e bluper il festival di Cannes 2000, i ritrattidi donne innamorabili, i gironi infiamme della “Divina Commedia”, ladoppia luce del “Dottor Jeckyll”, imondi favolosi dei “Labyrinthes” e icorpi in volo di Wong Kar Way.

Nel suo studio di rue de Paradis, spazibianchi alle pareti («per riposare gli oc-chi»), un tavolo blu, finestre avorio cari-che di luce e tetti. Lui sul divano a divaga-

re di viaggi tempo-rali, gli anni Settan-ta tra Como e Mila-no, la musica elet-trica dei primifestival pop e di ReNudo, Ballabio,Zerbo, l’under-ground, Radio Alicea Bologna, le primetavole per Linus, ilgruppo Valvoline, ilsegno duro di An-drea Pazienza, i so-gni di Henry Mi-chaux, le piscine diDavid Hockey, iponti solitari della

Bovisa, la fuga dall’Italia, il successo pari-gino, le copertine del New Yorker, l’ami-cizia e i capodanni con Art Spiegelman,disegnatore distantissimo da lui, che gliha comprato il suo primo studio.

Lorenzo Mattotti è un calmissimo os-sessivo. Lavora dieci ore al giorno. I suoidisegni valgono piccole fortune. Hauna moglie, due figli ragazzini, ma abi-ta dentro a una sua luna silenziosa. Vie-ne dalle geometrie variabili, isolanti,delle stanze che hanno coinciso con lasua infanzia. Viene da molte città che glihanno traslocato intorno e da cui lui siè difeso costruendone una propria. Di-

ce: «Mio padre era ufficiale della Guar-dia di finanza. Cambiava sede ogniquattro anni. Le città erano come film,finivano sul nero e ne cominciava sem-pre un’altra. Io abitavo nei seguiti, sem-pre dopo la parola fine».

È nato a Brescia nel 1954. Dopo Bre-scia e molto prima di Parigi, ha vissutoa Ancona, Udine, Como, Venezia, Bo-logna, Milano. Dice che il solo postoche non ha mai smesso di ruotargli in-torno è Castelbelforte, paese di Bassa

Mantovana: «Casa dei nonni, nome ca-rico d’avventure, dove assorbivo l’esta-te e le notti nere di campagna piene difantasmi, di civette e di vampiri. A par-te i terrori notturni che moltiplicavo perinventarmi inseguimenti e fughe, ho ri-cordi dolcissimi: i campi di grano, il cie-lo immobile, il fresco delle stanze, la pe-nombra dei miei disegni».

Dice che oggi tutta la vita che galleggianei suoi disegni arcobaleno, viene dallapaura in bianco e nero della vita. Tutto

PINO CORRIAS

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

MattottiLorenzo

La rivincita dell’artistal’amore, dalla paura dell’amore. Tutte lesue superfici, in giallo e azzurro, sono inomaggio alla curve di quel tempo pre-ziosamente dissipato a Castelbelforte. Ibianchi vengono dalle nebbie lombar-de. Le trasparenze dall’acqua di lago. Lastanchezza dalle zanzare di agosto. E ilrosso dalla lucentezza delle angurie. Di-ce: «Vivo immerso in una permanentefebbre di ricordi. Ho la testa piena di im-magini. Le immagini sono il tempo cheho dentro, sono la mia storia».

La sua storia ha una traiettoria e unainfinità di bivi. Il primo compare con idisegni di Robert Crumb fumettista delVillage Voice, viaggiatore americano distrade blu e zaini hippy e allegrie rock:«Prima volta che leggevo storie a fu-metti così folli e insieme così reali, pie-ne di vite notturne, viaggi, marijuana,ragazze, polizia, tette e masturbazione.Era pura libertà».

Sui nuovi territori di pura libertàcompaiono parecchie, piccolissime ri-velazioni. I Corvi in palandrana neramentre cantano “Sono un ragazzo distrada” in uno scantinato di Modena.La chitarra di Gerry Garcia. La morte deidue motociclisti di Easy Rider. Gliamanti di “Zabrinsky Point” che si roto-lano nel deserto. Le gelatine psichede-liche. Le prime connessioni con altri di-segnatori che imboccavano bivi, Mat-teo Guarnaccia, il visionario, Giovanniby Karen, alias Jacopo Fo, Daniele Brol-li, il bolognese, e Altan, l’inarrivabile.

Dice Mattotti: «Ho iniziato disegnan-do i muri delle mie camere da letto. Co-piavo Michelangelo per imparare l’a-natomia. Il cinema di Fellini e di OrsonWelles mi stregavano per il taglio delleinquadrature. Divoravo fumetti. Dise-gnavo mostri e baci. Cercavo l’energiadi Crumb. Percepivo l’elettricità che at-traversava il mondo. Ne avevo abba-R

epub

blic

a N

azio

nale

36

24/0

7/20

05

Page 13: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

stanza della mia solitudine. Ero affa-mato di mondo. Inseguivo tutte le buo-ne ragioni per mettermi in viaggio». Inviaggio, su un treno, ha incontrato Fa-brizio Ostani, detto Jerry Kramsky, nar-ratore delle sue voci off e flussi e dialo-ghi, segretario di scuola media per cam-pare, esperto di vie d’uscita per fuggire.Tutti e due a esplorare frontiere di pro-vincia italiana, disegnatori, maghi, fric-chettoni, e poi insieme a visitare Mila-no e i regni del grande Oreste del Buo-no, lo scrigno dellesue tavole per Li-nus, dove già abita-vano Crazy Cat eLi’l Abner. Dice:«Ho cominciato afar girare le mie ta-vole con storie diragazzi metropoli-tani. Storie cattive,disegnate veloci,con il nero espres-sionista che cari-cava l’anima». Ladensità e la lentez-za l’ha imparatadagli esuli suda-mericani come Jo-sè Muñoz, Carlos Sampayo e AlbertoBreccia. Racconta: «Quando ho visto glioriginali a olio di Breccia, l’argentino,ho cominciato a capire l’immensità delcolore e gli abissi della tecnica: nuovimondi che mi si spalancavano». E an-cora: «Penso che solo un altro solitario,Enzo Borgini, ceramista, incisore, miabbia influenzato tanto quanto Brec-cia. Ero a caccia di libertà espressive, lo-ro sono stati la mia rivelazione».

Poi c’è stata Venezia, la facoltà di Ar-chitettura: «Anni di apprendistato: pae-saggio d’acqua e professori straordina-ri, Carlo Aymonino, Manfredo Tafuri,

Aldo Rossi. Da loro ho imparato l’orga-nizzazione dello spazio. Dall’acqua l’ar-monia». Friggevano gli anni della nuovarivolta, Bologna 1977 e seguenti, la poli-tica, le notti, le sostanze. «Il fumetto, piùdel teatro, del cinema, della musica,sembra la via immediata per raccontar-si l’anima. Niente costi, niente media-zioni linguistiche. Bastavano fogli Fa-briano e pastelli a cera, una luce, un tè,un po’ di silenzio». Bologna pullula di fu-mettari, in piena autonomia visionaria,

Scozzari, Carpin-teri, Igort, Jorij. Na-sce l’astro nottur-no di Andrea Pa-zienza creatore diPentotal, Zanardi,Pompeo e dei loromondi imprendi-bili. Nasce Frigi-daire a Roma conTanino Liberatoree il suo Rank Xeroxghiacciato.

Mattotti pubbli-ca la sua prima sto-ria lunga, “Inciden-ti” su Linus. Si in-canta sulle tavole di

Moebius che anticipa il futuro di BladeRunner. Parte per la movida di Barcello-na. Interrompe Architettura a quattroesami dalla fine. Si sgancia da tutte le im-plosioni bolognesi. Entra negli anni neridi Milano. «Neri con molto grigio — rac-conta. — Abitavo alla Bovisa, ero attrat-to da tutte le periferie, passavo interigiorni a Quarto Oggiaro, cercavo storietristi, ero attratto dai ponti della ferroviae non avevo mai una lira in tasca». Spira-gli compaiono dalla più distante tra le vied’uscita, la moda che rinascendo sta percolonizzare il vuoto degli anni Ottanta.La moda chiede neo lucentezze ai giova-

ni artisti dell’immagine. Mattotti dise-gna tappeti, stoffe, frequenta i colori deinuovi oggetti Memphis, disegna le sueprimissime copertine per Vanity Fair eDolcevita. Ma intanto cammina dentroai colori sabbiati delle periferie traman-dati da Sironi e riempiti di attesa. Dise-gna “Il signor Spartaco” e “Doctor Nefa-sto”. Cerca avventure da raccontare co-me il Fitzcarraldo di Werner Herzog, eperdizioni esistenziali alla Henry Miller.«Cercavo specialmente immagini den-se, volti indimenti-cabili, inquadratu-re sorprendenti.Ho sempre lavora-to contro l’appa-rente leggerezzadel fumetto. Hotrovato la stradagrazie al colore».Stratificandolo, luiriempie il disegnodi spessore e tem-po, lo trasforma inuna storia. «Il colo-re agisce con len-tezza, è il ritualecon cui accarezzo ipersonaggi, cercole loro sintonie, trovo nuove possibilità».

Alla fine sarà Parigi la via d’uscita, ilnuovo inizio. I libri finalmente pubbli-cati, i riconoscimenti, fino a questostudio immenso. «Fino al giorno di unpaio di anni fa quando ho guardato perl’ennesima volta le piscine di DavidHockney e le ho viste per la prima vol-ta. Ho visto i corpi nell’acqua. Li ho im-maginati in movimento. Non più cir-condati dall’acqua, ma dal flusso deisentimenti, allacciati a altri corpi. Era ilnuovo tema che cercavo. Era il temache mi ha dato una enorme voglia dicominciare a dipingere».

Mattotti oggi dipinge grandi tele inacrilico. Dipinge stanze viste dall’alto eabbracci visti da molto vicino. «Raccon-to l’unica cosa che conti, l’amore, le suesuperfici blu, il suo spazio curvo». Infondo piegare il tempo sino a compren-derlo è il tema che lo ha sempre affasci-nato, inseguendolo nei viaggi o contem-plandolo nell’attesa. Come Henry Mi-chaux i viaggi più importanti li ha fatti trale pareti bianche del suo studio. Può nonuscirne per dieci giorni di seguito, esplo-rando i colori fino a toccarne il mistero.Dice: «Da Michaux, esploratore di spaziinteriori, ho imparato a lavorare con gliacquarelli sulle macchie. Aspetto che ilcolore si dilati sulla pagina, vedo quelloche ancora non c’è, trovo segni che di-ventano occhi e corpi». Riempie decine

di quaderni. Senzadestinazione, sen-za progetto. «Sonoil sismografo dellemie emozioni. Mivengono in auto-matico, sono per-fettamente gratuitie senza scopo, aparte quello di sal-varmi la vita».

Sono la suaprossima soglia.La nuova stazionedei suoi trasferi-menti cromatici.Colore svincolatodalle forme e dal

racconto. Colore che viaggia come intutte le città che ha attraversato. Chediventa la memoria di un istante, l’e-mozione fissata per sempre. Senza do-ver spiegare più nulla. Dice: «Mi piace-rebbe, un giorno, dipingere tavoleastratte dentro una storia, senza che illettore se ne accorga. Mettere un pic-colo specchio dentro la sua anima, ac-cendergli una rivelazione». E la rivela-zione dice: è tutto qui, in un colore cheresta, mentre la vita se ne va.

DA VALVOLINE A PINOCCHIO

Lorenzo Mattotti è uno dei maggiori illustratori del mondo.Nato a Brescia nel ’54, negli anni Ottanta fonda il gruppoValvoline: il primo lavoro importante, “Incidenti”, è del 1981.Poi arriva “Fuochi”, la storia che lo rende celebre. Negli anniNovanta illustra Pinocchio per Rizzoli e realizza copertineper il New Yorker. In uscita, a fine settembre, per Nuages edizioni,il suo ultimo lavoro intitolato “Nell’acqua” da cui sono trattele immagini di queste pagine

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 24 LUGLIO 2005

Ho iniziatodisegnando i muridelle mie camereda letto. CopiavoMichelangelo perimparare l’anatomiaIl cinema di Fellinie di Orson Wellesmi stregavaper il tagliodelle inquadrature

che regala l’anima ai colori

‘‘

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 3

7 24

/07/

2005

Page 14: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

Durante la gara ciclistica più famosa del mondo i giornisono lunghi e le notti troppo corte. A tenere compagniaci pensano le note. E non è un caso, visto che brani d’autore

e corse a tappe si assomigliano. Tanto che si può raccontare il giro di Francia,che si conclude oggi a Parigi, andando in fuga tra il pentagramma e i ricordi.Come in questo diario musicale di un inviato d’eccezione

GIANNI MURA

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

IL CAMPIONEE IL MUSICISTASopra, il celebrefisarmonicistaFredo Gardoni mentresuona insieme al ciclistaTonin Magne. Al centrodella pagina, il pubblicoincita i corridoridel Tour, nel 1936

del mioLe canzoni

Se la Piaf canta con CaposselaTour

PARIGI

Al Tour i giorni sono lunghie le notti corte. La musicatiene compagnia. Può es-sere in sintonia coi luoghi

(cori alpini in montagna) o in contrasto(cori alpini sul mare). Non c’è una rego-la precisa. Diario di bordo.

2 luglio: Fro-m e n t i n e - N o i r -moutiers (19 km,a cronometro in-dividuale). Valen-tine per assonanzacon Fromentine, ilvecchio MauriceChevalier, già inscena a 10 anni conun repertorio dicanzoni malizio-sette e piene didoppi sensicom’era di moda aiprimi del ‘900. Mo-da lanciata da Dra-nem (anagrammadi Armand Me-nard) con Le troude mon quai. Stra-na vita, quella diChevalier: due an-ni in un campo diconcentramento(Alten-Grabow),da cui esce perchéla sua amante d’allora (Mistinguett)aveva chiesto al re di Spagna d’interve-nire. Accusato di collaborazionismo,sul libro nero della Resistenza letto daPierre Dac a Radio Londra, Chevalier èsalvato da una non improbabile con-danna a morte dal poeta Aragon.

3 luglio: Challans-Les Essarts (181,5km). Chants de marins: due doppi cdnon particolarmente allegri. Trovomolte vicinanze coi canti di lavoro. Suivelieri, un tempo, c’era lo “Shanty-man”, che scandiva il ritmo delle diver-se operazioni (l’ultimo professionista,Stan Hugill, è morto 9 anni fa). Temi:partenze, naufragi, impossibili amori,sbronze, capitani cattivi, malattie vene-ree, sbarchi. Tra i molti interpreti, il piùincisivo è Mikael Yaouank.

4 luglio: La Chãtaigneraie-Tours(212,5 km). Sarà la Loira, ma mi vienevoglia di sentire Barcarolo romano

cantata da Gigi Proietti. E già che cisono Nun je dà retta Roma, I salamini,E me metto a cantà, Nina si voi dormi-te. Chissà perché abbiamo così pochicantanti-attori o attori-cantanti, etanti la Francia. Non solo Montand,Reggiani, Aznavour, Mouloudji, i pri-mi che vengono in mente, ma ancheBourvil, Fernandel, Gabin.

5 luglio: Tours-Blois (67,5 km, cro-nosquadre). Amboise e il genio di

Leonardo, Amboise e il genio di PaoloConte. Le vecchie canzoni, le grandicanzoni. Wanda, La fisarmonica diStradella, Una giornata al mare, Ladonna d’inverno. Un mesetto fa, in-tervistato su Repubblica, il Maestro haraccontato la sua passione per gli al-berghi un po’ vecchiotti, che danno alcliente una chiave e non una schedamagnetica. Gli mando un solidale ab-braccio, mon semblable mon frére.

Qui sta trionfando la scheda magneti-ca e spesso non mi funziona. Mesto ri-torno alla reception, risalita con ad-detto, vous voyez, c’est trés facile, figu-ra di merda, mancia, scusi pardon.

6 luglio: Chambord-Montargis(183 km). Sergio Endrigo, atto primo;Cjantant Endrigo dut par furlan, ossiale canzoni di Endrigo in lingua friula-na. Premesso che me le berrei tutte an-che in polacco o in curdo e che se Tere-

sa diventa Taresie non cambia molto,è un bel lavoro. Anche perché Endrigointroduce con poche righe ogni can-zone. Ore presint (“Adesso sì” fece di-re al direttore artistico di Sanremo:«Ma come si fa a incominciare unacanzone con adesso sì?». D’altra parte,in Teresa la commissione della Raiaveva bocciato il verso «Teresa, nonsono mica nato ieri» considerando“mica” non idoneo. E il verso fu cam-biato in «Teresa, la vita è solo un’av-ventura». Io che amo solo te, il maggiorsuccesso di Endrigo, secondo i disco-grafici sarebbe stato un fiasco, perchéha un’introduzione di archi molto len-ta, mentre i brani di moda partivanocon otto misure di batteria.

7 luglio: Troyes-Nancy (199 km).Piove, fa freddo, muore Ed McBain.Metto su il primo Dylan. Poi penso acosa piacerebbe a Steve Carella (e inogni caso piace a me). Jean-Claude Iz-zo per il suo funerale aveva chiesto Re-ginella. Al paisà Carella servo Reginel-la cantata da Roberto Murolo. Tam-murriata nera per Brown, I’te vurriavasà per Kling. Per Miscolo e il suocaffè imbevibile ci vorrebbe Don Raf-faè ma De André quest’anno l’ho la-sciato a casa (come De Gregori, Gaber,Brassens e Brel).

8 luglio: Luneville-Karlsruhe (228,5km). Caldo non fa. Molti cimiteri diguerra. Va bene Montand, Bella ciao initaliano ma anche La butte rouge, Letemps des cerises. Sono due canzoni cherichiamano la Comune del 1871, inrealtà Le temps des cerises Clément lascrisse nel 1866 e La butte rouge non è aParigi ma a Bapaume. Bizzarro tipo, ilMontéhus che la compose e lanciò:anarchico ai primi del ‘900, patriotticodurante la guerra ‘14-18 (si presentavain scena vestito da soldato e con unabenda rossa di sangue finto intorno al-la fronte), pacifista a guerra finita e in-fine decorato della Legion d’onore dalministro della Guerra, Ramadier.

9 luglio: Pforzheim-Gerardmer(231,5 km). Tappa di bellissimo verdenel finale. Altri cimiteri. Noi siam natichissà quando chissà dove (“Cantipartigiani per un film sulla Resistenzaa Piacenza”, presentazione di FaustoAmodei). Ci sono canzoni note (Oltreil ponte, Boves), altre meno, ma fami-liari. Infatti Su al passo dei Guselli è ri-fatta sull’aria del Ponte di Perati. Stra-namente, c’è un forte apporto di vociR

epub

blic

a N

azio

nale

38

24/0

7/20

05

Page 15: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 24 LUGLIO 2005

LA FESTASopra, paese

in festaper celebrare

il passaggiodei ciclisti

del 34° Tourde France,

nel 1947

GINO IL PIOA sinistra,Gino Bartaliall’attacco in unatappa montanaLe sue vittorieal Tour hannoispirato la famosacanzone di Conte

I SUCCESSI

QUEEN

Freddie Mercuryscrisse la canzone“Bicycle Race” nel 1978, in Francia,stimolato dalpassaggio del Tourde France sottole finestredel suo albergo

CONTE

Nel ‘79, le memorabiliparole di “Bartali”(“Quanta strada neimiei sandali\ quanta neavrà fatta Bartali\)hanno portato il mitodell’eroico ciclistanell’olimpo dellacanzone italiana

KRAFTWERK

I maestri del rockelettronico, i padridella musica digitaledi oggi, nel 1983celebrarono il Tourde France con unalbum omonimointeramente dedicatoalla corsa ciclistica

DE GREGORI

“Il banditoe il campione”è la storia di SantePollastri e di CostanteGirardengo, raccontatada De Gregoricon amore e passioneScritta nel ’94dal fratello Luigi Grechi

va scritto Hymne à l’amour). Lei era aNew York, lui era partito da Orly perraggiungerla, il suo aereo si schiantòsul Pic Rodonta, alle Azzorre, nellanotte fra il 27 e il 28 ottobre 1949. E lei,saputa la notizia, provò ugualmente acantare (the show must go on) ma eb-be un collasso.

12 luglio: Grenoble-Courchevel(181 km). Alpi, cori alpini della Sat.Sono trentini ma si allargano (Stelutisalpinis, Stille nacht); mie preferite Lapastora e Serenada a Castel Toblin.

13 luglio: Courchevel-Briançon(173 km). Uno di quei cd allegri che sipescano negli autogrill, Le pionnierede l’accordeon (Louis Ferrari, EmileVacher, Albert Huard). Valzerini, ma-zurchette, sullo sfondo delle vette.

14 luglio: Briançon-Digne (187km). Festa nazionale francese, Piafobbligatoria (Le vie en rose ma ancheÇa ira). Un monumento, e pensareche le furono negati i funerali religio-si. Uno degli chansonniers più arrab-biati, Allain Leprest, le ha dedicatouna canzone dolce («C’est tout aufond du Père Lachaise dans la section96, così comincia Edith).

15 luglio: Miramas-Montpellier(173,5 km). Ancora le vigne e grandidistese di girasoli. La sinistra italianadovrà rispondere, prima o poi, del-l’atterramento ingiustificato di AnnaIdentici, colpevole (suppongo) dinon essere la Daffini (che la mondinal’aveva fatta davvero) né la Marini(che aveva fatto ricerche sul campo).

Ha una voce stupenda, pulita, ascolto24 canzoni di fila e le mando con la te-sta un girasole.

16 luglio: Agde-Ax 3 Domaines(220,5 km). Siamo vicini alla Spagna,metto su Ferré e Les anarchistes cheera la canzone preferita di PierreChany, firma storica dell’Equipe. Epoi Les poètes in cui Ferré canta Apol-linaire, Aragon, Baudelaire, Rim-baud e Verlaine. È l’effetto-Pirenei,c’è qualcosa nell’aria. Le poesie diAlfonso Gatto, in tutti i Tour, le leggosui Pirenei.

17 luglio: Lézat-sur-Lèze-St. LaryPla d’Adet (205,5 km). Già che ci sia-mo, giornata-Aragon: cantano LéoFerré, Isabelle Aubret, Jean Ferrat.Dopo cena, bouchon, tre ore per fare

femminili (Donata Pinti, Betti Zam-bruno, belle voci). Betti l’avevo giàsentita, una sera nelle Langhe, canta-re Un paese quasi come Milly. Ha unavoce francese, chatouillante et guer-rière direbbero qui. Insegna Letterealle medie di Montegrosso d’Asti. Giàche ci siamo, Nostra patria è il mondointero, canti di lotta eseguiti dal coro edalla banda di Testaccio e cuciti daGiovanna Marini. Contiene la bella esconosciuta, in piemontese, Miseriamiseria. Per chiudere, Le chant de lalibération, ancora Yves Montand, C’ègente che dopo 5 minuti di canzoni diquesto tipo esclama «che palle». Tra imiei amici, nessuno.

10 luglio: Gerardmer-Mulhouse(171 km). Endrigo, atto secondo.Doppio cd I 45giri ‘65-73. Dalmio punto divista, non èi m p o r t a n t estabilire quan-te belle canzo-ni abbia scrittoEndrigo, ma sene abbia mais c r i t t a u n abrutta, di cuiv e r g o g n a r s iun po’. Perchénon solo daglialti, ma daibassi, si giudi-ca un autore.L e c a n z o n i(43) sono pro-p o s t e n e l l aversione origi-nale. Della esulla musica dimolti mi sonoinnamorato.Non serve al-tro. C’è tutto.

11 luglio: Giornata di riposo per icorridori che hanno preso l’aereo lasera prima, un po’ meno per noi cheandiamo oltre Grenoble. Autostrada.Inedito di Vinicio Capossela, Il treno,sullo spopolamento del paese di suopadre, in Campania. Di una bellezzastruggente. Inedito di Claudio Sanfi-lippo Oro sulla neve, un ricordo diBeppe Viola, molto tenero. Sanfilip-po, che di mestiere fa il pubblicitario,aveva già inciso Senzabrera in dialet-to milanese. Mi sento come un subnel sommerso (ma vivo). Poi Piaf,tanta Piaf. È Francia, non posso farnea meno, come il cassis e il pastis.Quanti ne ha amati, a quanti ha inse-gnato a cantare? Montand, Aznavour,Moustaki. Ho comprato a Nantes Moipour toi, l’epistolario amoroso tra leie il pugile Marcel Cerdan (per cui ave-

30 km. Murolo come calmante, comeincanto, come altrove.

18 luglio: riposo a Pau. Niente mu-sica, cassoulet consolatorio.

19 luglio: Mourenx-Pau (180,5 km).Due ciclofili di Berchidda mi offronofil’e ferru per strada. Per sintonia, Pie-ro Marras. Ma anche, dall’Aubisque ingiù, una compilation di Endrigo (coi ti-toli meno noti) che mi ha fatto avere illettore M. A. di Roma. Mi dicono dal-l’Italia che è morto Giampiero Bian-chi, grande attore sensibile, colto, diclasse. Ci siamo frequentati ai tempi diTacalabala lo rimpiango, avrei volutoconoscerlo meglio. Si è buttato sottoun treno. Gli dedico La voce dell’uomoe ricordo la sua risata.

20 luglio: Pau-Revel (239.5 km,tappa più lun-ga). Voglia dil e g g e r e z z anon banale.L’uovo di Co-lombo ha can-zoni spiritosesulle uova, laricotta, l’amo-re. Le canta Lu( L u i s a ) C o -lombo, mila-nese trapian-tata in Tosca-na, pittrice ditrompe l’oeil ealtro. Ha unavoce francese(è un compli-mento), fricci-c a ( d i r e b b eTrilussa). Miapreferita: Ca-sanova.

21 luglio: Al-b i - M e n d e(189 km). Nel

verde della Lozère che fa sentire me-ravigliosamente soli, la voce di SergeReggiani che fa sentire dolosamentevicini (L’italien, Sara).

22 luglio: Issoire-Le Puy en Velay(km 153,5). Rotte distratte di Rocco DeRosa, venature panmediterranee, vo-ci in arberesh.

23 luglio: St. Etienne-St. Etienne (55km, a cronometro individuale). Mau-rice Fanon (1929-1991) i francesi loconsiderano un minore, per me è ungrande. Insegnante di inglese, maritodi Pia Colombo che Brassens conside-rava “la nuova Piaf”, bevitore di quelliduri, anti-militarista di quelli durissi-mi. L’écharpe è la canzone vagamentepiù nota, ma almeno altre 10 (La petitejuive, Paris Cayenne) sono molto belle.

24 luglio: Corbeil-Essonne-Parigi(144,5 km). Si arriva a Parigi e dunquesarò io a cantare.R

epub

blic

a N

azio

nale

39

24/0

7/20

05

Page 16: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

Addensanti, emulsionanti, gelifi-canti, stabilizzanti. E ancora: co-loranti, aromi sintetici, conser-vanti. Compri un gelato e ingoiadditivi. Non va bene. Eppure,per otto italiani su dieci il gelato è

sinonimo di alimento nutriente, buono, digeri-bile. E soprattutto sano. A maggior ragione,quando si parla di gelati cosiddetti artigianali.Perché l’industria è l’industria: non si può pre-tendere che faccia dell’alta qualità la propria fi-losofia produttiva assoluta. Se vogliamo che iconi dei cornetti rimangano croccanti,che i biscotti non si sfaldino, che le cop-pette aspettino con morbidezza e com-pattezza immutate il nostro arrivo da-vanti al banco-freezer al bar sotto casa,qualcosa alla chimica dobbiamo conce-derlo. Magari un po’ meno dell’attuale.Magari pretendendo che gli ingredientisiano scritti con un carattere più leggibi-le di quello infinitesimale nascosto nel-le pieghe della confezione, per poterscegliere sapendo cosa addentiamo.

Ma tant’è: approdiamo esausti alGrill dell’autostrada, entriamo al cine-ma rincorrendo lo spettacolo delle 20 adigiuno, afferriamo una cosa purches-sia dalle mani del barista ambulante sulmarciapiede della stazione. Difficilepretendere molto più di qualche boc-cone dolce-fresco, per di più a caloriecontrollate.

L’allure del gelato artigianale è tuttadiversa: ci si tuffa nella morbidezzamantecata con la voglia di non smetterepiù, con l’immutata passione infantileche fece scrivere a Charles Dickens nelsuo diario di viaggio in Italia, “Gli uomi-ni, quando mangiano il gelato, sembra-no tanti bambini intenti a poppare”.

Non a caso, gli italiani che considera-no il gelato un vero e proprio pasto al-ternativo negli ultimi anni sono diventati tanti,tantissimi: quasi metà della popolazione oggi loannovera tra le soluzioni preferite per nutrirsidurante la pausa-pranzo.

Che fare? Il torinese Alfio Tarateta, storico nu-me tutelare del gelato con la g maiuscola, racco-manda: «Non guardate se è lucido e fa le pieghe,verificate invece se non lascia la bocca unta enon vi pesa sullo stomaco. Allora, avrete man-giato crema invece che business, gelato indu-striale o ice-cream».

Dicono che in Bocconi i neolaureati deside-rosi di investire nel settore alimentare si sento-no consigliare due alternative: gelato o pizza. Icibi-simbolo del made in Italy gastronomico,infatti, assicurano un futuro superagiato a chi liconfeziona: a patto di prendere qualche scor-ciatoia, per risparmiare sulla materia prima, al-

lungarle la vita, o anche solo semplice-mente per costruire un prodotto “ruf-fiano” e quindi più vendibile.

Corrado Assenza, che dopo essersilaureato in agronomia a Bologna insie-me al fratello Carlo, è tornato a Noto perprendere in mano il bar dell’anzianazia, facendone un laboratorio di gastro-nomia naturale famoso in tutto il mon-do, sintetizza il problema con una fraselapidaria: «La cremosità si paga».

Questo non significa, come si dicespesso per i prodotti bio, che sano fac-cia rima con insapore&bruttino. Al con-trario, i gelati fatti come le torte di Non-na Papera, latte-zucchero-uova-frutta,e trasformati da mani pazienti, sonomeravigliosamente buoni: in più, nonlasciano la bocca unta, sono digeribilis-simi e molto meno calorici (fino al 50%)rispetto a quelli truccati.

Guardare in faccia il gelato aiuta, co-me dice Tarateta, ma non è detto chebasti. E allora, prima di precipitarci suBacio e Stracciatella, chiediamo di vi-sionare l’elenco degli ingredienti (lalegge obbliga a esporlo, ma lo fanno inpochissimi): tutto quanto non entraabitualmente nella vostra borsa dellaspesa è un tradimento al vero gelato ar-tigianale. Cambiate gelateria e passate

alla prossima: tempo una settimana e avrete lamappa dell’isola del tesoro-gelato da girare aivostri amici più golosi. Da cui vi farete pagare ingelati: quelli superbuoni, ovviamente.

i saporiDolcezze anticaldo

Oltre la metà degli italiani considera coni e coppette veripasti alternativi, ma non sempre le creme fredde assicuranola bontà, e le calorie, che la ricetta uova-zucchero-panna-frutta prevede. Tutta colpa di conservanti e additiviche snaturano il prodotto artigianale di qualità, proprio quelloche oggi è diventato la specialità dei nostri maestri gelatieri

Il settoreprometteinsperate

possibilitàdi crescita

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

gusti classiciDicono che per misurarela bravura di un gelataio,bisogna provare la sua ricettadi crema, gusto-principecon il cioccolato. I consumidelle varietà alla fruttacrescono con le temperature

CremaLa ricetta prevede uova (tuorli),

zucchero, panna e latte.

Tra le varianti l’aggiunta di

scorzette d’arancia candita,

piccoli pois di cioccolato

fondente, uvetta passa

PistacchioIl migliore prevede l’utilizzo

dei frutti di Bronte, sulle pendici

dell’Etna, trattati “a crudo”

o tostati. Esiste una versione

senza latte, pregiata, che sfrutta

la componente grassa dei frutti

FragolaAnche i gelatieri ortodossi,

contrari alla frutta surgelata,

devono piegarsi alle mamme che

vogliono il gelato alla fragola per

i bimbi anche d’inverno. Sfizioso

quello con fragoline di bosco

Sono le gelaterie artigianepresenti in Italia

32.419È il consumo di gelatoprocapite in Italia

12 kg

‘‘Gianni RodariUna volta, a Bologna,

fecero un palazzodi gelato proprio

sulla Piazza Maggiore,e i bambini venivano...a dargli una leccatina.

Il tetto era di panna montatail fumo dei comignolidi zucchero filato…da FAVOLE AL TELEFONO

CioccolatoNegli ultimi anni sono nate

gelaterie dove è possibile

assaggiare i gusti figli delle

diverse tipologie (bianco, latte,

fondente, extrabitter) e dei plus:

peperoncino, nocciole, caffè

LimoneIl gusto dissetante per

eccellenza ha estimatori

appassionati e detrattori

implacabili. Molto apprezzata

la correzione alcolica

con vodka (sgroppino)

GelatiIl piacere dei brividi golosi

LICIA GRANELLO

Page 17: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 24 LUGLIO 2005

L’arte di estrarre i profumi della terraA fare il gelato in Sicilia cominciarono gli arabi

CORRADO ASSENZA

La nostra mitologia del gusto lo vuole di genitoriarabi. Approdati sulla terra di Sicilia, in cerca direfrigerio dalla calura estiva, provarono a ripe-

tere l’uso della propria gente dei Monti dell’Atlante:usare la neve raccolta e pressata sottoterra durantel’inverno, per produrre durante l’estate, qualcosa chedal palato portasse refrigerio al corpo ed allo spirito.

Abbiamo dovuto attendere il Novecento con l’av-vento delle fabbriche del ghiaccio nei centri urbani,per avere ampia disponibilità di materia prima inso-stituibile — il preziosissimo freddo — perché il gela-to divenisse un genere popolare.

Forse nessun altro dei prodotti dell’arte dolciaria ri-chiede tanto impegno quanto il gelato all’artigiano.Produrre un buon gelato — escludo quindi a prioriquelli derivati dai semilavorati industriali — compor-ta conoscenze tecniche che affondano nel campo del-la chimica e della fisica degli alimenti. Senza dimen-ticare quella conoscenza di base delle caratteristichedei frutti che ci fanno scegliere fra quelli di stagione ipiù sani, profumati, aromatici per cui c’è pesca e pe-sca, fragola e fragola, lampone e lampone…

Forse nessun’altra specializzazione del dolciario ècosì vicina all’antica arte e sapienza dei maestri pro-fumieri. Ricercare la fragranza nell’infinito della na-tura, individuarla, estrarla con cura senza danneg-giarla, travasarla nel profumo-gelato, appartieneinequivocabilmente alle due arti. Oggi come ieri, quirisiede la differenza tra un prodotto commerciale-industriale e l’opera di un artigiano sapiente.

Dosare zuccheri e grassi, uova e miele, frutta fre-sca e frutta secca fa parte di quell’universo dove la so-la ragione è troppo arida per spiegare le eccellenzedei gelatieri italiani. Dosare i grassi del latte con glizuccheri, le puree e i succhi dei frutti in maniera daottenere miscele stabili, perfettamente emulsiona-te, che gelando rimangono delicate e cremose, noninduriscano col tempo dell’attesa nella vetrina del

negozio, esprimere a pieno il gusto di frutta e creme,di cioccolato fondente e vaniglia è per il gelatiere lamateria del contendere.

E poi dare voce alla terra, esprimere la cultura ma-teriale del territorio d’appartenenza vuol dire, pernoi gelatieri, rispetto del cliente, della tradizione delnostro mestiere. Dal Piemonte al Veneto, dalla To-scana alla Sicilia, dal Lazio alla Lombardia la listadelle insegne eccellenti fortunatamente si allunga dianno in anno. Ad accomunarli, il sapiente utilizzodegli ingredienti per costruire il gelato, e il manteca-tore, che genera i cristalli di gelida crema per aggre-gazione, e non per distruzione, ovvero la frantuma-zione di miscele già ghiacciate in blocchi, come im-pongono le nuove tecniche incolte e frettolose…

Oggi, anche la grande ristorazione si interessa algelato, come compagno inusuale ma perfetto per ve-getali, pesci, carni e formaggi. Desiderio del nuovo?Esigenza di stupire? Forse. Ma non solo. Se vogliamo,un ritorno in grande stile verso l’origine del gelato.Alimento completo, un tempo si consumava a tavo-la come fine pasto, seduti comodamente sui divanidei Circoli di Conversazione e dei salotti borghesi,magari appostati nei dehors di caffè e gelaterie perscrutare il passeggio con l’alibi della coppa da gusta-re. Il gelato da passeggio, al contrario, appartiene auno stile di vita più telegenico, entrato nelle nostrecase assieme alle cucine all’americana, al panettonee alla colomba pasquale.

Forse non è casuale che pasticceria e gelateria, trop-po frettolosamente considerate materia da grande in-dustria, stiano trovando nuova vita e impulso tornandotra le mura della cucina dei grandi ristoranti, occupan-do menti e mani dei grandi cuochi. Che sia una pistanuova per rivalutare il ruolo dell’artigianato di settore?

L’autore, considerato uno dei più raffinati artigianidolciari, gestisce il “Caffè Sicilia” a Noto (Siracusa)

itinerariDaniele Cuomo,insieme allamoglie Simona,gestisce“Il Gelatoecologico& Frozen

Yogurt”, gelateria-cultomilanese. È unodei pochi artigianiad aver bandito tuttigli additivi chimiciCreme e sorbettisono strepitosi

Se il settore autoè in crisi, l’artegelatiera vantaancorauna produzionedi alto livello,con gli storici “Fiorio”e “Pepino”. Molti gliindirizzi doc nati

negli ultimi anni, dal “Siculo” di via San Quintino al “Mastro Gelataio” di via Nizza

DOVE DORMIREHOTEL PIEMONTESEVia Berthollet 21Tel. 011-6698101Camera doppia da 89 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIARE‘L BIRICHINVia V.Monti 16/aTel. 011-657457Chiuso domenica, menù da 40 euro

DOVE COMPRAREGELATERIA GROMPiazza Paleocapa 1Tel. 011-5119067

TorinoLa città-simbolodel baroccoè una meta sicuraper golosi, vuoiper le materie primeeccellenti, vuoiper la tradizionepasticcierae gelatiera. Oltre

allo storico “Alvino” di piazza Sant’Oronzo, da assaggiare i coni de “Il Palio” e “Tito Schipa”

DOVE DORMIREAL DUOMO B&BCorso Vittorio Emanuele 31Tel. 0832-304850Camera doppia da 60 euro, colazione inclusa

DOVE MANGIAREDa COSIMINOVia Monti 76. Porto Cesareo Tel. 0833-569076Senza chiusura estiva, menù da 25 euro

DOVE COMPRAREPASTICCERIA NATALEVia Trinchese 7Tel. 0832-256060

LecceNella città caraalla liricae agli appassionati di vino, si è fattastrada la culturadel gelatoAlle gelateriestoriche, comequella dei fratelli

Savoia o la “Pampanin” in via Garibaldi, si sonoaffiancati nuovi artigiani di qualità

DOVE DORMIREAL CASTELLOVicolo cieco Pomodoro 2/a (con cucina)Camera doppia da 110 euro, colazione inclusaTel. 045-8004403

DOVE MANGIAREAL POMPIEREVicolo Regina d’Ungheria 5Tel. 045-8030537Chiuso domenica e lunedì a pranzo, da 30 euro

DOVE COMPRARELA BOUTIQUE DEL GELATOVia Carlo Ederle 13Tel. 045-8301113

Verona

gusti nuoviDa qualche anno chefe artigiani hanno cominciatoa coniugare tecnica gelatierae materie prime insolite. Sievita il dolce per abbinarecreme e sorbetti di improntacreativa ai piatti più diversi

Gli italiani che consumanoil gelato come pasto veloce

40%Le calorie di un cono (creme)senza additivi chimici

105-140 kcal

ParmigianoPorta la firma del superchef

catalano Ferran Adrià, che oggi

lo propone tra due cialde

nell’ albergo sivigliano Hacienda

Benazuza Importato in Italia

da molti chef grati per l’idea

ZucchineCapostipite di una serie

di verdure, odori e spezie

trasformate in gelato, con il

supporto di una crema-base

Zucchero ridotto, per agevolare

l’abbinamento con piatti salati

OstricaFiore all’occhiello del bistrò

parigino “Bamboche”: esempio

squisito di contaminazione

gourmand, tra il frutto di mare

e la tecnica gelatiera. Cremosità

unita al profumo salmastro

Fior di lavandaOdoroso e soave, richiede mano

leggera ed esperta per evitare

lo squilibrio tra parte dolce

e fiorita. Si utilizza per accentuare

i sentori estivi dei piatti (frittata,

spaghetti freddi). Rinfrescante

ExtravergineUno dei più difficili da fare per

la sua componente grassa,

che si aggiunge a quella di latte

e panna Felice l’abbinamento

con il tortino di cioccolato,

crostacei, verdure croccantiRep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

1 24

/07/

2005

Page 18: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

le tendenzeEsterno casa

Pochi metri quadrati all’aperto cambiano il mododi passare l’estate in città. E con un balcone,un originalissimo ombrellone, contenitori smaltatiper piante e fiori, accessori in plastica da tavolae suggestive lampade si può indurre all’ozioperfino chi preferisce il lavoro alla vacanza

42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

AURELIO MAGISTÀ

DOLCI IN BELLAVISTAVassoio o alzata per dolciSi può giocare con Hyltevariando la disposizionedei suoi piani. Disegnata

dalla designer Sunniva Kandell,fa parte della collezione Ikea Ps

A LUME DI CANDELALa classica lanterna da esterni

rivista e corretta da SiaCollection. Forata nella parte

superiore, è perfetta percandele profumate e citronella

TerrazzaT

utta questa voglia di starsene fuori, sotto il sole, la pioggia o il vento secondo i capricci del tempo, di ozia-re in terrazza, insomma, sarebbe sembrata ai nostri antenati una bizzarria. Ma loro, che vivevano quasisempre all’aperto in un’Europa dove ancora signoreggiavano le foreste, e non le giungle d’asfalto, e chequando rientravano nelle abitazioni erano ben contenti di stare serrati e protetti tra le spesse mura, conalte finestrine che non facevano uscire il poco calore e non facevano entrare i malintenzionati, difficil-mente capirebbero il desiderio di orizzonti dove spingere lo sguardo di noi che passiamo la vita sempre

chiusi nelle stazioni del nostro pellegrinaggio: casa-auto-ufficio-negozi.Terrazza, s’è detto, più che giardino, per alcune evidenti ragioni, prima fra tutte che il giardino, per essere goduto,

presuppone il piano terreno, un posto sempre meno sicuro, con i ladri che, potendo scegliere, preferiscono scaval-care un muro di cinta piuttosto che scalare un palazzo, e non si preoccupano nemmeno di controllare che la casa siamomentaneamente deserta.

Terrazza poi, perché con i prezzi che corrono per le case, si può comunque dirottare la propria voglia di pomeriggien plein air verso il più modesto terrazzino o balcone, dove ci si può almeno ingegnare a ricavare lo spazio per tavo-lini e piccole sdraio, piante in vaso e bric-à-brac, mentre il giardino, ridotto a bonsai, è impraticabile: resta solo unpiccolo disimpegno verde.

Terrazza, infine, perché nella patria degli abusi e dei condoni, industriandosi un po’ di più con verande e copertu-re sempre meno provvisorie, si può poco per volta annetterla al corpo della casa, a condizione di saper convivere conil piccolo, irrisolto rimorso di aver sacrificato il poeta al geometra, la voglia di cielo e di orizzonti al bisogno di metriquadrati. La terrazza, infatti, è un luogo dinamico, sospeso: fra terra e cielo, ormai non più casa, ma non ancora spa-zio aperto, consente con gli arredi licenze più spesso pragmatiche che poetiche. Essendo predilette le cene all’aper-to, la prima necessità è quella di scegliere un tavolo, anche piccolo ma allora apribile, con sedie non banali e resistentialle intemperie, provvedendolo di luci calde all’intorno, per esempio le fiaccole da infiggere nella terra dei vasi, o illume a olio vintage, di ombrellone per quando, nelle mezze stagioni, le cene diverranno pranzi o merende, di sup-pellettili adeguate, coloratissime, magari in plastica o silicone a prova di bambino. In-torno a questo centro graviteranno gli altri accessori: guanti e attrezzi da giardino,innaffiatoi, ceste e altri contenitori, vasi più o meno grandi, ottimi quelli deco-rati, scelti tra le quasi innumerevoli varietà delle ceramiche d’arte italiane.

Ma, oltre tutti questi utili strumenti e oggetti di servizio, l’astuzia sarà il su-premo omaggio alla pigrizia, adesso che stiamo imparando le virtù di un’e-sistenza slow: l’amaca su cui si finirà a riflettere, ovvero appisolarsi, mo-mento strategico nella delicata filiera della digestione.

STELI DI LUCESi chiamanoflambeurde jardini porta candelain vetro con stelodi Leonardo

Tra piante, vasi e lanternei colori dell’arcobaleno

RELAX TOTALEPromette

ore di dolce far nientel’amaca-altalena

di MaiugualiIn canvas,

con poggiatestaRep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

2 24

/07/

2005

Page 19: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

Terracotta, ceramica, alluminio dipinto e vecchi cache pot vestono le aree verdi e creano angoli diversi dedicati alla cena o al relax con gli amici.

Per sfruttare al massimo le belle giornate

Trasformare il balcone: i consigli del creatore di giardini Paolo Pejrone

“L’allegria è un cespuglio di menta”VERA SCHIAVAZZI

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 24 LUGLIO 2005

PROFESSIONE GIARDINIEREÈ piccolo ma risulta indispensabile

Ecco il set da giardinaggio professionaledi Montemaggi. Sta tutto in un cestino

PRONTO IN TAVOLAUn tocco di coloreall’apparecchiaturaestiva con le ciotoleconcentriche in melaninadi D-Cube. Sei misureper sei sfumature

TRIS DA APERITIVODecori floreali per i tre pezzi

del set snack in vendita da CoinRealizzato in resina,

è stato pensatoper gli aperitivi all’aperto

magari nelle sere d’estate

PRATO DI PLASTICAPiù soffice di un prato vero

È la seduta Pratone di Gufram,con grandi steli in poliuretano espanso

POLLICE VERDEPer chi ama una terrazza sempre in fiore

ecco il set da giardinaggio di Silea,in metallo laccato in tre varianti di colore

TRIONFO REALEIl vaso in ghisaa forma di coppadi Unopiùè una fedeleriproduzionedello stile imperoQui nella versionecolor piomboossidato

FATTO A MANOPlasmato e coloratoa mano il vaso in ceramicadi Clay Hill Pottery & Tile

Lui, per sé, ha già deciso: si allontanerà almassimo un giorno o due, poi resterà a ca-sa per potersi occupare delle ortensie, che

soffrono per il caldo e hanno bisogno di lui. Pao-lo Pejrone, allievo di Russell Page, ideatore di ce-lebri giardini privati come quelli di MarellaAgnelli, non si arrende, come afferma il titolo delsuo ultimo libro (prima, per Feltrinelli, era arri-vato “In giardino non si è mai soli”).

Pejrone, si può diventare giardinieri in pienaestate?

«Certamente sì, anzi, in questo periodo lepiante, se ben curate, danno soddisfazione inpochi giorni, qualche volta in poche ore…».

Qualche suggerimento, cominciando maga-ri da chi resta in città e dispone solo di un ter-razzo, magari piccolo?

«Progettare e costruire il proprio orto di aro-matiche. Questi sono gli ultimi giorni utili a se-minare il basilico, una pianta amatissima e mol-to gratificante che in alcuni paesi come il Ma-rocco viene usata anche per allontanare gli in-setti. Da seminare ora c’è anche l’alissa maritti-ma, cresce in un mese, è profumata ed allegra.Tra le mente, io amo la glaciale, la più ricca di aro-ma. Ed ecco con tre o quattro vasi e una spesa li-mitata il balconcino di casa può diventare belloe non farci rimpiangere le spiagge. Si può goder-ne mentre con le foglie coltivate con le nostremani prepariamo un tè alla menta o un pesto co-me una volta».

È ancora “vietato” mescolare fiori e piantealimentari?

«Non solo non è vietato, ma è consigliato. Una

rosa ben curata, forse la pianta più popolare inItalia, trasformerà il terrazzino con le aromati-che in un orto-giardino, piccolo ma non menobello dei parchi dove questa contaminazione ègià stata sperimentata negli anni».

Le piante coltivate in città possono essereusate in cucina?

«D’estate certamente sì. D’inverno, meglio es-sere prudenti, le polveri inquinanti possonosporcarle. Le piante aromatiche, per loro natu-ra, non devono essere né troppo bagnate nétroppo concimate: una certa sofferenza le rendeancora più profumate».

Chi ha appena cominciato ha dubbi su tutto:quando e come annaffiare, quando concimare…

«Serve una “sensibilità intelligente”, la capa-cità di capire i segnali che le piante ci mandano.Tutti sappiamo che le piante vanno bagnate almattino o alla sera, quando la temperatura è piùfresca. Ma se una pianta ci appare avvizzita e sof-ferente anche alle due del pomeriggio è meglionon esitare. Un altro accorgimento quando si ini-zia a creare il proprio angolo verde è quello di ga-rantire l’alternanza tra zone d’ombra e altre di so-le. Lo si può fare “artificialmente”, con tende e ga-zebi, e sul piano tecnico avremo risultati perfetti.Ma non sottovalutiamo neppure i rampicanti».

Si può ottenere “ombra naturale” anche su unterrazzo di città?

«Grazie al clima più caldo, oggi sì. Un tempo leterrazze erano rigogliose soltanto da Roma in giù,oggi il rincospernum, simile al gelsomino e pro-fumatissimo, cresce anche al nord. Possiamopiantarlo e prevedere un piccolo pergolato, an-che se in questo caso la soddisfazione non saràimmediata».

EFFETTO SMALTOTerracotta smaltataper vaso e sottovasodi Soleil Maroc

A TUTTO RELAXHa un’ampia seduta, la poltrona

in polietilene Ice Baby di Liv’itDisponibile nei colori rosso, blu e bianco

VIVA LE PAPEREUn omaggio alle paperei porta vasi in ceramicadi Maiuguali, in due misure

MADE IN ITALYL’Associazione

italiana cittàdella ceramica, coordinata

da Faenza, eccellenella produzione

A destra il classicoorcio, di Punto Cotto

OLTRELE SIEPISimulanoil giardinogiocandosulla strutturale sedie Taffetà,conapplicazionidi fiori ed erbasintetica, e l’ombrelloneSanta Barbaradesign rivestitoda fogliedi tessuto

Rep

ubbl

ica

Naz

iona

le 4

3 24

/07/

2005

Page 20: Bomba La - la Repubblicadownload.repubblica.it/pdf/domenica/2005/24072005.pdf · 2005. 7. 24. · la bomba atomica chiamata “Little Boy”, parte da Tinian e comincia il lungo viaggio

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 24 LUGLIO 2005

Signora della tv

DARIO CRESTO-DINA

MILANO

Ancor prima di vederla, laSimo, come la chiamanoqui, la senti. «Arriiivo»,grida da una stanza lon-

tana, in fondo a un corridoio. Aspet-tandola c’è il tempo di spiare questopezzo di casa al terzo piano di corso diPorta Vittoria, a pochi metri dal palaz-zo di giustizia di Milano, e di sorpren-dersi: un lampadario di cristallo a goc-ce sovrasta imponente il massiccio ta-volo del primo novecento che a sua vol-ta occhieggia una credenza impero; undipinto buio e un po’ scialbo di un pit-tore anonimo raffigura un’aquila gran-de come un toro nell’atto di ghermire eportare in cielo un bambinetto con losguardo da penitente.

Manca soltanto un busto d’Alfieri odi Napoleone per immaginarsi nel sa-lotto con Nonna Speranza. Che ci az-zecca tutto questo con Simona Ventu-ra, ti domandi, quando lei s’affacciaimprovvisa e gaia dall’angolo di unmuro, ti stringe la mano con simpatia,sorride, poi intuisce lo stupore e alloraride di sé: «Sono una parte dei mobiliche avevo a Roma, là tutto è ridondan-te, barocco. Stavo in un alloggio pienozeppo di roba, sembrava che l’arreda-mento mi cadesse addosso, da quandomi sono trasferita a Milano ho cercatodi alleggerirmi. Si vede...O no?». Indicale tende sottili dalle quali filtra la palli-da luce del mattino, il televisore al pla-sma inchiodato a una parete, i divanichiari, il basso tavolinetto di vetro sulquale sono appoggiate decine di rivistesopra cui troneggia «Peluche», l’ultimolibro di Emilio Fede. Sono gli oggettidella sua leggerezza. Prende il libro, losolleva, fa frusciare tra le dita qualchepagine. «Gli do un’occhiata, c’è un ca-pitolo in cui si parla di me. Leggo poco,non ho davvero il tempo. Da settembrea giugno mi alzo ogni mattina alle settee un quarto, alle 8 e mezzo porto i bam-

bini a scuola in auto o a piedi. Poi ho lapalestra, le riunioni con quelli del miostaff, l’estetista, le lezioni di inglese espagnolo, la preparazione dei pro-grammi, la scelta degli ospiti... Alla se-ra, mi creda, sono sfinita».

Simona Ventura ha la faccia tirata,indossa un paio di jeans delavé e unacamicia di foggia maschile a righe lar-ghe, colorate. Tutto di Dolce e Gabba-na, gli stilisti che la vestono da quandoè diventata la signora della tv. Da anninon acquista più nulla, o quasi. «Nonmi danno minigonne. Dopo i qua-rant’anni, dicono, non sta bene. Non ècool. Brutto colpo, eh? Ma io, invece,non ho mai avuto le gambe belle comeadesso. Così le mini di D&G me le com-pro da sola, le metto e me ne frego». Inun anno è dimagrita di nove chili. Col-pa di un amore perduto, forse anche diun altro soltanto accarezzato e del qua-le non vuole dir nulla. Ma è per questoche siamo qui: per parlare d’amore.L’amore gentile, l’eros, l’amore mater-no, l’amore per la televisione, l’amoredi Simona Ventura per se stessa.

Si siede in punta al divano, si accen-de una sigaretta: «Per amore possoperdonare, ma non dimenticare. Inamore posso superare la ferita di untradimento, e l’ho fatto, ma non l’orro-re di scoprire che ho accanto un uomoviolento, capacissimo di prendermi abotte. Mi è capitato una volta, mi diedeun ceffone, lo lasciai subito. In amoresono io l’uomo. Quando mi innamorodivento pericolosa, do tutto o tolgo tut-to, non ho mezze misure. Posso anda-re fino in cima all’Everest per racco-gliere una stella alpina e una mattinaalzarmi dal letto e decidere che è finita,fare le valigie e non tornare mai più in-dietro». Eppure qui dentro non c’è bi-sogno di voltarsi, basta guardarsi at-torno per dubitare della sua verità. Lefotografie dell’ex marito, il calciatoreStefano Bettarini, sono ovunque: conlei il giorno delle nozze, con lei a una fe-sta, con lei al mare, con lei e i figli Nic-colò di sei anni e Giacomo di quattro.

Scatti di felicità. «Quelle fotografiesono lì per i miei bambini, perché Ste-fano è il loro papà e stanno lì anche perme, perché non rinnego nulla del miomatrimonio — ho amato Stefano d’unamore enorme — ma non tornerei maiindietro. Ho passato il mio Rubicone».O s’è salvata dal suo tsunami, come leha suggerito un amico che si è da pocoseparato dalla moglie. «E’ stata dura,ma sono sopravvissuta. Andavo in tv emi sentivo addosso le domande di tut-ti, le leggevo nei loro sguardi, avevanosfumature differenti: morbosità, ri-spetto, solidarietà, affetto, curiosità.Molte volte, a Quelli che il calcio, sonostata lì lì per sciogliermi in lacrime. Od-dio, pensavo, oddio, adesso mi metto apiangere in diretta. Se non l’ho fatto de-vo ringraziare soprattutto Gene Gnoc-chi. Gene mi è stato vicino con l’ironia,il sorriso, l’amicizia; è stato uno zio, unfratello, un grand’uomo. Cazzo, l’ho

cun problema ad ammetterlo. Il nasoperché non era televisivo, il seno per-ché, a causa del dimagrimento, eraquasi scomparso. Non ce l’avevo più eavevo voglia invece di essere più bella.Che male c’è? Le labbra? Quelle no, percarità, quelle sono le mie, sono na-tu-ra-lis-si-me. Odio i canotti...».

La signora che l’aiuta in casa porta icaffè. Per lei tazza grande, riempitaquasi all’orlo, ci aggiunge un po’ di lat-te. Parla in fretta, senza esitazioni, lemani non stanno ferme un attimo.«Non ho fatto sesso per mesi, no, no,abbia pazienza, non dico quanti. Glie-lo spiego con la strofa di una canzone:non c’è sesso senza amore, per me. Maiusato il mio corpo per fare carriera intv, se qualcuno prova a dire che la Ven-tura è andata avanti passando dal lettodi questo o quello...lo querelo. Del ses-so posso fare tranquillamente a menoe, in questo momento, non mi dispia-ce neppure di non essere innamorataperché credo mi sarà più facile ripren-dere in mano la mia vita. Più avanti sivedrà. Sa che cosa mi immagino, ognitanto, nel mio futuro? Una casa con ilcamino, un compagno che sia davveromio complice, stare all’estero, NewYork, Londra, Madrid, diventare non-na. Aspettative banali per una comeme che sa di essere una persona famo-sa, ma che è stata educata alla sempli-cità da un padre ufficiale dell’esercitoe da una madre che ancora oggi è unaspecie di guida spirituale». Le dico chela fama spesso è un fenomeno provin-ciale. «E già — fa lei — , io infatti sono diChivasso.» .

Da qualche minuto si è accoccolatasul divano come una ragazzina, ripie-gando le gambe sotto il corpo. Ricorda:«Da piccola ero una bambina moltosolitaria, molto silenziosa, il silenziomi piace ancora adesso. Amavo il cir-co, i clown. Mi intristiva lo zoo, con glianimali dietro le sbarre che sono sem-pre malinconici, innaturali, rassegna-ti. A Natale ho voluto portare i miei figliin Africa, gli ho fatto fare un safari foto-grafico, è stato meraviglioso. Alle me-die tenevo un diario, ho smesso quan-do una compagna me lo ha letto di na-scosto. Inconsciamente devo essermidetta che non bisogna mai tenere ad-dosso cose preziose, si corre il rischioche qualcuno te le sporchi, te le rubi.Oggi giro senza un soldo in tasca, ho lacarta di credito e il bancomat, del qua-le, per altro non ricordo il codice segre-to». Assieme alle parole, un po’ alla vol-ta, vengono a galla anche le paure.«Penso spesso alla morte, la prospetti-va mi terrorizza anche se sono cattoli-ca e fatalista. Vado in chiesa una voltala settimana: prego Gesù perché con-servi la salute ai miei figli, alla mia fa-miglia, alle persone care, a me. Glichiedo di fare in modo che le cose va-dano meglio. Faccio un check-up me-dico completo ogni anno. So che la vi-ta è zucchero e piombo, mi auguro chela mia si mantenga dolce il più a lungo

chiamato zio, mi darà il tormentone.Ho ricevuto anche tante lettere, so-prattutto di donne, mi esprimevanosolidarietà, un universo femminilecoalizzato contro i maschi di ogni età.Ho pianto come una bambina dopol’ultima puntata, quella domenica si èliberata tutta la tensione accumulatadurante un anno terribile».

Era cominciato il dieci maggio 2004,calcio scommesse, lei stava andando aSaint Tropez. Tornò indietro, da Stefa-no, e fu l’ultima volta. «Adesso sento diavere una vita nuova davanti a me, unastrada che per un po’ voglio percorre-re da sola. Sto cercando di convincer-mi che ne avevo bisogno, intendo direche sentivo la necessità di essere singleper la prima volta dopo fidanzamentimolto lunghi e un matrimonio. Mi so-no maltrattata tanto, ora basta, è il mo-mento che mi faccia delle coccole. For-se diventerò anche più riflessiva, cosìqualcuno smetterà di dire che la Ven-tura è scema, perché io scema non so-no. Impulsiva sì, ma scema propriono». Si vuole bene la Simo. Molto. «Misono rifatta le tette e il naso, non ho al-

possibile e voglio goderne ogni mo-mento».

Il piacere, per Simona Ventura, è sen-tirsi addosso la tv come una secondapelle, grazie ad essa, giura, la conosce ilnovantatré per cento degli italiani:«Non lo dico io, lo dicono i sondaggi».Dopo l’estate ci sarà ancora l’Isola deifamosi, ci saranno ancora Quelli che ilcalcio. «Tre anni, mi sono data tre anni.Non penso di essere in fase discenden-te, ma tra un po’ mi piacerebbe piaz-zarmi dietro lo schermo, inventarenuovi programmi, scoprire personag-gi». Nel 2004 ha condotto Sanremo,quinta donna nella storia del festivaldopo Maria Teresa Ruta (1955), l’attri-ce Giuliana Calandra (1961), LorettaGoggi e, soprattutto, la Carrà, una leg-genda per la Ventura. Non è un caso chestia studiando lo spagnolo: «Non mi di-spiacerebbe tentare un’esperienza inSpagna, come ha fatto Raffaella. Là c’èun’altra televisione, un paese giovane,moderno, che bravo Zapatero. La no-stra televisione è lo specchio della so-cietà: non è libera. Non lo è mai stata, aogni cambio di quadro politico cam-biano i padroni, non faccio nemmenonomi e cognomi. Li conosciamo bene.Noi italiani siamo incredibili, siamo unpopolo che dimentica tutto: le truppevanno da sinistra a destra, da destra asinistra con una naturalezza straordi-naria. Assistiamo a una continua mi-grazione. Mi piacerebbe lavorare inuna tv con più satira, in una tv che ospi-tasse davvero le opinioni di tutti. Io hosempre cercato di salvarmi con l’iro-nia, a volte ci sono riuscita, altre no, maritengo di avere la coscienza a posto».

La signora le porta un secondo caffè,Simona ne approfitta per domandarleche ora è: «Devo andare». L’aspettano ifigli. Sulle scale dice: «Sono una donnamolto fortunata. Ci sono giorni nei qua-li la felicità mi sfiora due volte: quandostringo la manina di Giacomo accom-pagnandolo all’asilo e quando faccio icompiti con Niccolò, lo bacio e gli sus-surro “la tua mamma non ti abbando-nerà mai”». L’amore, finalmente.

Mi sono maltrattatatanto, ora bastaè il momentodi farsi le coccoleIl mio futuro?Andare all’esteroforse a New York,con un compagnoche sia davveromio complice

Quarant’anni, un matrimonio fallitosotto i riflettori, due figli, il grandesuccesso ma soprattutto l’amore.Quello finito, quello dimenticato,quello per Niccolò e Giacomo,

i suoi bambini,quello per una vitaesuberante, pienadi cose da realizzare,che non si ferma mai,quello per il piccoloschermo che vive come

una “seconda pelle”, e quello, tuttonuovo, per se stessa pronta a partireper un’altra avventura

Simona Ventura

l’incontro

‘‘

‘‘R

epub

blic

a N

azio

nale

44

24/0

7/20

05